ISSN 1977-0944

doi:10.3000/19770944.C_2013.133.ita

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 133

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

56o anno
9 maggio 2013


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

487a sessione plenaria del 13 e 14 febbraio 2013

2013/C 133/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Industrie nautiche: una trasformazione accelerata dalla crisi (parere d'iniziativa)

1

2013/C 133/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Modelli di attività economica per una crescita sostenibile, un'economia a basse emissioni di carbonio e le trasformazioni industriali (parere d'iniziativa)

8

2013/C 133/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Relazioni commerciali tra la grande distribuzione e i fornitori di prodotti alimentari — quadro della situazione attuale (parere d'iniziativa)

16

 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

487a sessione plenaria del 13 e 14 febbraio 2013

2013/C 133/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Promuovere l'uso condiviso delle risorse dello spettro radio nel mercato interno — COM(2012) 478 final

22

2013/C 133/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Rendere efficace il mercato interno dell'energia — COM(2012) 663 final

27

2013/C 133/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione recante deroga temporanea alla direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità — COM(2012) 697 final — 2012/0328 (COD)

30

2013/C 133/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati — COM(2012) 628 final — 2012/0297 (COD)

33

2013/C 133/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce condizioni specifiche per la pesca degli stock di acque profonde nell'Atlantico nord-orientale e disposizioni relative alla pesca nelle acque internazionali dell'Atlantico nord-orientale e che abroga il regolamento (CE) n. 2347/2002 — COM(2012) 371 final – 2012/0179 (COD)

41

2013/C 133/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Raccomandazione del Consiglio sull'attuazione degli indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri la cui moneta è l'euro — COM(2012) 301 final

44

2013/C 133/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai dispositivi medici e recante modifica della direttiva 2001/83/CE, del regolamento (CE) n. 178/2002 e del regolamento (CE) n. 1223/2009 — COM(2012) 542 final — 2012/0266 (COD) alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai dispositivi medico-diagnostici in vitro — COM(2012) 541 final — 2012/0267 (COD) e alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Dispositivi medici e dispositivi medico-diagnostici in vitro sicuri, efficaci e innovativi a vantaggio dei pazienti, dei consumatori e degli operatori sanitari — COM(2012) 540 final

52

2013/C 133/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato di apparecchiature radio — COM(2012) 584 final — 2012/0283 (COD)

58

2013/C 133/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo di aiuti europei agli indigenti — COM(2012) 617 final — 2012/295 (COD)

62

2013/C 133/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante il miglioramento dell'equilibrio di genere fra gli amministratori senza incarichi esecutivi delle società quotate in Borsa e relative misure — COM(2012) 614 final — 2012/0299 (COD)

68

2013/C 133/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Consiglio sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione — COM(2012) 709 final — 2012/0335 (NLE)

77

2013/C 133/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione — Analisi annuale della crescita 2013 — COM(2012) 750 final

81

2013/C 133/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo allo statuto e al finanziamento dei partiti politici europei e delle fondazioni politiche europee — COM(2012) 499 final — 2012/0237 (COD)

90

IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

487a sessione plenaria del 13 e 14 febbraio 2013

9.5.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 133/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Industrie nautiche: una trasformazione accelerata dalla crisi» (parere d'iniziativa)

2013/C 133/01

Relatore: IOZIA

Correlatore: PESCI

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 luglio 2012, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Industrie nautiche: una trasformazione accelerata dalla crisi.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 gennaio 2013.

Alla sua 487a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 febbraio 2013 (seduta del 13 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 70 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

La nautica da diporto, cioè l'andare sull'acqua per il proprio piacere, usando un'imbarcazione (barca a vela o motore, canoa, kayak o altro) oppure svolgendo una delle molte altre attività acquatiche disponibili (wind- e kitesurfing, immersioni subacquee, pesca ricreativa, ecc.), viene praticata in Europa da tutte le classi sociali da moltissimi anni. Essa non viene considerata solo come un passatempo estivo, ma contribuisce a sviluppare e comunicare valori sportivi, culturali, ambientali e sociali. In questo senso, la nautica popolare europea svolge un ruolo sociale importante e sostiene i valori dell'Unione europea.

1.2

Attraverso la nautica, in particolare le giovani generazioni possono apprendere il rispetto della natura, la valorizzazione del lavoro in comune, la responsabilità; possono socializzare, fare una attività sportiva divertente e a costi contenuti, conoscere nuovi territori con il turismo nautico, accedere ad aree marine di particolare pregio. La nautica, inoltre, ha di recente assunto anche una funzione terapeutica, rivolta ai disabili, alle persone che hanno perso la fiducia in sé stesse, contribuendo al loro reinserimento e alla riacquisizione di sicurezze perdute.

1.3

Questo parere si fonda sulla constatazione fatta dal Comitato economico e sociale europeo (CESE) che il mercato unico europeo per quel che riguarda la nautica è ancora imperfetto. L'audizione pubblica svoltasi nell'ottobre 2012 durante il Salone nautico internazionale di Genova - con la partecipazione di rappresentanti della Commissione e del Parlamento europeo, dell'industria, dei lavoratori, degli utenti e dei consumatori, delle università e delle associazioni ambientali - ha messo in rilievo le numerose difficoltà che ancora sussistono per questo settore nel mercato europeo. Il CESE invita quindi la Commissione europea a considerare le azioni proposte in questo parere che sono necessarie per completare il mercato unico e combattere le barriere ed altre restrizioni a livello nazionale e internazionale che ancora sussistono.

1.4

L'industria nautica europea ha registrato in questi anni di crisi una caduta verticale della produzione, dell'ordine - secondo i paesi - del 40-60 %, con una perdita di 46 000 mila posti di lavoro e una contrazione del fatturato manifatturiero totale di 3-4,5 miliardi di euro. Nonostante ciò, essa continua ad essere la più importante industria nautica a livello mondiale, dove si assiste ad un indebolimento del concorrente americano e ad una crescita di nuovi paesi emergenti quali Brasile, Cina e Turchia.

1.5

Il CESE ritiene indispensabile non disperdere questo patrimonio di competenze e di capacità innovative, che hanno consentito alle imprese di resistere, aumentando la loro vocazione all'export, ma quasi esclusivamente sui prodotti di fascia alta.

1.6

Il Mar Mediterraneo è l'area nella quale si concentra oltre il 70 % del turismo nautico mondiale, che crea un indotto per i paesi costieri molto importante. Questo turismo è ostacolato da normative nazionali diverse le une dalle altre, ad esempio in materia di registrazione delle unità da diporto, di patenti nautiche, di misure di sicurezza, di fiscalità, per citare le più importanti.

1.7

Il CESE, pur consapevole delle diverse sensibilità esistenti nei paesi ad antica vocazione marinara, raccomanda alla Commissione di trovare soluzioni condivise e ritiene sia di particolare interesse per il settore cominciare a vedere applicato il principio che regola il mercato interno di non discriminazione diretta o indiretta alla circolazione dei servizi e delle persone.

1.8

In Europa, mentre le esigenze di sicurezza ed ambientali per la costruzione delle unità da diporto sono armonizzate a livello europeo, il quadro normativo delle stesse unità varia notevolmente da paese a paese per quanto concerne le condizioni di utilizzo (patenti nautiche, immatricolazioni, regolamenti e dotazioni di sicurezza, fiscalità, ecc.). Queste differenze nazionali frammentano il mercato unico europeo, creando confusione per gli operatori economici e gli utenti, ma anche una certa forma di concorrenza sleale. L'esempio più flagrante è certamente il Mar Mediterraneo, dove, dalla Spagna alla Grecia, passando per la Francia, l'Italia, la Slovenia e la Croazia, la nautica viene regolamentata in modo diverso in ogni paese. Tali differenze di trattamento non esistono per altri mezzi di trasporto come l'automobile, il treno o l'aereo.

1.9

Nel corso dell'interessante audizione svoltasi durante il Salone nautico internazionale di Genova, i rappresentanti dell'industria, nelle sue diverse componenti, i rappresentanti dei lavoratori del settore, le associazioni ambientaliste, hanno chiesto unanimemente e con vigore che l'Unione europea assuma iniziative idonee per sostenere le attività dell'industria nautica.

1.10

Oltre a rappresentare un settore nel quale l'innovazione, la ricerca e lo sviluppo sono essenziali alla sua stessa sopravvivenza, a differenza di tanti altri settori, l'industria nautica non chiede misure straordinarie o aiuti economici, ma esclusivamente iniziative ed azioni affinché il mercato unico europeo in questo campo diventi una realtà.

1.11

Il CESE condivide le preoccupazioni degli esponenti del settore della nautica e chiede alla Commissione di accompagnare l'adozione della revisione della direttiva 94/25/CE sulle unità da diporto fino a 24 metri con ulteriori iniziative da inserire in uno specifico piano di azione. Sarebbe di grande utilità preparare un Libro verde sulle misure da adottare per l'industria nautica, coinvolgendo tutte le parti interessate, definendo successivamente un piano d'azione che sia coerente con i principi generali di una nuova politica industriale europea (1) e di una politica europea per un turismo sostenibile (2).

1.12

Il CESE evidenzia in particolare alcuni temi che vanno affrontati e risolti:

negoziare con i paesi terzi, in particolare Stati Uniti, Cina e Brasile, nuove regole di reciprocità per l'accesso dei prodotti europei ai loro mercati;

aumentare la sorveglianza del mercato per evitare l'importazione dai paesi terzi di unità da diporto non conformi ai parametri europei su rumore e emissioni, creando così concorrenza sleale;

favorire una formazione omogenea e continua che consenta di riconoscere la qualificazione professionale acquisita, favorendo la mobilità del lavoro. Un passaporto europeo della formazione nel settore è auspicato dalle forze sociali;

costituire una banca dati europea sull'incidentalità relativa al diporto e alla nautica, in modo da poter capire quali sono i rischi legati a queste attività ed adottare i regolamenti di sicurezza e le norme più adatte;

adottare regolamenti di sicurezza uniformi nel territorio dell'Unione ed in particolare nei bacini marini come il Mar Mediterraneo, il Mar Baltico e altri mari europei;

commissionare uno studio tecnico per rivedere il sistema attuale delle categorie di progettazione, come richiesto anche dal Parlamento europeo nell'ambito della revisione della direttiva 94/25/CE;

facilitare l'accesso delle industrie nautiche ai fondi europei di ricerca, sviluppo e innovazione, come avviene per le industrie di altri mezzi di trasporto;

promuovere l'adozione e l'uso di norme internazionali, che siano effettivamente rispettate. Gli Stati Uniti, per esempio, partecipano all'elaborazione delle norme ISO, ma non le riconoscono né le usano a livello nazionale, preferendo norme americane;

armonizzare i trattamenti fiscali in materia di turismo nautico sul mercato unico. Alcuni Stati membri equiparano l'aliquota IVA da praticare alle tariffe nei porti e ai noli charter a quella agevolata praticata nell'industria alberghiera, altri applicano le aliquote normali con un evidente svantaggio ingiustificato per gli operatori nazionali;

rafforzare l'attrattiva della nautica per le giovani generazioni, sia come attività professionale che ricreativa e sportiva.

2.   L'industria europea della nautica

2.1

L'industria nautica in Europa è costituita oggi da più di 37 000 imprese, che occupano direttamente 234 000 persone, generando un fatturato annuo di 20 miliardi di euro nel 2011. Il 97 % di tali imprese è costituito da PMI; i grandi gruppi, maggiormente strutturati, sono circa una decina. La crisi economica e finanziaria nel 2008/2009 ha provocato una flessione media delle vendite e della produzione industriale nell'ordine del 40/60 %, e tutti i segmenti di prodotto sono stati colpiti. Dal 2009 in poi la crisi economica ha provocato la perdita di oltre 46 000 posti di lavoro e una contrazione del fatturato manifatturiero totale del settore di 3-4,5 miliardi di euro. I posti di lavoro sono stati persi, nella medesima misura percentuale, nelle grandi aziende e nelle PMI. Sia la perdita dei posti di lavoro sia la riduzione del fatturato sono essenzialmente avvenute nel comparto industriale del settore (cioè la cantieristica nautica e la costruzione di accessori e componenti). Il comparto dei servizi (locazione/noleggio di unità da diporto, riparazione e manutenzione, marine e porti turistici), che fino ad oggi aveva sostanzialmente tenuto, ha iniziato ad avvertire la crisi a partire da quest'anno. Nonostante la crisi abbia profondamente modificato lo scenario internazionale, l'Europa rimane sempre il leader mondiale, di fronte a un indebolimento del concorrente americano e alla crescita dei paesi emergenti come Brasile, Cina e Turchia (3).

2.2

L'attività industriale del settore copre l'intero ambito di produzione della cantieristica nautica, che va dalle unità minori fino ai superyacht di oltre 100 m; l'industria nautica si dedica però, più tipicamente, alla produzione di imbarcazioni fino a 24 m di lunghezza (la cui costruzione è regolata dalla direttiva 94/25/CE). L'utilizzo di tali unità è vario: unità da diporto; piccole imbarcazioni professionali per la guardia costiera, polizia marittima e dogane; piccole navi passeggeri utilizzate in zone turistiche e nelle isole; barche specializzate. L'industria produce gli equipaggiamenti e i componenti (motori e sistemi di propulsione, attrezzature di coperta, elettronica e sistemi di navigazione, vele, pitture, arredi e interni), gli accessori nautici (equipaggiamenti di sicurezza, prodotti tessili, ecc.) e gli equipaggiamenti per le attività nautiche sportive (immersioni, windsurf, kitesurf, canottaggio/kayak, ecc.).

2.3

Le attività di servizio sono numerose e varie, in quanto coprono la gestione e lo sviluppo dei 4 500 porti turistici e marina europei (che offrono 1,75 milioni di posti barca, a fronte di una flotta europea di 6,3 milioni di unità), ma anche il commercio e la manutenzione delle imbarcazioni, il noleggio e la locazione marittima e fluviale (con o senza equipaggio), le scuole nautiche, gli esperti marittimi, i servizi finanziari e assicurativi specializzati nella nautica, ecc.

2.4

Oggi in Europa 48 milioni di persone praticano una o più attività nautiche, e 36 milioni di tali persone vanno in barca (motore o vela) (4). Il profilo del diportista riflette effettivamente le differenti categorie sociali di ogni nazione: le attività nautiche, nonostante patiscano spesso ingiustamente di un'immagine associata dai media esclusivamente al lusso, non sono riservate ad una élite sociale. Si può parlare a buon proposito soprattutto di "nautica popolare".

2.5

Inoltre, da una decina di anni a questa parte si osserva il fenomeno di un innalzamento dell'età media dei diportisti in linea con i trend demografici europei, e ciò è preoccupante per il futuro della nautica.

2.6

In vari paesi europei, le imprese nautiche e le federazioni sportive hanno, tramite le loro associazioni, sviluppato da anni delle iniziative per offrire esperienze nautiche alle giovani generazioni. Queste diverse iniziative hanno l'obiettivo di far conoscere la nautica sia come attività sportiva e turistica sia come settore professionale, offrendo ad apprendisti e studenti esperienze professionali e tirocini in aziende. Queste iniziative nazionali potrebbero essere riprese anche a livello europeo, nel senso di organizzare azioni collettive di promozione della nautica, in occasione di eventi quali, per esempio, la Giornata marittima europea del 20 maggio (5).

2.7

Con 66 000 km di coste, l'Europa è la prima destinazione mondiale per la navigazione da diporto. Le attività nautiche, di solito tipicamente marine, vengono praticate anche a livello continentale, con una presenza molto forte in alcune nazioni, sia lungo i 27 000 km di vie d'acqua interne sia nei laghi (in Europa sono 128 i laghi di superficie maggiore di 100 km2). In particolare, il Mar Mediterraneo concentra da solo il 70 % dell'attività del charter nautico mondiale, in ogni fascia di lunghezza.

2.8

L'industria europea è un'industria aperta e competitiva che scambia circa due terzi della produzione nel mercato interno ed esporta nei mercati tradizionali come Stati Uniti, Canada e Australia/Nuova Zelanda. A seguito del crollo della domanda in questi paesi, l'industria europea vede una sempre maggiore crescita delle esportazioni verso i mercati emergenti dell'Asia (principalmente in Cina) e dell'America Latina (principalmente in Brasile), dove la domanda è forte ma le autorità locali vogliono tutelare e sviluppare la propria industria nazionale. In Asia le difficoltà amministrative e le formalità d'importazione scoraggiano in particolare le PMI europee. La marcatura CE dei prodotti europei non è generalmente riconosciuta e i cantieri devono presentare la propria documentazione tecnica per ottenere un'omologazione locale, il che pone seri problemi, in termini di protezione della proprietà intellettuale, all'industria nautica europea, con costi esorbitanti per le PMI, e spinge le grandi aziende a delocalizzare.

3.   Effetti della legislazione europea sull'industria nautica

3.1

Nel 1994 è stata adottata la direttiva europea sulle unità da diporto (direttiva 94/25/CE), che ha permesso l'armonizzazione a livello europeo dei requisiti di sicurezza per le unità da diporto di dimensione compresa fra 2,5 e 24 metri. Questa direttiva è stata emendata nel 2003 (direttiva 2003/44/CE) con l'aggiunta di nuovi requisiti di tipo ambientale (per esempio riduzione dei livelli di emissione gassosa e sonora dei motori marini) e l'inclusione dei "personal watercraft" (moto d'acqua o jet-ski) nel campo di applicazione della direttiva.

3.2

Nell'arco di 15 anni l'applicazione di questa direttiva sulle imbarcazioni da diporto ha determinato lo sviluppo, a livello internazionale, di oltre 60 norme armonizzate EN-ISO, da applicare alle imbarcazioni ed ai "personal watercraft". Tali norme, di origine europea, sono oggi utilizzate come punto di riferimento tecnico a livello internazionale. La direttiva 94/25/CE ha anche permesso la creazione di un mercato unico europeo per le imbarcazioni da diporto, facilitando le condizioni per il commercio, la concorrenza e lo scambio intraeuropeo. Il CESE chiede alla Commissione di fare delle proposte coerenti, per permettere la creazione di un mercato unico europeo per i servizi nautici, creando una convergenza delle condizioni di utilizzo e di navigazione in Europa.

3.3

La direttiva 94/25/CE è attualmente in revisione e in discussione tra il Parlamento europeo ed il Consiglio (proposta di direttiva COM(2011) 456 final). I più notevoli cambiamenti riguardano un'ulteriore riduzione dei livelli di emissioni gassose per i motori marini, l'obbligo di installazione di serbatoi o di sistemi di trattamento a bordo per le acque nere e l'allineamento ai requisiti del nuovo quadro legale europeo per la commercializzazione dei prodotti armonizzati (decisione n. 768/2008 e regolamento 765/2008/CE). Il CESE si è espresso favorevolmente sulla proposta di revisione (6).

3.4

La nuova direttiva è, secondo il CESE, un'opportunità per riconsiderare il sistema attuale di categorizzazione delle imbarcazioni da diporto. In effetti, la direttiva prevede che le imbarcazioni siano suddivise in 4 categorie di progettazione, in funzione della loro capacità di affrontare determinate condizioni meteomarine (forza del vento e altezza delle onde). Il Parlamento europeo ha richiesto che la Commissione europea conduca uno studio di natura tecnica sull'opportunità e la possibilità di rivedere il sistema attuale delle categorie di progettazione, in modo che questo rifletta la grande varietà di unità da diporto oggi presenti sul mercato, dando altresì indicazioni precise all'utente sulle caratteristiche dell'imbarcazione. Sia l'industria nautica europea che la Federazione europea degli utenti si sono espresse a favore dell'iniziativa del Parlamento europeo (7). Il CESE sollecita la Commissione a provvedere alla realizzazione dello studio.

3.5

Nell'ambito del trasporto marittimo, la Commissione europea ha intrapreso la revisione della direttiva 2009/45/CE, sulle disposizioni e norme di sicurezza per le navi da passeggeri superiori a 24 m di lunghezza, costruite in materiale metallico e adibite a viaggi domestici. Ma oggi la maggior parte di queste navi è costruita con materiali differenti dall'acciaio (in particolare in fibra di vetro e materiali compositi) ed è conseguentemente sottoposta alla legislazione nazionale. La proposta di semplificazione di tale direttiva, in preparazione da parte della Commissione europea, potrebbe, secondo il CESE, portare a un'estensione del campo di applicazione, includendo altresì le navi passeggeri inferiori a 24 m di lunghezza e/o costruite in materiali non metallici. È importante assicurare che l'estensione del campo di applicazione non sia dannosa per i cantieri nautici europei che costruiscono le piccole navi passeggeri.

4.   L'industria nautica europea a fronte del problema della domanda

4.1

In presenza di una profonda crisi finanziaria con drammatiche conseguenze economiche, l'industria nautica europea ha prontamente reagito, prendendo le misure necessarie per trovare nuovi mercati al di fuori di quelli tradizionali (Europa, Nord America, Australia/Nuova Zelanda), investire in nuovi modelli e in nuove tecnologie in modo da proporre prodotti innovativi, ridurre i costi di produzione e difendere così la propria posizione di leader mondiale. Inoltre gli attuali prezzi delle barche nuove risultano essere più competitivi che in passato per i consumatori.

4.2

Occorre affrontare il problema del finanziamento sia della produzione industriale sia dell'acquisto delle imbarcazioni, tenendo conto delle difficoltà che vengono frapposte dal sistema bancario europeo. Uno degli effetti della crisi finanziaria sul settore nautico è stato lo spostamento della domanda, abituale per i prodotti che non sono di prima necessità. Inoltre il sistema bancario non garantisce più il finanziamento sul valore dell'unità da diporto, per paura di una consistente caduta di questo valore. Una conseguenza della crisi finanziaria è stata anche la stagnazione del mercato dell'usato, con la messa in vendita a prezzi molto bassi delle unità da diporto detenute dalle banche. Il leasing, molto popolare nel settore nautico, è anch'esso entrato in crisi. Ci troviamo di fronte a una situazione simile a quella osservata in altri settori, come per esempio l'immobiliare in Spagna.

4.3

Prima della crisi i mercati tradizionali rappresentavano circa l'80 % delle vendite dell'industria nautica europea, con il restante 20 % destinato ai mercati emergenti. La flessione delle vendite del 40/60 % nei mercati tradizionali, aggravata dalla loro attuale stagnazione, non è stata che debolmente compensata dalla crescita della quota relativa ai mercati emergenti. Inoltre un gran numero di cantieri che propongono unità da diporto "entry level" (per esempio natanti e unità pneumatiche) non riescono a trovare nuovi sbocchi sui mercati emergenti, dove questo genere di prodotti non è richiesto (sia per una questione di prezzo che per una cultura nautica ancora inesistente nelle classi popolari e medie di questi paesi). In questi mercati, l'industria nautica europea deve quindi far fronte, più che a un problema di competitività, al problema della domanda.

4.4

In Europa la nautica da diporto resta in gran parte regolamentata a livello nazionale. Se la costruzione delle unità da diporto risulta armonizzata a livello europeo, le condizioni di utilizzo (ad es. patenti nautiche, immatricolazione, dotazioni di sicurezza, fiscalità del settore, ecc.), invece, variano enormemente fra una nazione e l'altra. Il CESE considera che in questo caso il principio di sussidiarietà nuoccia allo sviluppo di un mercato unico europeo.

4.5

La sorveglianza del mercato appare oggi molto insoddisfacente a livello europeo. Numerose unità da diporto non conformi ai parametri europei di rumore ed emissioni sono importate e vendute in Europa senza che i relativi importatori siano controllati dalle autorità di sorveglianza del mercato, creando concorrenza sleale.

4.6

Nei suoi lavori la Commissione dovrebbe prestare un'attenzione specifica a che lo sviluppo dell'industria e dei servizi nel settore della nautica da diporto sia conforme ai principi della tutela dell'ambiente e del paesaggio, soprattutto per quanto attiene alla preservazione delle risorse e degli ecosistemi naturali, alla lotta contro l'inquinamento acustico nelle acque interne e l'inquinamento dei corpi idrici causato dai rifiuti urbani e industriali, alla sicurezza di chi partecipa ai diversi tipi di attività ricreative acquatiche e connesse con l'acqua, ecc.

5.   Che cosa può fare l'Europa?

5.1

Il CESE ha organizzato un'audizione pubblica nel corso del Salone nautico internazionale di Genova (ottobre 2012), nel corso della quale, grazie all'importante e qualificata partecipazione, ha potuto raccogliere i punti di vista, i problemi ed i desiderata dei vari attori europei della nautica.

5.2

L'industria nautica europea è oggi leader mondiale, nonostante l'attuale crisi economica, grazie all'innovazione che le aziende hanno sempre realizzato. Le attuali difficoltà di accesso ai finanziamenti tramite il sistema bancario mettono in pericolo la capacità delle aziende europee ad investire nella ricerca, lo sviluppo e l'innovazione. L'innovazione rimane l'elemento più forte per mantenere la leadership della nautica europea. È necessario facilitare l'accesso per le aziende del settore nautico ai fondi europei di ricerca, sviluppo e innovazione, oggi disponibili per altri mezzi di trasporto ma di limitato accesso per la nautica. A livello nazionale, la defiscalizzazione degli investimenti sulla ricerca, lo sviluppo e l'innovazione è un altro strumento da promuovere. L'innovazione per l'industria nautica non è unicamente innovazione tecnologica, ma anche innovazione nell'uso, nel mantenimento, nella manutenzione e nei servizi quali il noleggio o il finanziamento della nautica.

5.3

La situazione in Europa è molto eterogenea per quel che riguarda le concessioni demaniali alle aziende nautiche; in alcuni paesi gli investimenti nei porti turistici vengono limitati dalle condizioni alle quali vengono date le concessioni (durata troppo limitata, incertezza quanto al rinnovo della concessione stessa). Il CESE raccomanda l'elaborazione di linee-guida da parte dell'UE per facilitare gli investimenti in questo settore da parte di aziende europee.

5.4

Con il Trattato di Lisbona, il turismo è diventato di competenza europea e l'UE può pertanto proporre delle iniziative. La Commissione europea ha annunciato per il 2013 la pubblicazione della sua strategia per il turismo costiero e marino. Questa strategia dovrebbe permettere di diffondere ulteriormente la pratica del diportismo in Europa e di affrontare un certo numero di problemi che saranno evidenziati in tale futuro documento, come le differenze regolamentari in materia di patenti nautiche, di immatricolazioni o, ancora, di requisiti di sicurezza, in modo da introdurre misure che permettano una convergenza delle norme in materia di navigazione da diporto in Europa.

5.5

Il CESE vede con favore lo sviluppo delle aree marine protette, che si stanno moltiplicando in Europa e soprattutto nel Mediterraneo, determinando però incertezza sulle regole di navigazione. Il CESE raccomanda un'armonizzazione a livello europeo delle regole per l'accesso delle imbarcazioni da diporto nelle aree marine protette, in modo che l'utente sappia fin dall'inizio se la propria imbarcazione è equipaggiata per navigare in tali zone oppure no.

5.6

Per migliorare la sicurezza, sarebbe utile raccogliere a livello europeo i dati relativi all'incidentalità in un unico database comune, che permetterebbe uno studio congiunto e comparato, nonché una migliore comprensione dei rischi legati alla pratica delle attività nautiche, in modo tale da promulgare le regole più adatte ai rischi riscontrati. Il CESE sollecita la Commissione a predisporre un modello di rilevazione dei dati, concordato con gli Stati membri, per avere dati omogenei e confrontabili.

5.7

Inoltre, la questione della formazione professionale e del riconoscimento delle relative qualifiche a livello europeo è fondamentale. La formazione per i mestieri della nautica (soprattutto in ambito industriale per gli apprendisti, così come nei mestieri dei servizi legati alle riparazioni e alla manutenzione) non è disponibile ovunque in Europa. È opportuno riflettere sui modi di sviluppare piani di formazione riconosciuti a livello europeo, che permetterebbero una formazione di qualità e favorirebbero una maggiore mobilità dei lavoratori in Europa, attirando i giovani verso le professioni della nautica. È auspicabile la realizzazione di un "passaporto" formativo europeo, come adottato nel caso degli ingegneri minerari; le parti sociali dovrebbero concorrere allo sviluppo di un sistema di riconoscimento delle qualifiche a livello europeo, proponendo per esempio un progetto pilota nel quadro dell'ECVET (European Credit system for Vocational Education & Training) (8). Anche la formazione degli equipaggi e l'expertise marittima sono due settori che beneficerebbero ugualmente di un approccio europeo, permettendo di aprire il mercato del lavoro in ambito UE. L'industria nautica ha patito in passato una scarsa visibilità e conoscenza dei suoi mestieri nelle scuole ed università, limitando anche la conoscenza delle possibili carriere professionali nautiche. In vari paesi europei non esistono neanche accordi sociali specifici alla nautica, il che frena anche l'attrattiva del settore.

5.8

L'industria nautica europea utilizza da 15 anni norme internazionali ISO armonizzate per la direttiva 94/25/CE. È fondamentale che l'uso delle norme internazionali di tipo ISO venga promosso come unico riferimento tecnico per le imbarcazioni di diporto a livello internazionale, per evitare la proliferazione di norme nazionali (brasiliane, cinesi, ecc) che porterebbero ad una ulteriore frammentazione dei requisiti tecnici, costituendo delle vere e proprie barriere.

5.9

L'UE può e deve difendere la sua industria nautica, migliorando e rendendo effettive le misure dirette ed indirette di controllo e sorveglianza del mercato, e sostenendo l'accesso ai mercati extraeuropei per le sue esportazioni. I negoziati commerciali fra UE e Mercosur, ad esempio, dovrebbero essere l'occasione per combattere le misure protezionistiche e i diritti doganali esorbitanti imposti da alcuni paesi del Sudamerica con lo scopo di limitare l'accesso ai loro mercati.

Bruxelles, 13 febbraio 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Comunicazione della Commissione europea Un'industria europea più forte per la crescita e la ripresa economica

COM(2012) 582 final.

(2)  Comunicazione della Commissione europea L'Europa, prima destinazione turistica mondiale – un nuovo quadro politico per il turismo europeo COM(2010) 352 final.

(3)  I dati statistici sono derivati dalle statistiche annuali del settore nautico, pubblicate nell'Annual ICOMIA Boating Industry Statistics Book (Annuario statistico ICOMA dell'industria nautica) 2007-2012.

(4)  Fonte: European Boating Industry, European Boating Association, Annual ICOMIA Boating Industry Statistics Book.

(5)  La Giornata marittima europea 2013 si svolgerà sul tema dello sviluppo costiero e del turismo marino sostenibile dal 21 al 22 maggio a Malta, con l'appoggio della Commissione europea (DG Affari marittimi).

(6)  Parere CESE in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle imbarcazioni da diporto e le moto d'acqua COM(2011) 456 final - 2011/0197 (COD), GU C 43 del 15.2.2012, pag. 30.

(7)  Cfr. il documento informativo (disponibile solo in inglese) Design categories of Watercrafts, pubblicato nel giugno 2012 dal dipartimento A (Politica economica e scientifica) della DG Politiche interne del Parlamento europeo (IP/A/IMCO/NT2012-07, PE 475.122, http://www.europarl.europa.eu/committees/it/imco/studiesdownload.html?languageDocument=IT&file=74331).

(8)  Il Sistema europeo di crediti per l’istruzione e la formazione professionale (ECVET) è un nuovo strumento europeo inteso a promuovere la fiducia reciproca e la mobilità nel campo dell'istruzione e della formazione professionali.


9.5.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 133/8


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Modelli di attività economica per una crescita sostenibile, un'economia a basse emissioni di carbonio e le trasformazioni industriali» (parere d'iniziativa)

2013/C 133/02

Relatore: VAN IERSEL

Correlatore: GIBELLIERI

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 luglio 2012, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Modelli di attività economica per una crescita sostenibile, un'economia a basse emissioni di carbonio e le trasformazioni industriali.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI), incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 gennaio 2013.

Alla sua 487a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 febbraio 2013 (seduta del 13 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 57 voti favorevoli, 4 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Sebbene vasti settori dell'industria europea stiano attraversando tempi difficili, un numero crescente di imprese sia in Europa che in altre parti del mondo si sta attivando per affrontare le molteplici sfide che interessano il pianeta, come l'impatto degli sviluppi demografici, il cambiamento climatico e, in particolare, gli obiettivi in materia di riduzione delle emissioni di carbonio.

1.2

Il CESE intende porre in risalto i cambiamenti di mentalità che stanno aprendo la strada a modelli di attività economica nuovi o modificati. La sostenibilità è una questione strategica per il World Business Council for Sustainable Development, nelle iniziative comuni delle imprese a livello nazionale e nel contesto della preparazione, a livello UE, delle tabelle di marcia settoriali per la riduzione delle emissioni di carbonio. I cambiamenti nelle impostazioni e nelle strutture delle imprese, così come nelle catene del valore internazionali, danno luogo a nuovi modelli di attività economica.

1.3

Un elemento importante è costituito dall'impegno proattivo dei vertici delle imprese, che influisce anche sulle relazioni di queste ultime, sia a monte che a valle. Si riscontrano un impegno e un'innovazione corrispondenti a tutti i livelli, sostenuti da un dialogo interattivo con i comitati aziendali e da programmi specifici all'interno delle imprese, nonché da dialoghi sociali settoriali su scala nazionale ed europea.

1.4

Nella transizione verso un'economia a basse emissioni di carbonio è necessario garantire l'esistenza di competenze aggiornate e la disponibilità di posti di lavoro altamente qualificati, onde evitare, per quanto possibile, la discontinuità o la disoccupazione temporanea. Occorre introdurre programmi unionali, nazionali e regionali, nonché realizzare azioni su misura all'interno delle imprese.

1.5

Nuove prospettive e nuove dinamiche aumenteranno la resilienza delle imprese e delle catene del valore, assicurando gli investimenti e l'occupazione. Un'economia a basse emissioni di carbonio richiede un coordinamento continuo e perfezionato tra i soggetti pubblici e privati, che includa le modalità finanziarie. Le politiche pubbliche dovrebbero approfittare delle idee e delle pratiche del settore privato e adottare approcci mirati messi a punto nelle imprese, che sono spesso più avanzati di quelli delle autorità pubbliche.

1.6

Al fine di sostenere l'iniziativa per la crescita, il CESE invita l'UE e gli Stati membri a esaminare la possibilità di ricorrere a fonti di finanziamento ancora inutilizzate, o anche del tutto nuove, per le misure urgenti. La Commissione dovrebbe stimolare l'R&S e l'innovazione dando la priorità alle iniziative per la riduzione delle emissioni di carbonio nell'ambito del futuro programma Orizzonte 2020, che non deve assolutamente essere ridotto. Dovrebbe inoltre incoraggiare la costituzione di partenariati pubblico-privati (PPP) operativi in stretta collaborazione con le piattaforme tecnologiche europee e con i settori industriali che compongono l'intera catena dell'innovazione.

1.7

La coerenza riveste un'importanza fondamentale. Il CESE sottolinea la necessità di introdurre, dopo una discussione con tutte le parti interessate, un quadro UE ben definito, coerente e di lungo periodo, evitare l'eccesso di regolamentazione, stabilire un forte legame tra l'R&S/innovazione e la politica in materia di energia e cambiamenti climatici, nonché contribuire a creare un'infrastruttura energetica efficace e adeguate capacità di stoccaggio. Si dovranno prendere in considerazione le migliori pratiche e sistemi efficaci e concordati. Un quadro UE di questo tipo consentirebbe inoltre di rendere queste politiche più accettabili agli occhi dell'opinione pubblica e dei cittadini direttamente interessati.

1.8

L'UE è responsabile del 10 % circa delle emissioni mondiali di gas a effetto serra, percentuale destinata a scendere al 5 % circa nel 2040-2050. Nessuno discute il fatto che l'UE sia all'avanguardia nei negoziati internazionali volti a concludere un accordo mondiale vincolante in materia di cambiamento climatico, ma il CESE mette in rilievo la necessità di evitare ogni distorsione. Fino a che non vi saranno condizioni eque per tutti per quanto riguarda la riduzione dei gas a effetto serra e i prezzi della CO2, per tentare di porre rimedio agli squilibri tra l'UE e il resto del mondo si dovrà ricorrere a misure europee isolate per settori globalizzati.

1.9

È importante tenere conto degli ultimi sviluppi. Il CESE raccomanda di effettuare una valutazione aggiornata degli obiettivi in materia di riduzione delle emissioni di carbonio, dato il preoccupante spostamento delle attività industriali verso paesi terzi, in particolare gli Stati Uniti, per via della loro politica energetica pragmatica e lungimirante, che finisce per danneggiare gli investimenti e l'occupazione in Europa.

1.10

Una società aperta, una società dell'apprendimento, ha bisogno di forme di partecipazione, regole e responsabilità flessibili. Occorre sviluppare una nuova cultura dell'innovazione, fondata sulla partecipazione dei gruppi interessati, che punti a ottenere un consenso di base nella società. È importante avere una comprensione approfondita delle nuove sfide e riconoscere che i complessi problemi posti al mondo di oggi possono essere risolti soltanto attraverso l'interazione tra l'industria, la scienza, la società e la politica. È necessario che siano coinvolti tutti i soggetti interessati: le imprese e i loro dipendenti, le ONG, le parti sociali, i clienti, i fornitori e i consumatori. Deve inoltre essere garantita la trasparenza.

1.11

Il CESE insiste sulla necessità di incorporare gli approcci illustrati nel presente parere nella futura politica industriale e in altre politiche pertinenti. Per quanto riguarda la politica climatica e la competitività, l'UE dovrebbe collaborare da vicino con l'industria per trovare soluzioni che tengano conto della fattibilità tecnica e della vitalità economica.

2.   Introduzione

2.1

I fattori chiave dell'economia contemporanea sono la tecnologia e l'innovazione, la globalizzazione dei mercati finanziari e degli scambi, i prodotti su misura, le catene di valore dinamiche e il riciclaggio.

2.2

Parallelamente, l'aumento della popolazione mondiale, i divari di reddito e i problemi connessi alle materie prime, all'acqua e all'alimentazione pongono ulteriori sfide. Il cambiamento climatico, lo sviluppo sostenibile e l'energia – in termini di efficienza, requisiti in materia di basso tenore di carbonio, energia rinnovabile e accesso alle risorse – sono tra i primi punti dell'agenda internazionale. I nuovi obiettivi vanno gestiti in un clima di incertezza caratterizzato, in Europa, da una crescita limitata.

2.3

Le imprese multinazionali e i loro dipendenti, nonché le catene del valore a valle e a monte si trovano sempre più spesso ad affrontare le complessità della situazione attuale. Le catene del valore europee sono ancora ai primi posti nel mondo, e questa posizione deve essere difesa.

2.4

Il presente parere esamina alcune delle attuali tendenze in fatto di mentalità e di atteggiamenti nei settori e nelle imprese che stanno aprendo la strada a nuovi modelli di attività economica. Le grandi sfide che ci sono poste possono essere affrontate con successo soltanto con approcci pubblici e privati che includano analisi condivise, un coordinamento perfezionato e iniziative volte a creare crescita e occupazione sostenibile. Le parti interessate pubbliche e private devono collaborare come partner e progredire insieme.

2.5

Vi è un ampio consenso sul fatto che l'aumento delle emissioni di CO2 da diversi decenni ha notevolmente contribuito all'effetto serra, con un incremento delle temperature medie, alterazioni visibili dei modelli meteorologici e altri effetti imprevedibili, come l'innalzamento del livello dei mari e cambiamenti nell'ecologia e negli ecosistemi che incidono (negativamente) sull'agricoltura, causando aumenti sproporzionati dei prezzi degli alimenti, fame e povertà.

2.6

I problemi dovuti al cambiamento climatico si fanno sempre più gravi (1). Per quanto ciò possa sembrare complicato, la conclusione generale è che la definizione mondiale di obiettivi nell'ambito delle politiche di riduzione della CO2 e di tabelle di marcia verso un'economia a basse emissioni di carbonio è fortemente auspicabile.

2.7

Nel contempo, malgrado la mancanza di un quadro stabile di lungo periodo, molte imprese si danno da fare per sviluppare strategie di attività economica sostenibili a monte e a valle, e per realizzare prodotti e servizi più sostenibili e a più basso consumo di carbonio. Si stanno altresì verificando grandi cambiamenti dovuti alle ristrutturazioni, all'ottimizzazione e alla riprogettazione. Concentrarsi sulla tecnologia a bassa emissione di carbonio e sull'innovazione è essenziale per la messa a punto di soluzioni a livello mondiale.

2.8

Le catene del valore rimangono una grande risorsa socioeconomica per l'Europa. La produzione sostenibile può essere conseguita soltanto sulla base della competitività, dell'innovazione, di nuove competenze e di un'occupazione di qualità elevata. Tecnologie abilitanti d'importanza cruciale quali la biotecnologia, le nanotecnologie e i nuovi materiali sono tanto più necessarie se si considera che il rapido calo dei costi di comunicazione e coordinamento agevola la dispersione geografica di diverse attività all'interno delle catene del valore. Pur non essendo lineare, questo processo comporta spesso la ricollocazione delle attività ad alta intensità di manodopera e di quelle a base digitale.

2.9

Un numero sempre maggiore di imprese si sta convincendo che l'espressione «persone, pianeta, profitto», che risale agli anni '90 ed è ora tornata in voga, debba essere considerata un principio guida nonostante i dilemmi spesso complicati e le scelte conflittuali cui obbliga. Secondo questa filosofia, dovrebbero essere le imprese a concepire la risposta economica, sociale e ambientale alle idee, agli sviluppi e agli indicatori mondiali attuali.

2.10

Un approccio mirato elaborato dalle imprese, in via di adozione in numerosi paesi, contribuirà a rafforzare la posizione delle imprese basate in Europa, e può essere considerato come un approccio strategico per il futuro, che impegni i dirigenti e i consigli di amministrazione, il personale, i clienti e i fornitori, i sindacati e altre parti sociali, nonché altri soggetti interessati.

3.   Osservazioni analitiche

3.1

Al tradizionale predominio del mondo occidentale si va sostituendo un sistema policentrico, caratterizzato da numerosi centri di gravità, in molti casi collegati tra loro attraverso le imprese multinazionali. La situazione dell'economia mondiale è costantemente sottoposta alla pressione di impulsi politici ed economici mutevoli e distorsivi.

3.2

Anche gli obiettivi in materia di cambiamento climatico ed energia incidono sul contesto. Le Nazioni Unite, l'OCSE e l'UE, al pari del settore privato, elaborano analisi e definiscono le politiche che a loro giudizio consentono di rispondere a queste nuove sfide. Spetta alla Commissione e al Consiglio assumere un ruolo guida nella definizione dell'agenda e delle regole del gioco, nonché nella creazione di condizioni propizie agli investimenti e all'innovazione.

3.3

Il Dow Jones Sustainability Index del 1999 e la Global Reporting Initiative, così come un ampio spettro di altri attori, tra i quali imprese di punta e i loro dipendenti, parti sociali e ONG di ogni tipo, promuovono la sensibilizzazione alla «sostenibilità». Il World Business Council for Sustainable Development (WBCSD), con sede a Ginevra, è una rete di imprese particolarmente attiva, che definisce il punto di vista del settore imprenditoriale rispetto ai negoziati mondiali sul cambiamento climatico. È inoltre all'avanguardia nella messa a punto di nuove soluzioni per le imprese e nella realizzazione di progetti polivalenti combinati che coinvolgono più imprese. Tra le iniziative più importanti si ricordano Vision 2050, lanciata nel 2010, e, due anni dopo, Changing Pace, che definisce il ruolo della regolamentazione al fine di promuovere un corretto comportamento delle imprese (2).

3.4

Secondo Changing Pace, i governi devono operare una scelta chiara tra le priorità e stabilire le regole che definiscono dette priorità in termini di obiettivi di crescita e di potere d'acquisto, e determinare le modalità per ottenere i migliori risultati. Lo scopo principale delle imprese è «fornire beni e servizi sempre migliori a un numero sempre maggiore di persone, a prezzi abbordabili, senza conseguenze non sostenibili e in modo da creare occupazione e valore economico» (3).

3.5

Il documento passa in rassegna le grandi tendenze globali a medio e lungo termine, le politiche pubbliche e i loro obiettivi, e presenta il punto di vista del mondo imprenditoriale sulle opzioni politiche. Il capitolo intitolato People's values («I valori delle persone») affronta in modo esplicito la questione dei cittadini e consumatori responsabili.

3.6

Esiste un netto divario tra le analisi comunemente accettate e gli obiettivi effettivamente conseguiti dai governi. Sembra probabile che l'attuale crisi continuerà a pesare sull'economia europea: molte imprese devono adeguare la loro capacità produttiva alla contrazione della domanda, nel mondo occidentale e, a quanto sembra, anche in Cina e in India.

3.7

L'UE è all'avanguardia nella lotta al cambiamento climatico e nel miglioramento dell'efficienza energetica, grazie all'attuazione del protocollo di Kyoto e alla messa in atto delle disposizioni giuridiche. Altri soggetti importanti della scena mondiale, invece, non hanno ancora adottato principi comparabili, né tantomeno regole vincolanti. Questa situazione squilibrata e insoddisfacente continua, nonostante le recenti conferenze dell'ONU. La mancanza di chiarezza per l'industria europea alimenta l'incertezza e il malcontento tra i lavoratori delle imprese interessate. È indispensabile che vi sia un approccio coordinato ed equilibrato, con un coordinamento tra gli attori pubblici e privati.

3.8

Oggi le imprese stanno compiendo degli sforzi di razionalizzazione. Sebbene la tecnologia, l'innovazione e le forti catene del valore garantiscano risultati positivi, si verificano anche effetti nocivi per le imprese e l'occupazione. La disoccupazione è ai massimi storici in tutta Europa, e la disoccupazione giovanile in particolare è motivo di preoccupazione in quasi tutti i paesi. C'è un bisogno urgente di nuove prospettive.

3.9

La crisi che interessa il mercato del lavoro europeo incide sulle prospettive di politiche ambiziose in materia di cambiamento climatico. I massicci licenziamenti nelle industrie e un accesso insufficiente o nullo dei giovani al mercato del lavoro rendono più difficile il trasferimento delle conoscenze e delle capacità necessarie alla transizione verso un'economia a basso tenore di carbonio.

3.10

D'altro canto, una diffusa consapevolezza relativa al cambiamento climatico e ad altre sfide crea nuove opportunità. Le imprese europee stanno progressivamente integrando quest'agenda nelle loro strategie, cercando di conquistarsi vantaggi competitivi. Sviluppi analoghi si riscontrano anche in importanti imprese degli Stati Uniti, del Giappone e persino di paesi emergenti come la Cina. In molte imprese europee è diffusa, dal vertice fino alle officine, la convinzione che questi adeguamenti daranno buoni frutti e porteranno a esiti positivi per tutti. I risultati più interessanti si sono ottenuti con i processi «dalla culla alla culla» (cradle-to-cradle) e con lo sviluppo di un'economia circolare che utilizzi quantità scarse di risorse e materiali.

3.11

In conclusione, il CESE insiste su un efficace coordinamento delle analisi e delle posizioni e su un'agenda concordata tra i soggetti interessati pubblici e privati. Si tratta di un elemento cruciale a vari livelli – mondiale, europeo, nazionale e regionale – per assicurare che l'economia europea rimanga competitiva e, nel contempo, garantisca la sostenibilità e l'innovazione sociale. La chiave sta nella tecnologia, nella promozione dell'innovazione e nell'assicurare competenze, capacità e una gestione al passo con i tempi.

4.   Iniziative e pratiche imprenditoriali

4.1

Gli obiettivi di sostenibilità entrano sempre più spesso a far parte della cultura, delle politiche per la responsabilità sociale e dei processi di gestione del rischio delle imprese, anche al loro interno. Così come numerose grandi imprese a livello globale hanno fatto propri i principi di Changing Pace  (4), in Europa vengono adottate iniziative analoghe a livello di settore e di singola impresa.

4.2

Questa tendenza procede a velocità diverse nei vari settori e nelle singole imprese. L'acquisizione di una nuova mentalità, che favorisca obiettivi ridefiniti, richiede tempo e un notevole sforzo, in particolare in un periodo di crescita lenta. Anche le più ampie tendenze della società, espresse dalle ONG e dai consumatori critici, promuovono approcci e metodi nuovi.

4.3

Questi sviluppi trovano conferma negli studi realizzati dalla Commissione e da vari esperti. Una relazione pubblicata l'anno scorso afferma che «il panorama complessivo della performance ecologica dell'industria europea è caratterizzato da un significativo progresso, fatto registrare negli ultimi 20 anni, verso una separazione netta tra la crescita economica e l'impatto ambientale, progresso nel quale un ruolo importante è svolto dal rafforzamento della sostenibilità e dell'efficienza nell'uso delle risorse nell'industria» (5).

4.4

Nell'ottica di rafforzare, in prospettiva futura, la resilienza delle imprese, i dirigenti e i consigli di amministrazione si impegnano spesso in prima persona in questi processi, assumendosene la responsabilità diretta, il che garantisce un approccio più strutturato e un orientamento preciso in seno alle imprese. L'impegno personale è oggi prassi comune nell'ambito della rete WBCSD, ed è un esempio imitato dalle imprese nei singoli paesi. Il legame tra l'attività economica e la sostenibilità sta diventando più visibile e più tangibile.

4.5

Le imprese europee hanno lanciato numerose iniziative tese a stabilire un legame tra gli obiettivi ambientali e la resilienza economica. Questo processo, partito dal nord Europa, si sta intensificando e diffondendo gradualmente a tutto il continente. Gli obiettivi specifici delle imprese vengono presentati nelle dichiarazioni di missione, nei progetti e nella cooperazione con il mondo accademico, le ONG, le parti sociali e altri. Tra le organizzazioni nazionali figurano:

La Unternehmensnetzwerk: der Ulmer Initiativkreis Nachhaltige Wirtschaftsentwicklung («Rete di imprese: Circolo di iniziativa di Ulm per lo sviluppo economico sostenibile») – in Germania, creata nel 1992.

Entreprises pour l'Environnement («Imprese per l'ambiente») in Francia, partner francese della rete WBCSD, che consiste di 40 grandi imprese; un'altra iniziativa, nel quadro del Mouvement des Entreprises de France («Movimento delle imprese francesi» - MEDEF), interessa 250 imprese che hanno assunto impegni riguardanti Rio+20.

Un gruppo di imprese britanniche sta lavorando in questo senso nell'ambito del progetto del Principe di Galles Accounting for Sustainability («Contabilizzare la sostenibilità»).

La Dutch Sustainable Growth Coalition («Coalizione olandese per la crescita sostenibile»), costituita nel 2012, riunisce sette grandi imprese di diversi settori economici nel quadro dell'associazione dei datori di lavoro VNO-NCW. La coalizione definisce obiettivi, pratiche e metodi per contribuire alla crescita sostenibile sul lungo periodo e comprende la catena del valore sia a valle che a monte.

Di recente, la UK Sustainable Investment and Finance Association («Associazione britannica per gli investimenti e la finanza sostenibili») ha lanciato un'iniziativa per incentivare gli investimenti di lungo periodo da parte delle imprese e dei proprietari degli attivi. Nel novembre 2012 si è tenuto a Londra il Banking Environment Initiative Forum 2012, primo convegno annuale per le banche e le società mondiali che si occupano di investimenti sostenibili.

4.6

Vi sono ancora differenze sostanziali in termini di approccio, dovute al livello di sviluppo economico e alla misura in cui le economie e la R&S dei vari paesi sono legate agli sviluppi in corso al di là dei confini nazionali ed europei. Nel futuro immediato, tuttavia, le imprese di tutta Europa opereranno nello stesso quadro globale, che richiederà atteggiamenti e risposte simili. Sia gli organi dirigenti che l'istruzione e la formazione dovranno prepararsi a questa realtà.

4.7

È possibile individuare alcune caratteristiche comuni:

I risultati tangibili nell'ambito dei negoziati politici internazionali rimangono scarsi per effetto delle differenze nelle posizioni politiche, nelle pratiche e nelle pressioni socioeconomiche. Negli ambienti economici si stanno invece affermando nuovi atteggiamenti, in particolare nel mondo occidentale.

Di recente si è manifestata la tendenza a un impegno da parte dei vertici delle imprese e di dirigenze impegnate, che ha condotto a orientamenti più chiari nella gestione. Le soluzioni sostenibili stanno diventando maggiormente prioritarie nei dibattiti e nelle procedure all'interno delle imprese. Si apre così una fase nuova, che comporta adeguamenti nei modelli di attività economica, nella formazione e nella pianificazione professionale e nella mentalità del personale in tutte le imprese.

Si verifica una transizione verso approcci di più lungo periodo, senza per questo abbandonare gli approcci efficaci a breve termine.

Fornitori e clienti partecipano spesso ai processi.

Accanto ai soggetti interessati tradizionali come il personale e le parti sociali, le imprese consultano più di frequente le ONG, e i clienti finali stanno assumendo un ruolo più importante.

Si dedica una maggiore attenzione alla formazione professionale e continua, nonché all'apprendimento nelle università e nelle scuole di direzione aziendale. Questa nuova mentalità risulta attraente per i giovani dipendenti e agevola l'accesso al mercato del lavoro.

Queste tendenze vanno considerate alla luce degli obiettivi pubblici che sono stati definiti in materia di sostenibilità e competitività a livello europeo.

5.   Strategie sostenibili per un basso tenore di carbonio

5.1

Le strategie per un basso tenore di carbonio avranno un ruolo fondamentale nel promuovere la crescita sostenibile e sono legate alla politica industriale dell'UE.

5.2

Oggi l'industria europea deve rispondere a un ampio e complesso ventaglio di obiettivi e strumenti politici a livello europeo, nazionale e persino locale, che riguardano in particolare la riduzione delle emissioni di CO2, le energie rinnovabili e l'efficienza energetica. Tra i diversi obiettivi e strumenti vi sono spesso ambiguità e sovrapposizioni, e manca un'integrazione adeguata. Per riuscire a essere efficace ed efficiente sotto il profilo dei costi, l'industria ha bisogno di politiche più semplici, prevedibili e integrate.

5.3

La transizione verso un'economia sostenibile a basso tenore di carbonio è già in corso, in particolare per effetto degli sforzi volti a ridurre i costi dovuti all'aumento dei prezzi del petrolio e dell'energia verificatosi prima che nascesse una cultura di protezione dell'ambiente legata alle conseguenze (reali o previste) del cambiamento climatico causato dalle emissioni di gas a effetto serra.

5.4

A giudizio del CESE, un quadro coerente dell'UE per un approvvigionamento energetico più sicuro e competitivo, e a basso tenore di carbonio, che sia attuato in modo omogeneo negli Stati membri, dovrebbe consistere di quattro pilastri principali:

una politica coerente in materia di energia e clima per i settori coperti da un sistema di scambio delle emissioni (SSE) basato su risultati provati scientificamente;

lo sfruttamento del contributo potenziale dei settori non coperti dall'SSE;

un legame più stretto tra la R&S e l'innovazione da un lato e la politica in materia di energia e clima dall'altro;

un'infrastruttura e una regolamentazione del settore dell'energia che consentano il trasporto efficiente dell'energia e l'uso intelligente delle reti dell'energia, oltre a capacità di stoccaggio al passo con i tempi accompagnate da un controllo flessibile della domanda.

5.5

L'SSE rappresenterà il principale strumento di politica a disposizione dell'UE per conseguire gli obiettivi in materia di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra in modo armonizzato ed efficiente sotto il profilo dei costi. Detto strumento dovrebbe essere applicato attraverso modalità basate sul mercato. Il CESE segnala tuttavia tre questioni cruciali ancora da affrontare:

l'SSE dovrebbe garantire una certa stabilità di lungo periodo per gli investimenti delle imprese, cosa che attualmente non avviene;

occorre evitare un costoso e nocivo eccesso di regolamentazione a livello europeo, al fine di favorire un coordinamento perfezionato tra gli attori pubblici e privati;

l'SSE dovrebbe tenere conto delle variazioni nelle posizioni competitive delle imprese e dei settori. Questo aspetto si farà ancor più critico con l'introduzione di obiettivi più impegnativi e nel caso in cui gli altri attori della scena mondiale non vogliano o non possano mettere a punto e applicare obiettivi sostenibili per la riduzione delle emissioni di carbonio. Occorre evitare approcci europei isolati che siano controproducenti per gli investimenti e l'occupazione nei settori globalizzati.

5.6

Vi è inoltre un ampio consenso sulla necessità di notevoli investimenti iniziali nell'infrastruttura pubblica, ossia nella rete energetica europea. Sarà fondamentale l'impegno degli attori pubblici a rendere disponibili gli investimenti iniziali e a rafforzare la fiducia degli investitori privati. Questo aspetto dovrà essere discusso al Consiglio e integrato nell'iniziativa dell'UE per la crescita.

5.7

In questo modo si dovrebbe inoltre attenuare una tendenza visibile alla ricollocazione di certe attività industriali europee in altre regioni del mondo, malgrado il fatto che la strategia Europa 2020 e la sua attuazione tengano conto del rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio.

5.8

Qualsiasi proposta tesa a un miglioramento strutturale dell'SSE dovrebbe tenere conto dei problemi di cui ai punti 5.4 e 5.5. L'attuale dibattito sull'adeguamento dell'SSE non è sufficientemente incentrato sulla soluzione dei suddetti problemi o sulla modifica dell'architettura del sistema stesso. A partire dal 2020 un adeguamento degli orientamenti dovrebbe portare a una stabilità nel prezzo della CO2, sulla base del quale i partecipanti al mercato dovrebbero poter pianificare le decisioni in materia di investimenti a lungo termine per le soluzioni a basso tenore di carbonio. Un miglioramento dell'architettura dell'SSE ovvierebbe alla necessità di interventi politici a breve termine.

5.9

Detto miglioramento servirà inoltre a rendere il sistema più accettabile ai lavoratori e all'opinione pubblica. Se da un lato è probabile che alcuni posti di lavoro «tradizionali» scompariranno rapidamente, dall'altro i nuovi impieghi «verdi» a basso tenore di carbonio non sono ancora pienamente disponibili. Per effetto di cambiamenti troppo repentini, la transizione verso un'economia a basso tenore di carbonio è spesso vissuta come una minaccia nei settori produttivi tradizionali. È necessario il dialogo sociale a vari livelli per promuovere la trasparenza e l'accettazione da parte delle persone interessate e per dare il via a programmi di istruzione e riqualificazione volti ad adeguare le competenze di tutti i lavoratori alle mutevoli esigenze del mercato del lavoro.

5.10

È particolarmente importante la necessità di una nuova politica in materia di R&S e di innovazione, che dovrà concentrarsi sulla creazione di valore nell'ambito di catene del valore complesse (internazionali) che puntino a un'economia a basso tenore di carbonio. È necessario ampliare l'attuale orientamento tecnologico. Il cambiamento climatico, un'incipiente penuria di risorse strategiche e il conseguente aumento dei prezzi impongono un cambio di mentalità nei settori dell'energia e delle materie prime. Occorre tenere conto anche dei processi di recupero in corso nei paesi emergenti e in quelli in via di sviluppo, ivi compreso il trasferimento di tecnologie. La domanda di risorse aumenta, mentre la ristrutturazione dei sistemi energetici e l'incremento dell'efficienza nell'uso delle risorse comportano rischi e costi elevati. Il successo dipenderà da un insieme di industrie e di ambiti di competenza diversi ma strettamente legati tra loro. Tutti questi fattori impongono all'UE di dotarsi di una filiera tecnologica coerente (6), sorretta da un altrettanto coerente processo decisionale politico.

5.11

Gli approcci integrati vanno oltre la mera fase di produzione e puntano a migliorare la performance ambientale in ogni fase del ciclo di vita, per esempio la progettazione, le materie prime, l'assemblaggio, la distribuzione e lo smaltimento. Le politiche integrate dei prodotti devono essere oggetto di discussione tra i soggetti pubblici e quelli privati, e devono essere definite in modo preciso per evitare l'eccesso di regolamentazione. Tra gli strumenti da impiegare a questo fine vi sono, ove opportuno, gli accordi tra i produttori e i governi o l'UE in materia di marchi di performance ecologica ed etichettatura energetica, progettazione ecologica, sostanze vietate e marchi di «impronta ecologica». Per essere efficaci, detti marchi dovrebbero contenere informazioni adeguate e affidabili per i consumatori, come previsto anche dalla direttiva sulle pratiche commerciali sleali, che dovrebbe essere correttamente attuata.

5.12

Anche una spesa significativa per l'R&S di base e applicati rappresenta una condizione necessaria per conseguire l'obiettivo di un approvvigionamento energetico per l'Europa che sia sicuro, competitivo su scala mondiale, efficiente e a prezzi ragionevoli, garantito da un'infrastruttura energetica efficiente e da una corrispondente regolamentazione (7).

5.13

L'innovazione dei sistemi al di là delle frontiere settoriali e le catene integrate di creazione del valore interessano le imprese, dato che i sistemi energetici mondiali basati sui combustibili fossili devono alla lunga essere decarbonizzati e che la penuria di materie prime renderà necessaria un'economia capace di risparmiare risorse. Passo dopo passo, la sostenibilità si impone su tutti i mercati, rendendo meno netti i confini tradizionali tra i settori e generando nuove catene di creazione del valore.

5.14

L'attuale dibattito incoraggia inoltre un numero crescente di iniziative «dal basso» all'interno delle imprese. Sia le grandi imprese che le PMI stanno mettendo a punto strategie e modelli per un'attività economica a basso tenore di carbonio lungo l'intera catena del valore. Un vantaggio competitivo deriverà inoltre dalla capacità di anticipare le future esigenze in materia di energia, e ciò richiede una legislazione adeguata. In molte imprese, la concezione interna di idee innovative e processi di innovazione applicati alla produzione e all'organizzazione, dal vertice fino alle officine, stanno entrando nella pratica comune.

5.15

Si possono citare i seguenti esempi:

5.15.1

dato che l'ambiente edificato è all'origine di una quota significativa della domanda finale di energia, il consumo di fonti di energia fossili può essere notevolmente ridotto in un modo economicamente efficace migliorando il rendimento energetico degli edifici esistenti e nuovi, anche attraverso l'isolamento e tecniche di riscaldamento migliorate. Altri esempi consistono nella realizzazione, da parte di amministrazioni comunali e imprese, di progetti per l'infrastruttura di trasporto e il trasporto di energia prodotta localmente in modo sostenibile. Questi aspetti, e il loro contesto specifico, saranno trattati in un parere separato del CESE (8).

5.15.2

L'associazione Eurocoal propone: una strategia in tre fasi per il «carbone pulito», basata sui risultati della tabella di marcia per l'energia 2050, che prevede: l'introduzione di tecnologie d'avanguardia nel settore della generazione di energia attraverso la combustione del carbone, in grado di ridurre le emissioni; lo sviluppo di tecnologie della prossima generazione, altamente efficienti e flessibili; la dimostrazione e l'installazione di tecnologie per la cattura e lo stoccaggio di CO2 (CCS) e il trasporto, oltre al CCS per altri combustibili e settori. C'è la possibilità di migliorare le opportunità di esportare le tecnologie per il «carbone pulito» sviluppate nell'UE.

5.15.3

Le industrie del settore forestale, che si basano su materie prime rinnovabili e utilizzano fonti di energia rinnovabili, sono molto proattive. Per ottenere i risultati sperati, è essenziale mettere a punto un pacchetto di strategie specifico per settore, che includa l'R&S e sia in grado di portare le tecnologie d'avanguardia e i nuovi prodotti sul mercato. Occorre trovare il giusto equilibrio tra le materie prime e l'uso delle stesse per la produzione di energia. Le politiche devono corrispondere agli sviluppi mondiali, agli altri settori di intervento e ai cicli d'investimento dell'industria.

5.15.4

Sono in corso diverse iniziative trasversali. I partenariati pubblico-privati (PPP) come Sustainable Process Industry through Resource and Energy Efficiency (SPIRE) ed Energy Materials Industrial Research Initiative (EMIRI), per citarne soltanto due, dovrebbero essere considerati prioritari e ricevere maggiori finanziamenti nell'ambito di Orizzonte 2020.

5.16

Numerosi altri settori a livello di UE stanno attualmente mettendo a punto tabelle di marcia a lungo termine per la riduzione delle emissioni di carbonio.

5.17

Anche la transizione verso una bioeconomia per l'Europa farà parte della soluzione e rappresenterà un passo avanti importante nella costruzione di un'economia a basso tenore di carbonio. Le imprese mettono a punto nuovi prodotti e soluzioni biologici in grado di soddisfare le crescenti aspettative e le sempre più esigenti specifiche.

6.   L'UE, i governi, i soggetti interessati

6.1

I processi come quelli fin qui descritti vanno accompagnati in modo efficace mediante strutture e condizioni tecnologiche, economiche e sociali nelle quali devono essere pienamente integrati. Si tratta, tra l'altro, di programmi mirati di ricerca e sviluppo nelle imprese, e di un dialogo perfezionato, a livello sia di settore che di singola impresa, con le autorità pubbliche – europee e nazionali – e con un ventaglio di soggetti interessati.

6.2

Al fine di sostenere l'iniziativa per la crescita, l'UE e gli Stati membri dovrebbero prendere in considerazione la possibilità di ricorrere a fonti di finanziamento ancora inutilizzate, o addirittura completamente nuove, per le misure urgenti. Il 7o e l'8o programma quadro dovrebbero promuovere tecnologie d'avanguardia e progetti innovativi. In questo contesto anche la BEI dovrebbe assumere un ruolo di sostegno. Il CESE raccomanda inoltre di esaminare, in quest'ambito, la possibilità di avvalersi di agevolazioni fiscali.

6.3

Le piattaforme tecnologiche dell'UE, molto spesso promosse dall'industria, riuniscono imprese, istituti di ricerca e mondo accademico e si avvalgono del punto di vista degli enti pubblici circa i possibili sviluppi futuri (9). Dette piattaforme hanno un ruolo fondamentale nell'analizzare le tendenze e le aspettative su scala mondiale e nel definire insieme gli obiettivi e la tempistica.

6.4

La definizione degli obiettivi di mercato comporta discussioni ed esperimenti che coinvolgono tanto i fornitori e i clienti quanto i soggetti interessati come le parti sociali, le ONG, gli enti regionali e i consumatori. L'UE e i governi nazionali sono responsabili della legislazione e della regolamentazione, ma il loro percorso non dovrebbe mai essere a senso unico, e dovrebbe invece basarsi su tabelle di marcia fattibili e su un processo e una pianificazione permanenti nelle imprese all'avanguardia (10). Ciò richiede un continuo scambio di analisi e il confronto dei punti di vista tra i settori pubblico e privato.

6.5

Spesso il dibattito politico si concentra principalmente su iniziative dall'alto verso il basso lanciate dall'UE (o dai governi) e riguardanti il cambiamento climatico, lo sviluppo demografico, la salute, l'alimentazione, l'acqua, ecc., senza tenere conto della situazione esistente nel mondo delle imprese. Il CESE chiede di includere le analisi e le soluzioni delle industrie private che condividono le stesse preoccupazioni. Saranno gli investimenti privati, col sostegno di una forza lavoro qualificata, a essere particolarmente necessari per affrontare i principali problemi.

6.6

I processi di modernizzazione devono includere gli obiettivi sociali all'interno delle imprese e la necessità di mantenere l'impegno dei lavoratori dipendenti. L'UE e gli Stati membri, attraverso comitati settoriali e intersettoriali per il dialogo sociale, dovrebbero promuovere e attuare misure intese a sostenere una gestione socialmente accettabile della transizione verso un'economia a basso tenore di carbonio. Oltre all'enfasi sulle competenze qualitative necessarie ai lavoratori (11), occorre tenere conto anche degli aspetti quantitativi e della tempistica.

6.7

Programmi di studio, di istruzione e formazione nonché apprendistati aggiornati possono rispecchiare l'impegno condiviso in questo senso da parte dei governi/delle amministrazioni, delle imprese, del personale e dei rappresentanti dei lavoratori al fine di porre rimedio a livelli storicamente elevati di disoccupazione.

6.8

Un aspetto importante, se non decisivo, consiste nel conseguimento di condizioni uniformi di concorrenza a livello mondiale, per esempio attraverso norme e certificazioni valide in tutto il mondo, una legislazione trasparente, l'accesso simmetrico ai mercati, la protezione della proprietà intellettuale e livelli simili di protezione dei consumatori. Occorre inoltre rispettare i diritti fondamentali dei lavoratori. Questi aspetti dovrebbero formare parte integrante della politica commerciale dell'UE (12).

6.9

Il CESE ritiene che tutti i soggetti interessati dovrebbero prendere atto del processo attraverso il quale le imprese e i gruppi di imprese si autoimpongono requisiti e procedure, poiché può risultare estremamente oneroso conseguire i risultati auspicabili nei tempi previsti.

Bruxelles, 13 febbraio 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Cfr. le relazioni del gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) dell'ONU http://www.ipcc.ch/publications_and_data/publications_and_data_reports.shtml

(2)  Changing Pace, Public policy options to scale and accelerate business action towards Vision 2050 («Cambiare il passo, opzioni di politica pubblica per incrementare e accelerare l'azione delle imprese verso Vision 2050»), 2012 http://www.wbcsd.org/changingpace.aspx

(3)  Ibidem, nota 2.

(4)  Cfr. note 1, 2 e 3. Il WBCSD ha 200 membri, dei quali circa 100 sono imprese europee.

(5)  Cfr. l'opuscolo della Commissione Sustainable Industry: Going for Growth & Resource Efficiency («Industria sostenibile: per una crescita efficiente nell'uso delle risorse») del luglio 2011. Cfr. anche Study on the Competitiveness of European Companies and Resource Efficiency («Studio sulla competitività delle imprese europee e l'efficienza nell'uso delle risorse») del luglio 2011 e Study on the Competitiveness of the EU eco-industry («Studio sulla competitività dell'ecoindustria dell'UE») del settembre 2009.

(6)  In primo luogo l'Ottavo programma quadro.

(7)  Cfr. il punto 5.4, quarto trattino.

(8)  CCMI/106 in merito alla comunicazione della Commissione sulla competitività sostenibile del settore delle costruzioni.

(9)  Cfr. tra l'altro il parere del CESE sul tema Piattaforme tecnologiche europee e le trasformazioni industriali, GU C 299 del 4.10.2012, pag. 12.

(10)  Cfr. tra l'altro i pareri del CESE sul tema Le trasformazioni industriali atte a sviluppare industrie ad alta intensità energetica sostenibili che realizzino l'obiettivo di efficienza sotto il profilo delle risorse definito nella strategia Europa 2020, GU C 43 del 15.2.2012, pag. 1, sul tema Promuovere posti di lavoro verdi e sostenibili per il pacchetto “Energia-clima” dell'UE, GU C 44 dell'11.2.2011, pag. 110, e sul tema Piano di efficienza energetica 2011, GU C 318 del 29.10.2011, pag. 155.

(11)  Parere del CESE in merito all'iniziativa faro della Commissione Un'agenda per nuove competenze e nuovi posti di lavoro: Un contributo europeo verso la piena occupazione, COM(2010) 682 final, GU C 318 del 29.10.2011, pag. 142.

(12)  Parere del CESE sul tema L'aspetto esterno della politica industriale- La politica commerciale dell'UE tiene in debito conto gli interessi dell'industria europea?, GU C 218 del 23.7.2011, pag. 25.


9.5.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 133/16


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Relazioni commerciali tra la grande distribuzione e i fornitori di prodotti alimentari — quadro della situazione attuale» (parere d'iniziativa)

2013/C 133/03

Relatore: ŠARMÍR

Il Comitato economico e sociale, in data 12 luglio 2012, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, lettera A), delle Modalità di applicazione del Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Relazioni commerciali tra la grande distribuzione e i fornitori di prodotti alimentari – quadro della situazione attuale.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 9 gennaio 2013.

Alla sua 487a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 febbraio 2013 (seduta del 13 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 79 voti favorevoli, 6 voti contrari e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) constata che le società della grande distribuzione costituiscono, in tutti i paesi, un oligopolio. Secondo le statistiche relative alle quote di mercato, un piccolo gruppo di rivenditori al dettaglio controlla ovunque la maggior parte di tale mercato. Secondo il CESE, tale posizione di oligopolio attribuisce alle società che ne fanno parte un potere negoziale enorme nei confronti dei fornitori, tanto da poter imporre a questi ultimi condizioni commerciali lungi dall'essere equilibrate.

1.2

Il CESE osserva che le catene che formano l'oligopolio sono in concorrenza fra di loro soltanto in relazione ai consumatori. Esse lottano fra di loro per conquistare il favore dei consumatori, ma non si osserva alcuna concorrenza tra loro nei rapporti con i fornitori. Tuttavia, anche la concorrenza tra le catene della grande distribuzione in relazione ai consumatori si esplica soprattutto a livello del prezzo di vendita al pubblico e non tiene sufficientemente conto dei diversi aspetti sociali e ambientali che costituiscono la qualità integrale (1).

1.3

Il CESE rileva l'esistenza di una forte opacità nell'ambito della formazione dei prezzi e dei margini dei diversi operatori. Di fatto, a causa degli sconti di fine periodo che la grande distribuzione si fa riconoscere dai fornitori, il prezzo di acquisto versato al fornitore non riflette il reddito effettivo che quest'ultimo percepisce per il suo prodotto.

1.4

Il CESE è convinto che, in una situazione in cui una parte contraente è in grado di imporre le proprie condizioni ai partner commerciali, la libertà contrattuale non esista. Secondo il CESE, l'assenza di una reale libertà contrattuale si palesa nell'applicazione di pratiche abusive e anticoncorrenziali da parte della grande distribuzione ai fornitori di prodotti alimentari. Le pratiche abusive danneggiano non solo i produttori, ma anche i consumatori (soprattutto nel lungo periodo). In generale, il fenomeno rappresentato da dette pratiche assume attualmente una portata tale da costituire un danno per l'interesse pubblico e in particolare per l'interesse economico degli Stati.

1.5

Secondo il CESE, pratiche abusive particolarmente preoccupanti si verificano solo nel quadro delle relazioni tra la grande distribuzione e i fornitori di prodotti alimentari. Tali pratiche non sono adottate né dall'industria alimentare nei confronti degli agricoltori, né dalla grande distribuzione nei confronti dei fornitori di prodotti diversi da quelli alimentari.

1.6

Il CESE rileva che in alcuni Stati membri, i tentativi degli agricoltori e delle imprese di trasformazione di costituire raggruppamenti di produttori sono stati penalizzati dalle autorità nazionali garanti della concorrenza, dato che il peso di tali raggruppamenti è stato valutato tenendo conto unicamente della produzione nazionale.

1.7

Il CESE rileva il fallimento del mercato, in quanto la situazione continua a peggiorare in un sistema non sufficientemente regolato.

1.8

Secondo il CESE, l'autoregolamentazione non è un rimedio sufficiente per le distorsioni rilevate. Non saranno i «codici etici» a riequilibrare le relazioni commerciali in questione. La natura stessa delle pratiche abusive richiede e giustifica il loro divieto per legge.

1.9

Il CESE chiede alla Commissione europea di iniziare a occuparsi del tema degli oligopoli, di studiarne il peso e l'influenza effettivi e di determinare in quale misura il loro effetto sia paragonabile a quello dei monopoli, modificando successivamente in modo opportuno i principi della disciplina della concorrenza.

1.10

Il CESE chiede alla Commissione europea di riconoscere la mancanza di libertà contrattuale nelle relazioni tra la grande distribuzione e i fornitori di prodotti alimentari.

1.11

Il CESE chiede alla Commissione europea di proporre soluzioni volte a rendere più trasparente il sistema. L'ideale sarebbe spostare in avanti gli sconti di fine periodo che la grande distribuzione si fa riconoscere dai fornitori, ovvero obbligare le catene della distribuzione a incorporare i prezzi dei diversi servizi fatturati ai fornitori nel prezzo di acquisto del prodotto. In questo modo si potrebbe vedere quanto il fornitore ha realmente ricevuto per il proprio prodotto.

1.12

Il CESE chiede alla Commissione di impartire istruzioni chiare alle autorità nazionali garanti della concorrenza affinché tengano conto, all'atto della valutazione del peso negoziale dei raggruppamenti di produttori, del mercato di riferimento, ovvero dell'insieme dei prodotti alimentari della medesima categoria offerti sul mercato dello Stato interessato, e non solo di quelli che sono stati prodotti nel paese.

1.13

Il CESE insiste con la Commissione europea perché essa abbandoni l'idea dell'autoregolamentazione e proponga un testo giuridico vincolante per migliorare la situazione nella catena agroalimentare, incoraggiando una concorrenza non falsata. La regolamentazione non dovrebbe essere basata sul concetto di protezione della concorrenza ma dovrebbe legittimare lo Stato, il cui interesse economico è anch'esso in gioco, ad agire, nel corso dei procedimenti amministrativi e giudiziari, quale parte ricorrente.

1.14

Infine, il CESE ritiene che occorra legiferare nella direzione di una «scelta di società» che vada al di là della mera logica commerciale, per contenere la tendenza alla concentrazione di una grande distribuzione sempre più potente e promuovere altre forme di commercio, come i piccoli esercizi al dettaglio indipendenti, i mercati rionali o le vendite dirette dal produttore al consumatore. In questo contesto, il CESE chiede alla Commissione di prestare un'attenzione speciale alle filiere più corte nei documenti in corso di preparazione riguardanti la lotta contro gli sprechi alimentari.

2.   Motivazione

2.1   Evoluzione della percezione della grande distribuzione

Il tema delle relazioni commerciali tra la grande distribuzione e i fornitori di prodotti alimentari suscita sempre più interesse e anche inquietudine. Tuttavia, dieci anni or sono, questo tema era tabù non solo per le autorità e le istituzioni dell'UE, ma anche per la maggior parte dei giornalisti (2), nonostante in Francia i tentativi di legiferare in materia risalgano al 1992 e nel Regno Unito la commissione per la concorrenza abbia condotto, nel 1999 e 2000, un'inchiesta sugli abusi della grande distribuzione nei confronti dei fornitori di prodotti alimentari, concludendo che i supermercati abusavano del loro «potere contrattuale di acquirente» (con questo termine si indica essenzialmente la capacità dell'acquirente di ottenere condizioni di acquisto più favorevoli rispetto a quelle possibili in un mercato pienamente concorrenziale) (3). La grande distribuzione era considerata, in generale, un fenomeno di pubblica utilità, vantaggioso per tutti, e il suo sviluppo era addirittura ritenuto la prova della salute economica del paese. Le autorità e i mezzi di comunicazione parlavano soprattutto dei suoi aspetti innegabilmente positivi, e soprattutto della possibilità per i consumatori di comprare quasi tutto nello stesso punto vendita e a un prezzo interessante, nonché delle strutture offerte (ad esempio un numero sufficiente di parcheggi) e dei servizi proposti. Da circa cinque anni, la situazione è mutata radicalmente e le istituzioni europee hanno pubblicato numerosi documenti critici dedicati all'argomento.

2.2   La posizione di oligopolio della grande distribuzione

2.2.1

La grande distribuzione ha iniziato a svilupparsi rapidamente, quasi trent'anni fa, con un'evoluzione intrinsecamente legata al processo della globalizzazione. Di fatto, la maggior parte delle grandi società commerciali che attualmente controllano il mercato al dettaglio è rappresentata da multinazionali. Queste ultime sono in grado di trarre un vantaggio nettamente superiore dalle nuove condizioni offerte dalla globalizzazione rispetto alle piccole e medie imprese (PMI).

2.2.2

Lo sviluppo delle multinazionali (tra cui si annoverano le società della grande distribuzione) avviene spesso a scapito delle PMI. In numerosi ambiti, un piccolo gruppo di grandi società transnazionali controlla la maggior parte del mercato interessato. Oltre alle società di distribuzione al dettaglio, si tratta ad esempio dell'industria farmaceutica e alimentare, delle aziende produttrici di sementi (4), delle società di trasformazione del petrolio, del settore bancario e via discorrendo. Queste multinazionali non sono monopoli; nella maggior parte dei casi esse devono far fronte, nel medesimo mercato, alla concorrenza di altre multinazionali, o di PMI, e per questo motivo non sono considerate in una posizione dominante (5).

2.2.3

Le grandi società europee di distribuzione al dettaglio partecipano attivamente alla conquista del mercato mondiale. Il distributore britannico Tesco, i distributori al dettaglio francesi Auchan e Carrefour, le multinazionali tedesche e austriache Kaufland, Lidl, Metro o Billa, nonché la società olandese Ahold, sono presenti in molti paesi.

2.2.4

Il risultato di tutto ciò è che un piccolo gruppo di distributori controlla efficacemente il mercato alimentare al dettaglio di vari paesi. In Germania, ad esempio, quattro società controllano l'85 % del mercato; anche nel Regno Unito quattro società controllano il 76 % del mercato; in Austria, tre distributori al dettaglio controllano l'82 % del mercato; in Francia, come nei Paesi Bassi, cinque società controllano il 65 % del mercato e via discorrendo (6). Questa situazione è dovuta al fatto che, da un lato, nessun distributore al dettaglio risponde alla definizione ufficiale di posizione dominante, ma dall'altro lato, da tre a cinque società commerciali controllano la maggior parte del mercato e formano un oligopolio.

2.2.5

I membri di questi oligopoli sono indubbiamente in concorrenza fra di loro, ma soltanto in relazione ai consumatori. Per quanto riguarda i fornitori, tale concorrenza non si manifesta affatto, in particolare quando si tratta di PMI. A differenza dei fornitori, che sono molto più numerosi, gli acquirenti hanno solo l'imbarazzo della scelta. In altre parole, i fornitori devono compiere un notevole sforzo e fare molte concessioni per poter vendere, mentre gli acquirenti selezionano i fornitori più «flessibili» relativamente alle condizioni da loro fissate.

2.2.5.1

Nondimeno, la pretesa legittima del produttore di appropriarsi di una giusta parte del valore aggiunto nel quadro di un rapporto commerciale sano e leale con i suoi distributori richiede anche che egli sia attento ai segnali relativi alle aspettative dei consumatori che i distributori stessi gli trasmettono. Un produttore che abbia saputo innovarsi e adeguare la preparazione e la presentazione dei suoi prodotti alla domanda dei clienti godrà di una posizione più forte nel negoziato.

2.3   Pratiche abusive

2.3.1

Grazie al loro «potere contrattuale di acquirente», i grandi distributori sono quindi in grado di dettare le condizioni contrattuali, il cui tenore è tale che si può spesso parlare di abuso del potere degli acquirenti. Tali condizioni contrattuali sono anche denominate «pratiche abusive» o «pratiche sleali» e in più occasioni ne è stato redatto un elenco (non esaustivo). Al di là della pressione permanente (verso il basso) sui prezzi di acquisto, dei ritardi nei pagamento o dei termini di pagamento eccessivamente lunghi, la grande distribuzione ha cambiato radicalmente, mediante le pratiche abusive, il modello classico di cooperazione tra il fornitore e l'acquirente. In parole povere, si potrebbe dire che tradizionalmente le parti contraenti si mettevano d'accordo sul volume e sul prezzo della merce da fornire nonché su altre modalità necessarie e successivamente il fornitore consegnava la merce e l'acquirente pagava. L'arrivo della grande distribuzione ha totalmente rivoluzionato questo modello. Oggi, i fornitori, che sono pagati sempre meno per i loro prodotti, sono costretti a pagare sempre di più, o a offrire altre contropartite, in cambio dei servizi dell'acquirente. Pertanto, chi dovrebbe ricevere denaro in realtà riceve fatture da pagare! È opportuno sottolineare che la grande distribuzione è riuscita a imporre questo nuovo modello, che oggi è generalmente accettato e di cui nessuno, a cominciare dalle autorità competenti, si stupisce.

2.3.2

In generale, si può dire che le pratiche abusive più diffuse riguardano due aspetti dei rapporti tra il fornitore e l'acquirente (7). Per quanto attiene al primo aspetto, si tratta di trasferire dall'acquirente al fornitore i costi commerciali, ovvero le spese di promozione e marketing, nonché i costi delle attrezzature dei negozi, della distribuzione e della gestione dei singoli punti vendita. I distributori al dettaglio conseguono tale obiettivo attraverso i diversi «pagamenti» imposti ai fornitori, come ad esempio l'inclusione nel listino o nei depliant delle promozioni. In merito al secondo aspetto, il distributore trasferisce al fornitore il costo del suo rischio d'impresa, che si traduce in pratica in aggiustamenti a posteriori del prezzo di acquisto in funzione delle vendite ai consumatori finali della merce interessata, in modo che tutti gli scostamenti rispetto al livello di vendite auspicato siano a carico del fornitore. Il secondo obiettivo è raggiunto con l'ausilio di un sistema complicato di determinazione del prezzo netto finale (diversi tipi di premi di fine periodo). I due meccanismi deformano la semplice formula commerciale secondo la quale i costi di produzione sono sostenuti dal produttore mentre i costi commerciali sono a carico del commerciante.

2.3.3

Questo nuovo modello di relazioni tra i venditori al dettaglio e i fornitori è stato creato con il pretesto della necessità di una cooperazione commerciale più stretta, giustificata dall'inasprimento della concorrenza sul mercato al dettaglio. In base al ragionamento delle società di grande distribuzione, dovrebbe essere nell'interesse dei fornitori che le vendite dei loro prodotti aumentino e, per questo motivo, è del tutto legittimo che essi partecipino finanziariamente ai costi sostenuti per la commercializzazione. Nonostante tale visione sia lungi dall'essere universalmente condivisa, i fornitori devono accettarla. Tuttavia, la grande distribuzione non si ferma qui e questa cooperazione commerciale allargata favorisce abusi ancora più scandalosi. I servizi realmente prestati sono fatturati a tariffe eccessive, oppure gli acquirenti fatturano servizi puramente fittizi. Quest'ultima pratica è denominata «fatturazione senza giustificazione», dato che è palesemente priva di qualsiasi contropartita. Basti citare, a titolo di esempio, il «pagamento per una cooperazione stabile», il «pagamento per la compilazione della fattura», il «pagamento per la liquidazione della fattura» o il «contributo alle spese della festa aziendale». Nonostante sembri incredibile, fatture analoghe sono state effettivamente inviate da società della grande distribuzione ai loro fornitori di prodotti alimentari.

2.3.3.1

I deputati francesi hanno individuato oltre 500 giustificazioni addotte dalle centrali d'acquisto per esigere vantaggi supplementari dai loro fornitori (8).

2.3.3.2

Secondo la Confédération des industries agroalimentaires (FoodDrinkEurope) e l'Association des industries de marque (AIM), l'84 % dei fornitori europei della grande distribuzione ha subito, nel 2009, il mancato rispetto delle condizioni contrattuali; il 77 % di loro è stato minacciato di esclusione dai listini se non avesse concesso alle catene della distribuzione vantaggi ingiustificati; il 63 % ha subito riduzioni dei prezzi fatturati senza giustificazioni commerciali credibili e il 60 % è stato costretto a effettuare pagamenti privi di qualunque reale contropartita.

2.3.4

Le fatture della grande distribuzione inviate ai fornitori, che costituiscono sconti di fine periodo, rendono il sistema dei prezzi totalmente opaco. Né il fornitore né un osservatore esterno possono pertanto conoscere il reale prezzo d'acquisto. Le politiche commerciali basate sulla tecnica del «doppio margine di profitto» provocano gravi problemi ai consumatori e ai fornitori (9). Sarebbe opportuno imporre un sistema più trasparente.

2.4   Assenza di una reale libertà contrattuale

2.4.1

I fornitori accettano questo sistema, fortemente svantaggioso per loro, perché non hanno altra scelta. Se vogliono vendere i loro prodotti, non possono ignorare la grande distribuzione e per questo motivo continuano a stipulare contratti di vendita, a condizione che tale cooperazione offra loro un margine minimo. Di fatto, le pratiche abusive utilizzate dalle varie catene della grande distribuzione sono pressoché identiche, e per questo motivo non è possibile affermare che sarebbe preferibile cooperare con una piuttosto che con un'altra. Le relazioni commerciali sono caratterizzate da un clima di paura (di esclusione dai listini), come riconoscono anche i documenti ufficiali (10).

2.4.2

L'applicazione di condizioni contrattuali abusive è considerata, in genere, non etica. Tuttavia, tenuto conto delle pratiche esposte in precedenza, tale designazione appare insufficiente. In una situazione in cui le condizioni commerciali sono dettate dalla parte più forte e la controparte non ha una reale possibilità di rifiutarle, sarebbe appropriato parlare, piuttosto, di ricatto o di racket. In queste circostanze, è altrettanto poco opportuno parlare di libertà contrattuale, alla quale fanno spesso riferimento i commercianti al dettaglio e le autorità competenti. Come non si può parlare di libertà contrattuale nel caso dei rapporti tra monopoli naturali (fornitori di elettricità o di gas, ecc.) da un lato, e consumatori dall'altro, è illusorio definire in questo modo la realtà dei rapporti tra la grande distribuzione e i fornitori di prodotti alimentari.

2.5   Conseguenze e identificazione delle vittime delle pratiche abusive

2.5.1

Il ricorso a pratiche abusive da parte della grande distribuzione ha un impatto negativo sui fornitori, ma anche sui consumatori. I fornitori, in particolare i piccoli e medi produttori, si trovano pertanto ad affrontare spesso una situazione economica molto difficile, che può portare al fallimento dell'azienda, come talora accade. Le grandi società alimentari se la cavano molto meglio, dato che sono in grado di compensare con le grandi quantità di prodotti venduti il ricavo minimo ottenuto sul singolo prodotto. Inoltre, queste multinazionali alimentari dispongono di un potere negoziale piuttosto elevato: la grande distribuzione non vuole rinunciare ai loro prodotti e quindi non può trattarle alla stregua delle PMI. Il risultato è che in Francia, ad esempio, i prodotti forniti da una ventina di grandi gruppi multinazionali assicurano tra il 70 e l'80 % del fatturato della grande distribuzione (11).

2.5.2

Per quanto riguarda i consumatori che sono, secondo le autorità competenti, i beneficiari principali di questo sistema, la realtà è meno rosea di quanto si voglia far credere. Di fatto, vari elementi fanno pensare che il ricorso a pratiche abusive nei confronti dei fornitori si ripercuota negativamente anche sui consumatori. Da un lato, questi ultimi non sempre beneficiano del basso prezzo di acquisto (12) e, dall'altro lato, la scelta diventa più limitata, le innovazioni sono meno numerose, la qualità di molti prodotti alimentari è in flessione a causa della pressione costante sul prezzo d'acquisto e, in fine dei conti, si registra anche un aumento del prezzo al dettaglio (13).

2.5.2.1

La grande distribuzione ha anche un notevole impatto sociale in quanto il suo funzionamento ha rivoluzionato una serie di tabù della vita all'interno della nostra collettività. Per fare un esempio, il riposo domenicale non è più sacro come una volta nella misura in cui i supermercati e gli ipermercati sono aperti tutti i giorni della settimana, a volte addirittura ventiquattro ore al giorno, con tutte le conseguenze che questo comporta sulle condizioni di lavoro.

2.5.3

Al di fuori del settore alimentare, il fenomeno della grande distribuzione riguarda molti altri ambiti. Ciononostante, sono soprattutto i produttori di prodotti alimentari a essere vittime di pratiche abusive. I motivi sono probabilmente molteplici, tra cui certamente l'esistenza di una maggiore scelta di sbocchi per i produttori di prodotti diversi dagli alimenti. Oltre alla grande distribuzione, i produttori di capi di abbigliamento, di diversi elettrodomestici, di libri o di attrezzature sportive possono contare su reti di negozi specializzati. È pertanto legittimo occuparsi in modo particolare dei rapporti tra la grande distribuzione e i fornitori di prodotti alimentari.

2.5.4

Le pratiche abusive evidenziate sono, comunque, nettamente più rare nei rapporti tra gli agricoltori e l'industria alimentare, dove le imprese del settore dispongono anch'esse di un «potere contrattuale di acquirente» importante. Se da un lato le trattative relative al prezzo di acquisto sono spesso piuttosto difficili, dall'altro un industriale in genere non chiede al suo fornitore di materie prime un contributo per l'acquisto di un nuovo sistema di imbottigliamento a differenza di quanto avviene con la società della grande distribuzione, che esige sistematicamente dal proprio fornitore un pagamento per l'ammodernamento del suo negozio o per l'apertura di nuovo punto vendita.

2.5.5

In breve, la stragrande maggioranza delle pratiche abusive messe in evidenza esiste soltanto nel quadro dei rapporti tra supermercati e fornitori di prodotti alimentari. Tuttavia, a causa delle loro conseguenze e vista la portata della loro applicazione, tali pratiche mietono una terza vittima: l'interesse economico dello Stato. In effetti, l'impossibilità di una parte dei fornitori di rispondere alle esigenze della grande distribuzione e le difficoltà economiche che ne derivano contribuiscono al declino dell'intero settore agroalimentare di diversi paesi. Taluni Stati, un tempo autosufficienti nella produzione alimentare, hanno perso in tal modo la loro sicurezza alimentare, un fenomeno che attualmente si rivela particolarmente pericoloso.

2.6   Soluzioni possibili

2.6.1

Da tempo, le pratiche abusive della grande distribuzione nei confronti dei propri fornitori sono oggetto di critiche sempre più accese da parte delle autorità dei diversi Stati membri, oltre che delle istituzioni europee. Il primo documento molto critico è stato adottato dal Comitato economico e sociale europeo nel 2005 (14). Tuttavia, è stata soprattutto la dichiarazione scritta del Parlamento europeo (15), firmata dalla maggioranza dei deputati nel gennaio 2008, ad accendere un reale dibattito sull'argomento. Alla dichiarazione hanno fatto seguito vari documenti e studi pubblicati dalla Commissione, dal Parlamento e dal CESE (16).

2.6.1.1

La Rete europea della concorrenza (REC), che riunisce la Commissione europea e le autorità nazionali garanti della concorrenza dei 27 Stati membri, ha pubblicato una relazione che fa seguito alla comunicazione della Commissione relativa al miglioramento del funzionamento della filiera alimentare europea. La comunicazione invitava le autorità garanti della concorrenza ad adottare un approccio comune nel quadro della REC, per individuare meglio i problemi endemici specifici dei mercati dei prodotti alimentari e coordinare rapidamente le azioni future. La Commissione ha creato un forum ad alto livello sul miglioramento del funzionamento della filiera alimentare che si basa sul lavoro di diverse piattaforme di esperti, tra cui quella sulle pratiche contrattuali tra le imprese («business to business») incaricata di definire il metodo più adeguato per evitare le pratiche sleali. Una volta concluso l'accordo tra tutti gli operatori della filiera agroalimentare sui principi fondamentali, la piattaforma ha ricevuto il mandato di trovare un consenso in merito alla loro attuazione. Finora, non tutte le parti interessate hanno raggiunto un compromesso soddisfacente nel quadro di un codice volontario.

2.6.2

La situazione è diventata politicamente sensibile e le autorità sono chiamate a reagire senza indugio. Tuttavia, la regolazione mediante le sole forze di mercato è fallita e oggi è considerata solo di rado una soluzione ottimale, dato che, negli ultimi decenni caratterizzati da un sistema di relazioni commerciali non regolamentate, i problemi hanno continuato ad aggravarsi. Tra le soluzioni possibili, sono viste con favore la regolamentazione, l'autoregolamentazione o la costituzione di raggruppamenti di produttori e di imprese di trasformazione la cui forza possa controbilanciare il potere contrattuale di acquirente detenuto dalla grande distribuzione.

2.6.3

I codici etici rappresentano una cosiddetta soluzione «soft». Si tratta dell'impegno volontario ad astenersi dal ricorrere alle pratiche in questione. L'autoregolamentazione è stata adottata nel Regno Unito, in Spagna e in Belgio. I risultati non sono soddisfacenti né convincenti. Oltre all'assenza di esperienze positive in materia di autoregolamentazione, i codici etici sollevano anche un problema filosofico. In effetti, quali sono i principi etici in gioco nel caso di un'impresa multinazionale? Quelli dei dirigenti, degli azionisti o della società stessa? I veri proprietari delle multinazionali sono gli azionisti, che spesso sono anonimi e per i quali il possesso delle azioni rappresenta il più delle volte solo un investimento puramente finanziario. Per quanto concerne il comportamento dell'impresa, un'eventuale applicazione di pratiche abusive non implica la responsabilità personale. Di conseguenza, nel caso della grande distribuzione i principi etici possono difficilmente essere presi come un punto di riferimento pertinente.

2.6.4

La Commissione europea, insieme ad altri organismi, raccomanda vivamente agli agricoltori e alle piccole e medie imprese di riunirsi in raggruppamenti per aumentare il potere negoziale in occasione degli incontri d'affari con gli acquirenti delle società della grande distribuzione. Tuttavia, in alcuni Stati membri dove le imprese hanno effettivamente dato vita a raggruppamenti, tale iniziativa è stata penalizzata dalle autorità nazionali garanti della concorrenza, secondo le quali si trattava della costituzione di un «accordo di cartello». Infatti, secondo le autorità locali, la quota di mercato controllata da tali associazioni di produttori era eccessiva; tuttavia, esse hanno tenuto conto esclusivamente della produzione nazionale, non dei prodotti provenienti da altri paesi. Per un motivo difficilmente comprensibile, nel determinare la quota di mercato dominata da un operatore, le suddette autorità non hanno l'abitudine di prendere in considerazione l'insieme dei prodotti offerti sul mercato nazionale.

2.6.5

Per quanto concerne la regolazione, sono stati fatti tentativi più o meno coraggiosi in numerosi Stati membri. Alcuni paesi hanno vietato il ricorso a determinate pratiche (ad esempio il divieto di vendite sottocosto è in vigore in metà degli Stati membri); altri hanno adottato una legislazione settoriale specifica, come ad esempio in Ungheria, in Italia, nella Repubblica ceca, in Romania, in Slovacchia e in Polonia oppure hanno modificato le loro norme, come in Lettonia e in Francia. Negli ultimi anni, sono state adottate leggi volte a reprimere le pratiche abusive da parte della grande distribuzione, in particolare nei paesi postcomunisti dell'Europa centrale e orientale. Ciò dipende probabilmente dal fatto che la situazione in questa regione è particolarmente preoccupante. Tra l'altro, a differenza di quanto avviene in Europa occidentale, la grande distribuzione in quei paesi è quasi interamente in mano a società estere, che hanno contatti privilegiati con i fornitori dei rispettivi paesi di origine o dei paesi in cui si sono stabilite precedentemente. Il risultato è il declino del settore agroalimentare della regione.

2.6.6

È vero che l'applicazione di tali leggi non è affatto semplice, in particolare perché i fornitori vittime di abusi hanno il timore, per evidenti motivi, di denunciarli. Ciononostante, queste leggi costituiscono una risposta più adatta dei codici etici. Questo perché, da un lato, le pratiche abusive sono non solo contrarie all'etica, ma anche incompatibili con le più elementari nozioni di giustizia e indipendentemente dai problemi di applicazione, questo argomento è sufficiente, da solo, a giustificarne il divieto per legge. D'altro canto, va segnalato a questo proposito che lo sforzo legislativo sistematico ha già portato frutti in Francia (17).

2.6.7

La Commissione riconosce l'esistenza dei problemi, ma per il momento preferisce l'autoregolamentazione e critica la frammentazione dello spazio giuridico europeo. In effetti, le leggi adottate dai diversi Stati membri non sono molto compatibili fra di loro. Tuttavia, l'unico modo per superare tale frammentazione e incompatibilità sarebbe l'adozione di una regolamentazione europea vincolante. Il CESE raccomanda vivamente alla Commissione europea di adottare le iniziative necessarie in tal senso. Per motivi pratici, appare opportuno che un'eventuale regolamentazione europea non si basi sul concetto di protezione della concorrenza, il che imporrebbe ai fornitori, in quanto vittime, di affrontare le società di grande distribuzione in tribunale. Sulla scorta del concetto francese, è lo Stato, il cui interesse economico è anch'esso in gioco, che dovrebbe essere legittimato ad agire in giudizio. Questo permetterebbe di evitare i ben noti problemi legati al timore dei fornitori di presentare una denuncia.

2.6.7.1

Tale regolamentazione dovrebbe imporre, in particolare, contratti scritti in cui sia indicata (pena la nullità) la durata, la quantità e le caratteristiche del prodotto venduto, il prezzo e le modalità di consegna e di pagamento. Quest'ultimo dovrebbe avvenire entro un termine legale di 30 giorni per i prodotti deperibili e di 60 giorni per gli altri prodotti, pena un'ammenda. Dovrebbe essere vietato:

imporre in modo diretto o indiretto condizioni di acquisto, di vendita o altri tipi di condizioni contrattuali vincolanti, o condizioni extracontrattuali e retroattive;

applicare condizioni diverse per prestazioni equivalenti;

subordinare la conclusione e l'esecuzione dei contratti, nonché la continuità e regolarità dei rapporti commerciali, all'esecuzione di prestazioni che non hanno alcun rapporto con l'oggetto del contratto e con la relazione commerciale in questione;

ottenere prestazioni unilaterali indebite, non giustificate dalla natura o dall'oggetto delle relazioni commerciali;

adottare qualunque altro comportamento sleale, tenuto conto della relazione commerciale complessiva.

Bruxelles, 13 febbraio 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Parere del CESE Il modello agricolo comunitario: qualità della produzione e comunicazione ai consumatori come elementi di competitività, GU C 18, del 19.1.2011, pagg. 5-10.

(2)  Uno dei rari esperti che all'epoca aveva osato denunciare pubblicamente gli abusi della grande distribuzione è Christian Jacquiau, autore del libro «Coulisse de la grande distribution» e di un articolo pubblicato su Le Monde diplomatique (dicembre 2002) intitolato «Racket dans la grande distribution à la française».

(3)  Consumers International, «The relationship between supermarkets and suppliers: What are the implications for consumers?», 2012, pag. 2.

(4)  Nel 2009, l'80 % del mercato mondiale delle sementi era controllato solo da una decina di società, mentre 25 anni prima la selezione e la vendita delle sementi era praticata da un centinaio di imprese. Lo stesso vale per i prodotti agrochimici.

(5)  British Institute of International and Comparative Law, «Models of Enforcement in Europe for Relations in the Food Supply Chain», 23 aprile 2012, pag. 4.

(6)  Consumers International, «The relationship between supermarkets and suppliers: What are the implications for consumers?», 2012, pag. 5.

(7)  British Institute of International and Comparative Law, «Models of Enforcement in Europe for Relations in the Food Supply Chain», 23 aprile 2012, pag. 4.

(8)  Christian Jacquiau, «Racket dans la grande distribution à la française», Le Monde diplomatique, dicembre 2002, pagg. 4 e 5.

(9)  Parere del CESE Migliore funzionamento della filiera alimentare in Europa, GU C 48, del 15.2.2011, pagg. 145-149.

(10)  Ad es., la relazione della Commissione COM(2010) 355 final., Verso un mercato interno del commercio e della distribuzione più efficace e più equo all'orizzonte 2020, pag. 8 o il documento del British Institute of International and Comparative Law, «Models of Enforcement in Europe for Relations in the Food Supply Chain», 23 aprile 2012, pag. 3.

(11)  Sgheri Marie-Sandrine, «La machine à broyer des PME», Le Point, Parigi, n. 1957 del 18 marzo 2010, pagg. 88-89.

(12)  Ad es., durante la crisi del latte del 2009, i supermercati hanno continuato per mesi a vendere il latte ai consumatori allo stesso prezzo di prima, malgrado una diminuzione significativa del prezzo di acquisto al produttore.

(13)  Consumers International, «The relationship between supermarkets and suppliers: What are the implications for consumers?», 2012, pag. 12. Cfr. anche il parere del CESE, GU C 255, del 14.1.2005, pag. 48.

(14)  Parere del CESE La grande distribuzione: tendenze e conseguenze per agricoltori e consumatori, GU C 255, del 14.10.2005, pagg. 44-49.

(15)  Dichiarazione scritta n. 0088/2007 Studio e soluzioni all'abuso di potere dei grandi supermercati operanti nell'Unione europea.

(16)  Parere del CESE Migliore funzionamento della filiera alimentare in Europa, GU C 48, del 15.2.2011, pagg. 145-149.

(17)  Secondo la DGCCRF, gli sconti di fine periodo della grande distribuzione sono scesi a un livello ragionevole.


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

487a sessione plenaria del 13 e 14 febbraio 2013

9.5.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 133/22


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Promuovere l'uso condiviso delle risorse dello spettro radio nel mercato interno»

COM(2012) 478 final

2013/C 133/04

Relatore: HERNÁNDEZ BATALLER

La Commissione europea, in data 3 settembre 2012, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Promuovere l'uso condiviso delle risorse dello spettro radio nel mercato interno

COM(2012) 478 final.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 gennaio 2013.

Alla sua 487a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 febbraio 2013 (seduta del 13 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 89 voti favorevoli, nessun voto contrario e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene l'approccio della Commissione volto a promuovere l'uso condiviso delle risorse dello spettro radio nel mercato interno, considerato il fatto che i collegamenti senza fili hanno acquisito un'importanza crescente per l'economia.

1.2

Il CESE si augura che il beneficiario finale dell'intera strategia sarà per davvero il cittadino europeo, e che si possa trarre vantaggio da tutti i progressi conseguiti garantendo l'uso più ampio possibile dello spettro assegnato, in piena sicurezza e con piena garanzia della riservatezza dei dati personali.

1.3

Qualsiasi normativa approvata dovrà garantire un elevato livello di protezione dei consumatori e la coesione economica, sociale e territoriale, per evitare un ampliamento del divario digitale e impedire che la società dell'informazione avanzi a due velocità diverse.

1.4

La gestione dell'uso condiviso dello spettro deve portare a un livello elevato di occupazione e aumentare la competitività dell'economia europea, in un quadro che non porti a distorsioni della libera concorrenza e che dia l'occasione di approfondire la ricerca e le tecnologie innovative. Il Comitato chiede alla Commissione di garantire, prima di promuovere la liberalizzazione dello spettro, che l'aumento della concorrenza tra gli operatori nello spettro dia luogo a una creazione netta di posti di lavoro. In tale contesto, conformemente alla strategia Europa 2020, occorre prestare una particolare attenzione alla situazione in cui si trovano gli stati colpiti dallo shock economico e fiscale.

1.5

Il CESE si augura che la Commissione adotti la raccomandazione relativa a un formato comune per i diritti condivisi di accesso allo spettro e a una terminologia comune per documentare le condizioni e le norme di condivisione.

2.   Introduzione

2.1

Lo spettro è una risorsa pubblica fondamentale per settori e servizi essenziali come quelli delle comunicazioni mobili, senza fili di banda larga e via satellite, le trasmissioni radiofoniche e televisive, il trasporto e la radiolocalizzazione, nonché per applicazioni come gli allarmi, i telecomandi, le protesi uditive, i microfoni e le attrezzature mediche.

2.2

Esso inoltre contribuisce al buon funzionamento di servizi pubblici come quelli di protezione e sicurezza, compresa la protezione civile, nonché ad attività scientifiche come la meteorologia, l'osservazione della Terra, la radioastronomia e la ricerca spaziale.

2.3

Un accesso facile allo spettro svolge anche un ruolo nella realizzazione delle comunicazioni elettroniche, in particolare da parte degli utilizzatori e delle imprese situati nelle zone meno popolate o remote, come quelle rurali e insulari.

2.4

Tutte le norme di regolamentazione dello spettro possono avere implicazioni per la sicurezza, la salute e l'interesse pubblico, nonché conseguenze economiche, culturali, scientifiche, sociali e ambientali.

2.5

Nel 2002, la decisione sullo spettro radio ha stabilito il quadro normativo fondamentale per la politica in questa materia, e nel 2012 è stata completata dalla decisione sul programma pluriennale relativo alla politica in materia di spettro radio nell'UE, su cui il CESE si è già pronunciato.

2.6

Il quadro normativo dell'Unione mira a facilitare l'accesso allo spettro, in base al sistema di autorizzazione meno oneroso possibile. Tale quadro favorisce l'utilizzo di autorizzazioni generali, tranne quando le licenze individuali siano chiaramente necessarie. Esso si basa sui principi di un utilizzo efficiente, di una gestione efficace dello spettro e della neutralità rispetto ai servizi e alla tecnologia.

La base giuridica è sufficiente affinché la Commissione si occupi della gestione dello spettro, visti il quadro giuridico per le comunicazioni elettroniche, le regole del mercato interno, le norme in materia di trasporti e quelle che impediscono le distorsioni della libera concorrenza.

2.7

Poiché la gestione dello spettro costituisce una premessa essenziale per il mercato unico digitale, l'iniziativa in esame contribuisce direttamente al perseguimento degli obiettivi della strategia Europa 2020. La Commissione desidera ottenere un ampio consenso per quanto riguarda le misure proposte, in linea con il programma relativo alla politica in materia di spettro radio, per promuovere lo sviluppo di innovazioni senza fili nell'UE e garantire che lo spettro attualmente assegnato sia utilizzato nella massima misura possibile.

3.   La comunicazione della Commissione

3.1

La comunicazione esamina i fattori che rendono possibile e quelli che rafforzano l'uso condiviso dello spettro, come la banda larga senza fili, la società connessa senza fili e la ricerca e le tecnologie innovative, osservando che:

l'uso condiviso di frequenze (soggette o no a licenza) per la banda larga senza fili garantisce risparmi agli operatori delle reti mobili, collegamenti a Internet a prezzi abbordabili e possibilità di condivisione dell'infrastruttura;

la tendenza verso una società connessa dimostra il valore aggiunto di uno spettro di facile accesso in bande di frequenze condivise non soggette a licenza. Tale accessibilità favorisce lo sviluppo di nuove e più solide tecnologie senza fili;

la ricerca ha consentito di aprire l'accesso allo spettro su base condivisa, garantendo al contempo la protezione dei servizi primari. Le radiotecnologie cognitive sono attualmente in fase di sviluppo con il sostegno dei mandati per norme e prove armonizzate nei progetti di ricerca europei. Ulteriori progressi sono attesi negli ambiti del rilevamento e dell'uso di stazioni di base a piccole celle.

3.2

La comunicazione affronta le sfide sulla via verso un maggiore uso condiviso dello spettro, e riflette sulla gestione delle interferenze dannose per eliminare l'incertezza, sulla creazione di garanzie e incentivi sufficienti per tutte le parti interessate e sulla capacità delle bande non soggette a licenza.

3.2.1

Per favorire un maggiore uso condiviso dello spettro è necessario:

stabilire le responsabilità reciproche degli utilizzatori sui limiti accettabili di interferenza e le strategie adeguate di riduzione;

garantire la certezza del diritto sulle norme e le condizioni applicabili, le procedure di attuazione e la chiarezza delle ipotesi in materia di compatibilità e diritti di protezione;

incentivare gli investimenti in tecnologie più efficienti a beneficio sia degli utilizzatori storici sia di quelli nuovi, tutelando e promuovendo nel contempo la concorrenza;

individuare canali ad ampia frequenza per lo sviluppo delle reti RLAN come pure fornire previsioni sulla congestione per aumentare la prevedibilità e l'affidabilità delle principali bande condivise;

garantire che l'eventuale passaggio dai diritti esclusivi di uso all'uso condiviso aumenti la concorrenzialità dei nuovi utilizzatori e non generi indebiti vantaggi competitivi per gli attuali o i futuri detentori di diritti.

3.3

La Commissione propone di creare due strumenti per incentivare un uso maggiore e più efficiente delle risorse dello spettro esistenti:

un approccio UE per individuare le opportunità di condivisione vantaggiose nelle bande armonizzate o non armonizzate;

diritti di accesso condiviso allo spettro come strumento di regolamentazione per autorizzare possibilità di condivisione dello spettro coperte da licenza e con livelli garantiti di protezione dalle interferenze.

3.4

Nella misura in cui il progresso tecnologico consente maggiori opportunità di condivisione vantaggiose nel mercato interno, la Commissione considera necessario promuovere gli investimenti e incoraggiare gli utilizzatori dello spettro a usare più efficacemente le risorse dello stesso definendo, in stretta cooperazione con gli Stati membri, una procedura e i criteri fondamentali per individuare le opportunità di condivisione vantaggiose a livello UE (ad esempio, mediante l'adozione di una raccomandazione).

3.5

Secondo la Commissione, i contratti di condivisione dello spettro possono offrire agli utilizzatori una maggior certezza del diritto, creando al contempo incentivi basati sul mercato, tra cui compensazioni finanziarie, al fine di individuare ulteriori opportunità di condivisione vantaggiose nel mercato interno, nel caso in cui le autorità nazionali di regolamentazione (ANR) concedano diritti di accesso condiviso allo spettro ad altri utilizzatori di una banda di frequenze.

3.6

La Commissione propone di stabilire, per le prossime tappe, le misure che seguono:

1)

individuare le opportunità di condivisione vantaggiose nelle bande soggette o no a licenza;

2)

valutare l'opportunità di liberare una porzione sufficiente di spettro, armonizzata a livello UE e libera dall'obbligo di licenza, per le innovazioni senza fili;

3)

definire, in cooperazione con gli Stati membri, un percorso comune per consentire maggiori possibilità di condivisione sulla base di accordi contrattuali tra utilizzatori;

4)

concludere accordi contrattuali fra utilizzatori che possano garantire un maggior livello di certezza giuridica agli utilizzatori stessi.

4.   Osservazioni generali

4.1

Il Comitato valuta positivamente il contenuto della comunicazione della Commissione, poiché comporta l'apertura di un processo necessario di riflessione per un futuro adeguamento del contesto normativo dell'UE agli obiettivi del programma pluriennale relativo alla politica in materia di spettro radio (RSPP).

4.1.1

In quest'ottica, la comunicazione esplora le formule per rimediare all'assenza di spettro libero e ai costi elevati legati a una riassegnazione dello spettro per nuovi usi, fattori che comportano serie limitazioni all'uso dei collegamenti senza fili, e propone modifiche sostanziali alla gestione dello spettro.

4.2

Per rimuovere gli attuali ostacoli normativi che frenano la diffusione di tecnologie innovative di accesso alle frequenze radio e per agevolare la condivisione dello spettro, la Commissione opta per un approccio onnicomprensivo in cui le autorità nazionali di regolamentazione e gli accordi fra gli utilizzatori storici e quelli nuovi dovranno facilitare attivamente l'uso collettivo e condiviso dello spettro.

4.3

Inoltre, essa propone di agire basandosi sul vigente quadro normativo dell'UE per le comunicazioni elettroniche, mediante lo sviluppo e l'attuazione dei principi di uso efficiente e di gestione efficace dello spettro, nonché di neutralità tecnologica e dei servizi, proposta che il CESE considera estremamente pertinente. Di conseguenza, la Commissione intende fare un utilizzo razionale delle sue competenze in questo settore, con l'intenzione di migliorare e generalizzare, nella misura del possibile, l'uso dello spettro radio. Si tratta di utilizzare la libera concorrenza e la convergenza dei criteri di autorizzazione all'utilizzo da parte delle ANR, ponendo un'enfasi particolare sull'accesso mediante licenze condivise.

4.4

Ciononostante, il Comitato desidera sottolineare diversi aspetti relativi al contenuto della comunicazione della Commissione in esame, per agevolare, nella misura del possibile, lo sviluppo delle future fasi normative riguardanti lo spettro radio, in modo che poggino su principi solidi, in particolare su quelli della democrazia, della trasparenza, del rispetto dei diritti fondamentali e dei diritti dei consumatori, nonché di quelli degli utilizzatori delle comunicazioni elettroniche. In particolare, i diritti dei consumatori e degli utilizzatori devono essere tutelati in modo chiaro dalle frodi, per cui occorre stabilire criteri a favore di un prezzo giusto, dell'accesso generalizzato allo spettro e di meccanismi efficienti di reclamo e indennizzo, nonché garantire che i controllori indipendenti possano dirimere i conflitti transnazionali sull'uso dello spettro, evitando interferenze dannose. La Commissione dovrà fare il punto, in apposite relazioni periodiche, sulle misure adottate e sugli obiettivi raggiunti in riferimento ai diritti e ai doveri indicati.

4.5

Il Comitato invita la Commissione, nel contesto del futuro sviluppo del quadro normativo pertinente, a redigere un elenco il più completo possibile sugli «ostacoli normativi» incontrati dalle tecnologie innovative di accesso alle frequenze radio.

4.6

Si tratta di evitare che, con la scusa di una ferrea protezione degli utilizzatori, si cerchi in realtà, per motivi nazionali o analoghe ragioni di carattere protezionistico, di impedire l'apertura più ampia possibile dello spettro, un'apertura che faciliti l'ingresso di altri utilizzatori e l'adozione di tecnologie innovative. Il Comitato economico e sociale europeo considera necessario che l'applicazione della comunicazione garantisca alle persone con disabilità di avere maggiore accesso alle nuove tecnologie.

4.7

Ciò fra l'altro comporterebbe un aumento degli introiti grazie ai canoni per l'uso dello spettro, i cui benefici non danno adito a dubbi. Va peraltro sottolineato che, dal momento che lo spettro è uno spazio fisico limitato e che le misure previste aumenteranno il traffico degli utilizzatori, si dovrà riflettere con attenzione su varie questioni, come la compensazione per i detentori attuali di licenze d'uso, il modo di evitare il collasso o la contrazione dello spettro per eccesso di sfruttamento, come garantire l'introduzione di tecnologie più innovative, ecc. In quest'ottica, e nonostante l'oggetto del presente parere non coincida con alcuni di quelli precedenti relativi all'applicazione delle misure dell'UE collegate al mutamento tecnologico, come ad esempio il cosiddetto dividendo digitale, si dovrebbe riflettere sull'impatto reale di tali misure ai fini di una razionalizzazione delle aspettative generate dallo sviluppo della politica dell'UE in materia di spettro radio.

4.8

D'altro canto, il Comitato è propenso a limitare, per quanto possibile, l'emissione di licenze individuali da parte delle ANR, e si esprime a favore di un accesso molto più aperto, purché ciò sia consentito dalla disponibilità materiale e dal rispetto dei diritti acquisiti dagli utilizzatori dello spettro. Per questo, invita le ANR a fare un ricorso limitato e ben motivato alla concessione di licenze individuali, così da garantire un accesso molto più aperto.

4.9

Fra gli altri obiettivi importanti, dalla comunicazione si deduce anche la necessità di ridurre il divario tecnologico tra i fabbricanti europei e quelli dei paesi terzi per quanto riguarda gli apparecchi che consentono le comunicazioni elettroniche; una delle cause di tale divario è la frammentazione del quadro normativo vigente. Il CESE chiede alla Commissione europea di aggiungere una scheda d'impatto sui possibili benefici che la liberalizzazione dello spettro potrebbe comportare qualora si desideri porre rimedio al divario digitale tra gli Stati membri dell'UE. Di conseguenza, il Comitato sostiene un adeguamento urgente di tale quadro, e confida in proposito nella capacità della Commissione di arrivare a una soluzione normativa grazie alle procedure di comitato (comitatologia).

4.9.1

D'altro canto, il Comitato sottolinea il fermo impegno dell'UE nei confronti dei diritti fondamentali e invita la Commissione, al momento di elaborare le norme di adeguamento necessarie, ad agire con la massima prudenza a favore della protezione di diritti fondamentali quali quelli riguardanti la riservatezza, il segreto professionale o il trattamento dei dati che possono essere immagazzinati dai fornitori di servizi di comunicazioni elettroniche.

4.9.2

Allo stesso modo, sembra opportuno stabilire una vigilanza efficace sull'accesso senza licenza di nuovi utilizzatori alle bande quando questi assumono una posizione di primo piano per il valore aggiunto apportato dalle loro innovazioni tecnologiche, in particolare ove interferiscano con l'uso pacifico dello spettro di cui beneficiano parti terze i cui diritti di protezione non siano garantiti da un'ANR. Il Comitato economico e sociale europeo esprime preoccupazione per l'impatto che tale processo di liberalizzazione può avere sull'applicazione del principio di accesso ai servizi d'interesse generale (polizia, ambulanze, servizi di soccorso, ecc.).

4.9.3

Occorre inoltre esaminare minuziosamente la situazione degli utilizzatori che desiderino accedere allo spettro e che prestino un servizio di interesse generale: tali utilizzatori potrebbero essere esonerati dal pagamento della compensazione finanziaria, oppure si potrebbe stabilire un livello simbolico, mediante una disposizione sovranazionale ed eventualmente tramite l'adozione della normativa pertinente.

4.9.3.1

Quanto sopra esposto vale fatto salvo il dovere di promuovere gli obiettivi di interesse generale nel rispetto del diritto dell'UE, in particolare per quanto riguarda la normativa sui contenuti e la politica audiovisiva, nonché il diritto degli Stati membri di organizzare e usare il proprio spettro radio a fini di ordine e sicurezza pubblica.

4.10

Ragioni di indipendenza e di certezza giuridica inducono inoltre il CESE a suggerire che la responsabilità della supervisione e della comunicazione circa l'esistenza degli accordi di uso condiviso fra utilizzatori e la loro conformità rispetto alle norme sulla concorrenza sia affidata alle ANR e - ove opportuno - all'Organismo dei regolatori europei delle comunicazioni elettroniche (BEREC) quando siano necessari la pianificazione strategica, il coordinamento e l'armonizzazione, in particolare delle procedure di concessione di autorizzazioni generali o di diritti individuali per l'uso delle frequenze radio e quando sia necessario per superare le barriere che ostacolano lo sviluppo del mercato interno.

4.11

La Commissione dovrebbe elaborare un codice di buone pratiche, in collaborazione coi rappresentanti delle associazioni dei consumatori e con i rappresentanti delle imprese, riguardante la diffusione di informazioni a livello UE sulle richieste di uso condiviso vantaggioso e sui relativi risultati. Ciò faciliterebbe la generalizzazione di processi trasparenti e una gestione ottimale delle risorse esistenti nell'«inventario dello spettro».

4.12

Infine, il CESE invita la Commissione a elaborare, sulla base dei lavori del gruppo «Politica dello spettro radio» (GPER), un atto di esecuzione come previsto all'articolo 291 del TFUE, che aiuterebbe a raggiungere gli obiettivi in materie come una nozione comune delle licenze di accesso condiviso, nonché i termini delle raccomandazioni che promuovano l'utilizzo di criteri comuni di concessione delle licenze stesse nell'UE, in modo da facilitarne l'applicazione in tutti gli Stati membri.

4.12.1

Tale norma dovrebbe prevedere, fra gli altri elementi rilevanti, la protezione dei principi di libera concorrenza, oltre alla tutela della sicurezza e dei diritti degli utilizzatori delle comunicazioni elettroniche, con un'attenzione particolare per la riduzione dei costi legati al pagamento dei servizi prestati dai fornitori delle comunicazioni elettroniche stesse.

4.13

Il Comitato è convinto che la possibile innovazione tecnologica derivante da una maggiore presenza di operatori nello spettro possa beneficiare di una dotazione a carico dei fondi dell'UE, onde promuovere il progresso tecnologico negli Stati meno sviluppati dell'Unione.

Bruxelles, 13 febbraio 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


9.5.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 133/27


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Rendere efficace il mercato interno dell'energia»

COM(2012) 663 final

2013/C 133/05

Relatore: COULON

La Commissione europea, in data 15 novembre 2012, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Rendere efficace il mercato interno dell'energia

COM(2012) 663 final.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 gennaio 2013.

Alla sua 487a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 febbraio 2013 (seduta del 13 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 94 voti favorevoli, 2 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) considera il mercato interno dell'energia un'opportunità per trarre vantaggio dalle diverse scelte energetiche operate in Europa e per garantire il funzionamento ottimale del sistema nel suo complesso, mediante le infrastrutture interconnesse, a beneficio dell'utenza industriale e domestica.

1.2

Il CESE sostiene l'approccio della Commissione nella misura in cui esso mira a eliminare le misure che impediscono al consumatore finale di trarre vantaggio da un ventaglio di scelte energetiche diverse.

1.3

Il consumatore deve essere nuovamente collocato al centro della questione, e tutte le nuove funzionalità legate alle reti e ai contatori intelligenti devono essere concepite nel suo interesse.

1.4

Vi è un considerevole deficit d'informazione sulle finalità e le modalità del mercato interno dell'energia, che può essere colmato soltanto attraverso una grande campagna informativa dell'Unione concepita insieme a tutti i rappresentanti della società civile.

1.5

La lotta contro la povertà e la precarietà energetiche deve essere la priorità delle politiche pubbliche condotte nell'Unione. Il CESE invita il Consiglio e la Commissione a farne l'argomento prioritario del vertice europeo del maggio 2013, dedicato all'energia.

2.   Il mercato interno dell'energia, una costruzione imperfetta

2.1

Nella sua comunicazione, la Commissione europea auspica giustamente un buon funzionamento del mercato interno dell'energia, affinché sia possibile raggiungere l'obiettivo per il 2014, definito nel febbraio 2011 dai capi di Stato e di governo dell'UE. Questi ultimi hanno proclamato in quell'occasione la necessità di completare entro il 2014 l'attuazione del mercato interno dell'energia, in modo da consentire a tutti i consumatori europei di beneficiare di una totale libertà di scelta quanto al proprio fornitore di elettricità e gas.

2.2

Lo sviluppo del mercato interno dell'elettricità e del gas infatti ha avuto inizio nel 1996, con una duplice prospettiva: che ogni consumatore europeo avrebbe potuto un giorno approvvigionarsi presso il fornitore di sua scelta (indipendentemente dalla nazionalità) tramite infrastrutture energetiche rese indipendenti dai produttori, e che l'efficienza di tale mercato unico avrebbe avuto un effetto benefico sui prezzi dell'energia e avrebbe trasmesso segnali dinamici ed eloquenti relativamente agli investimenti da effettuare.

2.3

Quell'obiettivo è ancora da completare. Il mercato interno dell'energia ha consentito, in alcuni paesi, di offrire una scelta più flessibile ai consumatori e una maggiore competitività nelle tariffe, il che a sua volta ha limitato la tendenza al rialzo dei prezzi dovuta all'aumento del costo delle energie primarie; inoltre esso ha reso più facile la creazione di mercati all'ingrosso più fluidi e trasparenti, con l'effetto di rafforzare la sicurezza degli approvvigionamenti nell'Unione europea. Nella maggior parte degli Stati membri, l'evoluzione dei mercati energetici è stata caratterizzata dal passaggio dai monopoli, nazionali o regionali, agli oligopoli, anch'essi nazionali o regionali, con interazioni e concorrenza assai limitate.

2.4

I nuovi strumenti creati (borse, market coupling o «accoppiamento dei mercati», ecc.) riguardano volumi assai scarsi, e l'essenziale degli scambi resta organizzato su scala nazionale; per quanto riguarda l'elettricità, la concorrenza a livello di produzione in alcuni paesi è ipotetica: in 8 Stati membri su 27, l'80 % della produzione di elettricità è controllato dagli ex operatori storici e, vista la posizione dominante (e, in alcuni paesi, esclusiva) dei fornitori di gas nazionali, il mercato interno del gas resta anch'esso puramente virtuale.

2.5

Attualmente, insomma, il mercato interno dell'energia funziona più come una sommatoria di pratiche, mercati e operatori industriali nazionali, in cui, sotto il controllo delle autorità di regolamentazione di ciascun paese e dell'Agenzia per la cooperazione fra i regolatori nazionali dell'energia (ACER), si applicano le varie normative europee adottate nell'arco di quasi vent'anni, anziché come uno spazio economico unico in grado di apportare un vantaggio, grazie a una concorrenza reale, sia alle industrie che ai consumatori europei. Ciononostante, le scelte energetiche nazionali hanno un effetto sui prezzi dell'energia nei paesi vicini, e le decisioni in questa materia non possono essere adottate in modo unilaterale.

2.6

I prezzi praticati sono distorti dall'imposizione di oneri fiscali locali o nazionali opachi, asimmetrici, spesso eccessivi, che in alcuni casi sono aumentati del 1 000 % in quindici anni, penalizzando gravemente gli utenti domestici e le industrie ad alto impiego di elettricità. Le politiche nazionali di incoraggiamento allo sviluppo delle energie rinnovabili, non coordinate fra i vari paesi, obbligano (nella misura in cui tali energie sono «fatali» (ossia indifferibili e non controllabili) e prioritarie nella rete) a definire rapidamente un nuovo assetto del mercato europeo, in mancanza del quale la gestione del sistema elettrico dell'UE si troverà ad essere più fragile. Qualunque sia l'energia in questione, è necessaria una completa trasparenza delle politiche di sovvenzione o di esenzione praticate dagli Stati membri, per sincerarsi che il comportamento di tutti i soggetti del mercato sia corretto e che le norme dell'UE in materia di concorrenza siano rispettate nel settore dell'energia.

2.7

La pratica diffusa delle tariffe regolamentate nazionali non fornisce segnali di prezzo dinamici e capaci di incoraggiare i consumatori a ridurre i consumi e a gestire meglio la propria bolletta, né garantisce la copertura dei costi reali di approvvigionamento o di produzione dell'energia, rendendo vulnerabili il bilancio delle imprese energetiche e gli investimenti, sia nella produzione sia nelle reti, che pur costituiscono un elemento necessario per i prossimi decenni.

2.8

Infine, per mancanza di sensibilizzazione, informazione e trasparenza, il mercato interno dell'energia rimane in gran parte un enigma per i cittadini e i consumatori europei, sia nelle finalità che nelle modalità. Nonostante il mercato dell'utenza domestica in teoria sia aperto dal 1o luglio 2007, in alcuni paesi dell'UE si registra un tasso assai modesto di cambiamenti di fornitore, il che rispecchia il deficit cronico d'informazione e comunicazione degli Stati, delle autorità di regolamentazione e degli operatori industriali.

3.   Gli orientamenti prioritari in vista del completamento del mercato interno dell'energia

3.1

Di fronte alle grandi sfide cui deve far fronte l'Europa (crisi economica mondiale, riscaldamento globale, garanzia dell'approvvigionamento, ecc.), servono più trasparenza, flessibilità, scambi energetici e interconnessioni fra gli Stati membri, al fine di favorire guadagni evidenti in termini di efficienza e solidarietà, nonché una più marcata ottimizzazione degli investimenti.

3.2

Il CESE sostiene con vigore le iniziative avviate dalla Commissione europea e ritiene che il completamento di un vero spazio energetico comune per 500 milioni di consumatori sia un elemento essenziale perché l'Europa torni a crescere, al di là della realizzazione di una Comunità europea dell'energia. Secondo il CESE, un'energia abbondante, condivisa e competitiva rappresenta un elemento essenziale per lo sviluppo dell'economia europea e per la creazione di posti di lavoro. L'industria europea ha bisogno di prezzi dell'energia competitivi, per rimanere e continuare a svilupparsi in Europa.

3.3

In quest'ottica è opportuno verificare che, oltre all'applicazione formale dei regolamenti e delle direttive adottati dal dicembre 1996, si rispetti anche lo spirito dei testi riguardanti il mercato interno dell'energia, e che gli Stati membri favoriscano una concorrenza reale, tanto a livello regionale che nazionale ed europeo. Il CESE sostiene le iniziative che consentono di rendere più fluido l'utilizzo e di aumentare l'efficienza delle reti di trasporto dell'energia tramite un lavoro di standardizzazione accelerato, che risulta necessario di fronte al considerevole sviluppo delle energie rinnovabili; il Comitato approva lo sviluppo delle interconnessioni energetiche e l'accoppiamento dei mercati, nonché le cooperazioni multilaterali come la creazione del Coreso (coordinamento della rete elettrica dell'Europa occidentale), embrione di un futuro sistema europeo di distribuzione dell'elettricità.

3.4

L'esistenza di tariffe regolamentate, dovute essenzialmente a considerazioni politiche nazionali, è improntata a un approccio protezionistico contrario agli interessi dell'Unione, e disincentiva i consumatori dal tener conto del costo reale dell'energia nei loro comportamenti, per cui non può essere accettata, se non in maniera temporanea per gli Stati membri che ne facciano richiesta. Segnali di prezzo che riflettano l'evoluzione reale dei costi (compresa la CO2) devono essere inviati ai consumatori e agli investitori per orientarne con discernimento le scelte future. Un prezzo dell'energia legato ai costi reali è uno degli elementi per un migliore controllo dei consumi, nonché per la necessaria evoluzione della mentalità dei consumatori, che dovranno essere più attivi nel nuovo modello in costruzione.

3.5

Parallelamente, va chiarito e riveduto l'aspetto dell'imposizione sull'energia, locale o nazionale, che attualmente è troppo diversificata da un paese all'altro dell'Unione. Infatti, la percentuale degli oneri fiscali e dell'IVA sull'elettricità va dal 4,7 % del Regno Unito al 54,6 % della Danimarca, senza tener conto del contenuto energetico dell'elettricità prodotta. Il CESE approva pertanto le iniziative della Commissione a favore di una tassazione omogenea e più intelligente dell'energia in Europa. La realizzazione degli obiettivi 3x20 e la riduzione delle emissioni di CO2 dall'80 al 95 % entro il 2050 rendono necessario mettere in atto un quadro impositivo comune, che organizzi su una base obiettiva il carico fiscale gravante sulle energie rinnovabili e su quelle di origine fossile, tenendo conto del contenuto energetico e delle emissioni di CO2 di ciascun prodotto.

3.6

La questione della povertà e della precarietà energetica che affliggono il 13 % delle famiglie europee, ossia 65 milioni di persone, non può essere separata dalla costruzione del mercato interno dell'energia. La concorrenza prevista dagli obiettivi iniziali può essere concepita solo nell'interesse di tutti i consumatori dell'Unione. Per questo, occorre rimettere il cittadino-consumatore al centro della questione, e formulare rapidamente una definizione europea del concetto di povertà energetica, che possa condurre, come nel caso della politica europea sugli aiuti regionali, all'adozione di opportune politiche nazionali di sostegno. L'Unione europea dovrà fare attenzione a distinguere queste politiche di lotta alla povertà energetica, necessarie e urgenti, dalle pratiche tariffarie protezionistiche contrarie allo spirito del mercato interno. Il CESE suggerisce che il prossimo vertice europeo dedicato all'energia, che si terrà nel maggio 2013, si occupi in via prioritaria della questione, e consenta di prefigurare un servizio pubblico europeo dell'energia.

3.7

Il CESE considera prioritarie l'educazione, l'informazione e la trasparenza in materia energetica (1), per consentire ai consumatori di effettuare le scelte più opportune, in termini sia economici sia di efficienza energetica, e di orientarsi verso i fornitori meno costosi. L'Unione europea dovrebbe compiere un massiccio sforzo di comunicazione per spiegare le sfide comuni e fornire, in modo semplice e concreto, le informazioni essenziali ai consumatori europei.

3.8

A giudizio del CESE, l'impegno attivo da parte dei consumatori è un prerequisito indispensabile per assicurare con successo la diffusione dei cosiddetti «contatori intelligenti», i quali possono migliorare il livello di efficienza energetica. Restano tuttavia numerose questioni irrisolte, ad esempio se i benefici potenziali derivanti da questi dispositivi siano davvero superiori ai costi per i consumatori, o ancora problemi di interoperabilità e di protezione dei dati. Occorre trovare quanto prima una soluzione a questi interrogativi, nell'interesse dell'intera platea degli utilizzatori di energia.

3.9

Il mercato energetico europeo di domani non può più essere guidato unicamente dalle logiche dell'offerta: deve incoraggiare anche la sospensione temporanea volontaria dei consumi industriali e domestici (utile per equilibrare l'utilizzo della rete nei momenti di massima domanda), sfruttando al meglio le nuove funzionalità legate alle reti e ai contatori intelligenti. Il CESE auspica dunque che, a livello europeo, si elaborino meccanismi di capacità coordinati in grado di ridurre i picchi di consumo, di rendere sicuro il funzionamento dei sistemi elettrici europei (in particolare durante i picchi di consumo) e di stimolare la riduzione del consumo di elettricità.

3.10

Il CESE auspica un vero dibattito europeo sulla transizione energetica, la sua posta in gioco, i suoi costi e la sua organizzazione fra gli Stati membri. L'Europa non può essere la somma di 27 politiche energetiche gestite in modo egoistico: l'Unione deve essere capace di valutare le ripercussioni che le scelte operate da un paese hanno negli altri paesi. La partecipazione della società civile è fondamentale al riguardo, e l'esistenza di diverse sedi di discussione è una cosa positiva. È necessario un vero dialogo europeo sull'energia cui partecipino tutte le parti interessate, in particolare negli Stati membri, in conformità con la dimensione europea del settore.

Bruxelles, 13 febbraio 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU C 191, del 29.6.2012, pagg. 11-17.


9.5.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 133/30


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di decisione recante deroga temporanea alla direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità»

COM(2012) 697 final — 2012/0328 (COD)

2013/C 133/06

Relatore: PEZZINI

Il Consiglio, in data 5 dicembre 2012, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 192, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di decisione recante deroga temporanea alla direttiva 2003/87/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un sistema per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella Comunità

COM(2012) 697 final - 2012/328 (COD).

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha affidato l'elaborazione del proprio rapporto al relatore PEZZINI e ha formulato il proprio parere in data 29 gennaio 2013.

Alla sua 487a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 febbraio 2013 (seduta del 13 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 136 voti favorevoli e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ribadisce con convinzione, come per altro ha affermato in altri pareri, che è fondamentale, per la lotta al cambiamento climatico globale e per la competitività del settore aereo europeo, una soluzione globale sullo scambio delle emissioni, accompagnata da un Cielo unico europeo, che funzioni, e da una serie di regolamentazioni, coerenti con tali obiettivi.

1.2

Il Comitato plaude quindi all'iniziativa, che prevede la moratoria nell'applicazione del sistema ETS (Emissions Trading System) alle compagnie aeree, in arrivo e in partenza dallo Spazio economico europeo (SEE), in attesa della conclusione dei negoziati globali.

1.3

Il CESE, tuttavia, reputa importante che tutte le regioni del mondo raggiungano un accordo per limitare le emissioni di CO2 nei voli intraregionali.

1.4

Il Comitato sottolinea i rischi per la competitività del trasporto europeo. Durante questa moratoria, prevista per il SEE, i passeggeri dei voli intracomunitari saranno tassati, mentre non lo saranno i restanti passeggeri.

1.5

Il Comitato chiede quindi che il Consiglio e il Parlamento, sostenuti dalla Commissione, diano un forte impulso per una soluzione rapida, basata su di un approccio globale, evitando ingiuste penalizzazioni e distorsioni della concorrenza, con perdite di sviluppo competitivo e occupazionale, in palese contrasto con la strategia, da tutti condivisa, di Europa 2020.

2.   Introduzione

2.1

La direttiva europea 2008/101/CE, che include anche il settore aereo, compresi i vettori dei Paesi extra UE, nel sistema europeo di scambio delle quote di CO2 (Emissions Trading System, ETS), a partire dal 2012, è stata giudicata legittima da una recente sentenza dalla Corte di giustizia UE, in merito a un ricorso di alcune compagnie aeree nordamericane, che ritenevano che la normativa europea violasse vari accordi internazionali (1).

2.2

Secondo la Corte «l'applicazione del sistema di scambio di quote di emissioni ai trasporti aerei non viola, né i principi di diritto internazionale consuetudinario invocati, né l'Accordo Open Skies». La legislazione europea, quindi, persegue gli obiettivi del Protocollo di Kyoto, che prevedeva un accordo sui gas serra degli aerei, in seno all'organizzazione delle Nazioni Unite, ICAO (International Civil Aviation Organization).

2.3

Come risposta ai progressi sui negoziati internazionali, e per creare un'atmosfera positiva intorno ad essi, la Commissione intende esentare, temporaneamente, i voli non europei dall'ETS.

2.4

L'ETS prevede attualmente che, alle aziende sottoposte a obbligo di riduzione delle emissioni siano rilasciati dei crediti equivalenti alle tonnellate di CO2 che possono emettere, con un'assegnazione decrescente di anno in anno. Alle aziende che saranno riuscite a ridurre più dell'obbligo verranno attribuiti diversi crediti, che potranno rivendere a quelle meno virtuose e più bisognose. La direttiva ETS era stata estesa, dal 2012, anche al settore aereo, e per tutti i voli in arrivo o in partenza da un aeroporto europeo, con l'obbligo di contabilità delle emissioni e di partecipare al meccanismo ETS, con la scadenza dell'aprile 2013 per la prima restituzione di quote.

2.5

Per facilitare il raggiungimento di un accordo globale, in sede ICAO, era necessaria una deroga temporanea alla direttiva comunitaria ETS, per garantire che non si prendessero provvedimenti contro gli operatori aerei che non rispettavano gli obblighi di rendicontazione e di conformità della direttiva sorti prima del 1ogennaio 2014, in relazione ai voli in arrivo e in partenza dall'UE, per attività con destinazione o in partenza da aeroporti esterni all'UE.

2.6

Il percorso proposto potrebbe, però, ridurre la competitività del trasporto aereo europeo, rispetto a quello internazionale, proprio in un momento di recessione dell'economia: il «congelamento», per un anno, della normativa ETS, in attesa di una regolamentazione internazionale sulle emissioni prodotte dal trasporto aereo (Market Based Mechanism (MBM) a livello mondiale), non riguarderebbe il trasporto aereo intraeuropeo.

2.7

Proprio al fine di evitare tali penalizzazioni e distorsioni di concorrenza, il Comitato sostiene che questa deroga sia strettamente temporanea e si applichi unicamente agli operatori aerei che non hanno ricevuto o che hanno restituito tutte le quote a titolo gratuito, in relazione a tali attività, nel 2012. Per la stessa ragione, tali quote non dovrebbero essere prese in considerazione ai fini del calcolo dei relativi diritti.

3.   La proposta della Commissione

3.1

La proposta di decisione mira a:

sospendere i termini, rinviando temporaneamente l'applicazione degli obblighi dello scambio di emissioni (ETS), degli operatori di aeromobili, che gestiscono voli in arrivo e in partenza nel SEE;

garantire che non si prendano provvedimenti contro gli operatori aerei, che organizzano voli in arrivo e in partenza dal SEE, che non rispettano gli obblighi di rendicontazione e di conformità, sorti prima del 1ogennaio 2014, previsti dalla direttiva 2008/101/CE;

continuare ad applicare integralmente la normativa ETS, per i voli tra aeroporti situati nel SEE, nell'ambito dell'impegno comune a lottare contro i cambiamenti climatici.

3.2

La proposta intende inoltre evitare distorsioni di concorrenza, applicando questa deroga unicamente agli operatori aerei che non hanno ricevuto o che hanno restituito tutte le quote a titolo gratuito, in relazione a tali attività, nel 2012.

4.   Osservazioni

4.1

Il Comitato ha già sostenuto, in un suo precedente parere, che è fondamentale, per il settore aereo europeo:

una soluzione globale sullo scambio delle emissioni,

un Cielo unico europeo, che possa funzionare al meglio, e

una opportuna regolamentazione.

«La creazione di un Cielo unico europeo è indispensabile, anche per assicurare la competitività dell'industria aeronautica dell'UE sul mercato mondiale» (2), tenuto conto che il settore aereo rappresenta una grossa componente economica dell'economia europea, con 748 milioni di passeggeri all'anno, con più di 11 milioni di tonnellate di merci trasportate, con un contributo al PIL di 359 miliardi e con più di 5 milioni di addetti.

4.2

Il Comitato condivide quindi la decisione di applicare una moratoria all'attuazione del sistema ETS alle compagnie aeree in arrivo e in partenza dal SEE, con lo scopo di arrivare alla conclusione di negoziati globali, ma ritiene che tutte le regioni del mondo debbano raggiungere un accordo per attuare il sistema ETS anche nei loro voli intraregionali.

4.3

Il Comitato sottolinea i rischi che potrebbero nascere per la competitività del trasporto europeo. Nel periodo in cui sarà in vigore la moratoria sul sistema ETS, i passeggeri dei voli intracomunitari saranno tassati, in ossequio alle giuste esigenze di natura ambientale, mentre i passeggeri degli altri Paesi non lo saranno.

4.4

Alla luce delle considerazioni esposte, il Comitato chiede quindi che si arrivi a una soluzione rapida, sulla base di un approccio globale, evitando ingiuste penalizzazioni e distorsioni di concorrenza: la mancanza di una soluzione globale sullo scambio di emissioni rappresenterebbe, senz'altro, un freno per il mercato europeo, che resterebbe l'unico a sottostare a questo tipo di regolamentazione.

Bruxelles, 13 febbraio 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Corte di giustizia UE - Sentenza nella causa C-366/10 - Air Transport Association of America e a. / Secretary of State for Energy and Climate Change - Lussemburgo, 21 dicembre 2011.

(2)  Parere CESE 1391-2011, GU C 376 del 22.12.2011, pag. 38.


9.5.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 133/33


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati»

COM(2012) 628 final — 2012/0297 (COD)

2013/C 133/07

Relatore: ZBOŘIL

Il Parlamento europeo, in data 19 novembre 2012, e il Consiglio, in data 16 novembre 2012, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 192, paragrafo 1, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2011/92/UE concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati

COM(2012) 628 final - 2012/0297 (NLE).

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 29 gennaio 2013.

Alla sua 487a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 febbraio 2013 (seduta del 13 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 116 voti favorevoli, 11 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si rallegra per il contributo dato dal concetto di valutazione di impatto ambientale (VIA) al miglioramento della situazione ambientale negli Stati membri e nell'UE in generale.

1.2

La capacità di adottare decisioni valide riguardo all'impatto ambientale di un progetto dipende, in larga misura, dalla qualità e dall'indipendenza delle informazioni utilizzate nella documentazione relativa alla VIA e dalla qualità della documentazione stessa. Per valutare la qualità si deve applicare il principio di proporzionalità, e la qualità deve essere richiesta anche alle autorità competenti, a seguito di un dialogo costruttivo con la società civile.

1.3

Il CESE reputa indispensabile far rilevare che i progetti delle piccole e medie imprese possono incontrare degli ostacoli in termini di oneri tanto a livello finanziario quanto, essenzialmente, a livello di tempi, specialmente nei casi in cui, nell'esigere soluzioni alternative di gestione dei progetti, non venga rispettato il principio di proporzionalità.

1.4

La flessibilità e la proporzionalità nell'attuazione della direttiva VIA dovrebbero consentire di integrare le procedure di autorizzazione ambientale e quelle relative ai permessi di urbanismo per i progetti il cui impatto ambientale sia noto o previsto come di scarsa entità. Il CESE approva e sostiene le iniziative della Commissione volte ad assicurare una maggiore certezza giuridica per i partecipanti al processo VIA.

1.5

Il CESE accoglie con grande favore la proposta di precisare le scadenze delle fasi principali stabilite dalla direttiva (consultazione pubblica, decisione successiva allo screening, decisione definitiva in merito alla VIA) e di introdurre un meccanismo atto a garantire l'armonizzazione e il coordinamento delle procedure VIA in tutta l'UE.

1.6

Secondo il CESE, il monitoraggio dovrebbe essere imposto nella decisione sulla VIA soltanto in casi motivati e nella misura strettamente necessaria.

1.7

Riguardo alla proposta di inserire un «adattamento della VIA a nuove sfide», il CESE osserva che tale estensione dell'ambito di applicazione della direttiva andrebbe adottata per tutti i progetti con un impatto previsto sugli aspetti di protezione ambientale sottoposti a valutazione, dando un grande rilievo al principio di proporzionalità e distinguendo chiaramente le diverse fasi di preparazione e realizzazione del progetto proposto.

1.8

Il CESE sostiene il diritto dei cittadini all'accesso all'informazione e alla partecipazione al processo VIA. Al tempo stesso, tuttavia, invita a stabilire le regole procedurali di valutazione dell'impatto ambientale dei progetti in modo tale da evitare che le disposizioni della direttiva VIA siano soggette ad abusi a fini di corruzione e che le scadenze vengano indebitamente prorogate. Il CESE auspica che il trattamento delle denunce avvenga entro un termine ragionevole nell'interesse di tutte le parti coinvolte.

2.   Il documento della Commissione

2.1

La direttiva 2011/92/CE, che ha armonizzato i principi per la valutazione ambientale dei progetti tramite l'introduzione di requisiti minimi, contribuisce a garantire un livello elevato di protezione dell'ambiente e della salute umana.

2.2

È necessario modificare la direttiva 2011/92/UE per rafforzare la qualità della procedura di valutazione ambientale, snellire le varie fasi della procedura e rafforzare la coerenza e le sinergie con altre normative e politiche dell'Unione, come anche con le strategie e le politiche definite dagli Stati membri in settori di competenza nazionale.

2.3

Le misure adottate al fine di evitare, ridurre e se possibile compensare eventuali effetti negativi significativi di un progetto sull'ambiente dovrebbero contribuire ad evitare qualsiasi deterioramento della qualità dell'ambiente e qualsiasi perdita netta in termini di biodiversità, in conformità con gli impegni assunti dall'Unione nel contesto della convenzione e con gli obiettivi e le azioni contenute nella strategia dell'UE per la biodiversità fino al 2020.

2.4

I cambiamenti climatici continueranno a causare danni all'ambiente e a compromettere lo sviluppo economico. Pertanto, occorre promuovere la resilienza economica, ambientale e sociale dell'Unione, così da far fronte in modo efficiente ai cambiamenti climatici su tutto il territorio dell'UE. In molti settori della legislazione dell'Unione occorre concentrarsi sulle risposte in materia di adattamento ai cambiamenti climatici e di attenuazione degli stessi.

2.5

L'applicazione della direttiva 2011/92/UE deve garantire un contesto competitivo per le imprese, in particolare quelle piccole e medie, al fine di favorire una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, in linea con gli obiettivi definiti nella comunicazione della Commissione dal titolo Europa 2020 – Una strategia per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.

2.6

La relazione ambientale, che compete al committente, deve includere la valutazione di alternative ragionevoli pertinenti al progetto proposto, compresa la probabile evoluzione della situazione dell'ambiente in caso di mancata attuazione dello stesso (scenario di base), come mezzo per migliorare la qualità del processo di valutazione e per consentire l'integrazione delle considerazioni ambientali nelle prime fasi del processo di definizione del progetto.

2.7

Al fine di assicurare trasparenza e responsabilità, le autorità competenti dovrebbero essere tenute a documentare la propria decisione di concedere l'autorizzazione per un progetto precisando inoltre di aver preso in considerazione i risultati delle consultazioni effettuate e le informazioni raccolte.

2.8

Occorre definire scadenze per le diverse tappe della valutazione ambientale dei progetti, al fine di favorire un processo decisionale più efficiente e aumentare la certezza del diritto, tenuto conto anche della natura, complessità, ubicazione e delle dimensioni del progetto proposto. Tali scadenze non dovrebbero in alcun caso compromettere la presenza di elevati standard per la protezione dell'ambiente, in particolare quelli risultanti da altre normative ambientali dell'Unione, nonché l'effettiva partecipazione del pubblico e l'accesso alla giustizia.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE si rallegra per il contributo dato dal concetto di VIA al miglioramento della situazione ambientale negli Stati membri e nell'UE in generale. Tale concetto costituisce uno strumento trasversale della politica ambientale e del sistema giuridico dell'UE e degli Stati membri e traduce nella pratica il quadro regolamentare di tale politica.

3.2

La proposta della Commissione di un ulteriore miglioramento del sistema di valutazione dell'impatto ambientale dei progetti si basa sulla grande esperienza maturata con le procedure VIA nei 27 anni trascorsi dall'adozione della prima direttiva (1). Inoltre, si è fatto ricorso a un processo di consultazione pubblica, le cui conclusioni hanno contribuito alla formulazione delle modifiche proposte e all'adeguamento delle disposizioni della direttiva codificata VIA 2011/92/UE (2), in modo da porre rimedio alle lacune, rispecchiare i cambiamenti e le sfide in atto sul piano ambientale e socioeconomico, nonché tenere conto dei principi della regolamentazione intelligente.

3.3

La capacità di adottare decisioni valide riguardo all'impatto ambientale di un progetto dipende, in larga misura, dalla qualità delle informazioni utilizzate nella documentazione relativa alla VIA e dalla qualità della procedura stessa. La «qualità» dovrebbe essere obiettivamente definita, e i requisiti in materia fissati in base al principio di proporzionalità, ossia la qualità e l'ampiezza delle informazioni disponibili nella fase in cui viene stabilita la destinazione dei suoli. Oltre alla qualità e all'indipendenza delle informazioni, si dovrebbe esigere la competenza dei soggetti partecipanti alla procedura, che dovrebbe essere costantemente migliorata dalle autorità competenti. Il CESE sottolinea che sarebbe auspicabile definire le circostanze nelle quali i cittadini possono chiedere una controperizia.

3.4

Mentre non è possibile adottare un approccio uniforme, poiché ciascun progetto proposto ha un'interazione specifica con il proprio contesto, occorre rafforzare i principi fondamentali che garantiscono dati di migliore qualità per definire le informazioni di base e valutare gli effetti potenziali, le alternative e, più in generale, la qualità dei dati. Alla flessibilità (in termini di proporzionalità dei requisiti) spetta un ruolo decisivo per l'efficacia delle procedure VIA. Tale principio è anche la condizione fondamentale per rafforzare la coerenza con altri strumenti di diritto UE e semplificare le procedure al fine di ridurre gli oneri amministrativi superflui.

3.5

Il rafforzamento dell'attuazione deve rappresentare una priorità e dovrebbe essere disciplinato da un quadro europeo comune, che consenta tuttavia la necessaria flessibilità e adattabilità, in particolare, alle esigenze specifiche locali e regionali in materia di protezione della salute e dell'ambiente. Al tempo stesso, nel caso della valutazione degli impatti transfrontalieri dei progetti, occorre che tale quadro sia sufficientemente definito e comprensibile in modo da evitare che entrino in gioco interessi non legittimi.

3.6

Per le valutazioni da realizzare a livello locale, regionale e nazionale occorre poter accedere a dati di buona qualità sul piano strategico, in modo da disporre di un contesto per procedere alla valutazione di un determinato progetto. La responsabilità della raccolta di tali dati e della loro messa a disposizione per le procedure di valutazione in tutti i settori deve essere assunta dall'amministrazione statale.

3.7

Il CESE si rallegra per il fatto che la Commissione, nella fase preparatoria, abbia preso in considerazione diverse alternative per le modifiche necessarie alla direttiva VIA e, dopo un'ampia analisi, abbia elaborato la proposta sulla base di un'alternativa i cui oneri economici e vantaggi per l'ambiente risultano entrambi proporzionati secondo tale valutazione d'impatto. Tuttavia il CESE reputa indispensabile richiamare l'attenzione sul fatto che i progetti delle piccole e medie imprese possono incontrare degli ostacoli in termini di oneri tanto a livello finanziario quanto, essenzialmente, a livello di tempi - specialmente nei casi in cui siano richieste soluzioni alternative di gestione dei progetti - il cui impatto rischia di essere addirittura fatale per il progetto.

3.8

La flessibilità e la proporzionalità nell'attuazione della direttiva VIA dovrebbero consentire di integrare le procedure di autorizzazione ambientale e quelle relative ai permessi di urbanismo per i progetti con un impatto ambientale, noto o previsto, di scarsa entità, in modo da evitare ritardi sproporzionati e inutili nell'intera filiera delle procedure di autorizzazione. Tale raccomandazione appare urgente soprattutto in questo momento, in cui sono in via di autorizzazione le reti transeuropee essenziali per l'integrazione dei mercati dell'elettricità e del gas e per lo sviluppo delle infrastrutture di trasporto.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Il CESE approva pienamente l'intento della Commissione di rafforzare, grazie alla modifica proposta della direttiva VIA, la coerenza delle norme giuridiche dell'UE, tra l'altro precisando le definizioni dei concetti essenziali laddove necessario. Tuttavia, il committente e l'autorità competente dovrebbero valutare e approvare insieme, per ogni progetto concreto, un elenco di informazioni appropriate e criteri di selezione necessari per la specifica VIA, in base al principio di proporzionalità.

4.2

Il CESE approva altresì la proposta di precisare le scadenze delle fasi principali stabilite dalla direttiva (consultazione pubblica, decisione successiva allo screening, decisione definitiva in merito alla VIA) e di introdurre un meccanismo simile a uno sportello unico per garantire il coordinamento o lo svolgimento simultaneo della VIA e delle valutazioni ambientali. È però controproducente consentire alle autorità competenti di prorogare di altri tre mesi il termine iniziale di tre mesi per lo svolgimento dello screening obbligatorio. È assolutamente necessario armonizzare il processo nell'intera UE, e il termine di massimo tre mesi più uno per la presentazione delle conclusioni da parte dell'autorità competente appare adeguato.

4.3

Il CESE approva la proposta di consentire allo Stato membro di non effettuare la VIA nei casi di emergenza, qualora ciò sia necessario e motivato. Il CESE approva altresì le iniziative della Commissione volte a una maggiore trasparenza e responsabilità nonché la richiesta che le autorità competenti siano tenute a documentare le proprie decisioni (sia positive che negative) relative a progetti specifici.

4.4

Il CESE approva e sostiene le iniziative della Commissione volte ad assicurare una maggiore certezza giuridica per i partecipanti al processo VIA. Il CESE è tuttavia convinto che, per conseguire tale obiettivo specifico, occorra adottare delle scadenze vincolanti non soltanto per le singole tappe del processo VIA, ma anche per il completamento dell'intero processo e per la decisione in merito ai progetti proposti. È particolarmente importante limitare il rischio di abusi nelle fasi costituenti del processo VIA, che ritardano indebitamente le decisioni e riducono la certezza giuridica per i partecipanti al processo.

4.5

Per quanto riguarda il ricorso ad alternative, un tema che è stato discusso spesso e in diverse sedi, il CESE raccomanda di procedere con grande cautela. È chiaro che il cosiddetto «scenario di base» ha la sua giustificazione e logica, che è particolarmente importante per gli investimenti nel rinnovamento. Il numero adeguato di alternative e i dettagli relativi alla loro elaborazione dovrebbero rispecchiare le dimensioni e il carattere dei progetti ed essere concordati in via preliminare con le autorità competenti.

4.6

Tra i punti che richiedono particolare attenzione ai fini del rafforzamento dell'attuazione, si possono citare i seguenti:

garantire che il processo di screening non trascuri gli effetti sulla biodiversità, i quali spesso sono cumulativi e, date le loro dimensioni, sfuggono all'analisi, sebbene il loro impatto possa essere significativo;

assicurare la partecipazione pubblica fin dalle prime fasi del processo VIA;

chiarire le procedure per integrare pareri e competenze di terzi;

garantire l'indipendenza e la qualità delle dichiarazioni e valutazioni ambientali;

valutazione e chiarimento della procedura nei casi in cui le misure di attenuazione proposte non abbiano effetto e si registrino notevoli ricadute negative sull'ambiente;

assicurare l'effettiva applicazione delle misure di attenuazione proposte.

4.7

Un ulteriore problema è costituito dal requisito del monitoraggio: secondo il CESE, il monitoraggio dovrebbe essere imposto nella decisione sulla VIA soltanto nei casi debitamente motivati e nella misura necessaria per rintracciare gli effetti decisivi nella fase di costruzione di un progetto, in linea con l'articolo 8, paragrafo 2, della proposta di modifica. Gli obblighi di monitoraggio nella fase operativa dei progetti/installazioni sono stabiliti dall'attuale legislazione IPPC, e tali disposizioni restano in vigore anche nel quadro della direttiva sulle emissioni degli impianti industriali.

4.8

Riguardo alla proposta di inserire un «adattamento della VIA a nuove sfide», il CESE osserva che tale estensione dell'ambito di applicazione della direttiva andrebbe adottata per tutti i progetti con un impatto previsto sugli aspetti di protezione ambientale sottoposti a valutazione. Il CESE raccomanda di prendere in considerazione i seguenti aspetti:

4.8.1

nel settore della protezione della biodiversità gli effetti dei progetti dovrebbero essere valutati sia laddove essi avvengano su scala regionale, sia laddove l'impatto sarà locale. Mentre altri strumenti giuridici proteggono determinati aspetti dell'ambiente (come i parchi nazionali, le riserve naturali, Natura 2000, ecc.), è chiaramente necessario un processo di valutazione più globale, come quello previsto dalla VIA, che è disciplinato da disposizioni a livello sia nazionale sia UE.

4.8.2

I cambiamenti climatici rappresentano un fenomeno globale che comporta conseguenze a livello locale e pertanto richiede azioni a livello locale. Valutare i progetti dal punto di vista dell'effetto globale sul cambiamento climatico e far fronte al cambiamento climatico stesso rappresentano sfide di rilievo. Occorre applicare il principio di proporzionalità e fornire orientamenti a livello nazionale e locale. Nel settore della protezione del clima, quindi, la valutazione dovrebbe essere incentrata sull'impatto effettivo diretto dei progetti sul clima locale (uso del suolo, risorse idriche) e sugli effetti a livello regionale. Il CESE ritiene importante anche l'aspetto della valutazione del potenziale di attenuazione degli effetti previsti (locali, regionali e globali) dei cambiamenti climatici.

4.8.3

A tale proposito il CESE fa rilevare che il criterio proposto - emissioni di gas a effetto serra - per la valutazione dell'impatto dei singoli progetti sui cambiamenti climatici globali non è adeguato. Per tale ragione il CESE raccomanda di fornire orientamenti sull'attuazione di questo aspetto e di inserire anche una valutazione dell'impatto dei piani e dei programmi sui cambiamenti climatici nella fase della valutazione ambientale strategica (SEA).

4.8.4

La valutazione del rischio di calamità non dovrebbe essere incentrata su casi completamente ipotetici, oppure su ipotetiche combinazioni tra loro. Tale valutazione, nel rispetto del principio di proporzionalità, non rappresenta un requisito fondamentalmente nuovo, nella misura in cui continuerà a fare riferimento a calamità naturali potenzialmente prevedibili (inondazioni, incendi su larga scala, terremoti).

4.8.5

Il CESE giudica necessario inserire nella VIA una valutazione dell'uso delle risorse (naturali) nella filiera delle procedure di autorizzazione. L'efficienza nell'uso delle risorse è indubbiamente un principio economico interno di ogni progetto che aspiri a essere realizzato, ma l'attuale calo della biodiversità mostra che oltre a questo sono indispensabili misure proattive. Nella fase VIA, però, non sono disponibili informazioni sufficienti per una valutazione di questo tipo. Servono un orientamento e una raccolta di informazioni per valutare questo aspetto della VIA. Se la valutazione del consumo delle materie prime, delle risorse naturali e dell'energia negli investimenti produttivi è oggetto dell'autorizzazione integrata prevista dalla direttiva sulle emissioni degli impianti industriali, non si può dire altrettanto della perdita di biodiversità.

4.9

Il CESE sostiene il diritto dei cittadini all'accesso all'informazione e alla partecipazione al processo VIA. Al tempo stesso, tuttavia, invita a definire le regole procedurali sull'impatto ambientale dei progetti in modo tale da evitare che le disposizioni della direttiva VIA siano soggette ad abusi a fini di corruzione e che le scadenze vengano indebitamente prorogate. Il fatto che ci vogliano 27 mesi per prendere una decisione è assolutamente inaccettabile, e tale situazione contribuisce a screditare l'UE come uno spazio economico propizio per nuovi investimenti.

Bruxelles, 13 febbraio 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU L 175 del 5.7.1985, pagg. 40-48.

(2)  GU L 26 del 28.1.2012, pag. 1.


ALLEGATO I

al parere del Comitato economico e sociale europeo

I seguenti punti del parere della sezione sono stati modificati per tenere conto degli emendamenti adottati dall'Assemblea ma hanno ottenuto più di un quarto dei voti espressi (art. 54, par. 4, del Regolamento interno):

Punto 1.1 e 3.1 (messi ai voti contemporaneamente)

Il CESE si rallegra per il contributo notevole dato dal concetto di VIA al miglioramento, graduale ma significativo, della situazione ambientale negli Stati membri e nell'UE in generale. Tale concetto costituisce uno strumento trasversale della politica ambientale e del sistema giuridico dell'UE e degli Stati membri e traduce nella pratica il quadro regolamentare di tale politica.

Esito della votazione dell'emendamento

Voti favorevoli

:

55

Voti contrari

:

41

Astensioni

:

19

Punto 1.2 e 3.3 (messi ai voti contemporaneamente)

La capacità di adottare decisioni valide riguardo all'impatto ambientale di un progetto dipende, in larga misura, dalla qualità delle informazioni utilizzate nella documentazione relativa alla VIA e dalla qualità della procedura stessa. Il problema risiede tuttavia nelle modalità con cui la qualità viene intesa dai diversi partecipanti al processo. La «qualità» dovrebbe essere obiettivamente definita, e i requisiti in materia stabiliti in base al principio di proporzionalità, ossia la qualità e l'ampiezza delle informazioni disponibili nella fase della procedura territoriale. Oltre alla qualità delle informazioni, si dovrebbe esigere la competenza dei soggetti partecipanti alla procedura, che dovrebbe essere costantemente migliorata dalle autorità competenti.

Esito della votazione dell'emendamento

Voti favorevoli

:

65

Voti contrari

:

44

Astensioni

:

13

Punto 3.4

Non è quindi possibile adottare un approccio uniforme, poiché si tratta di un'interazione specifica di ciascun progetto proposto con il proprio contesto, e alla flessibilità (in termini di proporzionalità dei requisiti) spetta un ruolo decisivo per l'efficacia delle procedure VIA. Tale principio è anche la condizione fondamentale per rafforzare la coerenza con altri strumenti di diritto UE e semplificare le procedure al fine di ridurre gli oneri amministrativi superflui.

Esito della votazione dell'emendamento

Voti favorevoli

:

68

Voti contrari

:

51

Astensioni

:

11

Punto 4.6

Il seguente punto non figurava nel parere della sezione:

Tra i punti che richiedono particolare attenzione ai fini del rafforzamento dell'attuazione, si possono citare i seguenti:

garantire che il processo di screening non trascuri gli effetti sulla biodiversità, i quali spesso sono cumulativi e, date le loro dimensioni, sfuggono all'analisi, sebbene il loro impatto possa essere significativo;

assicurare la partecipazione pubblica fin dalle prime fasi del processo VIA;

chiarire le procedure per integrare pareri e competenze di terzi;

garantire l'indipendenza e la qualità delle dichiarazioni e valutazioni ambientali;

valutazione e chiarimento della procedura nei casi in cui le misure di attenuazione proposte non abbiano effetto e si registrino notevoli ricadute negative sull'ambiente;

assicurare l'effettiva applicazione delle misure di attenuazione proposte.

Esito della votazione dell'emendamento

Voti favorevoli

:

70

Voti contrari

:

54

Astensioni

:

8

Punto 4.7 (diventa 4.8)

Riguardo alla proposta di inserire un «adattamento della VIA a nuove sfide», il CESE osserva che tale estensione dell'ambito di applicazione della direttiva andrebbe adottata unicamente per progetti con un impatto previsto consistente e quantificabile sugli aspetti di protezione ambientale sottoposti a valutazione. Il CESE raccomanda di prendere in considerazione i seguenti aspetti:

Esito della votazione dell'emendamento

Voti favorevoli

:

69

Voti contrari

:

52

Astensioni

:

11

Punto 4.7.1 (diventa 4.8.1)

nel settore della protezione della biodiversità gli effetti dei progetti dovrebbero essere valutati soltanto laddove essi avvengano su scala almeno regionale, oppure laddove l'impatto locale interessi dei territori protetti da una legislazione speciale (come i parchi nazionali, le riserve naturali, Natura 2000, ecc.).

Esito della votazione dell'emendamento

Voti favorevoli

:

71

Voti contrari

:

56

Astensioni

:

5

Punto 4.7.2 (diventa 4.8.2)

I cambiamenti climatici rappresentano un fenomeno globale, mentre soltanto un numero molto ristretto di committenti è in grado di valutare con cognizione di causa i propri progetti dal punto di vista dell'effetto globale sul cambiamento climatico. Occorre pertanto applicare il principio di proporzionalità. Nel settore della protezione del clima, quindi, la valutazione dovrebbe essere incentrata sull'impatto effettivo diretto dei progetti sul clima locale (uso del suolo, risorse idriche) e sugli effetti a livello regionale. Il CESE ritiene importante anche l'aspetto della valutazione del potenziale di attenuazione degli effetti previsti (locali, regionali e globali) dei cambiamenti climatici.

Esito della votazione dell'emendamento

Voti favorevoli

:

84

Voti contrari

:

53

Astensioni

:

6

Punto 4.7.3 (diventa 4.8.3)

A tale proposito il CESE fa rilevare che il criterio proposto - emissioni di gas a effetto serra – per la valutazione dell'impatto dei singoli progetti sui cambiamenti climatici globali non è adeguato. Per tale ragione il CESE raccomanda di inserire una valutazione dell'impatto dei piani e dei programmi sui cambiamenti climatici nella fase della valutazione ambientale strategica (SEA), applicando il principio di proporzionalità, affinché sia abbandonata ogni idea di estendere il campo di applicazione della direttiva VIA alla problematica del cambiamento climatico globale.

Esito della votazione dell'emendamento

Voti favorevoli

:

74

Voti contrari

:

51

Astensioni

:

7

Punto 4.7.5 (diventa 4.8.5)

Il CESE giudica prematuro inserire nella VIA una valutazione dell'uso delle risorse (naturali) nella filiera delle procedure di autorizzazione. L'efficienza nell'uso delle risorse è indubbiamente un principio economico interno di ogni progetto che aspiri ad essere realizzato. Inoltre, nella fase VIA non sono disponibili informazioni sufficienti per una valutazione di questo tipo. La valutazione del consumo delle materie prime, delle risorse naturali e dell'energia negli investimenti produttivi è oggetto dell'autorizzazione integrata prevista dalla direttiva sulle emissioni degli impianti industriali.

Esito della votazione dell'emendamento

Voti favorevoli

:

78

Voti contrari

:

53

Astensioni

:

6


9.5.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 133/41


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce condizioni specifiche per la pesca degli stock di acque profonde nell'Atlantico nord-orientale e disposizioni relative alla pesca nelle acque internazionali dell'Atlantico nord-orientale e che abroga il regolamento (CE) n. 2347/2002»

COM(2012) 371 final – 2012/0179 (COD)

2013/C 133/08

Relatore: SOARES

Il Consiglio, in data 3 settembre 2012 e il Parlamento europeo, in data 11 settembre 2012, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce condizioni specifiche per la pesca degli stock di acque profonde nell'Atlantico nord-orientale e disposizioni relative alla pesca nelle acque internazionali dell'Atlantico nord-orientale e che abroga il regolamento (CE) n. 2347/2002

COM(2012) 371 final.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 29 gennaio 2013.

Alla sua 487a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 febbraio 2013 (seduta del 13 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 89 voti favorevoli, 3 voti contrari e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Per il Comitato economico e sociale europeo (CESE) è opportuno e urgente garantire la sostenibilità delle specie che vivono nelle acque profonde e proteggere i fondali marini. La complessità del problema esige una soluzione che si basi su dati completi e analisi scientifiche accurate. Occorre adottare un approccio precauzionale al fine di evitare attrezzi da pesca il cui impatto non è pienamente compreso e che rischiano di causare danni permanenti.

1.2

Il CESE ritiene inoltre che qualsiasi modifica introdotta in tali attività di pesca debba tener conto della sostenibilità ambientale e socioeconomica; da dette attività infatti dipende un gran numero di posti di lavoro, non solo in mare ma anche a terra e in definitiva ne va della sopravvivenza stessa delle comunità costiere. È necessario che tutte le parti interessate partecipino con spirito di collaborazione alle consultazioni e ai negoziati per la messa a punto di regimi di controllo appropriati per le operazioni di pesca, nonché alla loro applicazione e attuazione.

1.3

Se l'articolo concernente il ritiro delle autorizzazioni di pesca, anziché essere inserito come adesso al capo sui controlli figurasse al capo relativo alle stesse autorizzazioni, la proposta avrebbe, secondo il CESE, maggiore coerenza e si dissiperebbe qualsiasi tipo di confusione possibile sul ruolo degli osservatori scientifici citati allo stesso articolo, i quali non devono essere visti in nessun caso come dei controllori.

1.4

Il CESE insiste sulla necessità che qualsiasi misura venga adottata in quest'ambito sia basata sui risultati della ricerca scientifica, che finora sono stati ottimi.

2.   Antecedenti

2.1

La riforma della politica comune della pesca (PCP), intrapresa dalla Commissione europea (1) nel 2009 con il Libro verde in materia (2) prevede altre modifiche ai regolamenti che definiscono la PCP in determinate zone e/o per talune specie. Questa potrebbe essere un'eventuale interpretazione della proposta sulla quale verte il presente parere, proposta che, in un certo senso, estenderebbe alle attività di pesca nelle acque profonde dell'Atlantico nordorientale le modifiche che vengono generalmente stabilite per la PCP, in particolare i principi di sostenibilità e di ricerca scientifica come base per le attività di pesca.

2.2

La revisione del regolamento (CE) n. 2371/2002 del Consiglio del 20 dicembre 2002, contenuta nella proposta all'esame, persegue l'obiettivo di attuare il contenuto delle risoluzioni 61/105 e 64/72, adottate dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite e rivolte agli Stati e alle organizzazioni regionali del settore della pesca, affinché prendano le misure necessarie per garantire la protezione degli ecosistemi marini vulnerabili in acque profonde contro qualsiasi danno che possa provenire dalle attività di pesca, di modo che lo sfruttamento responsabile delle risorse divenga la regola generale di qualsiasi attività. La Commissione inoltre riconosce la necessità di correggere alcuni dei difetti individuati nell'applicazione del regolamento attuale durante il periodo in cui è stato in vigore.

2.3

Nel periodo intermedio, considerando i problemi individuati nel corso dell'attuazione pratica del regolamento (CE) n. 2371/2002, la Commissione ha pubblicato via via norme che in un certo qual modo hanno provveduto ad adeguare il contenuto del regolamento stesso.

2.4

In tale contesto, si può citare la comunicazione del 29 gennaio 2007. Nel documento la Commissione faceva riferimento agli stock di specie ittiche di acque profonde e alla differenza tra i TAC fissati e le catture effettuate, sottolineando che tale differenza era in parte dovuta alla mancanza di una buona base di conoscenze scientifiche per quanto concerne sia le specie elencate nel regolamento sia la capacità reale delle flotte che operano nelle acque dell'Atlantico nordorientale, le cui quote erano state fissate prima dell'adozione del regolamento. Nella stessa comunicazione, la Commissione giudicava necessario monitorare e controllare tali attività di pesca con l'ausilio dei sistemi VMS (vigilanza elettronica delle imbarcazioni via satellite).

2.5

Il regolamento (CE) n. 199/2008 che istituisce un quadro UE per la raccolta, la gestione e l'uso di dati nel settore della pesca tiene conto in un certo modo delle proposte della Commissione volte a definire, a livello dell'Unione, un programma che renda effettivo l'interesse di gestire e controllare la pesca su base scientifica.

2.6

Infine, il regolamento (UE) n. 1262/2012 stabilisce, per il 2013 e il 2014, le possibilità di pesca delle navi dell'UE per gli stock ittici di determinate specie di acque profonde e prevede l'obbligo di fissare piani di pesca ogni due anni. In esso vengono fissati i TAC e, cosa ancora più importante, la loro ripartizione.

3.   Analisi della proposta

3.1

Bisogna innanzi tutto riconoscere che per quanto concerne gli obiettivi perseguiti dal regolamento (CE) n. 2347/2002, i risultati non sono stati soddisfacenti, specie nei seguenti aspetti:

la vulnerabilità di molte delle popolazioni ittiche che vivono in acque profonde;

gli effetti negativi delle reti da traino di fondo negli ecosistemi marini vulnerabili;

gli elevati livelli di catture indesiderate;

la difficoltà di determinare un livello sostenibile di pressione nell'attività di pesca, a causa della mancanza di sufficienti dati scientifici.

3.2

Il CESE ritiene che la proliferazione di orientamenti su questo tema sin dal 2003, anno di entrata in vigore del regolamento, abbia potuto causare danni ambientali ed economici ai pescherecci; per tale motivo, e come principio generale alla base del dibattito sulla nuova proposta, è opportuno puntare alla semplificazione, alla stabilità legislativa e alla sicurezza giuridica per gli Stati membri e per gli operatori socioeconomici coinvolti.

3.3

Gli stock ittici che vivono in acque profonde possono essere sia specie bersaglio sia catture accessorie in altre attività di pesca. L'obiettivo generale della proposta è di garantire, nei limiti del possibile, uno sfruttamento sostenibile degli stock, riducendo al tempo stesso l'impatto ambientale delle attività e migliorando le informazioni di base per le valutazioni scientifiche. Per il raggiungimento di tale obiettivo, vengono stabilite diverse misure che verranno illustrate qui di seguito.

3.4   Sfruttamento sostenibile delle specie che vivono in acque profonde

3.4.1

Le possibilità di pesca verranno stabilite, come regola generale, sulla base di un indice di sfruttamento delle specie che sia coerente con il rendimento massimo sostenibile. Al fine di conseguire detta sostenibilità, sono previste diverse misure: innanzi tutto si definisce un sistema di autorizzazioni di pesca nell'ambito del quale ciascun operatore deve dichiarare il proprio interesse per una o più specie obiettivo tra quelle che figurano negli appositi elenchi. Il CESE osserva che gli elenchi della proposta all'esame, derivanti dagli accordi conclusi nell'ambito della Commissione per la pesca nell'Atlantico nordorientale (NEAFC), sono più estesi di quelli attuali in quanto includono attività di pesca che attualmente non sono presenti nelle disposizioni relative alle acque profonde. In secondo luogo, si rafforza l'importanza dell'informazione scientifica ma è opportuno evidenziare che la maggior parte degli Stati membri dispone di organismi e di strumenti scientifici che hanno portato avanti un lavoro esemplare, utile per conseguire una pesca sostenibile.

3.4.2

Le autorizzazioni di pesca sono un requisito obbligatorio per dedicarsi alle attività di pesca in acque profonde. Al termine di un periodo di transizione di due anni, saranno vietati gli attrezzi di pesca attualmente utilizzabili (reti da traino di fondo e reti da posta impiglianti). I pescherecci che si dedicano alla cattura di altre specie bersaglio potranno accedere a queste zone con un'autorizzazione di pesca in cui figurano le specie di acque profonde come catture accessorie, fino ad un limite prestabilito.

3.4.3

Attualmente, alcune specie (quali per es. il rombo giallo o lo scampo) possono essere pescati in modo sostenibile solo con attrezzi da traino. Il divieto di usare tali strumenti entro termini molto ravvicinati e senza aver negoziato con le parti interessate potrebbe provocare perdite economiche e di posti di lavoro in questo settore. Il CESE ritiene che una migliore conoscenza scientifica e una pesca controllata di tali specie consentirebbero, accanto ad altre misure tecniche di sostegno, uno sfruttamento sostenibile delle attività di pesca da un punto di vista ambientale, sociale ed economico. A tal fine si dovrebbe promuovere la diffusione di nuovi attrezzi con soluzioni tecniche che consentano di sostituire le attuali reti da traino di fondo con altri metodi di pesca in acque profonde.

3.5   Base scientifica

3.5.1

Questo obiettivo è un criterio trasversale di tutta la PCP: senza una conoscenza scientifica dell'ambiente marino e dei suoi habitat non si possono stabilire indici di sfruttamento che siano coerenti con un uso sostenibile degli habitat stessi. La gestione della pesca va effettuata in base ad indici determinati in funzione del rendimento massimo sostenibile.

3.5.2

Già nel parere in merito al Libro verde e nei pareri successivi in materia, il CESE si è espresso a favore di una migliore conoscenza scientifica dell'ambiente marino e dello stato degli stock ittici, proponendo che siano le organizzazioni regionali di pesca a coordinare la ricerca e la raccolta dei dati.

3.5.3

Il CESE inoltre sostiene la proposta formulata nel parere relativo al finanziamento della PCP (3), secondo cui devono essere gli organismi scientifici indipendenti, insieme ai pescatori o alle loro organizzazioni, a portare avanti tale attività. In tale contesto ribadisce la necessità di promuovere il capitale umano attraverso una formazione permanente, orientando in particolare i giovani ricercatori verso l'ambito marino.

3.6   Misure tecniche di gestione

3.6.1

Conformemente alla proposta all'esame, le possibilità di pesca, che fino ad ora potevano essere intese come limitazione dello sforzo di pesca o delle catture, vengono adesso intese esclusivamente come limitazione dello sforzo di pesca. A tale proposito, il CESE ribadisce che qualsiasi limitazione dovrà basarsi su motivazioni scientifiche.

3.6.2

Gli Stati membri definiranno misure per evitare un incremento sia della capacità di cattura sia delle catture accessorie di specie vulnerabili e per prevenire i rigetti.

3.6.3

Al fine di evitare trattamenti discriminatori nei confronti dei pescatori europei soggetti a quote o a limitazioni dello sforzo di pesca mentre i loro concorrenti di paesi terzi possono pescare senza limiti, il CESE esorta la Commissione a impegnarsi a fondo per la conclusione di accordi regionali di conservazione delle risorse vincolanti per tutte le parti.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Il CESE è d'accordo con la Commissione per quanto concerne i seguenti elementi della proposta all'esame:

gli ecosistemi e le specie che vivono in acque profonde sono particolarmente vulnerabili alle attività umane;

esiste già una cooperazione tra i pescatori e il mondo scientifico per la ricerca sull'ambiente e sulle specie marine in acque profonde; di fatto, gli scienziati prendono parte regolarmente alle attività delle flotte di pesca;

l'obiettivo principale della proposta dev'essere quello di garantire lo sfruttamento sostenibile degli stock ittici che vivono in acque profonde e di ridurre l'impatto ambientale di dette attività. Per tale motivo è opportuno disporre di informazioni più accurate, che servano di base alle valutazioni scientifiche e alle disposizioni legislative che saranno adottate sull'utilizzazione di tali acque;

un regime di licenze per la pesca in acque profonde è uno strumento adeguato per controllare l'accesso a queste attività.

4.2

D'altro canto, il CESE riconosce che gli attrezzi da traino possono costituire una minaccia non solo per le specie che vivono in acque profonde ma anche per il fondale marino delle zone vulnerabili. Tuttavia, questa tecnica non deve essere demonizzata poiché, se utilizzata in maniera adeguata, è la sola che consente di portare avanti altre attività di pesca senza per questo comprometterne la sostenibilità. Il CESE propone di definire criteri scientifici per stabilire i limiti di una sua utilizzazione.

4.3

In definitiva, per il CESE la proposta va nella direzione giusta ma occorre trovare un adeguato equilibrio tra la protezione degli habitat e delle specie vulnerabili e lo sfruttamento sostenibile delle risorse dal punto di vista economico, sociale e ambientale. Ritiene pertanto che la proposta di proibire l'uso degli attrezzi di fondo (reti da traino e reti impiglianti) potrebbe essere sproporzionata qualora non si tenesse conto delle valutazioni scientifiche.

4.4

Come alternativa al divieto, il CESE propone di applicare gli orientamenti internazionali per la gestione delle attività di pesca d'altura della FAO, la cui applicazione è stata valutata positivamente dalle Nazioni Unite in ambito internazionale e soprattutto nell'Unione europea. Accoglie inoltre favorevolmente il fatto che la Commissione riconosca la necessità di un sostegno finanziario per il passaggio a nuovi attrezzi di pesca e per la formazione degli equipaggi. Tale sostegno dovrà essere adeguato alla situazione di crisi economica e sociale in cui si trova l'Europa.

Bruxelles, 13 febbraio 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU C 181, del 21.6.2012, pagg. 183-195.

(2)  GU C 18, del 19.1.2011, pagg. 53-58.

(3)  GU C 299, del 4.10.2012, pagg. 133-140.


9.5.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 133/44


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Raccomandazione del Consiglio sull'attuazione degli indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri la cui moneta è l'euro»

COM(2012) 301 final

2013/C 133/09

Relatore: DELAPINA

La Commissione europea, in data 14 agosto 2012, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Raccomandazione di raccomandazione del Consiglio sull'attuazione degli indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri la cui moneta è l'euro

COM(2012) 301 final.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 gennaio 2013.

Alla sua 487a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 febbraio 2013 (seduta del 13 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 161 voti favorevoli, 3 voti contrari e 9 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la definizione di orientamenti generali in materia di politica economica per i paesi dell'area dell'euro, in quanto essi forniscono un quadro coerente per una maggiore integrazione e un coordinamento migliore e più efficiente.

1.2

Il Comitato condivide inoltre la scelta di formulare le raccomandazioni e di verificarne l'attuazione in maniera differenziata a seconda dello Stato membro. Ciò consentirà di tener conto delle differenze nei risultati economici e delle diverse cause della crisi in ciascun paese.

1.3

Il CESE desidera cogliere l'occasione offerta dalla raccomandazione sull'attuazione degli indirizzi di massima per segnalare la necessità di riformare la concezione stessa di politica economica, in particolare in vista della riformulazione degli orientamenti prevista per il 2014. Il Comitato ritiene che il mix di politiche macroeconomiche prevalente non sia equilibrato, in quanto trascura l'importanza della domanda e della giustizia distributiva. Certe riforme stanno facendo registrare segni di stabilizzazione dei mercati finanziari, e ciò dovrebbe consentire, nell'ambito dell'impostazione di politica economica seguita sinora, di porre una maggiore enfasi sulle politiche a favore della crescita e dell'occupazione. Tuttavia, la funzionalità del settore bancario e dei mercati finanziari non è ancora stata completamente ripristinata; inoltre, la politica di austerità non consente nemmeno l'adozione di un programma di espansione credibile per la riduzione del debito pubblico e della disoccupazione. Al contrario, la crisi si inasprisce – e invece di uscirne tramite la crescita, l'area dell'euro è precipitata in una doppia recessione (double dip recession) dalle profonde conseguenze non solo economiche, ma specialmente sociali. Trascurare tali conseguenze sociali significa, nel lungo periodo, compromettere ancora di più la crescita dell'economia europea.

1.4

Gli sforzi di stabilizzazione delle politiche nazionali sono condannati al fallimento se sono vanificati dalle tendenze dei mercati finanziari e dalla speculazione. Il Comitato invita pertanto ad adottare una regolamentazione più severa dei mercati finanziari, che venga estesa anche al settore bancario ombra e sia coordinata a livello del G-20, e a ridimensionare il sistema finanziario, che deve tornare a essere in linea con le esigenze dell'economia reale. Il CESE chiede un «rinnovamento dell'economia reale» in Europa, in cui l'attività imprenditoriale torni a prendere il sopravvento sulle ragioni speculative.

1.5

Una rete di sicurezza credibile e solidale, che si basi anche sull'edificio solido di una fiducia meritata, potrebbe fare in modo che ogni tentativo di speculazione ai danni dei paesi in difficoltà si rivelasse vano, consentendo così di ridurre i loro costi di finanziamento. Anche l'emissione di obbligazioni comuni europee, così come una minore dipendenza dalle agenzie di rating, possono contribuire alla diminuzione dei costi di finanziamento dei paesi colpiti dalla crisi.

1.6

Il risanamento delle finanze pubbliche, divenuto ormai una necessità imprescindibile soprattutto per una serie di motivi, come ad esempio i costi sostenuti per soccorrere le banche, per adottare misure di rilancio della congiuntura, nonché, in alcuni paesi, per lo scoppio delle bolle del settore degli alloggi e di quello immobiliare, presenta dei livelli di urgenza diversi e richiede un ventaglio di orizzonti temporali più ampio e più flessibile. Inoltre deve tener conto degli effetti che produrrà sulla domanda e deve esserne garantita la compatibilità con gli obiettivi della strategia Europa 2020 in materia di politica sociale e occupazione, poiché la crescita e l'occupazione sono i fattori centrali per la sua buona riuscita. Un disavanzo di bilancio contenuto è soprattutto il risultato, e non la premessa, di un'evoluzione macroeconomica favorevole e di una sana governance.

1.7

Un risanamento di bilancio sostenibile deve essere equilibrato, e prestare quindi la stessa attenzione da un lato all'equilibrio tra gli effetti sull'offerta e sulla domanda e, dall'altro, a quello tra le spese e le entrate. Il Comitato sottolinea che un quadro integrato di politica di bilancio («unione di bilancio») non deve far riferimento soltanto alle spese, ma deve comprendere anche le entrate pubbliche. Il Comitato chiede un riesame generale non solo della spesa, ma anche dei regimi fiscali, secondo un criterio di giustizia distributiva. Segnala una serie di possibili misure per potenziare il gettito fiscale con l'obiettivo di salvaguardare il finanziamento del livello auspicato dei sistemi sociali e degli investimenti pubblici avanzati. Sarebbe opportuno armonizzare le basi imponibili e i sistemi di calcolo delle imposte sulla base di analisi dettagliate dei diversi sistemi economici all'interno dell'UE. Ciò consentirebbe di evitare distorsioni della concorrenza nell'UE, invece di continuare a erodere le entrate pubbliche con una gara alla riduzione delle imposte.

1.8

Il Comitato invita a rivalutare i moltiplicatori di bilancio alla luce della vasta ricerca internazionale, da cui emerge che, in una situazione di recessione, i moltiplicatori di bilancio variano da paese a paese ed il loro impatto sulla crescita economica e sull'occupazione è molto più negativo di quanto non si ritenesse. La politica dovrebbe sfruttare maggiormente il fatto che i moltiplicatori negativi del reddito e dell'occupazione risultanti dalle misure adottate sul versante delle entrate sono generalmente inferiori rispetto a quelli dei tagli alle spese, in particolare quando tali misure sul versante delle entrate interessano fasce della popolazione con una propensione al consumo inferiore. Ciò potrebbe generare, mediante riassegnazioni con effetti neutri sui saldi di bilancio, opportunità di creare occupazione e domanda, liberando risorse a favore di misure espansive, come i programmi di formazione e occupazione o gli investimenti nell'industria, nella ricerca e nei servizi sociali. Questo, a sua volta, potrà contribuire a rinsaldare la fiducia delle imprese e dei consumatori – cosa di cui vi è un urgente bisogno.

1.9

Queste misure espansive consentirebbero inoltre di stimolare le importazioni soprattutto nei paesi in surplus, e il loro coordinamento a livello UE comporterebbe notevoli guadagni di efficienza, in quanto la quota delle importazioni dell'intera area dell'euro (quindi nei confronti dei paesi terzi) è notevolmente più bassa rispetto a quella di ciascuna economia nazionale considerata singolarmente.

1.10

Nell'eliminazione degli squilibri esterni, i paesi in surplus sono tenuti, per mantenere la necessaria simmetria, a distribuire ad ampie fasce della popolazione i profitti ricavati dalle esportazioni sottoforma di maggiore benessere. Così facendo, la loro effettiva domanda interna aumenterebbe, contribuendo inoltre alla riduzione dei loro «disavanzi di importazioni».

1.11

Oltre al necessario riorientamento del mix di politiche macroeconomiche, anche l'attuazione di riforme strutturali socialmente accettabili può rafforzare la domanda e rendere più efficiente l'economia.

1.12

In generale concentrarsi sulla competitività a livello dei prezzi nel tentativo di eliminare gli squilibri esterni, spesso legandola alla richiesta di moderazione salariale, non è una soluzione efficace. Misure di contenimento salariale per promuovere le esportazioni in tutti i paesi dell'area dell'euro non solo hanno gravi effetti a livello di ridistribuzione dei redditi, ma riducono anche la domanda complessiva, generando una spirale discendente, da cui tutti i paesi escono perdenti.

1.13

Il Comitato rinnova il suo appello ad adottare una politica salariale che sfrutti appieno il margine di manovra nell'ambito della produttività, e rifiuta ogni disposizione e intervento statale - del tutto inaccettabili - nella contrattazione collettiva autonoma.

1.14

Esistono altri fattori di costo, spesso più significativi dei salari, che vengono per lo più trascurati, L'importanza dei fattori non di prezzo per la competitività viene spesso passata sotto silenzio. Tuttavia, l'Europa potrà imporsi nella concorrenza globale soltanto se adotterà una strategia di alto profilo (high-road) basata sulla creazione di valore aggiunto di elevata qualità, mentre una strategia di basso profilo (low-road), caratterizzata da una concorrenza basata sulla gara alla riduzione dei costi con le altre regioni del mondo, sarebbe destinata a fallire.

1.15

Nel complesso, grazie agli stabilizzatori automatici del sistema di sicurezza sociale, il modello sociale europeo ha favorito la gestione della crisi sostenendo la domanda e la fiducia. Un indebolimento di questo sistema rischia di far scivolare l'Europa in una profonda depressione, paragonabile a quella degli anni Trenta del secolo scorso.

1.16

In linea generale, il Comitato sollecita un rafforzamento del ruolo delle parti sociali a livello nazionale ed europeo, nonché un'intensificazione del coordinamento della politica salariale a livello europeo, ad esempio tramite la valorizzazione del dialogo macroeconomico, che andrebbe introdotto anche nell'area dell'euro. La riformulazione degli orientamenti dovrebbe tener conto del fatto che i paesi con un buon funzionamento del partenariato sociale sono riusciti ad ammortizzare meglio le conseguenze della crisi rispetto agli altri.

1.17

Il Comitato rinnova inoltre la sua richiesta affinché le parti sociali e le altre organizzazioni rappresentative della società civile siano coinvolte quanto prima e nella misura più ampia possibile nel processo di elaborazione delle politiche. Le trasformazioni e le riforme necessarie potranno essere coronate da successo ed essere accettate soltanto se la ripartizione degli oneri verrà percepita come equa.

1.18

In sintesi, si può affermare che l'Europa ha bisogno di un nuovo modello di crescita, che sia caratterizzato dalla lotta all'inaccettabile livello di disoccupazione e da un adeguato margine di manovra per gli investimenti nel futuro e per gli investimenti sociali ed ecologici, attraverso i quali si generano crescita e domanda. Si devono rafforzare i sistemi sociali, tramite una redistribuzione delle risorse di bilancio e la garanzia di una base di gettito sufficiente nel rispetto della giustizia distributiva, allo scopo di aumentare le forze produttive e stabilizzare la domanda e la fiducia. Un modello di crescita di questo tipo renderà inoltre possibile il consolidamento sostenibile delle finanze pubbliche.

2.   Contesto

2.1

La «Raccomandazione del Consiglio del 13 luglio 2010 sugli orientamenti di massima per le politiche economiche degli Stati membri e dell'Unione» ha stabilito una serie di orientamenti che resteranno invariati fino al 2014, cosicché l'attenzione potrà essere incentrata sulla loro attuazione:

—   Orientamento 1: garantire la qualità e la sostenibilità delle finanze pubbliche

—   Orientamento 2: ovviare agli squilibri macroeconomici

—   Orientamento 3: ridurre gli squilibri nella zona euro

—   Orientamento 4: sfruttare al meglio il sostegno a R&S e all'innovazione, rafforzare il triangolo della conoscenza e liberare il potenziale dell'economia digitale

—   Orientamento 5: migliorare l'efficienza sotto il profilo delle risorse e ridurre le emissioni di gas a effetto serra

—   Orientamento 6: migliorare il clima per le imprese e i consumatori e ammodernare e sviluppare la base industriale per garantire il pieno funzionamento del mercato interno

2.2

In questo contesto, il 30 maggio 2012 la Commissione ha presentato la sua recente «Raccomandazione di raccomandazione del Consiglio sull'attuazione degli indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri la cui moneta è l'euro», che contiene un aggiornamento delle raccomandazioni sugli indirizzi generali della politica economica dell'area dell'euro. Inoltre, sono state elaborate raccomandazioni specifiche per tutti i 27 Stati membri dell'Unione. Il 6 luglio 2012 il Consiglio dell'Unione europea ha adottato i documenti corrispondenti.

3.   Considerazioni generali

3.1

Il CESE accoglie con favore gli sforzi della Commissione diretti a creare un quadro coerente per migliorare il coordinamento della politica economica a livello europeo, misura di cui vi è un'urgente necessità; essa è indispensabile se si vuole ritrovare stabilmente il sentiero della crescita e l'occupazione. Esiste infatti il rischio che alcune misure volte a correggere gli squilibri possano sì risultare sensate per un determinato paese preso singolarmente, ma essere controproducenti per l'area dell'euro nel suo complesso.

3.2

Ecco perché occorre osservare i problemi da una prospettiva europea e favorire una concezione e una comprensione europee. Il Comitato condivide pertanto la posizione della Commissione secondo cui una vera cooperazione in materia di politica economica necessita, almeno nell'Eurogruppo, di un'integrazione più profonda e di un coordinamento migliore e più efficace. In questo contesto occorre tener conto delle differenze nelle prestazioni economiche tra gli Stati membri (livello crescita del PIL, tassi di disoccupazione e tendenze in materia, volume e struttura del disavanzo di bilancio e del debito, spesa per la R&S, spese sociali, saldo della bilancia delle partite correnti, approvvigionamento energetico…).

3.3

L'attuale crisi, che dura ormai dal 2008, ha avuto origine negli Stati Uniti per poi propagarsi fino a divenire una crisi globale. Le sue conseguenze hanno fatto capire che l'architettura dell'unione monetaria aveva riposto un'eccessiva fiducia nelle forze di mercato e non aveva affrontato in maniera adeguata il pericolo degli squilibri. Come mostra l'andamento complessivo dei bilanci pubblici nell'area dell'euro fino al 2008, non è la scarsa disciplina di bilancio a essere, in generale, all'origine della crisi.

Rapporto debito/PIL in % (fonte: AMECO 2012/11)

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3.4

In media, nell'area dell'euro l'impennata dei livelli di disavanzo e del debito è stata determinata in primo luogo dal massiccio ricorso ai fondi pubblici per salvare il sistema finanziario e per sostenere la domanda e il mercato di lavoro, crollati per effetto della crisi finanziaria (1), così come dalla diminuzione delle entrate statali, dovuta in particolare al calo dell'occupazione. Questo aspetto è essenziale per l'elaborazione di strategie di politica economia, poiché una diagnosi errata porta a una cura sbagliata. Il CESE accoglie pertanto essenzialmente con favore la differenziazione per paese operata nel valutare l'attuazione degli orientamenti. Non esiste un approccio unico valido per tutti (one size does not fit all), poiché le cause della crisi variano radicalmente da uno Stato membro all'altro.

3.5

Il CESE desidera tuttavia cogliere l'occasione per segnalare la necessità di riformare la concezione stessa di politica economica; questo esercizio interessa non solo le revisioni annuali, ma è particolarmente importante anche per la prossima versione degli orientamenti di politica economica prevista per il 2014.

3.6

Il 2012 è stato per l'Europa il quinto anno di crisi. Poco dopo la definizione degli orientamenti attualmente in vigore, le previsioni dell'autunno 2010 della Commissione europea per l'area dell'euro stimavano una crescita del PIL dell'1,6 % e un tasso di disoccupazione del 9,6 % per il 2012. In quest'anno in realtà l'area dell'euro si è trovata in recessione, e il tasso di disoccupazione ha oltrepassato l'11 %, raggiungendo addirittura valori prossimi al 25 % in alcuni paesi.

3.7

Al contrario, l'economia degli Stati Uniti, con tassi attorno al 2 %, fa registrare una crescita sì moderata, ma costante, sostenuta da una politica monetaria ancora fortemente espansionista e dalla linea di politica sociale e fiscale adottata dal governo. I consumi, gli investimenti e la produzione industriale mostrano uno sviluppo robusto, al punto che il tasso di disoccupazione è notevolmente inferiore rispetto ai valori record dell'ottobre 2009 (2).

3.8

Mentre il «Piano europeo di ripresa economica» del 2008, che risentiva ancora del repentino crollo economico dovuto al fallimento della Lehman, riconosceva la necessità di rafforzare attivamente la domanda interna e la regolamentazione dei mercati, la politica economica è tornata ben presto a seguire la sua impostazione tradizionale. L'avvertimento ripetuto più volte, anche dal CESE, per sottolineare che l'Europa doveva uscire dalla crisi adottando una politica di crescita, e non una di austerità che l'avrebbe fatta precipitare in una nuova crisi, non è stato ascoltato, e la tanto temuta doppia recessione è divenuta realtà.

3.9

In primo luogo, il fallimento della politica economica europea è dovuto alla mancata stabilizzazione dei mercati finanziari. La forte volatilità, differenziali sugli interessi (spread) elevati, tassi di interesse a lungo termine eccessivi e le ampie riserve di liquidità delle banche indicano che, nonostante siano stati compiuti primi importanti passi verso un'unione bancaria, il funzionamento del sistema finanziario non è stato ancora ripristinato del tutto. L'incertezza che ne deriva per le imprese e i consumatori continua a frenare le possibilità di crescita.

3.10

In secondo luogo, la politica economica non è riuscita a combattere la scarsità della domanda interna ed esterna. Il drastico inasprimento delle prescrizioni per la politica di bilancio degli Stati membri, così come il passaggio troppo rapido e radicale a una politica di bilancio restrittiva, avvenuto contemporaneamente in tutti gli Stati membri, hanno indebolito tutte le componenti fondamentali della domanda interna. Ed è ovvio che anche gli stimoli alla crescita generati dalla domanda esterna siano molto limitati, dato che pure i principali partner commerciali – vale a dire gli altri Stati membri – seguono una linea di austerità analoga. All'indebolimento della domanda interna si aggiunge quindi la riduzione delle reciproche possibilità di esportazione.

3.11

L'attuale mix di politiche macroeconomiche, che trascura sia il versante della domanda che gli aspetti legati alla ridistribuzione, non è equilibrato. Si continua ad applicare la stessa politica che aveva già determinato il fallimento della strategia di Lisbona - neanch'essa aveva infatti prestato sufficiente attenzione alla scarsa domanda interna nei grandi Stati membri fondamentali e alle crescenti diseguaglianze nella distribuzione. Questa politica si concentra unilateralmente sul risanamento del bilancio e su una strategia di riduzione dei costi volta ad aumentare la competitività a livello dei prezzi. Il Comitato apprezza che la Commissione esiga un risanamento di bilancio favorevole alla crescita, come sottolineato anche in documenti successivi della Commissione e nell'analisi annuale della crescita 2013 (3); tuttavia questa richiesta pare esistere solo sulla carta, poiché i fatti non forniscono sinora alcuna prova della sua realizzazione.

3.12

La politica economica condotta a livello europeo non è riuscita ad adottare misure che consentano, nell'ambito di un programma di espansione credibile, la riduzione simultanea del debito pubblico e della disoccupazione. I tagli consistenti alla spesa pubblica, in particolare nel settore dello Stato sociale, così come gli aumenti delle imposte a carattere più generale hanno delle conseguenze disastrose su economie già in contrazione. Il reddito disponibile si riduce, e con esso anche la domanda dei consumatori, la produzione e l'occupazione. In questo modo la politica di austerità frena le entrate fiscali in maniera molto più forte di quanto previsto inizialmente, come ammesso anche dall'FMI nelle sue recenti previsioni (4). Questa situazione aggrava ulteriormente la recessione, determinando di conseguenza disavanzi di bilancio ancora più alti – un circolo vizioso, di cui non si intravede ancora la fine. Gli elevati costi economici e sociali sono percepibili sotto forma di un drammatico aumento della disoccupazione.

3.13

È chiaro che, soprattutto a causa dei costi sostenuti per soccorrere le banche, delle misure di rilancio della congiuntura e in alcuni paesi del crollo della bolla degli alloggi e immobiliare, occorreranno percorsi di risanamento differenti per ciascun paese al fine di garantire la sostenibilità delle finanze pubbliche. Il CESE segnala tuttavia che i programmi di abbattimento del debito devono essere compatibili con il rilancio economico e con gli obiettivi sociali e occupazionali definiti dalla strategia Europa 2020. Crescita e occupazione sono gli elementi centrali per il buon esito del risanamento, mentre le misure di austerità radicali, oltre a generare fratture sociali, potrebbero addirittura far aumentare il debito.

3.14

Il fatto che il Comitato si concentri, nel presente parere, principalmente sugli aspetti legati al mix di politiche macroeconomiche non deve sminuire l'importanza delle riforme strutturali. Riforme strutturali socialmente accettabili devono contribuire in particolare al rafforzamento della domanda e dell'efficienza in settori come la fiscalità, l'approvvigionamento energetico, l'amministrazione, l'istruzione, la sanità, l'edilizia abitativa, i trasporti e le pensioni; in tale contesto va tenuto conto al contempo della differenze di competitività tra i singoli paesi.

3.15

Anche le politiche strutturali e regionali dovrebbero porre l'accento sull'aumento della produttività, per consentire l'ammodernamento o lo sviluppo di un'economia sostenibile basata sull'industria e sui servizi. In generale, si può constatare che i paesi in cui l'industria ha un peso maggiore sul totale dell'economia sono stati colpiti meno duramente dalla crisi, fatto che consiglia corrispondenti strategie di industrializzazione.

3.16

Il Comitato intende tuttavia ampliare l'interpretazione più diffusa, talvolta un po' limitata, del concetto di «riforma strutturale». Nella richiesta di riforme strutturali si dovrebbero tener presenti ad esempio la struttura della regolamentazione dei mercati finanziari, la struttura del coordinamento dei regimi fiscali e la struttura delle spese e delle entrate pubbliche.

4.   Osservazioni specifiche

4.1   Il sistema finanziario

4.1.1

Il CESE condivide il punto di vista della Commissione, che pone l'accento sull'importanza della stabilizzazione e del corretto funzionamento del sistema finanziario. Garantire che i margini di manovra della politica economica non siano compromessi o annullati dalla speculazione sui mercati finanziari è infatti la premessa fondamentale per il successo di tutti gli interventi volti a superare ed evitare la crisi. Di conseguenza, occorre adottare una struttura di vigilanza chiara ed efficiente e una regolamentazione più severa dei mercati finanziari (anche del sistema bancario ombra), che presentano un rischio di destabilizzazione maggiore rispetto a una insufficiente competitività. Per evitare l'elusione delle disposizioni, le misure adottate a tal fine andrebbero coordinate in seno al G20. I mercati finanziari devono essere riportati a una dimensione ragionevole e devono tornare a essere al servizio dell'economia reale - non porsi come suoi concorrenti (5).

4.1.2

Per ridurre i costi di finanziamento dei paesi colpiti dalla crisi, gonfiati artificialmente con la speculazione, occorre puntare a una diminuzione della dipendenza dalle agenzie di rating private. Allo stesso tempo una rete di sicurezza credibile e solidale, basata anche sull'edificio solido di una fiducia meritata potrebbe fare in modo che ogni tentativo di speculazione contro i paesi in difficoltà si rivelasse vano, evitando così tale attività speculativa. Recentemente sono stati compiuti alcuni passi importanti in questa direzione (nuovo programma della BCE di acquisto del debito pubblico, entrata in vigore definitiva e piena operatività del MES, ecc.). Anche l'emissione di obbligazioni comuni europee, con condizioni quadro adeguate, può contribuire ad alleggerire la situazione del bilancio nei paesi in crisi (6).

4.1.3

Il Comitato segnala la necessità di spezzare il legame tra banche commerciali e debito pubblico. Inoltre, occorre invertire la tendenza alla frammentazione e alla rinazionalizzazione dei mercati finanziari stabilizzando questo settore. Anche un'intensificazione degli sforzi per la creazione di un'unione bancaria, insieme a strumenti efficaci per il risanamento e la risoluzione degli istituti di credito a livello europeo e nazionale (7), potrebbero contribuire alla stabilizzazione.

4.2   Bilanci pubblici

4.2.1

Un risanamento di bilancio sostenibile deve prestare attenzione non solo all'equilibrio tra gli effetti sulla domanda e sull'offerta, ma anche a quello tra le spese e le entrate. Inoltre, in molti paesi, il fattore lavoro è sottoposto a una pressione fiscale spropositata. È pertanto opportuno ripensare in generale non solo la spesa ma anche l'intero sistema fiscale, e in questo esercizio si dovranno prendere in considerazione le questioni di giustizia redistributiva tra diversi tipi di reddito e patrimonio. In questo senso, si deve esigere soprattutto il contributo di coloro che hanno approfittato in misura particolare di quegli sviluppi sbagliati dei mercati finanziari e dei pacchetti di salvataggio per le banche finanziati a spese dei contribuenti.

4.2.2

Sul versante delle entrate esistono varie possibilità di intervento per ottenere il necessario rafforzamento della base imponibile: l'introduzione dell'imposta sulle transazioni finanziarie (richiesta a più riprese dal Comitato) (8) e di tasse ambientali e sull'energia, la chiusura dei paradisi fiscali (9), una lotta decisa all'evasione fiscale, la tassazione dei grandi patrimoni, dei beni immobili e delle successioni, la tassazione delle banche per internalizzare i costi esterni (10), o ancora l'armonizzazione dei sistemi e delle basi imponibili per eliminare le distorsioni della concorrenza nell'UE, invece di continuare a erodere le entrate pubbliche con una corsa alle riduzioni delle imposte, come avvenuto sinora. Spesso si dimentica che un quadro integrato di bilancio («unione di bilancio») non si limita esclusivamente alla spesa pubblica, ma interessa anche il versante delle entrate.

4.2.3

In alcuni paesi è richiesto anche un netto miglioramento dell'efficienza del sistema di esazione delle imposte.

4.2.4

L'approccio tradizionale al risanamento di bilancio consiste nell'effettuare tagli alla spesa pubblica. L'idea che i tagli della spesa siano destinati ad aver maggior successo rispetto all'aumento delle entrate, resta un dogma non ancora dimostrato. Le esperienze concrete in paesi in crisi come la Grecia indicano che la speranza di ottenere i cosiddetti «effetti non keynesiani» è vana. Se la domanda interna nell'intera unione monetaria è indebolita dalla politica di austerità, i tagli operati alla spesa non avranno l'effetto di liberare risorse per gli investimenti privati (crowding-in) grazie a una crescita della fiducia. Inoltre, i tagli alla spesa, ad esempio nei sistemi sociali o nei servizi pubblici, hanno in genere un effetto regressivo in quanto accentuano la diseguaglianza distributiva e frenano i consumi. Tuttavia, esistono certamente anche margini di manovra per ridurre determinate spese non produttive, come ad esempio quelle nel settore degli armamenti.

4.2.5

La politica dovrebbe piuttosto sfruttare le grandi differenze che esistono tra gli effetti moltiplicatori delle diverse misure di politica di bilancio sul reddito e sull'occupazione. Quasi tutti gli studi empirici indicano che i moltiplicatori delle misure fiscali sono inferiori rispetto a quelli delle misure adottate sul versante della spesa. Una politica di aumento mirato delle entrate pubbliche potrebbe così liberare le risorse, urgentemente necessarie, per avviare ad esempio programmi a favore dell'occupazione, in particolare per i giovani.

4.2.6

Una tale riassegnazione di risorse senza alcun impatto sui saldi di bilancio consentirebbe di creare direttamente occupazione e domanda, senza gravare sui bilanci pubblici. Oltre agli effetti positivi sull'economia nazionale, queste misure, soprattutto se adottate in paesi in surplus, avrebbero effetti espansivi sull'intera unione monetaria, stimolando le importazioni.

4.2.7

Un coordinamento di tali misure espansive a livello UE risulterebbe ancora molto più efficiente, in quanto la quota delle importazioni dell'intera area dell'euro (quindi nei confronti ai paesi terzi) è notevolmente più bassa rispetto a quella di ciascuna economia nazionale considerata singolarmente.

4.3   Squilibri esterni

4.3.1

Il monitoraggio della bilancia delle partite correnti e delle sue componenti è un elemento necessario per poter (re)agire tempestivamente di fronte a una bassa produttività di uno Stato membro e dei problemi di finanziamento pubblico e privato che ne derivano. Nella correzione degli squilibri della bilancia commerciale, occorre tuttavia fare attenzione alla simmetria: le esportazioni di un paese corrispondono alle importazioni di un altro. Di conseguenza, lo squilibrio non va corretto soltanto operando una riduzione nei paesi in disavanzo, ma esigendo anche che i paesi che registrano degli avanzi stimolino le importazioni rafforzando la loro domanda interna, ed eliminino così i loro «deficit di importazioni».

4.3.2

Da una prospettiva europea, un'eccezione è rappresentata in particolare dal settore energetico, in cui, di fatto, il disavanzo della bilancia commerciale è elevato per tutti gli Stati membri (11). Una trasformazione ecologica del mercato interno europeo dovrebbe consentire di ridurre la dipendenza dalle importazioni di energia fossile, grazie allo sfruttamento intra-europeo di fonti proprie di energie alternative. Inoltre, il settore dell'energia solare offre in particolare alla regione dell'Europa meridionale la possibilità di migliorare i saldi commerciali intra-europei.

4.3.3

Nella lotta ai disavanzi esterni, si tende ad accordare un'importanza eccessiva al ruolo della competitività dei prezzi. Tuttavia, potrebbe essere pericoloso porre l'accento esclusivamente su questo aspetto: il «modello tedesco» (moderazione salariale per promuovere le esportazioni e frenare le importazioni) come ricetta valida contemporaneamente per tutti i paesi non può che innescare una spirale al ribasso (race to the bottom), vista l'elevata percentuale di commercio interno nell'area dell'euro.

4.3.4

Nella maggior parte dei casi, l'evoluzione eterogenea del costo unitario del lavoro viene vista come una delle principali cause della crisi - da qui la richiesta di ridurre tali costi. Indipendentemente dalle gravi conseguenze sulla ridistribuzione del reddito che una riduzione dei livelli salariali potrebbe avere, con un effetto di indebolimento della domanda, il punto è che in quest'analisi vengono trascurati altri importanti fattori di costo, come quelli relativi all'energia, ai materiali e ai finanziamenti (12).

4.3.5

A titolo di esempio, i costi unitari del lavoro in termini reali prima della crisi sono diminuiti in Portogallo, Spagna e Grecia tra il 2000 e il 2007 (13). È evidente che l'eccessivo aumento nominale degli utili ha contribuito all'aumento dei prezzi tanto quanto l'aumento dei salari nominali.

4.3.6

Ancora oggi, circa il 90 % della domanda complessiva nell'UE proviene dai suoi Stati membri. Per quanto riguarda la dinamica salariale, il CESE ribadisce pertanto quanto affermato nel suo parere sull'Analisi annuale della crescita: «Politiche salariali appropriate possono svolgere un ruolo decisivo nella gestione della crisi. Una strategia volta a tenere l'incremento dei salari in linea con l'aumento della produttività dell'economia nel suo complesso assicura, in una prospettiva macroeconomica, che si raggiunga un equilibrio tra una crescita sufficiente della domanda e la garanzia della competitività dei prezzi. Le parti sociali devono pertanto lavorare per evitare diminuzioni dei salari volte a scaricare le difficoltà sugli altri (beggar thy neighbour) e per orientare la politica dei salari allo sviluppo della produttività» (14).

4.3.7

Peraltro, l'importanza dei fattori non di prezzo per la competitività viene il più delle volte sottovalutata (15). In questo contesto, si rimanda alla definizione di «competitività» fornita dalla Commissione, che la descrive come «…la capacità di un'economia di garantire su basi sostenibili alla propria popolazione livelli di vita elevati e in crescita e alti tassi d'occupazione (16)».

4.3.8

Anche l'importanza del conto dei redditi da capitale è aumentata nei paesi colpiti dalla crisi, non da ultimo per via del considerevole aumento a livello nazionale del peso degli interessi. L'analisi degli squilibri non deve pertanto limitarsi esclusivamente all'andamento della bilancia commerciale.

4.4   Il modello sociale europeo e il dialogo sociale

4.4.1

Il modello sociale europeo rappresenta un vantaggio comparativo dell'Europa nella concorrenza mondiale; esso contribuisce infatti al successo economico, laddove le prestazioni dell'economia, da un lato, e l'equità sociale, dall'altro, non vengono considerati come elementi contrapposti, ma come fattori che si sostengono reciprocamente.

4.4.2

In Europa, gli stabilizzatori automatici dei sistemi di previdenza sociale hanno favorito la gestione della crisi, sostenuto la domanda e impedito di precipitare in una depressione paragonabile a quella degli anni Trenta. I sistemi di tutela sociale sono estremamente importanti anche sul piano psicologico, perché riducono il rischio della corsa al risparmio dettata dalla paura e stabilizzano in questo modo i consumi.

4.4.3

In alcuni paesi dove il dialogo sociale funziona bene (come ad esempio Austria, Germania e Svezia) le parti sociali hanno concorso notevolmente ad attenuare la minaccia di un aumento della disoccupazione dovuto al calo della produzione. Infatti, accanto al sostegno garantito con le misure di politica economica e sociale, gli accordi delle parti sociali conclusi a livello di imprese e di categorie hanno contribuito in maniera considerevole a mantenere i contratti di lavoro esistenti (ad esempio tramite il lavoro a tempo parziale, la riduzione degli straordinari accumulati, l'utilizzo del diritto alle ferie, i permessi di studio ecc.). Sarebbe opportuno tener conto di queste esperienze nella nuova formulazione degli orientamenti e nelle valutazioni individuali per paese.

4.4.4

Si invitano i governi europei a rafforzare il ruolo delle parti sociali a livello europeo e nazionale. Queste vanno sostenute nell'intensificazione dei loro sforzi per un coordinamento su scala europea della politica salariale. Inoltre, è necessario puntare a una valorizzazione del dialogo macroeconomico, che dovrebbe essere istituito anche nell'area dell'euro.

4.4.5

L'autonomia contrattuale delle parti sociali va mantenuta ad ogni modo anche durante la crisi: la politica salariale deve essere gestita nel rispetto dell'autonomia delle associazioni di categoria dei datori di lavoro e dei lavoratori. In questo contesto è inaccettabile, e va dunque respinta, l'idea di obiettivi per la contrattazione collettiva fissati a livello statale o addirittura di riduzioni salariali imposte dallo Stato (17).

4.4.6

Oltre al ruolo delle parti contrattuali, va riconosciuto anche il ruolo significativo delle altre organizzazioni rappresentative della società civile, come ad esempio quelle dei consumatori. Esse sono indispensabili, in particolare nei periodi di crisi, quali portavoce dei cittadini e partner nel dialogo civile.

4.4.7

Le trasformazioni e le riforme necessarie potranno avere un buon esito soltanto se si perverrà a un rapporto equilibrato tra obiettivi economici e sociali e se la ripartizione degli oneri (tra paesi, fasce di reddito, capitale e lavoro, fasce diverse della popolazione…) verrà percepita come equa. La giustizia e l'equilibrio sociale sono dei prerequisiti fondamentali per garantire l'accettazione e compiere dei progressi verso il risanamento; senza di esse, la coesione sociale viene messa in pericolo, mentre il populismo e il sentimento antieuropeo rischiano di subire una pericolosa impennata. Il Comitato rinnova inoltre la sua raccomandazione di coinvolgere il più presto e il più ampiamente possibile le parti sociali e le altre organizzazioni rappresentative della società civile nel processo di elaborazione delle politiche.

Bruxelles, 13 febbraio 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Un'illustrazione dettagliata e differenziata dello sviluppo della crisi economica a finanziaria è contenuta in GU C 182 del 4.8.2009, pag. 71, punto 2.

(2)  Cfr. le previsioni dell'autunno 2012 della Commissione europea.

(3)  COM(2012) 750 final.

(4)  Secondo le previsioni dell'FMI del 9.10, i moltiplicatori della spesa dovrebbero corrispondere durante la crisi a un valore compreso tra 0,9 e 1,7, mentre originariamente la stima era di 0,5 (cfr. FMI 2012 http://www.imf.org/external/pubs/ft/weo/2012/02/pdf/text.pdf).

(5)  GU C 11 del 15.1.2013, pag. 34.

(6)  In merito alla discussione sulle obbligazioni di stabilità, gli eurobond, i project bond ecc. cfr. GU C 299 del 4.10.2012, pag. 60, e GU C 143 del 22.5.2012, pag. 10.

(7)  Cfr. GU C 44 del 15.2.2013, pag. 68.

(8)  Da ultimo in GU C 181 del 21.6.2012, pagg. 55.

(9)  Cfr. GU C 229 del 31.7.2012, pag. 7.

(10)  Vale a dire per essere sicuri che in futuro i costi delle crisi bancarie non debbano essere finanziati dai contribuenti.

(11)  UE-27: 2,5 % del PIL 2010.

(12)  Nel settore delle esportazioni spagnolo ad esempio i costi salariali rappresentano soltanto il 13 % dei costi complessivi. Fonte: Carlos Gutiérrez Calderón/ Fernando Luengo Escalonilla, Competitividad y costes laborales en España, Estudios de la Fundación 49 (2011, http://www.1mayo.ccoo.es/nova/files/1018/Estudio49.pdf).

(13)  Cfr. Statistical Annex of European Economy, autunno 2012.

(14)  Cfr. GU C 132 del 3.5.2011, pag. 26, punto 2.3.

(15)  Cfr. GU C 132 del 3.5.2011, pag. 26, punto 2.2.

(16)  COM(2002) 714 final.

(17)  Cfr. GU C 132 del 3.5.2011, pag. 26, punto 2.4.


9.5.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 133/52


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai dispositivi medici e recante modifica della direttiva 2001/83/CE, del regolamento (CE) n. 178/2002 e del regolamento (CE) n. 1223/2009»

COM(2012) 542 final — 2012/0266 (COD)

alla

«Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai dispositivi medico-diagnostici in vitro»

COM(2012) 541 final — 2012/0267 (COD)

e alla

«Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Dispositivi medici e dispositivi medico-diagnostici in vitro sicuri, efficaci e innovativi a vantaggio dei pazienti, dei consumatori e degli operatori sanitari»

COM(2012) 540 final

2013/C 133/10

Relatore: STANTIČ

Il Consiglio, in data 15 ottobre 2012, e il Parlamento europeo, in data 22 ottobre 2012, hanno deciso, conformemente al disposto degli articoli 114 e 168, paragrafo 4, lettera c) del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai dispositivi medici e recante modifica della direttiva 2001/83/CE, del regolamento (CE) n. 178/2002 e del regolamento (CE) n. 1223/2009

COM(2012) 542 final - 2012/0266 (COD).

e alla

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai dispositivi medico-diagnostici in vitro

COM(2012) 541 final - 2012/0267 (COD).

La Commissione, in data 26 settembre 2012, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Dispositivi medici e dispositivi medico-diagnostici in vitro sicuri, efficaci e innovativi a vantaggio dei pazienti, dei consumatori e degli operatori sanitari

COM(2012) 540 final.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 febbraio 2013.

Alla sua 487a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 febbraio (seduta del 14 febbraio 2013), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 136 voti favorevoli e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sottolinea che la salute riveste una priorità elevata per i cittadini europei e ribadisce che i dispositivi medici (MD) (1) e i dispositivi medico-diagnostici in vitro (IVD) (2) svolgono un ruolo fondamentale in materia di prevenzione, diagnosi e trattamento delle malattie. Sono indispensabili per la nostra salute e per la qualità di vita di quanti soffrono e sono alle prese con malattie e disabilità.

1.2

Il CESE accoglie con favore la rifusione dell'attuale sistema normativo da parte della Commissione, che va oltre la pura semplificazione del quadro regolamentare introducendo disposizioni più efficaci, che rafforzano le procedure di approvazione pre-commercializzazione e in particolare la sorveglianza post-commercializzazione. Tenuto conto del recente scandalo delle protesi mammarie che ha ispirato la risoluzione del Parlamento europeo del giugno 2012, ma anche di altri gravi problemi riguardanti i dispositivi ad alto rischio e gli impianti, il CESE, così come il Parlamento europeo (3), è altresì favorevole alla fissazione di una procedura di elevata qualità. Ciò risponde alle esigenze dei cittadini per quanto riguarda l'efficacia e la sicurezza dei dispositivi per i pazienti che ne fanno uso.

1.3

I dispositivi MD (classe III e prodotti impiantabili) e IVD ad alto rischio, prima di entrare in commercio, devono essere soggetti a una procedura di approvazione adeguata e di elevata qualità, unica per tutta l'UE, basata su indagini cliniche di elevata qualità i cui risultati - integralmente archiviati in una base di dati centrale liberamente accessibile - attestino la sicurezza, efficacia e convenienza del dispositivo in termini di rischi e benefici. Per i dispositivi MD e IVD ad alto rischio già immessi sul mercato occorre assicurare il rispetto dell'art. 45 della proposta di regolamento, per attestarne la sicurezza e l'efficacia.

1.4

Il CESE sostiene con convinzione la scelta di ricorrere alla forma giuridica del regolamento piuttosto che a quella della direttiva, in modo da ridurre le possibilità di interpretazioni divergenti da parte dei singoli Stati membri e assicurare maggiore equità ai pazienti europei e parità di condizioni ai fornitori.

1.5

Oltre alla sicurezza, anche la rapidità di accesso alle ultime tecnologie mediche comporta notevoli benefici per i pazienti. Consistenti ritardi nell'accesso ai nuovi dispositivi penalizzerebbero infatti i pazienti, riducendone le possibilità di scelta del trattamento (magari di supporto vitale) o quanto meno impedendo loro di ridurre le proprie disabilità e migliorare la propria qualità di vita.

1.6

Il CESE sottolinea che i settori dei dispositivi MD e IVD, caratterizzati da un'elevata capacità innovativa e da posti di lavoro altamente qualificati, rappresentano una quota importante dell'economia europea e possono contribuire in misura sostanziale all'attuazione della strategia Europa 2020 e delle sue iniziative faro. Occorre pertanto una legislazione adeguata, non solo per assicurare il massimo livello possibile di protezione della salute ma anche per offrire un ambiente innovativo e competitivo all'industria, nella quale l'80 % dei fabbricanti sono piccole e medie imprese e microimprese.

1.7

Il CESE sostiene la fissazione di parametri elevati per le procedure di approvazione dei dispositivi MD e IVD ad alto rischio prima dell'immissione sul mercato, che prevedano l'obbligo di accertare la sicurezza e l'efficacia con adeguate analisi e indagini cliniche. Tuttavia, il CESE esprime timori circa l'introduzione in Europa di un sistema centralizzato di autorizzazione pre-commercializzazione, che causerebbe ulteriori ritardi nei tempi di approvazione, impedendo ai pazienti di accedere rapidamente alle ultime tecnologie mediche, aumentando considerevolmente i costi per le PMI e mettendo in pericolo la loro capacità d'innovazione.

1.8

L'eventuale inasprimento di alcuni requisiti di approvazione dei dispositivi MD e IVD dovrà avvenire in maniera trasparente e prevedibile, per non compromettere ulteriormente l'efficienza del processo normativo e ridurre le future innovazioni.

1.9

Il CESE accoglie con favore l'introduzione del sistema di identificazione unica del dispositivo (UDI) che prevede l'attribuzione di un codice ai singoli dispositivi per consentirne una più rapida identificazione e una migliore tracciabilità. Il CESE sarebbe altresì favorevole a uno strumento centrale di registrazione (Eudamed) pienamente operativo, che consenta di eliminare le registrazioni multiple riducendo considerevolmente i costi per le PMI.

1.10

Il CESE sostiene il rafforzamento della posizione dei pazienti. Per assicurare un'adeguata garanzia finanziaria in caso di sinistro, la parte lesa deve avere il diritto di presentare una richiesta diretta di risarcimento e di essere interamente risarcita. Quando i pazienti devono dimostrare di aver subito un danno imputabile a un difetto di un dispositivo medico il fabbricante dovrebbe mettere a disposizione del paziente (e/o del soggetto responsabile del pagamento del costo del trattamento) tutti i documenti e le informazioni necessarie concernenti la sicurezza e l'efficacia del dispositivo in questione. Il CESE raccomanda inoltre alla Commissione di assicurare, tramite adeguati meccanismi, che il risarcimento non si traduca in un significativo aumento dei prezzi dei dispositivi medici.

1.11

Il CESE rileva che il coinvolgimento della società civile nel quadro normativo proposto è piuttosto debole. Lo status di osservatore conferito alla società civile nei sottogruppi temporanei dal nuovo gruppo di coordinamento per i dispositivi medici (gruppo MDCG) non è sufficiente. Il CESE propone quindi di istituire di un comitato consultivo composto da rappresentanti dei legittimi attori interessati appartenenti alla società civile organizzata a livello europeo. Tale comitato dovrebbe operare in parallelo e in collaborazione con il gruppo MDCG, consigliando la Commissione e gli Stati membri su vari aspetti inerenti alla tecnologia medica e all'attuazione della legislazione.

1.12

Il CESE ribadisce la necessità di integrare gli atti legislativi proposti con adeguate disposizioni in materia di istruzione e formazione degli operatori sanitari, seguendo le raccomandazioni contenute nelle conclusioni del Consiglio dell'UE sulle innovazioni nel settore dei dispositivi medici (4).

1.13

Collegamento con altri organi e dossier giuridici - Il CESE richiama l'attenzione sulla necessità di assicurare che le nuove norme relative agli studi della prestazione clinica per i test diagnostici di accompagnamento mediante IVD interagiscano correttamente con quelle che emergeranno dal nuovo quadro attualmente in discussione concernente le sperimentazioni cliniche sui medicinali, come raccomandato in un recente parere del Comitato (5).

1.14

Prove effettuate internamente per gli IVD - Il CESE raccomanda che il principio di valutazione dei rischi e dei benefici di un dispositivo sanitario sia applicato a tutti i prodotti, indipendentemente dal fatto che siano commercializzati o che siano invece sviluppati e utilizzati esclusivamente all'interno di un'istituzione (prove effettuate internamente).

1.15

Il funzionamento delle norme, trascorsi tre anni dall'entrata in vigore, dovrebbe formare oggetto di un riesame formale congiunto da parte delle autorità e delle parti interessate della società civile, volto ad assicurare che si stiano conseguendo gli obiettivi per i quali sono state adottate.

2.   Introduzione e contesto

2.1

I dispositivi medici e medico-diagnostici in vitro svolgono un ruolo fondamentale in materia di prevenzione, diagnosi e trattamento delle malattie. Sono indispensabili per la nostra salute e per la qualità di vita dei pazienti affetti da disabilità.

2.2

I settori dei dispositivi MD e IVD sono una componente importante e innovativa dell'economia europea: realizzano vendite annue per circa 95 miliardi di EUR (85 miliardi di EUR per gli MD e 10 miliardi di EUR per gli IVD), con ingenti investimenti in ricerca e innovazione (7,5 miliardi di EUR annui); danno lavoro ad oltre 500 000 persone (per lo più operatori altamente qualificati) in circa 25 000 imprese (oltre l'80 % di esse sono piccole e medie imprese o microimprese).

2.3

I rapidi cambiamenti demografici e sociali, gli enormi progressi scientifici, nonché il recente scandalo delle protesi mammarie difettose (6) e i problemi legati alle protesi d'anca metallo su metallo e ad altri prodotti (7) hanno fatto emergere e reso urgente la necessità di una revisione dell'attuale quadro normativo.

2.4

Tra gli MD ad alto rischio, gli impianti rivestono un'importanza particolare: ad esempio in tutto il mondo sono state acquistate circa 400 000 protesi mammarie al gel di silicone PIP. Tali protesi sono state utilizzate in numerosi pazienti nel Regno Unito (40 000), in Francia (30 000), in Spagna (10 000), in Germania (7 500) e in Portogallo (2 000), e hanno registrato un tasso di rottura entro 10 anni dall'impianto compreso tra il 10 e il 15 % (8). Nel 2010 solo in Germania sono state impiantate circa 390 000 protesi dell'anca e del ginocchio, compresi quasi 37 000 interventi con i quali è stato necessario sostituire le protesi articolari (9).

2.5

Sintesi delle principali carenze rilevate dal CESE nel sistema esistente:

gli Stati membri dell'UE interpretano e attuano le norme in modi diversi, creando disuguaglianze tra i cittadini dell'UE e ostacolando il mercato unico;

non è sempre possibile rintracciare il fornitore di un dispositivo medico;

i pazienti e gli operatori sanitari non hanno accesso a informazioni essenziali relative alle indagini e alle evidenze cliniche;

manca un coordinamento tra le autorità nazionali e tra queste e la Commissione;

esistono lacune normative in merito a determinati prodotti (10).

3.   Contenuto del nuovo pacchetto relativo al quadro normativo riveduto per gli MD e gli IVD

3.1

Il pacchetto comprende una comunicazione (11), una proposta di regolamento relativo ai dispositivi medici (12) (che sostituisce le direttive 90/385/CEE per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai dispositivi medici impiantabili e 93/42/CEE concernente i dispositivi medici) e una proposta di regolamento relativo ai dispositivi medico-diagnostici in vitro (13) (che sostituisce la direttiva 98/79/CE relativa ai dispositivi medico-diagnostici in vitro).

3.2

Le principali novità della regolamentazione proposta sono le seguenti:

un più ampio e più chiaro campo di applicazione della legislazione, che viene esteso fino a comprendere le protesi a scopo estetico e i test genetici, nonché il software medico;

un più rigido controllo degli organismi di valutazione (organismi notificati) da parte delle autorità nazionali, allo scopo di assicurare un'efficiente valutazione pre-commercializzazione dei dispositivi;

maggiore chiarezza nei diritti e nelle responsabilità dei fabbricanti, degli importatori e dei distributori;

l'ampliamento della banca dati centrale europea dei dispositivi medici (Eudamed), che sarà accessibile agli operatori sanitari, ai pazienti e in parte anche al pubblico in generale;

una migliore tracciabilità dei dispositivi lungo tutta la catena di approvvigionamento, con l'introduzione di un sistema di identificazione unica del dispositivo (UDI) che consentirà di rispondere in maniera rapida ed efficace a qualsiasi preoccupazione o problema di sicurezza;

prescrizioni più rigide per le indagini e le evidenze cliniche lungo l'intero ciclo di vita del dispositivo;

rafforzamento delle disposizioni in materia di sorveglianza del mercato e di vigilanza;

miglior coordinamento tra le autorità nazionali, con il sostegno scientifico della Commissione, allo scopo di garantire un'attuazione uniforme della legislazione;

allineamento con gli orientamenti internazionali, per un miglior adeguamento al mercato mondiale degli MD.

3.3

I settori dei dispositivi MD e IVD, caratterizzati da un livello elevato di innovazione e da una potenziale capacità di creare posti di lavoro altamente qualificati, possono contribuire in misura sostanziale al raggiungimento degli obiettivi della strategia Europa 2020. Entrambi occupano un ruolo centrale in diverse iniziative faro, in particolare L'agenda digitale europea  (14) e L'Unione dell'innovazione  (15).

4.   Osservazioni generali

4.1

Il CESE sostiene con convinzione la forma giuridica del regolamento, la cui attuazione immediata elimina il rischio di divergenze a livello di trasposizione e interpretazione da parte degli Stati membri. Esso è inoltre uno strumento utile per assicurare maggiore equità ai pazienti europei e parità di condizioni ai fornitori.

4.2   Sistema di approvazione e procedure di valutazione

4.2.1

I dispositivi MD (classe III e prodotti impiantabili) e IVD ad alto rischio, prima di entrare in commercio, devono essere soggetti a una procedura di approvazione adeguata e di elevata qualità, unica per tutta l'UE, basata su indagini cliniche di elevata qualità i cui risultati - integralmente archiviati in una base di dati centrale liberamente accessibile - attestino la sicurezza, efficacia e convenienza del dispositivo in termini di rischi e benefici. Per i dispositivi MD e IVD ad alto rischio già immessi sul mercato occorre assicurare il rispetto dell'art. 45 della proposta di regolamento, per attestarne la sicurezza e l'efficacia.

4.2.2

In questo contesto il CESE sostiene il rafforzamento del quadro normativo esistente relativo ad altri MD ad alto rischio, basato sul concetto di valutazione della conformità e sugli organi di regolamentazione decentrati, come previsto dai regolamenti proposti. Il Comitato sostiene l'irrigidimento dei requisiti necessari per ottenere un certificato di conformità per i documenti e altri aspetti come i dati clinici e preclinici, le valutazioni e le indagini cliniche, l'analisi dei rischi e dei benefici, ecc. (16), in quanto consente di rafforzare le norme relative all'approvazione attualmente in vigore nell'UE senza sacrificare eccessivamente la rapidità di accesso ai nuovi prodotti.

4.2.3

Il CESE appoggia con forza procedure di approvazione pre-commercializzazione rigorose e di alto livello, ma esprime timori circa l'introduzione in Europa di un sistema centralizzato di autorizzazione preventiva all'immissione in commercio (PMA) sul modello degli Stati Uniti. Tale sistema genererebbe ritardi nei tempi di approvazione. Per i pazienti, implicherebbe uno sfasamento temporale nell'accesso alle ultime tecnologie mediche salvavita. Inoltre, un sistema PMA centralizzato influirebbe negativamente sulla maggior parte delle PMI europee del settore MD, in quanto aumenterebbe in misura notevole i loro costi e metterebbe seriamente in pericolo la loro capacità d'innovazione. Queste imprese avrebbero difficoltà a finanziarsi e a sopravvivere alle lunghe procedure per l'immissione in commercio.

4.2.4

Il nuovo meccanismo di esame proposto (articoli 44/42) - Il CESE osserva che il gruppo MDCG può, con il suo parere, interferire con il fascicolo presentato dall'organismo notificato in risposta alla domanda di valutazione di conformità. Il CESE è pienamente consapevole dell'importanza della sicurezza per i pazienti. Per evitare ulteriori e imprevedibili ritardi per i fabbricanti (e conseguentemente per i pazienti) occorrerà agire in maniera trasparente e prevedibile, per non compromettere l'efficienza del processo normativo e ridurre le future innovazioni. Grazie alla procedura di approvazione preventiva per gli MD ad alto rischio, e in particolare per gli impianti, il ricorso a questo nuovo meccanismo di esame sarà sempre meno necessario.

4.3   Vigilanza e sorveglianza del mercato

4.3.1

Il CESE accoglie con favore la proposta di migliorare e rafforzare il sistema di vigilanza e in particolare di introdurre un portale UE in cui i fabbricanti segnalino gli incidenti gravi e le azioni correttive per ridurre il rischio che si possano ripetere (articoli 61/59). Le informazioni saranno automaticamente messe a disposizione delle autorità nazionali interessate, migliorando in tal modo il coordinamento tra queste ultime.

4.3.2

Per aumentare ulteriormente la sicurezza dei dispositivi medici, e affrontare soprattutto gli aspetti relativi alla sicurezza a lungo termine delle protesi, occorre rafforzare le disposizioni della normativa post-commercializzazione, con particolare attenzione alla vigilanza e alla sorveglianza del mercato e al follow-up clinico post-commercializzazione.

4.4   Trasparenza

4.4.1

A parere del CESE, uno degli aspetti più importanti della rifusione di entrambi i regolamenti riguarda la proposta di una maggiore trasparenza dell'intero sistema.

4.4.2

A questo proposito, il Comitato sostiene l'introduzione del sistema di identificazione unica del dispositivo (UDI) caldeggiato dal Parlamento europeo nella risoluzione del giugno 2012, che prevede l'attribuzione di un codice ai singoli dispositivi per consentirne una più rapida identificazione e una migliore tracciabilità (17).

4.4.3

Il CESE ritiene che l'introduzione di uno strumento centrale di registrazione (Eudamed) pienamente operativo sia estremamente utile per migliorare la trasparenza. Uno strumento di questo tipo consentirà di eliminare le registrazioni multiple negli Stati membri, contribuendo in tal modo a ridurre i costi amministrativi per i richiedenti, con un risparmio fino a 157 milioni di EUR.

4.5   Rafforzamento della posizione dei pazienti danneggiati

4.5.1

L'attuale direttiva 85/374/CEE in materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi stabilisce la responsabilità dei fabbricanti di dispositivi medici. Tuttavia il danneggiato (o il soggetto responsabile del pagamento del costo del trattamento) deve dimostrare il danno subito e l'esistenza del difetto nel dispositivo medico. Spesso però il paziente non dispone delle informazioni necessarie per dimostrare l'esistenza di tale difetto. Pertanto il fabbricante dovrebbe essere obbligato a mettere a disposizione del danneggiato tutti i documenti e le informazioni necessarie concernenti la sicurezza e l'efficacia del dispositivo in questione.

4.5.2

Il CESE riconosce la necessità di istituire un meccanismo di risarcimento dei pazienti danneggiati da MD o IVD difettosi. Per assicurare un'adeguata garanzia finanziaria in caso di sinistro, la parte lesa deve avere il diritto di presentare una richiesta diretta di risarcimento e di essere interamente risarcita. L'onere della prova dell'esistenza o meno di un nesso causale tra dispositivo medico difettoso e danno alla salute deve passare dal paziente al fabbricante. Il paziente dovrebbe essere tenuto unicamente a dimostrare la possibilità oggettiva che il danno sia stato provocato dal dispositivo medico. Il CESE invita pertanto la Commissione ad assicurare, tramite adeguati meccanismi, che il risarcimento non si traduca in un significativo aumento dei prezzi dei dispositivi medici.

4.6   Organismi notificati e autorità competenti

4.6.1

Il CESE sostiene il rafforzamento delle procedure di designazione e monitoraggio degli organismi notificati per assicurare un livello di competenze elevato e uniforme in tutta l'Unione. Accoglie inoltre favorevolmente la vigilanza centrale sulle designazioni effettuate dagli Stati membri.

4.6.2

Il CESE sostiene tutte le proposte volte a rafforzare i diritti e gli obblighi delle autorità competenti (migliore coordinamento e chiarimento delle procedure, ispezioni in loco e senza preavviso) da un lato e dei fornitori dall'altro (obbligo di disporre di una «persona qualificata»).

4.6.3

Il CESE apprezza l'unificazione dei parametri e delle competenze richiesti agli organismi notificati in Europa, che dovranno essere di elevata qualità, ma teme che questo obiettivo non possa essere raggiunto se il numero degli organismi notificati resta elevato com'è ora (80). Il Comitato raccomanda di optare per la qualità piuttosto che per la quantità.

4.7   Istruzione e formazione

4.7.1

Il CESE osserva che gli Stati membri nelle conclusioni del Consiglio dell'UE sulle innovazioni nel settore dei dispositivi medici (18) hanno invitato la Commissione a migliorare le attività di informazione e formazione per operatori sanitari, pazienti e familiari dei pazienti riguardo al corretto utilizzo dei dispositivi. Gli MD infatti funzionano soltanto se utilizzati correttamente. La loro efficacia dipende dalle competenze e dall'esperienza dei medici e del personale di laboratorio che li utilizza.

4.7.2

Il CESE invita quindi gli Stati membri a includere nelle proposte di regolamento adeguate disposizioni concernenti l'istruzione e la formazione del personale specializzato.

4.8   Coinvolgimento della società civile

4.8.1

Il CESE ritiene che il gruppo MDCG proposto non garantisca un sufficiente coinvolgimento di tutte le parti interessate. Le proposte di regolamento in esame danno a tale gruppo la facoltà di istituire sottogruppi temporanei o permanenti. Secondo il CESE però non basterà che le organizzazioni che rappresentano gli interessi dei consumatori, degli operatori sanitari e dell'industria dei dispositivi medici a livello dell'Unione, siano invitate a partecipare a tali sottogruppi esclusivamente in qualità di osservatori. Dovrà essere assicurato loro un ruolo consultivo attivo.

4.8.2

L'esperienza dimostra che il progresso nell'UE è possibile solo quando i diversi attori hanno una visione e un orientamento comuni. Oggi il sistema si avvale di un comitato consultivo attivo integrato nel gruppo MDEG. Questo gruppo va mantenuto e citato espressamente nella normativa. In caso contrario le decisioni e le politiche potrebbero essere private del legittimo contributo iniziale di pazienti, operatori sanitari, industria e altre componenti della società civile.

4.9   Clausola di revisione

4.9.1

Sarebbe necessario esaminare il funzionamento dei regolamenti per assicurare che gli obiettivi che si prefiggono vengano realmente conseguiti. Ad un certo momento, trascorsi non più di tre anni dall'entrata in vigore delle proposte, tale funzionamento dovrebbe formare oggetto di una revisione formale congiunta da parte delle autorità e delle parti interessate della società civile, per assicurare appunto che si stiano raggiungendo gli obiettivi di tali norme.

5.   Osservazioni specifiche sul regolamento IVD relative ai test diagnostici di accompagnamento

5.1

Definizione - Il CESE teme che la definizione di test diagnostico di accompagnamento proposta all'articolo 2, paragrafo 6, sia troppo ampia e possa essere fonte di incertezza giuridica. Propone quindi di modificarla come segue: «test diagnostico di accompagnamento (companion diagnostic): un dispositivo destinato specificamente a selezionare i pazienti con un'affezione o predisposizione già diagnosticata che risultano idonei per essere sottoposti a un trattamento con un medicinale specifico» (anziché «idonei per una terapia mirata»).

5.2

Evidenza clinica - La proposta di regolamento IVD contiene un insieme completo di norme relative allo svolgimento di studi della prestazione clinica degli IVD, oltre a introdurre la possibilità per gli sponsor di studi interventistici multinazionali della prestazione clinica di presentare un'unica richiesta attraverso un portale elettronico che verrà creato dalla Commissione.

5.2.1

La proposta di regolamento dovrebbe tuttavia assicurare che le nuove norme relative agli studi della prestazione clinica interagiscano correttamente con quelle che emergeranno dalle discussioni in corso sul nuovo quadro per le sperimentazioni cliniche sui medicinali, come già raccomandato dal CESE in un suo parere precedente (19). Il CESE ritiene altresì che le basi di dati per la registrazione delle sperimentazioni debbano essere interoperabili.

5.3

Prove effettuate internamente - La proposta di regolamento IVD prevede che le prove effettuate internamente per i dispositivi ad alto rischio (classe D) siano soggette agli stessi requisiti delle prove commerciali relative alla classe D. Il regolamento IVD non è tuttavia pienamente applicabile alle prove effettuate internamente relative ad altre classi (compresa la classe C e i test diagnostici di accompagnamento). Il CESE raccomanda che il principio di valutazione dei rischi e dei benefici di un dispositivo sanitario sia applicato a tutti i prodotti indipendentemente dal fatto che siano commercializzati o che siano sviluppati e utilizzati esclusivamente all'interno di un'istituzione (prove effettuate internamente).

Bruxelles, 14 febbraio 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  I dispositivi medici comprendono prodotti quali cerotti, lenti a contatto, apparecchi acustici, materiali per otturazioni dentarie, protesi d'anca, dispositivi complessi come apparecchi a raggi x, pacemaker, ecc.

(2)  I dispositivi medico-diagnostici in vitro comprendono prodotti utilizzati per garantire la sicurezza delle analisi del sangue, identificare malattie infettive (ad es. HIV), monitorare determinate malattie (ad es. diabete) ed eseguire qualsiasi analisi ematologica.

(3)  Risoluzione del 14 giugno 2012 (2012/2621(RSP)); P7_TA-PROV(2012)0262.

(4)  GU C 202, dell'8.7.2011, pag. 7.

(5)  Parere CESE Sperimentazione clinica di medicinali per uso umano, in GU C 44, del 15.2.2013.

(6)  La società francese Poly Implant Prothèse (PIP) ha violato le norme, utilizzando silicone per uso industriale non omologato in alcuni dei suoi prodotti impiantabili.

(7)  http://www.aok-bv.de/presse/medienservice/politik/index_06262.html

(8)  Risoluzione del Parlamento europeo del 14 giugno 2012 (2012/2621(RSP)); P7_TA-PROV(2012)0262.

(9)  Comunicazione della direzione federale dell'AOK tedesca (Cassa generale locale di malattia) del 12 gennaio 2012.

(10)  Prodotti che utilizzano cellule o tessuti umani non vitali, test genetici, protesi a scopo estetico, ecc.

(11)  COM(2012) 540 final.

(12)  COM(2012) 542 final.

(13)  COM(2012) 541 final.

(14)  COM(2010) 245 final/2 e GU C 54, del 19.2.2011, pag. 58.

(15)  COM(2010) 546 final e GU C 132, del 3.5.2011, pag. 39.

(16)  Cfr. allegati II, III,V, IX, XII e XIV, in cui vengono specificati i requisiti necessari per ottenere un certificato di conformità UE.

(17)  Cfr. nota 3.

(18)  Cfr. nota 4.

(19)  Parere CESE Sperimentazione clinica di medicinali per uso umano, in GU C 44 del 15.2.2013.


9.5.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 133/58


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato di apparecchiature radio»

COM(2012) 584 final — 2012/0283 (COD)

2013/C 133/11

Relatore: HERNÁNDEZ BATALLER

Il Parlamento europeo, in data 25 ottobre 2012, e il Consiglio, in data 5 novembre 2012, hanno deciso, conformemente al disposto degli articoli 26 e 114 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l'armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative alla messa a disposizione sul mercato di apparecchiature radio

COM(2012) 584 final – 2012/0283 (COD).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 febbraio 2013.

Alla sua 487a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 febbraio 2013 (seduta del 13 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 74 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) approva la proposta della Commissione in quanto rende meno complesso il quadro giuridico e chiarisce le norme esistenti, dando maggior coerenza al diritto dell'Unione per quanto concerne l'introduzione di merci nel mercato.

1.2

È opportuno sottolineare che tutti i soggetti economici devono essere responsabili della conformità dei prodotti, in funzione del ruolo svolto nella catena dell'approvvigionamento, al fine di garantire un livello elevato di tutela della salute e della protezione dei consumatori. Il CESE chiede alla Commissione e agli Stati membri di assicurare, nell'ambito delle loro rispettive responsabilità, che i prodotti che entrano nel mercato dell'Unione in provenienza dai paesi terzi rispettino i requisiti della direttiva.

1.3

Per quanto attiene alle regole in materia di sanzioni, il CESE chiede alla Commissione che la natura delle sanzioni, il tipo di comportamenti illeciti e la soglia minima delle sanzioni vengano precisati maggiormente a livello sovranazionale, anche qualora questo sia previsto dalle legislazioni nazionali degli Stati membri. A tale proposito attende con interesse l'approvazione, da parte della Commissione, del cosiddetto «pacchetto di supervisione del mercato» che contiene misure specifiche a favore di un maggior grado di cooperazione e armonizzazione.

1.4

La Commissione, i produttori e i consumatori dovrebbero studiare la possibilità di introdurre, in futuro, un nuovo sistema di marchi che consenta di determinare l'origine e garantire la rintracciabilità dei prodotti, per migliorare l'informazione dei consumatori.

2.   Introduzione

2.1

Il quadro giuridico esistente a livello UE dal 1999 (1) per l'immissione sul mercato, la libera circolazione e la messa in servizio delle apparecchiature radio e delle apparecchiature terminali di telecomunicazione è risultato fondamentale al fine di pervenire a un mercato interno in quest'ambito.

2.2

Già a suo tempo (2) il CESE si era espresso favorevolmente nei confronti di questa normativa, che includeva i requisiti essenziali per proteggere la salute e la sicurezza, garantire la compatibilità elettromagnetica e prevenire le interferenze dannose. La normativa faceva parte del cosiddetto «nuovo approccio» della legislazione, perché introduceva requisiti tecnici all'interno di norme armonizzate non obbligatorie, limitando all'essenziale i requisiti legislativi (3).

2.2.1

L'attuale quadro giuridico risulta complesso in quanto, a norma della direttiva 1999/5/CE, soltanto le apparecchiature conformi alle prescrizioni della direttiva stessa possono essere immesse sul mercato; inoltre gli Stati membri non possono introdurre, a livello nazionale, ulteriori restrizioni riguardanti gli stessi requisiti, vale a dire la protezione della salute e della sicurezza, la compatibilità elettromagnetica e la prevenzione di interferenze dannose.

2.2.2

Anche altre normative UE sugli aspetti ambientali risultano applicabili a tali prodotti, in particolare le direttive sulla restrizione dell'uso di determinate sostanze pericolose, sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) e sulle pile e gli accumulatori, nonché le misure di attuazione della direttiva sulla progettazione ecocompatibile.

2.2.3

D'altro canto, la messa in servizio e l'uso delle apparecchiature radio sono sottoposti alla regolamentazione nazionale. Nell'esercizio di questa competenza gli Stati membri devono conformarsi alla normativa UE, e in particolare:

al quadro generale per la politica in materia di spettro radio definito nel relativo programma;

ai criteri generali fissati nella direttiva quadro per le comunicazioni elettroniche;

alle condizioni di autorizzazione per l'uso dello spettro di cui alla direttiva sulle autorizzazioni relative alle comunicazione elettroniche;

alle misure di esecuzione a norma della decisione sullo spettro radio, che armonizzano le condizioni tecniche per l'uso di talune bande dello spettro nell'UE, e che sono vincolanti per tutti gli Stati membri.

2.3

A tutto ciò va aggiunta la necessaria coerenza con le altre politiche e gli altri obiettivi dell'Unione europea, in particolare con il nuovo quadro legislativo per la commercializzazione dei prodotti, adottato nel 2008 (4) e di cui il CESE ha affermato (5) di condividere obiettivo e finalità, in quanto esso stabiliva:

un quadro comune per la commercializzazione dei prodotti, e

principi generali e disposizioni di riferimento da applicare in tutta la normativa di armonizzazione delle condizioni per l'immissione sul mercato dei prodotti, in modo da fornire una base coerente per la revisione o la rifusione di tale normativa.

2.4

Per superare questo quadro giuridico complesso, la Commissione ha presentato una proposta volta a chiarire l'applicazione della direttiva 1999/5/CE, eliminando gli oneri amministrativi inutili per le imprese e le amministrazioni, aumentando la flessibilità dello spettro radio e snellendo le procedure amministrative per l'uso di quest'ultimo.

3.   La proposta della Commissione

Gli elementi più importanti della proposta di revisione della direttiva sono i seguenti:

3.1

armonizzazione con la decisione 768/2008/CE relativa a un quadro comune per l'immissione sul mercato dei prodotti, includendo: le definizioni di cui al capo R1 della decisione stessa; gli obblighi degli operatori economici; tre moduli per le procedure di valutazione della conformità; l'obbligo di notificare gli organismi di valutazione della conformità; e le procedure di salvaguardia semplificate.

3.2

La decisione n. 768/2008/CE e il regolamento (CE) n.765/2008 (in materia di accreditamento e vigilanza del mercato), adottato contestualmente, stabiliscono regole volte a migliorare il funzionamento del mercato interno, introducendo un approccio più coerente alla politica di armonizzazione tecnica in relazione alla sicurezza dei prodotti e un regime di vigilanza più efficace per tutte le merci che vengono immesse nel mercato, siano esse originarie dell'UE ovvero di paesi terzi, nonché dirette a rafforzare la protezione dei consumatori nel mercato unico.

3.3

Si introduce una nuova definizione di «apparecchiatura radio» che comprende esclusivamente le apparecchiature che trasmettono deliberatamente segnali che usano lo spettro radio ai fini della comunicazione o altro, da cui il nuovo titolo di «direttiva sulla messa a disposizione sul mercato di apparecchiature radio». La direttiva non si applica alle apparecchiature terminali a linea fissa.

3.4

La proposta consente di:

prescrivere l'interazione delle apparecchiature radio con accessori quali i caricatori;

prescrivere che le apparecchiature software-defined garantiscano che solo le combinazioni di software e hardware conformi siano compatibili, e a tal fine permettere l'adozione di misure volte a evitare che tale requisito regolamentare crei ostacoli alla concorrenza sul mercato dei software di terzi.

3.5

Si introduce la possibilità di esigere la registrazione in un sistema centrale di prodotti delle categorie che presentano bassi livelli di conformità, in base alle informazioni sulla conformità fornite dagli Stati membri.

3.6

La proposta chiarisce la relazione tra la direttiva 1999/5/CE e la legislazione dell'UE e nazionale sull'uso dello spettro radio.

3.7

Semplifica e riduce una serie di oneri amministrativi, ad esempio:

a)

la nuova definizione delle apparecchiature radio stabilisce una chiara delimitazione del campo di applicazione della direttiva sulla compatibilità elettromagnetica;

b)

i ricevitori puri e i terminali a rete fissa non rientrano più nel campo d'applicazione della direttiva e sono sottoposti invece alla direttiva sulla compatibilità elettromagnetica e alla direttiva sul materiale elettrico destinato ad essere adoperato entro taluni limiti di tensione, oppure, in funzione della loro tensione, alla direttiva sulla compatibilità elettromagnetica e alla direttiva sulla sicurezza generale dei prodotti; ciò comporta una certa riduzione degli obblighi amministrativi;

c)

è soppresso l'obbligo di notificare l'immissione sul mercato di apparecchiature che utilizzano bande di frequenze non armonizzate a livello dell'Unione europea;

d)

sono soppressi, per i produttori, gli obblighi di:

apporre sul prodotto un identificatore di categoria delle apparecchiature;

apporre la marcatura CE sulle istruzioni per l'uso;

e)

sono soppressi dal testo della direttiva i requisiti in materia di concorrenza sui mercati delle apparecchiature terminali di telecomunicazioni (riferiti alle specifiche relative all'interfaccia e i motivi tecnici della connessione delle apparecchiature terminali di telecomunicazione con le interfacce), in quanto esistono requisiti simili nella direttiva relativa alla concorrenza sui mercati delle apparecchiature terminali di telecomunicazioni.

3.8

Infine, la proposta di direttiva allinea al TFUE e al regolamento (CE) n. 182/2011, relativo all'esercizio delle competenze di esecuzione attribuite alla Commissione, le modalità per l'esercizio dei poteri delegati e di esecuzione nonché per l'esercizio della delega. Concretamente:

i poteri di esecuzione sono proposti per la determinazione delle categorie e per la presentazione delle informazioni relative alla zona geografica di uso e alle restrizioni sull'impiego di apparecchiature radio;

i poteri delegati sono proposti: per l'adeguamento al progresso tecnico dell'allegato II, che elenca alcune apparecchiature rientranti o no nella definizione di apparecchiature radio; per i requisiti essenziali aggiuntivi; per la fornitura di informazioni sulla conformità delle apparecchiature radio software-defined; per l'obbligo di registrazione delle apparecchiature radio di alcune categorie.

4.   Osservazioni generali

4.1

Il CESE appoggia la proposta della Commissione, che conferisce maggiore coerenza alla normativa UE, in conformità con l'articolo 7 del TFUE. Essa infatti opta per la tecnica legislativa della «sostituzione», consistente nell'adozione di un nuovo atto normativo che integra in un unico testo sia le modifiche sostanziali introdotte in un atto precedente sia le disposizioni immutate di quest'ultimo, poiché il nuovo atto sostituisce e abroga il precedente, adeguandosi alla terminologia della decisione 768/2008/CE e al Trattato di Lisbona.

4.2

La libertà di circolazione delle merci costituisce una delle quattro libertà fondamentali sancite dai Trattati, e la proposta di direttiva promuove la libera circolazione di merci sicure rafforzando la protezione dei consumatori e la competitività delle imprese e creando condizioni di concorrenza eque per gli operatori economici.

4.3

Per garantire all'industria europea condizioni propizie al rilancio della competitività, il CESE considera indispensabile che il mercato interno assicuri piena interoperatività, riducendo la frammentazione tanto dei mercati nazionali quanto degli investimenti nella ricerca e nell'innovazione.

4.4

Il CESE sottolinea la necessità di definire una politica industriale proattiva, che rispecchi meglio l'equilibrio tra le capacità dei produttori, un quadro normativo per i diritti di proprietà intellettuale e, soprattutto, i tipi di prodotti che possano rispondere a norme comuni, regolamentazioni e procedure armonizzate.

4.5

L'adozione di norme tecniche e regolamentari dovrebbe avvenire in conformità con i principi della nuova politica di normalizzazione, rendendo cioè pubblici e trasparenti i lavori, con la piena partecipazione delle parti sociali e dei rappresentanti della società civile organizzata.

5.   Osservazioni particolari

5.1

Per quanto riguarda il campo d'applicazione, l'articolo 1, paragrafo 3, esclude le apparecchiature radio usate esclusivamente nelle attività concernenti la pubblica sicurezza, il che, oltre alla difesa e alla sicurezza dello Stato, include altri concetti quali «la prosperità economica dello Stato», che andrebbero definiti o spiegati per conferire maggiore chiarezza alla norma.

5.1.1

Inoltre, benché il suddetto paragrafo escluda tali apparecchiature dal campo d'applicazione, esse non figurano nell'allegato I tra quelle non contemplate dalla direttiva.

5.2

Il CESE è favorevole a promuovere l'interazione via rete con altre apparecchiature radio e i collegamenti con interfacce del tipo appropriato in tutta l'Unione, il che può contribuire a semplificare l'uso delle apparecchiature, favorendo l'interoperabilità tra le stesse e gli accessori.

5.3

Per rendere più efficace la protezione dei dati e della privacy degli utenti, è necessario che si sviluppi una dimensione etica e sociale delle applicazioni tecnologiche di sicurezza fin dal momento della loro concezione, anche per garantirne l'accettabilità sociale. Occorre quindi garantire la protezione dei diritti fondamentali dei cittadini integrandola in tutte le fasi, dalla progettazione alla normalizzazione, fino all'applicazione tecnologica sul campo.

5.4

È opportuno precisare i requisiti di introduzione nel mercato, applicabili sia ai prodotti dell'UE sia a quelli dei paesi terzi. A tal fine, l'articolo 6 dovrebbe indicare le situazioni nelle quali si presume siano stati rispettati sia i requisiti essenziali stabiliti dalla direttiva (norme armonizzate europee, norme internazionali pubblicate dalla Commissione) sia eventuali norme nazionali aggiuntive.

5.5

Il CESE raccomanda alla Commissione e agli Stati membri di assicurare che i prodotti commercializzati soddisfino i requisiti stabiliti per quanto concerne la banda considerata, al fine di evitare sia interferenze nella banda di 800 MHz sia fenomeni inutili di inquinamento dello spettro elettromagnetico. Questa raccomandazione si rivela particolarmente necessaria nelle regioni transfrontaliere, nelle quali è auspicabile un'armonizzazione degli orari e delle tecnologie applicabili.

5.6

Il CESE è favorevole all'accessibilità dei servizi di emergenza, in particolare da parte delle persone con disabilità, ragion per cui essi devono essere concepiti in modo da essere compatibili con le necessarie funzioni.

5.7

È molto importante che tutti gli operatori economici siano responsabili della conformità dei prodotti, in funzione del rispettivo ruolo che rivestono nella catena di approvvigionamento, in modo da garantire un elevato livello di protezione della salute e della sicurezza dei consumatori. Nel contempo, va assicurata una concorrenza leale sul mercato dell'Unione.

5.8

Il CESE esorta la Commissione e gli Stati membri a garantire, nelle rispettive sfere di competenza, che i prodotti provenienti da paesi terzi che entrano nel mercato dell'Unione siano conformi alle prescrizioni della direttiva. È necessario assicurare che gli importatori che immettono prodotti sul mercato osservino tutte le prescrizioni ed evitino di commercializzare prodotti non conformi o che presentano un rischio.

5.9

Occorre altresì garantire la tracciabilità delle apparecchiature radio lungo l'intera catena di approvvigionamento, come misura di vigilanza del mercato che garantisce il diritto di informazione dei consumatori.

5.10

Il CESE ribadisce (6) che l'attuale sistema di marchi non garantisce che il prodotto sia stato oggetto di un processo sufficiente ad assicurarne la qualità e la sicurezza e questo significa che esso non corrisponde alle aspettative dei consumatori.

5.11

Per quanto riguarda il sistema di accreditamento e di valutazione della conformità, il CESE è favorevole a livelli di competenza comuni per gli organismi notificati di valutazione della conformità, nonché a criteri di selezione più rigorosi e procedure di selezione armonizzate per le valutazioni di conformità.

5.12

Il CESE ritiene inoltre opportuno rafforzare le condizioni di indipendenza degli organismi notificati di valutazione della conformità, estendendo i casi di incompatibilità stabiliti all'articolo 26, paragrafo 4 ai due o 3 anni precedenti la valutazione.

5.13

Il CESE esprime inquietudine a proposito degli «atti delegati» previsti dalla proposta, i quali, in alcuni casi, mancano della necessaria concretezza. È il caso, per esempio, dell'articolo 5, che introduce l'obbligo di registrare le apparecchiature radio di determinate categorie, che la Commissione avrà successivamente facoltà di stabilire, senza tuttavia indicare, a questo proposito, alcun criterio concreto. Il margine di discrezionalità concesso alla Commissione rischia così di essere eccessivo.

5.14

Per quanto riguarda le regole in materia di sanzioni, la proposta dovrebbe precisare, a livello sovranazionale, la natura e la soglia minima delle sanzioni, che dovranno essere necessariamente previste dalle normative degli Stati membri, poiché dalla proposta all'esame consegue, per le autorità nazionali, soltanto l'obbligo di stabilire le norme sanzionatorie per questi comportamenti attraverso l'adozione di misure «efficaci, proporzionate e dissuasive». Ciò rischia di indurre determinati operatori al cosiddetto forum shopping, ossia alla ricerca delle condizioni a essi più favorevoli o di infrangere il principio ne bis in idem in caso di sanzioni concorrenti tra loro.

5.15

Considerando il dinamismo del settore, il CESE raccomanda di ridurre il termine di cinque anni di cui all'articolo 47, paragrafo 2 della proposta.

Bruxelles, 13 febbraio 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU L 91 del 7.4.1999, pag. 10.

(2)  GU C 73 del 9.3.1998, pag. 10.

(3)  Cfr. la decisione del Consiglio 90/683/CEE (GU L 380 del 31.12.1990, pag. 13) e la decisione del Consiglio 93/465/CEE (GU L 220 del 30.8.1993, pag. 23), oggi abrogate.

(4)  GU L 218 del 13.8.2008, pagg. 30 e 82.

(5)  GU C 120 del 16.5.2008, pag. 1.

(6)  GU C 181 del 21.6.2012, pag. 105.


9.5.2013   

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C 133/62


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo di aiuti europei agli indigenti»

COM(2012) 617 final — 2012/295 (COD)

2013/C 133/12

Relatore: BALON

In data 22 novembre 2012, il Consiglio e il Parlamento europeo, in data 19 novembre 2012, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al Fondo di aiuti europei agli indigenti

COM(2012) 617 final – 2012/295 (COD).

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 25 gennaio 2013.

Alla sua 487a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 febbraio 2013 (seduta del 14 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 182 voti favorevoli, 7 voti contrari e 12 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene i principi di fondo della proposta di regolamento in esame. Al tempo stesso, tuttavia, sottolinea che gli strumenti finanziari del previsto Fondo di aiuti europei agli indigenti sono insufficienti per realizzare gli obiettivi del Fondo.

1.2

A fronte della minaccia di povertà o di esclusione sociale che incombe sul 24,2 % della popolazione dell'Unione europea e del previsto aggravamento di questa tendenza, il CESE invita a dotare il nuovo Fondo di un bilancio all'altezza del fabbisogno. Il bilancio del nuovo Fondo dovrebbe essere adeguato all'obiettivo della strategia Europa 2020 in materia, che consiste nel ridurre di almeno 20 milioni entro il 2020 il numero delle persone che vivono o rischiano di trovarsi in condizioni di povertà e di esclusione sociale. Esso non dovrebbe in nessun caso discostarsi, per ordine di grandezza, da quello del programma di aiuti materiali condotto finora.

1.3

Il CESE, temendo che il cofinanziamento da parte degli Stati membri possa generare delle difficoltà nella realizzazione delle operazioni finanziate dal nuovo Fondo, si esprime a favore di un loro finanziamento integrale da parte del bilancio dell'Unione europea, analogamente a quanto avvenuto per i programmi di aiuti materiali realizzati negli anni scorsi.

1.4

Il CESE sostiene la semplificazione delle procedure e la riduzione degli oneri amministrativi a carico degli Stati membri, e in particolare delle organizzazioni partner, previste nel progetto di regolamento. A questo proposito, tuttavia, il CESE mette in guardia contro la possibilità che gli Stati membri applichino le complicate procedure adottate nel caso del Fondo sociale europeo.

1.5

Il CESE accoglie con favore le disposizioni intese a garantire che le organizzazioni partner dispongano di un livello di liquidità sufficiente per un'adeguata realizzazione delle operazioni e ad assicurare la copertura, nel quadro del Fondo, dei costi amministrativi, di trasporto e di magazzinaggio e di quelli relativi al rafforzamento della capacità delle organizzazioni partner.

1.6

Il CESE sostiene la creazione, a livello dell'Unione europea, di una piattaforma per lo scambio di esperienze e di buone pratiche. Al tempo tesso, chiede il coinvolgimento delle organizzazioni della società civile nel processo di monitoraggio e di valutazione dei programmi operativi del nuovo Fondo a livello degli Stati membri.

1.7

Inoltre, data la varietà di situazioni esistenti negli Stati membri dell'Unione, il CESE fa appello ai governi nazionali affinché, di concerto con le organizzazioni della società civile, definiscano la posizione e il ruolo del nuovo Fondo in modo tale da farne un efficace strumento complementare rispetto ad altre iniziative adottate nel quadro delle strategie e dei piani nazionali di lotta alla povertà e all'esclusione sociale, comprese le azioni sostenute dal Fondo sociale europeo.

1.8

Il CESE sottolinea che l'UE e i suoi Stati membri fondano la loro politica sociale sul modello sociale europeo, sui principi delle scienze sociali e sulla strategia Europa 2020. A tali principi si collega una serie di obiettivi, ad esempio la prestazione di diritto di servizi sociali, il rispetto della ripartizione delle competenze nell'UE, l'integrazione sociale e la solidarietà all'interno degli Stati membri e dell'Unione. Occorre mantenere l'affidabilità delle strutture tipiche dello Stato sociale e garantire in particolare l'accessibilità dei servizi sociali onde evitare, tra le altre cose, l'insorgere di situazioni di grave bisogno. L'acuirsi della povertà e la stigmatizzazione delle persone che ne sono colpite devono essere evitati con ogni tipo di aiuto.

1.9

Inoltre, data la diversità delle politiche nazionali di lotta alla povertà e all'esclusione sociale condotte dagli Stati membri dell'Unione e l'estrema insufficienza del bilancio del Fondo, il CESE si esprime a favore di un utilizzo facoltativo del Fondo da parte dei singoli Stati membri. Ciò non deve portare, tuttavia, a una riduzione delle risorse del Fondo sociale europeo a disposizione degli Stati membri che scelgono di non usufruire del Fondo.

2.   Contesto

2.1

Il presente parere del CESE verte sul nuovo programma di sostegno agli indigenti dell'Unione europea: si tratta del Fondo di aiuti europei agli indigenti, che sostituisce il programma per la distribuzione di derrate alimentari agli indigenti nell'Unione (PEAD) e il successivo programma di aiuto agli indigenti per il periodo 2012-2013.

2.2

Il PEAD, entrato in vigore nel 1987, stabilisce norme generali per la fornitura a taluni organismi di derrate alimentari provenienti dalle scorte d'intervento e destinate a essere distribuite agli indigenti nella Comunità. Si tratta di un programma che contribuisce ad accrescere la coesione sociale nell'Unione riducendo le disparità economiche e sociali.

2.3

L'erogazione di aiuti alimentari agli indigenti nel quadro del PEAD veniva effettuata, nella maggior parte degli Stati membri dell'Unione europea, da organizzazioni della società civile (associazioni di beneficenza designate). Nella maggioranza dei casi, tali aiuti erano d'importanza fondamentale per le successive azioni sulla via dell'integrazione sociale dei gruppi svantaggiati, e al tempo stesso erano una manifestazione visibile della solidarietà europea.

2.4

Il bilancio del programma è aumentato nel corso degli anni (principalmente in relazione ai successivi allargamenti dell'Unione) da 97 milioni di euro nel 1988 a 500 milioni di euro nel 2009. Nel 2011 il PEAD è intervenuto a sostegno di circa 19 milioni di indigenti europei (1).

2.5

Alcuni Stati membri, tuttavia, non hanno partecipato al PEAD, sostenendo che non ne avevano bisogno o che il programma era incompatibile con le loro politiche nazionali di lotta alla povertà e all'esclusione sociale. In questi Stati membri, una parte delle organizzazioni della società civile pone l'accento sul carattere «stigmatizzante» degli aiuti materiali diretti, preferendo a questi ultimi la concessione, da parte dello Stato, di aiuti finanziari sufficienti a soddisfare tutti i bisogni fondamentali. Nondimeno, anche in tali Stati membri vi sono persone e gruppi ai quali, per diverse ragioni, gli aiuti finanziari dei sistemi di assistenza pubblica non arrivano.

2.6

Il PEAD, a prescindere dalla sua dimensione sociale, ha rappresentato uno strumento della politica agricola dell'Unione: grazie alle scorte di intervento, infatti, esso ha contribuito a stabilizzare i mercati agricoli. Le successive riforme della PAC hanno portato a una significativa riduzione di queste scorte, il cui livello negli ultimi anni non ha consentito di soddisfare il fabbisogno di aiuti alimentari. Anche per questo motivo - a seguito, tra l'altro, di una consultazione effettuata presso i rappresentanti della società civile organizzata -, è stato elaborato un progetto di regolamento inteso a conferire al sistema di aiuti agli indigenti un carattere permanente. La maggior parte dei cambiamenti previsti nel progetto di regolamento, riguardanti tra l'altro l'introduzione graduale del cofinanziamento, piani di distribuzione triennali, la definizione di azioni prioritarie da effettuarsi da parte dagli Stati membri e l'aumento del bilancio disponibile, non ha ottenuto al Consiglio la maggioranza richiesta.

2.7

Il 13 aprile 2011 una sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea ha stabilito che gli acquisti di derrate alimentari sul mercato dell'Unione non possono essere usati regolarmente per rimpiazzare le diminuite scorte di intervento. Successivamente, il Parlamento europeo ha invitato la Commissione e il Consiglio (con risoluzione del 7 luglio 2011) a elaborare una soluzione transitoria per i restanti anni del quadro finanziario pluriennale in corso, in modo da evitare una brusca limitazione degli aiuti alimentari. Il 15 febbraio 2012 è stato adottato il regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma provvisorio che consente la distribuzione di prodotti alimentari per gli anni 2012-2013. Tale programma rimarrà in vigore fino al completamento del piano annuale per il 2013 (2).

2.8

Nel 2011 la minaccia della povertà o dell'esclusione sociale pesava sul 24,2 % della popolazione dell'Unione europea – circa 120 milioni di persone (mentre nel 2010 interessava il 23,4 % della popolazione e nel 2008 il 23,5 % (3)). Dato il perdurare della crisi economica e finanziaria, è prevedibile che la percentuale tenderà ad aumentare ulteriormente in quasi tutti gli Stati membri. Inoltre, la povertà e l'esclusione sociale sono fenomeni molto complessi, che non riguardano soltanto i disoccupati, ma anche le persone che, pur lavorando, non percepiscono una retribuzione sufficiente a coprire i bisogni fondamentali dell'esistenza.

2.9

Nel quadro della strategia Europa 2020, l'Unione europea si è posta l'obiettivo di ridurre di almeno 20 milioni entro il 2020 il numero delle persone colpite o minacciate dalla povertà e dall'esclusione sociale. Il 2010 è stato proclamato Anno europeo di lotta alla povertà e all'esclusione sociale. Anche in questo contesto, il CESE ricorda che la crisi economica ha aggravato questi fenomeni, sollevando preoccupazioni circa la possibilità per determinati Stati membri di conseguire questo obiettivo della strategia Europa 2020, tanto più senza un sufficiente sostegno finanziario da parte dell'Unione europea.

2.10

La questione dell'aiuto agli indigenti è stata per anni oggetto di attivo interessamento e di discussione al Comitato economico e sociale europeo. Nel solo 2011 il Comitato ha adottato due pareri in cui evidenzia la necessità di mantenere e sviluppare ulteriormente tale aiuto (4). I pareri elaborati dal CESE nel 2012, che trattano nella loro globalità gli obiettivi di integrazione sociale nel quadro della strategia Europa 2020, prendono in considerazione diversi aspetti della lotta alla povertà e all'esclusione sociale, esaminando tra l'altro la situazione degli anziani, dei disabili e delle persone con problemi di salute psichica, nonché lo sviluppo dell'agricoltura sociale e dell'edilizia sociale (5).

2.11

La Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo adottata dalle Nazioni Unite sancisce il diritto di ogni individuo «ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari» (6). Queste disposizioni trovano riscontro nelle norme del Trattato dell'Unione europea riguardanti il rispetto della dignità umana, tra cui quelle della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea intese a garantire un'esistenza dignitosa a tutti coloro che non dispongono di risorse sufficienti (7). Uno dei principi supremi della società europea, frutto delle esperienze storiche del nostro continente, è il principio di solidarietà (8), che dovrebbe valere anche e innanzitutto per i cittadini dell'Unione europea che vivono in condizioni di estrema povertà ed esclusione sociale.

3.   Principi fondamentali del progetto di regolamento proposto dalla Commissione

3.1

A differenza dei programmi di aiuti alimentari condotti finora, la proposta di regolamento in esame, che si fonda sull'art. 175, par. 3, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), richiamandosi all'art. 174 del TFUE, colloca il nuovo Fondo di aiuti europei agli indigenti nel quadro della politica di coesione. Stabilisce inoltre che l'obiettivo del regolamento, quello cioè di aumentare la coesione sociale nell'Unione e contribuire a limitare la povertà e l'esclusione sociale, non può essere conseguito in misura sufficiente dagli Stati membri e può quindi essere conseguito meglio a livello di Unione. Per questo l'Unione può, nel rispetto del principio di proporzionalità di cui all'art. 5 del Trattato sull'Unione europea, adottare adeguati provvedimenti conformemente al principio di sussidiarietà definito nello stesso articolo (9).

3.2

L'obiettivo del nuovo Fondo di aiuti europei agli indigenti (di seguito, il Fondo) è quello di concorrere a realizzare la coesione sociale nell'Unione partecipando al conseguimento dell'obiettivo di riduzione della povertà fissato dalla strategia Europa 2020. Lo strumento proposto dovrà aiutare a ridurre il livello di povertà ed esclusione sociale nell'Unione rispondendo ai bisogni fondamentali. Il nuovo fondo, che si basa in parte sulle esperienze acquisite con il PEAD, prevede inoltre che parte dei finanziamenti venga assegnata alla distribuzione di aiuti materiali alle persone senza fissa dimora e/o ai bambini sotto forma di beni di consumo non alimentari, nonché impiegata per misure di accompagnamento che contribuiscano a ridurre l'esclusione sociale.

3.3

Il sostegno del Fondo è diretto alle persone che soffrono di deprivazione alimentare o che sono senza fissa dimora e ai bambini che soffrono di deprivazione materiale. Le disposizioni specifiche riguardanti le categorie destinatarie e le forme di sostegno vengono però lasciate agli Stati membri.

3.4

Le organizzazioni che, nel quadro delle operazioni sostenute dal Fondo, forniscono direttamente derrate alimentari o altri prodotti sono tenute ad adottare misure di accompagnamento all'erogazione di assistenza materiale finalizzate all'integrazione sociale degli indigenti. Gli Stati membri hanno la possibilità di sostenere queste misure di accompagnamento con le risorse del Fondo.

3.5

Il livello massimo di cofinanziamento dei programmi operativi dei singoli Stati membri con le risorse del Fondo è pari all'85 % delle spese ammissibili, con deroghe per gli Stati membri con temporanee difficoltà di bilancio.

4.   Osservazioni in merito al testo della Commissione

4.1   Bilancio del Fondo e campo d'applicazione

4.1.1

Il CESE osserva con rammarico che le risorse finanziarie del previsto Fondo sono di gran lunga insufficienti per la realizzazione degli obiettivi del Fondo stesso.

4.1.2

Nell'acquisto dei generi alimentari occorre assicurarsi che non sia violata alcuna regola in materia di concorrenza e che si tenga sufficientemente conto delle PMI come anche degli operatori regionali sensibili agli aspetti ecologici e con vocazione all'inclusività sociale. Le organizzazioni che provvedono alla distribuzione dei generi alimentari non devono perseguire fini di lucro privati.

4.1.3

Come è noto, nel quadro finanziario 2014-2020 la Commissione europea ha previsto, per le azioni del nuovo Fondo di aiuti europei agli indigenti, un bilancio dell'ordine di 2,5 miliardi di euro, ossia circa 360 milioni di euro l'anno. Le discussioni sulla forma definitiva del bilancio dell'Unione fanno tuttavia temere che questa cifra possa essere ulteriormente ridotta, mentre già la quota annuale di 500 milioni di euro assegnata al programma in vigore per il periodo 2012-2013 non basta a coprire pienamente il fabbisogno degli Stati membri, che viene stimato in circa 680 milioni di euro l'anno (10). Dato che il numero degli Stati membri che beneficiano del nuovo Fondo (attualmente 20) (11) potrebbe aumentare, vista la flessibilità del sostegno proposto - vale a dire la possibilità di distribuire alle persone senza fissa dimora e ai bambini, oltre che generi alimentari, anche altri beni di consumo di base per uso personale - e considerate le azioni d'integrazione sociale previste, è verosimile che il fabbisogno sarà ben superiore al bilancio attuale. È quindi evidente che il bilancio proposto per il Fondo non soddisfa i bisogni per i quali è stato progettato. Inoltre, di fronte alla prospettiva che il bilancio dell'UE per il periodo 2014-2020 sia mantenuto ai livelli attuali o ridotto solo in misura non significativa, è difficile accettare una riduzione delle risorse destinate agli aiuti materiali pari ad almeno il 28 % (rispetto al programma del periodo 2012-2013).

4.1.4

La Commissione afferma che «in totale, il numero di persone aiutate direttamente dal Fondo, dai cofinanziamenti degli Stati membri e dai contributi in natura delle organizzazioni partner, ammonterebbe a 4 milioni» (12). Anche nell'ipotesi che tale obiettivo venga realizzato pienamente, rimane la questione dell'efficacia del Fondo ai fini del conseguimento degli obiettivi della strategia Europa 2020 (ridurre il numero delle persone che vivono in condizioni di povertà nell'Unione europea di almeno 20 milioni). A questo proposito, il CESE chiede che al nuovo Fondo venga dato un grado di priorità sufficientemente elevato a livello europeo, e che il Fondo sia dotato di un bilancio all'altezza del fabbisogno esistente.

4.1.5

Il CESE ricorda, in questo contesto, la posizione espressa dal Comitato delle regioni, che, nel suo parere in merito al programma di aiuti per il periodo 2012-2013, «esorta vivamente la Commissione a valutare costantemente se il massimale annuo di 500 milioni di euro per la misura in questione sia sufficiente, considerato che la crisi economica potrebbe accrescere la pressione a tagliare la spesa pubblica e che l'incertezza economica conduce in molti paesi ad un aumento della disoccupazione» (13).

4.1.6

Inoltre, il CESE si dichiara favorevole a che il Fondo sia finanziato al 100 % dal bilancio dell'Unione europea, come è avvenuto per i programmi di aiuti alimentari degli anni passati. Secondo il Comitato, il cofinanziamento da parte degli Stati membri potrebbe tradursi in difficoltà finanziarie nella realizzazione del programma, e ciò non soltanto negli Stati membri con temporanee difficoltà di bilancio (per i quali è prevista la possibilità di aumentare i pagamenti) (14).

4.1.7

Il CESE sostiene la disposizione del regolamento che dà la possibilità di ricorrere alle scorte di intervento per il rifornimento di viveri, anche se nel prossimo futuro non si prevede di accumularne in quantità significative (15). Tuttavia, dato che il bilancio del Fondo è largamente insufficiente, il Comitato è contrario a imputarvi il valore delle scorte di intervento utilizzate.

4.1.8

Infine, dato il bilancio estremamente esiguo del Fondo e alla luce delle posizioni di taluni Stati membri, che giudicano tra l'altro il Fondo non necessario o incompatibile con le loro politiche nazionali di lotta alla povertà e all'esclusione sociale, il CESE si esprime a favore di un uso facoltativo (volontario) del Fondo da parte dei singoli Stati membri (ciò potrebbe contribuire anche ad aumentare la quota delle risorse del Fondo spettanti agli Stati membri che se ne avvalgono).

4.2   Destinatari e tipi di aiuti distribuiti

4.2.1

Il CESE ritiene che, ai fini dell'assistenza da fornire, occorra considerare tutte e tre le situazioni prospettate nella proposta - deprivazione alimentare, mancanza di fissa dimora e deprivazione materiale dei bambini -, nonché i gruppi e le persone che, per particolari motivi, anche storici, sono emarginati dalla società. Il punto di partenza nella distribuzione degli aiuti deve essere la fornitura di prodotti alimentari. L'accesso a questi ultimi è infatti il primo passo sulla via sia dell'integrazione che del reinserimento sociale degli esclusi. Tuttavia, poiché i singoli Stati membri presentano situazioni molto diverse, il CESE chiede che venga lasciata interamente a questi ultimi la definizione dei tipi di sostegno da destinare ai singoli gruppi.

4.2.2

Inoltre, il CESE è contrario a imporre alle organizzazioni che forniscono direttamente aiuti alimentari o altri prodotti l'obbligo di svolgere attività che integrino la prestazione di un'assistenza materiale, nel caso in cui tali attività non siano sostenute dal programma operativo di un determinato Stato membro nel quadro del Fondo (16).

4.3   Gestione del fondo

4.3.1

Il CESE sostiene la posizione della Commissione per quanto riguarda la semplificazione delle procedure e la riduzione degli oneri amministrativi a carico degli Stati membri e in particolare delle organizzazioni partner (17). La razionalizzazione e la semplificazione delle procedure collegate all'attuazione degli interventi dovrebbero rispondere alla specificità degli obiettivi e dei destinatari del Fondo. A questo proposito, il CESE desidera mettere in guardia contro l'applicazione delle procedure adottate dal Fondo sociale europeo (18), poiché in alcuni Stati membri queste procedure sono complicate e potrebbero rivelarsi poco accessibili per le organizzazioni partner.

4.3.2

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione di creare una piattaforma europea le cui attività vengano finanziate nel quadro dell'assistenza tecnica. La condivisione di esperienze e di buone pratiche tra le istituzioni dell'UE, gli Stati membri, le parti sociali e altri soggetti della società civile costituirà un valore aggiunto del Fondo (19).

4.3.3

Il CESE giudica positivamente l'obbligo imposto agli Stati membri di elaborare i programmi operativi in cooperazione con le organizzazioni di rappresentanza della società civile (20). Nel contempo, però, chiede che sia introdotto l'obbligo di nominare, negli Stati membri, dei comitati di monitoraggio o altri organi collegiali per il monitoraggio e la valutazione dei programmi operativi, con la partecipazione delle organizzazioni della società civile e di persone direttamente toccate dalla povertà o di loro rappresentanti.

4.3.4

Il CESE giudica positivo il fatto che il Fondo sia dotato di risorse per coprire i costi amministrativi, di trasporto e di magazzinaggio dei prodotti alimentari e di consumo, nonché della possibilità di finanziare il rafforzamento della capacità delle organizzazioni partner (21). Ciò consente infatti un reale coinvolgimento delle organizzazioni partner nell'attuazione degli interventi effettuati nell'ambito del Fondo.

4.3.5

Il CESE accoglie con favore la disposizione che garantisce alle organizzazioni partner un livello di liquidità sufficiente per un'adeguata attuazione degli interventi (22).

Bruxelles, 14 febbraio 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  I principali risultati del piano di distribuzione degli ultimi anni sono stati illustrati nel corso di una riunione delle parti interessate svoltasi il 5 luglio 2012 presso la DG AGRI (unità C5) a Bruxelles,

http://ec.europa.eu/agriculture/most-deprived-persons/meetings/05-07-2012/dg-agri-1_en.pdf (pagg. 9-10).

(2)  Regolamento (UE) n. 121/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 febbraio 2012.

(3)  Comunicato stampa Eurostat n. 171/2012 del 3 dicembre 2012.

(4)  GU C 84 del 17.3.2011, pag. 49-52, e GU C 43 del 15.2.2012, pagg. 94-97.

(5)  GU C 11 del 15.1.2013, pagg. 16–20; GU C 44 del 15.2.2013, pagg. 28–35; GU C 44 del 15.2.2013, pagg. 36–43; GU C 44 del 15.2.2013, pag. 44–48; GU C 44 del 15.2.2013, pagg. 53–58.

(6)  Art. 25, par. 1, della Dichiarazione.

(7)  Cfr., tra gli altri, l'art. 2 del Trattato sull'Unione europea e l'art. 34, par. 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

(8)  Cfr. l'art. 2 del Trattato sull'Unione europea.

(9)  Cfr. il preambolo della proposta della Commissione, punti 3 e 42.

(10)  Il programma alimentare europeo per gli indigenti è stato al centro di una riunione delle parti interessate svoltasi il 5 luglio 2012 presso la DG AGRI (unità C0,5) a Bruxelles,

http://ec.europa.eu/agriculture/most-deprived-persons/meetings/05-07-2012/dg-agri-2_en.pdf, pag. 12).

(11)  Belgio, Bułgaria, Estonia, Finlandia, Francia, Grecia, Irlanda, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Polonia, Portogallo, Repubblica ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Ungheria.

(12)  MEMO/12/800 del 24 ottobre 2012, Povertà: la Commissione propone la costituzione di un nuovo Fondo di aiuto europeo per gli indigenti – domande ricorrenti, http://europa.eu/rapid/press-release_MEMO-12-800_it.htm

(13)  GU C 104, del 2.4.2011, pag. 44-46, punto 22 del parere.

(14)  Cfr. gli artt. 18 e 19 della proposta della Commissione.

(15)  Cfr. l'art. 21, par. 3, della proposta della Commissione.

(16)  Cfr. gli artt. 4, par. 2, e 7, par. 1, della proposta della Commissione.

(17)  Cfr. ad es. l'art. 23 della proposta della Commissione.

(18)  Cfr. l'art. 32, par. 4, della proposta della Commissione.

(19)  Cfr. art. 10 della proposta della Commissione.

(20)  Cfr. l'art. 7, par. 2, della proposta della Commissione,

(21)  Cfr. art. 24, paragrafo 1, lettera c), e art. 5, par. 2, della proposta della Commissione.

(22)  Cfr. artt. 39 e 41 della proposta della Commissione.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

I seguenti emendamenti, che hanno ottenuto almeno un quarto dei voti espressi, sono stati respinti nel corso delle deliberazioni (art. 39, par. 2, del Regolamento interno):

Punto 4.1.3

Modificare come segue:

La Commissione afferma che «in totale, il numero di persone aiutate direttamente dal Fondo, dai cofinanziamenti degli Stati membri e dai contributi in natura delle organizzazioni partner, ammonterebbe a 4 milioni». Anche nell'ipotesi che tale obiettivo venga realizzato pienamente, rimane la questione dell'efficacia del Fondo ai fini del conseguimento degli obiettivi della strategia Europa 2020 (ridurre il numero delle persone che vivono in condizioni di povertà nell'Unione europea di almeno 20 milioni). A questo proposito, il CESE chiede che al nuovo Fondo venga dato un grado di priorità sufficientemente elevato a livello europeo, e che il Fondo sia dotato di un bilancio all'altezza del fabbisogno esistente.

Esito della votazione

Voti favorevoli

:

55

Voti contrari

:

102

Astensioni

:

15

Punto 4.2.1

Modificare come segue:

Il CESE ritiene che, ai fini dell'assistenza da fornire, occorra considerare tutte e tre le situazioni prospettate nella proposta - deprivazione alimentare, mancanza di fissa dimora e deprivazione materiale dei bambini -, nonché i gruppi e le persone che, per particolari motivi, anche storici, sono emarginati dalla società. Il punto di partenza nella distribuzione degli aiuti deve essere la fornitura di prodotti alimentari. L'accesso ai prodotti alimentari può essere in tale contesto un a questi ultimi è infatti il primo passo sulla via sia dell'integrazione che del reinserimento sociale degli esclusi. Tuttavia, poiché i singoli Stati membri presentano situazioni molto diverse, il CESE chiede che venga lasciata interamente a questi ultimi la definizione dei tipi di sostegno destinati ai singoli gruppi.

Esito della votazione

Voti favorevoli

:

54

Voti contrari

:

108

Astensioni

:

21


9.5.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 133/68


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante il miglioramento dell'equilibrio di genere fra gli amministratori senza incarichi esecutivi delle società quotate in Borsa e relative misure»

COM(2012) 614 final — 2012/0299 (COD)

2013/C 133/13

Relatrice: SHARMA

Il Parlamento europeo, in data 22 novembre 2012, e il Consiglio, in data 10 dicembre 2012, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante il miglioramento dell'equilibrio di genere fra gli amministratori senza incarichi esecutivi delle società quotate in Borsa e relative misure

COM(2012) 614 final - 2012/0299 (COD).

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 25 gennaio 2013.

Alla sua 487a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 febbraio 2013 (seduta del 13 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 128 voti favorevoli, 58 voti contrari e 10 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Nel testo in esame la Commissione europea propone una direttiva intesa a migliorare l'equilibrio di genere fra gli amministratori senza incarichi esecutivi delle società europee quotate in Borsa per fare in modo che entro il 2020 almeno il 40 % di tali amministratori siano donne.

1.2

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la proposta della Commissione. Pur essendo più favorevole alle misure volontarie che alle quote, esso riconosce che in assenza di obiettivi fissati per legge ci saranno pochi cambiamenti nell'equilibrio di genere nelle società europee quotate in Borsa. Oggi soltanto il 13,7 % dei consiglieri di amministrazione sono donne - prova, questa, di una netta discriminazione.

1.3

Il CESE e la Commissione riconoscono la necessità di rispettare la libertà di praticare un'attività economica. La direttiva in esame introduce soltanto norme minime volte a migliorare le condizioni per la prosperità economica, lasciando ai singoli Stati membri la possibilità di spingersi oltre le misure raccomandate. Si fa presente che nel 2005 le parti sociali dell'UE avevano elaborato esse stesse un piano in cui esponevano molti degli argomenti a favore dell'uguaglianza tra i generi indicando inoltre agli Stati membri e alle società una serie di strumenti pratici per realizzarla (1).

1.4

L'impulso al cambiamento che è all'origine della direttiva scaturisce dal fatto che vi sono validi elementi per ritenere che esista una riserva di manodopera femminile altamente qualificata in tutti gli Stati membri e pertanto, qualsiasi argomento a favore dell'equilibrio di genere dovrebbe basarsi sulla «regola del merito e della preferenza» piuttosto che sulla discriminazione positiva. Nondimeno, sussistono ancora fattori che impediscono alle donne di assumere posizioni di vertice, come l'assenza di misure per conciliare vita professionale e vita familiare, l'accesso limitato a reti che sono importanti per gli incarichi più alti, la mancanza di fiducia in sé stesse, ecc.

1.5

Il CESE si augura che queste norme minime possano essere adottate da tutti gli organi decisionali pubblici e privati sotto forma di autoregolamentazione, così da evitare l'adozione di ulteriori atti legislativi. Esse potrebbero essere applicate agli amministratori con incarichi esecutivi, ai consigli delle PMI quotate e a tutti gli organismi del settore pubblico, in modo da promuovere un ambiente più equo in termini di genere, una maggiore trasparenza nella presentazione delle candidature e nelle procedure di nomina e una cultura dell'inclusione e della «scelta» nella società nel suo complesso.

1.6

Il CESE raccomanda inoltre che, per garantire che l'obiettivo del 40 % sia conseguito ed eventualmente anche superato, i responsabili politici e le società esaminino gli aspetti seguenti:

miglioramento della visibilità delle donne che ricoprono incarichi di elevata responsabilità,

maggiore trasparenza nella ricerca di talenti,

costruzione e mantenimento di una massa critica,

messa in discussione degli stereotipi associati ai ruoli di ciascun genere,

pianificazione della successione ai vertici,

creazione di un vivaio di talenti,

diffusione di esempi di buone pratiche,

creazione di una banca dati coordinata su scala europea di donne con qualifiche adeguate per occupare incarichi nei consigli societari.

1.7

Il CESE si congratula con la commissaria Reding e con quanti l'hanno sostenuta presso la Commissione, il Parlamento e altre istituzioni per aver compiuto questi primi passi verso un'Europa più equilibrata e per aver messo in discussione l'idea corrente su come debbano essere composti i consigli allo scopo di garantire una società più inclusiva. Si tratta infatti di un profondo cambiamento di mentalità. Il CESE dà atto delle vaste ricerche, analisi giuridiche e consultazioni con la società civile condotte per arrivare a una direttiva applicabile nella pratica, che garantisca un'adeguata flessibilità attuativa e temporale sia alle società che agli Stati membri, rispettando al tempo stesso i principi di sussidiarietà e di proporzionalità.

1.8

Le barriere che ostacolano il raggiungimento dell'uguaglianza tra i generi nei processi decisionali si situano su un piano molto più profondo dei ben collaudati argomenti e preconcetti sui generi e dei problemi legati all'offerta. Non si potranno mai ottenere grandi risultati se non vi è la disponibilità, da parte di entrambi i sessi, ad agire concretamente per andare oltre la retorica e rispettare i reciproci punti di vista. La forza dell'Europa risiede nel suo essere «unita nella diversità», ma di questa diversità bisogna prima saper fare buon uso.

1.9

Il CESE chiede che la proposta di direttiva includa disposizioni specifiche riguardanti l'equilibrio di genere fra i membri del consiglio di amministrazione che rappresentano i dipendenti della società, in considerazione delle loro particolari modalità di designazione.

2.   Contesto

I consigli di amministrazione sono composti per l'86,3 % da uomini

2.1

La parità tra i sessi è uno degli obiettivi fondamentali dell'UE: essa è sancita dal Trattato sull'Unione europea (articolo 3, paragrafo 3) e dalla Carta dei diritti fondamentali (articolo 23). Ai sensi dell'articolo 8 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, l'Unione mira ad eliminare le ineguaglianze, nonché a promuovere la parità, tra uomini e donne, mentre l'articolo 157, paragrafo 3 dello stesso Trattato conferisce all'UE la facoltà di intervenire nelle questioni riguardanti la parità di genere nell'occupazione e nell'impiego.

2.2

Il numero di donne presenti nei consigli societari varia notevolmente da uno Stato membro all'altro in funzione delle politiche seguite. Sebbene il ruolo delle donne nei consigli sia oggetto di attenzione da decenni, è soprattutto negli ultimi due anni che l'UE si è dedicata con rinnovato impegno a promuovere la parità tra i sessi nei consigli delle società quotate. Le opzioni dibattute vanno dall'introduzione di quote giuridicamente vincolanti a una regolamentazione autoimposta senza conseguenze in caso di inosservanza. Gli approcci di tipo volontario considerati efficaci sono lenti nel dare risultati. L'anno scorso il numero di donne nei consigli societari è aumentato soltanto dello 0,6 % e sono solo 24 le società che hanno firmato l'impegno formale del 2011 ad aumentare la presenza femminile nei vertici aziendali.

2.3

Le misure adottate dagli Stati membri si situano in un continuum che va dalle quote giuridicamente vincolanti con sanzioni in caso di inosservanza all'autoregolamentazione in settori specifici. Come prevedibile, la rappresentanza delle donne nei consigli presenta lo stesso grado di variabilità. Ciò nonostante, nei paesi che hanno adottato sistemi di quote vincolanti la presenza femminile nei consigli societari è aumentata in generale del 20 %, mentre in sei paesi che non hanno adottato alcun tipo di azione è diminuita (vedere allegato 1).

2.4

Alla fine del 2011, erano 11 gli Stati membri che avevano istituito per legge sistemi di quote oppure obiettivi quantitativi per la rappresentanza dei due sessi nei consigli societari. In Francia, Italia e Belgio sono stati introdotti sistemi di quote con sanzioni in caso di non rispetto; in Spagna e nei Paesi Bassi sono state adottate leggi sulle quote non accompagnate da sanzioni; Danimarca, Finlandia, Grecia, Austria e Slovenia hanno attuato norme applicabili soltanto ai consigli delle società controllate dalla Stato mentre in Germania la dimensione di genere rientra nella regolamentazione relativa alla rappresentanza dei lavoratori nei consigli di amministrazione.

2.5

Inevitabilmente, queste differenze tra gli Stati membri hanno inciso sulla presenza delle donne nei consigli: se nei paesi con sistemi di quote imposte per legge si è registrato un aumento del 20 %, ad eccezione dell'Italia, dove l'aumento è stato soltanto del 4 %, nei paesi che hanno introdotto codici di governo societario le percentuali di aumento vanno invece dall'11 % al 2 %.

2.6

In base all'andamento attuale, il solo paese sulla buona strada per realizzare l'obiettivo del 40 % di presenza femminile nei consigli di amministrazione entro il 2020 è la Francia. Se si estrapolano ulteriormente gli attuali livelli di rappresentanza femminile nei consigli, l'UE nel suo complesso non arriverà al 40 % di rappresentanza femminile neppure entro il 2040 (2).

2.7

Gli obiettivi saranno efficaci soltanto se accompagnati da meccanismi sanzionatori: occorrono quindi sanzioni sufficienti per l'inosservanza. La direttiva prevede in tutti i casi la dimostrazione di non ottemperanza: spetta alla società dimostrare di aver agito nel rispetto delle disposizioni nelle procedure di nomina. Le sanzioni saranno tanto più efficaci quanto più saranno specificate, imposte e attuate dallo Stato membro interessato: per questo la Commissione si è limitata a formulare delle raccomandazioni, che forniscono un orientamento per le possibili sanzioni.

2.8

La Commissione riconosce la necessità di rispettare la libertà fondamentale delle imprese di operare senza ingerenza, ma ritiene che tale libertà non debba prevalere sullo stato di diritto o sui diritti fondamentali. La direttiva in esame stabilisce norme minime per migliorare il quadro per lo svolgimento dell'attività economica e il funzionamento del mercato interno creando condizioni di parità per le società che operano in più Stati membri.

2.9

Essa fissa il 2020 come termine per realizzare l'obiettivo quantitativo del 40 %, onde tenere conto del ciclo delle nomine nei consigli delle singole società. Contiene inoltre una clausola di durata massima, fissata al 2028. Passato questo termine, essa non dovrebbe più essere necessaria.

2.10

Soltanto un provvedimento a livello UE, che sia flessibile per poter tenere conto della diversità tra gli Stati membri rispettando al tempo stesso il principio di sussidiarietà, sarà in grado di ottimizzare il potenziale del talento femminile.

3.   La parità tra i sessi è uno dei diritti fondamentali e uno dei valori comuni dell'UE

3.1

Il CESE ritiene che aumentare la percentuale di donne che esercitano poteri decisionali sia un obiettivo condiviso da tutti gli attori della società civile attivamente impegnati nella promozione della parità tra i sessi. Il CESE ha formulato molti pareri sull'equilibrio tra i generi nella società e nella relazione Il ruolo dei consigli economici e sociali e delle istituzioni analoghe nella nuova governance economica, sociale e ambientale mondiale ha sottolineato che «senza mandati giuridici che esigano un'equa rappresentanza […] non sarà possibile conseguire la parità politica, una democrazia autentica e l'eguaglianza.»

3.2

Oltre ad essere un presupposto indispensabile per un'autentica democrazia e per una società equa, l'equilibrio dei generi è una condizione essenziale per realizzare l'obiettivo dell'UE di una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva. Le ricerche della Banca mondiale e di Transparency International mostrano che con una buona rappresentanza femminile negli organi decisionali aumenta la trasparenza e diminuisce la corruzione. La buona governance in tutti i campi ha effetti positivi sulla società.

3.3

Più del 51 % della popolazione dell'UE è costituita da donne: le donne rappresentano il 45 % degli occupati e sono alla base di oltre il 70 % delle decisioni di acquisto. Il CESE avrebbe pertanto voluto che per migliorare l'equilibrio tra i sessi venissero introdotte misure giuridiche di tipo obbligatorio, con sanzioni a tutti i livelli della società, per tutti gli organi decisionali, così da mettere in discussione la percezione corrente di chi debba partecipare al processo decisionale e garantire una società inclusiva.

«È chiaro, oggi, che non si possono operare discriminazioni in base al genere.»  (3)

Rimane tuttavia il fatto che il 96,8 % dei presidenti sono uomini

3.4

L'espansione dell'economia globale è frutto diretto della capacità umana. Le donne, in quanto motrici di cambiamenti geopolitici che hanno un impatto sulla salute, l'istruzione, il benessere sociale, l'ambiente e la produttività economica, sono alla testa di questo processo e ciò rappresenta un ottimo argomento a favore della loro presenza nei consigli delle società. La diversità di genere non è soltanto una carta vincente per l'immagine di una società: essa contribuisce anche a rafforzare i legami tra la società stessa, i lavoratori, gli azionisti e i clienti. Si riconosce quindi che la diversità è un aspetto fondamentale di tutte le politiche del settore privato in materia di RSI, benché in molte società essa non sia ancora stata messa in pratica.

3.5

Le quote, per quanto scomode, rappresentano uno strumento efficace per promuovere la presenza delle donne nei consigli, come sottolineato da Laurence Parisot, presidente di MEDEF (Mouvement des entreprises de France), in un discorso tenuto ad una sessione plenaria del CESE nel 2012: «le quote non dovrebbero essere necessarie - ma sono l'unico modo per spezzare i pregiudizi degli uomini circa l'incompetenza delle donne».

3.6

D'altro canto, alcune donne con incarichi di vertice si sono espresse con forza contro le quote obbligatorie per legge perché ritengono che esse tolgano valore ai loro risultati. Vi sono timori concreti che le quote possano creare un'immagine negativa delle donne che assumono incarichi di vertice.

3.7

Per favorire l'ascesa delle donne a incarichi di vertice, è importante mettere in atto le politiche necessarie a incoraggiare le donne ad assumere posizioni di responsabilità, incluse misure per conciliare vita professionale e vita familiare, per incentivare la creazione di reti e l'avanzamento di carriera a tutti i livelli, misure di sensibilizzazione e misure volte a indurre modifiche degli atteggiamenti.

4.   Forze trainanti di una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva

4.1   Potenziale economico

4.1.1

la ripresa dell'europa, che oggi è ancora alle prese con la crisi economica, dipende dall'attività di una forza lavoro pienamente operativa, e ciò implica la partecipazione attiva delle donne. ancor prima della crisi, le parti sociali dell'ue - unice/ueapme, ceep e ces1 - si erano impegnate a rafforzare la parità di genere sul mercato del lavoro e sul posto di lavoro. nel 2005 esse avevano fatto dell'inclusione delle donne negli organi decisionali una delle loro priorità fondamentali e nella relazione presentata quell'anno raccomandavano strumenti pratici per promuoverla (4).

4.1.2

nella promozione della competitività delle imprese europee, l'accento viene posto su una crescita accompagnata da innovazione, ricerca, formazione, acquisizione di competenze, tutela dei consumatori e responsabilità sociale delle imprese (rsi), obiettivi chiave degli interventi della commissione per favorire al meglio l'aumento delle opportunità economiche. tutto ciò presuppone un'equilibrata dimensione di genere per ottenere risultati sostenibili.

4.1.3

il 51 % della popolazione dell'ue è rappresentata da donne. molte di loro sono altamente istruite e qualificate, e in quanto tali costituiscono una componente importante della forza lavoro. nell'istruzione terziaria gli studenti di sesso femminile sono più numerosi di quelli di sesso maschile e di conseguenza sul mercato del lavoro le donne altamente qualificate sono 50 % in più degli uomini. la relazione davies ha individuato una carenza di forza lavoro nel regno unito che potrebbe essere compensata con l'assunzione, nei prossimi 10 anni, di 2 milioni di lavoratori qualificati, la maggior parte dei quali dovrebbero essere donne in possesso di elevate qualifiche (5).

4.1.4

inoltre, la partecipazione economica del sesso femminile comporta vasti benefici finanziari e sociali per i paesi. il global gender gap index (indice globale dello scarto tra i sessi) per il 2011 dimostra che i paesi con una maggiore parità tra i sessi hanno un pil procapite più elevato  (6).

4.1.5

secondo goldman sachs, una maggiore presenza delle donne nella forza lavoro farebbe aumentare il pil del:

21 % in italia,

19 % in spagna,

9 % in francia e germania e

8 % nel regno unito.

4.1.6

un vasto corpus di ricerche sui vantaggi economici della presenza delle donne nei consigli societari offre prove convincenti del miglioramento dei risultati aziendali. studi condotti da credit suisse (2012) (7), da mckinsey (2007) (8) e da catalyst (2004) (9), l'uno indipendentemente dall'altro, hanno individuato una correlazione tra la percentuale di donne nei consigli e i risultati finanziari della società. ad esempio:

lo studio di mckinsey ha stabilito che nelle società con le più alte percentuali di donne nei consigli il rendimento del capitale netto supera del 41 % quello delle società in cui le donne sono assenti dai consigli.

lo studio di catalyst ha evidenziato che nelle società con 14,3-38,3 % di donne con incarichi direttivi il rendimento del capitale netto è 34,1 % più elevato che nelle società che non hanno analoghi livelli di donne in posti di elevata responsabilità.

lo studio di credit suisse ha rivelato che le azioni della società con donne nei consigli hanno un andamento migliore di quelle delle società sprovviste di presenza femminile ai vertici.

4.1.7

esistono anche studi che dimostrano che la diversità di genere nei consigli ha avuto uno scarso impatto, o addirittura nessuno, sui risultati finanziari, ma per la stragrande maggioranza le ricerche indicano una correlazione positiva tra presenza femminile nei consigli e risultati finanziari delle società.

4.2   Motivazioni e obiettivi

4.2.1

I migliori risultati delle società con una rappresentanza di genere diversificata negli organi direttivi sono dovuti a una serie di motivi. Uno dei principali è la disponibilità a intraprendere una riflessione critica diversificata sulle decisioni dell'impresa, creando un modello economico più proattivo.

4.2.2

La comprensione della diversità del mercato ha un immenso valore finanziario ed è un presupposto indispensabile per le società che operano nel mercato internazionale.

4.2.3

Innovazione e performance dei consigli societari. La forza che le donne apportano ai consigli risiede nella loro diversità ed esperienza, nel loro modo di affrontare problemi, nuovi mercati e opportunità grazie alla loro esperienza in materia di consumo. La diversità di pensiero è alla base dell'innovazione e del miglioramento della performance economica: essa sfida i preconcetti e incoraggia a una maggiore apertura verso l'esterno e verso i mercati nuovi ed esistenti. L'impatto di una feconda contaminazione tra idee diverse è immenso e questo principio può essere applicato anche alle opportunità transfrontaliere di rappresentanza nei consigli delle società. La sfida per i consigli è quella di adattarsi a una composizione autenticamente diversa e trovare il modo di sfruttare le sfide imprenditoriali in modo produttivo.

4.2.4

Diversità nei consigli significa diversità autentica, nel senso più ampio. L'idea propugnata dal CESE non è quella di affidare i posti di consigliere a un piccolo numero di donne che siedano in più consigli. Questa pratica, comunemente denominata delle «gonne d'oro», va contro il pilastro centrale della diversità nei consigli. I dati relativi alla Norvegia indicano che gli uomini con un unico incarico nel consiglio societario sono il 62 %, mentre le donne sono il 79 %. Il CESE difende il diritto di uomini e donne di scegliere e di avere pari accesso agli incarichi nei consigli in base al merito.

5.   Attuazione

5.1

Per conseguire gli obiettivi quantitativi di presenza femminile nei vertici aziendali occorre adottare delle misure che consentano di ottenerli. È necessaria una combinazione di misure a breve e a medio termine per garantire che la diversità nei consigli venga mantenuta anche oltre il 2028. Sarebbe opportuno considerare quanto segue:

5.1.1

Maggiore visibilità delle donne con posti di alta responsabilità - definire il profilo delle donne dei diversi Stati membri che sono diventate consigliere, far conoscere queste donne al più vasto mondo delle imprese e dimostrare l'impatto della diversità nei consigli sul successo dell'impresa.

5.1.2

Maggiore trasparenza nella ricerca di talenti - Il processo che porta alla nomina dei consiglieri di amministrazione è in gran parte opaco, basato sulle conoscenze personali. Per attirare il più vasto spettro di talenti, bisogna promuovere e presentare le opportunità offerte in modo tale da incoraggiare tutti gli individui di talento a candidarsi.

5.1.3

Costruire e mantenere una massa critica - Il valore della diversità di pensiero nei consigli di amministrazione si realizza pienamente soltanto quando vi è la massa critica necessaria per sfidare i preconcetti: è quindi indispensabile che i consigli siano costituiti per il 40 % da donne. Una maggiore trasparenza nel processo di nomina garantirà che venga considerato il più vasto spettro di candidati e scongiurerà il rischio che venga applicata la regola della «gonna d'oro» (10).

5.1.4

Mettere in discussione gli stereotipi sui ruoli dei generi - Sono stati realizzati grandi progressi per quanto riguarda i ruoli domestici che rappresentano un ostacolo alla partecipazione delle donne alla vita economica. Le misure in esame rappresentano un passo nella giusta direzione e contribuiranno ad aumentare la partecipazione femminile nei consigli.

5.1.5

Creazione di un vivaio di talenti - Per trarre benefici durevoli da consigli diversificati è necessario disporre di un flusso costante di persone altamente qualificate che abbiano sia il desiderio che la capacità di assumere incarichi direttivi. È indispensabile creare un ambiente che consenta alle donne di trovare il cammino nel labirinto (11) durante la loro carriera e raggiungere i vertici delle società. Dai punti citati sopra emergerà un importante vivaio; la presenza di modelli di ruolo femminili, processi di nomina più trasparenti e una chiara pianificazione della successione ai vertici sono la base per la diversità di genere nei consigli societari.

5.1.6

Creare una banca dati coordinata su scala europea - con informazioni dettagliate su donne che hanno le qualifiche adeguate per sedere nei consigli delle società. Ciò sarebbe una risposta al problema dell'invisibilità delle donne capaci di ricoprire incarichi nei consigli delle società. La banca dati ridurrebbe ulteriormente il rischio che una piccola minoranza di donne si trovi a coprire incarichi multipli e conferirebbe maggiore trasparenza al processo di nomina. Una banca dati su scala europea corroborerebbe gli argomenti a favore di incroci di competenze e di esperienze produttivi in differenti Stati membri oltre a offrire opportunità di lavorare in diversi settori.

Bruxelles, 13 febbraio 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  http://www.etuc.org/IMG/pdf/framework_of_actions_gender_equality_010305-2.pdf

(2)  Si veda la valutazione d'impatto.

(3)  COM(2012) 615 final.

(4)  http://www.etuc.org/img/pdf/framework_of_actions_gender_equality_010305-2.pdf

(5)  davies, women on boards, one year on (le donne nei vertici aziendali, un anno dopo), marzo 2012 http://www.bis.gov.uk/assets/biscore/business-law/docs/w/12-p135-women-on-boards-2012.pdf

(6)  global gender gap index (indice globale dello scarto fra i generi), 2011; forum economico mondiale, http://www.uis.unesco.org/

(7)  istituto di ricerca del crédit suisse (agosto 2012), gender diversity and corporate performance (diversità di genere e performance aziendale).

(8)  mckinsey, women matter: gender diversity: a corporate performance driver (le donne contano: la diversità di genere come motore della performance aziendale), 2007.

(9)  the bottom line: connecting corporate performance and gender diversity (a conti fatti: correlazione tra performance aziendale e diversità di genere), gennaio 2004, catalyst.

(10)  Golden Skirts Fill the Board Rooms (gonne d'oro riempiono le sale dei consigli delle società), BI Norwegian Business School Review, 31.10.2012, a partire dallo studio di Morten Huse, The «Golden Skirts». Changes in Board Composition Following Gender Quotas on Corporate Boards (le gonne d'oro: modifiche nella composizione dei consigli delle società in seguito all'introduzione di quote di genere nei consigli delle società), 2011.

(11)  Cfr. il testo di Alice Eagly and Linda Carli Through the Labyrinth: The Truth About How Women Become Leader (Attraverso il labirinto: la verità su come le donne diventano leader).


ALLEGATO 1

al parere del Comitato economico e sociale europeo

I seguenti emendamenti, che hanno ottenuto almeno un quarto dei voti espressi, sono stati respinti nel corso delle deliberazioni:

Punto 1.2

Modificare come segue:

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si compiace del fatto che la percentuale di donne che siedono nei consigli di amministrazione sia passata da 13,7 % nel gennaio 2012 a 15,8 % nel gennaio 2013. La condizione indispensabile perché questa tendenza prosegua è l'impegno da parte delle società stesse: per questo motivo il CESE non è favorevole alle quote in generale, benché riconosca che la proposta della Commissione ha contribuito in misura notevole ad una maggiore consapevolezza del problema e, quindi, ad un più forte impegno a incrementare tale tendenza. accoglie con favore la proposta della Commissione. Pur essendo più favorevole alle misure volontarie che alle quote, esso riconosce che in assenza di obiettivi fissati per legge ci saranno pochi cambiamenti nell'equilibrio di genere nelle società europee quotate in Borsa. Oggi soltanto il 13,7 % dei consiglieri di amministrazione sono donne - prova, questa, di una netta discriminazione.

Esito della votazione

Voti favorevoli

:

78

Voti contrari

:

102

Astensioni

:

5

Punto 1.5

Modificare come segue:

Il CESE si augura che queste norme minime possano essere adottate ritiene che l'obiettivo del 40 % possa essere raggiunto da tutti gli organi decisionali pubblici e privati tramite misure volontarie e la pressione tra pari e aumentando il numero di donne (e uomini) disponibili per incarichi di responsabilità in ogni settore interessato. Preferirebbe sotto forma di l'autoregolamentazione e misure non vincolanti, così da evitare l'adozione di ulteriori atti legislativi. Esse potrebbero essere applicate agli amministratori con incarichi esecutivi, ai consigli delle PMI quotate e a tutti gli organismi del settore pubblico, in modo da promuovere un ambiente più equo in termini di genere, una maggiore trasparenza nella presentazione delle candidature e nelle procedure di nomina e una cultura dell'inclusione e della «scelta» nella società nel suo complesso. Il Comitato sottolinea che un gran numero di Stati membri ha già avviato una vasta gamma di iniziative per promuovere la presenza femminile nei consigli delle società, e che ogni eventuale iniziativa UE dovrebbe rispettare tali iniziative nazionali.

Esito della votazione

Voti favorevoli

:

75

Voti contrari

:

107

Astensioni

:

3

Punto 1.7

Sopprimere il testo barrato:

Il CESE si congratula con la commissaria Reding e con quanti l'hanno sostenuta presso la Commissione, il Parlamento e altre istituzioni per aver compiuto questi primi passi verso un'Europa più equilibrata e per aver messo in discussione l'idea corrente su come debbano essere composti i consigli allo scopo di garantire una società più inclusiva. Si tratta infatti di un profondo cambiamento di mentalità. Il CESE dà atto delle vaste ricerche, analisi giuridiche e consultazioni con la società civile che sono state condotte per arrivare a una direttiva applicabile nella pratica, che garantisca un'adeguata flessibilità attuativa e temporale sia alle società che agli Stati membri, rispettando al tempo stesso i principi di sussidiarietà e di proporzionalità.

Esito della votazione

Voti favorevoli

:

79

Voti contrari

:

107

Astensioni

:

5

Punto 2.2

Modificare come segue:

Il numero di donne presenti nei consigli societari varia notevolmente da uno Stato membro all'altro in funzione delle politiche seguite. Sebbene il ruolo delle donne nei consigli sia oggetto di attenzione da decenni, è soprattutto negli ultimi due anni che l'UE si è dedicata con rinnovato impegno a promuovere la parità tra i sessi nei consigli delle società quotate. Le opzioni dibattute vanno dall'introduzione di quote giuridicamente vincolanti a una regolamentazione autoimposta senza conseguenze in caso di inosservanza. Gli approcci di tipo volontario considerati efficaci sono lenti nel dare risultati. L'anno scorso il numero di donne nei consigli societari è aumentato soltanto dello 0,6 % e sono solo 24 le società che hanno firmato l'impegno formale del 2011 ad aumentare la presenza femminile nei vertici aziendali. Il CESE fa osservare tuttavia che generalmente il mandato di un consigliere con incarichi non esecutivi va dai tre ai cinque anni. Avrebbe perciò preferito che fosse dato più tempo alle società europee per sottoscrivere l'impegno del 2011 ad incrementare la presenza delle donne nei consigli.

Esito della votazione

Voti favorevoli

:

82

Voti contrari

:

90

Astensioni

:

8

Punto 2.7

Modificare come segue:

Gli obiettivi saranno efficaci soltanto se accompagnati da meccanismi sanzionatori: occorrono quindi sanzioni sufficienti per l'inosservanza. La direttiva prevede in tutti i casi la dimostrazione di non ottemperanza: spetta alla società dimostrare di aver agito nel rispetto delle disposizioni nelle procedure di nomina. Le sanzioni saranno tanto più efficaci quanto più saranno specificate, imposte e attuate dallo Stato membro interessato: per questo la Commissione si è limitata a formulare delle raccomandazioni, che forniscono un orientamento per le possibili sanzioni. Il CESE chiede tuttavia la garanzia che la sanzione di nullità o annullamento della nomina o dell'elezione di amministratori senza incarichi esecutivi non influisca sulle decisioni che sono state prese dal CdA in questione, altrimenti le società interessate sarebbero seriamente danneggiate.

Esito della votazione

Voti favorevoli

:

71

Voti contrari

:

93

Astensioni

:

7

Punto 2.10

Modificare come segue:

Soltanto un provvedimento a livello UE, che sia flessibile per poter tenere conto della diversità tra gli Stati membri e della diversità strutturale dei consigli di amministrazione, rispettando al tempo stesso il principio di sussidiarietà e i diritti relativi alla proprietà privata, sarà in grado di ottimizzare il potenziale del talento femminile. Le esigenze di un'impresa variano con la gamma dei suoi prodotti e la tipologia della sua clientela, e inoltre cambiano nel tempo, a seconda del tipo e delle dimensioni dell'impresa, della struttura proprietaria, del funzionamento, della fase di sviluppo, ecc

Esito della votazione

Voti favorevoli

:

80

Voti contrari

:

100

Astensioni

:

8

Nuovo punto 2.11

Per questo, il CESE avrebbe preferito l'autoregolamentazione come metodo più idoneo per migliorare la situazione, dal momento che avrebbe fornito la flessibilità necessaria per gestire le pari opportunità a tutti i livelli e una rappresentanza opportuna e appropriata di entrambi i sessi nei consigli, in funzione della durata dei mandati, dei rinnovi e delle prospettive di crescita a lungo termine. Il CESE sottolinea che un gran numero di Stati membri ha già avviato una vasta gamma di iniziative per promuovere la presenza femminile nei consigli delle società, che ogni eventuale iniziativa UE dovrebbe rispettare tali iniziative nazionali.

Esito della votazione

Voti favorevoli

:

78

Voti contrari

:

99

Astensioni

:

9


9.5.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 133/77


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di decisione del Consiglio sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione»

COM(2012) 709 final — 2012/0335 (NLE)

2013/C 133/14

Relatore generale: GREIF

Il Consiglio, in data 11 dicembre 2012, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 148, paragrafo 2, e 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di decisione del Consiglio sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione

COM(2012) 709 final - 2012/0335 (NLE).

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 11 dicembre 2012, ha incaricato la sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, di preparare i lavori del Comitato in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 487a sessione plenaria del 13 e 14 febbraio 2013 (seduta del 13 febbraio), ha nominato GREIF relatore generale e ha adottato il seguente parere con 170 voti favorevoli, 5 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

L'Europa non sembra ancora riuscire a superare la crisi, e ciò aggrava la sua divisione. Sullo sfondo degli approcci politici attualmente applicati nell'UE, che vedono nell'austerità la chiave per risolvere la crisi, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ribadisce la sua profonda preoccupazione che né gli obiettivi della strategia Europa 2020 in materia di occupazione né quelli relativi alla lotta alla povertà possano essere raggiunti.

1.2

Il CESE chiede di varare un piano europeo di ripresa economica con effetti considerevoli sul mercato del lavoro, pari al 2 % del PIL. Per intensificare gli effetti occupazionali, occorre effettuare investimenti nazionali aggiuntivi e individuare progetti d'investimento a livello europeo in modo coordinato, rapido e mirato.

1.3

L'ampio coinvolgimento delle parti sociali e della società civile in tutte le fasi di definizione e attuazione della politica occupazionale costituisce un pilastro essenziale per il successo del coordinamento politico. Il CESE insiste sul fatto che tutte le parti interessate, compreso lo stesso Comitato, dovrebbero disporre di tempo sufficiente tra la pubblicazione della prossima proposta e la data prevista per l'adozione della decisione in modo da poter effettuare un dibattito approfondito in materia. Ciò riveste particolare importanza nel caso della nuova serie di orientamenti da adottare nel 2014.

1.4

Inoltre il Comitato ha formulato delle proposte nei seguenti ambiti:

a integrazione dell'obiettivo di un aumento generale della quota di occupati nell'UE, occorrerebbe definire requisiti per specifici gruppi;

la «garanzia per i giovani» dovrebbe essere applicabile al più presto, ossia, idealmente, al momento dell'iscrizione a un ufficio di collocamento:

se i fondi dell'FSE non sono sufficienti, andrebbe istituito uno specifico fondo di solidarietà per i giovani destinato ai paesi con particolari difficoltà;

si dovrebbero promuovere degli standard di qualità per la prima esperienza lavorativa e per la formazione sul posto di lavoro;

andrebbe esaminato il sistema duale di apprendistato al fine di garantirne una più vasta attuazione nella quale le parti sociali devono svolgere un ruolo essenziale;

è necessario combattere il lavoro precario, ad esempio ampliando l'approccio di flessicurezza e rivolgendo maggiore attenzione alla flessicurezza interna;

si dovrebbe riconoscere maggiormente il ruolo svolto dalle aziende, in particolare dalle PMI, nella creazione di posti di lavoro;

occorre rafforzare il ruolo delle istituzioni del mercato del lavoro nei programmi nazionali di riforma;

i paesi con una situazione del mercato del lavoro particolarmente difficile dovrebbero beneficiare di un accesso più agevole ai finanziamenti dell'UE;

i finanziamenti europei devono essere sufficienti, e di questo aspetto occorre tenere pienamente conto nel quadro finanziario pluriennale.

2.   Introduzione

2.1

Il Consiglio, in data 21 ottobre 2010, ha deciso di lasciare invariati gli orientamenti per le politiche a favore dell'occupazione fino al 2014, al fine di mettere in primo piano la loro attuazione (1). Il 28 novembre 2012 la Commissione europea ha presentato una proposta di decisione del Consiglio tesa a mantenere la validità degli orientamenti per il 2013.

2.2

Sullo sfondo del peggioramento in atto della situazione occupazionale nella maggior parte degli Stati membri, e in particolare dell'impennata della disoccupazione giovanile e di una disoccupazione di lungo periodo che permane elevata, in vista della preparazione dell'aggiornamento degli orientamenti previsto per il prossimo anno, il CESE approfitta della consultazione annuale, a norma dell'articolo 148, paragrafo 2, del TFUE, per ribadire le principali raccomandazioni formulate l'anno scorso in merito gli orientamenti e alla loro attuazione (2).

3.   Osservazioni generali

3.1   Gli obiettivi di Europa 2020 in materia di occupazione rischiano di non essere realizzati

3.1.1

Nei prossimi anni l'Europa si spingerà verso una situazione occupazionale estremamente critica. Alcuni gruppi, come i giovani, i lavoratori meno qualificati, i disoccupati di lunga durata, i disabili, gli immigrati e i genitori soli, sono colpiti in misura maggiore. Nel quinto anno di crisi finanziaria, tutte le previsioni, compresa l'analisi dell'occupazione della Commissione, indicano che gli sviluppi del mercato del lavoro in tutta Europa continueranno a essere negativi, almeno nel 2013. L'Europa non sembra ancora riuscire a superare la crisi, e ciò aggrava la sua divisione.

3.1.2

La ripresa dell'occupazione ha subito una battuta d'arresto, e il tasso di occupati è in calo. La creazione di posti di lavoro è rimasta debole, e la situazione è peggiorata nonostante le potenzialità non sfruttate di alcuni settori fonte di occupazione e del mercato unico. La segmentazione del mercato del lavoro si è ulteriormente accentuata, con un aumento dei contratti temporanei e del lavoro a tempo parziale. La pressione fiscale sul lavoro rimane elevata e in alcuni Stati membri è ulteriormente cresciuta. La disoccupazione è nuovamente in aumento e ha raggiunto livelli senza precedenti, con tassi di disoccupazione di lunga durata allarmanti, soprattutto negli Stati membri costretti a forti misure di risanamento dei conti pubblici. Il reddito medio delle famiglie è in calo in molti Stati membri, e dai dati recenti emerge una tendenza verso livelli più elevati e forme più gravi di povertà e di esclusione sociale, con un aumento della povertà lavorativa e della polarizzazione sociale in molti Stati membri (3).

3.1.3

Il CESE esprime la profonda preoccupazione che, sullo sfondo degli approcci politici attualmente applicati nell'UE, che vedono nell'austerità la chiave per risolvere la crisi, non si riescano a conseguire né gli obiettivi di occupazione né gli obiettivi di lotta alla povertà espressi nella priorità della crescita inclusiva della strategia Europa 2020.

3.2   Agevolare una ripresa fonte di occupazione sostenuta da un piano europeo di ripresa economica

3.2.1

Le misure di austerità, facendo contrarre la domanda finale in uno Stato membro, provocano reazioni a catena in altri paesi. L'avvio simultaneo di programmi di austerità in diversi paesi offusca ulteriormente le prospettive di crescita, ed è possibile che in questo modo si inneschi un circolo vizioso di insicurezza che incide in particolare sugli investimenti in formazione e perfezionamento professionale, sulla ricerca e l'innovazione, sull'occupazione e sui consumi.

3.2.2

Anche se la politica occupazionale non può compensare le lacune nella gestione della politica macroeconomica, il CESE ritiene che essa svolga un ruolo essenziale, accanto allo sviluppo dell'infrastruttura europea e alla crescita qualitativa. Occorre effettuare rapidamente investimenti europei e nazionali mirati e con un forte effetto occupazionale, da operare in modo coordinato per accrescerne l'efficacia. Bisogna compiere tutti gli sforzi possibili per mobilitare investimenti sia privati che pubblici e realizzare le necessarie riforme.

3.2.3

Il CESE condivide l'analisi della Commissione secondo cui le prospettive di aumento dell'occupazione dipendono in larga misura dalla capacità dell'UE di produrre crescita economica mediante appropriate politiche macroeconomiche, industriali e di innovazione, e di completare queste iniziative con una politica dell'occupazione indirizzata ad una ripresa che sia fonte di occupazione. Il CESE teme che molte delle utili proposte del pacchetto per l'occupazione adottato nell'aprile 2012 risultino inapplicabili qualora l'UE continui a portare avanti la propria politica di rigore.

3.2.4

Il CESE teme anche che le sole misure proposte non consentano di realizzare gli obiettivi indicati nella strategia per l'occupazione dell'UE. Per questa ragione, il CESE ha ripetutamente chiesto un piano congiunturale europeo, con ampie ricadute sul mercato del lavoro, di portata pari al 2 % del PIL. I primi passi in questa direzione sono stati fatti nel quadro delle risoluzioni del vertice europeo del giugno 2012, con il Patto per la crescita e l'occupazione. Occorre adesso aggiungere i contenuti, per garantire durevolmente in tutta Europa lo spazio di manovra assolutamente necessario per la crescita sostenibile e l'occupazione. Il CESE ha anche chiesto un patto per gli investimenti sociali che consenta di superare in maniera duratura le crisi e di investire nel futuro, e intende seguire da vicino il pacchetto sugli investimenti sociali la cui adozione è stata annunciata dalla Commissione per febbraio.

3.3   Coinvolgimento della società civile e delle parti sociali

3.3.1

Il CESE ha espresso più volte la propria adesione al ciclo pluriennale di coordinamento politico nel quadro della strategia Europa 2020, e ha sempre affermato che l'ampio coinvolgimento dei parlamenti, delle parti sociali e della società civile a livello nazionale ed europeo in ogni fase della definizione e dell'attuazione della politica per l'occupazione costituisce un pilastro essenziale per il successo del coordinamento politico.

3.3.2

Dato che gli orientamenti offrono agli Stati membri il quadro entro il quale delineare, attuare e verificare le politiche nazionali nell’ambito della strategia globale dell’UE, il CESE insiste sul fatto che tutte le parti interessate, compreso lo stesso Comitato, dovrebbero disporre di tempo sufficiente tra la pubblicazione della prossima proposta e la data prevista per l'adozione della decisione, così da poter effettuare un dibattito approfondito in materia. Questo aspetto è ancora più importante se si considera che la politica occupazionale europea deve fornire un contributo maggiore al sostegno degli Stati membri in difficoltà.

3.3.3

In linea con il calendario del semestre europeo, le parti sociali europee dovrebbero essere consultate, in una fase precoce della preparazione dell'analisi annuale della crescita, per quanto riguarda la definizione delle «principali priorità strategiche relative alle politiche per l'occupazione», nonché nel quadro della formulazione, attuazione e valutazione degli orientamenti a favore dell'occupazione. Ciò riveste particolare importanza nel caso della nuova serie di orientamenti da adottare nel 2014.

4.   Osservazioni specifiche e proposte concrete

4.1

Integrare gli obiettivi generali in materia di occupazione con obiettivi europei per gruppi specifici: in futuro, a integrazione dell'obiettivo di un aumento generale della quota di occupati nell'UE, occorrerebbe definire requisiti quantificati dell'UE per specifici gruppi come i disoccupati di lunga durata, le donne, gli anziani, i disabili e, in particolare, i giovani. Il frequente trasferimento della definizione di concreti obiettivi occupazionali a livello degli Stati membri non ha dato buoni risultati; in tale contesto bisogna definire un indicatore riferito a una riduzione sostanziale del numero di giovani che non lavorano e non partecipano a un corso di formazione (NEET).

4.2

La garanzia per i giovani dovrebbe essere applicabile al più presto: il Comitato accoglie con grande favore la proposta della Commissione di una garanzia per i giovani, intesa ad assicurare che tutti i giovani di età inferiore a 25 anni ricevano, in breve tempo, un'offerta qualitativamente valida di lavoro, proseguimento degli studi, apprendistato o tirocinio (4). Ritiene tuttavia che intervenire dopo quattro mesi sia già troppo tardi. L'ideale sarebbe che la «garanzia per i giovani» fosse applicabile al più presto, ossia al momento dell'iscrizione a un ufficio di collocamento, dato che un passaggio difficile al mondo del lavoro nuoce all'economia e lascia dei segni per tutta la vita. Occorre che i piani nazionali di riforma comprendano misure concrete in questo senso.

4.3

Istituire uno specifico fondo di solidarietà per i giovani destinato ai paesi con particolari difficoltà, se i fondi dell'FSE non sono sufficienti: il CESE rileva che occorrerà adoperarsi in modo particolare affinché, nel predisporre le prospettive finanziarie per il periodo 2014-2020, si garantisca la disponibilità di risorse per i giovani nel quadro del Fondo sociale europeo. Il CESE ritiene che la gravità della situazione imponga la creazione di un fondo specifico di solidarietà per i giovani, ossia una soluzione basata sulla solidarietà analogamente al fondo di adeguamento alla globalizzazione (FEG). I paesi che attraversano particolari difficoltà potrebbero ricevere un sostegno temporaneo nel quadro dell'attuazione della garanzia per i giovani. Ove ciò non possa essere realizzato con le sole risorse del Fondo sociale europeo, occorre impiegare per il finanziamento altre risorse europee (fondo di solidarietà per i giovani). È stato possibile reperire miliardi per le banche, si dovrebbe quindi riuscire a mobilitare anche queste risorse.

4.4

Promuovere standard di qualità, prime esperienze professionali e formazione sul posto di lavoro: il CESE sostiene lo sviluppo di competenze che rispondano alle esigenze del mercato del lavoro attraverso la cooperazione attiva tra mondo del lavoro e istituti di istruzione. Il CESE ritiene opportuno sostenere le prime esperienze professionali e la formazione sul posto di lavoro, e quindi concorda sul fatto che l'apprendistato e i tirocini, nonché i programmi di volontariato, sono strumenti importanti che permettono ai giovani di acquisire competenze ed esperienza professionale. Il CESE sottolinea l'importanza di disporre di criteri qualitativi per apprendistati e tirocini. In tal senso, plaude all'iniziativa della Commissione di adottare un quadro qualitativo volto a incoraggiare l'offerta e la partecipazione a tirocini di qualità.

4.5

Esaminare il sistema duale di apprendistato al fine di garantirne una più vasta attuazione: è importante colmare il divario tra esigenze del mercato del lavoro, istruzione e aspettative dei giovani. Ciò può essere realizzato, per esempio, fornendo incentivi e sostegno allo sviluppo di regimi di apprendistato di alta qualità. Il CESE accoglie con favore le linee guida della Commissione in merito. Occorre valutare la possibilità di applicare questo sistema duale che associa istruzione generale e formazione professionale anche in altri Stati membri. I paesi che hanno adottato un sistema di formazione duale registrano un tasso di disoccupazione giovanile notevolmente inferiore a quello dei paesi che non hanno introdotto sistemi di apprendistato. Inoltre, in alcuni paesi maggiormente in crisi vi è interesse per l'introduzione di sistemi di formazione duali. A tale proposito, il CESE chiede un migliore scambio di esperienze e il sostegno del Fondo sociale europeo per i regimi di apprendistato. Occorrono misure per incoraggiare lo scambio di buone pratiche, finanziamenti di avviamento e un quadro di qualità per la formazione duale a scuola e in azienda. Il CESE sottolinea l'importanza di coinvolgere le parti sociali nella formazione professionale. Ritiene quindi essenziale che le parti sociali degli Stati membri siano strettamente associate alla progettazione, attuazione e monitoraggio di sistemi di questo tipo.

4.6

Combattere il lavoro precario: il Comitato si è già pronunciato sul tema della flessicurezza in diverse occasioni, e si rallegra del fatto che le esperienze maturate nella gestione della crisi abbiano portato ad ampliare l'approccio adottato finora in questo campo. Infatti, nel quadro delle discussioni in materia, non era stata prestata la debita attenzione al miglioramento della flessibilità interna. L'occupazione a tempo determinato e il lavoro temporaneo possono offrire soluzioni transitorie di breve durata e risultare talvolta necessarie per facilitare, in particolare ai gruppi svantaggiati, il percorso verso il mercato del lavoro formale. Tuttavia, la conseguente mancanza di sicurezza occupazionale dev'essere temporanea e oggetto di protezione sociale. Per quanto riguarda la disoccupazione giovanile, il CESE sconsiglia il ricorso a soluzioni precarie e senza prospettive in materia di integrazione nel mercato del lavoro. Invece di puntare sull'occupazione precaria, bisogna attuare misure atte a evitare che il lavoro a tempo determinato, mal retribuito e poco tutelato divenga la norma per i giovani.

4.7

Riconoscere maggiormente il ruolo delle imprese nella creazione di posti di lavoro: le imprese in Europa hanno un ruolo essenziale nel superamento della crisi occupazionale. In particolare le piccole e medie imprese hanno fatto registrare negli ultimi anni un bilancio positivo in termini di assunzioni. È quindi essenziale migliorare l'accesso delle piccole e medie imprese al capitale e ridurre i costi di avviamento. Secondo la Commissione, ciò avrebbe un importante impatto sull'economia dell'UE, accrescendo il prodotto interno lordo dell'1,5 %, ossia circa 150 miliardi di euro, senza al tempo stesso ridurre la protezione degli addetti. Anche le imprese sociali e le organizzazioni della società civile possono contribuire all'aumento dell'occupazione, come è stato, tra l'altro, più volte sottolineato in pareri del CESE. Inoltre, in un recente parere di iniziativa della commissione consultiva per le trasformazioni industriali, veniva osservato che le cooperative, specialmente quelle di lavoratori, garantiscono anche in tempo di crisi un numero maggiore di posti di lavoro, perché riducono i profitti per tutelare l'occupazione (5).

4.8

Rafforzare il ruolo delle istituzioni del mercato del lavoro nei programmi nazionali di riforma: in vari paesi si dovrà sviluppare il sostegno specifico offerto dai servizi pubblici per l'occupazione, dedicando speciale attenzione ai gruppi svantaggiati. Occorre verificare ed eventualmente migliorare le condizioni di ammissione alle prestazioni destinate ai giovani disoccupati e ai disoccupati di lunga durata in cerca di un posto di lavoro o di formazione. Si raccomanda di includere tale obiettivo nei programmi nazionali di riforma.

4.9

Facilitare l'accesso ai finanziamenti dell'UE per i paesi con una situazione del mercato del lavoro particolarmente difficile: malgrado la difficile situazione di bilancio in alcuni Stati membri, la disponibilità di fondi nazionali ed europei per interventi attivi nel mercato del lavoro, accanto ad altri fondi per l'istruzione e l'occupazione dei giovani e dei disoccupati di lunga durata, va mantenuta e ove necessario aumentata. Gli Stati membri che si trovano in una situazione particolarmente difficile per quanto riguarda il mercato del lavoro e che, al tempo stesso, sono vincolati a una rigida disciplina di bilancio dovrebbero beneficiare di un accesso facilitato ai fondi dell'UE. Bisogna applicare procedure pragmatiche e flessibili e semplificare gli iter amministrativi richiesti per usufruire dei fondi, fino al punto di sopprimere temporaneamente il cofinanziamento nazionale in caso di ricorso al Fondo sociale europeo e ad altri fondi europei.

4.10

Fondi europei supplementari: la gravità della crisi economica mette in risalto il fatto che l'ammontare attualmente proposto dalla Commissione per i fondi strutturali nel periodo 2014-2020 potrebbe non essere sufficiente a ottenere l'effetto auspicato sulla crescita economica e sull'occupazione né ad accrescere la coesione economica, sociale e territoriale nell'UE. Di questo aspetto si dovrebbe tenere pienamente conto nel quadro finanziario pluriennale (QFP).

Bruxelles, 13 febbraio 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Decisione 2010/707/UE del Consiglio.

(2)  Cfr. in particolare il parere CESE del 27 maggio 2010 sugli orientamenti a favore dell'occupazione (GU C 21 del 21.1.2011, pag. 66), il parere CESE del 22 febbraio 2012 sugli orientamenti a favore dell'occupazione (GU C 143 del 22.5.2012, pag. 94), il parere CESE del 22 febbraio 2012 sul tema Conseguenze sociali della nuova legislazione sulla governance economica (GU C 143 del 22.5.2012, pag. 23), il parere CESE del 25 aprile 2012 sul tema Fondi strutturali – disposizioni comuni (GU C 191 del 29.6.2012, pag. 30), il parere CESE del 12 luglio 2012 in merito all'iniziativa Opportunità per i giovani (GU C 299 del 4.10.2012, pag. 97), il parere CESE del 15 novembre 2012 sul tema Verso una ripresa fonte di occupazione (GU C 11 del 15.1.2013, pag. 65).

(3)  COM(2012) 750 final: Analisi annuale della crescita per il 2013, allegato: Progetto di relazione comune sull'occupazione.

(4)  Parere del CESE del 21 marzo 2013 in merito al pacchetto per l'occupazione giovanile (non ancora pubblicato in Gazzetta ufficiale).

(5)  Parere CESE del 25 aprile 2012 sul tema Cooperative e ristrutturazione (GU C 191 del 29.6.2012, pag. 24).


9.5.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 133/81


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione — Analisi annuale della crescita 2013»

COM(2012) 750 final

2013/C 133/15

Relatore generale: VERBOVEN

La Commissione, in data 19 dicembre 2012, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione - Analisi annuale della crescita 2013

COM(2012) 750 final.

L'Ufficio di presidenza del Comitato, in data 13 novembre 2012, ha incaricato il comitato direttivo Europa 2020 di preparare i lavori del Comitato in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della sua 487a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 febbraio 2013 (seduta del 13 febbraio), ha nominato Xavier VERBOVEN relatore generale e ha adottato il seguente parere con 180 voti favorevoli, 4 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) attira l'attenzione sul fatto che, quest'anno, la pubblicazione dell'Analisi annuale della crescita (AAC) avviene in un contesto caratterizzato da fosche prospettive economiche e occupazionali, ma anche dall'adozione di nuove misure e impegni, come il Patto per la crescita e l'occupazione o la profonda revisione della governance economica dell'UE. Il Comitato esorta mettere in atto celermente e in maniera equilibrata il Patto per la crescita e l'occupazione, nonché le misure necessarie a spezzare il legame tra banche e debiti sovrani, inclusa l'unione bancaria e il nuovo programma della BCE (Outright Monetary Transactions, operazioni monetarie definitive - OTM), in quanto essi costituiranno una parte integrante del percorso verso la ripresa e il ripristino della fiducia.

1.2

Mentre vi sono dubbi sulla capacità dell'UE di conseguire gli obiettivi della strategia Europa 2020 entro i termini stabiliti, il CESE si rammarica del fatto che l'AAC 2013 non analizzi le cause della mancanza di progressi verso il conseguimento di tali obiettivi.

1.3

Considerando le difficili condizioni in cui versa l'economia, le ripercussioni negative sulla coesione sociale, i tassi di disoccupazione elevati e in crescita, nonché l'incremento della povertà, il Comitato mette in guardia dal continuare l'attuale politica di austerità e avverte delle gravi conseguenze di una recessione profonda e prolungata, che rischia di indebolire strutturalmente l'economia e comprometterne la transizione verso un modello sostenibile dal punto di vista ambientale. Molti altri soggetti politici internazionali esprimono preoccupazioni simili circa la situazione dell'Europa e l'impatto dell'austerità sulla crescita economica.

1.4

Per quanto riguarda il concetto di «risanamento di bilancio favorevole alla crescita», il Comitato già in passato (1) ha esortato a risanare le finanze pubbliche in un arco di tempo il più flessibile possibile, al fine di non spezzare le dinamiche della crescita e garantire un equilibrio «intelligente» tra le entrate e la spesa, tra l'offerta e la domanda. Il Comitato mette nuovamente in guardia contro il pericolo di compromettere i sistemi dei servizi pubblici e della solidarietà collettiva, pericolo cui ci si deve sottrarre per non indebolire l'assicurazione sociale contro i grandi rischi sociali (disoccupazione, malattia, invecchiamento) ed evitare l'aumento del risparmio precauzionale.

1.5

Per quanto riguarda il concetto di risanamento di bilancio«differenziato» e la proposta secondo cui gli Stati membri colpiti da turbolenze finanziarie debbano addirittura «procedere rapidamente al risanamento di bilancio», mentre gli altri Stati sarebbero autorizzati a lasciare agire i loro stabilizzatori automatici, il Comitato dubita che questo mix di politiche possa funzionare. Questo approccio potrebbe avere un impatto marcatamente negativo per l'area dell'euro nel complesso e, in particolare, per quegli Stati membri che stanno già attraversando una profonda recessione dovuta alla politica di austerità. Allo stesso tempo è chiaro che, nell'emergere dalla crisi attuale, alcune economie si trovano a dover compiere sforzi molto più intensi di altre per ripristinare la stabilità e la crescita.

1.6

Il Comitato esprime la propria preoccupazione in merito allo squilibrio delle politiche economiche e all'eccessivo peso dato alle misure di austerità. Ritiene che un risanamento di bilancio volto a correggere gravi squilibri richieda un orizzonte temporale di lungo periodo e invita a valutare la tabella di marcia del risanamento di bilancio rispetto a un Patto per la crescita e l'occupazione sostanzialmente rafforzato e concreto.

1.7

L'AAC 2013 sembra giustificare il risanamento di bilancio con la necessità di garantire la fiducia, in particolare quella dei mercati finanziari. Pur riconoscendo l'importanza dell'accesso al credito e della stabilizzazione del settore dei mercati finanziari, il CESE richiama l'attenzione sul fatto che la fiducia delle famiglie e delle imprese è altrettanto importante e che non può esistere nessun clima di fiducia se le imprese sono preoccupate per la domanda e i cittadini lo sono per il loro posto di lavoro, il loro salario e la loro previdenza sociale. La fiducia dei mercati finanziari e quella dei consumatori e dei produttori devono andare di pari passo.

1.8

Il Comitato invoca un intervento risoluto per ristabilire la crescita, l'occupazione e la competitività all'interno dell'economia europea, e invita l'attuale presidenza a portare avanti con determinazione un'agenda a favore della crescita. Occorre adottare misure ambiziose per la crescita e l'occupazione e una politica di investimenti incentrata sia sulla ripresa nel breve periodo, sia sulla trasformazione strutturale dell'economia europea, in modo da rispondere alle sfide fondamentali poste dalla sostenibilità, dalla creazione di maggiore e migliore occupazione, dalla convergenza sociale verso l'alto e dalla competitività basata sull'innovazione.

1.9

L'ordine sequenziale delle politiche volte a rilanciare l'economia e di quelle che esercitano uno stretto controllo a livello di bilancio è estremamente importante (2).

Il nuovo approccio politico per il futuro dell'Europa deve fondarsi su vari principi: piuttosto che una concorrenza tra gli Stati membri, occorre una strategia europea, sovranazionale e pluriennale altamente integrata; le forze di mercato (in particolare i mercati finanziari) vanno controllate e orientate verso priorità politiche stabilite democraticamente; le finanze devono essere solide, ma anche eque e giustamente distribuite; le regioni più forti devono sostenere quelle più deboli, aiutandole a recuperare il loro ritardo e a divenire economie più produttive, innovative e forti; a loro volta, gli Stati membri che sono nella posizione di generare gettito fiscale aggiuntivo, devono utilizzare questo strumento per ridurre l'onere del debito.

1.10

Il Comitato accoglie con favore il Patto per la crescita e l'occupazione e invita la Commissione e il Consiglio europeo ad attuarlo celermente e ad andare oltre, trasformandolo in un programma europeo di investimenti di ampia portata. Il CESE ribadisce pertanto il suo appello a favore di un bilancio potenziato, in linea con le ambizioni dell'UE e con le sfide cui essa è confrontata, e insiste affinché si giunga rapidamente a un accordo sul Quadro finanziario pluriennale e venga conferito un ruolo di rilievo alla BEI, che lavora su progetti ad elevato tasso occupazionale (come i progetti per le PMI, le infrastrutture essenziali, l'energia e il clima).

1.11

Il CESE riafferma inoltre l'importanza della politica di coesione per il conseguimento della convergenza in tutta l'UE.

1.12

Nel quadro del rilancio economico, il Comitato evidenzia il potenziale del mercato unico, nonché la necessità di innovazione ai fini della competitività dell'economia europea. Sottolinea inoltre l'importante ruolo delle imprese (in particolare le PMI), dell'imprenditorialità e della creazione di imprese, così come delle imprese sociali e delle cooperative nel processo di ripresa.

1.13

Dato il collegamento tra l'aspetto finanziario, economico, sociale e ambientale della crisi, il CESE ritiene che si dovrebbe prestare maggiore attenzione all'ecologizzazione dell'economia e del semestre europeo, e invoca un maggior coinvolgimento della società civile in questi settori.

1.14

Per quanto riguarda l'occupazione e il miglioramento delle competenze, il CESE ribadisce la necessità di investire in istruzione, formazione e apprendimento permanente (inclusa la formazione sul campo, i sistemi duali di apprendistato), per far fronte alle «strozzature» e agli squilibri in materia di competenze.

Il Comitato ribadisce la sua richiesta di agevolare la partecipazione al mercato del lavoro, migliorare i servizi pubblici per l'occupazione, accelerare l'attuazione di misure attive a favore del mercato del lavoro e sostenere l'imprenditorialità e il lavoro autonomo. Occorre compiere tutti gli sforzi necessari per mobilitare gli investimenti con un elevato impatto occupazionale.

Il CESE rimanda ai suoi recenti pareri su questi temi mentre sono in corso di elaborazione pareri specifici in merito al Pacchetto per l'occupazione giovanile  (3) e ai futuri orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione (4).

Il Comitato osserva che l'AAC 2013 promuove la flessibilità del mercato del lavoro senza tener troppo o per nulla conto della dimensione della sicurezza. Rammenta i suoi precedenti pareri in cui ha sostenuto l'idea che occorra trovare un equilibrio tra la flessibilità e la sicurezza e la necessità, per quanto riguarda la flessicurezza, di «un dialogo sociale forte e vitale, che coinvolga le parti sociali e al cui interno esse possano negoziare, avere voce in capitolo ed assumersi la responsabilità» (5).

Per quanto riguarda le retribuzioni, il Comitato teme che le riforme strutturali possano innescare una concorrenza sistematica al ribasso tra gli Stati membri; ribadisce che le riforme nel settore della fissazione dei salari vanno negoziate a livello nazionale tra le parti sociali, e invita la Commissione a chiarire la sua posizione in merito a retribuzioni, inflazione e produttività.

1.15

Il Comitato ritiene che occorra prestare maggiore attenzione alla questione dell'equità e della giustizia sociale. I costi e i benefici delle riforme devono essere distribuiti equamente fra tutti i soggetti (lavoratori, famiglie, imprese).

1.16

Il Comitato invita a compiere ulteriori sforzi per garantire che i sistemi di protezione sociale contrastino efficacemente gli effetti della crisi, nonché per promuovere l'inclusione sociale e attuare una «strategia di inclusione attiva», volta a garantire un mercato del lavoro inclusivo e combattere la povertà.

1.17

Infine, il CESE ribadisce la necessità di migliorare l'assunzione di responsabilità e la legittimità democratiche dei vari processi del semestre europeo, così come il coordinamento delle politiche economiche nazionali. Il dialogo sociale e civile è essenziale per elaborare e attuare correttamente le politiche e le riforme e, pertanto, occorre garantire una stretta cooperazione e concertazione con le parti sociali. Il Comitato invoca un rafforzamento del ruolo delle parti sociali e della società civile organizzata sia a livello UE, sia, in particolare, a livello nazionale. Un maggiore coinvolgimento delle parti sociali dovrebbe sfociare in una migliore attuazione.

2.   Introduzione

2.1

La comunicazione della Commissione «Analisi annuale della crescita 2013», che segna l'inizio del semestre europeo, definisce quelle che dovrebbero essere, secondo la Commissione, le priorità generali di bilancio, economiche e sociali per il 2013. La procedura del semestre europeo è volta a migliorare il coordinamento delle politiche economiche e sociali in Europa, in modo da consentire l'effettiva realizzazione dei principali obiettivi della strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.

2.2

L'Analisi annuale della crescita dovrebbe andare ad alimentare le decisioni economiche e di bilancio prese a livello nazionale, che gli Stati membri presenteranno nei loro programmi di stabilità e di convergenza e nei loro programmi nazionali di riforma.

2.3

Data la necessità di sostenere la ripresa e di ristabilire la fiducia, la Commissione ritiene che le cinque priorità definite nel 2012 continuino a essere valide anche per il 2013. Tali priorità sono: portare avanti un risanamento di bilancio differenziato e favorevole alla crescita; ripristinare la normale erogazione di prestiti all'economia; promuovere la crescita e la competitività nell'immediato e per il futuro; lottare contro la disoccupazione e le conseguenze sociali della crisi; modernizzare la pubblica amministrazione.

2.4

Il presente parere fornisce alcune analisi e osservazioni relative all'AAC 2013.

La terza parte contiene alcune osservazioni generali relative al contesto in cui viene pubblicata l'AAC di quest'anno.

La quarta parte contiene osservazioni e proposte precise: poiché l'UE non sembra aver imboccato la strada giusta per conseguire gli obiettivi della strategia Europa 2020, il parere solleva la questione della scelta di adottare una politica di austerità di bilancio e le sue conseguenze sull'economia, sull'occupazione e sulla coesione sociale. Il parere ritiene che adesso occorra dare priorità all'economia reale e alle misure a favore della crescita e dell'occupazione. Invita i decisori politici europei, in particolare in vista del Consiglio europeo di marzo 2013, a cambiare il loro approccio e a porre di nuovo al centro delle politiche una strategia europea di investimento incentrata sul rilancio dell'economia, sull'occupazione e sulla sfida dello sviluppo sostenibile. Infine, il parere ribadisce l'importanza di coinvolgere la società civile organizzata e le parti sociali nel processo di elaborazione delle politiche sia a livello UE, sia a livello nazionale.

3.   Osservazioni generali

3.1

La pubblicazione dell'AAC di quest'anno avviene in un contesto difficile, caratterizzato da fosche previsioni in materia di crescita e occupazione. Il Comitato concorda con l'AAC sul fatto che il protrarsi della crisi non abbia certo aiutato gli Stati membri a progredire verso il conseguimento degli obiettivi fissati a livello di occupazione, R&S, clima-energia, istruzione e lotta contro la povertà, e che vi sia un crescente scetticismo nei confronti delle capacità dell'Europa di conseguire tali obiettivi.

Il Comitato osserva inoltre che l'AAC 2013 è stata redatta in un contesto caratterizzato da sviluppi senza precedenti. Da un lato, il Consiglio europeo del giugno 2012 ha adottato un Patto per la crescita e l'occupazione (6); dall'altro, l'architettura della governance dell'Unione è stata trasformata radicalmente (in particolare, con l'introduzione di una vigilanza reciproca rafforzata delle politiche di bilancio), a causa dell'incapacità della struttura attuale di far fronte alla crisi economica e di impedire il contagio che minaccia l'esistenza stessa dell'euro e dell'Unione europea e che prolunga la recessione, determinando elevati tassi di disoccupazione. Il Comitato invita ad attuare rapidamente e in maniera equilibrata queste misure, che saranno essenziali per avviare una ripresa e ristabilire la fiducia degli investitori, delle imprese e dei consumatori.

3.2

Il CESE prende atto della recente pubblicazione di due importanti documenti: Verso un'autentica Unione economica e monetaria  (7) e Un piano per un'Unione economica e monetaria autentica e approfondita  (8), in merito a cui il Comitato sta elaborando un parere.

Il Comitato accoglie con favore l'affermazione secondo cui occorre perentoriamente rompere il legame fra banche e Stati sovrani, così come apprezza i primi passi intrapresi nella direzione di un'unione bancaria (9). È stato assunto l'impegno a «fare quanto necessario» per assicurare la stabilità finanziaria, e la BCE ha dichiarato di voler adottare importanti misure per attenuare le difficili condizioni in cui versano i mercati europei del debito sovrano.

Un'unione bancaria contribuirebbe a garantire parità di accesso al credito per le famiglie e le imprese in tutte le regioni dell'UE e consentirebbe al mercato unico di riacquistare competitività per conseguire gli obiettivi della strategia Europa 2020.

4.   Osservazioni e proposte specifiche

4.1   L'Europa non ha imboccato la strada giusta per conseguire gli obiettivi della strategia Europa 2020. I decisori politici devono ammetterlo con urgenza.

4.1.1

Il Comitato constata con rammarico che, ad eccezione del brevissimo riferimento a una relazione Eurostat (10) contenuto in una nota a piè di pagina, l'AAC della Commissione non dice molto in merito alla strategia Europa 2020; vi si legge soltanto che «l'Europa accusa globalmente un ritardo rispetto ai suoi obiettivi». Tuttavia, non viene fornita alcuna analisi adeguata delle cause precise della mancanza di progressi verso il conseguimento degli obiettivi di detta strategia, e la questione se l'ulteriore allontanamento dell'UE da Europa 2020 sia imputabile alle attuali scelte politiche non viene nemmeno sollevata. Il Comitato chiede che vengano rivisti radicalmente il processo della strategia Europa 2020 e l'assegnazione dei fondi strutturali per conseguire tali obiettivi, in modo da ristabilire l'equilibrio tra le politiche di competitività e austerità, e la politica a favore della crescita e le politiche sociali e occupazionali.

4.1.2

Il Comitato esprime la propria preoccupazione per il netto calo del tasso di occupazione della popolazione di età compresa tra 20 e 64 anni, che è passato dal 70,3 % del 2008 al 68,6 % del 2011 - mentre, secondo l'obiettivo della strategia Europa 2020, dovrebbe essere occupato il 75 % della popolazione in quella fascia d'età. In termini assoluti, l'Europa ha perso 5 milioni di posti di lavoro nello stesso periodo (11). Ciò si traduce in tassi di disoccupazione in continuo aumento, che si attestano attualmente al 10,7 % nell'UE a 27 e addirittura all'11,8 % nell'area dell'euro (12).

La crisi ha determinato un tasso elevato di disoccupazione e, insieme ai tagli di austerità operati nella spesa pubblica per le prestazioni sociali, ha aggiunto, tra il 2009 e il 2011, altri 5,9 milioni di persone ai 113,8 milioni già a rischio di povertà e di esclusione sociale nell'UE (24,2 % della popolazione) (13).

È difficile immaginare come gli obiettivi di aumentare l'occupazione e di far uscire 20 milioni di persone dalla povertà, fissati da Europa 2020, possano essere raggiunti, se questa tendenza si confermasse.

4.1.3

Nel 2012, l'economia europea, in netto contrasto con le altre principali economie mondiali, è caduta in una nuova recessione, con previsioni economiche che lasciano presagire una crescita estremamente debole nel 2013 e una ripresa incerta, ma altrettanto debole, nel 2014. Se l'orientamento della politica di bilancio rimarrà immutato e se non verranno attuate politiche atte a stimolare la crescita e l'occupazione, la situazione occupazionale e sociale è destinata a peggiorare ulteriormente.

4.1.4

Il Comitato osserva che molti altri soggetti politici internazionali esprimono preoccupazioni simili circa la situazione dell'Europa. L'OIL ha avvertito che l'area dell'euro potrebbe perdere altri 4,5 milioni di posti di lavoro se non si devierà in modo concertato dalla strategia di austerità (14). Le Nazioni Unite, nella loro relazione sulla situazione economica mondiale e le prospettive per il 2013 (World Economic Situation and Prospects 2013) (15) mettono in guardia dal rischio che la recessione del 2012 possa prolungarsi e intensificarsi fino al 2015 inoltrato (16) se la Grecia, l'Italia, il Portogallo e la Spagna opereranno tagli di bilancio ancora più draconiani nel 2013. Insieme al «precipizio fiscale» degli Stati Uniti e all'«atterraggio duro» della Cina, la strategia europea di risanamento del bilancio è vista come un pericolo per l'attività economica globale. Persino l'FMI, nelle sue Prospettive per l'economia mondiale (17), esprime forti perplessità, ammettendo che l'impatto dell'austerità sulla crescita economica è stato gravemente sottovalutato e mettendo in discussione l'ordine di grandezza dei moltiplicatori di bilancio che sono stati utilizzati.

4.1.5

Il Comitato avverte i responsabili politici in Europa che una recessione prolungata può indebolire strutturalmente l'economia e compromettere la transizione verso un altro modello ambientale ed energetico.

La disoccupazione di lungo periodo può portare alla perdita di competenze, alla disillusione, alla discriminazione nelle nuove assunzioni e all'uscita dal mercato del lavoro e avere, di conseguenza, un impatto strutturale negativo e duraturo sulla produttività e sul potenziale di crescita.

La mancanza di investimenti pubblici e privati (dovuti alle magre prospettive di domanda che hanno le imprese) può compromettere il potenziale di crescita dell'economia, data l'insufficiente integrazione del progresso tecnico e dell'innovazione. Per ovviare a ciò, occorre rivedere con urgenza l'elaborazione delle politiche macroeconomiche e promuovere misure di riforma, come politiche attive per il mercato del lavoro, incentivi agli investimenti e politiche di inclusione sociale.

Un risanamento di bilancio differenziato e favorevole alla crescita

4.1.6

Sebbene l'AAC 2013 riconosca che il risanamento di bilancio potrebbe avere un'incidenza negativa sull'economia a breve termine, esso adduce subito dopo altri due argomenti per minimizzare tale incidenza. Il Comitato desidera soffermarsi su tali due argomenti.

1)

L'AAC 2013 fa riferimento al concetto di «risanamento di bilancio favorevole alla crescita», con cui intende dire che la riduzione della spesa «favorisce maggiormente» la crescita rispetto a un ulteriore aumento del gettito fiscale nei paesi con un carico fiscale già elevato. Oltre a segnalare che la Commissione non specifica cosa intenda per carico fiscale «elevato», il Comitato rammenta il suo parere del 2011 sul tema Strategie per un consolidamento intelligente della politica di bilancio  (18), in cui esortava a risanare le finanze pubbliche in un lasso di tempo il più flessibile possibile, al fine di non spezzare le dinamiche della crescita e garantire un equilibrio «intelligente» tra le entrate e la spesa, e tra l'offerta e la domanda aggregate. Nello stesso parere, il Comitato metteva in guardia anche dal rischio di compromettere i sistemi dei servizi pubblici e di solidarietà collettiva: se, come accade attualmente in diversi Stati membri, l'assicurazione sociale contro i grandi rischi sociali (disoccupazione, malattia, invecchiamento) viene fortemente indebolita, è logico che le famiglie reagiscano a questa generalizzazione dell'insicurezza aumentando il loro risparmio precauzionale - che è l'ultima cosa di cui un'economia in recessione ha bisogno.

2)

L'altro argomento è che gli Stati membri colpiti da turbolenze finanziarie debbano continuare ad applicare una politica di rigore e addirittura «procedere rapidamente al risanamento di bilancio», mentre gli altri Stati membri sarebbero autorizzati a lasciare agire i loro stabilizzatori automatici.

Mentre è chiaro che, nell'emergere dalla crisi attuale, alcune economie si trovano a dover compiere sforzi molto più intensi di altre per ripristinare la stabilità e la crescita, il Comitato dubita che questo mix di politiche possa funzionare. La combinazione di una politica di bilancio molto restrittiva in numerosi Stati membri con una,invece, neutra in alcuni altri avrà un impatto chiaramente negativo per l'area dell'euro nel complesso e, in particolare, per quegli Stati membri che stanno già attraversando una profonda recessione dovuta alla politica di austerità.

4.1.7

In sintesi, il Comitato si dichiara preoccupato per lo squilibrio delle politiche economiche. È stato dato troppo peso all'austerità, mentre il risanamento di bilancio volto a correggere i gravi squilibri ha bisogno di un orizzonte temporale più lungo, come confermano dati recenti del monitoraggio dei bilanci dell'FMI (19). In un breve arco di tempo (2011-2012), alle economie dell'area dell'euro è venuto a mancare il 3 % del PIL (20) a causa di tagli alla spesa e dell'aumento delle tasse e si è così innescata una nuova recessione. È un ritmo di risanamento di tre volte superiore a quello che i responsabili politici europei avevano fissato precedentemente nel Patto di stabilità riformato (che menziona una riduzione del disavanzo strutturale pari ad almeno lo 0,5 % del PIL all'anno).

Per evitare che le stesse cause continuino a produrre le stesse conseguenze, il Comitato insiste affinché la tabella di marcia del risanamento di bilancio sia valutata rispetto ad un Patto per la crescita e l'occupazione sostanzialmente rafforzato e concreto.

4.1.8

L'Analisi annuale della crescita 2013 si fonda sull'idea che sia della massima importanza ristabilire e mantenere la fiducia, e in particolare la fiducia dei mercati finanziari, in quanto questi hanno la capacità di restringere fortemente l'afflusso di finanziamenti negli Stati membri. Ed è sulla base di quest'idea che l'AAC 2013 incoraggia a portare avanti la politica di austerità.

4.1.9

Il Comitato riconosce che i mercati finanziari svolgono un ruolo cruciale nell'ambito della crisi e che la loro stabilizzazione è un elemento fondamentale per la ripresa. L'accesso al credito è infatti la linfa vitale di ogni economia, in quanto senza di esso le imprese non possono né investire, né svolgere le loro attività, e i consumatori non possono acquistare né merci, né beni immobiliari.

Tuttavia, il Comitato ritiene che la fiducia di altri soggetti economici (famiglie e imprese) sia parimenti importante. Anche se un migliore accesso al credito consentirebbe alle imprese di svolgere le loro attività e di crescere, l'effetto prodotto da tassi di interesse più bassi e dall'abbondanza del credito non è lo stesso se i cittadini sono preoccupati per il loro posto di lavoro, il loro salario e/o la loro previdenza sociale, e se le imprese nutrono seri dubbi sulle prospettive della domanda.

Il Comitato desidera sottolineare che la fiducia dei mercati finanziari e quella dei consumatori e dei produttori non sono necessariamente in contraddizione. Al crescere del numero di imprese - in particolare PMI - che, avendo di nuovo accesso ai finanziamenti, sono in grado di riprendere le loro normali attività commerciali, la fiducia si ristabilirà anche presso i consumatori.

Inoltre, se i mercati sono preoccupati per i debiti sovrani, lo sono ancora di più quando l'economia rischia il collasso.

Il Comitato ribadisce una delle affermazioni chiave contenuta nel suo parere sull'Analisi annuale della crescita 2012: «senza un tasso di crescita sufficiente, non sarà possibile superare la crisi del debito pubblico» (21). Accordando alla crescita una bassa priorità, si rischia di spingere l'economia nella recessione, cosa che ha l'effetto di indebolire immediatamente la sostenibilità del debito.

4.2   Le misure di crisi devono lasciare spazio all'economia reale e alle misure a favore di crescita e occupazione - a cui va data priorità.

Trasformare il Patto per la crescita e l'occupazione in un ampio programma europeo di investimenti per una crescita sostenibile

4.2.1

Il Comitato invoca un intervento deciso volto a ristabilire crescita, occupazione e competitività all'interno dell'economia europea, e invita l'attuale presidenza a portare avanti un'ambiziosa agenda a favore della crescita. Troppo spesso il Consiglio europeo ha appoggiato interventi minimalisti per uscire dalla crisi e si deciso ad agire soltanto quando la pressione dei mercati ha minacciato di mandare all'aria il progetto dell'euro. Occorre perseguire con maggiore determinazione una governance economica solida ed equilibrata, unitamente a delle riforme che rafforzino la competitività strutturale dell'Unione e facciano dell'attuazione della strategia Europa 2020 una delle priorità del semestre europeo. Qualsiasi misura correttiva del bilancio determinerà una contrazione, tuttavia se ciò viene fatto mantenendo le spese che promuovono il potenziale di crescita (istruzione, formazione per i disoccupati, R&S, sostegno alle PMI) e vengono compiuti progressi concreti per superare la frammentazione del settore finanziario, le prospettive di medio e lungo periodo per la crescita e l'occupazione potrebbero essere preservate.

4.2.2

Il Comitato accoglie con favore il Patto per la crescita e l'occupazione, che rappresenta un primo passo importante verso il riconoscimento della crescita quale elemento fondamentale per uscire dalla crisi attuale, e invita la Commissione e il Consiglio europeo ad attuarlo celermente e ad andare oltre, trasformandolo in un programma europeo di investimenti concreto e di ampia portata.

4.2.3

La priorità va data alle «spese a favore della crescita», come quelle per l'istruzione e le competenze, l'innovazione (essenziale per la competitività dell'economia europea), l'ecologizzazione dell'economia (che deve divenire una forza motrice per la prossima rivoluzione industriale) e le grandi reti (ad es. Internet ad alta velocità, interconnessioni per i trasporti e l'energia). È inoltre fondamentale sfruttare il potenziale dei settori forieri di occupazione: la sanità, l'economia verde, la cosiddetta silver economy (attività economiche legate alla fascia di popolazione di età più avanzata), l'edilizia, i servizi commerciali, il turismo, ecc.

4.2.4

Il mercato unico ha il potenziale di produrre benefici dall'effetto immediato per le imprese, i consumatori e i cittadini; tuttavia sono ancora necessari ulteriori miglioramenti, ad esempio nel settore dei servizi, della mobilità, del commercio elettronico, dell'agenda digitale, degli appalti elettronici, delle microimprese e delle imprese a conduzioni familiare, delle misure a sostegno della creazione di nuove imprese, così come delle misure per la tutela dei consumatori e della dimensione sociale del mercato unico. Occorre garantire più trasparenza, nonché una maggiore consapevolezza, partecipazione e titolarità da parte della società civile (22).

4.2.5

Il Comitato sottolinea l'importante ruolo delle imprese (in particolare PMI), dell'imprenditorialità e della creazione di imprese nell'ambito del processo di ripresa e come motori di crescita economica, innovazione, competenze e occupazione. Per valorizzare il potenziale delle PMI si possono adottare diverse misure, come ad esempio: agevolare la loro internazionalizzazione, eliminare gli oneri amministrativi, ridurre i costi di avviamento e facilitare il loro accesso al credito, ai mercati dei capitali, ai sistemi di obbligazioni specifici per le PMI, ai fondi strutturali e alle garanzie di prestiti.

4.2.6

Il Comitato segnala inoltre che le imprese sociali sono elementi essenziali del modello sociale europeo e del mercato unico. Esse meritano di essere pienamente riconosciute e promosse, in particolare in questo difficile clima economico, e le loro particolarità vanno tenute in debita considerazione nell'elaborare le politiche europee.

4.2.7

Va inoltre menzionato il ruolo delle cooperative, poiché esse contribuiscono alla coesione sociale e territoriale, sviluppano nuove iniziative imprenditoriali, sono più stabili e resistenti rispetto ad altre forme d'impresa, e tutelano i posti di lavoro anche in tempi di crisi (23).

4.2.8

Il Comitato si compiace del fatto che l'AAC 2013 sottolinei l'importanza di compiere progressi verso lo sviluppo sostenibile, le energie rinnovabili e l'efficienza energetica al fine di realizzare gli obiettivi della strategia Europa 2020 in materia di cambiamento climatico/di energia (24). Per mantenere la competitività economica e far crescere l'occupazione è essenziale promuovere un'economia «verde» efficiente sotto il profilo delle risorse e a basse emissioni di carbonio. Altrettanto necessaria è la ristrutturazione su larga scala degli edifici in termini di efficienza energetica, così come gli investimenti nei servizi di trasporto ecologici, nella gestione dei rifiuti e nella gestione idrica. Ciò deve essere accompagnato da un potenziamento delle reti di trasmissione energetica al fine di agevolare il trasporto di volumi elevati e lo scambio di elettricità in Europa. Per rafforzare ulteriormente la competitività europea, ciò dovrebbe essere completato da investimenti in reti di trasporto transeuropee altamente efficienti e nell'espansione dell'infrastruttura per le reti a banda larga.

4.2.9

La politica industriale, l'utilizzo efficiente delle risorse naturali e l'innovazione devono interagire per creare una crescita sostenibile.

4.2.10

Per promuovere il cambiamento strutturale e mettere l'economia dell'UE sul sentiero di una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, occorre effettuare ingenti investimenti.

Il Comitato prende atto dell'accordo raggiunto dai capi di Stato e di governo sul prossimo Quadro finanziario pluriennale QFP), e ribadisce l'importanza di tale QFP in quanto fattore essenziale per la realizzazione degli obiettivi di Europa 2020.

Il CESE rimanda ai suoi recenti pareri sul bilancio dell'UE (25), in cui è sempre stato coerente nel sostenere la necessità di un bilancio rafforzato che consenta di far fronte alle sfide attuali. Il bilancio UE non dovrebbe essere visto come un onere, ma come uno strumento intelligente per realizzare economie di scala, ridurre i costi e influenzare in senso positivo la competitività, la crescita e l'occupazione.

Altre risorse potrebbero inoltre essere mobilitate grazie a fonti di finanziamento supplementari. Il CESE appoggia l'azione della BEI, che rende disponibile finanziamenti a lungo termine per gli investimenti nell'economia reale e attira finanziamenti privati aggiuntivi. Il Comitato si compiace dell'enfasi posta sui progetti con un notevole impatto sulla crescita sostenibile e con un elevato potenziale occupazionale (ad es. i progetti per le PMI, l'economia della conoscenza, il capitale umano, l'efficienza energetica e il cambiamento climatico), e chiede che i fondi supplementari accordati alla BEI vengano incanalati rapidamente verso il settore delle PMI. Il Comitato approva altresì il ricorso a garanzie della BEI per gli investimenti privati nella ristrutturazione degli edifici a fini di efficienza energetica.

Il CESE appoggia inoltre l'introduzione di project bond (obbligazioni di progetto) volti a stimolare il finanziamento di progetti relativi alle infrastrutture essenziali nei settori dei trasporti, dell'energia e delle TIC. Questo rappresenta un primo importante passo verso la creazione di un quanto mai necessario programma di investimenti UE per i prossimi anni.

4.2.11

Il CESE richiama l'attenzione sull'importanza della politica di coesione per il conseguimento della convergenza economica, sociale e territoriale in tutta l'UE, in linea con la strategia Europa 2020. Il CESE ribadisce il suo appello a creare un'unica e uniforme politica di coesione che coinvolga attivamente la società civile, sia maggiormente incentrata sul conseguimento di risultati sostenibili e concreti e in grado di aiutare gli Stati membri dell'UE meno sviluppati e quelli maggiormente colpiti dalla crisi (26).

4.2.12

Il Comitato accoglie con favore l'importanza che l'AAC attribuisce all'ammodernamento della pubblica amministrazione. Secondo il CESE, ciò implica, inter alia: l'utilizzo degli appalti pubblici per dare impulso all'innovazione, la lotta alla corruzione, una maggiore efficienza nella riscossione delle imposte, la garanzia di risorse finanziarie adeguate e un aumento della capacità di assorbimento dei fondi strutturali.

Creare occupazione e migliorare le competenze

4.2.13

L'AAC 2013 riconosce che «dopo anni di crescita debole, la crisi ha conseguenze sociali particolarmente pesanti» e che «la disoccupazione ha registrato un'impennata e la povertà è in aumento». Alcuni gruppi, come i giovani, i lavoratori meno qualificati, i disoccupati di lunga durata, i genitori soli e gli immigrati, sono colpiti in misura maggiore (27).

Occorre compiere tutti gli sforzi necessari per mobilitare gli investimenti sia pubblici che privati al fine di promuovere l'occupazione. Il CESE ha ripetutamente chiesto di varare un piano europeo di ripresa economica, con un impatto rilevante sul mercato del lavoro, pari al 2 % del PIL (28). Il CESE ha inoltre chiesto un «patto per gli investimenti sociali» per consentire di superare in maniera duratura le crisi e di investire nel futuro (29).

Il Comitato ribadisce la sua richiesta di accrescere la partecipazione al mercato del lavoro, migliorare i livelli di competenza, facilitare la mobilità, migliorare i servizi pubblici per l'occupazione, accelerare l'attuazione di misure attive per il mercato del lavoro e sostenere l'imprenditorialità e il lavoro autonomo. Il Comitato concorda con la Commissione quanto alla constatazione che in determinate regioni o settori esiste un divario tra gli alti tassi di disoccupazione registrati e la carenza di personale qualificato e la scarsa corrispondenza fra offerta e domanda di lavoro.

Raccomanda inoltre di adottare misure volte a promuovere il dialogo sociale, al livello adeguato, in merito alla configurazione dell'orario di lavoro.

Il Comitato accoglie con favore il Pacchetto per l'occupazione giovanile  (30) pubblicato di recente dalla Commissione. Le sue proposte, in particolare quella relativa a una «garanzia per la gioventù», dovrebbero essere tempestive e vincolanti e andrebbero sostenute con risorse adeguate. Tutti gli Stati membri dovrebbero avere la possibilità di adottare tali proposte.

4.2.14

Il Comitato insiste sulla necessità di investire in istruzione, formazione e apprendimento permanente (inclusa la formazione sul campo, i sistemi duali di apprendistato) per far fronte alle «strozzature» e agli squilibri in materia di competenze (31).

4.2.15

Il Fondo sociale europeo, completato dal Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione, dovrebbe essere destinato principalmente a proteggere le categorie svantaggiate dagli effetti della crisi (32); inoltre, andrebbe creato anche un fondo specifico di solidarietà per i giovani (33).

L'esigenza di un approccio equilibrato alle riforme del mercato del lavoro

4.2.16

Il Comitato osserva che l'Analisi annuale della crescita 2013 promuove la flessibilità nel mercato del lavoro senza tener troppo o per nulla conto della dimensione della sicurezza.

Il Comitato prende atto che evitare la segregazione del mercato del lavoro, riducendo i divari in fatto di tutela dell'impiego tra i diversi tipi di contratti di lavoro, può contribuire a innalzare i livelli di occupazione. Il Comitato rammenta tuttavia un suo precedente parere (34) in cui fa riferimento alla necessità di trovare un equilibrio tra la flessibilità e la sicurezza: «Il concetto di flessicurezza non implica in alcun caso una riduzione unilaterale e illegittima dei diritti dei lavoratori». Il CESE ha già sottolineato a più riprese l'importanza fondamentale di «un dialogo sociale forte e vitale, che coinvolga le parti sociali e al cui interno esse possano negoziare, avere voce in capitolo ed assumersi la responsabilità di definire la flessicurezza e le sue componenti, nonché di valutarne i risultati» (35). Il CESE ribadisce inoltre che per contrastare la segmentazione dei mercati, occorre garantire «un livello di sicurezza adeguato per tutti i lavoratori, indipendentemente dalle forme di contratto» (36).

Il Comitato sottolinea che la flessibilità non può correggere gli errori commessi a livello di domanda macroeconomica, e può anzi peggiorare le cose, se gli impieghi stabili e di qualità sono sostituiti da rapporti di lavoro non sicuri; inoltre, l'eliminazione degli «ammortizzatori sociali» (tutela del posto di lavoro, indennità di disoccupazione) può rendere l'economia ancora più vulnerabile agli shock economici negativi.

Riforma strutturale del settore delle retribuzioni

4.2.17

Il Comitato ribadisce che le riforme nel settore della fissazione dei salari vanno negoziate a livello nazionale tra le parti sociali e devono assicurare il giusto equilibrio tra conseguire una crescita sufficiente della domanda, mantenere la stabilità dei prezzi, tenere sotto controllo le disuguaglianze eccessive e/o crescenti e mantenere la competitività a livello dei prezzi. Il CESE esprime preoccupazione per il rischio che le riforme strutturali del settore delle retribuzioni inneschino una concorrenza al ribasso tra gli Stati membri e, in questo modo, riducano la domanda nell'UE e contribuiscano - a causa di un aumento dell'avanzo esterno dell'area dell'euro - a una sopravvalutazione ancora più marcata della moneta unica. L'OIL (37) conferma tale tendenza e mette in guardia dalle sue vaste conseguenze economiche e sociali.

L'approccio adottato nell'AAC nei confronti dei salari minimi, secondo cui «è importante che nel fissare i livelli salariali minimi si trovi un giusto equilibrio fra la creazione di posti di lavoro e un reddito adeguato», rispecchia l'idea generale di un trade-off, una sorta di scambio, tra la creazione di posti di lavoro e diversi fattori tra cui la qualità dei posti di lavoro e la disponibilità ad accettare un'offerta di lavoro. Il Comitato si chiede se l'esistenza di questo trade-off possa essere dimostrata, dato che dalle indagini dell'OIL sulle pratiche dei salari minimi nell'Unione europea non è emersa alcuna prova a sostegno della tesi secondo cui i salari minimi distruggerebbero posti di lavoro (38). Il Comitato ricorda il principio «il lavoro deve essere retribuito», che, benché fissato prima della crisi, deve continuare a essere applicato.

Il Comitato invita la Commissione a chiarire la sua posizione in merito a retribuzioni, inflazione e produttività; mentre la comunicazione della Commissione sul Pacchetto occupazione (39) affermava chiaramente che i salari reali avrebbero dovuto essere allineati all'evoluzione della produttività, l'AAC 2013 non precisa se alla produttività vadano allineati i salari nominali o quelli reali. La differenza tra questi due approcci è cruciale, in quanto nell'ultimo caso esiste la possibilità che i salari nominali tengano conto soltanto della produttività, e non più dell'inflazione. Tale «regola» comporterebbe il rischio che un'inflazione a tasso zero determini una deflazione in caso di shock economici negativi.

Promuovere la giustizia sociale

4.2.18

In linea generale, il Comitato ritiene che occorra prestare maggiore attenzione alla questione dell'equità e della giustizia sociale. Per costruire un clima di fiducia e garantire un'attuazione efficace delle politiche, i costi e i benefici della politica economica e delle riforme strutturali devono essere distribuiti equamente tra tutti i soggetti (lavoratori, famiglie, imprese). Il Comitato riconosce l'importanza che l'AAC accorda alla trasparenza e all'equità per quanto riguarda il loro impatto sulla società, e invita la Commissione a monitorare se le politiche dei governi nazionali ne tengano effettivamente conto nei loro programmi di riforma.

Promuovere l'inclusione sociale e lottare contro la povertà

4.2.19

Il Comitato sostiene l'appello, lanciato nell'AAC, a compiere ulteriori sforzi per garantire che i sistemi di protezione sociale contrastino efficacemente gli effetti della crisi, nonché per promuovere l'inclusione sociale, attuare una «strategia di inclusione attiva» volta a garantire un mercato del lavoro inclusivo e lottare contro la povertà.

Promuovere la parità di genere

4.2.20

Il CESE ritiene che la prospettiva della parità di genere - che non è stata affrontata in nessuna delle sette iniziative faro della strategia Europa 2020 - vada adesso integrata nel processo del semestre europeo (ad es. nei programmi di riforma nazionali), dato che si tratta di un elemento indispensabile per conseguire gli obiettivi principali della strategia (40).

4.3   L'importanza della partecipazione della società civile organizzata e delle parti sociali al semestre europeo

4.3.1

Il CESE ribadisce la necessità di migliorare l'assunzione di responsabilità e la legittimità democratiche dei vari processi del semestre europeo, così come il coordinamento delle politiche economiche nazionali. Nel contesto attuale, caratterizzato dalla perdita di fiducia nelle capacità delle istituzioni europee di produrre risultati, è essenziale conferire un ruolo forte alle istituzioni che rappresentano i cittadini, alle parti sociali e alla società civile, al fine di consolidare la legittimità e la titolarità. Il dialogo sia verticale, sia orizzontale è fondamentale (41), e le disposizioni relative alla democrazia partecipativa di cui all'articolo 11 del TUE vanno attuate rapidamente (42).

Il Comitato ritiene che i termini con cui l'AAC fa riferimento al ruolo del dialogo sociale non siano soddisfacenti. Le riforme strutturali, ove necessarie, andrebbero intraprese in stretta collaborazione e di concerto con le parti sociali, e non limitandosi soltanto a consultarle. Il dialogo con le parti sociali e con la società civile organizzata (come le associazioni di consumatori) è essenziale per elaborare e attuare correttamente le politiche e le riforme; esso può rafforzare la credibilità e l'accettazione sociale delle riforme, dato che il consenso e la fiducia possono contribuire a garantire l'impegno delle parti interessate e il buon esito delle riforme. Le parti sociali e le organizzazioni della società civile possono valutare gli impatti delle politiche e suonare tempestivamente il campanello d'allarme, se necessario. In molti settori, sono le organizzazioni sociali, e in particolare le parti sociali, che devono tradurre in pratica le proposte strategiche (43).

Il Comitato chiede un rafforzamento del ruolo delle parti sociali e della società civile organizzata sia a livello UE, sia a livello nazionale. Questi soggetti andrebbero coinvolti in maniera efficace e tempestiva nel processo del semestre europeo, nonché nella preparazione delle Analisi annuali della crescita, degli orientamenti in materia di occupazione, degli indirizzi di massima per le politiche economiche (che, insieme, formano gli «orientamenti integrati della strategia Europa 2020») e delle raccomandazioni specifiche per paese. A livello nazionale, le parti sociali e la società civile organizzata andrebbero coinvolte maggiormente nell'elaborazione dei programmi nazionali di riforma, e il CESE continuerà a cooperare strettamente con la sua rete di CES nazionali e istituzioni analoghe per fornire ai responsabili politici europei informazioni sulla partecipazione di questi soggetti a livello nazionale. Un maggiore coinvolgimento delle parti sociali dovrebbe sfociare in una migliore attuazione.

Bruxelles, 13 febbraio 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU C 248 del 25.8.2011, pagg. 8–15.

(2)  ETUC/CES, BUSINESSEUROPE, UEAPME, CEEP, Joint statement on the Europe 2020 strategy (Dichiarazione congiunta in merito alla strategia Europa 2020), 4 giugno 2010.

(3)  Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione Aiutare i giovani a entrare nel mondo del lavoro, COM(2012) 727 final (non ancora pubblicato nella GU).

(4)  GU C 143 del 22.5.2012, pagg. 94-101.

(5)  GU C 211/48 del 19.8.2008, pagg. 48–53.

(6)  EUCO 76/12, pagg. 7-15.

(7)  Relazione del Presidente del Consiglio europeo Herman Van Rompuy, 5 dicembre 2012.

(8)  COM(2012) 777 final/2, 30 novembre 2012.

(9)  GU C 11 del 15.1.2013, pagg. 34-38.

(10)  Eurostat, Statistics in focus 39/2012, Europe 2020 Strategy - towards a smarter, greener and more inclusive EU economy? (Strategia Europa 2020: verso un'economia europea più intelligente, verde e inclusiva?).

(11)  COM(2012) 750 final.

(12)  Comunicato stampa Eurostat n. 4/2013 dell'8 gennaio 2013.

(13)  Indicatori Eurostat http://epp.eurostat.ec.europa.eu/tgm/table.do?tab=table&init=1&plugin=0&language=en&pcode=t2020_50

(14)  OIL 2012, Eurozone job crisis: trends and policy responses (La crisi occupazionale dell'area dell'euro: tendenze e risposte politiche), pag. 11.

(15)  Nazioni Unite, World economic situation and prospects 2013 - global outlook (Situazione economica mondiale e le prospettive per il 2013 - quadro globale), dicembre 2012, pag. 28.

(16)  – 0,9 % nel 2013, – 2,1 % nel 2014 e – 3,3 % nel 2015.

(17)  FMI 2012, World Economic outlook, Coping with High Debt and Sluggish Growth (Prospettive economiche mondiali, Far fronte a un debito elevato e a una crescita fiacca), ottobre 2012, pag. 21 e riquadro 1.1 a pag. 41.

(18)  GU C 248 del 25.8.2011, pagg. 8-15.

(19)  IMF Fiscal Monitor: Taking stock - a progress report on fiscal adjustment (Monitoraggio sui bilanci dell'FMI: Un bilancio - Relazione sui progressi compiuti in materia di aggiustamento di bilancio), FMI, ottobre 2012.

(20)  Il 3 % corrisponde alla variazione del disavanzo strutturale tra il 2010 e il 2012; il disavanzo strutturale è calcolato escludendo gli effetti del ciclo economico. Questo disavanzo va corretto.

(21)  GU C 143 del 22.5.2012, pagg. 51-68, punto 16.

(22)  GU C 76 del 14.3.2013, pagg. 24-30.

(23)  GU C 191 del 29.6.2012, pagg. 24-29.

(24)  Obiettivi della strategia Europa 2020: riduzione delle emissioni di gas serra del 20 % rispetto agli anni '90, 20 % del fabbisogno di energia ricavato da fonti rinnovabili e aumento del 20 % dell'efficienza energetica.

(25)  GU C 229 del 31.7.2012, pagg. 32-38 e GU C 248 del 25.8.2011, pagg. 75-80.

(26)  GU C 44 del 15.2.2013, pagg. 76-82.

(27)  GU C 143 del 22.5.2012, pagg. 94-101.

(28)  GU C 11 del 15.1.2013, pagg. 65-70.

(29)  GU C 143 del 22.5.2012, pagg. 23-28.

(30)  COM(2012) 727 final - in merito al quale il CESE sta attualmente elaborando un parere (SOC/474 - CES 2419-2012_00_00_TRA_APA).

(31)  Il CESE sta attualmente elaborando un parere (SOC/476 - CES 658-2012_00_00_TRA_APA) in merito alla comunicazione della Commissione - Ripensare l'istruzione: investire nelle abilità in vista di migliori risultati socioeconomici COM(2012) 669 final.

(32)  GU C 143 del 22.5.2012, pagg. 82-87.

(33)  GU C 11 del 15.1.2013, pagg. 65-70.

(34)  GU C 211 del 19.8.2008, pagg. 48-53.

(35)  GU C 256 del 27.10.2007, pagg. 108-113, punto 1.3.

(36)  GU C 211 del 19.8.2008, pagg. 48-53, punto 1.1.1.

(37)  OIL 2012, Global wage report 2012/2013 - Wages and equitable growth (Relazione globale sui salari 2012/2013 - Salari e crescita equa).

(38)  OIL 2012, The minimum wage revisited in the enlarged EU (Il salario minimo rivisitato nell'UE allargata), pag. 26.

(39)  COM(2012) 173 final.

(40)  GU C 76 del 14.3.2013, pagg. 8-14.

(41)  GU C 299 del 4.10.2012, pagg. 122-127.

(42)  Parere del CESE sul tema Principi, procedure e azioni per l'applicazione dell'articolo 11, paragrafi 1 e 2 del Trattato di Lisbona (parere d'iniziativa), GU C 11 del 15.1.2013, p. 8.

(43)  Parere del CESE in merito alla Comunicazione della Commissione Azione per la stabilità, la crescita e l'occupazione, GU C 44 del 15.2.2013, p. 153 .


9.5.2013   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 133/90


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo allo statuto e al finanziamento dei partiti politici europei e delle fondazioni politiche europee»

COM(2012) 499 final — 2012/0237 (COD)

2013/C 133/16

Relatore: MALOSSE

Correlatori: DASSIS, JAHIER

Il Consiglio, in data 10 ottobre 2012, e il Parlamento europeo, in data 22 ottobre 2012, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304, primo comma, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo allo statuto e al finanziamento dei partiti politici europei e delle fondazioni politiche europee

COM(2012) 499 final – 2012/0237 (COD).

Il Comitato economico e sociale europeo ha deciso, a norma dell'articolo 19, paragrafo 1, del Regolamento interno, di istituire un sottocomitato incaricato di preparare i lavori in materia.

Il sottocomitato Finanziamento dei partiti politici europei, incaricato di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio progetto di parere in data 30 gennaio 2013 (relatore: Henri MALOSSE, correlatori: Georgios DASSIS e Luca JAHIER).

Alla sua 487a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 febbraio 2013 (seduta del 13 febbraio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 155 voti favorevoli, 1 voto contrario e 6 astensioni.

1.

Al pari della Commissione e del Parlamento, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sottolinea che un miglior funzionamento dell'Unione europea presuppone l'affermazione, a livello europeo, di partiti politici e fondazioni politiche più noti e riconosciuti, e nel contempo più rappresentativi e più vicini ai cittadini.

2.

Il CESE è favorevole all'introduzione di uno statuto giuridico unificato dei partiti e delle fondazioni politiche europee e a una revisione del controllo del loro funzionamento, al fine di migliorare le condizioni del loro funzionamento democratico interno e di rafforzarne l'efficacia, la visibilità e la trasparenza, anche sul piano contabile.

3.

A questo proposito, il CESE insiste particolarmente sulla necessità che i partiti e le fondazioni beneficiari di questo statuto aderiscano alle finalità stesse della costruzione europea e ai valori essenziali su cui essa si basa e che sono sanciti dai trattati europei e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

3.1

Riguardo alle finalità della costruzione europea, il CESE ritiene che lo statuto in questione dovrebbe comportare l'adesione al consolidamento della pace, alla cooperazione tra gli Stati e i popoli, alla promozione del progresso economico e sociale e del benessere dei cittadini, nonché a un esercizio democratico delle libertà di espressione e di discussione.

3.2

Riguardo all'adesione ai valori essenziali garantiti a livello europeo, il CESE sottolinea la necessità di rispettare i valori sanciti dai trattati europei, specialmente dal preambolo del Trattato sull'Unione europea e dalla Carta dei diritti fondamentali, la quale, in particolare, stabilisce nel suo articolo 21 il divieto di ogni forma di discriminazione indipendentemente dal fondamento. Il principio della parità tra uomini e donne in tutti gli ambiti, anch'esso sancito dalla Carta (articolo 23), dovrebbe altresì trovare attuazione concreta in tutti gli organi dirigenziali dei partiti e delle fondazioni politiche europee.

3.3

Il CESE raccomanda che il rispetto dei principi fondamentali sopracitati sia certificato attraverso una dichiarazione in tal senso dei partiti politici e delle fondazioni politiche che desiderano disporre dello statuto europeo. Spetta al Parlamento europeo, e in particolare alla commissione Affari costituzionali, vigilare e denunciare i casi di violazione dei principi e dei diritti fondamentali sanciti dai trattati dell'UE.

3.4

Il CESE ricorda inoltre il ruolo fondamentale che dovrà svolgere la Corte di giustizia dell'Unione europea nel controllo del rispetto di tali principi, consentendo in particolare di essere adita attraverso il procedimento sommario.

4.

Il CESE sottolinea altresì la necessità di sostenere, oltre ai partiti e alle fondazioni già esistenti, la costituzione e la crescita di nuovi partiti e nuove fondazioni a questo livello, purché essi rispondano ai requisiti di funzionamento, di rispetto dei valori e di rappresentatività.

4.1

Per quanto riguarda la condizione supplementare necessaria per accedere ai finanziamenti, il criterio secondo il quale l'elezione di un rappresentante al Parlamento europeo consentirebbe di soddisfarla non pare pertinente, in particolare perché le modalità di scrutinio, e quindi le condizioni di elezione, sono tuttora assai diverse a seconda degli Stati membri.

4.2

Il CESE suggerisce pertanto di inserire nel testo dei riferimenti in materia di rappresentatività maggiormente atti a evitare le discriminazioni arbitrarie, ispirandosi per esempio ai criteri stabiliti per l'iniziativa dei cittadini europei (ICE). Propone pertanto di introdurre come condizione l'aver ottenuto, alle precedenti elezioni europee, un minimo di un milione di voti in almeno sette paesi diversi.

4.3

Il finanziamento, i bilanci e le donazioni dei partiti e delle fondazioni devono essere trasparenti e pubblici. I cittadini hanno il diritto e il dovere di essere informati circa le modalità di finanziamento e le spese sostenute dai partiti e dalle fondazioni. Le eventuali sanzioni e/o sospensioni dei finanziamenti devono essere rese pubbliche a mezzo stampa.

5.

Nell'esaminare la proposta, il CESE ricorda altresì con vigore la disparità di trattamento che persiste e tende addirittura ad aggravarsi tra, da un lato, i partiti europei e le fondazioni europee aventi vocazione politica e, dall'altro, le associazioni e le fondazioni che perseguono obiettivi di interesse generale a livello europeo (economici, sindacali, sociali, umanitari, culturali, ambientali, sportivi, ecc.).

5.1

Il Trattato sull'Unione europea, detto «Trattato di Lisbona», riconosce al suo articolo 11 la realtà della democrazia partecipativa e quindi l'importanza delle associazioni e delle fondazioni che animano il dibattito pubblico in seno all'UE. Il CESE sottolinea che, con la diffusione universale dell'accesso a Internet, queste reti associative europee hanno assunto un'importanza maggiore, e in certi casi persino preponderante. Esse svolgono ormai, come nuovi veicoli di una democrazia partecipativa, un ruolo essenziale e crescente nell'informazione, nei dibattiti pubblici e nella formazione dell'opinione pubblica europea. In questo modo, quindi, arricchiscono e integrano le strutture della democrazia politica rappresentativa. Il valore aggiunto che esse offrono è particolarmente evidente a livello europeo, giacché le multiple ramificazioni di questa democrazia partecipativa trascendono naturalmente i confini nazionali.

5.2

Tenendo conto del divario tra i cittadini e i dirigenti e responsabili politici europei, reso sempre più ampio dalla crisi, il CESE mette quindi in guardia la Commissione riguardo agli effetti perversi e controproducenti di un approccio inadeguato incentrato esclusivamente sui diritti specifici e autonomi delle «associazioni» politiche europee, senza riconoscere alcun diritto equivalente a queste altre associazioni europee. Il CESE tiene a sottolineare in particolare che l'affermazione stessa di un'Europa politica è legata indissolubilmente a quella di un'Europa dei cittadini e della società civile che si fondi su associazioni e organizzazioni dotate di strumenti giuridici appropriati, efficaci e unificati a questo livello.

5.3

Il CESE torna a deplorare la decisione della Commissione, risalente a diversi anni orsono, di ritirare il progetto di statuto dell'Associazione europea adducendo difficoltà nel trovare un accordo politico in seno al Consiglio, giustificazione che al CESE appare, in questo contesto, inaccettabile in quanto tale e, oggi, materialmente impossibile da verificare.

5.4

Il CESE ricorda altresì le inquietudini da esso espresse circa gli eterni ostacoli all'affermazione delle società di statuto europeo, che si tratti della scarsa attrattiva dello statuto esistente, prova di un vero e proprio fallimento, o dei ritardi e degli ostacoli persistenti all'introduzione di uno statuto semplificato aperto a un numero finalmente consistente di imprese di qualsiasi dimensione.

6.

Il CESE ricorda peraltro il proprio sostegno al progetto di statuto della fondazione europea, espresso nel parere del 18 settembre 2012 (1), e insiste sulla necessità di evitare qualsiasi disparità di trattamento rispetto alle fondazioni politiche europee.

7.

Il CESE conferma il proprio accordo a uno statuto giuridico unificato per i partiti politici europei e le fondazioni politiche europee. Tuttavia, tenendo conto delle diverse osservazioni formulate e in conformità con il principio di non discriminazione garantito dall'UE, esorta la Commissione a presentare entro breve un'analoga proposta di regolamento riguardante lo statuto e il finanziamento delle associazioni europee di natura diversa da quella politica, e ad accelerare i lavori in vista dell'adozione del regolamento sullo statuto della fondazione europea.

Bruxelles, 13 febbraio 2013

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU C 351 del 15.11.2012, pag. 57.