ISSN 1977-0944

doi:10.3000/19770944.C_2013.271.ita

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 271

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

56o anno
19 settembre 2013


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

490a sessione plenaria del 22 e 23 maggio 2013

2013/C 271/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Per una dimensione sociale dell'Unione economica e monetaria europea (parere esplorativo)

1

2013/C 271/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Dopo 10 anni, dove va l'euro? Il futuro economico e politico dell'UE e il nuovo trattato (parere d'iniziativa)

8

2013/C 271/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'economia verde — Promuovere lo sviluppo sostenibile in Europa (parere d'iniziativa)

18

 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

490a sessione plenaria del 22 e 23 maggio 2013

2013/C 271/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione — Piano per un'Unione economica e monetaria autentica e approfondita — Avvio del dibattito europeoCOM(2012) 777 final/2

23

2013/C 271/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante i dati informativi che accompagnano i trasferimenti di fondiCOM(2013) 44 final — 2013/0024 (COD) e alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose compreso il finanziamento del terrorismoCOM(2013) 45 final — 2013/0025 (COD)

31

2013/C 271/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che attua una cooperazione rafforzata nel settore dell'imposta sulle transazioni finanziarieCOM(2013) 71 final — 2013/0045 (CNS)

36

2013/C 271/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla protezione mediante il diritto penale dell'euro e di altre monete contro la falsificazione e che sostituisce la decisione quadro 2000/383/GAI del ConsiglioCOM(2013) 42 final — 2013/0023 (COD)

42

2013/C 271/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio — Verso un'Unione economica e monetaria autentica e approfondita — Creazione di uno strumento di convergenza e di competitivitàCOM(2013) 165 final e alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio — Verso un'Unione economica e monetaria autentica e approfondita — Coordinamento ex ante delle grandi riforme di politica economica previsteCOM(2013) 166 final

45

2013/C 271/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni — Verso un quadro normativo europeo approfondito relativo al gioco d'azzardo onlineCOM(2012) 596 final

48

2013/C 271/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo — Un nuovo approccio europeo al fallimento delle imprese e all'insolvenzaCOM(2012) 742 final e alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1346/2000 del Consiglio relativo alle procedure d'insolvenzaCOM(2012) 744 final — 2012/0360 (COD)

55

2013/C 271/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Proteggere le imprese dalle pratiche di commercializzazione ingannevoli e garantire l’effettivo rispetto delle norme — Revisione della direttiva 2006/114/CE concernente la pubblicità ingannevole e comparativaCOM(2012) 702 final

61

2013/C 271/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo sullo stato dell'Unione doganaleCOM(2012) 791 final

66

2013/C 271/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Piano d'azione: diritto europeo delle società e governo societario — una disciplina giuridica moderna a favore di azionisti più impegnati e società sostenibiliCOM(2012) 740 final

70

2013/C 271/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Piano d'azione Imprenditorialità 2020 Rilanciare lo spirito imprenditoriale in EuropaCOM(2012) 795 final

75

2013/C 271/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla sicurezza dei prodotti di consumo e che abroga la direttiva 87/357/CEE del Consiglio e la direttiva 2001/95/CECOM(2013) 78 final — 2013/0049 (COD)

81

2013/C 271/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla vigilanza del mercato dei prodotti e che modifica le direttive 89/686/CEE e 93/15/CEE del Consiglio e le direttive 94/9/CE, 94/25/CE, 95/16/CE, 97/23/CE, 1999/5/CE, 2000/9/CE, 2000/14/CE, 2001/95/CE, 2004/108/CE, 2006/42/CE, 2006/95/CE, 2007/23/CE, 2008/57/CE, 2009/48/CE, 2009/105/CE, 2009/142/CE e 2011/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, il regolamento (UE) n. 305/2011, il regolamento (CE) n. 764/2008 e il regolamento (CE) n. 765/2008 del Parlamento europeo e del ConsiglioCOM(2013) 75 final — 2013/0048 (COD)

86

2013/C 271/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Investire nel settore sociale a favore della crescita e della coesione, in particolare attuando il Fondo sociale europeo nel periodo 2014-2020COM(2013) 83 final

91

2013/C 271/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un sistema di ingressi/uscite per la registrazione dei dati di ingresso e uscita dei cittadini di paesi terzi che attraversano le frontiere esterne degli Stati membri dell’Unione europeaCOM(2013) 95 final — 2013/0057 (COD), alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 562/2006 per quanto riguarda l'uso del sistema di ingressi/uscite e il programma per viaggiatori registratiCOM(2013) 96 final — 2013/0060 (COD) e alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma per viaggiatori registratiCOM(2013) 97 final — 2013/0059 (COD)

97

2013/C 271/19

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di modifica della proposta della Commissione COM(2011) 607 final/2 di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo sociale europeo e che abroga il regolamento (CE) n. 1081/2006 del ConsiglioCOM(2013) 145 final — 2011/0268 (COD) e alla Proposta di modifica della proposta della Commissione COM(2012) 496 — Regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante disposizioni comuni sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione, sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca compresi nel quadro strategico comune e disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo di coesione, e che abroga il regolamento (CE) n. 1083/2006 del ConsiglioCOM(2013) 146 final — 2011/0276 (COD)

101

2013/C 271/20

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — CARS 2020: piano d'azione per un'industria automobilistica competitiva e sostenibile in EuropaCOM(2012) 636 final

104

2013/C 271/21

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Energia pulita per i trasporti: una strategia europea in materia di combustibili alternativiCOM(2013) 17 final e alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla realizzazione di un'infrastruttura per i combustibili alternativiCOM(2013) 18 final — 2013/0012 (COD)

111

2013/C 271/22

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'accessibilità dei siti web degli enti pubbliciCOM(2012) 721 final — 2012/0340 (COD)

116

2013/C 271/23

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Piano d'azione Sanità elettronica 2012-2020 — Una sanità innovativa per il 21esimo secoloCOM(2012) 736 final

122

2013/C 271/24

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Agenda digitale per l'Europa — Le tecnologie digitali come motore della crescita europeaCOM(2012) 784 final

127

2013/C 271/25

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante misure volte a garantire un livello comune elevato di sicurezza delle reti e dell'informazione nell'UnioneCOM(2013) 48 final — 2013/0027 (COD)

133

2013/C 271/26

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sui gas fluorurati a effetto serraCOM(2012) 643 final — 2012/0305 (COD)

138

2013/C 271/27

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante fissazione del tasso di adeguamento dei pagamenti diretti di cui al regolamento (CE) n. 73/2009 del Consiglio per l'anno civile 2013COM(2013) 159 final — 2013/0087 (COD)

143

2013/C 271/28

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Un'esistenza dignitosa per tutti: sconfiggere la povertà e offrire al mondo un futuro sostenibileCOM(2013) 92 final

144

2013/C 271/29

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla trasparenza delle misure che disciplinano la fissazione dei prezzi dei medicinali per uso umano e la loro inclusione nei regimi pubblici di assicurazione malattiaCOM(2013) 168 final — 2012/0035 (COD)

151

2013/C 271/30

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 450/2008, che istituisce il codice doganale comunitario (codice doganale aggiornato), per quanto riguarda la data di applicazioneCOM(2013) 193 final — 2013/0104 (COD)

152

2013/C 271/31

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla comunicazione alla Commissione di progetti di investimento nelle infrastrutture per l'energia nell'Unione europea e che sostituisce il regolamento (UE, Euratom) n. 617/2010 del ConsiglioCOM(2013) 153 final

153

2013/C 271/32

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta modificata di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca [che abroga il regolamento (CE) n. 1198/2006 del Consiglio, il regolamento (CE) n. 861/2006 del Consiglio e il regolamento (CE) n. XXX/2011 del Consiglio sulla politica marittima integrata]COM(2013) 245 final — 2011/0380 (COD) e alla Proposta modificata di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante disposizioni comuni sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo, sul Fondo di coesione, sul Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale e sul Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca compresi nel quadro strategico comune e disposizioni generali sul Fondo europeo di sviluppo regionale, sul Fondo sociale europeo e sul Fondo di coesione, e che abroga il regolamento (CE) n. 1083/2006 del ConsiglioCOM(2013) 246 final — 2011/0276 (COD)

154

IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

490a sessione plenaria del 22 e 23 maggio 2013

19.9.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 271/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Per una dimensione sociale dell'Unione economica e monetaria europea» (parere esplorativo)

2013/C 271/01

Relatore: JAHIER

Correlatore: DASSIS

Amministratori: Alan HICK, Irina FOMINA

Il Presidente del Consiglio europeo, in data 24 gennaio 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema:

Per una dimensione sociale dell'Unione economica e monetaria europea

(parere esplorativo).

Il sottocomitato Per una dimensione sociale dell'Unione economica e monetaria europea, incaricato di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 aprile 2013 a maggioranza, con 1 voto contrario.

Alla sua 490a sessione plenaria, dei giorni 22 e 23 maggio 2013 (seduta del 22 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 161 voti favorevoli, 50 voti contrari e 47 astensioni.

1.   Sintesi delle proposte

1.1

L'Unione economica, sociale e politica europea deve ancora essere realizzata. L'Unione monetaria è stata lanciata con una dimensione economica e sociale insufficiente, ma con conseguenze economiche e sociali considerevoli. Il passaggio verso l'Unione finanziaria, di bilancio e bancaria è avviato, ma senza le risorse di bilancio dell'UE che s'imporrebbero per realizzare una politica di accompagnamento a sostegno della crescita economica e della coesione sociale. Allo stesso tempo, il percorso verso l'Unione sociale e politica rimane bloccato. Eppure, le unioni economica, monetaria e sociale sono interdipendenti, e si sostengono e amplificano a vicenda. Insieme, le due unioni dovrebbero offrire un'Europa più concreta, radicata nelle vite reali, in grado di dialogare con i cittadini e nei cui confronti investitori, produttori, lavoratori e consumatori possono avere fiducia e senso di appartenenza, un'Europa più dinamica per promuovere la competitività, una crescita intelligente ed inclusiva, opportunità economiche, occupazione e il godimento effettivo di tutti i diritti sociali. Senza tale equilibrio non ci sarà futuro per un'Unione politica.

1.2

Il tasso di disoccupazione dell'UE-27 è passato, tra il 2008 e il febbraio 2013, dal 7 % al 10,9 %, per un totale di 26,4 milioni di disoccupati, mentre il tasso di disoccupazione della zona euro ha raggiunto il culmine del 12 %; il tasso di disoccupazione è aumentato in 19 Stati membri e diminuito in 8, e oggi nell'UE-27 5,7 milioni di giovani sono disoccupati (23,5 %), mentre all'inizio del 2013 negli USA il tasso di disoccupazione complessivo era del 7,7 % e in Giappone del 4,2 % (1). Tali dati sono in totale contraddizione con gli obiettivi della strategia Europa 2020, e il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene pertanto che sia della massima priorità contrastare il declino della nostra competitività, generare più crescita, creare nuovi posti di lavoro e ridurre la povertà. È essenziale mettere in opera un meccanismo di sorveglianza accresciuta degli effetti delle politiche economiche e monetarie sulla situazione sociale e sul mercato del lavoro degli Stati membri, così come si dovrebbero aggiungere le politiche sociali e per l'occupazione alle disposizioni oggetto della sorveglianza delle politiche economiche nazionali nel quadro del semestre europeo. Il CESE ritiene che un simile approccio non solo sia l'urgente risposta alla drammaticità delle cifre prima ricordate, ma sia anche strettamente conforme a quanto stabilisce l'articolo 9 del TFUE circa gli obiettivi di sviluppo sociale e durevole dell'Unione. La dimensione sociale dell'UEM richiede strumenti e indicatori chiari, e obiettivi qualitativi e quantitativi che siano altrettanto efficaci degli obblighi economici e finanziari dell'UEM. Più di ogni altra cosa, i leader dell'UE devono riavvicinare l'ideale europeo ai cittadini.

1.3

Si dovrebbe lanciare un nuovo Programma europeo di azione sociale per accompagnare il cammino verso l'Unione finanziaria, bancaria e fiscale. Tale programma dovrebbe stabilire obiettivi tangibili chiari, sia qualitativi che quantitativi, basati su quelli già fissati per Europa 2020 e che li migliorino, in particolare al fine di sostenere gli sforzi per reindustrializzare l'Europa, ridurre ed eliminare la disoccupazione di massa, garantire i diritti sociali fondamentali, promuovere l'imprenditorialità e nuovi posti di lavoro, combattere la povertà, sostenere l'inclusione sociale, facilitare gli investimenti sociali, promuovere l'istruzione superiore e la formazione, nonché sviluppare la governance sociale e la titolarità partecipativa del progetto europeo. Il nuovo Programma europeo di azione sociale dovrebbe essere attuato con misure non legislative e legislative, a seconda della soluzione che può funzionare meglio, in tutta l'UE, oppure tramite una cooperazione rafforzata. Esso dovrebbe racchiudere, una serie di iniziative, quali il piano europeo di ripresa economica, il pacchetto europeo sugli investimenti sociali, le valutazioni europee dell'impatto sociale, la garanzia europea per i giovani e il passaporto unico europeo delle competenze, nonché garantire il rispetto della clausola sociale orizzontale, dei diritti sociali fondamentali e della partecipazione civica. Il programma dovrebbe anche esplorare e promuovere il diritto dei cittadini europei a godere di un reddito minimo garantito.

1.4

Il CESE propone inoltre due nuove iniziative esplorative: 1) l'emissione di obbligazioni sociali europee per progetti d'investimento sociale finanziariamente sostenibili, da gestire mediante un Fondo europeo di azione sociale, agevolato dalle autorità europee competenti ma finanziato, posseduto, gestito e controllato in maniera trasparente dai soggetti della società civile (privati, economici e pubblici); 2) la creazione di una Rete europea dell'istruzione per i lavoratori disoccupati, che offra opportunità formative di lungo termine, efficienti e di buona qualità, nonché conformi alle esigenze del mercato del lavoro, attraverso l'emissione di voucher transfrontalieri per l'istruzione e sistemi di scambio e di credito accademico di tipo ERASMUS per aiutare i lavoratori disoccupati a muoversi verso nuovi orizzonti educativi, per sviluppare nuove conoscenze e capacità professionali e per aprire nuovi percorsi professionali e consentire il reinserimento nel mercato del lavoro europeo. Allo stesso tempo, un'Europa della libera circolazione necessita di una base più sicura e aggiornata per la mobilità (ad esempio, diritti appropriati all'informazione e all'assistenza per coloro che lavorano in un altro Stato membro), al fine di agevolare il movimento delle persone che si spostano all'interno dell'UE alla ricerca di un impiego, garantire parità di condizioni e una concorrenza equa nonché il rispetto dei diritti sociali fondamentali e dei contratti collettivi.

2.   La governance economica esige una dimensione sociale

2.1

Il CESE invoca, come ha già fatto in più documenti, un salto di qualità globale in direzione dell'Unione economica, sociale e politica.

2.2

Un'Unione economica dovrebbe includere un'Unione finanziaria e bancaria, con un sistema comune di garanzia dei depositi, un fondo di risoluzione comune e una supervisione a livello UE; un'Unione di bilancio dovrebbe basarsi su strumenti di condivisione del debito in un quadro di disciplina di bilancio, sul consolidamento finanziario e su un modello europeo di crescita più dinamico, con cui i cittadini possano dialogare e in cui investitori, produttori, lavoratori e consumatori possano nutrire fiducia. Occorre superare le continue incertezze sull'integrità della zona euro, dato che minano la fiducia dei cittadini e delle imprese. Il vertice del giugno 2012, con il suo Patto per la crescita e l'occupazione e il previsto stanziamento, a tal fine, di 180 miliardi di euro, nonché gli annunci della BCE, intenzionata a «fare tutto il necessario» per rompere il circolo vizioso fatto di banche deboli, debito pubblico e spread insostenibili, sono elementi che infondono una maggiore fiducia nel quadro economico europeo che si sta formando. L'Europa ha bisogno di un nuovo programma di investimenti (2) per stanziare risorse in modo da sostenere la reindustrializzazione, rimettere in moto la crescita e contrastare la disoccupazione.

2.3

Questa, tuttavia, è solo una faccia della medaglia, dal momento che, contemporaneamente, le conseguenze delle misure di austerità hanno avuto un effetto devastante per la coesione sociale, la protezione sociale, un mercato del lavoro inclusivo e i livelli di povertà. Nell'UE ci sono ormai 26 milioni di disoccupati e 120 milioni di persone in condizioni di povertà o esclusione sociale. Gli obiettivi di ripresa economica, stabilità monetaria, crescita sostenibile e competitività non potranno essere raggiunti in assenza di una dimensione sociale rinnovata. Il Consiglio europeo di primavera del 14 e 15 marzo 2013 ha finalmente riconosciuto questa realtà, invitando gli Stati membri a includere «le politiche sociali in quanto motori della governance economica», in particolare cambiando il punto focale del semestre europeo in modo da sostenere l'occupazione, gli investimenti sociali, l'inclusione sociale e l'inserimento degli obiettivi sociali in tutte le politiche (3). Il Comitato economico e sociale europeo prende nota di questa nuova enfasi sulla politica sociale a livello nazionale, ma ritiene che sia necessaria anche un'iniziativa dell'UE in termini di azione sociale, investimenti sociali e benchmarking sociale.

2.4

È quindi giunto il momento di costruire il pilastro sociale dell'UEM nel quadro di un'Europa sociale, altrimenti l'adesione dei cittadini al progetto europeo nel suo insieme rimarrà a rischio. Infatti, lo «spread» attuale degli squilibri sociali europei non soltanto mina alla base le soluzioni sostenibili di crescita economica e coesione sociale, ma apre anche una sfida cruciale in vista delle imminenti elezioni europee del 2014 fra coloro che guardano a una dimensione europea per la ripresa e quanti invece si rifugiano nelle alternative nazionali. Le elezioni europee mobiliteranno menti e voti; è essenziale che esse fungano da trampolino, non da freno, per più Europa, un'Europa più vicina ai suoi cittadini, alle sue famiglie e alle sue imprese, per un'Europa più sociale.

2.5

I diritti sociali fondamentali sono inscindibili dai diritti civili e politici, e i Trattati sanciscono l'obbligo di sostenerli e promuoverli. La Commissione e la BCE, in quanto membri della Troika, devono rispettare gli obblighi derivanti dai diritti sociali fondamentali in tutte le loro attività. La Commissione, nel quadro della dimensione sociale dell'UEM, dovrebbe monitorare, valutare e controllare con efficienza il pieno rispetto di tali obblighi.

3.   Verso un nuovo Programma europeo di azione sociale e un Patto per gli investimenti sociali

3.1

Nel 2008 il Comitato economico e sociale europeo ha adottato un parere esplorativo, richiesto dalla presidenza francese dell'UE, che sottolineava la necessità di lanciare un nuovo Programma europeo di azione sociale. Il parere faceva riferimento al lavoro pionieristico del CESE per sostenere il lancio della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, il Programma europeo di azione sociale del 1989 e l'acquis sociale che ne è conseguito in materia di mercato unico, Trattati e attività dell'UE in generale. Il parere sosteneva la necessità di un nuovo Programma europeo di azione sociale «affinché lo sviluppo sociale dell'UE possa tenere il passo con l'evoluzione dell'economia e del mercato». Purtroppo, nonostante il sostegno registrato al vertice ministeriale informale sull'Occupazione e gli affari sociali svoltosi durante la presidenza francese dell'UE, la proposta del Comitato è stata rapidamente oscurata dalla crisi economica e da cinque anni di sforzi concitati per salvare l'UEM e realizzare una maggiore coesione economica nell'Eurozona. È sicuramente venuto il momento di rivisitare l'idea di un nuovo Programma europeo di azione sociale, per raggiungere e mantenere nuove forme di governance economica con una coesione sociale e un'azione di politica sociale equivalenti.

3.2

Nel suo parere del 2008, il Comitato invocava una « governance multilivello» per un nuovo Programma europeo di azione sociale basato su azioni legislative, dialogo sociale, dialogo civile, coregolamentazione e autoregolamentazione, coordinamento aperto, integrazione della politica sociale in tutte le altre politiche, rafforzamento della cooperazione e diritto d'iniziativa dei cittadini. Il CESE non stabiliva alcun ordine gerarchico quanto alle modalità di azione, limitandosi a dare la preferenza a quelle che funzionassero meglio, con il mantenimento del metodo comunitario e il rispetto della nuova clausola sociale orizzontale (articolo 9 del TFUE); e chiedeva anche un impegno finanziario, ad esempio tramite un uso più mirato e una maggiore accessibilità del Fondo sociale europeo, un eventuale Fondo europeo per l'innovazione sociale volto a sostenere le nuove iniziative sociali di carattere sperimentale, e magari un «meccanismo di prestito a livello europeo per lo sviluppo di infrastrutture sociali».

3.3

Nel frattempo, il Comitato ha intensificato i propri appelli ad applicare il metodo comunitario e a rispettare la natura vincolante della clausola sociale orizzontale. Esso ha anche proposto specificamente il lancio di un Patto europeo per gli investimenti sociali volto a garantire che le misure di austerità e le sanzioni semi-automatiche nel quadro della governance economica e dell'attuazione del semestre europeo siano compensate dalle valutazioni di impatto sociale, dal rispetto per i diritti sociali fondamentali, da un impegno reale a raggiungere gli obiettivi antipovertà della strategia Europa 2020 e dallo sviluppo generale della « governance sociale» europea.

3.4

Il Comitato reputa incoraggiante il fatto che il Parlamento europeo abbia recentemente sottolineato la necessità di un«patto sociale per l'Europa» e di «parametri occupazionali e sociali» nell'ambito della «supervisione vincolante della disciplina di bilancio», e che abbia chiesto che l'Analisi annuale della crescita tenga conto della «sostenibilità del modello sociale» e l'introduzione di un «quadro integrato in materia di politiche occupazionali e sociali» in quanto «quinto elemento costitutivo» nella tabella di marcia dell'UEM  (4). Il CESE accoglie con favore anche l'obiettivo, fissato dal Consiglio europeo, di presentare una serie di misure e una tabella di marcia con un calendario preciso per la «dimensione sociale dell'UEM» al suo vertice del giugno 2013 (5). Analogamente, il commissario europeo Andor ha di recente sottolineato la necessità di una «Unione monetaria dal volto umano», e affermato che, a suo parere, «la dimensione sociale dell'UEM deve essere intesa come la capacità delle norme dell'UEM, dei meccanismi di governance, della capacità finanziaria e di altri strumenti politici di garantire che l'efficienza economica e l'equità sociale siano perseguiti allo stesso tempo» (6). Il Comitato trova incoraggianti anche le conclusioni formulate dal Presidente van Rompuy al vertice sociale trilaterale del 14 marzo, secondo cui il modello sociale europeo «rimane una risorsa importante e un vantaggio competitivo a livello globale» e «dobbiamo individuare meccanismi che contribuiscano a ridurre le disparità sociali all'interno dell'Unione» (7). Il Pacchetto sugli investimenti sociali pubblicato dalla Commissione, che definisce orientamenti per gli Stati membri al fine di sostenere la protezione e l'inclusione sociale (8), va nella direzione di sviluppare indicatori della dimensione sociale. Tuttavia, il Comitato ritiene che un «quadro di valutazione» degli squilibri occupazionali e sociali nell'UE richieda anche un quadro più attento per l'azione a livello europeo. Il CESE ribadisce pertanto la necessità di un Programma europeo di azione sociale ampio e proattivo in un quadro di governance multilivello che includa le autorità europee competenti, gli organi e le parti interessate che partecipano all'azione legislativa e non legislativa, con l'obiettivo almeno di raggiungere, e possibilmente di superare, gli obiettivi sociali fissati nella strategia Europa 2020.

4.   Proposte specifiche

Il CESE sostiene gli obiettivi della strategia Europa 2020, sottolineando l'importanza di contrastare il declino della nostra competitività, generare più crescita, creare nuovi posti di lavoro e ridurre la povertà. In linea con l'articolo 9 del TFUE, che impone di tener conto delle esigenze connesse con «la promozione di un elevato livello di occupazione, la garanzia di un'adeguata protezione sociale, la lotta contro l'esclusione sociale e un elevato livello di istruzione, formazione e tutela della salute umana», il CESE invoca, da parte dell'UE, un programma di azione sociale e un impegno più vincolanti, nonché finanziati in modo adeguato, che puntino tra l'altro agli obiettivi specifici in appresso indicati.

4.1

Il semestre europeo deve prevedere anche parametri relativi all'occupazione e all'inclusione sociale nello stesso quadro di vigilanza previsto per il coordinamento delle politiche economiche e le riforme strutturali. Gli obiettivi europei quantificabili in campo occupazionale e sociale devono essere conformi e integrati alle norme sulla stabilità e la crescita che regolamentano gli obiettivi sul debito e il deficit. Dovrebbero essere applicati meccanismi di aggiustamento conseguenti, in modo da ridurre gli squilibri macroeconomici e sociali, con l'obiettivo di promuovere una crescita intelligente e sostenibile, posti di lavoro di qualità, l'accesso a servizi di interesse generale di alta qualità ed economicamente abbordabili e la riduzione delle disuguaglianze sociali in tutta l'UE. L'efficienza economica di breve termine non deve andare a discapito degli investimenti di lungo termine nel capitale sociale. Le misure di consolidamento del bilancio devono essere valutate alla luce dei loro effetti sulla crescita, l'occupazione e l'inclusione sociale. Opportuni meccanismi europei di solidarietà dovrebbero accompagnare le riforme strutturali. Affinché una «vera Unione economica e monetaria» sia sostenuta dai cittadini dell'UE, i programmi nazionali di riforma devono essere rafforzati da un dialogo sociale e civile adeguato nel quadro di una dinamica europea della dimensione sociale che non porti a un appiattimento fatto di concorrenza al ribasso, deflazione salariale e da un calo della domanda aggregata. Occorre garantire la libertà e l'autonomia della contrattazione collettiva. Il dialogo sociale europeo dovrebbe svolgere un ruolo essenziale nello sviluppo e nella pratica della nuova governance economica. In tutta l'UE i diritti sociali fondamentali devono essere meglio monitorati e rispettati.

4.2

Il Fondo sociale europeo e il Fondo europeo per l'adeguamento alla globalizzazione devono essere incrementati a un livello commisurato a ciò che il Presidente van Rompuy ha chiamato «la tragedia umana e l'emergenza sociale» (9) della situazione occupazionale e sociale europea. È chiaro che, per far ciò, sarà necessario «un riesame obbligatorio ed esaustivo del QFP», come richiesto dalla risoluzione del PE del 13 marzo (10). Nel quadro dei meccanismi di flessibilità ivi evocati, del negoziato in corso tra PE e Consiglio e della più che auspicabile revisione strutturale del QFP dopo l'elezione del nuovo Parlamento europeo, debbono perlomeno essere ristabiliti i saldi previsti dalla proposta iniziale della Commissione europea, anche attraverso un più adeguato ricorso alle previste risorse proprie dell'UE, peraltro incrementando significativamente le risorse per il Fondo per la coesione territoriale, il Fondo sociale, le risorse per l'educazione e la formazione e il Fondo per l'adeguamento alla globalizzazione.

4.3

Allo stesso tempo, l'UE dovrebbe aiutare di più gli investimenti socialmente responsabili e il ruolo di sostegno dell'economia sociale, in particolare attraverso la reintroduzione di statuti europei per le associazioni e le società mutue, l'inserimento esplicito dei programmi per l'avvio e lo sviluppo di imprese sociali nella pianificazione relativa ai fondi strutturali, l'agevolazione dell'etichettatura sociale, e misure compensative e meccanismi di appalto pubblico per le imprese con un valore sociale riconosciuto. Si dovrebbe anche creare un Fondo europeo per l'innovazione sociale, al fine di ripristinare progetti pilota transnazionali di valore volti a combattere discriminazioni e situazioni di svantaggio sul mercato del lavoro, progetti che sono stati abbandonati a sé stessi quando la Commissione europea ha accantonato il programma Equal.

4.4

È di cruciale importanza anche intraprendere tutte le azioni e le misure occupazionali necessarie per reindustrializzare l'Europa e conseguire l'obiettivo di una quota di PIL prodotta dall'industria pari al 20 % entro il 2020. Il CESE sottolinea l'importanza della competitività per le imprese, che deve essere realizzata mediante un quadro europeo coerente.

4.5

L'UE deve attivarsi a favore della gioventù, se non vuol rischiare di allontanare definitivamente i giovani dal progetto europeo nel suo insieme. Le dimensioni drammatiche della crisi della disoccupazione giovanile in Europa richiedono un bilancio europeo più credibile dell'inadeguata proposta di 6 miliardi di euro previsti per il Pacchetto per l'occupazione giovanile e per la garanzia per i giovani al fine di garantire lavoro, formazione e istruzione ai giovani disoccupati, specie laddove ve ne è più bisogno. Priva di un finanziamento sufficiente, la garanzia per i giovani rischia di essere vista come un'impostura. L'UE dovrebbe prendere più decisamente l'iniziativa anche grazie a un passaporto unico europeo delle competenze, sviluppando il Quadro europeo delle qualifiche in modo da combinare tutte le qualifiche e le competenze ottenute con l'istruzione formale, informale e non formale. È evidente la necessità di un contesto europeo di partenariati fra scuole, imprese e parti sociali, nonché di analoghe sinergie strategiche che mettano l'istruzione superiore e la formazione permanente al centro della creazione di posti di lavoro; occorre inoltre rimediare allo squilibrio tra domanda e offerta di competenze, e promuovere occupabilità, innovazione e imprenditorialità. Il semestre europeo deve garantire che gli investimenti pubblici nell'istruzione e nella formazione non risultino compromessi dalle misure volte a tagliare il debito pubblico e i deficit di bilancio nazionali.

4.6

Posti di lavoro veri, lavoro dignitoso e portabilità dei diritti sociali devono essere al centro di un programma europeo di ripresa economica sostenibile. Il modello sociale europeo è una risorsa per attirare in Europa gli investimenti esteri e per sviluppare le imprese e dovrebbe essere valorizzato, incoraggiando il sostegno finanziario alle attività che creano occupazione, fra cui le microimprese e l'autentico lavoro autonomo. Occorre mantenere standard sociali garantiti nelle politiche europee per l'occupazione e il mercato del lavoro: la competitività e la flessibilità devono andare di pari passo con il lavoro dignitoso e con salari che non siano inferiori alla soglia di povertà. Alle parti sociali europee incombe una responsabilità particolare nell'affrontare il problema dei lavoratori poveri nel quadro del loro programma di lavoro.

4.7

L'UE deve impegnarsi in modo più serio e concreto per ridurre ed eradicare la povertà. Un intervento attivo per ridurre la povertà comporterebbe per l'Europa benefici economici e sociali ben superiori ai costi del perdurante danno economico e sociale causato dall'inazione o da misure che stanno peggiorando la situazione di povertà. Come minimo, nel quadro del semestre europeo, occorre perseguire con decisione l'impegno «faro» della strategia Europa 2020 di togliere 20 milioni di persone dalla povertà, anziché comprometterlo con le misure di riduzione del deficit. Anzitutto, cioè, richiede un insieme migliore di indicatori europei per misurare l'impatto della povertà e garantire un monitoraggio appropriato e l'eventuale correzione dei programmi nazionali di riforma e delle misure di austerità che al momento attuale rischiano di esacerbare la situazione di povertà e di compromettere la crescita. Il CESE inoltre sta portando avanti un riesame dei sistemi di reddito minimo garantito negli Stati membri, al fine di individuare e promuovere le buone pratiche in tutta l'UE. Esso ha anche sostenuto l'invito del Parlamento europeo a studiare la possibilità di una proposta legislativa volta a introdurre un reddito minimo adeguato, pari ad almeno il 60 % del reddito mediano in ciascuno Stato membro (11). Si potrebbe istituire un Fondo europeo di solidarietà contro la povertà per facilitare tali misure di sostegno ai redditi, come meccanismo di aggiustamento e di stabilizzazione sociale nel quadro del semestre europeo. Il Comitato ribadisce la propria proposta di assegnare il 20 % di tutte le risorse dell'FSE alla lotta per l'inclusione sociale e contro la povertà.

4.8

È essenziale varare un Atto europeo sull'accessibilità, per garantire alle persone con disabilità il diritto alla libertà di movimento e all'accesso a beni, servizi ed edifici. In quest'ottica, una Carta europea della mobilità sarebbe uno strumento concreto ed efficace. La Commissione dovrebbe anche sviluppare uno strumento per la valutazione d'impatto relativo alla Convenzione dell'ONU sui diritti delle persone con disabilità, da inserire nel processo del semestre europeo.

4.9

Analogamente, occorrerebbe elaborare una metodologia e un quadro dell'UE per indicatori comparabili e misurabili sulla protezione della salute e la riduzione delle disuguaglianze nel settore sanitario, per valutare la situazione nei diversi Stati membri, sempre nel quadro del semestre europeo.

4.10

Ancora, nell'ambito della dimensione sociale del semestre europeo, si dovrebbero prevedere parametri sociali paneuropei e guide di buone pratiche circa la conciliazione tra vita lavorativa e familiare, l'accesso ai servizi per la custodia dei bambini, l'invecchiamento attivo, il volontariato, il diritto all'alloggio e la lotta al fenomeno dei senza fissa dimora.

4.11

Le lavoratrici e i lavoratori immigrati stanno apportando un contributo positivo allo sviluppo economico e al benessere dell'Europa. Le azioni dell'UE in materia di immigrazione dei lavoratori dovranno essere legali e trasparenti. La normativa dell'UE sull'immigrazione deve rispettare i diritti umani e garantire parità di trattamento. Il CESE ritiene che l'UE debba rafforzare le politiche di integrazione e la lotta contro il razzismo, la xenofobia e la discriminazione nei confronti degli immigrati e delle minoranze.

4.12

Una ripresa sostenibile richiede una maggiore simmetria economica e monetaria e più coesione sociale nell'intera Unione europea. Un Programma europeo di azione sociale che fissi gli obiettivi specifici sopra elencati aiuterebbe a stabilire una base sociale più coerente per unire le forze e rimettere l'UE in contatto con i suoi cittadini. È quindi preferibile un riequilibro sociale «a doppio binario», per l'UE e per l'UEM, nel rispetto della sussidiarietà intesa in senso dinamico. Tuttavia, per il caso in cui il consenso o la volontà politica non fossero sufficienti per rivitalizzare la dimensione sociale dell'UE nella sua interezza, il CESE propone di considerare la possibilità di una cooperazione rafforzata all'interno dell'UEM dotata di risorse finanziarie proprie, di un fondo sociale aggiuntivo e di un Patto di progresso sociale per l'Europa, sulla base degli stessi accordi improntati al controllo democratico e al rigore che disciplinano la convergenza economica e monetaria, nonché di norme, obiettivi e meccanismi di stabilizzazione sociali (dovrebbe svolgersi un dibattito con le parti sociali e la società civile sull'utilità, e sulle eventuali modalità, di un'assicurazione dell'UEM contro la disoccupazione o un sistema di sussidi per i disoccupati, come recentemente proposto dal commissario europeo Andor), che affianchino ai meccanismi di stabilizzazione fiscale, finanziaria e monetaria dell'UEM una corrispondente dimensione sociale.

4.13

Le «obbligazioni contrattuali per la competitività e la crescita», che sono state discusse nel corso del vertice UE di dicembre, devono essere controllabili democraticamente e non devono mettere in pericolo l'economia sociale di mercato europea di cui all'articolo 3, paragrafo 3, del TUE. È inoltre necessario che siano maggiormente definiti e precisati i «meccanismi di solidarietà di accompagnamento» delle misure adottate a livello nazionale, i quali possano progressivamente configurarsi come veri e propri transfer finanziari, con un bilancio iniziale specifico di 50-100 miliardi di euro, da finanziarsi con meccanismi simili a quelli del Fondo salva-Stati ESM.

4.14

Per conseguire una tale prospettiva di maggiore equilibrio e corrispondenza all'economia sociale di mercato quale prevista dal Trattato, è necessario che agli accresciuti ruoli del commissario incaricato degli Affari economici e monetari in seno al Collegio si affianchi un rafforzamento del ruolo del commissario incaricato dell'Occupazione e degli affari sociali. Parimenti, è necessario che il crescente ruolo del Consiglio ECOFIN sia bilanciato da un analogo rafforzamento del Consiglio EPSCO.

4.15

È altrettanto urgente che, in questo quadro di governance economica e sociale europea, con particolare riferimento al semestre europeo e alla strategia Europa 2020, siano rafforzati i ruoli sia del Parlamento europeo che dei parlamenti nazionali, e che sia garantita ed estesa l'implicazione delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile a tutti i livelli del negoziato politico.

5.   Proposte esplorative

5.1   Obbligazioni sociali europee

5.1.1

In parallelo alle prospettive testé indicate, si potrebbe effettuare una riflessione più approfondita sui modi ulteriori di coinvolgere i cittadini europei, la società civile e i soggetti economici nel rilancio dell'azione sociale europea, in particolare attraverso la mobilitazione a favore di obbligazioni sociali europee e tramite la loro emissione. Ciò anche al fine, in tempi di risorse pubbliche scarse, di mobilitare risorse aggiuntive indirizzando a scopi ben definiti parte dei consistenti giacimenti di risparmio privato non utilizzato.

5.1.2

Quest'iniziativa sarebbe slegata dalle discussioni in corso sull'emissione da parte dell'UE dei buoni di stabilità (volti a mettere in comune il debito) e dei buoni di ripresa e di crescita (che rientrano in un piano europeo di ripresa economica). A differenza di questi e di quelli, le obbligazioni sociali europee non sarebbero pagate dai bilanci nazionali o cofinanziate dai meccanismi di bilancio europei, ma sarebbero acquisite e investite dai singoli cittadini, dalle imprese, dai sindacati e dai gruppi della società civile desiderosi di esercitare una responsabilità sociale individuale o collettiva partecipando a un Fondo europeo di azione sociale da loro stessi finanziato e gestito, con tassi d'interesse ragionevoli e senza fini di lucro, controllato e regolamentato in modo trasparente, nonché agevolato e garantito fino a una somma adeguata dalle autorità competenti dell'UE.

5.1.3

L'emissione delle obbligazioni sarebbe agevolata, sul piano logistico, dalle competenti autorità dell'UE, organizzata fra la popolazione, e gestita in comune dai soggetti privati, economici e pubblici che scegliessero di partecipare al sistema e di mobilitarsi per il Fondo europeo di azione sociale. Tali soggetti acquisterebbero, raccoglierebbero e investirebbero le obbligazioni in programmi sociali di loro scelta, prioritariamente nel quadro del Programma europeo di azione sociale qui proposto, con l'assistenza tecnica degli organi europei istituzionali e consultivi appropriati, volta a verificarne la sostenibilità finanziaria e il possibile impatto sociale. Questo tipo di investimenti sociali potrebbe riguardare: l'edilizia popolare; le imprese di cooperazione e le imprese sociali; il sostegno a gruppi di mutua assistenza, mutue, servizi sociali e sanitari, reti per l'istruzione, la formazione e la riqualificazione professionale, l'innovazione sociale, la ricerca e sviluppo; i prestiti e i partenariati per lo sviluppo delle infrastrutture, il turismo rurale, i viaggi di scambio e le attività culturali; le azioni di beneficienza, ecc.

5.1.4

Potrebbero essere studiati ulteriori e più articolati schemi di sviluppo di tali obbligazioni sociali europee, per esempio anche lo sviluppo di una pluralità di tali obbligazioni, promosse e gestite, a livello locale e/o nazionale, dagli stessi soggetti citati. Tali obbligazioni, adeguandosi ai criteri del sistema europeo generale previsto, sia in termini di vincoli di scopo che di modalità di gestione, otterrebbero un'adeguata certificazione europea di partecipazione al sistema generale, e su questa base anche delle possibili agevolazioni fiscali per i sottoscrittori.

5.1.5

Il consiglio d'amministrazione del Fondo europeo di azione sociale dovrebbe essere composto dai soggetti partecipanti al sistema, secondo una rappresentanza proporzionale e basata sul livello dei loro investimenti nelle obbligazioni sociali europee, con l'assistenza logistica e la consulenza dei pertinenti organi europei (compreso il CESE).

5.2   Rete europea dell'istruzione per i lavoratori disoccupati

5.2.1

Il problema della disoccupazione di massa in Europa non si risolverà nel breve o medio termine, anche se le previsioni di crescita segnalano un miglioramento per il 2014 e anche se il piano europeo di ripresa economica cominciasse a fare effetto. Il mercato del lavoro europeo deve assumere un ruolo più importante come mezzo per consentire alla nostra manodopera di circolare liberamente, di portare le qualifiche dove sono necessarie e di acquisire competenze da portare con sé al proprio ritorno e da sviluppare ulteriormente. È essenziale che i lavoratori europei rimangano attivi, di preferenza occupati a tempo pieno o almeno a tempo parziale e, ove ciò non fosse possibile, impegnati in attività di istruzione, formazione e riqualificazione professionale. È importante garantire un'istruzione efficiente, lungimirante, innovativa e rispondente alle esigenze del mercato del lavoro. Molti sistemi d'istruzione e formazione tendono ad essere di breve durata, spesso senza offrire sbocchi professionali durevoli. Inoltre, i lavoratori anziani che si ritrovano disoccupati sono meno inclini a utilizzare tali sistemi. Si potrebbe esplorare un approccio di lungo termine con una prospettiva europea, anche basandosi su alcune buone pratiche già sperimentate nell'UE, come il programma di educazione degli adulti svolto in Svezia dal 1997 al 2002 o il sistema di formazione duale in Germania e in Austria. L'UE potrebbe magari promuovere la creazione di una Rete europea dell'istruzione per i lavoratori disoccupati, al fine di offrire un'opportunità d'istruzione ad ampio raggio, della durata di due anni, per cambiare percorso di carriera e partecipare ad esperienze di lavoro, formazione o scambio educativo in altri Stati membri, grazie all'emissione di voucher transfrontalieri per l'istruzione. Tutto ciò con il trasferimento dei crediti accademici, in modo che sia possibile ottenere, alla conclusione dell'iniziativa, una qualificazione professionale riconosciuta dagli altri paesi.

5.2.2

Un tale dispositivo, se dotato di risorse adeguate e adottato su larga scala dagli Stati membri, nel quadro di precise disposizioni contrattuali con i lavoratori che liberamente accettino di entrare in tali programmi, potrebbe consentire di mantenere, in un quadro attivo di alta qualità, quote consistenti di disoccupati di lunga durata che non troverebbero certamente, a termine, possibilità di impiego, e ottenere così un ritorno certamente positivo sia per le persone che per il capitale sociale complessivo delle nazioni europee.

Bruxelles, 22 maggio 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Dati Eurostat, http://ec.europa.eu/eurostat/euroindicators

(2)  Una sorta di nuovo piano Marshall: cfr. il parere del CESE sul tema Crescita e debito pubblico nell'UE: due proposte innovative, GU C 143 del 22.5.2012, punti 2.8 e 2.13, nonché il Libro verde della Commissione Il finanziamento a lungo termine dell'economia europea, COM(2013) 150 final/2 del 9.4.2013.

(3)  Conclusioni del Consiglio europeo del 14 e 15 marzo 2013, EUCO 23/13.

(4)  Relazione del Parlamento europeo recante raccomandazioni alla Commissione in merito alla relazione dei Presidenti del Consiglio europeo, della Commissione europea, della Banca centrale europea e dell'Eurogruppo «Verso un'autentica Unione economica e monetaria» (2012/2151 (INI)), pag. 29, e parere della commissione Occupazione e affari sociali del PE, suggerimento J e raccomandazione 6.

(5)  Conclusioni del Consiglio europeo sul completamento dell'UEM, adottate il 14 dicembre 2012, punto 12, lettera b).

(6)  Discorso di László Andor, commissario europeo per l'Occupazione, gli affari sociali e l'inclusione alla commissione ETUC (28 gennaio 2013, Madrid).

(7)  «Il tema centrale dell'incontro odierno: la dimensione sociale dell'UEM […] rimane una risorsa importante e un vantaggio competitivo a livello globale» - Osservazioni del Presidente del Consiglio europeo, Herman van Rompuy, in seguito al vertice sociale trilaterale, Bruxelles 14.3.2013, EUCO 68/13.

(8)  Towards Social Investment for Growth and Cohesion – including implementing the European Social Fund 2014-2020 (Verso investimenti sociali per la crescita e la coesione - compresa l'attuazione del Fondo sociale europeo 2014-2020), COM(2013) 83 final.

(9)  «Ne consegue che un numero crescente di persone esce del tutto dal mercato del lavoro, abbandona ogni tipo di formazione e corre un rischio di emarginazione (potrebbe trattarsi persino del 13 %, per i giovani fra i 15 e i 24 anni d'età). È una tragedia umana e un'emergenza sociale». Discorso di Herman van Rompuy, Presidente del Consiglio europeo, al CESE, Bruxelles, 17/01/2013, EUCO13/13.

(10)  Risoluzione del Parlamento europeo, del 13 marzo 2013, sulle conclusioni del Consiglio europeo del 7 e 8 febbraio 2013 relative al quadro finanziario pluriennale (2012/2803 (RSP), punto 9.

(11)  Il Comitato chiede una tabella di marcia dettagliata per l'attuazione delle strategie di inclusione attiva a livello locale. Si associa inoltre all'invito rivolto dal Parlamento europeo alla Commissione affinché questa esamini l'impatto di una proposta legislativa volta ad introdurre un reddito minimo adeguato pari ad almeno il 60 % del reddito mediano in ciascuno Stato membro. (GU C 248 del 25.8.2011, pag. 130).


19.9.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 271/8


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Dopo 10 anni, dove va l'euro? Il futuro economico e politico dell'UE e il nuovo trattato» (parere d'iniziativa)

2013/C 271/02

Relatore: CEDRONE

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 luglio 2012, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Dopo 10 anni, dove va l'euro? Il futuro economico e politico dell'UE e il nuovo trattato.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 aprile 2013.

Alla sua 490a sessione plenaria, dei giorni 22 e 23 maggio 2013 (seduta del 22 maggio 2013), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 134 voti favorevoli, 27 voti contrari e 22 astensioni.

1.   Conclusioni e proposte per il futuro dell'euro

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che la nascita dell'euro e dell'UEM sia stata la tappa più importante lungo il cammino dell'Europa. Faceva parte di un disegno strategico dell'Unione che s'inquadrava nella visione che aveva ispirato la CECA e il Trattato di Roma. Fu uno sforzo grande e coraggioso, una scommessa verso il futuro, che aveva suscitato tante speranze, al punto tale che in tutti c'era la convinzione che la forza della moneta unica avrebbe travolto le resistenze che ancora sussistevano e che avevano impedito di realizzare una UEM e una Unione politica complete, come sarebbe stato necessario. L'euro comunque resta la premessa per tutto ciò.

1.2

Bisogna però convenire, dopo venti lunghi anni, che non è stato così, forse perché l'euro, in tutto questo periodo, non ha subito gravi scosse né dall'interno né dall'esterno, o forse per la mancanza di fiducia che persiste in Europa tra paesi creditori e paesi debitori, che poi significa mancanza di coesione e di fiducia per chi ci governa. Così tutti hanno preferito adagiarsi sul mare calmo e sul benessere esistente; tutto sembrava filare liscio, ma era una calma apparente. Infatti l'arrivo della crisi economica e finanziaria internazionale, scaricatasi sulla UE, ha suonato l'allarme ed ha fatto esplodere i limiti e le contraddizioni presenti nella struttura dell'UEM, togliendo all'euro il suo potenziale di attrazione. All'origine si credeva che per far funzionare l'UEM bastassero alcune «regole contabili» come il Patto di stabilità, mentre il problema non era tecnico, ma economico e politico.

1.3

Il CESE prende atto dell'importanza della stabilità. Tuttavia, la stabilità deve riguardare non solo i prezzi o gli istituti economico-finanziari, ma anche la politica e le condizioni sociali. A ragione, i cittadini hanno l'impressione che siano loro a pagare il prezzo più alto della crisi, a dover rimborsare il debito, e non le banche che hanno giocato un ruolo decisivo nella crisi, e che questo sia ingiusto. Il CESE e convinto che la sostenibilità politica dell'austerità non potrà durare molto. Anzi, in alcuni paesi i limiti sono stati già superati.

1.4

Perciò il CESE ritiene che la moneta unica sarà sostenibile solo se si arriva a una convergenza delle capacità economiche dei paesi dell'Eurozona e ad un aumento della competitività nel suo insieme: obiettivi che richiedono un impegno sia economico che politico. Non basta un po' di manutenzione temporanea. Occorre compiere un salto di qualità, mettendo insieme non solo la moneta e l'economia, ma la politica, la sovranità, le persone e la capacità di dialogo tra i popoli europei. Abbiamo bisogno di più integrazione politica, di meno dirigismo e di un'economia sociale di mercato, per far ripartire la crescita e l'occupazione e per far percepire nuovamente l'euro come un vantaggio, non il contrario.

1.5

Risulta evidente dal parere che le proposte del CESE sono proattive mentre le risposte alla crisi da parte della Commissione e del Consiglio sono state e sono per lo più reattive. Ricordiamo, ad esempio, che il Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance pone l'accento sulla stabilità senza tuttavia proporre strumenti finanziari congiunti per la ripresa e l'occupazione, anche se l'accordo su SSM rappresenta un passo avanti importante, pur in assenza di una tabella di marcia credibile e concreta sull'Unione politica. L'Europa invece, deve tornare a produrre ricchezza per poterla ridistribuire, in maniera equa. È il modo migliore per ridurre le proteste. Non si può imporre solo l'austerità.

1.6

Il CESE chiede, invece, come ha provato ad indicare più volte che si faccia un'operazione VERITÀ sull'euro e sull'Europa per salvaguardarli, sui loro limiti politici ed economici, su benefici e perdite, sulle responsabilità che ci hanno condotto alla situazione attuale; si agisca rapidamente; non c'è più tempo per la retorica, gli inganni e le fiabe. È l'unico modo per evitare la dissoluzione dell'Europa, in declino già da tempo. A questo fine sarebbe meglio evitare di accusare di populismo coloro che protestano per i sacrifici imposti. L'Europa deve imparare ad ascoltare senza supponenza. Non può continuare a restare sorda.

Proposte per completare l'UEM: gli anelli mancanti

Quello economico

1.7

Il CESE ritiene che il modo migliore per completare l'UEM, evitare la recessione, ridurre il debito dei paesi e stabilizzare i bilanci sia quello di invertire l'attuale principio su cui si basa la cultura economica dell'UE (la stabilità per la crescita), partendo dalla crescita e non dall'austerità, facendone il suo obiettivo principale, a favore di un nuovo patto per promuovere (mutualizzare) la crescita, l'occupazione e la stabilità, anche attraverso il coinvolgimento delle parti sociali (la crescita per la stabilità). Il Comitato è convinto che:

i)

la ripresa non può essere perseguita unicamente con misure di politica monetaria (come la fornitura di ampia liquidità al sistema bancario, bassi tassi di interesse) e politica fiscale (al momento ristretta a causa della necessità di consolidamento fiscale in molti paesi), ma deve essere promossa anche tramite un incremento degli investimenti nel settore delle energie alternative, dell'ambiente e degli investimenti sociali, creando così una domanda di beni d'investimento e servizi da parte del settore privato, che tenga conto anche delle esigenze delle famiglie;

ii)

mediante questa formula è possibile ridurre i livelli di disoccupazione molto elevati e produrre il gettito fiscale necessario alla riduzione del debito pubblico e i disavanzi nazionali;

iii)

tali investimenti non dovranno essere finanziati soltanto attraverso la formula «più imposte - più spesa pubblica», bensì mediante obbligazioni che attirerebbero le eccedenze globali di risparmio, prive di sbocco d'investimento, sostenendo così la crescita sia nella UE che su scala mondiale: crescita che verrebbe alimentata dai rendimenti dei progetti finanziati, piuttosto che da trasferimenti fiscali tra gli Stati membri;

iv)

dovrebbe essere prioritariamente rafforzata la capacità finanziaria delle imprese, e soprattutto delle PMI, molte delle quali sono attualmente minacciate di estinzione perché non dispongono di crediti bancari sufficienti a garantire l'acquisto di componenti e materiali, anche perché le banche centrali esigono un eccesso di garanzie per le banche che prestano alle PMI;

v)

si dovrebbero promuovere gli investimenti pubblici, nell'immediato, a favore della crescita, tenendoli fuori bilancio, attraverso «regole d'oro», cioè con un sistema di regole comuni, che tengano conto anche del livello di indebitamento privato dei paesi, in attesa delle Euroobbligazioni (1).

1.8

Realizzare delle politiche simmetriche per rendere l'euro sostenibile e ridurre il differenziale tra le economie dei paesi, attraverso un piano solidale che sposti risorse per gli investimenti verso i paesi con economie più deboli, attraverso progetti mirati, con spostamenti fiscali, se necessario, e con l'integrazione del mercato del lavoro e della politica sociale. Agire cioè, attraverso aggiustamenti simmetrici: fondi comuni per la salvaguardia delle banche che falliscono, assicurazione europea sui depositi, union bonds, euro bonds, politiche comuni per ridurre il deficit esterno della UE, ecc. (creazione di un fondo comune di compensazione o di aggiustamento).

1.9

Creare un governo economico dell'UE, superando l'attuale metodo di coordinamento delle politiche che non ha prodotto buoni risultati, trasformando l'Eurogruppo in un organismo che decide a maggioranza, diventando portavoce dell'euro; non è più sostenibile avere l'Unione monetaria, l'Unione bancaria, e mantenere separate le politiche economiche. Una governance comune invece (come avvenuto con il fiscal compact) a livello macro e micro (lanciare un industrial compact) può dare una svolta alla politica economica e fiscale a favore della crescita, dell'occupazione e dell'inclusione sociale.

1.10

Avviarsi ad un bilancio comune nell'Eurozona, ovviamente con regole comuni, unificando la politica commerciale e la bilancia dei pagamenti, oggi con grandi differenziali; conseguire il consolidamento fiscale agendo sulla struttura dei moltiplicatori, per liberare risorse a favore della crescita e dell'occupazione, e avviare le riforme capaci di aumentare la produttività dei paesi più deboli (2).

1.10.1

Comunque quello che serve è ridurre e/o diluire le misure di austerità attuali, per i paesi più indebitati, e favorire l'espansione della domanda nei paesi creditori. Occorre agire contestualmente su debito e riforme strutturali da parte degli Stati membri, e sulla crescita attraverso un piano solidale, concreto da parte dell'UE; per aumentare l'occupazione, e la giustizia sociale. Non si può aggiungere l'austerità alla recessione, come l'UE sta facendo: unire inoltre tagli al debito ad una stretta sul credito ha effetti deleteri sull'economia.

Quello monetario e finanziario

1.11

Occorre perciò un sistema capace di riassorbire gli errori e le debolezze dei singoli paesi che accompagni il processo di riforma e riduca il differenziale economico e gli squilibri tra i paesi dell'Eurozona, anche attraverso la politica monetaria.

1.12

La stessa BCE ha sofferto i limiti dell'UEM. Secondo il Trattato ha dovuto praticare una politica monetaria unica, quasi federale, mentre le economie dei paesi erano e sono diverse, con gravi squilibri tra di loro. Perciò avrebbero richiesto, e richiederebbero, come detto, interventi correttivi da parte dell'UE. Ciò eviterebbe la sovraesposizione e renderebbe più efficace ed equanime l'azione della BCE, rivolta alla stabilità dei prezzi, riducendo le distorsioni e gli squilibri esistenti, la cui permanenza può mettere in discussione la stessa esistenza della moneta unica, come dimostrato dalla fase più recente della crisi del debito sovrano, che solo un intervento deciso del Governatore della BCE ha evitato. Una necessità, questa, per favorire l'integrazione economica, in ritardo rispetto a quella monetaria, almeno fino al superamento dell'attuale deficit di mandato della BCE e del deficit politico dell'UE.

1.12.1

La BCE, oggi ha un ruolo sovraesposto. Per assolvere meglio il suo ruolo e giocare ad armi pari, dovrebbe avere le stesse funzioni e lo stesso mandato della Fed, compreso quello di prestatore di ultima istanza, per ridurre il differenziale sui tassi di interesse. Deve trattarsi, quindi, di un mandato completo che consenta alla BCE, quando necessario, di fare anche da stimolatore per la crescita.

1.12.2

In questo periodo c'è un gran dibattito intorno a questo argomento tra le banche centrali: quali strategie adottare per rilanciare la crescita. Si tratta dell'annosa questione del rapporto austerità/crescita, cioè inflazione/crescita e crescita/occupazione. Basta pensare che la Fed, per rispettare il suo mandato, far scendere il tasso di disoccupazione al 6 %, immette sul mercato 85 miliardi di dollari al mese (una politica simile si appresterebbe a fare anche la Banca di Inghilterra). Una situazione che mette in condizione di debolezza la BCE, orfana di un governo e di un bilancio, rispetto alle altre banche centrali. Una condizione che riguarda anche il controllo del rapporto tra le monete. La BCE dovrebbe anche esercitare una responsabilità in materia di politica dei tassi di cambio, soggetta soltanto alla facoltà del Consiglio, sancita dal Trattato, di concludere accordi formali su un sistema di tassi di cambio dell'euro nei confronti delle valute di paesi terzi.

1.12.3

Il debito: un altro elemento importante dell'UEM. A questo proposito, il CESE ha già fatto una proposta precisa per togliere dal mercato il 60 % del debito dei paesi ed evitare così gli effetti speculativi del mercato sull'Eurozona (3). È chiaro che con una UEM completa ed un bilancio comune dell'Eurozona, si potranno prevedere anche forme di emissioni di obbligazioni comuni (ovviamente va fatto all'interno di un bilancio comune dell'Eurozona).

1.13

Per quanto attiene l'insieme del sistema finanziario e bancario, il CESE ritiene che bisogna completare, nei tempi strettamente necessari, che devono essere brevi, tutti gli aspetti dei provvedimenti avviati dalla UE (4). Strumenti tra i più efficaci ed importanti per completare l'UEM, la sua stabilità ed il mercato interno.

Quello politico-istituzionale

1.14

Il CESE ritiene che il futuro dell'UE e del suo assetto istituzionale debba uscire dagli schemi riferiti al «modello ideologico», anche se quello «federale» ci sembra il più idoneo, ed entrare sugli aspetti funzionali e di sostanza, per far sopravvivere l'idea stessa di Europa. Un'Europa che rimetta le persone e la solidarietà al centro del suo obiettivo primario, attorno a cui far ruotare l'economia e non il contrario. È ormai ora di aprire un nuovo cantiere per realizzare un'Unione politica, sociale ed economica. Ma il tentativo fatto dal Consiglio, timido e inadeguato, anche se apprezzabile, ci sembra veramente molto poco. Occorre fermare l'egoismo, l'utopismo degli interessi che sembra aver investito l'Europa, a favore della solidarietà; sospendere o diluire le politiche di austerità per attenuare le sofferenze, rimettendo il lavoro e la crescita al centro delle sue iniziative.

1.15

Occorre perciò convergere verso una Unione politica e sociale per completare l'UEM nell'ottica delle proposte suindicate. Rendere più democratico (voto a maggioranza) e trasparente il processo decisionale, per una integrazione positiva, meno sbilanciata, ed una gestione comune delle sovranità, riducendo così il differenziale nel processo di integrazione. Ciò darebbe voce unica alla UE anche negli organismi internazionali.

1.16

Nuovo Trattato: il CESE ritiene che la gran parte delle proposte di natura economica indicate nel parere possono essere risolte senza modificate il Trattato. Dove necessario, si può agire con una cooperazione rafforzata tra i paesi che condividono le proposte (come fatto con il fiscal compact), anche al fine di procedere più rapidamente ed evitare il rischio di una eventuale dissoluzione della UE di fronte a nuovi attacchi esterni ed al mantenimento delle politiche di austerità. Un'altra ipotesi, per una integrazione più approfondita, può essere quella di dare un mandato costituente al prossimo Parlamento europeo, la cui proposta potrebbe essere sottoposta anche a referendum popolare, contemporaneamente, in tutti i paesi interessati.

Quello internazionale

1.17

Ciò che sta accadendo in Europa ha conseguenze anche in ambito internazionale e viceversa. Perciò ci sarebbe la necessità di avere organismi internazionali più efficienti e con una maggiore capacità decisionale, al fine di assicurare una maggiore governance mondiale. L'UE, in questo ambito, dovrebbe avere la rappresentanza unica, almeno dell'Eurozona. In particolare, il G20 dovrebbe poter istituire un «comitato economico e sociale» per lo sviluppo mondiale, agire attraverso uno stimolo fiscale.

1.18

Però solo un assetto politico diverso, più coeso e democratico, può consentire alla UE, insieme ad una migliore governabilità interna, una più efficace governabilità esterna, dandole voce unica al livello internazionale. In particolare per quanto attiene il rapporto tra le monete, per evitare danni all'economia della UE, e il rapporto tra le economie a livello mondiale, specie con i paesi in via di sviluppo.

1.19

In sintesi sono queste le quattro proposte per completare la casa dell'euro:

i)

governo economico dell'UE (per la crescita, l'occupazione, la coesione economico-sociale); bilancio comune dell'Eurozona e riduzione delle asimmetrie economiche tra i paesi dell'Eurozona.

ii)

Governo monetario-finanziario: rafforzamento mandato BCE; completamento mercato interno per finanza e banche.

iii)

Unione politica e sociale.

iv)

Rafforzamento ruolo internazionale dell'UE e governance mondiale.

2.   Introduzione

2.1

Oggi l'UE attraversa un momento particolarmente difficile e pericoloso che rischia di produrre conseguenze negative ben oltre quelle economiche e sociali già in atto. Il presente parere d'iniziativa affronta una serie di questioni tra cui la necessità di rispettare gli impegni in materia di coesione economica e sociale già assunti in forza del Trattato, promuovere una nuova politica economica e monetaria per la crescita e l'occupazione, politiche di innovazione più proattive; istituire un fondo europeo di capitali di rischio per le piccole e medie imprese ed infine lavorare per il futuro della UE (5).

2.2

Siamo di fronte, anche nella UE, a grandi interessi economici, che, invece di convergere, si scontrano. L'euro non ha alcuna responsabilità di quanto sta accadendo (6). Una moneta che per lungo periodo è stata lasciata sola ed ancora sta aspettando che i «contendenti» (i governi) decidano cosa fare.

2.3

Il CESE ha il dovere di rispondere a queste sfide, con un linguaggio schietto e chiaro, con grande lungimiranza, sapendo qual è la posta in gioco e il livello del confronto, senza nascondere la realtà; con questo parere vuol offrire un contributo attivo, senza reticenze, per completare l'UEM e per il superamento della crisi, nell'interesse dei lavoratori, delle imprese e dei cittadini della UE, in particolare dell'Eurozona, che maggiormente sta soffrendo la crisi in atto.

3.   Il Trattato di Maastricht: politica monetaria e coesione

3.1   Unione monetaria

3.1.1

L'adozione di una moneta unica sarebbe stata ideale per i paesi esposti a shock simmetrici o per quelli che dispongono di un meccanismo per assorbire gli shock asimmetrici. Studi empirici dimostrano che la probabilità che si verifichino shock asimmetrici è più elevata in Europa che negli Stati Uniti. È evidente che la politica monetaria unica della BCE, il cui obiettivo principale è la stabilità dei prezzi nell'unione monetaria, non può reagire agli shock asimmetrici che intervengono nei singoli paesi della zona euro. Occorre quindi un altro meccanismo sufficientemente efficace per affrontare questi shock. La politica monetaria comune della BCE sarà tanto meno adeguata alle esigenze degli Stati membri della zona euro quanto più ridotti saranno la mobilità dei fattori di produzione, l'apertura delle economie, la sincronizzazione dei cicli economici, la diversificazione della produzione, l'integrazione finanziaria e il volume degli scambi commerciali, e quanto maggiori saranno, da un lato, la rigidità del mercato del lavoro e, dall'altro, i differenziali inflattivi fra le economie dei paesi membri. Quanto minore sarà l'efficienza dei meccanismi di adeguamento deputati ad attenuare i contraccolpi negativi degli shock asimmetrici (flessibilità dei prezzi e dei salari, mobilità dei lavoratori e dei capitali fra gli Stati membri, federalismo fiscale), tanto più difficile sarà per i singoli paesi reagire alla perdita della propria politica monetaria.

3.1.2

L'UEM rappresenta forse il pilastro principale del Trattato di Maastricht, ma non è il solo. La ragione ispiratrice, oltre che economica, a seguito della caduta del muro di Berlino, era stata principalmente di natura politica. Molti paesi rimasero spettatori sorpresi ed indifferenti, rispetto al nuovo scenario anche di fronte all'assorbimento, quasi istantaneo, della Germania Est e della parità tra i due «marco» (1 = 1), avallato dalla Buba. Si preferì rinviare la scelta di una UEM completa, generando un'aspettativa comune, rivelatasi poi un'illusione, che l'Unione monetaria avrebbe trascinato con sé anche quella politica, che l'euro diventasse il motore di un'Europa federale; ma non è stato così.

3.1.3

L'Unione, oltre a dare copertura e voce unica all'euro, avrebbe dovuto completare tutto ciò che all'euro mancava. Si pensava, invece, che per far funzionare tutto bastassero poche «regole», come il Patto di stabilità, con dei parametri arbitrari, un'auto-referenzialità ritenuta infallibile, che invece non ha funzionato come ci si aspettava. Anche il mandato della BCE è unidirezionale, più limitato rispetto a quello delle altre banche centrali. Queste contraddizioni sono esplose con la crisi finanziaria, avvertita con grave ritardo dall'UE e, successivamente, del debito sovrano, che ha tolto all'euro l'aureola ed il potere taumaturgico con cui era stato presentato alla nascita, riducendo così il suo potenziale di attrazione al punto che oggi viene percepito come una minaccia, o come un'arma insidiosa per giustificare le politiche d'austerità.

3.2   Una politica che sta mettendo a rischio la coesione economica e sociale, altro pilastro dell'Atto unico, del Trattato di Maastricht, che indica come obiettivo della UE un alto tasso di occupazione ed un livello di vita elevato. Un obiettivo, appunto, che la crisi attuale aveva fatto sparire dall'agenda europea. Sebbene ultimamente ripescata, a parole, è rimasta senza strumenti attuativi e quindi senza alcun effetto pratico sull'economia reale e sull'occupazione.

4.   I primi 10 anni di vita dell'euro

4.1   I vantaggi

4.1.1

Fino al 2008 l'UEM ha funzionato abbastanza dal punto di vista monetario per gli Stati membri della zona euro: semplificazione del commercio, eliminazione del rischio di cambio, eliminazione delle svalutazioni competitive, stabilità dei prezzi (inflazione media 2,03 % annuo salvo sbalzi eccessivi in alcuni paesi all'atto del passaggio dal vecchio al nuovo sistema), diminuzione e convergenza dei tassi sul debito (fino al 2009!), crescita ed occupazione (creati 14,5 milioni di nuovi posti di lavoro) (7), l'insieme delle partite correnti in equilibrio, rapporto debito/PIL al di sotto di quello giapponese e degli USA, tasso di cambio col dollaro contenuto (circa più 30 %), a causa delle economie più deboli.

4.1.2

Questo è il quadro d'insieme. Diverso se si esamina la situazione paese per paese. I principali vantaggi sono andati principalmente ai paesi sulla cui economia sono stati basati i parametri che hanno accompagnato la nascita dell'euro, potenziandone crescita e produttività, facendo esplodere le esportazioni (circa due trilioni di dollari dal 2000 ad oggi, per la sola Germania) e la relativa bilancia dei pagamenti (8), mentre altri paesi hanno avuto vantaggi parziali e/o dei veri e propri svantaggi, principalmente a causa dell'asimmetria del sistema legato alla moneta unica, al punto che i paesi in deficit sono obbligati a correzioni, mentre quelli in surplus non lo sono. Da tener conto poi, delle diverse reazioni avute dai paesi alle condizioni create dall'euro.

4.2   I costi

4.2.1

I costi da considerare sono quelli legati alla divergenza della competitività tra paesi, alla loro perdita di sovranità sulla politica macroeconomica, sul tasso di cambio, sulle svalutazioni competitive, ecc.

4.2.2

Con la crisi, senza un'adeguata e completa UEM, sono insorti altri costi, come il trasferimento dei passivi bancari sui bilanci pubblici, l'aumento del debito, con un aumento delle difficoltà per i paesi già più indebitati. L'Unione ne è uscita divisa in due: da un lato i paesi creditori, dall'altro quelli debitori, e non solo, che somigliano sempre più ai paesi del terzo mondo. Infatti i paesi creditori stanno causando più povertà al Sud, e non solo, e più ricchezza al Nord. Basti pensare solo al surplus accumulato dalla Germania, non attraverso la contabilità interna all'Eurozona (in questo caso la bilancia UE sarebbe in equilibrio!) ma attraverso le sue eccedenze con l'estero, talmente alte che, alla lunga, potrebbero esporre gli stessi tedeschi ad un rischio finanziario tale da danneggiare la propria economia.

4.3   Le criticità

4.3.1

Diverse le criticità strutturali e le debolezze del sistema di governo della moneta: i limiti del Patto di stabilità e di crescita che alcuni paesi cercarono di smantellare quando creava problemi a loro (Germania, Francia ed Italia); la mancanza di monitoraggio degli indicatori di produttività; la mancanza di strumenti per la gestione delle crisi; i costi per la permanenza nell'euro; il rischio sistemico; gli squilibri economici tra i paesi; il mantenimento della sovranità fiscale e di bilancio agli Stati nazionali.

4.3.2

Non sono stati eliminati, tuttavia, il rischio di cambio e le svalutazioni concorrenziali tra gli Stati membri aderenti all'euro e quelli non aderenti, in particolare il Regno Unito, tanto che in un lasso di tempo relativamente breve potrebbe avvenire un deprezzamento significativo del rapporto di cambio sterlina-euro, pregiudicando così la parità di condizioni concorrenziali che si presume debba vigere nel mercato unico.

4.3.3

Dal punto di vista economico, il punto di maggiore criticità è rappresentato dagli squilibri economici, già esistenti prima del 2000. Una situazione che ha penalizzato i paesi più deboli, causando dei veri e propri «shock asimmetrici», favoriti anche dal massiccio afflusso di capitali verso la Germania. Shock asimmetrici a cui la BCE non può far fronte con gli attuali strumenti di cui dispone. Un altro elemento di criticità è dipeso dal contesto internazionale, solo successivamente evidenziato dalla crisi finanziaria (9).

4.3.4

Mentre l'errore maggiore è stato quello di credere di poter avere una moneta unica senza alcuna limitazione di sovranità per gli Stati, non solo quella di bilancio, ma in particolare la gestione separata del debito, un sistema bancario e finanziario rimasto nazionale, insieme al sistema di sorveglianza.

4.3.5

Infine il punto di criticità politica più grave: aver fatto l'euro senza una casa comune e senza dargli una voce unica, a prescindere dagli sforzi compiuti di volta in volta dalla BCE per sopperire a tale mancanza; in questo modo la BCE è passata dall'autonomia «scritta» nel Trattato, all'assunzione di un ruolo di supplenza della politica, per evitare danni alla moneta unica ed alla UE (10), così come la crescita ha evidenziato il ruolo del paese più forte.

4.3.6

Il CESE ritiene comunque che l'euro diventerà più sostenibile se ci sarà una convergenza delle «performance» economiche tra i paesi dell'Eurozona, per favorire una crescita più omogenea e se ci sarà un'Unione politica che renda tali differenze accettabili perché il problema non è contabile, ma politico, ivi compresa la questione della democrazia e quindi di una più equa ponderazione dei voti nei vari organismi decisionali. Insistere solo sull'aspetto economico e «contabile» è un'illusione ed un errore che non ci possiamo più permettere.

5.   Il contesto internazionale

5.1

Ciò che sta accadendo in Europa ha conseguenze anche in ambito internazionale e viceversa; c'è un intreccio molto forte tra le economie, il debito, la finanza, il commercio, il rapporto tra le monete, ecc. In particolare pensiamo al legame ancora più stretto tra le economie delle due sponde dell'Atlantico; così almeno è stato fino al 2009. Oggi, invece, l'economia USA è in ripresa, quella europea in recessione, in parte conseguenza di due diverse scuole economiche, oltre che delle differenze tra il ruolo della FED e il ruolo della BCE.

5.2

Per l'insieme dell'economia mondiale, comunque, ci sarebbe la necessità di avere organismi internazionali più efficienti e con una maggiore capacità decisionale, al fine di assicurare una maggiore governance mondiale (FMI, Banca mondiale, OIL, OMC). Mentre il G20 avrebbe bisogno di una maggiore strutturazione per prendere decisioni impegnative; ad esempio, dovrebbe istituire un «comitato economico e sociale» per lo sviluppo mondiale, agire attraverso uno stimolo fiscale, governare i rapporti tra le monete, per ridurre le discriminazioni in ambito commerciale, anche attraverso una maggiore capacità di intervento della BCE.

5.3

Eccedenze di risparmio a livello globale. La crescita infatti è essenziale anche per il resto dell'economia mondiale. L'allarme lanciato dal FMI secondo cui l'Europa, ai provvedimenti per ridurre il debito e il disavanzo, deve affiancare misure intese a stimolare la crescita è tempestivo e giustificato. Vi sono eccedenze di risparmio a livello globale che non trovano sbocchi d'investimento. Infatti, si è cercato invano di trovare sbocchi d'investimento per fondi di private equity pari a quasi 2 mila miliardi di dollari USA (11). Il principale fondo di investimento sovrano della Norvegia sta riducendo la quota di investimenti europei da oltre la metà a due quinti (12). Nel 2011 il principale fondo di investimento sovrano asiatico, il «China Investment Corporation», ha registrato una perdita di investimenti in strumenti di private equity, ha ridotto da metà a un quarto il proprio portafoglio di titoli privati ed è alla ricerca di sbocchi d'investimento a più lungo termine nel settore pubblico piuttosto che in quello privato (13).

6.   Le azioni in corso nella UE

6.1   FESF/MES: di fronte al precipitare della crisi, trasformatasi poi in attacchi speculativi verso l'euro, senza che nulla sia stato fatto contro gli speculatori, l'Unione ha provato a reagire su diversi fronti. Il rafforzamento del fondo salva Stati con l'eventuale concessione della licenza bancaria, ne è un esempio facendone uno strumento efficace, anche se limitato, per aiutare gli Stati che rischiano di fallire non per loro responsabilità, contro la speculazione sui titoli bancari e sul debito, anche se non è la soluzione della crisi.

6.2   L'unione bancaria ne rappresenta un altro pilastro. Infatti è impossibile mantenere a lungo un'area con un'unica moneta e 17 mercati finanziari e del debito, soprattutto dopo che la crisi ha accentuato la segmentazione nazionale. L'unione bancaria diventa perciò un elemento indispensabile e prioritario per la reciprocità del rischio, per tutelare i depositanti, anche attraverso la «procedura di liquidazione», per ridare fiducia al sistema, che ha smesso di funzionare, e per rimettere in circolo i finanziamenti alle imprese in tutti i paesi sulla base della popolazione interessata, non della grandezza delle banche., evitando lo spostamento di liquidità verso paesi ritenuti a rischio più basso e riducendo il differenziale sui tassi. L'unione, inoltre, servirebbe anche a ridurre il rischio sistemico e a spezzare il legame tra debito pubblico e banche. Anche qui non va dimenticato che l'euro è nato lasciando separati i sistemi bancari: una grave debolezza. Ciò è dipeso principalmente dal fatto che quelli di alcuni paesi forti sono in gran parte dei sistemi bancari pubblici.

6.3   La sorveglianza bancaria europea completa i provvedimenti in corso. Una competenza che passa a livello UE, esercitata direttamente da un'autorità unica. Per dimostrare che l'Europa offre un importante valore aggiunto è essenziale promuovere una maggiore trasparenza nelle attività bancarie, impedire il conflitto di interesse e pratiche scorrette come la manipolazione dei tassi d'interesse LIBOR. Il CESE accoglie con soddisfazione la proposta di istituire un meccanismo di vigilanza unico, sotto l'egida della Banca centrale europea, che copra l'intera area dell'euro e che sia accessibile a tutti gli Stati membri (14).

6.4   Il CESE valuta positivamente il nuovo programma OMT (Outright Monetary Transactions) che consente alla BCE di acquistare titoli di Stato sul mercato secondario, per arrestare la speculazione e ridurre il differenziale sul debito degli Stati e quindi sull'euro. Questo, insieme alle altre misure non convenzionali di politica monetaria adottate (anche in passato ce n'erano state), per far fronte alla crisi finanziaria, rappresenta una svolta della BCE, anche se fatto nello spirito del Trattato e nella giusta direzione. Si tratta però, anche in questo caso, di strumenti tecnici non risolutivi, che forniscono tempo ai governi ed alla UE per adottare le misure necessarie.

6.5   La BCE

6.5.1

La BCE «ha come obiettivo il mantenimento della stabilità dei prezzi» e, per adempiervi, deve mantenere l'indipendenza politica, cioè non può «sollecitare o accettare istruzioni» da parte dei governi o dalla UE. Uno status corretto, anche se il Trattato assegna al Consiglio il compito di formulare accordi sul tasso di cambio tra euro e valute non comunitarie (15); in assenza di tali accordi o nei periodi intermedi la BCE dovrebbe considerare la politica dei tassi di cambio come parte delle sue competenze. La BCE ha anche obiettivi secondari, quali, ad esempio, contribuire alla stabilità finanziaria, anche se i suoi interventi durante la crisi sono riconducibili all'obiettivo primario, in quanto dettati in gran parte dalla necessità di ristabilire un meccanismo efficiente di trasmissione della politica monetaria, mantenendo così la stabilità finanziaria di tutti i paesi euro.

6.5.2

A proposito dell'andamento dei prezzi, occorre ricordare che per quanto riguarda i criteri di Maastricht, si pone la questione se sia corretto calcolare il criterio dell'inflazione sulla base della media dei tre paesi che hanno conseguito i migliori risultati sul fronte dell'inflazione nell'UE, e non già nella zona euro.

6.5.3

In generale il mandato della BCE è più limitato rispetto ad altre banche centrali. In primo luogo la BCE non ha mandato per sostenere la crescita e l'occupazione, come la FED, anche se le politiche monetarie si assomigliano. Esistono però differenze fondamentali tra USA (sistema fiscale centralizzato) e UE nell'attuazione della politica di bilancio. Inoltre oggi il ruolo della BCE di prestatore di ultima istanza (lender of last resort) è limitato al sistema bancario e non include i governi (il governo UE) come è implicito nei contesti «nazionali», cosa che dovrebbe essere resa possibile nel contesto di una UEM completa. In aggiunta la politica monetaria unica della BCE è resa più difficile dall'esistenza di divergenze e squilibri economici tra i vari paesi dell'area, in assenza di interventi correttivi da parte dell'UE.

6.5.4

È positivo comunque che il principio di «unicità» della zona euro ha portato la BCE a dichiarare l'euro «irreversibile» e, come abbiamo visto, le ha consentito, dopo un duro confronto, di adottare provvedimenti per ridurre il differenziale (spread) esistente tra i tassi d'interesse sul debito dei vari paesi attraverso la possibilità d'acquisto di obbligazioni sul mercato secondario. Un'operazione che richiede, contestualmente al rilancio della crescita, un piano «europeo» di rientro dal debito, che accompagni quello dei singoli paesi (16).

6.5.5

Ciò serve almeno a ridurre la distorsione della concorrenza attraverso i tassi di finanziamento del debito e degli investimenti: ancora oggi un vero e proprio differenziale finanziario, che aumenta gli squilibri già esistenti, compresi quelli della bilancia dei pagamenti.

6.5.6

Il CESE ritiene, inoltre, che sia necessario riconsiderare anche la questione della condizionalità posta dalla BCE e dall'UE. Non è accettabile dare liquidità alle banche a tassi molto bassi senza porre alcuna condizione, ad esempio, per quanto riguarda la destinazione dei fondi. Infatti almeno una parte dovrebbe essere rivolta agli investimenti; mentre per l'acquisto di obbligazioni del debito pubblico, da parte della BCE (OMT), anche se trattasi di una questione diversa, vengono poste condizioni molto dure ai paesi. Condizioni che sono giustificate principalmente dal fatto che bisogna rispondere alla logica di un «mercato», alterato e senza scrupoli, anonimo e velocissimo che, in realtà, di mercato ha ben poco (17). L'UE non può prestarsi a questo gioco: grande austerità e severità per cittadini ed imprese, nel momento della crisi, neutralità per gli investitori/speculatori, che si nascondono dietro le banche d'affari e i fondi d'investimento internazionali, salvo la fermezza posta dal Governatore a difesa dell'euro nei momenti più critici dell'attacco.

6.5.7

Sarebbe necessario, invece, che l'azione della BCE possa supportare in modo equanime l'economia dei vari paesi, per ridurre le distorsioni e gli squilibri esistenti, già con gli attuali strumenti, fino al superamento dell'attuale mandato e del deficit politico dell'UE. Ad esempio, si potrebbe rianimare il mercato interbancario in alcuni paesi della zona euro attraverso tassi negativi sui depositi overnight presso la BCE.

6.5.8

Il CESE resta convinto inoltre che occorra risolvere nell'immediato la questione del debito  (18), secondo la sua proposta e per raggiungere questo obiettivo è fondamentale l'azione della BCE e del Consiglio.

6.5.9

Il Comitato ritiene opportuno dare più trasparenza alle decisioni della BCE. Ad esempio si potrebbe pubblicare l'esito delle votazioni del consiglio direttivo della BCE per responsabilizzare maggiormente i governatori delle banche centrali degli Stati membri aderenti all'Unione monetaria. Ciò li indurrebbe a prendere le loro decisioni sulla base della situazione economica generale nella zona euro e non già in funzione dell'andamento dell'economia dei rispettivi paesi.

6.5.10

Un altro problema che sarebbe opportuno ricordare riguarda il sistema di votazione del Consiglio direttivo della BCE (19), in particolare per quanto riguarda la disparità tra il diritto di voto e la contribuzione finanziaria dei paesi membri. Un problema che si è già posto per il sistema di pagamento all'interno del meccanismo europeo di stabilità (MES) e potrebbe ripetersi in futuro, ad esempio, all'interno dell'Unione bancaria.

7.   Il futuro economico dell'UE: l'Unione economica e sociale – la crescita e l'occupazione

7.1

Secondo il CESE occorre una ripresa guidata dagli investimenti ecologico-sociali  (20), convinto che la stabilità da sola non è in grado di assicurare la ripresa, la quale dipende dalla fiducia sia delle imprese che da parte dei consumatori. Viste le limitate aspettative del settore privato e le capacità inutilizzate, le imprese non possono fare affidamento su profitti futuri derivanti da investimenti attuali. E se a loro volta i cittadini non hanno la certezza di poter mantenere o trovare un posto di lavoro, preferiscono risparmiare oppure ridurre i propri debiti invece di spendere. Un tasso di disoccupazione più elevato non fa che aumentare il numero di persone che non possono spendere.

7.2

Perciò per promuovere la fiducia delle imprese e dei cittadini, la ripresa deve essere guidata dagli investimenti, sull'esempio del New Deal americano (21). A tal fine i criteri fondamentali sono quelli adottati dalla BEI, sin dal Programma d'azione speciale di Amsterdam (1997), con il mandato a promuovere la coesione e la convergenza nei settori della sanità, dell'istruzione, del rinnovamento urbano, dell'ambiente, nonché delle reti transeuropee.

7.3

È un obiettivo perseguibile, rimettendo in circolo gli eccessi di risparmio a livello globale, come indicato al punto 5.3. Infatti alcuni fondi d'investimento sono alla ricerca di sbocchi a lungo termine per le eccedenze di risparmio generate in altre parti del mondo. Questo presenta reciproci vantaggi per gli investitori dei paesi terzi e per l'economia europea. In tale contesto possono svolgere un ruolo chiave entrambe le «istituzioni sorelle» del gruppo Banca europea per gli investimenti, cioè la BEI e il FEI (Fondo europeo per gli investimenti).

7.4

Perciò l'aumento del capitale sottoscritto della BEI è da accogliere con favore. Anche i project bond possono svolgere un ruolo importante nella ripresa. Ma è bene chiamare eurobond l'utilizzo degli avanzi a livello globale per gli investimenti dell'UE, anche se, probabilmente, i mercati ricorreranno alla forma abbreviata «€ bond». È nota la resistenza di alcuni governi agli eurobond, ma ciò è dovuto a una supposizione errata, in quanto gli eurobond, necessari a sostenere la crescita, vengono scambiati per gli Union bond, destinati al debito (22).

7.5

Già sin dall'inizio il FEI sostiene che potrebbe emettere obbligazioni europee per finanziare investimenti sociali di lungo periodo (23) mediante un aumento del proprio capitale sottoscritto rispetto all'attuale livello - piuttosto basso - di 3 miliardi di euro, senza che sia necessario ricorrere a una revisione dei Trattati (24). Nessuno dei principali Stati membri come gli altri dell'Eurozona, include nel proprio debito nazionale i finanziamenti della BEI e altrettanto dovrebbe valere per i finanziamenti FEI. Le obbligazioni emesse dal FEI, analogamente a quelle della BEI, possono essere garantite dai rendimenti del finanziamento di progetti.

7.6

Innovazione dei prodotti e creazione di mercati: riteniamo inoltre che l'Unione debba condurre una politica dell'innovazione meno neutrale. Negli anni '70 le politiche industriali sono passate di moda in ragione del fatto che i governi non potevano «privilegiare determinati operatori» o «campioni nazionali». Tuttavia riteniamo che vi siano validi motivi per ripensare questo approccio (25).

7.7

E poi, in primo luogo, non è detto che le politiche non interventiste siano virtuose. In passato esse hanno infatti determinato investimenti sbagliati nel settore finanziario. In secondo luogo, occorre avviare iniziative ancora più decisive per combattere il cambiamento climatico. In terzo luogo, un numero eccessivo di progetti tecnologici presentati nel contesto dei programmi quadro viene respinto non per questioni di merito bensì per mancanza di risorse proprie, problema che potrebbe essere risolto ricorrendo a un fondo europeo di capitali di rischio finanziato dall'emissione di obbligazioni. In quarto luogo, le economie emergenti sono state in grado di promuovere una serie di campioni nazionali con risultati di tutto rispetto (26).

7.8

Il finanziamento degli investimenti mediante il trasferimento delle eccedenze agli eurobond dovrebbe essere accessibile a tutti gli Stati membri e produrrebbe vantaggi cumulativi sul piano macroeconomico, sociale, occupazionale e politico, dimostrando la necessità di promuovere «più Europa», approccio che attualmente suscita uno scetticismo crescente tra gli elettori e alcuni governi.

7.9

La crescita può anche contribuire a rafforzare la stabilità. In base al principio della BEI secondo cui il finanziamento tramite obbligazioni non deve necessariamente essere ascritto al debito nazionale, il finanziamento di eurobond inteso a favorire la ripresa permetterebbe di realizzare più facilmente una riduzione del debito nazionale e di liberare le entrate fiscali nazionali per ridurre o mantenere bassi i disavanzi, salvaguardando allo stesso tempo le voci fondamentali della spesa sociale. A questo proposito sarebbe necessaria la definizione di parametri e criteri comuni da parte dei paesi e dell'Eurostat per una più equa e migliore valutazione dei dati.

7.10

Peraltro, non si è tenuto conto del fatto che «l'ipotesi dello spiazzamento» (crowding out) presuppone la piena occupazione. Visto che attualmente nella maggior parte degli Stati membri si registrano livelli di disoccupazione elevati, il finanziamento - separato o congiunto - di project bond BEI-FEI potrebbe determinare un accumulo (crowding in) di investimenti del settore privato, reddito e posti di lavoro con un effetto moltiplicatore degli investimenti fino a tre, e moltiplicatori fiscali positivi nel senso che generano entrate tributarie dirette e indirette (27).

7.11

Alla luce delle difficoltà in cui versano alcuni paesi, in particolare la Grecia e Cipro, il CESE propone di rivedere l'adeguamento strutturale a breve termine richiesto dalla troika tenendo conto delle prospettive a più lungo termine per questi paesi a seguito della scoperta delle enormi riserve di petrolio e gas, sostanzialmente non sfruttate, presenti nel Mediterraneo orientale (28).

8.   Il futuro politico della UE

8.1

Il CESE è convinto perciò che all'UE non basti una semplice operazione di «manutenzione» da ripetere di tanto in tanto. Non può prolungare il vuoto che dura dai tempi di Maastricht, senza raccogliere la sfida posta dall'euro, che la crisi ha fatto esplodere, portando alla luce i grandi «deficit» esistenti al suo interno, prima di tutto quello democratico (29), ridando un obiettivo al processo europeo, per evitare che l'idea d'Europa muoia.

8.2

Il CESE ritiene che la moneta unica sarà sostenibile se si arriva ad una convergenza delle capacità (performances) economiche dei paesi dell'Eurozona. Ciò richiede un impegno economico e politico. Serve cioè un'Unione politica che renda accettabili le differenze e consenta, se necessario, di trasferire una parte della ricchezza dalle aree forti a quelle deboli, attraverso un processo decisionale trasparente e democratico e una nuova forma di solidarietà tra paesi (30).

8.3

Questa crisi sta facendo riemergere le «vecchie diversità» tra gli europei. È tornato il difetto di guardare indietro, rivangando fantasmi o luoghi comuni che pensavamo scomparsi, come se l'austerità ed il debito fossero il frutto di una colpa e non piuttosto di errori dei governi su ambo i «fronti». Anche per questo i paesi in difficoltà non possono addossare all'UE (o alla Germania) responsabilità che sono proprie, come i paesi più ricchi non possono ignorare i maggiori benefici ricevuti dall'euro, in parte, a spese degli altri, a causa degli squilibri economici esistenti. Abbiamo perciò bisogno di una nuova capacità politica, culturale e di dialogo tra i popoli europei, con indubbi vantaggi reciproci, come già da tempo suggeriva il poeta tedesco Hölderlin (31), ispirandosi alla cultura greca.

8.4

Occorre compiere un salto di qualità. Bisogna mettere insieme non solo l'economia, ma la politica e la SOVRANITÀ di ognuno. Non bisogna discutere il «modello» europeo da realizzare, quanto piuttosto gli strumenti che ci occorrono: strumenti efficaci, democratici e trasparenti per decidere; per realizzare il bene comune; per unire il popolo europeo, non per dividerlo.

8.5

Per le stesse ragioni, il CESE ritiene che sia mal posta la questione se modificare il Trattato o meno. Ovviamente dipende da ciò che è necessario fare per completare l'UEM. Comunque la gran parte delle nostre proposte possono essere realizzate senza modificare il Trattato (crescita, debito ecc.), mentre per altre può essere sufficiente la cooperazione rafforzata. Comunque l'importante è l'obiettivo da raggiungere per il bene dell'economia, dell'euro, e dei cittadini dell'UE. Il Trattato è solo lo strumento. Ciò va spiegato ai cittadini nel modo più corretto, coinvolgendoli nelle decisioni direttamente e/o attraverso il PE e quelli nazionali.

8.6

Il CESE ritiene che l'Eurozona ha le risorse per progettare il proprio futuro: più integrazione politica, meno dirigismo, un'economia sociale di mercato, per far ripartire la crescita e l'occupazione e per realizzare un'Unione politica, economica e sociale.

9.   Integrazione o disintegrazione?

9.1

Senza questo passo ulteriore, la crisi, così come affrontata sinora, potrebbe portare ad una disintegrazione della zona euro e quindi dell'UE. Non si può praticare solo la politica di austerità e dei tagli, come quelli del debito, anche quando sono opportuni. Occorre agire anche con altri strumenti (aumento della domanda nei paesi creditori) e all'interno di un quadro di solidarietà. Bisogna far comprendere ai cittadini dei paesi interessati che le loro eccedenze di bilancio derivano dal debito degli altri, e che gli attacchi all'euro non dipendono dal livello del debito (32), anche se questo va ridotto. Mentre i cittadini del Sud devono spingere i loro governi ad un consolidamento del debito, ad una gestione più oculata dei bilanci dei loro paesi; eliminare sprechi ed evasione fiscale, ridurre le tasse, aumentare la crescita, l'occupazione, la produttività e la competitività dei loro sistemi, non solo con alcune riforme, ma attraverso una maggiore solidarietà e una politica economica diversa dell'UE e della BCE (33).

9.2

Altrimenti nessun paese potrà ridurre il proprio debito e risanare il proprio bilancio. Perciò bisogna allentare la corda dell'austerità e cambiare politica economica. In caso contrario i rischi potrebbero aumentare. E qui la storia può esserci di aiuto (34). Bisogna affermare una nuova prospettiva d'integrazione, un'integrazione positiva, non negativa, dannosa e forzata.

9.3

Bisogna considerare che nessuno in Europa oggi è al sicuro, fuori pericolo, anche se si è creata una situazione anomala. Infatti, la crescita economica di alcuni paesi, favorita anche dall'euro, e la debolezza degli organismi dell'UE hanno portato la Germania, paese più forte, ad assumere un ruolo centrale in Europa, spesso in contrapposizione alle «periferie», particolarmente del Sud, ma non solo. «Questo alimenta l'ansia degli altri» (H. Schmidt), in particolare per il modo in cui questo ruolo viene percepito. Perciò sarebbero necessari interventi atti a smentire questa percezione (35).

9.4

A parere del CESE, oggi in Europa sembrano prevalere egoismi e interessi nazionali, come fossimo di fronte ad un «utopismo degli interessi». L'approccio economicistico ha preso il sopravvento ed ha messo in second'ordine i valori su cui l'Europa è nata e su cui basa la sua esistenza; emerge un'Europa egoista, priva di solidarietà. Le tensioni degli ultimi tempi recano il rischio di una pericolosa «dissoluzione psicologica» dell'UE, che riguarda cittadini e governi, al quale bisogna apporre rimedio con l'ascolto, senza supponenza e con risposte concrete.

9.5

Siamo ad un bivio: il CESE infatti si domanda come sia possibile che i ritardi ed i dubbi dell'Europa, la prima economia del mondo, rischino di far morire la Grecia, la madre dei suoi principi, una piccolissima entità dal punto di vista economico (36), imponendo sacrifici a cittadini ed imprese, senza accompagnarli con un piano di aiuti per la crescita, l'unico modo per ripagare il debito, e con un piano per alleviare le gravi sofferenze sociali di una parte della popolazione greca ed europea. C'è da domandarsi che Europa sia mai questa.

Bruxelles, 22 maggio 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  GU C 143 del 22.5.2012, pag. 10.

(2)  GU C 133 del 9 maggio 2013, pag. 44.

(3)  GU C 143 del 22.5.2012, pag. 10.

(4)  GU C 44 del 15.2.2013, pag. 68 e GU C 11 del 15.1.2013, pag. 34.

(5)  GU C 143 del 22.5.2012, pag. 10.

(6)  «Tutto il parlare e scrivere di questi tempi di una presunta crisi dell'euro, non è altro che uno sventato ciarlare», Helmut Schmidt.

(7)  Sebbene con tassi differenti (crescita dell'1,6 % in media tra il 2001 e il 2006), mentre è stata del2,3 % nei tre paesi dell'Europa a 15 rimasti fuori dall'euro. Così per la disoccupazione, rimasta più bassa di quasi il 3 % in questi paesi.

(8)  «Tutte le nostre eccedenze sono in realtà deficit per gli altri. I crediti che abbiamo verso gli altri sono i loro debiti», H. Schmidt.

(9)  GU C 255 del 22.9.2010, pag. 10 e GU C 143 del 22.5.2012, pag. 10.

(10)  «L'euro potrebbe acuire le tensioni politiche tra i membri dell'UM, arrivando fino al punto di creare le condizioni per l'insorgere di nuovi conflitti, anche militari», Martin Feldstein e Milton Friedman.

(11)  Bain & Company Global Private Equity Report for 2012.

(12)  Reuters (2012). Il fondo sovrano di investimento della Norvegia - 610 miliardi di dollari USA- ridurrà la sua esposizione in Europa, 30 marzo 2012.

(13)  http://www.upi.com/Business_News/2012/07/25/Chinas-sovereign-wealth-fund-reports-loss/UPI-38111343274421/#ixzz2AcHV3HNp

(14)  GU C 11 del 15.1.2013, pag. 34.

(15)  Art. 219 delTFUE.

(16)  GU C 143 del 22.5.2012, pag. 10.

(17)  «I mercati non sono al servizio delpopolo, ma contro. Nostro compito è trasportare nei mercati e nella finanza lo spirito solidale dell'economia sociale», Angela Merkel, Cancelliera della Germania.

(18)  GU C 143 del 22.5.2012, pag. 10.

(19)  Decisione del Consiglio europeo del21 marzo 2003.

(20)  Vedere la risoluzione del Consiglio europeo di Amsterdam del 1997, punto 9, e le Conclusioni del Consiglio europeo straordinario di Lussemburgo, punti 37-40.

(21)  GU C 143 del 22.5.2012, pag. 10.

(22)  Idem.

(23)  Stuart Holland (1993). The European Imperative: Economic and Social Cohesion in the 1990s. («L'imperativo europeo: la coesione economica e sociale negli anni '90»), prefazione di Jacques Delors. Nottingham: Spokesman Press.

(24)  Conformemente all'articolo 2, paragrafo 2, dello Statuto del Fondo europeo per gli investimenti, «Le attività del Fondo possono comprendere operazioni di raccolta». In linea di principio, il Fondo ha confermato che potrebbe emettere obbligazioni grazie a una semplice decisione dell'Assemblea generale e a seguito dell'approvazione di un aumento delcapitale sottoscritto, come è avvenuto di recente nel caso della BEI. Tuttavia, se l'UE intende riconoscere l'importanza di emettere obbligazioni sia per finanziare una ripresa guidata dagli investimenti sociali che per rimettere in circolo gli avanzi a livello globale, è indispensabile che tale decisione riceva un'approvazione più esplicita. In principio essa potrebbe essere data dal Consiglio europeo in quanto «politica economica generale» dell'Unione per finanziare la ripresa, piuttosto che esclusivamente da Ecofin, e, qualora risultasse necessario, l'approvazione potrebbe portare a una cooperazione rafforzata, come nel caso della recente proposta in merito a una tassa sulle transazioni finanziarie, che potrebbe rivestire anche una valenza macroeconomica.

(25)  Philippe Aghion, Julian Boulanger ed Elie Cohen. Rethinking Industrial Policy (Ripensare la politica industriale). Bruegel Policy Brief, aprile 2011.

(26)  The Economist (2012), The Rise of State Capitalism: The Emerging World's New Model. (La nascita del capitalismo di Stato: il nuovo modello delmondo emergente), Relazione speciale, 21-27 gennaio 2012.

(27)  Blanchard, Blot, Creel et al., studi per Observatoire Français des Conjonctures Économiques.

(28)  In questo contesto è inaccettabile che la troika chieda alla Grecia di vendere alle società straniere la propria quota di maggioranza nella compagnia petrolifera nazionale, realizzando un profitto limitato di 50 miliardi di euro. I cittadini greci ritengono a ragione che si tratti di un provvedimento vantaggioso per i mercati ma non per i cittadini stessi. Pertanto il CESE propone che il Consiglio europeo chieda alla Commissione di rivalutare l'adeguamento strutturale richiesto alla Grecia per il breve periodo in modo da tenere conto degli introiti eccezionali previsti nel lungo periodo.

(29)  «Per la prima volta nella storia dell'UE stiamo assistendo ad uno smantellamento della democrazia», Jürgen Habermas.

(30)  «Un paese non può compiere azioni che nuocciono ad un altro dell'Eurozona», M. Draghi.

(31)  «[…] da quando siamo in dialogo e udiamo l'un l'altro», dalla poesia La festa di pace di F. Hölderlin, poeta, 1770-1843.

(32)  L'esempio della Spagna che ha un debito più basso (68,5 % del PIL) di quello tedesco (81,2 % del PIL) ne è una dimostrazione. Dati Eurostat per il 2011.

(33)  La relazione Spaak del 1956 ha riconosciuto che l'integrazione di economie con diversi livelli di efficienza potrebbe aggravare le disparità strutturali, sociali e regionali e deve essere controbilanciata da politiche strutturali, sociali e regionali comuni.

(34)  1933: conseguenze della politica deflazionistica perseguita dal cancelliere tedesco Heinrich Brüning dopo la crisi del'29.

(35)  «Non abbiamo bisogno di un'Europa tedesca, ma di una Germania europea», H. Kohl.

(36)  2 % del PIL UE.


19.9.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 271/18


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «L'economia verde — Promuovere lo sviluppo sostenibile in Europa» (parere d'iniziativa)

2013/C 271/03

Relatrice: AGUDO I BATALLER

Correlatore: NARRO

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 15 novembre 2012, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

L'economia verde – Promuovere lo sviluppo sostenibile in Europa.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 aprile 2013.

Alla sua 490a sessione plenaria, dei giorni 22 e 23 maggio 2013 (seduta del 23 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 108 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che lo sviluppo dell'economia verde inclusiva sia la sfida principale a cui l'Europa sarà posta di fronte nei prossimi anni se vuole continuare a essere una potenza economica a livello mondiale. Nella conferenza Rio+20 l'UE ha puntato sull'economia verde come forma di sviluppo sostenibile ed è giunto il momento che l'UE agisca. A questo fine è necessario un modello di sviluppo economico che dia la priorità agli investimenti pubblici e definisca in modo adeguato gli incentivi per gli investimenti privati nelle infrastrutture e nelle attività di ricerca, sviluppo e innovazione (RSI) «verdi», al duplice scopo di aiutare l'attività produttiva ad uscire rapidamente dall'attuale situazione recessiva e di affrontare da posizioni di punta a livello economico e sociale la transizione verso questa terza rivoluzione industriale.

1.2

Il CESE ritiene che i cambiamenti, profondi e necessari, nei modi di produzione e consumo richiedano quale requisito fondamentale di associare la società civile all'intero processo di transizione verso un'economia verde inclusiva – e di associarla a tutti i livelli, soprattutto a livello settoriale e territoriale (europeo, nazionale e regionale). È necessaria una gestione partecipativa per attenuare al massimo la resistenza e gli effetti negativi che qualsiasi trasformazione implica. Questa partecipazione permetterà di progredire negli aspetti economici, sociali e ambientali in modo sostenibile.

1.3

Il CESE rileva con preoccupazione che negli ultimi anni le politiche di incentivi fiscali «verdi» hanno subito tagli profondi a causa delle politiche di austerità di bilancio, che stanno generando effetti drammatici di contrazione dell'attività economica e di distruzione dell'occupazione. L'FMI ha riconosciuto che i reali effetti di contrazione generati da queste politiche sull'attività produttiva sono stati molto maggiori di quanto stimato finora.

1.4

Il CESE sottolinea che con lo sviluppo dell'economia verde inclusiva le possibilità di creare occupazione aumenteranno. A questo proposito bisogna intendere come posti di lavoro «verdi» non solo quelli connessi ad alcuni dei nuovi settori emergenti, ma anche tutti quelli derivanti dalla «ecologizzazione» dei processi di produzione e dei prodotti in tutti i settori. Una transizione giusta verso un'economia verde richiede politiche attive dell'occupazione che assicurino la creazione di posti di lavoro dignitosi, compresa la formazione professionale e quella permanente per i lavoratori in attività. L'occupazione delle donne e dei giovani in questi settori saranno la chiave di questa crescita.

1.5

Il CESE ritiene che una politica industriale concordata tra le parti sociali sia indispensabile per coordinare gli sforzi nell'innovazione tecnologica e per stimolare i cambiamenti nelle infrastrutture di produzione di molti settori europei interessati dall'introduzione di un'economia a basse emissioni di carbonio ed efficiente nell'impiego delle risorse. Ciò richiederà anche un considerevole sforzo d'investimento da parte delle imprese.

1.6

Per il CESE, l'UE deve integrare gli obiettivi della strategia di sviluppo sostenibile in tutte le sue politiche, fondamentalmente nella strategia Europa 2020 e nelle sette iniziative faro. È necessaria la coerenza tra le differenti strategie dell'UE e i commissari devono esprimersi in modo unanime su questo tema. In particolare, la Commissione dovrebbe cogliere l'occasione di una revisione intermedia della strategia Europa 2020 per rafforzarne gli aspetti connessi alla sostenibilità e integrarla pienamente nella Strategia europea per lo sviluppo sostenibile. Sarà necessario definire e utilizzare indicatori che facciano riferimento alla qualità della crescita e ne permettano il monitoraggio e la valutazione.

1.7

Il CESE sottolinea il ruolo importante che il semestre europeo e l'analisi annuale della crescita possono e devono svolgere per garantire il monitoraggio delle politiche di sviluppo sostenibile. Il CESE ritiene necessario eliminare le sovvenzioni dannose per l'ambiente e rivolgere agli Stati membri raccomandazioni specifiche affinché aumentino la tassazione ambientale, oltre che le raccomandazioni in materia di gestione dei rifiuti e delle acque e per il miglioramento del riciclaggio. In questi settori gli Stati membri dovrebbero mostrare un'ambizione e degli obiettivi più vasti.

1.8

Il CESE esprime la propria preoccupazione per il fatto che il quadro finanziario pluriennale dell'Unione per il periodo 2014-2020 presenta una notevole contraddizione: i settori economici con maggiori emissioni di CO2 (il settore abitativo, industriale, dell'energia e dei trasporti) non sono quelli che ricevono un volume maggiore di fondi UE allo scopo di facilitarne il processo di transizione verso un'economia verde. Per questo motivo è indispensabile aumentare in modo consistente i fondi destinati a questi settori e garantirne un'applicazione efficace ed efficiente.

1.9

Il CESE considera particolarmente importante compiere passi avanti nella fiscalità ecologica, compresi gli incentivi fiscali per le imprese che creino fondi per il reinvestimento contro i cambiamenti climatici, purché tali fondi siano gestiti assieme ai lavoratori.

1.10

In rapporto alla politica commerciale dell'UE, il CESE ritiene che, per evitare i rischi di delocalizzazione industriale, occorra considerare l'introduzione di dazi equivalenti alla tassazione sul carbonio per quei paesi che non accettino di sottoscrivere impegni internazionali di riduzione delle emissioni.

2.   Introduzione

2.1

Nel 2011 l'Organizzazione per la Cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) e il Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente hanno elaborato relazioni esaurienti sull'economia verde. L'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) ha avviato il programma Posti di lavoro verdi e uno dei temi principali della conferenza Rio+20 del 2012 è stato L'economia verde nel quadro dello sviluppo sostenibile e dell'eliminazione della povertà.

2.2

Nel 2006 è stata rinnovata la strategia di sviluppo sostenibile dell'UE e nel 2009 è stato lanciato il pacchetto di misure in materia di energia e cambiamenti climatici volto a ridurre del 20 % le emissioni di gas a effetto serra, ad aumentare al 20 % la quota di energie rinnovabili e a migliorare del 20 % l'efficienza energetica entro il 2020 (1). L'UE deve compiere passi avanti nel ridurre ulteriormente le emissioni per il 2025 e il 2030. Nel 2011 la Commissione ha adottato l'iniziativa faro Un'Europa efficiente nell'impiego delle risorse  (2), nonché Una tabella di marcia verso un'economia competitiva a basse emissioni di carbonio nel 2050  (3), La strategia dell'UE sulla biodiversità fino al 2020 e la Tabella di marcia verso un'Europa efficiente nell'impiego delle risorse  (4).

2.3

Il CESE ha sempre sostenuto il concetto di un'economia più verde quale contributo alla realizzazione di uno sviluppo sostenibile, e che occorra dare la priorità, nel quadro della politica europea e nazionale, alle proposte della società civile per la transizione verso un'economia verde inclusiva, sottolineando in particolare la necessità di una stretta collaborazione tra tutti gli attori sociali. Per tale motivo vari pareri del CESE hanno fatto riferimento a questi diversi aspetti e alle successive proposte della Commissione. Il CESE ha sottolineato che il miglioramento dell'economia verde e della governance non può essere scisso dalla promozione della produzione, dell'occupazione e del consumo sostenibili, né dalla strategia per la parità tra uomini e donne o dal pacchetto di misure dell'UE sui cambiamenti climatici.

3.   L'economia verde

3.1

L'economia verde inclusiva deve trovare un equilibrio tra la prosperità economica, una maggiore coesione sociale e una maggiore salvaguardia delle risorse naturali, il cui uso razionale preserva il nostro benessere e quello delle generazioni future. Il suo obiettivo è la dematerializzazione della produzione, ossia separare la crescita economica dall'utilizzo delle risorse naturali e dalla produzione di inquinamento e rifiuti.

3.2

Secondo l'OIL, i posti di lavoro «verdi» riducono l'impatto ambientale di imprese e settori economici fino al raggiungimento di livelli sostenibili, contribuiscono a ridurre il consumo di energia, di materie prime e dell'acqua, a «decarbonizzare» l'economia e a ridurre le emissioni di gas a effetto serra. Il concetto di «occupazione verde» è relativamente dinamico, in quanto la linea che separa i posti di lavoro «verdi» da quelli «non verdi» dipende dai processi d'innovazione tecnologica. Pertanto i posti di lavoro verdi non sono soltanto quelli legati ad alcuni dei nuovi settori emergenti, bensì tutti quelli derivanti dalla «ecologizzazione» dei processi di produzione e dei prodotti in tutti i settori.

3.3

Lo sviluppo dell'economia verde è determinato da due fattori principali: uno consiste nelle politiche tese a contrastare i cambiamenti climatici e l'altro è legato alla crescente concorrenza dei paesi emergenti per ottenere risorse che saranno sempre più scarse e costose.

3.4

L'economia verde non rappresenta un mero aggiustamento settoriale tra comparti emergenti e altri più tradizionali (risultante dalla spinta tecnologica verso un'economia a basse emissioni di carbonio). Comprende una modernizzazione compatibile con l'ambiente dei modi di produrre e consumare, per integrare l'obiettivo di aumentare il valore aggiunto delle imprese e la loro sostenibilità ambientale - in termini di risparmio di materiali, di efficienza energetica, di organizzazione del lavoro e anche di rapporti tra i lavoratori e le imprese - nel miglioramento della produttività di tutti i fattori.

3.5

Negli ultimi anni sono diventati evidenti i limiti alla capacità della Terra, dal punto di vista sia delle risorse naturali disponibili per una domanda in crescita che della capacità del pianeta di assorbire i rifiuti e l'inquinamento.

3.6

Non bisogna dimenticare gli effetti dei cambiamenti climatici sulla salute: la maggiore frequenza di fenomeni meteorologici estremi, l'aumento dei livelli di ozono e delle particelle in sospensione nell'atmosfera, oltre che della loro tossicità a causa di temperature più elevate, e l'arrivo sul continente europeo di malattie infettive che si credevano debellate.

3.7

Le trasformazioni della struttura di produzione e trasporto dell'energia delle principali economie sviluppate, oltre che di gran parte di quelle emergenti, si concentreranno nei prossimi anni nel passaggio da un'economia ad alte emissioni di carbonio a un altro tipo di economia – a basse emissioni di carbonio – in cui un ruolo significativo nella generazione di energia sarà svolto da fonti energetiche rinnovabili e pulite, vale a dire, quelle che non emettono gas a effetto serra né altri rifiuti pericolosi.

3.8

Questa profonda trasformazione produttiva, che alcuni chiamano la «terza rivoluzione industriale», non sarà neutrale dal punto di vista della competitività internazionale, soprattutto per quei paesi, come la maggior parte degli Stati membri dell'UE, che sono importatori netti di energia e materie prime. Per questo motivo già dal 2009 molti governi dei paesi OCSE hanno varato piani d'incentivazione ambiziosi in cui gli investimenti in infrastrutture e in attività di ricerca, sviluppo e innovazione di tipo «verde» avevano un ruolo fondamentale, al duplice scopo di aiutare l'attività produttiva ad uscire rapidamente dall'attuale situazione recessiva e di affrontare, da posizioni di punta, l'attuale ristrutturazione dei modi di produzione.

3.9

Tuttavia lo sviluppo finanziario di questi piani in molti Stati membri dell'UE ha subito, al pari del bilancio dell'UE, tagli pesanti derivanti, tra gli altri motivi, dalle politiche di austerità di bilancio. L'economista capo dell'FMI ha riconosciuto che gli effetti di contrazione generati da queste politiche sull'attività produttiva sono stati molto maggiori di quanto stimato finora. Secondo uno studio condotto in 28 paesi, da quando è iniziata la crisi nel 2008 il moltiplicatore fiscale oscilla tra lo 0,8 e l'1,7 (5).

3.10

Questo rallentamento della spinta verso un'economia verde può generare problemi enormi per molti Stati membri dell'UE, in quanto attualmente il differenziale tecnologico tra i paesi sviluppati e quelli emergenti è molto più limitato e dinamico. L'Europa nel suo insieme non ha la garanzia di far parte del gruppo di testa delle nazioni sviluppate con economie a basse emissioni di carbonio e ciò nel lungo termine può generare forti tensioni all'interno dell'UE, in quanto verrebbe messa in forse la capacità di continuare a costruire una società più avanzata sul piano economico, più coesa a livello sociale e più sostenibile dal punto di vista ambientale. Bisogna tuttavia sottolineare che l'UE detiene una posizione di punta a livello tecnologico e produttivo in vari settori industriali con evidenti prospettive future.

3.11

Sviluppando l'economia verde con gli investimenti e incentivi necessari, le possibilità di creare occupazione in Europa aumenteranno. Non possiamo dimenticare le attività produttive attuali che formano la base economica degli Stati membri dell'UE. Molti dei posti di lavoro in industrie che attualmente sono considerate molto inquinanti saranno «verdi», nella misura in cui tali industrie affrontino processi che permettano loro di migliorare l'efficienza energetica e il consumo di materie prime, oltre a ridurre l'inquinamento da esse generato. Alcuni esempi: nel settore del trasporto su strada, le imprese che sviluppino e costruiscano veicoli elettrici ed ibridi, nonché veicoli destinati al trasporto pubblico. I settori dell'ingegneria civile rivolti alla costruzione delle linee ferroviarie ad alta velocità, in quanto tali linee implicano un considerevole risparmio energetico per passeggero rispetto all'aereo e al treno convenzionale. Oppure i settori della costruzione rivolta alla ristrutturazione energetica di alloggi che sono molto poco efficienti in termini di consumo energetico. Ciò deve essere realizzato in un quadro di sviluppo e rafforzamento del dialogo e della concertazione sociale, oltre che della contrattazione collettiva, in modo che il risultato finale sia positivo in termini di occupazione (sul piano quantitativo e qualitativo) e di equità (a livello di condizioni lavorative e di salari). Tuttavia solo otto Stati membri dell'UE hanno una definizione ufficiale di «posto di lavoro verde». Ciò porta a stime differenti, frutto di definizioni e metodologie differenti.

4.   La cooperazione della società civile a una transizione giusta verso l'economia verde, in cui l'innovazione tecnologica è un fattore determinante della competitività delle imprese

4.1

Una caratteristica assolutamente nuova di questa terza rivoluzione industriale è il grado di sviluppo raggiunto dalle forze produttive, oltre all'enorme sensibilità e pressione della società civile per i temi legati alla sostenibilità e all'ambiente. In Europa il forte sviluppo delle organizzazioni ecologiste, delle associazioni di consumatori, dei sindacati, delle organizzazioni di imprenditori e di altri attori della società civile permette che gli scambi che vengono realizzati generino un'economia al servizio di uno sviluppo più governabile e sostenibile sul piano sociale e ambientale, qualcosa di impensabile nei processi precedenti, in cui il cambiamento tecnologico e produttivo era totalmente determinato dalle decisioni delle micro-imprese.

4.2

Nel Patto globale per l'occupazione, adottato nel giugno 2009, l'OIL pone esplicitamente in evidenza che «il dialogo sociale è un meccanismo prezioso per la progettazione di politiche attente alle priorità nazionali. Il dialogo sociale fornisce una base solida per l'azione comune dei datori di lavoro e dei lavoratori con i governi, volta a superare la crisi e favorire una ripresa sostenibile». Una politica industriale concordata tra le parti sociali è indispensabile per coordinare gli sforzi nell'innovazione tecnologica e stimolare i cambiamenti nelle infrastrutture di produzione di molti settori europei interessati dalla transizione verso un'economia europea a basse emissioni di carbonio e più efficiente nell'impiego delle risorse.

4.3

L'innovazione tecnologica è parte integrante dell'economia verde. Per questo motivo i settori, le imprese e le tecnologie che spingeranno per la «ecologizzazione» dell'economia riceveranno un impulso finanziario, sia pubblico che privato, maggiore in quanto aumenteranno la competitività globale dell'economia europea. In quest'ottica e allo scopo di orientare gli investimenti privati, la Deutsche Bank ha definito i seguenti settori come prioritari in rapporto ai cambiamenti climatici:

la produzione di energie pulite e rinnovabili;

le infrastrutture e i sistemi di gestione della distribuzione di energia;

nei sistemi di trasporto, la promozione della ferrovia e dei trasporti marittimi, oltre che della vettura ibrida nel medio termine e dei biocombustibili che non implichino una concorrenza con gli alimenti per l'utilizzo della terra;

la chimica «verde» e la ricerca nel campo dei nuovi materiali;

le industrie di base che risparmino più energia e riducano la dipendenza dall'estrazione di materie prime, e utilizzino in maggior misura nuovi materiali meno inquinanti (compresa la siderurgia, la fabbricazione di cemento con basse emissioni di carbonio, ecc.);

le attività di costruzione che implichino un miglioramento dell'efficienza energetica degli edifici e della loro capacità di generare energia;

la gestione dei rifiuti;

l'agricoltura (fertilizzanti e antiparassitari «puliti», tra gli altri fattori);

i sistemi di purificazione, disinquinamento e desalinizzazione dell'acqua.

4.4

Andrebbe riservata un'attenzione speciale alle difficoltà che le PMI europee incontrano nell'ottenere finanziamenti sufficienti per i necessari investimenti che devono realizzare nell'ecoinnovazione.

4.5

Affinché l'innovazione sia un valore competitivo, il modello di organizzazione imprenditoriale deve tener conto di pratiche che incoraggino il coinvolgimento dei lavoratori. Occorre approfittare del fatto che la partecipazione dei lavoratori all'organizzazione del lavoro e alla pianificazione dell'impresa rappresenta un evidente fattore di innovazione e permette di ottenere dei guadagni di produttività. Ciò implica una sfida legata alla modernizzazione del sistema dei rapporti di lavoro e della contrattazione collettiva e il loro legame con la gestione dell'impresa.

4.6

La partecipazione dei lavoratori nelle imprese rappresenta uno degli elementi principali nel favorire la posizione di punta dell'Europa in molti settori tecnologici e nel far sì che essa mantenga la sua capacità di esportazione. La questione non può essere considerata soltanto dal punto di vista della ripartizione della ricchezza generata, in quanto la partecipazione dei lavoratori è un elemento determinante nella generazione di ricchezza, come riconosciuto dalle stesse imprese (6). In generale, le difficoltà d'innovazione sono fondamentalmente connesse a strutture organizzative rigide, che concepiscono il lavoratore come un mero strumento.

5.   L'economia verde nelle politiche europee

5.1

Alla conferenza Rio+20, l'UE ha appoggiato un'economia verde inclusiva che consentisse di avanzare verso lo sviluppo sostenibile. L'obiettivo della Commissione è promuovere la crescita sostenibile e inclusiva, ponendo l'ecologizzazione dell'economia al centro delle sue attività tese a dare un seguito a Rio+20. Ai fini dell'indispensabile coinvolgimento della società civile in questo processo, i governi devono sviluppare il dialogo sociale.

5.2

Per contribuire all'attuazione della sua iniziativa faro e della Tabella di marcia verso un'Europa efficiente nell'impiego delle risorse, nel 2012 la Commissione ha istituito una piattaforma europea sull'efficienza nell'impiego delle risorse (che presenterà una relazione intermedia nel 2013 e una relazione finale nel 2014) che lavora su proposte concrete per la transizione verso un'economia verde nei seguenti campi: «condizioni quadro per gli investimenti in energie rinnovabili», «fissazione di obiettivi e misurazione dei progressi» (in quest'ottica, bisogna costruire un robusto sistema di indicatori che vada al di là del PIL e mostri i risultati di queste politiche nei settori interessati e nell'intera società, ossia, aumento della competitività, miglioramento delle condizioni di lavoro per i lavoratori, tasso di riciclaggio, efficienza nell'impiego dell'energia e delle risorse, percentuale di energie rinnovabili, riduzione dell'inquinamento) ed «economia circolare/ecologizzazione dell'economia».

5.3

È particolarmente importante compiere passi avanti nella tassazione ambientale e nella riduzione degli alti sussidi ai combustibili fossili che esistono in molti Stati membri dell'UE, in quanto i prezzi di molti prodotti e servizi non indicano correttamente il totale dei costi di produzione giacché i costi dell'inquinamento sono esternalizzati. Le politiche di etichettatura ecologica a partecipazione volontaria si sono rivelate insufficienti, specialmente in un contesto di crisi come quello attuale in cui aumenta il numero di consumatori per i quali l'aspetto importante è il prezzo del prodotto, non la sua qualità ambientale. Una politica fiscale ecologica, per ottenere un alto livello di consenso sociale, deve valutare quali sono i suoi effetti sulla capacità competitiva delle imprese e le sue ripercussioni sociali sui cittadini - ciò che si è soliti chiamare «impoverimento energetico» - e sviluppare politiche complementari (industriali, commerciali e di aiuto ai gruppi sociali più svantaggiati) che attenuino tali effetti e ripercussioni. Andrebbero inoltre potenziati gli incentivi fiscali per il reinvestimento dei profitti delle imprese nella riduzione delle emissioni di CO2 attraverso fondi per il reinvestimento contro i cambiamenti climatici e altri impatti ambientali negativi, purché tali fondi siano gestiti assieme ai lavoratori.

5.4

La Commissione ha adottato la sua proposta per il Settimo programma d'azione per l'ambiente (7o PAA), il quale stabilisce il contributo della politica ambientale alla transizione verso un'economia verde. Il 7o PAA dovrà essere adottato dal Parlamento europeo e dal Consiglio, mentre il CESE ha già contribuito con l'elaborazione di un parere specifico (7). Tuttavia, il quadro finanziario pluriennale dell'Unione per il 2014-2020 presenta una notevole contraddizione: i settori economici con maggiori emissioni di CO2 (il settore abitativo, industriale, dell'energia e dei trasporti) non sono quelli a cui viene destinato un volume maggiore di fondi UE.

5.5

In rapporto alla politica commerciale dell'UE, bisogna considerare che l'aumento della tassazione sul carbonio dovrebbe spingere a introdurre dazi equivalenti per quei paesi che non accettino di sottoscrivere impegni internazionali di riduzione delle emissioni, allo scopo di ridurre il rischio di delocalizzazione. Un dazio sul carbonio è una restrizione del libero commercio, ma è già stato accettato dalla comunità internazionale in altri casi; il protocollo di Montreal, che è stato creato per protegger lo strato di ozono, contemplava la possibilità di introdurre restrizioni commerciali per rafforzare il rispetto delle relative norme, nella misura in cui il libero scambio non è fine a se stesso, ma un mezzo per generare ricchezza in modo sostenibile. È indubbio che evitare una catastrofe planetaria generata dai cambiamenti climatici sia più importante che mantenere i mercati mondiali aperti a merci la cui produzione comporta notevoli emissioni di gas a effetto serra.

Bruxelles, 23 maggio 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Per una sintesi cfr. COM(2011) 21 final, allegato 1 e http://ec.europa.eu/clima/policies/package/index_en.htm

(2)  COM(2011) 21 final.

(3)  http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2011:0112:FIN:IT:PDF

(4)  http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=COM:2011:0571:FIN:IT:PDF

(5)  IMF Working Paper13/1. Growth Forecast Errors and Fiscal Multipliers («Errori nelle previsioni di crescita e moltiplicatori fiscali»), preparato da Olivier Blanchard e Daniel Leigh, gennaio 2013.

(6)  Progetto EPOC della Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro.

(7)  Parere CESE in merito al Settimo programma di azione dell'Unione in materia di ambiente, GU C 161 del 6.6.2013, pagg. 77-81.


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

490a sessione plenaria del 22 e 23 maggio 2013

19.9.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 271/23


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione — Piano per un'Unione economica e monetaria autentica e approfondita — Avvio del dibattito europeo»

COM(2012) 777 final/2

2013/C 271/04

Relatore: CEDRONE

La Commissione europea, in data 19 febbraio 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione - Piano per un'Unione economica e monetaria autentica e approfondita - Avvio del dibattito europeo

COM(2012) 777 final/2.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 aprile 2013.

Alla sua 490a sessione plenaria, dei giorni 22 e 23 maggio 2013 (seduta del 22 maggio 2013), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 149 voti favorevoli, 12 voti contrari e 25 astensioni.

1.   Conclusioni e proposte

1.1

La comunicazione della Commissione rappresenta un contributo importante al lancio di un dibattito sull'UE, estremamente necessario, e un notevole passo avanti rispetto a metodi e contenuti del passato per quanto attiene all'UEM. Inoltre, per la prima volta, dà indicazioni sul ruolo internazionale e sul futuro politico dell'Unione. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) quindi valuta positivamente la proposta, che può rappresentare una svolta storica, ma a condizione che il Consiglio, dopo un'attesa di 20 anni, abbia il coraggio e la volontà necessari per adottare e far entrare in vigore le disposizioni utili a raggiungere gli obiettivi indicati e per attuarla in tempi rapidi.

1.2

Con le decisioni assunte nel corso del 2011-2012, il Consiglio europeo ha infatti avviato un'importante ed articolata riforma della governance europea in materia di sorveglianza degli squilibri macroeconomici eccessivi, rafforzamento delle regole di bilancio e coordinamento delle politiche economiche dei paesi dell'euro. Gli interventi non convenzionali di acquisto «condizionato ma illimitato» di titoli pubblici di Stati in difficoltà decisi di recente dalla Banca centrale europea (BCE), l'istituzione del meccanismo di vigilanza unico, volto a garantire una vigilanza prudenziale rigorosa e imparziale e a spezzare il nesso tra Stati e banche, e le regole per la liquidazione delle banche costituiscono strumenti necessari per garantire la stabilità dell'UEM.

1.3

Il CESE condivide la strategia presentata dalla comunicazione della Commissione, e di recente riaffermata dal Presidente del Consiglio europeo Van Rompuy (Verso un'autentica Unione economica e monetaria) per il rafforzamento della zona euro e, tuttavia, ritiene che essa non sia sufficiente per garantire agli Stati membri, ai cittadini e alle imprese, di trarre pienamente vantaggio dall'UEM, come i fatti degli ultimi dieci anni hanno dimostrato. Ci sono responsabilità politiche del Consiglio, risalenti al Trattato di Maastricht, che limitarono gravemente l'UEM che ne scaturì. Ecco perché oggi la Commissione propone un piano per un'UEM autentica e approfondita.

1.4

Affinché sia possibile dare all'UEM maggiore stabilità ed assicurare la crescita economica ed occupazionale ai paesi dell'euro occorrono da subito, contemporaneamente, e non nel medio – lungo periodo, interventi più incisivi, come un piano sulla crescita e meccanismi di integrazione economica più forti, che il Consiglio deve mettere in atto. Occorre, cioè un mix di politiche macro e micro-economiche, un impegno consistente, un senso di solidarietà, di fiducia e di appartenenza degli Stati membri e tra questi e l'UE, non dimenticando che l'obiettivo primario dei provvedimenti in discussione deve essere il bene di tutti.

1.5

Il CESE, pur esprimendo apprezzamento per la comunicazione, fa rilevare che anche nel caso in cui tutto venisse reso operativo, difficilmente si avrebbero effetti sostanziali, in particolare per quanto attiene al metodo decisionale, poiché manca una proposta concreta sull'Unione politica per dare una casa all'euro. Lo stesso per quanto riguarda il debito, il superamento degli shock asimmetrici, la crescita, la competitività, l'occupazione (per la quale occorrerebbe prevedere uno studio d'impatto sistematico). Sono tutti limiti presenti nella situazione attuale.

1.6

Il CESE ricorda che sulla gran parte delle proposte attuali della CE, com'è noto, sono già stati elaborati pareri ed indicate soluzioni da parte del Comitato, in particolare quelle afferenti i limiti dell'UEM, della BCE, la questione della crescita e del debito sovrano (1). I passi avanti effettuati dalla Commissione e dal Consiglio fino ad oggi rappresentano una buona base per continuare il lavoro in quest'area. Perciò il CESE ritiene positivo che la CE si sia decisa a formulare delle indicazioni future su queste materie e si augura che sia l'occasione giusta per prendere in fretta provvedimenti concreti, da parte del Consiglio, su debito e crescita, compiendo così un vero e proprio salto di qualità.

1.7

Infatti, mentre le ultime decisioni dell'UE riportate nella comunicazione soddisfano, anche se parzialmente, il quadro macroeconomico, appaiono insufficienti le proposte al livello micro, sui settori produttivi, le uniche in grado di rilanciare la crescita. Il documento della Commissione cerca di aprire un dibattito sull'UEM, un tema che va ben oltre il risanamento dei bilanci e le politiche macroeconomiche. Occorrerebbero anche delle politiche microeconomiche come, ad esempio, un vero e proprio patto per l'industria (industrial compact).

1.8

Inoltre, la proposta della Commissione potrebbe essere maggiormente condivisa se, nelle diverse fasi temporali individuate per l'attivazione delle misure necessarie a rendere più stabile e funzionante l'UEM, venissero fatti riferimenti più espliciti alla necessità di perseguire politiche europee in linea con questo obiettivo, definendo gli ambiti di intervento che si intendono realizzare e le novità da introdurre per rendere anche la spesa europea più razionale e più efficace.

1.9

La Commissione può e deve contribuire all'attuazione delle riforme indispensabili ad accrescere la competitività dei sistemi produttivi e amministrativi nazionali adottando metodologie e criteri innovativi di intervento relativamente al mercato unico, alla gestione dei fondi strutturali e alle principali politiche comuni. Inoltre, dovrebbe prendere spunto dalle innovazioni introdotte dalla BCE e proporre modifiche altrettanto significative, come più volte sostenuto dal CESE, nell'attuazione delle politiche europee che maggiormente interessano le aree, le regioni ed i settori più vulnerabili dell'UE.

1.10

Relativamente alla BCE, occorre dare piena attuazione alla sua configurazione a favore della crescita e dell'occupazione e di prestatore di ultima istanza. L'intendimento dei paesi euro di muovere in questa direzione contribuirebbe a consolidare la fiducia nella BCE e nell'euro e a contrastare gli attacchi speculativi, in particolare nei riguardi dei paesi con maggiori difficoltà di bilancio.

1.11

La stabilità dell'euro non può essere affidata solo alla BCE e alla politica monetaria comune, lasciando totale autonomia agli Stati membri nella conduzione delle loro politiche fiscali e di bilancio. Il CESE ritiene che l'unione fiscale, nella prospettiva di un bilancio unico dell'euro-zona, non possa, come previsto nella comunicazione, essere rinviata nel più lungo periodo ma deve diventare, insieme alla moneta unica e alla vigilanza unica bancaria, l'altra gamba sulla quale costruire nel breve e medio periodo la stabilità dell'UEM, assicurando in tal modo i mercati sulla coerenza del progetto europeo.

1.12

Per quanto riguarda le proposte istituzionali, la CE compie uno sforzo notevole. Il CESE ritiene utile porre in agenda, finalmente, la questione istituzionale, posta alla base delle sue proposte innovative, compresa l'Unione politica. Una proposta completamente nuova. Ritiene però che gran parte di tali proposte si muovano nell'ottica del quadro attuale, con un progresso molto limitato, e quindi non siano risolutive, se il Consiglio non andrà oltre, considerandole solo uno stimolo per agire.

1.13

Potrebbero essere un ulteriore passaggio intermedio, ma il CESE, che dovrebbe essere parte integrante di tale processo, sulla base di quanto già proposto ed approvato, ritiene che non sia più tempo di passi parziali su alcune materie, quanto piuttosto di compiere un salto di qualità sia nei contenuti delle politiche che nel processo decisionale per attuarle, senza più finzioni, per non continuare a ripetere dopo che occorrono «vere» politiche, una «vera» UEM, una «vera» Unione politica, ecc. Bisogna agire con più determinazione e celerità, adesso, da un lato, per interrompere la recessione che ha investito una gran parte della UE e, dall'altro, per colmare i vuoti lasciati in sospeso da tempo e che la crisi finanziaria internazionale ha solo fatto esplodere.

1.14

Il CESE chiede che il Consiglio, prendendo spunto dalle proposte della Commissione, agisca con più coraggio e chiarezza per quanto riguarda il rispetto degli accordi conclusi e le responsabilità nel presentare proposte da approvare e attuare, in particolare sostenendo l'estensione del voto a maggioranza a tutte le materie, a partire dalle politiche economiche e occupazionali, nell'ottica di una modifica del Trattato.

1.15

Le proposte del CESE in sintesi

1.15.1

Per realizzare una vera UEM il CESE ritiene pertanto che occorra nell'immediato (senza modificare il Trattato):

lanciare un'iniziativa europea per la crescita in quanto con la sola austerità non si potrebbe soddisfare nessuno dei criteri fissati dall'Unione;

facilitare il superamento delle asimmetrie economiche tra i paesi, attraverso un meccanismo di convergenza solidale; si potrebbe agire con interventi mirati al livello micro a favore dei paesi più colpiti dalla crisi, per ridurre la disoccupazione giovanile (ad es. dare un contributo UE per ogni giovane assunto), intervenendo cioè con condizionalità positive;

avviare a soluzione il problema del debito, come richiesto dalla stessa Commissione e dal CESE, per far fronte ai problemi di tutti i paesi che hanno adottato o adotteranno l'euro;

attuare rapidamente l'unione bancaria e la sorveglianza europea;

completare il mercato unico in tutti i settori (fiscale, finanziario, bancario, energetico, servizi, ricerca e innovazione, ecc.);

attenuare la frammentazione del mercato creditizio in modo tale che a parità di condizioni il costo del credito sia uguale in tutti gli Stati membri.

1.15.2

A medio e/o a lungo termine, con eventuali modifiche al Trattato, occorre:

creare un vero governo economico della UE insieme a quello monetario, finanziario e fiscale, anche per dare maggiore coerenza tra le politiche centrali e quelle decentrate;

completare il mandato della BCE;

rafforzare il metodo decisionale e le strutture in un'unica entità per dare «un governo» all'euro, completare e unificare il sistema attuale e realizzare un'unione fiscale, a partire dalla creazione di un bilancio comune dell'Eurozona, prevedendo anche un meccanismo di solidarietà per ridurre gli squilibri economici tra i paesi;

realizzare un patto sociale per un'Unione sociale con il coinvolgimento delle parti sociali e civili organizzate;

creare un'unione politica, procedendo attraverso una cooperazione rafforzata, anche per dare una voce unica all'euro e per realizzare un processo decisionale più democratico e trasparente. Potrebbe essere opportuno a questo fine dare un potere costituente al prossimo PE insieme al Consiglio;

dare un ruolo più rappresentativo all'Unione negli organismi internazionali.

2.   Osservazioni generali: criticità

2.1

Il Comitato sa che la questione sul tappeto è una delle più complesse tra quelle dibattute in questo momento. L'Europa sta entrando in una nuova fase di maggiore integrazione e ciò richiede una serie di passi coraggiosi. Il CESE accoglie molto favorevolmente l'avvio del dibattito sul futuro dell'UEM come prima tappa in questa direzione e fa notare che la realtà macroeconomica dell'UEM è il risultato di decisioni microeconomiche. Le politiche macro e microeconomiche andrebbero pertanto allineate verso il conseguimento degli stessi obiettivi generali.

2.2

L'articolo 9 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, completato dagli articoli 151 e 153, stabilisce essenzialmente che, nella definizione e nell'attuazione delle sue politiche e azioni, l'Unione deve tener conto delle esigenze connesse con la promozione di un elevato livello di occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro e la lotta contro l'esclusione. Il Comitato nota con stupore che la comunicazione in esame non considera nessuno di tali parametri tra gli obiettivi di un'«Unione economica e monetaria autentica e approfondita». Il CESE, oltre a chiedere che questi obiettivi vengano enunciati esplicitamente, ritiene necessario garantire un maggiore monitoraggio (studi d'impatto) degli effetti prodotti dalle politiche economiche e monetarie sulle situazioni sociali e sul mercato del lavoro, e reputa opportuno elaborare delle misure volte a eliminare le conseguenze economiche e sociali negative che tali politiche potrebbero generare.

2.3

Nessuna delle proposte avanzate dalla Commissione per un'UEM più stabile e credibile può effettivamente realizzarsi (né nel breve né nel medio - lungo periodo) se gli Stati membri, e in particolare i paesi più colpiti dalla crisi economica e finanziaria, non ritornano a crescere e a dare soluzione ai problemi del lavoro, della disoccupazione, in forte crescita specie tra i giovani, e a ridurre i divari che permangono tra i paesi membri. Ma, egualmente, nulla si realizzerà se il Consiglio e l'Eurogruppo non raccoglieranno i suggerimenti della CE per far avanzare le riforme necessarie a completare l'UEM, in attesa da 20 anni, e se gli Stati membri non si impegneranno a fondo in questa direzione per gestire insieme parte della sovranità di ognuno, necessaria a questo fine.

2.4

La principale preoccupazione della Commissione resta quella di assicurare il coordinamento delle politiche economiche dei paesi membri attraverso un insieme articolato di misure e strumenti di rafforzamento della convergenza delle politiche di bilancio e dei sistemi di sorveglianza. Ciò consentirebbe di allentare le difficoltà che i paesi più indebitati hanno nel finanziamento del debito pubblico e di rispettare i severi piani di rientro e sostenibilità del debito proposti dalla Commissione e approvati di recente dai paesi membri (fiscal compact). Ma per riconquistare la fiducia dei cittadini e dei mercati, le misure intraprese a livello nazionale devono muoversi all'interno di una logica comune europea e produrre effetti concreti e positivi per cittadini ed imprese; perciò occorre maggiore coerenza tra le politiche macro-economiche e quelle micro (giovani, mercato del lavoro, previdenza, ecc.) da realizzare a livello nazionale.

2.5

Buona parte dei paesi euro sono entrati nel 5o anno di crescita negativa e le previsioni per i prossimi anni indicano miglioramenti molto contenuti nelle principali macrovariabili. Le proposte avanzate dalla Commissione per rafforzare l'UEM, per essere credibili e diventare oggetto di un vasto e condiviso dibattito sul futuro dell'UEM, che non riguardi solo gli esperti, ma tutta la società civile europea, devono essere accompagnate da altre osservazioni e/o misure.

2.6

I paesi euro sono chiamati, nel rispetto degli impegni assunti con l'UE, a perseguire anche nei prossimi anni severe politiche di bilancio che, in primo luogo, potrebbero essere assicurate attraverso riforme finalizzate alla razionalizzazione della struttura dei bilanci nazionali, sia dal lato della spesa, sia dal lato delle entrate pubbliche, tenendo in debita considerazione la giustizia distributiva e gli effetti dei moltiplicatori fiscali. Ciò consentirebbe di recuperare guadagni di efficienza con effetti neutri sui saldi di bilancio e senza comprimere i settori di spesa essenziali per la crescita economica e il benessere sociale, quali la sanità, i sistemi di sicurezza sociale, l'istruzione, la ricerca e l'innovazione, le infrastrutture (2).

2.7

A queste misure di carattere nazionale, però, bisogna aggiungere provvedimenti a livello europeo, necessari alla crescita economica, all'occupazione e alla ripresa degli investimenti, come ad esempio: migliorare il funzionamento dei mercati del lavoro nazionali per integrarli nella zona euro anche attraverso il dialogo macroeconomico (3); la mutualizzazione parziale del debito pubblico al fine di arginare la speculazione; l'emissione di obbligazioni europee da parte della BEI e del FEI per finanziare la crescita e attrarre i surplus di risparmio globali (4); la possibilità di escludere dal debito pubblico alcuni investimenti strutturali, necessari ad innescare un ciclo virtuoso di crescita; ed, infine, l'attenzione accresciuta alla politica industriale sia da parte dei governi nazionali, sia da parte dei responsabili delle decisioni politiche a livello europeo.

2.8

La responsabilità per l'attuazione di queste politiche è dei governi dei paesi membri, tuttavia la Commissione deve, nell'ambito delle sue prerogative istituzionali e delle risorse del bilancio dell'UE che gestisce, assicurarne la realizzazione, contribuendo in tal modo a contenere gli squilibri ed i divari territoriali ancora esistenti.

2.9

Il CESE ritiene, inoltre, che l'analisi della Commissione sugli aspetti storici dell'UEM non sollevi i veri limiti economici e politici che erano insiti nella nascita dell'euro e che sono la causa principale della crisi che ha investito l'euro e l'UE. Appare quanto meno strano che in un'analisi sull'UEM non ci siano un riferimento ed una valutazione sui criteri di Maastricht, sulla «unicità» della politica monetaria, né sulle asimmetrie economiche tra i paesi. Non appare sostenibile l'idea, inoltre, che per la crisi del 2008 venga data la «colpa» solo al debito e non alla debolezza politica dell'UE e dei governi nazionali, considerando in particolare che sin dall'inizio dell'UEM gli Stati membri hanno sistematicamente rifiutato di avviare un dibattito sul coordinamento delle politiche fiscali e di bilancio.

2.10

Una necessità impellente sarebbe quella di realizzare un'Unione economica, un governo economico dell'UE (insieme o prima dell'Unione bancaria, ecc.), e la comunicazione della Commissione getta le basi per questo.

3.   Osservazioni specifiche sui contenuti delle proposte: punti di forza e debolezze

3.1

Nel breve periodo vengono prese in considerazione e descritte sette proposte di cui alcune già note perché rinviano a quanto approvato di recente dall'UE, il semestre europeo, la legislazione legata al «six-pack» e al «two-pack», la sorveglianza bancaria affidata alla BCE. Sono tutti passi importanti ai quali deve essere data piena attuazione secondo la relativa normativa europea e le raccomandazioni specifiche per paese approvate dal Consiglio. Le proposte della Commissione che il CESE ritiene più interessanti sono le seguenti:

3.1.1

La prima è l'introduzione, a seguito del meccanismo di supervisione unico (SSM), anche di un meccanismo di liquidazione unico (SRM) per risolvere i problemi delle banche in difficoltà. L'aspetto più innovativo in questo caso consiste nel fatto che i costi della risoluzione sono sostenuti dagli azionisti e dai creditori: ogni risorsa aggiuntiva necessaria per finanziare il processo di ristrutturazione deve essere fornita dal settore bancario e non più dai contribuenti (5).

3.1.2

La seconda riguarda l'introduzione di «uno strumento di convergenza e competitività» per sostenere la realizzazione delle riforme strutturali nei paesi dell'area euro. La proposta è molto dettagliata (Appendice 1 della comunicazione) nel descrivere il percorso previsto per l'attivazione ed il rispetto degli accordi che daranno vita a questo strumento. Restano indeterminati il grado di partecipazione e la dimensione del sostegno finanziario, di cui i paesi membri potrebbero beneficiare, entrambi elementi decisivi per assicurare la sostenibilità dello strumento, anche se la Commissione si riserva di presentare una proposta più dettagliata sulle sue modalità attuative (pag. 25 della comunicazione). A parere del CESE, tale strumento dovrebbe precedere, o quantomeno accompagnare, le riforme strutturali, per attenuarne l'impatto negativo. Inoltre, il CESE sottolinea che lo strumento di convergenza e competitività può essere efficace solo se, passo dopo passo, viene usato in coordinamento con le azioni e misure intraprese a livello nazionale.

3.1.3

Inoltre, la proposta sul quadro finanziario pluriennale pare che venga percepita come una punizione verso coloro che non rispettano il «patto tra gli Stati membri e la CE», invece che come incentivo per l'attuazione delle politiche definite a livello europeo. Le condizioni macroeconomiche rigorose richieste agli Stati membri dovrebbero essere accompagnate da un piano per la crescita e lo sviluppo di nuove opportunità occupazionali in particolare per i giovani, elaborato con la partecipazione attiva delle parti sociali e civili.

3.1.4

Il ruolo più incisivo della UE e dell'euro nella governance degli organismi monetari internazionali ed il rafforzamento della capacità di rappresentanza esterna dell'euro è uno degli aspetti più importanti sollevati dalla Commissione, ma anche in tanti pareri del CESE, per dare maggiore peso e forza decisionale alla UE e alla moneta unica nella governance monetaria internazionale. La Commissione, tuttavia, non esplicita le difficoltà, sia interne che esterne all'area euro, di questa proposta, tenuto conto dell'atteggiamento, non certo favorevole, dell'amministrazione americana (ma anche inglese) nei confronti di un aumento di peso dell'euro (e corrispondente diminuzione del peso del dollaro) e delle differenze che ancora permangono tra i paesi dell'Eurozona nella difesa di specifici interessi economici e politici in molti paesi in via di sviluppo assistiti dall'FMI.

3.2

Nel medio periodo , le proposte riguardano principalmente la costituzione di un Fondo di ammortamento del debito (FAD), subordinato a stringenti elementi di condizionalità per limitare l'azzardo morale, e la creazione di un nuovo strumento del debito sovrano per la zona euro (Eurobills) - proposte che sono da tempo già presenti nel dibattito delle principali istituzioni dell'UE e degli Stati membri. Anche il CESE ha sottolineato più volte nei suoi pareri la necessità di ricorrere a obbligazioni europee per mutualizzare parzialmente il debito (Union bond) quale strumento aggiuntivo sia per facilitare nell'area euro il ricorso al finanziamento del debito sovrano da parte dei paesi più indebitati, sia per ridurre i costi del servizio del debito (6).

3.2.1

Il CESE avrebbe pertanto preferito che la Commissione presentasse una sua proposta e/o che facesse riferimento alle proposte avanzate anteriormente dal CESE stesso, a quelle di ministri economici della UE, ecc., anche se riconosce i meriti della proposta del Consiglio tedesco degli esperti economici, ripresa nel documento della Commissione.

3.2.2

Tuttavia, l'enfasi posta sul FAD trascura che gran parte del successo della politica di rientro del debito sovrano, in questa ottica, dipende non solo dai progressi realizzati dalla riduzione della spesa pubblica ma soprattutto della crescita del reddito. Questa è la strada da percorrere, e per un arco di tempo ben più lungo di quello previsto nel medio periodo, per riportare il rapporto debito/PIL alla soglia richiesta da Maastricht. La proposta migliore forse rimane quella degli Union bond secondo quanto già illustrato in dettaglio dal Comitato (7). Ma ovviamente il problema non è lo strumento tecnico da usare, quanto piuttosto la sua soluzione.

3.2.3

Inoltre, la proposta nel suo complesso si muove nella logica del Patto di stabilità per quanto riguarda le richieste fatte agli Stati membri, senza alcuna innovazione che segni un'inversione di tali politiche, che non possono più continuare nella stessa direzione.

3.3

Nel lungo periodo , la parte meno sviluppata del documento della Commissione, è prevista l'evoluzione dell'UEM verso il completamento dell'unione bancaria, dell'unione fiscale ed economica. Si tratta certamente di obiettivi che il CESE condivide, a condizione che vengano definite le modalità necessarie per la loro realizzazione. Il CESE è d'accordo che si arrivi all'integrazione completa delle politiche economiche dei paesi membri, soprattutto in ambito fiscale ed economico, e ad un bilancio unico dell'UE dotato di risorse finanziarie proprie e con una capacità impositiva autonoma.

3.3.1

Per quanto riguarda gli aspetti istituzionali, la comunicazione si limita a descriverli, indicando su quale base sarà possibile costruire un'Unione economica e monetaria rafforzata nella sua architettura giuridica e nel governo delle principali politiche economiche, mentre tace sulle condizioni macro e microeconomiche che devono assicurare la fattibilità delle proposte nel lungo periodo.

3.3.2

Il CESE ritiene che tale obiettivo, così ambizioso, possa avere successo nell'ipotesi di una cooperazione rafforzata che intenda muoversi verso l'Unione politica. Un processo che potrebbe essere facilitato se nel contesto macroeconomico internazionale si portassero a compimento le riforme solo in parte avviate, inerenti le regole di funzionamento dei mercati creditizi e finanziari, i meccanismi di sorveglianza macro e microprudenziali, la riduzione degli squilibri macroeconomici (a partire dai deficit USA e dai surplus della Cina) che hanno alimentato la crisi finanziaria. Senza progressi significativi in questa direzione sarà difficile evitare il riprodursi di altre crisi economiche e finanziarie.

4.   Unione politica

4.1   Principi generali

4.1.1

Il CESE valuta comunque positivamente il tentativo della CE di affrontare il «deficit democratico» attuale dell'UE, così come la considerazione che il problema principale sia quello del trasferimento di sovranità. Si tratta cioè di avviare il processo per un'unione politica che unisca e gestisca in comune alcune delle politiche «sovrane» rimaste nazionali, attraverso un processo decisionale più trasparente e democratico, per dare una voce unica e un «governo» europeo dell'euro, l'altra gamba dell'UEM ancora mancante.

4.1.2

A questo proposito il CESE ritiene che:

a breve termine non sia necessario modificare il Trattato, come il CESE ha sufficientemente spiegato nelle sue proposte; per cui sarebbe meglio concentrare lo sforzo sulle proposte a lungo termine;

sia giusto affermare che il problema si pone in maniera più grave per l'Eurozona, per la quale è assolutamente inappropriato continuare a parlare di «coordinamento» delle politiche macro e microeconomiche, quanto piuttosto di politiche economiche comuni, come si sta facendo per l'Unione bancaria e per la sorveglianza comune a livello europeo, per la politica monetaria, ecc.

4.1.3

La questione perciò non sta nelle difficoltà del coinvolgimento del PE, quanto piuttosto nella creazione di un processo decisionale comune tra i paesi dell'Eurozona e quindi del relativo coinvolgimento del PE. Ciò che non può essere più consentito è mantenere politiche economiche e industriali indipendenti per ciascuno Stato e una politica monetaria comune che penalizza le economie dei paesi più deboli, in mancanza di strumenti di compensazione.

4.2   Ottimizzare le responsabilità

4.2.1

Il CESE valuta positivamente l'associazione del PE alla discussione sulle proposte relative alla crescita, così come il relativo coinvolgimento dei parlamenti nazionali. Lo stesso andrebbe fatto per i programmi di aggiustamento, senza limitarsi ad una semplice «informazione». Siamo ancora, comunque, nell'ambito delle alchimie formali, lontano da ciò che occorrerebbe fare nel processo decisionale dell'UE.

4.2.2

Innovative, invece, appaiono le proposte sui partiti politici che dovrebbero passare dall'essere europei a parole ad esserlo concretamente, agendo di conseguenza come una struttura europea unica e non come somma di tante specificità nazionali, in sintonia con quanto ancora fanno i singoli Stati o altre associazioni (sindacati, imprenditori, ecc.).

4.2.3

Sarebbe opportuno se non solo i partiti, come propone la CE, ma anche le altre grandi organizzazioni europee (ad esempio i sindacati, le associazioni imprenditoriali, ecc.) almeno dell'Eurozona, si organizzassero e agissero con una logica comune europea, non nazionale, già per le elezioni del 2014. Sarebbe un passo avanti considerevole, anche se insufficiente; sarebbe comunque un buon esempio per tutti.

4.2.4

Sarebbe necessario, in occasione delle elezioni, dare al PE un potere costituente che (insieme al Consiglio) gli consentirebbe, entro un tempo prefissato, di indicare il passaggio a una Unione politica, che estenda il voto a maggioranza su tutte le materie e il diritto di voto del Parlamento europeo anche su crescita e occupazione.

4.3   Le questioni poste se si modifica il Trattato

4.3.1

Il CESE ritiene positivo fondere, unificare le politiche economiche con quelle occupazionali, due facce della stessa medaglia, sebbene si tratti di un problema economico, non giuridico. Occorre invece un processo decisionale comune sull'insieme delle politiche economiche che metta in comune la strategia Europa 2020, il coordinamento dei bilanci nazionali, le politiche macro e micro-economiche, il mercato del lavoro dell'Eurozona, ecc. per andare al di là del sistema decisionale attuale. Non si può pensare che per il cambiamento dell'UEM sia sufficiente che il PE nomini una commissione apposita.

4.3.2

Appare, inoltre, poco chiaro pensare che, con l'affidamento al vicepresidente per le politiche economiche di un potere di coordinamento sull'UEM, anche se in collaborazione col PE, si possa migliorare la situazione attuale. Può bastare a tale proposito l'esempio della politica estera; perciò bisognerebbe dare un potere vero al commissario o a un eventuale ministro.

4.3.3

Una questione così importante non può essere risolta con delle alchimie giuridico- parlamentari formali, se prima non viene deciso uno spostamento della sovranità sulle politiche economiche, monetarie ed occupazionali, dal livello nazionale a quello europeo, come il CESE ha più volte proposto. Occorrerebbe creare un «governo economico» dell'Eurozona gestito dall'Eurogruppo con potere decisionale e voto a maggioranza, insieme al PE, con le opportune modifiche del Trattato, da fare subito, con la stessa urgenza con cui si è proceduto al varo del patto di bilancio, alla UB, ecc… Ciò consentirebbe di realizzare un mercato unico per le politiche economiche, industriali, la crescita e l'occupazione, con una visione comune e decisioni solidali tra i paesi, nell'interesse dei cittadini dell'UE.

4.4   Rappresentanza esterna UE

4.4.1

Il CESE valuta positivamente l'insieme delle proposte sulla rappresentanza esterna della zona euro. È un punto nodale della comunicazione, visti i riflessi internazionali della crisi e del rapporto tra le monete. Oggi infatti l'euro è come un vaso di coccio tra vasi di ferro. La strategia individuata dalla CE per consolidare la presenza dell'Eurozona nel FMI, consiste, in una prima fase, nell'affidarle lo statuto di osservatore e, solo in un secondo tempo, viene richiesto il seggio unico. Si tratta di tempi lunghi, che indeboliscono l'Eurozona, che dovrebbe avere invece una voce unica dentro i diversi organismi, in tempi rapidi, come il CESE ha indicato da tempo. Perciò le proposte della CE sono forse realiste, ma timide e insufficienti nel breve-medio periodo. Anche qui tutto dipenderà da cosa farà il Consiglio.

4.5   BCE

4.5.1

Appare insufficiente l'approccio usato per quanto riguarda la BCE. Inoltre, il CESE non condivide l'affermazione secondo cui il Trattato dovrebbe affrontare «il rafforzamento della responsabilità democratica della BCE», in quanto la BCE è un organismo dove le decisioni si prendono già a maggioranza (non è così nel Consiglio). Inoltre, i problemi ed il ruolo della BCE sono di altra natura e non ci si può riferire solo alla sorveglianza, come sembra fare la comunicazione della Commissione. Essi riguardano l'estensione del suo mandato alla crescita e all'occupazione, insieme alla stabilità e all'inflazione.

4.5.2

A tal fine bisogna anche assicurarsi che i meccanismi di trasmissione delle politiche della BCE all'economia reale funzionino correttamente. Gli interventi non convenzionali attuati di recente dalla BCE per dare maggiore efficacia a questi meccanismi, consistenti sia nel fornire liquidità al sistema bancario (i programmi CBPP e LTRO) sia nell'acquisto di titoli di Stato nel mercato secondario (i programmi SMP e OMT), possono considerarsi come un primo passo nella direzione auspicata, ma non configurano ancora un comportamento della BCE come prestatore di ultima istanza con propria e autonoma decisione e quando necessario, condizione che richiede (come è noto) una modifica dei Trattati.

4.5.3

Occorre rafforzare l'autonomia decisionale e gli strumenti d'intervento della BCE in riferimento al suo ruolo di prestatore di ultima istanza non per aumentare l'indebitamento degli Stati o dell'UE, ma per dare maggiore credibilità all'euro e per arginare gli attacchi speculativi nei riguardi del debito sovrano dei paesi più indebitati. Il CESE ricorda, in relazione in particolare agli effetti prodotti dagli interventi della BCE sulla sostenibilità del debito sovrano, come il solo annuncio di questa manovra abbia di fatto contribuito a ridurre le tensioni presenti sia sul mercato dei titoli del debito pubblico dei paesi dell'Eurozona, sia sui mercati finanziari e creditizi.

4.6   Corte di giustizia

4.6.1

Il potenziamento del ruolo della Corte di giustizia è ritenuto positivo dal CESE, ma non nel campo proposto dalla comunicazione (procedura d'infrazione degli Stati membri). Ciò significa perpetuare la convinzione che i problemi economici, debito compreso, siano problemi tecnico-giuridici e non piuttosto problemi politici, da affidare alla sfera di un processo decisionale democratico e trasparente della UE, la cui sovranità appartiene ai cittadini.

Bruxelles, 22 maggio 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  GU C 143 del 22.5.2012, pag. 10.

(2)  GU C 133 del 9 maggio 2013, pag. 44.

(3)  Idem.

(4)  Cfr. nota 1.

(5)  GU C 44 del 15.2.2013, pag. 68.

(6)  Cfr. nota 1. e GU C 299 del 4.10.2012, pag. 60.

(7)  Idem.


19.9.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 271/31


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante i dati informativi che accompagnano i trasferimenti di fondi»

COM(2013) 44 final — 2013/0024 (COD)

e alla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose compreso il finanziamento del terrorismo»

COM(2013) 45 final — 2013/0025 (COD)

2013/C 271/05

Relatore: ZEEB

Il Consiglio, il 27 e 28 febbraio 2013, conformemente al disposto dell'articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), e il Parlamento, in data 12 marzo 2013, conformemente al disposto degli articoli 114 e 304 del medesimo TFUE, hanno deciso di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose compreso il finanziamento del terrorismo

COM(2013) 45 final – 2013/0025 (COD)

e alla

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante i dati informativi che accompagnano i trasferimenti di fondi

COM(2013) 44 final – 2013/0024 (COD).

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 aprile 2013.

Alla sua 490a sessione plenaria, dei giorni 22 e 23 maggio 2013 (seduta del 23 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 145voti favorevoli e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore le proposte della Commissione intese ad adeguare il quadro normativo europeo per tener conto delle modifiche apportate alle norme internazionali in materia di prevenzione e di lotta contro il riciclaggio di capitali e il finanziamento del terrorismo. I criminali che abusano del sistema finanziario e delle possibilità offerte dal mercato interno minacciano infatti le fondamenta stesse della nostra società. A giudizio del CESE, è essenziale mettere a disposizione dell'Unione europea e degli Stati membri strumenti efficaci che permettano di rafforzare l'integrità e la trasparenza delle operazioni finanziarie: in questo senso, non c'è dubbio che le proposte presentate dalla Commissione vadano nella direzione giusta.

1.2

Il CESE apprezza i chiarimenti apportati in materia di obblighi di vigilanza che gli enti obbligati devono applicare, da un lato, per quanto concerne i beneficiari effettivi delle società, misura che consente di avere una situazione più trasparente in relazione alle persone fisiche che operano al riparo dello schermo che può rappresentare una persona giuridica, e, dall'altro lato, per quanto concerne le persone politicamente esposte che possono presentare un rischio più elevato di corruzione a causa delle loro funzioni. Approva inoltre l'inserimento dei prestatori di servizi di gioco d’azzardo nell'elenco degli enti obbligati, dal momento che questo settore può essere utilizzato per il riciclaggio di capitali.

1.3

Il CESE accoglie con favore il fatto che la Commissione fissi per l'UE l'obiettivo di dare l'esempio nella lotta globale contro il riciclaggio di capitali e il terrorismo. Il CESE ritiene che l'azione congiunta di tutte le parti interessate sia uno dei modi per assicurare l'efficacia del nuovo quadro normativo europeo, consentendo così all'Unione europea di dare l'esempio nel campo della lotta contro il riciclaggio di capitali. Il CESE apprezza i chiarimenti inseriti in tutta la proposta per garantire la proporzionalità nei confronti delle PMI e considera inoltre opportuno fornire ai «piccoli enti» un'assistenza tecnica e una consulenza professionale - per il tramite di organismi di livello intermedio come gli ordini professionali, le associazioni e le federazioni - che permettano loro di adempiere agli obblighi previsti dalla proposta di direttiva.

1.4

Il CESE plaude allo sforzo della Commissione, che si è impegnata nel delicato esercizio di ricerca di un equilibrio tra due ordini di problemi in linea di principio difficilmente conciliabili, ossia la protezione dei dati personali e la lotta contro il riciclaggio di capitali. L'obiettivo della raccolta e analisi d'informazioni, anche di dati personali, da parte di un ampio spettro di enti obbligati è unicamente quello di accertare l'esistenza di attività criminali. Gli enti obbligati, di conseguenza, devono fare in modo di proteggere, per quanto possibile, la vita privata dei loro clienti, impegnandosi nel contempo in modo privilegiato a coadiuvare le autorità nazionali nella lotta alla criminalità.

1.5

Il CESE accoglie con favore la proposta di armonizzare a livello europeo le sanzioni applicabili nel settore finanziario. L'attività di prevenzione della criminalità deve essere quanto più possibile efficace e sanzioni dissuasive e proporzionate agli importi oggetto di riciclaggio devono poter essere inflitte agli enti obbligati. Il CESE chiede pertanto alla Commissione e agli Stati membri di garantire l'applicazione coerente e corretta delle sanzioni amministrative e penali.

2.   Il contesto

2.1

Il riciclaggio di capitali, il finanziamento del terrorismo e della proliferazione delle armi di distruzione di massa costituiscono delle minacce per la sicurezza mondiale e l'integrità del sistema finanziario. Il gruppo d’azione finanziaria internazionale (in appresso «GAFI») è l'organismo incaricato a livello internazionale di elaborare misure - dette «raccomandazioni» - di prevenzione e di lotta contro il riciclaggio dei proventi di attività criminose compreso il finanziamento del terrorismo, e, da poco, il finanziamento della proliferazione delle armi di distruzione di massa.

2.2

Nel corso di quasi tre anni, le raccomandazioni del GAFI sono state rivedute per rafforzare le misure di prevenzione e proteggere maggiormente il sistema finanziario, dotando i governi di strumenti più robusti per sanzionare i reati gravi. Il GAFI ha così adottato nel febbraio 2012 nuove raccomandazioni (1).

2.3

Qui di seguito si illustrano le modifiche essenziali introdotte dalle nuove raccomandazioni del GAFI.

2.3.1

Le raccomandazioni precisano meglio il concetto di approccio basato sui rischi che i paesi e gli enti soggetti agli obblighi (in appresso «enti obbligati») devono applicare per precisare più adeguatamente i rischi di riciclaggio di capitali e di finanziamento del terrorismo che devono affrontare e per adeguare i loro sistemi di vigilanza, cosa che permetterà una ripartizione opportuna delle loro risorse in funzione della natura dei rischi individuati.

2.3.2

Le raccomandazioni forniscono i chiarimenti necessari sulla natura degli obblighi che incombono agli enti obbligati. Esse precisano la portata degli obblighi (i) di trasparenza sull'identità dei beneficiari effettivi di società e dei beneficiari di bonifici elettronici, nonché la portata degli obblighi relativi (ii) all'individuazione delle persone politicamente esposte che possono presentare un rischio più elevato di corruzione a causa delle loro funzioni.

2.3.3

Le raccomandazioni sanciscono mezzi più efficaci di indagine delle autorità giudiziarie penali e delle cellule di informazione finanziaria e rafforzano gli scambi d'informazione in materia d'inchiesta, di controllo e di perseguimento dei reati gravi.

2.4

Il GAFI comincerà un nuovo ciclo di valutazione reciproca dei suoi membri a partire dal 2014 e si concentrerà più in particolare sul grado di efficacia dell'attuazione delle sue nuove raccomandazioni.

3.   La proposta della Commissione

3.1

Le proposte di (i) quarta direttiva di lotta contro il riciclaggio di capitali e il finanziamento del terrorismo e (ii) di secondo regolamento sulle informazioni che accompagnano i trasferimenti di fondi s'inseriscono nell'aggiornamento del quadro normativo europeo e hanno per obiettivo quello di rispecchiare le modifiche apportate alle raccomandazioni del GAFI.

3.2

Le principali modifiche apportate dalle proposte al quadro normativo europeo sono le seguenti:

3.2.1

vengono inseriti nell'elenco degli enti obbligati (i) le persone fisiche o giuridiche che negoziano beni, soltanto quando concludono operazioni in contanti per un importo pari o superiore a 7 500 (2) euro, (ii) i prestatori di servizi di gioco d’azzardo e (iii) gli agenti di locazione.

3.2.2

La frode fiscale nell'ambito di reati gravi è specificamente definita come reato soggiacente al reato di riciclaggio.

3.2.3

La proposta di direttiva precisa che l'approccio basato sui rischi, sia a livello sovranazionale e nazionale che a livello di ogni ente obbligato, deve essere attuato in funzione di gradi di vigilanza corroborati da un elenco minimo di fattori da prendere in considerazione o da orientamenti elaborati dalle autorità europee di vigilanza.

3.2.4

Le autorità europee di vigilanza (EBA, EIOPA e ESMA). sono chiamate a partecipare all'analisi dei rischi di riciclaggio di capitali/finanziamento del terrorismo in seno all'Unione europea e ad emanare norme tecniche di regolamentazione destinate agli Stati membri e agli istituti finanziari.

3.2.5

Gli enti obbligati devono ottenere informazioni sui beneficiari effettivi e considerare le persone politicamente esposte, che abbiano incarichi a livello nazionale o che lavorino per organizzazioni internazionali, come una categoria di clientela particolarmente a rischio.

3.2.6

È fissato un elenco di sanzioni amministrative per i casi di violazione sistematica delle prescrizioni fondamentali della direttiva da parte degli enti obbligati.

3.3

Le modifiche proposte si basano soprattutto sullo studio (3) riguardante l'applicazione della terza direttiva di lotta contro il riciclaggio di capitali/finanziamento del terrorismo redatto da una società di audit indipendente, nonché sulle osservazioni ricevute dalla Commissione nel corso della sua consultazione pubblica.

3.4

Le proposte di direttiva e di regolamento sono destinate a sostituire la direttiva e il regolamento in vigore, che saranno abrogati.

4.   Osservazioni generali

4.1

Il CESE è d'accordo sulla necessità di adeguare il quadro normativo europeo esistente in materia di lotta contro il riciclaggio di capitali/finanziamento del terrorismo, tenuto conto delle modifiche intervenute a livello internazionale. Il CESE è consapevole del fatto che il fenomeno del riciclaggio di capitali/finanziamento del terrorismo riguarda tutti i settori dell'economia e sa che bisogna mantenere alta l'attenzione sull'efficacia del quadro normativo di prevenzione dell'utilizzazione del sistema finanziario a fini criminali.

4.2

Il CESE accoglie con favore il fatto che la Commissione fissi per l'UE l'obiettivo di dare l'esempio nella lotta globale contro il riciclaggio di capitali e il terrorismo. Esso ribadisce la sua posizione, già espressa in un precedente parere in cui accoglieva con favore «l'ulteriore sviluppo di norme per prevenire il riciclaggio di proventi di attività criminose e il finanziamento del terrorismo, perché ciò simboleggia un'Unione europea che garantisce elevati livelli di probità e di buona condotta nel comportamento pubblico e privato. La direttiva è al tempo stesso un'azione concreta nella gestione degli affari finanziari e un mezzo per rafforzare l'Unione europea» (4).

4.3

A giudizio del CESE, il fatto di abbassare la soglia a partire dalla quale i commercianti devono applicare gli obblighi previsti dalla proposta di direttiva da 15 000 a 7 500 euro rappresenta un altro passo nella direzione giusta al fine di promuovere altri strumenti di pagamento diversi dal contante. Il CESE ha già segnalato in un precedente parere (5) che i contanti incoraggiano l'economia sommersa e che altri strumenti di pagamento sono più trasparenti dal punto di vista fiscale ed economico, oltre ad essere meno onerosi per l'intera società, comodi, sicuri e innovativi.

4.4   Sostenere i «piccoli enti«

4.4.1

Il CESE accoglie con favore l'assoggettamento degli agenti di locazione e dei prestatori di servizi di giochi d'azzardo agli obblighi di lotta contro il riciclaggio di capitali/finanziamento del terrorismo, benché tali enti non formino oggetto delle raccomandazioni del GAFI.

4.4.2

Il CESE apprezza i chiarimenti inseriti in tutta la proposta per garantire la proporzionalità nei confronti delle PMI. Per garantire che i «piccoli enti» siano in grado di adempiere agli obblighi previsti dalla proposta di direttiva, il CESE raccomanda di coinvolgere ufficialmente organismi di livello intermedio, quali ordini professionali, associazioni o federazioni che rappresentano i «piccoli enti» a livello nazionale, dotandoli di poteri di orientamento, sostegno e intermediazione. È essenziale offrire un sostegno ai «piccoli enti» per evitare che diventino un obiettivo privilegiato di quanti riciclano capitali.

4.5   Conciliare le esigenze d'identificazione nell'era digitale

4.5.1

L'obbligo di identificazione delle persone deve essere assolto in loro presenza. In mancanza di ciò, gli enti obbligati devono applicare le misure di vigilanza rafforzata in ragione del rischio legato all'operazione conclusa a distanza. Il CESE si chiede se questo livello di requisiti sia conforme alla tendenza della nostra società verso una completa digitalizzazione.

4.5.2

Il CESE invita la Commissione a riflettere su misure che permettano di conciliare gli obblighi di identificazione della clientela con il ricorso sempre più diffuso ai pagamenti elettronici e alle comunicazioni elettroniche.

4.6   L'equilibrio tra la protezione dei dati personali e la lotta contro il riciclaggio

4.6.1

Il CESE sottolinea l'importanza di conciliare gli interessi legati alla protezione dei dati personali, da una parte, e la salvaguardia dell'integrità del sistema finanziario mediante la lotta contro il riciclaggio dei capitali/finanziamento del terrorismo, dall'altra.

4.6.2

Nella misura in cui il concetto di lotta contro il riciclaggio di capitali/finanziamento del terrorismo si basa sulla raccolta e l'analisi d'informazioni, anche di dati personali, da parte di un ampio spettro di enti obbligati, il CESE ritiene che le proposte soddisfino in larga misura le prescrizioni formulate sia a carico degli Stati membri che degli enti obbligati allo scopo di arrivare a un migliore equilibrio tra due ordini di problemi in linea di principio difficilmente conciliabili.

4.6.3

In merito all'obbligo, previsto dall'articolo 39 della proposta di direttiva, di distruzione dei documenti e delle informazioni raccolti dopo un periodo di 5 o 10 anni successivo al termine della relazione d'affari, il CESE sollecita gli Stati membri a garantire che la loro legislazione preveda circostanze (quali azioni penali, fallimenti, successioni) in cui tale obbligo non sia d'applicazione, in modo da evitare situazioni in contrasto con l'interesse generale.

4.6.4

Il CESE propone che la direttiva preveda espressamente l'obbligo di mantenere strettamente riservata l'identità delle persone che effettuano segnalazioni di operazioni sospette, a meno che tali persone non abbiano dato il loro accordo alla divulgazione della loro identità o nel caso in cui la loro identità debba essere divulgata per garantire un procedimento giudiziario equo nell'ambito di un'azione penale.

4.7   Consolidare la legittimità dell'intervento delle autorità europee di vigilanza

4.7.1

Il CESE prende nota del fatto che le autorità europee di vigilanza saranno coinvolte a livello europeo nell'analisi dei rischi di riciclaggio di capitali/finanziamento del terrorismo e potranno emanare orientamenti e norme regolamentari indirizzate agli Stati membri e agli istituti finanziari. Pur ponendo l'accento sull'importanza della concertazione e della cooperazione con le autorità europee di vigilanza nel campo della lotta contro il riciclaggio di capitali/finanziamento del terrorismo a livello europeo, il CESE osserva che tali autorità dispongono di competenze di rappresentanza e di regolamentazione limitate nei confronti del settore finanziario. Eppure, numerosi enti obbligati non rientrano nel settore finanziario e non sono quindi rappresentati a livello europeo. Il CESE propone pertanto che la Commissione partecipi a pieno titolo a livello europeo all'analisi dei rischi e alla formulazione di orientamenti a nome degli enti obbligati non finanziari assoggettati agli obblighi di lotta contro il riciclaggio di capitali/finanziamento del terrorismo.

4.7.2

Il CESE è convinto che sia necessario disporre di raccomandazioni e norme interpretative armonizzate a livello europeo onde garantire un'applicazione più uniforme delle regole in materia di lotta contro il riciclaggio di capitali/finanziamento del terrorismo negli Stati membri.

4.8   Le sanzioni amministrative

4.8.1

Le proposte stabiliscono un elenco di sanzioni amministrative in linea con la comunicazione della Commissione dell'8 dicembre 2010Potenziare i regimi sanzionatori nel settore dei servizi finanziari, su cui il CESE ha formulato un parere (6), elenco che figura anche in altre proposte recenti della Commissione (7).

4.8.2

Il CESE incoraggia l'armonizzazione a livello europeo delle sanzioni applicabili nel settore finanziario. Si deve però constatare che la repressione della la criminalità non è sufficiente a contenerla. È quindi essenziale che l'attività di prevenzione della criminalità sia quanto più possibile efficace e che sanzioni dissuasive e proporzionate agli importi oggetto di riciclaggio possano essere inflitte agli enti obbligati che non rispettano i loro obblighi in materia di lotta contro il riciclaggio di capitali/finanziamento del terrorismo.

4.8.3

Tuttavia, il CESE esprime dei dubbi quanto alla natura puramente «amministrativa» delle sanzioni proposte e teme che tali sanzioni amministrative possano essere rimesse in discussione, tenuto conto della gerarchia delle norme giuridiche e della proporzionalità delle sanzioni in materia penale. Se è vero che le sanzioni amministrative previste sono di carattere dissuasivo e perseguono un obiettivo di armonizzazione a livello europeo, resta il fatto che le sanzioni penali stabilite per il reato di riciclaggio sono diverse da un paese all'altro. Il CESE esorta la Commissione e gli Stati membri a garantire l'applicazione coerente e corretta delle sanzioni amministrative inflitte agli enti obbligati per non aver rispettato i loro obblighi di lotta contro il riciclaggio di capitali/finanziamento del terrorismo e delle sanzioni penali applicate in caso di reato di riciclaggio.

4.8.4

Il CESE esprime il timore che la conformità del regime di sanzioni amministrative agli articoli 6, par.1, e 7 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo possa essere posta in dubbio, con il rischio che determinate sanzioni amministrative vengano trasformate in pene, le quali possono essere pronunciate solo da un tribunale indipendente al termine di un processo equo, condizioni che non sono soddisfatte dalle autorità amministrative competenti. Invita pertanto la Commissione a trovare soluzioni giuridiche adeguate onde garantire che il regime di sanzioni proposto non possa in alcun modo essere rimesso in discussione.

4.8.5

Il CESE ritiene che l'introduzione, nella proposta, di norme minime basate su principi e concernenti l'applicazione di misure e sanzioni amministrative rappresenti un approccio in grado di favorire la risposta dell'UE nel suo complesso.

5.   Osservazioni particolari

5.1

Il CESE raccomanda di ampliare la definizione di finanziamento del terrorismo di cui al paragrafo 4 dell'articolo 1 della proposta di direttiva allo scopo di comprendervi «qualsiasi altro atto» diverso dai reati previsti, in conformità della redazione della raccomandazione 5 del GAFI.

5.2

Il CESE osserva che negli allegati alla proposta di direttiva figurano degli elenchi di fattori ed elementi di rischio di cui gli enti obbligati devono verificare la sussistenza ai sensi dei loro obblighi di lotta contro il riciclaggio di capitali/finanziamento del terrorismo. A giudizio del CESE gli elenchi che figurano negli allegati non sono completi e gli enti obbligati dovrebbero prendere in considerazione, in linea con l'approccio basato sul rischio, anche altri fattori strettamente collegati agli Stati membri e alle diverse circostanze delle operazioni da essi concluse.

5.3

Il CESE ritiene che la chiave per risolvere il problema della pirateria consista nello scoprire e nel prendere misure rigorose contro i flussi finanziari ad essa relativi. Nell'UE dovrebbe essere stilata una «lista nera» degli istituti finanziari coinvolti nel riciclaggio dei capitali legati alla pirateria. La Banca mondiale, l'Interpol ed Europol possono aiutare la lotta per rintracciare i riscatti di cui si dovrebbero seguire i percorsi e che dovrebbero essere confiscati in modo che la pirateria non costituisca più un'attività lucrativa (8).

Bruxelles, 23 maggio 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  www.fatf-gafi.org

(2)  La soglia attuale è pari a 15 000 euro.

(3)  http://ec.europa.eu/internal_market/company/docs/financial-crime/20110124_study_amld_en.pdf

(4)  GU C 267 del 27.10.2005, pagg. 30-35.

(5)  GU C 351 del 15.11.2012, pag. 52.

(6)  GU C 248 del 25.8.2011, pag. 108.

(7)  COM(2011) 651 final, COM(2011) 656 final, COM(2011) 683 final.

(8)  Parere del CESE sul tema La pirateria marittima: potenziare la risposta dell'UE (non ancora pubblicato nella GU).


19.9.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 271/36


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di direttiva del Consiglio che attua una cooperazione rafforzata nel settore dell'imposta sulle transazioni finanziarie»

COM(2013) 71 final — 2013/0045 (CNS)

2013/C 271/06

Relatore: PALMIERI

Il Consiglio, in data 28 febbraio 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 113 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Consiglio che attua una cooperazione rafforzata nel settore dell'imposta sulle transazioni finanziarie

COM(2013) 71 final — 2013/0045 (CNS).

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 aprile 2013.

Alla sua 490a sessione plenaria, dei giorni 22 e 23 maggio 2013 (seduta del 23 maggio 2013), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 94 voti favorevoli, 38 voti contrari e 9 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) - in linea con le posizioni espresse dal Parlamento europeo (1) e dal Comitato delle regioni (2), e coerentemente con i precedenti pareri espressi (3) - accoglie favorevolmente la proposta avanzata dalla Commissione di istituire la prima imposta sulle transazioni finanziarie (ITF) regionale nel mondo.

1.2

Il CESE, pur rammentando di aver auspicato l'applicazione di un'ITF a livello mondiale, ritiene che la sua applicazione a livello regionale (zona UE11+) - attraverso il coinvolgimento di 11 Stati membri (SM) dell'Unione europea (UE) (4) - possa rappresentare un'occasione di importanza eccezionale, in grado di favorire nel futuro la sua applicazione su scala mondiale.

1.3

Il CESE ribadisce l'importanza del metodo delle cooperazioni rafforzate quale strumento in grado di consentire agli SM di pervenire, su alcune tematiche previste dai Trattati (5), a un accordo il più ampio possibile, neutralizzando il blocco dell'unanimità che spesso ha condotto l'UE a un'impasse politica ed economica.

1.4

Il CESE ritiene che uno dei punti di forza dell'ITF proposta sia rappresentato dal fatto di essere un'imposta con una base imponibile ampia e con due aliquote basse, cosa che ne riduce gli effetti negativi distorsivi. Il CESE ritiene che l'introduzione dell'imposta nella zona UE11+ favorirà la costituzione di un mercato finanziario unico e pertanto considera opportuno che l'imposta sia resa effettiva dal 1ogennaio 2014, ritenendo inadeguate forme di introduzione graduale dell'imposta.

1.5

Il CESE ritiene che, per massimizzare l'impatto dell'imposta sulla crescita economica, sia opportuno destinare il gettito dell'imposta al finanziamento di un programma di investimenti di carattere nazionale ed europeo in grado di assicurare la ripresa economica e occupazionale nel breve termine.

1.6

Il CESE sottolinea con favore che, per neutralizzare o almeno ridurre al minimo il rischio di delocalizzazione delle attività finanziarie, la Commissione - nella nuova proposta di ITF - ha associato al principio di residenza o di territorialità (proposto nella versione originaria) il principio di emissione (issuance principle) avanzato dal Parlamento europeo e fortemente sostenuto dal CESE nel precedente parere (6). Il CESE osserva che l'applicazione cumulativa di questi principi potrebbe implicare che in certi casi gli istituti finanziari degli Stati membri non aderenti siano anch'essi imponibili. Per tale ragione il CESE ritiene opportuno – in linea con quanto proposto dal Parlamento europeo – avviare un approfondimento e opportuni negoziati con i paesi terzi per agevolare la riscossione dell'ITF.

1.7

Il CESE, in linea con il Parlamento europeo, ritiene opportuno che i principi di residenza e di emissione siano integrati con il principio del «trasferimento di titolarità». Un principio, questo, in grado di rendere effettivamente rischiosa e costosa l'elusione dell'ITF garantendo una sua migliore applicazione.

1.8

Il CESE valuta positivamente le modifiche introdotte dalla Commissione per migliorare la gestione dell'imposta, contrastandone l'elusione e l'evasione. Il CESE concorda con l'introduzione dell'esenzione del mercato primario delle transazioni relative a quote di Organismo di investimento collettivo di risparmio (OICR) (Units of undertakings for collective investments in transferable Securities - UCITS) e fondi di investimento alternativo (FIA) (Alternative investment funds - AIF) al fine di favorire il finanziamento delle imprese.

1.9

Il CESE, lamentando che la valutazione delle conseguenze micro e macroeconomiche dell'applicazione dell'ITF sia prevista solo dopo tre anni dall'entrata in vigore della normativa in esame, richiede che sia realizzata un'attività di controllo e di verifica permanente (monitoraggio annuale) da parte della Commissione. In tal modo sarà possibile pervenire a una valutazione immediata degli effetti dell'ITF, così da permettere di proporre tempestivamente gli eventuali correttivi nell'applicazione dell'imposta.

1.10

Il CESE, avendo espresso considerazioni critiche in merito all'insufficiente documentazione di valutazione che aveva accompagnato l'originaria proposta di ITF, accoglie favorevolmente il fatto che la Commissione europea abbia provveduto a sanare parzialmente tale vizio. Il CESE sottolinea che nella valutazione quantitativa degli effetti delle proposte è necessario che la Commissione migliori i modelli attualmente disponibili, adeguandoli alla valutazione di ipotesi alternative di policy. In particolare, si invitano i servizi della Commissione a produrre, ove possibile, stime legate alle caratteristiche effettive delle proposte concretamente fatte.

1.11

Il CESE lamenta che l'inapplicabilità dell'ITF - per il complesso dei 27 SM dell'UE - faccia mancare al bilancio dell'UE un pilastro fondamentale del sistema delle risorse proprie. Un sistema, questo, che doveva permettere di tornare a garantire la necessaria autonomia finanziaria dell'UE, così come era originariamente indicata dall'art. 201 del Trattato di Roma.

1.12

Il CESE sottolinea come nell'applicazione dell'ITF gli organismi di gestione debbano, attraverso il necessario coordinamento tra gli SM, ridurre al minimo i rischi di evasione e di elusione e diminuire i costi amministrativi di gestione.

1.13

Il CESE, pur ribadendo la necessità di procedere a un attento monitoraggio degli effetti dell'imposta sui ondi pensione e sui futuri beneficiari pensionati, non ne richiede un'esclusione dall'applicazione dell'ITF.

1.14

Il CESE, nell'assolvere le sue funzioni di organismo consultivo della Commissione, del Parlamento europeo e del Consiglio, riafferma l'intenzione di assumere l'impegno di procedere a un costante monitoraggio del processo attraverso il quale sarà tradotta in termini legislativi la proposta della Commissione.

2.   La proposta della Commissione per una direttiva del Consiglio che attui una cooperazione rafforzata nell'ambito di un sistema comune di imposta sulle transazioni finanziarie (ITF)

2.1

La direttiva proposta dalla Commissione europea (7) rispecchia la precedente proposta formulata nel settembre del 2011 (8). Una proposta questa che, pur non trovando in seno al Consiglio un accordo unanime, ha comunque mobilitato 11 SM dell'UE affinché il 28 settembre 2012 formulassero alla Commissione la richiesta ufficiale di procedere ad una cooperazione rafforzata per l'applicazione di un'ITF.

2.2

La Commissione, dopo aver valutato la fattibilità di tale richiesta, stabilendo che una cooperazione rafforzata su un'ITF non avrebbe avuto un impatto negativo sul mercato interno o su obblighi o diritti e competenze degli SM non partecipanti, nell'ottobre del 2012 ha formulato una decisione di autorizzazione, comunicata al Parlamento europeo nel dicembre del 2012, che ha avuto il consenso del Consiglio Ecofin del gennaio 2013.

2.3

La proposta della Commissione riflette essenzialmente la proposta originaria; alcuni cambiamenti sono inseriti con lo scopo di: i) pervenire a una migliore chiarezza normativa, e ii) rafforzare la normativa anti-abusi e anti-elusiva come richiesto dagli 11 SM.

2.3.1

Sono confermati e rafforzati i tre obiettivi originari: i) rafforzamento del mercato unico attraverso la neutralizzazione di impostazioni nazionali divergenti; ii) garantire, al pari degli altri settori, un contributo equo del settore finanziario al finanziamento delle entrate pubbliche; iii) promuovere gli investimenti del sistema finanziario verso l'economia reale.

2.3.2

Come nella proposta originaria, la base imponibile è ampia e le aliquote minime sono basse: 0,1 % per le transazioni finanziarie riguardanti azioni, obbligazioni, quote di titoli di investimento collettivo, strumenti del mercato monetario, contratti pronti contro termine, accordi di prestito di titoli; e 0,01 % per le transazioni finanziarie relative a contratti derivati.

2.3.3

Per evitare di ostacolare il normale svolgimento dell'economia reale, l'imposta non si applicherà: i) alle attività finanziarie quotidiane dei cittadini e delle imprese (prestiti, pagamenti, assicurazioni, depositi, ecc.); ii) alle attività bancarie tradizionali di investimento nel quadro della raccolta di capitali o alle operazioni finanziarie effettuate nell'ambito di ristrutturazioni; iii) alle attività di rifinanziamento, della politica monetaria e alla gestione del debito pubblico; iv) alle transazioni del mercato primario di quote riguardanti OIRC e FIA. Saranno pertanto esenti le attività effettuate con la Banca centrale europea, con le banche centrali, con il Fondo europeo di stabilità finanziaria (European Financial Stability Facility), con il Meccanismo europeo di stabilità (European Stability Mechanism) e le operazioni con l'UE.

2.3.4

Nella proposta è confermato il principio di residenza o di territorialità, in base al quale se l'istituto finanziario coinvolto nell'operazione è residente nella zona di applicazione dell'ITF, oppure agisce per un organismo che in quella zona risiede, la transazione è sottoposta all'imposta indipendentemente dalla zona geografica in cui essa è avvenuta.

2.3.5

Per scoraggiare il tentativo di delocalizzazione al di fuori della zona di applicazione dell'ITF è inserito il principio di emissione, come era stato richiesto dal Parlamento europeo e sostenuto dal CESE, un principio in base al quale la transazione è soggetta all'ITF qualora il prodotto finanziario oggetto della transazione è emesso da uno degli 11 SM partecipanti alla cooperazione rafforzata, indipendentemente dal fatto che i soggetti della transazione risiedano al di fuori della zona di applicazione del'ITF o dal luogo in cui si svolge la transazione.

2.3.6

L'azione contemporanea dei due principi (il principio di residenza e il principio di emissione) neutralizza o almeno riduce significativamente la propensione a delocalizzarsi al di fuori della zona ITF per eludere l'imposta. Infatti, per eludere l'imposta l'organismo finanziario dovrebbe rinunciare sia ai suoi clienti residenti nella zona ITF che a operare con tutti i prodotti finanziari emessi in quella zona. Una zona che, vale la pena ricordare, risulta comunque essere composta da ben 2/3 del PIL dell'Unione europea e dal 90 % del PIL dell'Eurozona. Un fattore, questo, che non rende opportune strategie di non interazione con questo mercato, nel quale l'uniformità dell'imposizione sui mercati finanziari sarà un forte elemento di realizzazione del mercato unico.

2.3.7

Il gettito prodotto dall'imposta, sulla base dei calcoli effettuati dalla Commissione, dovrebbe attestarsi sui 30-35 miliardi di euro annuali. Una quota pari a circa il 60,0 % del gettito che era stato precedentemente stimato nell'ipotesi che l'imposta avesse avuto un'applicazione estesa a tutti gli SM dell'UE (stima che, ricordiamo, era di 57 miliardi di euro). Il gettito sarebbe prodotto - per 13,0 miliardi di euro - da azioni e titoli e - per 21,0 miliardi di euro - da derivati.

3.   Osservazioni generali

3.1

Nel corso degli ultimi anni diversi SM dell'UE hanno approvato l'applicazione di forme diversificate di ITF, accrescendo in tal modo i pericoli di una diversificazione fiscale dannosa per il mercato interno (basi imponibili ristrette, diverse forme di esenzione). L'introduzione di un'ITF regionale favorirà la costituzione di un mercato finanziario effettivamente unico senza distorsioni alla concorrenza operate da sistemi di tassazione inefficienti.

3.1.1

Per tale motivo il CESE ritiene che l'ITF debba entrare in vigore rispettando i tempi previsti dalla Commissione, ossia il 1o gennaio 2014, senza prevedere forme di gradualità che, a seguito della normativa esistente a livello nazionale tra gli SM UE11+, potrebbero dare luogo a ritardi e problemi di carattere tecnico.

3.2

L'introduzione dell'ITF a livello dei 27 SM dell'UE, seppure opportuna, non è risultata realizzabile, pertanto la sua applicazione attraverso la cooperazione rafforzata - non producendo effetti negativi per gli SM non aderenti - risulta la via necessaria per garantire una sua applicazione futura a livello europeo e globale.

3.3

La mancata applicazione dell'imposta negli SM dell'UE può causare - in alcuni casi - un fenomeno di doppia tassazione all'interno dei paesi non aderenti. Si tratta di una questione che riguarda una piccola quota delle transazioni e che può comunque essere ovviata da accordi bilaterali di compensazione.

4.   Osservazioni particolari

4.1

Il CESE sottolinea che la stima iniziale degli effetti macroeconomici di lungo periodo (40 anni) dell'ITF sull'economia europea è stata profondamente modificata dai servizi della Commissione, passando da una stima di segno negativo dell'ordine di – 1,76 % ad una stima favorevole pari a circa + 1,0 %.

4.1.1

La stima che aveva accompagnato la proposta iniziale è stata modificata, inserendo nella valutazione sia gli effetti derivanti dalle aliquote effettive proposte che gli effetti «mitiganti». Ciò ha permesso di passare da – 1,76 % a – 0,53 % del PIL (9).

4.1.2

Successivamente la Commissione ha modificato ulteriormente tale valutazione ritenendo che questa non tenesse conto delle caratteristiche specifiche della proposta basandosi, inoltre, su ipotesi di lavoro irreali (ad esempio: che tutti i nuovi investimenti delle imprese fossero finanziati con strumenti soggetti all'ITF). Attraverso questa correzione l'impatto effettivo di lungo periodo sul PIL si riduceva ulteriormente ed era stimato pari a – 0,28 %. Nell'ambito di tale analisi la Commissione effettuava un'ulteriore valutazione di impatto considerando anche gli effetti legati all'utilizzo del gettito dell'ITF sia in alternativa ad altre forme di imposizione, sia quale possibile strumento di investimenti pubblici. Attraverso questa valutazione, ipotizzando un gettito dello 0,16 % del PIL, l'impatto dell'ITF sul PIL diventava positivo e si collocava tra lo 0,2 % e lo 0,4 % (10).

4.1.3

Quest'ultima ipotesi è però da ritenersi ancora penalizzante, perché nell'ambito del gettito complessivo non tiene conto della componente derivante dall'imposta sui derivati che è invece compresa nella proposta della Commissione e che farebbe passare il gettito complessivo dallo 0,16 % allo 0,4 % del PIL con conseguente effetto positivo sul PIL da parte dell'ITF dell'ordine dell'1 % (11).

4.2

Sulla base delle analisi realizzate dalla Commissione, l'efficacia dell'introduzione di un'ITF risulta essere massima per l'economia dell'UE se si utilizza il gettito dell'imposta - sia a livello europeo che a livello nazionale - per il finanziamento di un programma di investimenti pubblici che sia in grado di garantire il rafforzamento della crescita economica e dell'occupazione.

4.3

Il CESE nel corso di questi ultimi cinque anni, coincidenti con la crisi, ha formulato una serie di pareri nei quali raccomandava la necessità di riequilibrare le politiche macroeconomiche europee favorendo politiche di investimento a favore della crescita e dell'occupazione (12). Se si seguisse l'indicazione del CESE, il gettito proveniente dall'applicazione di un'ITF potrebbe così dare la sua massima efficacia proprio attraverso il suo impiego nel finanziamento di un grande programma di investimenti di livello nazionale ed europeo.

4.4

Il CESE ritiene che uno dei punti di forza dell'ITF sia rappresentato dal fatto di essere un'imposta con una base imponibile ampia e con due aliquote basse. Una caratteristica, questa, in grado di ridurre al minimo gli effetti negativi di imposte che, restringendo l'area di imponibilità e alzando le aliquote, provocherebbero forti distorsioni dei mercati. Per tale ragione il CESE, da un lato, ritiene che occorra limitare al massimo le esclusioni dalla base imponibile e le esclusioni dei soggetti imponibili e, dall'altro, esorta gli 11 Stati membri aderenti ad avviare un percorso che, applicando le aliquote proposte, tenda a dare reale e concreta attuazione a un mercato unico.

4.5

Il CESE giudica opportuno l'inserimento del «principio della titolarità», in base al quale una transazione finanziaria che elude l'ITF non è giuridicamente opponibile e non comporta il trasferimento della titolarità dello strumento finanziario in oggetto.

4.6

Il CESE concorda con l'ipotesi di escludere dalla base imponibile le transazioni relative a quote di OICR e di FIA, in quanto strumenti connessi direttamente al finanziamento delle imprese e al fine di ottemperare alle indicazioni della direttiva 2008/7/CE. Si sottolinea che la previsione di riduzione del gettito dovuta a questa esclusione si attesterebbe sui 4 miliardi di euro.

4.7

Il CESE, pur tenendo conto della necessità di tenere sotto controllo le eventuali pressioni sui tassi di interesse del debito pubblico, concorda con la proposta di tenere ferma l'esenzione per i titoli pubblici emessi sul mercato primario e l'imposizione delle operazioni in titoli pubblici scambiati sul mercato secondario; in questo ambito si ritiene opportuna l'esenzione sul mercato secondario solo per gli istituti delegati dalle autorità pubbliche a intervenire con operazioni connesse alla gestione del debito pubblico.

4.8

Per quanto riguarda i fondi pensione, il CESE aveva già espresso la necessità di sottoporre gli effetti dell'ITF sui fondi pensione a un apposito monitoraggio. L'esclusione dalla base imponibile delle quote di OICR e di FIA, così come l'esclusione dell'imposta sul mercato primario dei titoli del debito pubblico, rappresentano un fattore sicuramente positivo per i fondi pensione, vista la struttura del loro portafoglio.

4.9

Il CESE, pur ribadendo la necessità di procedere a un attento monitoraggio degli effetti dell'imposta sui fondi pensione e sui futuri beneficiari pensionati, non ne richiede un'esclusione dall'applicazione dell'ITF.

4.10

L'applicazione di un'ITF, senza pregiudicare la liquidità del sistema, favorisce gli investimenti dei fondi pensione verso strategie di lungo periodo, riducendo gli elementi destabilizzanti quali le transazioni ad alta frequenza delle attività finanziarie (13).

4.11

Nell'applicazione della nuova imposta, va fatta particolare attenzione alle modalità di gestione amministrativa, per ridurre al minimo sia i rischi di evasione ed elusione, sia i costi amministrativi a carico degli Stati membri e dei soggetti tenuti al pagamento dell'imposta. Per questo è opportuno che sia gli SM che la Commissione, nell'elaborare gli atti di esecuzione relativi ai metodi di pagamento e di verifica dell'imposta, curino la riduzione al minimo di tali costi amministrativi, verificandone attentamente l'evoluzione. A causa degli effetti della proposta, il CESE invita inoltre la Commissione a proporre delle modalità di cooperazione amministrativa tra gli istituti finanziari degli Stati membri non aderenti e gli Stati membri beneficiari dell'imposta.

4.12

Il CESE, avendo espresso delle considerazioni critiche in merito all'insufficiente documentazione di valutazione che aveva accompagnato l'originaria proposta di ITF, accoglie favorevolmente il fatto che la Commissione abbia provveduto a sanare parzialmente tale vizio attraverso le sette note esplicative dell'analisi di impatto che hanno accompagnato la precedente proposta (14), a cui deve aggiungersi la valutazione di impatto che accompagna la proposta attuale (15). Nonostante ciò, il CESE sottolinea come vi sia ancora una carenza di documentazione analitica e a carattere illustrativo sull'attuale situazione della tassazione dei mercati finanziari e sul gettito nei diversi paesi, in particolare degli UE11+. In particolare, sarebbe opportuna una valutazione più ampia sui possibili effetti sui risparmiatori e sui futuri pensionati, tenendo contro delle differenti ipotesi di traslazione dell'imposta.

4.13

Il CESE sottolinea come nella valutazione quantitativa degli effetti delle proposte sia necessario che la Commissione migliori i modelli attualmente disponibili, adeguandoli alla valutazione di ipotesi di policy alternative. Il CESE invita pertanto i servizi della Commissione a produrre, ove possibile, stime legate alle caratteristiche effettive delle proposte concretamente fatte.

Bruxelles, 23 maggio 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  2010/2105 (INI).

(2)  GU C 113 del 18.4.2012, pagg. 7–10.

(3)  GU C 44 dell'11.2.2011, pagg. 81–89; GU C 248 del 25.8.2011, pagg. 64–67; GU C 248 del 25.8.2011, pagg. 75–80; GU C 181 del 21.6.2012, pagg. 55–63.

(4)  Belgio, Germania, Estonia, Grecia, Spagna, Francia, Italia, Austria, Portogallo, Slovenia, Slovacchia.

(5)  Il ricorso alla cooperazione rafforzata è regolato dall'art. 20 del TUE e dagli artt. dal 326 al 334 del TFUE.

(6)  GU C 181 del 21.6.2012, pagg. 55–63.

(7)  COM(2013) 71 final.

(8)  COM(2011) 594 final.

(9)  SEC(2011) 1102 final, Volume 1, pag. 52.

(10)  CE, 2012, Scheda tecnica, Impatti macroeconomici.

(11)  Valutazione effettuata sulla base dell'analisi presente in: Commissione europea, 2012, relazione trimestrale sull'area dell'euro, Volume 11 n. 3 (2012).

(12)  Per citarne solo alcuni: GU C 133 del 9.5.2013, pag. 44; GU C 299 del 4.10.2012, pagg. 60–71; GU C 181 del 21.6.2012, pagg. 45–51; GU C 248 del 25.8.2011, pagg. 8–15; GU C 143 del 22.5.2012, pagg. 10–16.

(13)  Network for Sustainable Financial Markets («Rete per mercati finanziari sostenibili»), 2012, No Exemption – The Financial Transaction Tax and Pension Funds («Nessuna esenzione – La tassa sulle transazioni finanziarie e i fondi pensione»). dicembre. DIW, 2012, Financial Transaction Tax Contributes to More Sustainability in Financial Markets («La tassa sulle transazioni finanziarie contribuisce alla maggiore sostenibilità dei mercati finanziari»). Discussion Papers 1198.

(14)  Pubblicate il 4 maggio 2012 nel sito web dedicato.

(15)  SWD(2013) 28 final.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Il seguente emendamento, che ha ottenuto almeno un quarto dei voti espressi, è stato respinto nel corso del dibattito (articolo 54, paragrafo 3, del Regolamento interno):

Nuovo punto 4.7

Aggiungere il seguente nuovo punto dopo il punto 4.6:

Dato che gli studi sugli effetti dell'introduzione di un'ITF hanno dato risultati contrastanti, il CESE raccomanda: di monitorare con attenzione l'impatto nei paesi che già hanno seguito questa strada; di tenere conto degli effetti della riduzione di liquidità sulla volatilità dei mercati rispetto ai costi di prodotti specifici utilizzati per garantire le prestazioni assicurative e i risparmi pensionistici; e di valutare realisticamente se quei paesi siano riusciti a trovare il giusto equilibrio tra il gettito fiscale effettivamente percepito e l'aumento dei costi dei servizi finanziari, per le imprese come per i risparmiatori, in un momento di crisi. A giudizio del CESE, i risultati di questo monitoraggio devono essere analizzati attentamente, e ove necessario, le misure successivamente adottate vanno rapidamente adeguate a eventuali nuovi risultati.

Esito della votazione

Voti favorevoli

:

64

Voti contrari

:

94

Astensioni

:

25


19.9.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 271/42


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla protezione mediante il diritto penale dell'euro e di altre monete contro la falsificazione e che sostituisce la decisione quadro 2000/383/GAI del Consiglio»

COM(2013) 42 final — 2013/0023 (COD)

2013/C 271/07

Relatore generale: DE LAMAZE

Il Consiglio, in data 20 febbraio 2013, e il Parlamento europeo, in data e 12 marzo 2013, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla protezione mediante il diritto penale dell'euro e di altre monete contro la falsificazione e che sostituisce la decisione quadro 2000/383/GAI del Consiglio

COM(2013) 42 final - 2013/0023 (COD).

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 19 marzo 2013, ha incaricato la sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 490a sessione plenaria dei giorni 22 e 23 maggio 2013 (seduta del 23 maggio 2013), ha nominato relatore generale DE LAMAZE e ha adottato il presente parere con 130 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) non condivide le argomentazioni presentate dalla Commissione europea per motivare la proposta di direttiva in esame. In mancanza di dati scientifici a sostegno dell'affermazione secondo cui le disparità tra le sanzioni applicate al reato di falsificazione alimenterebbero il fenomeno del cosiddetto «forum shopping» (la ricerca del giudice potenzialmente più favorevole) da parte dei falsari, il CESE non ritiene in alcun modo giustificata la revisione della decisione quadro del 2000 al fine di introdurre una soglia minima della pena nell'UE sul cui «effetto dissuasivo» previsto dalla Commissione nutre forti perplessità.

1.2

Il CESE osserva che, con il pretesto di fissare norme minime, la proposta di direttiva instaura in realtà un arsenale repressivo estremamente dettagliato al servizio della lotta alla falsificazione, il che apparentemente esula da quanto consentito dall'articolo 83, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), tanto più che la proposta riguarda anche la competenza giurisdizionale e la procedura.

1.3

Oltre ad interrogarsi sulla necessità di un tale approccio repressivo, che potrebbe, per definizione, ledere i diritti e le libertà fondamentali, il CESE ne mette in dubbio anche l'efficacia, nella misura in cui, malgrado la proposta stabilisca una soglia minima della pena, quest'ultima potrà in ogni caso essere oggetto di interpretazioni divergenti a seconda delle tradizioni giuridiche dei vari Stati membri e in virtù del potere discrezionale del giudice.

1.4

Più in generale, la critica che il CESE muove alla proposta di direttiva è di non tenere adeguatamente conto, come pure esige l'articolo 82, paragrafo 2, del TFUE, delle diverse tradizioni giuridiche e ordinamenti giuridici degli Stati membri, in particolare per quanto concerne l'impatto delle disposizioni della proposta sui diritti e le libertà individuali.

1.5

Nella sua qualità di istituzione rappresentativa della società civile europea, il CESE richiama l'attenzione sul fatto che gli autori di reato possono essere cittadini in origine in buona fede che, avendo ricevuto a loro insaputa banconote o monete falsificate, si trovino costretti a disfarsene. Nel sottolineare il rischio di imporre misure sproporzionate nei confronti di queste persone, trasformandole da vittime in «criminali loro malgrado», il CESE ritiene che, al di là del comportamento degli «autori del reato», un fattore fondamentale di cui tener conto sia la loro effettiva intenzione, un elemento che non viene messo sufficientemente in risalto nei considerando della proposta di direttiva.

1.6

Il CESE deplora che la proposta non preveda che anche in materia di procedura, alla stregua delle disposizioni relative alla definizione delle sanzioni, i mezzi utilizzati dai servizi responsabili dell'indagine siano graduati in funzione della gravità del reato. Reputa pertanto necessario che la direttiva precisi che il ricorso agli strumenti di indagine applicabili alla criminalità organizzata debba essere riservato ai reati più gravi.

2.   Contenuto della proposta

2.1

La proposta di direttiva in esame mira a rafforzare il quadro vigente in materia di repressione mediante il diritto penale della falsificazione dell'euro o di altre monete. La proposta, che integra sul territorio dell'UE le disposizioni della convenzione di Ginevra del 1929 - di cui impone agli Stati membri di essere parti contraenti -, sostituisce la decisione quadro 2000/383/GAI del Consiglio, modificata dalla decisione quadro del 2001 (2001/888/GAI), nella quale introduce una serie di importanti disposizioni.

2.2

Il testo in esame punta in particolare a lottare contro il fenomeno del «forum shopping», una strategia di ricerca della legislazione meno punitiva che, secondo la valutazione d'impatto, verrebbe perseguita dalle reti della criminalità organizzata. A tale scopo, e in forza dell'articolo 83, paragrafo 1, del TFUE, la proposta stabilisce una soglia minima comune della pena di almeno sei mesi di reclusione per i reati di produzione e distribuzione di banconote e monete falsificate (a partire da 10 000 euro). Nel contempo, la pena massima di almeno otto anni di reclusione, già prevista per la produzione, viene applicata anche alla distribuzione (a partire da 5 000 euro).

2.3

Le persone giuridiche sono punibili, per i reati commessi a loro vantaggio, con sanzioni che possono andare dall'esclusione dal godimento di un beneficio o di un aiuto pubblico fino ad un provvedimento giudiziario di scioglimento.

2.4

La proposta di direttiva rende inoltre più stringente il quadro attualmente in vigore in materia di diritto processuale. I servizi responsabili dell'indagine e dell'azione penale potranno ricorrere agli strumenti di indagine usati nella lotta contro la criminalità organizzata o altri reati gravi. Inoltre, le autorità giudiziarie avranno l'obbligo di trasmettere, nel corso della procedura, campioni delle banconote e monete falsificate sequestrate per l'analisi tecnica al fine del rinvenimento delle altre banconote e monete falsificate in circolazione.

2.5

Infine, la proposta prevede che ogni Stato membro la cui moneta è l'euro eserciti la giurisdizione universale sui reati contro l'euro commessi fuori dell'Unione europea, quando l'autore del reato sia catturato o gli euro falsificati connessi al reato siano rinvenuti sul territorio di detto Stato membro.

3.   Osservazioni generali

3.1

Pur riconoscendo che la falsificazione dell'euro è un fenomeno preoccupante e un reato commesso con strumenti sempre più complessi e perfezionati, che va contrastato in modo efficiente, il CESE formula serie riserve tanto sul contenuto della proposta di direttiva quanto sulla fondatezza in sé dell'iniziativa.

3.2

Tenuto conto della mancanza di dati scientifici in materia, come dimostra la valutazione d'impatto, il CESE ritiene poco convincente l'argomentazione del cosiddetto «forum shopping» (la ricerca del giudice potenzialmente più favorevole) su cui la Commissione basa la proposta di direttiva. A suo avviso, non è accertato che le differenze tra i livelli di repressione del reato di falsificazione all'interno dell'UE possano in alcun modo render conto dell'incremento dei falsi, e neppure che la scelta del paese in cui i falsificatori compiono il reato dipenda in via prioritaria dalla legislazione in materia di sanzioni penali dello Stato in questione. Occorre infatti prendere in considerazione altri fattori, materiali o logistici, per spiegare l'ubicazione delle stamperie di banconote o monete falsificate.

3.3

Analogamente, in assenza di un'analisi dettagliata che corrobori l'affermazione secondo cui tali differenze tra i livelli di repressione all'interno dell'UE nuocerebbero alla cooperazione tra forze dell'ordine e autorità giudiziarie e ad una lotta efficace contro la falsificazione nei paesi terzi, il CESE si chiede quali siano le motivazioni della proposta di direttiva in esame.

3.4

Il Comitato mette inoltre l'accento sul fatto che le misure previste dalla proposta, basate sulle argomentazioni suesposte, creano un meccanismo repressivo molto forte. Oltre a definire tutti i reati di falsificazione e a stabilire le pene minime e massime per il reato di distribuzione, la proposta di direttiva prevede delle disposizioni anche in materia di competenza giurisdizionale e di procedura.

3.5

Il CESE esprime perplessità soprattutto per quanto concerne queste disposizioni relative alla competenza giurisdizionale e alla procedura, le quali esulano da quanto annunciato nella relazione introduttiva alla proposta e da quanto consentito dall'articolo 83, paragrafo 1, del TFUE, vale a dire lo stabilire «norme minime relative alla definizione dei reati e delle sanzioni». Le perplessità sono ancora maggiori in quanto il Comitato osserva che dette disposizioni, che prevedono l'applicazione di misure eccezionali, hanno una portata repressiva molto ampia, poiché portano alla creazione di una giurisdizione universale, che è per definizione in deroga a soluzioni generali, per i reati di falsificazione dell'euro, nonché all'applicazione di strumenti di indagine usati nella lotta contro la criminalità organizzata.

3.6

A giudizio del CESE, quest'ultimo punto è il più problematico: il ricorso agli strumenti di indagine applicabili alla criminalità organizzata, infatti, non è giustificato da alcuna distinzione tra i diversi livelli di gravità dei reati definiti nella proposta di direttiva. Una disposizione simile, secondo il CESE, comporta il rischio di una grave violazione del principio di proporzionalità nonché di una violazione dei diritti fondamentali (1).

3.7

Nell'intento di evitare derive di questo tipo, il CESE si premura di ricordare al legislatore europeo la necessità di prendere in considerazione l'insieme degli Stati membri e delle loro rispettive tradizioni democratiche, alcune più recenti e altre meno, e sensibilità per il rispetto delle libertà individuali.

3.8

Più in generale, il CESE ricorda che la costruzione di uno spazio penale europeo richiede anche il concomitante rafforzamento dei diritti della difesa, in particolare nell'ambito delle attività di Eurojust e di Europol, onde soddisfare l'esigenza del rispetto dei diritti fondamentali sancita dai trattati (cfr. l'articolo 67, paragrafo 1, e l'articolo 83, paragrafo 3, del TFUE).

3.9

Nella sua qualità di istituzione rappresentativa della società civile europea, il CESE richiama l'attenzione sul fatto che gli autori di reato possono essere cittadini in origine in buona fede che, avendo ricevuto a loro insaputa banconote o monete falsificate, si trovino costretti a disfarsene. Nel sottolineare il rischio di imporre misure sproporzionate nei confronti di queste persone, trasformandole da vittime in «criminali loro malgrado», il CESE ritiene che, al di là del comportamento degli «autori del reato», un fattore fondamentale di cui tener conto sia la loro effettiva intenzione, un elemento che non viene messo sufficientemente in risalto nei considerando della proposta di direttiva.

3.10

Il CESE riconosce che casi come quelli summenzionati sono in parte presi in considerazione dalla progressività delle sanzioni in funzione dell'importo sequestrato, prevista dalla proposta di direttiva e in particolare dalle disposizioni dell'articolo 5, paragrafo 2. Resta comunque il fatto, a suo giudizio, che la proposta non è al riparo dal rischio di incorrere in gravi violazioni delle libertà individuali, poiché non sembra tener conto delle differenze tra le tradizioni giuridiche e gli ordinamenti giuridici all'interno dell'UE, in particolare per quanto concerne la specificità dei sistemi di indagine, nel cui ambito la persona indagata, anche in caso di reati non gravi, può essere trattenuta in stato di fermo dalle forze dell'ordine per una durata non trascurabile prima di essere sentita da un giudice.

4.   Osservazioni particolari

4.1

Per quanto riguarda la disposizione che prevede una soglia minima della pena di sei mesi di reclusione (articolo 5, paragrafo 4 della proposta di direttiva), vale a dire la disposizione più importante che dovrebbe apportare una risposta all'argomentazione del «forum shopping», il CESE si interroga sulla sua utilità, dal momento che una direttiva - il cui destinatario è per definizione il legislatore e non il giudice - non può imporre che una tale pena venga effettivamente irrogata. Il CESE prende atto con soddisfazione, al riguardo, che la relazione introduttiva alla proposta richiama il principio della necessaria individualizzazione della pena - sancito dalla Corte di giustizia dell'Unione europea - nonché quello del pieno potere discrezionale che spetta al giudice.

4.2

Il CESE tiene inoltre a sottolineare che stabilire una sanzione minima, anche non obbligatoria, è contrario alla tradizione giuridica di taluni Stati membri il cui ordinamento non prevede una pena minima, tranne nei casi in cui la condanna sia obbligatoria.

4.3

Il CESE raccomanda di modificare come segue l'articolo 9 della proposta di direttiva: «Per i reati di falsificazione più gravi di cui agli articoli 3 e 4, gli Stati membri adottano le misure necessarie per assicurare che le persone, le unità o i servizi incaricati delle indagini o dell'azione penale dispongano di efficaci strumenti di indagine, come quelli usati per le indagini riguardanti la criminalità organizzata o altre forme gravi di criminalità.»

Bruxelles, 23 maggio 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  La stessa violazione è probabilmente ravvisabile nelle disposizioni sul mandato d'arresto europeo (cfr. al riguardo D. Rebut, Droit pénal international, Dalloz, coll. «Précis», 2012, n. 516, pag. 311).


19.9.2013   

IT

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C 271/45


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio — Verso un'Unione economica e monetaria autentica e approfondita — Creazione di uno strumento di convergenza e di competitività»

COM(2013) 165 final

e alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio — Verso un'Unione economica e monetaria autentica e approfondita — Coordinamento ex ante delle grandi riforme di politica economica previste»

COM(2013) 166 final

2013/C 271/08

Relatore generale: CROUGHAN

La Commissione europea, in data 14 maggio 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio - Verso un'Unione economica e monetaria autentica e approfondita - Creazione di uno strumento di convergenza e di competitività

COM(2013) 165 final

e alla

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio - Verso un'Unione economica e monetaria autentica e approfondita - Coordinamento ex ante delle grandi riforme di politica economica previste

COM(2013) 166 final.

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 16 aprile 2013, ha incaricato la sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 490a sessione plenaria dei giorni 22 e 23 maggio 2013 (seduta del 22 maggio), ha nominato relatore generale David CROUGHAN e ha adottato il seguente parere con 152 voti favorevoli, 8 voti contrari e 12 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con cautela le due comunicazioni della Commissione: la comunicazione Verso un'Unione economica e monetaria autentica e approfondita - Creazione di uno strumento di convergenza e di competitività  (1) e la comunicazione Verso un'Unione economica e monetaria autentica e approfondita - Coordinamento ex ante delle grandi riforme di politica economica previste  (2). Le due comunicazioni proseguono la discussione su due questioni affrontate nel Piano per un'Unione economica e monetaria autentica e approfondita - Avvio del dibattito europeo  (3), che riguardano precisamente il completamento del quadro di governance per il coordinamento della politica economica.

1.2

Il CESE non nasconde la sua delusione per il fatto che esse forniscano poche informazioni dettagliate supplementari rispetto ai concetti già esposti nel Piano; ciò rende pertanto difficile la loro valutazione.

1.3

Il CESE teme che un ulteriore elemento di complessità sia stato aggiunto a un programma già denso di strumenti di governance economica che comprendono il Patto di stabilità e crescita, il patto di bilancio, il primo e il secondo pacchetto sulla governance economica (il six-pack e il two-pack), la strategia Europa 2020, il semestre europeo, l'Analisi annuale della crescita, le relazioni sul meccanismo di allerta, i programmi nazionali di riforma (PNR), i programmi di stabilità e convergenza, le raccomandazioni specifiche per paese, le procedure per i disavanzi eccessivi, la procedura per gli squilibri macroeconomici, ecc., con un valore aggiunto relativamente basso.

1.4

Pur riconoscendo che queste due proposte potrebbero essere di aiuto per gli Stati membri in difficoltà, il CESE teme che il loro impatto sul rilancio della crescita e della capacità nelle aree che più ne hanno bisogno potrebbe essere ridotto in quanto l'obiettivo principale è che le misure adottate vadano anche a beneficio dell'intera area dell'euro.

1.5

Il CESE dubita che gli Stati membri approvino l'introduzione di un nuovo strumento finanziario teso a finanziare lo strumento di convergenza e competitività e non gli è chiaro il valore aggiunto che tale strumento apporta rispetto ai fondi strutturali esistenti.

1.6

Il CESE si domanda quanto sostanziale sarà il contributo del proposto coordinamento ex ante al semestre europeo e quale onere burocratico aggiuntivo esso implicherà.

1.7

Il CESE teme che i criteri di pertinenza impiegati per il coordinamento ex ante possano interferire con l'adozione di misure di riforma da parte di uno Stato membro, in quanto essi modificano la competitività relativa in un altro Stato membro.

1.8

Il CESE ritiene che gli effetti di ricaduta per opera dei mercati finanziari non debbano trovare spazio nel coordinamento ex ante; invece tutti gli sforzi dovrebbero concentrarsi sulla creazione di un'Unione bancaria.

1.9

Il Comitato ritiene che le proposte dirette ad approfondire l'UEM sono di importanza cruciale per il futuro dell'Unione europea; il CESE auspica pertanto di continuare a partecipare al dibattito e a formulare proposte ad una data futura in funzione dell'evolversi della situazione.

2.   Introduzione di uno strumento di convergenza e competitività

2.1

Contesto: nella prima comunicazione in esame, la Commissione propone di rendere disponibili un accordo contrattuale e un meccanismo di solidarietà mutuamente concordati per gli Stati membri dell'area dell'euro in difficoltà che hanno bisogno di riforme strutturali nazionali per la competitività e la crescita, la cui mancata attuazione avrebbe un effetto di ricaduta negativo su altri Stati membri dell'area dell'euro. Si tratterebbe di un sistema di sostegno finanziario ad hoc, che all'inizio verrebbe finanziato dal quadro finanziario pluriennale (QFP) e poi da un nuovo fondo/strumento finanziario basato sul reddito nazionale lordo (RNL), fatto che potenzierebbe la capacità di bilancio.

2.2

Per il CESE è difficile giudicare i pregi dello strumento di convergenza e competitività proposto senza una quantificazione della dimensione proposta o una valutazione dell'accettabilità di un fondo di questo tipo per gli altri Stati membri. La proposta secondo cui le risorse del fondo proverrebbero, all'inizio, dal QFP lascia intendere che sarebbe di entità modesta e avrebbe un piccolo impatto.

2.3

Vista la grande difficoltà nel negoziare il QFP per il periodo 2014-2020, il CESE dubita che gli Stati membri approvino l'obiettivo consistente nell'introdurre un nuovo strumento finanziario per arrivare a una maggiore capacità di bilancio, sulla base dell'RNL, allo scopo di finanziare lo strumento di convergenza e competitività.

2.4

Il CESE riconosce che esiste un pregio in un meccanismo che sia reciprocamente vantaggioso e che acceleri la convergenza, ma mette in dubbio la necessità di introdurre un nuovo strumento (lo strumento di convergenza e competitività), quando non è chiaro in che modo sia un valore aggiunto rispetto al sostegno già esistente offerto dai fondi strutturali, come il Fondo di coesione o il Fondo sociale europeo (FSE).

2.5

La natura contrattuale dello strumento proposto non sembra differenziarsi molto dalla natura contrattuale già insita nell'erogazione dei fondi strutturali. Sono necessari esempi concreti di quale tipo di progetti con effetti di ricaduta sarebbero ammissibili e in cosa potrebbero essere diversi dai progetti già finanziati con altri fondi. Il CESE teme che, se i progetti rientranti nel quadro dello strumento di convergenza e competitività non riuscissero a ottenere i risultati voluti, vi potrebbero essere altre conseguenze sul funzionamento di progetti approvati nei PNR. È importante che lo strumento proposto apporti un valore aggiunto dimostrabile e non si traduca in un altro strato di burocrazia.

2.6

Lo strumento di convergenza e competitività è uno strumento concepito per l'area dell'euro, per il cui funzionamento una maggiore convergenza economica è essenziale. Vista la dimensione probabilmente modesta del fondo, il CESE propone che esso sia destinato specialmente a quegli Stati membri dell'area dell'euro che sono in difficoltà, senza escludere la possibilità di sostenere dei progetti i cui effetti transfrontalieri siano particolarmente positivi. Sarebbe particolarmente necessario che il fondo fosse diretto a quegli Stati i cui squilibri economici sono considerati particolarmente pericolosi per il funzionamento dell'area dell'euro. Non è chiaro perché gli Stati membri che sono oggetto di un programma di aggiustamento macroeconomico verrebbero esclusi da questa forma di sostegno, in quanto essi sono - manifestamente - quelli che più hanno bisogno di assistenza finanziaria.

2.7

Se il semestre europeo funziona come immaginato e le raccomandazioni specifiche per paese diventano il tema di un dibattito parlamentare a livello nazionale, occorre adottare le misure necessarie affinché un governo nazionale che firma un accordo contrattuale nel quadro dello strumento di convergenza e competitività proposto, ne dibatta innanzitutto in parlamento secondo la prassi vigente in quello Stato membro, esattamente come si può discutere qualsiasi programma dei fondi strutturali. La Commissione potrebbe essere invitata al dibattito oppure parlare dinanzi ad organi nazionali/locali. È opportuno che nelle discussioni venga coinvolta la società civile, in particolare le parti sociali, come in altri progetti congiunti UE/governi nazionali. Bisogna prevedere un lasso di tempo sufficiente per permettere ai parlamenti e alla società civile, in particolare alle parti sociali, di partecipare.

3.   Coordinamento ex ante delle grandi riforme di politica economica previste

3.1

Contesto: nella seconda comunicazione in esame, la Commissione precisa che il concetto di coordinamento ex ante delle grandi riforme di politica economica previste è stato introdotto dal Trattato sulla stabilità, sul coordinamento e sulla governance nell'Unione economica e monetaria. L'attuale quadro di sorveglianza economica dell'UE comprende una procedura per il coordinamento delle politiche economiche, ma non prevede una discussione e un coordinamento strutturati ex ante dei programmi di grandi riforme economiche. La Comunicazione rappresenta un contributo al dibattito tra le parti interessate – in particolare, il Parlamento europeo, gli Stati membri e i parlamenti nazionali – sui modi per attuare il coordinamento ex ante.

3.2

Il CESE è dell'avviso che qualsiasi miglioramento significativo nel coordinamento della politica economica sia auspicabile e che esso sia una necessità nell'area dell'euro. Il CESE accoglie quindi favorevolmente la comunicazione, pur riconoscendo che il coordinamento delle politiche dei singoli Stati membri è cosa ben diversa da un'autentica governance economica. Un problema che si presenta quando si valutano le proposte deriva dal fatto che la Commissione non fornisce precisazioni sufficienti su che cosa costituisca una «grande riforma di politica economica». Che cosa si considera grande, che cosa minore? L'elenco delle riforme fondamentali da considerare comprende quasi ogni aspetto del mercato unico, compresa la sostenibilità finanziaria e di bilancio.

3.3

Il CESE si domanda in che modo questa iniziativa sul coordinamento delle grandi riforme economiche sarà in sostanza diversa dalle componenti del semestre europeo incluse nei programmi nazionali di riforma (PNR) e nelle raccomandazioni specifiche per paese. Essa deve avere un valore aggiunto dimostrabile all'interno di un calendario del semestre europeo già gremito. Sarebbe inoltre importante, ai fini della trasparenza e della semplicità, non aggiungere un altro strato di controllo, ecc. Il CESE ritiene che questo processo debba essere inglobato nel semestre europeo e nei PNR, che devono essere resi più incisivi; il coordinamento ex ante potrebbe essere un modo concreto per raggiungere questo risultato.

3.4

Il CESE ammette che possa essere vantaggioso, nel quadro di questa nuova proposta, che, dopo l'accordo concluso con uno Stato membro in merito alle raccomandazioni specifiche per paese che lo riguardano, la Commissione e il Consiglio possano proporre modifiche ai piani di riforme di quello Stato membro se si prevede che la loro attuazione avrà un impatto negativo sull'Unione economica e monetaria o su altri Stati membri. Tuttavia, per motivi di legittimità democratica, il processo rispetta le competenze decisionali nazionali e la decisione sul piano di riforme spetta comunque allo Stato membro. Occorre prevedere non solo la possibilità di associare alle consultazioni i parlamenti nazionali e la società civile, in particolare le parti sociali, ma anche il tempo necessario perché questo sia fattibile. Inoltre bisogna assicurare che la decisione finale sull'attuazione delle riforme sia adottata dal parlamento nazionale. Il CESE teme che questo richiamo alla legittimità democratica sia più apparente che reale, giacché nella procedura per gli squilibri eccessivi possono essere applicate sanzioni qualora il Consiglio giunga alla conclusione che uno Stato membro non ha adottato l'azione correttiva raccomandata.

3.5

Lo scopo del coordinamento ex ante è di massimizzare gli effetti di ricaduta positivi dei piani delle grandi riforme economiche da uno Stato membro all'altro e di ridurre al minimo gli effetti negativi. Viene proposto un sistema di tre criteri di pertinenza basato sui principali canali di trasmissione degli effetti di ricaduta. Tali criteri suscitano alcune preoccupazioni per il CESE.

3.6

Il primo criterio è dato dal commercio e dalla competitività. Se uno Stato membro attua con successo misure di riforma per migliorare la sua posizione concorrenziale, non è escluso che questo miglioramento sarà a scapito di altri Stati membri. La comunicazione deve specificare dettagliatamente a quali condizioni la Commissione interverrebbe per dissuadere uno Stato membro dal perseguire tali misure. Inoltre, si tratta soltanto di un approccio a senso unico? La Commissione formulerebbe raccomandazioni a uno Stato membro che in passato avesse adottato misure per migliorare la sua competitività che si sono poi tradotte in forti avanzi che sono dannosi per l'area dell'euro?

3.7

In merito al secondo criterio sugli effetti di ricaduta per opera dei mercati finanziari, il CESE dubita che essi abbiano posto in questo contesto. Il CESE ritiene che sarebbe molto più efficace se tutte le risorse disponibili fossero dirette ad avanzare secondo il calendario nella realizzazione di un'Unione bancaria funzionante.

3.8

Il terzo criterio, quello relativo alle considerazioni di politica economica e all' «opposizione interna alle riforme», necessita di una spiegazione. L' «apprendimento reciproco» e lo «scambio di buone pratiche» contemplati, sebbene validi di per sé, rischiano di essere altrettanto inefficaci dell'agenda di Lisbona.

3.9

A giudizio del CESE, l'idea che le riforme comprese nel coordinamento ex ante debbano riguardare settori in cui l'UE non ha competenza esige una giustificazione più convincente. L'argomento a difesa di questa tesi, vale a dire il fatto che la decisione rimane pienamente nelle mani dello Stato membro, non regge alla luce delle procedure per gli squilibri macroeconomici summenzionate.

3.10

Nel quadro del coordinamento ex ante si dovrebbe introdurre una dimensione sociale, in particolare in riferimento alle ripercussioni delle grandi riforme economiche sul livello di disoccupazione.

Bruxelles, 22 maggio 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  COM(2013) 165 final.

(2)  COM(2013) 166 final.

(3)  COM(2012) 777 final.


19.9.2013   

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C 271/48


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni — Verso un quadro normativo europeo approfondito relativo al gioco d'azzardo online»

COM(2012) 596 final

2013/C 271/09

Relatrice: RONDINELLI

La Commissione europea, in data 19 dicembre 2012, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni - Verso un quadro normativo europeo approfondito relativo al gioco d'azzardo on-line

COM(2012) 596 final.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 29 aprile 2013.

Alla sua 490a sessione plenaria, dei giorni 22 e 23 maggio 2013 (seduta del 22 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 122 voti favorevoli e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) conferma e ribadisce quanto già espresso nel suo parere (1) relativo al Libro verde sul gioco d'azzardo on-line nel mercato interno (2) e si rammarica che la Commissione abbia recepito solo in parte le conclusioni dello stesso. In particolare rileva che la lotta contro il gioco illegale, che costituisce la prima minaccia in termini di tutela dei consumatori, non sia la priorità della comunicazione.

1.2

Il CESE chiede alla Commissione di considerare, tra le priorità alle quali la comunicazione intende dare risposta, la creazione di nuova occupazione e la tutela dei posti di lavoro nel settore, la loro qualità e le perdite potenziali di posti di lavoro del gioco d'azzardo fisico a beneficio di quello on-line.

1.3

Il gioco d'azzardo contribuisce ad incrementare il gettito fiscale degli Stati membri. Il finanziamento di buone cause, attraverso le lotterie nazionali e le case da gioco, sostiene attività benefiche, sociali, sportive, la promozione del turismo e salvaguarda il patrimonio culturale, artistico e archeologico. Il CESE reputa che ogni azione a livello europeo nel gioco debba essere finalizzata ad un modello sociale europeo che permetta ai cittadini di divertirsi in modo sano ed equilibrato.

1.4

Il CESE esprime forti preoccupazioni circa gli alti rischi per la salute pubblica che il gioco d'azzardo comporta. A tal riguardo conferma la propria richiesta alla Commissione di svolgere una ricerca e un monitoraggio su tutto il territorio dell'UE sulle dipendenze e le patologie legate al gioco on-line e raccomanda agli Stati membri di utilizzare parte delle imposte riscosse per finanziare campagne di sensibilizzazione, misure preventive e trattamenti terapeutici contro le ludopatie.

1.5

Il CESE accoglie favorevolmente la decisione della Commissione di realizzare una migliore cooperazione amministrativa e uno scambio di informazioni, esperienze e buone pratiche tra Stati membri e autorità di regolamentazione.

1.6

Il CESE concorda con la Commissione sull'obiettivo che ciascuno Stato membro debba disporre di una propria autorità di regolamentazione che abbia precise competenze e che assicuri una stretta cooperazione con le equivalenti autorità di altri Stati.

1.7

Il CESE ritiene indispensabile cercare un equilibrio tra il carattere altamente tecnologico e quindi transfrontaliero del settore e i rischi ad esso connessi legati all'ordine pubblico e sociale, alla legalità, alla trasparenza e alla salute dei cittadini attraverso iniziative più vincolanti delle raccomandazioni proposte dalla Commissione.

1.8

Il CESE prende atto che non è ipotizzabile oggi una normativa UE specifica nel settore del gioco d'azzardo on-line. Pur sostenendo le iniziative che la Commissione propone per una cooperazione efficace tra gli Stati membri, il Comitato auspica che in alcune materie, per le quali la competenza è concorrente, si intervenga con strumenti normativi più efficaci, preferibilmente direttive, per tutelare i consumatori e le categorie più vulnerabili, lottare contro gli operatori illegali e contro il riciclaggio. In questo modo si costituirebbe un insieme minimo di norme in materia di tutela dei consumatori. Gli Stati membri devono continuare ad avere il diritto di stabilire, qualora lo desiderino, standard più elevati di tutela dei consumatori per il loro mercato nazionale; o di continuare ad applicare le norme più favorevoli già esistenti (3).

Pertanto il CESE invita la Commissione, il Parlamento europeo e il Consiglio a intervenire, nel rispetto del principio di sussidiarietà, nelle seguenti materie:

tutela dei consumatori e della salute e sicurezza dei cittadini, specie dei minori e dei gruppi vulnerabili;

pubblicità responsabile;

misure per contrastare le scommesse truccate legate allo sport;

garanzie di legalità e trasparenza dei giochi on-line integrate dall'impegno degli Stati membri ad introdurre sanzioni adeguate che prevedano, in caso di violazione, il blocco, la chiusura, il sequestro o la rimozione di siti illegali.

1.9

Il CESE si compiace che la Commissione abbia accolto la sua richiesta di estendere il campo di applicazione della direttiva antiriciclaggio a tutte le forme di gioco d'azzardo (4).

1.10

Il CESE accoglie con favore l'intenzione della Commissione di esaminare le possibilità offerte dal regolamento per l'uso IMI (5) e auspica che ciò serva a migliorare la cooperazione amministrativa tra i regolatori nazionali e lo scambio dei dati tra gli organismi nazionali ed europei preposti.

1.11

Il CESE reputa che la valutazione che attuerà la Commissione sulla possibilità dello scambio dei dati personali tra gli Stati membri sia positiva in quanto la grande quantità di dati che gli operatori registrano possono essere condivisi in modo da essere incrociati con altri dati e favorire i controlli da parte delle autorità competenti.

1.12

Il CESE reputa essenziale che gli Stati membri, di concerto con le autorità di regolamentazione, avviino campagne di sensibilizzazione e di informazione per i consumatori per indirizzare la domanda verso il gioco on-line legale. Questa azione dovrà essere completata attraverso misure che combattano gli operatori illegali così come la pubblicazione delle liste nere e/o bianche redatte dalle autorità di regolamentazione nazionali per permettere ai consumatori di identificare meglio i siti autorizzati, attraverso l'inclusione del logo dell'autorità di regolamentazione nazionale nella pagina iniziale (homepage) del sito di gioco, e quelli illegali.

1.13

Per garantire la tutela dei consumatori, il CESE chiede che i software che vengono utilizzati per il gioco d’azzardo on-line abbiano una certificazione minima comune UE da parte di enti esterni specializzati che adotti gli stessi parametri e standard. Invita inoltre la Commissione insieme con gli Stati membri ad adottare uno standard minimo europeo per le piattaforme informatiche del gioco d'azzardo e invita gli Stati membri ad attuare misure per proteggere i dati dei giocatori e per autorizzare solo i mezzi di pagamento che offrono migliori garanzie in termini di sicurezza e tracciabilità delle transazioni legate al gioco on-line.

1.14

Il CESE giudica molto positiva l'esperienza avviata dalla Commissione di istituire un gruppo d'esperti sul gioco on-line per lo scambio di esperienze e buone pratiche in materia di criminalità informatica, perché rappresenta, seppur allo stato embrionale, uno strumento proficuo per avviare una cooperazione efficace tra Stati membri. Il CESE auspica che tale gruppo superi la sua attuale natura informale per trasformarsi in un'istanza con chiare attribuzioni e compiti.

1.15

Il CESE concorda con la Commissione sulla necessità che gli Stati membri promuovano una formazione adeguata della magistratura sulle questioni inerenti le frodi e il riciclaggio del denaro attraverso il gioco d'azzardo.

1.16

Il CESE invita la Commissione ad effettuare un aggiornamento e una rivisitazione delle norme per i campi di intervento individuati nella comunicazione considerando le evoluzioni rispetto all'implementazione delle norme da parte degli Stati membri, a cosa e come gli Stati hanno implementato; ai risultati raggiunti ai livelli nazionali.

1.17

Il CESE chiede agli Stati membri di dare mandato alla Commissione di negoziare e sostenere attivamente il progetto di convenzione internazionale per la tutela e la promozione dell’integrità sportiva, i cui negoziati saranno avviati nel quadro del Consiglio d’Europa.

2.   Introduzione

2.1

La comunicazione coniuga la necessità del rispetto della normativa europea in materia di libera prestazione dei servizi con la tutela di particolari categorie.

2.2

L'uso degli strumenti telematici con accesso diretto alla rete ha consentito un forte incremento della fruizione del gioco d'azzardo on-line che è in rapida espansione. Nell'UE nel 2011 la raccolta complessiva del gioco d'azzardo on-line nei 27 paesi è stata di 9,3 miliardi di euro, pari al 10,9 % del mercato europeo del gioco d'azzardo e si stima una previsione di crescita per il 2015 pari a 13 miliardi di euro.

2.3

Grazie all'utilizzo di Internet un cittadino europeo può di fatto accedere ed essere esposto nel proprio Stato di residenza a servizi illegali offerti da uno o più operatori titolari di una licenza in un altro Stato, membro e non. Questa situazione, avente caratteri extraterritoriali ed internazionali, non può essere affrontata dal singolo Stato ma richiede un intervento integrato e una collaborazione maggiore. È essenziale adottare a garanzia dei cittadini e dei consumatori una definizione comune di gioco illegale. Si ricorda che l'offerta di gioco non autorizzata nel paese di residenza del giocatore, o l'offerta di gioco senza essere in possesso della licenza nazionale richiesta è illegale, sia che essa provenga da un operatore basato o con licenza in un paese UE, sia che provenga da un paese terzo (6). Cosi come è illegale l'operatore che è totalmente non controllato e non regolamentato.

2.4

Per quanto riguarda la distinzione tra «operatore non autorizzato» e «operatore illegale», si fa riferimento alla nota 15 della comunicazione.

2.5

È positiva la volontà della Commissione di costituire un gruppo di esperti sul gioco d'azzardo per lo scambio di esperienze e pratiche tra Stati membri, lo studio dei problemi derivanti da un uso illecito e illegale del gioco d'azzardo, per la formazione specifica e aggiornata della magistratura, per una migliore informazione dei consumatori e per l'aumento dell'offerta legale.

2.6

Questi interventi rappresentano una prima tappa utile per combattere gli operatori che agiscono illegalmente alimentando frodi, crimini e riciclaggio del denaro.

3.   Sintesi del documento della Commissione

3.1

La comunicazione evidenzia la diversità delle normative nazionali e propone azioni che fissano interventi prioritari nazionali e unionali, azioni di collaborazione e cooperazione tra gli Stati, indicando possibili interventi e raccomandazioni, nonché il coordinamento e l'integrazione amministrativa tra gli Stati.

3.2

Obiettivo primario è garantire il rispetto e l'applicazione della legislazione europea da parte delle normative nazionali con azioni dirette e raccomandazioni agli Stati membri. A tal fine la Commissione:

agevolerà la cooperazione amministrativa e lo scambio di informazioni tra le autorità nazionali di regolamentazione del gioco d'azzardo degli Stati membri;

esaminerà possibili procedure di blocco dei siti illegali;

promuoverà il mercato legale del gioco d'azzardo, anche dialogando con i paesi terzi;

tutelerà i consumatori, ed in particolare i minori e i gruppi vulnerabili, anche verificando gli strumenti di controllo all'accesso ad Internet;

studierà gli effetti della dipendenza dal gioco d'azzardo a livello europeo;

valuterà le prestazioni di mercato dei servizi sul gioco d'azzardo;

adotterà le raccomandazioni sulle buone prassi nella prevenzione e lotta alle scommesse clandestine.

3.3

La Commissione ritiene che sia interesse degli Stati membri porre in essere un'efficace politica di lotta alle frodi e al riciclaggio di denaro e di tutela dell'integrità dello sport contro il fenomeno degli incontri, delle partite e delle gare truccati, anche attraverso lo scambio di esperienze in materia di criminalità e reti informatiche.

4.   Osservazioni

4.1   Conformare i regimi normativi nazionali al diritto dell'UE

4.1.1

Il CESE esprime anzitutto con forza la sua grande preoccupazione per la diffusione crescente del gioco d'azzardo on-line e l'aumento esponenziale delle offerte di gioco, che coinvolge fasce sempre più ampie di popolazione con gravi conseguenze sui redditi familiari. È quindi necessario porre un argine efficace alle varie forme di pubblicità, soprattutto su quella televisiva, on-line e sui mezzi di trasporto.

4.1.2

La fornitura e l'uso delle offerte transnazionali di gioco d'azzardo sono un'attività economica che rientra nel quadro della libera circolazione prevista nel mercato interno (art. 56 TFUE). Tuttavia l'art. 52 n. 1 TFUE ammette restrizioni alla libera prestazione dei servizi garantita dall'art. 56 per motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza o di sanità pubblica.

4.1.3

Il CESE ricorda che gli Stati membri hanno la competenza principale di organizzare e regolamentare i giochi d'azzardo nel loro territorio. I giochi sono un'attività potenzialmente molto pericolosa per i consumatori e in egual misura suscettibili di servire a fini criminali, come il riciclaggio, se tale attività non è correttamente regolamentata o se la regolamentazione non è strettamente applicata. In questo contesto, pur rientrando il gioco d'azzardo nella libera prestazione dei servizi, ai sensi dell'art. 49 CE (7), le differenze tra le normative nazionali non rendono attualmente ipotizzabile una normativa UE sul gioco d'azzardo on-line. Il CESE, pur sostenendo le iniziative che la Commissione propone specie in materia di cooperazione efficace tra gli Stati membri, auspica che in alcune materie (cfr. punto 1.8) si intervenga comunque con strumenti più efficaci, preferibilmente direttive, per tutelare i consumatori e le categorie più vulnerabili, lottare contro gli operatori illegali e contro il riciclaggio.

4.1.4

Secondo l'abbondante giurisprudenza consolidata della Corte di giustizia dell'UE, le restrizioni alle attività di gioco d'azzardo possono essere giustificate da ragioni imperative di interesse generale, quali la tutela dei consumatori e la prevenzione della frode e dell'incitamento dei cittadini ad una spesa eccessiva legata al gioco (8). Gli Stati membri possono restringere o limitare la prestazione transfrontaliera della totalità o di certi tipi di servizi di gioco on-line, per motivi inerenti ad obiettivi di interesse pubblico che essi cercano di proteggere in relazione al gioco (9).

4.1.5

I servizi di gioco d'azzardo non sono soggetti a norme uniformi nell'UE e le legislazioni nazionali differiscono notevolmente per caratteristiche culturali, sociali e storiche proprie di ciascun paese. Alcuni Stati vietano il gioco on-line, altri permettono solo alcuni giochi, altri hanno un regime di monopolio gestito da un operatore pubblico o da un privato in esclusiva. In assenza di dati aggiornati sulle diverse situazioni nazionali (10), il CESE chiede alla Commissione di effettuare una mappatura (mapping exercise) tra gli Stati membri.

4.1.6

Come ha chiarito la giurisprudenza della Corte di giustizia, gli Stati membri che optano per la liberalizzazione controllata del settore, possono legittimamente istituire un regime concessorio – previa autorizzazione amministrativa – che si fondi su criteri oggettivi, trasparenti e non discriminatori in base alla nazionalità (11).

4.1.7

Nei giochi d'azzardo on-line non vi è un rapporto diretto tra il consumatore e l'operatore, il che accresce i rischi di frodi degli operatori a danno dei consumatori (12). La disponibilità di offerta di gioco illegale, e quindi incontrollato, è una grave minaccia per i consumatori. Di conseguenza l'applicazione rigorosa da parte degli Stati membri delle misure volte a combattere gli operatori illegali, fornisce le garanzie primarie e lo strumento migliore per la protezione dei consumatori.

4.1.8

Gli Stati membri sono liberi di fissare gli obiettivi della loro politica sui giochi d'azzardo e di definire il livello di protezione. Le restrizioni che essi impongono devono tuttavia soddisfare le condizioni della giurisprudenza della CGUE e devono essere proporzionate, non discriminatorie e rientrare nel quadro di una politica da applicare in maniera sistematica e coerente.

4.1.9

Poiché i singoli Stati membri hanno legislazioni difformi, ed essendo ad oggi impossibile una regolamentazione UE del gioco d'azzardo on-line, occorre operare un ravvicinamento delle normative e aiutare gli Stati membri a imporre il rispetto delle normative esistenti per garantire maggiore certezza giuridica nell'ambito della tutela dei consumatori, dei minori e delle categorie deboli, della pubblicità e della lotta al riciclaggio. Gli Stati membri dovrebbero essere sollecitati nello scambio di buone pratiche nella lotta contro gli operatori illegali.

4.1.10

Secondo il principio di sussidiarietà l'UE deve intervenire quando la sua azione è migliorativa e garantisce un valore aggiunto ai sistemi di regolamentazione degli Stati membri. In considerazione delle specificità del settore e dei cambiamenti legati all'uso di Internet, il CESE ritiene che questa azione dell'UE dovrebbe concretizzarsi in una cooperazione duratura tra gli Stati membri e la promozione di buone pratiche nella lotta contro gli operatori illegali, lotta che necessita una azione transnazionale.

4.2   Cooperazione amministrativa e applicazione effettiva della legge

4.2.1

L'UE deve rafforzare il controllo, la cooperazione amministrativa e la reale applicazione della legge sul gioco d'azzardo on-line e gli Stati devono collaborare per raggiungere questo risultato.

4.2.2

È importante la messa a disposizione e lo scambio del trattamento dei dati personali che gli operatori registrano per favorire i controlli, garantendo la protezione dei dati. Va incentivata la cooperazione amministrativa tra gli Stati con lo scambio di informazioni generali e l'uso delle migliori pratiche, per potenziare gli scambi di conoscenze e esperienze per creare un reciproco senso di fiducia e interesse.

4.2.3

La certificazione a livello nazionale delle piattaforme informatiche del gioco a distanza garantisce la sorveglianza del mercato del gioco d'azzardo. È importante attuare una migliore cooperazione tra gli Stati membri e istituire in ogni Stato un'autorità di regolamentazione del gioco d'azzardo on-line con competenze precise che assicuri uno stretto coordinamento a livello UE.

4.2.4

Occorrerà valutare la coerenza delle politiche nazionali con la normativa e la giurisprudenza dell'UE e la trasparenza e la non discriminazione dei sistemi di licenza. In caso di non idoneità si dovrà intervenire con procedure di infrazione.

4.2.5

Il CESE reputa che le misure preventive e repressive che sinora gli Stati membri hanno adottato per la lotta contro i giochi d'azzardo on-line forniti da operatori senza licenza, vale a dire illegali, non siano sufficienti per contrastare il fenomeno. Pertanto suggerisce di definire un quadro normativo nazionale di principi che garantisca legalità e trasparenza dei siti, e che preveda: l'identificazione dei siti illegali e la loro iscrizione in una «lista nera»; l'identificazione dei siti autorizzati secondo la legislazione propria di uno Stato membro e la loro iscrizione in una «lista bianca»; il blocco, la chiusura, il sequestro e la rimozione dei siti illegali (13); il blocco dei flussi finanziari da e verso tali siti; il divieto delle comunicazioni commerciali e della pubblicità dei giochi illegali.

4.3   Consumatori

4.3.1

Il CESE lamenta che la sua richiesta alla Commissione e agli Stati membri di misure incisive per contrastare efficacemente gli operatori illegali, che sono la minaccia maggiore per i consumatori, sia stata lasciata senza risposta nella comunicazione della Commissione. Richiede, quindi, che si adottino al più presto misure incisive per la realizzazione delle buone pratiche in materia di prevenzione e lotta contro il gioco illegale.

4.3.2

La Commissione prevede l'adozione di una raccomandazione sulla tutela dei consumatori e sulla pubblicità del gioco d'azzardo responsabile nel 2013 e individua quattro aree di intervento: distogliere i consumatori dalle offerte non regolamentate e potenzialmente dannose; tutelare i minori dall'accesso ai siti; proteggere gli altri gruppi vulnerabili e prevenire lo sviluppo di patologie legate al gioco d'azzardo. Rispetto a detta raccomandazione il CESE invita la Commissione ad includervi le buone pratiche in materia di lotta e prevenzione contro i giochi illegali dopo una valutazione condotta a livello di ciascun Stato membro sulle forme di gioco più dannose per i consumatori.

4.3.3

Il CESE apprezza l'attenzione posta nella comunicazione alla tutela dei consumatori e alle fasce di persone deboli, anche in relazione alla pubblicità e alla ludopatia. A questo riguardo insiste sulla necessità di adottare delle misure con un elevato livello di tutela e constata che gli strumenti previsti sono troppo deboli e quindi suggerisce di adottare quelli più vincolanti. Infatti, l'offerta disponibile del gioco illegale, per sua stessa natura incontrollabile e pericolosa, rappresenta la maggior minaccia per i consumatori e richiede che in ciascun Stato membro siano individuate misure solide per combattere contro gli operatori illegali, che non rispettano la legislazione nazionale, che è la prima e migliore garanzia per la tutela dei consumatori.

4.3.4

L'azione della Commissione deve avere come obiettivo fondamentale quello di garantire che gli Stati membri esercitino le loro piene competenze e responsabilità stabilendo, in tutta l'UE e per tutti gli operatori autorizzati a fornire questo genere di servizio, un quadro normativo che eviti il gioco d'azzardo problematico e preveda l'introduzione dei limiti d'età per accedere a qualsiasi gioco, la proibizione del gioco a credito per le forme più pericolose di gioco e scommesse (casinò on-line, spread betting, betting exchange) e forme di pubblicità rivolte a minori e categorie deboli.

4.3.5

Il CESE chiede alla Commissione e agli Stati membri di intervenire nel proprio territorio efficacemente e con forza contro l'offerta illegale di giochi. Chiede che gli Stati membri adottino misure come la «lista nera» e il blocco dei siti illegali, la definizione di forme di pagamento sicure e tracciabili, misure di blocco per operazioni finanziarie, così come l'assoluto divieto della pubblicità illegale. A questo riguardo occorre sottolineare che l'efficacia di queste misure dipende molto dalla loro azione congiunta che rafforza in tal modo i suoi effetti contro gli operatori illegali.

4.3.6

È auspicabile la creazione in ogni Stato membro di un'autorità di regolamentazione che abbia le specifiche competenze per monitorare e assicurare l'attuazione delle norme europee e nazionali di tutela dei consumatori e di lotta verso il gioco illegale. L'esistenza di autorità di regolamentazioni nazionali costituisce un prerequisito all'attuazione di un coordinamento e di una cooperazione amministrativa efficace. Gli Stati membri devono vigilare affinché il loro sistema di regolamentazione, concepito in funzione delle loro specificità nazionali e del loro quadro normativo, sia in grado di assicurarne l'attuazione. Il CESE auspica che ciascun Stato membro attribuisca alla propria autorità di regolamentazione il compito di fissare i criteri per il rilascio delle concessioni nell'ambito del proprio mercato.

4.3.7

I consumatori dell'UE devono essere messi in condizione di distinguere, in ogni Stato membro, i siti illegali dai siti legali, anche per consentire reclami. A questo riguardo il CESE raccomanda che ogni Stato imponga a tutti gli operatori autorizzati a fornire giochi on-line di mettere sul proprio sito web in primo piano e in modo permanente, il numero di autorizzazione e una etichetta dell'autorità di regolamentazione nazionale che indichi che l'operatore ha una licenza in quello Stato membro.

4.3.8

Il CESE chiede di adottare la più ampia garanzia normativa a tutela dei minori che preveda idonei strumenti di accertamento dell'età e ne assicuri il controllo effettivo da parte degli operatori. I genitori dovranno essere sensibilizzati sui rischi dell'uso di Internet e sul filtraggio dei programmi in casa. Idonee garanzie devono essere adottate a tutela delle persone deboli che trascorrono molto tempo in casa: pensionati, casalinghe e disoccupati.

4.3.9

L'attuale crisi spinge sempre più persone a giocare on-line nell'illusione di risolvere i problemi economici con facili vincite, ma ciò comporta maggiori rischi per l'equilibrio psichico poiché sviluppa dipendenza e comportamenti ossessivo-compulsivi. Per combattere tali patologie il CESE raccomanda che parte delle imposte riscosse sui giochi sia destinata a campagne di sensibilizzazione e trattamenti preventivi e terapeutici contro le ludopatie.

4.3.10

È positivo l'obiettivo della Commissione di varare una raccomandazione, anche se si auspica un intervento più incisivo e vincolante, sulla pubblicità del gioco d'azzardo responsabile ad integrazione della direttiva sulle pratiche commerciali sleali al fine di consentire una corretta informazione dei consumatori. Il CESE sottolinea che l'azione in questo ambito deve includere le misure contro gli operatori illegali come il divieto della pubblicità degli operatori che forniscono offerte senza licenza dell'autorità di regolamentazione nazionale del paese dove risiede il consumatore.

4.3.11

È necessario trovare il giusto equilibrio tra l'esigenza di un'espansione controllata del gioco autorizzato - per rendere appetibile al pubblico l'offerta di gioco entro i circuiti legali - e la necessità di ridurre il più possibile la dipendenza da tali giochi.

4.3.12

La pubblicità dovrebbe diventare più responsabile e regolamentata, soprattutto a tutela dei minori, non solo perché altamente dannosa per la salute, specie mentale, ma anche in quanto distorsiva e ingannevole, perché induce la collettività a ritenere che giocare on-line sia «normale» e quindi omologa comportamenti sociali non sani.

4.3.13

Nonostante il progetto Alice Rap (14), il CESE prende atto che non sono ancora disponibili dati certi sull'entità e sulla varietà delle patologie legate al gioco d'azzardo. Evidenzia la necessità di un monitoraggio continuo e costante del fenomeno della dipendenza e delle patologie connesse al fine di acquisire dati soddisfacenti che permettano al legislatore nazionale e UE di adottare misure efficaci e mirate per combattere e prevenire questo problema.

4.4   Prevenzioni delle frodi e riciclaggio

4.4.1

I problemi legati al riconoscimento dei soggetti che operano nel gioco a distanza sia in situazioni di forti perdite che di forti vincite e che dunque potrebbero mascherare attività di riciclaggio vanno affrontate mediante la preventiva identificazione dei soggetti e la costituzione di uno specifico conto gioco per singolo giocatore.

4.4.2

Il furto dell'identità è un problema ampio che non è legato solo al gioco d'azzardo on-line, ma a tutto il sistema del trattamento dati e scambi dati che avviene nel mondo Internet e telematico.

4.4.3

I randomizzatori (Random Number Generator) devono essere fortemente certificati in modo da rispondere al principio di non prevedibilità e allo stesso tempo dare certezza che l'evento verificato sia il solo possibile e che sia impossibile una manomissione. Ciò permette la protezione del giocatore e la correttezza degli standard che gli Stati decidono in termini di vincite.

4.4.4

Per assicurare una maggiore sicurezza dei software che vengono utilizzati per il gioco d'azzardo on-line si propone una certificazione minima comune UE da parte di enti esterni specializzati che adotti gli stessi parametri e standard, anche per identificare ed ostacolare il gioco illegale off shore.

4.4.5

Una forma di protezione di accesso al gioco può essere l'individuazione degli indirizzi IP (Internet Protocol Address). Infatti se un soggetto accede ad un sistema di gioco di uno Stato attraverso sistemi IP di altri paesi è tecnicamente possibile bloccare il gioco.

4.4.6

Essendo il gioco d'azzardo on-line una realtà sensibile a problemi di riciclaggio e frodi è auspicabile che la grande quantità di flussi e dati che gli operatori registrano possano essere messi a disposizione dei tutori dell'ordine pubblico, per poter essere incrociati con altri dati e favorire i controlli.

4.5   Sport e competizioni truccate

4.5.1

Le scommesse relative alle partite, incontri e gare truccate sono una frode specifica contraria agli interessi delle società sportive, dei tifosi, dei consumatori e degli operatori dei giochi d'azzardo legali.

4.5.2

La Commissione condivide il suggerimento espresso dal CESE che ritiene necessario definire un quadro di coordinamento degli sforzi di tutte le parti interessate per affrontare il problema in modo globale ed evitare duplicazioni di risorse ed evidenzia la necessità di maggiore cooperazione tra gli operatori di scommesse, gli organismi sportivi e autorità competenti, comprese quelle di regolamentazione del gioco d'azzardo nazionale e internazionale.

4.5.3

Il CESE reitera il suggerimento della creazione di un sistema non limitato al semplice rilevamento delle dichiarazioni che denunciano sospetti su un dato evento sportivo, ma che comporti misure preventive, educative e coercitive in grado di combattere efficacemente il fenomeno.

4.5.4

Il CESE accoglie l'iniziativa della Commissione di adottare entro il 2014 una raccomandazione sulle buone prassi nella prevenzione e nella lotta contro le scommesse legate alle partite truccate, anche se non giudica sufficiente lo strumento normativo individuato. Le competizioni truccate violano il principio di equità della gara sportiva e costituiscono un reato in tutti gli Stati membri, ciò nonostante si è registrato un aumento delle attività illecite o sospettate di essere tali. Occorre quindi intervenire più incisivamente nella lotta alle competizioni truccate con l'aiuto di strumenti, competenze e risorse degli Stati membri messi in sinergia tra loro e con l'UE.

4.5.5

Il CESE chiede agli Stati membri che non lo abbiano già fatto di considerare la corruzione sportiva, le competizioni truccate e la manipolazione dei risultati sportivi come reati, e come tali sanzionabili, e chiede alla Commissione di concordare con gli Stati membri una definizione comune di queste infrazioni penali.

Bruxelles, 22 maggio 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  GU C 24 del 28.1.2012, pag. 85.

(2)  COM(2011) 128 final.

(3)  Cfr. GU C 24 del 28.1.2012, pag. 85 (conclusioni: punto 1.3 e 1.6).

(4)  COM(2013) 45 final.

(5)  Sistema di informazione del mercato interno.

(6)  Le conclusioni della presidenza spagnola del Consiglio dell'11 maggio 2010 – 9495/10 stabiliscono che il gioco on-line illegale è quello offerto senza licenza o senza rispettare le leggi del paese in questione e che di conseguenza gli operatori di giochi on-line devono conformarsi alle leggi in vigore negli Stati membri in cui operano.

(7)  Sentenze 19.7.2012 causa C-470/11, SIA Garkalns, inedita, punto 24; 8.9.2010 causa C-316/07, da C-358/07 a C-360/07, C-409/07 e C-410/07, Stoß e altri.

(8)  Sentenze 19.7.2012 causa C-470/11, SIA Garkalns cit, punto 39; 8.9.2010 causa C-46/08 Carmen Media Group, punto 55.

(9)  Cause Liga Portuguesa de Futebol C-42/07 o Anomar C-6/01.

(10)  Studio sul gioco d'azzardo nel mercato interno UE realizzato dall'Istituto svizzero per il diritto comparato (2006) http://ec.europa.eu/internal_market/services/docs/gambling/study1_en.pdf

(11)  Sentenza 24.1.2013 cause riunite C-186/11 e C-209/11 Stanleybet International LTD e altri punto 47.

(12)  Sentenza dell'8 settembre 2009 causa C-42/07 Liga Portuguesa de Futebol Profissional e altri.

(13)  COM(2010) 673 final del 22 novembre 2010Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio – La strategia di sicurezza interna della UE in azione: cinque tappe verso un'Europa più sicura.

(14)  Addiction and Lifestyles in Contemporary Europe, Reframing Addictions Project.


19.9.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 271/55


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo — Un nuovo approccio europeo al fallimento delle imprese e all'insolvenza»

COM(2012) 742 final

e alla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1346/2000 del Consiglio relativo alle procedure d'insolvenza»

COM(2012) 744 final — 2012/0360 (COD)

2013/C 271/10

Relatore: ALMEIDA FREIRE

La Commissione europea, in data 12 dicembre 2012, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Un nuovo approccio europeo al fallimento delle imprese e all'insolvenza

COM(2012) 742 final.

Il Parlamento europeo e il Consiglio, rispettivamente in data 15 gennaio 2013 e in data 5 febbraio 2013, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 1346/2000 del Consiglio relativo alle procedure d'insolvenza

COM(2012) 744 final - 2012/0360 (COD).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 29 aprile 2013.

Alla sua 490a sessione plenaria, dei giorni 22 e 23 maggio 2013 (seduta del 22 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 130 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Conclusioni generali

1.1.1

L'Europa sta attraversando una grave crisi economica e sociale, i cui effetti colpiscono tutti i livelli della società.

1.1.2

Favorire la sopravvivenza delle imprese costituisce una delle misure individuate dall'Unione europea per uscire dallo stallo. I fallimenti aziendali hanno infatti ripercussioni che vanno al di là delle conseguenze negative per le imprese interessate; essi incidono globalmente sull'economia degli Stati membri e, più in particolare, si ripercuotono sui cittadini in quanto contribuenti, lavoratori e datori di lavoro.

1.1.3

Il CESE condivide gli obiettivi enunciati nella comunicazione della Commissione, benché, a suo avviso, della «seconda opportunità» in essa evocata dovrebbero beneficiare gli imprenditori che hanno tratto gli insegnamenti dagli errori commessi, e sono in grado di ripartire sulla base di un progetto imprenditoriale ripensato.

1.1.4

Appoggia inoltre la proposta di regolamento in esame, di cui deplora tuttavia la mancanza di ambizioni.

1.1.5

Numerose riflessioni e azioni concrete saranno infatti ancora necessarie per salvaguardare i diritti dei creditori, pur avendo cura di trovare un equilibrio tra gli interessi degli imprenditori e quelli dei lavoratori, per favorire la ristrutturazione delle imprese, per impedire il forum shopping, per migliorare il coordinamento delle procedure d'insolvenza dei gruppi d'imprese.

1.2   Raccomandazioni in merito alla comunicazione

1.2.1

Il CESE considera interessanti gli spunti di riflessione per un'armonizzazione sostanziale del diritto fallimentare delle imprese, ma deplora l'assenza di una risposta efficace alla crisi economica e sociale attraversata dalle imprese e dai cittadini europei.

1.2.2

È più favorevole alla nozione di fresh start, concetto chiave del diritto fallimentare statunitense, che a quella di «seconda opportunità» propugnata dalla Commissione, che invita pertanto a riflettere sull'apporto di tale nozione al diritto fallimentare europeo.

1.2.3

Reputa inoltre che i dipendenti dovrebbero essere tutelati meglio, vedendosi riconoscere il rango di creditore privilegiato.

1.2.4

La riflessione dovrebbe essere estesa anche alla questione del sostegno inappropriato delle imprese in difficoltà. In proposito il CESE sottolinea che questa responsabilità può riguardare anche soggetti non bancari, e invita dunque la Commissione ad attribuire ai relativi parametri il loro giusto valore.

1.2.5

Reputa inopportuna la penalizzazione del diritto fallimentare, poiché essa accrescerebbe la giudiziarizzazione delle procedure d'insolvenza e allungherebbe i tempi di esame.

1.2.6

Non gli sembra che il ricorso sistematico al giudice rappresenti la soluzione migliore, e invita la Commissione a riflettere sulla possibilità di istituire nuovi organi – legati, ad esempio, al settore dell'economia – capaci, grazie a una composizione multidisciplinare (economica, finanziaria, giuridica), di comprendere meglio le situazioni in questione e aiutare rapidamente le imprese a superare le difficoltà finanziarie.

1.2.7

Infine, invita la Commissione a prendere in considerazione le proposte relative all'armonizzazione dei requisiti prescritti per il curatore fallimentare contenute nella risoluzione del Parlamento europeo del 15 novembre 2011 (1).

1.3   Raccomandazioni in merito alla proposta di regolamento

1.3.1

Il CESE appoggia la proposta di regolamento in esame, anche se essa si limita a dettare norme procedurali e non mira ad armonizzare i diritti nazionali applicabili ai casi di insolvenza delle imprese.

1.3.2

Accoglie con favore l'obbligo per gli Stati membri di migliorare le norme in materia di pubblicità, istituendo un registro elettronico delle decisioni giudiziali pertinenti sui casi d'insolvenza transfrontalieri, nonché la prevista interconnessione dei registri fallimentari nazionali.

1.3.3

Invita nondimeno la Commissione a vigilare affinché il lavoro, i costi e i tempi di traduzione non rallentino le procedure d'insolvenza, dato che la celerità delle stesse è un fattore indispensabile per la loro efficacia.

1.3.4

Appoggia l'integrazione delle procedure civili di sovraindebitamento, purché tale integrazione non risulti svantaggiosa per i debitori privati. Infatti, un diritto concepito per le imprese, destinato a soddisfare le esigenze dell'attività commerciale, è per definizione meno protettivo del diritto dei consumatori. Raccomanda pertanto alla Commissione di essere particolarmente vigilante su questo punto.

1.3.5

Infine, invita la Commissione a fare in modo che, nel ricorrere ad atti delegati per modificare allegati del regolamento, si tenga conto dell'articolo 290 del TFUE e dell'interpretazione della nozione di «disposizioni essenziali» fornita dalla giurisprudenza.

2.   Introduzione

2.1   L'obiettivo del «pacchetto insolvenza»

2.1.1

Le misure comprese in questo pacchetto legislativo formano parte della risposta dell'UE alla crisi economica e sociale attraversata dalle imprese e dai cittadini europei. L'obiettivo dichiarato è favorire la sopravvivenza delle imprese e di offrire una «seconda opportunità» agli imprenditori colpiti da una situazione d'insolvenza.

2.1.2

Il metodo scelto dalla Commissione europea consiste nel proporre di modificare il regolamento (CE) n. 1346/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000 (2) («regolamento sulle procedure d'insolvenza»), che riguarda essenzialmente le norme di diritto internazionale privato applicabili alle procedure d'insolvenza transfrontaliere, e nell'avviare una consultazione sulla base di una comunicazione intitolata «Un nuovo approccio europeo al fallimento delle imprese e all'insolvenza».

2.1.3

Il CESE ha deciso di pronunciarsi con un unico parere su entrambi i testi che compongono il pacchetto insolvenza.

2.2   La proposta di regolamento  (3)

2.2.1

Partendo dalla constatazione dell'obsolescenza del regolamento sulle procedure d'insolvenza e dall'individuazione delle sue «cinque maggiori carenze» (4), la Commissione propone una revisione di tale atto legislativo.

2.3   La comunicazione

2.3.1

Nella comunicazione che, nel pacchetto in esame, accompagna la proposta di regolamento, la Commissione constata giustamente che tale proposta si limita ad aggiornare il «regolamento sulle procedure d'insolvenza» del 29 maggio 2000, e riguarda quindi soltanto il riconoscimento e il coordinamento delle procedure applicabili ai casi di insolvenza nazionali, senza armonizzare i diritti nazionali applicabili ai casi di insolvenza delle imprese.

2.3.2

La comunicazione cerca di ovviare a questa carenza proponendo alcuni spunti di riflessione per un'armonizzazione del diritto fallimentare sostanziale, beninteso solo per quanto concerne i casi d'insolvenza transfrontalieri.

3.   Osservazioni generali in merito alla comunicazione

3.1   La filosofia alla base del nuovo approccio

3.1.1

Il nuovo approccio si fonda sulla necessità di accordare una seconda opportunità agli imprenditori e di salvaguardare posti di lavoro.

3.1.2

Il CESE, da parte sua, reputa che il fallimento di un'azienda - così come, d'altronde, la nascita di una nuova impresa - faccia parte del ciclo della vita economica e della dinamica del mercato. Da questo punto di vista, sarebbe quindi scorretto considerare il fallimento come un male da evitare ad ogni costo.

3.1.3

In quest'ottica, il CESE reputa che la «seconda opportunità» evocata dalla Commissione dovrebbe giovare agli imprenditori che hanno tratto insegnamento dagli errori commessi e sono in grado di ripartire sulla base di un progetto imprenditoriale ripensato.

3.1.4

Sottolinea inoltre che i fallimenti aziendali sono imputabili a cause interne, quali la cattiva gestione, ma anche a cause esterne, riconducibili a regolamentazioni tanto eccessive quanto inadeguate. In questo senso, anche lo Stato ha la sua parte di responsabilità per i fallimenti, in qualità di legislatore ma anche di amministrazione aggiudicatrice nel quadro degli appalti pubblici (5).

3.1.5

Il CESE è più favorevole alla nozione di fresh start, concetto chiave del diritto fallimentare statunitense (6), che a quella di «seconda opportunità» propugnata dalla Commissione. Il fresh start, concetto in larga misura culturale e non giuridico, presuppone che il debitore sia, a determinate condizioni, liberato dalla responsabilità personale per i propri debiti. La fase della dichiarazione giudiziale di fallimento dell'impresa viene così evitata, e il debitore può avviare un nuovo progetto senza essere «bollato» come fallito.

3.1.6

La comunicazione in esame, al contrario, lascia intendere che la «seconda opportunità» consista nella possibilità di proseguire l'attività. Senonché, secondo il CESE, sarebbe controproducente mantenere artificialmente in vita delle imprese nel tessuto economico offrendo loro questa «seconda opportunità», quando l'esperienza ha dimostrato che il modello da loro scelto non era sostenibile.

3.1.7

Una tale impostazione, poi, avrebbe conseguenze nefaste anche sulla fiducia dei creditori e dei fornitori, e in ultima analisi nuocerebbe a una sana concorrenza tra gli operatori economici.

3.2   Il CESE sostiene invece l'impostazione statunitense del diritto fallimentare, e reputa che la valutazione dei presupposti per un fresh start dovrebbe aver luogo prima ancora che venga adito il giudice fallimentare.

4.   Osservazioni specifiche in merito alla comunicazione

4.1   Per un'armonizzazione efficace

4.1.1

La diversità dei diritti fallimentari nazionali è fonte, in particolare per le società che svolgono attività transfrontaliere, di svantaggi concorrenziali che potrebbero nuocere alla ripresa economica.

4.1.2

Essa induce al citato forum shopping, e comporta di conseguenza un indebolimento del mercato interno.

4.1.3

Il CESE si unisce quindi alla richiesta del Parlamento europeo (7), che aveva invocato un'armonizzazione di determinati settori del diritto fallimentare.

4.1.4

Chiede infatti anch'esso alla Commissione di presentare, sulla base dell'articolo 50, dell'articolo 81, paragrafo 2, o dell'articolo 114 del TFUE, una o più proposte legislative relative a un vero e proprio quadro europeo in materia d'insolvenza delle imprese anziché limitarsi a dettare semplici norme procedurali di diritto internazionale privato.

4.1.5

Infatti, al di là degli effetti negativi per le imprese interessate, i casi d'insolvenza si ripercuotono sull'intera economia degli Stati membri e più in particolare sul cittadino in quanto contribuente, lavoratore e datore di lavoro.

4.2   Salvaguardare i diritti dei creditori

4.2.1

Le procedure concorsuali, inizialmente concepite al solo scopo di soddisfare i diritti dei creditori, hanno progressivamente assunto la finalità di garantire la continuità dell'impresa, il mantenimento dei posti di lavoro e la liquidazione del passivo. Più di recente, la tendenza dei legislatori europei è quella di prevenire i problemi dell'impresa a monte della dichiarazione di stato d'insolvenza.

4.2.2

L'avvio di una procedura concorsuale nei confronti del debitore è un evento temuto dal creditore, che ignora se potrà ottenere il pagamento delle somme dovutegli. Il primo motivo di frustrazione deriva dal fatto che, in molti casi, l'avvio di una procedura concorsuale impedisce di escutere il debitore per i crediti sorti prima della dichiarazione di fallimento e sospende le procedure esecutive individuali già in corso. Ciascun creditore deve quindi dichiarare il proprio debito entro il termine stabilito dalla legge (8).

4.2.3

Il secondo motivo di frustrazione del creditore sopravviene nel caso in cui l'attivo fallimentare si riveli insufficiente; nella pratica, durante la procedura concorsuale si propone ai creditori di scegliere tra un pagamento immediato contro rinuncia di una parte non trascurabile del loro credito e una rateizzazione del pagamento su un determinato arco di tempo.

4.2.4

L'ideale, per il creditore, consiste dunque nel prevenire qualsiasi situazione d'insolvenza, ad esempio assicurandosi che determinate operazioni siano effettuate già all'atto della stipula del contratto, esigendo la concessione di garanzie da parte di un terzo (9) o la costituzione di pegni o ipoteche sugli attivi, anche immateriali, dell'impresa (10).

4.3   Riservare ai dipendenti un trattamento migliore nelle procedure d'insolvenza

4.3.1

In caso di fallimento dell'impresa, i suoi dipendenti si trovano in prima linea. Non sempre i loro salari vengono pagati prima del deposito in tribunale dei libri contabili, e in ogni caso, nel periodo di inquietudine che ne consegue, la loro situazione finanziaria personale è comunque difficile.

4.3.2

L'avvio di una procedura concorsuale comporta spesso la nomina di un rappresentante dei dipendenti, incaricato di controllare le informazioni relative ai crediti salariali. Tale rappresentante costituisce, accanto ai normali organi di rappresentanza dei dipendenti in seno all'impresa, un punto di riferimento per la trasmissione d'informazioni tra il personale, il giudice e gli altri soggetti della procedura.

4.3.3

Le somme dovute ai dipendenti prima dell'avvio della procedura concorsuale devono essere insinuate al passivo del fallimento. Tuttavia, questo principio di carattere generale viene di fatto applicato in modo molto attenuato, date le divergenze tra le legislazioni e le pratiche nazionali. La mancanza di armonizzazione riguardo all'ordine dei creditori rende quindi l'esito delle procedure concorsuali molto incerto per i dipendenti.

4.3.4

Il CESE reputa che il dipendente dovrebbe essere tutelato meglio, vedendosi riconoscere il rango di creditore privilegiato, e ritiene quindi che sarebbe utile che una tutela di questo tipo fosse oggetto di armonizzazione.

4.4   Prevenire il sostegno inappropriato di imprese in dissesto

4.4.1

Le pratiche commerciali di certi istituti finanziari possono condurre a sostenere imprese la cui situazione è irrimediabilmente compromessa. Esse creano in tal modo un'apparenza di solvibilità che nuoce ad una sana concorrenza sul mercato e intacca l'immagine del settore bancario.

4.4.2

Il CESE sottolinea che la responsabilità per aver concesso sostegno abusivo può riguardare anche soggetti non bancari, compreso lo Stato. Peraltro, taluni giudici nazionali ritengono che possa essere coinvolta anche la responsabilità di determinati fornitori o clienti dell'impresa che, con il loro atteggiamento, ne sostengano abusivamente l'attività pur sapendo che la sua situazione è irrimediabilmente compromessa.

4.4.3

Bisognerebbe attribuire a questi parametri il loro giusto valore in vista di un'armonizzazione del diritto fallimentare.

4.5   Il caso specifico dei fallimenti fraudolenti

4.5.1

La maggior parte dei fallimenti è dovuta a ragioni obiettive, senza che vi sia alcun comportamento fraudolento da parte degli amministratori dell'impresa fallita.

4.5.2

Detto ciò, il fenomeno dei fallimenti fraudolenti esiste e non può essere ignorato. La Commissione stessa, d'altronde, vi fa riferimento nella comunicazione in esame (11), e suggerisce di distinguere tra fallimenti onesti e disonesti. Secondo la Commissione, il debitore che volontariamente o per negligenza non abbia rispettato gli obblighi di legge potrebbe essere soggetto a sanzioni civili e, ove opportuno, penali, mentre agli imprenditori onesti che falliscono occorrerebbe applicare procedure di liquidazione «accelerate».

4.5.3

Il CESE, da parte sua, ritiene opportuno che i termini per la riabilitazione del fallito vengano armonizzati e siano ragionevolmente brevi, soprattutto nell'interesse dei dipendenti, ma esprime perplessità quanto all'idea di distinguere le procedure di liquidazione a seconda dell'onestà degli amministratori, poiché ciò accrescerebbe la giudiziarizzazione delle procedure d'insolvenza, darebbe loro carattere penale e allungherebbe i tempi di esame.

4.5.4

Questa giudiziarizzazione del diritto fallimentare non è affatto auspicabile. Secondo il CESE, la valutazione della natura fraudolenta del fallimento deve aver luogo nell'ambito di una procedura distinta da quella concorsuale.

5.   Osservazioni generali in merito alla proposta di regolamento

5.1

Il CESE accoglie con favore l'ampliamento del campo di applicazione del regolamento sulle procedure di insolvenza, che viene esteso alle procedure ibride, a quelle di pre-insolvenza e a quelle di remissione del debito, nonché alle procedure applicabili alle persone fisiche.

5.2

Accoglie inoltre con favore il fatto che venga fatta chiarezza sulle circostanze in cui può essere confutata la presunzione che il centro degli interessi principali coincida con il luogo della sede statutaria.

5.3

Un'altra modifica positiva consiste nell'aver migliorato il regime procedurale, precisando il campo d'intervento della giurisdizione competente per le azioni che derivano direttamente dalla procedura d'insolvenza o che vi si inseriscono strettamente, come le azioni revocatorie.

5.4

Il fatto che le procedure d'insolvenza secondarie non siano necessariamente procedure di liquidazione e che la loro apertura possa essere impugnata quando non è necessaria ai fini della tutela degli interessi dei creditori locali, nonché il maggiore coordinamento tra procedura principale e secondaria, contribuiscono anch'essi a migliorare il regolamento.

5.5

L'obbligo per gli Stati membri di migliorare le norme in materia di pubblicità, rendendo accessibili a tutti, tramite un registro elettronico, le decisioni giudiziali relative ai casi d'insolvenza transfrontalieri, così come la prevista interconnessione dei registri fallimentari nazionali, sono anch'esse idee interessanti.

5.6

Il CESE si chiede tuttavia se le traduzioni che si renderanno necessarie non comportino un onere eccessivo in termini di lavoro, di costo e di tempi, e rammenta che la celerità della procedura è un fattore indispensabile per la sua efficacia.

5.7

Infine, accoglie con favore l'obbligo, per i giudici e i curatori, di cooperare nelle procedure d'insolvenza riguardanti società diverse facenti parte dello stesso gruppo, in quanto ciò mette i curatori stessi in condizione di svolgere più efficacemente il loro compito.

6.   Osservazioni specifiche in merito alla proposta di regolamento

6.1

Il CESE teme anzitutto che il coordinamento con il regolamento (UE) n. 1215/2012, del 12 dicembre 2012 (12), destinato a sostituire il regolamento (CE) n. 44/2001 sulla competenza giurisdizionale dei giudici nazionali e gli effetti delle decisioni giudiziali nell'Unione europea (cosiddetto «regolamento Bruxelles I»), possa risultare problematico. Il Comitato si chiede in particolare se il considerando 6 della proposta di regolamento in esame indichi con sufficiente chiarezza i criteri di ripartizione delle competenze derivanti dalla giurisprudenza Gourdain (13). Tale giurisprudenza, infatti, sembra adottare un'interpretazione restrittiva, mentre determinate misure disciplinate dal regolamento Bruxelles I sono di decisiva importanza per la procedura d'insolvenza. Per esempio, l'operatività o meno di una clausola di riserva della proprietà è decisiva ai fini della determinazione dell'ampiezza dell'attivo del debitore. Tale questione assume rilievo alla luce dell'obiettivo dichiarato di salvare le imprese in difficoltà, poiché la ricostituzione dell'attivo è la chiave per la buona riuscita del salvataggio di tali imprese.

6.2

Per quanto riguarda poi la cooperazione tra curatori fallimentari, la Commissione avrebbe potuto proporre di modificare l'articolo 31 in un senso che incitasse maggiormente i curatori ad adottare protocolli o accordi di cooperazione. La diversità dello statuto dei curatori da uno Stato membro all'altro costituisce infatti un ostacolo alla cooperazione professionale tra questi organi del fallimento.

6.3

Quanto alle comunicazioni tra i curatori e i giudici, esse dovrebbero riguardare in via prioritaria l'inventario, il passivo del debitore, la dichiarazione e la verifica dei crediti, nonché la liquidazione concorsuale coordinata dei creditori che figurano nei piani concordati.

6.4

Il CESE sottolinea infine che la Commissione prevede il ricorso ad atti delegati per la modifica di allegati del regolamento, malgrado il fatto che questi ultimi sembrino contenere disposizioni essenziali, come la nozione di «procedura d'insolvenza» o l'elenco delle persone o degli organi che svolgono la funzione di «curatore».

7.   Osservazioni specifiche in merito al diritto fallimentare sostanziale

7.1

È necessario armonizzare i presupposti della dichiarazione di insolvenza. In taluni Stati membri, infatti, la procedura di fallimento può essere instaurata solo quando il debitore si trovi già in stato di insolvenza, mentre in altri anche la sola «probabilità» che quest'ultimo si verifichi «in un prossimo futuro» è condizione sufficiente.

7.2

Queste divergenze favoriscono il forum shopping, e dovrebbero quindi essere eliminate.

7.3

L'imperativo della certezza del diritto esige del pari un'armonizzazione delle norme in materia di insinuazione dei crediti.

8.   Integrare le procedure civili di sovraindebitamento

8.1

Il CESE appoggia la proposta della Commissione in materia, consistente nel modificare il testo del considerando 9 (14).

8.2

Gli attuali considerando 9 e 10 del regolamento vigente si prestano agevolmente a tale modifica (15).

8.3

Bisognerebbe però che tale integrazione non risultasse svantaggiosa per i debitori privati. Infatti, un diritto concepito per le imprese, destinato a soddisfare le esigenze del mercato, è per definizione meno protettivo del diritto dei consumatori. Il CESE invita perciò la Commissione ad essere particolarmente vigilante su questo punto.

8.4

Invita inoltre la Commissione a riflettere sulla possibilità di armonizzare le norme che disciplinano il fallimento dei «privati», tenendo conto, a questo scopo, degli interessi del consumatore.

9.   Armonizzare lo status e le competenze dei curatori fallimentari

9.1

Le divergenze tra uno Stato membro e l'altro per quanto riguarda i regimi e le competenze dei curatori fallimentari alterano il buon funzionamento del mercato interno, complicando le procedure applicabili ai casi d'insolvenza transfrontalieri (16).

9.2

Nell'interesse delle imprese e del rilancio dell'economia, occorre realizzare in tempi rapidi un'armonizzazione degli aspetti generali riguardanti le competenze e le funzioni dei curatori fallimentari. Il CESE si associa pertanto al Parlamento europeo (17) nel suggerire i seguenti spunti di riflessione:

il curatore deve ottenere l'approvazione dell'autorità competente di uno Stato membro oppure essere nominato da un giudice competente di uno Stato membro, godere di una buona reputazione e avere il grado di istruzione necessario per l'esercizio delle sue funzioni;

deve disporre delle competenze e delle qualifiche necessarie a valutare la situazione dell'entità debitrice e ad assumere i compiti di gestione dell'impresa;

in alternativa al trasferimento dei crediti, deve avere la facoltà di recuperare le somme dovute all'impresa attraverso apposite procedure a carattere prioritario da esperire prima del soddisfacimento dei creditori;

deve essere indipendente rispetto ai creditori e alle altre parti coinvolte nell'ambito delle procedure di insolvenza;

in caso di conflitto di interessi, deve dimettersi dal suo incarico.

9.3

La Commissione, dunque, dovrebbe spingersi al di là di quanto previsto nell'articolo 31 della proposta di regolamento, che si limita a ratificare la prassi esistente e a disciplinare la cooperazione tra il curatore della procedura principale e i curatori della procedura secondaria.

10.   Sviluppare i metodi di composizione extragiudiziale delle competenze per un sostegno e una gestione efficaci delle imprese

10.1

Favorire le procedure di concordato consentirebbe di accrescere la rapidità e l'efficacia dei piani di ristrutturazione delle imprese.

10.2

La loro durata media e il tasso di successo da esse generalmente registrato nell'UE militano a favore dell'adozione di questo approccio.

10.3

D'altronde, al CESE non sembra affatto che il ricorso sistematico ai giudici sia necessariamente la soluzione migliore.

Esso sostiene quindi l'idea di istituire nuovi organi - legati ad esempio al settore dell'economia - capaci, grazie a una composizione multidisciplinare (economica, finanziaria, giuridica), di aiutare rapidamente le imprese a superare le difficoltà finanziarie.

10.4

Questo sistema esiste già in diversi paesi, e potrebbe essere generalizzato ad altri Stati membri.

10.5

Infine, sarebbe utile che la Commissione pubblicasse periodicamente delle statistiche relative ai casi di insolvenza disciplinati dal regolamento in esame, consentendo così di valutare l'efficacia del sistema istituito.

Bruxelles, 22 maggio 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Risoluzione del Parlamento europeo del 15 novembre 2011 (2011/2006 (INI)).

(2)  GU L 160 del 30.6.2000, pag. 1, GU C 75 del 15.3.2000, pag. 1.

(3)  COM(2012) 744 final, del 12 dicembre 2012.

(4)  

l'eccessiva ristrettezza del suo campo di applicazione;

il fatto che esso consenta il persistere del fenomeno del forum shopping (scelta del foro competente in funzione dei propri interessi), a causa di un'applicazione non coerente della nozione di «centro degli interessi principali del debitore»;

l'assenza di coordinamento tra le procedure principale e secondaria d'insolvenza;

l'insufficiente pubblicità delle procedure d'insolvenza;

l'assenza di norme specifiche in materia d'insolvenza dei gruppi societari multinazionali.

La Commissione si appoggia sui 134 contributi pervenutile in risposta a una consultazione pubblica avviata il 29 marzo 2012, sulle conclusioni di uno studio di diritto comparato effettuato dalle università di Heidelberg e Vienna e su una valutazione d'impatto che ha preso in esame diversi scenari relativi a una serie di opzioni di riforma, per suggerire i rimedi a quelle cinque carenze in una proposta di «regolamento del Consiglio relativo alle procedure d'insolvenza».

(5)  Ad esempio, le norme in materia di sicurezza o di tutela dell'ambiente possono, per quanto lodevoli nel loro intento, nuocere al funzionamento delle imprese; così come alle difficoltà incontrate dalle imprese contribuiscono anche i ritardi nei pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni appaltanti.

(6)  Thomas H. Jackson, The Fresh-Start Policy in Bankruptcy Law, 98 Harv. L. Rev. 1393 (1985); Charles Jordan Tabb, The Scope of the Fresh Start in Bankruptcy: Collateral Conversions and the Dischargeability Debate, 59 Geo. Wash. L. Rev. 56 (1990).

(7)  Risoluzione del Parlamento europeo del 15.11.2011 (2011/2006(INI)).

(8)  I crediti da dichiarare sono non solo quelli, scaduti o non, sorti prima della data di dichiarazione di fallimento, ma anche determinati crediti sorti successivamente ad essa, qualora derivino da prestazioni fornite prima di tale data o siano giudicati non necessari alla prosecuzione della procedura.

(9)  Banca o amministratore.

(10)  Mobilio, avviamento commerciale, marchi, ecc.

(11)  Cfr. la sezione 3.1 della comunicazione in esame (COM(2012) 742 final), intitolata Una seconda opportunità nei casi di fallimento non fraudolento.

(12)  L'applicazione di tale regolamento è rinviata al 10 gennaio 2015, segnatamente per permettere agli Stati membri di adeguare le loro norme di procedura in seguito all'abolizione dell'exequatur.

(13)  Sentenza della CGCE, del 22 febbraio 1979, nella causa Gourdain/Nadier.

(14)  Tale considerando sarebbe così formulato: «È necessario che il presente regolamento si applichi alle procedure d'insolvenza (…), che il debitore sia una persona fisica o giuridica, un professionista o un privato».

(15)  Inoltre, disposizioni analoghe sono già previste dal diritto interno di alcuni Stati membri. In Belgio la procedura di «regolamento collettivo dei debiti» (règlement collectif de dettes) riguarda anche le procedure applicabili ai consumatori (legge del 5 luglio 1988), e in Germania non si fa alcuna distinzione tra le procedure applicabili ai commercianti e quelle applicabili ai privati (legge del 5 ottobre 1994).

(16)  Il curatore fallimentare, infatti, può essere un pubblico funzionario oppure un privato «approvato» dall'autorità pubblica competente e designato dal giudice ma pagato dai creditori.

(17)  Risoluzione del Parlamento europeo, del 15 novembre 2011, sulle raccomandazioni alla Commissione sulle procedure d'insolvenza nel contesto del diritto societario dell'UE (2011/2066(INI)).


19.9.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 271/61


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Proteggere le imprese dalle pratiche di commercializzazione ingannevoli e garantire l’effettivo rispetto delle norme — Revisione della direttiva 2006/114/CE concernente la pubblicità ingannevole e comparativa»

COM(2012) 702 final

2013/C 271/11

Relatore: PEGADO LIZ

La Commissione europea, in data 19 febbraio 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Proteggere le imprese dalle pratiche di commercializzazione ingannevoli e garantire l’effettivo rispetto delle norme - Revisione della direttiva 2006/114/CE concernente la pubblicità ingannevole e comparativa

COM(2012) 702 final.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 29 aprile 2013.

Alla sua 490a sessione plenaria, dei giorni 22 e 23 maggio 2013 (seduta del 22 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 129 voti favorevoli e 8 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che la comunicazione in esame e le sue proposte meritino un'attenzione e una riflessione particolare.

1.2

Il CESE appoggia l'idea della Commissione di introdurre una regolamentazione più rigorosa tesa al divieto effettivo e alla punizione esemplare e dissuasiva di certe pratiche aggressive di vendita attuate da società di compilazione degli annuari.

1.3

Vista l'evidente urgenza di una presa di posizione immediata su tale questione e considerata la notevole importanza e gravità, sotto il profilo economico, delle suddette pratiche a livello europeo, il CESE approva che la Commissione proceda immediatamente a presentare una proposta legislativa incentrata esclusivamente su questo tema e basata su una valutazione d'impatto.

1.4

Il CESE ritiene che a questo fine si debba adottare un regolamento quadro, eventualmente sviluppato per mezzo di atti delegati, a garanzia di una maggiore uniformità ed efficacia di applicazione a livello degli Stati membri.

1.5

Vista la natura di tale regolamento quadro, il CESE ritiene che una base giuridica adeguata non possa essere limitata, senza eccezioni, alle norme del Trattato che riguardano la realizzazione del mercato interno e reputa anche che il campo di applicazione non debba essere circoscritto alle operazioni transfrontaliere.

1.6

D'altro canto, il CESE sottolinea la necessità di tener conto del carattere transeuropeo di molte di queste pratiche, aspetto che richiede un'azione coordinata a livello internazionale.

1.7

Tuttavia il CESE ritiene che il modo migliore per raggiungere l'obiettivo di una regolamentazione coerente e uniforme che vieti le pratiche commerciali ingannevoli sia una revisione congiunta delle direttive 2006/114/CE e 2005/29/CE, sia per i rapporti tra imprese (B2B) che per le relazioni tra imprese e consumatori (B2C), salvaguardando le specificità di ciascuna tipologia in una matrice comune, ed esorta la Commissione ad iniziare tale revisione congiunta nel breve termine.

1.8

Il CESE sollecita la Commissione a sviluppare e a far applicare le misure complementari per una migliore informazione e divulgazione, oltre che per una maggiore cooperazione tra le autorità amministrative, le piattaforme pubblico-private e le organizzazioni rappresentative delle parti interessate, e per il perfezionamento dei meccanismi di reazione rapida, tesi alla cessazione di queste pratiche e al risarcimento dei danni causati. Il Comitato chiede in particolare la creazione senza ulteriori indugi di un sistema europeo di tutela giurisdizionale in materia di azioni collettive annunciata oltre 30 anni fa e poi ritardata.

1.9

Il CESE esprime la propria disponibilità a partecipare ai lavori futuri in questa materia, ai quali ritiene di poter contribuire con l'esperienza dei propri membri, rappresentanti della società civile organizzata altamente qualificati dei tre gruppi di interesse che compongono il Comitato.

2.   Contesto e aspetti socioeconomici della proposta

2.1

Nel campo delle comunicazioni commerciali tra le imprese, esistono regole fondamentali che bisogna assolutamente rispettare affinché la concorrenza non venga distorta e il mercato funzioni. E se queste regole non sono seguite volontariamente, vanno rese vincolanti e fatte applicare.

2.2

Con la comunicazione in esame la Commissione ha tracciato un insieme di misure allo scopo di combattere certe pratiche commerciali ingannevoli di imprese di pubblicità, specialmente quelle messe in atto da società di compilazione degli annuari.

2.3

L'obiettivo è quello di assicurare una protezione migliore alle imprese, specialmente - per quanto concerne le PMI - in rapporto alla pratica che consiste nella proposta alle imprese, non desiderata né sollecitata, di inserimento o aggiornamento di dati in un annuario, apparentemente a titolo gratuito, per poi in seguito addebitare tariffe annuali non negoziate né precedentemente accettate.

2.4

La Commissione, dopo aver condotto una consultazione pubblica, annuncia l'intenzione di rafforzare la direttiva 2006/114/CE concernente la pubblicità ingannevole e comparativa, vietando esplicitamente pratiche quali l'occultamento dello scopo commerciale in una comunicazione pubblicitaria e, al tempo stesso, rafforzando l'applicazione delle norme nelle situazioni transfrontaliere.

2.5

La Comunicazione cita inoltre:

a)

l'inesistenza di campagne d'informazione adeguate in rapporto a queste pratiche;

b)

la mancata conoscenza dei meccanismi adeguati per risolvere le controversie, meccanismi che sono poco efficaci, lenti e costosi, e non garantiscono un risarcimento adeguato e proporzionato ai danni provocati;

c)

l'assenza di una rete centralizzata di cooperazione tra le autorità amministrative che monitori le denunce dei professionisti.

2.6

Per la Commissione, i danni finanziari causati da questo tipo di comportamento variano tra i 1 000 e i 5 000 euro l'anno per ogni impresa colpita.

3.   Osservazioni sul contenuto della comunicazione

3.1   Aspetti sostanziali

3.1.1

Come già affermato in un parere precedente, il CESE riconosce alle comunicazioni commerciali in generale e alla pubblicità in particolare, in tutte le sue forme, una funzione di grande importanza sociale ed economica, ben sintetizzata dalla International Advertising Association (IAA); si mette in particolare in evidenza la funzione di diffusione dell'innovazione, di stimolo alla creatività e all'intrattenimento, d'incentivo alla concorrenza e di aumento delle possibilità di scelta (1).

3.1.1.1

Tuttavia, anche se è vero che alcune imprese di pubblicità commettono abusi nel modo in cui reclamizzano i loro prodotti e tentano di procacciarsi i clienti, sarebbe importante che la Commissione evidenziasse che, sebbene molte denunce di pratiche ingannevoli siano associate a imprese che esercitano questa attività, ciò non significa, anche nel caso specifico della compilazione di annuari, che non si tratta di un'attività legittima ed essenziale alla vita economica delle imprese che utilizzano questi annuari per pubblicizzare la loro attività.

3.1.2

Il CESE riconosce che la comunicazione in esame è pertinente e giunge in un momento opportuno, sebbene sia fondamentalmente incentrata sui problemi legati al procacciamento di clienti per gli annuari delle imprese.

3.1.3

Rileva la corretta intenzione della Commissione nell'evidenziare il carattere transfrontaliero di questo problema e nel voler garantire non solo una regolamentazione adeguata, ma anche un'efficace applicazione della stessa e la possibilità di monitorare, controllare e sanzionare con decisione le pratiche.

3.1.4

Si rammarica che la comunicazione non sia stata preceduta da un'autentica valutazione d'impatto che permettesse di giustificare, in modo più decisivo, le opzioni proposte, i cui costi e benefici non sono peraltro chiaramente precisati e valutati.

3.1.4.1

Inoltre la valutazione d'impatto preannunciata dalla Commissione nella riunione con le parti interessate del 1o marzo 2013 appare tardiva e, sebbene non se ne conosca ancora la portata e l'oggetto integrale, non sembra sufficientemente decisiva per una scelta ponderata.

3.1.5

A ciò si aggiunge il fatto che, non solo da un punto di vista di pura ermeneutica giuridica, ma anche nella prospettiva di una maggiore efficacia e di un'effettiva protezione delle imprese, il CESE nutre dubbi circa la possibilità di inquadrare correttamente il caso che è al centro delle preoccupazioni della Commissione nel campo di applicazione della direttiva che essa intende rivedere.

3.1.5.1

In effetti, la pratica esaminata, essendo una comunicazione commerciale in senso lato, non è un'attività pubblicitaria, ma si configura piuttosto come una pratica aggressiva e fraudolenta di vendita, da collocare anzi in un contesto più ampio di pratiche commerciali sleali o abusive che rientrano persino nel campo del diritto penale.

3.1.5.2

Infatti il concetto di pubblicità esclude dalla sua portata qualsiasi tipo di comunicazione in cui non esista, o da cui non si inferisca, la finalità di promuovere determinati beni o servizi, o anche le comunicazioni che avvengano nel quadro di una relazione commerciale e che non puntino a fornire nuovi beni o servizi.

3.1.5.3

Inoltre, alla luce della direttiva 2005/29/CE, per pratica ingannevole si intende una pratica commerciale che contenga informazioni false e sia pertanto non veritiera o in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, inganni o possa ingannare il consumatore medio, anche se l’informazione è di fatto corretta riguardo a uno o più elementi e, in ogni caso, lo induca o sia idonea a indurlo ad assumere una decisione di natura commerciale che non avrebbe altrimenti preso. Ciò significa che la definizione di pratica ingannevole non è limitata alla promozione di prodotti, in quanto può comprendere situazioni in cui non si inferisce la finalità di promuovere un prodotto oppure comunicazioni che intervengono nel quadro di una relazione commerciale.

3.1.6

D'altro canto, nel Libro verde sulle pratiche commerciali sleali nella catena di fornitura alimentare e non alimentare tra imprese in Europa (2), la Commissione mette correttamente in guardia contro la possibile conflittualità e sovrapposizione di una pluralità di azioni dell'UE, con gli stessi destinatari e con regimi simili ma non coordinati, generatrici di una maggiore confusione a livello di recepimento degli atti giuridici da parte degli Stati membri (3).

3.1.7

Il CESE si rammarica che la Commissione europea non abbia sinora aperto una discussione sulle varie opzioni possibili non sottoponendole neanche ad una consultazione pubblica e preferendo al contrario scegliere un'opzione che potrebbe rivelarsi meno vantaggiosa per le imprese, specialmente per le PMI. Poiché apparentemente la Commissione ha già deciso quale opzione adotterà il prossimo ottobre, come annunciato, la presentazione di una valutazione d'impatto con cinque opzioni appare relativamente inutile, visto che la scelta è già fatta in partenza.

3.1.8

Vista l'evidente urgenza di una presa di posizione immediata sulla questione centrale degli annuari delle imprese, peraltro già evidenziata in precedenti studi e risoluzioni del PE, e considerata la notevole importanza e gravità, sotto il profilo economico, delle suddette pratiche a livello europeo (4), il CESE approva che la Commissione proceda immediatamente a presentare una proposta legislativa incentrata esclusivamente su questo tema, specialmente per prevenire i casi in cui le imprese siano oggetto di un «assedio» permanente a causa della minaccia di un'azione legale in una giurisdizione estera, con costi amministrativi crescenti e telefonate costanti da parte di imprese di recupero crediti che assumono quasi la forma di minacce.

3.1.8.1

Peraltro non soltanto le PMI, ma anche i liberi professionisti, le organizzazioni non governative, le biblioteche, gli istituti d'istruzione privati e persino alcuni servizi dell'amministrazione pubblica che sono stati oggetto di queste pratiche devono eventualmente essere compresi nel campo di applicazione attraverso un'estensione del concetto di «commerciante», in modo da comprendere tutti coloro che possano essere oggetto di queste pratiche e non siano tutelati da altri strumenti legislativi.

3.1.9

Il CESE ritiene tuttavia che l'approccio più coerente sarebbe stato quello di estendere il concetto di pratiche commerciali sleali, sotto forma di azioni ingannevoli e aggressive, oltre che la relativa lista nera della direttiva 2005/29/CE, alle relazioni tra imprese.

3.1.10

L'allargamento del campo di applicazione di questa direttiva avrebbe inoltre come effetto positivo una maggiore garanzia di armonizzazione, evitando l'obbligo per gli Stati membri di creare nuovi strumenti legislativi o atti giuridici per recepire la direttiva, limitandosi quindi a estendere il campo di applicazione dei loro atti interni già esistenti alle pratiche commerciali sleali e garantendo così la corretta applicazione della legislazione dell'UE (5).

3.1.11

D'altro canto, la semplice modifica della direttiva 2006/114/CE nei termini ambigui proposti dalla Commissione non garantirà la protezione delle PMI nelle situazioni indicate dalla comunicazione. Infatti queste pratiche, oltre ad essere azioni aggressive e non ingannevoli ai sensi della direttiva 2005/29/CE, risultano da una relazione commerciale precedentemente stabilita e non possono essere inquadrate nell'ambito della pubblicità.

3.1.12

In quest'ottica e fatto salvo quanto affermato al punto 3.1.8, il CESE reputa che la Commissione debba prendere in considerazione l'adozione, in un prossimo futuro, di un approccio orizzontale, promuovendo una maggiore coerenza nelle regole in materia di diritto della concorrenza e di proprietà intellettuale e industriale, oltre a garantire una protezione uniforme di tutte le pratiche commerciali, sia nel commercio al dettaglio che nella maggior parte delle relazioni contrattuali tra professionisti, secondo il punto di vista della risoluzione del Parlamento europeo su un commercio al dettaglio più efficace e più equo.

3.1.13

Sottolinea inoltre la necessità di un maggiore coordinamento tra la DG Giustizia, la DG Concorrenza, la DG Mercato interno e servizi e la DG Imprese e industria nel quadro delle azioni da intraprendere in questo campo e nelle future proposte politiche e legislative, in linea con le priorità politiche stabilite dallo Small Business Act.

3.1.14

Fatto salvo quanto suindicato e qualora l'opzione della Commissione fosse un'altra, il CESE evidenzia la necessità che il concetto di pratiche commerciali «più dannose» sia definito concretamente e precisato bene nel suo contenuto, per comprendere quali siano le pratiche commerciali che la Commissione ritiene meritino una protezione maggiore rispetto alle altre.

3.1.15

Allo stesso modo, il CESE apprezzerebbe che la Commissione procedesse già a un'indicazione più precisa dell'insieme di situazioni che devono essere incluse nella «lista nera», sulla cui esistenza è totalmente d'accordo, nella misura in cui l'elenco delle pratiche che devono essere considerate in assoluto illegittime sia il più possibile preciso ed esaustivo. Per l'elaborazione di tale elenco la Commissione può trovare materiale sufficiente nelle risposte alla sua indagine e negli interventi delle varie parti interessate pronunciati nella riunione del 1o marzo 2013 (6).

3.1.16

Anche in questo caso il CESE apprezzerebbe che la Commissione valutasse la convenienza di elaborare una lista «grigia» di pratiche che sarebbero considerate illegittime, tenuto conto di talune circostanze concrete da decidere caso per caso attraverso l'intervento del giudice.

3.1.17

Analogamente, il CESE è dell'avviso che, oltre alle mere elencazioni, sia necessario rafforzare e chiarire la nozione di pratica di pubblicità ingannevole e quella di pratica di pubblicità comparativa illegittima, in modo da raggiungere un trattamento sistematico all'interno di un quadro giuridico ampio, garantendo che le nuove pratiche sleali siano inquadrate nella legislazione riveduta.

3.1.18

Fatto salvo quanto affermato al punto 3.1.8, il CESE è dell'avviso che il quadro giuridico della direttiva 2005/29/CE debba essere opportunamente ampliato, specialmente per quel che riguarda l'applicazione per analogia o estensione - difesa dal CESE - della protezione esistente per i consumatori a certe micro e piccole imprese, qualora la loro situazione fosse equiparabile e a condizioni che dovranno essere definite con precisione e rigore come già avviene nell'ordinamento giuridico di alcuni Stati membri ed è giustamente rivendicato dalle associazioni e organizzazioni rappresentative delle suddette imprese (7).

3.1.19

Infatti il CESE ritiene che si tratti di due aspetti di una stessa identica realtà e che vi sarebbe tutto l'interesse, sulla base della sua recente valutazione di quella direttiva (8), a rivedere la direttiva 2005/29/CE in modo simultaneo e parallelo alla direttiva 2006/114/CE in esame, a causa della loro interconnessione e complementarità (9).

3.1.20

La natura di queste pratiche e il modo di agire delle imprese che adottano pratiche sleali dimostrano la necessità di un meccanismo giudiziario di azione collettiva in grado di garantire una reazione efficace e una maggior protezione dei professionisti nella risoluzione delle controversie emergenti, non soltanto per far cessare queste pratiche (10) ma anche per garantire un risarcimento adeguato dei danni causati.

3.2   Aspetti formali

3.2.1

Il CESE reputa che la Commissione debba fin d'ora chiarire quale sia la base giuridica su cui intende fondare le misure da prendere, in particolare, se siano soltanto le misure di sostegno alla realizzazione del mercato interno oppure altre.

3.2.2

Allo stesso modo, il CESE è dell'avviso che lo strumento giuridico più adeguato allo scopo sia il regolamento, a garanzia di una maggiore certezza giuridica e di un'armonizzazione più efficace.

4.   Esame della metodologia

4.1

In rapporto al calendario proposto, il CESE accoglie favorevolmente le tappe stabilite dalla Commissione, in particolare, la creazione immediata di una rete di autorità per migliorare l'applicazione della direttiva sulla pubblicità ingannevole e comparativa e per procedere allo scambio di informazioni.

4.2

Accoglie inoltre con favore la creazione di una procedura di cooperazione in materia di applicazione della legislazione, sulla falsariga di quanto previsto nel regolamento n.2006/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio sulla cooperazione tra le autorità nazionali responsabili dell'esecuzione della normativa che tutela i consumatori, introducendo così sia obblighi di assistenza reciproca tra gli Stati membri in questa materia che misure di identificazione delle autorità responsabili dell'attuazione della legislazione, ferme restando le opzioni a favore di piattaforme pubblico-private, sull'esempio di quello che avviene nei Paesi Bassi, e l'allargamento alla cooperazione con organizzazioni rappresentative delle parti interessate.

4.3

Propone pertanto, similmente a quanto avviene nel quadro della protezione del consumatore (11) e nella risoluzione delle controversie, la creazione di una rete europea di sostegno alle PMI per la risoluzione delle controversie transfrontaliere, in modo da indirizzare le imprese vittime di frode verso i meccanismi legali più adeguati.

4.4

Ritiene inoltre che vadano promosse azioni di formazione e informazione, oltre che lo scambio di buone pratiche, per tutte le imprese, per metterle in guardia contro i pericoli connessi.

4.5

D'altro canto, tenuto conto del fatto che la maggior parte delle pratiche ingannevoli avviene in un contesto digitale, il CESE ritiene necessario che venga promosso un approccio più deciso e adeguato alla protezione delle PMI, prendendo in considerazione le pratiche adottate dai provider di internet e le relazioni contrattuali derivanti da piattaforme come E-bay o da piattaforme create appositamente per le operazioni commerciali tra professionisti.

4.6

Inoltre la Commissione dovrà tener conto della dimensione internazionale di queste pratiche nell'ambito dei lavori delle sue delegazioni presso l'OCSE (12). L'UE e i suoi Stati membri vengono incoraggiati a discutere con l'OCSE dell'opportunità di estendere alle situazioni B2B (rapporti tra imprese) le linee guida elaborate da quest'ultima per proteggere i consumatori dalle pratiche commerciali fraudolente oltre confine.

Il CESE propone che Europol istituisca un progetto di ricerca sulle frodi condotte mediante marketing di massa nell'UE: entità dei danni finanziari e numero di vittime; ruolo dei principali operatori transfrontalieri e possibilità di investire i profitti realizzati nel finanziamento di altre attività o iniziative illegali.

4.7

Infine il CESE richiama l'attenzione sulla necessità che la Commissione preveda la dotazione finanziaria indispensabile per la realizzazione delle misure proposte.

4.8

In rapporto ai lavori futuri, il CESE desidera manifestare esplicitamente la propria disponibilità a partecipare ai suddetti lavori, ai quali ritiene di poter contribuire con l'esperienza dei propri membri, rappresentanti della società civile organizzata altamente qualificati dei tre gruppi di interesse che compongono il Comitato.

Bruxelles, 22 maggio 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  GU C 351 del 15.11.2012, pag. 6.

(2)  COM(2013) 37 final.

(3)  Si ricordano, tra i possibili esempi, i problemi che si sono registrati in rapporto al recepimento della direttiva 2005/29/CE e riconosciuti dal Parlamento europeo (cfr. State of play of the implementation of the provisions on advertising in the unfair commercial practices legislation, IP/A/IMCO/ST/2010-04, PE 440.288).

(4)  Cfr. i dati forniti dalla Piattaforma Frode Helpdesk dei Paesi Bassi.

(5)  Inoltre il Parlamento europeo aveva già riferito, nella sua Risoluzione sulle pratiche commerciali sleali e la pubblicità ingannevole, di aver osservato con una certa preoccupazione che vari Stati membri avevano disaggregato la lista nera inclusa nell'Allegato I della direttiva 2005/29/CE al momento di recepire questa direttiva, con la conseguenza di generare più confusione per i consumatori e le imprese.

(6)  A titolo di esempio si citano le seguenti:

a)

pratiche avvenute nel quadro di operazioni online in cui le informazioni relative all'operazione non sono state fornite in modo simile a tutti gli interessati, con conseguente discriminazione di alcune parti interessate;

b)

pratiche avvenute nel quadro di aste e vendite online (E-bay). È evidente che in questi contesti talvolta è più vantaggioso registrarsi come consumatore, in quanto tale status permette di godere di un insieme superiore di garanzie;

c)

pratiche che presuppongono la presentazione di prodotti certificati per i quali non si dispone di alcun riconoscimento ufficiale;

d)

pratiche in base alle quali le imprese pretendono di appartenere a un ente pubblico, obbligando il professionista ad aderire a un determinato servizio o ad acquistare un certo prodotto allo scopo di rispettare ipotetiche norme fiscali o di sicurezza;

e)

pratiche che presuppongono l'acquisto di beni su un mercato transfrontaliero in cui l'acquirente viene informato a posteriori che la prestazione di servizi post-vendita potrà essere assicurata soltanto nel paese di origine del prodotto;

f)

pratiche che presuppongono la creazione di siti Internet comparativi che si prefiggono essenzialmente di spingere il professionista ad acquistare un determinato prodotto, presentandolo come il più indicato al suo profilo commerciale. In realtà, in alcuni di questi strumenti comparativi, specialmente nel settore finanziario, non esiste alcuna informazione sulla natura del sito e sul suo modello di finanziamento;

g)

pratiche di pubblicità «occulta» in un contesto digitale, specialmente per mezzo di risposte pubblicate su reti sociali da consumatori/imprese (normalmente, collaboratori di un'impresa che sono da questa ricompensati) affinché i professionisti utilizzino i servizi e/o i prodotti dell'impresa in questione;

h)

pratiche che hanno per oggetto l'utilizzo di analisi comparative che non sono più attuali oppure che neanche esistono;

i)

pratiche che presuppongono il tacito consenso del professionista nell'acquistare un determinato prodotto o nell'aderire a un determinato servizio.

(7)  Questa soluzione corrisponde all'opzione n.5 della valutazione d'impatto in preparazione.

(8)  COM(2013) 138 final del 14 marzo 2013.

(9)  Va segnalato che l'Austria rappresenta un modello di allineamento tra la direttiva 2006/114/CE e la direttiva 2005/29/CE, in quanto nella fase di recepimento il termine «consumatore» è stato sostituito con«oggetto di pratica commerciale», garantendo in questo modo che le norme della direttiva 2005/29/CE fossero applicabili anche alle relazioni tra professionisti (cfr. IP/A/IMCO/ST/2010-04, PE 440.288 citato alla nota n.3).

(10)  Per questo motivo è indispensabile che il futuro strumento legislativo sia accompagnato dall'elenco di cui all'Allegato I della direttiva 2009/22/CE.

(11)  http://ec.europa.eu/consumers/ecc/contact_it.htm

(12)  La dimensione internazionale di queste pratiche è stata posta in evidenza dal Gruppo di lavoro internazionale sulla frode mediante marketing di massa (International Mass-Marketing Fraud Working Group - IMMFWG), una rete indipendente formata da organismi responsabili dell'applicazione della legge, della regolamentazione e della protezione dei consumatori di sette paesi (Australia, Belgio, Canada, Paesi Bassi, Nigeria, Regno Unito e Stati Uniti), e da Europol. Il Gruppo di lavoro si prefigge di facilitare lo scambio - sul piano internazionale - di informazioni e intelligence, coordinare le operazioni transfrontaliere intese a individuare, ostacolare e smantellare le frodi condotte mediante marketing di massa, promuovendo la sensibilizzazione del pubblico e le attività di educazione dei cittadini in merito alle operazioni fraudolente condotte a livello internazionale mediante marketing di massa.

Cfr. Mass-marketing fraud: a threat assessment («La frode mediante marketing di massa: valutazione di una minaccia»), IMMFWG, giugno 2010.


19.9.2013   

IT

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C 271/66


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo sullo stato dell'Unione doganale»

COM(2012) 791 final

2013/C 271/12

Relatore: SIMONS

La Commissione europea, in data 21 dicembre 2012, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio e al Comitato economico e sociale europeo sullo stato dell'Unione doganale

COM(2012) 791 final.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 29 aprile 2013.

Alla sua 490a sessione plenaria, dei giorni 22 e 23 maggio 2013 (seduta del 22 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 139 voti favorevoli e 7 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE), essendo fautore di un'unione doganale solida, in grado di contribuire in misura significativa al rafforzamento della competitività e al buon funzionamento del mercato interno dell'Unione europea, concorda a grandi linee con la comunicazione presentata dalla Commissione.

1.2

Il Comitato invita la Commissione a tenere esplicitamente conto, nella definizione di un piano d'azione, delle indagini e delle valutazioni interne ed esterne realizzate in questi ultimi tre anni in relazione al funzionamento dell'unione doganale.

1.3

Il Comitato attribuisce notevole importanza all'attuazione di una politica doganale unica sulla base di procedure uniformi, trasparenti, efficaci, efficienti e semplificate, tali da consentire all'Unione europea di far fronte alla concorrenza mondiale e di tutelare i diritti e la sicurezza delle imprese e dei consumatori europei, oltre che la proprietà intellettuale, evitando però anche che l'applicazione della normativa in materia possa imbrigliare gli Stati membri e impedire loro di poter continuare a tenere conto del volume dei loro flussi commerciali.

1.4

Data la notevole importanza che la Commissione attribuisce, nella sua comunicazione, alla facilitazione degli scambi commerciali, è essenziale poter adeguare le capacità operative delle autorità doganali ai flussi commerciali nazionali per incrementare in particolare l'efficienza al fine di semplificare il più possibile l'attività delle imprese. A questo proposito sarebbe utile per il futuro pervenire a un'armonizzazione sulla base delle «buone pratiche» e a un approccio sistemico in termini di controllo.

1.5

Il Comitato avrebbe auspicato che la comunicazione avesse descritto in maggiore dettaglio le azioni concrete da attuare nel breve e medio termine. Essa si limita invece a identificare le priorità per il 2013, ma è apprezzabile che per gli anni successivi faccia già riferimento al progetto che sarà presentato nel 2014.

1.6

Il Comitato richiama in particolare l'attenzione sulla necessità di investimenti che consentano alle autorità doganali di combattere le frodi e la criminalità in maniera più efficiente sotto il profilo dei costi e a ridurre i ritardi nei flussi commerciali.

2.   Introduzione

2.1

La parte terza del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (uno dei trattati di Lisbona, in sigla TFUE), relativa alle politiche e alle azioni interne dell'Unione, contiene due articoli (artt. 26 e 27), relativamente brevi e formulati in termini molto generali, riguardanti il mercato interno, definito come «uno spazio senza frontiere interne, nel quale è assicurata la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali secondo le disposizioni del Trattato».

2.2

Questo tema è comparso nei trattati europei solo nel 1986, con l'Atto unico (art. 8A del Trattato che istituisce la Comunità economica europea, abbreviato in «Trattato CEE»), secondo il quale il completamento del mercato interno sarebbe stato realizzato entro il 1o gennaio 1993, cosa che purtroppo a tutt'oggi non è ancora avvenuta.

2.3

Molto più rapidi e diversi sono stati invece, fortunatamente, gli sviluppi per quanto riguarda l'unione doganale, precursore indispensabile e componente essenziale del mercato interno, ispirata al modello riuscito di cooperazione tra i paesi del Benelux, che figurava già nel primo Trattato CEE (Trattato di Roma), entrato in vigore nel 1958.

2.4

In una ventina di articoli, il Trattato stabilisce, in termini molto dettagliati e fornendo una tabella di marcia, le misure da adottare per giungere, al più tardi nel giro di 15 anni (la durata massima prevista per il periodo transitorio - art. 8, par. 5), all'introduzione per il «complesso degli scambi di merci» di un «divieto, fra gli Stati membri, dei dazi doganali all'importazione e all'esportazione e di qualsiasi tassa di effetto equivalente» come pure all'«adozione di una tariffa doganale comune nei loro rapporti con i paesi terzi».

2.5

Queste disposizioni non figurano soltanto nel Trattato di Roma (art. 9 del Trattato CEE), ma anche, oltre 50 anni dopo, nel Trattato di Lisbona (art. 28 del TFUE). Tuttavia, visto che tutte queste misure sono già state realizzate (soppressione dei dazi doganali alle frontiere nazionali nel 1968, seguita dall'adozione di una serie di normative in materia doganale e di origine che hanno portato al codice doganale comunitario del 1992 e alla tariffa doganale comune del 1987), il Trattato di Lisbona può limitarsi a trattare l'unione doganale in tre articoli molto brevi (artt. 30, 31 e 32), invece della ventina di articoli dettagliati che le riservava il Trattato di Roma.

2.6

Oltre alle basi giuridiche succitate, esistono strumenti giuridici specifici, come i regolamenti relativi all'applicazione dei diritti di proprietà intellettuale, ai precursori delle droghe, ai beni culturali, ai controlli sul denaro contante e alla sorveglianza del mercato, nonché gli atti legislativi sulla protezione dei cittadini e dell'ambiente, che consentono alle autorità doganali dell'Unione europea di far applicare queste norme.

2.7

Come sancisce l'art. 3 del TFUE, l'unione doganale rientra tra le competenze esclusive dell'Unione europea, nei termini descritti all'art. 2, paragrafo 1, del TFUE. La responsabilità in merito all'applicazione della normativa doganale compete agli Stati membri (si ricorda che riguardo al mercato interno l'Unione e gli Stati membri esercitano una competenza concorrente, come indicato all'art. 2, paragrafo 2, del TFUE).

2.8

Il valore aggiunto dell'unione doganale è illustrato in particolare dai dati seguenti, forniti dalla Commissione stessa: il 17 % del commercio mondiale transita attraverso le dogane dell'UE, per un valore annuo di 3 300 miliardi di euro.

3.   Comunicazione della Commissione

3.1

Il 21 dicembre 2012 la Commissione ha presentato la comunicazione, in esame, sullo stato dell'unione doganale, per fare il punto della situazione a metà mandato e valutare in che misura sono stati realizzati gli obiettivi e quali sfide si profilano all'orizzonte.

Più concretamente, la Commissione precisa che la comunicazione persegue i seguenti obiettivi:

sottolineare il valore aggiunto e l'importanza fondamentale dei servizi offerti dall'unione doganale come base per la crescita, la competitività e la sicurezza del mercato interno e dell'Unione europea;

riconoscere che l'unione doganale deve affrontare sfide che richiedono una risposta europea; e

delineare un piano d'azione per contrastare tali sfide e realizzare un'unione doganale più efficiente, solida e unificata entro il 2020.

3.2

Nel quadro di questi obiettivi, la Commissione considera la comunicazione in esame come il punto di partenza di un dibattito su tre aspetti importanti:

portare a termine il processo di modernizzazione avviato nel 2003, completando e adottando il nuovo codice doganale dell'Unione e i relativi atti delegati e di esecuzione, nonché garantire la loro rapida attuazione da parte degli Stati membri;

individuare e colmare le lacune esistenti nell'applicazione della normativa doganale e stabilire le priorità da affrontare. A questo proposito, qualche anno fa la Commissione ha svolto un'autovalutazione interna e presto pubblicherà i risultati di una valutazione esterna del funzionamento dell'unione doganale;

modificare la governance dell'unione doganale nella sua struttura al fine di migliorarne l'efficienza e l'efficacia. Al riguardo la Commissione ha in programma di presentare un progetto di riforma nel 2014.

3.3

La Commissione invita il Consiglio e il Parlamento europeo a:

completare quanto prima il processo di modernizzazione dell'unione doganale;

definire le priorità dell'unione doganale, di concerto con le parti interessate e tenendo conto dei risultati delle recenti valutazioni interne ed esterne e delle analisi delle lacune esistenti;

riformare la governance nonché i ruoli e le responsabilità rispettive degli Stati membri e della Commissione con riguardo alla gestione operativa globale dell'unione doganale. Una delle fasi successive dovrebbe essere costituita dall'elaborazione di un progetto di riforma, che dovrebbe partire nel 2014.

3.4

Nella sua comunicazione, la Commissione afferma che in seguito alla crescente globalizzazione gli Stati membri non sarebbero più in grado di affrontare efficacemente da soli le sfide che ne derivano. Ritiene infatti che la globalizzazione richieda una maggiore unità su scala europea e che questa unità richieda a sua volta una maggiore integrazione.

4.   Osservazioni generali

4.1

Il Comitato apprezza il fatto che la Commissione pubblichi, a metà del suo mandato, la comunicazione in esame sullo stato dell'unione doganale. Il Comitato sottolinea inoltre la notevole importanza dell'unione doganale per l'UE, in particolare per la crescita, la competitività e la sicurezza del mercato interno.

4.2

Il Comitato constata che esistono sfide interne ed esterne che l'Unione europea deve affrontare.

4.2.1

Tra le sfide esterne si possono menzionare i flussi commerciali in costante aumento, le catene logistiche nuove e sempre più complesse, le nuove pressioni concorrenziali, l'aumento della criminalità, in particolare delle frodi, le attività terroristiche e le aspettative, ad esempio, delle altre organizzazioni responsabili dell'applicazione della normativa per le quali le dogane svolgono una parte dei loro compiti.

4.2.2

Tra le sfide interne, il Comitato annovera la mancanza di efficienza e di efficacia dovuta alle differenze in termini di applicazione della normativa tra i 27 Stati membri, poiché ad esempio ogni paese mette a punto i suoi sistemi informatici, si applicano metodi di lavoro diversi ed esistono notevoli differenze nei livelli di formazione - ragion per cui la normativa europea non è applicata in maniera uniforme da parte degli Stati membri. Tutto questo è aggravato ancora di più dalla crisi economica che imperversa tuttora.

4.3

Il Comitato attribuisce notevole importanza all'attuazione di una politica doganale unica sulla base di procedure uniformi, trasparenti, efficaci, efficienti e semplificate, tali da consentire all'Unione europea di far fronte alla concorrenza mondiale e di tutelare i diritti e la sicurezza delle imprese e dei consumatori europei, oltre che la proprietà intellettuale.

4.4

Il Comitato ha formulato una raccomandazione in tal senso in un parere adottato di recente (1) e, data la sua importanza, la ribadisce con vigore in questa sede.

4.5

Il Comitato sottolinea inoltre, con altrettanto vigore, che occorre evitare che l'applicazione della politica doganale possa imbrigliare gli Stati membri e impedire loro di poter continuare a tenere conto del volume dei rispettivi flussi commerciali. A tal riguardo, il Comitato sottolinea altresì che gli Stati membri hanno adottato molteplici misure volte ad agevolare gli scambi: informatizzazione delle formalità doganali, procedure semplificate, introduzione dello status di operatore accreditato.

4.6

In questo contesto, qualsiasi misura di armonizzazione deve essere basata sulle «buone pratiche» e non su un livello medio europeo.

4.7

A giudizio del Comitato, se si vuole operare in maniera efficace sotto il profilo dei costi e mirata ai risultati, anche dal punto di vista delle entrate per quanto riguarda l'aspetto finanziario, e si vogliono compiere dei progressi reali, è inoltre auspicabile effettuare i controlli non tanto sulle singole operazioni quanto invece secondo un approccio sistemico, basato su una valutazione del rischio.

4.8

Anche il Consiglio Competitività del 10 e 11 dicembre 2012 sottolinea, nelle sue conclusioni, la necessità di «promuovere ulteriormente l'applicazione uniforme della normativa doganale e approcci moderni e armonizzati ai controlli doganali lasciando al contempo, ove opportuno e tenendo conto delle implicazioni per gli operatori e per gli Stati membri, un margine di flessibilità per le soluzioni nazionali» (2).

4.9

Il Consiglio fa altresì presente che occorre «migliorare la cooperazione con altre agenzie sia a livello nazionale sia a livello dell'UE nei settori della sicurezza, della salute, della protezione e dell'ambiente, nonché con i partner internazionali rispettando al contempo la suddivisione delle competenze tra l'UE e gli Stati membri in questo campo» (3).

4.10

Il Comitato condivide inoltre il punto di vista della Commissione europea secondo cui l'unione doganale potrà evolversi ulteriormente soltanto se viene messo a punto un meccanismo che consenta di misurarne e valutarne le prestazioni.

4.11

Il Comitato richiama anche l'attenzione sul fatto che, oltre alle procedure doganali in sé, possono esservi altri ostacoli, come la carenza di infrastrutture lungo i confini esterni, che impediscono un rapido svolgimento delle operazioni. Laddove sono coinvolti dei paesi terzi, è opportuno affrontare questa problematica in maniera congiunta.

5.   Osservazioni specifiche

5.1

Il Comitato è preoccupato per il crescente squilibrio tra il continuo aumento del carico di lavoro, da una parte, e la costante riduzione del numero dei funzionari doganali, dall'altra. Nonostante il fatto che numerosi compiti siano stati informatizzati, il carico di lavoro del personale doganale continua ad aumentare. Questo problema, di cui la formazione e l'aggiornamento sono aspetti importanti, meriterebbe maggiore attenzione.

5.2

A tale riguardo, il Comitato prende in considerazione, in una fase più avanzata, la creazione di una scuola di alta formazione doganale europea che consenta al personale doganale degli Stati membri di raggiungere il livello di formazione necessario.

5.3

Il Comitato reputa fondamentali per l'unione doganale la sicurezza della catena di approvvigionamento e la gestione del rischio, temi, questi, che sono oggetto della recente comunicazione presentata dalla Commissione (COM(2012) 793 final), in merito alla quale il Comitato formulerà presto un parere (INT/681, relatore PEZZINI).

5.4

Il Comitato attende inoltre con interesse le proposte della Commissione atte ad affrontare i problemi sorti in seguito ai diversi approcci seguiti nel trattamento delle violazioni della normativa doganale dell'UE e nell'applicazione delle sanzioni, se non altro in ossequio al principio della parità di trattamento. In questo contesto occorre tenere presente che la modifica dei sistemi sanzionatori nazionali all'interno del diritto doganale e penale degli Stati membri è una questione delicata per questi ultimi.

5.5

Il Comitato propone come primo passo una convergenza tra i diversi tipi di violazione, come si è già fatto nel campo dei trasporti su strada (4).

5.6

Il Comitato accoglie con favore la proposta della Commissione di mettere a punto una serie di procedure standard da includere nella futura normativa al fine di facilitare l'applicazione, da parte delle autorità doganali, delle disposizioni legislative che impongono divieti e restrizioni sulle importazioni ed esportazioni di merci.

5.7

Il Comitato avrebbe apprezzato che la Commissione avesse descritto più concretamente nella comunicazione l'impatto delle sue proposte in termini di oneri burocratici e amministrativi.

5.8

È fondamentale migliorare lo svolgimento delle pratiche doganali. A tal fine occorre consolidare la cooperazione tra le amministrazioni doganali, rafforzare le prerogative degli operatori e disporre di vere e proprie strategie europee di lotta alle frodi. In alcuni casi può inoltre essere auspicabile trasferire determinati compiti e attività dai singoli Stati membri ad istituzioni comuni, collegate o meno alla Commissione o agli Stati membri nel loro insieme, ad esempio se ciò consente di realizzare considerevoli risparmi finanziari e/o di agevolare lo svolgimento delle pratiche doganali.

5.9

Il Comitato si sarebbe aspettato inoltre di trovare nella comunicazione maggiori informazioni generali. Purtroppo non è così, per cui è difficile compiere una valutazione adeguata della comunicazione. Si compiace, tuttavia, che stando alle rassicurazioni esplicite dei rappresentanti della Commissione, le proposte legislative future saranno accompagnate da una valutazione di impatto.

5.10

Il Comitato condivide la preoccupazione della Commissione riguardo al fatto che la gestione attuale dell'unione doganale, e in particolare dei processi comuni, ha raggiunto i suoi limiti in termini di efficacia e di efficienza. Ritiene che le autorità doganali debbano disporre di un sistema di gestione moderno ed efficiente per poter operare in maniera adeguata e con risultati ottimali sotto il profilo dei costi.

5.11

Il Comitato fa inoltre osservare che, anche nell'attuale crisi economica, le autorità doganali devono disporre di risorse finanziarie sufficienti, ad esempio per aggiornare i loro sistemi informatici, in modo da poter combattere adeguatamente le frodi e la criminalità.

Bruxelles, 22 maggio 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  GU C 229 del 31.7.2012, pag. 68.

(2)  Conclusioni del Consiglio sui progressi realizzati nell'ambito della strategia per l'evoluzione dell'Unione doganale, 3208a riunione del Consiglio Competitività, Bruxelles, 10 e 11 dicembre 2012.

(3)  Ibidem.

(4)  Regolamento (CE) n. 1071/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 ottobre 2009 che stabilisce norme comuni sulle condizioni da rispettare per esercitare l'attività di trasportatore su strada e abroga la direttiva 96/26/CE del Consiglio.


19.9.2013   

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Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 271/70


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Piano d'azione: diritto europeo delle società e governo societario — una disciplina giuridica moderna a favore di azionisti più impegnati e società sostenibili»

COM(2012) 740 final

2013/C 271/13

Relatore: DE LAMAZE

La Commissione, in data 19 febbraio 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni – Piano d'azione: diritto europeo delle società e governo societario - una disciplina giuridica moderna a favore di azionisti più impegnati e società sostenibili

COM(2012) 740 final.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 29 aprile 2013.

Alla sua 490a sessione plenaria, dei giorni 22 e 23 maggio 2013 (seduta del 22 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 135 voti favorevoli, 1 voto contrario e 11 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie favorevolmente i principali orientamenti del piano d'azione all'esame relativo al governo societario.

1.2

Il CESE ammonisce circa il rischio di appesantire il costo regolamentare della conformità a carico delle imprese quotate e ricorda l'esigenza fondamentale, per le imprese stesse, di un mercato finanziario aperto. Il giusto equilibrio tra misure legislative e norme non vincolanti, tra raccomandazioni e codici di buon governo, dipenderà dalle singole condizioni di attuazione di ciascuna iniziativa presentata.

1.3

Per quanto concerne in particolare il nuovo obbligo di trasparenza nella politica retributiva delle imprese, il CESE auspica che la Commissione definisca requisiti ragionevoli, per non mettere a repentaglio lo sviluppo delle imprese con un aumento dei costi operativi. Il Comitato richiama l'attenzione sul fatto che queste nuove regole dovranno fare in modo di preservare la riservatezza degli affari.

1.4

Sulla questione essenziale di dare agli azionisti la possibilità di esprimersi con il voto sulla politica retributiva, il CESE ritiene che la ricerca di un'armonizzazione a livello europeo non possa andare al di là di un voto consultivo, per non rimettere in discussione le basi del diritto delle società.

1.5

Nel quadro della prevista valutazione d'impatto, il CESE invita la Commissione ad esaminare scrupolosamente la fondatezza di ciascuna iniziativa diretta in modo specifico alle PMI.

1.6

Il CESE ritiene che, ai fini di un efficace funzionamento delle imprese, specie in periodi di crisi, sarebbe stato opportuno, a completamento delle iniziative annunciate, sottolineare la necessità di potenziare il coinvolgimento dei lavoratori.

1.7

Il CESE chiede inoltre una maggiore formazione degli amministratori e sottolinea l'importanza di favorire lo scambio delle buone pratiche riconosciute in materia.

1.8

In materia di diritto delle società, il CESE giudica necessario ridefinire le priorità centrandole sul progetto di società privata europea e su misure volte a facilitare il trasferimento della sede all'interno dell'UE. In entrambi i casi, occorre che la partecipazione dei lavoratori venga garantita e sostenuta, in particolare attraverso la consultazione specifica delle parti sociali, prevista dai trattati europei.

1.9

Il CESE non è favorevole all'idea di riconoscere la nozione di «interesse di gruppo» che, con l'andar del tempo, potrebbe compromettere il principio dell'autonomia delle persone giuridiche, soprattutto se non europee, presenti all'interno di un gruppo di società. Giudica inoltre preoccupante la logica volta a privilegiare l'interesse di gruppo su quello della filiale, che potrebbe vedersi sacrificato in tal senso.

2.   Sintesi della comunicazione

2.1

In linea con la comunicazione sulla strategia Europa 2020, in cui invocava il miglioramento dell'ambiente in cui operano le imprese in Europa, nel piano d'azione all'esame la Commissione propone una serie di iniziative volte a consolidare il quadro dell'UE in materia di governo societario. A tal fine, la Commissione stabilisce due linee d'intervento:

maggiore trasparenza sia nei confronti degli azionisti e dei cittadini che dell'impresa stessa: comunicazione della politica in materia di diversità nella composizione del consiglio e della politica di gestione dei rischi non finanziari (rischi strategici, operativi e di conformità…), miglioramento delle spiegazioni che le imprese devono fornire in caso di deroga alle raccomandazioni dei codici di buon governo, divulgazione delle politiche di voto degli investitori istituzionali, identificazione degli azionisti;

maggiore coinvolgimento degli azionisti: sorveglianza della politica retributiva, migliore controllo delle operazioni con parti correlate da parte degli azionisti, regolamentazione dell'attività dei consulenti in materia di voto, chiarimento del concetto di «azione concertata», incentivazione della partecipazione azionaria dei dipendenti.

2.2

Parallelamente vengono annunciate diverse iniziative nel campo del diritto delle società, che per definizione interessano tutte le società per azioni e non solo quelle quotate in borsa: agevolazione delle operazioni transfrontaliere (fusioni e scissioni transfrontaliere ed eventualmente trasferimenti di sede), esame del seguito da dare alla proposta di statuto della società privata europea (SPE), campagna d'informazione sullo statuto della società europea (SE) e della società cooperativa europea (SCE), iniziative mirate per i gruppi di società (in particolare riconoscimento della nozione di «interesse di gruppo»), codificazione del diritto societario dell'UE. Tutte queste iniziative formeranno oggetto di analisi d'impatto ex ante e potranno essere modificate di conseguenza.

3.   Osservazioni generali

3.1   In linea di massima, il CESE accoglie favorevolmente le misure annunciate nel piano d'azione all'esame il quale, per quanto concerne il governo societario, è improntato, salvo eccezioni (che saranno esaminate più avanti), ad un consolidamento del quadro attuale piuttosto che a una sua modifica in profondità.

3.2   Questo piano d'azione sembra ricercare un certo equilibrio tra misure legislative e norme giuridiche non vincolanti (raccomandazioni e codici di buon governo). Il CESE fa osservare che qualsiasi obbligo aggiuntivo in materia di trasparenza, soprattutto in relazione alla politica retributiva, avrà un impatto sui costi operativi delle imprese.

3.3   Il CESE si rammarica che il piano d'azione, pur comportando una maggiore partecipazione degli azionisti, non preveda al tempo stesso un più ampio coinvolgimento dei lavoratori, di cui il Comitato aveva sottolineato l'importanza nel suo parere sul Libro verde del 2011 (1). Il Comitato desidera ricordare che il diritto dell'UE riconosce che la partecipazione dei lavoratori al processo decisionale contribuisce allo sviluppo sostenibile e ai risultati dell'impresa.

3.4   Al di là del piano d'azione all'esame, il CESE riconosce che varrebbe la pena precisare la natura e i contenuti della nozione di partecipazione dei lavoratori in relazione ai fondamenti del diritto societario, che potrebbero esserne modificati (2). Il CESE è favorevole ad un approccio fondato su una pluralità di parti interessate, approccio che corrisponde alle sfide cui devono far fronte le imprese che puntano ad uno sviluppo a lungo termine e che si assumono un impegno nei confronti dei lavoratori e dell'ambiente. Questo tipo di approccio implica un buon dialogo sociale e un clima di fiducia basato su disposizioni chiare in materia d'informazione, consultazione e partecipazione, laddove queste esistano. In tal senso, il CESE desidera promuovere la ricerca di nuove soluzioni, ad esempio il concetto di impresa sostenibile (sustainable company) (3).

3.5   Sulla scia del parere sul Libro verde del 2011, il CESE sottolinea infine che un buon governo societario dipende anche dalle competenze dei membri del consiglio d'amministrazione, soprattutto in materia giuridica e finanziaria. Il Comitato fa osservare quanto sia importante adeguare la formazione degli amministratori al tipo d'impresa, in particolare alle sue dimensioni, e promuove qualsiasi iniziativa in grado di favorire lo scambio di buone pratiche in questo campo. A suo parere, sarebbe utile che questo aspetto fosse oggetto di una futura raccomandazione della Commissione. Per motivi di trasparenza e di certezza giuridica, soprattutto per le PMI e i loro lavoratori, le misure volte a completare il diritto societario europeo dovrebbero evitare che si possa scegliere il paese con il regime giuridico più conveniente (il cosiddetto regime shopping) autorizzando la registrazione di società europee dal nulla o consentendo la separazione tra la sede amministrativa di un'impresa e quella sociale.

3.6   Osservazioni concernenti il governo societario

3.6.1

Il CESE ha già avuto l'occasione di ricordare che il governo societario ha la funzione di garantire la sopravvivenza e la prosperità di un'impresa (4) creando le condizioni necessarie perché vi sia fiducia tra i diversi soggetti interessati (5). Come nel caso del diritto europeo delle società, le iniziative in materia di governo societario devono contribuire a facilitare la vita e il funzionamento delle imprese e promuoverne la competitività.

3.6.2

Considerando la diminuzione del numero di società che entrano in borsa e l'aumento del numero di società che ne escono, il CESE ricorda che le imprese, e in particolare le PMI, hanno un bisogno vitale di accedere al mercato finanziario. Le difficoltà di finanziamento che vivono attualmente numerose imprese rappresentano un notevole freno al loro sviluppo. Per garantire un mercato finanziario aperto, il CESE giudica essenziale non appesantire gli obblighi già molto forti legati al governo societario delle imprese quotate in borsa, in particolare le PMI, cosa che scoraggerebbe ulteriormente il loro accesso ad una quotazione. Mette inoltre in evidenza il rischio che vengano accentuate le asimmetrie esistenti, dal punto di vista della concorrenza, tra le imprese quotate e quelle non quotate, le quali non sono soggette agli obblighi di trasparenza che gravano sulle prime e che invece sono le principali beneficiarie delle informazioni da esse divulgate.

3.6.3

Il CESE si rammarica che la volontà espressa dalla Commissione di tener conto delle condizioni particolari delle PMI, in termini non solo di dimensioni ma anche di struttura d'azionariato, sia stata formulata solo in modo molto generico e non si articoli né si traduca concretamente per ognuna delle iniziative annunciate.

3.6.4

A tale proposito, il CESE sottolinea la necessità di modificare la definizione europea di piccola e media impresa, onde tenere meglio conto delle caratteristiche delle realtà imprenditoriali piccole e medie.

3.6.5

Più che un approccio normativo, il CESE raccomanda, nella misura del possibile, un approccio che si limiti a definire i principi, lasciando agli Stati membri l'incarico di adeguarli al meglio alle loro caratteristiche nazionali. Nel 2003 (6), la Commissione aveva già sottolineato la notevole convergenza dei codici nazionali concernenti il governo societario. Il Comitato nota con soddisfazione che per quanto concerne i punti essenziali del piano d'azione all'esame, segnatamente il miglioramento delle spiegazioni da parte delle imprese che si discostano dalle disposizioni del codice, la Commissione sembra andare effettivamente in questa direzione.

3.6.6

Per quanto concerne l'obiettivo generale della trasparenza, il CESE appoggia le iniziative della Commissione volte ad applicare in tutta l'UE le norme in vigore in taluni Stati membri, in particolare quelle che favoriscono la realizzazione di risultati a lungo termine nelle imprese. A suo avviso, la difficoltà consiste solamente nel trovare un equilibrio tra le legittime esigenze di trasparenza e la necessità di non ostacolare lo sviluppo delle imprese con costi amministrativi supplementari e con la divulgazione d'informazioni sensibili ai fini della concorrenza.

3.6.7

Essendo dell'avviso che l'obbligo di «rispettare o spiegare» sia alla base dei principi del governo societario, il CESE concorda nel ritenere che esso debba essere attuato in modo più rigoroso e accoglie con favore l'iniziativa della Commissione in tal senso.

3.6.8

Il Comitato prende atto della volontà della Commissione di potenziare il ruolo degli azionisti onde trovare un equilibrio soddisfacente tra i diversi poteri. Il CESE è consapevole del fatto che per gli azionisti, accanto ai diritti proposti per consentire un loro maggiore coinvolgimento nella vita delle imprese, vi saranno dei doveri ai quali adempiere.

3.6.9

Giudicando necessario, a questo fine, favorire il dialogo tra azionisti ed emittenti, il CESE attribuisce una particolare importanza all'iniziativa volta a promuovere la conoscenza, da parte delle imprese, dei loro azionisti, conoscenza che costituisce il presupposto indispensabile per un tale dialogo. Il futuro strumento europeo in materia dovrà tener conto delle differenze legislative concernenti la tutela dei dati personali.

3.6.10

Il CESE approva anche la proposta che obbliga gli investitori istituzionali a far conoscere le loro politiche in materia di voto e d'impegno, e in particolare le loro prospettive d'investimento nelle società di cui possiedono titoli.

3.6.11

Sulla questione essenziale di dare agli azionisti la possibilità di esprimersi con il voto sulla politica retributiva e sulla relazione concernente le retribuzioni, il CESE ritiene che la ricerca di un'armonizzazione a livello europeo non possa andare al di là di un voto consultivo.

3.7   Osservazioni concernenti il diritto delle società

3.7.1

Tra le diverse iniziative previste, il CESE stabilisce un ordine di priorità diverso da quello della Commissione.

3.7.2

Diversamente dalla Commissione, il Comitato ritiene necessario proseguire gli sforzi sul progetto di società privata europea (SPE) e cercare una soluzione che possa avere il consenso di tutti.

3.7.3

Per il CESE è inoltre prioritario facilitare i trasferimenti di sede all'interno dell'UE. L'iniziativa che raccomanda di adottare in questo campo dovrà anch'essa continuare a garantire e rafforzare le condizioni per una partecipazione attiva dei lavoratori.

4.   Osservazioni specifiche

4.1   Osservazioni concernenti il governo societario

4.1.1

Il CESE riconosce che le imprese devono migliorare la qualità delle spiegazioni che sono tenute a fornire quando si discostano dai codici di buon governo. A volte, tali spiegazioni altro non sono che un semplice esercizio retorico e invece dovrebbero essere ben circostanziate e menzionare, se necessario, la soluzione alternativa adottata.

4.1.2

Il CESE nota con soddisfazione che la Commissione lascia agli Stati membri, nell'ambito dei rispettivi codici nazionali, la responsabilità di precisare i metodi per migliorare le dichiarazioni sulle pratiche di governo societario.

4.1.3

Come già sottolineato in un precedente parere (7), è soprattutto interesse dell'impresa stessa fornire spiegazioni di buona qualità, dato che, in caso di spiegazioni inadeguate, essa è comunque soggetta alle sanzioni del mercato.

4.1.4

Qualora dalla Commissione emergesse la volontà di far controllare, o addirittura certificare, la qualità dell'informativa sul governo societario trasmessa ai mercati, il CESE precisa di non essere favorevole ad un approccio vincolante in questo campo. Evidenzia inoltre le difficoltà tecniche cui andrebbe incontro un progetto del genere che, alle stregua della direttiva sulla revisione legale dei conti in virtù della quale è stato istituito un comitato per la revisione contabile, presuppone la definizione di criteri omogenei a livello UE applicabili a tutte le imprese.

4.1.5

La misura che maggiormente potrebbe incidere sulle imprese in termini di oneri amministrativi riguarda i requisiti di trasparenza per quanto concerne le politiche retributive e i singoli aspetti delle retribuzioni individuali degli amministratori, che attualmente sono disciplinati da diverse raccomandazioni e da codici nazionali di governance e per i quali la Commissione prevede, nel proprio piano d'azione, uno strumento vincolante a livello UE. Il CESE potrebbe accogliere una misura di questo tipo ma solo a condizione che la sua attuazione concreta non appesantisca in maniera eccessiva il costo regolamentare per le imprese, il quale dovrà essere soggetto ad una rigorosa valutazione nell'ambito dello studio d'impatto preliminare. Il CESE avverte inoltre che la divulgazione dei criteri relativi alla parte variabile delle retribuzioni degli amministratori con incarichi esecutivi potrebbe mettere a repentaglio la riservatezza degli affari. Il Comitato sottolinea l'importanza di trasmettere agli azionisti informazioni chiare e complete non solo sul livello delle somme consentite, ma anche sul modo di calcolarle e sui criteri di determinazione.

4.1.6

Uno dei punti più controversi per il CESE concerne l'idea di un diritto di voto degli azionisti sulla politica retributiva e sulla relazione concernente le retribuzioni, sulle cui modalità il Comitato chiede che venga esercitata una particolare vigilanza. Fa inoltre osservare che la Commissione resta relativamente vaga sulla questione e non precisa quale sarebbe la natura di questo voto (consultivo oppure vincolante).

4.1.7

Al di là delle difficoltà giuridiche e tecniche di attuazione, un voto vincolante presuppone un trasferimento di competenze dal consiglio di amministrazione agli azionisti. Il CESE è contrario a tale orientamento, che modificherebbe in profondità il diritto delle società, anche se ritiene che ciascuno Stato membro debba poter decidere della natura (consultiva o vincolante) del voto.

4.1.8

Il CESE si è già pronunciato sulla questione esprimendosi a favore di un voto d'approvazione e precisando inoltre che la risoluzione in materia di politica retributiva proposta agli azionisti nel corso della loro assemblea generale deve formare oggetto di una discussione preliminare e di un'adozione da parte del consiglio di amministrazione nel suo complesso, come già avviene in Germania (8).

4.1.9

Per quanto concerne la parte variabile della retribuzione concessa ai quadri dirigenti, il CESE desidera ricordare che l'approvazione da parte degli azionisti nel corso dell'assemblea generale deve riguardare sia il sistema e le norme applicabili (criteri di risultato prestabiliti e quantificabili) sia l'importo in quanto tale, versato in applicazione delle norme stesse (9).

4.1.10

Quanto all'attività dei consulenti in materia di voto, il CESE riconosce la necessità di disciplinarla in modo più rigoroso. In particolare raccomanda che questi ultimi soddisfino i seguenti obblighi: divulgare le loro politiche di voto (spiegando il significato delle loro raccomandazioni), diffondere il loro progetto di analisi nell'impresa prima di trasmetterlo agli investitori (affinché l'impresa possa formulare le sue osservazioni); segnalare i conflitti d'interesse che potrebbero incidere sulla loro attività, in particolare i legami che possono intrattenere con l'impresa e i suoi azionisti, e citare le misure che intendono mettere in atto per prevenire tali conflitti.

4.2   Osservazioni concernenti il diritto delle società

4.2.1

Il CESE giudica necessario portare avanti il progetto di società privata europea (SPE), la cui realizzazione dovrà essere conforme alle disposizioni del Trattato e alle norme applicabili del diritto delle società. Al di là di un'armonizzazione delle legislazioni nazionali, uno strumento uniforme come la SPE avrebbe, agli occhi del CESE, un effetto leva importante sull'attività transfrontaliera delle PMI. Il coinvolgimento attivo dei lavoratori nella SPE, secondo le regole valide per la SE e per la SCE, rappresenta per il CESE un requisito che non può essere rimesso in discussione senza snaturare il progetto. Costituisce inoltre una condizione essenziale dell'accordo che il CESE raccomanda di trovare sul progetto.

4.2.2

Allo stesso modo, per quanto concerne la questione delle norme europee da attuare per facilitare il trasferimento di sede da uno Stato membro all'altro, il CESE avrebbe auspicato un maggiore impegno da parte della Commissione, la quale è la prima a riconoscerne la necessità effettiva. L'iniziativa in materia che il CESE auspica dovrà anch'essa continuare a garantire e potenziare le condizioni per un coinvolgimento dei lavoratori. Questi ultimi devono essere informati e consultati in merito al trasferimento proposto, conformemente al disposto dell'articolo 4 della direttiva 2002/4/CE e alla direttiva sui comitati aziendali europei.

4.2.3

Il CESE nutre invece profonde riserve nei confronti di qualsiasi iniziativa europea volta a riconoscere la nozione di «interesse di gruppo» che, con l'andare del tempo, potrebbe compromettere il principio dell'autonomia delle persone giuridiche, soprattutto se non europee, presenti all'interno di un gruppo di società. Nonostante l'atteggiamento prudente e moderato della Commissione, il CESE trova inoltre preoccupante la logica volta a privilegiare l'interesse di gruppo su quello della filiale, che potrebbe vedersi sacrificato in tal senso. Ad ogni modo, se la Commissione dovesse mantenere tale orientamento, sarebbe innanzitutto necessario elaborare una definizione giuridica comune a livello europeo della nozione di «gruppo di società», un compito particolarmente delicato e difficile, considerando che gli Stati membri hanno concezioni ben diverse in materia.

4.2.4

Tenendo conto della portata del piano d'azione, il CESE non giudica prioritaria la codificazione del diritto europeo delle società entro la fine dell'anno. Si tratta infatti di un compito che per definizione richiede moltissimo tempo.

4.2.5

Il CESE dubita inoltre che tale attività possa essere portata avanti «a diritto costante», tanto più che la Commissione ha espresso il desiderio di rimediare ai vuoti legislativi e alle involontarie sovrapposizioni delle direttive.

4.2.6

Il CESE sottolinea infine la difficoltà del compito, dato che la maggior parte delle direttive interessate, che comportano delle opzioni, è già stata recepita nelle legislazioni nazionali.

Bruxelles, 22 maggio 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  GU C 24 del 28.1.2012, pag. 91.

(2)  Il diritto delle società resta in effetti basato unicamente sulle relazioni tra azionisti, consiglio d'amministrazione ed esecutivo.

(3)  GU C 161 del 6.6.2013, pag. 35

(4)  Cfr. il parere del CESE, GU C 84 del 17.3.2011, pag. 13.

(5)  Direzione, rappresentanti dei lavoratori, investitori, enti territoriali.

(6)  Cfr. la comunicazione Modernizzare il diritto delle società e rafforzare il governo societario nell’Unione europea - Un piano per progredire, COM(2003) 284 final.

(7)  GU C 24 del 28.1.2012, pag. 91.

(8)  Cfr. il parere del CESE, GU C 24 del 28.1.2012, pag. 91.

(9)  Conformemente a quanto precisato dalla Commissione nella sua raccomandazione del 2004.


19.9.2013   

IT

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C 271/75


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Piano d'azione Imprenditorialità 2020 Rilanciare lo spirito imprenditoriale in Europa»

COM(2012) 795 final

2013/C 271/14

Relatore: LOBO XAVIER

Correlatore: LANNOO

La Commissione europea, in data 18 marzo 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione - Piano d'azione Imprenditorialità 2020 - Rilanciare lo spirito imprenditoriale in Europa

COM(2012) 795 final.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 29 aprile 2013.

Alla sua 490a sessione plenaria, dei giorni 22 e 23 maggio 2013 (seduta del 23 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 61 voti favorevoli, 8 voti contrari e 13 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

L'Europa deve affrontare sfide enormi e nessuno Stato membro può esimersi dal contribuire con spirito critico alla soluzione dei problemi evidenziati dalla crisi economica e finanziaria. La disoccupazione, indipendentemente dalla sua natura e dalle parti della società che ne vengano colpite, è uno dei problemi più seri e impone sforzi comuni e concertati da parte degli Stati membri che devono rientrare in una strategia comune, seppure applicata in modo diverso in funzione delle caratteristiche e delle risorse di ciascun paese.

1.2

È in tale contesto che la Commissione europea presenta il suo Piano d'azione Imprenditorialità 2020 al fine di promuovere una cultura dell'imprenditorialità e dell'innovazione che renda possibile il rilancio delle economie e la creazione di un vero «spirito imprenditoriale europeo», in grado di mobilitare la società per il conseguimento di obiettivi che riguardano tutti.

1.3

Il presente parere analizza il valore aggiunto apportato dalla creazione del Piano d'azione Imprenditorialità 2020, un impegno realistico per il rilancio dello spirito di iniziativa e di imprenditorialità quale strumento veramente europeo per contribuire a superare la crisi, incentrato su investimenti in azioni specifiche e politiche strutturate di breve, medio e lungo termine, che siano abbastanza efficienti per cambiare la situazione attuale attraverso il rafforzamento e la promozione di un atteggiamento imprenditoriale che mobiliti la società attorno all'innovazione e alla crescita economica. Questa politica imprenditoriale deve stimolare la creazione di tutte le forme di impresa. Si tratta inoltre di favorire l'ingresso sul mercato di lavoratori autonomi, di artigiani, di professionisti, di imprese familiari, di cooperative e di imprese sociali.

1.4

A giudizio del Comitato economico e sociale europeo (CESE), l'imprenditorialità deve essere considerata dalla società non come qualcosa in grado di risolvere tutti i problemi, ma piuttosto come un aiuto a una trasformazione del comportamento necessaria alla creazione di una cultura dell'innovazione, della ricerca della conoscenza e di opportunità imprenditoriali, finalizzate alla crescita economica sostenibile e al benessere sociale in tutte le forme di impresa.

1.5

Il CESE teme che il quadro finanziario pluriennale approvato dal Consiglio europeo metta a repentaglio l'attuazione del Piano d'azione Imprenditorialità 2020, e che quest'ultimo rimanga un semplice elenco di buone intenzioni prive di copertura finanziaria.

1.6

Il CESE mette in guardia il Parlamento europeo e lo invita a riflettere sulla necessità di stanziare le risorse necessarie per un'attuazione sostanziale e sostenibile del piano, e ricorda che in questo contesto un ruolo importante può essere svolto dai fondi strutturali.

1.7

Il CESE ricorda la necessità di dotare i diversi soggetti presenti sul terreno dei mezzi per diffondere e divulgare le migliori pratiche di imprenditorialità, indipendentemente dalla loro origine (pubblica o privata) e dal settore di attività.

1.8

Il CESE raccomanda alla Commissione europea e agli Stati membri di attuare il Piano d'azione Imprenditorialità 2020 in stretta collaborazione con le diverse organizzazioni rappresentative delle PMI, data la loro grande diffusione e importanza nel contesto europeo.

1.9

Il CESE concorda sull'opportunità che le politiche per la promozione dell'imprenditorialità siano coordinate con le politiche dell'istruzione, coinvolgendo la comunità dei docenti e cominciando a sensibilizzare al concetto fin dai primi anni di scolarizzazione. Il CESE sollecita inoltre un coordinamento di queste azioni a livello sia nazionale che europeo, per assicurare un'esecuzione armoniosa delle iniziative proposte.

1.10

Il CESE ritiene che, sulla scia di altre analoghe ricorrenze, la Commissione debba designare uno dei prossimi due anni quale «Anno europeo dell'imprenditorialità», promuovendo iniziative congiunte e dando così un forte impulso al concetto di «imprenditorialità europea». Questa proposta non è intesa a mettere in discussione l'organizzazione della «Giornata europea dell'imprenditoria» cui fa riferimento il documento.

1.11

Il CESE invita la Commissione a introdurre un quarto ambito d'intervento volto a rafforzare le azioni di accompagnamento, di consulenza e di assistenza per le imprese – in particolare per quelle più piccole – realizzate tramite le organizzazioni intermediarie.

1.12

Il CESE chiede alla Commissione, al Parlamento europeo e al Consiglio di mettere a punto e di introdurre, sulla base delle esperienze di vari Stati membri, dei sistemi volti a sostenere gli anziani desiderosi di avviare un'attività indipendente dopo il pensionamento, e a semplificare il quadro della loro attività.

2.   La proposta della Commissione

2.1

A giudizio del CESE, i tre ambiti di intervento immediato, tesi a contribuire alla creazione duratura di uno spirito di iniziativa e di imprenditorialità in Europa, sono azzeccati, ma devono essere accompagnati da misure specifiche, applicate localmente in una prospettiva che sia «europea» e orientata ai mercati mondiali. Pur considerando le azioni proposte concettualmente adeguate, il CESE esorta la Commissione a garantire la loro sostenibilità finanziaria.

Gli ambiti di intervento immediato sono ben definiti:

(a)

sviluppare l'istruzione e la formazione all'imprenditorialità per sostenere la crescita e la creazione di imprese.

(b)

Creare condizioni quadro favorevoli agli imprenditori rimuovendo gli attuali ostacoli strutturali e fornendo loro un aiuto nelle fasi cruciali del ciclo di vita dell'impresa, senza trascurare l'importanza del finanziamento in questo processo.

(c)

Promuovere una cultura dell'imprenditorialità in Europa e favorire l'ingresso sul mercato di una nuova generazione di imprenditori.

In altri termini, intervenire nella preparazione e formazione delle persone; favorire le condizioni propizie all'imprenditorialità; promuovere il concetto sulla base delle condizioni così create.

Ribadiamo che il concetto è ben definito, spetta pertanto agli Stati membri assumersi un impegno comune e chiarire gli aspetti legati alla sostenibilità finanziaria del piano.

3.   Osservazioni generali e commenti

3.1

L'imprenditorialità è di per sé un concetto già definito e accettato come fattore di differenziazione delle società sviluppate, che deve caratterizzare in senso positivo la cultura prevalente (1).

3.2

Il cambiamento comportamentale della società europea rispetto all'imprenditorialità potrà realizzarsi ricorrendo alla divulgazione delle buone pratiche e agli esempi di successo esistenti, combinandoli con concetti fondamentali associati alla cultura imprenditoriale, tenendo presente che l'investimento da fare deve essere incentrato sulla valorizzazione del ricchissimo capitale umano dell'Europa. Le risorse del quadro finanziario pluriennale dovranno tenere conto di questa necessità di promuovere e diffondere le buone pratiche esistenti con la collaborazione delle organizzazioni e dei rappresentanti delle PMI dei diversi Stati membri.

3.3

Alcuni concetti importanti per questo necessario cambiamento comportamentale non sono sufficientemente messi in rilievo nel documento. Un esempio è costituito dalle questioni connesse alla proprietà intellettuale e ai diritti d'autore, ragion per cui il CESE esorta la Commissione a includere detti concetti essenziali per il conseguimento degli obiettivi generali del documento (2) nell'elaborazione delle azioni programmatiche da realizzare. Il CESE invoca una posizione ferma della Commissione europea e degli Stati membri in seno alle organizzazioni che disciplinano il commercio mondiale in questi ambiti.

3.4

Pur riconoscendo le buone intenzioni che hanno ispirato il documento, quest'ultimo è relativamente vago circa le modalità di esecuzione e di monitoraggio delle politiche che gli Stati membri dovranno promuovere. Il CESE ritiene necessario tenere conto del fatto che molte di queste politiche potranno essere efficaci soltanto se gli Stati membri parteciperanno attivamente al processo di cambiamento culturale, cosa che – nell'attuale contesto economico – appare difficile da concretizzare senza il ricorso a mezzi finanziari provenienti dai programmi europei. Il CESE sottolinea inoltre che l'attuazione del Piano d'azione Imprenditorialità 2020 sarà tanto più efficiente quanto più saranno coinvolti i vari rappresentanti delle PMI, garantendo in tal modo la partecipazione dei soggetti pertinenti alle questioni da trattare e al cambiamento comportamentale necessario.

3.5

Il CESE esprime preoccupazione per l'assenza di un bilancio specifico per l'attuazione delle azioni previste dal piano, e dubita della loro efficacia in mancanza di un piano di bilancio attuabile che dia risposta alle proposte presentate. Il CESE ricorda che i fondi strutturali possono avere un ruolo fondamentale, e invita pertanto la Commissione e gli Stati membri a utilizzare detti fondi in modo adeguato per promuovere l'imprenditorialità nel prossimo quadro di riferimento dell'UE. L'applicazione dei fondi strutturali dovrà prevedere il monitoraggio e la valutazione delle azioni.

3.6

Il CESE ritiene che, sulla scia di altre analoghe ricorrenze, la Commissione debba designare uno dei prossimi due anni quale «Anno europeo dell'imprenditorialità», promuovendo iniziative pertinenti e congiunte per la promozione del concetto di «imprenditorialità europea».

3.7

Il CESE si compiace delle iniziative della Commissione volte a stimolare l'eliminazione degli oneri burocratici che gravano sulla creazione e sullo sviluppo delle imprese, ed esorta gli Stati membri ad adottare misure comuni per proteggere il mercato europeo dalla concorrenza sleale di altri paesi e altre regioni.

3.8

Il CESE richiama l'attenzione sulla necessità che gli Stati membri garantiscano, nei loro programmi di promozione dell'imprenditorialità, l'introduzione nei sistemi di sicurezza sociale di misure specifiche che offrano agli imprenditori un grado di protezione simile a quello di cui godono i lavoratori in generale, contribuendo così a una maggiore sicurezza per coloro che fanno del «rischio» la molla propulsiva del successo delle loro iniziative.

3.9

Il CESE appoggia la creazione di un'équipe virtuale di «ambasciatori dell'imprenditorialità» che rappresentino storie reali di successo per contribuire a migliorare l'immagine dell'imprenditore e del titolare d'impresa tipici e per modificare positivamente la percezione che ne ha la società. Queste équipe potrebbero essere utilizzate per diffondere i valori dell'imprenditorialità e promuovere iniziative comuni. La Commissione ha già compiuto il primo passo in questa direzione pubblicando ogni anno, in occasione della Settimana europea delle PMI, l'opuscolo intitolato «Il segreto del successo» che presenta gli imprenditori/ambasciatori suddivisi per Stato europeo. Analoga finalità ha l'iniziativa Start-up Europe nel quadro dell'Agenda digitale.

4.   Osservazioni particolari

4.1   Promuovere l'imprenditorialità e l'insegnamento dell'imprenditorialità

4.1.1

Il CESE è d'accordo ed evidenzia che gli investimenti nella promozione e nell'insegnamento dell'imprenditorialità sono cruciali per il conseguimento degli obiettivi prefissi in termini di cambiamento culturale necessario nella società. Il CESE considera fondamentale che questa promozione sia realizzata fin dai primi anni di scolarizzazione, e ricorda che il concetto di imprenditorialità interessa diversi settori della società e diverse fasi della vita dei cittadini e va quindi promosso con questa accezione globale. La società civile, di norma, è terreno di coltura di un imprenditorialità sociale essenziale allo sviluppo del concetto generale di imprenditorialità. Il CESE raccomanda pertanto di riconoscere e appoggiare questa nozione.

4.1.2

Esiste per tutti gli Stati membri un insieme significativo di buone pratiche che possono e devono essere divulgate e applicate in funzione delle caratteristiche e delle necessità di ciascun paese. La corretta diffusione e promozione di queste iniziative può contribuire a creare un ambiente propizio alla comprensione dell'importanza dell'imprenditorialità e della cultura imprenditoriale. Sarà importante che il quadro finanziario pluriennale renda disponibili risorse sufficienti affinché le autorità e i diversi rappresentanti delle PMI diffondano e promuovano queste buone pratiche.

4.1.3

In linea di principio, il CESE approva l'idea di facilitare la promozione delle buone pratiche in questi ambiti, ma mette in rilievo la necessità di tenere sempre conto delle specificità di ciascuno Stato membro, ossia di adattare le misure appropriate alle caratteristiche dei diversi paesi.

4.1.4

Il CESE ricorda che le risorse già esistenti nella rete Enterprise Europe (EER) possono essere utilizzate per promuovere il piano d'azione e informare gli Stati membri in merito allo stesso. Perché ciò sia possibile occorrerà favorire la collaborazione della rete stessa con le varie organizzazioni coinvolte nella promozione dell'imprenditorialità, in particolare quelle legate alle PMI. Si deve però tenere conto del fatto che la rete EER ha un dinamismo diverso nei vari paesi.

4.2   Promuovere una cultura imprenditoriale

4.2.1

Il CESE accoglie con favore le politiche per la mobilitazione della società attorno all'imprenditorialità, basate su modelli di successo e casi già comprovati. La società tende a copiare i buoni esempi, e questo può essere un modo efficace di diffondere tra i vari gruppi un'idea positiva dell'imprenditorialità e una maggiore fiducia in loro stessi.

4.2.2

È assolutamente necessario, nel contempo, promuovere la cultura dell'imprenditorialità tra i giovani fin da un'età molto precoce, come già indicato. Esiste una relazione causa-effetto nei gruppi in cui viene fatta la promozione dell'imprenditorialità e dell'innovazione. I giovani si motivano e reagiscono bene agli stimoli della promozione di una cultura e di un ambiente favorevoli alla «creazione di qualcosa» di loro iniziativa e sotto la loro responsabilità, e si entusiasmano per i risultati che sentono veramente propri. Quanto prima i giovani si immergono in progetti nei quali possono imparare nella pratica a essere imprenditori e in cui si mettono in risalto buoni esempi di cultura imprenditoriale e di cooperazione tra individui uniti da obiettivi e valori comuni, migliori saranno i risultati futuri. Per questa ragione il ruolo degli insegnanti è fondamentale per il cambiamento comportamentale, e il CESE sostiene pertanto le iniziative volte ad aiutare la comunità dei docenti a promuovere il concetto di imprenditorialità. Un buon esempio di programma capace di mobilitare all'imprenditorialità coinvolgendo gli insegnanti è «F1 in Schools» (3). Il CESE richiama inoltre le conclusioni della relazione Entrepreneurship in education, in cui sono passate in rassegna le diverse strategie attuate in Europa per promuovere l'educazione all'imprenditorialità (4).

4.2.3

Il CESE sottolinea che non esiste una cultura imprenditoriale uniforme, ma culture differenti in funzione della dimensione, della natura e del settore di attività. Le azioni di promozione, quindi, da un lato devono riguardare tutti i tipi d'impresa, astenendosi dal privilegiare un unico modello, dall'altro dovrebbero rivolgersi anche agli interlocutori dell'impresa, in particolare alle banche, alle autorità pubbliche e ai mezzi d'informazione, affinché tengano conto di queste differenze culturali nelle loro informazioni e scelte politiche.

4.2.4

Il CESE sottolinea e raccomanda alle istituzioni dell'Unione europea e agli Stati membri l'esigenza di proteggere e di preservare la diversità delle forme di impresa ai fini della piena valorizzazione e realizzazione del mercato unico e del modello sociale europeo. Tutte le forme di impresa, infatti, rispecchiano un aspetto della storia europea, e ciascuna di esse è portatrice della nostra memoria e delle nostre diverse culture imprenditoriali (5). Anche ai fini di una completa formazione e promozione dell'imprenditorialità europea, la diversità e il pluralismo delle forme di impresa necessitano di essere esplicitati e valorizzati in un piano di azione europeo.

4.3   Promuovere un contesto imprenditoriale favorevole

4.3.1

La necessità di evidenziare presso vari tipi di pubblico che la creazione di imprese è il risultato dello sforzo di un'intera comunità - la quale riconosce, apprezza ed è pronta a ricevere il valore aggiunto creato dall'imprenditore e dal titolare d'impresa - può sembrare ovvia. Nell'attuale congiuntura economica è ancor più importante che il ruolo dell'imprenditore sia visto da tutti in modo costruttivo.

4.3.2

Una volta promossa adeguatamente la cultura dell'imprenditorialità, è necessario altresì creare condizioni realmente sostenibili e stabili, in particolare sul piano legislativo, per chi desideri investire – e rischiare – nello sviluppo di un'idea, di un concetto, di un'attività.

4.3.3

Il CESE ricorda che è certamente essenziale promuovere la creazione di nuove imprese o agevolare il trasferimento di proprietà delle imprese a rischio di chiusura o di fallimento. È altrettanto essenziale, tuttavia, sostenere le imprese esistenti. Tra la creazione e la chiusura c'è tutta la vita di un'impresa, che richiede politiche specifiche in grado di coniugare una migliore regolamentazione – per creare posti di lavoro e attività economiche sostenibili – con l'innovazione e la competitività nel mercato interno e nell'economia globalizzata.

4.3.4

Gli Stati membri, in definitiva, devono armonizzare positivamente le condizioni che consentano di trarre il massimo beneficio da un ambiente ottimale per lo sviluppo delle attività economiche, imprenditoriali e sociali, tenendo conto delle più varie forme di struttura imprenditoriale. Ancora una volta, gli esempi di successo – come le diverse forme di partecipazione collettiva al capitale delle imprese o la stessa associazione in cooperative –possono servire da formula per i cambiamenti che gli Stati membri dovranno promuovere (6).

4.3.5

Il CESE ritiene che le informazioni sulle condizioni per la creazione di un'impresa debbano essere più chiare e armonizzate tra gli Stati membri, affinché le condizioni eque siano un fattore di stimolo allo spirito imprenditoriale. È inoltre opportuno rendere accessibili servizi di sostegno che tengano conto delle diverse forme d'impresa.

4.3.6

Il CESE è anch'esso dell'avviso che la questione del finanziamento sia di portata europea, e vada trattata con la massima cautela da parte di tutti gli Stati membri. In questo contesto la liquidità è limitata e chi soffre di più sono i piccoli imprenditori che intendono avviare un determinato progetto. Risulta quindi essenziale rafforzare i meccanismi di finanziamento che sostengono questo tipo di iniziative, per esempio i sistemi di mutua garanzia o le linee di credito a tasso agevolato, sistemi essenziali per i piccoli imprenditori che non riescono a ottenere finanziamenti sui mercati cosiddetti «normali» (7).

4.3.7

Il CESE è pertanto d'accordo con il rafforzamento degli strumenti di sostegno ai progetti innovativi e con un livello di rischio direttamente proporzionale al grado d'innovazione integrata. Ritiene quindi opportuna la scelta di rafforzare il sostegno finanziario alla sperimentazione, alla dimostrazione e all'applicazione di nuove tecnologie, in primis per il loro effetto moltiplicatore sulla società.

4.3.8

In un periodo particolarmente complesso per le imprese, il CESE appoggia la politica volta a facilitare i trasferimenti di proprietà di imprese, dato che queste operazioni vanno considerate come opportunità di rilancio dei settori dell'economia in grado di rendere più dinamico il mercato del lavoro.

4.3.9

È altrettanto importante, in quest'ambito, la qualità della legislazione in vigore in rapporto all'inquadramento del mercato interno. Gli Stati membri hanno ancora molto lavoro da fare, ma la strada intrapresa è ormai irreversibile.

4.4   Rifiutare la stigmatizzazione del «fallimento»: un «fallimento» non può costituire la fine di un percorso ma, a condizione di trarre tutte le conclusioni del caso, può e deve essere affrontato come una fase di crescita.

4.4.1

Si parla molto di cultura «americana» o «anglosassone» a proposito della reazione all'insuccesso e delle «seconde opportunità». Il CESE riconosce che la società in generale deve sforzarsi di guardare agli imprenditori in modo diverso, per quanto riguarda la loro capacità di resilienza di fronte ai primi insuccessi. Richiama pertanto l'attenzione sulla necessità di mettere a punto meccanismi tali da consentire a chi abbia uno spirito imprenditoriale e voglia davvero creare qualcosa di innovativo di perseverare nelle sue scelte. Il «fallimento» in un primo tentativo di creare qualcosa può e deve essere visto, in particolare dal sistema finanziario, come un'opportunità di migliorarsi e di sviluppare le capacità per avviare nuovi progetti imprenditoriali, e non deve essere considerato la «fine di un percorso». Il CESE ritiene che anche promuovere esageratamente una determinata cultura possa essere controproducente, e che sia opportuno ispirarsi sempre al buon senso e all'equilibrio.

4.5   Rafforzare il sostegno alle PMI e ad altri rappresentanti

4.5.1

Il CESE è d'accordo che le regole riguardanti le imprese devono essere semplici e chiare per tutti coloro che desiderino svolgere un ruolo attivo nel processo di creazione e sviluppo di imprese. Il CESE si rallegra degli sforzi profusi dalla Commissione e dagli Stati membri al fine di ridurre al minimo tutte le questioni burocratiche legate alla creazione e alla modernizzazione di imprese. La creazione di un'impresa, sia essa a vocazione industriale, di servizi o tecnologica, deve essere un processo semplice e rapido ma, nel contempo, sufficientemente solido, per evitare esagerazioni o fraintendimenti sia per chi costituisce un'impresa che per le autorità di regolamentazione.

4.5.2

Il CESE si rallegra dell'annuncio della Commissione riguardo alla creazione di un gruppo di lavoro per analizzare le necessità specifiche degli imprenditori delle libere professioni relativamente a questioni quali la semplificazione amministrativa, l'internazionalizzazione e l'accesso ai finanziamenti. Il CESE ricorda altresì la necessità di tenere conto tanto del principio di sussidiarietà quanto della funzione specifica dei liberi professionisti in molti Stati membri, per incoraggiare lo sviluppo di una «Carta europea delle libere professioni» analoga alla «Carta europea delle piccole imprese».

4.5.3

Il CESE approva l'esistenza di meccanismi di consulenza e di assistenza alle imprese, ma mette in risalto l'esigenza di creare équipe interdisciplinari, che conoscano bene il mercato e le sue specificità. Ricorda a tal proposito che è possibile utilizzare l'esperienza accumulata dagli ex-imprenditori e dagli imprenditori più esperti, che hanno la disponibilità per aiutare i «nuovi» imprenditori con la trasmissione delle loro conoscenze e rendere così possibile un dialogo proficuo tra le generazioni. A tal fine, il CESE considera importante che queste attività non siano basate soltanto sul volontariato, ma che siano sostenute anche con incentivi che consentano ai mentori e agli imprenditori di condividere i benefici derivanti dalla creazione del valore generato. Anche questo è un modo per integrare persone che hanno ancora la capacità di aiutare la società ma che non partecipano in modo pienamente attivo al mercato del lavoro.

4.5.4

Andrebbero incoraggiate le reti di collaborazione tra le PMI, in quanto esse rafforzano in misura notevole la vitalità delle PMI stesse grazie alle economie di scala (condivisione dei costi connessi al marketing, agli acquisti o ad altri servizi comuni, cooperazione tra entità che producono beni o servizi complementari, possibilità di innovare e di internazionalizzarsi).

4.5.5

Oltre agli sforzi di semplificazione amministrativa e di accompagnamento dei nuovi imprenditori, il CESE insiste sulla funzione essenziale di consulenza (coaching e mentoring) svolta dalle associazioni delle imprese. Senza queste azioni le PMI, e in particolare le microimprese, non possono da sole accedere ai finanziamenti e ai fondi dell'UE, innovare, sviluppare la loro competitività e applicare le misure prioritarie della strategia Europa 2020, sebbene tali imprese siano le dirette interessate. Il CESE deplora che il rafforzamento dell'azione di coaching/mentoring delle associazioni di imprese non sia contemplato nel piano d'azione. Il Comitato chiede d'introdurre un quarto ambito d'intervento teso a rafforzare queste azioni grazie al sostegno delle organizzazioni intermediarie. Queste azioni dovranno rivolgersi soprattutto alle imprese più piccole.

4.6   Sostegno a gruppi specifici

4.6.1

Il CESE approva gli sforzi specifici volti a mobilitare gruppi sociali con un'importanza sempre più crescente nello sforzo comune per la realizzazione degli obiettivi di questa natura.

4.6.2

Il CESE appoggia infine le politiche di mobilitazione dei gruppi menzionati nel piano (disoccupati, donne, anziani, giovani, disabili e immigrati) sui temi riguardanti l'imprenditorialità, la creazione di imprese e il loro valore per l'intera società. La promozione e la diffusione delle buone pratiche esistenti da parte di questi gruppi può consentire di avere un approccio più completo e di attuare politiche adeguate. Il CESE concorda sul fatto che i suddetti gruppi siano considerati catalizzatori della società attorno a questi temi e pertanto sostiene le politiche di promozione dei valori dell'imprenditorialità e dell'innovazione presso tali gruppi, per stimolarne la partecipazione a questa sfida europea.

4.6.3

Il CESE richiama l'attenzione delle istituzioni soprattutto sulla tendenza crescente degli anziani in pensione ad avviare una nuova attività indipendente o a riprendere un'attività. Questa tendenza è in particolare dovuta all'aumento dell'aspettativa di vita, ai progressi sanitari e alla necessità di integrare i redditi a causa degli effetti della crisi sull'ammontare delle pensioni percepite. Il Comitato chiede alla Commissione, al Parlamento europeo e al Consiglio di mettere a punto e di introdurre, sulla base delle esperienze di vari Stati membri, dei sistemi volti sia a sostenere gli anziani desiderosi di intraprendere questa strada che a semplificare il quadro della loro attività.

Bruxelles, 23 maggio 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  GU C 48 del 15.2.2011, pag. 45.

(2)  GU C 68 del 6.3.2012, pag. 28. I «diritti di proprietà intellettuale» (DPI) devono continuare a svolgere la loro funzione tradizionale di stimolo dell'innovazione e della crescita.

(3)  http://www.f1inschools.com

(4)  http://eacea.ec.europa.eu/education/Eurydice/documents/thematic_reports/135EN.pdf

(5)  GU C 318 del 23.12.2009, pag. 22.

(6)  GU C 191 del 29.6.2012, pag. 24.

(7)  GU C 181 del 21.6.2012, pag. 145 e GU C 351 del 15.11.2012, pag. 45.


19.9.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 271/81


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla sicurezza dei prodotti di consumo e che abroga la direttiva 87/357/CEE del Consiglio e la direttiva 2001/95/CE»

COM(2013) 78 final — 2013/0049 (COD)

2013/C 271/15

Relatore generale: HERNÁNDEZ BATALLER

Il Consiglio, in data 25 febbraio 2013, e il Parlamento europeo, in data e 12 marzo 2013, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 114, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla sicurezza dei prodotti di consumo e che abroga la direttiva 87/357/CEE del Consiglio e la direttiva 2001/95/CE

COM(2013) 78 final - 2013/0049 (COD).

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 12 febbraio 2013, ha incaricato la sezione specializzata Mercato unico, produzione di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 490a sessione plenaria dei giorni 22 e 23 maggio 2013 (seduta del 22 maggio), ha nominato relatore generale HERNÁNDEZ BATALLER e ha adottato il seguente parere con 120 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) condivide l'intenzione della Commissione di istituire un quadro giuridico che stabilisca un livello elevato di protezione dei consumatori e preveda un obbligo di garantire la sicurezza dei prodotti di consumo.

1.2

Il Comitato ritiene che quello del regolamento sia lo strumento giuridico appropriato per consolidare i testi esistenti adattandoli al nuovo quadro legislativo previsto per la commercializzazione dei prodotti. Con il regolamento si stabilirà lo stesso livello di sicurezza in tutti i paesi dell'UE, grazie alla definizione di criteri comuni.

1.3

Poiché quello del regolamento è l'unico strumento mediante il quale possono essere adottate le stesse misure e si può fare in modo che il livello di rischio sia identico in tutti i paesi dell'UE, è opportuno che la proposta sia formulata in termini la cui interpretazione abbia la stessa estensione in tutti gli Stati membri.

1.4

Il CESE ritiene che, data l'importanza della normalizzazione per garantire la sicurezza dei prodotti, la Commissione dovrebbe aumentare il sostegno alla partecipazione dei consumatori al CEN (Comitato europeo di normazione) e ad altri organismi analoghi.

1.5

Il Comitato è dell'avviso, da un lato, che, nell'ottica di una piena realizzazione del mercato interno, la proposta rappresenti una misura di tutela molto importante per i consumatori, dal momento che riduce i rischi di lesioni o di morte e ristabilisce la fiducia; considerando, d'altro canto, necessario garantire trasparenza e lealtà nelle operazioni commerciali, in modo che chi intende produrre e vendere prodotti pericolosi non goda di uno svantaggio sleale nei confronti dei concorrenti che accettano i costi che occorre sostenere per conferire sicurezza ai propri prodotti.

2.   Introduzione

2.1

La tutela della sicurezza dei consumatori implica che i beni e i servizi che vengono messi a loro disposizione debbano essere concepiti in modo che, se utilizzati in condizioni normali o prevedibili, non presentino pericoli per la sicurezza dei consumatori e, qualora presentino tali pericoli, possano essere ritirati dal mercato con procedimenti rapidi e semplici. Essa inoltre costituisce uno dei principi prioritari della politica europea a tutela dei consumatori fin dal programma preliminare del 1975 (1). In seguito alla risoluzione del Consiglio del 23 giugno 1986 (2) concernente il futuro orientamento della politica della Comunità economica europea per la tutela e la promozione degli interessi del consumatore, si è promosso il cosiddetto «nuovo approccio» nell'ambito dell'armonizzazione tecnica e della normalizzazione (3).

2.2

La prima direttiva riguardante la sicurezza generale dei prodotti, approvata nel 1992 (4), è stata sostituita dalla direttiva 2001/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 dicembre 2001 (5), entrata in vigore il 15 gennaio 2002, che doveva essere recepita nell'ordinamento nazionale degli Stati membri entro il 15 gennaio 2004. A suo tempo, il CESE si è pronunciato sull'argomento (6), approvando l'approccio proposto dalla Commissione ma mantenendo riserve su determinati aspetti.

2.3

Con la creazione del Sistema di allarme rapido per i prodotti di consumo non alimentari (RAPEX), si è introdotta la circolazione delle informazioni tra la Commissione e le autorità degli Stati membri circa le misure adottate da queste ultime e dagli operatori economici in relazione ai prodotti che presentano un rischio grave per la salute e la sicurezza dei consumatori, nell'intento di far fronte alle cosiddette «situazioni di emergenza». Nel 2004 (7), la Commissione ha approvato orientamenti specifici per garantire il corretto funzionamento di RAPEX.

2.4

I 27 Stati membri hanno recepito la direttiva nei rispettivi ordinamenti nazionali, ma le modalità di applicazione non sono risultate le stesse in tutti i paesi, in ragione di divergenze in alcuni atti di recepimento, fra l'altro:

sugli aspetti riguardanti la valutazione della sicurezza prevista all'articolo 3 della direttiva;

per quanto riguarda la tracciabilità, alcuni Stati membri prevedono l'obbligo di indicare, sul prodotto o sul suo imballaggio, identità e caratteristiche del prodotto stesso (persino con la specifica dell'importatore), mentre in altri Stati membri tale indicazione è facoltativa;

d'altra parte, in alcuni Stati membri è richiesta soltanto la notifica da parte dei produttori in caso di rischio conosciuto, mentre non vi è obbligo di segnalazione quando il produttore «dovrebbe conoscere» il rischio in base alle informazioni disponibili.

3.   La proposta della Commissione

3.1

La proposta di regolamento in esame fa parte del cosiddetto «pacchetto sicurezza dei prodotti e vigilanza del mercato», che comprende anche una proposta di regolamento unico relativo alla vigilanza del mercato e un piano d'azione pluriennale per la vigilanza del mercato per il periodo 2013-2015.

3.2

La proposta di regolamento si pone l'obiettivo di completare il quadro giuridico relativo alla sicurezza dei prodotti di consumo e alla commercializzazione dei prodotti stessi approvato negli ultimi anni, con riferimento ai prodotti manifatturieri non alimentari, eccezion fatta per alcuni prodotti come gli oggetti di antiquariato. È previsto che i prodotti di consumo debbano essere «sicuri» e si stabiliscono obblighi corrispondenti per gli operatori economici, inoltre vi sono disposizioni circa l'elaborazione di norme a sostegno dell'obbligo generale di sicurezza. Come base giuridica, la Commissione fa riferimento all'articolo 114 del TFUE, che si applica alle misure per l'instaurazione e il funzionamento del mercato interno, in base all'esercizio di competenze condivise fra l'Unione e gli Stati membri.

3.3

La Commissione cambia lo strumento legislativo, presentando una proposta di regolamento invece di una direttiva, al fine di stabilire lo stesso livello di sicurezza in tutti i paesi dell'UE e di armonizzare le norme a disciplina di questa materia, definendo a tale scopo una serie di criteri comuni e facendo salva la legislazione settoriale. La proposta di regolamento stabilisce norme chiare e dettagliate, che dovranno applicarsi in maniera uniforme e simultanea in tutta l'Unione.

3.4

La Commissione si propone di mantenere un livello elevato di tutela della salute e della sicurezza dei consumatori, razionalizzando e semplificando il funzionamento del sistema di sicurezza e la sua interazione con altri atti giuridici dell'Unione.

3.5

La proposta punta inoltre ad abrogare le direttive 87/357/CE e 2011/95/CE, il cui contenuto viene ripartito fra due proposte di regolamento ora in corso di elaborazione. In questo modo, le disposizioni relative alla vigilanza del mercato e al sistema RAPEX, attualmente contenute nella direttiva sulla sicurezza generale dei prodotti, sono passate nella proposta di nuovo regolamento unico sulla vigilanza del mercato, che raccoglierà tutte le norme del settore in un unico strumento, trasformando RAPEX nel sistema di allerta specifico per i prodotti che presentano rischi.

3.6

D'altro canto, la proposta in esame stabilisce obblighi elementari per gli operatori economici interessati (produttori, importatori e distributori) che partecipano alla catena di fornitura dei prodotti di consumo, nella misura in cui non sono soggetti a requisiti previsti dalla legislazione settoriale di armonizzazione dell'Unione. La sua funzione è pertanto limitata all'intervento nelle situazioni non regolamentate a livello settoriale, o ha comunque carattere residuo rispetto ad esse.

3.7

Si parte dal principio generale secondo cui tutti i prodotti di consumo non alimentari devono essere sicuri per poter essere commercializzati o introdotti nel mercato dell'Unione. Gli obblighi più dettagliati degli operatori economici si applicano soltanto agli operatori che non sono soggetti agli obblighi stabiliti dalla legislazione di armonizzazione applicabile al settore cui appartiene un prodotto specifico.

3.8

La proposta è stata semplificata, grazie all'introduzione di un collegamento chiaro con la legislazione settoriale e alla semplificazione delle norme. I prodotti di consumo conformi alla legislazione settoriale di armonizzazione dell'Unione volta a garantire la salute e sicurezza delle persone saranno considerati sicuri anche in conformità del regolamento proposto.

3.9

Inoltre è stato aggiornato il punto relativo alle definizioni, in conformità del nuovo quadro legislativo per la commercializzazione dei prodotti, ed è stata molto semplificata anche la procedura da seguire per individuare le norme europee in vigore o per chiedere l'elaborazione di nuove norme europee che consentano di tirare conclusioni sulla sicurezza di un prodotto, con la messa in conformità di tale procedura rispetto al nuovo quadro generale della normazione.

3.10

Gli obblighi degli operatori economici riguardano fra l'altro le questioni connesse con l'etichettatura, l'identificazione dei prodotti, le misure correttive da adottare in caso di prodotti non sicuri e le informazioni da fornire alle autorità competenti.

3.10.1

La proposta prevede che gli operatori economici debbano essere in grado di identificare i propri fornitori e i propri clienti. Alla Commissione è conferito il potere di adottare misure per imporre agli operatori economici di stabilire un sistema elettronico di tracciabilità, oppure di aderire a un sistema esistente.

4.   Osservazioni di carattere generale

4.1   Il CESE è favorevole a una normativa caratterizzata da un elevato livello di tutela della salute e della sicurezza dei consumatori (in particolare per quanto riguarda i prodotti), e ritiene che la proposta della Commissione possa contribuire a rafforzare tale livello, ma chiede che si tenga conto delle osservazioni contenute nel presente parere, allo scopo di rendere la proposta più chiara.

4.2   Il CESE richiama l'attenzione sul fatto che la relazione della proposta ha uno sviluppo molto completo, che non viene ripreso dal dispositivo. Anche i considerando menzionano aspetti che vengono poi omessi nel dispositivo, come il fatto che la nuova proposta deve applicarsi a tutte le tecniche di vendita, compresa la vendita a distanza. Per questo, tenuto conto dello strumento giuridico proposto, che richiede a monte un'unificazione dei criteri affinché possa essere interpretato allo stesso modo in tutti i paesi dell'UE, sarebbe raccomandabile includere almeno un riferimento sommario a questi aspetti nel dispositivo della proposta di regolamento.

4.2.1   A giudizio del CESE, il ricorso a un regolamento per formulare la proposta in esame risulta pertinente e proporzionato, trattandosi dell'unico strumento che consente di far sì che le misure adottate siano le stesse e che il livello di rischio sia identico in tutti i paesi dell'UE. Esso inoltre rappresenta il mezzo adeguato per abrogare le direttive 87/357/CEE e 2001/95/CE, purché si mantenga il livello di protezione stabilito da entrambe in riferimento al livello di sicurezza previsto.

4.2.2   Il regolamento reca certezza del diritto al mercato e ai consumatori il che, insieme alla semplificazione delle misure, comporta un abbassamento del costo economico della sua adozione; inoltre le sue disposizioni devono essere interpretate allo stesso modo in tutti i paesi dell'Unione.

4.2.3   Va sottolineato che la proposta di regolamento delimita il suo campo di applicazione rispetto alla legislazione settoriale dell'Unione. Per tale ragione, sarebbe anche consigliabile che, all'articolo 1, se ne mettesse in evidenza il carattere «generale» e trasversale rispetto alla rimanente normativa settoriale in materia di sicurezza dei prodotti di consumo.

4.3   Come la direttiva, la proposta di regolamento dispone che i prodotti di consumo siano «sicuri» e introduce obblighi corrispondenti per gli operatori economici, inoltre contiene disposizioni circa l'elaborazione di norme a sostegno dell'obbligo generale di sicurezza. Tuttavia, nel dispositivo manca una menzione del «principio di precauzione» che deve applicarsi alla sicurezza dei prodotti, menzione che dovrebbe essere espressamente introdotta nel dispositivo dell'articolato.

4.4   Definizioni della proposta

4.4.1

Il CESE ritiene che occorra rivedere alcune definizioni contenute nella proposta dal momento che, per questioni terminologiche, di traduzione o dovute alle diverse tradizioni giuridiche degli Stati membri, possono insorgere problemi circa la futura applicazione del regolamento.

4.4.2

La nozione di prodotti «sicuri» è adeguata e contempla i diversi aspetti che consentono di valutare la sicurezza offerta in relazione alle circostanze che devono essere note al consumatore, come durata, natura e composizione. Occorre peraltro integrare il termine «prodotto» con l'aggettivo «manufatto».

4.4.3

Analogamente, i termini «normali» e «ragionevolmente prevedibili» possono causare confusione, dal momento che il criterio di ragionevolezza potrebbe far pensare che sia consentita l'inclusione di qualunque prodotto, anche non sicuro, purché utilizzato in maniera adeguata.

4.4.4

Inoltre, il termine «normali» dovrebbe forse essere sostituito da «abituali», oppure si potrebbe collegare questo termine, che risulta ambiguo, all'indicazione del consumatore cui il prodotto è destinato. A tal fine si raccomanda di parlare piuttosto di «prodotto non sicuro», in modo che si possa unificare il concetto con quello previsto dalla direttiva sulla responsabilità civile in materia di prodotti difettosi (8): l'unificazione del regime giuridico corrispondente negli Stati membri sarebbe consigliabile, anche se in tale settore il concetto di prodotto risulta più esteso.

4.4.5

Per quanto riguarda il termine «mandatario», va osservato che il riferimento a un mandato potrebbe dare luogo a futuri conflitti nei paesi che prevedono la firma di un contratto di mandato preventivo, per cui sarebbe meglio parlare di «incarico per iscritto», lasciando così gli Stati membri liberi di scegliere la formula contrattuale più adeguata al loro ordinamento interno, evitando anche il rischio di suscitare futuri problemi in materia contrattuale.

4.4.6

Rispetto al termine «rischio grave», appare più consigliabile estenderne la definizione a ogni «esposizione, eventualità o pericolo» a maggiore tutela dei consumatori, ossia vincolare il «rischio grave» alla necessità di intraprendere un'azione immediata e di adottare misure non appena si venga a conoscenza dei rischi.

5.   Osservazioni specifiche

5.1   La proposta di regolamento attribuisce un'importanza particolare alla necessità di unificare e semplificare gli obblighi spettanti agli operatori economici, principio sul quale il CESE concorda pienamente, data la confusione che regna attualmente sia per gli operatori economici sia per le autorità nazionali.

5.2   All'articolo 4 si dovrebbe aggiungere la frase «nei termini stabiliti di seguito nel presente regolamento», dal momento che il concetto di sicurezza può non essere coincidente con le disposizioni previste da altre normative settoriali.

5.3   Il dispositivo dovrebbe chiarire la portata della proposta rispetto all'inclusione dei servizi nel campo di applicazione del regolamento. Il CESE peraltro spera che la Commissione presenti una proposta completa sulla sicurezza dei servizi nell'UE.

5.4   In merito alla nozione di consumatori «vulnerabili» stabilita all'articolo 6, lettera d), bisognerebbe specificare se tale nozione si riferisca a un criterio generale (età, stato di salute, ecc.) o se dipenda dalle caratteristiche del prodotto (conoscenze insufficienti). Il CESE è dell'avviso che, per conferire maggiore coerenza al diritto dell'Unione, si dovrebbero utilizzare concetti autonomi propri di tutto il diritto dell'Unione europea invece di procedere alla definizione di concetti in relazione ad ogni proposta legislativa.

5.5   L'articolo 6, paragrafo 2, lettera h) fa riferimento alla sicurezza che i consumatori possono ragionevolmente attendersi. La nozione di «ragionevolezza» dovrebbe essere specificata con termini quali «rispetto alla natura, composizione e destinazione del prodotto», che conferirebbero maggiore certezza del diritto al dispositivo.

5.6   Il CESE ritiene che i consumatori abbiano diritto a informazioni chiare e precise sull'origine dei prodotti, che comunque dovranno indicare la provenienza effettiva in osservanza di quanto prescritto dal diritto dell'Unione europea.

5.7   Inoltre, si dovrebbe rivedere la formulazione di questa norma nel senso che i fabbricanti e gli importatori devono «garantire» il rispetto degli obblighi ivi sanciti.

5.8   Obblighi dei fabbricanti e degli altri operatori

5.8.1

La proposta di regolamento stabilisce una serie di norme relative all'elaborazione della documentazione da parte dei fabbricanti e alle azioni che questi devono realizzare per mantenere la sicurezza dei consumatori, norme che il Comitato considera pertinenti.

5.8.2

Tali obblighi specifici consistono nell'eseguire prove a campione dei prodotti messi a disposizione sul mercato, nell'esaminare i reclami e nel mantenere un registro dei reclami, dei prodotti non conformi e dei richiami di prodotti, nonché nell'informare i distributori di qualsiasi attività di monitoraggio di questo genere.

5.8.3

Tuttavia, la proposta non specifica in che modo dare attuazione concreta a queste disposizioni, ossia non chiarisce se si lasci a ciascuno Stato membro la scelta su come disciplinare le misure da adottare (ad esempio la creazione di un registro speciale) oppure, come sarebbe più opportuno, se le azioni previste debbano essere armonizzate al fine di mantenere un sistema di allerta che consenta di informare il mercato con l'anticipo sufficiente per adottare misure efficaci di prevenzione dei danni.

5.9   Documentazione tecnica

5.9.1

L'obbligo di informare i consumatori deve riferirsi unicamente alle questioni connesse con l'utilizzo e la natura dei prodotti, senza estendersi alla cosiddetta documentazione tecnica che può contenere dati relativi a segreti commerciali o ad altre informazioni riservate dei fabbricanti, dati che devono invece rimanere a disposizione delle autorità, previa definizione di norme comuni chiare che non sono presenti nella proposta.

5.9.2

Poiché dal testo sembra di capire che si introduca la responsabilità del fabbricante per i danni che possono essere causati da un prodotto non sicuro, sarebbe più corretto stabilire che il contenuto di tale documentazione avrà una validità di dieci anni. Per maggiore chiarezza, all'articolo 8, paragrafo 6 si dovrebbero sostituire le espressioni «i fabbricanti appongono» e «forniscono» con la formulazione «i fabbricanti sono responsabili di» (apporre e fornire), che risulta maggiormente in linea con l'obbligo loro spettante. Lo stesso dovrebbe valere, mutatis mutandis, per gli importatori e la loro responsabilità, e parimenti per l'obbligo di mantenere la documentazione tecnica per dieci anni, come nel caso degli altri operatori economici.

5.9.3

Affinché i consumatori possano esercitare senza alcun ostacolo il proprio diritto ad essere informati su un determinato prodotto, appare consigliabile che l'articolo 8, paragrafo 7, il quale impone al fabbricante l'obbligo di indicare un unico punto di contatto, stabilisca anche che tale contatto non risulti oneroso per il consumatore, nel senso che non deve comportare una penalizzazione per il fatto di averlo utilizzato.

5.10   Quanto ai prodotti con un aspetto diverso da quello reale, il CESE invoca il massimo livello di protezione, in particolare per quanto riguarda quelli che hanno aspetto di giocattoli, cui si dovrebbero applicare le norme previste dalla direttiva sulla sicurezza dei giocattoli allo scopo di conseguire un alto livello di protezione dei minori.

5.11   Il CESE è favorevole alla tracciabilità dei prodotti lungo l'intera catena di fornitura, in quanto aiuta a individuare gli operatori economici e ad adottare misure correttive nei confronti dei prodotti non sicuri, come quelle di richiamo o, se del caso, di ritiro.

5.12   Quanto alle norme europee che stabiliscono la presunzione di conformità, il CESE è dell'avviso che la proposta migliorerà l'attuale funzionamento del sistema. Si dovrebbero però chiarire le disposizioni transitorie e la presunzione di conformità, allo scopo di creare una maggiore certezza del diritto.

5.12.1   Data l'importanza della normalizzazione, il CESE ritiene che gli organismi europei di normalizzazione debbano dotarsi dei mezzi necessari per aumentare la propria produttività e garantire una qualità elevata; è parimenti necessaria una rappresentanza più efficace dei consumatori.

5.13   In via di principio, la regolamentazione degli atti delegati appare ragionevole, anche se non sembra logico concedere la delega per una durata indefinita. Inoltre, gli atti delegati non possono riguardare le questioni essenziali, e devono mantenersi entro i limiti dell'atto di delega; in particolare, devono essere utilizzati in caso di commercializzazione di prodotti pericolosi. Pertanto, l'adozione di atti delegati appare ragionevole nei casi di cui all'articolo 15, paragrafo 3, lettera a) della proposta, mentre appare più discutibile nei casi di cui alla lettera b).

5.14   Quanto alle sanzioni, è opportuno ricordare che il CESE è favorevole a un'armonizzazione delle fattispecie d'infrazione e delle sanzioni irrogabili a seconda del comportamento tenuto (9), dal momento che la sola semplice indicazione generica per cui le sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive può ingenerare distorsioni nel funzionamento del mercato.

5.14.1   Infine, il CESE ritiene che gli Stati membri debbano disporre di rimedi giuridici e di mezzi di ricorso adeguati ed efficaci per adire i tribunali competenti ai fini dell'attuazione delle disposizioni del regolamento nell'interesse generale dei consumatori.

Bruxelles, 22 maggio 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


(1)  Risoluzione del Consiglio del 14 aprile 1975 riguardante un programma preliminare della Comunità economica europea per una politica di protezione e di informazione del consumatore, GU C 92 del 25.4.1975, pag. 1.

(2)  GU C 167 del 5.7.1986, pag. 1.

(3)  Sulla base della risoluzione del Consiglio del 7.5.1985, GU C 136 del 4.6.1985, pag.1.

(4)  GU L 228 del 11.8.1992, pag. 24.

(5)  GU L 11 del 15.1.2002, pag. 4.

(6)  GU C 367 del 20.12.2000, pag. 34.

(7)  Decisione 2004/418/CE della Commissione (GU L 151 del 30.4.2004, pag. 84).

(8)  GU L 210 del 7.8.1985, pag. 29.

(9)  Ad esempio sulla scorta del regolamento (CE) n. 1071/2009 (GU L 300 del 14.11.2009, pag. 51).


19.9.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 271/86


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla vigilanza del mercato dei prodotti e che modifica le direttive 89/686/CEE e 93/15/CEE del Consiglio e le direttive 94/9/CE, 94/25/CE, 95/16/CE, 97/23/CE, 1999/5/CE, 2000/9/CE, 2000/14/CE, 2001/95/CE, 2004/108/CE, 2006/42/CE, 2006/95/CE, 2007/23/CE, 2008/57/CE, 2009/48/CE, 2009/105/CE, 2009/142/CE e 2011/65/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, il regolamento (UE) n. 305/2011, il regolamento (CE) n. 764/2008 e il regolamento (CE) n. 765/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio»

COM(2013) 75 final — 2013/0048 (COD)

2013/C 271/16

Relatore generale: LEMERCIER

Il Consiglio, in data 8 marzo 2013, e il Parlamento europeo, in data 12 marzo 2013, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla vigilanza del mercato dei prodotti e che modifica le direttive 89/686/CEE e 93/15/CEE del Consiglio e le direttive 94/9/CE, 94/25/CE, 95/16/CE, 97/23/CE, 1999/5/CE, 2000/9/CE, 2000/14/CE, 2001/95/CE, 2004/108/CE, 2006/42/CE, 2006/95/CE, 2007/23/CE, 2008/57/CE, 2009/48/CE, 2009/105/CE, 2009/142/CE, 2011/65/UE, il regolamento (UE) n. 305/2011, il regolamento (CE) n. 764/2008 e il regolamento (CE) n. 765/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio

COM(2013) 75 final - 2013/0048 (COD).

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 12 febbraio 2013, ha incaricato la sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo di preparare i lavori del Comitato in materia

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 490a sessione plenaria dei giorni 22 e 23 maggio 2013 (seduta del 22 maggio), ha nominato LEMERCIER relatore generale e ha adottato il presente parere con 116 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) valuta positivamente le disposizioni contenute nella proposta di regolamento. Le disposizioni oggi in vigore nel settore della vigilanza del mercato e del controllo dei prodotti sono disseminate in troppi testi di contenuto diverso, il che complica inutilmente il lavoro che incombe alle autorità di vigilanza e ai fabbricanti, nonché quello delle associazioni dei consumatori e delle organizzazioni dei lavoratori. Il CESE osserva con soddisfazione che le precedenti disposizioni verticali verranno abrogate e rifuse in un unico regolamento orizzontale e rafforzato.

1.2

Il Comitato concorda con la Commissione sulla scelta della base giuridica della proposta, ma ritiene necessario fare riferimento anche all'articolo 12 del TFUE, il quale sancisce che la protezione dei consumatori è una politica trasversale le cui esigenze devono essere prese in considerazione «[n]ella definizione e nell'attuazione di altre politiche o attività dell'Unione».

1.3

Lo strumento proposto è il regolamento, che il CESE reputa il più idoneo ad agevolare la cooperazione e gli scambi tra gli Stati membri, oltre che nella relazione bilaterale tra lo Stato membro e l'UE. Il CESE ritiene inoltre che il pacchetto proposto dalla Commissione rispetti i requisiti di proporzionalità e di sussidiarietà previsti dai Trattati. Sugli Stati membri ricade in ogni caso l'intera responsabilità in materia di vigilanza dei mercati nazionali e di controlli alle frontiere esterne dell'UE, attività di cui sono inoltre tenuti a garantire il finanziamento.

1.4

Il CESE sottoscrive l'affermazione della Commissione secondo cui i prodotti che circolano sul territorio dell'Unione devono soddisfare requisiti che garantiscano un grado elevato di protezione di interessi pubblici quali la salute e la sicurezza in generale, la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro, la protezione dei consumatori, la tutela dell’ambiente e la sicurezza pubblica.

1.5

Il CESE è dell'avviso che il rispetto di segreti di fabbricazione o commerciali non possa essere di ostacolo al lancio di allerte nel caso in cui uno dei componenti del prodotto in causa possa pregiudicare la salute o la sicurezza degli utilizzatori. Gli organi di vigilanza e di controllo dovranno pertanto continuare a conformarsi alla prassi costante nell'ambito del sistema RAPEX, secondo la quale l'interesse pubblico deve prevalere sugli interessi privati.

1.6

I membri che siedono negli organi di vigilanza e i dipendenti di tali organi, come pure il personale dei servizi doganali, devono presentare tutte le garanzie di integrità e indipendenza, ed essere tutelati nell'esercizio delle loro funzioni da eventuali ingerenze o tentativi di corruzione. Anche coloro che segnalano difetti o rischi inerenti ad un determinato prodotto devono beneficiare di una protezione, in particolare contro eventuali azioni penali, e la loro identità deve rimanere riservata.

1.7

Il Comitato chiede di includere nel regolamento una base giuridica per una banca dati europea sugli infortuni (European Injuries Database - IDB), che dovrebbe essere considerata il terzo pilastro del sistema europeo di scambio di informazioni per la vigilanza di mercato, complementare ai sistemi RAPEX e ICSMS.

1.8

Infine, il Comitato auspica vivamente di essere incluso tra i destinatari delle relazioni che verranno elaborate con cadenza quinquennale dalla Commissione per monitorare l'esecuzione delle disposizioni del regolamento.

2.   Introduzione: le proposte della Commissione

2.1

Persino la normativa meglio concepita in materia di sicurezza dei prodotti e l'armonizzazione delle regole del mercato interno non possono offrire garanzie assolute di sicurezza né ai consumatori per i prodotti di consumo né ai lavoratori per i prodotti di uso professionale.

2.2

Come dimostrano gli scandali scoppiati di recente, le frodi volte ad incrementare i profitti o a ridurre i costi di produzione sono tuttora all'ordine del giorno in Europa; non solo, ma i prodotti importati non sempre soddisfano le norme UE e possono esercitare una concorrenza sleale rispetto a quelli di origine europea.

2.3

Sia la vigilanza dei mercati che il controllo della conformità dei prodotti sono ambiti essenziali e richiedono servizi e personale competenti (dogane, servizi tecnici, ispettorati, ecc) attivi sul territorio di ciascuno Stato membro.

2.4

La direttiva 2001/95/CE sulla sicurezza generale dei prodotti (DSGP), il cui recepimento doveva essere completato nel 2004, e il regolamento (CE) n. 765/2008 sull'accreditamento e la vigilanza del mercato, entrato in vigore nel 2010, come pure le direttive e decisioni di armonizzazione settoriale, hanno consentito di compiere una serie di progressi evidenti. Tuttavia, le disposizioni sulla vigilanza del mercato sono disseminate in una serie di testi e si sovrappongono le une alle altre, il che potrebbe portare a confondere norme di vigilanza propriamente dette e obblighi degli operatori, rendendo più complessi i compiti che incombono a questi ultimi così come quelli dei legislatori e dei funzionari nazionali.

2.5

La Commissione propone di chiarire il quadro normativo della vigilanza del mercato raccogliendo, tra tutte le suddette disposizioni, quelle pertinenti in un unico strumento giuridico che si applichi orizzontalmente a tutti i settori. Il nuovo regolamento sulla sorveglianza del mercato dei prodotti sarebbe corredato di un piano d'azione pluriennale per la vigilanza del mercato relativo al periodo 2013-2015.

2.6

Il nuovo regolamento costituisce una tappa fondamentale dell'agenda europea dei consumatori e dell'Atto per il mercato unico I e II, oltre a rispondere ai requisiti del nuovo quadro legislativo.

2.7

Occorre stabilire, secondo modalità uniformi in tutti gli Stati membri, se i prodotti immessi sul mercato, compresi quelli provenienti da paesi terzi, siano sicuri e possano quindi essere commercializzati nel mercato unico; se invece sono pericolosi o non conformi, è necessario ritirarli dal mercato e vietarne la commercializzazione.

2.8

Tuttavia, dato che la vigilanza del mercato e i controlli di conformità non sono sufficientemente efficaci, sul mercato è presente una grande quantità di prodotti non conformi, soprattutto a causa di uno scarso coordinamento tra le autorità nazionali di vigilanza, nonché del livello di qualità e attendibilità delle informazioni scambiate.

2.9

Pertanto, è compito dell'UE adoperarsi per assicurare un coordinamento migliore delle azioni e una efficace vigilanza transfrontaliera del mercato al fine di tutelare i cittadini. La Commissione sostiene che il diritto di intervento dell'Unione deriva dalle disposizioni degli articoli 114 (corretto funzionamento del mercato unico), 168, paragrafo 1 (protezione della salute), e 169, paragrafo 1 (protezione dei consumatori), del TFUE. È inoltre opportuno semplificare il quadro giuridico applicabile ed eliminarne le attuali ambiguità.

2.10

Occorre semplificare la procedura di RAPEX (Rapid Alert System for Non-Food Products - sistema di allerta rapida per i prodotti di consumo pericolosi non alimentari), adottare un regolamento sulla sicurezza dei prodotti che sostituisca l'attuale direttiva sulla sicurezza generale dei prodotti, nonché un nuovo regolamento sulla vigilanza del mercato che sostituisca le disposizioni oggi disseminate in una serie di testi di livello diverso.

2.11

Un coordinamento migliorato e una maggiore efficacia delle azioni di vigilanza e di controllo saranno ottenuti non solo mediante la procedura ordinaria di valutazione della legislazione, ma anche tramite indagini Eurobarometro sulla percezione dei consumatori, i sistemi d'informazione GRAS-RAPEX e ICSMS (Information and Communication System for Market Surveillance - sistema di informazione e comunicazione per la vigilanza del mercato), e l'adozione di indicatori che consentano un controllo tra pari. Le procedure di notifica da parte degli Stati membri verranno snellite, poiché sarà previsto un sistema di notifica unico per tutti i prodotti.

2.12

Verranno rafforzati i controlli alle frontiere, e la circolazione di qualsiasi prodotto che possa presentare un rischio dovrà essere sospesa fino a quando l'autorità di vigilanza non disporrà di maggiori elementi per decidere in merito allo status del prodotto stesso.

2.13

Il sistema di notifica RAPEX per i prodotti che presentano un rischio sarà migliorato per quanto riguarda i termini di notifica e la pertinenza delle informazioni sui rischi che presenta il prodotto oggetto della notifica.

2.14

Qualora i normali provvedimenti urgenti risultino insufficienti o inadeguati, la Commissione potrà adottare, nel caso di prodotti pericolosi, opportune misure restrittive che saranno direttamente applicate.

2.15

L'Atto per il mercato unico prevede l'adozione di un piano pluriennale sulla vigilanza del mercato, che dovrebbe interessare i settori nei quali il coordinamento della Commissione possa apportare un effettivo valore aggiunto e realizzare miglioramenti sostanziali.

2.16

Il piano pluriennale è il principale strumento di azione a livello UE e promuoverà una comunicazione e una cooperazione rafforzate. Gli strumenti informatici consentiranno di accedere agevolmente ai dati sulle buone pratiche grazie alle indagini e agli studi archiviati nel sistema. Verranno individuate le esigenze e, in tale quadro, saranno offerti strumenti di formazione, di assistenza tecnica e di consulenza.

2.17

La Commissione elaborerà un approccio comune sia per i controlli documentali e tecnici che per gli esami di laboratorio. Il coordinamento rafforzato delle azioni e dei programmi congiunti avrà per effetto una vigilanza più efficace.

2.18

La condivisione delle risorse permetterà di realizzare delle sinergie e di evitare i doppioni. Le informazioni raccolte dalle autorità nazionali nello svolgimento della loro attività saranno conservate nella banca dati ICSMS gestita dalla Commissione, la quale metterà a disposizione i mezzi e le formazioni necessarie per sfruttarne pienamente le potenzialità.

2.19

Tutte le parti interessate dovranno essere informate e consultate periodicamente e in modo flessibile.

2.20

La relazione elaborata dalla Commissione a norma del regolamento (CE) n. 765/2008 consente di informare le istituzioni e le parti interessate, nonché di valutare le attività di accreditamento, di vigilanza e di controllo del mercato finanziate dall'UE.

2.21

Si dovrebbero potenziare i mezzi e le prerogative dei servizi doganali, nonché rafforzare i controlli alle frontiere esterne sui prodotti che entrano nei territori dell'UE e dello Spazio economico europeo (SEE), il che richiede l'assegnazione di risorse aggiuntive, in particolare sul piano della formazione e degli strumenti tecnici.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE accoglie con favore l'iniziativa di rafforzare la vigilanza e i controlli di sicurezza sui prodotti immessi sul mercato, a prescindere dal fatto che questi siano originari dell'UE, degli Stati membri del SEE o di paesi terzi. In quanto garante di una maggiore sicurezza dei prodotti, tale iniziativa rappresenta un'azione fondamentale dell'Atto per il mercato unico ed è conforme al nuovo approccio.

3.2

Il CESE osserva tuttavia che nella comunicazione le procedure di informazione e consultazione dei vari attori socioeconomici sono descritte in termini estremamente vaghi. Si potrebbe definire con maggiore precisione, a diversi livelli, un quadro flessibile e appropriato, senza che questo comporti un aggravio o un irrigidimento delle procedure burocratiche necessarie.

3.2.1

Le imprese interessate nutrono forti aspettative circa le informazioni giuridiche e tecniche che consentirebbero loro di avere la certezza giuridica indispensabile per decidere se investire o meno nella fabbricazione o la commercializzazione dei prodotti. Le imprese devono poter accedere alle informazioni raccolte dai vari organi responsabili della vigilanza e del controllo sui prodotti sottoposti al controllo o ad una valutazione di conformità.

3.2.2

I consumatori e i lavoratori vogliono legittimamente delle assicurazioni circa il fatto che i prodotti immessi sul mercato sono innocui, siano essi prodotti di consumo o per uso professionale. Essi hanno il diritto di essere informati delle azioni adottate a livello nazionale, europeo o settoriale al fine di garantire che la loro salute e sicurezza non siano messe a rischio.

3.2.3

Il CESE è convinto che la fiducia nella sicurezza dei prodotti sia un fattore essenziale per il corretto funzionamento del mercato unico e la libera circolazione delle merci, con conseguenti ricadute positive sulla crescita e l'occupazione.

3.3

Il CESE ritiene inoltre che la competenza sulla vigilanza e i controlli, in particolare alle frontiere esterne dell'UE, spetti principalmente agli Stati membri, mentre l'Unione, dal canto suo, assicura il coordinamento, le misure indispensabili per un'azione congiunta efficace e la standardizzazione dei prodotti. La vigilanza e i controlli hanno un impatto sulle imprese e comportano costi elevati connessi all'adeguamento alle prescrizioni (standardizzazione, norma CE), sia per gli Stati membri che per gli operatori economici. Il CESE invita i paesi UE e la Commissione a tenere in debito conto, nelle loro attività, gli oneri amministrativi a carico delle imprese, in particolare le PMI, per non aggravarne la situazione economica in un periodo di crisi e di alti tassi di disoccupazione.

3.4

La libera circolazione dei prodotti non alimentari che sono oggetto della proposta di regolamento non può essere inficiata da un quadro normativo carente o eccessivamente permissivo, né da mezzi e controlli inadeguati per qualità e quantità. Il CESE ritiene quindi necessario che gli Stati membri e la Commissione assegnino all'applicazione degli strumenti di vigilanza e di controllo risorse sufficienti a garantirne la piena efficacia. Pur riconoscendo le attuali restrizioni di bilancio, il CESE è dell'avviso che gli interessi pubblici in gioco impongano di compiere ogni sforzo necessario per garantire la salute e la sicurezza dei consumatori e la tutela dell'ambiente rispetto a prodotti difettosi o pericolosi. Il corretto funzionamento del mercato interno è una condizione imprescindibile per la ripresa economica e la creazione di nuovi posti di lavoro.

3.4.1

A questo proposito, il CESE ritiene che il sistema di vigilanza e controllo del mercato oggi in vigore presenti una serie di gravi lacune o carenze. Va rafforzata la cooperazione tra gli organismi nazionali competenti, la Commissione e i soggetti interessati. È necessario organizzare delle consultazioni con cadenza periodica. Le organizzazioni di consumatori o di lavoratori devono poter esercitare un «diritto di allerta» rispetto a determinati prodotti, diritto che deve essere accompagnato da una garanzia di immunità nel caso dei lavoratori. Gli organi competenti, le autorità di vigilanza, gli organismi tecnici di certificazione, i servizi doganali e quelli di repressione delle frodi devono cooperare e condividere le informazioni raccolte per evitare i doppioni e lo spreco di risorse disponibili e assicurare che i controlli svolti siano sempre più efficaci.

3.5

L'efficacia del sistema RAPEX di allerta rapida dell'UE dipende interamente dalla celerità di invio delle notifiche e dalla pertinenza dei dati tecnici relativi ai prodotti «sospetti». Gli orientamenti per la gestione di RAPEX dovranno essere costantemente aggiornati e redatti in modo sufficientemente chiaro perché non sussistano dubbi sulla natura e la portata delle informazioni da notificare; nel quadro di questi orientamenti occorre inoltre stabilire dei criteri che consentano di individuare i rischi gravi e definire con precisione i provvedimenti da adottare in conseguenza di tali rischi, quali, ad esempio, la sospensione temporanea, l'obbligo di apportare delle modifiche tecniche o, in ultima istanza, il vero e proprio divieto.

3.6

Il sistema RAPEX dovrebbe notificare anche i rischi moderati o non scientificamente verificati affinché sia possibile, se necessario, prendere in considerazione l'adozione di provvedimenti esecutivi (ad esempio la sospensione temporanea) in applicazione del principio di precauzione, o altre misure adeguate come ulteriori prescrizioni in materia di informazione dei consumatori o di avvertenze agli utilizzatori in aggiunta ai normali requisiti di etichettatura dei prodotti.

3.7

Quando, in caso di rischi accertati, la Commissione prevede di adottare atti esecutivi per quanto riguarda un determinato prodotto o una categoria di prodotti al fine di pervenire a condizioni uniformi di controllo degli stessi, il CESE auspica che le organizzazioni dei consumatori e quelle dei datori di lavoro e dei dipendenti ne siano informate e che vengano anche consultate quanto più possibile in proposito. Va osservato che queste organizzazioni sono in grado di informare rapidamente i loro aderenti circa le disposizioni adottate dalla Commissione, facilitandone così grandemente la comprensione e una tempestiva applicazione.

3.8

Per quanto riguarda il nuovo Forum europeo di vigilanza del mercato (European Market Surveillance Forum - EMSF) istituito dal regolamento, in cui siedono rappresentanti della Commissione e degli Stati membri, il CESE prende atto che le organizzazioni della società civile sarebbero invitate a partecipare a titolo consultivo ai lavori dei sottogruppi settoriali eventualmente istituiti dal Forum stesso. Il CESE ritiene che i pareri e le raccomandazioni formulati da tali organizzazioni, pur essendo di natura puramente consultiva, andrebbero tenuti quanto più possibile in considerazione dato il ruolo attivo svolto da questi organismi presso i consumatori e gli ambienti socioeconomici di cui sono i rappresentanti.

3.9

Lo stesso dovrebbe accadere quando le autorità di vigilanza di uno Stato membro lanciano l'allarme a fronte di determinati rischi inerenti ad alcuni prodotti e, eventualmente, in merito al modo per premunirsi contro tali rischi: per neutralizzare i rischi presentati da determinati prodotti esse dovrebbero cooperare non solo con gli operatori economici ma anche con le organizzazioni competenti della società civile, le quali possono mettere a disposizione le loro conoscenze e i loro canali di informazione presso i loro aderenti.

3.10

Per finire, il CESE ritiene che la proposta di regolamento risponda, nel complesso, ai requisiti del nuovo quadro legislativo («nuovo approccio») e sia conforme ai principi di sussidiarietà e di proporzionalità. Concorda inoltre con la scelta della base giuridica su cui le direzioni generali della Commissione competenti fondano la proposta. Il CESE fa altresì riferimento all'articolo 12 del TFUE, il quale sancisce che le esigenze inerenti alla protezione dei consumatori devono essere prese in considerazione «[n]ella definizione e nell'attuazione di altre politiche o attività dell'Unione».

4.   Osservazioni particolari

4.1

Il CESE continua ad esprimere preoccupazione per le potenziali divergenze di interpretazione della regolamentazione da uno Stato membro all'altro; l'azione dell'UE deve puntare ad una vera e propria armonizzazione delle interpretazioni e delle pratiche, in modo tale da garantire la certezza giuridica agli operatori e la sicurezza degli utilizzatori.

4.2

Il CESE manifesta inoltre dei timori circa l'applicazione delle disposizioni sulla riservatezza - ad esempio in materia di segreti di fabbricazione - che potrebbero essere di ostacolo ad una più adeguata informazione sui componenti o sui prodotti potenzialmente pericolosi per la salute, la sicurezza delle persone e la qualità dell'ambiente. Gli interessi pubblici in gioco sono nel complesso superiori agli interessi privati che un'interpretazione troppo rigida del concetto di riservatezza andrebbe indebitamente a tutelare. In ogni caso, gli organismi degli Stati membri e dell'UE responsabili del sistema di vigilanza e di controllo devono scambiarsi le pertinenti informazioni, senza tuttavia contravvenire alle disposizioni di legge sulla protezione dei dati personali né compromettere le indagini in corso.

4.3

Come prescritto dal regolamento, le autorità pubblicano su un sito web dedicato informazioni sui prodotti pericolosi e sui rischi che questi presentano, le misure eventualmente adottate per prevenirli e le decisioni prese nei confronti degli operatori. Il Comitato chiede che tale pubblicazione non sia ostacolata da un eccessivo rispetto della riservatezza dei segreti commerciali qualora siano minacciate la salute e la sicurezza degli utilizzatori, in conformità della prassi seguita dalla Commissione nel gestire il sistema RAPEX, che va mantenuta.

4.4

Il CESE insiste sui requisiti di indipendenza e di trasparenza degli organi di vigilanza e di controllo, i cui agenti devono essere tutelati nell'esercizio delle loro funzioni da qualsiasi ingerenza o tentativo di corruzione, devono essere imparziali, accettare tutte le denunce presentate dai consumatori/utilizzatori o dalle loro organizzazioni di rappresentanza e, se del caso, riservare loro un seguito adeguato. Anche i laboratori incaricati dei controlli devono operare in piena indipendenza, così come gli organismi responsabili del rilascio delle etichette previste a norma di legge, che sono indispensabili affinché i decisori nelle aziende e i consumatori possano compiere le loro scelte.

4.5

A giudizio del Comitato, il regolamento proposto dovrebbe contenere anche disposizioni che istituiscano una banca dati europea sugli infortuni (European Injuries Database - IDB) riguardante tutti i tipi di lesioni. Tale banca dati:

aiuterebbe le autorità di vigilanza del mercato a prendere decisioni più informate sulle valutazioni dei rischi,

offrirebbe una base per azioni preventive e campagne di sensibilizzazione pubblica, e consentirebbe ai soggetti competenti di elaborare norme migliori sui prodotti,

aiuterebbe i fabbricanti ad adeguare la progettazione di sicurezza nei nuovi prodotti, e

consentirebbe di valutare l'efficacia delle misure preventive, nonché di fissare delle priorità nella definizione delle politiche.

4.5.1

Il Comitato raccomanda pertanto di:

includere nel regolamento proposto la disposizione del regolamento (CE) n. 765/2008 che obbliga gli Stati membri a monitorare gli infortuni e i danni alla salute che si sospetta siano stati causati dai prodotti in questione, e

stabilire una base giuridica per l'IDB, in forza della quale la Commissione europea sostenga il coordinamento della raccolta dei dati dagli Stati membri e assicuri il buon funzionamento dell'IDB.

Bruxelles, 22 maggio 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Henri MALOSSE


19.9.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 271/91


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Investire nel settore sociale a favore della crescita e della coesione, in particolare attuando il Fondo sociale europeo nel periodo 2014-2020»

COM(2013) 83 final

2013/C 271/17

Relatore: RÖPKE

La Commissione, in data 18 marzo 2013, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Investire nel settore sociale a favore della crescita e della coesione, in particolare attuando il Fondo sociale europeo nel periodo 2014-2020

COM(2013) 83 final.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 aprile 2013.

Alla sua 490a sessione plenaria, dei giorni 22 e 23 maggio 2013, (seduta del 22 maggio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 160 voti favorevoli, 3 voti contrari e 11 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore il pacchetto della Commissione sugli investimenti sociali e il cambiamento di modello che esso porta con sé, che consiste nel considerare gli investimenti sociali non già come un semplice fattore di costo, bensì come investimenti nel futuro, nella crescita e nell'occupazione, che contribuiscono in maniera essenziale al raggiungimento degli obiettivi della strategia Europa 2020 e rappresentano elementi fondamentali del modello sociale europeo.

1.2

Oltre a contribuire al progresso sociale, gli investimenti sociali mirati accrescono la competitività. Inoltre, proprio in un periodo di disoccupazione drammatica senza precedenti, nonché di crescente povertà, tali investimenti svolgono un ruolo cruciale nel rafforzamento della coesione e dell'integrazione sociali e nella lotta contro la povertà e l'emarginazione sociale.

1.3

Il mercato del lavoro costituisce il fattore chiave per far fronte ai mutamenti demografici e risanare in maniera sostenibile i bilanci pubblici. A giudizio del CESE, investimenti sociali consistenti e mirati aumentano in maniera sostenibile le opportunità occupazionali. Pertanto il pacchetto in esame, se applicato in modo coerente, può recare un contributo importante a un riorientamento delle politiche verso la crescita e l'occupazione.

1.4

Il CESE condivide il giudizio della Commissione secondo cui la definizione della politica sociale rientra in primo luogo tra le responsabilità degli Stati membri, ciascuno dei quali deve trovare un proprio equilibrio tra sostenibilità e adeguatezza dei propri sistemi e servizi sociali. Date le forti differenze nazionali, la Commissione dovrebbe svolgere un ruolo centrale nello scambio di approcci efficaci e innovativi tra gli Stati membri e tutti i soggetti pertinenti.

1.5

Il CESE apprezza l'esplicito riconoscimento, nella comunicazione, dell'importante ruolo dell'economia sociale, della società civile e delle parti sociali nell'attuazione del pacchetto. In tale contesto, il CESE sostiene espressamente la richiesta di un decisivo coinvolgimento delle parti sociali e dei soggetti della società civile organizzata a livello di Stati membri nel processo di coordinamento del semestre europeo.

1.6

Invita la Commissione a presentare un piano per l'attuazione concreta del pacchetto sugli investimenti sociali, ad assistere gli Stati membri nelle misure necessarie e a promuovere lo scambio tra i paesi, le parti sociali, le organizzazioni dell'economia sociale, le organizzazioni non governative, la società civile organizzata e i fornitori di servizi sociali. Questi soggetti dispongono delle necessarie competenze tecniche nei settori degli investimenti sociali, dell'innovazione sociale e della promozione dell'occupazione.

1.7

Si rammarica tuttavia del fatto che sia rimasta in gran parte irrisolta la questione del finanziamento del pacchetto. In assenza di un cambiamento della politica unilaterale di taglio delle spese, appare poco realistico che le proposte possano essere attuate con successo. I miglioramenti nell'impiego dei fondi strutturali e di investimento europei e il grado quanto più possibile elevato di efficienza e precisione delle misure suscitano compiacimento, ma non potranno comunque bastare a produrre l'auspicato cambiamento di rotta.

1.8

Il CESE sottolinea pertanto il proprio giudizio secondo cui è indispensabile trovare altre fonti di entrate per i bilanci pubblici. In tale contesto occorre menzionare la modifica e l'ampliamento delle basi imponibili, l'eliminazione di paradisi fiscali, la fine della rovinosa corsa al ribasso fiscale e la lotta all'evasione fiscale, nonché i contributi dei vari tipi di capitale.

1.9

Il CESE a tale proposito ribadisce espressamente la richiesta di un programma congiunturale e di investimenti dell'UE di ammontare pari al 2 % del PIL. Ciò consentirebbe anche in termini pratici, malgrado gli sforzi di risanamento dei bilanci, di finanziare un pacchetto di investimenti sociali che permetta di riorientare le priorità politiche verso gli investimenti sociali e di rafforzare e modernizzare la politica sociale negli Stati membri. Il pacchetto di investimenti finanziari potrà essere attuato con successo solo se vi sarà un finanziamento adeguato; in caso contrario, esso rimarrà una mera dichiarazione di intenti.

1.10

Il CESE invita la Commissione a fare in modo che la maggiore concentrazione sugli investimenti sociali si rifletta anche nel processo di coordinamento del semestre europeo. Sia le raccomandazioni per paese che la prossima analisi annuale della crescita (2014) dovranno riflettere espressamente questa nuova determinazione delle priorità. A tal fine la Commissione europea deve presentare in tempi rapidi delle proposte concrete, in cui sia specificato che un rafforzamento degli investimenti sociali è compatibile con un risanamento di bilancio «differenziato e favorevole alla crescita».

2.   Il pacchetto Investimenti sociali per la crescita e la coesione

2.1

Tra gli obiettivi della strategia Europa 2020 figura quello di far uscire dalla povertà almeno 20 milioni di cittadini entro il 2020. Le profonde ripercussioni della crisi e la necessità di riavviare la crescita hanno portato a una serie di iniziative della Commissione rivolte a preservare e a creare posti di lavoro, ad agevolare il passaggio da un impiego all'altro e in generale all'attivazione (1).

2.2

Il 20 febbraio 2013 la Commissione ha presentato il pacchetto, da tempo atteso, sugli investimenti sociali. Esso consiste di una comunicazione (Investire nel settore sociale a favore della crescita e della coesione, in particolare attuando il Fondo sociale europeo nel periodo 2014-2020) e di una raccomandazione (Investire nell'infanzia per spezzare il circolo vizioso dello svantaggio sociale) della Commissione, corredate di sette documenti di lavoro dei servizi della stessa.

2.3

Il pacchetto propone investimenti sociali migliorati nel quadro del semestre europeo, e, al fine di realizzare le finalità della strategia Europa 2020 nel settore della politica sociale, occupazionale e dell'istruzione, razionalizza la gestione e gli obblighi di rendicontazione dell'UE e degli Stati membri.

2.4

La Commissione constata che, nel corso della crisi che imperversa in Europa dal 2008, in molti Stati membri e per molti cittadini dell'Unione sono aumentate la povertà e l'esclusione sociale e occupazionale, e che al riguardo sono stati raggiunti livelli senza precedenti, in particolare nelle categorie più a rischio. Nella comunicazione, la Commissione raccomanda agli Stati membri di dare maggior peso agli investimenti sociali e di fare un uso più efficiente delle risorse.

2.5

Secondo la Commissione gli investimenti sociali aiutano i cittadini, accrescendone le capacità e le qualifiche e promuovendone la partecipazione alla società e al mercato del lavoro. Ciò aumenta il livello di benessere, fa crescere l'economia e aiuta l'UE a uscire dalla crisi più forte, più coesa e più competitiva.

2.6

I sistemi sociali svolgono in tale contesto una triplice funzione: investimenti sociali per un futuro migliore, protezione sociale in fasi avverse della vita e, non da ultimo, stabilizzazione delle economie nazionali.

2.7

A tal fine, la Commissione richiede misure atte a garantire che i sistemi di protezione sociale possano far fronte alle esigenze delle persone in fasi critiche della vita. Per realizzare questo obiettivo, la Commissione chiede misure preventive sotto forma di investimenti quanto più possibile precoci, piuttosto che misure ex post volte a porre rimedio ai danni, cosa che risulterebbe più costosa. In quest'ottica è importante investire nell'infanzia e nella gioventù.

2.8

Nelle raccomandazioni della Commissione agli Stati membri, quanto sopra viene ulteriormente precisato attraverso la formulazione di orientamenti generali. Secondo la Commissione, per realizzare investimenti preventivi contro la povertà infantile e l'esclusione sociale volti a promuovere il benessere dell'infanzia, occorre un'intera gamma di misure diverse.

2.9

Nell'ottica di realizzare una politica sociale più efficiente, nella comunicazione la Commissione invoca un impiego più efficace delle risorse finanziarie per garantire una sicurezza sociale adeguata e sostenibile e una politica sociale migliore, fondata su dati oggettivi. A tal fine, gli Stati membri dovranno semplificare la gestione amministrativa delle prestazioni e dei servizi e concedere i benefici in maniera più mirata, subordinandoli al tempo stesso a condizioni quali, ad esempio, la partecipazione a iniziative di riqualificazione.

2.10

Nella comunicazione in esame gli Stati membri vengono più volte invitati a promuovere il coinvolgimento di tutte le parti interessate, e soprattutto delle parti sociali e della società civile, nel miglioramento della politica sociale nel quadro della strategia Europa 2020.

3.   Osservazioni generali in merito al pacchetto sugli investimenti sociali

3.1

La crisi finanziaria ed economica, con il suo profondo impatto sulla crescita, l'occupazione e la coesione economica e sociale, domina ormai da cinque anni l'agenda politica dell'UE. Mentre inizialmente gli Stati membri hanno reagito con politiche economiche anticicliche, volte a stabilizzare la congiuntura, soprattutto le misure di salvataggio delle banche hanno comportato un sensibile aumento dell'indebitamento pubblico. È opinione comune che il tentativo dei governi di risanare i bilanci pubblici, in un contesto di rallentamento congiunturale, unicamente attraverso tagli di spesa, sia fallito. La comunicazione della Commissione sugli investimenti sociali apre pertanto una nuova prospettiva per contrastare la crisi, basata sul presupposto che gli investimenti sociali provocano sì, inizialmente, dei costi, ma nel medio e lungo periodo accrescono il benessere sociale e le entrate pubbliche, oltre evidentemente a contenere i costi sociali futuri.

3.2

Il CESE accoglie pertanto con vivo apprezzamento il pacchetto Investimenti sociali della Commissione e il relativo cambiamento di modello per le istituzioni dell'UE, che consiste adesso in un'agenda orientata al futuro. Adesso, infatti, gli Stati membri vengono invitati espressamente a dare maggior peso agli investimenti sociali, a modernizzare e rafforzare la politica sociale e a fare un uso più efficiente delle risorse disponibili. La politica sociale deve diventare più sostenibile. In tal modo la Commissione sembra correggere le distorsioni degli ultimi anni, rinunciando a considerare gli investimenti sociali esclusivamente come un fattore di costo. Essi, invece, migliorano le qualifiche e le capacità dei cittadini, accrescono le loro opportunità nella società e sul mercato del lavoro e quindi il benessere, hanno l'effetto di promuovere la crescita economica e aiutano l'Unione europea a uscire rafforzata e più competitiva dalla crisi. Pertanto, se attuato in maniera davvero coerente e ambiziosa, il pacchetto in esame potrebbe rappresentare una delle più importanti iniziative di politica sociale degli ultimi anni. Ciò richiede un sostegno costante da parte della Commissione.

3.3

Tuttavia, l'elaborazione delle politiche sociali compete in primo luogo agli Stati membri. La diversità delle condizioni e circostanze nazionali rende necessario per ogni Stato membro trovare il proprio punto di equilibrio tra sostenibilità e adeguatezza del proprio sistema sociale, non essendovi un modello valido per tutti. La Commissione dovrebbe elaborare una sintesi degli esempi di migliori pratiche, compresa la promozione delle imprese che forniscono servizi di interesse generale attraverso appalti pubblici e sistemi di libera scelta nei servizi sociali, e incoraggiare gli Stati membri a strutturare in maniera innovativa ed efficiente i rispettivi sistemi sociali, dando rilievo all'occupazione e all'attivazione, per raggiungere l'obiettivo di riduzione della povertà previsto dalla strategia Europa 2020.

3.4

In un periodo in cui nell'UE la disoccupazione raggiunge livelli mai visti prima e la povertà aumenta, lo Stato sociale acquisisce un ruolo indispensabile ai fini del superamento delle sfide. Grazie a investimenti mirati nella protezione sociale e nello Stato sociale, infatti, è possibile risolvere i problemi strutturali e creare posti di lavoro. Per sfruttare meglio i potenziali esistenti, è necessario che venga perseguita una strategia attiva e il più possibile ampia di inclusione e partecipazione per vasti strati della popolazione, e che tutti gli Stati membri attuino le raccomandazioni del 2008 in materia di coinvolgimento attivo delle persone escluse dal mercato del lavoro.

3.5

Mentre finora le spese sociali sono state considerate principalmente alla stregua di «costi» e sono state invocate riduzioni del bilancio sociale, la comunicazione in esame potrebbe in qualche modo rappresentare un cambiamento di strategia sia a livello dell'UE sia in alcuni Stati membri. Il CESE ha già affermato che sussiste un enorme bisogno di investimenti, anche sociali, efficaci nel promuovere l'occupazione e nel contrastare la povertà e l'esclusione sociale, e che a tal fine occorre mobilitare investimenti sia privati che pubblici e procedere a riforme (2).

3.6

Il CESE ritiene inoltre che l'approccio agli investimenti sociali seguito nella comunicazione, basato sul ciclo di vita e sulle necessità, possa contribuire a un miglioramento delle opportunità individuali, della coesione sociale e anche dello sviluppo economico, e accoglie quindi con favore questa nuova concezione e questa nuova logica di intervento. Il rafforzamento degli investimenti sociali comporta effetti positivi, in particolare a medio e lungo termine. Non bisogna tuttavia sottovalutare nemmeno gli effetti positivi a breve termine: è comprovato che investire in una politica sociale migliore, basata su dati oggettivi, produce, in talune situazioni, risultati rapidi e positivi (3).

3.7

Accanto all'effetto occupazionale, gli investimenti sociali svolgono una funzione basilare anche per l'aumento della coesione e dell'inclusione sociale e il contenimento dell'emarginazione e della povertà. A causa della profonda crisi economica, in Europa la situazione sociale di molte persone è drasticamente peggiorata. Per contrastare tale involuzione, è assolutamente necessario cambiare rotta e rafforzare gli investimenti sociali.

3.8

In tale contesto, la Commissione dovrebbe spiegare meglio e delimitare la sua richiesta di una «condizionalità» delle prestazioni sociali. Così, ad esempio, nel settore della politica attiva del mercato del lavoro, può essere opportuno subordinare la concessione di un sostegno a un determinato obiettivo (ad esempio, alla partecipazione a misure di formazione), ma tale principio non può affatto avere validità generale per le misure di politica sociale (come quelle di assistenza all'infanzia). Le prestazioni sociali devono essere considerate come diritti soggetti a criteri prevedibili, e la certezza del diritto deve essere garantita.

3.9

Le raccomandazioni formulate nella comunicazione e i documenti di lavoro rispecchiano i principali settori in cui bisogna applicare la «nuova logica» degli investimenti sociali. La Commissione dovrebbe adesso avviare con tutti i soggetti pertinenti un dialogo su come applicare concretamente a questi temi la logica degli investimenti sociali, nonché presentare un piano per l'attuazione di quanto esposto nella comunicazione che contenga linee guida operative per il sostegno degli Stati membri.

3.10

Il CESE si compiace del fatto che la Commissione riconosca espressamente l'importanza del ruolo dell'economia sociale, delle imprese sociali e della società civile per l'attuazione del pacchetto sugli investimenti sociali (4). Oltre a mettere a disposizione risorse aggiuntive, in molti casi esse partecipano direttamente alla traduzione degli obiettivi politici in azioni concrete, ad esempio fornendo servizi sociali. Per sostenere lo svolgimento di questi compiti, bisogna rendere accessibili in maniera più adeguata e più semplice le risorse pubbliche e il capitale privato. Le proposte di includere sia obiettivi tematici per gli investimenti sociali sia investimenti in quanto linee di sostegno nella politica europea di coesione 2014-2020 sono senz'altro degne di apprezzamento, e andrebbero prese in considerazione nei negoziati in merito ai programmi che saranno condotti tra autorità nazionali e Commissione europea con la partecipazione di rappresentanti della società civile.

3.11

A giudizio della Commissione, l'innovazione sociale è un elemento essenziale degli investimenti sociali, considerando che le politiche sociali devono essere costantemente adattate in funzione di nuove sfide. Le imprese private che operano nell'ambito degli appalti pubblici svolgono pertanto un ruolo importante come alternativa e complemento al settore pubblico.

3.12

Le possibilità innovative di finanziamento offerte, ad esempio, dal coinvolgimento del settore privato o da obbligazioni di investimento sociale (Social Investment Bonds) dovrebbero essere utilizzate maggiormente dagli Stati membri e potrebbero, a giudizio della Commissione (5), generare risparmi di bilancio. Tuttavia, le obbligazioni di investimento sociale sono oggetto di forte controversia, e occorre una serie di ulteriori verifiche riguardo alla loro efficacia. Bisognerebbe inoltre descrivere in maniera più precisa i settori potenzialmente coinvolti, che si prestano a un «finanziamento innovativo» Il CESE sottolinea comunque che tali strumenti non devono condurre in alcun caso a una commercializzazione della politica sociale. Riguardo a tale politica, lo Stato deve farsi carico della sua responsabilità.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

È da prevedere che nei prossimi anni, anche a causa delle misure di risanamento del bilancio varate dai singoli Stati membri, si avrà purtroppo una prosecuzione della spirale discendente economica e sociale, o, a seconda dei casi, un rallentamento della dinamica economica. Occorre pertanto incoraggiare uno sviluppo economico sostenibile attraverso una maggiore domanda (interna), per esempio grazie a una migliore integrazione delle donne nel mercato del lavoro. Anche la crescita dei servizi sociali e dell'economia sociale, che proprio durante la crisi hanno dato prova della loro resilienza, svolge un ruolo cruciale in questo campo.

4.2

Il pacchetto sugli investimenti sociali può offrire un contributo importante in tal senso. Ad esempio, lo sviluppo dei servizi sociali comporta effetti occupazionali maggiori di qualsiasi altra forma di investimento pubblico. Sono inoltre necessari investimenti in servizi sociali, per coprire una domanda in aumento e le crescenti esigenze sociali. Gli obiettivi occupazionali della strategia Europa 2020 prevedono, oltre alla lotta contro la disoccupazione (giovanile) e a una maggiore integrazione degli anziani nel mondo del lavoro, soprattutto un innalzamento della quota di occupazione femminile.

4.3

È importante riconoscere che il sostegno del pacchetto Investimenti sociali per i settori d'intervento delle politiche nazionali dell'inclusione sociale, del sistema sanitario e dei servizi sociali dovrebbe comprendere anche prestazioni sociali facilmente accessibili, economicamente sostenibili e di buona qualità per le persone svantaggiate, come ad esempio i disabili e il numero crescente di persone che vivono in condizioni di estrema povertà, Queste prestazioni sociali accrescono le loro opportunità di vivere in condizioni dignitose e di trovare e mantenere un lavoro.

4.4

Proprio l'esempio della custodia dei bambini mostra che investimenti mirati possono coniugare il progresso sociale con la crescita della competitività. Aumentando gli investimenti destinati alla custodia dei bambini e ai servizi sociali in senso proprio (assistenza degli anziani, istruzione, cure, prestazioni per persone disabili, assistenza domiciliare e alloggi attrezzati per anziani autonomi, ecc.), da un lato si migliora la qualità di un determinato sistema economico e dall'altro si reca un contributo importante alla partecipazione al mondo del lavoro delle donne e delle persone più emarginate dal mercato del lavoro, come ad esempio i disabili, contribuendo così a medio e lungo termine ad alleviare il bilancio pubblico. Come già riconosciuto dalla Commissione, è importante aver cura che tali investimenti siano diretti in maniera mirata alle specifiche esigenze di una persona, piuttosto che a un gruppo, in modo da garantire un sostegno individualizzato e i migliori risultati possibili (6). Il CESE considera inoltre necessario prevenire ogni possibile tipo di problemi sociali, indipendentemente dall'età degli interessati. La prevenzione dovrebbe essere pertanto un approccio generale della politica sociale, ed essere estesa, oltre che ai minori, a tutti i gruppi sociali.

4.5

Il mercato del lavoro costituisce l'elemento centrale per far fronte ai mutamenti demografici e risanare in maniera sostenibile i bilanci pubblici. Va quindi accolta con favore la richiesta della Commissione di accrescere la quota di popolazione occupata, anche attraverso una politica attiva del mercato del lavoro e una migliore inclusione sociale. Utilizzando meglio il potenziale occupazionale disponibile si può, malgrado il considerevole aumento del numero degli anziani, stabilizzare il rapporto tra coloro che versano i contributi e coloro che beneficiano di prestazioni sociali (7). Il CESE ribadisce tuttavia il giudizio che gli investimenti sociali debbano rivolgersi anche ai gruppi per i quali il beneficio di prestazioni sociali non si traduce nell'attivazione nel mercato del lavoro.

4.6

Al tempo stesso, gli investimenti sociali e una politica sociale migliore non consentono soltanto di realizzare effetti occupazionali importanti: un'attuazione coerente della politica di inclusione sociale negli Stati membri e una lotta costante contro la povertà comportano vantaggi decisivi per l'intera società e promuovono la pace e la coesione sociali.

4.7

Il cambiamento di rotta descritto nella comunicazione rappresenta anche un contributo importante al risanamento sostenibile dei bilanci pubblici. La promozione di una crescita inclusiva e un sensibile aumento della quota di occupazione entro il 2020 possono creare nei bilanci pubblici dei 27 Stati membri uno spazio di manovra aggiuntivo che può raggiungere i 1 000 miliardi di euro (8).

4.8

Per quanto attiene al cambiamento di priorità annunciato nella comunicazione e la relativa integrazione nel semestre europeo rimangono tuttavia aperte questioni decisive. Il CESE accoglie con favore il miglioramento del monitoraggio, ma è consapevole del fatto che l'orientamento dell'analisi annuale della crescita 2013 contiene ancora le priorità dell'anno trascorso. Ritiene che le raccomandazioni specifiche per paese per il secondo semestre dovrebbero concentrarsi maggiormente sugli investimenti sociali. La prossima analisi annuale della crescita (2014) dovrebbe dunque tenere espressamente conto degli investimenti sociali e integrare i problemi sociali nel prossimo semestre europeo. Inoltre, nel corso del semestre occorrerebbe precisare chiaramente che un rafforzamento degli investimenti sociali è compatibile con un risanamento di bilancio «differenziato e favorevole alla crescita».

4.9

Purtroppo, però, le affermazioni contenute nella comunicazione riguardo al finanziamento dell'iniziativa di investimento sociale e la modifica delle strutture di gestione sono deludenti e costituiscono un passo indietro rispetto al pacchetto occupazione, nel quale la Commissione aveva raccomandato, accanto allo sgravio del fattore lavoro, anche un aumento della tassazione sui capitali. Tuttavia, il cambiamento di rotta annunciato attraverso il pacchetto Investimenti sociali potrà essere anche messo in pratica con successo solo quando ne sarà garantito il finanziamento.

4.10

Nondimeno la questione del finanziamento di tale pacchetto rimane in gran parte irrisolta. Un impiego migliore dei fondi strutturali e di investimento europei, in particolare del fondo sociale europeo, può costituire un'importante fonte di finanziamento, ma non basterà in alcun caso a realizzare l'auspicato cambiamento di rotta. Il CESE sottolinea nuovamente che, oltre a un aumento dell'efficienza e ad un impiego più mirato della spesa pubblica, è indispensabile anche reperire nuove fonti di entrate per i bilanci pubblici. Al riguardo occorrerà considerare anche i possibili contributi delle varie forme di reddito e di capitale (9). Al tempo stesso occorrerebbe utilizzare meglio le risorse disponibili.

4.11

Il CESE fa osservare che la logica degli investimenti sociali si applica anche modificando e migliorando le politiche laddove queste si dimostrano inefficienti. In tale contesto non occorre in via prioritaria procedere a ulteriori investimenti. Il CESE invita la Commissione a fornire informazioni e chiarimenti in merito a nuove politiche sociali che risultano migliori per i beneficiari finali e nel contempo hanno costi comparabili o più limitati.

4.12

Il CESE ha già da tempo segnalato che non si dovrebbe soltanto considerare il versante della spesa, bensì anche migliorare quello delle entrate pubbliche, ad esempio attraverso una modifica e un ampliamento della base imponibile, la tassazione delle operazioni finanziarie, la chiusura dei paradisi fiscali, la cessazione della corsa al ribasso delle aliquote fiscali e l'attuazione di misure antievasione (10). Proprio nel contesto del pacchetto Investimenti sociali e delle sfide ad esso connesse, il CESE sottolinea ancora una volta espressamente le richieste di cui sopra e la necessità di un programma europeo congiunturale e di investimento di entità pari al 2 % del PIL (11). Il pacchetto in esame indica percorsi adeguati, ma manca di proposte per una forma di patto di investimento sociale che gli consenta di uscire dalla condizione di dichiarazione di intenti e mettere in pratica il nuovo orientamento politico.

4.13

Oltre alla richiesta di un maggiore coinvolgimento delle parti sociali e della società civile organizzata da parte degli Stati membri, richiesta che il CESE appoggia senza riserve, la Commissione dovrebbe avanzare in tempi rapidi proposte concrete per un loro coinvolgimento più forte e continuo nel processo di coordinamento del semestre europeo. Ciò riguarda anche e soprattutto un maggiore orientamento verso gli investiment