ISSN 1977-0944

doi:10.3000/19770944.C_2011.318.ita

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 318

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

54o anno
29 ottobre 2011


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

473a sessione plenaria del 13 e 14 luglio 2011

2011/C 318/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il futuro del mercato del lavoro in Europa: alla ricerca di una risposta efficace allo sviluppo demografico (parere esplorativo)

1

2011/C 318/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Migliorare l'alfabetizzazione, le competenze e l'inclusione digitali (parere esplorativo)

9

2011/C 318/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Partenariato orientale e dimensione orientale delle politiche UE, con particolare attenzione alla PAC — sicurezza alimentare, regolare svolgimento del commercio, maggiore cooperazione e aiuto allo sviluppo, partenariato strategico (parere esplorativo)

19

2011/C 318/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Educazione finanziaria e consumo responsabile di prodotti finanziari (parere d'iniziativa)

24

2011/C 318/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema I diritti di proprietà intellettuale nel campo della musica (parere d'iniziativa)

32

2011/C 318/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Armonizzazione delle dichiarazioni destinate ai consumatori nei prodotti cosmetici (parere d’iniziativa)

40

2011/C 318/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le strategie di uscita dalla crisi e le trasformazioni industriali nell'UE: posti di lavoro più precari o più sostenibili? (parere d'iniziativa)

43

2011/C 318/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La crisi, l'istruzione e il mercato del lavoro (parere d'iniziativa)

50

2011/C 318/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La revisione della politica di prestito della BEI nel settore dei trasporti (parere d'iniziativa)

56

2011/C 318/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Aiuti di Stato alla costruzione navale (supplemento di parere)

62

2011/C 318/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La collaborazione tra le amministrazioni regionali e locali e le organizzazioni della società civile in materia di integrazione degli immigrati (supplemento di parere)

69

 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

473a sessione plenaria del 13 e 14 luglio 2011

2011/C 318/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Affrontare le sfide relative ai mercati dei prodotti di base e alle materie prime — COM(2011) 25 definitivo

76

2011/C 318/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il contributo della politica regionale alla crescita intelligente nell'ambito di Europa 2020 — COM(2010) 553 definitivo

82

2011/C 318/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde sul futuro dell'IVA — Verso un sistema dell'IVA più semplice, solido ed efficiente — COM(2010) 695 definitivo

87

2011/C 318/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo — Rimuovere gli ostacoli fiscali transfrontalieri per i cittadini dell'UE — COM(2010) 769 definitivo

95

2011/C 318/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde sull’estensione dell’uso degli appalti elettronici nell’UE — COM(2010) 571 definitivo

99

2011/C 318/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Sfruttare i vantaggi della fatturazione elettronica in Europa — COM(2010) 712 definitivo

105

2011/C 318/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Verso un migliore funzionamento del mercato unico dei servizi — Basarsi sui risultati del processo di valutazione reciproca previsto dalla direttiva servizi — COM(2011) 20 definitivo

109

2011/C 318/19

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde sulla modernizzazione della politica dell'UE in materia di appalti pubblici — Per una maggiore efficienza del mercato europeo degli appalti — COM(2011) 15 definitivo

113

2011/C 318/20

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde — Trasformare le sfide in opportunità: verso un quadro strategico comune per il finanziamento della ricerca e dell'innovazione dell'Unione europea — COM(2011) 48 definitivo

121

2011/C 318/21

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio (Euratom) che stabilisce le regole per la partecipazione di imprese, centri di ricerca e università alle azioni indirette nell'ambito del programma quadro della Comunità europea dell'energia atomica e per la diffusione dei risultati della ricerca (2012-2013) — COM(2011) 71 definitivo — 2011/0045 (NLE), alla Proposta di decisione del Consiglio concernente il programma quadro della Comunità europea dell'energia atomica per le attività di ricerca e formazione nel settore nucleare (2012-2013) — COM(2011) 72 definitivo — 2011/0046 (NLE), alla Proposta di decisione del Consiglio concernente il programma specifico da attuare mediante azioni indirette e recante attuazione del programma quadro della Comunità europea dell'energia atomica per le attività di ricerca e formazione nel settore nucleare (2012-2013) — COM(2011) 73 definitivo — 2011/0043 (NLE) e alla Proposta di decisione del Consiglio concernente il programma specifico da attuare mediante azioni dirette del Centro comune di ricerca e recante attuazione del programma quadro della Comunità europea dell'energia atomica per le attività di ricerca e formazione nel settore nucleare (2012-2013) — COM(2011) 74 definitivo — 2011/0044 (NLE)

127

2011/C 318/22

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio in merito ai contratti di credito relativi ad immobili residenziali — COM(2011) 142 definitivo — 2011/0062 (COD)

133

2011/C 318/23

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 521/2008 che istituisce l'impresa comune Celle a combustibile e idrogeno — COM(2011) 224 definitivo — 2011/0091 (NLE)

139

2011/C 318/24

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Un'agenda per nuove competenze e per l'occupazione: Un contributo europeo verso la piena occupazione — COM(2010) 682 definitivo

142

2011/C 318/25

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Verso una politica globale europea degli investimenti internazionali — COM(2010) 343 definitivo

150

2011/C 318/26

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Piano di efficienza energetica 2011 — COM(2011) 109 definitivo

155

2011/C 318/27

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull'esportazione ed importazione di sostanze chimiche pericolose (rifusione) — COM(2011) 245 definitivo — 2011/0105 (COD)

163

IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

473a sessione plenaria del 13 e 14 luglio 2011

29.10.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Il futuro del mercato del lavoro in Europa: alla ricerca di una risposta efficace allo sviluppo demografico» (parere esplorativo)

2011/C 318/01

Relatore: GREIF

Con lettera del 30 novembre 2010 il sottosegretario di Stato presso il ministero degli Esteri polacco Mikołaj Dowgielewicz, a nome della futura presidenza polacca del Consiglio dell'UE, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere esplorativo sul tema:

Il futuro del mercato del lavoro in Europa: alla ricerca di una risposta efficace allo sviluppo demografico.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali e cittadinanza, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il proprio parere in data 27 giugno 2011.

Alla sua 473a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2011 (seduta del 13 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 120 voti favorevoli e 11 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1

Nel presente parere il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ha esaminato in particolare i seguenti aspetti della politica in materia di occupazione e di mercato del lavoro:

a)

l'utilizzo coerente delle potenzialità occupazionali esistenti di tutti i gruppi di età come punto di partenza essenziale per affrontare le sfide demografiche;

b)

le opportunità e le esigenze derivanti da un maggiore sfruttamento delle potenzialità occupazionali degli anziani, nonché l'importanza economica crescente della «generazione d'argento»;

c)

gli elementi chiave della necessaria transizione verso un mondo del lavoro adeguato alle diverse età.

1.2

Per far fronte all'invecchiamento della popolazione in Europa, la strategia di gran lunga più efficace consiste nello sfruttare al massimo le potenzialità occupazionali esistenti. Questo obiettivo si può realizzare soltanto tramite una politica di crescita mirata e l'aumento di un'occupazione di qualità garantita sul piano della previdenza sociale.

Gli sforzi per aumentare il tasso di occupazione degli anziani che puntano essenzialmente ad intervenire sui sistemi pensionistici peggiorandone le condizioni di accesso e i diritti garantiti, in particolare le proposte volte ad innalzare l'età pensionabile, non rappresentano una risposta adeguata all'invecchiamento della società.

Non sono le relazioni demografiche (tra anziani e persone in età lavorativa) a determinare il futuro fabbisogno finanziario dei sistemi pensionistici: decisivo è invece l'andamento dell'indice di dipendenza economica, ovvero il rapporto fra beneficiari di prestazioni e popolazione attiva.

Se nei prossimi decenni si arrivasse, a livello UE, a migliorare notevolmente l'integrazione nella vita attiva delle persone in età lavorativa, si riuscirebbe a mantenere l'aumento dei tassi di dipendenza economica all'interno di limiti accettabili.

1.3

Per sfruttare appieno le potenzialità occupazionali disponibili, occorre perseguire ampiamente una politica in grado di offrire possibilità di partecipazione. Tale politica dovrebbe comprendere la creazione di condizioni di lavoro adeguate ai lavoratori anziani, lo sviluppo della formazione e del perfezionamento professionali, la creazione di posti di lavoro produttivi e di qualità, la garanzia di sistemi di sicurezza sociale efficienti come pure misure generali intese a conciliare la vita professionale e la vita familiare, ecc.

1.4

Lo sviluppo demografico crea anche delle opportunità per l'economia e l'occupazione. Da un lato, gli anziani diventano sempre più importanti in quanto clienti, il che crea delle opportunità lavorative anche per le altre fasce di età. D'altro canto, l'invecchiamento della società comporta anche considerevoli potenzialità occupazionali dal lato dell'offerta.

La quantità e la qualità dei posti di lavoro derivanti dalla «forza economica degli anziani» dipenderanno in misura decisiva dalla forma che verrà data alla cosiddetta «economia d'argento» tramite un'attiva politica dei servizi.

In particolare nel settore sanitario e dell'assistenza, ma anche in altri settori, bisognerà cogliere l'opportunità della domanda crescente, offrire posti di lavoro con condizioni dignitose e un'adeguata remunerazione nonché modernizzare e professionalizzare i profili delle competenze.

1.5

Se si vuole che le persone riescano ad andare in pensione più tardi, occorre anche far sì che possano lavorare più a lungo. Ciò significa creare posti di lavoro concepiti in modo tale che si possa continuare a lavorare fino all'età pensionabile stabilita per legge. A questo fine è necessario operare una transizione coerente verso un mondo del lavoro adatto alle diverse età.

In questo contesto non si tratta soltanto di adeguare i posti di lavoro alle persone più anziane, ma anche di organizzare il lavoro in modo tale che sia adeguato al processo di invecchiamento in tutte le fasi della carriera lavorativa.

Ciò impone di adottare una serie di misure intese ad offrire alle persone di ogni età un'effettiva opportunità di trovare un lavoro e di conservarlo più a lungo.

Le condizioni e l'ambiente di lavoro vanno adattati ai lavoratori di età diverse. Bisogna lottare contro le discriminazioni e gli stereotipi negativi riguardanti i lavoratori anziani.

In tutte queste misure un ruolo importante spetta alla responsabilità dei poteri pubblici e delle imprese così come alla volontà dei singoli individui di lavorare più a lungo: in quest'ambito rientrano anche la disponibilità verso la formazione permanente e la prevenzione sanitaria.

1.6

È necessario un ampio adeguamento del mondo del lavoro, nel cui ambito le parti sociali a tutti i livelli devono svolgere un ruolo importante. Nel punto 6.5 del presente parere il CESE espone un pacchetto di proposte concrete per un mondo del lavoro adeguato alle diverse età. In questo contesto è evidente che tali misure non devono né aumentare la pressione sugli anziani né creare delle difficoltà per le persone non più in grado di lavorare.

2.   Introduzione

2.1

Il CESE si è pronunciato in varie occasioni in merito agli sviluppi demografici, sottolineando, tra l'altro, che le sfide legate all'invecchiamento della società impongono l'adozione di strategie globali per il mercato del lavoro. A questo proposito, in diversi contesti il CESE ha preso in esame anche la situazione dei lavoratori anziani sul mercato del lavoro, così come le opportunità e le esigenze derivanti da un maggiore sfruttamento delle potenzialità occupazionali degli anziani e di altre categorie prioritarie sul mercato del lavoro (1).

2.2

Per quanto riguarda gli effetti dello sviluppo demografico sulle pensioni, di recente il CESE ha affermato chiaramente che l'ampiamente pubblicizzato passaggio a sistemi pensionistici privati a capitalizzazione costituisce una risposta insufficiente all'invecchiamento della società (2). In questo modo, infatti, non si riducono né i costi né i rischi. Questo sistema non consente infatti di realizzare alcun risparmio, bensì - di norma - produce degli aumenti dei costi, nel migliore dei casi dei trasferimenti dei costi, e neppure aumenta la sicurezza, bensì crea una dipendenza dai mercati dei capitali e quindi un rischio considerevole per l'assicurazione per la vecchiaia. Il CESE ha espresso anche profondo scetticismo circa l'utilità di innalzare l'età pensionabile legale per affrontare le sfide demografiche: occorre piuttosto avvicinare l'età pensionabile effettiva a quella attualmente stabilita per legge.

2.3

Tenuto conto degli sviluppi demografici previsti (stagnazione e/o diminuzione delle persone in età lavorativa), il CESE ha inoltre affermato che gli strumenti principali per affrontare le sfide di una società che invecchia sono una politica di crescita mirata e l'aumento di un'occupazione di qualità garantita sul piano della previdenza sociale. Ciò vale tanto per gli anziani quanto per i giovani. Da questo dipenderà anche la possibilità di garantire le pensioni in modo sostenibile. La piena occupazione e un buon livello di reddito rappresentano pertanto il modo migliore per garantire il sistema pensionistico.

2.4

A questo proposito il CESE ha sempre sottolineato la necessità di ricorrere a tutte le potenzialità lavorative inutilizzate (donne con figli, giovani, ragazzi che abbandonano prematuramente la scuola, lavoratori scarsamente qualificati, disabili e persone con problemi di salute, ecc.) raccomandando anche di sfruttare le potenzialità degli anziani. Ha anche constatato con rammarico che, malgrado il notevole aumento registrato negli ultimi dieci anni, la partecipazione degli anziani al mercato del lavoro è rimasta ben al di sotto degli obiettivi europei.

2.5

Il CESE ha anche preso in esame alcuni ambiti che esulano ampiamente dal mercato del lavoro ma sono importanti per lo sviluppo demografico delle società europee (ad esempio la politica della famiglia e i tassi di natalità, la migrazione e l'integrazione, i rapporti tra le generazioni, ecc.) (3). Su questi temi il presente parere esplorativo non si soffermerà ulteriormente. Invece, in risposta alla richiesta di consultazione presentata dalla prossima presidenza polacca del Consiglio, è importante richiamare l'attenzione sui seguenti aspetti relativi all'occupazione e al mercato del lavoro:

a)

l'impiego coerente delle potenzialità occupazionali esistenti in tutte le fasce di età in un mercato del lavoro inclusivo;

b)

le opportunità e le esigenze derivanti da un maggiore sfruttamento delle potenzialità lavorative degli anziani nonché la crescente importanza macroeconomica della «generazione d'argento»;

c)

gli elementi chiave della necessaria transizione verso un mondo del lavoro adatto alle diverse età.

2.6

Il CESE è dell'avviso che, sebbene l'attuazione del pacchetto di misure indicate nel presente parere dipenda principalmente dagli Stati membri dell'UE, questi potrebbero anche trarre vantaggio da una cooperazione a livello europeo. Invita pertanto gli Stati membri a rafforzare la cooperazione tra il gruppo di esperti della Commissione europea sulle questioni demografiche, il comitato per l'occupazione e il comitato per la protezione sociale, onde assicurarsi che nel loro lavoro entrambi questi comitati possano avvalersi costantemente delle competenze specifiche in fatto di tendenze demografiche, delle analisi e delle buone pratiche nazionali in materia di integrazione efficace delle persone di ogni età, e in particolare degli anziani, nel mercato del lavoro.

3.   Un migliore inserimento nel mercato del lavoro: la risposta principale all'invecchiamento della popolazione

3.1

Nei prossimi decenni, in tutti i paesi dell'UE si assisterà a un drastico aumento del numero di anziani. Al tempo stesso si prevede, nella media UE, un calo della popolazione in età lavorativa. La combinazione di questi due fenomeni induce a prevedere un forte aumento del tasso di dipendenza demografico  (4), che - secondo le proiezioni demoscopiche di Eurostat - dovrebbe praticamente raddoppiare entro il 2050, passando dal 26 al 50 % a livello dell'UE.

3.2

Questo forte incremento del numero di anziani viene spesso automaticamente assimilato ad un aumento corrispondente della pressione sui sistemi sociali, arrivando quindi anche alla conclusione che i sistemi pensionistici attuali non hanno più futuro. Tuttavia, le relazioni demografiche, prese di per sé, non sono veramente indicative della situazione economica effettiva. Per quanto riguarda le questioni di finanziamento dello Stato sociale, l'aspetto fondamentale non è il tasso di dipendenza demografica, bensì il tasso di dipendenza economica, ossia, in particolare, il numero di pensionati, di beneficiari di prestazioni di inabilità al lavoro e di disoccupati in relazione al numero di occupati, i quali finanziano i trasferimenti sociali mediante il pagamento di contributi e imposte. Inoltre, anche l'aumento della produttività del lavoro a livello macroeconomico riveste un'importanza decisiva, poiché consente di aumentare le dimensioni della «torta» che può essere divisa tra popolazione attiva e non attiva.

3.3

L'utilizzo fuorviante del tasso di dipendenza demografica e la frequente equiparazione del numero di persone in età lavorativa con quello degli occupati non corrispondono alla realtà e impediscono di trovare soluzioni adeguate ai problemi. Attualmente, infatti, la dipendenza economica è più del doppio del rapporto puramente demografico tra le persone di età superiore ai 65 anni e quelle in età lavorativa. Il motivo principale è che non tutte le persone in età lavorativa hanno un'occupazione, tutt'altro:

oltre 23 milioni di persone nell'UE sono attualmente disoccupate;

molte persone in età lavorativa sono già in pensione, soprattutto per motivi di salute;

oppure non sono integrate nel mondo del lavoro per altre ragioni (persone in formazione, con obblighi di assistenza, casalinghe/casalinghi, ecc.);

ci sono anche molti casi di persone con disabilità che incontrano ostacoli nella partecipazione al mercato del lavoro, anche a causa di discriminazioni o della mancanza degli adattamenti necessari.

3.4

L'idea di base della relazione di dipendenza economica è che, per valutare gli effetti delle tendenze demografiche in un determinato paese, non si debba utilizzare come parametro principale soltanto l'età, bensì soprattutto lo sviluppo del mercato del lavoro (5). In questo contesto il CESE giudica fondamentale dare maggiore risalto al legame tra sviluppo del mercato del lavoro e andamento della dipendenza economica, in modo da trovare le risposte adeguate alle sfide di carattere demografico.

3.5

Anche se l'invecchiamento avvenisse nella misura attualmente prevista, in futuro si presenterebbero scenari estremamente diversi di dipendenza economica in funzione dello sviluppo del mercato del lavoro: se nei prossimi decenni si arrivasse, a livello UE, a migliorare l'integrazione nella vita attiva delle persone in età lavorativa (portandola al livello degli Stati UE attualmente meglio collocati), si riuscirebbe a mantenere l'aumento dei tassi di dipendenza economica all'interno di limiti accettabili, nonostante il marcato invecchiamento della società (6).

3.6

A questo proposito anche la Commissione europea già diversi anni fa ha constatato che, nella gestione delle sfide demografiche, in fin dei conti, l'età è un fattore meno pertinente di quanto non sia l'effettiva situazione professionale delle persone in età lavorativa:

«La popolazione attiva è, in pratica, molto inferiore al numero di persone di età compresa tra 15 e 64 anni. (…) Ciò lascia un margine considerevole per aumentare l'occupazione nella maggior parte degli Stati membri e, di conseguenza, costituisce un'opportunità per realizzare un equilibrio molto più vantaggioso tra la popolazione occupata e quella in pensione. (…) Questo aspetto mostra l'importanza di aumentare i tassi di occupazione nell'UE. Si può ritenere che questa sia la strategia più efficace che gli Stati possano adottare per prepararsi all'invecchiamento della popolazione. (7)»

3.7

A fronte dell'invecchiamento della popolazione in Europa, lo sfruttamento coerente delle potenzialità occupazionali esistenti appare, anche a giudizio della Commissione, come la strategia di gran lunga più efficace. Al tempo stesso, è ovviamente decisivo incrementare ulteriormente la produttività del lavoro per garantire un miglioramento del livello di vita. Se si considerano le due esigenze nello stesso tempo, risulta evidente che alla sfida demografica si può rispondere sostanzialmente in un unico modo: adottando cioè una politica di crescita mirata e aumentando l'occupazione. Nella maggior parte degli Stati UE le riserve necessarie di forza lavoro sono, in teoria, sufficienti. Si tratta innanzitutto di incoraggiare e accompagnare in modo adeguato il processo di integrazione nel mercato del lavoro.

3.8

L'esigenza di impiegare le potenzialità occupazionali esistenti non è tuttavia limitata agli anziani, ma interessa tutte le fasce di età. A tal fine occorrono notevoli sforzi volti a migliorare le opportunità occupazionali di tutte le categorie di persone svantaggiate sul piano dell'occupazione. A questo proposito il CESE ha spesso osservato che, per affrontare il cambiamento demografico, occorre un progetto globale che affronti tutta una serie di aspetti economici, sociali e politici. In tale contesto anche l'immigrazione legale può costituire parte della risposta (8).

3.9

A giudizio del CESE è evidente che, per sfruttare appieno le potenzialità occupazionali disponibili, occorre perseguire con coerenza una politica e una prassi imprenditoriale in grado di offrire possibilità di partecipazione in modo da:

prevenire la disoccupazione e l'emarginazione anche, appunto, degli anziani in una fase di recessione (tramite un'adeguata politica anticiclica della domanda);

creare maggiori e migliori possibilità di ingresso nel mercato del lavoro e prospettive di impiego per i giovani e per le persone svantaggiate sul piano occupazionale;

garantire ampie attività di formazione e perfezionamento professionale anche sul posto di lavoro (ad esempio introducendo per legge la possibilità di ferie remunerate per l'apprendimento permanente);

diminuire i tassi di invalidità assicurando ai lavoratori una protezione sanitaria di qualità elevata, a livello sia professionale che interprofessionale, nonché adottando misure di tutela della salute, come pure di prevenzione e riabilitazione;

rimuovere gli ostacoli all'occupazione delle persone con disabilità garantendo luoghi di lavoro più inclusivi, ad esempio tramite l'accessibilità fisica, l'accessibilità delle tecnologie dell'informazione e sistemi di lavoro flessibili, ove necessario con la partecipazione del finanziamento pubblico;

intensificare considerevolmente gli sforzi volti a conciliare vita familiare e professionale nonché migliorare la divisione dei compiti familiari all'interno della coppia.

3.10

A questo proposito le parti sociali europee hanno concluso nel marzo 2010 un accordo autonomo che contiene proposte di misure delle parti sociali nazionali come pure raccomandazioni per le autorità nazionali (9).

3.11

Ciò significa anche aumentare i tassi di partecipazione degli anziani al mercato del lavoro creando e migliorando le loro possibilità occupazionali, nonché operando una transizione coerente verso un mondo del lavoro adatto alle diverse età. A tale proposito è evidente che queste misure non devono né aumentare la pressione sugli anziani né creare delle difficoltà per le persone non più in grado di lavorare. Andare in pensione è un diritto riconosciuto dalle convenzioni dell'OIL (10), e le pensioni devono permettere ai loro titolari di condurre una vita dignitosa.

4.   Gli anziani sul mercato del lavoro dell'UE: il punto della situazione

4.1

Come in passato, le potenzialità occupazionali dei lavoratori anziani (55-64) sono utilizzate in modo insufficiente a livello dell'UE. La figura 1 mostra come, partendo da un dato basso, nel periodo della strategia di Lisbona siano stati realizzati notevoli progressi. I tassi di occupazione degli anziani registrano infatti un aumento di quasi 10 punti percentuali.

4.2

In ogni caso l'obiettivo da raggiungere entro il 2010 (il 50 %) è stato chiaramente mancato. Il miglioramento è stato, in una certa misura, maggiore per le donne che per gli uomini. È tuttavia rimasto un divario veramente consistente tra i due sessi: anche alla fine del periodo in esame, le donne tra i 55 e i 64 anni ancora in attività non superavano di molto il terzo del totale (figura 1).

Figura 1:

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4.3

È interessante anche effettuare un confronto con l'andamento dell'occupazione per altre fasce di età. Partendo dallo stesso livello, l'occupazione degli anziani aumenta, mentre quella dei giovani diminuisce (figura 2). Il secondo dato è principalmente dovuto ai tempi più lunghi di formazione. In ogni caso, nel 2009, anno in cui ancora imperversava la crisi, è evidente che la disoccupazione dei giovani ha subito un drastico calo. Questo aspetto segna una differenza rispetto alle crisi precedenti, che venivano «affrontate» soprattutto a spese degli anziani. Se ne deduce che i problemi relativi a un segmento (nella fattispecie gli anziani) non devono essere risolti a spese di altri gruppi (i giovani).

Figura 2:

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4.4

La figura 3 mostra notevoli differenze tra gli Stati dell'UE: in Svezia lavora il 70 % degli anziani (il che corrisponde, nel complesso, all'obiettivo di Lisbona in materia di occupazione). In altri paesi lavora soltanto un terzo circa delle persone tra i 55 e i 64 anni. È importante segnalare il buon risultato raggiunto dai tre paesi nordici (Svezia, Danimarca, Finlandia). Inoltre non emerge nessuna connessione con le tipologie classiche dei sistemi «assistenziali» in Europa: sembra infatti che elevati tassi di occupazione degli anziani siano compatibili con diverse strutture istituzionali. Le differenze constatate fanno intuire, tuttavia, quali potenzialità occupazionali siano attualmente inutilizzate in Europa.

Figura 3:

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4.5

Per quanto riguarda la disoccupazione, a prima vista la situazione degli anziani non appare più drammatica della media. I tassi di disoccupazione degli anziani, a livello UE e in molti Stati, sono lievemente inferiori rispetto ai tassi complessivi. Questo, però, è solo il rovescio della medaglia di un tasso di disoccupazione giovanile spaventosamente elevato. In ogni caso, va sottolineato che queste cifre sono dovute anche al fatto che molti anziani che non lavorano, ma ne sarebbero capaci, non sono registrati come disoccupati bensì «parcheggiati» in «sistemi di assorbimento».

4.6

Tuttavia per gli anziani si profila drammaticamente il rischio della disoccupazione di lunga durata, rischio che aumenta rapidamente con l'età. Se a un anziano capita di perdere il lavoro, spesso resta disoccupato fino alla fine della carriera: se tra i giovani disoccupati circa un quarto lo è da oltre un anno, tale percentuale aumenta con l'età e si attesta, nel caso degli anziani (55-64) su una media UE vicina al 50 %.

5.   Le potenzialità occupazionali di una società che invecchia: lavoro per gli anziani e lavoro da parte degli anziani

5.1

Lo sviluppo demografico crea anche delle opportunità per l'economia e l'occupazione. Da un lato, gli anziani diventano sempre più importanti in quanto clienti, il che crea delle opportunità lavorative anche per le altre fasce di età. D'altro canto, l'invecchiamento della società comporta anche considerevoli potenzialità occupazionali dal lato dell'offerta. In entrambi i casi, i processi naturali e quelli guidati dal mercato devono essere accompagnati e indirizzati sul piano politico e istituzionale.

5.2

Le società in cui le persone vivono più a lungo offrono ampie possibilità di sviluppare nuovi prodotti e servizi. Dal cosiddetto «mercato d'argento» possono trarre profitto numerosi settori, che vanno dall'edilizia abitativa ai servizi per la qualità della vita (cultura, tempo libero, turismo, sport, mass media, telecomunicazioni) fino ai servizi sanitari e sociali.

5.3

I giovani e gli anziani hanno comportamenti diversi in fatto di consumi e risparmio. Il conseguente spostamento della domanda nell'intera società si ripercuoterà anche sulle future strutture produttive e occupazionali. È quindi prevedibile che lo sviluppo demografico rafforzerà la già marcata tendenza verso una società di servizi. Accanto ad altri settori, cresceranno in misura sproporzionata soprattutto i servizi sanitari e di assistenza. Questi spostamenti settoriali si sovrapporranno a quelli dovuti ad altri motivi (la cosiddetta «transizione verde»). In parte sarà il mercato ad adattarsi al cambiamento della domanda, ma resta tuttavia un decisivo ruolo di indirizzo per l'intervento politico, soprattutto in materia di politica attiva del mercato del lavoro, ad esempio per quanto riguarda i servizi di formazione, informazione e comunicazione offerti dalle istituzioni del mercato del lavoro.

5.4

La quantità e la qualità dei posti di lavoro derivanti dalla «forza economica degli anziani» dipenderanno in misura decisiva dalla forma che verrà data alla cosiddetta «economia d'argento» tramite un'attiva politica dei servizi. In particolare nel settore sanitario e dell'assistenza, ma anche in altri settori, bisognerà cogliere l'opportunità della domanda crescente, offrire posti di lavoro con condizioni dignitose e un'adeguata remunerazione nonché modernizzare e professionalizzare i profili delle competenze. Per motivare un maggior numero di persone a trovare un lavoro nel campo sanitario, sociale e dell'assistenza, bisogna rendere più attraente questo tipo di occupazione nel quadro del percorso professionale complessivo.

5.5

La professionalizzazione dei servizi sociali può anche costituire uno strumento per realizzare obiettivi ambiziosi in materia di parità. Un'offerta valida di servizi sociali (centri di custodia per i bambini e assistenza) contribuisce ad alleggerire il compito delle persone che prestano assistenza (prevalentemente donne), consentendo loro di sfruttare appieno le proprie qualifiche sul mercato del lavoro.

5.6

Gli investimenti nei servizi sociali non contribuiscono soltanto alla creazione di nuovi posti di lavori ma anche al rilancio dell'economia regionale. L'ampia garanzia di un accesso a servizi di qualità a prezzi abbordabili crea nuove potenzialità in termini di occupazione. In quest'ambito sono importanti anche le iniziative nel settore non profit, in particolare nell'economia sociale. Ai comuni spetta un ruolo importante in questo settore: essi non soltanto sono i principali responsabili dei servizi sociali, ma sono quelli che conoscono meglio le necessità e le condizioni locali. Il problema principale sta tuttavia nel fatto che alla maggior parte dei comuni manca la capacità finanziaria anche per offrire i servizi necessari.

5.7

Sul lato dell'offerta, va segnalato che i lavoratori giovani e quelli anziani non sono facilmente interscambiabili: mentre i giovani hanno, in media, una capacità di apprendimento più flessibile, gli anziani possono invece vantare una maggiore esperienza. Anche se la produttività dei singoli registra un calo da alcuni punti di vista (ad esempio la capacità fisica), questo problema può essere parzialmente risolto modificando l'organizzazione del lavoro, prevedendo un adeguato perfezionamento professionale e misure di prevenzione sanitaria nonché impiegando in modo più efficace le tecnologie lavorative.

5.8

Lo spostamento settoriale verso il settore dei servizi può portare addirittura a un miglioramento della situazione degli anziani: in molti settori, infatti, l'impegno sul piano fisico tende a diminuire mentre le competenze di carattere sociale acquistano importanza. Le imprese non dovrebbero quindi investire soltanto nei lavoratori giovani. La produttività di un'impresa non è soltanto la somma della produttività dei singoli dipendenti. La conservazione delle esperienze maturate ai fini della gestione delle conoscenze all'interno dell'azienda e la struttura organizzativa sono spesso più importanti della produttività individuale. In tale contesto acquistano una notevole importanza gli sforzi intesi a professionalizzare il settore della consulenza, del tutoraggio e della formazione personalizzata. Occorre infine che le aziende tengano conto del cambiamento demografico nello sviluppo del personale e sappiano sfruttare la combinazione ottimale dei punti di forza dei lavoratori di età diverse.

6.   Una configurazione del mondo del lavoro adatta all'età

6.1

Se si vuole che le persone riescano ad andare in pensione più tardi, occorre anche far sì che possano lavorare più a lungo. Ciò significa creare posti di lavoro concepiti in modo tale che un maggior numero di persone possa continuare a lavorare fino all'età pensionabile stabilita per legge. A questo fine non si tratta soltanto di creare posti di lavoro per gli anziani in modo mirato e adeguarli a tale categoria di popolazione, ma soprattutto di organizzare l'intera carriera lavorativa in modo da evitare sin dall'inizio rischi ed effetti nocivi sulla salute, avvantaggiando in questo modo i lavoratori in ogni fase della vita.

6.2

Pur essendo chiaro che, per conservare la capacità lavorativa, un ruolo importante spetta anche alla responsabilità individuale del lavoratore, va osservato che le cause fondamentali dell'abbandono prematuro della vita lavorativa sono il deterioramento delle condizioni di salute dovuto anche a condizioni di lavoro usuranti sul piano fisico e psicologico, l'elevata intensità lavorativa, i licenziamenti prematuri dei lavoratori più anziani, ma anche le carenze in termini di perfezionamento professionale e le scarse possibilità di (ri)trovare un lavoro. Inoltre, le nuove forme di organizzazione del lavoro riducono sempre più le possibilità di reimpiegare gli anziani nelle imprese in settori meno usuranti.

6.3

Per innalzare il livello di occupazione degli anziani non basta tuttavia mantenerli sani e idonei al lavoro e renderli interessanti per i datori di lavoro. Anche i posti disponibili per gli anziani devono diventare più attraenti. La qualità dell'occupazione influisce quindi notevolmente sulla scelta dei lavoratori anziani di riprendere e/o mantenere il proprio impiego.

6.4

Solo una politica consapevole di «invecchiamento attivo» che comprenda ampie possibilità di partecipazione ad una formazione continua può portare a innalzare in maniera duratura il tasso di occupazione degli anziani. La questione principale a questo proposito è la seguente: quali misure bisogna adottare per dare agli anziani opportunità concrete di trovare un lavoro e di conservarlo più a lungo?

6.5

La transizione coerente verso un mondo del lavoro adatto alle diverse età deve avvenire, a giudizio del CESE, tramite una serie di misure in cui devono figurare i seguenti elementi chiave:

introdurre incentivi destinati alle imprese per creare posti di lavoro adatti agli anziani e stabilizzare la situazione degli anziani già presenti (misure per evitare i licenziamenti prematuri degli anziani nonché progetti innovativi per mantenerli nell'azienda assegnandoli a settori meno usuranti);

lanciare una politica proattiva del mercato del lavoro intesa a reinserire i disoccupati anziani nella vita professionale come pure a ridurre il rischio della disoccupazione di lunga durata, prevedendo anche una dotazione adeguata per la politica attiva del mercato del lavoro;

garantire una consulenza e un'assistenza completa a chi cerca lavoro e sostenere attivamente i servizi di collocamento (ad es. occupazione assistita, aiuti all'inserimento, progetti sociali di interesse generale) e adottare misure di prevenzione e riabilitazione per il reinserimento;

adottare misure finalizzate a protrarre la permanenza fisica e psicologica nella vita lavorativa, innanzitutto allentando la pressione sui lavoratori nelle aziende e adeguando le condizioni di lavoro all'età (ad es. incoraggiando una maggiore tutela dei lavoratori e della salute e varando programmi aziendali di promozione della salute), sempre tenendo presente che il carattere usurante di un impiego può costituire un limite;

adottare misure per aumentare la capacità inclusiva dei posti di lavoro per gli anziani con disabilità, ad es. tramite adattamenti in grado di aumentare l'accessibilità fisica e la possibilità di utilizzare le tecnologie dell'informazione;

adottare misure intese ad accrescere la volontà dei singoli di lavorare più a lungo: in quest'ambito rientrano anche la disponibilità verso la formazione permanente e la prevenzione sanitaria;

mettere a punto dei modelli lavorativi negoziati con le parti sociali al fine di tutelare la salute a livello settoriale e aziendale per tutta la carriera (come ad esempio anni sabbatici, ferie remunerate per la formazione);

prevedere misure aziendali, basate su contratti collettivi o giuridiche, per garantire una maggiore partecipazione degli anziani al perfezionamento professionale (per ovviare alla scarsa partecipazione alla formazione aziendale, specie per quanto riguarda i lavoratori meno qualificati, garantire finanziamenti adeguati per una campagna di qualificazione 40+ e migliorare il quadro giuridico in materia di giorni di formazione remunerati);

lanciare attività di sensibilizzazione a favore dei lavoratori anziani (valorizzazione delle conoscenze maturate con l'esperienza e trasferimento ai giovani lavoratori delle competenze acquisite nella vita lavorativa);

avviare un'ampia azione di sensibilizzazione della società per eliminare gli stereotipi e i pregiudizi nei confronti dei lavoratori anziani e dare un significato positivo al concetto di «invecchiamento»; bisogna lottare contro le discriminazioni e gli stereotipi negativi riguardanti i lavoratori anziani;

offrire consulenza e sostegno alle imprese, in particolare alle PMI, nella programmazione in materia di risorse umane e nello sviluppo di un'organizzazione del lavoro che tenga conto dell'età dei dipendenti;

creare incentivi adeguati per impiegare gli anziani e mantenerli sul posto di lavoro, senza però distorcere la concorrenza;

creare incentivi socialmente accettabili per prolungare la vita lavorativa nel quadro delle disposizioni vigenti in materia di età pensionabile per tutti quelli che trovano un lavoro e sono in condizioni di esercitarlo;

dove sia possibile o auspicabile, creare modelli innovativi e allettanti per un passaggio flessibile dalla vita lavorativa alla pensione nel quadro dei sistemi pensionistici pubblici (anche con l'ulteriore sviluppo di modelli di lavoro a tempo parziale per gli anziani).

6.6

La promozione di una vita lavorativa più lunga impone in ogni caso una responsabilità e un impegno condivisi tra lo Stato, il datore di lavoro e il lavoratore stesso. Questa responsabilità va assunta in modo adeguato da tutti i soggetti coinvolti. Alle parti sociali spetta un ruolo particolarmente importante in tutti questi sforzi. I modelli di successo messi a punto dagli Stati nordici, ma anche da altri Stati membri, mostrano in che modo si possa creare in modo socialmente accettabile, sulla base di accordi collettivi e a livello di azienda, nonché attraverso il coinvolgimento delle parti sociali, un mercato del lavoro funzionante per gli anziani con una maggiore stabilità dell'occupazione, oltre a livelli elevati di occupabilità e di occupazione per questa categoria di persone.

Bruxelles, 13 luglio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Pareri CESE sui seguenti temi: La situazione dei lavoratori anziani di fronte alle trasformazioni industriali: assicurare il sostegno e gestire la diversità d'età nei settori e nelle imprese (http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.en.soc-opinions.14120), L'occupazione per le categorie prioritarie (strategia di Lisbona) (http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.en.soc-opinions.14141), Aumentare il tasso d’occupazione dei lavoratori anziani e differire l’uscita dal mercato del lavoro (http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.en.soc-opinions.14156).

(2)  Parere CESE in merito al Libro verde Verso sistemi pensionistici adeguati, sostenibili e sicuri in Europa (http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.en.soc-opinions.14892).

(3)  Parere CESE sul tema Il ruolo della politica della famiglia nel processo di cambiamento demografico: condividere le buone pratiche tra gli Stati membri (http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.en.soc-opinions.14900).

(4)  Quota della popolazione di età superiore ai 65 anni rispetto alla quota di popolazione tra i 15 e i 64 anni.

(5)  Questo rapporto viene illustrato mediante il calcolatore del tasso di dipendenza dell'AK-Wien (Camera del lavoro di Vienna): il rapporto calcolato in questo modello tra pensionati e disoccupati rispetto al numero di occupati (tasso di dipendenza economica) illustra chiaramente il forte influsso esercitato dai diversi scenari del mercato del lavoro (ad esempio, tassi di occupazione) in relazione alle sfide demografiche e consente, tenendo conto dei fattori determinanti dell'economia reale, di avere un quadro molto più realistico rispetto al semplice rapporto tra il numero di persone di età superiore ai 65 anni e il numero di quelli di età compresa tra i 16 e i 64 anni (tasso di dipendenza demografica).

(6)  Esempio dell'Austria: tasso di dipendenza demografica nel 2008: 25 % con un tasso di dipendenza economica del 61 %; proiezioni del tasso di dipendenza per il 2050 tenuto conto della situazione del mercato del lavoro danese (tassi di partecipazione): mentre i tassi di dipendenza economica aumenterebbero solo moderatamente dal 61 % del 2008 al 72 % del 2050, per quanto riguarda i tassi di dipendenza demografica si arriverebbe quasi ad un raddoppiamento (48 %).

(7)  Demography Report 2008 (SEC(2008) 2911, pag. 133 – disponibile solo in inglese).

(8)  Parere CESE sul tema Il ruolo dell'immigrazione legale in un contesto di sfida demografica (http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.en.soc-opinions.14361).

(9)  Parti sociali europee: Framework Agreement on Inclusive Labour Markets («Accordo quadro sui mercati del lavoro inclusivi»), marzo 2010: (Cfr. documenti correlati:

http://ec.europa.eu/social/main.jsp?langId=en&catId=89&newsId=744&furtherNews=yes).

(10)  La Convenzione n. 128 concernente le prestazioni per l'invalidità, la vecchiaia e i superstiti indica l'età di 65 anni come limite per la vita lavorativa.


29.10.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/9


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Migliorare l'alfabetizzazione, le competenze e l'inclusione digitali» (parere esplorativo)

2011/C 318/02

Relatrice: BATUT

La Commissione europea, in data 24 gennaio 2011, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema:

Migliorare l'alfabetizzazione, le competenze e l'inclusione digitali

(parere esplorativo).

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 giugno 2011.

Alla sua 473a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2011 (seduta del 13 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 136 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Le disparità di accesso al digitale dipendono dalle diseguaglianze economiche e sociali: è quindi urgente sviluppare la crescita e l'occupazione e superare la crisi nel modo migliore.

1.2   Per OGNI cittadino, acquisire in modo critico i contenuti di tutti i supporti mediatici significa: 1) disporre di una connessione; 2) saper usare i materiali; 3) avere dimestichezza con la tecnologia; 4) essere formato all'utilizzo; 5) partecipare al mondo digitale.

1.3   L'inclusione digitale deve costituire un approccio globale e garantire, tramite queste tecnologie, l'emancipazione di ogni individuo, indipendentemente dalla sua posizione nella società. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che l'Unione e gli Stati membri dovrebbero garantire l'accessibilità del digitale tramite l'apprendimento permanente delle competenze digitali a fini lavorativi, di realizzazione personale e di cittadinanza.

1.4   L'accesso all'infrastruttura e agli strumenti va considerato come un diritto fondamentale.

1.5   Il CESE auspica che le strutture di dialogo esistenti siano sollecitate dalle autorità europee, nazionali e locali a incontrare i rappresentanti della società civile organizzata per individuare meglio i bisogni reali.

1.6   La qualità, l'innovazione, la trasparenza e l'accessibilità che ci si possono aspettare dai servizi di interesse generale (SIG) e dalle amministrazioni in Europa e negli Stati membri sono le basi stesse dell'inclusione digitale.

1.7   Considerato che il fenomeno del digitale interessa ampiamente le società (1) e che, nel 2010, il 30 % delle famiglie non era ancora connesso ad Internet (2), il CESE ritiene che la funzione dell'Unione debba essa quella di stimolo e di guida, con l'obiettivo di offrire pari opportunità ai cittadini, e che essa potrebbe fornire agli Stati membri fin dall'inizio un approccio armonizzato, comprendente l'esigenza della protezione, per rendere sicure le procedure e i dati. Il CESE raccomanda che l'Unione e gli Stati membri si coordinino per l'e-inclusione:

degli anziani, al fine di:

fare in modo che l'Anno europeo dell'invecchiamento attivo (2012) offra all'UE l'occasione di valorizzare il ruolo svolto dalle TIC per collegare le generazioni e mantenere in attività i meno anziani, lottare contro l'isolamento e garantire una vita confortevole ai più anziani;

guidare gli anziani nell'apprendimento del digitale tramite formazioni e azioni di accompagnamento locali;

mettere a punto obiettivi, materiali e software accessibili per suscitare l'interesse e quindi creare il bisogno;

definire dei progetti locali in materia di sanità elettronica, di ricostituzione di una memoria collettiva, ad esempio a livello di quartiere, e di recupero dell'autonomia, per consentire agli anziani di ristabilire dei rapporti sociali;

dei disabili, al fine di:

assicurare, tramite le TIC, la loro partecipazione alla società senza discriminazioni, garantendo l'accessibilità e la facilità d'uso;

sviluppare, tramite l'intermediazione della Commissione, uno standard di «design per tutti» cui l'industria, i programmatori e i costruttori si conformino, o addirittura imporre una clausola di accessibilità dei materiali e dei software nei mercati di importazione, e adottando misure che impongano la diffusione dell'informatica nella vita domestica, nei trasporti pubblici e privati, nell'edilizia, ecc.;

delle persone a basso reddito, al fine di:

sostenere la produzione di software accessibili e adeguati alle esigenze delle popolazioni minoritarie;

promuovere un servizio gratuito di punti Internet pubblici in luoghi nevralgici delle città, come pure nei quartieri svantaggiati;

offrire l'opportunità di apprendere e di qualificarsi per una professione tramite l'e-learning;

facilitare l'utilizzo dei dati aperti 2.0 (open data) e delle open source;

delle persone con un basso livello di istruzione, al fine di:

concedere aiuti pubblici per le attività di sostegno (locali, «esperti»), in modo da evitare che gli interessati restino soli di fronte alla macchina;

esigere, dagli operatori, dei costi abbordabili per l'uso del telefono e dei media come supporti di formazione;

promuovere la parte ludica della tecnologia, che evita lo scoraggiamento: serious games, software con contenuti qualificanti, uso delle reti sociali;

garantire aiuti ai soggetti locali;

delle minoranze, al fine di:

sostenere progetti di applicazioni on-line, multilingui e adeguate (ad esempio educazione sanitaria, sanità on-line, e-learning) e

assicurare alle minoranze l'accesso a punti Internet pubblici e gratuiti, all'e-learning e alla scuola.

1.8   In linea generale, il CESE ritiene necessario:

fare della e-inclusione, a livello dell'UE e degli Stati membri, un elemento trasversale delle politiche;

completare rapidamente le infrastrutture di rete (regioni isolate, banda larga, ecc.);

concepire sin dall'inizio le politiche pubbliche di sviluppo del digitale, a livello europeo, nazionale e locale, come inclusive e non discriminatorie;

favorire l'utilizzo dei materiali e dei software appena superati;

mettere a disposizione delle risorse per garantire la e-inclusione delle donne.

1.8.1   Per il finanziamento delle azioni:

favorire il finanziamento dell'accesso universale tramite sovvenzioni pubbliche nazionali e fondi UE;

sviluppare gli investimenti in particolare per i servizi rivolti al pubblico (FSE, FEASR), garantire che i fondi destinati alla R&S siano pari al 3 % del PIL europeo e ridurre i tagli ai bilanci pubblici;

destinare un fondo di riserva a questa sfida essenziale, per conservare le conoscenze e attenuare gli effetti delle crisi;

inserire la sfida digitale tra le priorità (FSE) dei programmi degli enti locali e fornire alle organizzazioni della società civile i mezzi per aiutare le categorie della popolazione escluse dal digitale;

adeguare il principio di addizionalità dei fondi strutturali destinati all'inclusione digitale;

ricorrere, se necessario, a prestiti obbligazionari per i grandi lavori infrastrutturali;

promuovere i PPP (partenariati pubblico-privati) in un quadro europeo appropriato;

favorire il principio di una tassazione a livello europeo delle operazioni finanziarie (TTF), il cui gettito potrebbe essere parzialmente destinato all'inclusione digitale;

avviare negoziati tra le imprese del settore dei giochi commerciali (commercial gaming) e i soggetti pubblici (istruzione) per riutilizzare in seconda battuta, a costi inferiori, le loro tecnologie appena superate;

favorire lo sviluppo del microfinanziamento di progetti di formazione;

promuovere dei sistemi di sostegno diretto alla persona per l'accesso alle attrezzature di base (hardware e software);

valutare i progressi compiuti tramite il digitale negli ultimi cinque anni (posti di lavoro creati) per definire, insieme con i soggetti interessati, i loro bisogni reali.

1.8.2   Per quanto riguarda l'acquisizione delle competenze:

istituire un consiglio settoriale incaricato di definire un quadro di riferimento europeo;

definire un quadro di riferimento europeo delle formazioni e delle nuove professioni nel campo del digitale e nei settori limitrofi, nonché individuare gli elementi utili per il rilascio di diplomi riconosciuti a livello europeo;

creare un modulo europeo di apprendimento, con contenuti multilingui, per l'acquisizione rapida di conoscenze e competenze qualificanti;

tramite tale quadro europeo, rendere le professioni del digitale più visibili e meglio retribuite, e sviluppare l'e-learning per assicurare una professionalità elevata (aggiornamento delle professioni del campo dell'informatica) al fine di aumentare il numero degli operatori del settore e permettere la loro riqualificazione;

introdurre un «passaporto digitale europeo», obbligatorio per creare un'impresa.

1.8.3   Per quanto riguarda la sicurezza delle categorie vulnerabili della popolazione rispetto al digitale:

stabilire dei contenuti di base di Internet senza lasciare tutto al mercato (UE e SM);

definire delle norme «anti-inquinamento» dei siti, insegnare la cibersicurezza fin dalle scuole;

garantire che, in tutti i siti, esistano dispositivi che aiutino gli utenti a ricordarsi delle elementari precauzioni di sicurezza;

garantire la definizione e il rispetto dei diritti dell'utilizzatore delle reti;

a tal fine, creare un codice dei diritti degli utilizzatori del digitale, conforme ai principi della Carta dei diritti fondamentali e all'articolo 9 del TFUE, che garantisca almeno il rispetto della libertà di espressione, di informazione, del diritto alla protezione dei dati personali, del diritto all'oblio, del diritto alla protezione dei minori.

1.8.4   Per quanto riguarda il loro accesso al lavoro:

favorire lo sviluppo del dialogo sociale e civile con le numerose strutture esistenti su tutti i punti menzionati, per tenere meglio conto dei bisogni e trasformare il digitale in posti di lavoro e opportunità di sviluppo economico, sociale e personale;

promuovere la formazione digitale dei dipendenti delle imprese per garantire loro di mantenere più a lungo il posto di lavoro e, al tempo stesso, migliorare la produttività aziendale.

1.8.5   Per quanto riguarda l'istruzione inclusiva per tutti, il CESE raccomanda all'Unione di impegnarsi a:

promuovere la parità di accesso a un'istruzione inclusiva in tutte le scuole;

promuovere l'e-inclusione del futuro sin dall'età prescolare, senza discriminazioni;

promuovere la formazione digitale dei genitori e degli insegnanti elementari, adeguando le condizioni di lavoro di questi ultimi;

promuovere, per gli alunni in generale, ma soprattutto per quelli con uno scarso rendimento scolastico, la diffusione generalizzata del digitale a scuola, in particolare sotto forma ludica (3), inquadrato ovviamente dagli insegnanti al fine di garantire la padronanza della forza dell'immagine, cosa che richiede nuove forme di apprendimento ed espressione, soprattutto sotto forma ludica (uso degli smart phones in classe, dei serious games, dei tablet PC, dei libri elettronici, delle reti sociali …);

promuovere per tutti l'accesso al mercato del lavoro garantendo l'acquisizione di solide basi generali e digitali.

2.   Contesto

2.1   L'obiettivo della strategia Europa 2020 è quello di garantire all'Unione una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, che consenta di uscire dalla crisi. L'iniziativa intitolata Un'agenda europea del digitale  (4) segnala, tra gli ostacoli, la mancanza di competenze informatiche, il rischio di una crescente diffidenza verso le reti e la criminalità informatica, come pure le opportunità mancate di affrontare le sfide sociali.

2.2   A giudizio del CESE, tale obiettivo riveste un'importanza fondamentale. Nessun cittadino dovrebbe rimanere escluso dal digitale, poiché esso rappresenta, innanzitutto, uno strumento di realizzazione personale, partecipazione alla vita sociale ed emancipazione (5).

3.   Definizioni

3.1   Inclusione digitale

In base alla dichiarazione di Riga (6), per inclusione digitale (o «e-inclusione») si intendono sia le tecnologie informatiche sia il loro utilizzo per raggiungere obiettivi di inclusione più ampi tramite la partecipazione di ogni individuo e di ogni comunità alla totalità degli aspetti della società dell'informazione.

3.2   I destinatari delle misure

Anche se i cittadini sono suddivisi in categorie per essere individuabili ai fini degli aiuti ad essi destinati, l'inclusione digitale deve però costituire un approccio globale. Sul piano umano, per realizzare tale inclusione bisogna innanzitutto evitare di stigmatizzare le persone suddividendole in categorie; sul piano sociale, l'inclusione esige un'assunzione di responsabilità collettiva e, sul piano industriale e commerciale, occorre introdurre un «design per tutti», che vada dalla progettazione all'utilizzo finale.

3.3   La cultura digitale

In generale, la cultura digitale è il mezzo, lo strumento senza il quale non è più possibile beneficiare di quella che prima era la cultura in senso lato, considerata come l'insieme dei legami che uniscono tra loro i cittadini. In mancanza di questo strumento, le possibilità di avvicinarsi agli altri e di acquisire nuove conoscenze sono molto più limitate.

La cultura (alfabetizzazione), le competenze e l'inclusione sono indissociabili e corrispondono a una definizione organica e non discriminatoria della e-inclusione per tutta la società.

3.3.1   Per essere inclusi, bisogna tuttavia soddisfare alcune condizioni preliminari:

disporre di una connessione: l'accessibilità elettronica («e-accessibilità») costituisce un aspetto imprescindibile,

saper usare i materiali,

avere dimestichezza con la tecnologia, essere formati, disporre delle competenze informatiche necessarie per utilizzare tutti i programmi e software Mac, Windows, Linux, di Internet, del cellulare, ecc.,

acquisire le informazioni necessarie per valutare in modo critico i contenuti di tutti i supporti media, nel quadro dell'esercizio di una cittadinanza attiva.

3.3.2   Tra gli esclusi dal digitale figurano gli anziani, i disabili, talvolta le persone che prestano assistenza, le persone a basso reddito e quelle poco istruite - con un distinguo: una parte della popolazione «anziana» conosce Internet fin dalla sua prima apparizione, lo sa usare e se ne serve; in alcuni Stati membri questo gruppo costituisce un vero e proprio motore dell'economia. Il CESE ritiene che il digitale debba servire a garantire l'emancipazione di ogni cittadino, indipendentemente dalla sua posizione sociale, sia tramite approcci specifici che tramite un approccio rivolto a tutti, il quale risulterebbe più economico e inclusivo.

3.3.3   Il CESE ritiene che l'e-inclusione sia tutt'altro che stabile e lineare. Le tecnologie si evolvono costantemente, il lavoro è sempre più precario e soggetto a flessibilità, le carriere frammentate. L'esclusione digitale è spesso dovuta a una serie di concause. La formazione e l'aggiornamento delle conoscenze sono aspetti essenziali dell'inclusione.

3.3.4   Questi problemi riguardano le imprese che incontrano difficoltà finanziarie e non hanno le competenze e/o il tempo necessari. Secondo il CESE, la e-inclusione deve anticipare i tempi per far coincidere il più possibile l'evoluzione delle TIC con lo sviluppo delle cause dell'esclusione.

3.4   Le competenze digitali dei professionisti

La formazione permanente svolge un ruolo fondamentale. Dopo aver suscitato una vera e propria infatuazione presso le giovani generazioni, l'acquisizione delle qualifiche digitali (7) soffre ora della scarsa visibilità delle carriere ad esse connesse ed è penalizzata da remunerazioni meno vantaggiose. È urgente rimotivare i futuri professionisti del settore digitale migliorando il loro status, le retribuzioni e le condizioni di lavoro, al fine di rimediare alla carenza di personale qualificato e di formazioni adeguate, nonché includere i cittadini in difficoltà. È grazie ai professionisti del digitale che sarà possibile incrementare il numero degli utilizzatori.

4.   Gli strumenti

4.1   Un accesso universale

4.1.1   Per eliminare le disparità di accesso alle TIC e promuovere l'e-inclusione, nel 2002 l'Unione ha introdotto il servizio universale e i diritti degli utilizzatori in materia di reti e servizi di comunicazione elettronica (8). Il collegamento alla rete telefonica pubblica deve garantire una velocità di trasmissione dati tale da consentire un accesso efficace e abbordabile a Internet. Non si tratta di eliminare il mercato né la concorrenza leale, bensì di creare un equilibro tra obiettivi economici ed esigenze sociali da soddisfare con urgenza. Come il CESE ha già ripetutamente ricordato, il mercato non rappresenta un obiettivo a sé stante, ma deve servire a migliorare la vita dei cittadini.

4.1.2   La qualità, l'innovazione, la trasparenza e l'accessibilità che si possono richiedere ai SIG in Europa e negli Stati membri costituiscono le fondamenta stesse della e-inclusione. Si tratta infatti di efficacia sociale e quindi di durata, elemento essenziale del «rendimento» in termini di inclusione. E in questo risiede il paradosso della sfida dell'e-inclusione: mentre, da un lato, l'efficacia sociale dei SIG e dei servizi sociali di interesse generale (SSIG), come pure le azioni pubbliche a lungo termine, saranno essenziali per garantire i risultati in termini di inclusione, dall'altro si tratta di un settore in cui la rapidità è un fattore vitale. Spetta ai poteri pubblici tentare di risolvere questo paradosso.

4.2   Un accesso uguale per tutti

4.2.1   Per garantire il servizio universale bisognerebbe completare rapidamente la copertura dell'intero territorio europeo tramite le reti, lo sviluppo della banda larga di frequenze che favorisce l'alta velocità e l'uso del dividendo digitale (9).

4.2.2   Tuttavia, si constata che le disparità di accesso e di utilizzo delle TIC persistono, e che esse rispecchiano le diseguaglianze economiche preesistenti. Nella maggior parte dei casi, i cittadini inclusi nel digitale sono quelli che dispongono dei mezzi per acquistare le attrezzature e acquisire le competenze necessarie.

5.   Acquisire le competenze digitali di base

L'alfabetizzazione digitale

È l'incontro dei tre aspetti «bisogno» + «interesse» + «mezzi» (finanziari e di altro tipo) che avvicina i destinatari al digitale.

5.1   Gli anziani

5.1.1   Le persone più anziane (10), categoria in aumento, sono quelle che utilizzano meno le TIC:

se già hanno dimestichezza con questi strumenti, hanno bisogno di aggiornare le proprie conoscenze. Per puntare a reinserire o a mantenere tali gruppi sul mercato del lavoro, il CESE ritiene che gli enti locali, assieme alle imprese, nella pratica del dialogo sociale, potrebbero proporre delle formazioni adeguate;

se non hanno ancora iniziato ad usarli, devono combattere la mancanza di interesse, la timidezza e la diffidenza, e imparare a manipolare i vari strumenti, vuoi a fini lavorativi, vuoi per facilitarsi la vita domestica e sociale. Il CESE ritiene che siano la tecnologia e gli «esperti» a doversi adattare. Le persone anziane dovrebbero avere la possibilità di 1) essere guidate, 2) disporre di software che facilitino l'apprendimento, 3) utilizzare materiale alla loro portata, 4) disporre di obiettivi adeguati per suscitare prima l'interesse e poi il bisogno, come ad esempio la creazione di progetti in materia di sanità elettronica, la ricostituzione di una memoria collettiva, ad esempio a livello di quartiere, la riconquista dei rapporti sociali e di una certa autonomia.

5.1.2   Per gli anziani che vivono da soli, il digitale può costituire un collegamento vitale. Ad esempio, l'ampia diffusione di dispositivi per collegarsi telefonicamente con i servizi di emergenza tramite un unico pulsante e a costi ragionevoli può rientrare tra le missioni specifiche dei SSIG, poiché aiuta i cittadini in difficoltà. La sanità on-line svolgerà un ruolo sempre più importante (11): tutti i principi che il CESE vorrebbe far rispettare per gli utilizzatori del digitale hanno carattere universale e sono applicabili al settore della sanità e dell'assistenza sociale.

5.1.3   L'Anno europeo dell'invecchiamento attivo (2012) e i suoi partenariati dell'innovazione devono offrire all'UE l'occasione di valorizzare il ruolo svolto dalle TIC come collegamento inclusivo tra le generazioni (apprendimento), per lottare contro l'isolamento e garantire una vita confortevole agli anziani.

5.2   I disabili

Le TIC possono agevolare la partecipazione dei disabili alla società su una base di uguaglianza con gli altri (12). Gli elementi da considerare restano gli stessi che per gli altri destinatari: definizione dell'obiettivo, accompagnamento nel processo di apprendimento, software e materiali accessibili e adatti, attrezzature accessibili e di facile uso nonché, in particolare, i sistemi di trasporto intelligenti (13). Nel caso dei disabili, emerge chiaramente la funzione di «servizio di interesse generale» svolta dall'alfabetizzazione digitale. L'assistenza per ciascun tipo di handicap può facilitare l'inserimento sociale. Il ruolo delle ONG deve essere riconosciuto e coordinato con quello dei poteri pubblici. Una «progettazione universale», che, nella misura del possibile, tenga conto delle esigenze di ogni tipo di utente, è preferibile a progettazioni specifiche mirate soltanto agli utenti disabili.

5.3   Le persone a basso reddito

5.3.1   Le disparità di accesso al digitale dipendono dalle diseguaglianze economiche e sociali: uomini/donne, famiglie/donne single, città/regioni rurali o insulari, paesi ricchi/paesi meno avanzati. Tali disuguaglianze vanno evidentemente combattute per realizzare l'inclusione del numero massimo di persone.

5.3.1.1   Le persone provenienti da un contesto di migrazione o da gruppi minoritari incontrano difficoltà ancora maggiori, poiché non vengono prodotti dei software che potrebbero interessarli.

5.3.2   Il CESE ritiene che l'organizzazione di punti Internet pubblici gratuiti in luoghi nevralgici delle città, così come l'accesso ai dati aperti 2.0 e alle open source, offrirebbe la possibilità di cercare lavoro e di comunicare. Le postazioni fisse continuano ad essere importanti per il sostegno alla formazione. È una funzione che andrebbe condivisa tra poteri pubblici, operatori e associazioni.

5.3.3   L'accesso all'infrastruttura e agli strumenti va considerato come un diritto fondamentale: ai fini dell'alfabetizzazione digitale, la formazione e la trasmissione di conoscenze ed esperienza sono molto importanti ad ogni età e in ogni situazione esistenziale.

5.4   Le persone con un basso livello di istruzione

5.4.1   Il CESE ritiene che queste persone debbano trovare un interesse per il digitale grazie ad un accompagnamento specializzato, che parta dal telefono e dai mezzi di comunicazione di massa.

5.4.2   Associare una macchina a un istruttore e iniziare con la parte ludica della tecnologia evita di scoraggiare le persone che iniziano l'apprendimento. Il CESE ritiene che i bambini con uno scarso rendimento scolastico possano essere recuperati tramite lo smart phone, da impiegare come un tempo si usava la matita. L'accesso alle competenze fondamentali può iniziare con i cosiddetti serious games, simili ai giochi cerebrali, tanto per i giovani quanto per gli adulti, mediante dei software con contenuti qualificanti.

5.4.3   Per essere inclusivo, il digitale nell'Unione ha bisogno di un'Internet ricca di contenuti culturali. Gli europei riconoscono che la cultura è l'elemento che li unisce di più. L'UE deve attuare la diversità delle espressioni culturali in tutte le iniziative relative all'agenda digitale (14). La digitalizzazione di oggetti culturali facilita, per i meno favoriti, l'accesso alla conoscenza, che fa parte del bagaglio utile tanto per l'integrazione sociale quanto per la realizzazione personale, soprattutto se nella lingua materna.

5.5   I gruppi minoritari

5.5.1   Il CESE auspica che anche questi gruppi possano beneficiare della e-inclusione, che si tratti di immigrati oppure no, come ad esempio i Rom. Pur non essendo analfabeti, essi non possiedono né la lingua né la cultura del paese di accoglienza, e non hanno facile accesso ai computer. Le donne, che spesso sono le meno informate, sono ancora più svantaggiate.

5.5.2   L'esempio del sistema d'informazione del mercato interno (IMI) (15), applicazione on-line multilingue destinata alle autorità amministrative nazionali dell'UE per comunicare facilmente, potrebbe servire come base per creare delle applicazioni sociali intese a promuovere l'apprendimento dei residenti e dei cittadini dell'Unione e quindi consentire loro di accedere all'e-learning.

5.5.3   Per tutte le categorie di destinatari enumerate nel presente capitolo 5, il ruolo delle reti sociali può essere fondamentale, se adeguatamente controllato. Inoltre i cibercaffè, che svolgono una funzione incontestabile nello sviluppare l'interesse e le competenze digitali dei giovani, potrebbero essere resi più abbordabili, ad esempio tramite la concessione di buoni a tariffa agevolata da parte degli enti locali.

5.6   Anche le imprese

5.6.1   Le PMI, quando la loro attività principale non è il digitale, possono trovarsi in una situazione di esclusione digitale. La mancanza di tempo per acquisire dimestichezza con questi strumenti, il peso delle consuetudini, le difficoltà finanziarie, un approccio obsoleto alla gestione informatica: sono tutti fattori che possono influire sulla gestione e sul processo aziendale come pure sui dipendenti. Tali imprese, quindi, rischiano di essere escluse anche dalla pratica del cloud computing  (16), che apporta delle soluzioni in materia di gestione IT. Dato che la loro produttività può risentire di tali carenze, occorre cercare dei mezzi per farle partecipare.

6.   Sviluppare le competenze digitali di tutti per rispondere alle sfide sociali e socioculturali

6.1   Istruzione e formazione  (17)

6.1.1   L'inclusione di domani comincia dall'età prescolare. La parità di accesso, in tutte le scuole, a un'istruzione digitale inclusiva per tutti i bambini, compresi quelli disabili, isolati, provenienti da famiglie in difficoltà, aumenterà la loro autonomia nell'età adulta. La diffusione generalizzata dei serious games, dei tablet PC e dei libri elettronici sotto la guida degli insegnanti, così come l'uso delle reti sociali, potrebbe servire a coinvolgere gli alunni più in difficoltà grazie alle nuove forme di apprendimento loro offerte.

6.1.2   L'acquisizione di qualifiche e diplomi, come pure l'ingresso nei diversi percorsi professionali del digitale, dovrebbe potersi basare su un quadro di riferimento europeo in materia di formazioni, in particolare quelle relative alle nuove figure professionali legate alla società digitale. Alcune professioni costituiscono delle riqualificazioni di professioni già esistenti, mentre altre sono completamente nuove. Si potrebbe redigere un elenco europeo pubblico di «competenze digitali» al fine di fissare le condizioni per il rilascio di diplomi europei che faciliterebbero la mobilità degli interessati. Il CESE ritiene che l'adozione di misure che permettano agli studenti di ottenere uno status socioprofessionale elevato dovrebbe attenuare la loro disaffezione nei confronti delle professioni del settore digitale.

6.1.3   L'impulso europeo deve concretizzarsi negli Stati membri per tutti i tipi di insegnamento a livello nazionale, regionale e locale, e comprendere la formazione dei genitori e degli insegnanti, le cui condizioni di lavoro vanno rivedute.

6.2   Formazione permanente (life long e-learning)

6.2.1   Alcune delle categorie interessate vanno sensibilizzate attraverso campagne mirate. Per gli esclusi dalle tecnologie digitali, la trasmissione dei saperi sperimentali è importante, e i metodi partecipativi, rispetto all'insegnamento teorico, rappresentano al tempo stesso lo sviluppo delle potenzialità e una possibilità d'inserimento. I disoccupati, gli occupati, gli anziani e i gruppi socialmente esclusi che vogliono ottenere un posto di lavoro sono particolarmente interessati e hanno bisogno di occupabilità e sociabilità.

6.2.2   Azioni delle imprese

Il conseguimento di un «passaporto per l'economia digitale» al termine di una formazione standard in materia di TIC nel settore aziendale potrebbe in futuro costituire un requisito per la creazione di un'impresa.

La formazione interna dei lavoratori delle imprese in materia di TIC dovrebbe essere impartita in modo generalizzato tramite accordi interni, poiché essa contribuisce alla e-inclusione e consente di mantenere i lavoratori più a lungo nel posto di lavoro e, al tempo stesso, di incrementare la produttività aziendale.

6.2.3   Azioni delle autorità pubbliche

Le politiche di sviluppo del digitale, a livello nazionale e locale, devono essere concepite sin dall'inizio come inclusive e non discriminatorie.

L'impiego dei fondi strutturali: è alle autorità che spetta definire quali attività innovative siano importanti per la società nel suo complesso e possano ricevere un sostegno in modo da proporle a tutte le parti interessate al prezzo migliore.

L'UE e gli Stati membri dovrebbero proporre un quadro europeo per rafforzare la professionalizzazione dei lavori del settore informatico.

6.3   Lavorare sui contenuti

6.3.1   L'importanza dei contenuti vieta di lasciare al mercato il compito di definire le formazioni, l'istruzione e la cultura.

6.3.2   Le autorità pubbliche nazionali dovrebbero definire dei contenuti di base, facilitare i corsi di formazione a distanza e, assieme all'Unione, stabilire gli elementi utili all'assegnazione di diplomi riconosciuti a livello europeo. L'ascolto degli utilizzatori è essenziale per individuare i loro bisogni reali.

6.3.3   Sono indispensabili contenuti adattabili e multimediali affinché l'ambiente digitale della persona abbia un continuum (Internet «alfabetizzata»), nel rispetto dell'accessibilità per i disabili.

6.3.4   I cittadini dei paesi le cui lingue sono poco parlate all'estero si trovano in una situazione di svantaggio rispetto alle offerte Internet. L'Unione e gli Stati membri dovrebbero garantire il rispetto della loro cultura e la diffusione di contenuti reali nella loro lingua.

6.3.5   Il contenuto delle reti sociali è creato dagli utilizzatori. Tale strumento può essere impiegato per attirare chiunque sia in difficoltà con le tecnologie digitali, nel rispetto dei suoi diritti di utilizzatore.

7.   Accrescere la sicurezza per vincere la diffidenza

A.

L'uso del digitale richiede la massima prudenza (18) quando non ci si sente sicuri né di se stessi, né del sistema, e la relativa ignoranza in materia di sicurezza informatica impedisce di premunirsi (19). Le persone escluse o in via d'inclusione digitale sono quelle che corrono i rischi maggiori.

B.

La pratica del digitale modifica gli schemi mentali delle persone e della società: ad esempio, bisogna proteggere la «trasparenza» oppure l'«intimità»? In linea generale, ogni approccio all'inclusione digitale deve partire dalla consapevolezza che lo strumento, già di per sé, presenta un'elevata capacità di «intrusione» (20) nella vita privata, che sia autorizzata oppure no, e il cui abuso provocherebbe conseguenze devastanti per tutti gli utilizzatori, soprattutto per i più vulnerabili. Una lotta più dura contro gli abusi e la criminalità legata al digitale deve contribuire a rafforzare ulteriormente la fiducia degli utilizzatori.

C.

La sintesi delle sfide poste dall'agenda digitale e delle aspettative dei cittadini può essere rappresentata mediante i seguenti tre cerchi concentrici:

Image

7.1   I diritti degli utilizzatori

7.1.1   Il CESE auspica l'adozione di misure intese a dare fiducia e a garantire la sicurezza di tutti i cittadini, dell'ambiente digitale e delle operazioni on-line, come previsto dal Settimo programma quadro di ricerca e sviluppo (PQRS) (21).

7.1.2   Si potrebbero studiare dei mezzi per inserire nei siti web dispositivi che rammentino agli utenti le semplici precauzioni da rispettare per proteggersi (22). Lo studio in classe, fin dall'inizio della scuola secondaria, di piccoli opuscoli come eYou Guide - i tuoi diritti on-line  (23), pubblicato dalla Commissione europea, sarebbe di grande importanza per sensibilizzare il pubblico giovane, anch'esso vulnerabile, ai riflessi da acquisire per utilizzare il digitale in modo sicuro.

7.1.3   Il CESE ritiene che i cittadini dovrebbero essere meglio informati sul ruolo del garante europeo della protezione dei dati (GEPD), sancito dall'articolo 16 del TFUE, nonché su quello del G29.

7.1.4   Il CESE auspica inoltre che la dignità degli utilizzatori venga protetta grazie all'introduzione di norme di diritto europee (24) conformi ai principi della Carta dei diritti fondamentali, affinché vengano rispettati:

la libertà di espressione e d'informazione, in particolare nella lingua materna,

il diritto alla protezione della vita privata e dei dati personali (ID, dati sanitari, ecc.),

il diritto alla cancellazione dei dati («diritto all'oblio»),

il diritto alla protezione dei minori.

7.1.5   Il CESE ricorda inoltre che esistono già diverse carte nazionali e internazionali (25) dei consumatori che riportano i diritti fondamentali degli utilizzatori del digitale affinché vengano garantiti. Il Parlamento europeo si augura vivamente che ne venga adottata una. Il CESE auspica che la pubblicazione di un codice dei diritti on-line nell'UE, annunciata dalla Commissione europea nella sua comunicazione intitolata Un'agenda digitale europea  (26), venga presto discussa non solo con le organizzazioni dei consumatori ma anche con le parti sociali europee.

7.2   Il Parlamento europeo auspica il riconoscimento di una «quinta libertà che consenta la libera circolazione dei contenuti e delle conoscenze» sulle reti. Il CESE ritiene che essa dovrebbe garantire la sicurezza degli utilizzatori e la proprietà intellettuale. I dati economici e industriali hanno anch'essi bisogno di sicurezza. Le grids e il cloud computing, che mobilitano numerosi soggetti digitali allo stesso tempo, richiedono dei metodi di protezione specifici che devono essere messi a disposizione delle imprese, in particolare delle microimprese.

7.3   L'accelerazione dell'e-government  (27) sotto il profilo della semplificazione delle formalità potrebbe rendere sicure le procedure amministrative, in particolare per le persone anziane, tenendo conto del fatto che la democrazia digitale può essere inclusiva ma non deve recare pregiudizio alla democrazia in quanto tale, e che le sue pratiche devono essere sottoposte ai principi summenzionati.

8.   Creare posti di lavoro

8.1   Si prevede che l'inclusione di tutti determini un aumento del volume di manodopera impiegata e un incremento della crescita. La crisi, la situazione demografica e l'aumento della disoccupazione e della precarietà non favoriscono lo sviluppo delle competenze, né dal punto di vista dei lavoratori dipendenti né da quello dei datori di lavoro. Combattere il lavoro precario e l'isolamento rappresenta una delle condizioni della ricerca di qualificazioni, specialmente in campo digitale, per accedere a un mercato del lavoro inclusivo (28), poiché il divario tra lavoratori qualificati e non qualificati è in aumento. Il dialogo sociale, in particolare settoriale (29), e le politiche pubbliche devono imperativamente trovare un punto d'incontro per aumentare e trasformare le qualificazioni digitali delle categorie svantaggiate in posti di lavoro.

8.2   Nuovi mestieri interessano le categorie che si formano al digitale per reinserirsi. Le agenzie responsabili per l'occupazione negli Stati membri dovrebbero essere capaci di evidenziarli nei diversi settori per favorirne il riconoscimento da parte dell'Unione.

8.3   In tutti gli Stati membri gli ispettorati del lavoro hanno bisogno di aggiornamento.

8.4   Il «mainstreaming» e la sinergia tra le azioni europee saranno delle chiavi di volta del successo dell'inclusione digitale nell'Unione. La maggior parte dei materiali digitali a disposizione dell'utilizzatore finale vengono importati nell'Unione, e le loro caratteristiche di fabbricazione non sono note agli europei. Tuttavia, per il cittadino l'accessibilità dipende dalla tecnologia del materiale di cui dispone, in particolare per le categorie svantaggiate, in primo luogo le persone anziane e i disabili. È opportuno favorire una progettazione e delle funzionalità di grande accessibilità, nonché dei programmi informatici dai contenuti adeguati, per farne gli elementi vincenti della cultura digitale inclusiva, definendoli secondo gli approcci europei nel rispetto degli standard internazionali, così come includere delle clausole in materia negli accordi commerciali.

8.5   Ciò richiede degli investimenti in tutti i settori, in particolare per i servizi che sono rivolti al pubblico. Se non lo fanno gli europei, saranno altri a farlo, e le imprese dell'UE perderanno mercati e posti di lavoro. L'attuale obiettivo dell'UE è investire il 3 % del PIL nella R&S, e il CESE ritiene che sia urgente raggiungere veramente tale quota. Tutte le categorie svantaggiate attendono dei progressi.

9.   Il finanziamento delle azioni

9.1   Le politiche da definire devono evitare che gli e-inclusi di oggi escano dal circolo virtuoso. Gli stanziamenti da destinare a questa sfida vitale per l'Unione devono essere sviluppati sul lungo termine, dall'inizio (R&S&I) sino alla fine della catena (utilizzatori finali), con accantonamenti che permettano di attenuare gli effetti delle crisi. Quando i bilanci nazionali non dispongono più di margini di manovra a causa dei tagli imposti per ridurre le spese, ogni 1 % in più può fare la differenza.

9.2   L'inclusione di tutte le categorie escluse dal digitale può essere rafforzata creando un mercato europeo strutturato di servizi di sostegno adeguati, eventualmente sotto forma di task force, che determinerebbe un effetto di scala.

9.3   Il finanziamento ha per oggetto la dotazione infrastrutturale completa del territorio europeo, la ricerca e l'innovazione tecnologica, i contenuti, l'innovazione sociale per le categorie escluse, l'e-learning, la trasformazione delle competenze in posti di lavoro, le azioni della società civile, delle imprese e dei soggetti pubblici, nazionali, territoriali e locali.

9.4   Il cumulo degli aiuti dovrebbe risolvere le cause di esclusione, che sono esse stesse cumulative, farsi carico dei costi energetici, dei locali, della definizione dei contenuti, creare dei materiali idonei e definire dei programmi di studio adeguati.

9.5   A giudizio del CESE, le misure relative all'inclusione digitale (gestione, azioni, controllo) dovrebbero essere menzionate nella relazione annuale della Commissione e discusse con le parti sociali; si dovrebbe dare ampia diffusione alle misure intese a orientare i cittadini verso le possibilità d'inclusione digitale.

9.5.1   Gli attori territoriali, che svolgono un ruolo di primo piano nell'attuazione delle politiche nazionali, devono 1) iscrivere nelle agende locali la priorità digitale e rivolgersi al FSE, 2) sensibilizzare i responsabili alle esigenze in campo digitale dei gruppi sociali di cui si occupano e 3) sensibilizzare i gruppi destinatari attraverso strumenti locali come le TV locali, 4) consultarli in merito alle loro esigenze tramite riunioni con i rappresentanti della società civile organizzata.

9.5.1.1   Il CESE deplora che il dialogo sociale e civile, a livello sia europeo che nazionale, non sia specificamente strutturato sulla società digitale, che esercita un influsso profondo sugli stili di vita, mentre le categorie svantaggiate hanno bisogno di durata, coerenza, garanzie e azioni decentrate.

9.6   Le imprese devono avere la possibilità di svilupparsi attraverso il digitale e di sensibilizzare gli sviluppatori e i costruttori alle loro necessità e affinché vengano presi in considerazione gli svantaggi di ogni tipo («design per tutti», compresa la e-accessibilità).

9.7   I modi di finanziamento

9.7.1   Fondo sociale europeo: per il periodo 2014-2020 la Commissione (azioni fondamentali 11 e 12) prevede di assegnare dei fondi agli Stati membri attraverso il FSE per la realizzazione degli obiettivi dell'inclusione digitale. Il CESE ritiene che sia inoltre necessario ricercare tutte le sinergie tra le linee di bilancio.

9.7.1.1   Il CESE si domanda se il principio di addizionalità sia pertinente per l'assegnazione dei fondi strutturali di fronte a una questione così importante per il futuro, in un momento in cui numerosi soggetti pubblici hanno forti difficoltà di bilancio, quando le tappe per ridurre il divario digitale non possono più attendere di essere affrontate. Il Comitato auspica che vengano studiate le possibilità di un'assegnazione diretta.

9.7.2   Il Comitato propone, per la realizzazione dell'inclusione digitale, che vengano ricercate delle opportunità di nuovi modi di finanziamento:

tra soggetti pubblici e privati, per le TIC in generale, ad esempio con le imprese del settore dei giochi commerciali - commercial gaming - (che realizzano notevoli profitti) per riutilizzare le loro tecnologie di punta in seconda battuta a costi inferiori,

per le infrastrutture e le infrastrutture digitali, nel quadro dell'iniziativa della Commissione relativa a dei prestiti obbligazionari per il finanziamento di progetti prevista dalla strategia Europa 2020, qualora detta iniziativa venga realizzata (30),

una partecipazione destinata all'e-learning per i fornitori di accesso, gli operatori e i fornitori di materiali,

una tassazione a livello europeo delle operazioni finanziarie (31), il cui gettito potrebbe essere parzialmente destinato all'inclusione digitale.

9.7.3   In ogni caso, il controllo (32) dell'utilizzo dei fondi sarebbe cruciale per garantire l'efficacia degli aiuti. Le parti sociali devono essere associate alle differenti forme di controllo. Per l'FSE esistono già dei comitati di monitoraggio. Invece, per i partenariati pubblico-privato (PPP) che si potrebbero prevedere in un quadro europeo adeguato, è necessario inventare nuove forme di sorveglianza per quanto riguarda il costo finale sia per il contribuente che per l'utilizzatore, secondo la logica e le regole dei servizi d'interesse generale (SIG), dei servizi d'interesse economico generale (SIEG) e dei servizi sociali d'interesse generale (SSIG). Tuttavia, essi si potrebbero concepire soltanto nell'ambito di un apposito quadro europeo (33).

9.7.4   Il CESE ritiene che non basti diffondere l'accesso e adeguare le velocità di trasmissione del servizio universale allo sviluppo tecnologico, e ribadisce la proposta formulata nel parere CESE 1915/2008, secondo cui occorre:

tener conto non solo dell'esclusione geografica, ma anche dell'esclusione sociale, che è legata alla scarsa capacità finanziaria o alle limitate competenze di determinati gruppi di utenti, cercando di ampliare il servizio universale in modo da garantire la disponibilità d'accesso a tutti gli utenti, indipendentemente dalla loro situazione,

favorire il finanziamento del servizio universale (34) attraverso sovvenzioni pubbliche nazionali e fondi comunitari, ossia gli unici strumenti adeguati per quei paesi in cui gli obblighi del servizio universale comportano un onere finanziario eccessivo per gli operatori,

sostenere i progetti di inclusione digitale, in particolare i microfinanziamenti destinati a progetti di formazione a livello locale, centri pubblici di accesso collettivo a Internet e totem interattivi nei locali pubblici, utilizzabili come punti di accesso gratuiti a Internet,

invitare gli Stati membri a prevedere un'assistenza finanziaria per le famiglie e le persone singole per le quali il materiale di base (computer, software, modem), l'accesso e il servizio rappresentano un costo proibitivo.

Bruxelles, 13 luglio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU C 116 del 20.4.2001, pag. 30; GU C 77 del 31.3.2009, pag. 60 e pag. 63; GU C 175 del 28.7.2009, pag. 92; GU C 317 del 23.12.2009, pag. 84; GU C 128 del 18.5.2010, pag. 69; GU C 255 del 22.9.2010, pag. 116; GU C 48 del 15.2.2011, pag. 72; GU C 54 del 19.2.2011, pag. 58; GU C 107 del 6.4.2011, pag. 44 e pag. 58; CESE 816/2011 del 4 maggio 2011.

(2)  Cfr. Eurostat-STAT10/193, 14 dicembre 2010.

(3)  Una prassi che in inglese viene chiamata edutainement.

(4)  COM(2010) 245 definitivo/2; GU C 54 del 19.2.2011.

(5)  UE, Dichiarazione ministeriale, Malmö, Svezia, 18 novembre 2009.

(6)  Si veda la dichiarazione Le TIC per una società inclusiva, adottata all'unanimità a Riga, (Lettonia), l'11 giugno 2006 (punto 4).

(7)  Secondo l'Insead, The school of the world, opera citata dalla DG Imprese e industria, Richier, audizione del 28 marzo 2011.

(8)  Direttiva 2002/22/CE.

(9)  GU C 94 del 18.4.2002; GU C 110 del 9.5.2006; GU C 175 del 27.7.2007; GU C 224 del 30.8.2008; GU C 175 del 28.7.2009; GU C 128 del 18.5.2010; GU C 44 dell'11.2.2011; GU C 54 del 19.2.2011; GU C 107 del 6.4.2011, pag. 13.

(10)  GU C 44 dell'11.2.2011, pag. 17; GU C 77 del 31.3.2009, pag. 115; GU C 74 del 23.3.2005, pag. 44.

(11)  GU 317 del 23.12.2009, pag. 84.

Cfr. EHTEL, European Health Telematics Association.

(12)  COM(2010) 636 definitivo - Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità /UE/23.12.2010.

(13)  GU C 277 del 17.11.2009, pag. 85.

(14)  Convenzione dell'Unesco sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali, del 20 ottobre 2005, entrata in vigore il 18 marzo 2007; Risoluzione del Parlamento europeo del 5 maggio 2010 sulla nuova Agenda europea del digitale: 2015.eu.

(15)  IMI, Comunicazione della Commissione europea del 21 febbraio 2011 (COM(2011) 75 definitivo) - Cooperazione ed Europa/Sviluppo economico e occupazione, www.ec.europa.eu//imi-net.

(16)   Cloud computing : impiego di tecnologie dell'informazione al fine di sviluppare e applicare un modello di prestazioni che consenta di fornire prodotti, servizi e soluzioni di gestione in tempo reale tramite Internet, internamente all'impresa (privato) o esternamente (pubblico), oppure combinando le due soluzioni (ibrido). Parere CESE (TEN/452), relatore: PIGAL, in corso di elaborazione.

(17)   E-Learning: uso di nuove tecnologie multimediali e di Internet per migliorare la qualità dell'apprendimento mediante l'accesso a distanza a risorse e servizi nonché a collaborazioni e interscambi (definizione della Commissione europea - Iniziativa e-Learning).

(18)  GU C 218 del 23.7.2011, pag. 130.

(19)  GU C 107 del 6.4.2011, pag. 58, e COM(2010) 521 definitivo.

(20)  Alex Türk, presidente della Commissione nazionale francese per l'informatica e le libertà, in La vie privée en péril, des citoyens sous contrôle («La vita privata in pericolo: cittadini sotto controllo»), edizioni O. Jacob 2011; lavori del G29, gruppo di lavoro che riunisce i rappresentanti di tutte le autorità indipendenti di protezione dei dati nazionali (art. 29, DIR. del 24.10.1995).

(21)  7PQRS per il periodo 2007-2013 - Decisione n. 1982/2006/CE del 18 dicembre 2006.

(22)  Parere 5/2009 del G29 sulle reti sociali on-line, 12.6.2009, capitolo 5, punto 8: concepire delle tecnologie che siano automaticamente configurate per il rispetto della vita privata.

(23)  http://www.ec.europa.eu//eyouguide.

(24)  Risoluzione del Parlamento europeo del 5 maggio 2010 sulla nuova Agenda europea del digitale: 2015.eu (2009/2225(INI)), punto 29: numerosi Stati membri non hanno «ancora ratificato la convenzione sulla cibercriminalità del Consiglio d'Europa».

(25)  DOC n. 3708 Infosoc, marzo 2008 - Carta dei diritti dei consumatori nel mondo digitale.

(26)  COM(2010) 245 definitivo/2, azione 4.

(27)  Dichiarazione di Malmö (2009).

(28)  Accordo quadro ETUC-Businesseurope, CEEP, Ueapme (2010).

(29)  Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio (2008/C 111/01, GU C 111 del 6.5.2008, pag. 1) sulla costituzione del Quadro europeo delle qualifiche e dei titoli per l'apprendimento permanente.

(30)  Consultazione pubblica (fino al 2 maggio 2011).

(31)  PE, relazione Podimata sulla tassazione delle operazioni finanziarie - 529 voti favorevoli, 127 voti contrari e 18 astensioni (8 e 9 marzo 2011).

(32)  GU C 132 del 3.5.2011, pag. 8.

(33)  GU C 48 del 15.2.2011, pag. 72.

(34)  GU C 175 del 28.7.2009, pag. 8.


29.10.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/19


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Partenariato orientale e dimensione orientale delle politiche UE, con particolare attenzione alla PAC — sicurezza alimentare, regolare svolgimento del commercio, maggiore cooperazione e aiuto allo sviluppo, partenariato strategico» (parere esplorativo)

2011/C 318/03

Relatore: KALLIO

La futura presidenza polacca dell'UE, in data 30 novembre 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema:

Partenariato orientale e dimensione orientale delle politiche UE, con particolare attenzione alla PAC — sicurezza alimentare, regolare svolgimento del commercio, maggiore cooperazione e aiuto allo sviluppo, partenariato strategico

(parere esplorativo).

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 giugno 2011.

Alla sua 473a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2011 (seduta del 14 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 149 voti favorevoli e 1 voto contrario.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico sociale europeo (CESE) sottolinea che nel quadro dei negoziati in materia di associazione e di accordi di libero scambio con l'UE rivestono particolare importanza gli obiettivi dei paesi coinvolti nel partenariato e la loro disponibilità a intraprendere riforme politiche ed economiche.

1.2   Per il CESE un fattore importante consiste nella capacità e nella volontà politica dei paesi del partenariato di intraprendere le riforme economiche e sociali richieste da tali accordi.

1.3   Il Comitato ritiene essenziale che gli accordi di associazione e di libero scambio siano rivolti a conciliare gli interessi dei paesi del partenariato e dell'UE, in maniera che i futuri passi in avanti avvantaggino tutte le parti coinvolte.

1.4   A giudizio del Comitato la strategia negoziale dell'Unione europea deve tenere conto in misura maggiore della posizione del settore agricolo e dell'importanza della politica agricola ai fini della cooperazione tra l'Unione europea e i paesi del partenariato. Il settore agroalimentare deve avere un ruolo più concreto negli accordi di cooperazione tra l'UE e i paesi del partenariato.

1.5   Il Comitato sottolinea che fino adesso la posizione del settore agricolo e della politica agricola non è stata tenuta in considerazione nel forum sull'integrazione economica e sulla convergenza con le politiche dell'Unione europea. L'agricoltura, la produzione alimentare e la politica agricola devono rientrare tra i temi da trattare.

1.6   Il Comitato è fortemente convinto che il settore agricolo sia particolarmente importante ai fini dello sviluppo economico, sociale e regionale dei paesi del partenariato. Per fare fronte agli obiettivi stabiliti occorrerà un adeguato sviluppo agricolo. Altre condizioni essenziali per la riduzione della povertà nelle aree rurali sono l'investimento nell'agricoltura e lo sviluppo del settore.

1.7   Il Comitato considera essenziale che nei paesi del partenariato si sviluppino la competitività dei prodotti agricoli ed alimentari dei paesi partner, la sicurezza alimentare e la qualità dei prodotti alimentari. Il problema dell'osservanza delle norme e regole dell'accordo OMC sulle misure sanitarie e fitosanitarie (accordo SPS) è risultato importante ai fini dell'accesso al mercato dei prodotti alimentari provenienti dai paesi del partenariato. Per garantire la sicurezza alimentare nei mercati dell'UE è indispensabile applicare criteri qualitativi. Al fine di superare questi problemi, i paesi del partenariato hanno bisogno di sostegno e consulenza in materia tecnica e finanziaria.

1.8   Un ostacolo primario al commercio di prodotti agricoli è stato individuato nella difficoltà che i paesi del partenariato hanno nel conformarsi alle norme e alle regole dell'accordo SPS dell'OMC sui prodotti alimentari. Tuttavia, laddove i paesi del partenariato orientale dispongano già di specifiche norme sanitarie e fitosanitarie, sia pure non del tutto compatibili, la Commissione deve cercare ogni volta che sia possibile di negoziare il mutuo riconoscimento. Inoltre sia l'UE che tali paesi devono esercitare la massima vigilanza per prevenire che, una volta che siano in vigore accordi di libero scambio globali e approfonditi, soggetti di paesi terzi trovino il modo di importare nell'UE, in maniera surrettizia, prodotti alimentari illegali o di qualità inadeguata, o altri prodotti riconosciuti dannosi per la salute umana, animale o delle piante. Il Comitato propone che la questione delle suddette norme diventi un nuovo punto speciale nel quadro delle iniziative faro.

1.9   Il Comitato sottolinea che la transizione a un'economia di mercato richiede un cambiamento di mentalità, lo sviluppo della legislazione e delle istituzioni, e ampie capacità tecniche per l'adattamento dei metodi e delle pratiche della produzione primaria, della lavorazione e del commercio estero.

1.10   A giudizio del Comitato bisogna intensificare la cooperazione specialmente nelle aree della formazione e della ricerca, dove progetti comuni di ricerca, visite e seminari sono importanti per sviluppare la reciproca comprensione e i modelli operativi.

1.11   Il Comitato sottolinea anche che è interesse comune dell'UE e dei paesi del partenariato prevenire gli effetti ambientali nocivi dei fertilizzanti e dei pesticidi nel suolo e nei sistemi idrici. Anche garantire il ciclo dei nutrienti costituisce un importante obiettivo di sviluppo.

1.12   Il Comitato ritiene che anche la cooperazione in materia energetica tra l'UE e i paesi del partenariato sia molto importante per lo sviluppo agricolo.

1.13   Sottolinea che l'osservanza delle norme fondamentali sul lavoro sancite dall'Organizzazione internazionale del lavoro costituisce un elemento essenziale del rispetto dei diritti umani. È importante che nelle zone di libero scambio globali e approfondite (Deep and Comprehensive Free-Trade Area - DCFTA) che stanno per essere costituite tra l'UE e i paesi del partenariato vengano applicate le norme sul lavoro adottate a livello internazionale.

1.14   Il CESE ritiene che occorra dare un sostegno molto più consistente alle organizzazioni del settore alimentare dei paesi del partenariato orientale. Queste ultime devono essere coinvolte ampiamente nel forum della società civile. Parimenti occorre riconoscere al CESE un ruolo maggiore, e alle organizzazioni che vi sono rappresentate una partecipazione equilibrata nell'importante lavoro in corso.

1.15   Il Comitato ritiene che l'UE e i governi dei paesi del partenariato debbano sostenere ed incoraggiare lo sviluppo delle capacità delle organizzazioni, la loro partecipazione alla preparazione della strategia del partenariato orientale e lo sviluppo di processi tali che una società civile libera possa fornire un forte contributo allo sviluppo della cooperazione nell'agricoltura.

2.   Contesto

2.1   L'Unione europea ha interesse a perseguire la stabilità, il buon governo e lo sviluppo economico alle proprie frontiere orientali. La politica europea di vicinato è stata efficace nel rafforzare le relazioni tra l'UE e i suoi vicini. Si dovrebbe proseguire la politica del partenariato orientale, adottata nel 2009 a Praga. Tutti i nostri partner (1) nell'Europa orientale e nel Caucaso meridionale perseguono un'intensificazione delle relazioni con l'UE, la quale sostiene con energia questi paesi nei loro sforzi di ravvicinamento. Attraverso il partenariato orientale, che costituisce una componente della politica europea di vicinato, vengono promosse energicamente riforme essenziali; i paesi del partenariato presentano infatti in questo momento lacune significative in termini di obiettivi politici e di attuazione pratica della democrazia.

2.2   Conformemente alla dichiarazione del Consiglio europeo (2), il partenariato orientale comporterà un significativo rafforzamento della politica dell'UE nei confronti dei paesi limitrofi orientali e dei paesi contemplati nel partenariato, cercando di creare le condizioni per un'associazione politica e per una ulteriore integrazione economica tra l'UE e i suoi partner orientali.

2.3   L'obiettivo dei negoziati bilaterali è concludere con ogni paese un accordo di associazione di cui un elemento essenziale sia una zona di libero scambio globale e approfondita (3)  (4).

2.4   Gli obiettivi dei paesi del partenariato e la volontà politica di concludere accordi con l'Unione europea sono importanti ai fini dell'avanzamento dei negoziati. L'essenziale è verificare fino a che punto i paesi coinvolti abbiano la capacità o la volontà politica di intraprendere le riforme economiche e sociali che sono richieste dagli accordi.

2.5   Nella dichiarazione di Praga i paesi del partenariato si sono impegnati a eseguire riforme politiche ed economiche. Rivestono particolare importanza la democrazia, il buon governo, la promozione dello Stato di diritto, l'eradicazione della corruzione, il rispetto dei diritti umani e la garanzia della partecipazione della società civile. I punti di partenza per le riforme economiche sono l'applicazione delle pratiche dell'economia di mercato e l'allineamento delle norme e delle regolamentazioni alla legislazione dell'UE (5).

2.6   Il percorso multilaterale del partenariato orientale integra le relazioni bilaterali creando cooperazione, un dialogo aperto e uno scambio di migliori pratiche e di esperienze. La cooperazione viene sviluppata nel quadro di piattaforme tematiche e di talune iniziative faro (6), come pure grazie all'attività del forum della società civile (7). La convergenza del settore agricolo e la politica agricola vengono trattate nella piattaforma di integrazione economica. L'agricoltura e la politica agricola hanno avuto sinora un ruolo infimo, e devono essere incluse tra i temi da trattare.

2.7   Il settore agricolo e della produzione alimentare è vitale in tutti i paesi del partenariato orientale. Tale settore è all'origine di una quota rilevante del prodotto interno lordo, e dà lavoro a un gran numero di persone. Una crescita sostenuta dell'agricoltura e della produzione alimentare costituisce una condizione per la crescita dell'intera economia e allo stesso tempo per la riduzione della povertà.

2.8   Il presente parere:

a)

sottolinea l'esigenza di formulare l'approccio strategico dell'UE ai paesi del partenariato orientale, anche nell'area della politica agricola,

b)

esamina i progetti del settore agricolo già attuati o in corso di attuazione rivolti a perseguire gli obiettivi del partenariato orientale,

c)

richiama l'attenzione sul fatto che le questioni agricole sono correlate a numerosi settori di intervento dell'UE e ai relativi obiettivi nel quadro della politica di partenariato.

2.9   Il Comitato ritiene che la strategia negoziale dell'UE dovrebbe tenere conto dell'importanza della politica agricola nella cooperazione tra l'UE e i paesi del partenariato e delle posizioni del settore agricolo nella politica di sviluppo di tali paesi.

2.10   I paesi del partenariato sono importanti produttori di cereali, prodotti dell'allevamento, ortaggi e radici, frutta e uva. L'Ucraina è uno dei principali produttori di cereali del mondo, nel 2008 è risultata essere l'ottavo produttore e il settimo esportatore mondiale. Sebbene la produttività stia aumentando, il raccolto annuo potrebbe ancora crescere in misura considerevole. Mentre la produzione ucraina annua di cereali varia tra 40 e 50 milioni di tonnellate, gli altri cinque paesi del partenariato producono complessivamente circa 15 milioni di tonnellate.

2.11   L'UE a 27 è il principale partner commerciale dell'Ucraina, dell'Armenia, dell'Azerbaigian, della Georgia e della Moldova (8), e il secondo partner commerciale della Bielorussia (9). Oltre metà delle esportazioni della Moldova e poco meno della metà delle esportazioni dell'Armenia e dell'Azerbaigian sono dirette nei paesi dell'UE. Inoltre i prodotti agricoli svolgono un ruolo molto importante nel commercio dei paesi del partenariato orientale con l'UE.

3.   Elementi strategici dell'agricoltura e della politica agricola

3.1   Il CESE sottolinea che l'agricoltura costituisce un settore particolarmente importante per lo sviluppo economico sociale regionale dei paesi del partenariato. Inoltre un fondamentale obiettivo sociale per questi paesi consisterà nel migliorare la sicurezza alimentare. Vi è un'estrema necessità di tecnologie e di competenze in materia di produzione, di lavorazione e di commercializzazione. Un altro obiettivo dei paesi del partenariato è sviluppare la qualità e la competitività dei prodotti agricoli ed alimentari.

3.1.1   Un altro elemento strategico da considerare è la politica di sviluppo rurale, in quanto secondo pilastro della PAC, che permette di utilizzare fondi dell'UE per migliorare la situazione economica e sociale delle aree rurali e della loro popolazione. Il compito consiste non soltanto nel mantenere la produzione agricola nelle condizioni previste dall'UE, ma anche nel preservare l'occupazione e la vivibilità delle zone rurali conformemente alla loro cultura e applicando le misure ambientali per il loro sviluppo sostenibile.

3.2   Con un mercato di 500 milioni di consumatori, l'UE costituisce la principale area commerciale del mondo. La prossimità dei mercati offre ai paesi del partenariato e all'UE la possibilità di accrescere gli scambi commerciali e in tal modo di rafforzare le condizioni della crescita economica.

3.3   L'obiettivo della politica agricola e commerciale dell'UE è garantire la stabilità dei mercati alimentari in un contesto caratterizzato da continui cambiamenti. La politica perseguita dovrebbe garantire prodotti di elevata qualità a prezzi equi per i consumatori europei. È importante che tale politica crei stabilità per i mercati, i quali provvedono alle esigenze dei consumatori e al tempo stesso garantiscono ai produttori agricoli un reddito equo.

3.4   Mantenere la sicurezza alimentare costituisce uno degli obiettivi principali del settore agricolo ed alimentare dell'UE. La prevenzione delle malattie degli animali e delle piante e l'attenta sorveglianza dei residui dannosi per la salute garantiscono prodotti alimentari sicuri per i consumatori. Tale sorveglianza alle frontiere riguarda anche i prodotti alimentari che vengono importati nell'UE dai paesi partner.

3.5   Il CESE ritiene essenziale che gli accordi di associazione e di libero scambio perseguano la riconciliazione degli interessi dei paesi del partenariato e dell'UE, in maniera che i futuri progressi risultino benefici per tutti i soggetti coinvolti.

4.   Punti di partenza dei negoziati in materia di libero scambio e questioni essenziali

4.1   I negoziati in merito all'area di libero scambio coprono un'ampia gamma di questioni commerciali: tariffe doganali, servizi, formalità doganali, regole e norme dell'accordo OMC sulle misure sanitarie e fitosanitarie (accordo SPS), appalti pubblici, indicazioni geografiche, strumenti di difesa del commercio e questioni tecniche di protezione delle frontiere (10).

4.2   I negoziati relativi all'istituzione di una zona di libero scambio globale e approfondita con l'Ucraina sono in corso da due anni, ossia da quando l'Ucraina, nel 2008, ha aderito ufficialmente all'Organizzazione mondiale del commercio (11). Finora non c'è stata una vera e propria svolta dei negoziati, ma tale obiettivo potrebbe essere raggiunto nel 2011.

4.3   L'avvio di analoghi negoziati per un'area di libero scambio presuppone l'adesione all'Organizzazione mondiale del commercio. Attualmente sono in corso degli sforzi per avviare al più presto negoziati in tal senso con la Moldova, l'Armenia e la Georgia. La Moldova ha espresso l'intenzione di proseguire rapidamente i negoziati.

4.4   L'Azerbaigian non è ancora membro dell'Organizzazione mondiale del commercio, ragion per cui con questo paese non può ancora essere negoziato un accordo di libero scambio. Inoltre mancano ancora le condizioni politiche per un negoziato in materia di libero scambio con la Bielorussia.

4.5   Il rispetto delle disposizioni dell'accordo OMC sulle misure sanitarie e fitosanitarie (accordo SPS) è risultato essere un problema importante per l'accesso al mercato dei prodotti agricoli e alimentari. Le norme dell'accordo SPS, oltre ad altre norme dell'UE in materia di ambiente e di salute, impongono all'Ucraina e ad altri paesi del partenariato di condurre importanti attività di sviluppo. Per tale ragione, i paesi del partenariato hanno bisogno di sostegno e consulenza in materia tecnica e finanziaria.

5.   Sviluppare il settore agricolo nei paesi del partenariato

5.1   Il programma del partenariato orientale, concordato a Praga il 7 maggio 2009, porta a un nuovo livello la cooperazione finanziaria tra l'UE e i sei paesi coinvolti. L'Unione europea ha destinato 600 milioni di euro alla cooperazione per il periodo 2010-2013. I finanziamenti sono erogati attraverso lo Strumento europeo di vicinato e partenariato (12).

5.2   Per il periodo 2007-2011, sono in corso 10-12 progetti specifici, molti dei quali di piccole dimensioni, per lo sviluppo dell'agricoltura e della sicurezza alimentare (13). Il principale progetto, avviato nel 2010 e finanziato insieme alla Banca europea per gli investimenti, verte sull'innovazione della produzione vinicola della Moldova.

5.3   La metà circa dei progetti mira a migliorare la sicurezza alimentare nei paesi del partenariato attraverso lo sviluppo della competenza, tra l'altro nelle attività sanitarie e fitosanitarie. Alcuni progetti sono rivolti a sviluppare la gestione e la pianificazione dell'agricoltura. Nel 2009 sono stati assegnati alla Georgia 2 milioni di euro al fine di migliorare la sicurezza alimentare dei bambini che vivono in situazioni di rischio.

5.4   Nel quadro dei negoziati di associazione con l'Ucraina entrambe le parti hanno sottolineato, tra l'altro, l'importanza di promuovere la competitività della produzione agricola e l'obiettivo di tenere conto degli elementi qualitativi dei prodotti alimentari (14). In termini pratici, il sostegno dell'UE in questo settore dovrebbe essere diretto allo sviluppo delle istituzioni, alla consulenza e alla formazione.

5.5   È risultato nella pratica che la conversione dei paesi del partenariato dall'economia pianificata all'economia di mercato richiede tempi lunghi. Occorre tenere conto di tale processo e fare uno sforzo per favorirlo. Oltre a un cambiamento di mentalità, la transizione richiede lo sviluppo della legislazione e la creazione di istituzioni e di capacità tecniche rivolte ad adeguare i metodi e le pratiche della produzione primaria, della lavorazione e del commercio estero. La cooperazione nell'ambito del partenariato e i programmi dell'UE dovrebbero creare le condizioni per differenziare la cooperazione agricola e per migliorare il contesto commerciale.

5.6   L'UE e i paesi del partenariato hanno individuato, come obiettivi di sviluppo per le due parti, una serie di settori particolari che sono risultati essenziali nei negoziati bilaterali. I temi e gli argomenti di questi settori sono noti come iniziative faro. Poiché è stato riconosciuto che la difficoltà di soddisfare le regole e le norme dell'accordo OMC sulle misure sanitarie e fitosanitarie (accordo SPS) costituisce un ostacolo al commercio di prodotti alimentari, occorre inserire tale argomento tra le iniziative faro.

6.   Tenere conto dei fattori ambientali e dell'impatto sociale

6.1   La produzione agricola e l'industria alimentare hanno un impatto importante sull'ambiente locale. La scelta dei metodi di coltivazione si riflette in maniera particolare sulla qualità del terreno e sulle acque superficiali e sotterranee. È interesse comune dell'UE e dei paesi del partenariato prevenire gli effetti ambientali dannosi dei fertilizzanti e dei pesticidi sia nel suolo che nei sistemi idrici. Anche la salvaguardia del ciclo dei nutrienti costituisce un importante obiettivo di sviluppo.

6.2   Ciò che avviene nei mercati globali dell'energia e nella gestione energetica di ciascun paese costituisce un fattore importante per lo sviluppo e il successo della produzione agricola. La resa dipende dalla disponibilità e dal prezzo di fattori di produzione che richiedono energia come per esempio i fertilizzanti. Al tempo stesso la produzione di energia rinnovabile ha un impatto sui prezzi dei prodotti alimentari, perché una parte della bioenergia può essere prodotta nelle aree coltivate. Pertanto la cooperazione bilaterale in materia energetica tra l'UE e i paesi del partenariato costituisce un fattore estremamente importante anche ai fini dello sviluppo agricolo.

6.3   Nell'interazione tra l'UE e i paesi del partenariato occorre tenere in considerazione il ruolo del settore agricolo ai fini dello sviluppo delle aree rurali di detti paesi. Senza uno sviluppo regionale favorevole, le differenze di benessere tra le varie regioni raggiungeranno livelli critici.

6.4   Un elemento essenziale del rispetto dei diritti umani consiste nell'osservanza delle norme fondamentali in materia di lavoro adottate dall'Organizzazione internazionale del lavoro. È importante che tali norme in materia di lavoro vengano rispettate nell'area di libero scambio costituita tra l'UE e i paesi del partenariato.

7.   Sviluppo della cooperazione amministrativa e di altre forme di cooperazione

7.1   L'attuazione del partenariato orientale, degli accordi di associazione, delle zone di libero scambio globali e approfondite e di altre forme di cooperazione richiede una considerevole interazione e cooperazione tra i soggetti decisionali politici, le autorità, gli esperti, le organizzazioni internazionali, gli ambienti socioeconomici e le organizzazioni della società civile. Tale circostanza va tenuta presente nell'attuazione del programma del partenariato orientale.

7.2   L'interazione tra i cittadini dell'UE e quelli dei paesi del partenariato, e in particolare tra i giovani, dev'essere riconosciuta come un fattore che promuove il cambiamento. L'UE ha riconosciuto il valore della cooperazione culturale e del dialogo interculturale come componente essenziale delle sue politiche esterne (15).

7.3   La cooperazione può venire sviluppata in particolare nell'area della formazione e della ricerca, dove progetti comuni di ricerca, visite e seminari sono importanti ai fini dello sviluppo della comprensione reciproca e dei modelli operativi.

8.   Rafforzare il ruolo e la posizione delle organizzazioni

8.1   Occorre dedicare particolare attenzione al coinvolgimento delle organizzazioni della società civile nella cooperazione tra l'UE e i paesi del partenariato. Il CESE raccomanda di favorire lo sviluppo delle attività delle organizzazioni della società civile e di rafforzare il forum della società civile del partenariato orientale.

8.2   In passato il ruolo e lo status della società civile nei paesi del partenariato erano deboli. Per sviluppare la democrazia è essenziale rafforzare il ruolo delle libere organizzazioni. Il CESE ha già elaborato pareri sul rafforzamento e la promozione del ruolo delle organizzazioni della società civile nei paesi in questione. In particolare esso ha presentato un parere su tale argomento (16) nella primavera del 2009, durante la presidenza ceca.

8.3   La partecipazione della società civile è stata troppo limitata e troppo poco riconosciuta. Un elemento essenziale della politica di partenariato orientale deve consistere nel guidare e sostenere un'ampia gamma di organizzazioni affinché siano in grado di contribuire in modo significativo a migliorare e accrescere la cooperazione tra l'UE e i paesi del partenariato.

8.4   Anche nel settore agricolo la posizione e la capacità delle organizzazioni è alquanto debole. Per sviluppare tale settore e rafforzare la cooperazione dell'UE occorre promuovere le organizzazioni del settore agricolo migliorando la formazione e rafforzando le capacità, sia a livello nazionale che nel quadro del mantenimento dei legami con l'UE e dell'attuazione del partenariato orientale.

8.5   Nell'ottica di promuovere il programma del partenariato orientale occorre che le organizzazioni del settore agricolo e alimentare svolgano un ruolo molto più ampio nelle varie fasi del processo. La complessità della catena di approvvigionamento alimentare comporta una serie di sfide aggiuntive per i lavoratori, l'industria, la ricerca, il settore della consulenza, la gestione e i produttori. Affinché la cooperazione agricola tra i paesi del partenariato e l'UE possa produrre risultati sostenibili e utili per entrambe le parti è indispensabile che vengano sostenute le attività di tutte le parti in causa e che vengano promosse le capacità delle organizzazioni. È essenziale intensificare le attività congiunte tra il CESE, le organizzazioni a livello dell'Unione europea e le organizzazioni nazionali.

Bruxelles, 14 luglio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  I partner orientali sono i paesi dell'Europa orientale e del Caucaso meridionale contemplati dalla politica europea di vicinato: Armenia, Azerbaigian, Georgia, Repubblica moldova, Ucraina e Bielorussia. COM(2008) 823 definitivo: Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio - Partenariato orientale.

(2)  Consiglio dell'Unione europea: Dichiarazione del Consiglio europeo sul partenariato orientale, 20 marzo 2009, 7880/09, CONCL 1.

(3)  DCFTA – Deep and Comprehensive Free Trade Area.

(4)  Alexander Duleba e Vladimir Bilčik: Toward a Strategic Regional Framework for the EU Eastern Policy, Searching for Synergies between the Eastern Partnership and the Partnership for Modernization with Russia («Verso un quadro strategico regionale per la politica orientale dell'UE. Alla ricerca di sinergie tra il partenariato orientale e il partenariato per la modernizzazione con la Russia») Bratislava 2010.

(5)  Consiglio dell'Unione europea: conclusioni della presidenza, Consiglio europeo di Bruxelles, 19 e 20 marzo 2009, 7880/09, CONCL 1.

(6)  Le iniziative faro sono le seguenti: (http://www.eeas.europa.eu/eastern/initiatives/index_en.htm)

a)

Programma di gestione integrata delle frontiere

b)

Iniziativa faro per le piccole e medie imprese

c)

Mercati energetici regionali ed efficienza energetica

d)

Prevenzione, preparazione e risposta alle calamità naturali e alle catastrofi causate dall'azione dell'uomo

e)

Iniziativa faro per la promozione di una buona gestione ambientale

f)

Diversificazione dell'approvvigionamento energetico, il corridoio meridionale.

(7)  Attuazione del partenariato orientale: relazione alla riunione dei ministri degli Affari esteri, 13 dicembre 2010.

(8)  DG TRADE: Statistiche.

(9)  Commissione europea: commercio, relazioni bilaterali, Bielorussia.

(10)  Si veda la nota 6.

(11)  Quarta relazione congiunta sull'avanzamento: negoziati relativi all'Accordo di associazione UE-Ucraina, Kiev, 4-8 novembre 2010.

(12)  Commissione europea, direzione generale Relazioni esterne, Politica europea di vicinato, Vademecum sul finanziamento nel quadro del partenariato orientale, 24 settembre 2010.

(13)  EAP Community, www.easternpartnership.org.

(14)  Commissione europea - DG RELEX, elenco di settori prioritari per il programma di associazione UE-Ucraina nel 2010.

(15)  Si veda la nota 2.

(16)  Parere CESE sul tema Partecipazione della società civile al partenariato orientale, GU C 277 del 17.11.2009, pagg. 30-36.


29.10.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/24


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Educazione finanziaria e consumo responsabile di prodotti finanziari» (parere d'iniziativa)

2011/C 318/04

Relatore: Carlos TRIAS PINTÓ

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 20 gennaio 2011, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Educazione finanziaria e consumo responsabile di prodotti finanziari.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 giugno 2011.

Alla sua 473a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2011 (seduta del 14 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 142 voti favorevoli, 6 voti contrari e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   La crescente complessità e opacità del sistema finanziario ha reso difficile negli ultimi anni una corretta comprensione dei prodotti finanziari.

1.1.1   Dinanzi a questa situazione, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) riconosce le diverse iniziative intraprese dalla Commissione europea e dall'OCSE volte a colmare le lacune del sistema finanziario ed esorta altresì l'industria finanziaria ad applicare correttamente la nuova normativa e a ricorrere all'autoregolamentazione per favorire un'azione adeguata e onesta, modificando il comportamento precedente di alcuni istituti e agevolando l'accesso a prodotti finanziari trasparenti, che diano ai consumatori la possibilità di sapere cosa stanno realmente contrattando e consentano il confronto tra le diverse offerte sul mercato.

1.2   L'indispensabile miglioramento della regolamentazione, vigilanza e trasparenza del sistema finanziario per aumentare la protezione dei consumatori di prodotti finanziari e degli investitori non esonera il cittadino dall'impegno di sviluppare le proprie capacità finanziarie durante tutta la sua vita, al fine di esercitare un consumo responsabile di prodotti finanziari operando scelte consapevoli e giudiziose. In sostanza si tratta di tracciare un triangolo virtuoso tra l'educazione finanziaria, la regolamentazione dei mercati e la protezione dei consumatori.

1.3   L'educazione finanziaria deve essere concepita come politica globale, basata sulla collaborazione di tutte le parti interessate: amministrazioni pubbliche, industria finanziaria, imprese, organizzazioni sindacali, associazioni dei consumatori, il sistema di istruzione e, in generale, tutti i cittadini quali consumatori di prodotti finanziari. Ciononostante, l'istruzione e la formazione dovrebbero essere impartite da organismi liberi da qualsiasi conflitto d'interesse.

1.4   Nel quadro di un sistema d'istruzione che incoraggi il cittadino europeo a sviluppare il suo spirito critico, l'educazione finanziaria deve essere presente durante tutto l'arco della vita delle persone. Il CESE richiede l'introduzione dell'educazione finanziaria come materia obbligatoria nei programmi di studio del sistema di istruzione, che dovrà proseguire nei programmi di qualificazione e di riconversione professionale dei lavoratori. Questa materia dovrà, tra l'altro, favorire la gestione consapevole delle questioni finanziarie (risparmio, uso delle carte di credito, prestiti), valorizzando i prodotti finanziari socialmente responsabili. Il CESE appoggia le misure di regolamentazione dei mercati finanziari dei prodotti di base attuate dalla Commissione europea allo scopo di migliorare la trasparenza, accrescere la qualità dell'informazione e migliorare i meccanismi di vigilanza.

1.5   Un'educazione finanziaria pienamente accessibile risulta a vantaggio della società nel suo complesso. I progetti volti a sviluppare le competenze finanziarie devono interessare in primo luogo i gruppi a rischio di esclusione finanziaria e la stessa industria finanziaria è tenuta a partecipare attivamente alla doppia azione «microfinanza ed educazione», nonché ad agevolare l'accesso a servizi finanziari di base.

1.6   Il CESE evidenzia l'impatto limitato degli attuali programmi di educazione finanziaria e, analogamente, sottolinea che valutare l'idoneità dei vari programmi educativi e l'efficacia dei canali di accesso utilizzati, facendo affidamento a tal fine sulla partecipazione delle parti interessate, è tanto importante quanto identificare le esigenze formative dei consumatori di prodotti finanziari ed elaborare proposte ad hoc.

1.7   L'educazione finanziaria è, in definitiva, un aspetto fondamentale per preservare la fiducia nel sistema finanziario ed esercitare un consumo responsabile di prodotti finanziari. Per il futuro, è pertanto indispensabile l'unione di forze tra le istituzioni, pubbliche e private, più competenti e le parti interessate al fine di dotare l'educazione finanziaria delle strategie e delle risorse appropriate, nonché rimediare al mancato coordinamento e alle scarse sinergie tra le numerose iniziative esistenti (a livello internazionale, europeo e degli stessi Stati membri).

1.8   Il CESE è consapevole dei limiti delle competenze conferite alla Commissione europea in materia di istruzione; a fronte di ciò, tuttavia, sostiene che l'educazione finanziaria è più ampia dell'istruzione in se stessa, dal momento che riguarda altresì il rafforzamento del ruolo delle persone, affronta l'esclusione sociale e favorisce il consumo responsabile.

1.9   Infine, il CESE sottolinea che le necessità dei consumatori di prodotti finanziari devono rappresentare un tema prioritario nell'ambito delle riunioni internazionali di alto livello, in particolare in occasione del G20. A tale riguardo, richiede che sia istituito un gruppo di esperti in materia di protezione finanziaria del consumatore.

2.   La cultura finanziaria e il ruolo dei consumatori

2.1   La cultura della deregolamentazione e dell'autoregolamentazione finanziaria, la finanza creativa, la sofisticazione dei nuovi strumenti e l'opacità del sistema, oltre a essere il motivo principale della grave crisi attuale, hanno ostacolato la comprensione del cittadino in merito alle chiavi di funzionamento di un mercato già complesso e globalizzato, permeato da una grande varietà di prodotti finanziari.

2.2   Nella cosiddetta società della conoscenza, che deve contare su un sistema d'istruzione capace di stimolare lo spirito critico dei cittadini, l'educazione finanziaria rappresenta uno strumento strategico che deve accompagnare la nuova regolamentazione del sistema finanziario. Non è possibile completare la configurazione di un sistema finanziario più solido, sicuro e trasparente senza la partecipazione di un consumatore responsabile e impegnato nello sviluppo delle proprie capacità finanziarie.

2.3   Di fatto, si sta affermando il «consumo responsabile di prodotti finanziari», che invita a separare il desiderio dalla necessità. Analogamente aumentano i sostenitori del «risparmio consapevole», che a lungo termine si basa su prodotti socialmente responsabili (1), ovvero, quei prodotti che possiedono un migliore comportamento nella loro dimensione ambientale, sociale e di governo societario (criteri ASG).

2.4   L'obiettivo non deve essere solo trasmettere conoscenze e capacità (educazione finanziaria), ma anche ottenere un'opinione fondata (alfabetizzazione finanziaria) al fine di operare, in un contesto reale, scelte giuste nella gestione dell'economia personale (competenza finanziaria).

2.5   In definitiva, una parte importante delle decisioni nella vita di una persona è associata a un comportamento finanziario, che riguarda direttamente l'ambiente personale e familiare, dalla ricerca di finanziamenti per gli studi fino alla pianificazione del reddito in vista della pensione (2).

2.6   Inoltre, considerando il contesto della crisi economica internazionale, il crescente interesse dei cittadini nei confronti della sostenibilità e lo stesso comportamento del tessuto imprenditoriale nella dimensione ambientale, sociale e di governo societario (criteri ASG), sembra importante fornire maggiori informazioni in merito a come inserire tali criteri nelle decisioni finanziarie dei consumatori al dettaglio.

2.7   Di conseguenza, secondo il CESE, la diffusione della cultura finanziaria a tutti i gruppi della popolazione con sufficiente intensità durante l'arco della vita risulta fondamentale per preservare la fiducia in un sistema finanziario ben regolamentato, per garantire il suo sviluppo e la sua stabilità, favorendo un consumo intelligente di prodotti finanziari, sulla base di scelte consapevoli e giudiziose. Di fatto, tale questione sta diventando un obiettivo comune di governi, autorità di regolamentazione e autorità di vigilanza.

2.8   Inoltre, gli istituti finanziari devono svolgere un ruolo importante. A tal fine, la società deve contare sull'impegno di un'industria finanziaria che garantisca onestà e trasparenza nella fornitura del servizio al cliente, ponendosi chiaramente al servizio degli interessi delle persone.

3.   Azioni in materia di educazione finanziaria

3.1   Per educazione finanziaria s'intende il processo mediante il quale i consumatori migliorano la comprensione dei prodotti finanziari e acquisiscono una maggiore conoscenza dei rischi finanziari e delle opportunità del mercato, adottando le decisioni economiche con un'adeguata informazione. Un'educazione finanziaria pianamente accessibile risulta a vantaggio della società nel suo complesso, riducendo i rischi di esclusione finanziaria e incoraggiando i consumatori a pianificare e risparmiare, cosa che contribuisce inoltre ad evitare l'eccessivo indebitamento.

3.2   Al fine di promuovere la cultura finanziaria tra i consumatori sono sorte diverse iniziative da parte delle autorità di vigilanza, degli istituti finanziari e di altre parti della società civile, sotto la denominazione di «Programmi di educazione finanziaria».

3.3   Questa sfida non è nuova, è stata affrontata precedentemente dall'OCSE (3), dalla Commissione europea (4) e dall'Ecofin (5).

3.4   In tal senso, le iniziative istituzionali in ambito europeo più significative sono state l'attuazione di un'ampia sezione in materia di educazione finanziaria nell'ambito del progetto di educazione per il consumo denominato Sviluppo di strumenti online per l'educazione dei consumatori adulti (Development of On Line Consumer Education Tools for Adults – Dolceta), e la creazione, da parte della Commissione, del gruppo di esperti in materia di educazione finanziaria (Expert Group on Financial Education – EGFE), gruppo istituito nell'ottobre 2008 e che da quel momento si è riunito periodicamente con l'intento di analizzare le varie strategie di sviluppo dei programmi di educazione finanziaria, incoraggiando la cooperazione tra il settore pubblico e privato al fine di favorire una migliore attuazione.

3.5   Tra i fattori che richiedono il miglioramento dell'educazione finanziaria figurano la complessità dei nuovi strumenti finanziari, i cambiamenti demografici (6) e il nuovo quadro normativo europeo (7).

3.6   A questo si aggiunge che, in generale, la popolazione possiede una cultura finanziaria insufficiente. Affinché tale obiettivo venga conseguito, è necessario che i cittadini prendano precedentemente coscienza dell'esigenza di migliorare la propria formazione finanziaria. In tal senso, il CESE chiede di intensificare la realizzazione di campagne nazionali di divulgazione finanziaria.

3.7   Secondo il CESE a tutti i cittadini (bambini, giovani, anziani, disabili o altri gruppi) deve essere garantito l'accesso effettivo ai programmi volti a sviluppare le competenze finanziarie con la tematica corrispondente a ciascuna fase, tenendo in considerazione gli obiettivi e gli interessi di ciascun gruppo. I contenuti formativi essenziali (la pianificazione finanziaria, il risparmio, l'indebitamento, le assicurazioni e le pensioni ecc.), nonché la metodologia specifica di applicazione devono essere accompagnati da canali efficaci di accesso ai rispettivi gruppi della popolazione: scuole, imprese, associazioni dei consumatori, siti web, pubblicazioni specializzate, mezzi di comunicazione ecc.

3.8   I bambini e i giovani sono i soggetti prioritari nei programmi, ma solo in un numero ridotto di paesi l'educazione finanziaria fa parte dei programmi di studio (8). Il CESE sottolinea che finché ciò non accade, non saranno conseguiti gli obiettivi auspicabili in materia di competenze finanziarie.

3.9   Il CESE esorta inoltre la Commissione europea e altre istituzioni a migliorare le informazioni e la consapevolezza in merito agli investimenti socialmente responsabili (ISR) nei vari Stati membri, nell'ambito delle loro iniziative attualmente in corso in materia di educazione finanziaria.

3.10   I programmi di educazione finanziaria in vigore, in paesi quali Regno Unito (Programma di consulenza generica), Francia (Istituto per l'educazione finanziaria), Spagna (Piano di educazione finanziaria 2008-2012), Austria (Iniziativa Finanz Wissen) ecc. sono stati progettati correttamente. Tuttavia, essi sono caratterizzati da una mancanza di diffusione e di strategie di applicazione di portata sufficiente, nonché dalla scarsa conoscenza delle risorse formative di tali istituzioni da parte dei cittadini.

3.11   Il CESE esige di intensificare gli studi destinati a valutare l'idoneità dei contenuti formativi e dei canali di accesso utilizzati e, pertanto, della misurazione del miglioramento della capacità finanziaria nella sua dimensione a lungo termine, specialmente per quanto riguarda l'impatto di questa disciplina sulla formazione di bambini e ragazzi.

4.   Nuovi comportamenti finanziari dei consumatori

4.1   I fattori demografici, socioculturali e tecnologici dell'ambiente sono all'origine dei nuovi comportamenti finanziari dei consumatori. Più precisamente, oggi i consumatori cercano prodotti su misura, un trattamento più professionale, richiedono maggiori informazioni, s'interessano della destinazione dei propri investimenti (9) e mostrano un atteggiamento critico.

4.2   In tale contesto, il forte legame tra i clienti e i loro istituti finanziari si sta gradualmente rompendo: lavorano con vari istituti, desiderano la vicinanza alla succursale o lavorano con l'e-banking, cercano l'efficacia del servizio e il rendimento delle proprie attività.

4.3   La chiave del successo nella fidelizzazione dei clienti è rappresentata da una corretta gestione dell'informazione, con lo scopo di analizzare le abitudini di consumo e, secondo la definizione del proprio profilo, fornire informazioni adeguate. Coerentemente con quanto detto in precedenza, il consumatore deve appurare le informazioni che riceve e analizzare bene ciò che stipula.

4.4   Le associazioni dei consumatori raccomandano di rispettare una serie di linee guida nelle relazioni con gli istituti finanziari (assistenza personalizzata, qualità del servizio, grado di specializzazione per determinati prodotti), prima di entrare nel vortice del migliore rendimento. In tal senso, l'educazione finanziaria consentirà al consumatore di individuare il pericolo dei cosiddetti «business finanziari».

5.   Promuovere la trasparenza per migliorare la protezione e recuperare la fiducia

5.1   Le azioni in materia di educazione finanziaria devono essere complementari a una completa regolamentazione dei mercati finanziari e a un effettivo miglioramento della protezione del consumatore di prodotti finanziari. Nonostante quanto precedentemente esposto, la regolamentazione finanziaria non esonera il cittadino dal suo impegno nei confronti dello sviluppo delle proprie capacità finanziarie durante tutto l'arco della sua vita.

5.2   La trasparenza è uno strumento indispensabile della relazione con l'utente, nonché una risorsa fondamentale per recuperare la fiducia dei consumatori nell'industria dei servizi finanziari.

5.3   La trasparenza delle informazioni si ottiene mediante l'attuazione di iniziative quali relazioni e pubblicazioni, consulenza responsabile, opuscoli informativi, schede e guide, nuove modalità di consultazione, esposizione di prodotti e servizi finanziari ecc. Occorre eliminare la dicitura in caratteri piccoli, le clausole abusive dei contratti e la pubblicità ingannevole.

5.4   Per i clienti in generale, gli istituti finanziari sono una fonte di preoccupazione a causa della mancanza di comunicazione, dei criteri «front office» e degli stessi documenti, che sono molto spesso incomprensibili per i non esperti. In risposta a tale situazione, gli istituti finanziari devono disporre di personale qualificato che mantenga informati i clienti, avvii i contatti e utilizzi il loro linguaggio.

5.5   Nell'ambito della commercializzazione di prodotti e servizi finanziari, i requisiti di informazione si rafforzano con l'obbligo di riferire fedelmente al cliente le condizioni contrattuali e le rispettive implicazioni, con sufficiente anticipo rispetto all'accettazione di un'offerta.

5.6   In particolare, è indispensabile specificare i rischi associati a ciascuna operazione e cercare di bilanciarne l'assunzione, dal momento che negli ultimi tempi si rileva un crescente spostamento del rischio dal prodotto finanziario al consumatore. Nel caso dell'e-banking, è necessario garantire il completo accesso alle informazioni più rilevanti.

5.7   Più precisamente, la direttiva 2007/64/CE relativa ai servizi di pagamento prevede una maggiore accessibilità delle informazioni. Da parte sua, la direttiva MIFID (10) stabilisce le informazioni necessarie per la prestazione di servizi di investimento, applicabili a tutti i canali di contrattazione, ossia l'informazione preliminare, nonché quella precedente e successiva alla contrattazione. Analogamente, impone agli istituti finanziari di rafforzare la protezione dell'investitore e di offrire ai propri clienti i prodotti più adeguati, secondo i diversi profili di rischio e socioculturali.

5.8   A difesa della protezione dei diritti dei consumatori figura la direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, nella quale viene sancito il principio di «prestito responsabile», secondo il quale il creditore si assume l'obbligo di fornire consulenza, nonché di valutare il merito creditizio presente e futuro del consumatore secondo le informazioni fornite da quest'ultimo e in base alla consultazione delle banche dati.

5.9   In futuro, un importante strumento dell'Unione europea per rafforzare la fiducia dei cittadini sarà l'atto per il mercato unico (11), contenente un capitolo del piano d'azione concernente la tutela dei consumatori di prodotti finanziari retail, prestando particolare attenzione alla trasparenza delle spese bancarie e all'attuale mancanza di protezione dei mutuatari di prestiti ipotecari.

6.   Promuovere le migliori prassi del settore bancario

6.1   La deregolamentazione finanziaria degli ultimi decenni ha favorito l'interconnessione tra il mercato bancario e il mercato dei capitali, il che ha aumentato i rischi di una mancanza di protezione dei diritti dei clienti delle banche commerciali.

6.2   Pertanto, i consumatori hanno affermato che nell'ambito della commercializzazione di prodotti finanziari è mancata l'informazione, in particolare nel caso di prodotti sofisticati di nuova creazione.

6.3   In particolare, la Commissione europea (12) rileva i seguenti problemi fondamentali del consumatore nella sua relazione con le banche: carenza di informazioni precontrattuali, consulenza non attendibile, mancanza di trasparenza relativamente alle commissioni bancarie e difficoltà a cambiare l'istituto con cui si sta operando.

6.4   Al fine di far fronte a tali carenze, la Commissione europea ha promosso un'iniziativa di autoregolamentazione dell'industria bancaria per migliorare l'accesso alle informazioni, la comprensione e la comparabilità delle commissioni bancarie. Il CESE accoglie con favore questo importante progetto di armonizzazione, il quale dovrà condurre a un sistema maggiormente standardizzato che agevoli il confronto tra diverse offerte, e sottolinea a sua volta la necessità di fare affidamento sulle organizzazioni dei consumatori per pianificare tale processo con garanzia di successo.

6.5   D'altra parte si evidenzia la resistenza degli istituti finanziari a collocare tra i clienti prodotti diversi dai propri, anche quando i loro prodotti risultano meno redditizi. Analogamente, tra gli errori commessi dall'attività di investimento collettivo figura il lancio di nuovi prodotti indipendentemente dalla domanda.

6.6   In definitiva, la discrepanza tra la necessità e il prodotto oggetto di contrattazione è una realtà che si basa su un modello di gestione in cui l'offerta trascina la domanda beneficiando del crescente divario di conoscenza, data l'asimmetria informativa tra venditori e acquirenti di prodotti finanziari. In tal senso, il CESE propone di stabilire rigorosi «codici di condotta» obbligatori per il personale degli istituti finanziari, in grado di mitigare l'eventuale conflitto di interessi tra consulenza e commercializzazione. L'onere della prova dell'osservanza dei codici di condotta da parte degli istituti finanziari dovrebbe essere sostenuto da questi ultimi.

6.7   Di conseguenza, gli intermediari finanziari (non solo bancari, bensì anche agenti assicurativi, agenti di borsa ecc.), senza pregiudizio della rigorosa adozione della regolamentazione in vigore, devono adottare «migliori prassi» per proteggere i consumatori di servizi finanziari, mediante misure volte a migliorare la qualità delle informazioni (chiare, precise, adeguate alle proprie esigenze, comprensibili e comparabili con altre offerte), politiche a favore della formazione finanziaria dei risparmiatori e degli investitori, una consulenza professionale (attendibile e onesta) che agevoli gli utenti nelle proprie scelte, nonché una figura indipendente che tuteli e protegga i diritti e gli interessi del cliente di prodotti finanziari (conciliatore finanziario).

6.8   Al fine di consolidare questo nuovo scenario, il CESE sottolinea la necessità di migliorare la competenza degli intermediari finanziari affinché possano svolgere tale attività pedagogica indispensabile. La sfida per gli intermediari finanziari è duplice: da un lato, migliorare la conoscenza dei prodotti commercializzati e dall'altro, sapere trasmettere efficacemente le informazioni all'utente.

7.   Favorire l'inclusione finanziaria

7.1   Il CESE è consapevole che l'inclusione finanziaria deve situarsi nel contesto della piena integrazione sociale delle persone ed è evidente che le garanzie d'impiego, la protezione sociale ecc. aumentano le possibilità di attuazione delle iniziative di educazione finanziaria.

7.2   Diversi studi (13) rilevano l'insufficiente livello di educazione finanziaria e la sua correlazione con il livello culturale e lo status socioeconomico. Pertanto, numerose persone hanno difficoltà a gestire la propria situazione finanziaria e conoscere il rischio derivante dai loro investimenti. È stato altresì rilevato che un numero esiguo di questi soggetti prevede piani di emergenza se le circostanze personali cambiano per cause sopravvenute (disoccupazione, incidenti, divorzi o vedovanza ecc.).

7.3   In numerosi paesi solo il 30 % della popolazione adulta è capace di calcolare un interesse semplice e solo il 44 % ha conoscenze di base in merito al funzionamento del sistema pensionistico (14).

7.4   Circa 80 milioni di cittadini europei, vale a dire circa il 16 % della popolazione totale, sono a rischio di povertà. L'Unione europea ha fissato nel 2010, tra gli obiettivi per l'«Anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale», la promozione del sostegno sociale a politiche d'inclusione, sottolineando la responsabilità collettiva e individuale.

7.5   L'inclusione finanziaria favorisce il processo d'inclusione sociale. È pertanto importante sostenere iniziative a favore dell'inclusione finanziaria di gruppi con elevato rischio di esclusione (donne, disoccupati, disabili, anziani, persone che non dispongono di alcuna risorsa ecc.) da una prospettiva di accessibilità universale, sviluppando prodotti e servizi finanziari a misura di tali gruppi.

7.6   Nell'attuale contesto socioeconomico è indispensabile porre l'accento sull'educazione finanziaria orientata alla pianificazione della pensione, data la forte tendenza verso sistemi pubblici di pensioni contributive le cui prestazioni sono determinate in funzione dei contribuiti realizzati (earnings-related benefits). Analogamente, per favorire il rafforzamento dell'empowerment delle donne lavoratrici, l'inserimento nel mondo del lavoro deve essere accompagnato da programmi specifici volti a sviluppare le competenze finanziarie.

7.7   In definitiva, le misure per migliorare la cultura finanziaria dei consumatori devono interessare in primo luogo i gruppi che dispongono di minore protezione, che corrono il pericolo di una esclusione finanziaria o che rischiano di essere oggetto di abuso di determinate azioni speculative.

7.8   Il CESE sottolinea che gli istituti finanziari devono assumere, tra l'altro, il compito di agevolare l'accesso ai servizi bancari delle persone che non dispongono di alcuna risorsa, al fine di evitarne l'esclusione finanziaria. Pertanto, i «programmi di concessione di microcrediti» (15) devono essere pienamente integrati nell'offerta di credito degli istituti finanziari. Le persone disoccupate, i giovani che terminano gli studi e che necessitano garanzie, gli imprenditori, gli immigrati, le persone con disabilità ecc. (16) sono i beneficiari dei microcrediti ai quali occorre garantire l'accesso.

7.9   La duplice azione «microfinanza ed educazione» in determinati programmi offre eccellenti risultati, tenendo conto che l'educazione apporta vantaggi competitivi, rispetto ad altre iniziative esclusive di microfinanza.

8.   Prospettive dell'educazione finanziaria

8.1   Il CESE è pienamente consapevole delle limitazioni in materia di istruzione (17) cui è sottoposta la Commissione europea; a fronte di ciò, tuttavia, sostiene che l'educazione finanziaria è più ampia dell'istruzione in se stessa, dal momento che riguarda altresì il rafforzamento dell'empowerment delle persone, affronta l'esclusione sociale e favorisce il consumo responsabile.

8.2   Il CESE esorta la Commissione a considerare seriamente l'elaborazione di misure legislative che obblighino gli Stati membri a un'effettiva promozione dell'educazione finanziaria.

8.3   Per il futuro, vi è un ampio consenso tra organismi e istituzioni (probabilmente i più competenti in materia di educazione finanziaria sono l'INFE - International Network on Financial Education - promossa dall'OCSE e il gruppo di esperti di educazione finanziaria istituito dalla Commissione europea) sui contenuti e sulle prassi più rilevanti da considerare in materia di educazione finanziaria. Al riguardo, il CESE concorda pienamente con i seguenti principi e, di conseguenza, chiede ai governi e alle istituzioni finanziarie di dotarsi di strumenti sufficienti per promuovere le proprie iniziative:

metodologia comune per valutare il livello di familiarità con concetti finanziari e il grado d'inclusione della popolazione;

maggiore integrazione dell'educazione finanziaria nei programmi di studio; metodologia internazionale per valutare l'efficienza e l'efficacia dei programmi nelle scuole;

elaborazione di strategie nazionali di educazione finanziaria, con sistemi adeguati di verifica e di valutazione di impatto;

rafforzamento delle strategie d'inclusione finanziaria; intensificazione degli interventi presso gruppi specifici (giovani, donne, immigrati, persone a basso reddito);

protezione dei diritti dei consumatori di prodotti finanziari;

rafforzamento della cooperazione tra la Commissione europea, l'OCSE e i governi nazionali al fine di trarre vantaggio dalle possibili sinergie ed evitare la ripetizione delle stesse attività;

organizzazione di una giornata europea di educazione finanziaria, per esempio, sotto l'egida della presidenza di turno dell'Unione europea;

promozione di una conferenza annuale a favore dell'educazione finanziaria, con la partecipazione di esperti riconosciuti;

creazione di un sistema di riconoscimento pubblico nell'ambito dell'Unione europea (per esempio un premio) che riconosca le migliori iniziative e le migliori prassi nel settore educativo;

promozione della «patente finanziaria»;

riunioni periodiche tra i governi degli Stati membri sui programmi di educazione finanziaria in vigore e introduzione delle riflessioni che emergono da tali riunioni nel programma politico nazionale (queste riunioni non devono solo descrivere le azioni in corso di attuazione, ma anche analizzarne il relativo impatto).

8.4   Da parte sua, il CESE aggiunge le seguenti proposte, unendo iniziative per migliorare la competenza finanziaria dei cittadini a varie misure volte ad aumentare i livelli di protezione del consumatore retail di prodotti finanziari.

Creazione di un organo indipendente, al fine di fornire gratuitamente ai consumatori consulenza sui prodotti finanziari, nonché sulle modalità di recepimento dei criteri ambientali, sociali e di governance nelle proprie decisioni finanziarie; tale consulenza potrà essere fornita sia attraverso un contatto diretto sia mediante un servizio telefonico.

Regolamentazione del ruolo degli intermediari finanziari e dei pubblici ufficiali nell'educazione finanziaria, al fine di agevolare una maggiore accessibilità e comprensione delle informazioni finanziarie (18). Sarà importante istituire meccanismi di supervisione per garantire l'imparzialità delle loro azioni.

Creazione di un'agenzia europea per la protezione dei consumatori retail di prodotti finanziari che vigili sulle prassi del settore bancario (in particolare, sull'accessibilità, sulla trasparenza e sulla comparabilità dei prodotti finanziari) e lotti contro la frode. Tale istituzione dovrà avere la facoltà di sanzionare le infrazioni.

Obbligo dell'industria finanziaria di introdurre supporti fisici in grado di informare i clienti dei prodotti finanziari in merito ai loro diritti e alle iniziative da intraprendere in caso di inadempimento di una proposta o una decisione dell'istituto finanziario.

Introduzione nei supporti informativi dei prodotti finanziari (come nel caso dei medicinali) di avvertenze sulle possibili controindicazioni e sui possibili effetti collaterali di ciascun prodotto, nonché sugli aspetti legati alle condizioni dei contratti.

Istituzione dell'EGFE a livello di ciascuno Stato membro che disponga di una strategia di educazione finanziaria, al fine di rafforzare i programmi previsti, includendo in modo equilibrato i principali soggetti della società civile organizzata.

Sostegno della Commissione europea (alle autorità nazionali degli Stati membri che ancora non l'hanno fatto) per definire una strategia coerente in materia di educazione finanziaria, prendendo come riferimento i paesi che hanno progredito in modo più soddisfacente.

Istituzione di una dotazione di bilancio correlata a ciascuna strategia nazionale di educazione finanziaria in cui vengano definiti i soggetti che finanziano i programmi di educazione finanziaria e le risorse associate.

Rafforzamento, da parte della Commissione europea, del sostegno alle azioni in materia di educazione finanziaria negli Stati membri, a partire dalle buone prassi identificate.

Promozione della diffusione della contabilità nazionale relativa alla previdenza sociale, affinché tutti i lavoratori siano informati, una volta all'anno, in merito alle pensioni a cui hanno diritto.

Promozione di prodotti finanziari specifici per giovani (a partire dai 14 anni, età precedente all'emancipazione e all'inserimento nel mondo del lavoro) e invio di informazioni periodiche in merito alle loro caratteristiche e al loro funzionamento.

Suggerimenti rivolti all'industria dei giocattoli affinché metta a punto dei giochi che, in chiave didattica, includano nozioni finanziarie.

Trasmissione di programmi televisivi e radiofonici di breve durata, 10 o 15 minuti, sulle questioni di base della finanza (crediti, ipoteche, assicurazioni ecc e concetti di base come redditività o rischio), creazione di iniziative multimediali e promozione dell'educazione finanziaria nei social network.

Maggiore ricorso alle associazioni dei consumatori e ad altre organizzazioni indipendenti della società civile organizzata per diffondere e attuare le iniziative dei governi in materia di educazione finanziaria.

8.5   Infine, il CESE sottolinea che le necessità dei consumatori di prodotti finanziari devono rappresentare un tema prioritario nell'ambito delle riunioni internazionali di alto livello, in particolare in occasione del G20. A tale riguardo, Consumers International  (19) chiede che sia istituito un gruppo di esperti in materia di protezione finanziaria del consumatore, che riferisca al G20, al fine di garantire l'accesso a servizi finanziari stabili, equi e concorrenziali.

Bruxelles, 14 luglio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Parere del CESE sul tema Prodotti finanziari socialmente responsabili, GU C 21 del 21.1.2011, pag. 33.

(2)  Cfr. al riguardo il documento della Commissione Libro verde - Verso sistemi pensionistici adeguati, sostenibili e sicuri in Europa, COM(2010) 365 definitivo.

(3)  Nel luglio 2005. Occorre altresì sottolineare il progetto dell'OCSE in materia di educazione finanziaria del 2009.

(4)  La Commissione europea ha pubblicato gli «Otto principi fondamentali per programmi di educazione finanziaria di alta qualità», COM(2007) 808 definitivo.

(5)  Nelle sue conclusioni di maggio 2008.

(6)  Risulta particolarmente rilevante l'aumento dell'aspettativa di vita, che rende necessaria una certa familiarità delle persone anziane con i nuovi strumenti finanziari e obbliga gli adulti a pianificare il futuro in modo migliore.

(7)  Elaborato utilizzando il piano d'azione per i servizi finanziari, che la Commissione europea ha adottato alla fine degli anni '90.

(8)  Nel 2012, la relazione Pisa valuterà per la prima volta le competenze finanziarie degli studenti di 15 anni in 19 paesi.

(9)  Negli ultimi anni aumenta la richiesta di prodotti finanziari socialmente responsabili, che applicano criteri di responsabilità sociale nella selezione di investimenti.

(10)  Direttiva 2004/39/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 21 aprile 2004, relativa ai mercati degli strumenti finanziari, GU L 145 del 30.4.2004, pag. 1.

(11)  COM(2011) 206 definitivo.

(12)  Commissione europea: Raccolta di dati sui prezzi dei conti correnti forniti ai consumatori, Bruxelles 2009.

(13)  Cfr. Braunstein & Welch, 2002; Mandell, 2008; FINRA Investor Education Foundation, 2009.

(14)  Secondo il lavoro realizzato da José Gómez Yubero nell'articolo intitolato Financial education: from information to knowledge and informed financial decision-making.

(15)  L'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha dichiarato il 2005 Anno internazionale del microcredito.

(16)  Come accade in Francia, il microcredito, oltre a sostenere lo spirito imprenditoriale, deve essere uno strumento per risolvere altre esigenze delle persone dotate di scarse risorse.

(17)  L'articolo 165 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea riserva agli Stati membri la legiferazione nel settore dell'istruzione.

(18)  Coerentemente con le funzioni propriamente formative che spettano al sistema di istruzione.

(19)  Organismo che rappresenta 220 organizzazioni dei consumatori in 115 paesi.


ALLEGATO I

Contenuti dell’educazione finanziaria  (1)

Prodotti

Materie e gruppi

Canali

Risparmio o fattore passivo

(depositi a risparmio, buste paga)

Investimento o fattore attivo

(crediti al consumo e ipotecari)

Mezzi di pagamento

(carte di debito e di credito)

Parafinanziari

(assicurazioni, piani pensionistici)

Servizi

(trasferimenti, consulenza, spese)

Apprendimento al risparmio (bambini e giovani)

Inserimento nel lavoro (giovani)

Inserimento in una vita indipendente (giovani)

Formazione di una famiglia (popolazione adulta)

Preparazione alla pensione (popolazione anziana)

Gestione del denaro in una microimpresa (imprenditori)

Istituti di istruzione

Luoghi di lavoro

Centri per anziani

Associazioni di imprese e sindacali

Associazioni dei consumatori e ONG

Mezzi di comunicazione

Internet


(1)  A titolo illustrativo, senza carattere esaustivo né limitativo.


29.10.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/32


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «I diritti di proprietà intellettuale nel campo della musica» (parere d'iniziativa)

2011/C 318/05

Relatore: GKOFAS

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 gennaio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

I diritti di proprietà intellettuale nel campo della musica.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 maggio 2011.

Alla sua 473a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2011 (seduta del 14 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 119 voti favorevoli, 51 voti contrari e 42 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Le componenti del problema

1.1.1   La protezione dei diritti d'autore e dei diritti connessi degli interpreti nel campo della musica, diritti riguardanti prodotti immateriali che sono sempre più commercializzati e distribuiti sotto forma di archivi digitali, costituisce un tema che ha un impatto diretto sulla società civile.

1.1.2   Il presente parere affronta cinque punti principali. In primo luogo, la definizione e la distinzione, nel campo della musica, delle prerogative e degli obblighi degli aventi diritto e delle società di gestione collettiva (SGC), ma anche degli obblighi derivanti dallo sfruttamento commerciale dei diritti di proprietà intellettuale e dei diritti connessi. Secondo, la remunerazione, e in particolare la remunerazione per l'utilizzo da parte di terzi (consumatori) sia dei diritti di proprietà intellettuale che dei diritti connessi. In terzo luogo, le modalità con cui viene stabilita la remunerazione, il significato del concetto di esecuzione pubblica e le condizioni in cui si può parlare di esecuzione pubblica. Quarto, le sanzioni da imputare agli utilizzatori in caso di sfruttamento illecito del diritto. Il quinto e ultimo punto affronta la struttura e il funzionamento, in alcuni Stati membri, degli organi di gestione collettiva (OGC) e delle SGC in rappresentanza degli aventi diritto.

1.1.3   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) prova inquietudine di fronte alla mancanza di armonizzazione del diritto dell'Unione europea con quelli nazionali e alle discrepanze esistenti tra le normative dei singoli Stati membri; vi è infatti il rischio di ostacolare il necessario equilibrio tra l'accesso dei cittadini ai contenuti culturali e del tempo libero, la libertà di circolazione di beni e servizi e la protezione dei diritti di proprietà intellettuale.

1.1.4   Il punto di partenza per l'elaborazione di un regolamento che armonizzi le normative degli Stati membri su questo tema controverso dovrà essere la votazione e l'adozione di determinati «principi di base» elementari a livello dell'Unione europea, conformemente alle convenzioni internazionali esistenti, in particolare la Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie e artistiche, senza porre in causa i diritti degli utilizzatori e tenendo conto delle proposte del CESE.

1.1.5   Il CESE propone l'armonizzazione delle normative degli Stati membri riguardo agli aspetti che suscitano problemi di convivenza sociale per i cittadini e che su di essa esercitano un impatto diretto, in modo da non mettere a repentaglio i diritti acquisiti dei cittadini e sanciti dalla costituzione a causa di interpretazioni della legge vuoi troppo letterali, vuoi erronee e parziali a danno degli utilizzatori/consumatori. Spetta alla Commissione affrontare i punti controversi costituiti dalle interpretazioni giuridiche dei termini utilizzati dal legislatore e il CESE ritiene suo compito porli sul tavolo negoziale per ottenere un risultato legittimo. La tutela degli autori e degli interpreti non dovrà essere d'ostacolo alla libera circolazione delle opere e, parallelamente, dovrà garantire, attraverso la modifica delle disposizioni in materia, che i consumatori abbiano libertà d'accesso e di utilizzo dei contenuti elettronici, per conservare gli stessi diritti on line e in modalità non on line, nel rispetto della proprietà intellettuale.

1.1.6   Il CESE propone di istituire un dispositivo normativo unico per a) il rilascio delle licenze di rappresentanza degli aventi diritto; b) la stipula di contratti di sfruttamento del diritto patrimoniale degli autori e c) l'applicazione, in caso di insorgenza di disaccordo o conflitto, della procedura di mediazione, che potrebbe aiutare, da un lato, gli utilizzatori dei contenuti e i consumatori e, dall'altro, gli autori dell'opera e altri titolari dei diritti, in quanto aventi diritto alla remunerazione, a comporre i conflitti derivanti dall'utilizzo di detta «opera». Ciò richiede l'istituzione, a livello nazionale, di un organismo unico di mediazione e risoluzione dei conflitti tra gli aventi diritto e gli utilizzatori dei contenuti.

1.1.7   Il CESE ritiene che questo obiettivo possa essere raggiunto con la creazione di un organo nazionale unico indipendente che, oltre ad avere le competenze di cui sopra, assuma anche la responsabilità di garantire la trasparenza per quanto riguarda la corresponsione integrale agli aventi diritto delle remunerazioni riscosse tramite gli OGC, nei casi in cui ciò non accada, con relative clausole di sicurezza fissate dalla normativa europea, lasciando agli Stati membri solo la facoltà di regolamentare l'istituzione, l'organizzazione e il funzionamento dell'organo. Detto organo potrà vigilare a) sull'applicazione rigorosa delle normative europee e nazionali vigenti per conseguire l'obiettivo di cui sopra, b) sull'introduzione di una procedura di riscossione e corresponsione perfettamente trasparente delle remunerazioni derivanti dallo sfruttamento dei diritti patrimoniali degli autori e c) sulla repressione dell'evasione fiscale nel pagamento al fisco dei diritti derivanti dallo sfruttamento di un'opera.

1.1.8   Per mantenere la fiducia dei titolari dei diritti e degli utilizzatori e agevolare la concessione di licenze transfrontaliere, il CESE ritiene necessario migliorare e adattare al progresso tecnico la governance e la trasparenza della gestione collettiva dei diritti. Soluzioni per la concessione di licenze transfrontaliere e paneuropee più semplici, uniformi e neutre rispetto alla tecnologia stimoleranno la creatività e aiuteranno gli autori, i produttori e i distributori di contenuti, a vantaggio dei consumatori europei.

1.2   L'efficacia della gestione dei diritti digitali

1.2.1   Il CESE si schiera altresì a favore della promozione e del miglioramento dell'offerta legale, come nel caso di Deezer, il primo sito Internet di musica su richiesta gratuito e legale, o di Spotify, un servizio di diffusione legale di musica tramite Internet che si autofinanzia con la pubblicità, ed è convinto che questo tipo di canale debba continuare a svilupparsi a fianco dell'opera legislativa.

1.2.2   Tra le azioni da intraprendere dovrebbero essere previste anche campagne di educazione e sensibilizzazione, in particolare dei giovani.

1.2.3   Il CESE incita la Commissione ad approfondire i principi della sua raccomandazione del 18 maggio 2005, relativa alla gestione collettiva transfrontaliera dei diritti di autore e dei diritti connessi nell'ambito dei servizi legali di musica on line.

1.2.4   Il Comitato sollecita la Commissione ad approvare quanto prima possibile la proposta di direttiva quadro sulla gestione collettiva dei diritti prevista nell'Agenda digitale.

2.   Introduzione

2.1   Gli autori e gli interpreti traggono il loro reddito dai proventi dell'utilizzo delle loro creazioni artistiche in tutto il mondo. La riscossione dei proventi derivanti dall'utilizzo delle opere in qualunque parte del pianeta per conto degli autori viene effettuata da SGC che operano in tutti i campi artistici.

2.2   Le dimensioni e la forza di tali SGC variano da uno Stato membro all'altro: alcune hanno portata limitata, mentre altre sono talmente potenti da poter arrivare, in certi casi, a detenere dei monopoli di fatto per lo sfruttamento dei diritti. Anche i servizi da queste offerte agli artisti variano in funzione di tali parametri.

2.3   È legittimo chiedersi, come già ha fatto la Commissione europea, se la complessità del sistema attuale assicuri la necessaria efficacia e se essa tuteli gli interessi tanto degli aventi diritto, come degli utilizzatori dei contenuti e dei cittadini come consumatori finali.

2.4   Non sarebbe forse opportuno andare oltre la «semplice» armonizzazione tecnica del diritto d'autore e dei diritti connessi? Come è possibile migliorare la gestione nazionale del diritto d'autore e rimediare agli inconvenienti derivanti dall'attuale frazionamento del prelievo per copie private, per non citare che un solo esempio? Come conciliare gli sforzi per il miglioramento normativo con l'efficacia della gestione transfrontaliera dei diritti collettivi? È necessario adottare una normativa riguardante questi aspetti.

2.5   La complessità della situazione e la sensibilità dell'argomento per la società civile spingono il CESE ad affrontare il tema e ad esaminare le potenziali piste di riflessione.

2.6   In effetti l'ignoranza - se non l'indifferenza o financo l'ostilità - del pubblico alla nozione di diritti di proprietà intellettuale rendono necessaria una reazione da parte della società civile.

2.7   Il regime vigente di protezione dei diritti patrimoniali (non morali) degli autori e, in generale, dei diritti connessi degli interpreti e produttori nel campo della musica è disciplinato da una serie di direttive, tra cui la 2006/115/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, la 2006/116/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, e la 2001/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 22 maggio 2001, il cui scopo iniziale era quello di agevolare la libera circolazione delle merci e delle idee in nome di una sana concorrenza, ma anche di raggiungere un equilibrio e lottare contro la pirateria. Tutta l'armonizzazione dei diritti d'autore e dei diritti connessi si basa su un elevato livello di protezione, dato che si tratta di diritti fondamentali per la creazione intellettuale. Tale protezione contribuisce a preservare e sviluppare la creatività nell'interesse degli autori, degli interpreti, dei produttori, dei consumatori, degli utilizzatori dei contenuti, nell'interesse della cultura, dell'industria e del pubblico in generale. Per tale motivo la proprietà intellettuale è stata riconosciuta come parte integrante del diritto di proprietà e protetta dalla Carta europea dei diritti fondamentali, in quanto lo sforzo creativo e artistico degli autori e degli artisti, interpreti o esecutori esige redditi sufficienti che costituiscano la base per nuovi lavori creativi o artistici e soltanto una tutela giuridica adeguata dei titolari dei diritti permette di garantire efficacemente tali redditi.

2.8   In determinati paesi vigono leggi restrittive che impediscono qualunque forma di riproduzione e scambio di archivi protetti da diritti di proprietà intellettuale, a prescindere dal fatto che gli scambi abbiano una portata limitata e siano effettuati per uso personale o, al contrario, a scopo commerciale (1).

2.9   I consumatori europei, le cui associazioni hanno denunciato la loro esclusione dalle negoziazioni di tali questioni come una pratica non trasparente e antidemocratica, hanno ammonito che non si può, con il pretesto di combattere la pirateria, instaurare un controllo di polizia di tutti gli scambi e le comunicazioni in Internet, attentando al diritto alla riservatezza e all'intimità della corrispondenza e della circolazione dell'informazione. Il CESE desidera essere informato in merito alle discussioni in corso e alle attuali proposte, per poi esprimere la propria posizione al riguardo.

3.   Osservazioni particolari

3.1   Proprietà intellettuale: precisazioni e distinzioni

3.1.1   Di fondamentale importanza è distinguere e comprendere il concetto di diritto d'autore e di diritto connesso. Entrambi i diritti fanno parte di un insieme che si può caratterizzare e definire come «proprietà intellettuale». Il concetto di proprietà intellettuale è stato fissato a livello internazionale nella Convenzione del 14 luglio 1967 istitutiva dell'Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale; esso è stato poi fatto proprio dalla legislazione comunitaria, in particolare dalla direttiva 2006/115/CE ed è quindi un concetto consolidato nell'acquis dell'UE.

3.1.2   Il CESE ritiene che, per continuare la loro attività creativa e artistica, gli autori e gli interpreti debbano ricevere un adeguato compenso per l'utilizzo delle loro opere, come pure i produttori per poter finanziare tale creazione. Gli investimenti necessari a fabbricare prodotti quali riproduzioni fonografiche, pellicole o prodotti multimediali e servizi quali i servizi su richiesta («on-demand») sono considerevoli. È necessaria un'adeguata protezione giuridica dei diritti di proprietà intellettuale per garantire la disponibilità di tale compenso e consentire un soddisfacente rendimento degli investimenti.

3.1.3   Il CESE invoca l'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti connessi. Ai fini di questa armonizzazione si dovrà tener conto delle diverse relazioni sull'applicazione delle direttive e della giurisprudenza della Corte di giustizia in materia.

3.1.4   Il CESE esprime la sua soddisfazione per l'approvazione avvenuta di recente della direttiva su alcuni usi autorizzati di opere orfane (COM(2011) 289 definitivo), sul cui contenuto si pronuncerà in un futuro parere.

3.2   Remunerazione

3.2.1   La corresponsione delle remunerazioni ai titolari del diritto intellettuale nel campo della musica (per la parte patrimoniale) costituisce forse tra gli aspetti che più causano problemi alla maggioranza degli Stati membri nelle transazioni tra gli OGC e gli utilizzatori, problemi che nella maggioranza dei casi sono stati risolti dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.

3.2.2   Il CESE avverte la necessità di proporre l'applicazione del principio della parità di fronte alla legge, ma anche del principio di proporzionalità per garantire tanto la proprietà intellettuale degli autori e degli altri titolari quanto i diritti degli utilizzatori dei contenuti e dei consumatori finali. Allo stato attuale il diritto di proprietà intellettuale in Europa è tutelato dai «Trattati Internet» dell'Organizzazione mondiale della proprietà intellettuale (OMPI), ratificati dall'UE e dagli Stati membri nel dicembre 2009, che unificano, almeno in linea di principio, la normativa applicabile, anche se le dichiarazioni rese da diversi paesi in occasione della ratifica mettevano in dubbio l'utilità di un approccio unificato a livello dell'UE. I Trattati Internet richiedono la repressione della riproduzione e delle contraffazioni a scopo commerciale, analogamente a quanto stipulato dalla direttiva 2001/29/CE sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti connessi nella società dell'informazione.

3.3   Definizione di remunerazione e di esecuzione pubblica

3.3.1   I seguenti aspetti richiedono particolare attenzione: stabilire quando è dovuta una remunerazione per l'utilizzo di un brano musicale, quando si può parlare di esecuzione pubblica e quando si tratta di sfruttamento contrapposto ad utilizzo.

3.3.2   Il CESE ritiene che occorra una chiara distinzione tra sfruttamento commerciale ed utilizzo privato per quanto riguarda sia lo scopo dell'utilizzo sia le sanzioni inflitte. In pratica le tariffe degli organismi di gestione collettiva, concordate con le associazioni rappresentative dei diversi settori di utilizzatori, prevedono già i diversi usi che gli esercizi pubblici fanno della musica: quelli in cui la musica svolge un ruolo essenziale, come le discoteche, non pagano lo stesso ammontare di quelli in cui la musica ha un ruolo accessorio o incidentale, come i negozi di parrucchiere o i grandi magazzini.

3.3.3   A giudizio del CESE la remunerazione del cosiddetto «sfruttamento secondario», previsto nella Convenzione di Berna, è pienamente giustificata dal momento che i titolari degli esercizi diffusori, delle trasmissioni radiotelevisive, sono utilizzatori secondari delle opere comprese nelle trasmissioni primarie a partire dalle quali tali opere e prestazioni sono «comunicate pubblicamente» nei locali summenzionati.

3.3.4   Occorre riformare l'attuale sistema di remunerazione dei diritti di proprietà intellettuale in quanto compenso per la riproduzione ad uso privato al fine di rafforzare la trasparenza nel calcolo della «remunerazione equa», la riscossione e la corresponsione dei diritti. Le remunerazioni devono rispecchiare e basarsi sul pregiudizio finanziario arrecato agli aventi diritto dalle copie per uso privato.

3.3.5   Per facilitare la concessione di licenze transfrontaliere, si dovrà salvaguardare la libertà contrattuale dei titolari di diritti. Questi non sarebbero obbligati a concedere licenze per tutto il territorio europeo e a fissare per contratto il livello dei canoni delle licenze.

3.3.6   Il CESE è favorevole alla promozione di modelli commerciali più innovativi, attraverso i quali si possa accedere ai contenuti con differenti modalità (free, premium, freemium) in funzione della sostenibilità delle offerte e delle aspettative e dell'atteggiamento degli utenti finali, con il raggiungimento di un giusto equilibrio tra la remunerazione dei titolari dei diritti e l'accesso dei consumatori e del pubblico in generale ai contenuti.

3.4   Sanzioni e pene

3.4.1   Il CESE ritiene che la protezione della proprietà intellettuale sia di importanza davvero fondamentale per lo sviluppo economico e culturale dell'Unione, soprattutto alla luce delle nuove forme di economia e tecnologia, per garantire lo sforzo creativo e artistico degli autori e degli artisti interpreti ed esecutori. A tal fine si è istituito un regime di sanzioni efficaci, dissuasive e proporzionali, conformemente ai requisiti posti dalla Corte di giustizia.

3.4.2   Il CESE ritiene che l'utilizzazione di un certo numero di opere intellettuali, autorizzata soltanto a titolo di deroga ai diritti esclusivi dei titolari, con limitazioni per gli utilizzatori, dovrebbe essere impostata come un diritto positivo e generale dei cittadini; inoltre, tali limitazioni non sono né del tutto chiare, né stabilite con precisione dalla legge, e i consumatori si scontrano con la legislazione in vigore quando si tratta di sapere quali sono le pratiche autorizzate.

La tutela giuridico-penale della proprietà intellettuale costituisce una garanzia essenziale nella difesa e nel consolidamento dell'ordine sociale, culturale, economico e politico dei paesi avanzati.

Il CESE è contrario all'uso della via penale nei confronti degli utenti che non abbiano fini di lucro.

3.4.3   L'Istituto di diritto dell'informazione dell'università di Amsterdam ha elaborato uno studio per conto della direzione generale Mercato interno della Commissione europea sull'attuazione e gli effetti negli Stati membri della direttiva 2001/29/CE sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti connessi nella società dell'informazione (2). Da un esame dei capitoli che compongono la seconda parte dello studio, dedicata all'applicazione della direttiva negli altri Stati membri dell'UE, risulta che la pena detentiva viene comminata solo in 6 dei 26 Stati membri esaminati.

3.4.4   Il CESE chiede di integrare l'articolo 8 della direttiva 2001/29/CE con l'aggiunta di un paragrafo 4, nel quale dovrà figurare quanto segue: nel quadro della protezione giuridica contro l'eventuale violazione dei diritti e degli obblighi contenuti nella direttiva in oggetto si depenalizza l'utilizzo da parte degli utilizzatori/consumatori di contenuti per i quali coloro che ne realizzano la diffusione pubblica non abbiano rispettato in origine i diritti di proprietà intellettuale. Nel caso della diffusione pubblica, tale utilizzo verrà giudicato soltanto in termini di responsabilità civile e soggetto alle sanzioni che ne derivano, vale a dire al versamento di un indennizzo pari alla remunerazione dovuta a titolo del diritto patrimoniale degli autori e dei titolari dei diritti connessi. Sanzioni penali contro le infrazioni ai diritti di proprietà intellettuale dovranno essere applicate esclusivamente in casi chiaramente definiti di violazione delle regole del commercio commesse dalla criminalità organizzata e di sfruttamento commerciale illecito dei diritti di proprietà intellettuale. Ad ogni modo. le misure andranno eseguite nel rispetto dei diritti fondamentali dei consumatori.

3.5   Struttura e funzione degli OGC

3.5.1   Va sottolineato che le direttive esistenti qui messe in discussione sono caratterizzate da una totale «mancanza di protezione» degli utilizzatori/consumatori, che sono alla mercé di SGC operanti senza un vero e proprio controllo. Il CESE reclama che il quadro giuridico riconosca, protegga e garantisca i diritti dei cittadini e dei consumatori, così come un regime di parità di fronte alla legge per quanto riguarda la protezione degli utilizzatori e dei consumatori rispetto agli autori e ai titolari dei diritti connessi, conformemente alla normativa sulla proprietà intellettuale e, in particolare, alla raccomandazione della Commissione del 18 maggio 2005.

3.5.2   Il CESE chiede di integrare l'articolo 5 della direttiva 2006/115/CE con l'aggiunta di un paragrafo 5, nel quale dovrà figurare quanto segue: le SGC alle quali sia stata rilasciata la licenza di riscuotere e rappresentare gli aventi diritto, dovranno, in quanto OGC, abbandonare il loro status di società commerciali per assumere quello di enti senza fini di lucro dotati di struttura associativa e costituiti dai titolari dei diritti intellettuali e diritti connessi.

3.5.3   Il CESE chiede di integrare l'articolo 5 della direttiva 2006/115/CE con l'aggiunta di un paragrafo 6, nel quale dovrà figurare quanto segue: un apposito organo indipendente a livello nazionale (organo nazionale unico di gestione) è incaricato della vigilanza delle SGC o degli OGC. Tale organo potrà essere quello che ha rilasciato loro la licenza di riscuotere i diritti degli artisti interpreti o esecutori. In altre parole, l'organo che rilascia le licenze è anche incaricato di esercitare un controllo di vigilanza.

3.5.4   Il CESE chiede di integrare l'articolo 5 della direttiva 2006/115/CE con l'aggiunta di un paragrafo 7, nel quale dovrà figurare quanto segue: gli autori, interpreti o esecutori titolari dei diritti hanno facoltà di «cedere» i diritti patrimoniali che derivano dalla proprietà intellettuale, nonché di «trasferire» il diritto di noleggio o di locazione a più di un OGC (o SGC) già esistente o di nuova istituzione. Tuttavia, nella misura in cui, così facendo, esisteranno più OGC (o SGC), vi è il pericolo a) che il «diritto» per l'artista titolare sia riscosso più di una volta da diversi organi o società di gestione, con l'ulteriore pericolo b) che l'utilizzatore finisca per avere rapporti e stipulare contratti con più di un OGC (o SGC) e, infine, c) che venga versato un duplice compenso per l«utilizzo» della medesima opera. Lo stesso organo che rilascia le licenze agli OGC (o SGC) sarà competente e responsabile in materia di ripartizione delle remunerazioni tra gli artisti e i titolari dei diritti connessi che gli organi o le società di gestione collettiva hanno riscosso dagli utilizzatori. Si propone di installare nei luoghi interessati la tecnologia informatica moderna, che consentirà di censire i vari elementi relativi ai fonogrammi (autore, interprete, durata, ecc.) al momento della loro esecuzione; di conseguenza l'utilizzatore effettuerà il pagamento per l'utilizzo dei diritti degli autori interessati di modo tale che l'importo corrispondente sia versato nella giusta proporzione ai singoli aventi diritto. L'organo di cui sopra avrà anche la responsabilità di impedire pagamenti multipli di quanto dovuto per l'utilizzo dell'opera nella sua interezza. Qualora uno Stato membro non disponga di un organo di rilascio delle licenze agli OGC (o SGC), esso dovrà inserire nella propria normativa disposizioni che ne prevedono l'istituzione.

3.5.5   Il CESE chiede di integrare l'articolo 5 della direttiva 2006/115/CE con l'aggiunta di un paragrafo 8, nel quale dovrà figurare quanto segue: gli OGC che rappresentano gli artisti interpreti o esecutori dovranno redigere un bilancio e una relazione finanziaria nominativa sulla gestione e ripartizione delle remunerazioni riscosse per conto degli aventi diritto e fornire qualunque altro elemento che serva a dimostrare che le «entrate» in questione sono state corrisposte agli aventi diritto, e che tali «entrate» sono state «dichiarate» e tassate dal fisco degli Stati membri. La contabilità degli organi di gestione dei diritti e la ripartizione effettiva dei diritti riscossi tra i diversi aventi diritto dovranno essere certificate da un revisore indipendente, la cui relazione dovrà essere resa pubblica, e dovranno inoltre essere sottoposte a un controllo periodico da parte di un'autorità competente, come una corte dei conti o un'autorità pubblica indipendente.

3.5.6   Il CESE chiede di integrare l'articolo 5 della direttiva 2006/115/CE con l'aggiunta di un paragrafo 9, nel quale dovrà figurare quanto segue: ogniqualvolta un OGC non versa agli aventi diritto l'importo delle remunerazioni che ha riscosso, né soddisfa le disposizioni contenute ai paragrafi 5 e 7 dell'articolo 5, l'organismo addetto al rilascio delle licenze procede inizialmente al ritiro della licenza e, come conseguenza, a seconda della gravità dell'infrazione, rinvia tale società ai tribunali nazionali.

Bruxelles, 14 luglio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Le pene previste sono le stesse, che si tratti di contraffazione a scopo commerciale o ad uso personale.

(2)  Studio pubblicato nel febbraio 2007.


ALLEGATO

al Parere del Comitato economico e sociale europeo

I seguenti brani del parere della sezione sono stati modificati in favore degli emendamenti adottati dall'Assemblea, ma hanno ottenuto più di un quarto dei voti espressi (articolo 54, paragrafo 4, del Regolamento interno):

a)   Punto 1.1.8

La trasparenza nella gestione dei proventi riscossi dalle SGC in un ambiente transfrontaliero solleva degli interrogativi. In effetti, gli autori, i titolari dei diritti connessi, i soggetti passibili del pagamento di diritti e i consumatori continuano a non sapere né esattamente che cosa viene riscosso, né quale sia la destinazione dei proventi generati dal sistema di gestione collettiva dei diritti.

Esito della votazione sull'emendamento:

Voti favorevoli

:

113

Voti contrari

:

61

Astensioni

:

23

b)   Punto 3.1.1

Di fondamentale importanza è distinguere e comprendere il concetto di diritto d'autore e di diritto connesso degli interpreti. Entrambi i diritti fanno parte di un insieme che si può caratterizzare e definire come «proprietà intellettuale». Comunemente, la proprietà intellettuale si considera composta dal diritto d'autore, di cui sono titolari gli autori, i compositori e i parolieri di un'opera, e dai diritti connessi, di cui sono invece titolari gli artisti interpreti e gli esecutori di tale opera.

Esito della votazione sull'emendamento:

Voti favorevoli

:

116

Voti contrari

:

55

Astensioni

:

27

c)   Punto 3.1.3

Il CESE invoca l'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti connessi degli interpreti ed esecutori. Tale operazione è necessaria nel caso della comunicazione e dell'informazione, quando, ad esempio, l'opera «fonogramma» diventa «cosa pubblica». Per garantire la certezza del diritto e la protezione dei diritti di cui sopra occorre armonizzare le normative degli Stati membri per quanto riguarda, ad esempio, il concetto di «cosa pubblica» quale prodotto remunerativo che genera reddito per l'autore, e tutto ciò al fine del corretto funzionamento del mercato interno.

Esito della votazione sull'emendamento:

Voti favorevoli

:

108

Voti contrari

:

57

Astensioni

:

31

d)   Punto 3.2.1

La corresponsione delle remunerazioni ai titolari del diritto intellettuale nel campo della musica (per la parte patrimoniale) costituisce forse tra gli aspetti che più causano problemi alla maggioranza degli Stati membri nelle transazioni tra gli OGC e gli utilizzatori.

Esito della votazione sull'emendamento:

Voti favorevoli

:

88

Voti contrari

:

71

Astensioni

:

34

e)   Punto 3.3.2

Il CESE ritiene che occorra una chiara distinzione tra sfruttamento commerciale ed utilizzo privato per quanto riguarda sia lo scopo dell'utilizzo sia le sanzioni inflitte. Si considera pubblico qualunque utilizzo, esecuzione o presentazione dell'opera che la renda accessibile ad una cerchia di persone più ampia della stretta cerchia familiare e dell'ambiente sociale più immediato, indipendentemente dal fatto che le persone appartenenti a questa cerchia più ampia siano nello stesso luogo o in luoghi diversi in occasione di ciascuna presentazione destinata a un pubblico che non si trova nel luogo di presentazione; questa definizione dovrà coprire qualunque trasmissione o ritrasmissione di un'opera al pubblico, su filo o senza filo, compresa la trasmissione televisiva.

Esito della votazione sull'emendamento:

Voti favorevoli

:

103

Voti contrari

:

53

Astensioni

:

27

f)   Punto 3.3.3

A giudizio del CESE, occorre stabilire in modo chiaro ed esplicito che si ha utilizzo pubblico quando l'opera viene sfruttata dall'utilizzatore a scopo di lucro e nel quadro di un'attività imprenditoriale che richieda o giustifichi l'utilizzo concreto (di un'opera, del sonoro, di immagini oppure di sonoro e immagini).

Esito della votazione sull'emendamento:

Voti favorevoli

:

100

Voti contrari

:

58

Astensioni

:

28

g)   Punto 3.3.6

Poiché una remunerazione equa dovrebbe contenere di per sé un elemento di proporzionalità, come spesso accade nella pratica, è opportuno fare una distinzione tra le attività economiche dove l'esecuzione o l'utilizzo dell'opera costituiscono l'attività principale e remunerativa per l'impresa (organizzatori di concerti o spettacoli, cinema, radio, televisione ecc.), e le altre attività economiche, in cui l'esecuzione dell'opera non persegue scopi commerciali (tassista che ascolta la radio mentre trasporta un cliente, ad esempio) o svolge un ruolo di secondo piano rispetto all'attività economica principale (musica di sottofondo in un ascensore di un grande magazzino, in un ristorante ecc.). Gli importi applicabili devono essere differenziati e spaziare dalla gratuità fino a un «diritto» completo proporzionale al contributo effettivo dell'opera all'attività economica. Tali distinzioni sono applicate chiaramente in una serie di paesi, come la Francia, dove si adotta una tariffa diversa per gli organizzatori di spettacoli e gli emittenti di opere da un lato, e caffè e ristoranti, in particolare, dall'altro.

Esito della votazione sull'emendamento:

Voti favorevoli

:

106

Voti contrari

:

62

Astensioni

:

27

h)   Punto 3.3.7

Il CESE chiede che, all'articolo 11, dopo il paragrafo 7, che recita «In mancanza di un accordo tra i titolari del diritto in merito al livello della remunerazione, gli Stati membri possono fissare il livello di una remunerazione equa», sia inserito un paragrafo 8 contenente disposizioni legislative in base alle quali fissare la remunerazione equa. Il nuovo paragrafo dovrà indicare quanto segue: si istituisce una commissione per la risoluzione dei conflitti tra gli aventi diritto e gli utilizzatori alla quale dovranno rivolgersi obbligatoriamente le due parti e le cui trattative dovranno condurre a un accordo tra, da un lato, autori e interpreti aventi diritto e, dall'altro, utilizzatori/consumatori che stabilisca l'ammontare della remunerazione equa, per l'insieme del diritto in questione. Il ricorso alla commissione per la risoluzione dei conflitti presuppone che la SGC abbia preventivamente concluso un contratto scritto in cui gli autori e interpreti aventi diritto danno il proprio accordo ad essere rappresentati da tale società per alcune opere specifiche. In mancanza di tale contratto, che sarà corroborato da un documento - scritto e datato - per ciascuna opera o fonogramma, con ogni singolo beneficiario, le società non saranno autorizzate a riscuotere alcunché a nome di tale beneficiario. Non è ammissibile presumere che il mandato sia stato conferito alla società per il semplice fatto che questa effettua la riscossione. La commissione sarà composta da un membro per gli utilizzatori, un membro per gli aventi diritto, nonché due rappresentanti delle parti sociali, uno per i lavoratori e l'altro per i datori di lavoro, oppure, in rappresentanza delle parti sociali a livello europeo, da un membro del CESE.

Esito della votazione sull'emendamento:

Voti favorevoli

:

116

Voti contrari

:

57

Astensioni

:

23

i)   Punto 3.4.1

Il CESE ritiene che la protezione della proprietà intellettuale sia di importanza davvero fondamentale per lo sviluppo economico e culturale dell'Unione, soprattutto alla luce delle nuove forme di economia e tecnologia, ma è chiaro che essa può produrre risultati opposti a quelli attesi, ostacolando in modo sostanziale gli scambi commerciali quando la protezione dei diritti in questione assume dimensioni sproporzionate per gli utilizzatori/consumatori.

Esito della votazione sull'emendamento:

Voti favorevoli

:

104

Voti contrari

:

61

Astensioni

:

36

j)   Punto 3.4.2

Il CESE nota con preoccupazione che la direttiva in esame non rimuove, ma al contrario introduce nuovi ostacoli agli scambi e alle innovazioni in questo campo. Per fornire alcuni esempi, la scarsa chiarezza del concetto di equa remunerazione non facilita le PMI, ma anzi ne complica l'operato in un periodo di estensione della protezione dei diritti senza le necessarie salvaguardie, oppure quando gli OGC non adottano un comportamento razionale e trasparente, quando gli utilizzatori commerciali non sono pienamente a conoscenza della situazione o quando la perdita che deriva - per gli aventi diritto - dall'utilizzo è insignificante, mentre le sanzioni corrispondenti sono esageratamente severe.

Esito della votazione sull'emendamento:

Voti favorevoli

:

104

Voti contrari

:

61

Astensioni

:

36

k)   Punto 3.4.3

Il CESE insiste sulla sostituzione del paragrafo relativo alla facoltà degli Stati membri di stabilire le sanzioni da comminare, in quanto in numerosi paesi si applicano sanzioni di natura anche penale che spesso non hanno, come invece dovrebbero, carattere proporzionale.

Esito della votazione sull'emendamento:

Voti favorevoli

:

104

Voti contrari

:

61

Astensioni

:

36

l)   Punto 3.4.4

Il CESE esprime particolare preoccupazione per il fatto che la normativa comunitaria mira a proteggere i diritti intellettuali e i diritti connessi degli autori, degli artisti, ecc., senza tuttavia tenere conto a sufficienza dei corrispondenti diritti degli utilizzatori e dei consumatori finali. In particolare, mentre si sostiene che le attività creative, artistiche ed imprenditoriali rappresentano in larga misura attività svolte da liberi professionisti e in quanto tali devono essere agevolate e protette, non viene adottato lo stesso approccio nei confronti degli utilizzatori. L'utilizzazione di un certo numero di opere intellettuali è autorizzata soltanto a titolo di deroga ai diritti esclusivi dei titolari, con limitazioni per gli utilizzatori; tuttavia, tali limitazioni non sono né del tutto chiare, né stabilite con precisione dalla legge, e i consumatori si scontrano con la legislazione in vigore quando si tratta di sapere quali sono le pratiche autorizzate.

Esito della votazione sull'emendamento:

Voti favorevoli

:

104

Voti contrari

:

61

Astensioni

:

36


29.10.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/40


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Armonizzazione delle dichiarazioni destinate ai consumatori nei prodotti cosmetici» (parere d’iniziativa)

2011/C 318/06

Relatore: OSTROWSKI

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 20 gennaio 2011, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema:

Armonizzazione delle dichiarazioni destinate ai consumatori nei prodotti cosmetici

(parere d’iniziativa).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 giugno 2011.

Alla sua 473a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2011 (seduta del 13 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 115 voti favorevoli e 7 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che un’adozione rapida di criteri comuni e di orientamenti pratici per le dichiarazioni destinate ai consumatori nei prodotti cosmetici sarà utile per le imprese che operano nel mercato interno, i consumatori e gli organismi di controllo.

1.2   Si compiace pertanto del fatto che la Commissione europea abbia avviato l’elaborazione di criteri comuni per le dichiarazioni in questione, e che gli orientamenti relativi a tali criteri comuni siano già in fase avanzata di preparazione.

1.3   In base al regolamento (CE) n. 1223/2009 sui prodotti cosmetici la Commissione dovrà presentare al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione concernente l’uso delle dichiarazioni sulla base dei criteri comuni adottati. Il CESE ritiene tuttavia che bisognerebbe ravvicinare la scadenza per la presentazione di tale relazione, attualmente prevista per luglio 2016.

1.4   Invita pertanto la Commissione ad accelerare l’adozione dei criteri comuni, in modo da permettere la preparazione della relazione almeno un anno prima.

1.5   In attesa che l’Organizzazione internazionale per la normazione (ISO) definisca i criteri per le dichiarazioni «verdi», il CESE invita la Commissione a considerare il ricorso a nuovi orientamenti per quanto riguarda le dichiarazioni commerciali relative al rispetto dei principi etici e dell’ambiente (ad esempio sul modello dei nuovi orientamenti presentati dal difensore civico dei consumatori danese).

2.   Osservazioni generali

2.1   Dichiarazioni relative ai cosmetici

2.1.1

Le dichiarazioni relative ai prodotti cosmetici sono affermazioni, solitamente di tipo pubblicitario, circa le funzioni di un determinato prodotto (cfr. R. Schueller and P. Romanowski, C&T, gennaio 1998). Può trattarsi di una parola, di una frase, di un paragrafo o semplicemente di un’affermazione implicita. Un esempio di questo tipo di dichiarazione è dato dalla frase: «riduce rughe e rughette in 10 giorni», oppure dall’espressione «anti invecchiamento». Altri esempi sono l’affermazione, nel caso di una tintura per capelli, «copertura del grigio al 100 %» oppure, in riferimento a un sondaggio presso i consumatori su uno shampoo antiforfora, «il 70 % delle donne intervistate afferma di essersi liberata della forfora dopo un solo lavaggio».

2.1.2

Le dichiarazioni e la pubblicità relativa ai prodotti, comprese altre forme di comunicazione destinata al marketing (complessivamente definite «dichiarazioni relative ai prodotti») sono strumenti essenziali per informare i consumatori sulle caratteristiche e le qualità dei prodotti e per aiutarli a scegliere il prodotto che più corrisponde alle loro esigenze e aspettative. Considerata la grande rilevanza dei prodotti cosmetici per i consumatori, è importante fornire a questi ultimi informazioni chiare, utili, comprensibili, comparabili e attendibili che consentano loro di compiere una scelta informata.

2.1.3

Le dichiarazioni relative ai prodotti sono anche strumenti essenziali per i fabbricanti di cosmetici, in quanto consentono loro di differenziare i loro prodotti da quelli dei concorrenti. Esse possono inoltre contribuire al funzionamento del mercato interno stimolando l’innovazione e promuovendo la concorrenza tra le aziende di cosmetica.

2.1.4

Affinché le dichiarazioni sui cosmetici siano adeguate al loro scopo, ossia conformi ai sopradescritti interessi dei consumatori e delle aziende produttrici, è importante disporre di un quadro efficiente che ne garantisca la veridicità e la non ingannevolezza e che tenga conto del contesto e degli strumenti di marketing utilizzati (a prescindere dal fatto che si tratti di stampati, di spot televisivi o di pubblicità che utilizza uno qualsiasi dei nuovi media, come ad esempio Internet o gli smart phone) per comunicarle.

2.2   La legislazione UE sulle dichiarazioni relative ai cosmetici

2.2.1

Entro luglio 2013 il regolamento (CE) n. 1223/2009 sui prodotti cosmetici sostituirà interamente la direttiva 76/768/CEE concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai prodotti cosmetici. Il nuovo regolamento intende innanzi tutto garantire un elevato grado di tutela dei consumatori e il buon funzionamento del mercato interno. Esso stabilisce che «i consumatori dovrebbero essere protetti da dichiarazioni ingannevoli in merito all’efficacia e ad altre caratteristiche dei prodotti cosmetici».

2.2.2

Detto regolamento riguarda soltanto i prodotti cosmetici ad esclusione dei medicinali, dei dispositivi medici e dei biocidi. Ai fini di tale regolamento per «prodotto cosmetico» si intende qualsiasi sostanza o miscela destinata ad essere applicata sulle superfici esterne del corpo umano oppure sui denti e sulle mucose della bocca allo scopo esclusivamente o prevalentemente di pulirli, profumarli, modificarne l’aspetto, proteggerli, mantenerli in buono stato o correggere gli odori corporei. Una sostanza o miscela destinata ad essere ingerita, inalata, iniettata o impiantata nel corpo umano non è considerata prodotto cosmetico.

Rientrano tra i cosmetici per esempio i prodotti per la cura dei capelli (shampoo, balsami ecc.), per la cura della pelle (lozioni per il corpo, creme per il viso, prodotti per le unghie ecc.), per l’igiene personale (prodotti per il bagno e per la doccia, dentifrici, deodoranti/antitraspiranti ecc.), i coloranti (tinture per capelli, trucco ecc.), le fragranze (profumi, eau de toilette ecc.).

2.2.3

L’articolo 20 del suddetto regolamento stabilisce che: «in sede di […] pubblicità dei prodotti cosmetici non vanno impiegati diciture, denominazioni, marchi, immagini o altri segni, figurativi o meno, che attribuiscano ai prodotti stessi caratteristiche o funzioni che non possiedono».

2.2.4

Per quanto riguarda le dichiarazioni ingannevoli relative ai cosmetici, occorre anche tenere conto degli articoli pertinenti della direttiva 2005/29/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell’11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno («direttiva sulle pratiche commerciali sleali»).

2.2.5

L’articolo 6 di detta direttiva stabilisce che «È considerata ingannevole una pratica commerciale che contenga informazioni false e sia pertanto non veritiera o in qualsiasi modo, anche nella sua presentazione complessiva, inganni o possa ingannare il consumatore medio, anche se l’informazione è di fatto corretta, riguardo […, fra le altre cose, …] le caratteristiche principali del prodotto, quali […] l’idoneità allo scopo, gli usi, […] i risultati che si possono attendere dal suo uso, o i risultati e le caratteristiche fondamentali di prove e controlli effettuati sul prodotto».

2.2.6

L’articolo 7 («Omissioni ingannevoli») della stessa direttiva ribadisce che «È considerata ingannevole una pratica commerciale che nella fattispecie concreta, tenuto conto di tutte le caratteristiche e circostanze del caso, nonché dei limiti del mezzo di comunicazione impiegato, ometta informazioni rilevanti di cui il consumatore medio ha bisogno in tale contesto per prendere una decisione consapevole di natura commerciale». Le principali caratteristiche di prodotto specificate in una dichiarazione vengono considerate informazioni rilevanti (in misura adeguata al mezzo di comunicazione utilizzato e al prodotto).

2.2.7

Nella pubblicità si devono inoltre rispettare le norme stabilite dalla direttiva 2006/114/CE concernente la pubblicità ingannevole e comparativa.

2.3   Pratiche attuali nel mercato interno

2.3.1

I casi giudiziari e regolamentari verificatisi negli ultimi tempi in Europa dimostrano che la legislazione sopracitata è interpretata in modo diverso dalle autorità dei vari Stati membri. Non esiste quindi un’interpretazione unificata delle norme sulle dichiarazioni relative ai cosmetici e ciò comporta un grave onere per le aziende cosmetiche che operano nel mercato comune, in quanto manca la certezza che una determinata pubblicità, legale, ad esempio, in Francia, non sarà contestata dalle autorità nazionali competenti ungheresi o britanniche. La maggior parte di questi casi si è conclusa con la comminazione di pesanti ammende alle aziende cosmetiche. Per esempio nel 2007 l’autorità ungherese per la concorrenza ha stabilito che, poiché i test clinici di taluni cosmetici erano stati eseguiti negli Stati Uniti o in Francia, non era lecito utilizzare in Ungheria dichiarazioni derivanti da tali test e contenenti affermazioni espresse in termini percentuali. Tale divieto si basa sulla convinzione che i tipi di pelle presenti in paesi e aree geografiche differenti sono diversi, e che pertanto le prove eseguite in condizioni climatiche e di umidità differenti, su donne con abitudini alimentari differenti, non forniscono ai consumatori ungheresi informazioni pertinenti sull’efficacia dei cosmetici. Finora nessun altro Stato membro dell’UE è giunto alle stesse conclusioni. Tra una zona e l’altra variano anche i requisiti relativi ai prodotti «naturali» o «biologici». Un’interpretazione differenziata della legge va anche a svantaggio dei consumatori, che possono essere tutelati meglio in uno Stato membro che in un altro.

2.3.2

Le differenze di interpretazione dovute alla mancanza di criteri comuni e di orientamenti pratici in materia di dichiarazioni sui prodotti fa sì che le industrie cosmetiche che operano nel mercato interno debbano rivedere e controllare per proprio conto ogni singola dichiarazione e messaggio pubblicitario in ciascuno Stato membro, onde assicurarsi che siano conformi alla legge del paese cui sono destinate. Nel far ciò, queste industrie sostengono notevoli costi aggiuntivi, che si potrebbero ridurre adottando degli orientamenti comuni per tutta l’UE. I risparmi che ne deriverebbero potrebbero essere utilizzati per finanziare l’innovazione e la ricerca o per abbassare i prezzi dei prodotti. Vale la pena di menzionare che il mercato cosmetico europeo è pari a quasi un terzo di quello mondiale, e che nell’UE ci sono oltre 4 000 produttori, che occupano direttamente e indirettamente 1 700 000 persone.

Il fatto che le aziende cosmetiche che operano nel mercato interno siano costrette a verificare e controllare ogni singola dichiarazione e comunicazione pubblicitaria in ciascuno Stato membro significa anche che in questo settore non esiste un mercato interno.

2.3.3

Le differenze di interpretazione dovute all’assenza di orientamenti comuni a tutta l’UE per le dichiarazioni sui cosmetici non giovano neppure ai consumatori, che non possono essere certi del significato esatto di una determinata dichiarazione quando comprano lo stesso prodotto in Stati membri diversi, e che quindi possono essere indotti in errore. Per esempio, in assenza di criteri comuni per i prodotti «naturali» o «biologici», i consumatori avranno delle incertezze circa le effettive qualità dei prodotti. Oggi inoltre, grazie ai servizi on-line, i consumatori possono facilmente fare acquisti transfrontalieri. Prodotti differenti, in paesi differenti, sono a portata di click. Se in un determinato paese la descrizione di un prodotto anticellulite afferma, senza ulteriori indicazioni, che esso «riduce gli inestetismi della cellulite in soli 10 giorni», mentre in un altro paese la stessa affermazione viene integrata dalla precisazione «associato a un regolare esercizio fisico e a una dieta appropriata», i consumatori avranno delle perplessità sulla reale efficacia del prodotto. Un altro motivo per cui sono necessari criteri comuni per le dichiarazioni sui cosmetici è il fatto che i consumatori devono avere la possibilità di comparare prodotti diversi della stessa categoria (ad esempio due creme per il viso). Per far ciò, bisogna che le dichiarazioni siano facilmente verificabili sulla base di criteri comuni. Soltanto dichiarazioni chiare, concrete e basate su metodi accettati da tutti consentono ai consumatori di comparare i prodotti e scegliere con cognizione di causa il prodotto più consono alle loro esigenze,

2.4   Necessità di orientamenti pratici comuni nell’UE

2.4.1

Ai sensi dell’articolo 20 del regolamento sui prodotti cosmetici, la Commissione, in cooperazione con gli Stati membri e dopo aver consultato il Comitato scientifico della sicurezza dei consumatori (CSSC) o altre autorità pertinenti, stabilisce un piano d’azione e adotta un elenco di criteri comuni per le dichiarazioni che possono essere utilizzate riguardo ai prodotti cosmetici, tenendo conto delle disposizioni della direttiva sulle pratiche commerciali sleali.

2.4.2

La Commissione ha iniziato l’anno scorso a elaborare criteri comuni sulle dichiarazioni relative ai cosmetici, e sta attualmente lavorando con le parti in causa (autorità nazionali, associazioni dei consumatori, industria dei cosmetici, industrie fornitrici, PMI ecc.). Il Comitato si compiace dei progressi realizzati grazie a tale collaborazione; l’elaborazione degli orientamenti è già in fase avanzata.

2.4.3

Entro l’11 luglio 2016, la Commissione presenterà al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione concernente l’uso delle dichiarazioni sulla base dei criteri comuni adottati. Se la relazione conclude che le dichiarazioni utilizzate relativamente ai prodotti cosmetici non sono conformi ai criteri comuni, la Commissione adotterà misure adeguate e più severe per assicurare la conformità in cooperazione con gli Stati membri. In tal caso la Commissione dovrà forse ripensare la portata degli orientamenti e passare da un approccio generico a uno più dettagliato (ad esempio un’azione legislativa, come avvenuto nel caso delle indicazioni nutrizionali sui prodotti alimentari).

2.4.4

Il CESE sostiene caldamente l’idea di introdurre criteri comuni che forniscano un quadro armonizzato a livello europeo inteso a disciplinare l’uso delle dichiarazioni su tutti i prodotti cosmetici. Questi criteri dovranno essere applicati a tutte le dichiarazioni relative ai prodotti cosmetici, siano esse di tipo primario o secondario, qualunque sia il mezzo di comunicazione utilizzato, e consentiranno di adeguare le specifiche al prodotto, al relativo imballaggio, alle dichiarazioni e al contesto, senza ridurre l’innovazione e garantendo al tempo stesso che siano rispettate le stesse norme.

2.4.5

Il CESE ritiene tuttavia che la Commissione dovrebbe accelerare questo processo. Se l’elaborazione dei criteri comuni ha effettivamente già raggiunto una fase avanzata, la Commissione dovrebbe cercare, a giudizio del CESE, di farli entrare in vigore all’inizio del 2012, in modo da poter presentare la relazione al Parlamento europeo ben prima del 2016.

2.4.6

Nella fase attuale, gli orientamenti della Commissione in merito ai criteri comuni non fanno riferimento alle dichiarazioni «verdi». Tale questione è attualmente in discussione a livello dell’ISO. Tuttavia in questo momento è difficile dire se le norme che verranno concordate si presteranno ad essere impiegate nell’UE, e quando saranno disponibili. Nel frattempo il CESE invita quindi la Commissione europea a considerare il ricorso a nuovi orientamenti per quanto riguarda le dichiarazioni commerciali relative al rispetto dei principi etici e ambientali (ad esempio sul modello dei nuovi orientamenti presentati dal difensore civico dei consumatori danese).

2.4.7

Il CESE ritiene che le dichiarazioni relative ai prodotti cosmetici debbano essere suffragate da studi scientifici oggettivi (ad esempio di carattere clinico) o da ricerche concernenti le percezioni soggettive dei consumatori. Tali studi e ricerche dovrebbero tuttavia soddisfare determinati criteri comunemente accettati (numero di consumatori consultati, adeguata rappresentanza ecc) onde evitare che risultino fuorvianti per i consumatori.

Bruxelles, 13 luglio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


29.10.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/43


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Le strategie di uscita dalla crisi e le trasformazioni industriali nell'UE: posti di lavoro più precari o più sostenibili?» (parere d'iniziativa)

2011/C 318/07

Relatore: SIECKER

Correlatore: POP

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 15 luglio 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Le strategie di uscita dalla crisi e le trasformazioni industriali nell'UE: posti di lavoro più precari o più sostenibili?

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 giugno 2011.

Alla sua 473a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2011 (seduta del 13 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 123 voti favorevoli, 5 voti contrari e 6 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il presente parere cerca di rispondere alla domanda su quale sia per l'industria europea il modo migliore per uscire dalla crisi. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) è convinto che a tal fine siano necessari posti lavoro sostenibili. Vale a dire, posti di lavoro che consentano ai cittadini di produrre un reddito in un ambiente lavorativo sano e sicuro e in un contesto in cui i diritti dei lavoratori siano riconosciuti e vi sia spazio per un dialogo sociale proficuo. Si tratta di posti di lavoro altamente produttivi che creano valore aggiunto sul piano dell'innovazione, della qualità, dell'efficienza e della produttività, consentendo all'Europa di realizzare una crescita economica stabile e di rimanere competitiva rispetto alle altre regioni del mondo.

1.2   Il Comitato ritiene che la condizione principale per creare nuovi posti di lavoro sia una crescita economica stabile e duratura. Il Comitato si compiace che alcune istituzioni e organizzazioni abbiano presentato delle proposte per uscire dalla crisi economica nelle quali si tiene conto della dimensione sociale della ripresa. La strategia Europa 2020, con le «iniziative faro» della Commissione europea e le raccomandazioni per la politica in materia di occupazione formulate dalle parti sociali europee, danno un contributo in questo senso, ma anche il Consiglio dell'Unione europea, il Parlamento europeo, l'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) e il Fondo monetario internazionale (FMI) hanno espresso raccomandazioni che non si limitano a considerare gli interessi economici.

1.3   Il Comitato constata che le imprese ricorrono a diverse forme di impiego, le quali portano a nuove tipologie occupazionali. Tra queste vi sono anche impieghi precari nel cui ambito i lavoratori sono assunti con contratti temporanei, poco retribuiti, con scarsi livelli di protezione sociale e senza tutela dei diritti. Tuttavia, non tutti gli impieghi a carattere temporaneo sono precari: con le prestazioni a contratto, i lavoratori autonomi altamente qualificati se la cavano ottimamente sul mercato del lavoro. È però innegabile che l'impiego temporaneo sia per definizione precario quando si tratta di lavoro poco o per nulla qualificato nel settore della produzione e dei servizi. La flessicurezza può essere una risposta alle esigenze di lavoro flessibile da parte delle imprese, ma soltanto a condizione che sia associata a un livello di sicurezza paragonabile a quello offerto da un impiego fisso, come ha fatto notare il Comitato in un parere già adottato in materia di flessicurezza (CCMI/066).

1.4   Se si considerano le tendenze demografiche (invecchiamento della popolazione attiva e diminuzione del numero di giovani che entrano sul mercato del lavoro) e i rapidi cambiamenti tecnologici nei processi produttivi, è evidente che sull'Europa grava la minaccia di una forte carenza di manodopera qualificata. È pertanto essenziale che tutti abbiano e continuino ad avere accesso al mercato del lavoro e che nessuno ne rimanga escluso. Il Comitato sottolinea che i lavoratori devono avere la possibilità di mantenere a un buon livello le loro competenze e le loro qualifiche professionali, nonché di acquisire nuove capacità durante la loro vita lavorativa. In questo modo i lavoratori potranno adeguarsi ai mutamenti del loro ambiente lavorativo, e si potrà soddisfare la domanda di manodopera qualificata sul mercato del lavoro. Organizzare questo processo in maniera adeguata ed efficace è uno dei compiti più importanti che l'UE deve assolvere per rimanere competitiva sul piano mondiale.

1.5   Il Comitato ritiene che i lavoratori debbano avere accesso, in particolare, a programmi di formazione professionale. Poiché dalle ricerche risulta che i lavoratori che hanno maggiore bisogno di formazione sono spesso quelli che fanno meno ricorso a tali programmi, occorre adottare misure diverse per le diverse categorie di lavoratori.

1.5.1   Una parte consistente del bilancio dovrebbe essere destinata ai lavoratori meno qualificati poiché sono questi ad avere maggiore bisogno di formazioni supplementari. Ciò potrebbe avvenire attraverso l'assegnazione, al singolo lavoratore, di una dotazione finanziaria per la formazione il cui importo sia inversamente proporzionale al livello di istruzione, in modo tale che la maggior parte del denaro sia disponibile per i lavoratori meno qualificati.

1.5.2   Per i lavoratori anziani è necessario adottare una politica del personale più attenta agli aspetti legati all'età. Mentre in molti Stati membri dell'UE l'età pensionabile viene innalzata, numerosi lavoratori anziani perdono il lavoro già prima di raggiungere l'età pensionabile attualmente in vigore, perché ad esempio non sono in grado di tenersi al passo con gli sviluppi. Una formazione mirata e specifica potrebbe contribuire a risolvere questo problema.

1.5.3   È importante che la formazione e il perfezionamento professionale siano efficaci. Diversi Stati membri hanno sperimentato nuovi metodi di formazione più efficaci e stanno riscoprendo in particolare l'importanza dell'apprendimento sul posto di lavoro. Il Comitato sottolinea l'importanza di sviluppare questo tipo di percorsi e invita la Commissione a incoraggiarli garantendo lo scambio delle buone pratiche in questo campo.

1.5.4   Durante l'esercizio delle loro mansioni i lavoratori acquisiscono conoscenze ed esperienze informali ma preziose. Le competenze maturate in tal modo non sono sufficientemente riconosciute poiché non sono attestate da un diploma ufficiale. In diversi Stati membri è in corso di elaborazione un sistema per il riconoscimento delle competenze acquisite, un'iniziativa questa che merita anch'essa l'approvazione e il sostegno da parte della Commissione.

1.5.5   Su iniziativa della DG Istruzione e cultura sono stati messi a punto diversi strumenti volti a promuovere a livello europeo la trasparenza delle qualifiche e la qualità dell'istruzione e della formazione nel quadro dell'apprendimento lungo tutto l'arco della vita (1). Per il momento tali strumenti vengono applicati soprattutto nel campo dell'insegnamento, al fine di aumentare la mobilità e l'occupabilità degli studenti all'interno dell'Europa. Il Comitato sottolinea l'importanza di questi strumenti e chiede alla Commissione di esaminare in che modo essi possano essere applicati anche per aumentare la mobilità e l'occupabilità dei lavoratori dell'Unione europea.

1.5.6   Per agevolare la realizzazione di questo tipo di misure sono disponibili diversi strumenti. Alcuni di questi programmi possono essere inquadrati nei contratti collettivi, e il finanziamento può avvenire a livello di Stati membri attraverso la concessione di incentivi finanziari, ad esempio sotto forma di sgravi fiscali. L'Unione europea può contribuire grazie ad un cofinanziamento proveniente dai fondi strutturali ma anche agevolando la diffusione di buone pratiche tra le istituzioni interessate a livello di UE e di Stati membri.

1.5.7   Il Comitato sottolinea che i lavoratori non solo hanno diritto ad accedere ai programmi di formazione professionale ma hanno anche bisogno di sicurezza per quanto riguarda il reddito e la protezione sociale per poter esercitare la propria attività in maniera ottimale e senza paura del futuro in una società in rapida trasformazione.

1.6   L'UE ambisce a diventare un'economia competitiva basata sulla conoscenza con maggiori e migliori posti di lavoro e una più forte coesione sociale. Il Trattato di Lisbona stabilisce con grande chiarezza che l'UE intende raggiungere questo obiettivo, tra l'altro, combattendo l'esclusione sociale, promuovendo il progresso economico e sociale dei cittadini e garantendo i diritti sociali sanciti nella Carta sociale europea del 1961, nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989 e nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea del 2000.

1.7   Il Comitato esorta le istituzioni europee a garantire l'applicazione degli standard sociali europei con maggiore convinzione. L'inerzia a questo riguardo ha portato tra l'altro a un aumento del numero di lavoratori poveri, a un incremento delle disuguaglianze, a una sempre maggiore paura del futuro e, nel contempo, a una diminuzione della fiducia negli altri, nelle istituzioni di previdenza sociale e nei poteri pubblici. E questo non riguarda soltanto i governi nazionali ma anche le istituzioni europee, come dimostra l'aumento dell'euroscetticismo in diversi Stati membri.

1.8   Negli Stati membri sono in corso numerose iniziative riguardanti i problemi in esame, alcune delle quali sono descritte in un documento allegato al presente parere. Gli esempi in esso riportati sono forniti dai membri della CCMI e dimostrano che si tratta di un ambito molto dinamico ma anche che vi sono notevoli differenze tra i diversi paesi e i diversi settori. È quindi indispensabile uno scambio di esperienze e di buone pratiche a livello operativo. Quali iniziative funzionano, e quali invece no? Quali sono i fattori critici? Il Comitato raccomanda pertanto alla Commissione di promuovere e agevolare lo scambio di esperienze e di buone pratiche.

2.   Il punto della situazione

2.1   L'economia è alle prese con una crisi che dura ormai da tre anni. Tutto è iniziato con una crisi dei mercati finanziari provocata dalla stagnazione del mercato immobiliare negli Stati Uniti. In seguito alla crisi finanziaria, nella seconda metà del 2008 anche l' «economia reale» ha subito un brusco rallentamento. L'espressione «crisi creditizia» non permette di cogliere l'ampiezza del fenomeno. Non si è trattato infatti esclusivamente di una minore disponibilità di liquidità e (a più lungo termine) di capitali, ma anche di una crisi strutturale e generale di fiducia nei confronti del settore finanziario.

Il presente parere di iniziativa non verte sulla crisi, ma cerca piuttosto di rispondere alla domanda su quale sia per l'industria europea il modo migliore per uscirne.

2.2   Tra il 2009 e il 2010 sono andati persi in Europa complessivamente 3,25 milioni di posti di lavoro, soprattutto nell'industria e nell'agricoltura. Già prima dello scoppio della crisi, l'evoluzione demografica nell'UE era motivo di preoccupazione. Infatti, quando la generazione del boom demografico del secondo dopoguerra andrà in pensione, vi sarà a breve termine una forte necessità di manodopera ben qualificata. Poiché la crisi ha accelerato l'uscita dei lavoratori più anziani dal mercato del lavoro, la questione del turnover è diventata ancora più urgente. A tale proposito si pongono due problemi. Il primo è di ordine quantitativo: in alcuni Stati membri e in diversi settori industriali il numero di giovani qualificati che arrivano sul mercato del lavoro non basta a soddisfare la domanda. Il secondo è di ordine qualitativo: il modo brusco nel quale avviene il turnover impedisce il trasferimento delle conoscenze all'interno delle imprese.

2.3   La condizione principale per creare nuovi posti di lavoro è una crescita economica stabile e duratura. Dall'inizio del 2010 si osservano timidi segni di ripresa, con un lieve incremento della produzione in alcuni settori e una cauta crescita della domanda di manodopera, anche se la situazione varia da uno Stato membro all'altro. Per effetto della globalizzazione la società è in rapido cambiamento, e lo stesso vale per il mercato del lavoro. Le imprese ricorrono a diverse forme di impiego, il che porta a sempre nuove tipologie occupazionali, in particolare di tipo precario. Dall'ultima indagine condotta da Eurofound sulle condizioni di lavoro in Europa emerge che, sebbene l'impiego a tempo indeterminato rappresenti ancora la norma per la maggior parte dei lavoratori, la quota di rapporti di lavoro a carattere temporaneo è in aumento (2). I principali strumenti per eludere i contratti collettivi risultano essere il subappalto, l'esternalizzazione e il falso lavoro autonomo a condizioni inferiori ai livelli minimi. In questi ultimi anni tali modelli hanno trovato sempre più diffusa applicazione.

3.   Come si è arrivati a tale situazione

3.1   Il modello sociale europeo è un modello di capitalismo sociale unico nel suo genere, che si è sviluppato in Europa nel secondo dopoguerra e ha permesso di combattere con successo gli eccessi del capitalismo, mantenendone al tempo stesso i punti di forza. Questo modello ha ispirato gli Stati europei a costruire una società caratterizzata dalla coesione, dalla solidarietà e dalla competitività. Il suo obiettivo deve essere quello di creare uno spazio di benessere per tutti i cittadini europei che sia democratico, rispettoso dell'ambiente, competitivo, solidale e basato sull'integrazione sociale.

3.2   Questo principio si ritrova nel Trattato di Lisbona, nel quale, oltre a sancire una serie di diritti economici e di disposizioni in materia di concorrenza leale nel mercato interno, l'UE promette ai cittadini anche di:

combattere l'esclusione sociale,

promuovere con determinazione il loro progresso economico e sociale,

garantire i diritti sociali sanciti nella Carta sociale europea del 1961, nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989 e nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea,

favorire lo sviluppo del massimo livello possibile di conoscenza attraverso un ampio accesso all'istruzione,

garantire l'applicazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento tra uomini e donne in materia di occupazione e impiego, ivi compreso il principio della parità delle retribuzioni per uno stesso lavoro o per un lavoro di pari valore all'interno della stessa impresa o nel quadro dello stesso contratto collettivo.

3.3   La realtà presenta però un quadro ben diverso. Nuovi posti di lavoro vengono effettivamente creati, ma si tratta per lo più di impieghi temporanei, saltuari, poco retribuiti, con scarsa sicurezza sociale e scarsa protezione dei diritti dei lavoratori. Di per sé, è comprensibile che i datori di lavoro non offrano subito impieghi a tempo indeterminato ai lavoratori mentre l'economia comincia lentamente a uscire da un periodo di crisi. In questo modo si può anzi completare utilmente l'offerta occupazionale e contribuire nel contempo alla lotta contro l'esclusione sociale, poiché si offre un impiego a categorie che altrimenti non avrebbero accesso al mercato del lavoro. Questo non deve però portare allo sfruttamento dei lavoratori: se la ripresa si consolida e il fabbisogno di manodopera si rivela strutturale, tali posti dovrebbero anche essere convertiti in contratti che garantiscano effettivamente un livello ragionevole di reddito, di sicurezza sociale e di tutela dei diritti.

3.4   La cosa ancora più grave è che anche i posti di lavoro permanenti con condizioni dignitose vengono trasformati in impieghi precari, basati su contratti a tempo con scarsi livelli di sicurezza sociale e di tutela dei diritti. E ciò avviene non solo nel settore privato ma anche in quello pubblico. Questa tendenza è in contrasto con le promesse in materia di coesione sociale fatte ai cittadini nel Trattato di Lisbona. Se è vero che non tutti gli impieghi a carattere temporaneo sono precari - con le prestazioni a contratto i lavoratori autonomi altamente qualificati se la cavano infatti ottimamente sul mercato del lavoro -, è anche innegabile che l'impiego temporaneo sia per definizione precario quando si tratta di lavoro poco o per nulla qualificato nel settore della produzione e dei servizi (3).

3.5   Sotto molti punti di vista l'Europa è ancora ai primi posti nel mondo in fatto di prosperità, protezione sociale e capacità concorrenziale, ma abbiamo perso terreno rispetto al nostro passato e anche rispetto ad altre economie. Come emerge da uno studio realizzato dall'OCSE nel 2008, si registra infatti un aumento della povertà e della disparità nella distribuzione del reddito, oltre che dei tagli ai servizi pubblici (4).

3.6   Nel 2003 Eurostat ha aggiunto la categoria dei «lavoratori poveri» al set europeo di indicatori sociali. Nel 2008, nell'UE-27 la quota di lavoratori che rientravano in questa categoria era dell'8,6 %. Questo dato è dovuto tra l'altro al fatto che il numero di posti di lavoro fissi e dignitosi diminuisce, mentre aumenta la percentuale di impieghi instabili e precari. Tale andamento suscita una diffidenza crescente tra i cittadini, e in una società improntata alla diffidenza e lacerata da conflitti sociali non vi è spazio per una crescita economica stabile e duratura.

3.7   Negli ultimi decenni le disuguaglianze materiali sono aumentate in misura notevole. In uno dei suoi ultimi libri (5) Judt fornisce alcuni esempi che illustrano bene questa situazione. Nel Regno Unito le disuguaglianze non sono mai state così profonde dagli anni '20 del secolo scorso; il numero di bambini poveri in questo paese è superiore a quello di qualsiasi altro Stato membro dell'UE; la maggior parte dei nuovi posti di lavoro sono retribuiti molto bene o molto male; e, dal 1973, in nessun altro paese la disparità di retribuzione è aumentata così tanto come in Gran Bretagna.

Negli Stati Uniti, nel 1968 l'amministratore delegato di General Motors guadagnava 66 volte più del salario medio della sua società, mentre nel 2009 il suo omologo di Walmart ha riscosso uno stipendio pari a 900 volte il salario medio dei suoi lavoratori. Questo esempio illustra gli estremi, ma i valori medi riflettono la medesima situazione. Nel 1965 i direttori di grandi società statunitensi guadagnavano 24 volte più del salario medio dell'impresa, mentre nel 2007 il loro stipendio era pari a 275 volte tanto (6).

3.8   I costi sociali di una disparità crescente sono ingenti. Una ricerca realizzata da Wilkinson e Pickett (7) dimostra che una società nella quale le disuguaglianze materiali sono relativamente elevate ottiene, in quasi tutti gli altri aspetti della vita quotidiana, risultati peggiori rispetto a una società nella quale le disparità materiali sono relativamente ridotte. I cittadini godono di salute meno buona e vivono meno a lungo, inoltre il tasso di criminalità è più elevato e - soprattutto - si riscontra una perdita di fiducia negli altri e nella società. Alla fine, questa situazione porta i cittadini a rivoltarsi contro i poteri pubblici, siano essi il governo nazionale o quello europeo, come dimostra l'aumento dell'euroscetticismo in un numero crescente di Stati membri. Ciò mina la fiducia che gli interlocutori sociali ripongono in se stessi come anche quella tra le parti sociali.

4.   Quali sono i nostri obiettivi?

4.1   I mutamenti economici avvengono con un ritmo sempre più serrato, e questo fenomeno, associato ai problemi demografici che ci troviamo ad affrontare, impone misure rapide e radicali. La società non giunge mai a uno «stato compiuto»: è in continua evoluzione, e il mercato del lavoro deve adattarsi di conseguenza. Tuttavia, gli interessi economici non sono i soli a svolgere un ruolo nel riassetto del mercato del lavoro: occorre tenere conto anche di quelli sociali. La sfida consiste quindi nel trovare un modo di organizzare il mercato del lavoro che sia vantaggioso per l'intera società.

4.2   In tutte le istituzioni interessate sembra esservi un consenso sulla direzione da seguire per riformare il mercato del lavoro. Il Consiglio dell'Unione europea ha presentato proposte di orientamenti per le politiche in materia di occupazione (8) nelle quali viene riservata notevole attenzione agli aspetti sociali. Il Consiglio dei ministri del Lavoro ha sottolineato i vantaggi che offre l'organizzazione della flessibilità all'interno dell'impresa rispetto alla definizione di condizioni di flessibilità esterne. Il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione in cui invita l'UE a elaborare una strategia per la creazione di posti di lavoro «verdi». Oltre a essere utile per un futuro sostenibile, questa strategia costringe l'Europa anche ad avanzare sulla strada dell'innovazione (9). A tale riguardo il Comitato ha già adottato alcuni pareri (10). Per parte sua, anche il Parlamento europeo ha adottato a larga maggioranza una risoluzione sui contratti atipici che si esprime a favore dei posti di lavoro permanenti e contro la trasformazione di questi ultimi in impieghi precari (11).

4.3   Nel quadro della strategia Europa 2020, la Commissione europea ha lanciato una serie di «iniziative faro» contenenti proposte concrete al riguardo. Ad esempio, nell'iniziativa «Una politica industriale per l'era della globalizzazione» si mira a favorire la creazione di posti di lavoro di qualità e altamente produttivi, mentre sia in «Youth on the Move» che in «Un'agenda per nuove competenze e nuovi posti di lavoro» la Commissione si esprime a favore del «contratto unico». Con questa nuova forma di contratto si vuole combattere la divisione esistente sul mercato del lavoro consentendo alle persone che vi si affacciano di acquisire diritti sociali dopo un ragionevole periodo di prova, dando loro accesso a sistemi basati su contratti collettivi stipulati tra le parti sociali o sulla legislazione.

4.4   Le stesse parti sociali europee sono d'accordo, in linea di massima, sulla politica da seguire. Sia nel 2007 (12) che nel 2010 (13) Business Europe, la Confederazione europea dei sindacati (CES/ETUC), l'Unione europea artigianato e piccole e medie imprese (Ueapme) e il Centro europeo delle imprese a partecipazione pubblica e delle imprese di interesse economico generale (CEEP) hanno pubblicato delle relazioni nelle quali raccomandano che la politica in materia di occupazione tenga conto non solo degli interessi economici ma anche di quelli sociali.

4.5   In occasione di un convegno svoltosi nel settembre 2010 a Oslo, il Fondo monetario internazionale (FMI) e l'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) hanno sottolineato che porre fine agli altissimi livelli di disoccupazione attuali è fondamentale non solo dal punto di vista economico ma anche sotto il profilo della coesione sociale. Secondo l'FMI, in futuro dovremo evitare che un'intera generazione corra di nuovo il rischio di restare esclusa dal mercato del lavoro. L'OIL ha definito fin dal 1999 la sua Agenda per il lavoro dignitoso nel mondo, volta a consentire alle persone di lavorare in condizioni di libertà, uguaglianza, sicurezza e dignità. Nel giugno 2009 l'OIL ha adottato il «patto globale per l'occupazione»: una nuova iniziativa volta a stimolare la ripresa economica e il mantenimento dei posti di lavoro. Nella sua ultima pubblicazione in materia di occupazione (14), l'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) invoca una politica tesa a prevenire la disoccupazione massiccia e di lunga durata.

4.6   Il principio fondamentale è naturalmente che l'Europa deve rimanere competitiva rispetto alle altre regioni del mondo, e ciò è possibile soltanto se si punta sull'istruzione, sulla conoscenza, sull'innovazione, sulla qualità, sull'efficienza e sulla produttività. È semplicemente impossibile che l'UE possa competere con paesi come la Cina, l'India e il Brasile sul piano del costo del lavoro. Ciò può avvenire solo con una forte revisione al ribasso delle condizioni di lavoro nell'UE, il che è in contrasto con l'ambizione di fare dell'Unione un'economia competitiva basata sulla conoscenza, con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale. Oltre a impegnarsi in ulteriori sforzi sul fronte della ricerca e dello sviluppo, l'UE potrebbe incoraggiare e sostenere gli investimenti nella formazione, dato che la responsabilità per i percorsi di formazione generale è dell'istruzione pubblica mentre quella per la formazione professionale mirata è delle parti sociali e dei poteri pubblici.

4.7   L'importanza dei percorsi di formazione professionale mirata è sottovalutata. Questi percorsi formativi rimangono spesso limitati ai lavoratori giovani e a quelli che hanno già raggiunto livelli formativi relativamente elevati. Nell'UE-27 questo tipo di formazioni sono seguite dal 57,6 % dei lavoratori più qualificati e dal 28,4 % di quelli meno qualificati. I paesi che si collocano al vertice e in fondo alla classifica sono, rispettivamente, la Svezia (con il 91 % e il 57,6 %) e la Romania (con il 14 % e il 3,9 %) (15). I percorsi formativi devono essere rivolti anche e soprattutto alle persone con livelli di qualifica più bassi, agli anziani, alle donne e agli immigrati, per tornare a offrire una speranza di trovare e mantenere un posto sul mercato del lavoro anche a queste categorie di lavoratori. Un'efficace misura di stimolo potrebbe essere l'assegnazione, al singolo lavoratore, di una dotazione finanziaria per la formazione il cui importo sia inversamente proporzionale al livello formativo. La disoccupazione colpisce soprattutto le persone meno qualificate e i lavoratori con competenze obsolete, nei settori tradizionali in via di sparizione. Senza uno sforzo formativo supplementare non è possibile offrire loro la prospettiva di un impiego in un altro settore economico più moderno. E se non facciamo in modo che queste persone si reinseriscano nel mercato del lavoro, ci troveremo ben presto con una carenza di lavoratori qualificati a tutti i livelli di tale mercato.

4.8   Alla situazione dei lavoratori più anziani non viene riservata la dovuta attenzione. Mentre in molti Stati membri dell'UE l'età pensionabile viene innalzata, numerosi lavoratori anziani perdono il lavoro prima di raggiungere l'età pensionabile attualmente in vigore, sia perché non sono più in grado di adattarsi alle evoluzioni rapide dei processi produttivi, sia perché il lavoro a turni diventa problematico con l'avanzare dell'età. Affinché anche questi lavoratori più anziani possano continuare a lavorare in buone condizioni di salute, è necessario adottare una politica del personale mirata e più attenta agli aspetti legati all'età. Molti di questi problemi possono essere attenuati attraverso corsi di formazione mirati e specifici. Anche in questo caso, tuttavia, i dati di Eurostat (16) mostrano che tra i lavoratori più anziani la partecipazione ai percorsi di formazione professionale è molto inferiore a quella dei lavoratori più giovani (il 20,9 % nella fascia di età compresa tra i 55 e i 64 anni contro il 44,2 % in quella tra i 25 e i 43 anni).

4.9   L'istruzione e la formazione hanno senso soltanto se i programmi sono efficaci e se i lavoratori che li seguono acquisiscono effettivamente le competenze necessarie per adeguarsi a un mercato del lavoro in rapida trasformazione. L'istruzione teorica impartita in maniera classica, lontano dal mondo del lavoro, come quella che viene ancora troppo spesso proposta nella pratica, deve essere integrata in particolare da tirocini all'interno delle imprese. In questi ultimi anni diversi Stati membri hanno sperimentato nuovi metodi di formazione sul posto di lavoro più efficaci e orientati alla pratica. Di recente il Cedefop ha svolto un'indagine sugli effetti dell'apprendimento sul lavoro (17). La diffusione e promozione di questo tipo di percorsi formativi andrebbero vivamente incoraggiate.

4.10   I lavoratori non apprendono soltanto seguendo percorsi di formazione formale, essi acquisiscono anche conoscenze ed esperienze, informali ma comunque preziose, durante l'esercizio delle loro mansioni. Le competenze acquisite in tal modo non sono sufficientemente riconosciute poiché non sono certificate e quindi attestate da un diploma ufficiale riconosciuto. Questa situazione limita la mobilità dei lavoratori: finché essi mantengono il loro vecchio impiego non ci sono problemi, ma la loro possibilità di cambiare lavoro è limitata dal fatto che non possono far valere le loro qualifiche informali per accedere a un nuovo impiego. Le possibilità offerte dai sistemi per il riconoscimento delle competenze acquisite sono già state esaminate in numerosi studi, svolti tra gli altri dall'OCSE (18) e dal Cedefop (19). La maggior parte degli Stati membri sta lavorando per creare un sistema volto a valutare e a riconoscere i risultati dell'apprendimento informale e non formale, ma finora soltanto in un ristretto numero di essi si è arrivati a risultati concreti (20). Questa iniziativa merita maggiore riconoscimento e sostegno.

4.11   Su iniziativa della DG Istruzione e cultura sono stati messi a punto diversi strumenti volti a promuovere a livello europeo la trasparenza delle qualifiche e la qualità dell'istruzione e della formazione nel quadro dell'apprendimento lungo tutto l'arco della vita (21). Tali strumenti vengono applicati per il momento soprattutto nel campo dell'insegnamento per aumentare la mobilità e l'occupabilità degli studenti all'interno dell'Europa. Il Comitato sottolinea l'importanza di questi strumenti e chiede alla Commissione di esaminare in che modo essi possano essere applicati anche per aumentare la mobilità e l'occupabilità dei lavoratori dell'Unione europea.

4.12   Un datore di lavoro che investe nei lavoratori organizzando incontri di formazione durante l'orario di lavoro e sostenendo tutte le spese ivi connesse può chiedere ai lavoratori di studiare durante il tempo libero se la materia richiede uno studio al di fuori del tempo di formazione. Un programma di formazione di questo tipo, che non sia incentrato solo sull'esecuzione di una mansione specifica ma che fornisca anche delle qualifiche che consentano una più ampia occupabilità all'interno dell'impresa o sul mercato del lavoro, rappresenta il modo migliore di prepararsi al futuro in un mondo in rapida trasformazione. Esso offre vantaggi sia per i datori di lavoro che per i lavoratori: ai primi consente di disporre di personale qualificato e motivato, mentre ai secondi offre una posizione forte sul mercato del lavoro. Questo approccio deve essere riavviato con la massima sollecitudine, poiché i dati recenti indicano che, ormai da alcuni anni, il processo di apprendimento lungo tutto l'arco della vita è entrato in una fase di stallo (22).

5.   Come raggiungere tale obiettivo?

5.1   Le imprese hanno bisogno di sicurezza se vogliono investire a lungo termine, ad esempio in nuovi sviluppi. In Germania lo sviluppo di nuove tecnologie nel settore delle energie rinnovabili è stato molto più rapido rispetto agli altri paesi europei perché il governo tedesco ha varato un programma di sostegno pluriennale che ha dato agli imprenditori operanti in tale settore la sicurezza che si tratta di uno sviluppo strutturale che beneficerà di sostegni e incentivi governativi per diversi anni. Grazie a questa politica la Germania è diventata un paese leader del settore, e l'occupazione in questo comparto è salita da meno di 70 000 a circa 300 000 addetti nel giro di dieci anni.

5.2   Non sono soltanto le imprese ad avere bisogno di sicurezza: anche i lavoratori ne hanno bisogno per quanto riguarda il reddito, la protezione sociale e la formazione. Questi principi rappresentano i valori centrali del modello sociale europeo sviluppatosi nel secondo dopoguerra in Europa. I lavoratori con un buon livello di formazione hanno la certezza di un reddito poiché la loro qualifica offre loro accesso al mercato del lavoro e la sicurezza di un impiego dignitoso. I lavoratori che, loro malgrado, si ritrovano disoccupati hanno bisogno di protezione sociale per seguire corsi di riqualificazione, perfezionamento e aggiornamento in modo da potersi reinserire altrove. Infine, ogni lavoratore deve avere la certezza di potere accedere a programmi di formazione che gli consentano di realizzare le sue eventuali ambizioni personali sul piano della carriera e del reddito. L'unico modo per garantire la sopravvivenza del modello sociale europeo in un mercato globalizzato è quello di disporre di una popolazione attiva motivata, qualificata, responsabile e flessibile. Il prezzo da pagare in cambio è che questa popolazione attiva deve beneficiare della sicurezza legata ai valori fondamentali del modello sociale europeo.

5.3   D'altronde i lavoratori non fruiscono mai contemporaneamente di tutte e tre queste forme di sicurezza. Inoltre, a lungo termine i costi di queste forme di sicurezza finiscono sempre per ripagarsi. Se domanda e offerta sul mercato del lavoro sono armonizzate meglio grazie al fatto che i programmi formativi consentono alle persone di seguire corsi di riqualificazione, perfezionamento e aggiornamento, il tasso di disoccupazione di lunga durata sarà inferiore.

5.4   La flessicurezza, concertata con le parti sociali, può essere uno strumento importante nel segmento del mercato del lavoro nel quale la domanda di flessibilità è sensata, comprensibile e giustificata (23). L'introduzione di nuove tipologie occupazionali può avere maggiori possibilità di successo se esse sono basate su contratti collettivi elaborati di comune accordo dalle parti sociali. Ciò può avvenire soltanto in un clima fondato sulla fiducia. La società non è la sola ad avere subito mutamenti profondi, anche i lavoratori sono cambiati. Attualmente non tutti sono alla ricerca di un posto di lavoro per tutta la vita. Ciò che i lavoratori vogliono è la certezza di avere, durante la loro vita lavorativa, un lavoro adeguato, ossia un impiego non precario e instabile bensì tale da offrire loro maggiore sicurezza, come descritto al punto 5.2. Questa condizione può essere realizzata al meglio nelle imprese di maggiori dimensioni attraverso una flessibilità che non trasformi i lavoratori in variabile di adeguamento all'esterno dell'azienda, ma conferisca al personale a tempo indeterminato la capacità di adattarsi a una gamma più ampia di mansioni all'interno stesso dell'impresa. Il Consiglio dei ministri del Lavoro ha discusso di tale possibilità nel luglio 2010. Questa forma di flessicurezza è molto più adatta all'economia basata sulla conoscenza, quale l'UE ambisce a essere. I contratti collettivi stipulati tra le parti sociali costituiscono il metodo migliore per dare forma a questo tipo di flessibilità.

5.5   Nei picchi di produzione le imprese hanno tuttavia bisogno di lavoratori temporanei. Inoltre, questo modello di flessibilità interna è meno adatto alle piccole e medie imprese, che sono importanti per l'economia europea poiché è in esse che si concentra la maggior parte dei posti di lavoro. Occorre dunque trovare un metodo efficace che riduca il divario tra i lavoratori con contratto di lavoro a tempo indeterminato, che godono di un buon livello di protezione sociale e di una posizione giuridica forte, e quelli che hanno invece un contratto di lavoro temporaneo, una protezione sociale minima e una posizione giuridica debole. Anche questi lavoratori devono godere del diritto garantito a vantaggi quali congedi di malattia retribuiti, maturazione dei diritti pensionistici, indennità di disoccupazione, ferie retribuite e congedo parentale. Ad esempio, a questi lavoratori potrebbe essere consentito di accedere, a determinate condizioni e a tariffe ragionevoli, a sistemi regolamentati a livello settoriale da contratti collettivi di lavoro o a livello nazionale da disposizioni di legge, come avviene in Austria dove nel frattempo è stato introdotto un sistema di questo tipo. Anche in questo caso, quindi, le parti sociali e i poteri pubblici devono condividere le responsabilità.

5.6   In futuro anche la gestione delle risorse umane sarà chiamata a svolgere un duplice ruolo di rilievo. In primo luogo dovrà svolgere una funzione essenziale nella definizione dei contenuti dei programmi di formazione che consentono ai lavoratori di mantenere a un buon livello le loro competenze professionali. Ma a essa spetta anche il compito importante di ripristinare la fiducia incrinata tra le parti sociali, in modo che queste possano cercare - insieme e di comune accordo - delle soluzioni ai problemi del mercato del lavoro. Se grazie a questo recupero di fiducia si riuscirà a trovare delle soluzioni, si potrà realizzare un mercato del lavoro nel quale i datori di lavoro disporranno della flessibilità che invocano e i lavoratori della sicurezza di cui hanno bisogno.

5.6.1   Questa gestione migliorata delle risorse umane è essenziale sia per recuperare la fiducia tra le parti sociali che per adottare un nuovo approccio al mercato dell'occupazione sostenibile. Una gestione di questo tipo deve essere fondata in particolare sulla capacità di:

prevedere le tendenze occupazionali e i profili professionali, facendo in modo che i nuovi lavori non abbiano carattere usurante,

stimolare i lavoratori a prendere l'iniziativa e ad assumersi le proprie responsabilità al fine di migliorare le prestazioni individuali e collettive,

riesaminare certi percorsi di formazione professionale (preparatoria) non - o non sufficientemente - adeguati alle esigenze dei bacini occupazionali locali,

migliorare i sistemi di orientamento professionale dei giovani coinvolgendo un maggior numero di professionisti e di esperti del settore,

prestare un'attenzione particolare al know-how, alle produzioni tradizionali locali e ai marchi regionali, la cui relativa rarità costituisce anche l'originalità del patrimonio che essi rappresentano.

5.6.2   L'obiettivo di un mercato del lavoro più stabile e più sano dovrebbe far parte di una strategia più ampia che coinvolga altri soggetti, come i servizi di interesse generale e le libere professioni.

5.7   Sebbene gli orientamenti di massima da seguire in materia di mercato del lavoro siano indicati da Bruxelles, è negli Stati membri che avviene la loro applicazione pratica, e a tal fine sono soprattutto le regioni che paiono essere il livello di governo più adeguato. Per un'economia basata sulla conoscenza è fondamentale che le regioni formino e mantengano una popolazione attiva creativa. L'UE può incoraggiare uno sviluppo di questo tipo attraverso il sostegno finanziario fornito dai fondi strutturali europei, nonché con la raccolta di esempi di buone pratiche e la loro messa a disposizione sotto forma di banca dati. Alcuni di questi esempi sono stati raccolti dai membri della CCMI e compendiati nel documento in allegato (24). Il Comitato invita la Commissione a diffondere tali esempi e a raccomandarli presso le istituzioni pertinenti sia dell'Unione europea che degli Stati membri.

5.8   In Europa esistono esempi di regioni con un ricco passato industriale nelle quali l'industria tradizionale - e con essa le basi dell'occupazione e della prosperità della regione stessa - è quasi completamente scomparsa nel giro di poco tempo, come la zona attorno a Lilla nella Francia settentrionale o il bacino della Ruhr in Germania. Invece di ostinarsi a cercare di mantenere ciò che esisteva, in queste regioni i soggetti interessati si sono messi a riflettere sulle possibili prospettive per il futuro e hanno agito di conseguenza. Il risultato è che sia la regione di Lilla che il bacino della Ruhr hanno ritrovato la speranza e sono tornate a crescere grazie a un'ampia serie di attività economiche nuove, soprattutto sostenibili e ad alta intensità di conoscenza. È infatti in questi settori che risiede la forza dell'economia europea: è in essi che l'Europa ha migliori prospettive e deve rafforzare la sua posizione. Sia Lilla che il bacino della Ruhr sono addirittura diventati capitali europee della cultura. A questo livello, i poteri pubblici e le parti sociali devono elaborare iniziative destinate a sostenere il modello sociale europeo, come descritto dal Comitato in un precedente parere (25).

Bruxelles, 13 luglio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Quadro europeo delle qualifiche (EQF), sistema europeo di crediti per l'istruzione e la formazione professionale (ECVET), Europass e quadro europeo di riferimento per l'assicurazione della qualità dell'istruzione e della formazione professionali (EQAF).

(2)  Changes over time - First findings from the fifth European Working conditions survey («20 anni di condizioni di lavoro in Europa: primi risultati della 5a indagine europea sulle condizioni di lavoro»).

(3)  Definizione di lavoro precario: lavoro basato su un contratto a tempo determinato che in qualsiasi momento può essere sospeso unilateralmente dal datore di lavoro senza che ne derivi alcun obbligo per quest'ultimo.

(4)  Distribuzione dei redditi e povertà nei paesi OCSE: una crescita diseguale? (riassunto in italiano: http://www.oecd.org/dataoecd/44/62/41524135.pdf).

(5)  Ill Fares The Land: A Treatise On Our Present Discontents (2010).

(6)  www.finfacts.ie/irishfinancenews/article_1020265.shtml.

(7)  The Spirit Level: Why More Equal Societies Almost Always Do Better (2009).

(8)  Procedura interistituzionale 2010/0115 (NLE).

(9)  Testi approvati, P7_TA(2010)0299.

(10)  GU C 306 del 16.12.2009, pag 70 e parere del CESE in merito alla Proposta di decisione del Consiglio sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione - Parte II degli orientamenti integrati di EUROPA 2020 (GU C 107 del 6.4.2011, pag. 77).

(11)  2009/2220(INI).

(12)  Key Challenges Facing European Labour Markets: A Joint Analysis of European Social Partners («Le sfide chiave che i mercati del lavoro europei devono affrontare: un'analisi congiunta delle parti sociali europee»).

(13)  Accordo quadro sui mercati del lavoro inclusivi.

(14)  Prospettive OCSE 2010 sull'occupazione: oltre la crisi occupazionale.

(15)  Indagine di Eurostat sull'istruzione degli adulti.

(16)  Cfr. nota 1.

(17)  http://www.cedefop.europa.eu/ - Learning while Working. Success stories on workplace learning in Europe («Apprendere mentre si lavora: esperienze positive di apprendimento sul lavoro in Europa»).

(18)  http://www.oecd.org/dataoecd/9/16/41851819.pdf (in inglese).

(19)  http://www.cedefop.europa.eu/EN/publications/5059.aspx.

(20)  Ad esempio, in Francia esiste il Certificat de compétences en entreprise («certificato di competenze acquisite in impresa») e nei Paesi Bassi l'Ervaringscertificaat («certificato di esperienza»).

(21)  Cfr. nota 1.

(22)  http://epp.eurostat.ec.europa.eu/tgm/table.do?tab=table&language=en&pcode=tsiem080&tableSelection=1&footnotes=yes&labeling=labels&plugin=1.

(23)  Cfr. il parere del CESE sul tema Come servirsi della flessicurezza ai fini delle ristrutturazioni, nel contesto dello sviluppo globale (GU C 318 del 23.12.2009, pag. 1).

(24)  http://www.eesc.europa.eu/resources/docs/handout.doc

(25)  GU C 309 del 16.12.2006, pag. 119.


29.10.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/50


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «La crisi, l'istruzione e il mercato del lavoro» (parere d'iniziativa)

2011/C 318/08

Relatore: Mário SOARES

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 20 gennaio 2011, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

La crisi, l'istruzione e il mercato del lavoro.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 27 giugno 2011.

Alla sua 473a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2011 (seduta del 14 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere all'unanimità.

1.   Raccomandazioni

Si raccomanda agli Stati membri di:

impedire che le misure per superare la crisi economica e la crisi del debito sovrano compromettano gli investimenti pubblici nell'istruzione e nella formazione;

prestare una particolare attenzione agli investimenti pubblici nel campo dell'istruzione, della ricerca e della formazione professionale al momento di valutare i loro obiettivi di bilancio a medio termine, in modo da garantire la continuità e il potenziamento degli investimenti in questi settori;

insistere su un migliore apprendimento della propria lingua madre e sull'insegnamento di contenuti scientifici (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica);

migliorare l'orientamento scolastico e professionale precoce, tenendo conto delle esigenze del mercato del lavoro;

promuovere lo spirito imprenditoriale a tutti i livelli del sistema d'istruzione;

favorire un'adeguata applicazione del Quadro europeo delle qualifiche e lo sviluppo dei sistemi nazionali di qualificazione;

sviluppare ulteriori opportunità di formazione per i giovani che abbandonano gli studi e per i lavoratori poco qualificati, senza trascurare gli strumenti digitali;

rispettare il diritto di ciascuno alla formazione certificata di qualità nell'ambito professionale, indipendentemente dal livello di qualificazione e dal tipo di contratto;

garantire il riconoscimento, la convalida e la certificazione delle competenze acquisite nei diversi ambienti educativi (istruzione formale e non formale) e nell'esercizio dell'attività professionale;

utilizzare i fondi europei, in particolare il Fondo sociale europeo, per sostenere l'istruzione e la formazione;

sostenere i programmi d'inserimento professionale e spingere le imprese a ricorrere a tali strumenti per la creazione di posti di lavoro stabili;

rivalorizzare la professione di docente, promuovendo il rispetto dell'attività educativa, la formazione continua degli insegnanti e il miglioramento delle loro condizioni lavorative e salariali.

2.   Introduzione

2.1   La crisi finanziaria, che ha avuto inizio nel 2008, ha provocato la crisi economica più acuta dal 1930 e la maggiore riduzione del PIL dalla Seconda guerra mondiale. Oggi pertanto l'Europa assiste ad un profondo sconvolgimento economico e sociale caratterizzato dalla chiusura di migliaia di imprese, soprattutto PMI, dall'aumento della disoccupazione, dalla diminuzione dei salari, da tagli di bilancio nei sistemi di sicurezza sociale, dall'aumento delle imposte sui consumi e dei prezzi dei beni di prima necessità e dall'aggravarsi della povertà e dell'esclusione sociale.

2.2   Il presente parere non intende analizzare le cause della crisi bensì sottolineare i problemi che la crisi stessa ha provocato e continua a provocare nel tessuto sociale nonché definire alcune strategie necessarie per diminuirne l'impatto e a correggerne gli effetti.

2.3   Il parere affronterà i temi dell'importanza dell'istruzione e della formazione in quanto strumenti essenziali per far fronte alla crisi, delle relazioni tra l'istruzione/formazione e il mondo del lavoro, dell'integrazione dei giovani nel mercato del lavoro, delle esigenze e delle responsabilità delle imprese per quanto concerne la formazione dei loro lavoratori, e infine della promozione del lavoro dignitoso e di qualità.

2.4   Per mantenere il modello sociale europeo è inoltre necessario uno sforzo da parte di tutta la collettività, basato sulla creatività e sul senso di solidarietà.

3.   Osservazioni generali

3.1   Per analizzare il problema, risultano di particolare importanza quattro recenti iniziative della Commissione europea:

Un'agenda per nuove competenze e per l'occupazione: Un contributo europeo verso la piena occupazione  (1) - con l'obiettivo di raggiungere entro il 2020 un tasso di occupazione del 75 % per le persone di età compresa tra i 20 e i 64 anni, l'agenda ha definito le seguenti priorità: un miglior funzionamento dei mercati del lavoro, una forza lavoro più qualificata, posti e condizioni di lavoro migliori e politiche più incisive per promuovere la creazione di posti di lavoro e la domanda di lavoro (2);

l'iniziativa «Gioventù in movimento» (3), destinata a promuovere le potenzialità dei giovani al fine di conseguire una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva nell'Unione europea (4);

la comunicazione La lotta contro l'abbandono scolastico: un contributo decisivo all'agenda Europa 2020  (5) che analizza l'impatto dell'abbandono scolastico sulle persone, sulla società e sull'economia, riassume le cause del fenomeno e illustra le misure attuali e future a livello europeo;

il Quadro europeo delle qualifiche, il cui obiettivo è di mettere a confronto i sistemi educativi nazionali, garantendo una maggiore mobilità nell'apprendimento e il riconoscimento a livello europeo delle conoscenze, delle competenze e delle capacità.

In tutti questi documenti si chiede una più stretta cooperazione tra i settori dell'istruzione, della formazione e del mercato del lavoro, in una visione che il CESE condivide.

3.1.1   Il Comitato inoltre prende atto dell'intenzione della Commissione di lanciare, nel 2012, la «Panoramica europea delle competenze» destinata a garantire una maggiore trasparenza per chi cerca lavoro, per i lavoratori, per le imprese e/o le istituzioni pubbliche. Questa panoramica sarà disponibile online e conterrà le previsioni aggiornate sull'offerta e la domanda di competenze fino al 2020, grazie al lavoro in rete condotto dagli organismi nazionali che sorvegliano l'evoluzione del mercato del lavoro.

3.1.2   Vale anche la pena di sottolineare l'importanza dei consigli settoriali europei in quanto ambiti d'intervento delle parti sociali nell'analisi delle competenze dei lavoratori e delle necessità del mercato del lavoro. Tali consigli sono uno strumento per accelerare lo scambio delle informazioni e delle buone pratiche trasmesse precedentemente dai consigli o dagli osservatori di ciascun paese (6).

3.2   La crisi e il mercato del lavoro

3.2.1   La crisi economica e finanziaria sta avendo effetti disastrosi sul mercato del lavoro. Secondo l'OIL, nel 2010 il numero di disoccupati al mondo era di circa 250 milioni e il tasso di disoccupazione è passato in questo stesso anno dal 5,7 % al 6,2 %. La disoccupazione è stata inoltre accompagnata, in diversi paesi, da un deterioramento della qualità dell'occupazione e da una sua maggiore vulnerabilità.

3.2.2   Secondo Eurostat, il tasso globale di disoccupazione era, nel gennaio di quest'anno, del 9,9 % nella zona euro e del 9,5 % nell'UE a 27. Si contavano 15 775 000 disoccupati nella zona euro e 23 048 000 nell'UE a 27. Di questi circa 5 milioni sono disoccupati di lunga durata.

3.2.3   Tra la fine del 2008 e febbraio 2011, il tasso di disoccupazione nell'UE a 27 è aumentato dal 7,7 % al 9,5 % (il tasso di disoccupazione maschile è passato dal 6 % al 9,5 %, quello femminile è aumentato dal 7,5 % al 9,6 %, quello giovanile dal 19,7 % al 20,4 %).

3.2.4   Questi numeri però non tengono conto delle enormi differenze tra gli Stati membri (dal 4,3 % nei Paesi Bassi al 20,5 % in Spagna) e non dicono molto su taluni gruppi particolarmente colpiti (i migranti e i lavoratori anziani).

3.2.5   La disoccupazione tra i giovani di età compresa tra i 15 e i 25 anni raggiunge il 20,4 %, con un aumento di 4 punti percentuali solo tra i primi quattro mesi del 2008 e il primo trimestre del 2009. Inoltre, la disoccupazione di lunga durata in questa fascia di età è aumentata di quasi il 30 % dalla primavera del 2008. Sui 5,2 milioni di disoccupati di lunga durata, 1,2 milioni sono giovani.

3.2.6   I lavoratori a basso salario (che in generale sono quelli meno qualificati) corrono un rischio di restare disoccupati due o tre volte superiore rispetto ai lavoratori con salari più elevati.

3.2.7   Anche in questo caso, sono i giovani quelli maggiormente colpiti dal fenomeno, visto che tra i giovani il rischio di percepire un salario basso (anche se in generale dispongono di qualifiche più elevate) è due volte più alto rispetto ai lavoratori di mezza età.

3.2.8   Secondo Eurostat (7), nel 2007, prima che scoppiasse la crisi, 79 milioni di cittadini erano a rischio povertà e 32 milioni erano già in situazione di povertà. Nonostante il fatto che il lavoro renda meno esposti al rischio povertà, i cosiddetti «lavoratori poveri» non sono meno di 17 milioni e mezzo (8).

3.2.9   I posti di lavoro creati sono caratterizzati da un aumento della precarietà, particolarmente elevata tra i giovani, con diverse conseguenze per gli stessi precari e per la società (uscita tardiva dalla casa dei genitori, dipendenza dai genitori, rinvio della decisione di sposarsi e di avere figli) (9). Si fa notare che il concetto di precarietà non è sinonimo di contratti a termine, bensì dell'abuso che se ne fa quando il bisogno di lavoro è, quello sì, evidentemente permanente.

3.2.10   Per il CESE i principali problemi e le principali sfide sono le seguenti:

a)

lo sfasamento tra la ripresa economica attualmente in corso, anche se in misura nettamente diversa da paese a paese, e il costante degrado della situazione sul mercato del lavoro, cosa che in particolare determina una crescita non accompagnata dalla creazione di posti di lavoro. Il CESE si associa all'appello lanciato dall'OIL in questo senso nell'ultima relazione mondiale sull'occupazione (10) e nelle conclusioni del recente incontro sul tema Dialogo sulla crescita e sull'occupazione in Europa  (11);

b)

gli squilibri sociali creati dalla difficile situazione sul mercato del lavoro, specie per quanto riguarda i giovani (che pure presentano livelli di formazione più elevati rispetto alle generazioni precedenti) e i disoccupati di lunga durata;

c)

la situazione demografica dell'Europa, in particolare l'invecchiamento della popolazione attiva, cosa che può aggravare la penuria di qualificazioni sul mercato del lavoro;

d)

la trasformazione dei posti di lavoro, che tende ad accelerare. Secondo il Cedefop, la domanda di persone altamente qualificate potrà aumentare di 16 milioni di qui al 2020 e quella di persone mediamente qualificate di 3,5 milioni, mentre quella delle persone poco qualificate potrà diminuire di 12 milioni. I deficit di qualificazione tenderanno ad aggravarsi, soprattutto nei settori della scienza, della tecnologia, dell'ingegneria e della matematica, dell'energia, delle TIC, dei trasporti ecologici, dell'ambiente e della sanità. Le caratteristiche dei posti di lavoro che vengono creati si allontanano sempre più da quelle dei posti che si perdono e i disoccupati incontrano sempre più difficoltà a reinserirsi nel mercato del lavoro.

3.3   La crisi e l'istruzione

3.3.1   L'istruzione è uno strumento che garantisce la realizzazione personale degli individui, il loro inserimento nell'attività produttiva, la coesione sociale e il miglioramento delle condizioni di vita. Come afferma Eurostat, le persone con livelli d'istruzione più elevati hanno maggiori aspettative di vita.

3.3.2   I bassi livelli d'istruzione sono collegati alla povertà e all'esclusione sociale, il che spiega l'importanza attribuita dalle politiche d'inclusione alla garanzia dell'accesso ai servizi pubblici (in particolare l'istruzione e la formazione).

3.3.3   La strategia Europa 2020 insiste sull'idea che occorra migliorare l'istruzione in Europa, dall'insegnamento prescolastico a quello superiore, al fine di aumentare la produttività e combattere le ineguaglianze e la povertà, nella convinzione che l'Europa potrà prosperare solo se i suoi abitanti disporranno delle competenze che consentono di contribuire ad una economia basata sulla conoscenza e di trarne vantaggio.

3.3.4   Il CESE condivide la preoccupazione espressa dalla Commissione europea nel documento Un'agenda digitale europea secondo cui l'Europa è in ritardo nell'adozione di nuove tecnologie. Il documento sottolinea che il 30 % degli europei non ha mai usato Internet e che la spesa dell'UE in ricerca e sviluppo nel campo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) è pari solo al 40 % di quella degli USA. L'alfabetizzazione digitale sin dall'età prescolare è fattore d'inclusione.

3.3.5   Il CESE fa inoltre osservare che nell'UE persiste un deficit innovativo rispetto agli USA e al Giappone, deficit che deve essere colmato aumentando il numero di persone altamente qualificate, incrementando gli investimenti degli Stati membri e delle imprese nella ricerca e nello sviluppo e attraverso un miglior collegamento tra scienza, tecnologia e attività produttive. Fa notare altresì che il termine «innovazione» comprende l'organizzazione del lavoro e l'innovazione in campo sociale.

3.3.6   I due grandi obiettivi della Commissione in materia d'istruzione nell'ambito della strategia Europa 2020 sono:

a)

ridurre l'abbandono scolastico portandolo al di sotto del 10 %;

b)

portare la quota della popolazione di età compresa tra 30 e 34 anni che ha completato gli studi universitari o equivalenti ad almeno il 40 % nel 2020.

3.3.7   Il CESE condivide la preoccupazione della Commissione per quanto concerne l'abbandono scolastico, un fenomeno complesso che comporta gravi conseguenze per la qualità del lavoro al quale i giovani possono aspirare e per la cui riduzione è necessario un fermo impegno politico e nuovi metodi di approccio e di attuazione.

3.3.8   Secondo la Commissione, nel 2009 più di 6 milioni di giovani (il 14 % dei giovani di età compresa tra i 18 e i 24 anni) hanno abbandonato gli studi (scuola o formazione) dopo aver concluso solo il primo ciclo di insegnamento secondario o inferiore. Di questi, il 17,4 % ha completato solo il ciclo d'insegnamento primario (12). Questo significa che la semplice riduzione di un punto percentuale nella media dell'abbandono scolastico produrrebbe ogni anno un potenziale di quasi mezzo milione di giovani lavoratori qualificati in condizioni di entrare nel mondo del lavoro.

3.3.9   Un altro aspetto importante da considerare è il numero di ripetenti. Stando ai dati dello studio PISA del 2009, la percentuale di ripetenti nella scuola elementare è dell'11 % in Irlanda, del 21 % in Spagna e raggiunge il 22,4 % nei Paesi Bassi e in Portogallo. Nella scuola secondaria inferiore le tendenze si mantengono inalterate, con un livello di ripetenti dello 0,5 % in Finlandia e del 31,9 % in Spagna.

3.3.10   Nell'istruzione superiore e nella ricerca, i dati Eurostat indicano che nel 2009 la quota di diplomati dell'insegnamento superiore in Europa era solo del 32,3 %. Gli attuali tagli di bilancio nella maggior parte dei paesi (13) comprometteranno ulteriormente la ricerca universitaria, con implicazioni per diversi settori dell'economia e della società (scienza, tecnica, medicina, scienze sociali e umane).

4.   Osservazioni specifiche: le proposte del CESE

4.1   Potenziare l'istruzione in tempi di crisi

4.1.1   In tempo di crisi, è importante ribadire che l'istruzione è un diritto umano fondamentale e un bene pubblico che deve essere garantito a tutti, senza contropartite, a parità di condizioni e senza discriminazioni di qualsiasi tipo, tenendo conto anche della dimensione di genere.

4.1.2   In tempi di crisi, gli investimenti nell'istruzione non devono essere visti come un problema bensì come una soluzione per uscire, appunto, dalla crisi, alle migliori condizioni. In questo senso, perché investano maggiormente e in modo più coerente nel settore dell'istruzione, gli Stati membri devono attribuire una particolare attenzione agli investimenti pubblici nel campo dell'istruzione, della ricerca e della formazione professionale al momento di valutare i loro obiettivi di bilancio a medio termine.

4.1.3   È inoltre importante ricordare che l'istruzione è un compito che incombe a tutta la collettività. La scuola è un'istituzione specializzata con personale professionalmente qualificato, che non può e non deve agire isolata, anzi deve interagire con le famiglie - il cui ruolo è insostituibile - stabilendo al tempo stesso un dialogo permanente con la comunità e con gli ambienti economici e sociali.

4.1.4   Il CESE è convinto che l'acquisizione di conoscenze di base solide aumenti la capacità di adattamento degli alunni e che quanto più riuscito sia il processo di acquisizione tanto più facile sarà per l'orientamento scolastico e professionale tener conto delle esigenze del mercato.

4.1.5   L'istruzione deve in particolare:

a)

aiutare gli alunni a filtrare le informazioni che ricevono e ad apprendere e utilizzare quelle che più delle altre consentono loro di programmare il loro futuro personale e professionale;

b)

promuovere la coscienza critica e lo sviluppo di uno spirito curioso e intraprendente, capace di prendere iniziative e di risolvere problemi. In questo senso, l'interazione tra scuola e impresa può essere estremamente utile;

c)

risvegliare negli alunni il principio di realtà affinché accettino lo sforzo che comporta l'apprendimento e ne riconoscano il valore. È fondamentale che gli alunni comprendano che vale la pena di imparare e che la cultura non è un qualcosa che si consuma bensì che si assimila e si trasforma;

d)

fornire una formazione solida di base, specie per quanto concerne la lingua madre e la matematica, nonché altre conoscenze e competenze necessarie ad un corretto inserimento in un mercato del lavoro allargato a tutto lo spazio europeo - in particolare l'apprendimento di varie lingue vive sin dai primi anni di scuola -, e che rendano al tempo stesso più disponibili all'apprendimento in tutto l'arco della vita;

e)

sviluppare in ogni individuo le capacità creative ed estetiche che sono in grado di incoraggiare uno spirito aperto alla cultura ed all'innovazione;

f)

formare, in definitiva, cittadini liberi e solidali, consapevoli dei propri diritti e doveri e capaci di svolgere un lavoro dignitoso alle migliori condizioni.

4.1.6   Questo richiede una formazione iniziale e continua dei professori più completa e arricchente, ben diversa da quella finora praticata, una formazione che mobiliti gli insegnanti e li aiuti ad adottare nuovi approcci pedagogici appropriati alle sfide da affrontare (nuove tecnologie, nuove esigenze del mercato del lavoro, ambiente multiculturale con crescente presenza di alunni di origine migrante, ecc.). Gli Stati membri devono promuovere il rispetto per l'attività educativa, facilitare la formazione continua dei docenti e cercare di migliorare le condizioni lavorative e salariali di questi ultimi.

4.1.7   L'istruzione deve riguardare tutte le fasi della vita, dall'istruzione prescolastica a quella superiore fino a quella degli adulti e nei diversi ambiti di apprendimento, formale, non formale e informale. Gli Stati devono svilupparla tenendo conto delle sfide economiche e sociali del futuro: società della conoscenza, economia ad elevata produttività e a basso tenore di carbonio.

4.1.8   In questo senso, il CESE raccomanda all'Unione europea di:

a)

rispettare gli impegni assunti nell'ambito delle iniziative «Gioventù in movimento», «Agenda per nuove competenze e per l'occupazione» e della comunicazione La lotta contro l'abbandono scolastico: un contributo decisivo all'agenda Europa 2020;

b)

valutare la possibilità di utilizzare i fondi europei per raggiungere gli obiettivi in materia di istruzione, formazione, ricerca e sviluppo dell'UE;

c)

sostenere i programmi d'inserimento professionale, incoraggiando i governi e le imprese a usare tali strumenti per la creazione di posti di lavoro stabili;

d)

rafforzare, sviluppare e approfondire i programmi di scambio di studenti a vari livelli di apprendimento.

Il CESE raccomanda inoltre agli Stati membri di:

a)

adottare misure per impedire che il superamento della crisi economica e della crisi del debito sovrano comprometta gli investimenti pubblici nei sistemi nazionali d'istruzione e formazione;

b)

mantenere (e se possibile aumentare) gli investimenti nella ricerca e nello sviluppo;

c)

lanciare e coordinare iniziative per migliorare l'insegnamento di contenuti scientifici (scienza, tecnologia, ingegneria, matematica);

d)

adottare misure per rivalorizzare la professione d'insegnante, in modo da non mettere a repentaglio il compimento della loro missione (14);

e)

definire sistemi di orientamento scolastico e professionale per migliorare l'informazione relativa alle competenze professionali essenziali per accedere al mercato del lavoro e al modo per acquisirle;

f)

sviluppare programmi alternativi di formazione per i giovani che abbandonano gli studi o che svolgono impieghi poco qualificati;

g)

risolvere il problema del numero di ripetenti attraverso infrastrutture di sostegno agli alunni più deboli;

h)

incoraggiare le imprese a sviluppare la capacità di accettazione delle esperienze professionali dei giovani;

i)

promuovere lo spirito imprenditoriale a tutti i livelli del sistema d'istruzione.

4.1.9   Il CESE si rende conto che, in tempo di cambiamenti, le imprese hanno bisogno di competenze specifiche da parte dei loro lavoratori, e che pertanto i sistemi di formazione devono essere maggiormente sensibili a tale domanda e sintonizzati con essa, dopo che sia stata completata l'acquisizione di solide conoscenze di base.

4.1.10   Il sistema d'apprendimento duale basato al tempo stesso sull'istruzione e sulla formazione, al quale i giovani vengono avviati nel mondo del lavoro mentre completano i loro studi, ha avuto risultati positivi in alcuni paesi europei e dovrebbe pertanto essere analizzato.

4.1.11   Il CESE sa benissimo che l'istruzione è un settore di responsabilità degli Stati membri ma ritiene che l'Unione europea possa sostenere questi ultimi non solo spingendoli a realizzare gli obiettivi dell'Unione e ricorrendo a tal fine al metodo aperto di coordinamento, ma anche creando condizioni più favorevoli, come quella di non far rientrare gli investimenti in istruzione e formazione nel calcolo del disavanzo pubblico.

4.2   Conferire valore all'apprendimento - Dalla scuola al lavoro

4.2.1   I cambiamenti in corso (aumento della concorrenza internazionale, rivoluzione scientifica e tecnologica, cambiamento climatico, rapido sviluppo delle economie emergenti, invecchiamento della popolazione) richiedono una manodopera con maggiori competenze e più qualificata.

4.2.2   Il rinnovo generazionale non è di per sé sufficiente ad elevare il livello delle qualifiche, dato che molti giovani altamente qualificati occupano posti di lavoro che lo sono poco. Il dislivello tra l'istruzione ricevuta e la natura delle attività esercitate può addirittura comportare una perdita di valore delle competenze acquisite.

4.2.3   Per il CESE, la risposta a tale problema risiede nello sviluppo di posti di lavoro di qualità, e pertanto riconosce il valore del «lavoro dignitoso» raccomandato dall'OIL.

4.2.4   A tal fine è importante investire nelle politiche attive di occupazione e formazione professionale, contando sul sostegno dei fondi europei, in particolare il Fondo sociale europeo (15).

4.2.5   È inoltre importante rendersi conto che la creazione di posti di lavoro dipende dalla dinamica delle imprese, il che impone che vengano eliminati oneri burocratici eccessivi e superflui all'attività economica, specie quando si tratta della creazione di nuove imprese.

4.2.6   In questo ambito, il CESE raccomanda le seguenti iniziative prioritarie:

4.2.6.1

Promuovere l'inserimento dei giovani nel mercato del lavoro:

a)

migliorando i sistemi di orientamento scolastico e professionale, trasmettendo informazioni più precise sull'evoluzione delle esigenze del mercato del lavoro, le competenze professionali richieste e i mezzi per acquisirle;

b)

creando programmi d'inserimento professionale attraverso tirocini o apprendistati nell'ambiente di lavoro;

c)

elaborando programmi specifici per i giovani che hanno abbandonato la scuola o che occupano posti di lavoro poco qualificati;

d)

dissociando il tipo di contratto di lavoro (a tempo indeterminato o temporaneo) dall'età del lavoratore, di modo che i giovani lavoratori non vengano penalizzati proprio per il fatto di essere giovani.

4.2.6.2

Rispondere alle sfide della formazione permanente:

a)

garantendo a tutti le condizioni necessarie per un apprendimento permanente che consenta di aumentare le competenze e di accedere a posti di lavoro maggiormente qualificati, realizzando in tal modo l'obiettivo della «crescita inclusiva» previsto dalla strategia Europa 2020;

b)

migliorando la formazione (perfezionamento e riconversione) di tutti coloro che partecipano al mercato del lavoro ma che dispongono di qualifiche scolastiche insufficienti. Queste iniziative devono tener conto dell'età, dell'esperienza e delle conoscenze dei lavoratori direttamente interessati;

c)

proclamando il diritto di ognuno alla formazione certificata di qualità, fissando un numero annuale di ore di formazione per tutti i lavoratori, a prescindere dal livello di qualifica e dal tipo di contratto;

d)

sostenendo, all'interno delle imprese, l'elaborazione di programmi di sviluppo delle competenze individuali. Tali programmi dovranno essere elaborati da lavoratori e datori di lavoro insieme, tenendo conto delle condizioni delle imprese, in particolare delle PMI, conformemente all'accordo stipulato a livello europeo tra lavoratori e datori di lavoro;

e)

sostenendo iniziative volte a rafforzare il riconoscimento dell'istruzione non formale, assicurandone la qualità e rendendo più visibili le competenze acquisite al di fuori del sistema formale (come ad esempio nel caso del Passaporto europeo delle competenze);

f)

creando uno stretto legame tra la formazione professionale e la carriera del lavoratore, investendo nel riconoscimento, nella convalida e nella certificazione delle competenze acquisite nell'esercizio dell'attività professionale. In entrambi i casi, gli Stati membri dovranno monitorare la qualità dei servizi di valutazione e certificazione;

g)

facendo in modo che le azioni di formazione siano destinate in via prioritaria ai disoccupati;

h)

ricordando che i servizi pubblici hanno la responsabilità di svolgere un ruolo più attivo nella politica di formazione dei gruppi prioritari, ad esempio i lavoratori meno qualificati o precari e i gruppi più vulnerabili come i disabili, i disoccupati più anziani e gli immigrati;

i)

prendendo nella giusta considerazione la dimensione di genere sul mercato del lavoro ed eliminando diseguaglianze e discriminazioni, in particolare la sperequazione salariale tra uomini e donne.

4.2.6.3

Migliorare le qualifiche e sfruttare il potenziale offerto dai lavoratori più anziani:

a)

il CESE sottolinea il grosso rischio rappresentato dalla disoccupazione di lunga durata (perdita di reddito e di qualifiche, esclusione sociale) e pertanto ritiene che le agenzie pubbliche per l'impiego debbano svolgere un ruolo più attivo nel collocamento di questa categoria di disoccupati e nello sviluppo di politiche attive di occupazione e formazione professionale;

b)

il dialogo sociale settoriale, sul piano sia europeo che nazionale, assume un ruolo essenziale nella soluzione dei problemi legati alle qualifiche. Di conseguenza, in questo ambito i consigli settoriali per le qualifiche assumono una grande importanza;

c)

in questa prospettiva va preservata e valorizzata la contrattazione collettiva, dato che sia i lavoratori sia le imprese hanno interesse ad innalzare le qualifiche;

d)

in un periodo di crisi, sarebbe lecito poter contare sul Fondo sociale europeo per finanziare sia le misure necessarie per innalzare le qualifiche sia i progetti innovativi per la creazione di posti di lavoro dignitosi;

e)

è inoltre importante creare le condizioni affinché gli anziani possano scegliere di prolungare la loro vita lavorativa, migliorando le condizioni sanitarie, adeguando il lavoro alle persone, valorizzando il lavoro e innalzando le qualifiche, conformemente ai principi sanciti dalla Raccomandazione 162 dell'OIL (16);

f)

è infine particolarmente necessario, in tale contesto, valorizzare il potenziale dei lavoratori anziani per la trasmissione di conoscenze sul luogo di lavoro, un tema che potrebbe essere oggetto di discussione tra i rappresentanti dei lavoratori e quelli delle imprese.

Bruxelles, 14 luglio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  COM(2010) 682 definitivo.

(2)  Cfr. parere del CESE sul tema Nuove competenze per nuovi lavori, GU C 128 del 18.5.2010, pag. 74.

(3)  COM(2010) 477 definitivo.

(4)  Cfr. il parere del CESE sul tema Gioventù in movimento, GU C 132 del 3.5.2011, p. 55.

(5)  COM(2011) 18 definitivo.

(6)  Cfr. il parere del CESE sul tema L'adeguamento delle competenze alle esigenze dell'industria e dei servizi in trasformazione - Il contributo dell'eventuale istituzione a livello europeo di consigli settoriali sull'occupazione e sulle competenze (GU C 347 del 18.12.2010, pag. 1).

(7)  Statistics in Focus (46/2009).

(8)  Cfr. parere del CESE sul tema Lavoro e povertà, GU C 318 del 23.12.2009, pag. 52.

(9)  Youth in Europe - A statistical portrait 2009.

(10)  Relazione mondiale sull'occupazione (www.ilo.org).

(11)  Dialogo sulla crescita e sull'occupazione in Europa, Vienna, 13 marzo 2011 (www.ilo.org).

(12)  Le redoublement dans l'enseignement obligatoire en Europe: règlementations et statistiques, Eurydice, gennaio 2011.

(13)  In Lettonia, nel 2010, le università hanno subito nuovi tagli del 18 % che seguono quelli del 48 % praticati nel 2009; in Italia i tagli di bilancio previsti fino al 2013 sono pari al 20 %; in Grecia i tagli sono stati del 30 %; nel Regno Unito vi saranno tagli pari al 40 % fino al 2014-2015.

(14)  Cfr. il parere del CESE sul tema Migliorare la qualità della formazione degli insegnanti, GU C 151 del 17.6.2008, pag. 41.

(15)  Cfr. il parere del CESE sul tema Futuro del Fondo sociale europeo dopo il 2013, GU C 132 del 3.5.2011, pag. 8.

(16)  Raccomandazione 162 sui lavoratori anziani, 1980, OIL (http://www.ilo.org/ilolex/cgi-lex/convde.pl?R162).


29.10.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/56


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «La revisione della politica di prestito della BEI nel settore dei trasporti» (parere d'iniziativa)

2011/C 318/09

Relatore generale: SIMONS

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 5 maggio 2011, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di formulare un parere d'iniziativa sul tema:

La revisione della politica di prestito della Banca europea per gli investimenti nel settore dei trasporti.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione è stata incaricata di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori (articolo 59 del Regolamento interno), il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 473a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2011 (seduta del 13 luglio), ha nominato relatore generale Jan SIMONS e ha adottato il seguente parere con 123 voti favorevoli e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il settore dei trasporti è di grande importanza per la Banca europea per gli investimenti (BEI) e viceversa. Dei 63 miliardi di euro di prestiti erogati dalla BEI nel 2010, 13,2 miliardi, ossia il 21 %, sono andati al settore dei trasporti.

1.2   Dato che la Commissione dovrà presto presentare nuovi orientamenti in materia di rete transeuropea dei trasporti (TEN-T), è importante coordinare con la BEI le modalità migliori per finanziare la rete di infrastrutture di base e i singoli progetti, in considerazione degli obiettivi definiti nel Libro bianco pubblicato il 28 marzo 2011.

1.3   Il Comitato ritiene che in questa ottica vada visto anche il riesame della revisione della politica di prestito della BEI nel settore dei trasporti, pubblicata nel 2007 dalla stessa BEI. Visto che il Libro bianco pone l'accento, molto più che in passato, sugli sforzi nel settore della sostenibilità, come la riduzione di almeno il 60 % delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2050 rispetto ai livelli del 1990, il criterio della sostenibilità acquisterà un peso maggiore di prima nel quadro dei progetti da finanziare.

1.4   Il Comitato concorda con la BEI sul fatto che, nella concessione di linee di credito, il primo principio guida che occorre applicare sia quello di soddisfare la domanda di trasporto nel modo più efficiente, più economico e più sostenibile possibile. Ciò richiede una combinazione di soluzioni che riguardano tutti i modi di trasporto, conformemente ai principi di comodalità e internalizzazione dei costi esterni che sono alla base delle catene logistiche.

1.5   Il Comitato ribadisce che la BEI deve agire quindi in maniera neutra e obiettiva a prescindere dal modo di trasporto in questione. Soprattutto per le distanze più lunghe è necessario ricorrere a una comodalità efficace ed efficiente che consenta di sfruttare al meglio i vantaggi di ciascun modo di trasporto preso in considerazione.

1.6   Per quanto riguarda il secondo principio guida, ossia lo sviluppo della rete TEN-T, il Comitato lo condivide pienamente.

1.7   In relazione al terzo principio guida applicato dalla BEI nei suoi orientamenti e criteri di selezione, ossia la priorità alle ferrovie, ai trasporti urbani, alla navigazione interna e al settore marittimo, il Comitato auspica che si tenga conto non tanto del modo di trasporto in sé quanto delle relative catene logistiche, in maniera tale da ottenere i maggiori risultati in termini di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra.

1.8   Per quanto concerne il finanziamento di progetti di ricerca, sviluppo e innovazione, il Comitato reputa che il finanziamento di progetti incentrati sulla lotta contro le emissioni alla fonte rappresenti l'approccio corretto.

1.9   Nel riesame degli orientamenti per la concessione di linee di credito, il Comitato ritiene che la BEI dovrebbe innanzitutto tenere conto delle catene logistiche nel loro complesso, considerando che i punti di connessione, come i porti marittimi, gli aeroporti e i terminal multimodali, rivestono un'importanza fondamentale in quanto centri logistici.

1.10   Nel difficile contesto che impone di conciliare, da un lato, l'obiettivo ambizioso di ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 60 % entro il 2050 e, dall'altro, il superamento della crisi finanziaria, il Comitato considera che una delle sfide poste da questa situazione consista anche nel mettere a punto nuove forme di finanziamento pubblico e privato, come i partenariati pubblico-privati, eventualmente in maniera selettiva, come descritto al punto 4.6.3.

1.11   Per una riposta dettagliata alle tre domande specifiche della BEI, il Comitato rinvia ai numerosi pareri da esso adottati, elencati più avanti ai punti 4.7 e seguenti.

2.   Introduzione

2.1   La Banca europea per gli investimenti, come il Comitato economico e sociale europeo (CESE), è un'istituzione dell'Unione europea creata nel 1958 con il Trattato CEE di Roma. Essa finanzia progetti che consentono di realizzare gli obiettivi dell'Unione europea. La BEI prende in prestito essa stessa denaro a buon mercato per darlo a sua volta in prestito a banche e imprese.

2.2   Nel rating di credito, la BEI beneficia della cosiddetta «tripla A» che le consente di acquisire prestiti a basso tasso di interesse sui mercati dei capitali. Essa può utilizzare poi questo denaro per erogare prestiti a condizioni agevolate in diverse maniere:

prestando denaro direttamente a imprese o altre organizzazioni per contribuire a finanziare la realizzazione di grandi progetti (che richiedono una dotazione superiore a 25 milioni di euro),

prestando denaro a banche e altri istituti di credito che a loro volta erogano prestiti per la realizzazione di progetti di scala minore, con l'accento sulle piccole e medie imprese,

facendosi garante nel caso di prestiti, in modo che i finanziatori non corrano alcun rischio.

2.3   Per la realizzazione dei progetti e il controllo delle risorse finanziarie erogate, la BEI ha allacciato rapporti di intensa cooperazione con il sistema bancario internazionale e con altre istituzioni dell'UE.

2.4   In considerazione dell'elevato grado di interdipendenza, le istituzioni dell'UE invitano periodicamente la BEI a partecipare all'esame e al coordinamento delle politiche. La BEI viene coinvolta, ad esempio, nella preparazione delle riunioni del Consiglio dei ministri e partecipa ai lavori di determinate commissioni del Parlamento europeo. Inoltre, è in costante consultazione con la Commissione europea.

2.5   Gli azionisti della BEI sono gli Stati membri dell'Unione europea. Essi sottoscrivono congiuntamente il capitale della Banca, secondo una chiave di ripartizione che riflette il loro peso economico nell'Unione.

2.6   Nel 2010 la BEI ha erogato prestiti per un importo complessivo di 63 miliardi di euro, di cui il 21 % (ossia 13,2 miliardi di euro) al settore dei trasporti. Nel periodo 2006-2010 i prestiti erogati dalla Banca a tale settore hanno rappresentato il 23,7 % del totale. Se si escludono gli Stati membri stessi, la BEI è il maggiore finanziatore di progetti della rete TEN-T.

2.7   Nel 2007 la BEI ha pubblicato un documento riguardante la revisione della politica di prestito nel settore dei trasporti, nel quale sono esposti gli orientamenti e i criteri di selezione che consentiranno di tenere meglio conto delle preoccupazioni circa gli effetti dei cambiamenti climatici venendo incontro alle esigenze crescenti di mobilità. Nel documento si sottolinea inoltre l'utilità di rivedere periodicamente la politica di prestito nel settore dei trasporti visto il dinamismo con cui tale politica si evolve.

2.8   La Commissione ha pubblicato il Libro bianco il 28 marzo 2011, e presenterà presto gli orientamenti riveduti per i progetti TEN-T. È quindi importante, adesso, riesaminare e coordinare la politica della BEI in materia di prestiti al settore dei trasporti.

2.9   La BEI stessa ha segnalato questa necessità e ha avviato una consultazione pubblica per conoscere i punti di vista in merito. Oltre ai principi guida attuali, è interessata in particolare alle tre questioni seguenti:

2.9.1

Come la Banca può contribuire ancora meglio a realizzare l'obiettivo della «crescita intelligente» fondata sulla conoscenza e l'innovazione? A tale riguardo, essa fa riferimento in particolare all'influenza delle nuove tecnologie sui trasporti.

2.9.2

Come la Banca può contribuire ancora meglio a realizzare l'obiettivo della «crescita sostenibile» e a promuovere un'economia più efficiente sotto il profilo delle risorse, più verde e più competitiva? In questo contesto si riferisce in particolare al miglioramento della mobilità sostenibile che favorisce nel contempo la riduzione della congestione e dell'inquinamento, l'efficienza energetica e l'utilizzo delle energie rinnovabili.

2.9.3

Come la Banca può contribuire ancora meglio a realizzare l'obiettivo della «crescita inclusiva» e favorire l'occupazione e la coesione sociale e territoriale? Con questa domanda, la Banca allude in particolare alle strozzature, alle infrastrutture transfrontaliere, ai punti di connessione intermodale e allo sviluppo urbano, periferico e regionale.

3.   Osservazioni generali

3.1   Il Comitato ritiene che un coordinamento tempestivo e periodico tra gli organi politici e consultivi dell'UE e la BEI sia utile e necessario, e accoglie quindi con favore la decisione della BEI di chiedere al CESE di elaborare un parere di iniziativa in merito alla revisione della politica di finanziamento per il settore dei trasporti.

3.2   Come indicato nelle conclusioni del Libro bianco, la politica in materia di trasporti deve migliorare la competitività dei trasporti, garantendo nel contempo il raggiungimento dell'obiettivo di ridurre, entro il 2050, le emissioni di gas a effetto serra del settore dei trasporti di almeno il 60 % rispetto ai livelli del 1990. Per il 2030, l'obiettivo è quello di ridurre tali emissioni del 20 % rispetto ai livelli del 2008. Secondo il Comitato, per realizzare questi obiettivi bisognerà compiere notevoli sforzi e per quanto riguarda lo sviluppo sostenibile occorrerà cercare il finanziamento di progetti che offrono un elevato potenziale in materia di sostenibilità. Queste considerazioni sono trattate in dettaglio nel parere in corso di elaborazione da parte del gruppo di studio TEN/454 sul tema Libro bianco - Tabella di marcia verso uno spazio unico europeo dei trasporti - Per una politica dei trasporti competitiva e sostenibile.

3.3   In generale, il Comitato ritiene adeguati gli orientamenti attuali (2007) applicati dalla BEI nella concessione di linee di credito nel settore dei trasporti, il cui principio guida primario consiste nel mirare a soddisfare la domanda di trasporto nel modo più efficiente, più economico e più sostenibile possibile. Questo obiettivo richiede una combinazione di soluzioni che coinvolgano tutti i modi di trasporto. Il Comitato reputa che ciò sia in linea con il principio di comodalità - che anch'esso sottoscrive -, il quale è e rimarrà in futuro il punto di partenza delle catene logistiche e di un'internalizzazione dei costi esterni obiettiva, generalmente applicabile, trasparente, comprensibile e capace quindi di ottenere il sostegno della società, in generale, e di tutti i modi di trasporto, in particolare (1).

3.4   A giudizio del Comitato, può tuttavia essere giustificato che il finanziamento venga assegnato a un solo modo di trasporto allorché, in quella determinata catena logistica, esso risulta fornire le prestazioni migliori dal punto di vista economico e sociale nonché della sostenibilità e della sicurezza.

3.5   Il Comitato ritiene che la BEI debba quindi continuare ad agire in maniera neutra e obiettiva a prescindere dal modo di trasporto in questione. In base al Libro bianco, per le percorrenze più lunghe è auspicabile ricorrere a una multimodalità efficace ed efficiente che consenta di sfruttare al meglio i vantaggi di ciascun modo di trasporto preso in considerazione.

3.6   La Commissione, da parte sua, reputa che sulle percorrenze più lunghe vi sia bisogno di appositi corridoi merci che ottimizzino il trasporto in termini di consumo di energia e di emissioni riducendo al minimo l'inquinamento, ma che siano anche attrattivi dal punto di vista dell'affidabilità, della scarsa congestione causata e dei bassi costi operativi e amministrativi che comportano. Il Comitato può condividere questa analisi ma auspica che lo stesso ragionamento si applichi a corridoi analoghi per il trasporto di passeggeri.

3.7   Un secondo principio guida in base al quale la BEI compie le proprie scelte nell'erogazione dei prestiti è costituito dallo sviluppo della rete TEN-T. Si tratta di investimenti a lungo termine essenziali per pervenire a un sistema di trasporti efficiente nell'UE. Anche il Comitato attribuisce una grande importanza alla realizzazione e all'ammodernamento della rete TEN-T.

3.8   Il terzo principio guida adottato dalla BEI è quello di dare la priorità a progetti che riguardano le ferrovie, i trasporti urbani, la navigazione interna e il settore marittimo, in virtù del fatto che gli investimenti in questi settori dovrebbero apportare i maggiori benefici in termini di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra per unità di trasporto. Il Comitato fa presente che nella riduzione delle emissioni il criterio di riferimento non deve essere costituito tanto dal modo di trasporto in sé, quanto dalle relative catene logistiche. Inoltre, limitarsi a considerare soltanto il modo di trasporto non sarebbe in linea con l'idea di comodalità, ossia di rafforzare tutti i modi di trasporto creando un'interazione tra i diversi modi nelle catene logistiche, soprattutto sulle lunghe percorrenze.

3.9   Per quanto riguarda l'attenzione che la BEI attribuisce alle attività di ricerca, sviluppo e innovazione nonché le risorse destinate a tali attività in accordo con i costruttori di veicoli, il Comitato reputa che l'approccio corretto sia rappresentato dalla lotta alle emissioni alla fonte, tenendo conto anche dell'efficienza energetica e degli aspetti legati alla sicurezza.

3.10   Tendenze come l'invecchiamento della popolazione europea, la sempre maggiore scarsità di combustibili fossili, il continuo incremento del grado di urbanizzazione, i cambiamenti climatici e la globalizzazione crescente aumentano in maniera considerevole il bisogno di risorse finanziarie. A giudizio del Comitato, è quindi a giusto titolo che la BEI rileva che occorrerebbe definire una strategia di finanziamento coerente combinando forme di finanziamento pubbliche e private. Inoltre, per tutti i modi di trasporto si dovrebbe procedere all'internalizzazione dei costi esterni in modo da tenere conto del principio «chi inquina/utilizza paga in funzione dei costi che produce»; i proventi così ottenuti dovrebbero naturalmente essere reinvestiti nella riduzione di tali costi esterni, il che deve essere l'obiettivo ultimo dell'internalizzazione (2).

4.   Osservazioni particolari

4.1   Il Comitato raccomanda di prestare maggiore attenzione non soltanto alle reti ma anche al ruolo fondamentale che svolgono i punti di connessione, come i porti marittimi, gli aeroporti e i terminal multimodali, in quanto centri logistici che richiedono collegamenti efficienti con l'entroterra. Sostiene il punto di vista della BEI (confermato anche nel Libro bianco), secondo il quale il maggiore contributo alla riduzione del consumo di energia e alla diminuzione delle emissioni verrà da un approccio comodale autentico ed efficace.

4.2   Per quanto concerne i criteri di finanziamento delle infrastrutture della rete TEN-T, occorrerà porre maggiormente l'accento, oltre che sull'ottimizzazione dei flussi di trasporto, anche sui benefici ottenibili in materia di consumo di energia e di produzione di emissioni, considerando che la rete TEN-T dovrebbe essere allargata ai paesi vicini dell'UE.

4.3   Nella definizione di un nuovo quadro per il finanziamento delle infrastrutture, una delle priorità dovrà essere il completamento della rete TEN-T, e in tale contesto si dovrà tenere conto delle strategie di investimento sia dei programmi TEN-T che dei fondi strutturali e del Fondo di coesione. Il Comitato ritiene che sia necessario migliorare il coordinamento tra questi fondi e i fondi di investimento per il settore dei trasporti al fine di utilizzare al meglio le risorse dell'UE.

4.4   Nel suo Libro bianco pubblicato il 28 marzo 2011, la Commissione stima che i costi degli investimenti necessari nelle infrastrutture per rispondere alla domanda di trasporto ammonteranno, per il periodo 2010-2030, a 1500 miliardi di euro, considerando che la realizzazione della rete TEN-T richiederà una dotazione di circa 550 miliardi di euro fino al 2020, di cui 215 miliardi dovrebbero essere destinati all'eliminazione delle principali strozzature esistenti nelle infrastrutture.

4.5   Nel settore tecnologico, il Comitato reputa che occorra prestare attenzione soprattutto al finanziamento di progetti atti a ridurre alla fonte le emissioni di sostanze nocive attraverso investimenti mirati nelle attività di ricerca e sviluppo. Lo stesso dicasi per la ricerca di forme alternative di combustibili volte a sostituire quelli fossili.

4.6   Il Comitato è consapevole della difficoltà di conciliare, da un lato, l'obiettivo ambizioso, delineato nel Libro bianco, di ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 60 % entro il 2050, tenendo conto dei notevoli sforzi finanziari che saranno necessari a realizzarlo, e, dall'altro, la prudenza che la crisi finanziaria impone in materia di politica finanziaria.

4.6.1   Il Comitato ritiene tuttavia che tale situazione offra anche l'opportunità di migliorare l'allocazione delle risorse finanziarie disponibili e rappresenti nel contempo una sfida in termini di sviluppo di nuove forme di finanziamento pubblico e privato.

4.6.2   A questo proposito si può pensare a una partecipazione nella definizione di nuovi strumenti finanziari per il settore dei trasporti, nei quali potrebbero svolgere un ruolo investitori come i fondi pensione e le compagnie di assicurazione.

4.6.3   A tale riguardo, il CESE raccomanda di utilizzare in maniera adeguata e selettiva i partenariati pubblico-privati (PPP) nel finanziamento della TEN-T, tenendo conto del fatto che non tutti gli Stati membri hanno lo stesso grado di esperienza in materia di PPP e che il ricorso agli strumenti finanziari dell'UE (come fondi strutturali, Fondo di coesione, TEN-T e BEI) deve avvenire nel quadro di una strategia di finanziamento coerente che riunisca le risorse europee e nazionali, sia pubbliche che private. Per quanto riguarda la libertà di scelta da parte degli enti pubblici nella conclusione di PPP, il CESE ribadisce la necessità di adeguare la definizione di PPP contenuta nelle procedure di Eurostat in relazione all'indebitamento pubblico (3).

4.7   Per una risposta alle domande specifiche poste dalla BEI (cfr. punto 2.9 e segg.), il Comitato rimanda ai suoi pareri precedenti adottati in materia, di cui riporta qui di seguito i riferimenti e i passaggi più pertinenti.

4.7.1   Per quanto riguarda la prima domanda relativa al contributo alla «crescita intelligente» attraverso la conoscenza e l'innovazione e l'influenza delle nuove tecnologie sul settore dei trasporti, si invita a tenere conto in particolare dei seguenti pareri:

TEN/419: Verso una più ampia diffusione dei veicoli elettrici  (4), punto 1.1: una più ampia diffusione delle auto elettriche per ridurre le emissioni di gas a effetto serra prodotte dal settore dei trasporti; punto 1.6: Il CESE esorta l'UE a promuovere e sostenere questa transizione fondamentale;

TEN/382: Diffusione dei sistemi di trasporto intelligenti  (5), punto 1.7: il Comitato fa rilevare che per la realizzazione di tale infrastruttura è necessario disporre di un finanziamento adeguato da parte sia della Comunità, sia degli Stati membri e del settore privato;

TEN/362: Una strategia europea per la ricerca marina e marittima  (6), punto 1.10: nei documenti che faranno seguito alla comunicazione, si dovrebbe inserire un riferimento al sostegno ai settori della ricerca scientifica marina e marittima, che non rientrano nella strategia europea di ricerca, grazie alle risorse appositamente previste; punto 3.6.4: È inoltre fondamentale il coordinamento tra i fondi strutturali, il programma quadro e altre fonti di finanziamento.

TEN/335: Emissioni dei trasporti su strada - misure concrete per superare il ristagno (7).

4.7.2   Circa la «crescita sostenibile» e un'economia più efficiente sotto il profilo delle risorse, più verde e più competitiva è utile fare riferimento ai seguenti pareri:

TEN/399/400: Un futuro sostenibile per i trasporti/La politica europea dei trasporti dopo il 2010  (8), punto 2.8, primo trattino: forte aumento della quota di persone anziane, cambiamento delle abitudini di viaggio, aumento della spesa pubblica nel settore della sanità e delle pensioni, diminuzione delle risorse disponibili per i trasporti pubblici; punto 4.15: necessità di modifiche radicali nel settore degli investimenti infrastrutturali;

TEN/412: Politica europea dei trasporti/Strategie di Lisbona e per lo sviluppo sostenibile  (9), punto 1.5: necessità di stabilire nuove linee guida per la rete transeuropea di trasporto e incentivi grazie all'intervento della Banca europea per gli investimenti; punto 1.8: soluzioni che richiedono scelte politiche forti, con ripercussioni finanziarie più importanti ecc.;

TEN/297: Mix energetico nel trasporto  (10), punto 5.4: i sussidi ai trasporti ammontano a una cifra compresa tra i 270 e i 290 miliardi di euro; punto 8.13: la Commissione europea ha stanziato 470 milioni di euro per la costituzione dell'impresa comune «Celle a combustibile e idrogeno»; punto 8.15: il progetto Zero Regio, cofinanziato dalla Commissione europea, prevede la costruzione e sperimentazione di due infrastrutture innovative;

TEN/376: I trasporti su strada nel 2020: le aspettative della società civile organizzata  (11), punto 1.9: necessità di sviluppare le infrastrutture necessarie; punto 4.2: sarà necessario adoperarsi per creare e potenziare le infrastrutture fisiche (eliminazione delle strozzature);

TEN/336: Le conseguenze sociali dell'evoluzione del binomio trasporti/energia  (12), punto 1.2.5: meccanismo di finanziamento con ripartizione dei rischi (RSFF);

TEN/262: La logistica delle merci in Europa - La chiave per una mobilità sostenibile  (13), punto 1.3: per ottimizzare la rete fisica bisogna mobilitare le fonti di finanziamento necessarie; punto 4.5.5: aumentare gli stanziamenti comunitari destinati alla costruzione delle reti transeuropee; punto 4.5.6: sistema di finanziamento misto per la costruzione e la manutenzione delle infrastrutture;

TEN/440: Programma di sostegno per l'ulteriore sviluppo di una politica marittima integrata  (14), punto 2.9: l'attuazione della politica marittima integrata è messa a rischio dall'insufficienza di risorse finanziarie; punto 2.10: definire un programma finanziario volto a sostenere l'ulteriore sviluppo della politica marittima integrata;

TEN/427: Sostegno finanziario comunitario a favore di progetti nel settore dell'energia  (15), punto 1.1: utilizzare i fondi europei per produrre un effetto leva in grado di accelerare l'attuazione degli investimenti nel campo dell'efficienza energetica e delle energie rinnovabili; punto 2.2: strumento finanziario specificamente destinato a promuovere il finanziamento di iniziative nell'ambito delle energie sostenibili;

TEN/404: Le PMI e la politica energetica europea  (16), punto 1.2: sostenere il finanziamento degli investimenti e costruire sinergie finanziarie tra l'UE, gli Stati membri e le organizzazioni delle imprese; punto 1.3: sostegno all'innovazione e finanziamento degli investimenti dei programmi regionali;

TEN/366: Integrare le politiche dei trasporti e dell'assetto territoriale ai fini di un trasporto urbano più sostenibile  (17), punto 5.2: L'UE ha fornito risorse per gli investimenti attraverso i fondi strutturali e il Fondo di coesione e attraverso la BEI; punto 5.3: le nuove sfide che nascono dai cambiamenti climatici evidenziano l'esigenza di un impegno collettivo a livello europeo;

TEN/381: Rete ferroviaria europea per un trasporto merci competitivo  (18), punto 4.1.2: le istituzioni europee dovranno svolgere un ruolo rilevante nell'agevolare il ricorso agli strumenti di sostegno dell'UE ai fini dello sviluppo di una rete ferroviaria europea per un trasporto merci competitivo, cofinanziando la creazione di corridoi ferroviari per il trasporto merci mediante le risorse destinate alla rete transeuropea dei trasporti (TEN-T) e quelle provenienti dal Fondo europeo per lo sviluppo regionale e dal Fondo di coesione, nonché mediante i prestiti della BEI.

4.7.3   In relazione alla terza domanda concernente l'aspetto della «crescita inclusiva», e più in particolare quello dell'occupazione e della coesione sociale e territoriale, il CESE ha espresso le sue posizioni in particolare nei seguenti pareri:

TEN/276: Trasporti nelle aree urbane e metropolitane  (19), punto 4.1: il CESE invita la Commissione a rivedere le norme che regolano la distribuzione degli aiuti finanziari destinati alle misure di sviluppo regionale; punto 4.5: sarebbe opportuno un programma comunitario di aiuti concreti in materia di mobilità e sviluppo urbanistico;

TEN/445: Aspetti sociali della politica dei trasporti dell'UE  (20), punto 1.10.1: l'UE dovrebbe fornire un sostegno finanziario per le misure infrastrutturali, come parcheggi per i trasporti di merci su strada e stazioni ferroviarie, della metropolitana, dei tram e dei bus di buona qualità;

TEN/397: La politica UE dei trasporti marittimi fino al 2018  (21), punto 7.1: necessità di maggiori investimenti nelle infrastrutture portuali e nei collegamenti con l'entroterra, di cui bisognerebbe tenere conto in fase di revisione della TEN-T;

TEN/320: Libro verde - Verso una nuova cultura della mobilità urbana  (22), punto 1.5: il Comitato è favorevole alla promozione dell'utilizzo di «acquisti verdi» negli appalti per le infrastrutture finanziate con programmi europei e alla soppressione degli ostacoli esistenti; punto 4.25 nel quale viene posta la domanda: «Quale sarebbe, a lungo termine, il valore aggiunto di un contributo finanziario mirato dell'UE a favore di un trasporto urbano pulito e a basso consumo energetico?»;

TEN/401: Promuovere posti di lavoro verdi e sostenibili per il pacchetto «Energia-clima» dell'UE  (23), punto 6.3: il CESE propone l'adozione di un «Fondo sovrano europeo», garantito dalla BEI e da specifiche risorse che dovrebbero essere messe a disposizione dal sistema delle Banche centrali e dalla BCE, finalizzato al raggiungimento degli obiettivi di efficienza e risparmio energetico: una specie di «Piano Marshall» europeo; punto 6.4: La BEI potrebbe assumere la gestione di tale fondo;

TEN/414: Piano d'azione sulla mobilità urbana  (24), punto 1.10: il CESE raccomanda di assegnare i fondi strutturali e di coesione in modo più mirato, tramite la creazione di uno strumento finanziario per la promozione della mobilità urbana; punto 4.4.4: è opportuno razionalizzare le fonti di finanziamento oggi esistenti a livello dell'Unione;

TEN/388: TEN-T: riesame della politica  (25), punto 2.6: dal 1996 sono stati investiti 400 miliardi di euro in progetti di interesse comunitario; punto 2.7: si stima che dovranno essere ancora investiti 500 miliardi di euro; punto 3.4: il Comitato raccomanda che i mezzi finanziari rispecchino le ambizioni e non il contrario; punto 3.16: il Comitato giudica necessario creare un apposito organo a livello europeo con il compito di coordinare l'utilizzo dei fondi.

Bruxelles, 13 luglio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU C 317 del 23.12.2009, pagg. 80-83, e GU C 255 del 22.9.2010, pagg. 92-97.

(2)  GU C 317 del 23.12.2009, pagg. 80-83.

(3)  GU C 51 del 17.2.2011, pagg. 59-66 (Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Mobilitare gli investimenti pubblici e privati per la ripresa e i cambiamenti strutturali a lungo termine: sviluppare i partenariati pubblico-privato).

(4)  GU C 44 dell'11.2.2011, pagg. 47-52.

(5)  GU C 277 del 17.11.2009, pagg. 85-89.

(6)  GU C 306 del 16.12.2009, pagg. 46-50.

(7)  GU C 317 del 23.12.2009, pagg. 22-28.

(8)  GU C 255 del 22.9.2010, pagg. 110-115.

(9)  GU C 354 del 28.12.2010, pag. 23.

(10)  GU C 162 del 25.6.2008, pagg. 52-61.

(11)  GU C 277 del 17.11.2009, pagg. 25-29.

(12)  GU C 175 del 28.7.2009, pagg. 43-49.

(13)  GU C 168 del 20.7.2007, pagg. 63-67.

(14)  GU C 107 del 6.4.2011, pagg. 64-67.

(15)  GU C 48 del 15.2.2011, pagg. 165-166.

(16)  GU C 44 dell'11.2.2011, pagg. 118-122.

(17)  GU C 317 del 23.12.2009, pagg. 1-6.

(18)  GU C 317 del 23.12.2009, pagg. 94-98.

(19)  GU C 168 del 20.7.2007, pagg. 77-86.

(20)  GU C 248 del 25.8.2011, pag. 22.

(21)  GU C 255 del 22.9.2010, pagg. 103-109.

(22)  GU C 224 del 30.8.2008, pagg. 39-45.

(23)  GU C 44 dell'11.2.2011, pagg. 110-117.

(24)  GU C 21 del 21.1.2011, pagg. 56-61.

(25)  GU C 318 del 23.12.2009, pagg. 101-105.


29.10.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/62


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Aiuti di Stato alla costruzione navale» (supplemento di parere)

2011/C 318/10

Relatore: KRZAKLEWSKI

Correlatore: CALVET CHAMBÓN

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 9 dicembre 2010, ha deciso, conformemente all'articolo 29, lettera A), delle Modalità d'applicazione del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema:

Aiuti di Stato alla costruzione navale

(supplemento di parere).

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 giugno 2011.

Alla sua 473a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2011 (seduta del 13 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 124 voti favorevoli, 5 voti contrari e 6 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che la disciplina degli aiuti di Stato alla costruzione navale (in appresso la «disciplina») sia uno strumento da preservare, ma che occorra aggiornare e ampliare alcune delle sue disposizioni. Nel suo periodo di applicazione, tale disciplina ha contribuito alla realizzazione degli obiettivi politici ed economici prefissati. È quindi opportuno mantenerla, in primo luogo per la specifica situazione del settore, che viene descritta in modo dettagliato nell'introduzione al testo attualmente in vigore.

1.2   Il Comitato desidera sottolineare che la disciplina non si pone l'obiettivo di lottare contro la crisi nell'immediato e che gli aiuti concessi in virtù delle sue disposizioni sono da ricondursi alle particolarità del settore e non possono essere utilizzati come misura correttiva per compensare la costruzione di navi non competitive o a basso livello tecnologico.

1.3   Secondo il CESE, esiste un'ulteriore argomentazione a conferma della specifica situazione dell'industria della costruzione navale e quindi della necessità di mantenere e aggiornare la disciplina: nella fattispecie, il recente annuncio della rottura, dopo vent'anni di trattative, dei negoziati in corso sotto l'egida dell'OCSE per giungere a un accordo sul settore della costruzione navale, la cui ambizione era quella di stabilire condizioni di concorrenza eque sul mercato mondiale.

1.4   Nel presente parere, il Comitato fa specifico riferimento alle questioni e alle problematiche fondamentali che la Commissione europea ha sottoposto alle parti interessate durante il processo di consultazione, e propone, motivandole, alcune modifiche che ritiene necessario introdurre nella versione riveduta della disciplina.

1.5   Il Comitato reputa necessari gli aiuti alla ricerca, allo sviluppo e all'innovazione (RSI) previsti dalla disciplina, in quanto aiutano le imprese ad accettare determinati tipi di rischi connessi all'innovazione.

1.5.1   Il Comitato ritiene che il fatto di poter disporre di aiuti all'innovazione incida positivamente sulla valutazione del rischio connesso a ciascuna componente dell'innovazione nella creazione di nuovi prodotti o processi. Questi aiuti offrono alle società navali la possibilità di fare ulteriori passi verso nuove soluzioni, che aumentano le prospettive di successo sul mercato dei prodotti innovativi e, di conseguenza, promuovono ulteriormente le attività di RSI.

1.6   In merito alla domanda posta dalla Commissione europea, vale a dire se sia opportuno escludere dagli aiuti all'innovazione diversi tipi di innovazioni conservando soltanto gli aiuti connessi alle navi «ecologiche», il Comitato condivide la posizione delle parti sociali e ritiene che una tale decisione indebolirebbe notevolmente l'efficacia di tale strumento, soprattutto perché si finirebbe per azzerarne l'impatto positivo sulle innovazioni di processo e altre innovazioni di prodotto nel campo della sicurezza e dell'efficienza.

1.7   Il Comitato è del parere che gli aiuti volti a favorire l'affermazione sul mercato delle tecnologie «verdi» rappresentino un importante strumento e che, pertanto, essi dovrebbero essere inseriti nel testo della disciplina. La disciplina riveduta dovrebbe contenere delle disposizioni adeguate e concrete a tal proposito, che andrebbero ad aggiungersi agli obblighi imposti dalle norme orizzontali in riferimento alla tutela ambientale. Il CESE è del parere che tali disposizioni non servirebbero a creare uno strumento supplementare in materia di aiuti di Stato, ma semplificherebbero l'attuazione della disciplina e permetterebbero di realizzare importanti obiettivi dell'UE.

1.8   In merito alla cruciale problematica sollevata dalla Commissione europea, ossia se sia opportuno mantenere gli aiuti alla ricerca, allo sviluppo e all'innovazione (RSI) dal momento che esiste già una disciplina orizzontale ad essi applicabile, il Comitato è fermamente convinto che, vista la specificità del settore della costruzione navale, si debbano mantenere gli aiuti previsti nella disciplina, dal momento che le norme orizzontali non offrono soluzioni appropriate per sostenere l'innovazione nell'industria navale.

1.9   Per quanto riguarda gli aiuti per la chiusura degli impianti, considerato che, dall'introduzione della disciplina nel 2004 fino al 2009-2010 non vi è stato motivo di ricorrervi, ma che recentemente, a seguito del drammatico peggioramento della situazione nel settore, le commesse dei cantieri navali europei hanno raggiunto il livello più basso da oltre dieci anni, il Comitato ritiene necessario mantenerli. Le disposizioni che ne disciplinano la concessione dovrebbero dare ai cantieri navali la possibilità di procedere a una ristrutturazione parziale senza dover compiere tutta la procedura di abilitazione prevista per questo tipo di operazioni dagli orientamenti sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione.

1.10   Il Comitato è convinto che gli aiuti regionali siano utili anche per l'industria della costruzione navale. Gli aiuti regionali concessi nel quadro della disciplina dovrebbero garantire la stessa intensità di sostegno delle azioni realizzate sulla base degli orientamenti in materia di aiuti di Stato a finalità regionale. Secondo il CESE non è né opportuno né giustificato limitare il campo d'applicazione degli aiuti previsti dalla disciplina ai soli cantieri navali esistenti.

1.11   Le disposizioni restrittive adottate dall'Europa in merito all'ampliamento delle capacità di produzione industriali nel settore hanno sortito, nella pratica, un effetto opposto a quello atteso: anziché ridurre il contributo all'offerta mondiale, già eccedentaria, esse non hanno fatto altro che porre i cantieri navali europei in una posizione più sfavorevole rispetto ai loro concorrenti mondiali. Pertanto, il mantenimento di queste misure restrittive volte a ridurre al minimo gli aiuti all'ampliamento delle capacità produttive non è assolutamente giustificato.

1.12   Quanto alle disposizioni contenute nella disciplina in merito agli aiuti all'occupazione, il CESE invita gli Stati membri a servirsi di tali misure più spesso di quanto non abbiano fatto finora, in particolare per sostenere le attività di istruzione e formazione nelle rispettive industrie della costruzione navale.

1.13   Il CESE ritiene che la disposizione della disciplina relativa ai crediti all'esportazione debba essere mantenuta. I crediti all'esportazione concessi in conformità all'accordo settoriale dell'OCSE non costituiscono aiuti di Stato e forniscono un sostegno alle imprese e quindi anche alle regioni in cui hanno sede. Tale sostegno è legato indirettamente al mantenimento o alla creazione di occupazione nel settore e nelle imprese correlate, nonché ai vantaggi di cui beneficiano gli armatori (i quali possono ottenere prestiti a lungo termine o garanzie di credito per l'acquisto di navi).

1.14   Il Comitato è favorevole all'ampliamento della gamma di prodotti da includere nella versione riveduta della disciplina: si tratta di un aggiornamento reso necessario dall'evoluzione dell'industria navale e della tecnologia rispetto al 2004. Esso ritiene che a tal fine si debba utilizzare la proposta di aggiornamento contenuta nella posizione della Comunità delle associazioni dei cantieri navali europei (CESA) in merito all'articolo 2 della disciplina (1).

1.15   Il Comitato invita gli Stati membri e l'amministrazione UE a considerare con particolare attenzione la politica di informazione circa le possibilità e le condizioni per usufruire degli strumenti di aiuto pubblico previsti dalla disciplina.

2.   Introduzione

Contesto

2.1   Il 29 aprile 2010 il CESE ha adottato un parere d'iniziativa sul tema L'industria navale europea di fronte alla crisi.

2.2   Nel suo programma di lavoro per il 2011, la Commissione europea ha previsto il riesame della disciplina degli aiuti di Stato alla costruzione navale in vista di un eventuale aggiornamento e della proroga di tale disciplina oltre il 2011. Le consultazioni ufficiali con le parti interessate si sono concluse il 6 dicembre 2010 e hanno coinvolto, tra gli altri, le parti sociali e gli Stati membri.

2.2.1   L'elaborazione di un supplemento di parere del CESE su questo tema appare sia utile che d'attualità, alla luce delle conseguenze economiche e sociali di tali normative, nonché del loro notevole impatto su determinate regioni.

2.3   La disciplina degli aiuti di Stato alla costruzione navale comprende le regole seguite dalla Commissione europea nell'effettuare la valutazione degli aiuti di Stato alla costruzione navale. Essa è entrata in vigore il 1o gennaio 2004 per un periodo iniziale di tre anni. Decorso tale termine, la Commissione europea l'ha prorogata per due volte: nel 2006, di due anni, e nel 2008, di altri tre anni. Attualmente, quindi, la disciplina relativa alla costruzione navale è in vigore fino al 31 dicembre 2011.

2.4   Secondo il principio generale della disciplina, il settore della costruzione navale può accedere agli aiuti di Stato in virtù degli strumenti relativi agli aiuti di Stato orizzontali, ad eccezione dei casi in cui si applicano le disposizioni specifiche della disciplina relativa alla costruzione navale. Tali disposizioni specifiche riguardano: gli aiuti alla ricerca, allo sviluppo e all'innovazione, gli aiuti per la chiusura d'imprese, quelli a favore dell'occupazione e dei crediti all'esportazione, gli aiuti allo sviluppo e quelli con finalità regionale.

2.5   Poiché la costruzione navale soddisfa le condizioni per beneficiare di un sostegno anche a titolo degli aiuti di Stato (nazionali o UE) orizzontali, le consultazioni e il parere elaborato dal CESE a nome della società civile dell'Unione europea dovrebbero contribuire innanzitutto a stabilire se le disposizioni specifiche della disciplina debbano continuare a essere applicate e se, in caso di proroga, debbano essere modificate ed eventualmente in che modo.

3.   Informazioni aggiornate e sintetiche sul settore europeo della costruzione navale nel contesto mondiale in vista della decisione in merito alla disciplina

3.1   Il parere del CESE dell'aprile 2010 fornisce una presentazione globale e dettagliata dell'industria navale europea. Le informazioni presentate qui di seguito riguardano dati e fatti salienti relativi allo scorso anno.

3.2   Dopo il primo periodo di crisi, è possibile affermare che la recessione ha colpito l'industria della costruzione navale in tutto il mondo. A causa delle distorsioni nel commercio, mai così forti prima d'ora, tutti gli Stati dotati di un'industria navale si sono trovati ad affrontare gravi difficoltà a causa di una notevole diminuzione della domanda. Oltre alla questione ancora irrisolta della definizione di regole di concorrenza chiare per la costruzione navale e il commercio di navi, si constata oggi che le possibilità a lungo termine per l'Europa in questo settore sono seriamente a rischio.

3.3   La costruzione mondiale di navi avviene attualmente per oltre l'80 % nei paesi asiatici, che detengono fino al 90 % delle commesse mondiali. Il peso di tali paesi cresce a scapito degli Stati dell'UE, la cui quota nella fabbricazione mondiale si è ridotta progressivamente fino a raggiungere oggi il 7-8 %.

3.3.1   La quota dell'Europa nel mercato mondiale delle nuove commesse ha subito un drastico calo nel 2009 scendendo al 2,7 %, ma durante i primi tre trimestri del 2010 è risalita al 4,8 %. Ciononostante, analizzando la quantità di navi commissionate, si osserva che l'indicatore a livello mondiale è leggermente aumentato nel 2010, mentre nell'UE è rimasto fermo allo stesso livello del 2009, il più basso dell'intero decennio.

3.3.2   Negli ultimi anni il volume totale delle nuove commesse ha raggiunto un tonnellaggio lordo compensato (TLC) pari a 85 milioni di tonnellate nel 2007, 43 milioni nel 2008 e 16,5 milioni nel 2009, ed è aumentato nei primi tre trimestri del 2010 attestandosi a 26,3 milioni di TLC (entro la fine dell'anno si prevede che raggiunga all'incirca i 35 milioni). Nel 2009, si è rinunciato a costruire numerose navi già oggetto di contratti di fornitura per diverse ragioni, tra cui i bassissimi tassi di nolo praticati e l'impossibilità di ottenere prestiti bancari per finanziare la costruzione.

3.3.3   L'indice dei prezzi espresso in euro ha recuperato circa il 17 % dal primo trimestre del 2010 (momento in cui aveva raggiunto il livello più basso degli ultimi dieci anni), ma i tassi di cambio hanno un'incidenza negativa sui prezzi quotati nelle monete nazionali. Sebbene tale indice sia aumentato di oltre il 20 % dal 2000, i prezzi in euro sono rimasti allo stesso livello.

3.4   Oltre alla crisi, una delle principali ragioni dell'instabilità nel settore della costruzione navale è rappresentata dalla politica interventista e protezionistica attuata dagli Stati nei quali tale industria costituisce, o ambisce a diventare, un settore chiave dell'economia. I cantieri navali, soprattutto dell'Estremo Oriente, che percepiscono aiuti di Stato, sono in grado di offrire i loro prodotti e servizi a prezzi che non tengono conto di tutti i fattori di rischio e che sono quindi inferiori a quelli della concorrenza, prevalentemente europea, che invece è costretta a considerare questo tipo di rischi nel computo dei prezzi. Un altro strumento protezionistico può essere rappresentato dai tassi di cambio (poiché si tratta di uno dei fattori che incide sulla competitività), che può essere gestito entro una certa misura a livello centrale (p.es. in Cina e nella Corea del Sud).

3.5   Nel dicembre 2010, l'OCSE ha deciso di non riprendere i negoziati per un accordo sulla costruzione navale destinati a garantire condizioni di concorrenza eque sul mercato mondiale. Il fallimento dei negoziati dopo vent'anni di discussioni perpetuerà la lotta spietata in atto sul mercato navale mondiale. Si tratta di uno sviluppo negativo, che incoraggerà alcuni Stati a ricorrere in misura ancora maggiore a tutta una serie di interventi sul mercato, comportando quindi una disparità ancora più accentuata nelle condizioni di concorrenza dell'industria navale a livello internazionale. La responsabilità di tale situazione può essere imputata all'atteggiamento intransigente di taluni paesi terzi che possiedono cantieri navali, in particolare la Cina e la Corea del Sud.

3.5.1   Tale sviluppo viene considerato una reazione alla crisi mondiale e favorisce l'introduzione di misure protezionistiche. Si aggrava quindi la minaccia che sul mercato mondiale vengano costruite navi totalmente ingiustificate sotto il profilo economico. Il varo di queste nuove navi aggraverà la crisi del mercato dei noli, poiché vi sarà un numero troppo elevato di imbarcazioni che si contendono gli stessi carichi. Le parti sociali europee del settore navale hanno già avuto modo di deplorare numerosi fattori (sovraccapacità di produzione, sottoquotazione dei prezzi dei cantieri navali, tonnellaggio eccessivo e sottoquotazione delle tariffe di nolo) che si ripercuotono negativamente su tutti gli operatori del mercato.

3.6   Nell'UE, il settore della costruzione navale ha subito un drastico calo dell'occupazione dal 2008. Sono stati tagliati 40 000 posti di lavoro e le parti interessate chiedono che sia varato un programma d'emergenza per fare in modo che l'industria navale europea (2) mantenga una massa critica. Tale tendenza è ulteriormente aggravata dalla recente applicazione dell'accordo di Basilea sui requisiti patrimoniali per la vigilanza bancaria (Basilea III), che limita le condizioni di finanziamento.

3.7   Con la crisi finanziaria è divenuto molto più difficile nell'UE ottenere i finanziamenti necessari per la costruzione di navi, in considerazione del fatto che taluni importanti istituti finanziari hanno modificato o annullato il loro impegno di finanziamento prima (prefinanziamento) o dopo la consegna delle navi. In queste condizioni, le garanzie pubbliche, anche per i crediti all'esportazione, sono divenute molto più importanti. La stretta creditizia nel settore della costruzione navale permane, malgrado i primi segnali positivi di cambiamento nel mercato.

3.8   Il sottosettore della riparazione di navi, che rientra nella classificazione dell'industria navale, si trova in una situazione nettamente più favorevole rispetto ai cantieri di costruzione, nonostante le difficoltà temporanee. I cantieri di riparazione esercitano la loro attività su un mercato diverso da quello della costruzione navale (oltre la metà delle navi riparate appartengono a paesi terzi). La crisi mondiale del 2009-2010 non ha certo risparmiato questo sottosettore, poiché gli armatori hanno ridotto considerevolmente le spese di riparazione delle loro navi limitandosi spesso agli interventi strettamente necessari e alle riparazioni temporanee imposte dalla normativa sulla navigazione.

3.8.1   Di fronte alla forte concorrenza sul mercato mondiale, i cantieri navali di riparazione di taluni Stati dell'UE hanno attuato delle misure di diversificazione della produzione, cominciando ad effettuare interventi di ammodernando (retrofitting) delle navi e operazioni più complesse quali l'allungamento degli scafi e altri interventi, compresa l'installazione di attrezzature per l'estrazione di gas e petrolio dai fondali marini e la costruzione di navi di più piccole dimensioni.

3.8.2   Attualmente le operazioni di riparazione delle navi avvengono per lo più in cantieri od officine situate al di fuori del territorio UE, nei paesi vicini. Il CESE invita gli Stati membri e l'amministrazione UE a elaborare una strategia per rilanciare lo sviluppo e la costruzione di questo tipo di cantieri navali sulle coste dell'UE. È nell'interesse degli Stati membri dell'UE mantenere un «minimo strategico» di infrastrutture di riparazione nell'UE a servizio del suo settore dei trasporti marittimi. Queste officine potrebbero effettuare le riparazioni a prezzi concorrenziali, garantire un'esecuzione puntuale delle commesse e utilizzare metodi di lavoro rispettosi dell'ambiente, contribuendo così alla rinascita industriale di talune regioni marittime.

4.   Osservazioni generali

4.1   L'obiettivo generale del riesame della disciplina relativa alla costruzione navale dovrebbe essere quello di migliorare le condizioni di concorrenza dei cantieri navali europei. L'intero impianto normativo della «disciplina» dovrebbe essere improntato a questa logica.

4.2   La competitività complessiva del settore europeo della costruzione navale subisce forti pressioni a causa delle difficilissime condizioni del mercato e soprattutto delle numerose misure di sostegno previste nei paesi concorrenti. Non potendo essere competitiva sul costo della manodopera, l'industria europea deve battere la concorrenza puntando sulla massima qualità in termini di sicurezza delle navi, di efficienza e protezione dell'ambiente marino, nonché di processi innovativi volti a migliorare ulteriormente l'efficienza. È chiaro, quindi, che la disciplina nella sua versione rinnovata e ammodernata permetterà di garantire incentivi adeguati in tal senso e che essa è indispensabile per ottenere tali risultati.

4.3   Nella disciplina aggiornata occorre inserire urgentemente un sistema pratico di misure d'incentivazione per favorire gli investimenti destinati alla costruzione o all'ammodernamento di navi con migliori prestazioni ambientali. La mancanza di un tale sistema potrebbe comportare a breve termine l'impossibilità di beneficiare dei vantaggi economici immediati derivanti dalla riduzione delle emissioni di NOx e SOx, nonché dei gas a effetto serra. La disciplina dovrebbe stabilire che questo tipo di aiuti e i mezzi finanziari ad essi destinati sono riservati ai produttori europei.

4.4   Gli aiuti concessi a titolo della disciplina sono importanti per ciascuna impresa e ciascuna regione, pertanto è necessario elaborare nuovi progetti innovativi per rispondere nel modo più rapido ed efficace possibile alle mutevoli esigenze del mercato. Per essere ammissibili agli aiuti, tali progetti innovativi dovrebbero includere investimenti sia in RSI orientata allo sviluppo di nuovi prodotti, sia nella formazione e nel miglioramento delle qualifiche dei lavoratori delle imprese interessate. Questo aspetto dovrebbe essere tenuto in considerazione nella nuova disciplina.

4.5   Il Comitato ritiene che prima di affrontare nel dettaglio la questione degli aiuti ai crediti all'esportazione (cfr. «Osservazioni specifiche») occorra chiarire che l'accesso a costi di finanziamento della produzione competitivi rappresenta spesso un fattore decisivo per il lancio di nuovi progetti. La partecipazione delle autorità pubbliche, delle banche nazionali e di altri attori pubblici alle attività di finanziamento prima (prefinanziamento) e dopo la consegna delle navi è aumentata notevolmente negli ultimi anni, soprattutto in Asia. In una prospettiva a breve o medio termine, si presume che il finanziamento delle attività di costruzione navale necessiterà in via generale e anche in Europa di un sostegno, sotto forma di crediti o di garanzie di Stato, con la partecipazione di istituti finanziari nazionali e UE, come per esempio la Banca europea per gli investimenti (nell'ambito della quale si riscontrano difficoltà per il settore (3).

4.6   Dall'introduzione della disciplina UE nel settore della costruzione navale si sono verificati numerosi cambiamenti strutturali di cui occorre tenere conto in vista della prossima definizione delle disposizioni della disciplina:

la specializzazione dei cantieri navali europei ha permesso di compiere notevoli progressi e occorre far avanzare e sostenere tale processo;

la quota dei modelli di navi «standard» sul totale delle commesse di produzione dell'industria navale europea si è ridotta considerevolmente;

la concorrenza mondiale si comincia ad avvertire anche nel settore delle navi più piccole, in particolare quelle destinate alla navigazione interna;

sebbene le attuali dimensioni della maggior parte dei suoi cantieri navali siano identiche o di poco inferiori a quelle di dieci anni fa (per via della chiusura di grandi cantieri navali in Polonia, Croazia, Danimarca e Spagna), l'Europa si trova di fronte a un enorme ampliamento dei cantieri navali nei paesi concorrenti, soprattutto asiatici;

l'importanza dei prodotti e dei processi di produzione rispettosi dell'ambiente è nettamente cresciuta; occorre quindi sostenere questa tendenza principalmente adottando le misure necessarie per quanto concerne, in particolare, le emissioni di SOx e NOx e di gas a effetto serra;

lo sviluppo delle attività costiere imporrà di dare una risposta diretta al settore europeo della costruzione navale in merito ai mezzi necessari affinché i cantieri navali europei possano soddisfare la domanda locale.

4.7   Nell'utilizzo degli strumenti di aiuto previsti dalla disciplina è fondamentale l'approccio degli Stati membri, che devono fare un'opera di informazione ampia e sistematica circa le possibilità e le condizioni per ottenere gli aiuti di Stato (non sussidi) previsti dalle disposizioni della disciplina.

5.   Osservazioni specifiche

Aiuti alla ricerca, allo sviluppo e all'innovazione

5.1   Le attività di ricerca, sviluppo e innovazione (RSI) sono indispensabili per migliorare i prodotti offerti e, quindi, avere successo sul mercato. Un'azione in tale ambito, tuttavia, è possibile soltanto se il mercato è disposto ad accettare determinati tipi di rischio connessi all'innovazione.

5.2   Come sottolineano i datori di lavoro europei, l'esposizione al rischio nella produzione di navi prototipo è elevata. A differenza della maggior parte degli altri settori, un contratto di vendita stipulato nell'industria navale comporta una definizione delle prestazioni del prodotto che non è possibile testare all'atto della firma. Il verificarsi di incidenti, anche di lieve entità, in relazione a un elemento innovativo può comportare significative modifiche, che richiedono ulteriori risorse e allungano i tempi di lavorazione, causando quindi delle perturbazioni nel processo di produzione.

5.2.1   In queste condizioni, il fatto di disporre di aiuti all'innovazione incide positivamente sulla valutazione del rischio insito in ciascuna componente dell'innovazione nello sviluppo di nuovi prodotti o processi. Questi aiuti offrono alle società navali la possibilità di compiere passi avanti verso nuove soluzioni, che aumentano le prospettive di successo sul mercato dei prodotti innovativi e, di conseguenza, promuovono ulteriormente le attività di RSI.

5.3   L'utilizzo degli aiuti all'innovazione produce un effetto di accelerazione, fattore essenziale che determina un aumento dell'efficacia e della competitività, che a loro volta contribuiscono in modo determinante a preservare una posizione tecnologicamente dominante nelle categorie delle navi complesse e innovative. Il ritmo dell'innovazione rappresenta un elemento chiave della competitività, soprattutto se si considera che nel campo delle tecnologie marittime i mezzi per tutelare la proprietà intellettuale sono molto limitati.

5.4   Le parti sociali europee che rappresentano il settore della costruzione navale affermano congiuntamente, esempi alla mano, che il sostegno all'innovazione ha contribuito chiaramente a migliorare l'efficacia e la competitività del loro settore nell'UE: ha favorito l'introduzione e la diffusione di metodi di produzione, tecnologie e prodotti innovativi e ha promosso la RSI. Occorre quindi riconoscere che tale aiuto costituisce uno strumento d'azione pertinente per l'UE.

5.5   Per quanto concerne i problemi connessi all'applicazione delle regole sugli aiuti all'innovazione, gli imprenditori ritengono che sia possibile risolverli senza modificare il testo della disciplina degli aiuti di Stato alla costruzione navale, ma apportando piuttosto le opportune modifiche alla notificazione del programma nazionale per modificare la soglia di esenzione di categoria per le innovazioni di prodotto concernenti le navi di piccole dimensioni, nonché per le innovazioni di processo.

5.6   In merito alla questione sollevata dalla Commissione europea sull'opportunità di escludere dagli aiuti alle innovazioni altri tipi di innovazione mantenendo soltanto quelli connessi alle navi «ecologiche», il Comitato sostiene la posizione delle parti sociali e reputa che una simile decisione indebolirebbe notevolmente l'efficacia dello strumento. In particolare, si arriverebbe persino ad annullare la sua forte incidenza positiva sulle innovazioni di processo destinate a rafforzare la competitività dell'industria europea. Inoltre, tale opzione potrebbe escludere dagli aiuti talune innovazioni di prodotto, connesse, per esempio, al miglioramento della sicurezza o alla protezione e al comfort degli equipaggi e dei passeggeri.

5.6.1   Gli strumenti di sostegno volti a favorire l'affermazione sul mercato delle tecnologie «verdi» rappresentano uno strumento importante e andrebbero inseriti nel testo della disciplina degli aiuti di Stato alla costruzione navale in qualità di «aiuti per la tutela dell'ambiente», che completano gli aiuti all'innovazione ma costituiscono uno strumento distinto.

5.7   Sulla falsariga della disciplina degli aiuti di Stato per la tutela dell'ambiente, occorre introdurre dei dispositivi che incoraggino ad andare oltre i requisiti normativi. L'interesse per il ricorso alla disciplina per questo tipo di settore, tuttavia, non è aumentato molto. Parallelamente agli obblighi dettati dalle regole orizzontali, quindi, la disciplina degli aiuti di Stato alla costruzione navale dovrebbe prevedere obblighi adeguati e concreti. Un sistema efficace sarebbe quello di fare riferimento alle norme relative agli aiuti per la tutela dell'ambiente nel quadro dei principi relativi alle esenzioni di categoria insieme agli specifici requisiti per le navi. Questo modo di procedere contribuirebbe efficacemente a semplificare le regolamentazioni europee che disciplinano gli aiuti di Stato al settore.

5.8   Anche il quadro orizzontale in materia di RSI include disposizioni sull'attività d'innovazione, quali «[…] la realizzazione di prototipi […] e di progetti pilota […] quando il prototipo è necessariamente il prodotto commerciale finale e il suo costo di fabbricazione è troppo elevato per poterlo usare soltanto a fini di dimostrazione e di convalida» (4).

5.8.1   Rispetto alla disciplina degli aiuti di Stato alla costruzione navale, le disposizioni afferenti al quadro orizzontale in materia di RSI autorizzano effettivamente una più elevata intensità di aiuti e, in una certa misura, una gamma più ampia di costi ammissibili, pur introducendo la restrizione secondo cui «l'eventuale, ulteriore sfruttamento di progetti di dimostrazione o di progetti pilota a scopo commerciale comporta la deduzione dei redditi così generati dai costi ammissibili.» (5).

5.8.2   Sebbene tale disposizione venga applicata nella maggior parte dei settori produttivi in relazione alla fabbricazione in serie, che consente di ammortizzare i costi di sviluppo proprio in ragione dell'elevata quantità di unità prodotte, questo sistema è impraticabile nel caso della realizzazione di navi prototipo.

5.9   In sintesi, il Comitato ritiene che, considerate le specificità dei diversi rami dell'industria navale, il quadro orizzontale relativo alla RSI non offra soluzioni adeguate per quanto concerne gli aiuti all'innovazione per la costruzione navale e che, di conseguenza, una soluzione appropriata sarebbe quella di adottare opportune disposizioni nella versione aggiornata della disciplina degli aiuti di Stato a tale settore.

Aiuti per la chiusura di impianti

5.10   Nell'arco di tempo compreso tra l'introduzione della disciplina degli aiuti di Stato alla costruzione navale, nel 2004, e l'inizio della crisi, l'industria navale ha vissuto un periodo di forte domanda, durante il quale non si pensava certo alla chiusura degli impianti. Il drastico crollo della domanda registrato negli ultimi due anni, tuttavia, ha modificato la situazione e le commesse del settore navale europeo hanno raggiunto il livello più basso degli ultimi dieci anni.

5.10.1   Il Comitato ritiene dunque che la situazione prevalente attualmente sul mercato giustifichi il mantenimento di un aiuto per la chiusura (6).

5.11   Le disposizioni che disciplinano questo tipo di aiuti dovrebbero dare ai cantieri navali la possibilità di procedere a una ristrutturazione parziale (7) senza dover compiere tutta la procedura prevista per questo tipo di operazioni dagli orientamenti sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione. Tale modello dovrebbe essere previsto non appena sarà ultimata la revisione degli orientamenti. Se si opterà per questa soluzione, sarà ovviamente inutile mantenere delle norme distinte per gli aiuti alla ristrutturazione nell'ambito della costruzione navale.

Aiuti regionali

5.12   Qualora siano mantenuti, gli aiuti regionali dovranno avere un'ampiezza e un'intensità conformi alle regole applicate a titolo degli orientamenti in materia di aiuti a finalità regionale. Non è né opportuno né giustificato limitare il campo di applicazione degli aiuti soltanto ai cantieri navali esistenti. Per rafforzare la sua posizione competitiva, l'industria europea della costruzione navale deve investire in metodi di produzione e attrezzature più efficaci. A tal fine può essere necessario creare grandi impianti di produzione per sfruttare più efficacemente le sinergie e le economie di scala. Con la regolamentazione attuale, è difficile, se non impossibile, concedere aiuti regionali per progetti di questo tipo.

5.13   Gli ingenti investimenti effettuati dai paesi asiatici sono stati il principale fattore d'impulso del loro sviluppo industriale e spesso sono stati favoriti dal sostegno, diretto o indiretto, dello Stato. Le disposizioni restrittive adottate dall'Europa in merito all'ampliamento delle capacità di produzione industriali in questo settore hanno sortito l'effetto opposto: invece di ridurre il contributo dell'Europa all'offerta eccedentaria a livello mondiale, esse non hanno fatto altro che porre i cantieri navali europei in una posizione ancora più sfavorevole nei confronti dei concorrenti mondiali. Di conseguenza, non vi è alcun motivo per mantenere tali misure restrittive volte a ridurre al minimo il sostegno all'ampliamento delle capacità di produzione.

5.14   I problemi di interpretazione o applicazione delle norme vigenti in materia di aiuti regionali all'investimento sono in parte dovuti all'approccio restrittivo adottato dalla disciplina degli aiuti di Stato all'industria navale nei confronti delle disposizioni orizzontali. In particolare, la rigida lettura della riduzione degli aiuti agli investimenti negli impianti esistenti ha limitato ingiustificatamente la portata di tale strumento e causato notevoli problemi nella sua applicazione.

Aiuti a favore dell'occupazione

5.15   Il CESE è convinto che gli aiuti a favore dell'occupazione vadano mantenuti nel quadro della disciplina.

5.15.1   Il Comitato ritiene che gli Stati membri dovrebbero servirsi più spesso di quanto non abbiano fatto finora delle misure previste dalla disciplina per gli aiuti all'occupazione, in particolare per sostenere le attività di istruzione e formazione nelle rispettive industrie navali, nelle situazioni di crisi causate da fluttuazioni cicliche, di sovrapproduzione mondiale o di concorrenza sleale da parte dei produttori di paesi terzi.

Aiuti ai crediti all'esportazione e allo sviluppo

5.16   L'attribuzione di crediti all'esportazione da parte delle agenzie nazionali di credito all'esportazione è una pratica diffusa in numerosi rami industriali di tutto il mondo. Gli accordi di settore a livello OCSE definiscono gli standard internazionali accettati. Tutti gli Stati membri dell'UE applicano pienamente tali principi, che nel contesto delle norme dell'UE relative agli aiuti di Stato sono considerati altresì del tutto conformi ai principi del mercato comune.

5.17   I crediti all'esportazione sono un importante elemento nel finanziamento dei progetti di costruzione navale. In Europa essi si basano sul principio della copertura dei costi. Non si tratta quindi di sussidi. La loro disponibilità in condizioni di concorrenza contribuisce in maniera significativa alla competitività dell'industria europea. Soprattutto alla luce dei vasti pacchetti di finanziamenti concessi da altri paesi dotati di una cantieristica navale sviluppata, in particolare la Cina e la Corea, occorre incoraggiare gli Stati membri a fornire alle loro imprese strumenti equivalenti.

5.18   Il Comitato ritiene importante chiarire, sfruttando le possibilità offerte dal dialogo settoriale, in che misura sia necessario, utile e proficuo che la disciplina contenga un riferimento alle norme dell'OCSE. Le parti sociali del settore della cantieristica navale europea sono dell'avviso che tale questione dovrebbe essere affrontata dalle amministrazioni, se dovesse essere minacciata la disponibilità degli attuali crediti all'esportazione.

Bruxelles, 13 luglio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Review of the Framework on State Aid to Shipbuilding - CESA Response to the Consultation Paper - Supplement («Revisione della disciplina degli aiuti di Stato alla costruzione navale - Risposta della CESA al documento di consultazione - supplemento»), 2010.

(2)  Parere del CESE GU C 18 del 19.1.2011, pag. 35.

(3)  Cfr. parere del CESE CCMI/069 - GU C 18 del 19.1.2011, pag. 35.

(4)  Regolamento (CE) n. 800/2008 della Commissione, del 6 agosto 2008 (GU L 214 del 9.8.2008).

(5)  Ibid.

(6)  La Spagna, tra gli altri, prevede di usufruire prossimamente dell'«aiuto per la chiusura» nel caso di alcuni cantieri navali (ristrutturazione parziale).

(7)  Gli aiuti alla ristrutturazione vengono definiti in appositi principi orizzontali, la cui revisione è prevista per il 2012 ed è probabile che in quell'occasione verranno esaminati anche gli aiuti alla chiusura parziale.


29.10.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/69


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «La collaborazione tra le amministrazioni regionali e locali e le organizzazioni della società civile in materia di integrazione degli immigrati» (supplemento di parere)

2011/C 318/11

Relatore: Luis Miguel PARIZA CASTAÑOS

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 20 gennaio 2011, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, lettera A), delle Modalità d'applicazione del Regolamento interno, di elaborare un supplemento di parere sul tema:

La collaborazione tra le amministrazioni regionali e locali e le organizzazioni della società civile in materia di integrazione degli immigrati.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 27 giugno 2011.

Alla sua 473a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2011 (seduta del 13 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 119 voti favorevoli, 1 voto contrario e 11 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Nei prossimi anni cresceranno sia la mobilità interna dei cittadini europei che l'immigrazione verso l'Europa di cittadini di paesi terzi. Questi processi migratori porteranno a un aumento della diversità in termini di origine nazionale, etnica, religiosa e culturale dell'Unione europea (1). L'incremento della mobilità e dell'immigrazione rappresenta una sfida per i livelli regionale e locale.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) condanna le recenti misure che limitano la libertà di circolazione nello spazio Schengen e, per dare il proprio contributo ai lavori del Consiglio europeo del 24 giugno, ha elaborato un parere (2).

1.2

Nella strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva, uno dei principi guida fa riferimento all'integrazione delle persone immigrate. Il CESE mette in evidenza che la crescita economica e la creazione di posti di lavoro, unite al miglioramento della formazione e dei servizi pubblici, facilitano l'integrazione.

1.3

È molto importante che l'UE disponga di una buona legislazione comune affinché la gestione dell'immigrazione venga incanalata attraverso procedure legali e trasparenti. Tale legislazione comune deve essere basata sul rispetto della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e della Convezione europea dei diritti dell'uomo, per garantire alle persone immigrate gli stessi diritti e obblighi, la parità di trattamento e la non discriminazione nel lavoro e nella società.

1.4

In un contesto di crisi economica e sociale, in tutta l'Europa crescono l'intolleranza, la xenofobia e il razzismo, anche nelle agende politiche di alcuni governi. Le istituzioni dell'UE devono essere molto attive nella lotta contro la xenofobia e la discriminazione verso gli immigranti e le minoranze visibili attraverso la promozione della parità di opportunità, della coesione e della mobilità sociale. I mezzi di comunicazione devono agire con senso di responsabilità e dando il buon esempio.

1.5

Gli enti regionali e locali dispongono di strumenti politici, normativi e di bilancio per sviluppare le politiche di integrazione. In molti casi le politiche nazionali sono dirette al controllo dei flussi migratori, ma esse sono molto distanti dal livello regionale e locale, il quale deve affrontare la sfida dell'integrazione. Le politiche sono state sviluppate in varie maniere: sono di tipo proattivo, preventivo, correttivo o reattivo. Gli enti locali sono andati oltre l'approccio secondo il quale l'integrazione è un processo naturale privo di difficoltà che non richiede politiche attive e specifiche.

1.6

Il CESE ritiene che l'integrazione non sia un atto giuridico, ma un complesso processo sociale che si sviluppa nel lungo termine, con molteplici dimensioni e il coinvolgimento di una pluralità di attori, specialmente a livello locale. Il processo sociale di integrazione si sviluppa nelle strutture della società e in diversi ambiti della vita delle persone: in famiglia, nel quartiere e nella città, sul lavoro, a scuola, nei centri di formazione, all'università, nelle associazioni, nelle istituzioni religiose, nei circoli sportivi, ecc.

1.7

Il processo sociale d'integrazione deve essere basato su un quadro normativo che garantisca la «progressiva equiparazione degli immigrati al resto della popolazione, per quanto riguarda diritti e doveri, l'accesso ai beni, ai servizi e alle basi di partecipazione civile in condizioni di parità di opportunità e di trattamento» (3). Il primo dei principi fondamentali comuni della politica di integrazione dell'Unione europea (4) stabilisce che «l'integrazione è un processo dinamico e bilaterale di adeguamento reciproco da parte di tutti gli immigrati e di tutti i residenti degli Stati membri» (5).

1.8

Le politiche di integrazione e di inclusione sociale promosse dagli enti regionali e locali devono riguardare vari aspetti  (6): la prima accoglienza, l'insegnamento della lingua, delle leggi e dei costumi, l'alloggio, la salute, la lotta contra la povertà, la lotta alla discriminazione, le politiche dell'occupazione e di formazione, la parità di genere, l'istruzione dei minori, la politica per la famiglia, la politica della gioventù, l'assistenza sanitaria, l'estensione dei servizi sociali e l'agevolazione della partecipazione civica. L'organico delle amministrazioni pubbliche deve rispecchiare la diversità etnica e culturale, e i dipendenti pubblici devono ricevere una formazione interculturale. A livello regionale e locale vanno promossi il dialogo e la cooperazione interculturale e interreligiosa.

1.9

La governance democratica è basata sul principio che tutti i membri della comunità politica dovrebbero poter partecipare sia direttamente che indirettamente al processo decisionale governativo. Affinché le politiche di integrazione abbiano successo, è necessaria l'attiva collaborazione della società civile e degli enti regionali e locali per quanto concerne la progettazione, l'attuazione e la valutazione delle politiche di integrazione.

1.10

In una società democratica tutte le persone interessate dal processo di decisione collettiva devono poter influire su tali decisioni e avere l'opportunità di parteciparvi. Le città multiculturali europee del XXI secolo devono diventare più democratiche attraverso il coinvolgimento dei residenti i cui diritti di partecipazione politica sono limitati, ossia i residenti di paesi terzi (7).

1.11

Il CESE ha chiesto con forza (8) l'estensione dei diritti di cittadinanza alle persone originarie di paesi terzi che hanno un permesso di soggiorno permanente nell'UE. Inoltre il Comitato reclama politiche nazionali di naturalizzazione più flessibili.

1.12

Il CESE potrebbe collaborare all'attuazione delle conclusioni della conferenza di Saragozza attraverso l'elaborazione di un parere sugli indicatori di cittadinanza attiva.

1.13

Il nono principio fondamentale comune («la partecipazione degli immigrati al processo democratico e alla formulazione delle politiche e delle misure di integrazione, specialmente a livello locale, favorisce l'integrazione dei medesimi») non è stato sviluppato in modo sufficiente negli Stati membri. Nella terza edizione del MIPEX (9) (che include indicatori d'integrazione per 31 paesi d'Europa e dell'America settentrionale) si giunge alla conclusione che la maggior parte delle persone immigrate hanno poche possibilità di partecipazione alle politiche che li interessano.

1.14

Il CESE ritiene che debbano essere attuate politiche di integrazione con carattere proattivo, con un approccio bidirezionale, rivolto sia alle società di accoglienza che agli immigrati, con l'obiettivo di pervenire ad una società in cui tutti i residenti, indipendentemente dalla loro origine, abbiano gli stessi diritti e gli stessi obblighi e condividano i valori delle società democratiche, aperte e pluraliste.

1.15

Nelle città europee la società civile è molto attiva e lavora per migliorare la convivenza e l'integrazione civica. Le organizzazioni della società civile rappresentano un magnifico capitale sociale in grado di promuovere società inclusive in ciascuno dei loro settori di azione. Il CESE propone che gli enti regionali e locali facilitino le attività della società civile, ne promuovano la consultazione e partecipazione attraverso procedure pubbliche trasparenti e mettano a disposizione finanziamenti sufficienti. I sistemi di finanziamento non devono limitare l'indipendenza delle organizzazioni.

1.16

Al fine di agevolare l'integrazione, si deve migliorare la governance attraverso sistemi di partecipazione della società civile. Il CESE propone pertanto di rafforzare il ruolo degli organi di partecipazione e di consultazione che esistono in ambito regionale e locale, e di creare nuovi forum e piattaforme nelle città e nelle regioni che ancora non se ne sono dotate, perché i sistemi partecipativi migliorano i risultati degli interventi pubblici.

1.17

Il CESE propone che le autorità delle città e delle regioni d'Europa costituiscano consigli, forum e piattaforme consultive, che rendano possibile la partecipazione e la consultazione della società civile (le associazioni degli immigrati e quelle di sostegno agli immigrati, le organizzazioni di difesa dei diritti umani, le organizzazioni delle donne, le parti sociali - sindacati e organizzazioni dei datori di lavoro - e altre ONG interessate) per quanto riguarda le politiche di integrazione. In ambito comunale le strutture di partecipazione potranno adattarsi alle caratteristiche locali ed avere un carattere stabile o più flessibile. Gli enti regionali e locali devono compiere sforzi per rimuovere gli ostacoli che impediscono la partecipazione.

1.18

Il CESE ritiene che la Commissione europea, nella nuova Agenda per l'integrazione, debba evidenziare l'importanza del livello regionale e locale, promuovendo la collaborazione tra le autorità politiche e le organizzazioni della società civile. L'ambito locale è lo spazio in cui l'integrazione viene realizzata in modo più efficiente e in cui viene sviluppato il sentimento di appartenenza. La partecipazione sociale e politica è imprescindibile per generare questo sentimento di appartenenza.

1.19

La comunicazione della Commissione deve proporre che a livello locale vengano create strutture di consultazione degli immigrati e della società civile; il Fondo europeo per l'integrazione può collaborare con gli enti locali nel finanziamento di queste attività di partecipazione, garantendo l'indipendenza delle organizzazioni.

1.20

Il CESE ritiene che, prima della prossima valutazione intermedia, il Fondo debba aumentare le sue risorse di bilancio e dotarsi di sistemi di finanziamento più flessibili per gli enti regionali e locali. Inoltre la Commissione dovrebbe gestire fino al 20 % del Fondo per finanziare azioni dell'UE che abbiano un grande valore aggiunto. Il CESE condivide la preoccupazione di numerose organizzazioni di immigrati dovute al fatto che il Fondo finanzia solamente i progetti presentati dalle grandi organizzazioni, le quali possono ottenere alti livelli di cofinanziamento, e non finanzia le piccole organizzazioni locali.

2.   Contesto e osservazioni generali

2.1

Attraverso diversi suoi pareri, il CESE ha contribuito all'adozione di un approccio comune UE alle politiche di integrazione: il programma comune per l'integrazione, i principi fondamentali comuni, il Fondo europeo per l'integrazione, l'organizzazione delle conferenze ministeriali, la rete dei punti di contatto nazionali, i manuali di integrazione, le relazioni annuali, il sito Internet e la creazione del Forum europeo dell'integrazione.

2.2

Con il Trattato di Lisbona, l'Unione si è dotata di una base giuridica (articolo 79, paragrafo 4, del Trattato sul funzionamento dell'UE) per l'adozione di misure volte a incentivare e sostenere l'azione degli Stati membri al fine di favorire l'integrazione dei cittadini di paesi terzi.

2.3

Nel 2006, il CESE ha adottato un parere d'iniziativa (10) per contribuire allo sviluppo delle politiche europee di integrazione in una prospettiva regionale e locale nel quale sottolineava che le politiche di integrazione non sono di competenza esclusiva degli Stati membri, ma anche degli enti regionali e locali.

2.4

È necessario che vi sia una buona governance affinché le autorità pubbliche possano appoggiare questo processo sociale attraverso politiche adeguate. Gli enti regionali e locali, nel quadro delle competenze di cui sono investiti nei rispettivi Stati membri, dispongono di strumenti politici, normativi e finanziari che devono utilizzare adeguatamente nelle politiche di integrazione. Affinché sia garantita la loro efficacia e la loro coerenza globale, i programmi e le azioni devono essere integrati, coordinati e valutati in modo adeguato ai tre livelli (nazionale, regionale e locale).

2.5

Il CESE sottolinea che in ambito regionale e locale la società civile organizzata è interessata e impegnata nelle politiche di integrazione e di lotta alla discriminazione: organizzazioni di immigrati e di appoggio agli immigrati, sindacati, associazioni di imprenditori, ONG per la difesa dei diritti umani e per la lotta al razzismo, comunità religiose, organizzazioni di donne, di giovani, di quartiere, organizzazioni educative, culturali e sportive, ecc.

2.6

Il CESE ha già indicato in un precedente parere che l'occupazione costituisce una parte fondamentale del processo sociale di integrazione, «perché un posto di lavoro dignitoso, oltre ad essere la chiave per l'autosufficienza economica degli immigrati, favorisce le relazioni sociali e la conoscenza reciproca fra immigrati e società di accoglienza» (11).

2.7

L'istruzione e la formazione sono strumenti fondamentali per l'integrazione e la parità di opportunità. I sistemi di formazione continua nelle imprese vanno rafforzati per facilitare ai lavoratori immigrati il riconoscimento delle qualifiche professionali. L'UE deve dotarsi di sistemi più flessibili per il riconoscimento dei titoli di studio e professionali acquisiti nei paesi di origine.

2.8

Il CESE ha esaminato (11) le notevoli difficoltà che incontra il processo di integrazione sociale quando gli immigrati si trovano in situazione irregolare e ha proposto che gli immigrati irregolari possano essere regolarizzati, caso per caso, in considerazione del loro radicamento sociale e lavorativo, sulla base dell'impegno del Consiglio dell'Unione europea nel quadro del Patto europeo sull'immigrazione e l'asilo (12). Le regolarizzazioni individuali verranno realizzate conformemente alle legislazioni nazionali, per motivi umanitari o economici, tenendo conto della maggiore vulnerabilità in cui si trovano le donne.

2.9

La Carta sociale europea riveduta (13), uno strumento del Consiglio d'Europa, contiene all'art. 19 un elenco di impegni, per l'integrazione dei lavoratori immigrati e delle loro famiglie, che il CESE ritiene debba costituire la base dello sviluppo delle persone in ambito cittadino. Dei 47 paesi che formano il Consiglio d'Europa, solo 30 hanno ratificato la Carta sociale europea, che contiene un importante complesso di rivendicazioni collettive che può essere invocato da sindacati, datori di lavoro e organizzazioni della società civile (solo 14 paesi lo hanno ratificato).

2.10

Cittadini e associazioni rappresentative, inoltre, godranno di una maggiore possibilità di far conoscere e di scambiare pubblicamente le loro opinioni in tutti i settori d'azione dell'Unione, conformemente all'articolo 11 del Trattato UE. In un parere d'iniziativa elaborato nel 2010, il CESE ha definito questa disposizione «una pietra miliare nel cammino verso un'Europa dei cittadini» (14), attraverso il dialogo orizzontale e verticale e l'iniziativa europea dei cittadini. Nel parere, il CESE afferma la necessità di introdurre criteri di rappresentatività (quantitativi e qualitativi) per la partecipazione delle associazioni, e propone di estendere la possibilità di partecipare all'iniziativa anche ai cittadini di paesi terzi stabilmente residenti nel territorio dell'UE.

3.   Il Forum europeo dell'integrazione

3.1

Su richiesta della Commissione europea, nel 2008 il CESE ha adottato un parere esplorativo (15) che è servito da base per la creazione del Forum. Quest'ultimo si riunisce in sessione plenaria ogni sei mesi presso la sede del CESE e dalla sua creazione ha già tenuto cinque sessioni plenarie. Il presente parere costituisce il contributo del CESE alla 5a sessione plenaria tenutasi nel maggio 2011, in cui è stata discussa l'importanza del livello regionale e locale per l'integrazione.

3.2

Al Forum partecipano le istituzioni dell'UE, diversi esperti e cento rappresentanti delle organizzazioni della società civile (associazioni degli immigrati, organizzazioni di difesa dei diritti umani, parti sociali e altre ONG interessate). Il Forum è consultato dalle istituzioni dell'UE e provvede allo scambio di informazioni e all'elaborazione di raccomandazioni per promuovere l'integrazione nell'ambito dell'agenda europea, tenendo conto delle buone pratiche nazionali. È assistito da un Ufficio di presidenza composto di quattro membri (Commissione, CESE e due rappresentanti delle organizzazioni). A differenza di altri sistemi di consultazione della Commissione, il Forum si fa portavoce della società civile in modo strutturato, permanente e proattivo.

3.3

Il Comitato si è impegnato a partecipare attivamente al Forum e ha deciso di creare il gruppo di studio permanente Immigrazione e integrazione (IMI) nell'ambito della sezione SOC. Il gruppo elabora pareri, organizza audizioni e collabora alle attività del Forum.

3.4

Anche il Programma di Stoccolma (16) invita la Commissione a sostenere gli sforzi degli Stati membri per una migliore consultazione e un maggiore coinvolgimento della società civile, tenendo conto delle esigenze di integrazione in vari settori politici. Il Forum europeo dell'integrazione e il sito web europeo devono avere un ruolo rilevante in quest'ambito.

3.5

In vari Stati membri, nonché presso alcuni enti regionali, sono stati istituiti forum e piattaforme consultive che rendono possibile la partecipazione delle organizzazioni della società civile. È in ambito locale che funzionano in misura più ampia queste forme di consultazione e partecipazione della società civile e delle organizzazioni degli immigrati. Esse hanno caratteristiche molto diverse e tengono conto delle differenti circostanze e culture sociali e politiche esistenti in Europa.

3.6

In previsione della quarta sessione plenaria del Forum, il CESE ha incaricato il Migration Policy Group (gruppo sulla politica migratoria) di elaborare una relazione per valutare la situazione degli organi consultivi nazionali in materia di integrazione (17). Esistono organismi consultivi statali in 11 paesi (in Germania e in Italia esiste unicamente un quadro giuridico, ma non è stata ancora creata alcuna istituzione, che invece in Irlanda è stata recentemente costituita), 15 paesi presentano sistemi consultivi locali, in 10 paesi esistono consigli consultivi regionali (ad esempio, in Germania e in altri paesi federali) e in 3 paesi (Austria, Francia e Grecia) esistono organismi consultivi locali, ma non nazionali.

4.   La conferenza ministeriale di Saragozza

4.1

Il CESE ha collaborato alla preparazione dell'ultima conferenza ministeriale per l'integrazione, svoltasi a Saragozza (18), attraverso l'elaborazione di due pareri (19). Per la prima volta, alla conferenza ministeriale hanno partecipato anche due rappresentanti del Forum.

4.2

Nelle conclusioni della conferenza, si sottolinea la necessità di elaborare una nuova agenda per l'integrazione, la cui elaborazione da parte della Commissione europea è in fase di ultimazione, e alla cui preparazione il CESE ha contribuito con una relazione informativa (20).

4.3

La dichiarazione di Saragozza sottolinea che la società civile ha un ruolo attivo nel processo di integrazione, e afferma la necessità di promuovere un progetto pilota per la valutazione delle politiche di integrazione.

4.4

Gli Stati, le regioni e gli enti locali devono rafforzare le iniziative locali di integrazione e le metodologie di partecipazione civica. Verranno stimolate la creazione di reti e l'istituzione di canali di dialogo tra gli enti regionali e locali e la società civile organizzata.

4.5

Gli indicatori previsti dalla dichiarazione riguardano l'occupazione, l'istruzione e l'inclusione sociale, e comprendono anche la cittadinanza attiva, perché la partecipazione degli immigrati – in quanto cittadini attivi – al processo democratico contribuisce alla loro integrazione e rafforza il sentimento di appartenenza.

4.6

Il CESE, che ha partecipato alla conferenza, ha fatto notare che oltre agli indicatori quantitativi è necessario elaborare indicatori qualitativi. Inoltre il CESE potrebbe collaborare a dare attuazione alle conclusioni della conferenza di Saragozza attraverso l'elaborazione di un parere sugli indicatori di cittadinanza attiva.

5.   La governance nelle città

5.1

La Carta europea dell'autonomia locale del 1985 afferma nel preambolo (21) che «il diritto dei cittadini a partecipare alla gestione degli affari pubblici fa parte dei principi democratici comuni a tutti gli Stati membri del Consiglio d'Europa». Il livello locale è quello in cui questo diritto può essere esercitato più direttamente.

5.2

La Convenzione numero 144 del Consiglio d'Europa per la partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale (1992)  (22) afferma che la partecipazione attiva degli stranieri favorisce lo sviluppo e la prosperità delle comunità locali. La convenzione invita a garantire agli stranieri residenti la libertà di espressione, riunione e associazione, a incoraggiare la creazione di consigli consultivi di rappresentanza dei residenti stranieri in ambito locale e, infine, a promuovere il diritto di voto alle elezioni amministrative. Sono assai pochi, tuttavia, gli Stati membri del Consiglio d'Europa che hanno sottoscritto questo strumento e pertanto il CESE invita gli Stati membri a procedere alla sua ratifica.

5.3

La Carta europea dei diritti dell'uomo nella città  (23), adottata a St. Denis nel 2000 da oltre 70 città europee, afferma che la città è lo spazio politico e sociale per una democrazia di prossimità. È la partecipazione attiva della cittadinanza a definire la città. Le città firmatarie della Carta si impegnano a riconoscere il diritto di partecipare alla vita politica locale mediante elezioni libere e democratiche dei rappresentanti locali, senza distinzione tra cittadini stranieri e nazionali, e propone l'estensione del diritto di voto e di eleggibilità a tutti coloro che risiedono nella città da almeno due anni. Tenendo conto dei limiti derivanti dalle legislazioni nazionali, chiedono di incoraggiare la partecipazione democratica associando alle decisioni che riguardino gli interessi dell'ente locale i cittadini e le loro associazioni (attraverso i dibattiti pubblici, i referendum comunali, le riunioni pubbliche, l'azione popolare, ecc.).

5.4

Nel 2003 i membri della rete Eurocities, che comprende 128 grandi città europee, hanno adottato un documento dal titolo Contribution to Good Governance Concerning the Integration of Immigrants and the Reception of Asylum Seekers («Contributo alla buona governance in materia di integrazione degli immigrati e di accoglienza dei richiedenti asilo») (24). Elaborato dalle città e per le città, il documento contiene principi generali sul modo di affrontare l'integrazione, e riconosce che le politiche locali di integrazione sono più efficaci quando possono contare sull'appoggio dell'intera comunità.

5.5

Il Comitato delle regioni (CdR) è particolarmente attivo in materia di integrazione, tema sul quale ha elaborato numerosi pareri (25). Il CdR sottolinea che gli enti regionali e locali sono in prima linea nell'elaborare, attuare, valutare e monitorare la politica di integrazione, ragion per cui dovrebbero essere considerati interlocutori centrali nel suo sviluppo (26). Il CdR ribadisce inoltre l'importanza di un ruolo attivo degli enti regionali e locali per l'integrazione degli immigrati e sta collaborando con la Commissione europea.

5.6

Il CESE ha adottato un parere d'iniziativa (27), indirizzato alla Convenzione che ha elaborato il fallito Trattato costituzionale, in cui proponeva di concedere la cittadinanza europea ai cittadini di paesi terzi in possesso dello status di residenti di lungo periodo. Il CESE propone alla Commissione e al Parlamento europeo di adottare nuove iniziative affinché gli immigrati permanenti possano acquisire i diritti di cittadinanza, in particolare a livello locale.

5.7

La seconda edizione del Manuale della Commissione sull'integrazione per i responsabili delle politiche e gli operatori del settore (28) raccomanda di investire nella mobilitazione e nell'organizzazione sociale, nella strutturazione della comunicazione e del dialogo e nel potenziamento delle reti di integrazione locale.

5.8

Il progetto Smart Cities (29) («Città intelligenti») è stato creato nel 2007 come strumento di valutazione evolutiva e ad esso partecipano 70 città europee di media grandezza che condividono strategie di sviluppo sostenibile in riferimento all'economia, alle persone, alla governance, alla mobilità, all'ambiente e alla qualità di vita. Vengono utilizzati diversi indicatori. Il CESE propone che le proposte del presente parere vengano considerate per gli indicatori relativi alle persone e alla governance.

5.9

Città interculturali è un programma congiunto del Consiglio d'Europa e della Commissione europea che è stato creato in occasione dell'Anno europeo del dialogo interculturale (2008) con l'obiettivo di contribuire allo sviluppo di un modello di integrazione interculturale nel contesto di comunità urbane caratterizzate da una grande diversità. Il programma intende l'interculturalità come un concetto che promuove politiche e pratiche volte a rafforzare l'integrazione, la comprensione e il rispetto tra le diverse culture e i diversi gruppi etnici.

5.10

Nel documento intitolato Citizenship and participation in the intercultural city («Cittadinanza e partecipazione nella città interculturale») (30), il programma analizza i metodi e le procedure che le città possono adottare per incoraggiare il dialogo interculturale e l'interazione. Il documento riafferma i principi della Convenzione del Consiglio d'Europa per la partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale (1992) e introduce un approccio creativo mettendo in risalto le consultazioni flessibili in spazi informali. Si tratta di un approccio complementare prezioso alle strategie di governance di lungo periodo basate sugli organi consultivi.

5.11

Attualmente il diritto di voto ai cittadini stranieri è garantito (in modo totale o parziale) da un buon numero di Stati membri, ossia, Belgio, Danimarca, Estonia, Finlandia, Grecia, Irlanda, Paesi Bassi, Malta, Portogallo, Slovacchia, Spagna, Svezia e Regno Unito. Tuttavia la partecipazione attiva della popolazione straniera è ridotta, pertanto il CESE ritiene necessario promuovere azioni pubbliche in collaborazione con la società civile per incentivare la partecipazione della popolazione straniera.

5.12

Secondo il documento MIPEX III, in Europa i cittadini di paesi terzi possono candidarsi alle elezioni comunali in 13 paesi, votare alle stesse in 19, votare alle regionali in 7 e votare alle elezioni politiche in 2 paesi (Portogallo e Regno Unito). Come è stato già sottolineato, esistono organi consultivi statali in 11 paesi ed organi consultivi locali in 15 paesi.

5.13

Dai dati del MIPEX III si ricavano informazioni molto importanti, non solo sui paesi che consultano gli immigrati, ma anche sullo sviluppo di vere politiche d'integrazione. I paesi che presentano strutture consultive forti sono quelli che garantiscono libertà politiche a tutte le persone, sostengono la società civile proveniente da un contesto migratorio con fondi economici sufficienti, estendono i diritti di voto e la piena cittadinanza e si sforzano maggiormente di promuovere la piena partecipazione di tutti i residenti a sistemi consultivi in materia di occupazione, istruzione, salute e alloggio. Il MIPEX ricorda che gli organismi consultivi non sostituiscono i diritti di voto.

5.14

I consigli consultivi più forti in Europa sono quelli che sono operativi da più tempo (alcuni fin dagli anni '70 e '80) e appartengono ai paesi con maggiore tradizione d'immigrazione. Al contrario, quelli più deboli si trovano nei paesi di più recente immigrazione del Sud dell'Europa. I paesi dell'Europa centrale, recentemente diventati ricettori di flussi migratori, presentano sistemi poco sviluppati.

5.15

Esaminando queste piattaforme sulla base dei criteri del Consiglio d'Europa (31), si giunge alla conclusione che le strutture in questione non devono dipendere per la loro creazione ed esistenza dalla volontà delle autorità e dai governi, ma hanno bisogno di norme giuridiche precise. Devono poter adottare iniziative e ricevere risposte e feedback sui temi in merito ai quali esse sono state consultate, cosa che, in base alle testimonianze raccolte nella 5 ° edizione del Forum europeo dell'integrazione, non costituisce una pratica abituale. Devono essere strutture rappresentative, con una chiara leadership proveniente da un contesto migratorio, e devono essere economicamente autosufficienti (32). Il CESE sottolinea l'importanza di garantire la rappresentatività delle organizzazioni e la partecipazione delle donne.

5.16

Nel quadro dell'elaborazione del presente parere, il 30 marzo 2011 si è svolta a Valencia (Spagna) l'audizione organizzata dal CESE e dal governo regionale della Generalitat Valenciana sul tema Cooperazione tra amministrazioni regionali e locali e organizzazioni della società civile . I vari interventi hanno illustrato le esperienze in materia di consultazione e partecipazione della città di Roma, della regione Fiandre (Belgio), delle città di Strasburgo (Francia) e Dublino (Irlanda), del Land Assia (Germania) e delle città di Aarhus (Danimarca) e Valencia (Spagna). Il presente parere tiene conto di molte delle esperienze e considerazioni emerse nell'audizione.

5.17

Il CESE ritiene che gli enti regionali e locali debbano agevolare l'esercizio del diritto di associazione degli immigrati, in quanto nelle legislazioni nazionali i cittadini di paesi terzi hanno uno status di cittadinanza limitata (riconoscimento insufficiente e diseguale del diritto di partecipazione politica mediante il voto). Lo spazio associativo favorisce la partecipazione organizzata, rafforza le reti di solidarietà, crea le condizioni per il radicamento e il benessere dei cittadini e produce benefici per l'intera comunità.

5.18

Gli enti regionali e locali devono promuovere l'associazionismo, in particolare tra gli immigrati, e il suo rafforzamento con risorse tecniche (consulenze per la gestione associativa, democratica, economica, finanziaria e comunicativa; azioni di rafforzamento della capacità e della leadership specialmente delle donne immigrate; animatori di forum e reti, scambio di buone pratiche, ecc.), risorse economiche (sovvenzioni, convenzioni o aggiudicazione di prestazione di servizi), risorse materiali (infrastrutture per gli organismi: sedi e risorse di base per lo sviluppo dell'attività) e devono prestare un'attenzione speciale alle azioni rivolte all'inclusione digitale.

5.19

Gli enti regionali e locali devono incoraggiare l'inserimento degli immigrati nelle organizzazioni della società civile, come membri e a livello direttivo. A questo proposito sono particolarmente rilevanti le associazioni di quartiere, le associazioni dei genitori nelle comunità educative, le associazioni delle donne, quelle culturali, sportive e ricreative, le comunità religiose e le organizzazioni sindacali e imprenditoriali. Le organizzazioni sindacali in Europa hanno una grande tradizione in materia di affiliazione e partecipazione dei lavoratori provenienti da un contesto migratorio ed esiste una grande diversità etnica e culturale tra i membri di queste organizzazioni, le quali svolgono un ruolo importante di mediazione sociale.

5.20

Vanno inoltre agevolate le relazioni tra le associazioni di immigrati e il resto della società civile organizzata, favorendo la creazione di reti basate su obiettivi sociali comuni per tutti i cittadini (istruzione, occupazione, alloggio, pianificazione e sviluppo urbano). L'Anno europeo del volontariato rappresenta un'opportunità per il riconoscimento e il sostegno delle organizzazioni.

5.21

Nell'UE esistono forme di consultazione molto diverse: forum, piattaforme o consigli consultivi e tavoli di dialogo. La terza edizione del Manuale di integrazione per i responsabili delle politiche pubbliche considera che una piattaforma di dialogo sia uno spazio civico in cui «avviare uno scambio di vedute aperto e rispettoso fra immigrati, con i concittadini, o con il governo». L'obiettivo dei partecipanti consiste nello sviluppare comprensione e fiducia reciproche.

5.22

Il CESE ritiene che il Forum europeo dell'integrazione debba lavorare in rete con i forum e i consigli consultivi che esistono nell'UE. A livello degli Stati membri, anche i forum regionali e locali devono stabilire delle reti (è molto significativo il caso della Danimarca, dove il Consiglio nazionale delle minoranze etniche è composto da 14 membri scelti dai 42 forum locali).

5.23

Il CESE vuole promuovere in Europa città più democratiche attraverso il sostegno a una cittadinanza comune fondata sulla residenza nella città (nelle parole del vicesindaco di Rotterdam, una «cittadinanza urbana»), tenendo conto che la città è l'ambito più importante in cui si sviluppa un senso di appartenenza condiviso tra persone tra loro diverse. La maggior parte delle persone immigrate si riconosce più nella città in cui risiede che nel relativo Stato. La città è il luogo privilegiato dove tutte le persone condividono problemi, progetti e sogni.

6.   Il Fondo europeo per l'integrazione

6.1

La quinta edizione del Forum europeo dell'integrazione ha discusso il funzionamento del Fondo nel quadro della valutazione intermedia che la Commissione europea sta realizzando. In linea con le conclusioni, il CESE propone quanto segue.

6.1.1

Andrebbe data la priorità al principio di cooperazione stabilito nell'articolo 10 della decisione relativa all'istituzione del Fondo. A questo scopo gli Stati membri dovrebbero coinvolgere nell'elaborazione, attuazione e valutazione (ex post) del programma pluriennale, oltre che nell'utilizzo del Fondo a livello nazionale, gli enti regionali e locali e le organizzazioni che rappresentano la società civile.

6.1.2

Le attuali regole e procedure del Fondo sono troppo complesse e rappresentano delle barriere amministrative che ostacolano il finanziamento sia delle organizzazioni della società civile che degli enti regionali e locali (33). Il CESE raccomanda che queste regole vengano rivedute in collaborazione con il Forum europeo dell'integrazione e nel quadro del principio di cooperazione; la revisione dovrebbe riguardare specialmente le regole relative ai criteri di accesso, al cofinanziamento, alla trasparenza e alla sfera personale. Per consolidare il valore aggiunto del Fondo, il CESE ritiene necessario che in tutti i progetti finanziati venga garantita l'applicazione del primo principio fondamentale comune, secondo cui «l'integrazione è un processo […] bilaterale».

Bruxelles, 13 luglio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU C 48 del 15.2.2011, pag. 6.

(2)  GU C 248 del 25.8.2011, pag. 135.

(3)  GU C 125 del 27.5.2002, pag. 112.

(4)  Principi fondamentali comuni adottati dal Consiglio e dai rappresentanti degli Stati membri il 19 novembre 2004 (documento del Consiglio 14615/04).

(5)  Un'agenda comune per l'integrazione - Quadro per l'integrazione dei cittadini di paesi terzi nell'Unione europea (COM(2005) 389 definitivo).

(6)  GU C 347 del 18.12.2010, pag.19.

(7)  Cfr. Ruby Gropas e Ricard Zapata-Barrero: Active immigrants in multicultural contexts: democratic challenges in Europe («Immigranti attivi in contesti multiculturali: sfide democratiche in Europa»), in A. Triandafyllidou, T. Modood, e N. Meer European Multiculturalisms: Cultural, religious and ethnic challenges («Multiculturalismi europei: sfide culturali, religiose ed etniche»), Edinburgh University Press, Edimburgo, 2011.

(8)  GU C 208 del 3.9.2003, pag. 76.

(9)  Migrant Integration Policy Index III, 2011.

(10)  GU C 318 del 23.12.2006, pag. 128.

(11)  GU C 354 del 28.12.2010, pag. 16.

(12)  Consiglio dell'UE, documento n. 13440/08 del 24 settembre 2008.

(13)  Carta sociale europea del Consiglio d'Europa, Torino, 18 ottobre 1961; riveduta a Strasburgo il 3 giugno 1996 (http://www.coe.int/t/dghl/monitoring/socialcharter/Presentation/ESCRBooklet/Italian.pdf).

(14)  GU C 354 del 28.12.2010, pag. 59.

(15)  GU C 27 del 3.2.2009, pag. 114.

(16)  Programma di Stoccolma - Un'Europa aperta e sicura al servizio e a tutela dei cittadini (GU C 115 del 4.5.2010, pag. 1), punto 6.1.5.

(17)  Consulting immigrants to improve national policies («Consultare gli immigrati per migliorare le politiche nazionali»), Migration Policy Group.

(18)  15 e 16 aprile 2010.

(19)  GU C 347 del 18.12.2010, pag. 19, e GU C 354 del 28.12.2010, pag. 16.

(20)  GU C 48 del 15.2.2011, pag. 6.

(21)  Carta europea dell'autonomia locale, adottata dal Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa nel giugno del 1985 e aperta alla firma degli Stati membri il 15 ottobre 1985, primo giorno della XX sessione del CPLRE.

(22)  Convenzione sulla partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale, Strasburgo, 5 febbraio 1992 (http://conventions.coe.int/Treaty/Commun/QueVoulezVous.asp?NT=144&CM=8&DF=15/04/2011&CL=ITA).

(23)  Carta europea dei diritti dell'uomo nella città, del 18 maggio 2000.

(24)  Eurocities Contribution to Good Governance Concerning the Integration of Immigrants and the Reception of Asylum Seekers del 28.11.2003.

(25)  Parere del CdR sul tema Una politica d'immigrazione comune per l'Europa (GU C 76 del 31.12.2009, pag. 34).

(26)  Parere del CdR sul tema Rafforzare l'approccio globale in materia di migrazione: aumentare il coordinamento, la coerenza e le sinergie (GU C 211 del 4.9.2009, pag. 43).

(27)  GU C 208 del 3.9.2003, pag. 76.

(28)  Manuale sull'integrazione per i responsabili delle politiche di integrazione e gli operatori del settore, seconda edizione, maggio 2007.

(29)  Cfr. il sito Internet http://www.smart-cities.eu/.

(30)  http://www.coe.int/t/dg4/cultureheritage/culture/Cities/paperviarregio_en.pdf.

(31)  Convenzione n. 144 del Consiglio d'Europa per la partecipazione degli stranieri alla vita pubblica a livello locale (1992).

(32)  Consulting immigrants to improve national policies («Consultare gli immigrati per migliorare le politiche nazionali»), Migration Policy Group.

(33)  Cfr. S. Carrera e A. Faure Atger: Integration as a two-way process in the EU: Assessing the Relationship between the European Integration Fund and the Common Basic Principles on Integration - Executive summary («L'integrazione in quanto processo bidirezionale dell'UE: valutazione del rapporto tra il Fondo europeo per l'integrazione e i principi fondamentali comuni in materia di integrazione - Sintesi»), Centro per gli studi politici europei (CEPS), Bruxelles 2011, disponibile all'indirizzo Internet http://www.ceps.eu/system/files/research_area/2011/02/CEPS_EIF_study_summary.pdf.


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

473a sessione plenaria del 13 e 14 luglio 2011

29.10.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/76


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Affrontare le sfide relative ai mercati dei prodotti di base e alle materie prime»

COM(2011) 25 definitivo

2011/C 318/12

Relatore: ZBOŘIL

Correlatore: GIBELLIERI

La Commissione europea, in data 2 febbraio 2011, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Affrontare le sfide relative ai mercati dei prodotti di base e alle materie prime

COM(2011) 25 definitivo.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 giugno 2011.

Alla sua 473a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2011 (seduta del 14 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 142 voti favorevoli, 4 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie favorevolmente il documento della Commissione COM(2011) 25 definitivo Affrontare le sfide relative ai mercati dei prodotti di base e alle materie prime e l'iniziativa europea «Materie prime», in quanto rappresentano un passo importante che consente di affrontare questo problema di vitale importanza.

1.2   Anche se nel lungo termine non c'è ragione di credere che si arrivi ad un esaurimento globale delle riserve di materie prime fondamentali, la minaccia di carenze nel breve termine è reale e potrebbe essere causata da fattori economici o politici. Infatti, alcune materie prime necessarie per la produzione di tecnologie avanzate in Europa vengono prodotte solo in un numero limitato di paesi, mentre le risorse utilizzabili in alternativa alle attuali forniture esistono in quantità sufficienti e si potrebbero estrarre in diversi paesi, ad esempio l'Australia, la Danimarca (Groenlandia), gli Stati Uniti. Oggi, tuttavia, è molto meno costoso affidarsi all'attuale catena di approvvigionamento. Alcuni paesi hanno già fatto capire che userebbero tale influenza per imporre i loro interessi economici o politici.

1.3   Il CESE sollecita pertanto la Commissione europea a monitorare la situazione del commercio internazionale delle materie prime fondamentali (il cui elenco, che figura nel documento COM(2011) 25 definitivo, viene regolarmente aggiornato). Il CESE raccomanda inoltre di elaborare diversi scenari plausibili, tra cui quello peggiore, onde illustrare le minacce esistenti e le possibili soluzioni. Il Comitato infine approva la necessità di proseguire i negoziati a livello internazionale (OMC) al fine di promuovere il libero commercio anche sui mercati dei prodotti di base. Andrebbe inoltre promossa la cooperazione con altri paesi in situazione analoga (Stati Uniti, Giappone, Corea del Sud).

1.4   Il CESE esorta ad adottare una politica estera più attiva per quanto concerne la sicurezza dell'approvvigionamento di materie prime per l'industria dell'UE. Per tale motivo, gli Stati membri dovrebbero definire e concordare orientamenti chiave di una diplomazia delle materie prime. Gli accordi bilaterali in campo commerciale e la diplomazia sono della massima importanza per garantire la fornitura delle materie prime essenziali per l'UE. Si tratta di un compito urgente e al tempo stesso impegnativo per il servizio diplomatico dell'UE di recente costituzione. Non solo ci si deve adoperare direttamente per assicurare le materie prime essenziali, ma bisogna anche creare un ambiente favorevole agli interessi europei nei paesi interessati. Occorre approfittare del fatto che l'UE è uno dei mercati più importanti e più frequentati del mondo.

1.5   La politica delle materie prime deve formare parte integrante della politica industriale dell'UE con l'obiettivo di:

promuovere l'uso efficiente delle risorse, sia delle fonti energetiche primarie sia delle materie prime al fine di dissociare la crescita dal consumo di risorse,

adottare una politica coerente di estrazione mineraria urbana (urban mining) volta a recuperare e a rendere disponibile questa fonte preziosa di materie prime e a promuovere le nuove competenze e i posti di lavoro ad essa collegati,

potenziare le attività di ricerca e sviluppo riguardo alla possibile sostituzione delle materie prime essenziali,

mantenere e incrementare i posti di lavoro nel settore estrattivo europeo, assicurando l'istruzione e la formazione continua della forza lavoro e accompagnando la transizione verso attività estrattive più sostenibili attraverso il dialogo sociale a tutti i livelli.

1.6   Il CESE ritiene che la creazione di una riserva strategica di materie prime essenziali sia una delle soluzioni ipotizzabili e raccomanda di portare avanti una valutazione d'impatto per determinare la fattibilità di tale misura, alla luce dello scenario peggiore possibile. Una misura del genere potrebbe però avere anche effetti collaterali negativi (ad es. mancanza di flessibilità, impatto sul prezzo dei prodotti di base, ecc.). Occorre quindi studiare attentamente tutti gli aspetti della questione, consultando i rappresentanti delle industrie dell'UE e adottando decisioni concertate.

1.7   Il CESE raccomanda di avviare delle iniziative volte a sostenere la ricerca, la raccolta di dati e il monitoraggio, concentrandosi sulle risorse potenziali o reali di materie prime esistenti non solo negli Stati membri ma anche nei paesi terzi. I dati ottenuti da tale ricerca o raccolti grazie a finanziamenti pubblici devono essere messi a disposizione di tutti gli operatori presenti sul mercato UE, nonché delle autorità nazionali ed europee.

1.8   Il Comitato ritiene che la ricerca e l'innovazione siano elementi fondamentali della politica delle materie prime. Per conseguire risultati di rilievo, occorre coinvolgere i principali settori manifatturieri (PTE - Piattaforme tecnologiche europee - iniziativa di partenariato sulle materie prime nell'ambito della comunicazione della Commissione L'Unione dell'innovazione). La politica delle materie prime deve essere vista come una priorità del prossimo Ottavo programma quadro di ricerca, sviluppo tecnologico e innovazione dell'UE.

1.9   Il CESE raccomanda di promuovere l'estrazione delle materie prime - attuali o nuove - negli Stati membri in conformità alla normativa ambientale, sociale, sanitaria e di sicurezza dell'UE. L'approvvigionamento interno dovrebbe figurare tra i pilastri di tutte le politiche riguardanti le materie prime.

1.10   Il CESE è favorevole al riciclaggio delle materie prime e sottolinea la necessità di assicurare il tasso più elevato possibile di riciclaggio nella misura in cui sia economicamente e tecnicamente fattibile. Raccomanda altresì di favorire l'attività estrattiva dalle vecchie discariche minerarie, luoghi in cui si concentra una grande quantità di metalli diversi.

1.11   Il CESE appoggia le misure di regolazione dei mercati finanziari dei prodotti di base adottate dalla Commissione europea per accrescere la trasparenza, rafforzare la qualità dell'informazione e migliorare i meccanismi di vigilanza.

2.   Introduzione al documento della Commissione

2.1   Il 2 febbraio 2011 la Commissione europea ha pubblicato la comunicazione intitolata Affrontare le sfide relative ai mercati dei prodotti di base e alle materie prime (COM(2011) 25 definitivo). Il documento è più ampio rispetto alle intenzioni iniziali che prevedevano di affrontare soltanto le sfide relative alle materie prime. Anche i mercati dei prodotti di base, sia quelli fisici dove le materie prime vengono commercializzate sia quelli finanziari ad essi collegati, formano ora oggetto della comunicazione.

2.2   Per prodotto di base si intende qualsiasi prodotto che presenti un valore aggiunto limitato, cosa che lo espone particolarmente alla concorrenza sui prezzi. Sono prodotti di base le materie prime, i prodotti agricoli e quelli fondamentali. Negli ultimi anni i mercati di tali prodotti sono stati caratterizzati da una sempre crescente volatilità e da oscillazioni di prezzo senza precedenti.

2.3   Anche se il dibattito sull'importanza relativa dei vari fattori che incidono sui prezzi dei prodotti di base è ancora aperto, risulta evidente il collegamento sempre più stretto tra le oscillazioni di prezzo nei diversi mercati dei prodotti di base così come tra i mercati dei prodotti di base e quelli finanziari.

2.4   Dal 2002 al 2008 si è registrata un'impennata nella domanda di materie prime, provocata da una forte crescita economica globale soprattutto in paesi emergenti come la Cina, l'India e il Brasile così come in altri paesi emergenti minori dell'Asia, dell'America e, in particolare, dell'Africa. Questo aumento della domanda verrà rafforzato dai rapidi processi di industrializzazione e urbanizzazione in atto in tali paesi.

2.5   Negli ultimi anni, oltre alla volatilità dei prezzi dei prodotti di base, abbiamo assistito anche all'introduzione, in alcuni paesi, di restrizioni all'esportazione di talune materie prime fondamentali quali le terre rare (ad esempio, praseodimio, neodimio e altri elementi e minerali considerati rilevanti in quanto sempre più utilizzati per le nuove tecnologie). Tali restrizioni, accanto ad altre strozzature nell'approvvigionamento sostenibile di materie prime, rappresentano una vera e propria sfida sia per l'industria europea che per i consumatori, e devono quindi essere affrontate.

2.6   La comunicazione della Commissione descrive gli sviluppi sui mercati globali dei prodotti di base, spiega che cosa è cambiato sui mercati fisici (energia, agricoltura e sicurezza dell'approvvigionamento alimentare, materie prime) e illustra la sempre maggiore interdipendenza fra i mercati dei prodotti di base e i mercati finanziari collegati. Le risposte politiche dell'UE vengono presentate in base alla stessa struttura logica.

2.7   A livello dell'UE è stata avviata un'iniziativa diretta ad accrescere la sorveglianza, l'integrità e la trasparenza delle negoziazioni sui mercati dell'energia. L'Unione europea ha anche presentato una serie di azioni per migliorare il funzionamento della catena alimentare e la trasparenza sui mercati dei prodotti agricoli di base. Nell'ambito delle riforme del quadro normativo dei mercati finanziari, attualmente in corso, la Commissione ha inoltre definito alcune misure volte ad aumentare l'integrità e la trasparenza dei mercati dei derivati su prodotti di base.

2.8   L'iniziativa europea «Materie prime» è una parte essenziale del documento e poggia su tre pilastri:

assicurare condizioni eque per l'accesso alle risorse nei paesi terzi,

promuovere un approvvigionamento sostenibile in materie prime da fonti europee,

favorire l'uso efficiente delle risorse e il riciclaggio.

Il documento esamina i risultati ottenuti finora per quanto riguarda la definizione delle materie prime essenziali nonché i passi compiuti nei settori del commercio, dello sviluppo, della ricerca, dell'uso efficiente delle risorse e del riciclaggio.

2.9   Nonostante i notevoli progressi compiuti nell'attuazione di tale iniziativa, sono necessari ulteriori miglioramenti. Un approccio integrato basato sui tre pilastri è essenziale in quanto ciascuno di essi contribuisce all'obiettivo di garantire all'UE un approvvigionamento equo e sostenibile di materie prime.

3.   Osservazioni generali

3.1   Il CESE approva l'iniziativa della Commissione intesa ad affrontare la questione delle materie prime e accoglie favorevolmente la comunicazione, che sintetizza i risultati di un approfondito lavoro di analisi condotto in materia. Inoltre, il CESE giudica positivamente l'esito della consultazione delle parti interessate e il contributo di altri organi dell'UE coinvolti in tale processo.

3.2   L'Europa deve trovare la sua collocazione in un mondo nuovo, nel quale le economie emergenti consumeranno una quota maggiore delle materie prime disponibili sul pianeta, e si allineeranno in tal modo ai paesi sviluppati. Una prospettiva del genere risulta però insostenibile, e l'Europa dovrà pertanto moderare il proprio uso delle materie prime. Il primo sintomo di questa nuova realtà è dato dal fatto che i prezzi delle materie prime industriali sono determinati dal mercato cinese, che è il più grande consumatore a livello mondiale e spesso anche il maggior produttore. Negli anni a venire questa preminenza avrà come conseguenza la creazione di nuovi mercati delle materie prime (spot e future) in Cina, mercati che vengono sempre più frequentemente presi come riferimento nel settore.

3.3   La politica delle materie prime deve formare parte integrante della politica industriale dell'UE con l'obiettivo di:

promuovere l'efficienza delle risorse, sia delle fonti energetiche primarie sia delle materie prime al fine di dissociare la crescita dal consumo di risorse,

adottare una politica coerente di estrazione mineraria urbana (urban mining) volta a recuperare e a rendere disponibile questa fonte di preziose materie prime, nonché a promuovere le nuove competenze e i posti di lavoro ad essa collegati,

potenziare le attività di ricerca e sviluppo riguardo alla possibile sostituzione delle materie prime essenziali (il Giappone ha già avviato un programma in questo senso),

mantenere e incrementare i posti di lavoro nel settore estrattivo europeo, assicurando l'istruzione e la formazione continua della forza lavoro e accompagnando la transizione verso attività estrattive più sostenibili attraverso il dialogo sociale a tutti i livelli,

associare la politica degli appalti nel settore delle materie prime nei paesi in via di sviluppo, specie in quelli africani, agli investimenti in campo sociale e nelle infrastrutture (come per l'appunto fa la Cina in Africa da qualche anno a questa parte).

3.4   D'altro canto, l'inclusione dei mercati dei prodotti di base, e in un certo modo anche di quelli finanziari, non consente alla Commissione, nella sua comunicazione, di centrare il problema. Il Comitato comprende la necessità di avere un'immagine più ampia della questione, ma si chiede se il quadro sia stato definito in modo proporzionato.

3.5   È chiaro che i mercati dei prodotti di base, sia i mercati fisici sia i mercati dei derivati su prodotti di base, presentano numerose analogie ma, al tempo stesso, sono molto diversi tra loro anche a causa delle loro caratteristiche specifiche. Un potere d'acquisto in blocco (UE) dovrebbe rappresentare un solido argomento, anche se la politica commerciale e i negoziati sugli appalti si svolgono il più delle volte a livello bilaterale.

3.6   È ovviamente necessario che nei negoziati bilaterali si rifletta una strategia comune dell'UE, ed è per questo che il concetto di una «diplomazia delle materie prime» deve guadagnare terreno in termini pratici. Il CESE fa presente che, accanto alle questioni strutturali, vi sono anche problemi accessori che svolgono una funzione importante, ad esempio la creazione di un ambiente psicologico favorevole. L'Europa deve fissare degli orientamenti per la nuova diplomazia delle materie prime, tra cui i seguenti:

proseguire l'iniziativa di Tony Blair a favore della trasparenza nel settore estrattivo (2003) per promuovere l'adesione volontaria di tutti i paesi europei,

imporre ad ogni impresa del settore estrattivo quotata sulla borsa europea di pubblicare i propri utili paese per paese (come è avvenuto ad Hong Kong nel giugno 2010),

adottare una norma che obblighi le industrie estrattive a pubblicare gli importi versati a ciascun governo e a ciascuno Stato (sul modello della legge Dodd-Frank adottata negli Stati Uniti nel 2010),

rispettare gli orientamenti dell'OCSE per i grandi gruppi multinazionali come codice di condotta standard,

chiedere che venga adottata la norma ISO 26 000, che contribuisce al raggiungimento di un più elevato livello di responsabilità sociale delle imprese a livello microeconomico.

3.7   La strategia nel campo delle materie prime dovrebbe tendere al seguente obiettivo comune: disporre di un'industria europea solida, altamente competitiva, che non solo comporti un basso consumo di carbonio ma che faccia anche un uso intelligente delle risorse e risponda alle esigenze dei consumatori e dei cittadini europei.

3.8   L'Europa sta diventando sempre più piccola su scala globale, ed è per questo motivo che non ha più accesso alle materie prime necessarie con la facilità di un tempo; attualmente, infatti, sono presenti sul mercato numerosi altri soggetti che reclamano le stesse materie prime. L'UE deve pertanto dimostrare di essere due volte più intelligente, sia nello sfruttamento delle materie prime che ha a disposizione sia nel ricorso a quelle esterne. L'obiettivo della politica delle materie prime è proprio quello di pensare al futuro della nostra società e persino alla sicurezza nazionale, come avviene negli Stati Uniti.

3.9   È proprio la necessità di elaborare una politica comune delle materie prime a farci capire che all'Europa non basta ottenere le materie prime per garantire la crescita. Le materie prime devono essere usate con intelligenza: questo significa creare il massimo valore aggiunto possibile per ciascuna tonnellata di materie prime utilizzate.

3.10   In un quadro politico coerente in questo campo andrebbero inclusi anche altri aspetti che rischiano di avere un impatto persino maggiore sulla disponibilità di materie prime, ma non sono stati presi in considerazione. Uno di questi è, ad esempio, la coerenza di questa politica con altre politiche dell'UE, da armonizzare tra loro al fine di evitare conflitti con la disponibilità di materie prime.

3.11   La politica delle materie prime e la sua attuazione, tanto a livello UE quanto sul piano nazionale, richiedono una coerenza totale con la politica industriale, la politica dell'innovazione, l'efficienza nell'uso delle risorse, la politica ambientale, la politica agricola e le sue misure, la politica energetica (e in particolare il settore delle energie rinnovabili), la politica commerciale e quella di concorrenza. Questa prospettiva integrata consentirà all'industria europea di utilizzare le materie prime necessarie in modo intelligente e sostenibile, contribuendo in tal modo alla strategia Europa 2020.

3.12   Non è sufficiente basare la politica delle materie prime sulla «criticità» di alcune di esse a breve termine. Occorre analizzare seriamente gli effetti a medio e lungo termine di alcune politiche dell'UE e valutare il loro impatto sulle materie prime. Alcune delle materie prime di base, oggi facilmente disponibili, potrebbero iniziare a scarseggiare in un tempo relativamente breve. Alcune materie prime importanti (i minerali ferrosi e il carbone da coke) non sono state incluse nella comunicazione, anche se si prevede che la loro disponibilità in quantità e qualità sufficienti possa diminuire in un prossimo futuro. Inoltre, la volatilità e il costante aumento del loro prezzo costituiscono un elemento d'incertezza per la catena di valore dei principali settori manifatturieri europei.

3.13   Ad esempio, se gli obiettivi vincolanti nel campo delle energie rinnovabili dovessero rimanere inalterati, le industrie tradizionali e le bioindustrie di recente sviluppo si troverebbero in pericolo. Questo fatto apre un dibattito molto più complesso sulla sostenibilità, la sostituzione e l'uso intelligente delle risorse. L'Europa deve avere il coraggio politico di discutere questi problemi e di conciliare politiche analogamente divergenti. Se necessario, l'UE dovrebbe avere il coraggio di rivedere le decisioni adottate finora alla luce di valutazioni olistiche d'impatto che esaminino attentamente le conseguenze definitive degli ambiziosi obiettivi ambientali, soprattutto quando a tali decisioni dell'UE non si accompagnano misure analoghe da parte di altri blocchi economici.

4.   Osservazioni specifiche

4.1   I mercati fisici dei prodotti di base

4.1.1   Con ogni probabilità, la concorrenza sui mercati delle fonti energetiche primarie (in particolare gas e petrolio) si intensificherà con l'aumento della popolazione mondiale (9 miliardi di abitanti nel 2050). Anche il mercato del carbone subisce una pressione sempre più forte. Pertanto, affinché l'UE possa mantenere gli standard sociali e di benessere negli Stati membri, tutte le fonti energetiche primarie di cui dispone devono essere mobilitate, comprese le riserve di gas di scisto scoperte di recente. Questa mobilitazione di risorse deve ovviamente essere condotta nel rispetto degli standard ambientali dell'UE.

4.1.2   L'elettricità è un requisito essenziale per lo sviluppo dignitoso dell'umanità. Uno sviluppo non equilibrato delle sue capacità di generazione e delle sue reti di trasmissione può portare a conseguenze disastrose e al crollo economico e sociale delle strutture su cui poggia la collettività. La politica energetica comune dell'UE dovrebbe porre rimedio a tutte le incoerenze e incertezze presenti nel contesto degli investimenti, al fine di evitare un potenziale deficit delle capacità di produzione di energia dopo il 2020.

4.1.3   Il CESE si rende conto che la sicurezza dell'approvvigionamento alimentare su mercati volatili rappresenta un grave problema; d'altro canto, la PAC e altre importanti politiche nazionali e dell'UE dovrebbero essere orientate prioritariamente a questo obiettivo. Il CESE raccomanda la protezione dei terreni produttivi a scopo agricolo: tutte le politiche pertinenti dovrebbero tener conto di questo aspetto ed essere configurate e coordinate al fine di evitare l'abbandono dei terreni, in particolare a causa di politiche o iniziative concorrenti oppure come conseguenza dell'urbanizzazione. In tale contesto è opportuno stabilire regole del gioco eque anche per il commercio internazionale, tenendo conto delle condizioni naturali specifiche delle singole zone geografiche.

4.1.4   Un'intensa cooperazione internazionale è altresì necessaria per valutare e distinguere tra tendenze globali e fluttuazioni occasionali dei mercati o dei raccolti, cercando di prevenire le tendenze pericolose.

4.1.5   Occorre infine applicare fondati principi scientifici allo scopo di mantenere e incrementare le rese, considerando che la terra arabile diminuisce e che nel 2050 la popolazione da nutrire potrebbe raggiungere i 9 miliardi di persone.

4.2   I mercati dei prodotti di base e quelli finanziari collegati

4.2.1   Malgrado la serie di misure di regolazione dei mercati finanziari che la Commissione europea ha lanciato negli ultimi anni, i flussi d'investimento nel mercato dei derivati dei prodotti di base continuano a discostarsi in misura significativa dalla funzione di copertura dei rischi per la quale i derivati furono concepiti; tali flussi sono infatti incanalati verso operazioni di taglio speculativo che stanno causando forti distorsioni a livello dei prezzi e gravi danni per gli operatori di mercato più deboli, in particolare per i consumatori e le PMI.

4.2.2   Il Comitato è d'accordo con quanto osservato dalla Commissione: è necessario comprendere meglio il collegamento esistente tra i mercati fisici dei prodotti di base e quelli finanziari ad essi collegati. Il CESE inoltre approva l'approccio, raccomandato dalla Commissione, che prevede una maggiore trasparenza e anche la responsabilità degli operatori di mercato che infrangono le regole stabilite. Bisognerebbe facilitare l'accesso ai finanziamenti per i singoli operatori di mercato, in particolare per le PMI: si tratta infatti di una priorità fondamentale per lo sviluppo futuro e l'innovazione.

4.3   L'iniziativa europea «Materie prime»

4.3.1   Il Comitato accoglie favorevolmente questa iniziativa, in quanto rappresenta una componente essenziale della strategia Europa 2020 e rispecchia inoltre il concetto di efficienza nell'uso delle risorse. Il CESE ritiene però che queste due politiche andrebbero armonizzate tra di loro al fine di raggiungere il livello massimo possibile di attuazione e il massimo valore aggiunto per i cittadini europei.

4.3.2   Nell'ambito dell'iniziativa «Materie prime», tuttavia, il concetto di «criticità» lascia in secondo piano la necessità di una revisione più generale e di una valutazione particolareggiata dell'ambito di applicazione delle relative politiche. Un approccio olistico di questo tipo assicurerebbe un adeguato rispetto delle politiche e comporterebbe un maggior numero di effetti di sinergia.

4.3.3   D'altra parte, l'elenco delle materie prime essenziali rappresenta un valido orientamento per quanto riguarda le priorità che vanno adottate, a livello UE, nell'ambito della diplomazia delle materie prime da parte del servizio diplomatico UE di recente costituzione.

4.3.4   Naturalmente l'elenco deve essere regolarmente controllato in base ai criteri stabiliti per cercare di capire se l'approvvigionamento delle materie prime ivi indicate presenti ancora carattere di urgenza. Nell'ambito dell'iniziativa «Materie prime» è indispensabile disporre di dati coerenti e di conoscenze tecniche e di mercato.

4.3.5   Indubbiamente, questa penuria di materie prime richiede anche una regolare verifica dell'efficienza nell'uso delle risorse. D'altra parte, il costante aumento dei prezzi costituisce l'incentivo migliore per accrescere l'efficienza insita in qualsiasi impresa sostenibile. Gli standard di rendimento e il design ecologico possono contribuire alla ricerca costante della massima efficienza delle risorse.

4.3.6   La minaccia rappresentata dall'aumento dei prezzi delle materie prime e dalla sempre crescente scarsità di queste ultime dovrebbe essere analizzata a livello microeconomico per mostrarne l'impatto sulla competitività e, di conseguenza, sul mantenimento dei posti di lavoro nei settori a rischio.

4.3.7   La strategia commerciale dell'UE nel campo delle materie prime deve avere il giusto grado di sensibilità e di flessibilità. Dato che gli scambi commerciali veri e propri avvengono il più delle volte sul piano bilaterale tra i singoli Stati membri, risulta ancor più difficile definire una politica commerciale unica per l'UE. A quanto pare, non c'è molto da aspettarsi dall'OMC, ma è comunque necessario osservare le regole concordate reciprocamente al fine di garantire la credibilità.

4.3.8   La penuria di materie prime, d'altra parte, promuove le attività di ricerca e sviluppo e i processi d'innovazione, vuoi per migliorare costantemente l'efficienza delle risorse vuoi per garantire un'adeguata sostituzione di alcune materie prime. È opportuno far presente che alcune delle materie prime essenziali sono assolutamente necessarie nell'ambito di tecnologie estremamente avanzate, cosa che colloca l'UE in una specie di circolo vizioso.

4.3.9   La Commissione dovrebbe coinvolgere i principali settori manifatturieri europei, in particolare attraverso le Piattaforme tecnologiche europee (PTE), in un'iniziativa specifica di partenariato sulle materie prime nell'ambito dell'iniziativa faro dell'UE L'Unione dell'innovazione, tenendo conto del peggioramento degli standard di qualità di alcune materie prime registrato negli ultimi anni. Si richiedono posti di lavoro ancora più specializzati al fine di realizzare l'elevato potenziale innovativo del settore manifatturiero.

4.3.10   Il CESE accoglie positivamente l'iniziativa della Commissione di elaborare orientamenti intesi a conciliare le attività di estrazione mineraria con le norme di protezione ambientale previste da Natura 2000. Questo impegno è essenziale per garantire un ambiente equo, sano e sostenibile e per assicurare l'approvvigionamento domestico di materie prime che deve essere uno dei pilastri di qualsiasi politica delle materie prime.

4.3.11   Il CESE inoltre richiama l'attenzione sul proprio parere relativo all'accesso alle materie prime secondarie (1), e ne ribadisce le conclusioni e le raccomandazioni. Tra queste ultime figura in particolare la proposta di rendere flessibili gli strumenti necessari per mantenere il più possibile le materie prime secondarie sul territorio dell'UE.

4.3.12   Il Comitato fa presente la mancanza d'informazioni circa l'impatto della politica delle materie prime sull'occupazione, in particolare il tasso di posti di lavoro a rischio qualora gli obiettivi politici non vengano raggiunti.

4.4   Fa infine osservare che bisognerebbe valutare seriamente anche gli scenari peggiori, ad esempio la temporanea penuria di alcune materie prime essenziali nel breve periodo. Per attenuare l'impatto di tale fenomeno sull'industria europea, si potrebbe anche prendere la decisione di accantonare una riserva strategica delle materie prime selezionate. Tali politiche sono state oggetto di discussione in alcuni paesi extraeuropei (Stati Uniti, Corea, Giappone); nonostante un possibile impatto negativo sui mercati dei prodotti di base, la riserva potrebbe essere utile per superare il periodo in cui determinate materie prime non sono disponibili in quantità sufficienti sul mercato.

Bruxelles, 14 luglio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Parere CESE sul tema Accesso alle materie prime secondarie (rottami ferrosi, carta riciclata, ecc.), GU C 107 del 6.4.2011, pag. 1.


29.10.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/82


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Il contributo della politica regionale alla crescita intelligente nell'ambito di Europa 2020»

COM(2010) 553 definitivo

2011/C 318/13

Relatore: CEDRONE

La Commissione europea, in data 20 ottobre 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema:

Il contributo della politica regionale alla crescita intelligente nell'ambito di Europa 2020

COM(2010) 553 definitivo.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 giugno 2011.

Alla sua 473a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2011 (seduta del 14 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 114 voti favorevoli, 6 voti contrari e 9 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) conviene sul fatto che l'UE abbia bisogno di una crescita intelligente nel quadro della strategia Europa 2020, per affrontare le sfide presenti e quelle future. Una parte importante dell'UE, oltre ai problemi derivanti dalla crescita lenta e dalla mancanza di R&S e innovazione, si trova ad affrontare anche altre difficoltà che riguardano i seguenti aspetti: tasso di disoccupazione elevato, specialmente tra i giovani, problemi sociali, povertà e integrazione, giovani che terminano gli studi senza acquisire le competenze necessarie per entrare nel mondo del lavoro, sfide demografiche e restrizioni di bilancio.

1.2   La politica di coesione nasce con l'intendimento di difendere il modello europeo di società dove agli elementi della libera concorrenza e dell'economia sociale di mercato si accompagnano obiettivi solidaristici e di promozione di specifiche priorità di sviluppo economico, sociale e territoriale, come previsto dall'articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea.

1.3   Il CESE è d'accordo nel ritenere fondamentale il ruolo svolto dalla politica regionale nell'attuazione della strategia Europa 2020, dato che la realizzazione dei suoi obiettivi dipenderà in larga misura dalle decisioni adottate a livello regionale e locale, come affermato dal commissario UE Johannes HAHN (1).

1.4   Il CESE ritiene che uno degli obiettivi più importanti della politica di coesione economica, sociale e territoriale, questo è il riferimento «corretto» che la Commissione deve fare quando parla della crescita intelligente nell'ambito della strategia Europa 2020 (2), debba restare quello di promuovere uno sviluppo armonioso dell'insieme dell'Unione, riducendo in particolare le disparità tra i livelli di sviluppo delle diverse regioni, in modo da consentirne la piena integrazione nell'UE.

1.5   Il CESE valuta positivamente ed apprezza l'intento della Commissione di voler promuovere «l'innovazione in tutte le regioni, senza dispersione di risorse e garantendo al contempo la complementarietà tra il sostegno UE, nazionale e regionale all'innovazione e alla R&S», ma ritiene che sarebbe utile finanziare la ricerca con tutti gli altri fondi e non solo con la politica di coesione.

1.6   La comunicazione della Commissione sul contributo della politica regionale alla crescita intelligente dovrebbe essere considerata come un'integrazione all'iniziativa pilota L'Unione dell'innovazione e come un invito ad accelerare gli investimenti nell'innovazione, senza attendere il prossimo periodo di programmazione finanziaria, durante il quale Europa 2020 rappresenterà sicuramente una priorità centrale per i fondi di coesione (3).

1.7   Il CESE esprime preoccupazione per il fatto che la politica di coesione venga scorporata e distolta dai suoi obiettivi originali di finanziare gli squilibri regionali, attraverso le politiche di settore, confermati anche dal Trattato di Lisbona. Bisogna assicurare che questo approccio tenga conto delle sfide, delle esigenze e delle potenzialità - ossia della situazione di partenza - di ogni regione e Stato membro interessato, evitando che possa arrecare danno alla coesione, non solo dal punto di vista economico, sociale e territoriale, ma prima di tutto politico e culturale.

1.8   Il CESE valuta di primaria importanza la politica di promozione della ricerca e dell'innovazione proposta dalla Commissione, temi che, tuttavia, vanno affrontati con grande attenzione alle specificità territoriali. L'innovazione di un processo produttivo può essere il risultato di un'attività di ricerca svolta in un ambito territoriale e da soggetti diversi da quelli in cui trova applicazione e, dunque, l'attenzione deve essere data anche ai temi della trasferibilità e replicabilità dei processi innovativi e della loro diffusione a livello territoriale. È comunque positivo il tentativo di creare una sinergia tra la politica di coesione e le altre politiche dell'UE, e migliorare l'utilizzo del FESR.

1.9   Il CESE ritiene, come indicato nella comunicazione, che il perseguimento dell'obiettivo della crescita intelligente debba avere una sua articolazione territoriale, supportata da esigenze specifiche di settore, di distretto, di metadistretto o di macroregione, collegata con istituti di ricerca e università già esistenti e/o da potenziare e con imprese locali e reti di comunicazione che ne possano consentire il radicamento e lo sviluppo sul territorio, favorendo la specializzazione e la governance regionale.

1.10   Il CESE ritiene, inoltre, che la politica di coesione e la strategia 2020 debbano essere oggetto di un apposito Consiglio europeo; non si può far passare la politica di coesione da una politica strategica dell'UE ad una «parente povera», né si può pensare che essa, da sola, possa fare da volano alla 2020.

1.11   Il lancio di questa proposta da parte della Commissione non deve essere l'occasione per distribuire un po' di fondi, a pioggia, anche nelle regioni ricche, con la promessa di un fine «alto», quanto piuttosto quello di approfittare della proposta per ricercare una convergenza comune tra regioni, per affermare un concetto europeo, tramite indicatori comuni, di una coesione di eccellenza!

1.12   Così come occorre assolutamente garantire che tutti gli Stati membri possano partecipare ai diversi programmi dell'UE e favorire la creazione di sinergie tra i diversi programmi comunitari, attraverso la semplificazione delle procedure e la rottura dei muri eretti tra le diverse DG, cioè tra la Commissione nel suo insieme, gli Stati membri e le regioni, con la consapevolezza che le amministrazioni sono al servizio dei cittadini, delle imprese, delle comunità alle quali va semplificata la vita, non il contrario.

1.13   Il CESE ritiene che la Commissione abbia ragione a proporre un approccio ampio nei confronti dell'innovazione, che non si limiti alle questioni tecniche o tecnologiche. Tuttavia, esso preferirebbe che la Commissione prestasse maggiore attenzione alle possibilità pratiche per i diversi soggetti di avvalersi dei programmi in materia di innovazione. Per esempio, le PMI potrebbero trarre beneficio da programmi di innovazione, ma solo poche di esse dispongono di ricercatori. Molte PMI, pur essendo effettivamente innovative, non sfruttano le possibilità a loro disposizione per ottenere sostegno dai programmi UE, anche se ne trarrebbero grandi vantaggi. Occorre migliorare l'accesso ai capitali di rischio e, a tale proposito, si dovrebbe rafforzare il programma Jeremie, il cui utilizzo non dovrebbe però essere reso obbligatorio. Gli Stati membri dovrebbero poi essere lasciati liberi di decidere se utilizzare sovvenzioni, prestiti o una combinazione di entrambi, e di scegliere il campo tematico di applicazione. È inoltre necessario avviare un processo di semplificazione in questo ambito.

1.14   Uno strumento in questa direzione può essere costituito da nuove forme di «partenariato efficace» - PIATTAFORMA DEL CONSENSO - per accompagnare la strategia dell'innovazione, con la partecipazione e il concorso di tutti gli interessati, pubblici e privati, ivi comprese le banche, con regole semplici, chiare ed efficaci, che accompagnano tutto l'iter dei progetti, fissando tempi, responsabilità ed eventuali sanzioni.

1.15   Il CESE ritiene, inoltre, che vada rovesciato l'approccio attuale della Commissione, più preoccupata degli aspetti formali dei programmi che non dei contenuti e, più in particolare, dei risultati raggiunti, obiettivo prioritario a cui invece bisognerebbe mirare.

1.15.1   Servirebbe invece un sostegno parallelo e concertato, in base alle analisi territoriali, ai due poli opposti che sono il recupero del divario e l'innovazione.

1.16   Il CESE deplora le notevoli disuguaglianze esistenti non solo tra le regioni dell'UE, ma anche all'interno dei diversi Stati membri. Dette disuguaglianze si manifestano anche nel settore della R&S e dell'innovazione e mettono in rilievo la necessità di rafforzare la politica di coesione economica, sociale e territoriale entro il 2020.

1.17   Nel contempo, il CESE fa notare che gli Stati membri dell'UE devono affrontare altresì una crescente concorrenza, a livello mondiale, da parte di nuovi paesi industrializzati che fanno registrare un forte sviluppo nella R&S e nell'innovazione e che, in particolare in settori che rientrano nell'alta tecnologia, si sono già portati in posizione di vantaggio.

1.18   Il CESE si rallegra pertanto che la Commissione europea, con l'iniziativa L'Unione dell'innovazione nel quadro della strategia Europa 2020 e con la sua comunicazione sulla crescita intelligente, metta in risalto determinati problemi e chiami in causa la politica regionale. Se è vero, infatti, che sono le misure decentrate a favorire in gran parte il rinnovamento, esso non è possibile senza aiuti, e questi ultimi, come le politiche, devono essere uguali in tutta l'UE.

1.19   Il CESE condivide la posizione secondo la quale occorre trarre vantaggio dalle differenze esistenti tra le regioni, e ciò comporta l'introduzione di forme completamente nuove di cooperazione con tutte le forze disponibili ai livelli nazionale, regionale e locale.

1.20   Il CESE ritiene che dedicare maggiore attenzione ai luoghi di lavoro innovativi sia un approccio coerente con la politica per la crescita intelligente e lo sviluppo di strategie di specializzazione intelligente (4). Il Comitato, nel suo parere Luoghi di lavoro innovativi quali fonti di produttività e di lavoro di qualità (SC/034), sottolinea che il concetto di «luogo di lavoro innovativo» costituisce una delle questioni centrali della strategia Europa 2020, e invita la Commissione a lanciare, nel quadro dell'iniziativa faro L'Unione dell'innovazione, un progetto pilota in materia di luoghi di lavoro innovativi.

1.21   Il CESE esprime soddisfazione per il fatto che la Commissione stia lavorando per l'anno prossimo a un programma di ricerca di più ampio respiro per il settore pubblico e l'innovazione sociale. Condivide l'idea di introdurre un quadro di valutazione dell'innovazione nel settore pubblico e di adottare contestualmente dei progetti pilota in materia di innovazione sociale europea destinati a sostenere gli innovatori sociali e delle proposte di innovazione sociale, nell'ambito di programmi da realizzare nel quadro del Fondo sociale europeo. Conviene inoltre sulla necessità di coinvolgere le organizzazioni della società civile. Queste iniziative possono essere considerate come un percorso verso la crescita intelligente.

1.22   Il CESE è favorevole all'idea di sviluppare delle strategie di specializzazione intelligente che dovranno essere definite dalle regioni e dai territori stessi, sulla base delle loro esigenze specifiche e tenendo conto del loro livello di sviluppo. In alcune regioni la crescita intelligente consiste tuttora nello sviluppo di infrastrutture essenziali, come le telecomunicazioni, l'energia o il trattamento delle acque.

1.23   La politica regionale e in particolare i fondi regionali dell'UE sono indispensabili per assicurare una crescita intelligente e certamente per incoraggiare e aiutare i governi nazionali e regionali a sviluppare strategie di specializzazione intelligente che aiutino le regioni a individuare i loro vantaggi più significativi.

1.24   Come afferma la Commissione nella sua comunicazione, concentrando le risorse su un numero limitato di attività si potrà garantire un utilizzo più efficiente ed efficace dei finanziamenti e si potranno aumentare i livelli di investimenti privati, purché gli ambiti prioritari per le attività e gli investimenti siano definiti dagli enti locali pertinenti, di concerto con i loro partner economici e della società civile.

1.25   In conclusione, gli obiettivi della 2020 e quelli della coesione sono concordi. La politica di coesione, attraverso la sua singolare struttura di governance multilivello, è in grado di fornire incentivi e aiuti concreti per assicurare la titolarità degli obiettivi di Europa 2020 a livello di macroregione, a livello interregionale, regionale e locale. Però il quadro istituzionale della loro attuazione manca degli elementi finanziari e giuridici comuni che potrebbero trasformarsi, interagendo, in fattori di aumento dell'efficacia.

1.25.1   Sarebbe perciò opportuno introdurre una cooperazione rafforzata per favorire il raggiungimento degli obiettivi suddetti.

2.   Proposte

2.1   Definizioni: esistono diverse definizioni di innovazione. Nell'iniziativa L'Unione dell'innovazione, il concetto di «innovazione» implica un cambiamento in grado di accelerare e migliorare il nostro modo di concepire, sviluppare, produrre e utilizzare nuovi prodotti, processi industriali e servizi. Si tratta di cambiamenti in grado di creare più posti di lavoro, migliorare la vita dei cittadini e costruire società migliori e più verdi. Il CESE condivide questa definizione innanzitutto perché abbraccia numerosi ambiti politici.

2.1.1   Al tempo stesso tale definizione presuppone il coinvolgimento di molte direzioni generali della Commissione europea nell'innovazione e nella coesione sociale, economica e territoriale, nonché il contributo di tutti i fondi dell'UE a questo sviluppo.

2.2   Mettere insieme le risorse: il CESE è dell'avviso che, per raggiungere l'obiettivo dell'innovazione regionale come strumento «per liberare il potenziale di crescita dell'UE», si debba far ricorso anche ad altre risorse comunitarie, come, ad esempio, la PAC - almeno per quanto riguarda gli investimenti volti all'innovazione e alla crescita intelligente nel settore agricolo - e il Fondo sociale europeo. Inoltre gli strumenti finanziari comunitari vanno coordinati e messi in sinergia con quelli nazionali e regionali; tutti gli Stati membri devono poter fruire pienamente delle opportunità offerte dagli strumenti finanziari dell'UE, ed è necessario avviare un processo di semplificazione in questo ambito.

2.3   Scegliere le priorità: il CESE ritiene che sarebbe opportuno specificare le tipologie dell'innovazione, salvaguardando quelle regionali; fare delle scelte sui programmi, sui settori interessati (ad es. sviluppo sostenibile, energia, ambiente, trasporti, …) e sulle regioni da coinvolgere, tenendo conto delle loro sfide, esigenze e potenzialità (ovvero della loro situazione di partenza), nonché della loro vocazione imprenditoriale, delle condizioni della ricerca e della loro capacità di rinnovare gli impianti o cambiare produzione. Bisogna favorire il collegamento tra macroregioni e abbandonare la politica dei «mille fiori». Le priorità vanno scelte in concertazione tra autorità pubbliche, private e la società civile organizzata, ai vari livelli.

2.4   Conoscere, comunicare e informare: è fondamentale la diffusione e la condivisione delle esperienze positive tra i settori e i territori interessati, perciò occorre una opportuna strategia di comunicazione e di informazione da prevedere direttamente nei programmi della Commissione.

2.5   Formare: quello della formazione è un altro strumento fondamentale da utilizzare per raggiungere gli obiettivi che la Commissione si prefigge con questa comunicazione. Sarebbe molto utile, in particolare per i giovani, favorire la diffusione della cultura dell'innovazione. Inoltre il CESE ritiene che, se venisse perseguito, favorirebbe l'utilizzo dei fondi, ridurrebbe i residui passivi ed eviterebbe gli sprechi; ciò al fine di raggiungere forme di eccellenza nell'utilizzo dei fondi, aiutando la governabilità del territorio.

2.6   Consolidare il partenariato: secondo il CESE bisognerebbe privilegiare i programmi e i progetti elaborati direttamente dalle associazioni delle PMI o dai centri di ricerca già esistenti, insieme ai rappresentanti dei lavoratori e della società civile interessata e con il coinvolgimento degli enti locali. Il partenariato, praticato come metodo a tutti i livelli, costituisce un valore aggiunto di grande rilevanza, perciò andrebbe data priorità ai progetti elaborati con tale procedura. Sarebbe anche di grande aiuto alla governabilità territoriale.

2.7   Valutare i risultati: deve essere un imperativo, che va sostenuto senza tentennamenti da parte della Commissione. Ciò va fatto con parametri e sistemi comuni di valutazione dei risultati, sia per l'innovazione che per la ricerca, un obiettivo prioritario della Commissione e dell'UE. Prevedere, per le regioni o le aree che non li raggiungono o non spendono i fondi, delle forme sostitutive degli interventi da parte degli Stati nazionali e/o della Commissione, che dovrebbe guidare questo processo.

2.8   Favorire la collaborazione pubblico-privato, anche attraverso un sistema di finanziamento misto per i programmi particolarmente rilevanti o di particolare interesse, sia per la ricerca che per l'innovazione.

2.9   Spingere gli Stati membri affinché insieme alla Commissione e all'UE agiscano con più determinazione; non devono abdicare al loro ruolo per le ragioni più volte richiamate; bisogna privilegiare i progetti interregionali, che hanno una logica e un ambito europeo, mentre la Commissione deve tornare a svolgere un ruolo guida anche nella fase di elaborazione, di esecuzione e, in particolare, di valutazione dei risultati.

2.10   Favorire l'accompagnamento e la consulenza: il CESE ritiene che le PMI e in particolare le microimprese, che non dispongono di ricercatori e di esperti interni, abbiano bisogno, per ovviare a tale carenza, di accedere facilmente a servizi di accompagnamento e di consulenza efficienti e adatti. Raccomanda una politica a favore delle organizzazioni di rappresentanza per sostenere le loro azioni di accompagnamento e di consulenza, in particolare attraverso contratti di obiettivi regionali e il finanziamento di posti di consulenti per l'innovazione all'interno di tali organizzazioni.

2.11   Rendere più chiara la comunicazione; secondo il CESE la comunicazione va semplificata e resa più chiara rispetto agli obiettivi che si prefigge. Occorrerebbe rovesciare l'approccio, sollecitando le proposte dal basso, nella convinzione che deve essere la «moneta» a seguire le idee e non il contrario.

2.12   Semplificare - Quello della semplificazione a tutti i livelli è un obiettivo preliminare. Perseguire sempre e comunque una strategia della semplificazione per ridurre i tempi e i costi creando un formulario unico e seguendo il principio «una sola volta»; velocizzare inoltre i pagamenti e facilitare i finanziamenti anticipati alle imprese, in particolare alle PMI; infine armonizzare le regole finanziarie ed eseguire un'unica verifica contabile valida per tutte le istanze.

3.   Revisione del bilancio UE, coesione e crescita intelligente

3.1   La Commissione, nella comunicazione sulla revisione del bilancio, dedica un lungo capitolo alla politica di coesione e molto meno, ad esempio, alla PAC, che rappresenta ancora il 43 % della spesa comunitaria. La parte dedicata alla coesione viene chiamata «crescita inclusiva»: suggestiva nel titolo ma che va applicata praticamente.

3.2   Già i titoli sono esaustivi: a) Politica di coesione e strategia Europa 2020; b) Maggiore concentrazione e coerenza; c) Un quadro strategico comune; d) Contratto di partenariato in materia di sviluppo e di investimento; e) Una migliore qualità della spesa. Fatto salvo quest'ultimo, importante obiettivo, gli altri dovrebbero essere già stati realizzati.

3.3   Il CESE valuta positivamente lo sforzo e le proposte della Commissione rivolte a creare sinergie tra la politica di coesione e il resto delle politiche dell'UE e degli Stati nazionali, ivi comprese alcune priorità indicate nell'Europa 2020, ma ritiene necessario ricorrere a tutte le risorse per realizzare gli obiettivi della «crescita intelligente».

3.4   La revisione del bilancio dovrebbe costituire un'occasione per mettere in sintonia la politica di coesione, la PAC e la strategia 2020, tenendo conto del patto di stabilità in via di revisione, al fine di riconsiderare e riqualificare il bilancio europeo e quelli degli Stati dell'eurozona (ad esempio, l'istruzione e la ricerca non dovrebbero essere considerate una spesa corrente).

3.5   Aiutare le PMI è un problema prioritario per la riuscita della proposta. Ciò va fatto semplificando e facilitando il finanziamento, anche mediante un'assicurazione sui rischi per la concessione del credito, in sintonia con i principi affermati nel riesame dello Small Business Act (SBA), o di finanziamenti diretti per l'innovazione con una politica di sostegno e di accompagnamento. Ciò può essere facilitato anche con il consolidamento e l'utilizzo delle associazioni delle PMI e delle microimprese. Gli Stati membri dovrebbero poi essere lasciati liberi di decidere, al livello appropriato, se utilizzare sovvenzioni, prestiti o una combinazione di entrambi.

4.   Osservazioni

4.1   Il CESE ritiene positive le azioni che dovrebbe svolgere la Commissione per favorire il raggiungimento degli obiettivi, in particolare per quanto riguarda l'analisi e l'informazione sui risultati raggiunti e la fornitura del capitale di rischio e le garanzie alle PMI impegnate nell'innovazione, mettendo a disposizione finanziamenti adatti alla realtà delle PMI e delle microimprese.

4.2   Le cinque aree di specializzazione intelligente identificate nella comunicazione della Commissione appaiono alquanto generiche, appartengono a settori ed aree di riferimento molto diversi tra di loro, non sono calibrate sulle specificità dei territori regionali, non contemplano possibili sinergie derivanti da politiche di incentivazione dell'innovazione previste in altre aree di intervento comunitario (concorrenza, agricoltura, mercato interno, ambiente ed energia, istruzione, ecc.) o in altri programmi comunitari; tra l'altro, ad esempio, non si fa alcun accenno all'economia sociale. Così come non è previsto il coinvolgimento delle parti sociali o di altri attori della società civile organizzata nella definizione e nella messa in opera delle politiche inerenti alla specializzazione intelligente.

4.3   Nessun riferimento però è fatto all'esigenza di coordinare l'iniziativa comunitaria per l'innovazione con le politiche di innovazione dei paesi membri le quali dispongono, evidentemente, di più risorse ed hanno già identificato ed avviato programmi di ricerca ed interventi nei settori nei quali potenziare le attività di R&S. Come poche analisi vengono fatte sui motivi che hanno impedito o non hanno consentito l'utilizzo dei fondi, la questione più grave di tutte le altre. E dire che la CE di analisi ne fa tante!

4.4   La Commissione, tuttavia, si interessa in ampia misura alle regioni che beneficiano delle migliori condizioni, per esempio quando scrive che certe regioni partecipano alla concorrenza a livello mondiale, mentre altre lottano ancora per raggiungere questo livello. Ciò non significa tuttavia che certe regioni siano totalmente in ritardo. Per colmare questo divario, occorre organizzare la politica regionale in modo che il suo obiettivo principale sia sempre di più lo sviluppo delle regioni più deboli, che è, del resto, precisamente il fine della politica di coesione nel suo insieme.

4.5   Il CESE comunque esprime preoccupazione per il fatto che il divario tra le regioni più ricche e quelle più povere dell'UE si allarga costantemente e che i paesi più deboli economicamente sono anche quelli meno avanzati in materia di ricerca, sviluppo e innovazione. Osserva tuttavia che, come dimostra il nuovo quadro di valutazione, è nella R&S che si trova il più grande potenziale di crescita dei paesi e delle regioni meno avanzati.

4.6   È opportuno, a questo proposito, che la Commissione europea cooperi con i diversi Stati membri per diffondere la politica dell'R&S e dell'innovazione, in modo da evitare che le regioni ricche degli Stati membri monopolizzino le risorse, con l'ulteriore distorsione della ripartizione che ciò comporterebbe a livello nazionale.

4.7   La comunicazione prepara il terreno per un miglior utilizzo dei diversi strumenti tecnici della ricerca al fine di sostenere l'innovazione. Si tratta di prestiti a tasso agevolato, di garanzie sui crediti e di capitali di rischio. Anche il gruppo BEI rientra tra le istituzioni che dovrebbero ricevere risorse supplementari destinate in modo particolare a beneficiare le PMI.

Bruxelles, 14 luglio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Affermazione fatta dal commissario quando a gennaio ha lanciato la comunicazione Il contributo della politica regionale alla crescita sostenibile nel contesto della strategia Europa 2020, che dovrebbe intendersi anche come «crescita intelligente».

(2)  COM(2010) 553 definitivo.

(3)  Ibid.

(4)  Alcuni rapporti pubblicati recentemente in Danimarca indicano un miglioramento dell'efficienza degli ospedali, in termini di aumento del numero delle operazioni e del grado di soddisfazione del personale nei confronti del proprio lavoro, malgrado la riduzione dei bilanci e del personale ospedaliero. Sono cambiati i metodi di lavoro, in alcuni casi ai medici è stato vietato di svolgere una seconda attività ed ai pazienti viene garantita una maggiore assistenza. Emerge altresì un miglioramento del livello di soddisfazione dei pazienti (la conclusione che se ne trae è quindi la seguente: non bisogna semplicemente ridurre i bilanci bensì cambiare i metodi e l'organizzazione del lavoro).


29.10.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/87


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al «Libro verde sul futuro dell'IVA — Verso un sistema dell'IVA più semplice, solido ed efficiente»

COM(2010) 695 definitivo

2011/C 318/14

Relatrice: MADER

La Commissione europea, in data 1o dicembre 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al:

Libro verde sul futuro dell'IVA - Verso un sistema dell'IVA più semplice, solido ed efficiente

COM(2010) 695 definitivo.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 giugno 2011.

Alla sua 473a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2011 (seduta del 14 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 161 voti favorevoli, nessun voto contrario e 10 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) approva senza riserve l'iniziativa della Commissione di riflettere sulla possibilità di una revisione globale del sistema dell'IVA, un'imposta il cui regime, definito provvisorio dalla sua introduzione nel 1967, è soggetto a numerose critiche. Il Libro verde non è che l'inizio di una procedura che si preannuncia lunga, difficile e complessa, e il cui successo sarà la prova di una reale volontà degli Stati membri di giungere alla definizione di un sistema «più semplice, solido ed efficiente».

1.2   Il regime attuale ha subito numerose modifiche nel tempo: la Commissione, in particolare, ha avanzato delle proposte di miglioramento intese a rafforzarne l'efficacia e ad adeguarlo ai principi del mercato unico. Gli Stati membri, da parte loro, hanno accolto diverse misure concernenti l'organizzazione, la cooperazione tra amministrazioni e l'automazione. Altre misure hanno riguardato principalmente gli aspetti amministrativi e organizzativi. Il Consiglio, tuttavia, ha finora opposto resistenza alle proposte di riforma del sistema nel suo insieme.

1.3   Il CESE condivide la dichiarazione della Commissione, in base alla quale un sistema dell'IVA globale dovrebbe ridurre i costi operativi a carico dei contribuenti e gli oneri amministrativi per le amministrazioni, e resistere agli attacchi fraudolenti che gravano sulle finanze pubbliche. A questo va poi aggiunta la necessità di tenere conto delle esigenze delle imprese, che sono in ultima analisi chiamate a gestire la riscossione dell'imposta e ad assumersi, insieme ai consumatori, l'onere di questa inefficienza. Come precedentemente affermato dal CESE, andrebbe prestata attenzione anche al regime IVA sui servizi finanziari (1) e certamente, se dovesse essere introdotta una nuova tassa sul settore finanziario basata sui flussi di cassa o su fattori simili, la Commissione dovrebbe valutare i vantaggi di concepire tale tassa nel quadro dell'IVA (2).

1.4   Un problema particolarmente delicato riguarda il trattamento delle operazioni transfrontaliere. Dal punto di vista razionale, l'imposta dovrebbe essere percepita nello Stato membro di origine, secondo le stesse modalità previste per il commercio interno; le difficoltà di regolamento tra Stati membri hanno spinto il Consiglio a scegliere la soluzione più semplice, ossia la riscossione nello Stato membro di destinazione, prevedendo tuttavia alcune eccezioni riguardanti soprattutto i servizi. La Commissione propone ora delle soluzioni alternative pur consapevole della difficoltà di trovare una soluzione perfetta.

1.4.1   Il CESE ritiene che debbano essere evitati in ogni caso cambiamenti radicali, adottando una politica dei piccoli passi; la soluzione migliore consisterebbe probabilmente nella tassazione generale nello Stato membro di destinazione, mantenendo tuttavia i principi del sistema attuale. Al tempo stesso sarà necessario generalizzare l'adozione del meccanismo dell'inversione contabile, a titolo prima facoltativo e poi generalizzato e obbligatorio. Ai fini della semplificazione amministrativa occorre in ogni caso creare uno sportello unico per le imprese.

1.5   Il Libro verde si propone di raccogliere le osservazioni e le proposte provenienti da tutte le parti interessate e utili per formulare le proposte definitive della Commissione. A tale scopo il documento contiene 33 domande alle quali il Comitato fornisce una risposta, ma che non è possibile riassumere. Per maggiori dettagli si rimanda alla sezione 5 del presente documento.

2.   Introduzione

2.1   Il miglioramento del sistema dell'IVA figura, ormai da diversi anni, tra le priorità della politica fiscale della Commissione. Nel 1967 gli Stati membri dell'allora Comunità economica europea (CEE) convennero di adottare un sistema comune dell'IVA, che rappresenta un'importante fonte di entrate per i bilanci nazionali (20 %). Una parte dell'IVA percepita contribuisce inoltre ad alimentare il bilancio dell'UE. Appare quindi evidente, tra l'altro, l'interesse diretto della Commissione a tutelare i propri interessi assicurando la massima efficienza possibile nell'applicazione dell'imposta.

2.2   Sebbene l'IVA rappresenti un'importante fonte di entrate per gli Stati membri, il regime attualmente in vigore è tutt'altro che soddisfacente ed è oggetto di numerose critiche da parte degli Stati membri e delle altre parti interessate, tra le quali figurano in particolare le imprese e i consumatori. La Commissione sta cercando da molto tempo di prenderne atto e di presentare proposte intese a migliorare l'efficienza del sistema dell'IVA e ad adeguarlo alle norme e ai principi del mercato unico. Occorre tuttavia precisare che questi tentativi sono spesso ostacolati, in maniera più o meno aperta, dagli stessi Stati membri.

2.3   Va detto apertamente e senza alcuna reticenza che, in ambito fiscale, la volontà di coesione europea trova i propri limiti nella preoccupazione, anzi nella necessità di ciascuno Stato membro di tutelare i propri strumenti di finanziamento. Infatti, quando uno Stato si accorge che talune norme potrebbero ledere i suoi interessi o comportare degli aggravi, in termini di costi o di oneri amministrativi, esso esprime il proprio disaccordo, in maniera più o meno aperta e spesso poco trasparente.

2.4   Tutto ciò va certamente a scapito di una politica comune europea ma ci aiuta a capire le ragioni del fallimento dei lodevoli sforzi compiuti dalla Commissione nel corso degli anni. Cionondimeno sono stati conseguiti importati successi a livello di razionalizzazione e informatizzazione delle procedure, riduzione dei costi per le amministrazioni e i contribuenti, cooperazione amministrativa e giudiziaria.

2.5   Pur consapevole dei problemi e degli ostacoli esistenti, la Commissione torna ora a concentrarsi sull'obiettivo a cui ha sempre puntato: riformare il sistema nel suo insieme, per renderlo coerente con i principi del mercato unico, tenendo conto delle istanze di tutte le parti interessate. Rispettando le procedure previste, il Libro verde solleva una serie di interrogativi sui diversi aspetti del regime dell'IVA. Sulle risposte che verranno fornite si baseranno le proposte per un nuovo sistema «più semplice, solido ed efficiente». Con il presente parere il CESE offre il contributo dei settori socioeconomici che rappresenta.

3.   Osservazioni generali

3.1   Come afferma giustamente la Commissione, la crisi ha avuto un impatto sulle finanze pubbliche, soprattutto in termini di orientamento verso la fiscalità indiretta rispetto a quella diretta: l'incidenza dell'IVA sul totale delle entrate, finora attorno al 22 %, segna una tendenza all'aumento, che è il risultato di una politica generalmente orientata al rafforzamento della competitività attraverso la riduzione dell'imposizione sul reddito da lavoro e delle imprese. Il CESE osserva che, sebbene ci troviamo di fronte a un segnale positivo, esso non deve tuttavia indurci ad aumentare le aliquote IVA nella direttiva quadro, poiché questo implicherebbe, tra l'altro, un onere supplementare insostenibile per i lavoratori e i consumatori.

3.2   Il miglioramento del meccanismo richiede, secondo la Commissione, «un sistema dell'IVA globale» capace di ridurre i costi operativi a carico dei contribuenti e gli oneri amministrativi per le amministrazioni, e di resistere agli attacchi fraudolenti. Su quest'ultimo punto il CESE condivide le preoccupazioni della Commissione; a più riprese i pareri del Comitato hanno richiamato l'attenzione sul fatto che l'imposta più soggetta ad evasione nell'UE è proprio l'IVA, e che l'evasione rappresenta un'importante fonte di finanziamento per la criminalità organizzata e il terrorismo. I fenomeni interdipendenti dell'evasione e della criminalità, nonché del riciclaggio di denaro, anch'esso collegato, costituiscono un'importante minaccia per la società a livello mondiale. Il CESE insiste affinché le nuove norme siano esaminate tenendo sempre conto della loro «impermeabilità» agli attacchi fraudolenti.

3.3   Il Libro verde non ignora gli aspetti relativi alle imprese: la gestione e l'amministrazione (il Comitato aggiunge anche il contenzioso) dell'IVA sono responsabili di un'ampia parte dei costi amministrativi delle imprese, a tal punto che molte PMI tendono ad evitare gli scambi commerciali internazionali. Il CESE richiama ancora una volta l'attenzione sulla necessità di rendere più flessibile, più semplice e meno onerosa la gestione dell'IVA: sono infatti gli utenti finali, ossia i consumatori che poi ne pagano le conseguenze.

3.4   Un altro tema importante riguarda la possibilità di prevedere un'unica aliquota, considerata come «l'ideale di un'imposta sui consumi». Il CESE condivide l'opinione della Commissione sulla quasi impossibilità di conseguire questo obiettivo, e la sostiene fermamente nei suoi tentativi di ridurre o eliminare le troppo numerose esenzioni, eccezioni e applicazioni di aliquote ridotte o preferenziali, agevolazioni queste che riducono del 45 % le entrate rispetto al gettito teoricamente percepibile se si applicasse l'aliquota normale. Occorrerà trovare un equilibrio ragionevole tra le necessità di bilancio e le motivazioni sociali ed economiche sulle quali si basano le agevolazioni, soprattutto in materia di servizi locali e di servizi che necessitano di una quantità importante di risorse umane.

3.5   Come sottolineato nel parere sul tema La tassazione del settore finanziario (ECO/284 – CESE 991/2011), il CESE ritiene necessario procedere ad una revisione del trattamento IVA dei servizi finanziari.

4.   Trattamento IVA delle operazioni transfrontaliere nel mercato unico

4.1   Al momento dell'adozione, nel 1967, il regime dell'IVA tra gli Stati membri, basato sulla tassazione nello Stato di destinazione fu definito provvisorio, per distinguerlo dal regime definitivo, che prevede invece la tassazione nello Stato di origine. A distanza di 44 anni, il regime in vigore è ancora quello provvisorio. Dal punto di vista razionale, l'imposta dovrebbe essere percepita nello Stato membro di origine, secondo le stesse modalità previste per il commercio interno, salvo regolamento della differenza della quota dovuta allo Stato membro di destinazione. I problemi esistenti in origine, che in parte sussistono tuttora, avevano spinto il Consiglio a scegliere la soluzione più semplice, che prevedeva la riscossione nello Stato membro di destinazione, e che è ancora quella utilizzata attualmente, seppur con importanti eccezioni, previste soprattutto per i servizi telematici transfrontalieri.

4.2   La Commissione, in passato, ha tentato per due volte di ottenere l'accordo del Consiglio su un regime IVA uniforme basato sul principio della riscossione nello Stato di origine; tali tentativi sono tuttavia falliti a causa di seri problemi di applicazione. Nel 2007, la Commissione ha studiato un sistema di tassazione all'origine che prevede un'imposizione del 15 %, lasciando poi allo Stato membro di destinazione la possibilità di riscuotere o di rimborsare, a seconda dei casi, l'IVA versata in difetto o in eccesso in funzione dell'aliquota applicabile. Il Consiglio non ha tuttavia risposto alla richiesta della Commissione.

4.3   Il CESE riconosce che il problema è complesso e che, per via dei diversi livelli di tassazione e delle diverse procedure amministrative ancora esistenti malgrado gli sforzi di armonizzazione compiuti dalla Commissione, risulta difficile trovare una soluzione perfetta. Non si possono tuttavia ignorare i progressi che sono stati compiuti, o che stanno per esserlo, in materia di tassazione della prestazione di servizi (3), miglioramento dei sistemi impositivi (4), cooperazione amministrativa e sportello unico (5), buona governance e lotta contro la frode (6).

4.4   Il Libro verde va nella direzione giusta, cercando di acquisire informazioni utili per proporre miglioramenti; tenuto conto delle esperienze passate e della situazione attuale, il CESE auspica che venga seguita una politica dei piccoli passi piuttosto che delle soluzioni radicali. Per questo motivo ritiene che la soluzione migliore sia quella indicata al paragrafo 4.2 del documento della Commissione: generalizzare l'imposizione nello Stato membro di destinazione e mantenere i principi del sistema attuale (paragrafo 4.2.1), con un'adozione graduale, inizialmente facoltativa e successivamente obbligatoria, del meccanismo dell'inversione contabile (paragrafo 4.2.2). Per quanto concerne la creazione di sportelli unici occorre al tempo stesso fare in modo che le imprese possano pagare i loro debiti fiscali transfrontalieri con il minor onere burocratico possibile.

5.   Risposte alle domande rivolte nel Libro verde

5.1   Regime IVA attuale per gli scambi intra-UE (D.1): il regime attuale non è perfetto; presenta diversi inconvenienti, dovuti principalmente alle numerose agevolazioni, eccezioni, esenzioni, ecc. accordate agli Stati membri. Ciò premesso, va aggiunto che il regime è in vigore da troppo tempo per poter essere ragionevolmente modificato in maniera radicale; un riorientamento radicale avrebbe infatti effetti disastrosi. Meglio quindi concentrasi sull'applicazione dei principi di buona governance citati a più riprese dalla Commissione, sostenuti dal CESE nei suoi pareri e riassunti nel documento di accompagnamento del Libro verde (7). I principali ostacoli alla massimizzazione dei vantaggi non sono da ricercare nei principi ma piuttosto nella loro imperfetta applicazione e nell'opposizione al cambiamento da parte delle amministrazioni degli Stati membri.

5.2   IVA e autorità pubbliche (D.3): in linea di principio le esenzioni accordate agli organismi pubblici che esercitano attività in concorrenza con i fornitori privati (es.: trasporti, assistenza sanitaria) sono giustificate da finalità sociali tipiche del servizio pubblico. Occorre tuttavia riconoscere che il fornitore privato svolge spesso una funzione complementare rispetto alle insufficienze o carenze del servizio pubblico. Esiste probabilmente una distorsione della concorrenza che si tende ad attenuare tramite nuove forme di cooperazione. Il consumatore può comunque scegliere di avvalersi di un servizio pubblico, e pagare quindi un prezzo più basso, oppure di uno privato, ma più costoso. Eccetto nei casi in cui o l'uno o l'altro dei servizi non sia disponibile (es.: mezzi di trasporto), la scelta tra i due si basa soprattutto sulla valutazione della qualità.

5.2.1   Una soluzione equa e favorevole ai consumatori consisterebbe, secondo il CESE, nel mantenere le esenzioni per i servizi pubblici e nell'estenderle al settore privato nel caso di servizi indispensabili non erogati pubblicamente. Il CESE è consapevole delle difficoltà di applicazione di questo principio ma, d'altra parte, è inammissibile che i consumatori che abitano nelle località meno favorite siano obbligati a pagare costi più elevati per servizi che vengono loro offerti senza alcuna possibilità di scelta. Per evitare distorsioni della concorrenza con il mercato privato, l'eccezione dovrebbe, in ogni caso, essere limitata alle funzioni pubbliche (8).

5.3   Esenzioni IVA (D.6): le esenzioni concesse agli Stati membri prima del 1o gennaio 1978 non hanno alcun motivo di essere mantenute e dovrebbero quindi essere abolite, visto che sono privilegi negoziati dagli Stati membri all'epoca della fondazione della CEE o nel periodo immediatamente successivo. Esse rappresentano ormai un'inammissibile deviazione dai principi del mercato unico. Lo stesso ragionamento si applica ai nuovi Stati membri, per i quali l'abolizione delle esenzioni può avvenire in maniera progressiva, man mano che migliora il tenore di vita, che deve essere tuttavia valutato secondo parametri trasparenti da stabilire.

5.3.1   Più complesso e articolato è invece il problema relativo alle esenzioni a favore di talune attività di interesse generale o di altre attività. Entrambe dipendono dagli orientamenti politici e dalle politiche economiche di ciascuno Stato membro e sebbene rappresentino una deviazione dai principi del mercato unico, possono essere tuttavia utilizzate come strumenti di sostegno di una politica nazionale di crescita e di occupazione. In ogni caso, una futura politica di buona governance dovrebbe consentire questo tipo di esenzioni solo a titolo di misure eccezionali e temporanee. Come precedentemente affermato nel parere in materia di regime IVA sui servizi finanziari (9), il CESE apprezzerebbe un approccio legislativo più approfondito per eliminare le difficoltà d'interpretazione che ancora sussistono ed i problemi in sospeso. Inoltre, per quanto concerne la possibile introduzione di una tassa sulle transazioni finanziarie (10), la Commissione dovrebbe valutare i vantaggi di concepire tale tassa nel quadro dell'IVA, in modo da garantire un approccio amministrativamente più facile per il settore ed alleviare il peso dell'IVA non recuperabile.

5.3.2   Un caso particolare è rappresentato dalle esenzioni accordate alle PMI in taluni Stati e che dovrebbero essere abolite. È risaputo che in tutti i paesi l'evasione dell'IVA è un fenomeno particolarmente diffuso; l'esistenza di un'evasione legalizzata nei paesi vicini non fa che accentuare il ricorso transfrontaliero ai servizi e all'acquisto di prodotti in questi paesi. Per gli Stati senza esenzioni si ha una duplice conseguenza: indebolimento della lotta contro l'evasione illegale e distorsione della concorrenza a danno delle PMI rispettose delle norme.

5.4   Tassazione del trasporto passeggeri (D.7): la risposta rispecchia le osservazioni formulate in relazione alla D.3 (paragrafo 5.2). La tassazione dovrebbe essere applicata a tutti i mezzi di trasporto, compreso il trasporto aereo (come del resto già succede).

5.5   Problemi del diritto alla detrazione (D.9): la detraibilità dell'IVA rappresenta uno dei principali problemi per le imprese, trattandosi di un'operazione complicata, di difficile applicazione in molti casi, e fonte di contenziosi, controversie e ammende. Inoltre si fonda su un principio ingiusto, come ricorda la Commissione stessa: il diritto alla detrazione (ma anche il dovere di versare l'IVA) sorge al momento della consegna del bene o della prestazione del servizio, a prescindere dal fatto che l'acquirente o il beneficiario abbia o non abbia ancora pagato. Chi ritarda i propri pagamenti, osserva la Commissione, ottiene un vantaggio di tesoreria, che potrebbe essere anche semplicemente definito come un'entrata sicura per il fisco, anticipata dal venditore o fornitore e una garanzia in caso di insolvibilità da parte dell'acquirente o del beneficiario  (11).

5.5.1   Un altro serio problema è rappresentato dalla detrazione dell'IVA per compensazione quando si verifica un saldo positivo per il contribuente: in alcuni Stati membri il rimborso è effettuato con notevoli ritardi, dannosi per la situazione di tesoreria delle imprese e suscettibili talvolta di provocarne anche il fallimento. Gli Stati membri obiettano che il sistema di compensazione comporta un certo rischio di frode, il che è vero, però è altrettanto vero che spetta proprio a loro prevedere controlli rapidi; le conseguenze della loro inefficienza si ripercuotono infatti direttamente sulle imprese.

5.5.2   Il CESE è d'accordo con la Commissione sulle considerazioni che la portano a ritenere il sistema di contabilità di cassa nel commercio internazionale come la soluzione possibile, equa e neutrale, specialmente dal punto di vista della tesoreria delle imprese. Questa soluzione, tuttavia, nel commercio intracomunitario è possibile unicamente mediante l'introduzione di un sistema di compensazione gestito dallo sportello unico, la cui adozione è stata proposta dalla Commissione, ma che incontra diversi ostacoli di applicazione.

5.6   IVA applicabile ai servizi internazionali (D.11): l'importanza dei servizi internazionali, in particolare quelli forniti elettronicamente, giustifica l'adozione di norme speciali per questi servizi; tuttavia la caratteristica dell'immaterialità rende spesso difficili i controlli dell'applicazione dell'IVA da parte dei fornitori, soprattutto quando si tratta di fornitori di servizi ai privati (software, musica, ecc.). Tali controlli sono impossibili quando la sede dei fornitori si trova al di fuori dell'UE; sia l'OCSE che la Commissione stanno studiando il problema ma la soluzione non sembra né facile né immediata.

5.6.1   I principali problemi consistono in una seria distorsione della concorrenza dei servizi forniti all'interno dell'UE rispetto a quelli erogati dall'esterno, e non vi sono molti mezzi efficaci per regolamentare la situazione, ad eccezione di eventuali accordi internazionali di cooperazione tra autorità fiscali. Il CESE è in ogni caso contrario all'adozione di misure simili a quelle adottate in Canada, che consistono nel riscuotere l'imposta dai consumatori, dopo aver verificato i pagamenti on line che essi hanno effettuato. A parte il disagio per i consumatori di dover effettuare il versamento dell'IVA dopo ogni acquisto, le verifiche sopramenzionate costituiscono un'inammissibile intrusione nella vita privata dei cittadini.

5.7   La normativa UE in materia di IVA (D.13): l'articolo 113 del Trattato concede al Consiglio pieni poteri in materia di armonizzazione delle legislazioni relative all'IVA; non vi sono quindi limiti riguardo agli strumenti da scegliere, siano essi direttive o regolamenti. Tenuto conto delle precedenti esperienze e della tendenza negli Stati membri a interpretare le disposizioni secondo i loro punti di vista, la scelta di un regolamento del Consiglio è probabilmente la soluzione migliore. Tuttavia, in una visione realistica le disposizioni legislative di questo regolamento dovrebbero essere limitate ad alcuni aspetti fondamentali: ambito di applicazione, definizione dei soggetti passivi, esenzioni, cooperazione tra amministrazioni, lotta contro la frode. Tuttavia, più le disposizioni saranno dettagliate, maggiori saranno le difficoltà di ottenere un consenso in seno al Consiglio, rendendo così nuovamente necessario il ricorso alle direttive di applicazione.

5.7.1   Modalità di attuazione (D.14): la soluzione di autorizzare la Commissione ad adottare decisioni di attuazione sarebbe accolta con favore, anche se già nel 1997 il Consiglio si era dichiarato contrario. Resta da vedere se questo accordo possa essere concesso mediante una decisione a maggioranza: difficilmente la regola dell'unanimità (prerogativa del Consiglio) potrebbe essere aggirata tramite una delega di poteri alla Commissione. Una decisione favorevole verrebbe accolta con soddisfazione anche se il CESE teme che si tratti di un'ipotesi irrealistica.

5.7.2   Orientamenti sulla nuova normativa UE in materia di IVA (D.15): la pubblicazione di orientamenti della Commissione sarebbe utile per gli Stati membri che volessero adeguarvisi. Il fatto che tali orientamenti non siano vincolanti potrebbe creare alcuni inconvenienti: alcuni soggetti passivi, ma anche alcune amministrazioni, potrebbero avviare delle cause sulla base della non applicazione, o della errata applicazione di orientamenti privi di valore legale. Spetterebbe quindi ai giudici pronunciarsi, caso per caso, sulla fondatezza dei ricorsi che metterebbero in discussione la validità degli orientamenti.

5.7.3   Miglioramento del processo legislativo (D.16): per quanto riguarda il miglioramento del processo legislativo, più che di misure converrebbe discutere di un cambiamento di approccio e di metodo. Nelle fasi iniziali, la Commissione adotta un atteggiamento di trasparenza e di apertura: consultazioni preliminari con gli Stati membri, convocazione dei comitati consultivi, libri verdi, contatti con le parti interessate. Tutto questo avviene nelle fasi iniziali. Successivamente invece, le procedure del Consiglio divengono meno trasparenti e meno aperte alle offerte di dialogo provenienti dall'esterno.

5.7.4   Nelle fasi finali, a livello nazionale, i miglioramenti potrebbero consistere in un'accelerazione del processo legislativo di adozione delle direttive e dei regolamenti di esecuzione; questi ultimi in particolare sono spesso imprecisi e poco chiari, il che rende difficile garantire il rispetto delle norme da parte degli operatori e talvolta perfino da parte delle stesse amministrazioni. A livello europeo occorrerà stabilire un periodo di tempo ragionevole tra il termine per il recepimento della direttiva da parte degli Stati membri e l'entrata in vigore di nuove misure.

5.8   Deroghe concesse agli Stati membri (D.17): basta consultare l'elenco delle oltre cento deroghe per rendersi conto che gli Stati membri, e alcuni di loro in particolare, ricorrono in maniera sproporzionata a queste agevolazioni e all'estensione della loro validità. La Commissione sottolinea giustamente che questo mosaico di norme genera confusione, comporta delle spese, provoca una serie di distorsioni della concorrenza e spesso incentiva le frodi. Per tale motivo, essa chiede maggiori poteri per concedere deroghe in modo rapido e appropriato. Il CESE è d'accordo ma allo stesso tempo chiede che venga effettuata una revisione globale per accertare che le deroghe esistenti siano sempre giustificate.

5.8.1   Procedura per la concessione delle deroghe (D.18): la procedura attuale è lenta e la richiesta di conferimento dei poteri necessari per accelerarla è giustificata; allo stesso tempo, il CESE raccomanda che i criteri di concessione divengano più rigorosi e che l'elenco delle deroghe sia aggiornato costantemente e possa essere consultato con facilità e rapidità.

5.9   Struttura attuale delle aliquote IVA (D.19): l'attuale struttura delle aliquote rappresenta senza dubbio una devianza dai principi del mercato unico; resta da accertare se, e in quale misura, le differenze di aliquote non siano utilizzate come metodo di adeguamento delle particolari situazioni di diverse attività. Per quanto riguarda le aliquote diverse applicate a prodotti simili, in particolare i servizi on line rispetto ai prodotti e ai servizi con contenuti simili, il CESE osserva che è in generale il consumatore a beneficiare dei prezzi ridotti. Per quanto riguarda i prodotti, le spese di porto tendono più o meno a equilibrarsi con i costi di esercizio del commercio tradizionale, quindi un'aliquota IVA identica risulterebbe dannosa per chi acquista on line; per i servizi, invece, la questione resta aperta e merita di essere approfondita. Infine, in linea generale, i prodotti simili dovrebbero essere soggetti alle stesse tariffe.

5.9.1   Aliquote IVA ridotte (D.20): l'eliminazione delle aliquote ridotte può sembrare auspicabile, ma si tratta di un'ipotesi irrealistica; tuttavia l'elenco dovrebbe essere certamente ridotto, o quanto meno sottoposto a una severa revisione: alcune vecchi agevolazioni, ad esempio, sono semplicemente inammissibili, tenuto conto dei cambiamenti occorsi nel tempo.

5.9.2   L'adozione di un elenco di aliquote ridotte obbligatorie e applicate in maniera uniforme è un'ipotesi attraente ma altrettanto improbabile. Le aliquote ridotte sono utilizzate in ciascuno Stato membro come una potente leva di politica economica e talvolta per motivazioni di carattere sociale o puramente politico. Comunque sia, gli Stati membri non potranno mai accettare di rinunciare alla concessione individuale di aliquote ridotte. Sarà possibile cambiare metodo di ragionamento soltanto quando l'Europa si sarà dotata di un governo economico in grado di dirigere in maniera univoca le politiche economiche di tutti gli Stati membri.

5.10   Problemi con le norme vigenti (D.21): i problemi che gli operatori, i venditori e gli acquirenti incontrano in materia di formalità burocratiche sono legati alle numerose norme imposte dai due lati delle frontiere, che sono spesso diverse e che creano talvolta dei doppioni. A questo riguardo ricordiamo in particolare: gli elenchi riepilogativi, gli obblighi contabili, gli obblighi di prova, gli obblighi di dichiarazione, gli obblighi in materia di fatturazione (fattura elettronica), gli obblighi di registrazione in altri Stati membri e la distinzione tra fornitura e prestazione. Anche i problemi linguistici comportano costi aggiuntivi, oltre ai rischi di pericolosi malintesi.

5.10.1   Provvedimenti per risolvere i problemi (D.22): i provvedimenti sono stati suggeriti dalla Commissione stessa in diverse direttive e raccomandazioni, tutte finalizzate alla semplificazione amministrativa e, tra l'altro, alla creazione di uno sportello unico, all'introduzione di un numero di identificazione europeo degli operatori, e all'informatizzazione delle amministrazioni. Il problema è che le amministrazioni hanno attuato queste misure solo limitatamente, talvolta in maniera diversa e con ritardi considerevoli. L'armonizzazione e il coordinamento delle procedure divengono quindi un obiettivo prioritario e acquistano un'importanza anche maggiore della semplificazione (12).

5.11   Regime di esenzione a favore delle piccole imprese (D.24): una revisione globale del regime di esenzione potrebbe essere giustificata da diversi motivi: distorsioni delle condizioni di concorrenza, verifica della sussistenza delle ragioni per le quali il regime è stato inizialmente introdotto, impatto sul bilancio di ciascuno Stato membro, situazione economica generale, conseguenze per la competitività, l'occupazione e i consumatori, coerenza con gli obiettivi della strategia Europa 2020. La questione presenta in sostanza importanti risvolti politici e resta da capire se il Consiglio sia disponibile ad occuparsi di questo problema.

5.12   Esigenze dei piccoli agricoltori (D.26): se la questione riguarda veramente i «piccoli» agricoltori, allora il problema dovrebbe interessare, nella maggior parte dei casi, soltanto il traffico transfrontaliero di vicinato. Tenuto conto della sua importanza relativamente modesta, si potrebbe ipotizzare di accordare un regime di esenzione generale.

5.13   Sportello unico (D.27): il CESE conferma tutte le osservazioni formulate (13) in merito alle proposte concernenti l'istituzione dello sportello unico  (14), che rappresenterà una buona soluzione per la riduzione dei costi e la semplificazione amministrativa, quando verrà trovata una soluzione generale e coordinata ai numerosi problemi che devono essere ancora affrontati: creazione di un registro elettronico riconosciuto in tutta l'UE, abolizione dell'obbligo di effettuare i trasferimenti finanziari direttamente tra il soggetto passivo e lo Stato membro creditore, armonizzazione di diverse norme nazionali, e in particolare di quelle che riguardano i periodi di dichiarazione.

5.14   Operazioni transfrontaliere (D.28): la risposta è già compresa nei termini con cui è formulata la domanda. Le norme attuali creano certamente difficoltà alle imprese e ai gruppi intraeuropei, nonché alle amministrazioni. Le norme minuziose che disciplinano la materia risultano necessariamente complicate per le imprese che devono osservarle e per le amministrazioni che hanno il compito di controllarle. Una soluzione, sebbene non perfetta, potrebbe essere quella di considerare le multinazionali come soggetti alla sola normativa dello Stato in cui si trova la loro sede principale, qualunque sia il paese di origine o di destinazione, salvo compensazione degli importi versati in eccesso o in difetto tramite lo sportello unico. L'inconveniente principale consisterebbe in un aumento del rischio di frodi. In conclusione, il problema è talmente complesso che solo un gruppo di studio composto da esperti della materia, rappresentanti delle amministrazioni e dei gruppi, potrebbe essere in grado di presentare proposte ragionevoli.

5.15   Sinergie con altre normative (D.29): il CESE ha già risposto in dettaglio a questa domanda nel suo parere Promozione della buona governance in materia fiscale  (15), nel quale sottolinea la necessità di coordinare le direttive sull'IVA (direttive doganali) con le direttive sulla fiscalità indiretta e con quelle sul riciclaggio di denaro sporco, e ritiene essenziale stabilire una collaborazione strutturata e un coordinamento organizzato strutturalmente tra i diversi organismi incaricati di combattere l'evasione e la criminalità organizzata. In questi ambiti non è stato fatto nulla a livello di UE, né sembra che le proposte del Comitato abbiano ricevuto la minima attenzione.

5.16   Modalità di riscossione dell'IVA (D.30): tra le quattro alternative proposte, la seconda, che prevede una banca dati centrale nella quale vengono inseriti tutti i dati sulla fatturazione, sembrerebbe essere di gran lunga la migliore: semplice ed efficace nella lotta contro la frode. La fatturazione elettronica comporta tuttavia costi considerevoli per le imprese. Ciò premesso, l'ultima parola non può che spettare ai professionisti delle amministrazioni e delle imprese. Il CESE, da parte sua, osserva che il principale aspetto positivo è rappresentato dal fatto che questo metodo sembra essere il migliore per combattere la frode.

5.17   Sistema di scissione facoltativa dei pagamenti (D.31): il CESE esprime perplessità sulla scelta di un sistema di scissione dei pagamenti, così come proposto nel primo modello al paragrafo 5.4.1 del Libro verde. Ritiene che imporre un doppio pagamento per ciascuna transazione contribuisca a complicare la contabilità e a moltiplicare i rischi di errori. Inoltre, secondo alcuni esperti non è sicuro che questo modello rappresenti una garanzia assoluta e indispensabile contro la frode dell'operatore inadempiente (frode carosello). In ogni caso, l'ipotesi di un sistema facoltativo sembrerebbe altresì da scartare: sarebbe contrario al principio di armonizzazione che soffre già di un eccesso di eccezioni.

5.18   Rapporto fra operatori e autorità fiscali (D.32): nella sua comunicazione del dicembre 2008 (16), la Commissione aveva già tracciato gli orientamenti (piano d'azione) di una politica intesa a migliorare, a livello degli Stati membri, le relazioni tra operatori e autorità fiscali. Il Comitato aveva presentato le sue osservazioni e proposte tramite un parere  (17) in cui pur dichiarandosi d'accordo con le proposte della Commissione (sostanzialmente le stesse di quelle del Libro verde), sottolineava la necessità di una maggiore attenzione alla tutela dei dati relativi agli operatori, di una responsabilizzazione delle amministrazioni nei confronti dei contribuenti, in caso di errore o abuso di potere delle amministrazioni, di una concezione equa della responsabilità solidale. Non vanno infine dimenticate le raccomandazioni espresse a più riprese sulla chiarezza e la rapidità delle informazioni e sulla loro accessibilità tramite Internet, nonché sull'aiuto delle autorità nazionali agli operatori nei loro contatti con le amministrazioni di altri Stati membri, ecc.

Bruxelles, 14 luglio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Cfr. il parere CESE GU C 224 del 30.08.2008, pag. 124, in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto per quanto riguarda il trattamento dei servizi assicurativi e finanziari (COM(2007) 747 definitivo - 2007/0267 (CNS)).

(2)  Cfr. il parere CESE GU C 248 del 25.08.2011, pag. 64, in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - La tassazione del settore finanziario (COM(2010) 549 definitivo).

(3)  Parere del CESE sul tema Luogo delle prestazioni di servizi (GU C 117 del 30.4.2004, pag. 15).

(4)  Parere del CESE sul tema Migliorare il funzionamento dei sistemi d'imposizione nel mercato interno (Fiscalis 2013) (GU C 93 del 27.4.2007, pag. 1). Parere del CESE sul tema Promozione della buona governance in materia fiscale (GU C 255 del 22.9.2010, pag. 61). Parere del CESE sul tema Cooperazione amministrativa e lotta contro la frode in materia d'imposta sul valore aggiunto (GU C 347 del 18.12.2010, pag. 73).

(5)  Parere del CESE sul tema Semplificazione IVA (GU C 267 del 27.10.2005, pag. 45).

(6)  Parere del CESE sul tema L'applicazione di misure antiabuso nel settore dell'imposizione diretta (GU C 77 del 31.3.2009, pag. 139).

(7)  Commission Staff Working Paper, SEC(2010) 1455 final del 1o dicembre 2010.

(8)  Servizi d'interesse generale (SIG) – Protocollo della Conferenza intergovernativa n. 26 del 23 luglio 2007.

(9)  Cfr. il parere CESE GU C 224 del 30.08.2008, pag. 124, in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto per quanto riguarda il trattamento dei servizi assicurativi e finanziari (COM(2007) 747 definitivo - 2007/0267 (CNS)).

(10)  Cfr. il parere CESE GU C 248 del 25.08.2011, pag. 64, in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - La tassazione del settore finanziario (COM(2010) 549 definitivo).

(11)  In molti Stati il rimborso dell'IVA sulle forniture o sulle prestazioni non ancora pagate prevede procedure lunghe, complesse e costose.

(12)  Il CESE si è già espresso in materia a più riprese: parere del CESE sul tema Sistema comune d'imposta sul valore aggiunto (rifusione) (GU C 74 del 23.3.2005, pag. 21); parere del CESE sul tema Sistema comune d'imposta sul valore aggiunto e norme in materia di fatturazione (GU C 306 del 16.12.2009, pag. 76); e tutti i pareri del CESE citati a titolo di riferimento nel presente documento.

(13)  Parere del CESE sul tema Semplificazione IVA (GU C 267 del 27.10.2005, pag. 45).

(14)  COM(2004) 728 definitivo.

(15)  Parere del CESE sul tema Promozione della buona governance in materia fiscale (GU C 255 del 22.9.2010, pag. 61).

(16)  COM(2008) 807 definitivo che accompagna il COM(2008) 805 definitivo - 2008/0228 (CNS).

(17)  Parere del CESE sul tema Sistema comune d'imposta sul valore aggiunto, evasione fiscale connessa all'importazione e a altre operazioni transfrontaliere (GU C 277 del 17.11.2009, pag. 112).


ALLEGATO

al Parere del Comitato economico e sociale europeo

Il seguente punto del parere della sezione specializzata è stato cancellato e sostituito da un emendamento adottato dall'Assemblea.

Punto 1.3

Il CESE condivide la dichiarazione della Commissione, in base alla quale un sistema dell'IVA globale dovrebbe ridurre i costi operativi a carico dei contribuenti e gli oneri amministrativi per le amministrazioni, e resistere agli attacchi fraudolenti che gravano sulle finanze pubbliche. A questo va poi aggiunta la necessità di tenere conto delle esigenze dei consumatori, che sono in ultima analisi chiamati a pagare l'imposta e ad assumersi l'onere di questa inefficienza.

Esito della votazione

Voti favorevoli

:

81

Voti contrari

:

45

Astensioni

:

29


29.10.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/95


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo — Rimuovere gli ostacoli fiscali transfrontalieri per i cittadini dell'UE»

COM(2010) 769 definitivo

2011/C 318/15

Relatore: FARRUGIA

La Commissione, in data 20 dicembre 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 113 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo — Rimuovere gli ostacoli fiscali transfrontalieri per i cittadini dell'UE

COM(2010) 769 definitivo.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 giugno 2011.

Alla sua 473a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2011 (seduta del 14 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 74 voti favorevoli e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

L'esistenza di diverse giurisdizioni fiscali nell'UE comporta un onere aggiuntivo per i cittadini europei che lavorano, investono e operano a livello transfrontaliero, a causa della doppia tassazione e della sovrapposizione degli obblighi amministrativi. Queste condizioni causano effettivi impedimenti al corretto funzionamento del mercato interno ed erodono i diritti fondamentali dei cittadini dell'UE. Gli effetti negativi di questi impedimenti tendono a colpire in modo sproporzionato le piccole imprese.

1.2

A giudizio del Comitato economico e sociale europeo (CESE), le regole fiscali attualmente in vigore nell'UE non sono sufficienti a evitare la discriminazione tra i cittadini di paesi diversi né a eliminare gli ostacoli alla libera circolazione di persone, beni, servizi e capitali.

1.3

Per rimediare a questi problemi, il CESE raccomanda le seguenti azioni, volte a eliminare la doppia tassazione e a promuovere la semplificazione amministrativa nelle situazioni transfrontaliere:

l'istituzione di sportelli unici presso i quali i cittadini possano ottenere informazioni sui sistemi fiscali, versare le imposte e ricevere i certificati necessari e la documentazione da utilizzare in tutta l'UE;

la semplificazione delle procedure amministrative applicate alle situazioni transfrontaliere, da realizzare su base bilaterale e multilaterale in tutti gli Stati membri, e che includa tra l'altro l'eliminazione della doppia tassazione e l'utilizzazione di strumenti amministrativi che garantiscano il corretto funzionamento dei numerosi accordi esistenti in materia di doppia tassazione;

la possibilità di ottenere pareri fiscali preventivi, che diano informazioni sull'importo finale delle imposte da versare formulandole specificamente per il singolo contribuente;

la creazione di un osservatorio indipendente sulla tassazione transfrontaliera il quale, dopo un periodo iniziale in cui opererebbe sotto l'egida della Commissione europea e sarebbe dotato di risorse e funzioni specifiche a esso chiaramente assegnate, dovrebbe trasformarsi entro tre anni in un'istituzione dotata di piena personalità giuridica di diritto pubblico e dello statuto di agenzia strategica. Fine dell'osservatorio sarà di avere, con continuità, una conoscenza pratica e dettagliata degli ostacoli fiscali esistenti e della loro evoluzione. Le funzioni assegnate a questo osservatorio dovranno includere:

l'analisi degli ostacoli fiscali segnalati dai cittadini dell'UE;

lo svolgimento di ricerche per individuare altri ostacoli;

l'analisi dell'efficacia degli sforzi attualmente in corso per rimuovere detti ostacoli;

la valutazione degli effetti, sui cittadini europei, delle questioni di competenza dell'osservatorio stesso;

un riesame periodico delle modifiche alle politiche fiscali e agli obblighi amministrativi degli Stati membri, in modo da valutare come e in che misura evolvono gli ostacoli fiscali, e in particolare individuare e segnalare un loro eventuale aumento;

lo studio dell'introduzione di meccanismi di perequazione fiscale che consentano ai lavoratori che si spostano di frequente tra paesi diversi dell'UE di pagare sempre le imposte in un'unica amministrazione tributaria, di preferenza nel paese in cui sono iscritti alla sicurezza sociale;

la valutazione dell'efficacia dell'armonizzazione nel contesto di regimi fiscali specifici (per esempio l'IVA) e degli effetti dell'attuazione o della mancata attuazione di detta armonizzazione sulle distorsioni fiscali all'interno del mercato unico;

la creazione di gruppi di lavoro ad hoc per raccogliere informazioni e proporre soluzioni nel contesto delle suddette tematiche;

l'elaborazione di relazioni, sia periodiche che ad hoc, per presentare in dettaglio i risultati del lavoro svolto e formulare raccomandazioni ai fini dell'eliminazione degli ostacoli fiscali alle situazioni transfrontaliere.

1.4

In termini più generali, il CESE ritiene che la responsabilità di un efficiente svolgimento delle procedure fiscali nelle situazioni transfrontaliere non debba ricadere sui singoli cittadini, e che vi debbano essere invece meccanismi appropriati tali da garantire che le procedure operative siano sufficientemente semplici e chiare perché i cittadini siano in grado di seguirle. Pur riconoscendo il valido contributo offerto dai meccanismi che consentono ai cittadini di segnalare gli ostacoli fiscali, il CESE ritiene necessario intensificare ulteriormente gli sforzi per eliminarli.

1.5

Nel formulare le presenti raccomandazioni, il CESE si concentrerà, per l'appunto, sull'eliminazione degli ostacoli fiscali piuttosto che trattare il più ampio tema dell'armonizzazione fiscale. Quest'ultima infatti, pur potendo essere considerata un criterio necessario alla realizzazione di un mercato unico, può anche entrare in conflitto con altri obiettivi dell'Unione europea.

1.6

L'eliminazione degli ostacoli fiscali alle situazioni transfrontaliere è necessaria per tutelare i diritti individuali dei cittadini, promuovere la competitività - in particolare delle PMI - e rafforzare la base di conoscenze e di ricerca dell'economia europea, come previsto dagli obiettivi della strategia Europa 2020.

2.   Contesto

2.1

Il programma d'azione adottato in origine a norma dell'Atto unico mirava a eliminare tutti gli ostacoli di natura fiscale all'attività economica transfrontaliera. Il Libro bianco del 1985 proponeva misure volte all'eliminazione delle barriere fiscali mediante la rimozione degli ostacoli dovuti alle diverse imposte indirette, ma questi problemi sono tuttora insoluti. Per introdurre misure fiscali o modificarle è necessaria l'unanimità.

2.2

Anche la strategia Europa 2020 (1) cita l'eliminazione degli ostacoli fiscali tra gli Stati membri, evidenziando l'importanza di rimuovere tali ostacoli per realizzare un mercato unico pienamente operativo.

2.3

Infine, il 12 dicembre 2010 la Commissione europea ha pubblicato una comunicazione sulle questioni connesse all'eliminazione degli ostacoli fiscali transfrontalieri per i cittadini dell'UE, in particolare quelli relativi alle imposte sul reddito e il capitale, alle imposte di successione, alla tassazione dei dividendi, alle tasse di immatricolazione e circolazione dei veicoli e alla tassazione nel mercato del commercio elettronico.

3.   Osservazioni generali

3.1

Nel corso degli ultimi dieci anni, l'aumento della circolazione di beni, servizi e capitali ha acuito le preoccupazioni per i problemi connessi alla tassazione transfrontaliera, come segnalato attraverso iniziative quali Your Europe Advice, Solvit, Europe Direct Contact, i Centri europei dei consumatori, la European Enterprise Network e gli European Employment Services (EURES). La necessità di coordinare meglio l'attuazione delle politiche fiscali è stata riconosciuta anche dai capi di Stato e di governo dell'area dell'euro.

3.2

I problemi di discriminazione fiscale dovuti alla nazionalità e altre restrizioni ingiustificate vengono affrontati principalmente mediante le norme del Trattato UE. Tuttavia, il sistema attuale non tutela i cittadini dell'UE da diversi altri problemi, tra cui l'accesso limitato alle informazioni fiscali, da molti considerato un grosso ostacolo alle situazioni transfrontaliere (2); la doppia tassazione e i disallineamenti derivanti dai regimi fiscali differenti. Sebbene sia stato ampiamente riconosciuto che la piena armonizzazione fiscale non è né auspicabile né fattibile, sono tuttavia necessarie misure che riducano gli ostacoli fiscali al commercio transfrontaliero.

3.3

Uno degli ostacoli principali all'attività transfrontaliera è costituito dalla doppia tassazione, che limita il funzionamento del mercato interno. Un altro ostacolo è la difficoltà di ottenere esenzioni, sgravi e deduzioni dalle autorità tributarie estere. In alcuni casi, inoltre, i cittadini dell'UE pagano imposte più elevate sui redditi esteri. Un'ulteriore sfida è rappresentata dalla discriminazione nell'imposizione sui redditi da capitale. Secondo il sistema attuale, nella maggioranza dei paesi UE gli investitori stranieri sono soggetti a imposte più alte rispetto ai residenti. La Commissione intende proporre delle possibili soluzioni ai problemi derivanti da un funzionamento scorretto o insufficiente degli strumenti esistenti per evitare la doppia imposizione, come ad esempio i trattati bilaterali sulla doppia tassazione del reddito e del capitale, procedendo in un primo tempo a una valutazione d'impatto.

3.4

Gli Stati membri applicano norme differenti in materia di imposte di successione e vi sono pochissime convenzioni bilaterali tra Stati membri aventi per oggetto la doppia imposizione in quest'ambito. Oltre l'80 % degli Stati membri che hanno imposte di successione applica l'imposta agli eredi (inheritance tax), mentre il restante 20 % la preleva dal patrimonio totale del deceduto (estate tax). La Commissione ha avviato un processo di consultazione e prossimamente presenterà delle proposte sul modo in cui gli Stati membri potrebbero progettare dei sistemi di imposte di successione non discriminatori e di ampliare i loro meccanismi di sgravio della doppia tassazione per ridurre il più possibile gli ostacoli transfrontalieri in materia di imposte di successione.

3.5

Nelle situazioni transfrontaliere le imposte sui dividendi vengono pagate di norma nei due Stati membri coinvolti. Ciò dà adito a problemi in relazione alla doppia imposizione economica e giuridica e a problemi di rimborso delle imposte, in particolare in presenza di strati multipli di tassazione. La Commissione sta attualmente redigendo una valutazione d'impatto, sulla base della quale elaborerà un'iniziativa per eliminare i problemi di tassazione transfrontaliera legati al versamento transfrontaliero di dividendi a investitori di portafoglio.

3.6

La necessità di semplificare le tasse di immatricolazione e di circolazione degli autoveicoli è stata affermata in una proposta di direttiva (3) presentata dalla Commissione nel 2005, che mirava ad abolire gradualmente le tasse di immatricolazione e a introdurre un sistema di rimborso, ma a tutt'oggi gli Stati membri non hanno raggiunto l'accordo unanime necessario e si sta rivalutando la questione.

3.7

Dalle ricerche risulta che il 60 % dei consumatori dell'UE ha problemi nell'acquisto di beni e servizi on line oltre confine (4). Le questioni inerenti l'IVA sono soltanto uno dei numerosi ostacoli fiscali che scoraggiano le aziende dal vendere i loro prodotti ai cittadini di altri Stati membri. Sotto questo punto di vista, la disponibilità dello sportello unico ha favorito il commercio e si considera prioritario incoraggiare la diffusione di tale strumento (5). Su questo tema è stata realizzata una consultazione che ha portato alla pubblicazione di un Libro verde (6).

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Gli ostacoli fiscali stanno limitando il raggiungimento del principale obiettivo del mercato unico, vale a dire la libera circolazione di persone, beni, servizi e capitali.

4.2

Per una buona governance della politica fiscale è indispensabile rafforzare l'accesso all'informazione e migliorare la qualità dell'informazione. Nel 2009 la Commissione europea ha pubblicato la comunicazione Promozione della buona governance in materiale fiscale  (7), nella quale afferma che una buona governance in materia di politica fiscale contribuirebbe a rafforzare la cooperazione amministrativa e quindi a migliorare le relazioni economiche. Ciò faciliterebbe lo scambio di informazioni tra gli Stati membri e promuoverebbe gli accordi bilaterali.

4.3

Laddove esistono ancora sistemi a doppia tassazione, occorre incoraggiare i paesi a rimuoverli in modo sistematico, tenendo conto di tutte le forme di tassazione. Laddove sono già stati adottati accordi per eliminare la doppia tassazione, occorre applicare meccanismi specifici (per es. l'arbitrato vincolante) per garantire il corretto funzionamento di tali accordi. È altresì importante che qualsiasi sistema fiscale aggiuntivo in fase di attuazione sia esaminato al fine di tutelare i cittadini dell'UE da nuovi fattori di doppia imposizione.

4.4

In quest'ottica, il CESE propone quattro misure volte a rimediare ai problemi di doppia tassazione contribuendo al tempo stesso alla semplificazione delle procedure amministrative riguardanti le situazioni transfrontaliere. Le quattro misure proposte sono: (i) la creazione di servizi di sportello unico; (ii) la semplificazione delle procedure amministrative; (iii) la fornitura di pareri preventivi in materia fiscale e (iv) la creazione di un osservatorio sulla tassazione transfrontaliera.

4.5

Gli sportelli unici proposti dal CESE nel presente documento avrebbero due finalità principali: la prima è quella di fungere da centri di informazione in cui i cittadini dell'UE possano ottenere tutte le informazioni necessarie relative alla tassazione in forma diretta, accessibile e pertinente. La seconda è quella di fungere da punti di servizio ai contribuenti che offrono un'ampia gamma di servizi, compreso il rilascio di certificati e documentazione relativi alla tassazione.

4.6

Per aiutare i cittadini dell'UE ad adeguarsi alle norme fiscali, sia a quelle attuali che a quelle che potranno eventualmente essere adottate in futuro, è necessario semplificare le procedure amministrative esistenti. Ciò vale in particolare per gli accordi relativi alla doppia tassazione. Inoltre, l'attuazione di regimi fiscali incentrati sull'adozione di pareri preventivi su misura, adeguati alle diverse caratteristiche e condizioni delle singole situazioni, è un modo efficiente per rendere le procedure fiscali più trasparenti per i cittadini europei e ridurre l'incertezza insita nelle situazioni transfrontaliere sia per le imprese che per i cittadini.

4.7

Infine, con il presente parere il CESE promuove attivamente la creazione di un osservatorio sugli ostacoli alle situazioni transfrontaliere, ritenendolo indispensabile per esaminare con frequenza gli ostacoli attuali e quelli che potrebbero insorgere in futuro dalle politiche fiscali e valutare l'efficacia di tali politiche nel rimuoverli. I risultati delle ricerche e delle indagini condotte da questo osservatorio dovrebbero essere pubblicati periodicamente, con proposte per l'eliminazione degli ostacoli fiscali riscontrati. L'osservatorio si servirebbe di varie fonti per individuare gli ostacoli, compresi gli strumenti esistenti, basati sulle segnalazioni dei cittadini, e ricerche specifiche da esso realizzate. Un compito importante dell'osservatorio sarebbe quello di valutare le implicazioni di tali ostacoli per i cittadini europei in generale, per le imprese e per più specifiche sottocategorie in termini di sicurezza sociale.

4.8

La creazione di un osservatorio garantirà che le politiche fiscali attuate siano efficaci nella pratica, specialmente per quanto riguarda la mobilità professionale. In particolare, l'osservatorio verrebbe incaricato di studiare un sistema in cui i lavoratori che cambiano spesso lavoro passando da un paese all'altro possano pagare le imposte in un'unica giurisdizione, di preferenza nel paese in cui sono iscritti alla sicurezza sociale. Il sistema di cosiddetta «perequazione fiscale» potrebbe essere gestito tramite stanze di compensazione create espressamente per questo scopo all'interno delle imprese private o nell'ambito delle istituzioni pubbliche. L'osservatorio avrebbe il compito di effettuare una valutazione in termini di costi e benefici e formulare raccomandazioni sulle buone pratiche per l'attuazione di tali sistemi in contesti diversi.

4.9

Inoltre, questo osservatorio dovrebbe condurre studi sul grado ottimale di armonizzazione per quanto riguarda regimi fiscali specifici quali l'IVA, consentendo un'analisi più dettagliata delle implicazioni delle distorsioni fiscali sui principali elementi del mercato unico. Nell'ambito dell'osservatorio verrebbero inoltre creati dei gruppi ad hoc per studiare problemi e questioni specifiche che potrebbero insorgere periodicamente e proporre soluzioni in merito.

4.10

Il CESE ritiene che la semplificazione delle procedure consentirà di migliorare l'efficienza rendendo più chiaro per i cittadini europei il processo di acquisizione delle informazioni e più comprensibili le norme. È necessario mettere a disposizione di questi ultimi informazioni adeguate per meglio assisterli nell'assolvere all'obbligo imposto dalla legge di versare le imposte dovute nel modo dovuto.

4.11

Al tempo stesso, il CESE è fermamente convito che si debba sfruttare ogni opportunità che queste misure possano offrire per combattere l'evasione fiscale.

4.12

La creazione dell'osservatorio sulla tassazione transfrontaliera rappresenta una necessità urgente, in quanto è ampiamente dimostrato che senza un'azione immediata il problema non si ridurrà, ma continuerà a crescere, con gravi conseguenza di natura sociale ed economica. Il CESE raccomanda pertanto di creare dapprima l'osservatorio sulla tassazione transfrontaliera affinché svolga le sue attività sotto l'egida della Commissione. Quest'ultima dovrebbe conferirgli autorità, competenze e risorse specifiche che gli consentano di svolgere efficacemente le funzioni assegnategli come descritto nel presente parere. Il CESE, tuttavia, raccomanda vivamente di fare dell'osservatorio un'agenzia strategica dotata di piena personalità giuridica di diritto pubblico, statuto che garantirebbe la piena indipendenza e imparzialità dell'osservatorio stesso. In quanto agenzia strategica, inoltre, l'osservatorio si vedrebbe assegnare le risorse necessarie a svolgere le funzioni a esso attribuite.

4.13

A prescindere da qualsiasi decisione venga adottata in materia di armonizzazione fiscale, è necessario porre l'accento sull'eliminazione degli ostacoli fiscali. Sebbene l'armonizzazione possa essere considerata, teoricamente, come uno dei criteri necessari per un mercato unico, perlomeno nel campo dell'imposizione indiretta, in pratica si tratta di un obiettivo estremamente ambizioso che per giunta potrebbe essere in conflitto con altri obiettivi fondamentali dell'Unione europea. Per questo è ancora più importante insistere sull'eliminazione degli ostacoli fiscali alle situazioni transfrontaliere per contribuire alla realizzazione degli obiettivi del mercato unico. Le iniziative in questo senso sono considerate complementari a numerose altre importanti iniziative in corso, non da ultime quelle previste nell'ambito della strategia Europa 2020 e dello Small Business Act.

Bruxelles, 14 luglio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  COM(2010) 2020 definitivo.

(2)  COM(2010) 769 definitivo.

(3)  COM(2005) 261 definitivo.

(4)  COM(2009) 557 definitivo e SEC(2009) 283 definitivo.

(5)  Nel 2004 la Commissione ha proposto un sistema di sportello unico (COM(2004) 728 definitivo) che consentirebbe di rispettare taluni obblighi di dichiarazione nello Stato membro in cui ha sede l'impresa. La proposta non è stata però ancora adottata.

(6)  COM(2010) 695 definitivo.

(7)  COM(2009) 201 definitivo.


29.10.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/99


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al «Libro verde sull’estensione dell’uso degli appalti elettronici nell’UE»

COM(2010) 571 definitivo

2011/C 318/16

Relatore: FARRUGIA

La Commissione europea, in data 18 ottobre 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al:

Libro verde sull’estensione dell’uso degli appalti elettronici nell’UE

COM(2010) 571 definitivo.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 giugno 2011.

Alla sua 473a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2011 (seduta del 13 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 110 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore il Libro verde sugli appalti pubblici e il Libro verde sulla politica dell’UE in materia di appalti pubblici, entrambi elaborati dalla Commissione europea.

1.2

Il CESE è dell’avviso che:

a)

l’attuazione di un quadro intereuropeo per gli appalti elettronici sia fondamentale per il corretto funzionamento degli scambi commerciali nel mercato interno, data l’importanza degli appalti pubblici per il PIL di ciascuno Stato membro e

b)

il ricorso a questo tipo di appalti anche nelle amministrazioni pubbliche locali vada considerato un importante strumento politico, in quanto gli appalti elettronici:

riducono i costi sia per le imprese che per l’amministrazione pubblica,

creano una procedura d’appalto semplificata soprattutto se si ricorre a strumenti come le aste elettroniche e i sistemi dinamici di acquisizione (DPS), che accelerano i processi decisionali,

producono una maggiore trasparenza e limitano il rischio di condotta effettivamente illecita o almeno percepita come tale,

sono uno strumento nel cammino verso una società dell’informazione.

1.3

Il CESE è dell’avviso che una revisione del quadro per gli appalti elettronici debba essere accompagnata obbligatoriamente da una revisione del quadro giuridico in materia di appalti pubblici. Il formato elettronico è infatti un canale che consente di applicare la politica in materia di appalti pubblici in modo più efficiente, efficace ed economico. Il CESE ritiene importante che vi sia coesione e che, in questo caso, si adotti un approccio congiunto.

1.4

Il CESE riconosce che l’applicazione degli appalti elettronici negli Stati membri non è stata all’altezza delle aspettative formulate nel piano d’azione del 2004. Comunque sia, il CESE riconosce l’esistenza di esempi di buone pratiche, quale l’applicazione generalizzata di questa forma di appalti da parte del Portogallo - che merita un elogio.

1.5

Il CESE conclude affermando che l’approccio multiplo in base al quale ciascuno Stato membro adotta un proprio calendario di applicazione non ha raggiunto i risultati desiderati, ma ha al contrario ulteriormente allontanato l’obiettivo auspicato di un sistema unico concordato tra tutti. Secondo il CESE è ora di estrema importanza che la Commissione europea - tramite la direzione generale Mercato interno e servizi, e con il contributo della direzione generale Società dell’informazione e media - adotti un ruolo di leader forte ed efficace (analogo a quello adottato con l’agenda e-Europa) per conseguire un quadro per gli appalti elettronici che sia integrato, interoperabile e standardizzato dal punto di vista impresa/tecnologia in tutti gli Stati membri. Ciò servirà a garantire che, se da un lato le attività intraprese autonomamente da uno Stato membro non sono compromesse, mettendo ulteriormente in forse il raggiungimento dell’obiettivo auspicato, dall’altro si adottino realmente delle iniziative che favoriscano il processo di applicazione di un approccio concordato in materia di coesione in un lasso di tempo prestabilito. Il Comitato intende peraltro mettere l’accento sulla necessità di istituire quadri pratici e ben adattati in materia di appalti elettronici per settori specifici, in particolare l’economia sociale e i servizi sociali. Infatti, i servizi che sono oggetto di appalti pubblici in questi settori sono spesso complessi e presentano caratteristiche specifiche di valore non confrontabili, per le quali deve essere previsto un certo margine di manovra, anche nell’ambito di una procedura elettronica d’appalto.

1.6

Il CESE raccomanda di introdurre un meccanismo di monitoraggio dell’applicazione per analizzare, tra l’altro, i progressi compiuti, gli ostacoli incontrati, le azioni correttive adottate in fase di introduzione degli appalti elettronici negli Stati membri.

1.7

Il CESE aggiunge che la Commissione europea, nel garantire l’accompagnamento dell’applicazione degli appalti elettronici, dovrebbe incoraggiare gli Stati membri a cercare soluzioni innovative per superare i problemi legati alle procedure aziendali e alla questione linguistica.

1.8

La Commissione europea, oltre ad assumere un ruolo di leader, dovrebbe fungere da «campione» adottando gli appalti elettronici al suo interno.

1.9

Il CESE ribadisce l’importanza degli appalti elettronici quale strumento per le grandi, medie, piccole e microimprese per incentivare il commercio paneuropeo nel mercato interno. Il CESE sottolinea che le procedure aziendali e la tecnologia dovrebbero incentivare il commercio nel mercato interno piuttosto che fungere intenzionalmente da barriere agli scambi.

1.10

Il CESE sottolinea che le piccole e medie imprese (PMI), nonché microimprese sono la spina dorsale dell’imprenditorialità nell’UE. È fondamentale che i risultati della riforma degli appalti pubblici e dei quadri per gli appalti elettronici siano utilizzati per consentire alle PMI e alle microimprese di competere nel contesto degli appalti elettronici. Il CESE formula le seguenti raccomandazioni:

tutte le gare d’appalto pubblico negli Stati membri - per importi inferiori o superiori alla soglia - devono essere pubblicate sul portale dell’amministrazione aggiudicatrice nazionale,

le PMI devono essere assistite adottando iniziative dirette volte a sviluppare la loro capacità (capacity building), creando centri di sostegno per la promozione degli appalti elettronici da parte delle amministrazioni aggiudicatrici o di organi costituiti in rappresentanza delle PMI tramite finanziamenti nazionali o UE - in modo da garantire che le PMI e le microimprese diano una risposta positiva agli appalti elettronici e ne incoraggino la diffusione.

1.11

Il CESE raccomanda di strutturare gli appalti elettronici perché siano interoperabili e basati su standard aperti e programmi open source.

2.   Introduzione

2.1

Il 18 ottobre 2010 la Commissione europea ha presentato un Libro verde sull’estensione dell’uso degli appalti elettronici nell’UE  (1), che era accompagnato da un documento di lavoro dei servizi della Commissione contenente una Valutazione del piano d’azione sugli appalti pubblici elettronici del 2004  (2).

2.2

Il Libro verde punta, come primo passo, alla creazione di un’infrastruttura interconnessa per gli appalti elettronici nel quadro dell’agenda digitale europea della Commissione. Il documento esamina i successi e le questioni collegate all’applicazione degli appalti elettronici tra gli Stati membri e pone una serie di domande destinate a calibrare l’azione dell’UE volta a favorire il ricorso agli appalti elettronici da parte delle amministrazioni pubbliche nazionali, regionali e locali.

2.3

Nel 2005 i ministri dell’UE hanno stabilito l’obiettivo di concludere per via elettronica almeno il 50 % degli appalti pubblici entro il 2010. Tuttavia, secondo la Commissione, negli Stati membri meno del 5 % dei bilanci destinati agli appalti pubblici è ora attribuito tramite sistemi elettronici.

2.4

Al Libro verde sugli appalti elettronici ha fatto seguito il 27 gennaio 2011 un altro Libro verde sulla modernizzazione della politica dell’UE in materia di appalti pubblici - Per una maggiore efficienza del mercato europeo degli appalti (3). Il CESE, che è attualmente impegnato nell’esame di questo particolare aspetto, nonché della fatturazione elettronica, intende adottare un pacchetto finale costituito da tre pareri tra loro correlati.

3.   La risposta del CESE alle domande sollevate nel Libro verde

Segue ora la risposta del CESE alle singole domande sollevate nel Libro verde.

3.1

Domanda n. 1: il CESE classifica nel seguente ordine di importanza i problemi illustrati nel Libro verde:

3.1.1

Gli appalti pubblici suscitano a volte controversie che portano ad accuse di corruzione e di illeciti; dal momento che gli appalti elettronici costituiscono una procedura nuova, alcuni organi amministrativi possono aver esitato ad adottarli. La mancanza di volontà politica può essere una delle cause, ma probabilmente altri fattori, come ad esempio il livello di utilizzo delle tecnologie digitali nei diversi Stati membri e la complessità dell’applicazione degli appalti elettronici in certi settori, possono contribuire a questo stato di cose.

3.1.2

Nei casi in cui si è fatto ricorso agli appalti elettronici, il CESE è giunto alla conclusione che, a volte, le amministrazioni aggiudicatrici hanno inserito requisiti tecnici più onerosi che non figuravano nella procedura tradizionale.

Per citare solo un esempio, a volte i portali degli appalti elettronici richiedono una firma elettronica avanzata - accompagnata cioè da un certificato digitale - per poter consultare le pubblicazioni o scaricare i documenti di gara, ecc.

3.1.3

L’approccio adottato consente a ciascuno Stato membro di creare proprie e uniche piattaforme TIC per gli appalti elettronici.

L’interoperabilità a livello di amministrazioni, per non parlare dell’interoperabilità tra Stati membri, è raggiungibile solo se si fissano e si rispettano degli standard. Ciò non è stato fatto, e quindi ciascuno Stato membro ha adottato i propri meccanismi di autenticazione.

Il panorama è dominato da un approccio frammentato che varia da uno Stato membro all’altro. Ciò rende difficile il riconoscimento delle soluzioni elettroniche esistenti a livello nazionale da parte di altri Stati membri. Gli Stati membri dovrebbero essere guidati da orientamenti e standard elaborati in materia dal gruppo di lavoro della Commissione sull’interoperabilità.

3.1.4

Una rete di appalti elettronici all’interno dell’UE richiede un approccio standardizzato per quanto riguarda l’architettura informatica (4) e le procedure aziendali  (5).

Negli Stati membri si applicano procedure aziendali diverse nel quadro dei sistemi di appalto tradizionali, e quindi tali procedure vanno standardizzate.

3.1.5

In retrospettiva il CESE è dell’avviso che la tolleranza da parte della DG Mercato interno e servizi e della DG Società dell’informazione e media di una transizione a molte velocità verso gli appalti elettronici abbia prodotto una pletora di approcci diversi a livello regionale e locale in seno agli Stati membri.

Se si vuole che l’applicazione degli appalti elettronici a livello nazionale e transfrontaliero rappresenti un obiettivo strategico dell’UE, il CESE raccomanda alla Commissione di attribuire maggiore priorità a tale applicazione, da sostenere tramite un meccanismo di monitoraggio più forte ed efficace basato su misure preventive e correttive, come del resto avviene per altri settori politici dell’e-government.

3.2

Domanda n. 2: il CESE rileva l’esistenza dei seguenti problemi:

3.2.1

Leadership politica e amministrativa ai fini dell’applicazione degli appalti elettronici: benché la questione sia già stata affrontata in precedenza, il CESE ne riconosce la specificità.

Come risulta dalle analisi comparative condotte dall’UE sul grado di preparazione all’e-government, gran parte degli Stati membri ha adottato un forte ruolo di leader per essere all’avanguardia nell’erogazione di servizi di e-government, dando la priorità ai servizi G2C (governo-cittadino) e ai tradizionali servizi G2B (governo-impresa).

Una diffusione relativa degli appalti elettronici (che sono un servizio G2B) in tutta l’UE pari al 5 % sta a dimostrare l’assenza di attività G2B di tipo innovativo - tranne che in paesi come il Portogallo - anche quando la letteratura sull’argomento dimostra che l’applicazione degli appalti elettronici produce risparmi in termini di costi, una maggiore trasparenza, ecc. Per citare un esempio, uno studio condotto in Portogallo metteva a confronto le offerte migliori ottenute nel caso di appalti pubblici indetti da 50 ospedali pubblici nel 2009, ricorrendo ai metodi di gara tradizionali e nel 2010, adottando invece il formato elettronico. Da tale studio emergeva che nel 2010 i costi si erano ridotti del 18 % grazie all’aumento della competitività prodotto dalla procedura elettronica. Il Libro verde evidenzia alcuni esempi delle economie realizzate, che oscillano tra il 10 e il 45 % per progetti da miliardi di euro. Si tratta in questo caso di risparmi per centinaia di milioni di euro, che si possono destinare ad altri servizi alla comunità (6).

Il CESE aggiunge che, di fronte a questa iniziativa di tale importanza strategica, la Commissione avrebbe dovuto promuovere gli appalti elettronici introducendo entro la fine del relativo piano d’azione, una piattaforma apposita per tutte le sue direzioni e le agenzie.

3.2.2

Passaggio ad un ambiente tecnologico interoperabile: la questione è già affrontata al punto 3.1.

La decisione di standardizzare il meccanismo di autenticazione, garantendo un livello adeguato di sicurezza, oggigiorno non può essere presa senza considerare gli investimenti compiuti dagli Stati membri in tali meccanismi a livello nazionale e/o di servizio.

Gli Stati membri hanno già investito nell’adozione parziale o generalizzata (nel caso del Portogallo) di sistemi di appalto elettronico che possono essere collegati con meccanismi di autenticazione applicati a livello nazionale o propri di ciascuna amministrazione aggiudicatrice.

Nelle attuali circostanze, il CESE raccomanda che qualunque approccio per portare gli Stati membri ad adottare un meccanismo di autenticazione standard a livello UE sia basato sul principio secondo cui tale meccanismo dev’essere concepito in modo tale da rispecchiare il livello di rischio da affrontare lungo la catena del valore degli appalti elettronici.

3.3

Domanda n. 3:

il CESE concorda sul fatto che la pubblica amministrazione nazionale e le autorità aggiudicatrici dovrebbero essere incentivate ad introdurre un quadro per gli appalti elettronici. Ribadisce che la strategia a molte velocità adottata dalla Commissione dovrebbe essere abbandonata. A suo avviso, infatti, l’esperienza maturata dal 2005 ad oggi e i risultati scarsi ottenuti in assenza di un meccanismo di monitoraggio efficace dovrebbero ora portare la Commissione a trovare un accordo con gli Stati membri riguardo al rispetto delle strategie convenute. Il CESE intende tuttavia sottolineare il fatto che gli Stati membri dovrebbero concepire appositi quadri equilibrati per settori specifici, e in particolar modo per l’economia sociale e i servizi sociali. Infatti, i servizi che formano l’oggetto di gare pubbliche d’appalto in questi settori sono spesso complessi e presentano caratteristiche specifiche di valore non confrontabili, per le quali deve essere previsto un margine di manovra, anche nell’ambito di una procedura elettronica d’appalto.

Quanto agli incentivi per stimolare le imprese a ricorrere agli appalti elettronici, il CESE solleva le seguenti questioni:

a)

la diffusione dei servizi di e-government, compresi gli appalti elettronici, dipende dalla loro facilità d’uso. L’inutile ricorso a tecnologie complesse come l’infrastruttura di certificazione a chiave pubblica (public key infrastructure, PKI) non incoraggia le organizzazioni a diffondere ed utilizzare gli appalti elettronici. Il quadro per gli appalti elettronici all’interno dell’UE deve evitare un inutile over-engineering tecnologico (cioè la messa a punto di tecnologie superiori ai requisiti richiesti).

b)

Il nocciolo duro delle imprese UE è costituito da PMI. La Commissione e gli Stati membri non dovrebbero partire dal presupposto che le PMI dispongano di capacità, risorse e accesso alle tecnologie comparabili a quelli su cui possono contare le grandi imprese.

Riguardo alla lettera b), il CESE raccomanda alla Commissione di finanziare iniziative in tutti gli Stati membri volte a:

garantire l’accesso alla tecnologia che potrebbe essere offerta da centri tecnologici messi a disposizione dalle autorità competenti responsabili della politica aziendale o da organi costituiti in rappresentanza delle PMI,

intraprendere iniziative per l’acquisizione di conoscenze e lo sviluppo di capacità mirate alle PMI e affiancate da servizi di consulenza offerti da organi costituiti responsabili delle PMI tramite incentivi nazionali e UE,

avviare la diffusione degli appalti elettronici e iniziative di formazione volte ad acquisire competenze, ivi compresa l’offerta di corsi di formazione al computer tramite la costituzione di centri di sostegno per la promozione degli appalti elettronici.

3.4

Domanda n. 4:

le amministrazioni aggiudicatrici sono enti governativi e come tali sono soggette alla politica adottata dal governo. Gli Stati membri dovrebbero fornire il necessario accompagnamento alle rispettive amministrazioni aggiudicatrici al fine di mettere a punto e introdurre il formato elettronico per le gare d’appalto. Ciò potrebbe richiedere da parte degli Stati membri l’inserimento delle strategie di applicazione degli appalti elettronici nei loro piani aziendali e nazionali in materia di tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC), stabilendo delle tappe progressive da raggiungere entro un certo periodo (7).

La questione è stabilire se la formula degli appalti elettronici debba essere l’unico canale consentito per partecipare agli appalti pubblici. Il CESE ritiene che per quanto possibile gli Stati membri dovrebbero ricorrere in via primaria agli appalti per via elettronica - purché vengano concepiti in un modo intelligente che rispecchi le particolari esigenze di taluni settori. Ciò vale soprattutto per i servizi sociali che presentano una particolare complessità dal punto di vista degli appalti pubblici. Gli appalti elettronici per i servizi devono essere concepiti prendendo come punto di partenza il bisogno da soddisfare, nonché le caratteristiche specifiche del servizio considerato.

A questo proposito, le strategie volte a promuovere il ricorso agli appalti elettronici dovrebbero essere associate ad iniziative per sviluppare le capacità e accrescere le competenze dei dipendenti degli enti pubblici, nonché rendere facilmente accessibili alle PMI i centri di sostegno per la promozione degli appalti elettronici.

3.5

Domanda n. 5:

qualora si decida di adottare lo strumento dell’asta elettronica, esso prevede già l’obbligo di procedure elettroniche per alcuni appalti in conformità delle direttive 2004/17/CE (che coordina le procedure di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali) e 2004/18/CE (che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi).

Il CESE è favorevole all’adozione di uno strumento d’appalto, come le aste elettroniche, che per sua natura richiede un quadro per gli appalti elettronici, purché si introduca un quadro di sostegno per le PMI (cfr. punto 3.3) e si utilizzi tale quadro solo nei casi in cui ciò è opportuno.

Non si sottolineerà mai abbastanza l’importanza di sviluppare le capacità al fine di costruire il necessario quadro di sostegno, in quanto ciò consentirà alle PMI e alle organizzazioni non governative (ONG), da un lato, e alle grandi imprese, dall’altro, di praticare l’e-commerce in condizioni di parità.

Il CESE evidenzia il pericolo di un «divario digitale», che creerebbe condizioni di concorrenza «sleale»: le PMI e le ONG desiderose di partecipare agli appalti pubblici potrebbero infatti trovarsi in una posizione di svantaggio a causa degli ostacoli «tecnologici».

3.6

Domanda n. 6:

il CESE ritiene che gli appalti pubblici dovrebbero essere realizzati, in via prioritaria, in formato elettronico purché gli appalti pubblici siano concepiti in modo tale da tener conto delle caratteristiche particolari e delle esigenze complesse proprie di alcuni settori, ad esempio in materia di appalti di servizi di tipo «B».

Comunque sia, condizioni eque si possono garantire solo se le PMI e le ONG hanno la capacità di operare in un ambiente B2G (impresa-governo). Dal momento che ciò per il momento potrebbe non corrispondere alla realtà, l’UE e gli Stati membri dovrebbero orientare le iniziative di sviluppo delle capacità in questa direzione.

3.7

Domanda n. 7:

gli ostacoli inutili e sproporzionati alla partecipazione transfrontaliera agli appalti elettronici deriveranno, in via primaria, dai seguenti fattori:

meccanismi di autenticazione,

procedure aziendali,

questione linguistica,

disponibilità ad aprire i mercati locali alla concorrenza.

Il CESE suggerisce alla Commissione di concepire e adottare un piano d’azione concordato associato a un sistema di monitoraggio dell’applicazione volto a garantire che simili ostacoli siano rimossi.

3.8

Domanda n. 8:

se si escludendo la segnalazione visibile delle gare d’appalto di importo inferiore alla soglia UE dal quadro per gli appalti elettronici, è verosimile pensare che la partecipazione transfrontaliera al mercato interno degli appalti elettronici dell’UE venga così limitata principalmente alle imprese di grandi dimensioni.

Giova sottolineare che la visibilità degli appalti pubblici di importo inferiore alla soglia in tutto il mercato unico è importante per le PMI e le microimprese, in quanto molto spesso le specifiche fissate nei capitolati di tali appalti rientrano tra le competenze e le capacità organizzative e finanziarie di queste imprese. La partecipazione delle PMI e delle microimprese al commercio transfrontaliero tramite questo tipo di appalti pubblici rafforzerà quindi il mercato unico.

Dal momento che il quadro per gli appalti elettronici si compone di varie fasi, che vanno dalla notifica alla fatturazione, entrambe per via elettronica, il CESE raccomanda che tutte le gare d’appalto, siano esse di importo superiore o inferiore alla soglia UE, figurino in forma visibile in un portale centrale sia del mercato unico che di portata nazionale, supportato da un servizio di notifica elettronica.

3.9

Domanda n. 9:

il CESE ritiene che il quadro normativo sugli appalti elettronici sia di per sé completo. I problemi derivano dalla scarsa volontà di metterlo in pratica.

3.10

Domanda n. 10:

troppo spesso le soluzioni sono motivate dall’architettura tecnica, mentre cozzano con le procedure aziendali. Il livello di sicurezza applicato dovrebbe rispecchiare il livello di rischio reale e gli investimenti nel sistema di sicurezza adottato dovrebbero essere commisurati a tale rischio.

L’attenzione per la sicurezza nella concezione del meccanismo di autenticazione degli appalti elettronici si traduce nel ricorso alla firma elettronica avanzata. L’introduzione di tale firma è però costosa da realizzare - in termini di introduzione, di costo dei certificati digitali, ecc.

A questo punto c’è da chiedersi se gli appalti elettronici non dovrebbero de facto essere collegati a un meccanismo di autenticazione con firma elettronica avanzata.

Il CESE è dell’avviso che la Commissione e gli Stati membri dovrebbero analizzare più a fondo i rischi degli appalti elettronici prima di decidere di collegare il meccanismo di autenticazione alla firma elettronica avanzata.

È opportuno notare che l’utilizzo di una carta di debito o di credito che, se smarrita o rubata, espone il titolare a un rischio finanziario, è soggetto all’utilizzo di un codice PIN a quattro cifre. Il CESE formula di conseguenza le seguenti domande:

tutti gli stadi della catena di valore degli appalti elettronici richiedono l’autenticazione tramite firma elettronica avanzata? È veramente necessario adottare questo livello di sicurezza per accedere al portale, visionare le informazioni sulle gare d’appalto e permettere servizi on-line o mobili, come la notifica, od altri ancora?

Se la risposta è negativa, non sarebbe forse opportuno adottare un meccanismo di autenticazione a due livelli: semplice registrazione per le fasi di pubblico dominio secondo la procedura aziendale tradizionale, e livello di autenticazione più elevato per la presentazione di un’offerta o la partecipazione a un’asta elettronica?

Se si adotta un meccanismo di autenticazione a due livelli, ne consegue che l’accesso al livello più elevato è condizionato alla firma elettronica avanzata oppure si dovrebbe introdurre un meccanismo meno complesso, ma comunque sicuro?

Il meccanismo di autentificazione dovrebbe basarsi su una password alfanumerica forte associata ad un codice PIN numerico anch’esso forte oppure dovrebbe prevedere tutto questo insieme ad una password unica generata da un token, simile a quello per l’accesso all’e-banking?

Il CESE è dell’avviso che, pur essendo necessaria l’applicazione di un meccanismo sicuro per gli appalti elettronici, la soluzione debba essere commisurata al rischio e la meno complessa possibile.

Qualora si decida che il miglior modello in grado di garantire sicurezza negli appalti elettronici sia il certificato qualificato avanzato, il CESE propone di prendere allora spunto dal Virtual Company Dossier (VCD) che PEPPOL (Pan European Public Procurement On-line) ha in preparazione (8).

Il CESE riconosce che l’attuale direttiva prevede che soluzioni equivalenti ai certificati debbano essere riconosciute dalle amministrazioni aggiudicatrici. Ciò è dovuto al fatto che, nella pratica, spesso è difficile trovare degli equivalenti e alcuni Stati membri richiedono procedure farraginose, come traduzioni autorizzate, certificate, con apostille, oppure accettano solo gli originali. Si tratta di requisiti onerosi e costosi non solo per le imprese, ma anche per le amministrazioni aggiudicatrici.

3.11

Domanda n. 11:

quanto alla questione linguistica, gli ostacoli sono reali. Un quadro per gli appalti elettronici all’interno dell’UE non può esistere senza la capacità di «comunicare» una gara d’appalto in tutti e 27 gli Stati membri. D’altro canto, la traduzione dei documenti di gara da parte di un’amministrazione aggiudicatrice nazionale nelle lingue ufficiali dell’UE, se non addirittura in tutte le lingue parlate nei 27 Stati membri, per rendere la gara d’appalto accessibile alle aziende di tutti i paesi, è complessa e costosa, e finirebbe per bloccare l’appalto pubblico.

È importante che le imprese o i singoli individui che intendono partecipare a una gara d’appalto siano al corrente dei bandi pubblicati e che queste informazioni siano disponibili senza alcun ostacolo linguistico. Spetterà poi all’impresa - sia essa grande, media, piccola o micro - cercare ulteriori informazioni tramite i centri di sostegno, proposti nel presente parere, e decidere se incorrere in ulteriori spese per disporre di traduzioni più dettagliate, andando al di là di quanto si può ottenere tramite gli strumenti linguistici offerti.

Una possibile soluzione potrebbe essere lo sviluppo da parte della Commissione di uno strumento per la traduzione degli appalti on-line opportunamente congegnato e adattato al linguaggio tecnico dei documenti di gara - particolarmente attento, cioè, alla traduzione esatta di termini tecnici come «può», «obbligatorio», ecc., senza introdurre sfumature che potrebbero portare a un’interpretazione fuorviante.

Occorre però utilizzare tale strumento solo per gli appalti pubblici estremamente semplici, e a condizione che sia garantita la chiarezza, in modo che non ne risultino oneri amministrativi maggiori, privi di una vera utilità sia per l’amministrazione aggiudicatrice che per l’offerente.

3.12

Domanda n. 12:

il CESE raccomanda alla Commissione di convincere gli Stati membri a creare quadri per gli appalti elettronici basati su standard «aperti».

Il CESE raccomanda alla Commissione di incoraggiare gli Stati membri ad utilizzare l’applicazione open source e-PRIOR messa a disposizione gratuitamente dalla Commissione sotto forma di componenti da integrare in qualunque soluzione allo studio per gli appalti elettronici.

3.13

Domanda n. 13:

il CESE raccomanda alla Commissione di incoraggiare e incrementare l’offerta di soluzioni open source da integrare nei sistemi per gli appalti elettronici già esistenti o in corso di sviluppo.

3.14

Domanda n. 14:

il CESE concorda sul fatto che la Commissione debba continuare a sviluppare le proprie applicazioni come le soluzioni e-PRIOR, da mettere a disposizione degli Stati membri.

3.15

Domanda n. 15:

come già enunciato, la Commissione e gli Stati membri devono intraprendere iniziative continuative allo scopo di creare capacità che aiutino le PMI ad attrezzarsi per l’e-commerce B2G. La «questione linguistica» costituisce un ostacolo ben più difficile da superare per le PMI che vogliano partecipare agli appalti elettronici all’interno dell’UE.

Bruxelles, 13 luglio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  COM(2010) 571 definitivo.

(2)  SEC(2010) 1214 final.

(3)  COM(2011) 15 definitivo - Libro verde sulla modernizzazione della politica dell’UE in materia di appalti pubblici - Per una maggiore efficienza del mercato europeo degli appalti, (Cfr. pagina 113 della presente Gazzetta ufficiale).

(4)  Un’architettura TIC è uno schema generale che consente di definire in modo sistematico e completo il quadro TIC (linea di base) attuale e/o auspicato (obiettivo) al fine di ottenere prestazioni ottimali sulla base dell’efficienza, degli standard, della scalabilità, dell’interoperabilità, della coerenza, di un ambiente aperto, ecc.

(5)  Ad esempio, alcune amministrazioni aggiudicatrici richiedono procedure noiose, come la fornitura di traduzioni autorizzate, certificate e con apostille.

(6)  Per ulteriori esempi, si rimanda a pag. 5 del Libro verde sull’estensione dell’uso degli appalti elettronici nell’UE, COM(2010) 571 definitivo, SEC(2010) 1214 definitivo,

http://ec.europa.eu/internal_market/consultations/docs/2010/e-procurement/green-paper_it.pdf.

(7)  Nell’UE si riscontrano alcuni esempi di buone pratiche nei seguenti paesi: Italia, Portogallo, Danimarca, Austria, Regno Unito.

(8)  http://www.peppol.eu/.


29.10.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/105


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Sfruttare i vantaggi della fatturazione elettronica in Europa»

COM(2010) 712 definitivo

2011/C 318/17

Relatore: IOZIA

La Commissione, in data 2 dicembre 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Sfruttare i vantaggi della fatturazione elettronica in Europa

COM(2010) 712 definitivo.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 giugno 2011.

Alla sua 473a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2011 (seduta del 13 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 119 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) esprime il proprio sostegno ed apprezzamento alla Commissione, condividendo i contenuti della Comunicazione, che si inserisce nell'ambito dell'Agenda digitale europea. La modernizzazione degli strumenti che regolano i rapporti economici - l'innovazione tecnologica - oltre che costituire un risparmio estremamente importante, contribuisce alla diffusione dell'innovazione e al raggiungimento degli obiettivi posti dalla strategia Europa 2020.

1.2

Il completamento dell'Agenda digitale costituirà un volano fondamentale per il rilancio del mercato interno, come fattore di uno sviluppo sociale ed economico sostenibile.

1.3

Il CESE sottolinea l'esigenza di tenere in particolare considerazione i vantaggi che potranno derivare da una diffusione generalizzata della fatturazione elettronica. Tali vantaggi dovranno essere equamente distribuiti tra tutte le categorie di imprese, ma soprattutto alle PMI. Particolare attenzione andrà posta alle loro specifiche esigenze di alfabetizzazione digitale, di contenimento dei costi per l'accesso alle piattaforme digitali e ai software di gestione.

1.4

Il CESE sollecita la Commissione ad adoperarsi per rendere il più veloce possibile il percorso della nuova legislazione sulla firma elettronica e si domanda se non sia il caso di adottare uno strumento regolamentare, piuttosto che una direttiva, per evitare diverse e problematiche trasposizioni che continueranno a mantenere differenziate le normative in materia.

La riforma del sistema di tassazione indiretta dell'IVA già prende in considerazione la parificazione delle ricevute cartacee con quelle elettroniche ai fini della conservazione delle scritture contabili e delle fatture. Le amministrazioni fiscali dei paesi membri dovrebbero uniformare al più presto le loro legislazioni a questa previsione.

1.5

Per quanto riguarda in particolare le PMI, il CESE raccomanda che siano tutelati i loro interessi in materia di pagamento dell'IVA, che dovrebbe essere riscossa al pagamento della fattura elettronica piuttosto che ad una certa data dall'emissione. Il nuovo sistema dovrà tenere nella debita considerazione i problemi che potranno derivare alle PMI nella gestione della liquidità.

1.6

Il CESE sostiene un'adozione diffusa della fatturazione elettronica, che proceda speditamente, ma che rimanga un regime opzionale, e non ritiene sussistano le condizioni, pur apprezzandone gli obiettivi, per una adozione obbligatoria di tale sistema.

1.7

Il CESE raccomanda alla Commissione che i provvedimenti necessari alla realizzazione dell'obiettivo proposto siano perseguiti con prudenza ed attenzione, per non creare inutili ed onerosi problemi alle imprese e ai consumatori.

1.8

La coesistenza dei due regimi con pari valore legale, quello a fatturazione elettronica e quello cartaceo, dovrebbe consentire a tutti di scegliere il modello più adeguato alle specifiche esigenze.

1.9

Il CESE invita la Commissione ad adottare standard globali per la fatturazione elettronica. La standardizzazione e l'interoperabilità dei sistemi sono fattori essenziali per la diffusione e il successo della fatturazione elettronica, consentendo lo sviluppo del mercato interno e la possibilità di ampliare il numero degli operatori sul mercato.

L'attuale situazione, invece, vede un mercato frammentato che non comunica al suo interno e che impedisce di fatto lo sviluppo di questo strumento utile a livello transfrontaliero.

1.10

Il progetto pilota Peppol dovrebbe essere generalizzato, connettendo in via permanente quelle aree ove la fatturazione elettronica è ormai una realtà. Maggiore attenzione dovrebbe essere rivolta verso i bisogni delle PMI.

1.11

La comunicazione non prende in esame, tra i destinatari della fattura elettronica, i consumatori, le loro esigenze e i loro interessi. Solo coloro che hanno una buona esperienza nell'utilizzo delle tecnologie informatiche potranno avvalersi della convenienza di ricevere una fattura elettronica.

1.12

La prospettiva della diffusione di questo strumento dovrebbe determinare la possibilità di realizzare un ciclo virtuoso: visione del catalogo elettronico, scelta ed ordine di acquisto, invio della merce, emissione della fattura, pagamento con contestuale versamento all'Amministrazione finanziaria di quanto dovuto con il calcolo automatico della aliquota IVA applicabile, a seconda della tipologia di merce e di operatore.

1.13

La velocizzazione di queste procedure produrrà risparmi notevoli di tempo, pagamenti più puntuali, una riduzione del fenomeno delle fatture false.

1.14

I progetti finanziati dall'UE nel campo dell'e-business dovrebbero includere il requisito obbligatorio che una certa percentuale di tutti i progetti piloti coinvolga le piccole e medie imprese. Questo potrebbe focalizzare l'attenzione sulle esigenze delle PMI sin nelle prime fasi di queste iniziative, e soprattutto influenzare lo sviluppo di tecnologie innovative per le PMI (ad esempio, per il progetto Peppol).

1.15

La Commissione europea dovrebbe porre più enfasi sulla necessità che le amministrazioni pubbliche nazionali adottino il principio di «parità di trattamento» tra le fatture cartacee ed elettroniche, rimuovendo gli ostacoli che si frappongono al commercio transfrontaliero, in particolare abolendo l'obbligo di utilizzare specifiche soluzioni tecnologiche (tra cui le firme elettroniche) che non sono necessarie per le fatture cartacee, ed eliminando l'onere presente ancora in alcuni Stati membri di dover stampare fatture elettroniche per i controlli fiscali se tutti i requisiti vigenti sono rispettati.

1.16

Incentivi per le PMI potrebbero essere sviluppati in cooperazione con le autorità pubbliche locali attraverso programmi specifici. Il coinvolgimento della direzione generale REGIO deve essere considerato.

1.17

Il CESE valuta positivamente la costituzione del forum europeo sulla fatturazione elettronica e si dichiara disponibile a partecipare alle sue attività.

2.   Introduzione

2.1

La fattura è un fondamentale documento scambiato tra operatori commerciali e tra questi e i consumatori finali. Oltre alla sua funzione primaria di richiesta di pagamento dal venditore al compratore per beni ceduti o servizi resi, la fattura è un documento contabile importante ed ha potenziali implicazioni legali per entrambi i partner commerciali; costituisce infatti un documento contrattuale nel rapporto tra imprese e consumatori. In alcuni paesi, la fattura è un documento chiave per le dichiarazioni fiscali, per i rimborsi e per completare dichiarazioni di importazione e di esportazione.

2.2

Le parti coinvolte sono il compratore e il venditore. In alcune circostanze il consegnante ed il consegnatario possono essere terze parti, come nel caso di un trasportatore o di un operatore di servizi logistici.

2.3

La fatturazione elettronica è il processo automatizzato di emissione, invio, ricezione ed elaborazione dei dati delle fatture per via elettronica. La fatturazione elettronica è parte di un'intrecciata rete di processi aziendali e delle procedure, comunemente indicate come il ciclo ordine-incasso, dal punto di vista del fornitore e il ciclo acquisto-pagamento, dal punto di vista dell'acquirente.

2.4

Tra le sette iniziative «faro» promosse dall'Unione europea per realizzare in concreto la strategia 2020, Un'agenda digitale europea si occupa di sostenere, attraverso un adeguamento normativo, lo sviluppo delle tecnologie informatiche dedicate, tra l'altro, alla semplificazione e alla riduzione degli oneri per la realizzazione del mercato interno. Più di cento iniziative e oltre trenta provvedimenti legislativi saranno adottati per conseguire nei prossimi dieci anni i tredici obiettivi di prestazioni fondamentali.

2.5

La comunicazione della Commissione, giunta dopo 5 anni di preparazione e di approfondite consultazioni, si occupa di un settore molto importante dell'agenda: la fatturazione elettronica, ponendo come obiettivo che entro il 2020 la fatturazione elettronica diventi il principale modo di fatturazione. Si calcola che attualmente solo il 5 % di tutte le operazioni di fatturazione delle imprese sia regolato attraverso la fatturazione elettronica.

2.6

La Commissione calcola che il risparmio potenziale che si potrebbe realizzare ammonti a 240 miliardi di euro in sei anni (1). L'Associazione europea delle tesorerie aziendali ha raggiunto risultati simili, stimando che le aziende potrebbero risparmiare fino all'80 % dei costi correnti per l'elaborazione dei dati della fattura in automatico, eliminando i consumi di carta e riducendo sensibilmente l'attività lavorativa. Lo sviluppo dell'area unica dei pagamenti in euro (SEPA) potrà consentire di coniugare la fatturazione con i pagamenti, consentendo un'integrazione dei sistemi e la possibilità di istituire «regimi europei di fatturazione elettronica interoperabili».

2.7

Le priorità individuate sono:

«garantire la certezza del diritto e un contesto tecnico chiaro per la fatturazione elettronica in modo da favorirne l'adozione in massa;

incoraggiare e promuovere lo sviluppo di soluzioni di fatturazione elettronica aperte e interoperabili basate su una norma comune, prestando particolare attenzione alle esigenze delle PMI;

sostenere l'adozione della fatturazione elettronica mediante l'istituzione di strutture organizzative, come ad esempio fori nazionali multilaterali per la fatturazione elettronica e un forum europeo multilaterale delle parti interessate».

3.   Osservazioni e commenti del CESE

3.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) è un convinto sostenitore dell'iniziativa faro Un'agenda digitale europea e plaude all'iniziativa della Commissione. In diversi precedenti pareri (2) il CESE ha sostenuto l'adozione di programmi e di iniziative legislative rivolte a favorire l'utilizzo delle tecnologie di informazione e comunicazione (TIC).

3.2

Il volume delle fatture e dei conti in Europa ammonta a oltre 30 miliardi. Nel 2011 3 miliardi di conti e fatture saranno inviati per posta elettronica, ma solo una parte di essi sarà costituita da fatture elettroniche. Sono più di 4,5 milioni le aziende che già utilizzano questo sistema e più di 75 milioni i consumatori. I maggiori operatori del settore che prestano i loro servizi nel campo della fatturazione elettronica in pochi mesi stanno raddoppiando il volume dei loro affari.

3.3

Gli studi effettuati per conto della Commissione da un gruppo di esperti, calcolano che il risparmio per ogni fattura possa ammontare a svariati euro per chi emette il documento contabile. Gli invii elettronici ed automatici possono far risparmiare fino al 60-80 % rispetto ai processi tradizionali, basati su supporto cartaceo. In termini generali ciò significa poter risparmiare tra l'1 e il 2 % dei costi amministrativi. Il ritorno economico per un investimento in un progetto di fatturazione elettronica è positivo dopo solo sei mesi, secondo le valutazioni dei maggiori esperti del settore (3).

3.4

Nella comunicazione la Commissione auspica di vedere diventare la fatturazione elettronica il metodo predominante, ma non indica perché è necessario tutto questo tempo. Il CESE ritiene che, invece, occorra fare tutti gli sforzi possibili per accelerare nella misura possibile questo obiettivo.

3.5

Il CESE sottolinea e apprezza l'importante contributo che lo sviluppo della fatturazione elettronica potrà dare alla riduzione delle emissioni di CO2, dovuta alla riduzione dell'energia per il trasporto e del consumo di carta.

3.6

Il CESE condivide e considera molto importante la priorità che viene riconosciuta alle PMI e alle indicazioni da esse date nell'ambito dell'indagine svolta dal gruppo degli esperti incaricati dalla Commissione.

3.7

Il CESE raccomanda che siano adottate tutte le misure possibili per facilitare l'affermarsi di una pluralità di operatori specializzati, evitando di costituire dei piccoli monopoli de facto, che inevitabilmente approfitterebbero di una posizione dominante.

3.8

Il CESE invita la Commissione a predisporre le iniziative utili a mettere in pratica ed adottare il modello standard predisposto dall'UN/Cefact (4), l'organismo intergovernativo, sussidiario del Comitato Commercio dell'UNECE per sviluppare un programma di lavoro di rilevanza globale per giungere ad un coordinamento e ad una cooperazione nell'area degli standard elettronici e delle facilitazioni degli scambi tra imprese.

3.9

L'adozione generalizzata delle buone pratiche messe in cantiere da alcuni Stati membri nel rendere obbligatorie le fatture elettroniche negli appalti pubblici, dovrebbe essere sostenuta dal Consiglio, come un veicolo opportuno per diffonderne la diffusione. Il progetto Peppol (Pan-European Public Procurement Online), da progetto pilota a larga scala del CIP (programma quadro per la competitività e l'innovazione) sostenuto dalla Commissione, dovrebbe essere generalizzato con l'adozione e supporto degli standard sviluppati, connettendo quelle aree europee dove l'appalto elettronico è già una realtà.

3.10

Il CESE plaude a questa iniziativa, ma raccomanda che si possa consentire l'operatività nel campo delle fatture elettroniche anche ad altri operatori, aprendo il mercato ad altri soggetti. Attualmente sono circa 400 gli operatori di servizi di fatturazione elettronica che operano soprattutto a livello locale, con un'ampia gamma di prodotti. Purtroppo è molto lontana da venire l'interoperabilità dei sistemi. Gli standard globali comuni, che il CESE raccomanda di adottare, sono fondamentali per accelerare la realizzazione del mercato unico europeo e diffonderne i benefici a una vasta platea di soggetti, in particolare le PMI, aumentandone la competitività.

3.11

I benefici di modelli di fatturazione elettronica uniformati sono evidenti. In questo momento il mercato è frammentato e non comunica. Il CESE sostiene le iniziative rivolte a convergere su livelli sempre più integrati d'interoperabilità e si compiace che il modello UN/Cefact CII v.2 (Cross-Industry Invoice), sia stato assunto come base per sviluppare l'ISO 20022 Invoice Message Standard.

3.12

Gli standard globali dovrebbero sempre provvedere alle relative procedure di appalto al fine di evitare che le aziende debbano automatizzare il processo di fatturazione in isolamento da quello di approvvigionamento, o dal processo dell'ordine, per esempio. Questo porterebbe ad inefficienze. Lo sviluppo dei profili CEN / BII per l'intera catena degli approvvigionamenti dovrebbe essere promosso e seguito da vicino, visto che essi costituiscono la base dei documenti elettronici Peppol. Particolare attenzione dovrebbe essere posta alla progressiva adozione dello standard UBL in diversi Stati membri dell'UE e soprattutto da parte del settore pubblico. L'adozione di tali standard globali dovrebbe essere incoraggiata.

3.13

Le amministrazioni finanziarie nel futuro, quando il sistema di fatturazione elettronica sarà generalizzato, potranno ricevere indubbi vantaggi dalla fatturazione elettronica con pagamento contestuale dell'IVA, all'atto del pagamento della fattura. L'integrazione con l'area unica dei pagamenti in euro potrà favorire una maggiore efficienza del sistema di riscossione. Al fine di evitare conseguenze negative per le PMI, in particolare sulla gestione della liquidità, il CESE raccomanda alla Commissione di tenere in conto tale problematica.

3.14

I risparmi ci saranno soprattutto nella gestione delle dichiarazioni fiscali, nel costo dei pagamenti in automatico. In generale, la diminuzione dei costi per la raccolta, il controllo e la gestione dei servizi fiscali per il sistema economico rappresenta un obiettivo di modernizzazione e di miglioramento. La riduzione dell'evasione che l'automazione del processo di fatturazione può determinare aiuterà ulteriormente il sistema a trovare risorse da reinvestire per sostenere le attività economiche e produttive.

3.15

Il CESE sostiene la necessità di una rapida revisione della direttiva 1999/93/CE sulla firma elettronica, al fine di introdurre un sistema legale di riconoscimento europeo e di interoperabilità di una firma elettronica sicura e garantita e chiede alla Commissione di sostenerne l'urgenza di fronte al Consiglio e al Parlamento perché adottino il provvedimento in tempi brevissimi. Le differenze nella trasposizione della direttiva e l'obbligo dell'utilizzo in diversi Stati membri hanno comportato gravi problemi, soprattutto per le PMI che ritengono le firme elettroniche uno dei maggiori ed inutili ostacoli all'adozione della fatturazione elettronica. Per quanto riguarda lo strumento legislativo il CESE si domanda se non sia giunto il momento, attraverso l'adozione di un regolamento, per poter disporre finalmente di una normativa uniforme ed adeguata alle aspettative create con l'Atto per il mercato unico.

3.16

I cittadini europei non percepiscono le opportunità offerte dal mercato unico per il persistere di barriere, ostacoli burocratici, obblighi amministrativi. I consumatori non hanno ancora visto i benefici che sono stati annunciati con tanta enfasi, come ad esempio nei settori finanziario ed energetico, nei quali solo la legislazione europea ha imposto norme che hanno favorito i consumatori (terzo pacchetto energia, SEPA, MIFID ecc.).

3.17

Il CESE ritiene che la proposta contenuta nella comunicazione della Commissione vada nella giusta direzione ed auspica un'accelerazione complessiva dei processi decisionali e dei tempi di realizzazione del progetto, per poter offrire a lavoratori, cittadini ed imprese un quadro legislativo armonizzato, o meglio, uniformemente regolamentato.

Bruxelles, 13 luglio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  SEPA potential benefits at stake, Capgemini.

http://ec.europa.eu/internal_market/payments/docs/sepa/sepa-capgemini_study-final_report_en.pdf.

(2)  «Un'agenda digitale europea», GU C 54 del 19.2.2011, pag. 58; «Trasformare il dividendo digitale in benefici per la società e in crescita economica», GU C 44 dell'11.2.2011, pag. 178; GU C 255 del 22.9.2010, pag. 116 e GU C 77 del 31.3.2009, pag. 60; «Migliorare i modelli di partenariati pubblico-privati partecipativi sviluppando i servizi online per tutti nell'UE-27», GU C 48 del 15.2.2011, pag. 72; GU C 255 del 22.9.2010, pag. 98; GU C 128 del 18.5.2010, pag. 69; GU C 317 del 23.12.2009, pag. 84; GU C 218 dell'11.9.2009, pag. 36; GU C 175 del 28.7.2009, pag. 8; GU C 175 del 28.7.2009, pag. 92; GU C 175 del 28.7.2009, pag. 87; GU C 77 del 31.3.2009, pag. 63; GU C 224 del 30.8.2008, pag. 61; GU C 224 del 30.8.2008, pag. 50; GU C 97 del 28.4.2007, pag. 27; GU C 97 del 28.4.2007, pag. 21; GU C 325 del 30.12.2006, pag. 78; GU C 318 del 23.12.2006, pag. 222; GU C 110 del 9.5.2006, pag. 83; GU C 123 del 25.4.2001, pag. 36.

(3)  http://www.expp-summit.com/marketreport.htm.

(4)  UN Centre for trade facilitation and electronic business.


29.10.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/109


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Verso un migliore funzionamento del mercato unico dei servizi — Basarsi sui risultati del processo di valutazione reciproca previsto dalla direttiva servizi»

COM(2011) 20 definitivo

2011/C 318/18

Relatore: Martin SIECKER

La Commissione europea, in data 27 gennaio 2011, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Verso un migliore funzionamento del mercato unico dei servizi — basarsi sui risultati del processo di valutazione reciproca previsto dalla direttiva servizi

COM(2011) 20 definitivo.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 giugno 2011.

Alla sua 473a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2011 (seduta del 13 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 134 voti favorevoli, 2 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) appoggia l'intenzione della Commissione di migliorare il funzionamento del mercato interno dei servizi. È chiaro che le restrizioni che si configurano come requisiti discriminatori, ingiustificati o sproporzionati, dovranno essere soppresse. Il Comitato accoglie pertanto con favore l'iniziativa volta a modernizzare i servizi pubblici attraverso la creazione di «sportelli unici». Non si può fare a meno di compiacersi della cooperazione amministrativa nel quadro di operazioni transfrontaliere, ma occorre estendere tale cooperazione ai settori di intervento in cui è in gioco il rispetto degli obblighi.

1.2

Il CESE considera premature le conclusioni della Commissione relative agli effetti della direttiva servizi e al funzionamento del settore dei servizi. La direttiva è in vigore solo da qualche anno. Il fatto che gli Stati membri non siano tutti ugualmente soddisfatti della direttiva e il fatto che siano obbligati ad applicarla in maniera differente nel proprio ordinamento costituiscono fattori di complicazione non menzionati nella comunicazione. Quello dei servizi è un settore vasto e complesso, composto di differenti comparti. Occorrerà del tempo per razionalizzare il mercato interno dei servizi attraverso la regolamentazione europea.

1.3

La direttiva servizi è stata varata nel quadro del precedente Trattato, che considerava ancora gli interessi economici come la priorità principale nel mercato interno. Nel quadro del Trattato di Lisbona gli altri settori non sono più subordinati all'economia, bensì collocati allo stesso livello. È interessante studiare la natura delle relazioni che intercorrono tra la legislazione adottata e la giurisprudenza sviluppata nel quadro, da un lato, del vecchio Trattato, e dall'altro, di quello nuovo. Nel parere sull'Atto per il mercato unico, il CESE ha raccomandato di esaminare alla luce del nuovo Trattato la direttiva sul distacco dei lavoratori. Sarebbe interessante anche verificare se un esame delle sentenze della Corte di giustizia dell'UE che riconoscono il primato del mercato interno (ex articolo 49) possa anch'esso fornire nuovi chiarimenti.

2.   Sintesi della comunicazione della Commissione

2.1

Sebbene i servizi costituiscano una forza economica importante dell'Unione europea, la Commissione ritiene che il mercato dei servizi non faccia sentire ancora tutti i suoi benefici. Nella sua comunicazione in merito alla strategia Europa 2020, la Commissione sottolinea ad esempio che sulla base della direttiva servizi dovrà essere creato un mercato unico dei servizi più integrato (1) e, nella sua comunicazione intitolata Verso un atto per il mercato unico, evidenzia la necessità di sviluppare ulteriormente il mercato unico dei servizi (2). La maggiore integrazione di questo mercato e il suo maggiore sviluppo sono indispensabili per aiutare le imprese del settore dei servizi a crescere, a rafforzare la loro posizione a livello mondiale e a poter creare così nuovi posti di lavoro.

2.2

Con l'adozione della direttiva servizi nel dicembre 2006 (3) e la sua successiva entrata in vigore si è cominciato a migliorare il funzionamento del mercato unico dei servizi. Con questo atto la Commissione europea ha semplificato il quadro normativo, e grazie a esso le numerose leggi di attuazione emanate negli Stati membri hanno eliminato centinaia di disposizioni ingiustificate o sproporzionate vigenti in tutta Europa.

2.3

La direttiva servizi prevede un «processo di valutazione reciproca» come strumento di valutazione tra pari. Nel 2010 gli Stati membri, più Liechtenstein, Norvegia e Islanda, hanno esaminato circa 35 000 disposizioni giuridiche imposte in particolare alle imprese del settore dei servizi. Le disposizioni in questione riguardavano obblighi in materia di stabilimento (ad esempio, regimi di autorizzazione, restrizioni territoriali o sulla proprietà del capitale) e obblighi in materia di prestazione transfrontaliera di servizi (ad esempio, obblighi di registrazione, di notificazione o di assicurazione).

2.4

La conclusione più evidente tratta da questo processo è che in determinati tipi di servizi la realizzazione di un mercato unico è ancora un'opera incompiuta. Secondo la Commissione il problema principale è che la legislazione non ha ancora consentito di eliminare tutti gli ostacoli discriminatori, e che l'attuazione dell'insieme di leggi che sopprimono effettivamente tali ostacoli non è ancora completata in tutti gli Stati membri o che tali leggi non vengono ancora applicate adeguatamente in tutti i paesi dell'Unione. Inoltre, a quanto pare gli Stati membri si avvalgono ancora ampiamente della possibilità di riservare talune attività di servizio a determinati operatori.

2.5

Per proseguire verso la realizzazione di un mercato unico dei servizi, la Commissione propone una serie di iniziative da attuare nel corso dei prossimi 18 mesi, tra le quali si contano:

un «test di efficacia» per il mercato unico dei servizi volto a valutare la situazione dal punto di vista degli utenti (imprese, lavoratori autonomi e consumatori),

azioni mirate tese a eliminare gli ostacoli normativi ingiustificati residui che limitano le potenzialità del mercato unico dei servizi,

azioni mirate per tradurre il mercato unico dei servizi in una realtà più concreta.

Entro la fine del 2012 la Commissione valuterà l'efficacia dei mezzi di ricorso disponibili ai prestatori di servizi a livello nazionale qualora le amministrazioni nazionali violino i diritti loro spettanti nel mercato unico, e deciderà quindi sulle azioni da adottare in futuro.

3.   Osservazioni generali

3.1

La Commissione osserva a giusto titolo che la creazione di un mercato unico dei servizi non rappresenta un obiettivo fine a se stesso, bensì uno strumento per migliorare la vita quotidiana e la prosperità delle imprese e dei cittadini europei. Varrebbe la pena valutare più attentamente il contributo del mercato unico a questi obiettivi orizzontali. La direttiva servizi è stata varata nel quadro del precedente Trattato, che considerava ancora gli interessi economici come la priorità principale del mercato interno. Nel quadro del Trattato di Lisbona gli altri settori non sono più subordinati all'economia, bensì collocati allo stesso livello. È interessante studiare la natura delle relazioni che intercorrono tra la legislazione adottata e la giurisprudenza sviluppata nel quadro del vecchio Trattato da un lato, e di quello nuovo dall'altro. Nel parere sull'Atto per il mercato unico, il CESE ha raccomandato di esaminare alla luce del nuovo Trattato la direttiva sul distacco. Sarebbe anche interessante verificare se un esame delle sentenze della Corte di giustizia dell'UE che riconoscono il primato del mercato interno (ex articolo 49) possa anch'esso fornire nuovi chiarimenti.

3.2

Le valutazioni svolte finora si sono concentrate troppo sulla regolamentazione e anche per questo hanno assunto un carattere troppo «tecnocratico». Ad esempio, la regolamentazione di determinate professioni in uno Stato membro può essere dettata da obiettivi di qualità del servizio interessato e può quindi essere adottata nell'interesse dei cittadini. Il fatto che tale regolamentazione sia intesa come un ostacolo alla libera circolazione dei servizi transfrontalieri non deve causare automaticamente l'abolizione di questo «ostacolo». In casi del genere gli interessi dei consumatori e dei lavoratori possono prevalere sulle considerazioni relative alle libertà economiche. Devono essere eliminati solo gli ostacoli effettivamente fondati su motivi ingiustificati e discriminatori.

3.3

Il CESE considera premature le conclusioni della Commissione relative agli effetti della direttiva servizi e al funzionamento del settore dei servizi. La direttiva è in vigore solo da qualche anno. Il fatto che gli Stati membri non siano tutti ugualmente soddisfatti della direttiva e il fatto che siano obbligati ad applicarla in maniera differente nel proprio ordinamento costituiscono fattori di complicazione, che non sono menzionati nella comunicazione. Quello dei servizi è un settore vasto e complesso, composto di differenti comparti. Occorrerà del tempo per razionalizzare il mercato interno dei servizi attraverso la regolamentazione europea.

3.4

Il documento in esame riguarda sia la libertà di stabilimento sia la libera prestazione transfrontaliera dei servizi, che sono due concetti diversi. I requisiti in materia di stabilimento sono principalmente di competenza nazionale, mentre le prestazioni transfrontaliere di servizi nel quadro delle libertà economiche rientrano nella competenza legislativa europea. In questo campo sono gli Stati membri che devono trovare un buon equilibrio.

3.5

Si raccomanda anche di formulare una definizione chiara di ciò che rientra nei servizi transfrontalieri e di precisare a cosa corrispondano i dati contenuti nella comunicazione. La Commissione asserisce che la direttiva servizi copre il 40 % del PIL dell'UE e, più avanti, che il settore dei servizi rappresenta circa il 70 % del PIL dell'Unione. Ciò fa pensare che ben oltre la metà del mercato dei servizi sia costituita da servizi transfrontalieri, il che è quantomeno discutibile.

3.6

La comunicazione contiene diverse ipotesi non verificabili, o quantomeno discutibili, che la Commissione formula con troppa facilità. Al paragrafo 5.1, la Commissione dichiara di avere forti aspettative in merito all'esito del «test di efficacia» in corso di realizzazione insieme con gli Stati membri, nonostante siano proprio alcuni di questi ultimi a ostacolare il completamento del mercato unico dei servizi.

3.7

Nel capitolo 2, la Commissione scrive che, secondo stime prudenti, l'attuazione della direttiva servizi potrebbe generare benefici economici fino a 140 miliardi di euro, pari all'1,5 % del PIL dell'UE. Queste cifre sono ricavate da uno studio realizzato dall'Ufficio centrale di pianificazione olandese nel 2007, poco dopo l'introduzione della direttiva servizi, quando le aspettative sugli effetti di tale direttiva non erano ancora state ridimensionate dalla crisi che sarebbe poi scoppiata. Anche questo punto andrebbe dunque in qualche modo relativizzato.

3.8

L'esame del processo di valutazione reciproca svoltosi nel 2010, descritto nei capitoli 3 e 4 suscita alcuni interrogativi. La Commissione scrive infatti che «la valutazione reciproca ha avuto un «effetto mercato unico senza precedenti negli Stati membri», ma non precisa però in che cosa consista tale effetto. Essa ha forse prodotto un aumento dell'attività nell'ambito di alcune amministrazioni pubbliche negli Stati membri, ma quali sono in concreto gli effetti e le conseguenze sul mercato unico dei servizi?

3.9

La Commissione non si esprime chiaramente sulla possibile gerarchia tra i diversi obiettivi orizzontali che l'Unione europea auspica di realizzare. Ciò traspare tra l'altro dall'ambiguità per quanto riguarda la facoltà degli Stati membri di applicare, nell'interesse generale, una regolamentazione che può produrre effetti restrittivi. Visto anche il contesto della mancanza di sostegno pubblico al progetto europeo denunciata dal rapporto Monti, le questioni riguardanti tale facoltà meritano un maggiore dibattito tra la società civile.

4.   Osservazioni particolari

4.1

Il Comitato appoggia l'intenzione della Commissione di migliorare il funzionamento del mercato interno dei servizi. È infatti ovvio che occorre eliminare gli ostacoli rappresentati da disposizioni discriminatorie, ingiustificate e sproporzionate. Il Comitato accoglie pertanto con favore l'iniziativa volta a modernizzare i servizi pubblici attraverso la creazione di «sportelli unici». Della cooperazione amministrativa nelle questioni transfrontaliere non vi è che da compiacersi. Tale cooperazione deve tuttavia essere estesa ai settori di intervento nei quali è in gioco il rispetto degli obblighi (4).

4.2

La direttiva servizi prevede che solo gli sportelli unici elettronici siano obbligatori. Vari Stati membri hanno predisposto anche degli sportelli unici fisici, che offrono agli imprenditori intenzionati a lanciarsi nel mercato di altri Stati membri dei servizi differenti, più proattivi ed estesi. Il Comitato ritiene che tali punti di contatto debbano essere facilmente accessibili, non solo nella lingua nazionale, offrendo anche la possibilità di registrazione elettronica. Il CESE vorrebbe maggiori informazioni sull'esperienza fatta da tali imprenditori nel quadro dei due differenti approcci, e chiede alla Commissione di valutare se tali sportelli fisici diano migliori risultati e siano più apprezzati di quelli elettronici.

4.3

Occorre forse relativizzare in qualche misura l'affermazione secondo cui il settore dei servizi è uno dei più innovativi e dinamici e può quindi apportare un importante contributo a una rinnovata crescita economica. Naturalmente la direttiva servizi dà un forte ed utile contributo allo sviluppo dell'occupazione nell'UE, e ha permesso di creare un gran numero di nuovi posti di lavoro di qualità. Tuttavia molti «nuovi» lavori in questo settore sono poco qualificati, ripetitivi e mal pagati. Il fenomeno dell'allargamento della fascia dei lavoratori poveri, che secondo parecchi studi è riconducibile a questi nuovi servizi, non contribuisce a migliorare il benessere dei cittadini europei.

4.4

La libera prestazione dei servizi e la libera circolazione dei lavoratori sono due cose differenti. Nondimeno, vari studi indicano che la libera prestazione dei servizi è regolarmente utilizzata come pretesto per assumere lavoratori. Occorre contrastare i servizi transfrontalieri il cui unico obiettivo è quello di assumere manodopera a basso costo. In caso di assunzione transfrontaliera di manodopera dev'essere applicato il principio del paese nel quale il lavoratore svolge l'attività, per difendere gli interessi sia dei lavoratori che dei datori di lavoro in buona fede, e per prevenire qualsiasi concorrenza sleale basata sul ricorso a falsi lavoratori autonomi o su altre forme di aggiramento della normativa sul lavoro in vigore nel paese.

4.5

Il controllo e l'imposizione del rispetto delle condizioni di lavoro vigenti nel paese in cui è svolta l'attività non devono essere definiti dall'Unione europea come «ostacoli» o «barriere» al funzionamento del mercato unico dei servizi, fintantoché non vengano utilizzati per dissuadere la concorrenza. La verifica del rispetto dei contratti collettivi non tutela solo i diritti fondamentali dei lavoratori, che devono essere rispettati, ma anche i datori di lavoro in buona fede. Ciò vale non soltanto per le grandi multinazionali, ma anche per le PMI. L'obbligo di registrazione e di notifica necessario per il controllo del rispetto di questi diritti fondamentali è un elemento essenziale degli obblighi legati alla prestazione di servizi transfrontalieri. Il miglioramento della cooperazione tra gli Stati membri in questo settore è nell'interesse di tutte le parti in causa e non può che andare a vantaggio della prestazione transfrontaliera di servizi.

4.6

Nella sua comunicazione, la Commissione constata che l'incidenza dei servizi transfrontalieri negli scambi economici all'interno dell'UE è inferiore rispetto a quella dei settori nazionali dei servizi. Molti servizi hanno un carattere locale, legato a un luogo specifico, e sono quindi meno soggetti a essere gestiti a distanza. La Commissione vi fa un accenno per inciso ma senza dare giusto risalto alla portata e all'importanza di questo aspetto. Gli stessi esempi forniti nella comunicazione in esame non contribuiscono a chiarire quali siano le aspettative della Commissione. Sembra che si tratti non tanto di fondamentali lacune della direttiva servizi quanto di incidenti verificatisi in pochi Stati membri, nei quali la direttiva stessa non è stata evidentemente applicata in maniera adeguata.

4.7

La Commissione sottolinea l'importanza della concorrenza che considera vantaggiosa per i consumatori, in particolare in termini di scelta e di prezzi. Ma i consumatori hanno altre aspettative essenziali in materia di prestazione di servizi, tra cui la sicurezza attiva e passiva, la qualità, la trasparenza dei prezzi, condizioni contrattuali eque, informazioni chiare e comprensibili e la garanzia del rimborso in caso di prestazioni insoddisfacenti. Una regolamentazione settoriale è indispensabile anche per evitare che vengano pregiudicati i diritti dei consumatori, come è avvenuto nel caso della liberalizzazione del settore dell'energia e del mercato delle telecomunicazioni.

4.8

Per contrastare la mancanza di professionalità, garantire la qualità della prestazione di servizi e offrire una possibilità di ricorso quando chi presta i servizi manca i propri obblighi, è necessario che i professionisti riconosciuti dei differenti settori siano iscritti in un registro accessibile al pubblico. Le qualificazioni dei professionisti registrati devono soddisfare determinate condizioni, e le loro capacità professionali devono essere controllate periodicamente. Quando i consumatori potranno scegliere i prestatori di servizi in maniera informata e sicura, la fiducia nel mercato interno crescerà.

4.9

Sul piano giuridico, la comunicazione auspica ripetutamente la creazione di mezzi di ricorso per i prestatori di servizi, in particolare le piccole e medie imprese. Questo approccio è troppo unilaterale: i mezzi di ricorso messi a punto in materia devono essere al servizio non solo delle imprese ma anche dei consumatori e dei lavoratori.

4.10

Gli ostacoli frapposti dalla normativa nazionale degli Stati membri, descritti al paragrafo 5.2 della comunicazione in esame, non possono e non devono essere valutati esclusivamente dal punto di vista del prestatore di servizi. Anche le attività riservate, i requisiti patrimoniali e gli obblighi assicurativi trovano ragion d'essere nei requisiti qualitativi definiti dalla società. Inoltre, tali requisiti sono volti a garantire sia la responsabilità civile che la possibilità di rivalsa da parte dei consumatori e dei lavoratori.

4.11

Le autorità incaricate del controllo e dell'applicazione e le istituzioni competenti richiamano regolarmente l'attenzione sul fenomeno delle società fittizie nell'ambito degli scambi transfrontalieri. Tali società sfruttano infatti il mercato interno dei servizi per eludere la legislazione e la regolamentazione di più paesi. Lo stesso problema si presenta nel caso di lavori eseguiti su vasta scala da personale avente lo status di lavoratori autonomi, laddove si tratta in realtà di falsi autonomi. Il Comitato invita la Commissione a effettuare ulteriori ricerche per analizzare più da vicino questa forma di distorsione della concorrenza, dannosa soprattutto per le imprese in buona fede, piccole e grandi, e ad adottare, se necessario, le misure del caso.

Bruxelles, 13 luglio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  COM(2010) 2020 definitivo.

(2)  COM(2010) 608 definitivo.

(3)  Direttiva 2006/123/CE.

(4)  COM(2008) 703 definitivo.


29.10.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/113


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al «Libro verde sulla modernizzazione della politica dell'UE in materia di appalti pubblici — Per una maggiore efficienza del mercato europeo degli appalti»

COM(2011) 15 definitivo

2011/C 318/19

Relatore: van IERSEL

Correlatore: CABRA DE LUNA

La Commissione europea, in data 27 gennaio 2011, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al:

Libro verde sulla modernizzazione della politica dell'UE in materia di appalti pubblici — Per una maggiore efficienza del mercato europeo degli appalti

COM(2011) 15 definitivo.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 giugno 2011.

Alla sua 473a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2011 (seduta del 13 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 164 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni.

Direttiva

:

direttiva 2004/18/CE relativa alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici

Amministrazioni

:

«amministrazioni aggiudicatrici» secondo la definizione di cui all'articolo 1, paragrafo 9, della direttiva, e che rientrano nel campo di applicazione di tale direttiva

Servizi di pubblica utilità

:

enti aggiudicatori che rientrano nel campo di applicazione della direttiva 2004/17/CE

Gold-plating

:

(sovraregolamentazione a livello nazionale) il fatto di rendere più onerose (con l'aggiunta di ulteriori requisiti) le direttive all'atto del loro recepimento nel diritto nazionale (1)

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si compiace che la Commissione nel suo Libro verde abbia avviato un dibattito inteso a modernizzare la politica UE in materia di appalti pubblici e a incrementarne l'efficacia nel contesto di un mercato unico non solo meglio funzionante ma anche più innovativo, più verde e più sociale. Una volta che la Commissione avrà completato la sua analisi in merito all'impatto della direttiva 2004/18/CE sino ad oggi, il Comitato prenderà in considerazione l'idea di elaborare un supplemento di parere per integrare le proposte del presente parere alla luce di tale valutazione della Commissione.

1.2   Le direttive sugli appalti pubblici (2) si prefiggono, tra gli altri obiettivi, di promuovere la qualità nel campo degli appalti pubblici. L'ultima revisione complessiva delle direttive risale al 2004, e il CESE insiste affinché un'eventuale nuova revisione venga svolta con la stessa attenzione e accuratezza di quella del 2004.

1.3   La revisione, di qualsiasi tipo essa sia, non può prescindere da un'analisi a 360 gradi dell'impatto e delle modalità di attuazione della direttiva negli Stati membri, nonché delle sentenze pronunciate dalla Corte di giustizia europea dal 2004 in poi. Si dovrebbe inoltre tener conto del fatto che, in tutta l'UE, un'esperienza di vasta portata nell'applicazione della direttiva è ancora un fenomeno piuttosto recente.

1.4   Occorre ridurre gli oneri burocratici inutili per conseguire i migliori risultati nell'interesse generale. È inoltre necessario evitare una legislazione complessa e una diffusa sovraregolamentazione (il cosiddetto gold-plating) nei singoli Stati membri dovute ad un recepimento non corretto della direttiva. La strategia Europa 2020 conferisce alla Commissione un ruolo più incisivo di monitoraggio in questo campo.

1.5   Il Comitato sottolinea come i principi di apertura e trasparenza, efficienza, certezza giuridica, rapporto qualità/prezzo, concorrenza, accessibilità al mercato per le PMI e le libere professioni, proporzionalità, come pure l'incremento degli appalti transfrontalieri, la non discriminazione e la lotta alla corruzione e, infine, l'esigenza di professionalità conservino tutta la loro validità.

1.6   Mette inoltre l'accento sul fatto che gli aspetti legati all'innovazione, nonché quelli ambientali e sociali, della strategia Europa 2020 incidono e sono importanti anche nel settore degli appalti pubblici.

1.7   Affinché gli Stati membri si impegnino più risolutamente ad attuare correttamente la direttiva e a integrare gli obiettivi della strategia nell'assegnazione dei contratti di appalti pubblici, il CESE esorta a riservare un'attenzione particolare a questo tema, che dovrebbe formare oggetto di un dibattito annuale in occasione del Consiglio (Competitività).

1.8   Negli Stati membri si registra un interesse crescente circa il ruolo che gli appalti pubblici rivestono in un'economia intelligente. Le autorità nazionali elaborano, in misura diversa, criteri ambientali e sociali di cui l'acquirente è obbligato a tener conto. Occorre inoltre tener conto dei requisiti speciali per gli appalti pubblici di servizi non descrivibili (3). Il dibattito annuale in sede di Consiglio dovrebbe esaminare anche le buone pratiche e le esperienze maturate.

1.9   Il CESE ritiene una grave lacuna del Libro verde il fatto che non vi vengano affrontate né l'esigenza di un livello soddisfacente di professionalità né la tendenza ad evitare l'assunzione di rischi da parte delle amministrazioni pubbliche. Un fattore chiave è quindi la professionalizzazione, al fine di promuovere l'innovazione. Gli Stati membri dovrebbero mettere a punto dei programmi di formazione destinati agli acquirenti. Il CESE caldeggia inoltre il ricorso all'analisi comparativa (benchmarking) e lo scambio di buone pratiche.

1.10   L'acquirente deve assumersi l'intera responsabilità delle ripercussioni sul piano economico, sociale e finanziario allorché definisce le caratteristiche dei lavori, dei prodotti o dei servizi richiesti. Questo può comportare la richiesta agli offerenti di presentare un'autocertificazione o una dichiarazione di conformità per quanto concerne il rispetto delle disposizioni nazionali di legge pertinenti, ad esempio nel campo delle norme sociali, mentre la presentazione di un certificato ufficiale verrebbe riservata all'aggiudicatario prescelto per l'appalto.

1.11   Soprattutto nel caso dei progetti di grandi dimensioni il CESE, considerata l'esigenza di promuovere lo sviluppo sostenibile, è a favore dell'applicazione del principio dei costi del ciclo di vita laddove opportuno.

1.12   Il Comitato si dichiara inoltre favorevole a mantenere la distinzione tra «servizi A» e «servizi B», a condizione che venga preservata la certezza giuridica e che sia esaminata la possibilità di estendere gli appalti transfrontalieri dei servizi di tipo B. Raccomanda alla Commissione di svolgere periodicamente un riesame dell'elenco dei servizi B onde stabilire se alcuni di essi non possano vantaggiosamente essere inseriti nell'elenco dei servizi A.

1.13   Occorre incrementare la partecipazione delle PMI, incluse le imprese dell'economia sociale. Considerato che tra le parti interessate i pareri in proposito divergono, il CESE non è favorevole a una modifica delle soglie. I miglioramenti necessari devono venire realizzati applicando correttamente il principio di «proporzionalità», adeguando i metodi di pubblicazione, ricorrendo in modo corretto agli appalti elettronici (bandi di gara online) e, se fattibile, suddividendo gli appalti. Il Comitato raccomanda altresì di adottare programmi di sostegno allo sviluppo di competenze delle PMI.

1.14   Tra gli obiettivi delle direttive figura anche la lotta ai favoritismi, alla frode e alla corruzione: la modernizzazione delle direttive dovrebbe quindi evitare di attenuarne il rigore delle disposizioni. Il CESE ritiene che la pubblicità preliminare di tutti gli appalti pubblici mediante un dispositivo di pubblicazione di appalti elettronici (bandi di gara online) contribuirebbe a impedire gli abusi.

1.15   Se è vero che fin dal 1971 uno dei principali scopi delle direttive è quello di promuovere gli appalti pubblici transfrontalieri in Europa, va detto che sino ad oggi i progressi registrati in questo campo sono insufficienti. Il CESE raccomanda un'analisi delle (buone) pratiche e dei casi esemplari riscontrabili negli Stati membri, accompagnata da misure volte ad una maggiore apertura dei mercati (4).

1.16   Il CESE raccomanda che, nel quadro degli appalti transfrontalieri, la giurisdizione competente venga stabilita fin dall'inizio della procedura di gara d'appalto.

2.   Introduzione

2.1   La Commissione europea include gli appalti pubblici tra le «dodici leve», presenta cioè il settore come un utile strumento per lo sviluppo di un mercato interno più ecologico, sociale e innovativo (5). Nel Libro verde in esame la Commissione sottolinea inoltre l'esigenza di efficienza e di semplificazione, di un accesso più agevole per le PMI e della promozione degli appalti transfrontalieri.

2.2   Nell'UE il settore degli appalti pubblici ha una lunga tradizione alle spalle, e comprende i metodi e i mezzi con cui le amministrazioni pubbliche e i servizi di pubblica utilità (6) soddisfano i loro fabbisogni mediante l'acquisto di lavori, forniture e servizi. Uno degli obiettivi principali in questo campo era e rimane quello di garantire condizioni di parità a livello europeo. Nonostante ciò, il numero di appalti transfrontalieri è tuttora estremamente ridotto. Il presente parere si concentra sulla direttiva (7) dove, secondo quanto sottinteso nelle proposte del Libro verde, i miglioramenti introdotti dovrebbero produrre i maggiori benefici relativi.

2.3   Il contenuto della direttiva è sostanzialmente procedurale, poiché essa contiene specifiche disposizioni di legge e garanzie che disciplinano le procedure per la presentazione delle offerte e per l'aggiudicazione degli appalti. Il contenuto di un appalto aggiudicato ai sensi della direttiva dipende interamente dall'amministrazione aggiudicatrice.

2.4   Facendo seguito alle direttive originarie sugli appalti pubblici (1972) e sui servizi di pubblica utilità (1993), le versioni di tali direttive adottate nel 2004 hanno modernizzato in misura sostanziale il settore degli appalti pubblici: le modifiche più importanti hanno riguardato la direttiva sulle amministrazioni aggiudicatrici (2004/18/CE), mentre modifiche di minore entità sono state introdotte anche nell'ultima versione della direttiva sui servizi di pubblica utilità (direttiva 2004/17/CE sulle imprese di servizio pubblico). La revisione delle direttive è il risultato di lunghe e approfondite discussioni tra le parti interessate, mentre esse vengono attuate in modo diverso a seconda dello Stato membro considerato per via di contesti culturali e tradizioni giuridiche differenti, nonché di una sovraregolamentazione a livello nazionale (gold-plating).

2.5   Sono stati presi in considerazione numerosi aspetti al fine di creare un mercato paneuropeo aperto e trasparente, tra cui: la certezza giuridica, la consapevolezza dei costi, il rapporto qualità/prezzo, la qualità, la concorrenza rafforzata, l'accesso al mercato per le PMI, la proporzionalità, l'innovazione, la sostenibilità - principio attualmente sancito dalla strategia Europa 2020 - i costi del ciclo di vita, la non discriminazione e la lotta contro la frode, la creazione di condizioni di parità e gli appalti transfrontalieri.

3.   Sviluppi successivi al 2004

3.1   Dalla data di adozione delle direttive molto è cambiato nel campo degli appalti in generale, e il processo è tuttora in corso. Il Libro verde esamina l'opportunità di introdurre, rendere possibili o rafforzare alcuni elementi che costituiscono la norma nel settore commerciale e in quello dei servizi di pubblica utilità.

3.2   Le tecniche più importanti sono l'innovazione, i negoziati e la sensibilizzazione del mercato. Esse vengono sempre utilizzate nel settore dei servizi di pubblica utilità e sono possibili, con alcune limitazioni, ai sensi della direttiva, ma in quest'ultimo caso non sono ampiamente diffuse. Se non le si praticano e, quindi, non si acquisisce un grado elevato di esperienza in materia, non è possibile creare una riserva di competenze sufficiente e, di conseguenza, non si ha alcuna prospettiva realistica che il ricorso a tali tecniche diventi la norma.

3.3   La direttiva, in uno sforzo di adeguarsi alle tecniche moderne, contempla anche altre tecniche quali gli appalti elettronici e le aste inverse. Se nel caso dei primi si osserva una diffusione piuttosto ampia, le seconde sono uno strumento davvero adeguato soltanto qualora ci si basi unicamente sui criteri del prezzo e della consegna. Il CESE pone inoltre l'accento sulla necessità di migliorare l'interoperabilità elettronica a livello transfrontaliero.

3.4   Al termine di approfondite discussioni sui servizi di interesse generale (SIG), si è giunti alla conclusione che i SIG non sono appalti in senso proprio, bensì servizi forniti dalle amministrazioni o per conto di queste. Il CESE ribadisce che le amministrazioni devono essere completamente libere di farsi carico in prima persona dei loro compiti, in tutto o in parte, o di decidere di esternalizzarne a loro piacimento. Parimenti, occorre tener conto dei sistemi degli Stati membri che osservano i principi di parità di trattamento, non discriminazione e trasparenza sanciti nel diritto primario dell'UE e contengono un diritto generale a realizzare prestazioni di servizi. Il SIG (8) in quanto tale non rientra quindi, in linea di principio, nel campo di applicazione della direttiva, mentre vi rientrerebbe effettivamente qualsiasi esternalizzazione o appalto aggiudicato da o per conto dell'amministrazione in relazione con detto servizio d'interesse generale.

L'articolo 14 e il protocollo 26 sui servizi di interesse generale del TFUE riconoscono la specificità e l'importanza dei servizi pubblici, e l'ampia discrezionalità delle autorità nazionali e degli enti regionali e locali in merito al modo in cui tali servizi vengono forniti, commissionati e organizzati. Tale discrezionalità si estende anche alla cooperazione interna e alla cooperazione pubblico-pubblico. È essenziale garantire un livello elevato di qualità, sicurezza e accessibilità economica, la parità di trattamento e la promozione dell'accesso universale e dei diritti degli utenti.

3.5   La direttiva non stabilisce in alcun modo quello che un'amministrazione debba o non debba appaltare o esternalizzare, ma si limita a definire le procedure necessarie per l'aggiudicazione dell'appalto o per l'esternalizzazione. Il CESE ritiene che tale libertà non vada limitata.

3.6   Negoziati

3.6.1   Il CESE esorta la Commissione a precisare nella direttiva in quali circostanze un'autorità aggiudicatrice possa aggiudicare un appalto direttamente ad un ente sul quale essa eserciti un controllo analogo a quello che esercita sui propri servizi interni. Il Comitato chiede di modificare la direttiva onde definire le condizioni pertinenti che consentano di derogare ai requisiti previsti dalla direttiva stessa.

3.6.2   Poiché viene dato sempre maggiore risalto alle proposte di soluzioni innovative e alle specifiche «basate sui risultati», la discussione tra gli acquirenti e gli offerenti nel corso della procedura di aggiudicazione dell'appalto è di cruciale importanza. Per questo motivo è necessario introdurre una procedura negoziata generale sul modello di quella prevista dalla direttiva sui servizi di pubblica utilità o analoga al dialogo competitivo ma senza limitarla ai casi di appalti «eccezionalmente complessi». Questo vale anche per le norme già in vigore per gli appalti pubblici di servizi non descrivibili.

3.6.3   Si è affermato che una simile procedura potrebbe consentire agli offerenti di presentare le loro proposte e che, in un secondo momento, l'acquirente potrebbe selezionare tra queste gli elementi migliori (fenomeno detto cherry-picking), combinarle in una serie di specifiche «ibride» e pubblicare queste ultime in un nuovo bando di gara, da realizzare senza alcun «negoziato». Si tratta di un'idea errata: gli offerenti devono poter godere della tutela della loro proprietà intellettuale - brevettata o meno - in qualsiasi momento; pertanto, senza il loro esplicito consenso, le loro idee non dovrebbero venire offerte ad altri fornitori né essere sfruttate da questi, neppure in forma ridotta.

3.6.4   La negoziazione di appalti, soprattutto se complessi, richiede ovviamente che l'acquirente disponga di un considerevole bagaglio di competenze. L'introduzione di una procedura negoziata generale dovrà essere accompagnata da una serie di misure volte a garantire che gli acquirenti possano disporre di personale dotato delle competenze e dell'esperienza necessarie.

3.7   Innovazione

3.7.1   Il tema dell'innovazione nel settore degli appalti pubblici viene discusso nel Libro verde. Per quanto riguarda gli appalti si possono individuare tre livelli principali:

la disponibilità ad accettare una soluzione innovativa per soddisfare un requisito usuale o ben noto;

la partecipazione alla formulazione di una soluzione; e

la sponsorizzazione di un progetto di sviluppo di una soluzione.

3.7.2   Il primo livello, il più semplice e probabilmente il più produttivo, è la disponibilità ad accettare una soluzione innovativa. Il CESE raccomanda di incoraggiare una maggiore apertura nei confronti delle proposte di soluzioni innovative da parte dell'acquirente, il quale dovrebbe disporre di competenze sufficienti. L'acquirente dovrebbe quindi essere disposto a prendere in esame soluzioni alternative, salvo esplicita disposizione contraria da parte sua. Spesso però la riluttanza dei funzionari pubblici ad agire in questo modo è dovuta non tanto a un qualche ostacolo amministrativo o giuridico, quanto alla tendenza ad evitare l'assunzione di rischi.

3.7.3   Lo stesso concetto di proposta alternativa si scontra tuttavia con una serie di barriere. La capacità di offrire soluzioni innovative è grandemente facilitata nella pratica se l'acquirente indica le proprie esigenze in termini di problemi da risolvere piuttosto che in termini di soluzioni: questo approccio consente all'offerente di utilizzare le competenze di cui dispone per proporre la soluzione più adatta, sia essa di tipo tradizionale o innovativa.

3.7.4   Quando un'amministrazione aggiudicatrice prende parte alla formulazione di una proposta innovativa, ad esempio allo sviluppo di un'importante banca dati, la sua partecipazione e il suo sostegno a tutti i livelli sono fondamentali: se vengono a mancare, il rischio di insuccesso del progetto è elevato.

3.7.5   Nell'ambito degli appalti pre-commerciali (9) si propone alle amministrazioni di sponsorizzare progetti di sviluppo di soluzioni innovative e di adottare per prime tali soluzioni. Si tratta di un'attività rischiosa date le possibilità che i progetti in questione si rivelino fallimentari. L'esperienza dimostra che ben poche amministrazioni sono adatte - per loro stessa natura, per la loro organizzazione interna o per le competenze di cui dispongono - a cimentarsi con una tale attività, che non può che essere avviata esercitando le dovute cautele.

3.7.6   La produzione e il consumo sostenibili sono ormai questioni considerate prioritarie: è infatti ampiamente riconosciuto che l'innovazione assume un notevole significato in termini di sviluppo sostenibile, ai fini della promozione di posti di lavoro decenti e di imprese valide all'interno dell'UE, nell'ambito della strategia Europa 2020. Se realizzata correttamente, la sostenibilità comporta significativi vantaggi economici. Nel caso di molti appalti occorre tener conto dei costi del ciclo di vita, che comprendono, a seconda dei casi, la qualità, il prezzo iniziale, i costi di manutenzione, di funzionamento e di smaltimento definitivo. Un approccio basato sulla qualità promuove l'innovazione, le buone pratiche e le buone condizioni di lavoro, il che a lungo termine porta ad una maggiore efficienza e ad un risparmio in termini di costi. Esistono metodi collaudati per la valutazione di questi costi. Il CESE raccomanda che vengano presi provvedimenti per incentivare gli acquirenti pubblici ad adottare e utilizzare tecniche di questo tipo.

4.   I motivi di una più approfondita modernizzazione

4.1   Aspetti giuridici

4.1.1   Un corretto recepimento delle direttive nelle legislazioni nazionali è essenziale, ma rimane un problema spinoso, al quale il Libro verde avrebbe dovuto fare esplicito riferimento. Troppo pochi sono gli Stati membri che tendono a recepire correttamente, quando in realtà un recepimento corretto è nell'interesse di tutte le parti in causa: la sovraregolamentazione nazionale (gold-plating) comporta maggiori oneri amministrativi e burocratici che creano ostacoli inutili, soprattutto per le PMI (la nozione di «PMI» e il riferimento alle imprese in generale devono comprendere tutte le forme di attori economici, siano essi orientati al profitto oppure no (non-profit), purché operino in condizioni di leale concorrenza e nel rispetto delle regole), e generano costi crescenti per l'amministrazione aggiudicatrice. Le disposizioni della direttiva sono chiare e non particolarmente complesse. Nonostante la diversità degli approcci e degli ordinamenti giuridici tra gli Stati membri, si dovrebbe evitare di introdurre obblighi e formalità aggiuntivi a quelli previsti dai testi dell'UE. Il CESE ritiene che la Commissione debba svolgere un più attivo monitoraggio del processo di attuazione degli atti legislativi dell'Unione, sforzandosi altresì di promuovere una maggiore semplicità e leggibilità delle legislazioni nazionali.

4.1.2   Si osserva un problema sistemico nell'applicazione della direttiva «ricorsi» nel settore degli appalti transfrontalieri. Nel quadro degli appalti transfrontalieri non è chiaro quale sia la giurisdizione competente, se quella dell'acquirente o quella del fornitore. Il CESE raccomanda che la giurisdizione competente venga stabilita all'inizio della procedura di gara d'appalto.

4.1.3   Nel caso di determinati contratti, in particolare quelli di lunga durata, le circostanze possono richiedere delle modifiche parziali delle disposizioni previste dal contratto - una situazione talvolta inevitabile, ma che aumenta il rischio di corruzione. La direttiva prevede, all'articolo 32, dei limiti alle modifiche che è possibile apportare agli accordi quadro, ma non stabilisce alcuna disposizione negli altri casi. A parere del CESE, se le norme venissero rese meno stringenti in modo da consentire in generale una maggiore flessibilità, si avrebbero ripercussioni negative quali un aumento del rischio di corruzione e/o un'insufficiente certezza delle relazioni contrattuali. Sotto questo riguardo, pertanto, il Comitato ritiene che la direttiva non debba essere modificata.

4.1.4   La direttiva suddivide i servizi in due categorie, i «servizi A» e i «servizi B»: i primi devono conformarsi a tutte le procedure previste dalla direttiva stessa, mentre i secondi sono soggetti, in genere, a un regime meno rigoroso. Il Libro verde si interroga sull'opportunità di mantenere tale distinzione, dal momento che numerosi tipi di servizi presentano sempre più un carattere transfrontaliero. Il CESE è favorevole a mantenere la distinzione tra le due categorie di servizi, a condizione che venga preservata la certezza giuridica e che sia esaminata la possibilità di trasferire i servizi transfrontalieri della categoria B nell'elenco della categoria A. Raccomanda inoltre alla Commissione di svolgere un riesame periodico dell'elenco dei servizi B onde stabilire se alcuni di essi non possano vantaggiosamente essere inseriti nell'elenco dei servizi A.

4.2   Aspetti pratici

4.2.1   Un ostacolo di rilievo al conseguimento di passi in avanti verso un corretto funzionamento del settore degli appalti pubblici è il fatto che le amministrazioni pubbliche dispongono di un livello insoddisfacente di professionalità e di competenze insufficienti in materia. Il Libro verde - ed è, questa, una sua grave lacuna - non prende in esame questa condizione essenziale per qualsiasi acquisto pubblico. Gli incentivi alle amministrazioni pubbliche affinché rimedino a queste carenze sono ancora troppo pochi. Il CESE raccomanda vivamente l'adozione di programmi di formazione destinati ai funzionari pubblici - soprattutto degli enti locali e regionali - su come condurre dei negoziati e realizzare degli appalti efficienti sotto il profilo dei costi/benefici (10).

4.2.2   Va detto inoltre che il settore degli appalti pubblici ha bisogno di una «rivoluzione culturale»: l'aggiudicazione degli appalti non è un puro e semplice lavoro impiegatizio, ma deve coinvolgere - a seconda del tipo di appalto - tutti i livelli e i dipartimenti dirigenziali, come infatti avviene in molte imprese commerciali. Il successo può essere garantito solo se l'amministrazione pubblica si impegna, a partire dalla dirigenza fino all'ultimo impiegato, ad applicare pratiche moderne in materia di appalti, con particolare riguardo alla gestione dei rischi. Le prassi adottate nel settore dei servizi di pubblica utilità possono fornire validi esempi e modelli.

4.2.3   È necessario promuovere la professionalizzazione della funzione di aggiudicazione degli appalti nel settore pubblico tramite lo sviluppo di competenze interne e l'assunzione di professionisti, rafforzando così il ruolo e il profilo di questo tipo di mansioni. Due soluzioni hanno dato buoni risultati in più di un'occasione: l'assunzione di dirigenti esperti negli acquisti provenienti da altri settori e la creazione di agenzie per gli acquisti incaricate di offrire consulenza all'amministrazione aggiudicatrice per l'intera durata della procedura di gara d'appalto. La qualità dei responsabili degli acquisti varia da uno Stato membro all'altro. Il CESE caldeggia inoltre il ricorso all'analisi comparativa (benchmarking) e lo scambio di buone pratiche.

4.2.4   Nella fase precedente alla gara d'appalto, funzionari esperti negli acquisti o responsabili di progetto dell'amministrazione pubblica interessata dovrebbero raccogliere informazioni su quanto è disponibile al momento sul mercato (traendole ad esempio da pubblicazioni tecniche, visite a fiere o esposizioni commerciali e colloqui con fornitori nei settori pertinenti) prima di predisporre la documentazione della gara d'appalto.

4.2.5   Occorre inoltre sviluppare maggiormente le competenze professionali delle PMI. Corsi specifici e la consulenza di esperti nelle procedure di gara d'appalto possono contribuire a migliorare le qualifiche e le conoscenze necessarie.

4.2.6   Uno degli aspetti della tendenza ad evitare l'assunzione di rischi da parte delle amministrazioni è il ricorso in misura eccessiva, nell'aggiudicare l'appalto, al «criterio del prezzo più basso». Infatti, sebbene per alcuni appalti non vengano applicati altri criteri realistici all'infuori del prezzo (e forse della consegna), nella maggior parte dei casi vi sono altri validi fattori che contribuiscono ad un esito migliore della gara. Il ricorso al criterio del prezzo più basso rappresenta un ostacolo all'innovazione e alla ricerca di maggior valore e migliore qualità, ossia di criteri contemplati dalla strategia Europa 2020, e non comporta necessariamente un incremento di valore.

4.2.6.1   Il ricorso al criterio del prezzo più basso dovrebbe pertanto diventare un'eccezione e non la regola. Il fatto di estendere il criterio di ciò che è «più vantaggioso sotto il profilo economico» alla valutazione dell'offerta più vantaggiosa dal punto di vista della sostenibilità permette alle amministrazioni di realizzare i migliori risultati in termini di sostenibilità ambientale, sociale ed economica. Il CESE incoraggia le amministrazioni a ricorrere alla valutazione dei costi del ciclo di vita ogniqualvolta sia possibile e opportuno.

4.2.7   I comuni - dato il numero elevato di comuni di medie e soprattutto di piccole dimensioni -dovrebbero essere incoraggiati, se non addirittura obbligati, a collaborare alla realizzazione di progetti con una massa critica sufficiente, sulla base di considerazioni finanziarie, di professionalità e di efficienza. Il CESE chiede che venga rivolta particolare attenzione a questo aspetto, raccomanda in ogni caso lo scambio di buone pratiche e sollecita un chiarimento sulle norme in materia di acquisti delle amministrazioni pubbliche in questo contesto.

4.2.8   Dall'analisi statistica risulta che sono soprattutto le PMI ad essere sottorappresentate nel settore degli appalti pubblici con un valore superiore alle soglie fissate dall'UE. Il Comitato caldeggia la creazione di condizioni di parità in questo settore, in modo da assicurare anche alle PMI una «equa percentuale» degli appalti pubblici; non è invece favorevole ad introdurre misure di discriminazione positiva per le PMI, per via, tra l'altro, del rischio di costruzioni artificiali, e, quindi, di corruzione. Malgrado ciò, le amministrazioni dovrebbero essere incoraggiate a suddividere, ove possibile, gli appalti in lotti in modo tale da rendere più visibili e, quindi, più accessibili le opportunità offerte alle PMI.

4.2.9   I pareri sono discordi in merito alle soglie stabilite dall'UE: fissate dopo attenta riflessione e al termine di un approfondito dibattito, esse sono coerenti con quelle previste dall'accordo sugli appalti pubblici sottoscritto nell'ambito dell'OMC (Government Procurement Agreement, GPA) e vengono periodicamente rivedute per tener conto dell'inflazione e delle variazioni del tasso di cambio. Alcuni chiedono che vengano innalzate e altri che vengano abbassate, ma poiché nessuno degli argomenti addotti appare decisivo, il CESE raccomanda di mantenere le soglie attualmente in vigore, anche per motivi di praticità. Al di sotto delle soglie si applicano le procedure vigenti in ciascuno Stato membro, nel rispetto degli obblighi stabiliti dal Trattato. È auspicabile che tali procedure nazionali siano quanto più possibile coerenti con le procedure previste dalla direttiva, non solo per evitare dubbi e confusione ma anche per far sì che gli acquirenti debbano applicare efficacemente un unico «pacchetto» di procedure.

4.2.10   Per promuovere la trasparenza e ridurre gli abusi, il CESE raccomanda la pubblicità preliminare di tutti gli appalti pubblici, senza alcuna eccezione; i bandi di gara relativi ad appalti con un valore al di sotto delle soglie e quelli relativi ai servizi di categoria B dovrebbero essere pubblicati in forma molto semplificata su uno specifico sito Internet per i bandi di gara online (11) che copra l'intero Spazio economico europeo (SEE).

4.2.11   Anche la spinta ad una maggiore professionalità può contribuire a semplificare le procedure nazionali, che oggi spesso comportano costi sproporzionati. Tenuto conto della grande diversità delle situazioni che si verificano nella realtà, occorre evitare la confusione e i conflitti di interpretazione. Metodi più semplici e diretti a livello nazionale dovrebbero servire da esempio anche in altri Stati membri.

4.2.12   Un'ulteriore barriera per le PMI è rappresentata dalla tendenza delle amministrazioni pubbliche a richiedere garanzie finanziarie, assicurazioni e garanzie di buona esecuzione. Per di più, oggi l'accesso alle risorse finanziarie tende ad essere più difficile, e per le PMI sarebbe uno spreco utilizzare le loro limitate risorse per fornire questo tipo di garanzie. Occorre rammentare alle amministrazioni pubbliche che, invece di fare affidamento sulle garanzie, esse hanno l'obbligo di evitare qualifiche e requisiti finanziari sproporzionati.

4.2.13   Si stanno adottando iniziative in questi settori per migliorare la situazione negli Stati membri. Il CESE raccomanda fortemente di stilare un elenco di buone pratiche e, in linea con le prassi in uso in alcuni Stati membri, di organizzare regolarmente riunioni a livello dell'UE tra noti esperti e le amministrazioni responsabili degli acquisti.

4.2.14   Per venire incontro alle esigenze delle PMI, le amministrazioni pubbliche potrebbero creare portali Internet per:

assicurare un più ampio accesso alle informazioni sugli appalti pubblici disponibili di importo inferiore alle soglie UE;

consentire alle PMI di indicare la propria disponibilità a valutare le opportunità di partenariato con altre PMI interessate; e

sviluppare, all'interno di un sito Internet centrale per i bandi di gara online, una sezione securizzata in cui le PMI possano caricare documentazione e inserire/aggiornare informazioni amministrative da mettere a disposizione delle amministrazioni aggiudicatrici.

5.   Interazione tra il settore degli appalti e altri ambiti d'intervento

5.1   Oltre a sottolineare l'obiettivo di una maggiore efficienza della spesa pubblica (12), il Libro verde sollecita un ventaglio di opinioni sulle possibilità di una più intensa interazione tra il settore degli appalti pubblici e altri ambiti d'intervento, in particolare l'innovazione, l'ambiente e il settore sociale.

5.2   Dal 2004 in poi lo sviluppo sostenibile e la crescita inclusiva sono considerati, insieme al rafforzamento della competitività, degli obiettivi prioritari, in seguito confermati anche dalla strategia Europa 2020: si tratta quindi di aspetti di cui occorre tener conto nel settore degli appalti pubblici.

5.3   Il CESE concorda con la Commissione in merito all'esigenza di incoraggiare le amministrazioni nazionali e regionali a tener conto di criteri sociali, il che significa che nel preparare la gara d'appalto esse dovrebbero essere libere di inserire tali aspetti.

5.4   La convenzione n. 94 dell'OIL sulle clausole di lavoro nei contratti stipulati da un'autorità pubblica, adottata nel 1949, è attualmente vincolante in 10 Stati membri dell'UE, mentre in altri, tra cui l'Irlanda, viene applicata su base volontaria negli appalti pubblici. Il CESE prende atto dei principi sanciti da tale convenzione e propone di incoraggiare gli Stati membri a ratificarla e ad attuarne i principi.

5.5   Il Comitato sottolinea che la direttiva formalizza una serie di norme procedurali che definiscono la relazione tra le parti contraenti di un appalto pubblico. In documenti precedenti la Commissione aveva stabilito, a seguito di ampie consultazioni, le modalità con cui le amministrazioni responsabili degli acquisti possono tener conto di prodotti, servizi e processi innovativi, nonché di obiettivi in campo sociale e ambientale, nel predisporre i contratti d'appalto (13) o nel ricorrere agli appalti pre-commerciali.

5.6   Nel campo dell'innovazione e degli appalti pubblici, sono senz'altro degni di interesse due testi pionieristici: la relazione Aho e A Lead Market Initiative (Mercati guida) (14). L'innovazione è un tema che interessa un amplissimo ventaglio di settori: l'alta tecnologia, l'economia/la società a basse emissioni di carbonio, il basso consumo di energia, i metodi nuovi e quelli alternativi per l'assistenza sanitaria e i servizi sociali, l'edilizia, i trasporti, le infrastrutture, ecc. Il Comitato mette l'accento sul fatto che la domanda può essere un motore fondamentale dell'innovazione (15), un fattore che da molti anni viene trascurato o sottovalutato, e contribuire indirettamente a stimolare l'impegno di università e centri di R&S, così come possono contribuirvi le costanti innovazioni realizzate, per esempio, dalle PMI e dai soggetti dell'economia sociale.

5.7   In risposta ad un certo numero di domande sollevate nel Libro verde, il CESE sottolinea che la responsabilità principale nel settore degli appalti pubblici spetta alle amministrazioni nazionali, regionali e locali, nonché alle autorità europee, le quali, nel quadro delle disposizioni delle direttive, devono tener conto, caso per caso, della giusta combinazione di criteri sociali di ogni tipo in senso lato - ossia gli aspetti propriamente sociali (16) (compreso il rispetto delle regolamentazioni sociali relative alla disabilità) e le altre considerazioni in materia di innovazione o di ambiente - e dei criteri dell'efficienza, dei periodi di produzione, dei costi, del numero di fornitori, dei possibili risultati delle gare d'appalto, ecc.

5.8   Le amministrazioni sono libere di stabilire requisiti specifici, anche di tipo ambientale e sociale. In alcuni casi sono obbligate a farlo dalla legislazione europea e/o nazionale, ad esempio per quanto concerne norme ambientali di portata generale o settoriali; in altri casi, invece, tali requisiti possono riguardare la realizzazione di progetti concreti (ad esempio, i lavori per grandi progetti infrastrutturali).

5.9   La portata delle specifiche tecniche deve essere ampliata, laddove opportuno, per includere anche le caratteristiche di produzione/di processo. Ciò semplificherebbe e renderebbe più trasparente il margine di manovra di cui dispongono le amministrazioni aggiudicatrici per compiere scelte importanti al fine di promuovere obiettivi di sostenibilità come la sostenibilità ambientale, il rispetto dei contratti collettivi, le norme e le condizioni di lavoro e il principio della parità salariale per lo stesso lavoro. La sentenza pronunciata nella causa sull'elettricità verde offre un chiaro esempio di come e perché le caratteristiche di produzione dovrebbero figurare tra le specifiche tecniche, e non semplicemente venire relegate tra i requisiti in materia di prestazione (17).

5.10   Il CESE raccomanda alla Commissione di pubblicare, se sarà necessario, un documento consolidato che integri le disposizioni della direttiva e la giurisprudenza pertinente della Corte di giustizia europea: questo documento aumenterà l'accessibilità e costituirà un utilissimo testo di riferimento unico ai fini di una maggiore certezza giuridica.

5.11   Sulla scia del dibattito più generale sulla necessità di un'economia intelligente in Europa, il tema del ruolo degli appalti pubblici in questo processo è sempre più al centro delle discussioni negli Stati membri (18). Le varie autorità nazionali definiscono criteri ambientali più o meno stringenti e, in misura inferiore, anche criteri sociali di cui l'acquirente è obbligato a tener conto. Gli accordi e le legislazioni nazionali sul lavoro differiscono notevolmente da uno Stato membro all'altro, e spetta a ciascun paese dell'Unione la responsabilità di garantire la conformità con la propria legislazione nazionale pertinente.

5.12   Il CESE propone che tale processo in corso formi oggetto di un dibattito annuale in sede di Consiglio (Competitività). Il dibattito dovrebbe far emergere le buone pratiche e le esperienze maturate. Una crescente convergenza delle pratiche in uso negli Stati membri servirà inoltre a migliorare le condizioni di realizzazione degli appalti transfrontalieri.

5.13   Quali che siano i requisiti sociali o ambientali scelti dall'amministrazione quali criteri di aggiudicazione, deve essere possibile valutarli e attribuire loro una ponderazione relativa rispetto a criteri di altro tipo.

5.14   Uno dei criteri su cui le amministrazioni aggiudicatrici potrebbero basarsi, nei limiti del mandato relativo a un determinato appalto, è assicurarsi che gli offerenti, oltre a conformarsi ai criteri definiti negli articoli 44-51 della direttiva (19), rispettino anche le normative sociali (in particolare in materia di integrazione delle persone con disabilità (20)), poiché l'aggiudicazione di un appalto da parte di un'amministrazione pubblica a un ente che non si conformi a tali norme sarebbe contrario sia al diritto europeo che alla legislazione nazionale.

5.15   Le autorità nazionali dovrebbero prevedere l'obbligo per gli offerenti di presentare un'autocertificazione o una dichiarazione di conformità da cui risulti che l'operatore economico interessato rispetta la legislazione applicabile in ciascuno Stato membro in materia di integrazione delle persone con disabilità nel mercato del lavoro: ad esempio, rispetta - negli Stati membri in cui sia in vigore un tale requisito previsto dalla legge - l'obbligo di assumere un determinato numero o una determinata quota di persone con disabilità.

5.16   Un altro requisito in campo sociale deve chiaramente consistere nel definire, ove opportuno, le specifiche tecniche in modo da tener conto dei criteri di accessibilità per le persone con disabilità e di una progettazione adeguata per tutti gli utenti.

5.17   Un altro aspetto di cui occorre tener conto, nello sforzo di garantire pari opportunità a tutti i cittadini e di contribuire al loro inserimento nella società, riguarda l'aggiudicazione di appalti riservati a laboratori protetti in cui lavorano persone con disabilità, possibilità espressamente prevista dal considerando 28 e dall'articolo 19 della direttiva 2004/18/CE. A giudizio del CESE, la Commissione dovrebbe esplicitamente raccomandare che venga introdotto l'obbligo di aggiudicare una determinata quota o un determinato numero di appalti di questo tipo negli Stati membri in cui l'adozione di una simile norma sia giustificata, ad esempio qualora in uno Stato membro si registri una percentuale elevata di inattivi tra le persone con disabilità in grado di lavorare.

5.18   Occorre poi affrontare il tema specifico della complessità delle regole che disciplinano gli appalti pubblici in materia di servizi sociali di interesse generale. Il Libro verde (sezione 4.4) si interroga sull'opportunità di innalzare le soglie applicabili per questi servizi onde tener meglio conto delle caratteristiche specifiche dei servizi sociali. Il Comitato desidera seguire con attenzione gli sviluppi in corso in questo settore, in particolare con la pubblicazione della comunicazione COM(2011) 206 definitivo, ed è consapevole che non sono auspicabili modifiche selettive delle soglie.

5.19   Nel quadro della realizzazione degli obiettivi della strategia Europa 2020, la Commissione dovrebbe vedersi affidare il compito di monitorare da vicino questo processo di modernizzazione negli Stati membri. L'attività di monitoraggio della Commissione verrebbe sicuramente agevolata dalla pubblicazione su un sito Internet di tutti gli avvisi di aggiudicazione degli appalti - a prescindere dal loro valore - completi dell'indicazione del tipo di impresa vincitrice (microimpresa, PMI o impresa di grandi dimensioni) e dell'importo dell'appalto.

6.   Pratiche insoddisfacenti

6.1   Tra gli obiettivi della direttiva figura la lotta ai favoritismi, alla frode e alla corruzione. Si tratta certamente di pratiche non riscontrabili soltanto in materia di appalti pubblici, ma - come si osserva nel Libro verde - la mancanza di una disciplina commerciale nel settore aggrava la dimensione del fenomeno, dal momento che è possibile che lo Stato non eserciti sempre la dovuta vigilanza su comportamenti di questo tipo da parte delle sue stesse agenzie. La direttiva non può sostituire le norme anticorruzione o quelle sulla concorrenza ma, grazie alle stringenti disposizioni procedurali in essa contenute, offre un'ulteriore linea di difesa.

6.2   Il CESE ritiene necessario rafforzare le disposizioni in materia di subappalti. La stratificazione di molteplici livelli di subappalto può rendere difficile far rispettare i contratti collettivi, le condizioni di lavoro e le procedure in materia di salute e sicurezza. Le autorità pubbliche dovrebbero disporre di un maggiore margine di manovra per far sì che l'appalto rispetti i criteri di qualità e gli obiettivi sociali e ambientali. I dettagli in merito ai subappaltatori principali andrebbero definiti prima di aggiudicare l'appalto, e l'autorità pubblica dovrebbe specificare le responsabilità, anche finanziarie, dei subappaltatori, per garantire l'efficacia della sorveglianza del contratto. Le autorità pubbliche dovrebbero disporre di meccanismi che consentano loro di svolgere verifiche sui subappaltatori e di rifiutarli, qualora l'esito del controllo desti qualche preoccupazione.

6.3   In genere l'appalto dovrebbe essere aggiudicato a un aggiudicatario principale qualificato ed esperto nella realizzazione del lavoro, della fornitura o del servizio in questione. L'aggiudicatario principale assume la responsabilità dell'intero appalto e risponde all'amministrazione aggiudicatrice della sua esecuzione. Tale responsabilità comprende tra l'altro la gestione dell'acquisto di materiale e di eventuali subappalti. La procedura per penalizzare ed escludere gli offerenti a norma dell'articolo sulle offerte anormalmente basse dovrebbe essere meno complessa, in particolare per quanto riguarda il rispetto delle norme in vigore in materia di tutela del lavoro e condizioni di lavoro. La procedura attuale, piuttosto complessa, prevede che prima di poter rifiutare un'offerta sia obbligatorio formulare delle richieste scritte. Occorre inoltre rivedere le disposizioni in materia di informazioni sugli aspetti economici del metodo di costruzione, del processo di fabbricazione o dei servizi prestati. Si dovrebbe introdurre l'obbligo per gli offerenti di fornire informazioni all'amministrazione aggiudicatrice, invece di costringere quest'ultima a raccogliere essa stessa tali dati. La direttiva andrebbe emendata per introdurvi queste modifiche nell'interesse della promozione di condizioni di lavoro dignitose, della parità di trattamento tra i lavoratori e dei criteri di sostenibilità in senso lato.

6.4   Dalle informazioni disponibili emerge che la pratica insoddisfacente più diffusa è il favoritismo, con il che s'intende che l'amministrazione aggiudicatrice assegna gli appalti ad un proprio fornitore favorito, talvolta senza neppure dare pubblicità alla sua intenzione di concludere un contratto. È difficile individuare tali attività «sotterranee», dato che vengono alla luce solo quando l'appalto è già stato aggiudicato. Il CESE ritiene che la pubblicità preliminare di tutti gli appalti pubblici mediante un dispositivo di pubblicazione di appalti elettronici (bandi di gara online) servirebbe a impedire questo tipo di abusi senza gravare le amministrazioni pubbliche di oneri eccessivi.

6.5   Il CESE sottolinea che occorre fare di più a sostegno della verifica del rispetto delle condizioni dell'appalto dopo la sua aggiudicazione, anche mediante l'introduzione di clausole di prestazione nel contratto di appalto. Oggigiorno le autorità devono far fronte a pressioni crescenti in termini finanziari e di risorse a causa della crisi, e nello stesso tempo gli enti responsabili dei controlli nel campo della salute e della sicurezza, delle norme del lavoro e della protezione dell'ambiente si trovano costretti anch'essi a subire dei tagli. Poiché annullare una gara d'appalto e indire una nuova gara può comportare costi molto elevati, le autorità possono apparire impotenti di fronte a un fornitore inadempiente. Il bilancio di un appalto dovrebbe mettere in conto anche i costi necessari a garantire il rispetto degli obblighi contrattuali, e si dovrebbe inoltre contemplare una serie di altre sanzioni in caso di inadempienza a tali obblighi.

6.6   Sono indispensabili nelle imprese provvedimenti rigorosi per prevenire la corruzione. Per incoraggiare questo approccio, andrebbero sostenute le misure prese dalle imprese stesse e volte a fare pulizia dopo che si siano riscontrati comportamenti scorretti. Le imprese che, dopo aver concluso positivamente un tale processo, si comportano in maniera esemplare dovrebbero poter rientrare nel mercato. I rigidi requisiti che devono valere a tal fine dovrebbero essere stabiliti nella direttiva per evitare le pratiche divergenti attualmente applicate negli Stati membri.

7.   Dimensione esterna

7.1   La dimensione esterna del settore degli appalti pubblici dell'UE non può ignorare gli obblighi che incombono all'Unione in materia di promozione di condizioni di lavoro dignitose, eguaglianza, rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali e delle norme del lavoro, tutela dell'ambiente ed efficienza energetica nei paesi terzi. Sono, questi, principi che non dobbiamo dimenticare quando operiamo fuori dai confini dell'Unione europea. Qualsiasi revisione delle regole che disciplinano gli appalti pubblici deve rafforzare il rispetto di questi principi sia esternamente che all'interno dell'UE. Occorre fare di più a livello europeo per migliorare gli standard sociali e ambientali nelle catene di approvvigionamento, e la stessa questione va affrontata in parallelo anche nel campo della politica commerciale. La Commissione europea deve impegnarsi seriamente con i principali soggetti interessati, come sindacati e ONG, per mettere a punto strategie e strutture valide e funzionanti.

7.2   L'accordo sugli appalti pubblici sottoscritto nell'ambito dell'OMC (GPA) rappresenta il quadro e la piattaforma finalizzati a creare condizioni di parità nel settore degli appalti pubblici a livello mondiale; si dovrebbe quindi incoraggiare il maggior numero possibile di paesi ad aderirvi.

7.3   Mercati internazionali aperti nel campo degli appalti pubblici rappresentano un vantaggio per gli offerenti europei, dato che molte imprese europee, tra cui anche delle PMI, sono leader mondiali nei settori dell'edilizia, dei lavori pubblici, delle energie alternative e della tutela dell'ambiente (21). Il CESE insiste sul fatto che l'UE deve puntare a migliorare l'accesso delle imprese europee ai mercati degli appalti pubblici dei paesi terzi. È necessario che la reciprocità sia garantita (22).

7.4   Il CESE ritiene della massima importanza che le imprese (pubbliche) dei paesi terzi si conformino alle stesse regole in materia di appalti pubblici che valgono per le imprese situate in Europa quando partecipano a gare d'appalto pubbliche nell'UE, soprattutto in termini di aiuti di Stato diretti o indiretti vietati, di metodo di calcolo dei prezzi e di presa in conto precauzionale di costi e rischi. Garantire l'effettivo rispetto delle norme non è un compito facile. Occorre trovare una soluzione soddisfacente a questo problema nel quadro della revisione della direttiva del 2004 (23).

Bruxelles, 13 luglio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Cfr. i pareri del CESE pubblicati in GU C 93 del 27.4.2007, pag. 25, e in GU C 24 del 31.1.2006, pag. 52.

(2)  Cfr. la direttiva relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (la cosiddetta direttiva «classica») 2004/18/CE e la direttiva sulle imprese di servizio pubblico 2004/17/CE. Nel presente parere viene esaminata in particolare la direttiva «classica», di seguito denominata «la direttiva».

(3)  Un'attività professionale indipendente incentrata su un tipo di mansione che non è possibile descrivere anticipatamente in termini chiari ed esaustivi.

(4)  Cfr. il considerando 2 della direttiva: «ed assicurare l'apertura degli appalti pubblici alla concorrenza».

(5)  Cfr. la comunicazione della Commissione L’Atto per il mercato unico - Dodici leve per stimolare la crescita e rafforzare la fiducia - «Insieme per una nuova crescita», COM(2011) 206 definitivo, sezione 2.12 intitolata Gli appalti pubblici.

(6)  Enti operanti nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali.

(7)  2004/18/CE (direttiva sugli appalti pubblici).

(8)  Cfr. gli articoli 14 e 106 del TFUE e il protocollo n. 26 del TFUE.

(9)  Appalti pre-commerciali: promuovere l’innovazione per garantire servizi pubblici sostenibili e di elevata qualità in Europa - COM(2007) 799 definitivo.

(10)  Un esempio è offerto dalla fondazione olandese Pianno. Nello stesso ordine di idee, la Confederazione delle industrie olandesi e l'Associazione dei comuni olandesi progettano il lancio di una vasta campagna congiunta in tutti i Paesi Bassi rivolta ai funzionari della pubblica amministrazione responsabili degli acquisti pubblici.

(11)  Cfr. sugli appalti elettronici, GU C 248 del 25.8.2011, pag. 149.

(12)  Libro verde, pagina 4, terzo paragrafo.

(13)  Cfr. le note a pagina 34 del Libro verde; cfr. anche la guida Costruire per tutti (progetto Build for All), novembre 2006, intesa all'inclusione di criteri di accessibilità nelle procedure di aggiudicazione di appalti pubblici.

(14)  Cfr. la relazione del gruppo Aho Creating an Innovative Europe (Creare un’Europa innovativa), 2006, e A Lead market Initiative, CE - ottobre 2010.

(15)  Tra gli altri testi, cfr. Public procurement and innovation - Resurrecting the demand side («Appalti pubblici e innovazione - Il rilancio dal lato della domanda») Jakob Edler, Luke Georghiu, www.sciencedirect.com, Research Policy (2007), pagg. 949-963.

(16)  Cfr. il manuale Buying social - A Guide to Taking Account of Social Considerations in Public Procurement («Acquisti ispirati a criteri sociali - Una guida per tener conto delle considerazioni sociali negli appalti pubblici») - SEC(2010) 1258, elaborato dalla Commissione europea nell'ottobre 2010.

(17)  Cfr. la causa C-448/01 EVN AG/Austria (2003), Raccolta della giurisprudenza pag. I – 14527 (EVN – Wienstrom).

(18)  Per un'ampia panoramica, cfr. il compendio Corporate Social Responsibility, National Public Policies in the European Union («Responsabilità sociale delle imprese - Politiche pubbliche nazionali negli Stati membri dell'Unione europea»), novembre 2010.

(19)  Articolo 44: Accertamento dell'idoneità; Articoli 45-51: Criteri di selezione qualitativa.

(20)  Strategia europea sulla disabilità 2010-2020: un rinnovato impegno per un'Europa senza barriere - COM(2010) 636 definitivo.

(21)  Cfr. i pareri del CESE Gli appalti pubblici internazionali (GU C 224 del 30.8.2008, pag. 32). e Le imprese pubbliche dei paesi terzi sui mercati UE degli appalti pubblici, GU C 218 del 23.7.2011, pag. 31.

(22)  Per quanto riguarda gli aspetti sociali, cfr. il parere recentemente adottato dal CESE sul tema La politica industriale integrata per l'era della globalizzazione, GU C 218 del 23.7.2011, pag. 38.

(23)  Cfr. il parere, GU C 218 del 23.7.2011, pag. 31, che esamina in modo approfondito questa particolare questione.


29.10.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/121


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al «Libro verde — Trasformare le sfide in opportunità: verso un quadro strategico comune per il finanziamento della ricerca e dell'innovazione dell'Unione europea»

COM(2011) 48 definitivo

2011/C 318/20

Relatore: WOLF

Correlatore: SVENSSON

La Commissione europea, in data 9 febbraio 2011, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al:

Libro verde — Trasformare le sfide in opportunità: verso un quadro strategico comune per il finanziamento della ricerca e dell'innovazione dell'Unione europea

COM(2011) 48 definitivo.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 giugno 2011.

Alla sua 473a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2011 (seduta del 13 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 122 voti favorevoli e 5 astensioni.

1.   Osservazioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato accoglie con favore il Libro verde della Commissione e gli obiettivi in esso formulati, conferma quanto già affermato in alcuni suoi pareri attinenti alla materia del Libro verde e, anche alla luce della relazione del gruppo di esperti sulla valutazione intermedia del Settimo programma quadro (7PQ), raccomanda alla Commissione europea di:

1.1.1

sviluppare, grazie a misure strutturali aggiuntive nell'ambito della Commissione e degli organi consultivi che la assistono, una strategia integrata per la ricerca e l'innovazione, mantenendone nel contempo le rispettive identità e le specifiche condizioni di lavoro,

1.1.2

adeguare finalmente la quota del futuro bilancio generale UE destinata alla ricerca e all'innovazione, portandola a un livello che rispecchi effettivamente il rilievo e il ruolo cruciale loro attribuiti dalla strategia Europa 2020 nonché il loro forte effetto di stimolo e integrazione delle necessarie politiche di sostegno adottate dagli Stati membri,

1.1.3

snellire le procedure amministrative richieste, rendere più rapidi e flessibili i processi decisionali, e adeguare di conseguenza le competenze tecniche e il mandato dei funzionari della Commissione,

1.1.4

concentrarsi sulle iniziative transnazionali - come in particolare la ricerca in collaborazione - che, grazie alla messa in comune (pooling) di risorse e competenze a livello transfrontaliero, creano un valore aggiunto europeo,

1.1.5

dirigere i fondi strutturali verso regioni finora sottorappresentate, al fine di costituire la base di eccellenza e le strutture ivi necessarie e di migliorare i collegamenti tra fondi strutturali e programma quadro,

1.1.6

sostenere lo sviluppo di «tecnologie abilitanti fondamentali», senza le quali non si può vincere la sfida della competizione globale né si possono affrontare con successo le principali questioni sociali,

1.1.7

destinare il 20 % del bilancio complessivo del futuro (ottavo) programma quadro (8PQ) alla parte di tale programma gestita dal Consiglio europeo della ricerca,

1.1.8

promuovere la realizzazione e la manutenzione delle grandi infrastrutture di R&S (elenco ESFRI),

1.1.9

sostenere l'innovazione nella sua totalità, comprese le innovazioni in campo sociale ed economico, nel luogo di lavoro e nell'«industria creativa»,

1.1.10

migliorare le norme per il sostegno alle PMI e alle microimprese, in modo da agevolarne l'accesso e la partecipazione ai programmi di sostegno e ai relativi strumenti,

1.1.11

instaurare un quadro di riferimento (più) solido per capitali di rischio (risk capital) sufficienti e consentire, in particolare alle PMI, un accesso agevole a questi capitali; a tal fine, sviluppare e adattare anche il meccanismo di finanziamento con ripartizione dei rischi (Risk-Sharing Finance Facility – RSFF),

1.1.12

riconsiderare il ruolo degli aiuti di Stato nonché del diritto della concorrenza e degli appalti in vista del loro effetto sull'intero processo dell'innovazione, sulla creazione di competenze specialistiche e sui partenariati pubblico-privati.

1.2   Il Comitato esorta inoltre gli Stati membri a fare appieno la loro parte, che è di cruciale importanza, nell'attuazione della strategia Europa 2020, investendo maggiormente - anche in un periodo di ristrettezze di bilancio come questo - in istruzione (anche e soprattutto universitaria), R&S e innovazione, e conseguendo così finalmente - e, preferibilmente, superando - il ben noto obiettivo del 3 % per gli investimenti in R&S già fissato a suo tempo dalla strategia di Lisbona.

2.   Contenuto essenziale del Libro verde

2.1   L'obiettivo del Libro verde in esame è stimolare un dibattito pubblico sui principali temi da tenere presenti per i futuri programmi dell'UE per il finanziamento della ricerca e dell'innovazione.

2.2   Per migliorare i programmi futuri, la Commissione propone di intraprendere le seguenti azioni:

chiarire gli obiettivi e le modalità seguite per tradurli nelle attività finanziate;

ridurre la complessità;

aumentare il valore aggiunto e l'effetto leva, evitando duplicazione e frammentazione;

semplificare la partecipazione;

ampliare la partecipazione ai programmi dell'UE e agevolare l'accesso agli stessi;

aumentare l'impatto degli aiuti dell'UE a livello di competitività e di società.

2.3   La Commissione intende sviluppare un quadro strategico comune che comprenda tutti i finanziamenti dell'UE a favore di ricerca e innovazione attualmente concessi nell'ambito del 7PQ e del Programma quadro per la competitività e l'innovazione (CIP) nonché delle iniziative dell'UE per l'innovazione come l'Istituto europeo di innovazione e tecnologia (EIT).

2.4   Il Libro verde pone 27 quesiti specifici in relazione ai seguenti obiettivi operativi:

collaborare all'attuazione di Europa 2020;

affrontare le sfide sociali;

rafforzare la competitività;

rafforzare la base scientifica dell'Europa e lo Spazio europeo della ricerca.

2.5   Il bilancio dei singoli programmi pertinenti nel periodo di programmazione in corso (2007-2013) è il seguente:

7PQ: 53,3 miliardi di euro;

CIP: 3,6 miliardi di euro;

EIT: 309 milioni di euro;

politica di coesione: circa 86 miliardi di euro (quasi il 25 % del bilancio complessivo dei fondi strutturali).

3.   Osservazioni generali

3.1   Alla luce delle decisioni del Consiglio del 26 novembre 2010 e del 4 febbraio 2011, nonché di una serie di pareri già formulati dal Comitato (v. oltre), quest'ultimo accoglie con favore il Libro verde pubblicato dalla Commissione e le assicura il suo appoggio in relazione a tale documento, condividendone l'intento di riunire in un quadro strategico comune l'azione di tutti gli strumenti dell'UE in materia di ricerca e sviluppo. Un programma UE di sostegno che persegua questi obiettivi in maniera energica ed efficace è un presupposto decisivo per rafforzare la competitività, assicurare la prosperità e salvaguardare le conquiste sociali dell'Europa e superare le grandi sfide che si profilano per la sua società.

3.2   Tuttavia, osserva anche che ciò comporta innanzitutto la necessità di destinare la quota necessaria e appropriata del futuro bilancio globale dell'UE a questi obiettivi prioritari. Il futuro bilancio per la ricerca e l'innovazione deve corrispondere alla quota di quello generale dell'UE che rispecchia effettivamente il rilievo e il peso loro attribuiti dalla strategia Europa 2020 nonché il loro forte effetto di stimolo e integrazione delle altrettanto necessarie politiche di sostegno adottate dagli Stati membri.

3.3   Il titolo del parere esplorativo del Comitato Sfruttare e sviluppare il potenziale dell'Europa nel campo della ricerca, dello sviluppo e dell'innovazione  (1), adottato nel 2007, indicava già il compito fondamentale della strategia Europa 2020. È precisamente a questo scopo che è necessario sviluppare una strategia comune per i programmi di finanziamento dell'UE in materia di ricerca e innovazione.

3.4   Tuttavia, ciò non dovrebbe condurre a confondere ricerca e innovazione o a subordinare l'una all'altra; si tratta piuttosto di assicurarsi che, grazie a una strategia comune, queste due attività si sostengano e stimolino a vicenda nella maniera più efficace possibile.

3.5   Di conseguenza, e ferma restando tale premessa, il Comitato condivide altresì gli obiettivi citati al punto 2.5.

3.6   Negli ultimi anni il Comitato ha adottato diversi altri pareri di cruciale importanza in merito a questi obiettivi e alle complesse questioni che essi implicano. Tra questi pareri, val la pena di ricordare almeno quelli dedicati ai seguenti temi:

Nuove prospettive per lo Spazio europeo della ricerca  (2);

La cooperazione e il trasferimento delle conoscenze tra gli organismi di ricerca, l'industria e le PMI: un presupposto importante per l'innovazione  (3);

Quadro giuridico comunitario per l'Infrastruttura di ricerca europea (ERI)  (4);

Per una programmazione congiunta della ricerca: cooperare per affrontare più efficacemente le sfide comuni  (5);

Quadro strategico europeo per la cooperazione internazionale in campo scientifico e tecnologico  (6);

Nuovi orizzonti delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione - una strategia di ricerca sulle tecnologie emergenti e future in Europa  (7);

Rivedere la politica comunitaria a favore dell'innovazione nella prospettiva di un mondo che cambia  (8);

Investire nello sviluppo di tecnologie a basse emissioni di carbonio (il piano SET)  (9);

Preparare il nostro futuro: elaborare una strategia comune per le tecnologie abilitanti fondamentali nell'UE  (10);

Semplificare l'attuazione dei programmi quadro di ricerca  (11);

Iniziativa faro Europa 2020 - L'Unione dell'innovazione  (12);

Luoghi di lavoro innovativi quali fonti di produttività e di lavoro di qualità  (13);

Valutazione intermedia del Settimo programma quadro per le attività di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione  (14).

Questi pareri hanno già formulato raccomandazioni concrete in merito alla maggior parte degli obiettivi indicati e delle questioni affrontate nel Libro verde. Pertanto il Comitato richiama espressamente i pareri summenzionati, ne ribadisce i contenuti e chiede di considerarli parte integrante di questo parere. Esso richiama inoltre la relazione del gruppo di esperti sulla valutazione intermedia del Settimo programma quadro (15), e formula una serie di osservazioni che ribadiscono o completano quelle formulate nei suddetti pareri.

3.7   L'elenco di quesiti compreso nel Libro verde ed esaminato nella sezione 4 di questo parere lascia supporre che la Commissione consideri la possibilità di introdurre modifiche radicali negli attuali schemi di finanziamento e nelle priorità finora fissate. Sul punto il Comitato richiama il suo parere Semplificare l'attuazione dei programmi quadro di ricerca e sottolinea con forza l'importanza di garantire la continuità e la stabilità degli strumenti di finanziamento di provata efficacia (con particolare riguardo alla «ricerca in cooperazione»), che occorre essenzialmente mantenere (16) e rafforzare anziché indebolire con cambiamenti eccessivi.

3.7.1   Il quadro strategico comune dovrebbe invece essere instaurato soprattutto grazie a misure strutturali aggiuntive nell'ambito della Commissione e degli organi consultivi che la assistono. A tal fine, occorrerebbe tra l'altro fondere, in termini di programmi e di gestione, misure oggi rientranti nell'attuale programma quadro per la ricerca, il CIP e l'EIT.

3.7.2   Come più volte posto in luce dal Comitato, per far ciò è inoltre necessario che i funzionari che - all'interno della Commissione ma anche delle agenzie che per essa lavorano - sono responsabili dei singoli programmi siano esperti riconosciuti a livello internazionale e di comprovata esperienza nel rispettivo settore, e abbiano margini discrezionali e spazi di iniziativa sufficienti da consentir loro di porre le loro competenze specifiche e capacità di giudizio al servizio di questa strategia comune, garantendone così la riuscita (17). Un obiettivo, questo, che non può essere raggiunto - o quantomeno non esclusivamente - mediante regole rigide e restrittive (18), bensì solo o soprattutto grazie a sistemi stabili ma flessibili applicati con competenza ed esperienza.

3.7.3   Il Comitato ha più volte sottolineato la cruciale importanza dell'innovazione per la strategia Europa 2020. Tuttavia, esso ribadisce anche che le innovazioni non sono necessariamente il frutto di uno sviluppo lineare (per cui alla ricerca consegue sempre l'innovazione), ma nascono piuttosto da un processo di notevole complessità, ossia dal concorso e dalla sinergia di diversi fattori di partenza  (19), ed implicano altresì aspetti sociali ed economici. Ciò vale in particolare per le innovazioni nel campo dei servizi, molto spesso indotte da nuovi bisogni dei consumatori, e per quelle nell'economia sociale che rispondono a esigenze della società; ma vale anche, ad esempio, per le innovazioni riguardanti i luoghi di lavoro (20), sviluppate o negoziate tra le parti sociali, come pure per le innovazioni nei campi del design e delle attività artistiche. La strategia europea sulla disabilità 2010-2020 (lanciata con una comunicazione della Commissione) indica poi un ulteriore esempio di settore importante per l'innovazione in quei servizi, pubblici o commerciali, che mirano a rendere prodotti e servizi accessibili ai disabili in modo da consentire anche a queste persone di integrarsi pienamente nella società europea.

3.7.4   Il Comitato fa notare che la ricerca e la scienza sono anche componenti fondamentali della cultura europea, che caratterizzano l'evoluzione dell'Europa dall'illuminismo in poi. Se tali attività sono un presupposto importante per l'innovazione, è anche vero che esse devono essere riconosciute, preservate e sostenute anche in quanto rappresentano di per se stesse un elemento della civiltà e della cultura europee. L'innovazione non deve essere subordinata alla ricerca, né la ricerca può essere subordinata all'innovazione (21). Ciò infatti provocherebbe un impoverimento culturale di valori europei di fondamentale importanza.

3.7.5   Vi è un'altra importante differenza tra ricerca e innovazione: quella tra le «regole di base» applicabili agli operatori e agli ambienti di lavoro («culture del lavoro») nel campo della scienza e della ricerca e quelle vigenti nel campo dell'innovazione. Sul punto il Comitato si rifà al suo parere La cooperazione e il trasferimento delle conoscenze tra gli organismi di ricerca, l'industria e le PMI: un presupposto importante per l'innovazione, che esamina in dettaglio i diversi aspetti della questione (22). Nella strategia comune, quindi, è necessario elaborare soluzioni che rispettino queste differenze e si adattino ad esse, ma nel contempo rendano possibile sostenere l'intero processo dell'innovazione.

3.7.6   È proprio per questo motivo che sono particolarmente importanti, e bisognosi di sostegno, dei buoni contatti e degli scambi di personale e competenze tra il mondo della ricerca e quello dell'innovazione. Il Comitato richiama l'attenzione sul suo parere sulla «valutazione intermedia del 7PQ» (23), in cui tratta dei tre assi fondamentali proposti dal gruppo di esperti, ossia Science for knowledge («scienza per la conoscenza», in cui le priorità sono fissate dai ricercatori), Science for competitiveness («scienza per la competitività», in cui esse sono fissate dalle imprese) e Science for society («scienza per la società», in cui esse sono fissate dagli attori della società civile).

3.8   Quanto alla supposta frammentazione dell'R&S europea - una diagnosi più volte enunciata in termini fin troppo generici dalla Commissione -, il Comitato ammette che possano esistere casi siffatti, ma reputa anche che essi non siano affatto indicativi della situazione nel suo complesso. Il Comitato ribadisce (24) quindi che è un dato di fatto che esistono da tempo legami e reti di cooperazione a livello europeo, e in molti casi anche mondiale, i cui confini sono continuamente adattati e ridisegnati dall'interazione tra cooperazione e concorrenza. Si tratta di importanti processi di auto-organizzazione da parte dei diversi attori interessati e delle rispettive organizzazioni, che la Commissione farebbe bene a riconoscere anziché continuare ad ignorare, tanto più alla luce del fatto che i programmi quadro di R&S (e in particolare la ricerca in collaborazione) hanno recato a loro volta un notevole contributo a questi risultati.

3.9   Il Comitato raccomanda inoltre di prestare maggiore attenzione e sostegno al sorgere di poli europei di ricerca e innovazione di livello mondiale. Questi, infatti, costituiscono una rete di università, istituti di ricerca e imprese - comprendente anche i collegamenti produttivi tra le stesse aziende specializzate che vi si sono insediate - dotata di grandi capacità di attrazione e di espansione. Al riguardo il Comitato torna a sottolineare la necessità di creare anche nell'UE un maggior numero di università di livello mondiale, ed esorta in particolare gli Stati membri ad agire in tal senso con maggior decisione.

3.10   Il Comitato ribadisce la raccomandazione - rivolta anche e soprattutto agli Stati membri - di agevolare la creazione di nuove imprese nonché accrescere la capacità delle start up di resistere sul mercato e migliorarne le opportunità commerciali, creando le condizioni necessarie a questo scopo (cfr. anche il punto 4.7.1). Al riguardo la riduzione della burocrazia e la possibilità di disporre di capitali di rischio adeguati sono fattori decisivi. Mentre, però, a livello europeo con la creazione dell'RSFF - fondato congiuntamente dalla Commissione e dalla BEI - si è compiuto un passo importante in tal senso, sono ancora necessari miglioramenti sostanziali, in particolare per quanto concerne l'accesso delle PMI a sufficienti capitali di rischio.

4.   Osservazioni specifiche

La presente sezione tratta di alcuni dei 27 quesiti posti nel Libro verde. In questa sede i singoli quesiti non vengono riportati espressamente, ma esaminati implicitamente nei punti che seguono.

4.1   Gli utilizzatori degli strumenti di finanziamento dell'UE hanno bisogno di un indice ben strutturato e di una guida pratica esaustiva, disponibile sia in forma cartacea che in formato elettronico. Inoltre, per garantire la massima continuità possibile, occorrerebbe assicurare un giusto equilibrio tra gli strumenti sperimentati, collaudati e di provata efficacia e i principi ad essi sottesi da una parte e i pochi nuovi approcci davvero indispensabili dall'altra.

4.2   L'equilibrio tra un unico complesso di norme e la necessità di conservare un certo grado di flessibilità, anche per tener conto delle esigenze specifiche dei diversi beneficiari, richiede, accanto all'armonizzazione delle norme, un pieno riconoscimento delle procedure nazionali nell'ambito del quadro strategico comune per la ricerca e l'innovazione. Per quanto concerne le prassi di lavoro in seno alla Commissione, il Comitato rinvia a quanto già osservato al punto 3.7.2; i funzionari dovrebbero, nel periodo necessario per acquisire dimestichezza con i nuovi approcci, disporre di un margine di manovra sufficiente da consentir loro di utilizzare le eccezioni, i regimi speciali o le deroghe (24) ancora da definire, nella misura in cui sia prioritario maturare esperienza in questo campo (25). Il Comitato richiama in proposito il suo parere sulla «semplificazione» (26), in cui raccomanda di seguire un approccio basato sulla fiducia e di adottare una maggiore tolleranza nei margini di errore.

4.3   In vista delle necessarie misure nazionali e regionali di sostegno alla ricerca e all'innovazione - compresi i relativi programmi di riforma - da adottare negli Stati membri, i fondi dell'UE dovrebbero concentrarsi principalmente sulla cooperazione transnazionale, e in particolare sulla ricerca in collaborazione. Quest'ultima, mettendo insieme competenze e risorse di Stati membri diversi, apporta un chiaro valore aggiunto europeo, esercita un effetto leva sulle politiche di sostegno degli Stati membri e promuove l'integrazione europea.

4.4   Dato che l'eccellenza deve continuare ad essere il principio-guida in materia di R&S anche nel quadro della strategia Europa 2020, i fondi strutturali dovrebbero essere indirizzati maggiormente verso regioni finora sottorappresentate, al fine di costituire una base di eccellenza e le strutture che è necessario e urgente realizzare in quei territori. In quest'ottica il Comitato condivide l'affermazione della Commissione secondo cui «sul lungo termine, l'eccellenza a livello mondiale può prosperare soltanto in un sistema in cui a tutti i ricercatori dell'UE vengano dati i mezzi per conseguire l'eccellenza e, infine, per conquistare posizioni di primo piano. A tal fine è necessario che gli Stati membri perseguano ambiziosi programmi di ammodernamento della loro base di ricerca pubblica e assicurino finanziamenti pubblici. I finanziamenti dell'UE, anche tramite i fondi della politica di coesione, dovrebbero intervenire quando e se necessario per contribuire al conseguimento dell'eccellenza».

4.5   Per realizzare sinergie con i fondi strutturali e un coordinamento ottimale con le politiche di sostegno adottate dagli Stati membri, è di cruciale importanza garantire collegamenti efficaci (27) tra il futuro quadro strategico comune per il finanziamento della ricerca e dell'innovazione e il futuro quadro strategico comune per la coesione (cfr. il quesito 8 del Libro verde). La «specializzazione intelligente» dovrebbe essere il principio-guida per lo sviluppo di strategie regionali.

4.6   Per promuovere meglio l'intero processo dell'innovazione, ad avviso del Comitato è necessario che le regole in materia di aiuti di Stato, bilanci, appalti e concorrenza, che possono ostacolare il raggiungimento di tale obiettivo, siano riesaminate in modo approfondito con la cooperazione dei soggetti di volta in volta interessati (cfr. il quesito 19 del Libro verde) (28). La questione qui è l'equilibrio e/o il potenziale conflitto tra regole di concorrenza e promozione dell'innovazione. Per questo motivo, le norme in materia di concorrenza, aiuti di Stato e appalti pubblici non dovrebbero essere formulate e applicate in maniera tale da fare di esse altrettanti ostacoli all'innovazione; in questi campi, anzi, potrebbe esservi bisogno di introdurre riforme. Le innovazioni, inoltre, hanno talora bisogno anche di essere protette onde impedire che vengano acquisite da concorrenti intenzionati a bloccare il processo innovativo.

4.6.1   Il processo dell'innovazione, dalla ricerca finanziata con fondi pubblici alla commercializzazione, richiede, se del caso, partenariati solidi e a lungo termine, che tuttavia è difficile realizzare nell'ambito del quadro normativo vigente (ad es. in materia di obblighi di informazione, proprietà intellettuale, aiuti di Stato e appalti pubblici) (cfr. il quesito 20 del Libro verde). In questo campo occorrerebbe sforzarsi di definire nuovi approcci e nuove regole, in modo da risolvere il potenziale conflitto tra «una maggiore innovazione» da un lato e «una maggiore trasparenza e una concorrenza più equa» dall'altro. Dato che la ricerca pionieristica o di base in genere non è viziata da questo conflitto di interessi, una quota sufficiente di ricerca di questo tipo recherebbe un contributo notevole al conseguimento di tale obiettivo (v. anche più avanti al punto 4.7.3).

4.7   Un'altra questione fondamentale sollevata dalla Commissione riguarda l'allocazione dei finanziamenti tra:

le PMI, le imprese dell'economia sociale e le grandi imprese commerciali;

la ricerca di base e quella rivolta a obiettivi di utilità sociale;

la ricerca e le fasi ulteriori del processo di innovazione;

le innovazioni in campo tecnico, quelle nel campo dei servizi, quelle in campo sociale e quelle in campo commerciale;

la ricerca «dall'alto» (top-down) e quella «dal basso» (bottom-up).

Non essendosi già pronunciato in merito nei suoi pareri precedenti, il Comitato formula qui le osservazioni che seguono.

4.7.1   Per un'ampia serie di ragioni, le PMI - e in special modo le piccole imprese - devono essere tenute in particolare considerazione nel definire le aree tematiche cui allocare i finanziamenti e gli strumenti da utilizzare (29):

le PMI dovrebbero avere la possibilità di partecipare ai programmi per un periodo ad esse appropriato (come avviene già oggi nelle azioni TEF);

bisognerebbe garantire una particolare attenzione, nonché criteri di ammissione meno restrittivi, alle start up e alle microimprese (ossia le imprese con meno di 10 dipendenti) dotate di un grande potenziale di innovazione;

occorrerebbe destinare dei fondi al sostegno dei processi di innovazione nella loro totalità (il che è particolarmente importante per gli imprenditori);

si dovrebbe puntare maggiormente sulle innovazioni nel campo dei servizi;

saranno necessari dei moderatori/facilitatori, nonché un accesso più agevole, per aiutare le piccole imprese a trarre pieno vantaggio dai programmi a favore dell'innovazione - l'Enterprise Europe Network (rete europea di imprese) potrebbe svolgere un ruolo importante in tal senso;

nel concepire i modelli di finanziamento, devono essere prese in considerazione anche le imprese dell'economia sociale.

4.7.2   Le grandi svolte che hanno permesso di ampliare in misura considerevole le nostre conoscenze - e quindi di realizzare innovazioni moderne come Internet, il sistema GPS, l'imaging a risonanza magnetica, il laser, il computer, le nanotecnologie, ecc. - sono state il frutto della ricerca di base e della conseguente ricerca applicata. Questi due tipi di ricerca, infatti, sono i terreni di coltura indispensabili per le future innovazioni (30). Il Comitato si è inoltre occupato della questione dei modi in cui questi «terreni di coltura» possono giungere alle organizzazioni in grado di coltivare e sviluppare le innovazioni (31).

4.7.3   Per questo motivo il CESE raccomanda che, nell'8PQ per la R&S, le misure promosse dal Consiglio europeo della ricerca (CER) siano aumentate portandole a una quota pari ad almeno il 20 % dei finanziamenti totali dell'UE, e che anche in altre parti di tale programma si accordi la necessaria importanza alle questioni fondamentali. Il CER si è rivelato estremamente efficace nel sostenere le idee innovative e la ricerca di punta. In futuro, esso dovrebbe prestare maggiore attenzione, nelle sue procedure, anche agli aspetti legati alla carriera dei giovani ricercatori, per far sì che essi rimangano o ritornino nel mondo della ricerca europea.

4.7.4   La ricerca in collaborazione è - essendo al centro dell'attuale programma Cooperazione (32) - il pilastro principale dell'attuale 7PQ (come già dei suoi predecessori) e può vantare risultati eccellenti. Si tratta dello strumento di finanziamento fondamentale per partecipare ad attività di ricerca negli Stati membri e impedire la frammentazione. Nel futuro quadro strategico comune bisognerebbe pertanto non solo mantenere, ma decisamente accrescere, l'importanza di questo strumento (33). Ciò è tanto più vero in quanto è soprattutto la ricerca in collaborazione che mira a offrire una soluzione alle grandi sfide sociali (cfr. quesiti 9 e 11 del Libro verde) e contribuisce inoltre in misura considerevole a sviluppare le tecnologie fondamentali che sono di cruciale importanza per la competitività dell'UE a livello mondiale.

4.7.5   Nel complesso, bisognerebbe accordare maggiore importanza al sostegno dei progetti intrapresi «dal basso» (cfr. anche il punto 4.7.10) (quesiti 9 e 10 del Libro verde), così da concedere maggior spazio a idee innovative non contemplate nell'elenco tematico oppure, per esempio, non sviluppate dalle industrie attuali (cfr. anche il punto 3.7.6 a proposito delle «priorità fissate dalle imprese»): dopotutto, non è stata l'industria navale ad aver inventato l'aereo!

4.7.6   Mentre gli approcci «discendenti» derivano da una prospettiva strategica dei decisori principali basata sullo stato attuale delle loro conoscenze, quelli «ascendenti» si avvalgono del potenziale creativo di scienziati, ingegneri ed altri «addetti ai lavori» che lavorano direttamente sull'oggetto da studiare o da migliorare. Anche riguardo alle questioni più importanti concernenti grandi sfide sociali bisognerebbe dare maggior spazio alle idee e alle proposte «dal basso» - ossia a partire dalla comunità scientifica in senso ampio - anziché limitarsi a emanare direttive «dall'alto». «La politica in materia di innovazione dovrebbe puntare sulle innovazioni organizzative e portate avanti dai lavoratori nei luoghi di lavoro (34)».

4.7.7   Il necessario equilibrio tra approcci ascendenti e discendenti deve essere meglio precisato: anche all'interno di singole aree tematiche (ad es. tecnologie fondamentali o grandi sfide sociali) è infatti necessaria una congrua quota di processi ascendenti, sì da garantire uno spazio sufficiente per le idee e soluzioni innovative che non siano già state proposte «dall'alto». Oltre a ciò, tuttavia, bisognerebbe offrire opportunità adeguate per approcci del tutto nuovi a questioni e problemi che in un primo tempo potrebbero non essere stati individuati. Se è vero che processi di questo tipo possono già essere tradotti in pratica nell'ambito del programma «Idee», è anche vero però che ad essi andrebbe concesso assai maggior spazio nel quadro della ricerca in cooperazione, come avviene già adesso, con buoni risultati, nel quadro di iniziative come il programma TEF del tema TIC. Per far ciò, in ogni caso, è necessario garantire ai funzionari responsabili maggiore flessibilità e più ampi margini di manovra.

4.7.8   Quanto alle misure in materia di infrastrutture europee di R&S (elenco ESFRI), il Comitato reitera la sua raccomandazione (35) a sostenerle attraverso contributi alla costruzione e alla manutenzione. Anche il programma «Persone», comprendente ad esempio le azioni Marie Curie (quesito 23 del Libro verde), ha ampiamente dimostrato la propria validità e dovrebbe pertanto essere mantenuto integralmente o finanche allargato.

4.7.9   Considerati i notevoli problemi di una politica economica, monetaria e finanziaria europea comune, che costituiscono attualmente un elemento essenziale dei dibattiti politici, nonché le connesse questioni macroeconomiche, il Comitato raccomanda che i programmi di sostegno accordino un peso sufficiente anche alla ricerca in questo campo.

4.7.10   Quanto poi alla questione di «andare al di là della R&S» (quesito 17 del Libro verde), il Comitato raccomanda di iniziare con il far tesoro dell'esperienza che si avrà acquisito con gli strumenti appena creati a questo scopo, anziché creare già degli altri nuovi strumenti (36). In tema di indicatori e di partnership per l'innovazione (37) nonché in tema di capitalizzazione (38), il Comitato rinvia al suo parere sul tema L'Unione dell'innovazione.

Bruxelles, 13 luglio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU C 325 del 30.12.2006, pag. 16.

(2)  GU C 44 del 16.2.2008, pag. 1.

(3)  GU C 218 dell'11.9.2009, pag. 8.

(4)  GU C 182 del 4.8.2009, pag. 40.

(5)  GU C 228 del 22.9.2009, pag. 56.

(6)  GU C 306 del 16.12.2009, pag. 13.

(7)  GU C 255 del 22.9.2010, pag. 54.

(8)  GU C 354 del 28.12.2010, pag. 80.

(9)  GU C 21 del 21.1.2011, pag. 49.

(10)  GU C 48 del 15.2.2011, pag. 112.

(11)  GU C 48 del 15.2.2011, pag. 129.

(12)  GU C 132 del 3.5.2011, pag. 39.

(13)  GU C 132 del 3.5.2011, pag. 22.

(14)  GU C 218 del 23.7.2011, pag. 87

(15)  http://ec.europa.eu/research/evaluations.

(16)  GU C 48 del 15.2.2011, pag. 129, punto 3.12.

(17)  GU C 48 del 15.2.2011, pag. 129, punto 3.10.

(18)  GU C 256 del 27.10.2007, pag. 17, punto 6.4.

(19)  Cfr. nota 12.

(20)  GU C 132 del 3.5.2011, pag. 22.

(21)  Cfr. nota 12.

(22)  GU C 218 dell'11.9.2009, pag. 8, punti da 4.1 a 4.4.

(23)  GU C 218 del 23.7.2011, pag. 87.

(24)  Cfr. nota 12.

(25)  GU C 256 del 27.10.2007, pag. 17, punto 6.4.

(26)  Cfr. nota 11, punto 3.6.

(27)  Cfr. in proposito anche il punto 3.7.1.

(28)  GU C 218 dell'11.9.2009, pag. 8, punto 4.8.

(29)  Cfr. la nota 12, punto 4.10.

(30)  GU C 354 del 28.12.2010, pag. 80, punto 3.2.3.

(31)  Cfr. la nota 3.

(32)  Si tenga presente, tuttavia, che nell'atteso progetto dell'8PQ per la R&S potrebbero essere utilizzate nuove espressioni per riferirsi alle misure finora descritte come «ricerca in collaborazione» e «cooperazione».

(33)  Cfr. anche il punto 4.3 di questo parere.

(34)  GU C 132 del 3.5.2011, pag. 5.

(35)  GU C 132 del 3.5.2011, punto 3.8.4.

(36)  Cfr. anche la nota 12.

(37)  Cfr. la nota 12, punti 4.2 e 4.4.

(38)  Cfr. la nota 12, punto 4.8.


29.10.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/127


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Consiglio (Euratom) che stabilisce le regole per la partecipazione di imprese, centri di ricerca e università alle azioni indirette nell'ambito del programma quadro della Comunità europea dell'energia atomica e per la diffusione dei risultati della ricerca (2012-2013)» —

COM(2011) 71 definitivo — 2011/0045 (NLE),

alla «Proposta di decisione del Consiglio concernente il programma quadro della Comunità europea dell'energia atomica per le attività di ricerca e formazione nel settore nucleare (2012-2013)» —

COM(2011) 72 definitivo — 2011/0046 (NLE),

alla «Proposta di decisione del Consiglio concernente il programma specifico da attuare mediante azioni indirette e recante attuazione del programma quadro della Comunità europea dell'energia atomica per le attività di ricerca e formazione nel settore nucleare (2012-2013)» —

COM(2011) 73 definitivo — 2011/0043 (NLE)

e alla «Proposta di decisione del Consiglio concernente il programma specifico da attuare mediante azioni dirette del Centro comune di ricerca e recante attuazione del programma quadro della Comunità europea dell'energia atomica per le attività di ricerca e formazione nel settore nucleare (2012-2013)» —

COM(2011) 74 definitivo — 2011/0044 (NLE)

2011/C 318/21

Relatore: WOLF

Il Consiglio, in data 22 marzo 2011, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

 

Proposta di regolamento del Consiglio (Euratom) che stabilisce le regole per la partecipazione di imprese, centri di ricerca e università alle azioni indirette nell'ambito del programma quadro della Comunità europea dell'energia atomica e per la diffusione dei risultati della ricerca (2012-2013)

COM(2011) 71 definitivo — 2011/0045 (NLE),

 

alla Proposta di decisione del Consiglio concernente il programma quadro della Comunità europea dell'energia atomica per le attività di ricerca e formazione nel settore nucleare (2012-2013)

COM(2011) 72 definitivo — 2011/0046 (NLE),

 

alla Proposta di decisione del Consiglio concernente il programma specifico da attuare mediante azioni indirette e recante attuazione del programma quadro della Comunità europea dell'energia atomica per le attività di ricerca e formazione nel settore nucleare (2012-2013)

COM(2011) 73 definitivo — 2011/0043 (NLE),

 

e alla Proposta di decisione del Consiglio concernente il programma specifico da attuare mediante azioni dirette del Centro comune di ricerca e recante attuazione del programma quadro della Comunità europea dell'energia atomica per le attività di ricerca e formazione nel settore nucleare (2012-2013)

COM(2011) 74 definitivo — 2011/0044 (NLE).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 giugno 2011.

Alla sua 473a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2011 (seduta del 14 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 92 voti favorevoli e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   L'incidente ai reattori di fissione nucleare verificatosi a Fukushima a causa dello tsunami e le relative conseguenze mostrano la grande vulnerabilità di tali reattori in caso di avaria dei sistemi di raffreddamento d'emergenza. In diversi Stati membri dell'UE si sono già adottate decisioni di politica energetica quanto all'ulteriore utilizzo di questa tecnologia, e a livello unionale è iniziato un dibattito in materia. Per gli obiettivi del programma quadro di ricerca e sviluppo di Euratom oggetto del presente parere (periodo 2012-2013) si rende necessaria una nuova valutazione. Le osservazioni riportate qui di seguito tengono conto di questo aspetto.

1.2   Per una serie di ragioni, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che le conoscenze sulle tecnologie nucleari, il loro impiego e le loro conseguenze vadano mantenute ed approfondite. Alla luce della sua funzione coordinatrice, della condivisione delle risorse e dell'integrazione degli sforzi comuni, il programma quadro di R&S Euratom apporta in questo senso un significativo valore aggiunto europeo.

1.3   Pertanto, il Comitato formula le seguenti raccomandazioni:

occorre che le attività di ricerca in materia di tecnologie relative ai reattori a fissione si concentrino su una maggiore sicurezza dei reattori, sulla riduzione e sullo smaltimento dei rifiuti radioattivi a vita lunga, sul controllo delle materie fissili nonché sulla radioprotezione;

è necessario mantenere e sviluppare le capacità di reazione agli incidenti non prevedibili e le competenze utili per i prossimi stress test da effettuarsi sugli impianti presenti nell'Unione europea;

occorre portare avanti con fermezza le attività volte a sviluppare la produzione di energia dalla fusione nucleare tenendo conto della potenziale sicurezza e degli altri vantaggi di questa tecnologia, nonché del ruolo centrale svolto in questo contesto dal progetto ITER, scaturito da un partenariato internazionale. Il programma per la fusione si fonda infatti sulle associazioni;

occorre fornire attività di formazione adeguate per garantire che vi sia un numero sufficiente di esperti altamente qualificati nei diversi settori specializzati. Tuttavia, è necessario che anche nelle scuole si trasmettano sufficienti conoscenze di base su queste tecnologie e sulle emissioni radioattive, la loro misurazione e i rischi che comportano.

1.4   Sulla base dei documenti esistenti, il CESE ha l'impressione che le proposte e i progetti della Commissione corrispondano già ampiamente alle suddette raccomandazioni. Tuttavia, di fronte alla nuova situazione venutasi a creare, il Comitato raccomanda alla Commissione di verificare che le risorse stanziate siano sufficienti e se vi sia bisogno di rafforzare ulteriormente singole tematiche.

1.5   Per quanto riguarda le altre raccomandazioni formulate, il CESE sostiene il programma quadro di R&S Euratom e i relativi strumenti in quanto costituiscono un elemento sostanziale dello Spazio europeo della ricerca.

2.   Comunicazione della Commissione

2.1   La comunicazione della Commissione riguarda quattro documenti distinti, che contengono proposte di regolamento o decisione del Consiglio sul programma di Euratom per il periodo 2012-2013. La necessità di presentare nuovi regolamenti o decisioni per tale periodo dipende dalla diversa durata rispettivamente del Settimo programma quadro della Comunità europea per le attività di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione (2007-2013) da un lato e del Settimo programma quadro della Comunità europea dell'energia atomica (Euratom) per le attività di ricerca e formazione nel settore nucleare (2007-2011) dall'altro. Occorre pertanto ovviare alla differenza di periodicità colmando il gap di due anni.

2.2   I quattro documenti presentati dalla Commissione trattano tutti gli aspetti necessari, ossia:

le regole di partecipazione;

il programma quadro;

il programma specifico - azioni indirette;

il programma specifico - azioni dirette del Centro comune di ricerca.

Questi quattro documenti assommano, coi rispettivi allegati, ad oltre 120 pagine, per cui in questa sede non è possibile riportarne il contenuto, anche solo in forma sommaria, né commentarli in tutti i loro aspetti.

2.3   Dal punto di vista tematico, si tratta delle attività di ricerca che dovranno essere finanziate dall'UE nel settore della fusione nucleare (attività prioritaria dell'ITER), della fissione e della radioprotezione. La Commissione ritiene indispensabile che nel prossimo biennio queste attività di ricerca possano partire dai risultati delle attività svolte con successo nel periodo 2007-2011, e che possano portarle avanti.

2.4   I pagamenti complessivamente previsti a tal fine ammontano a circa 2 560 milioni di euro, di cui una parte preponderante sarà appannaggio del programma sulla fusione nucleare ITER.

3.   Osservazioni generali

3.1   Fukushima - Nuova situazione di partenza

I documenti della Commissione sopra menzionati sono stati elaborati prima dell'incidente di Fukushima. In ragione degli effetti dello tsunami sui reattori di fissione nucleare del Giappone e dei danni che ne sono derivati coi relativi effetti sulla popolazione e sull'ambiente, il Comitato ritiene che occorra iscrivere gli obiettivi in discussione del programma quadro di R&S Euratom in questo contesto e procedere a una nuova valutazione in vista di una sua eventuale riorganizzazione. Per tale motivo, il presente parere, che verte esclusivamente sui temi della ricerca e dello sviluppo, non deve limitarsi ad adattare la periodicità del programma Euratom a quella del più generale Settimo programma quadro di ricerca e sviluppo.

3.1.1   Benché giudichi prematuro trarre delle conclusioni generali in materia di politica energetica, il CESE rispetta la decisione degli Stati membri che, in base al principio di precauzione, hanno optato per non utilizzare più in futuro la fissione nucleare come fonte di energia. Il Comitato accoglie con favore il fatto che l'argomento di Fukushima sia trattato anche a livello dell'UE (1) e sia stato inserito nell'agenda della politica energetica, fermo restando che, secondo il Trattato di Lisbona, ciascuno Stato membro è libero di scegliere il mix energetico che preferisce.

3.2   Il programma quadro di R&S Euratom

Il programma quadro di R&S Euratom, finalizzato essenzialmente alle attività di ricerca in campo energetico, integra le attività di ricerca in questo settore previste dal più generale Programma quadro di ricerca e sviluppo (2). Tali attività si concentrano in particolare sulla ricerca e sullo sviluppo di energie rinnovabili e di altre tecnologie non nucleari per la produzione di energia a basse emissioni di carbonio. Ciò permetterebbe di esaminare e di valutare, all'interno dell'UE, tutte le tecnologie atte a promuovere un mix energetico sostenibile, nonché le caratteristiche che le contraddistinguono.

3.3   Valore aggiunto europeo

Per una serie di ragioni (cfr. sotto), il CESE ritiene che le conoscenze sulle tecnologie nucleari, il loro impiego e le loro conseguenze vadano assolutamente mantenute ed approfondite. Alla luce della sua funzione coordinatrice, della condivisione delle risorse e dell'integrazione degli sforzi comuni, il programma quadro di R&S Euratom apporta in questo senso un significativo valore aggiunto europeo. Alla luce delle raccomandazioni esposte qui di seguito, il CESE sostiene pienamente il programma quadro di R&S Euratom e i relativi strumenti in quanto costituiscono un elemento sostanziale dello Spazio europeo della ricerca (3).

3.4   Priorità per la ricerca nel settore della sicurezza e per il mantenimento del livello di conoscenze

Indipendentemente dalle scelte che saranno adottate dai diversi Stati membri e dall'UE sul futuro utilizzo della fissione nucleare per la produzione di energia, a giudizio del CESE è comunque assolutamente indispensabile per l'Europa mantenere e sviluppare la conoscenza sulle questioni di sicurezza e sulle tecnologie applicate, per i seguenti motivi:

1)

i possibili effetti a livello transfrontaliero degli incidenti;

2)

la migrazione mondiale di esperti e tecnologie;

3)

gli impianti esistenti e i residui radioattivi da essi prodotti;

4)

la presenza di armi nucleari e dei relativi impianti produttivi, con i rischi estremamente seri che ne conseguono sul piano politico.

Rinunciare ad un approfondimento delle conoscenze in questo campo significherebbe adottare una – pericolosa – politica dello struzzo. È quindi particolarmente importante consolidare e promuovere, in misura sufficiente e in modo sistematico e continuo, la crescita delle nuove leve di esperti scientifici e tecnici, anche per evitare che le conoscenze su tali tecnologie e sulle relative conseguenze vengano dimenticate.

3.5   Fissione nucleare

In materia di fissione nucleare, il CESE sottolinea in particolare le considerazioni relative alla sicurezza:

radioprotezione, cure in caso di esposizione alle radiazioni e misure preventive di carattere sanitario e tecnico;

centrali elettronucleari a fissione di più elevata sicurezza e con riduzione delle scorie (4);

gestione (smaltimento geologico) dei residui radioattivi a lunga vita;

estrazione e trattamento del materiale fissile (combustibile nucleare);

misure di contrasto al trafugamento e all'uso illecito di materiale fissile e/o radioattivo;

incidenti non prevedibili agli impianti esistenti e conseguenze dei prossimi e indispensabili stress test  (5).

3.6   Fusione nucleare controllata

Il programma sulla fusione è stato fin dal principio (6) promosso e sviluppato in ragione della sua considerevole sicurezza (richiede una dotazione di combustibile estremamente ridotta, non occorre procedere a raffreddamento d'emergenza, non vi sono reazioni a catena, non vengono generati prodotti di fissione e attinidi) e dei diversi altri vantaggi offerti da questa tecnica. Grazie ai progressi realizzati in questo campo, è stato possibile costruire un impianto (ITER) in grado di produrre una notevole quantità di potenza da fusione (500 megawatt). Anche se i reattori a fusione, date le conoscenze e il livello di finanziamenti attuali, potranno contribuire solo nella seconda metà di questo secolo alla produzione di energia, e nonostante vi sia ancora bisogno di un notevole impegno in termini di ricerca e di sviluppo per trasformarli in una fonte energetica utilizzabile, la fusione nucleare controllata è l'unica opzione energetica conosciuta dal potenziale praticamente illimitato e disponibile a livello globale che non sia ancora utilizzata in un modo o nell'altro (7). Il CESE raccomanda pertanto di dedicare un'attenzione particolare al programma sulla fusione. I dati forniti da diverse estrapolazioni concordano sul fatto che, nel corso di questo secolo, il fabbisogno energetico globale aumenterà ulteriormente e che la questione di un approvvigionamento energetico sostenibile, sufficiente su scala mondiale e rispettoso del clima si aggraverà. Per questo motivo si avverte in particolare l’urgente necessità di disporre di una nuova fonte energetica che non abbia un impatto negativo sul clima, come la fusione nucleare.

3.7   Pieno sostegno alle proposte tematiche della Commissione

Alla luce delle osservazioni presentate al punto 3.1, fortunatamente è possibile constatare che le raccomandazioni formulate dal CESE nel presente parere sono già state ampiamente considerate nelle proposte tematiche della Commissione, per cui tali proposte ricevono il pieno sostegno del Comitato. D'altro canto, alla luce della documentazione in suo possesso, il Comitato non è in condizione di giudicare se l'impiego delle risorse infrastrutturali, umane e finanziarie sia adeguato fin nei dettagli agli obiettivi stabiliti, e considera che questo tipo di valutazione non rientri tra le sue competenze. Il CESE raccomanda pertanto alla Commissione di incaricare i gruppi di esperti che seguono il programma di procedere a tale nuova valutazione all'interno delle singole linee del programma e di mettere a disposizione finanziamenti aggiuntivi laddove necessario.

3.8   Studi approfonditi in materia di sicurezza e di rischi

Dal momento che i problemi in materia di sicurezza e di rischi non riguardano esclusivamente il programma quadro di R&S Euratom, il Comitato raccomanda inoltre di effettuare, congiuntamente alle attività di ricerca energetica previste dal Settimo programma quadro per la ricerca e lo sviluppo e possibilmente in collaborazione con altri partner internazionali, degli studi sui problemi in materia di sicurezza e di rischi, tenendo conto degli eventi naturali recentemente verificatisi. Tali studi dovrebbero esaminare anche i seguenti aspetti:

rischi tecnici connessi con le diverse tecniche di produzione dell'energia, come fissione nucleare, cattura e stoccaggio dell'anidride carbonica, bacini artificiali, accumulatori pneumatici, petrolio e gas naturale, estrazione, trasporto e raffinazione dei combustibili fossili, accumulatori d'idrogeno e idrogeno come fonte di energia, in particolare per gli utilizzi mobili;

rischi ambientali determinati da obiettivi mancati in materia di riduzione di CO2  (8) e dall’accentuarsi del cambiamento climatico ad essi collegato;

rischi sociali, politici ed eventualmente anche militari di (i) una seria scarsità energetica globale, con le situazioni d'emergenza che ciò comporterebbe, e di (ii) un cambiamento climatico potenzialmente allarmante (9).

3.9   Istruzioni alla popolazione

Il Comitato considera inoltre importante, in aggiunta alla necessaria qualificazione (cfr. il punto 3.4) degli specialisti come fisici, chimici e ingegneri, abituare fin dalla giovane età tutti i cittadini a misurare le radiazioni e a valutare quali siano le dosi naturali o accettabili e quali dosi risultino invece pericolose, mediante iniziative da svolgersi nelle scuole e negli istituti secondari. Secondo il Comitato, è questo il miglior modo per realizzare una valutazione effettiva sufficiente e necessaria delle situazioni di pericolo dovute al nucleare, soprattutto in caso di crisi acuta, quando occorre evitare il panico e agire in modo sobrio e consapevole.

3.10   Dubbi sulla dotazione finanziaria

Anche se il Comitato non si ritiene in grado di valutare quantitativamente la questione, alla luce delle nuove esigenze di valutazione esprime però dei dubbi (cfr. anche il punto 3.7) sul fatto che la dotazione finanziaria per il periodo in discussione sia sufficiente ad affrontare efficacemente i problemi sopra esposti e a corrispondere alle raccomandazioni del CESE stesso a proposito del piano SET (10) e della tabella di marcia per il 2050 (11). Per questo, il Comitato raccomanda, nella misura in cui le risorse di bilancio possono essere già stabilite con sicurezza fino al 2013, almeno per il nuovo periodo di finanziamento che comincia nel 2013, (i) di stabilire le esigenze in termini di ricerca in base agli effetti a più vasto raggio che serie difficoltà in campo energetico e un obiettivo mancato in materia di riduzione di CO2 potrebbero avere sulla strategia 2020 e oltre, e (ii) di mettere a disposizione mezzi sufficienti. Il CESE ribadisce che la quota dei finanziamenti destinata dai programmi quadro per la ricerca e lo sviluppo alle attività di ricerca in campo energetico non corrisponde più da molto tempo all'importanza fondamentale che la società attribuisce alle problematiche energetiche e a quelle climatiche ad esse collegate.

3.11   Pareri sul settimo programma quadro

Alla luce delle osservazioni formulate al precedente punto 3.7, il Comitato è d'accordo con la Commissione sul fatto che il programma proposto per il prossimo biennio debba partire dai risultati delle attività svolte con successo nel periodo 2007-2011, e che debba portarle avanti nella maniera più opportuna. Il CESE fa rilevare l'importanza, sottolineata in numerosi pareri, di assicurare un'adeguata continuità dei finanziamenti destinati al programma per garantire il successo delle attività di ricerca. Pertanto, il CESE ricorda i propri pareri tanto sul settimo programma quadro della Comunità europea dell'energia atomica (Euratom) per le attività di ricerca e formazione nel settore nucleare (2007-2011), quanto sui relativi programmi specifici e sulle norme di partecipazione, e ribadisce le raccomandazioni contenute in tali pareri, cui si aggiungono i punti di vista qui esposti. Tale richiamo è reso ancor più importante dal fatto che il presente parere non può per evidenti ragioni occuparsi di tutte le affermazioni contenute nelle proposte della Commissione.

4.   Osservazioni specifiche

4.1   Soluzione del problema delle scorie e dello smaltimento geologico

In riferimento ai pareri elaborati dal CESE sull'energia nucleare, sulla tabella di marcia 2050 per la decarbonizzazione dell'energia e sulla problematica dello smaltimento geologico (12), il Comitato ribadisce l'importanza di tutti gli sforzi svolti a ridurre la quantità e la durata di vita dei rifiuti pericolosi. Un progresso fondamentale sarebbe riuscire davvero ad accorciare la vita delle scorie radioattive attraverso un efficace passaggio da una dimensione di era geologica a una di epoca storica. In questo modo sorgerebbe un approccio davvero nuovo per risolvere o rendere meno grave la questione delle scorie e il problema dello smaltimento geologico: tutte le possibilità di esplorare tale opportunità dal punto di vista tecnico-scientifico e di portarla al successo meritano pertanto pieno sostegno.

4.2   Riduzione del rischio di MCA e super MCA (incidenti della massima gravità)

Secondo il Comitato non ci può essere certezza assoluta sulla sicurezza degli impianti tecnici costruiti dall'uomo. Un possibile obiettivo di sviluppo a lungo termine però potrebbe essere quello di costruire e mettere in funzione solo impianti a prova di incidente dovuto a cause interne, e che siano vulnerabili soltanto a eventi causati da agenti esterni estremamente rari (ad es. la caduta di un asteroide), i quali porterebbero comunque a danni di tali dimensioni che il danneggiamento o la distruzione degli impianti stessi non provocherebbe un aumento significativo delle conseguenze negative del fenomeno.

4.3   Il programma sulla fusione nucleare

Data l'importanza della disponibilità, in futuro, dell'energia da fusione, il Comitato raccomanda di

effettuare i lavori preparatori per lo sviluppo di un reattore di dimostrazione (DEMO) che vada a sostituirsi a ITER allo scopo di dimostrare per la prima volta la produzione di energia elettrica grazie alla fusione nucleare nel quadro di un sistema integrato, promuovendo attività di ricerca dell'ampiezza e della profondità necessaria, e di

esplorare nella fase di progettazione, oltre alla necessaria concentrazione sulla linea tokamak con ITER come il fiore all'occhiello, anche formule alternative di confinamento magnetico, in particolare lo stellarator.

Inoltre occorre riflettere in che modo arrivare più celermente alla realizzazione del DEMO e come sia possibile sviluppare, alla luce delle esperienze ottenute con l'organizzazione internazionale del progetto ITER, un programma di fusione europeo efficiente e redditizio. Il Comitato sottolinea che l'UE sarà in grado di contribuire allo sviluppo di ITER e di trarre beneficio dai risultati di tale progetto solo se dispone di laboratori di ricerca sulla fusione nucleare dotati di infrastrutture efficienti e adeguatamente collegati con le industrie del settore.

4.4   Regole di partecipazione per la fissione nucleare e la radioprotezione

Il Comitato non vede differenze significative rispetto alle regole di partecipazione fin qui vigenti nell'ambito del programma 2007-2011 e ricorda a questo proposito il proprio parere favorevole precedente (13), al quale non ha nulla da aggiungere.

4.5   Regole di partecipazione per il programma sulla fusione

Attualmente, il programma europeo sulla fusione prevede regole di partecipazione specifiche, che ruotano principalmente sui cosiddetti contratti di associazione (ormai 26) coi centri di ricerca partecipanti o con i relativi Stati membri (le cosiddette «associazioni»). A ciò si aggiunge il programma del Joint European Torus (JET) con le sue regole di finanziamento specifiche. Queste importanti infrastrutture hanno consentito all'UE di influire in maniera determinante sul progetto internazionale ITER e di vincere il concorso sull'ubicazione del progetto medesimo.

4.5.1   Contratti di associazione

È stata in particolar modo l'abile architettura dei contratti di associazione, concepita in funzione degli obiettivi di sviluppo, col suo effetto determinante di stimolo per la politica di finanziamento e il sostegno politico degli Stati membri, a risultare decisiva per i rapidi e costanti progressi realizzati dal programma. Solo così è stato possibile realizzare ITER, iniziativa che il CESE sostiene fortemente ritenendolo finora il più importante progetto della ricerca sulla fusione. A causa del considerevole aumento dei costi del progetto, sulle cui cause il Comitato non può esprimersi in questa sede, le altre parti del programma, in particolare le attività svolte nel quadro dei «contratti di associazione», si ritrovano sottoposte a una drammatica riduzione delle risorse. In proposito il Comitato mette in guardia dallo spingere tali economie fino a un punto in cui si interromperebbe l'effetto di stimolo dei contratti di associazione, compromettendo le prestazioni del programma, la base di conoscenze necessaria e, in generale, anche il sostegno politico degli Stati membri. Si tratta infatti di fattori necessari per portare ITER al successo e per permettere all'Europa di raccoglierne i frutti previsti. Infatti le «associazioni» sono la base e il think tank del programma per la fusione, l'elemento che prepara il funzionamento e l'utilizzo di ITER, permette di concepire ed esaminare nuovi approcci e di formare le nuove leve di scienziati e ingegneri che sono urgentemente necessarie, nonché la sede in cui si salda il collegamento coi cittadini dell'UE.

4.6   Centro comune di ricerca

Il Centro comune di ricerca (CCR), istituzionalmente finanziato dalla Commissione, si prefigge, con riferimento al programma di Euratom, i seguenti obiettivi di ricerca: (a) gestione dei rifiuti nucleari, impatto sull’ambiente e conoscenze di base; (b) sicurezza nucleare e (c) sistemi di protezione nucleare. Tali obiettivi corrispondono alle raccomandazioni formulate nei punti iniziali del presente parere nonché a quelle espresse dal CESE nel parere sul Settimo programma quadro (14) e ricevono pertanto il pieno sostegno del Comitato.

Bruxelles, 14 luglio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Ad es. nel quadro dell'ENEF (European Nuclear Energy Forum, «Forum europeo sull'energia nucleare»), http://ec.europa.eu/energy/nuclear/forum/forum_en.htm.

(2)  GU C 65 del 17.3.2006, pag. 9.

(3)  GU C 44 del 16.2.2008, pag. 1.

(4)  Si veda a questo proposito anche il Memorandum dell'Accademia delle scienze del Land Renania settentrionale-Westfalia Zur Sicherheit der Kernkraftwerke nach dem Unfall von Fukushima (La sicurezza delle centrali nucleari dopo l'incidente di Fukushima), del 26 maggio 2011.

(5)  Cfr. il comunicato stampa n. 60/2011 del CESE, del 30 maggio 2011.

(6)  GU C 302 del 7.12.2004, pag. 27.

(7)  GU C 107 del 6.4.2011, pag. 37.

(8)  Cfr. il sito http://www.iea.org/index_info.asp?id=1959, del 30 maggio 2011.

(9)  Cfr. la nota 5 e il secondo numero di Research*eu results magazine, maggio 2011, pag. 20.

(10)  GU C 21 del 21.1.2011, pag. 49.

(11)  GU C 107 del 6.4.2011, pag. 37.

(12)  GU C 218 del 23.7.2011, pag. 135.

(13)  GU C 309 del 16.12.2006, pag. 41.

(14)  GU C 185 dell'8.8.2006, pag. 10.


29.10.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/133


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio in merito ai contratti di credito relativi ad immobili residenziali»

COM(2011) 142 definitivo — 2011/0062 (COD)

2011/C 318/22

Relatrice: MADER

Il Consiglio, in data 18 aprile 2011, e il Parlamento europeo, in data 10 maggio 2011, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 114 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio in merito ai contratti di credito relativi ad immobili residenziali

COM(2011) 142 definitivo — 2011/0062 (COD).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 giugno 2011.

Alla sua 473a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2011 (seduta del 14 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 113 voti favorevoli, 4 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con interesse, ma anche con alcune riserve la proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio in merito ai contratti di credito relativi ad immobili residenziali. La crisi finanziaria, che ha provocato l'insolvenza di tanti mutuatari costretti a rivendere a prezzi irrisori gli immobili che avevano acquistato, ha evidenziato la necessità di disporre di una legislazione europea adeguata in questo campo.

1.2   Il CESE condivide l'obiettivo formulato dalla Commissione di creare le condizioni necessarie per lo sviluppo di un mercato unico efficiente e competitivo al fine di ripristinare la fiducia dei consumatori e promuovere la stabilità finanziaria. Teme tuttavia che il contenuto della proposta non sia sufficiente per raggiungere questo obiettivo.

1.3   Il CESE sottolinea l'importanza di garantire la coerenza con i testi in vigore, in particolare con la direttiva 2008/48/CE (1) relativa ai contratti di credito ai consumatori.

1.4   Il Comitato ritiene che, per la sua stessa natura, la proposta dovrebbe avere come base giuridica l'articolo 169 del Trattato e non l'articolo 114.

1.5   Rammenta che le norme dell'UE vanno armonizzate garantendo un livello elevato di protezione dei consumatori e ciò significa che non devono essere messi in discussione i diritti dei consumatori che beneficiano di una legislazione nazionale di tutela. Il Comitato ritiene che, per conseguire questo obiettivo, l'armonizzazione debba essere adeguatamente mirata.

1.6   Il CESE approva le disposizioni volte a migliorare la comparabilità, in particolare quelle che consentono di armonizzare le definizioni e il metodo di calcolo del tasso annuo effettivo globale.

1.7   Osserva che le misure intese a garantire una distribuzione di un credito responsabile non sono di per sé sufficienti a risanare il mercato e contribuire a prevenire l'eccesso di indebitamento.

1.8   Il CESE giudica poi essenziale l'inquadramento degli intermediari del credito, misura che risponde alla richiesta da esso formulata nel parere sulla proposta di direttiva relativa ai contratti di credito ai consumatori, tenuto conto dei numerosi problemi che si sono verificati con queste professioni. Tale inquadramento dovrebbe essere oggetto di una regolamentazione generale e non essere limitato all'oggetto specifico della proposta in esame.

1.9   Ritiene inoltre che la proposta non contribuisca a realizzare il mercato interno del credito ipotecario in generale e si rammarica che per tale settore non si sia pensato di ricorrere a uno strumento opzionale.

1.10   Il CESE propone che alcune disposizioni vengano precisate o completate al fine di rafforzare l'informazione dei consumatori sui tassi variabili. Nella pratica, i consumatori non conoscono molto bene gli indici di riferimento e quindi hanno difficoltà a misurare l'incidenza della variazione dei tassi sugli importi da rimborsare. Il CESE osserva altresì che devono essere vietati i tassi di interesse usurari e che dovrebbe essere fissato un tetto per i tassi sui mutui accesi per finanziare l'acquisto della residenza principale. Le variazioni dei tassi di interesse poi devono essere basate soltanto su indici obiettivi, affidabili, pubblici ed esterni al prestatore.

1.11   Il CESE raccomanda di dare ai mutuatari la possibilità di scegliere l'assicurazione a copertura del loro prestito, in modo da garantire una migliore concorrenza tra i diversi offerenti.

2.   Contesto e osservazioni generali

2.1   Il 18 dicembre 2007 la Commissione ha adottato il Libro bianco sull'integrazione dei mercati UE del credito ipotecario. A seguito di un'ampia consultazione in materia, la Commissione ha potuto constatare che la divergenza tra le legislazioni vigenti in merito al credito ipotecario nuoce al buon funzionamento del mercato unico, aumenta i costi e danneggia i consumatori.

2.2   Il 9 luglio 2008 il CESE ha adottato un parere (2) in merito al Libro bianco sull'integrazione dei mercati UE del credito ipotecario. Nonostante alcune perplessità circa le possibilità concrete di integrare e rendere uniforme il mercato del credito date le specificità culturali, giuridiche ed etico-sociali dei diversi Stati membri, il Comitato ha accolto con favore il collegamento stabilito tra la regolamentazione vigente in materia di credito ipotecario e l'esigenza di proteggere i consumatori. Nel parere insiste quindi sulle responsabilità tanto dei creditori quanto dei mutuatari, che devono essere consapevoli dell'entità degli impegni assunti.

2.3   La crisi finanziaria ha messo in evidenza le disfunzioni legate alle carenze della regolamentazione e del mercato, ma anche al contesto economico, alle prassi attuate dagli intermediari del credito e dei creditori così come allo scarso livello di cultura finanziaria dei mutuatari. Tutte queste disfunzioni vanno corrette in futuro perché ne può derivare una notevole perdita di fiducia.

2.4   La proposta di direttiva tiene conto dei risultati delle consultazioni e dei lavori condotti dall'OCSE e dalla Banca mondiale.

2.5   L'obiettivo è quello di garantire un livello elevato di protezione dei consumatori, in un quadro armonizzato su scala dell'Unione europea, ravvicinando le legislazioni degli Stati membri. Per questa ragione e visto il tenore della proposta, il Comitato ritiene che essa dovrebbe avere come base giuridica l'articolo 169 del Trattato e non esclusivamente l'articolo 114.

2.6   La proposta è intesa a creare un mercato unico efficiente e concorrenziale nel rispetto dei diritti sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, a ripristinare la fiducia dei consumatori e a promuovere la stabilità finanziaria.

2.7   La direttiva intende garantire i diritti dei consumatori nel senso indicato dalla direttiva 2008/48/CE relativa ai contratti di credito ai consumatori, lasciando nel contempo agli Stati membri la possibilità di estendere i vantaggi a talune categorie professionali, in particolare le microimprese.

2.8   La direttiva si applica ai prestiti per l'acquisto o la ristrutturazione di un immobile che non sono coperti dalla direttiva 2008/48/CE, siano essi associati o meno a un'ipoteca o a garanzia analoga.

2.9   La proposta di direttiva risponde al principio dell'armonizzazione mirata, pur collocandosi ad un livello piuttosto elevato per tenere conto delle differenze tra le legislazioni vigenti e dell'eterogeneità dei mercati del credito ipotecario dell'UE.

2.10   Pur consapevole dell'importanza che il settore edile riveste per l'economia, il CESE ritiene, tuttavia, che la direttiva non abbia tratto tutte le conseguenze dalla crisi finanziaria, le cui origini vanno individuate nel mercato americano del credito ipotecario. La pratica malsana di erogare crediti pari al 100 % e oltre del prezzo degli immobili ha spinto all'acquisto i consumatori, anche quelli che disponevano di redditi scarsi. Mentre in una fase di espansione vi è la possibilità di far fronte a degli impegni importanti, è bastato che l'economia entrasse in una fase di stagnazione, e anche di recessione, perché la disoccupazione provocasse un fenomeno generalizzato di mancati pagamenti. La messa in vendita di una notevole quantità di immobili ha avuto come conseguenze il crollo dei prezzi e perdite enormi per le istituzioni finanziarie. All'origine della crisi vi è quindi l'eccessivo indebitamento dei mutuatari, un fenomeno che va assolutamente evitato. Il Comitato formulerà delle proposte a tale riguardo nelle osservazioni che seguono.

3.   Proposte contenute nella direttiva

3.1   Capo 1: Oggetto, ambito di applicazione, definizioni e autorità competenti

3.1.1

L'articolo 3 della proposta di direttiva, in linea con la procedura impiegata per la direttiva sul credito al consumo, presenta una definizione dei termini più importanti. A tale riguardo, il CESE auspica che il termine «residenziale» sia precisato in modo da sapere se riguardi esclusivamente la residenza principale.

3.1.2

Il CESE approva questa disposizione intesa a garantire la comprensione dei termini impiegati e la comparabilità tra le varie offerte.

3.1.3

Il Comitato ritiene che istituire, organizzare autorità dotate di poteri di controllo, e garantire la loro collaborazione sia necessario e a maggior ragione importante tenuto conto delle disfunzioni rilevate durante la crisi.

3.2   Capo 2: Condizioni applicabili ai creditori e agli intermediari del credito

3.2.1

Gli articoli 5 e 6 stabiliscono dei requisiti in materia di onestà, lealtà e competenza dei creditori o degli intermediari del credito nel migliore interesse dei consumatori. Agli Stati membri spetta, in parte, il controllo del rispetto di tali requisiti, mentre la Commissione si riserva il diritto di specificare il livello richiesto di conoscenze e competenze.

3.2.2

Inoltre la proposta di direttiva chiede agli Stati membri di verificare che la remunerazione dei venditori non discrimini in funzione dei prodotti venduti.

3.2.3

Il CESE è favorevole a queste misure, dato che un'informazione di qualità è essenziale al momento di sottoscrivere un credito ipotecario. Ritiene inoltre che la remunerazione del personale degli organismi creditori e degli intermediari del credito non debba indurre alcuni di essi a promuovere crediti non adeguati alle esigenze dei consumatori. Il CESE richiama tuttavia l'attenzione sull'uso di concetti vaghi, indefiniti e soggettivi, che potrebbero dare origine a interpretazioni divergenti di un testo giuridico che definisce obblighi rigorosi.

3.2.4

Nei due articoli non viene tracciata la distinzione fondamentale tra creditori e intermediari del credito: la remunerazione del personale dei creditori, in linea di principio, è rappresentata da uno stipendio, mentre il personale degli intermediari percepisce una commissione. Quando la remunerazione rimane «neutra» si possono ipotizzare dei comportamenti improntati all'etica professionale, ma è difficile che tale etica sia sempre rispettata quando il profitto dipende da soluzioni più vantaggiose per il personale dell'organismo venditore, e a maggior ragione per gli intermediari. Sulla base di tali considerazioni è necessario impartire una formazione adeguata a tutti coloro che entrano in contatto con i venditori, qualunque sia la loro funzione, mentre il personale degli intermediari del credito deve essere in possesso di un'abilitazione ufficiale che ne certifichi le competenze, ma soprattutto ne controlli i comportamenti.

3.2.5

Un'altra differenza fondamentale: in caso di controversie, il consumatore può rivolgersi al creditore, un'istituzione finanziaria che in teoria è solida e solvibile; qualora si tratti invece di un intermediario, la responsabilità è spesso personale e la solvibilità è molto meno ovvia. È una ragione di più per adottare una regolamentazione molto più rigorosa di quella vigente.

3.3   Capo 3: Informazioni e pratiche preliminari alla conclusione del contratto di credito

3.3.1

Ai sensi della direttiva 2005/29/CE relativa alle pratiche commerciali sleali (3), la pubblicità deve essere leale, chiara e non ingannevole.

3.3.2

Ogni pubblicità contenente dati numerici deve fornire una serie di indicazioni indispensabili al consumatore che desidera concludere un contratto di credito ipotecario. Tali informazioni devono essere presentate in modo chiaro, conciso e leggibile, a prescindere dal supporto impiegato.

3.3.3

L'articolo 9 stabilisce le condizioni dell'informativa precontrattuale a due livelli. In primo luogo enumera le informazioni generali che vanno comunicate e, in secondo luogo, rimanda al Prospetto informativo europeo standardizzato (ESIS) per la fornitura di informazioni personalizzate. Il CESE non considera accettabile la presunzione legale di cui all'articolo 9, punto 2, terzo comma, secondo cui sarebbe sufficiente fornire l'ESIS perché le informazioni richieste siano considerate come date.

3.3.4

L'articolo 10 completa l'elenco delle informazioni da fornire al consumatore in merito alle qualifiche e alle condizioni di esercizio dell'intermediario del credito.

3.3.5

Il CESE prende atto di tali obblighi di informazione, ma ritiene che essi vadano rafforzati per quanto riguarda le conseguenze dei prestiti concessi a tasso variabile. A tale proposito dovrebbe essere fornito un prospetto informativo specifico.

3.3.6

Il CESE si interroga sulla formulazione scelta per descrivere l'obbligo di sottoscrivere un'assicurazione a garanzia del prestito: essa induce infatti a ritenere che l'assicurazione vada necessariamente sottoscritta presso il creditore. Il CESE propone di lasciare ai consumatori la possibilità di scegliere il proprio assicuratore al fine di garantire la concorrenza tra le varie compagnie di assicurazione.

3.3.7

Il Comitato giudica essenziale l'inquadramento delle attività degli intermediari del credito. A suo avviso, sarebbe opportuno introdurre il principio per cui è vietato percepire, sotto qualunque forma, una somma (provvigione, spese per ricerche, costi di istruttoria, ecc.) prima del versamento effettivo dei finanziamenti concessi.

3.3.8

Un'ultima considerazione cui il Comitato attribuisce un'importanza fondamentale: le informazioni fornite al consumatore dovrebbero anche indurlo a un'attenta riflessione sulle sue future capacità di rimborso. Ovviamente, non ci si può sempre aspettare un tale comportamento; è quindi necessario che i creditori adottino una politica responsabile e ricomincino ad applicare sistematicamente una pratica che una volta era stabilita per legge in molti Stati membri in base alla quale il credito concesso non doveva superare il 70-80 % del valore dell'immobile. Tale norma aveva un forte valore prudenziale, ed era intesa ad evitare comportamenti imprudenti da parte delle istituzioni finanziarie. La crisi legata ai subprimes ne ha dimostrato la fondatezza. Bisognerà riflettere sull'opportunità di reintrodurre tale norma, prevedendo però di renderla più flessibile nel caso degli alloggi sociali, per i quali esistono delle agevolazioni finanziarie nella maggior parte degli Stati membri.

3.3.9

La pratica di limitare il capitale finanziato avrebbe un duplice vantaggio. Da un lato, servirebbe a scoraggiare le persone non in grado di rimborsare il prestito, che acquistano dei beni e si ritrovano con un eccesso di indebitamento. Dall'altro, darebbe al creditore la garanzia della serietà dei clienti che hanno dato prova di essere capaci di risparmiare. Per concludere, la misura auspicata dal CESE si ispira al principio fondamentale di un credito responsabile per mutuatari responsabili.

3.4   Capo 4: Tasso annuo effettivo globale

3.4.1

Il CESE approva la proposta di armonizzare il metodo di calcolo del tasso annuo effettivo globale. La formula comprendente tutti i costi del credito, ad esclusione di eventuali penali che il mutuatario sia tenuto a pagare per la mancata esecuzione dei suoi obblighi, permetterà di mettere a confronto le offerte tra i diversi Stati membri.

3.4.2

L'informazione dei mutuatari sulle variazioni, prevista all'articolo 13, è molto importante se si considera che solo in circostanze eccezionali essi sono al corrente della modifica dei tassi di riferimento.

3.5   Capo 5: Valutazione del merito creditizio

3.5.1

È indispensabile effettuare una valutazione del merito creditizio dei consumatori al momento della conclusione del contratto di credito e in caso di aumento dell'importo totale. I consumatori devono sapere che, in caso di mancato rimborso, essi perderanno il bene acquistato, che sarà venduto all'asta a condizioni di mercato che rischiano di essere molto svantaggiose.

3.5.2

Tuttavia, quest'obbligo non deve determinare l'esclusione di talune categorie di mutuatari dalla concessione di crediti, né orientarle abusivamente verso una specifica tipologia di credito. L'obbligo di motivare le risposte negative è quindi essenziale, così come la possibilità di chiedere che la domanda venga riesaminata qualora il credito sia stato rifiutato tramite una procedura automatica. L'obiettivo della valutazione del merito creditizio del mutuatario dev'essere quello di evitarne l'eccessivo indebitamento. L'organismo creditore deve assumersi la responsabilità di un eventuale mancato pagamento, qualora la decisione di concedere il credito sia dovuta ad una valutazione inadeguata della solvibilità del mutuatario. I costi di pratiche irresponsabili di concessione dei crediti devono essere a carico dell'organismo di credito.

3.5.3

Il CESE rammenta l'importanza di una pratica di credito responsabile, che esige il rispetto di regole precise da parte del creditore e del mutuatario, il quale deve fornire informazioni affidabili sulla propria situazione.

3.6   Capo 6: Accesso alle banche dati

3.6.1

La proposta di direttiva impone agli Stati membri di garantire a tutti i creditori l'accesso alle banche dati utilizzate per valutare il merito creditizio dei mutuatari e verificare che questi ultimi rispettino gli obblighi di credito.

3.6.2

Questi registri pubblici o privati dovranno essere costituiti in base a criteri uniformi che la Commissione si riserva di definire e nel rispetto delle disposizioni della direttiva 95/46/CE (4) del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati.

3.6.3

Il CESE ribadisce l'importanza di limitare la quantità di dati raccolti unicamente agli impegni finanziari, di rispettare i diritti dei consumatori e di non utilizzare a fini commerciali le informazioni contenute in queste banche dati.

3.7   Capo 7: Consulenza

3.7.1

Il CESE ritiene che l'adozione di norme in materia di consulenza non debba mettere in discussione l'obbligo di consulenza di cui al capo 5, inteso a garantire che al consumatore vengano proposti prodotti di credito adeguati.

3.7.2

D'altra parte, lo sviluppo di servizi che si potrebbero considerare accessori non deve determinare un aumento del costo del credito.

3.8   Capo 8: Estinzione anticipata

3.8.1

La proposta di direttiva permette di sottoporre a determinate condizioni il diritto di estinzione anticipata. Essa prevede in particolare la possibilità di un ragionevole indennizzo.

3.8.2

Tale disposizione è a svantaggio del consumatore rispetto alla normativa esistente in taluni Stati membri in cui la rescissione è sempre possibile con indennizzi limitati o addirittura nulli in caso di decesso o di cessazione forzata dell'attività lavorativa.

3.8.3

Il CESE, nel parere sulla proposta di direttiva relativa ai contratti di credito ai consumatori, si era già pronunciato contro la scelta di lasciare agli Stati membri il compito di fissare le modalità dell'indennizzo in caso di estinzione anticipata poiché in questo modo si rischiano notevoli differenze di trattamento dei consumatori e distorsioni del mercato.

3.9   Capo 9: Requisiti prudenziali e di vigilanza

3.9.1

La regolamentazione dell'intervento degli intermediari del credito riveste carattere prioritario, come già sottolineato dal CESE nel parere sulla proposta di direttiva relativa ai contratti di credito ai consumatori. Tale regolamentazione deve consentire di uniformare il livello di protezione dei consumatori nell'Unione europea.

3.9.2

Le disposizioni contenute nella proposta di direttiva vanno quindi nella direzione auspicata dal Comitato.

3.9.3

Esse prevedono:

l'obbligo di rilasciare un'autorizzazione agli intermediari del credito, indipendentemente dal fatto che si tratti di persone fisiche o giuridiche, e le condizioni per la revoca di tale autorizzazione;

un registro unico degli intermediari in cui siano obbligatoriamente indicati i nomi delle persone responsabili delle attività di intermediazione e di quelle che agiscono in regime di libera prestazione per loro conto. Il registro deve essere costantemente aggiornato e facilmente consultabile;

dei requisiti professionali (onorabilità, obbligo di possedere un'assicurazione per la responsabilità civile professionale). Occorre assicurare la trasparenza di tali criteri. Alla Commissione è delegato il potere di adottare standard tecnici che stipulino l'importo monetario minimo dell'assicurazione.

3.9.4

La proposta di direttiva sancisce anche il principio del riconoscimento reciproco delle autorizzazioni, che permette agli intermediari di esercitare le loro attività in regime di libera prestazione di servizi dopo aver informato le autorità competenti dello Stato membro d'origine.

3.9.5

La proposta definisce altresì il processo di informazione delle autorità per quanto riguarda sia l'iscrizione che la revoca dell'autorizzazione nonché le condizioni di cooperazione tra le autorità competenti dello Stato membro di origine e di quello ospitante.

3.9.6

Il CESE ritiene tuttavia preferibile che la Commissione regolamenti in modo generale la mediazione del credito nell'ambito di uno strumento legislativo autonomo, come già avvenuto nel caso dei mediatori di assicurazioni.

3.10   Capo 10: Disposizioni finali

3.10.1

La proposta della Commissione sancisce:

il principio dell'esistenza di sanzioni che consentono agli Stati membri, conformemente al loro diritto nazionale, di far sì che possano essere adottate misure appropriate a carico sia dei creditori sia dei mutuatari. Tale simmetria è certamente comprensibile, ma non bisogna dimenticare che i mutuatari sono la parte contraente più debole, poiché dipendono dalle informazioni fornite loro dai creditori o dagli intermediari;

l'obbligo di istituire o aderire a meccanismi di risoluzione extragiudiziale delle controversie, una scelta che è nell'interesse sia dei creditori sia dei mutuatari a patto che tali dispositivi siano indipendenti e non escludano eventuali procedure giudiziarie;

il conferimento di una delega alla Commissione. Il Parlamento e il Consiglio possono sollevare obiezioni riguardo alle decisioni adottate da quest'ultima e revocare la delega in qualsiasi momento.

3.10.2

Il CESE si interroga sulla portata dei poteri delegati attribuiti alla Commissione riguardo ad aspetti essenziali dello strumento legislativo e sulle conseguenze di tali poteri per la sicurezza giuridica del dispositivo da introdurre. Oltretutto tali poteri delegati superano ampiamente i limiti previsti all'articolo 290 del Trattato e definiti nella comunicazione sull'attuazione dell'articolo 290 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Tale possibilità di delega deve essere limitata e applicata unicamente in circostanze eccezionali.

3.10.3

La proposta di direttiva impone agli Stati membri di garantire l'attuazione delle disposizioni in essa contenute e di controllare che non vengano eluse in alcun modo.

3.10.4

Il CESE prende atto delle disposizioni contenute nella proposta di direttiva e ribadisce che essa non deve determinare un abbassamento del livello di protezione negli Stati membri in cui è già in vigore una legislazione sui contratti di credito relativi ad immobili residenziali.

3.10.5

Infine, la proposta di direttiva prevede un periodo di due anni per la sua attuazione e un riesame cinque anni dopo la sua entrata in vigore, cosa che appare ragionevole dato che l'analisi d'impatto delle misure della direttiva permetterà di giudicarne la validità.

Bruxelles, 14 luglio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU L 133 del 22.5.2008, pag. 66 (parere CESE in GU C 234 del 30.9.2003, pag. 1).

(2)  GU C 27 del 3.2.2009, pag. 18.

(3)  GU L 149 dell'11.6.2005, pag. 22 (parere CESE in GU C 108 del 30.4.2004, pag. 81).

(4)  GU L 281 del 23.11.1995, pag. 31 (parere CESE in GU C 159 del 17.6.1991, pag. 38).


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

I seguenti emendamenti sono stati respinti nel corso del dibattito, ma hanno ottenuto più di un quarto dei voti espressi (articolo 39, paragrafo 2, del Regolamento interno):

Punto 3.8.2

Modificare come segue:

disposizione consumatore di poter rescindere il contratto in qualsiasi momento con indennizzi limitati o addirittura nulli in caso di decesso o di cessazione forzata dell'attività lavorativa.

Esito della votazione

Voti contrari

:

61

Voti favorevoli

:

26

Astensioni

:

10

Punto 3.10.4

Modificare come segue:

Il CESE prende atto delle disposizioni contenute nella proposta di direttiva e ribadisce che .

Esito della votazione

Voti contrari

:

76

Voti favorevoli

:

29

Astensioni

:

4


29.10.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/139


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 521/2008 che istituisce l'impresa comune “Celle a combustibile e idrogeno”»

COM(2011) 224 definitivo — 2011/0091 (NLE)

2011/C 318/23

Relatore generale: Mihai MANOLIU

Il Consiglio, in data 16 maggio 2011, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 521/2008 che istituisce l'impresa comune «Celle a combustibile e idrogeno»

COM(2011) 224 definitivo — 2011/0091 (NLE).

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 3 maggio 2011, ha incaricato la sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 473a sessione plenaria del 13 e 14 luglio 2011 (seduta del 13 luglio 2011), ha nominato relatore generale MANOLIU e ha adottato il seguente parere con 131 voti favorevoli, 1 voto contrario e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) approva la decisione in merito alla proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 521/2008 che istituisce l'impresa comune «Celle a combustibile e idrogeno» (FCH), in quanto ritiene che il rilancio - attraverso le modifiche proposte - degli investimenti nel campo della ricerca e sviluppo accrescerà il grado di prevedibilità necessario per i beneficiari e, al tempo stesso, introdurrà la possibilità di precisare il livello minimo di finanziamento per un invito a presentare offerte.

1.2   Dando parere favorevole alla proposta in esame, il CESE sottolinea l'importanza accordata alla strategia proposta in materia di investimenti e di coordinamento delle ricerche attraverso il consolidamento dello Spazio europeo della ricerca.

1.3   Il CESE ribadisce (1) la necessità delle seguenti azioni:

1.3.1   una semplificazione delle procedure per ridurre il ruolo negativo svolto dalla complessità amministrativa nel quadro dei programmi di ricerca e sviluppo;

1.3.2   un programma d'informazione completo, che contribuisca a una migliore mobilitazione delle risorse finanziarie necessarie e che tenga conto non solo del contributo da parte dell'industria ma anche di quello proveniente da altri soggetti giuridici che partecipano alle attività;

1.3.3   l'accordo di finanziamento concluso tra la Commissione e l'impresa comune FCH deve essere applicato in modo equo, alle stesse condizioni, sia al gruppo industriale che al gruppo scientifico;

1.3.4   non devono esistere implicazioni finanziarie supplementari rispetto al bilancio inizialmente adottato per questo regolamento del Consiglio, le modifiche proposte devono migliorare la possibilità di spendere alla fine il bilancio previsto;

1.3.5   avviare programmi di formazione professionale che permettano l'adattamento delle qualifiche dei lavoratori ai posti di lavoro creati da questa iniziativa tecnologica congiunta (ITC).

1.4   Il CESE reputa necessarie la definizione di una visione chiara e la messa a punto di una tabella di marcia in vista del 2020.

2.   Contesto e osservazioni generali

2.1   La tecnologia delle celle a combustibile e idrogeno (FCH) è promettente, in quanto tali celle rappresentano delle opzioni energetiche a lungo termine che possono essere utilizzate in tutti i settori dell'economia e offrono numerosi benefici per la sicurezza dell'approvvigionamento energetico, i trasporti, l'ambiente e l'utilizzo razionale delle risorse naturali.

2.2   L'impresa comune FCH:

2.2.1

si prefigge di collocare l'Europa all'avanguardia nel settore delle tecnologie basate su celle a combustibile e idrogeno a livello mondiale e, al tempo stesso, di permettere alle forze commerciali del mercato di generare benefici pubblici potenzialmente rilevanti;

2.2.2

sostiene in modo coordinato le attività di ricerca, di sviluppo tecnologico e di dimostrazione (RST) degli Stati membri per diminuire i fallimenti del mercato e per concentrare gli sforzi nello sviluppo delle applicazioni commerciali. L'impresa comune FCH svolge la sua attività da oltre due anni. Si è concluso un ciclo operativo completo, che comprende inviti a presentare offerte, la valutazione delle proposte, le trattative di finanziamento e la conclusione dell'accordo di sovvenzione (2);

2.2.3

sostiene l'attuazione delle priorità RST dell'ITC relativa alle celle a combustibile e idrogeno attraverso la concessione di finanziamenti (il contributo da parte dell'UE ammonta a 470 milioni di euro) su base concorrenziale in seguito alla pubblicazione di inviti a presentare proposte;

2.2.4

mira a incoraggiare la crescita degli investimenti pubblici e privati nella ricerca relativa alle tecnologie basate su celle a combustibile e idrogeno.

2.3   I compiti e le attività principali dell’impresa comune FCH sono i seguenti:

2.3.1

assicurare la creazione e la gestione efficiente dell'ITC;

2.3.2

garantire la massa critica delle attività di ricerca;

2.3.3

stimolare nuovi investimenti industriali a livello nazionale e regionale;

2.3.4

favorire l'innovazione e la comparsa di nuove catene di valore che includano le PMI;

2.3.5

facilitare l'interazione tra industria, università e i centri per la ricerca di base e quella applicata;

2.3.6

promuovere il coinvolgimento delle PMI, conformemente agli obiettivi del Settimo programma quadro;

2.3.7

incoraggiare la partecipazione delle istituzioni di tutti gli Stati membri e dei paesi associati;

2.3.8

intraprendere attività di ricerca per l'elaborazione di regolamentazioni e standard nuovi, garantendo un funzionamento sicuro e propizio all'innovazione;

2.3.9

garantire attività di comunicazione e divulgazione, oltre ad offrire informazioni affidabili per sensibilizzare il pubblico;

2.3.10

impegnare fondi dell'UE e mobilitare le risorse del settore privato;

2.3.11

assicurare una buona gestione finanziaria delle risorse;

2.3.12

garantire un livello di trasparenza e una concorrenza leale per tutti i candidati, specialmente per le PMI.

2.4   L'impresa comune FCH contribuisce all'attuazione del Settimo programma quadro, in particolare per quel che concerne i temi Energia, Nanoscienze, nanotecnologie, materiali e nuove tecnologie di produzione, nonché Trasporti, compresa l'aeronautica, nel quadro del programma specifico Cooperazione.

3.   La proposta della Commissione

3.1   Le iniziative tecnologiche congiunte (ITC) sono state introdotte nel Settimo programma quadro (7PQ) (3), sulla base dell'articolo 187 del TFUE, come uno strumento per creare, a livello europeo, dei partenariati tra il settore pubblico e quello privato nel campo della ricerca.

3.2   Il CESE (4) sottolinea il fatto che le ITC rispecchiano il risoluto impegno dell'UE a coordinare le attività di ricerca, contribuendo in questo modo al consolidamento dello Spazio europeo della ricerca e alla realizzazione degli obiettivi europei in materia di competitività.

3.3   Sin dall'inizio, affinché il settore industriale potesse partecipare, la condizione era che esso apportasse un contributo finanziario pari al 50 % delle spese correnti e un contributo in natura ai costi operativi di entità perlomeno pari al contributo finanziario della Commissione.

3.4   Il CESE rileva con delusione che i primi due inviti a presentare offerte lanciati dall'impresa comune FCH hanno avuto come risultato che i livelli massimi di finanziamento hanno dovuto essere valutati e poi sistematicamente ridotti per tutti i partecipanti: per le grandi imprese, si è applicata una riduzione dal 50 al 33 % del contributo dell'impresa comune FCH, mentre per le PMI e gli organismi di ricerca la riduzione è stata dal 75 al 50 %.

3.5   Questi livelli di finanziamento sono sensibilmente inferiori a quelli del 7PQ e a quelli dei programmi di ricerca e sviluppo sulle celle a combustibile e idrogeno realizzati in paesi extraeuropei.

3.6   I tassi ridotti di finanziamento e la crisi economica e finanziaria hanno portato all'attuale livello di partecipazione alle azioni dell'impresa comune FCH, un livello che è inferiore alle aspettative iniziali.

3.7   Senza un cambiamento di rotta, l'iniziativa potrebbe continuare a perdere interesse a livello generale agli occhi sia dell'industria che del mondo della ricerca.

3.8   L'attuale regolamento non tiene conto del fatto che sono incoraggiati e attesi, in moltissimi casi, i contributi ai progetti provenienti da fonti pubbliche nazionali e regionali.

3.9   Il nuovo testo stabilisce che occorre prendere in considerazione una partecipazione al finanziamento in misura uguale a quella dell'UE in rapporto non solo al contributo dell'industria, ma anche a quello proveniente da altri soggetti giuridici che partecipano alle attività.

3.10   Per accrescere il grado di prevedibilità necessario per i beneficiari, viene introdotta la possibilità di precisare il livello minimo di finanziamento per un invito a presentare offerte.

4.   Osservazioni particolari

4.1   L'impresa comune FCH è stata creata nel 2008 come primo esempio illustrativo di uno strumento di partenariato pubblico-privato nel quadro del piano strategico europeo per le tecnologie energetiche (piano SET), che è un pilastro tecnologico per la politica europea in materia di energia e clima. L'impresa comune FCH ha come obiettivo quello di accelerare la velocità di sviluppo delle tecnologie FCH nel quadro dell'orizzonte 2010-2020. I 36 settori definiti dall'invito a presentare offerte puntano a facilitare lo sviluppo delle applicazioni commerciali innovative nel quadro dei 5 ambiti di applicazione:

4.1.1

infrastruttura di trasporto e di approvvigionamento;

4.1.2

produzione e distribuzione di idrogeno;

4.1.3

produzione locale di energia elettrica;

4.1.4

apparecchiature portatili;

4.1.5

diverse applicazioni multidisciplinari.

4.2   L'obiettivo generale dell'azione dell'impresa comune per i prossimi cinque anni è quello di accelerare lo sviluppo delle pile a combustibile e idrogeno affinché queste tecnologie giungano allo stadio commerciale nel quadro dei nuovi mercati specifici (apparecchiature portatili, generatori portatili, applicazioni domestiche per l'alimentazione combinata in energia elettrica e termica, applicazioni nel campo dei trasporti).

4.3   L'impresa comune FCH e l'ITC hanno come obiettivo la definizione e la realizzazione del binomio ricerca/sviluppo incentrato sui risultati, nonché la diffusione su vasta scala dei risultati di queste nuove tecnologie. Le attività sono basate sui documenti strategici definiti dai programmi realizzati dall'industria nel quadro della piattaforma europea HFP, in modo particolare attraverso il piano di attuazione.

4.4   Il gruppo europeo per un'impresa comune FCH denominato New Energy World Industrial Grouping Fuel Cell and Hydrogen for Sustainability (NEW-IG) (5) è un'associazione volontaria non-profit, di diritto belga, aperta a tutte le imprese europee che hanno come attività la ricerca e sviluppo di celle a combustibile e idrogeno. Questo gruppo comprende lo Spazio economico europeo (SEE) e i paesi candidati; esso ha un bilancio annuale di circa un miliardo di euro che può essere investito fino al 2013.

4.5   Il gruppo riafferma in modo chiaro il suo impegno teso alla realizzazione di tecnologie modulari che forniscano benefici in termini economici e di qualità ambientale in differenti settori di attività (trasporti, produzione di energia, apparecchiature per l'industria e per uso domestico).

4.6   Questo scenario ambizioso rientra nel quadro degli obiettivi europei per un'economia basata su livelli ridotti di carbonio, su una maggiore sicurezza dell'approvvigionamento energetico, su una minore dipendenza dal petrolio, sui contributi per le nuove tecnologie «verdi», sull'incentivazione sostenuta della competitività europea, nonché sulla creazione di posti di lavoro.

Bruxelles, 13 luglio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU C 204 del 9.8.2008, pag. 19.

(2)  Esistono altre quattro imprese comuni: CLEAN SKY, IMI, ARTEMIS ed ENIAC.

(3)  GU L 412 del 30.12.2006.

(4)  GU C 204 del 9.8.2008, pag. 19.

(5)  European Industry Grouping for a Fuel Cell and Hydrogen Joint Undertaking («Gruppo industriale europeo per un'impresa comune FCH»).


29.10.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/142


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Un'agenda per nuove competenze e per l'occupazione: Un contributo europeo verso la piena occupazione»

COM(2010) 682 definitivo

2011/C 318/24

Relatrice: DRBALOVÁ

Correlatore: ZUFIAUR NARVAIZA

La Commissione europea, in data 23 novembre 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Un'agenda per nuove competenze e per l'occupazione: Un contributo europeo verso la piena occupazione

COM(2010) 682 definitivo.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 27 giugno 2011.

Alla sua 473a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2011 (seduta del 13 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 130 voti favorevoli, 1 voto contrario e 6 astensioni.

Preambolo

Il presente parere del Comitato economico e sociale europeo (CESE) in merito a Un'agenda per nuove competenze e per l'occupazione rientra nella strategia Europa 2020 per una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva.

Il parere adotta un nuovo approccio olistico, ovvero esamina il programma per creare nuove competenze e nuovi posti di lavoro in stretto collegamento con le altre iniziative faro e i cinque obiettivi trasversali a livello dell'UE.

In questo contesto, il parere afferma la necessità di garantire la coerenza tra le politiche a livello UE e le politiche nazionali e mette in evidenza l'impatto e il ruolo chiave dei soggetti interessati non governativi.

1.   Conclusioni e proposte

1.1

Il Comitato condivide la preoccupazione riguardo agli effetti prodotti dalla crisi economica mondiale sul funzionamento del mercato del lavoro e, in generale, accoglie con favore l' agenda per nuove competenze e per l'occupazione come uno sforzo, da parte della Commissione, di contribuire all'aumento dell'occupazione e al miglioramento del mercato del lavoro. Esorta i governi degli Stati membri ad utilizzare in modo efficace il dialogo sociale e il dialogo con la società civile organizzata per cercare soluzioni e misure intese a migliorare la situazione.

1.2

Il CESE deplora tuttavia che l'iniziativa in esame non preveda l'urgenza di creare posti di lavoro di qualità, e non dia un impulso sufficiente agli Stati membri affinché definiscano obiettivi nazionali più ambiziosi basati su riforme strutturali e politiche di investimento in grado di produrre crescita e nuove opportunità occupazionali.

1.3

Il CESE condivide la scelta di basare l'agenda sul concetto di flessicurezza e sottolinea la necessità di trovare il giusto equilibro tra flessibilità interna ed esterna, nell'interesse di un funzionamento più efficiente del mercato del lavoro e, al tempo stesso, della protezione dei lavoratori. Il CESE raccomanda di effettuare un'analisi della situazione di partenza e di continuare ad attuare e a valutare le politiche di flessicurezza, mettendo l'accento sul ruolo delle parti sociali in tale processo, il cui obiettivo deve continuare a essere quello di facilitare il reinserimento e la transizione nel mercato del lavoro.

1.4

Il CESE accoglie con favore il collegamento della politica della formazione con la politica dell'occupazione in un unico documento strategico. Ciò nondimeno, deplora che non venga menzionato il legame tra il miglioramento e l'aggiornamento delle competenze da un lato, e l'incremento della produttività del lavoro dall'altro.

1.5

Il CESE approva il tentativo della Commissione di proporre nuovi strumenti e iniziative, raccomanda tuttavia di rafforzarne il collegamento e le sinergie con gli strumenti già esistenti. Il CESE è dell'avviso che l'approccio della Commissione nei confronti del ruolo degli strumenti non vincolanti debba rispettare la reciproca compatibilità delle politiche e delle iniziative adottate a livello dell'UE, e al contempo ritiene che una proposta coerente di riesame della legislazione dell'UE in campo sociale dovrebbe sostenere piuttosto che ostacolare gli sforzi compiuti dagli Stati membri per attuare riforme efficaci del mercato del lavoro e promuovere l'investimento sociale.

1.6

Il CESE raccomanda alla Commissione di tenere conto, nel considerare la possibilità di riaprire un dibattito sulla qualità del lavoro e sulle condizioni di lavoro, dei risultati controversi della quinta inchiesta di Eurofound sulle condizioni di lavoro in Europa.

1.7

Il CESE sottolinea la necessità di impiegare in modo più efficace i finanziamenti europei e, insieme alla Commissione, invita gli Stati membri a concentrare gli interventi del Fondo sociale europeo (FSE) e degli altri fondi sulle quattro priorità chiave introdotte dalla comunicazione della Commissione, in modo da contribuire al conseguimento degli obiettivi dell'agenda e degli obiettivi nazionali derivanti dalla strategia Europa 2020.

2.   Presentazione della proposta

2.1

Il 23 novembre 2010 la Commissione europea ha presentato Un'agenda per nuove competenze e per l'occupazione, che scaturisce da una serie di precedenti iniziative volte a migliorare le competenze nell'UE e le previsioni al riguardo, nonché a farle coincidere con le esigenze del mercato del lavoro. Il CESE si è pronunciato in merito a tali iniziative in un precedente parere (1).

2.2

La nuova agenda della Commissione ha una portata più ampia e si prefigge l'obiettivo concordato in base al quale, entro il 2020, l'Unione europea dovrà raggiungere un tasso di occupazione del 75 % per le persone di età compresa tra i 20 e i 64 anni. Definisce quindi una serie di azioni da condurre con decisione nell'ambito di quattro priorità fondamentali:

un migliore funzionamento dei mercati del lavoro,

una forza lavoro più qualificata,

una maggiore qualità del lavoro e migliori condizioni di lavoro,

politiche più incisive per promuovere la creazione di posti di lavoro e la domanda di lavoro.

2.3

L'agenda in esame si basa sui principi comuni di flessicurezza adottati dal Consiglio dell'UE nel 2007 (2). Le politiche di flessicurezza mirano innanzitutto ad aumentare l'adattabilità, l'occupazione e la coesione sociale. Tali politiche hanno senz'altro contribuito in una certa misura ad affrontare la crisi, in gran parte mediante misure sovvenzionate di formazione e di riduzione dell'orario di lavoro, ma la situazione dei gruppi vulnerabili continua ad essere difficile.

2.4

Per questo motivo la Commissione dà ora un nuovo impulso al rafforzamento di tutte le componenti della flessicurezza (accordi contrattuali flessibili e affidabili, politiche attive del mercato del lavoro, strategie globali di apprendimento permanente e sistemi moderni di sicurezza sociale) e alla loro attuazione. I meccanismi nazionali di flessicurezza degli Stati membri devono essere potenziati e adattati al nuovo contesto socioeconomico grazie a un nuovo equilibrio tra le suddette quattro componenti.

2.5

Nell'agenda in esame la Commissione propone 13 azioni chiave sostenute da 20 misure di accompagnamento intese a ridurre la segmentazione e a facilitare le transizioni sui mercati del lavoro, a dotare i lavoratori delle competenze necessarie per l'esercizio di una professione, a migliorare la qualità del lavoro e le condizioni di lavoro, a promuovere la creazione di posti di lavoro e a sfruttare meglio gli strumenti finanziari dell'UE.

3.   Osservazioni generali

3.1

Nella relazione sull'occupazione nell'UE del gennaio 2011 (3) viene osservato che: «il mercato del lavoro nell'UE ha continuato a stabilizzarsi e vi sono attualmente segni di ripresa in alcuni Stati membri. (…) Tuttavia, con 221,3 milioni di persone attive, l'occupazione registrava in quel momento un tasso inferiore di 5,6 milioni di persone rispetto al record del secondo trimestre del 2008, una situazione che rispecchia il considerevole declino dell'industria manifatturiera e dell'edilizia. Il numero di lavoratori tra i 20 e i 64 anni ha raggiunto i 208,4 milioni di persone, ovvero un tasso di occupazione del 68,8 %. (…) La disoccupazione colpisce oggi 23,1 milioni di persone. La disoccupazione di lunga durata è in aumento in tutte le fasce sociali, sia pure in misura diversa; 5 dei 23,1 milioni di disoccupati sono rimasti inattivi per un periodo compreso tra i 6 e gli 11 mesi. La crisi ha aggravato il rischio di disoccupazione tra i lavoratori scarsamente qualificati e gli immigranti da paesi terzi.» Nonostante i progressi registrati, la relazione descrive la situazione sui mercati del lavoro come ancora precaria. Secondo i dati OCSE del maggio 2011, il tasso di disoccupazione nella zona euro raggiunge il 9,9 % (4).

3.2

Per questo motivo il CESE continua a nutrire preoccupazioni per il funzionamento dei mercati del lavoro e, in generale, accoglie con favore l'agenda in esame come un contributo della Commissione allo sforzo di aumentare l'occupazione, incrementarne la qualità e migliorare il funzionamento dei mercati del lavoro, in linea con gli obiettivi della strategia Europa 2020, della strategia per l'occupazione e degli orientamenti per l'occupazione. Il CESE mette in risalto il ruolo delle parti sociali ed è convinto che i governi degli Stati membri dovrebbero trarre maggiore profitto dal dialogo sociale e dal dialogo con la società civile organizzata, in modo da proporre e realizzare le misure in grado di contribuire efficacemente al miglioramento della situazione.

3.3

L'analisi annuale della crescita (5) pubblicata nel gennaio 2011 per segnare l'inizio del primo semestre europeo ha mostrato che gli Stati membri sono poco ambiziosi nella definizione dei loro obiettivi nazionali e fanno registrare tassi di occupazione inferiori del 2 - 2,4 % rispetto all'obiettivo comune in materia (75 %). Il CESE ritiene che le politiche volte a raggiungere l'obiettivo proposto dovrebbero tenere conto delle conclusioni dell'incontro tenutosi a Vienna nel marzo di quest'anno tra i rappresentanti dell'FMI, dell'OIL e delle parti sociali, intitolato Dialogo sulla crescita e l'occupazione in Europa  (6).

3.4

Il CESE si rammarica della scelta della Commissione di affrontare delle problematiche così urgenti con strumenti tradizionali, senza evidenziare nella proposta il sostegno ai fattori di crescita che potrebbero promuovere la creazione di posti di lavoro. Non basta garantire che i cittadini rimangano sul mercato del lavoro e acquisiscano le competenze necessarie per ottenere un impiego: la ripresa economica deve basarsi sulla crescita e sulla creazione di posti di lavoro.

3.5

Per affrontare le sfide cui è confrontata, l'Europa deve innanzitutto ricominciare a concedere prestiti, a investire e a realizzare riforme strutturali. Occorre definire le azioni concrete necessarie per eliminare gli ostacoli alla creazione di posti di lavoro e all'aumento della produttività, che dipende, tra l'altro, dalla qualità del lavoro. Molte di queste riforme, che dovrebbero contare sul massimo livello possibile di consenso, vanno realizzate a livello nazionale. Gli Stati membri devono rendersi conto che occorre favorire il credito alle imprese e alle famiglie, realizzare investimenti produttivi e introdurre riforme efficaci per creare posti di lavoro. Aumentare la produttività del lavoro e migliorare la qualità delle condizioni di lavoro in Europa è il modo per superare i timori legati ai salari bassi e instabili.

3.6

La relazione comune sull'occupazione sottolinea inoltre la necessità di collegare le politiche per l'occupazione con quelle per il sostegno alla crescita economica e il consolidamento del bilancio (e ribadisce la necessità di sostenere i gruppi vulnerabili tramite servizi sociali di qualità e strategie di inclusione attiva) ed evidenzia il ruolo di un contesto economico favorevole e di una crescita economica fondata sull'innovazione per aumentare la domanda di lavoro.

3.7

Inoltre, la relazione richiama l'attenzione sul fatto che, nel corso del 2010, si è registrato un certo squilibrio tra offerta e domanda di lavoro, il che potrebbe indicare una scarsa corrispondenza tra le competenze di coloro che cercano lavoro e quelle richieste per i posti disponibili. La relazione raccomanda quindi di seguire attentamente tale questione in modo da verificare se la tendenza individuata sia soltanto temporanea oppure rischi di diventare strutturale.

3.8

Il CESE prende atto della scelta della Commissione di non presentare nessuna nuova proposta legislativa in questa fase e di riconoscere il ruolo e il valore aggiunto di strumenti non vincolanti come complemento del quadro giuridico esistente. Le parti sociali dovrebbero essere consultate su alcune delle iniziative proposte, tra cui il quadro europeo per la ristrutturazione, l'esame della legislazione in materia di salute e sicurezza sul lavoro, l'informazione e la consultazione dei lavoratori, il lavoro part-time e a tempo determinato nonché l'apertura di un dibattito sulla qualità del lavoro e sulle condizioni di lavoro. A seguito di tali consultazioni si deciderebbe in merito all'opportunità e alla pertinenza dei cambiamenti che sarebbero eventualmente necessari.

3.9

Il CESE riconosce lo sforzo della Commissione di proporre una serie di nuove iniziative innovative e strumenti per sostenere la realizzazione della nuova agenda. Ritiene tuttavia che si debba esaminare la coerenza reciproca tra i nuovi strumenti e quelli già esistenti in modo che, nell'ambito della loro attuazione, si possano realizzare le necessarie sinergie. Un'agenda per nuove competenze dovrebbe tenere conto anche della transizione verso un modello di produzione basato sullo sviluppo sostenibile e su posti di lavoro più «verdi».

3.10

Nelle regioni prive di produzione industriale le piccole e medie imprese (PMI) rappresentano un fattore essenziale di creazione di opportunità per il presente e per il futuro. Nello stesso tempo, tali imprese offrono spesso posti di lavoro di qualità, sono di facile accesso e possono facilitare la conciliazione tra vita familiare, lavoro e assistenza ad altri membri della famiglia. L'iniziativa a sostegno delle piccole e medie imprese (Small Business Act) va tradotta in azioni concrete a livello nazionale ed europeo. Per questo motivo il CESE accoglie con favore le misure dell'agenda volte a rispondere alle esigenze specifiche delle PMI. L'eliminazione degli ostacoli amministrativi e l'accesso ai finanziamenti continuano a rappresentare una priorità.

3.11

Alla luce delle conclusioni della terza relazione demografica europea 2010 (7), che fornisce nuovi dati sulla popolazione europea, il CESE accoglie con favore anche le iniziative a favore della mobilità, della migrazione e dell'integrazione in Europa. Il CESE è convinto che il mantenimento della mobilità interna all'UE e delle migrazioni dai paesi terzi contribuisca a far sì che l'UE ottenga risultati economici positivi. La migrazione economica nell'UE e l'agevolazione della mobilità tra Stati membri sono indispensabili affinché l'Unione resti un luogo attraente per le imprese e gli investimenti, il che porta alla creazione di nuove opportunità occupazionali sia per i cittadini dell'UE che per quelli dei paesi terzi. In tutti questi ambiti, però, bisogna applicare il principio della parità di trattamento (8).

3.12

Le politiche per l'occupazione e il mercato del lavoro in Europa devono continuare ad attuare misure concrete al fine di applicare il principio della non discriminazione sul lavoro e garantire la parità tra i sessi e tra tutti i gruppi di lavoratori. Per questo motivo il CESE accoglie con favore le strategie pubblicate dalla Commissione nel 2010 intese, tra l'altro, a favorire le persone disabili (9) e a promuovere le pari opportunità tra donne e uomini (10). Tra gli obiettivi di entrambe le strategie figurano la parità di accesso al mercato del lavoro come pure all'istruzione e alla formazione professionale.

3.13

Il CESE inoltre valuta positivamente le azioni chiave e le misure proposte dall'atto per il mercato unico, già adottato, per lavorare, intraprendere e commerciare insieme in modo più adeguato (11), che rispecchiano il ruolo significativo dell'economia sociale e delle cooperative nel mercato interno dell'UE, come pure l'importanza della responsabilità sociale delle imprese. Ritiene altresì che occorra tenere conto anche del ruolo delle organizzazioni della società civile organizzata, che svolgono la funzione di datori di lavoro e creano posti di lavoro. Tuttavia, per sviluppare il loro potenziale, è indispensabile coinvolgerle nelle politiche in preparazione.

3.14

Il CESE è estremamente preoccupato per l'elevato tasso di disoccupazione giovanile che si registra in Europa. Dal 2008 il tasso è aumentato del 30 %, e la media europea arriva al 21 % tra i giovani fino a 25 anni. Benché dal settembre 2010 la situazione tenda a stabilizzarsi in alcuni paesi - mentre in altri il tasso continua ad aumentare -, il CESE reputa importante continuare a seguirne gli sviluppi con particolare attenzione. Il CESE si è pronunciato in merito all'iniziativa della Commissione Youth on the Move in un parere specifico (12).

3.15

Il tasso di occupazione dei disabili in Europa si attesta ancora intorno al 50 %. Se l'Europa intende veramente garantire una parità di trattamento a tutti i suoi cittadini e al tempo stesso conseguire l'obiettivo comune in materia di occupazione, bisogna offrire ai disabili dei posti di lavoro remunerati e di qualità. Nella strategia europea di sostegno ai disabili vengono individuati otto ambiti d'azione principali in cui l'UE deve ancora adottare delle misure, tra cui anche l'occupazione, l'istruzione e la formazione professionale delle donne e degli uomini disabili (13). La Commissione potrebbe esaminare dei modelli messi a punto dagli Stati membri, grazie ai quali si potrebbero fornire incentivi giuridici, politici, di contrattazione collettiva o finanziari alle imprese, alle amministrazioni e ai servizi sociali affinché diano lavoro a queste persone. Dato che attualmente le TIC rappresentano il 6 % del PIL dell'UE, l'agenda digitale proposta dalla Commissione dovrà avere un impatto su tutti, particolarmente nel quadro dei piani di formazione e dell'integrazione dei cittadini in difficoltà, per i quali questa agenda costituisce un trampolino verso l'occupazione.

4.   Flessicurezza e creazione di posti di lavoro

4.1

L'agenda in esame si basa sul concetto di flessicurezza. La Commissione sottolinea la necessità di adottare politiche mirate di apprendimento permanente e politiche attive del mercato del lavoro che siano efficaci sul piano dell'idoneità al lavoro, dei servizi di collocamento e dell'incremento dell'offerta di lavoro. È inoltre necessario che vi siano sistemi di protezione dalla disoccupazione che favoriscano la mobilità del lavoro, garantiscano una maggiore sicurezza sociale professionale e proteggano i lavoratori dall'esclusione sociale e dalla povertà. La possibilità di stabilire condizioni contrattuali flessibili e l'introduzione di una flessibilità interna dovranno rappresentare elementi fondamentali del dialogo sociale. A giudizio del CESE, è importante che le misure e le politiche che saranno adottate non compromettano gli sforzi tesi a conseguire gli obiettivi stabiliti dall'agenda (tra gli altri, la piena occupazione e il mantenimento della qualità degli impieghi) e non ledano i diritti dei lavoratori.

4.2

Già in passato il CESE ha espresso l'idea secondo cui è opportuno valutare al tempo stesso la sicurezza e la flessibilità del mercato del lavoro, poiché - nella sostanza – questi due aspetti non sono in contraddizione. Una forza lavoro stabile e motivata rafforza la competitività e la produttività delle imprese. I lavoratori hanno bisogno di un'organizzazione del lavoro più flessibile per riuscire a conciliare la propria vita personale e professionale e per avere accesso alla formazione continua, che consentirebbe loro di partecipare all'aumento della produttività e dell'innovazione. Il CESE sottolinea tuttavia che l'attuazione della flessicurezza va sottoposta ad un esame attento e regolare nel quadro del dialogo sociale per garantire che le misure adottate rispondano effettivamente all'obiettivo di creare un numero maggiore di posti di lavoro di migliore qualità.

4.3

La flessicurezza interna ha superato con successo la prova della crisi: in tale occasione, infatti, le imprese e le organizzazioni sindacali hanno trovato soluzioni pratiche per mantenere l'occupazione, in particolare grazie a formule sovvenzionate di riduzione dell'orario di lavoro. La flessicurezza esterna, che assume importanza nei periodi di ripresa economica, può contribuire alla crescita dell'occupazione, purché si articoli in maniera equilibrata con la flessibilità interna e, più in generale, con la contrattazione collettiva e con un'adeguata protezione sociale dei lavoratori. A tale proposito, ogni Stato membro ha una diversa situazione di partenza. La cosa più importante è trovare un giusto ed equilibrato mix di politiche, e il presupposto essenziale è che queste politiche nascano dal dialogo sociale. Il CESE ritiene che l'applicazione della flessicurezza interna ed esterna debba essere considerata in modo più equilibrato nelle raccomandazioni annuali rivolte dalla Commissione agli Stati membri.

4.4

Il CESE osserva che il dibattito sul rafforzamento di tutte e quattro le componenti della flessicurezza continuerà anche in futuro e darà luogo ad una conferenza congiunta di tutte le parti interessate nel 2011. Il CESE è d'accordo sul fatto che un nuovo impulso a favore della flessicurezza dovrebbe scaturire da un'azione comune delle istituzioni UE, fondarsi su principi comuni e basarsi su conoscenze reali, ottenute a livello nazionale, sulle modalità pratiche con cui tale concetto contribuisce alla creazione di un maggior numero di posti di lavoro di qualità. Sarà necessario anche chiedersi se esso garantisca una sufficiente protezione dei lavoratori, in particolare di quelli più vulnerabili.

4.5

A questo proposito il CESE approva il progetto comune delle parti sociali europee elaborato nel quadro del loro programma di lavoro pluriennale 2009-2011 (14) e volto ad individuare le modalità con cui ogni Stato membro attua il concetto di flessicurezza nonché il ruolo svolto dalle parti sociali in questo processo.

4.6

La crescita economica resta la leva principale per la creazione di posti di lavoro. Per questo motivo il CESE riconosce lo stretto collegamento esistente tra l'agenda in esame e il nuovo approccio strategico dell'UE in materia di innovazione, creazione di uno spazio europeo della ricerca, costruzione di una base industriale competitiva: tutto questo tramite il pieno sfruttamento del potenziale del mercato unico dell'UE.

4.7

La Commissione prevede tuttavia che la ripresa economica sarà lenta e che la creazione di nuovi posti di lavoro si farà attendere. Se l'UE vuole raggiungere l'obiettivo del 75 % di occupati ed evitare una crescita senza creazione di posti di lavoro, deve rendersi conto che è indispensabile definire e attuare politiche concrete che, nel quadro del dialogo sociale, favoriscano le assunzioni, la formazione professionale e continua e l'organizzazione flessibile del lavoro, e facciano della qualità del lavoro un elemento centrale della flessicurezza.

4.8

Il CESE è consapevole che il buon funzionamento del mercato del lavoro svolge un ruolo fondamentale per la competitività dell'Europa. Gli indicatori per misurare i progressi compiuti dovrebbero essere, tra gli altri, il tasso della disoccupazione giovanile e di quella di lungo periodo, così come il tasso di partecipazione al mercato del lavoro.

4.9

La Commissione ha proposto il concetto di contratto unico, i cui effetti concreti sono attualmente oggetto di una vivace discussione. Nel parere sull'iniziativa Youth on the Move il CESE ha osservato che il concetto di contratto unico potrebbe figurare tra le misure in grado di contribuire a ridurre le disuguaglianze tra coloro che accedono al mercato del lavoro e coloro che ne sono invece esclusi. Il CESE è consapevole delle notevoli differenze che esistono tra gli Stati membri per quanto riguarda l'accesso al mercato del lavoro. Alcuni di questi sistemi, i più rigidi, impediscono alle persone di accedere all'occupazione, mentre altri offrono delle opportunità di contratti di lavoro a breve termine, che sono troppo flessibili e non danno pieno accesso alle prestazioni sociali. A giudizio del CESE, è importante sottolineare che le misure che saranno adottate dovrebbero garantire alle persone dei contratti di lavoro stabili, che impediscano le discriminazioni basate sull'età, sul sesso o su qualunque altro elemento. Tuttavia, le misure che saranno adottate non dovrebbero dar luogo né a una generalizzazione della precarietà del lavoro né a una maggiore rigidità dell'organizzazione del lavoro nelle imprese. Le imprese hanno bisogno di tipi diversi di contratti di lavoro per adeguare la forza lavoro, mentre i lavoratori hanno bisogno di flessibilità per conciliare la vita professionale e le esigenze familiari.

4.10

Il CESE sostiene la proposta della Commissione di stabilire dei principi guida atti a favorire le condizioni propizie alla creazione di posti di lavoro, comprese le misure di accompagnamento, come Erasmus per gli imprenditori e la preparazione degli insegnanti sulle tematiche collegate allo spirito imprenditoriale. Occorre tuttavia che gli Stati membri traducano questi principi in azioni concrete, anche al fine di stimolare l'assunzione di forza lavoro, in particolare di lavoratori scarsamente qualificati (15).

4.11

Il CESE sostiene anche la creazione di un forum sociale tripartito, che si è riunito per la prima volta il 10 e l'11 marzo 2011. Tale forum dovrebbe diventare una piattaforma permanente volta a creare un rapporto di fiducia tra le parti sociali e i responsabili delle politiche.

4.12

Il dialogo sociale europeo e la contrattazione collettiva a livello nazionale continuano ad essere strumenti essenziali per migliorare il funzionamento del mercato del lavoro e le condizioni di lavoro.

Nel loro accordo autonomo su mercati del lavoro (16) inclusivi, le parti sociali europee raccomandano che gli Stati membri definiscano e attuino delle politiche globali per promuovere mercati del lavoro aperti a tutti. Ogni volta che ciò sia possibile, e tenuto conto delle specificità nazionali, le parti sociali devono essere coinvolte, al livello adeguato, nelle misure volte ad affrontare le seguenti questioni:

portata e qualità delle misure transitorie specifiche per le persone che incontrano difficoltà sul mercato del lavoro;

efficacia dei servizi per l'impiego e dei servizi di orientamento per le carriere;

istruzione e formazione;

investimenti adeguati nello sviluppo territoriale;

accesso adeguato ai servizi di trasporto/assistenza/alloggio/formazione;

agevolazione della creazione e dello sviluppo delle imprese al fine di massimizzare il potenziale per la creazione di posti di lavoro nell'UE; bisognerebbe inoltre consentire agli imprenditori di investire in imprese sostenibili che contribuiscano al miglioramento dell'ambiente;

creazione di condizioni tali da consentire ai sistemi fiscali e previdenziali di aiutare le persone ad accedere al mercato del lavoro, a restarvi e ad evolversi.

5.   Dotare i cittadini delle competenze necessarie all'occupazione

5.1

Il CESE approva la scelta di affrontare insieme, in un unico documento strategico, le questioni relative all'istruzione e alla realtà del mondo del lavoro.

5.2

Il CESE ha contribuito al riconoscimento dell'istruzione come diritto umano fondamentale mediante numerosi pareri, nei quali ha fatto presente che l'obiettivo principale dell'istruzione è, e sarà sempre, quello di formare cittadini liberi e autonomi, dotati di spirito critico e capaci di contribuire allo sviluppo della società.

5.3

In diversi pareri (17) il CESE ha anche raccomandato che, sulla base del concetto di istruzione e formazione tendenti all'inclusione, l'UE e i suoi Stati membri si impegnino a rivedere le politiche in materia d'istruzione, i relativi contenuti, approcci e strutture nonché i fondi stanziati. Ha chiesto inoltre che si proceda a una revisione e/o a un aggiornamento delle politiche in materia di occupazione, che vengano offerti servizi pubblici di qualità, che venga dedicata particolare attenzione alle situazioni specifiche (bambini, persone con speciali esigenze, migranti, ecc.) e che in tutte queste politiche si includa la prospettiva di genere.

5.4

È indubbio che vi sia un legame tra una forza lavoro dotata di competenze superiori e un più elevato tasso di occupazione. Secondo le previsioni Cedefop, entro il 2020 saranno creati 16 milioni di impieghi per lavoratori altamente qualificati, mentre se ne perderanno 12 milioni per lavoratori scarsamente o per nulla qualificati. Ciò nondimeno, il CESE esprime rammarico poiché la Commissione, pur riconoscendo l'importanza dell'aggiornamento e del miglioramento delle competenze, non dà sufficiente risalto al collegamento tra competenze e produttività. È indispensabile aumentare la produttività in Europa anche in ragione della diminuzione della forza lavoro. Il CESE constata altresì che la Commissione non presenta nessuna misura intesa ad aumentare le competenze dei lavoratori scarsamente o per nulla qualificati, né cerca soluzioni a lungo termine per sostenere l'occupazione di quanti necessitano di approcci mirati per migliorare le loro competenze e accedere al mercato del lavoro (ad esempio le persone con disabilità mentali).

5.5

Il CESE accoglie con favore l'idea di creare una panoramica europea delle competenze, ma ritiene che l'agenda dovrebbe dare maggiore risalto tanto alle modalità per far coincidere meglio le competenze con le esigenze del mercato del lavoro quanto al rafforzamento della capacità professionale dei lavoratori per aumentarne l'occupabilità. La Commissione non dovrebbe tenere conto soltanto delle strutture formali di valutazione delle competenze. Un modo efficace per valutare le esigenze attuali e future in materia di competenze è una stretta cooperazione tra istituti di insegnamento, imprese e sindacati.

5.6

Nel parere sul tema Youth on the Move il CESE si è espresso a favore della creazione di un passaporto europeo delle competenze, sostenendo che «i passaporti esistenti (Europass e Youthpass/Passaporto gioventù) dovrebbero essere riuniti in un unico strumento generale che comprenda, in un unico modulo, un CV tradizionale, l'istruzione formale (Europass) e quella non formale o informale. (…) Il successo del passaporto europeo delle competenze dipenderà, tra l'altro, da come verrà giudicato dai datori di lavoro e utilizzato dai giovani, che devono continuare a beneficiare dei necessari servizi di orientamento e sostegno.»

5.7

Il CESE ritiene fondamentale mettere a punto strategie globali di apprendimento permanente e per questo motivo accoglie con favore la proposta di elaborare una guida alle politiche europee, che definisce un quadro per l'attuazione dell'apprendimento permanente, e un piano di azione rinnovato per l'apprendimento degli adulti.

5.8

Il CESE approva anche le altre iniziative in preparazione, tra cui la classificazione europea delle capacità, delle competenze e delle professioni (European Skills, Competences and Occupations - ESCO), come piattaforme comuni per il mondo del lavoro e quello dell'istruzione e della formazione, e la riforma del sistema di riconoscimento delle qualifiche professionali. A questo fine è particolarmente importante esaminare e adeguare i modelli di istruzione europei, studiare i sistemi scolastici, rivedere i metodi educativi e pedagogici e investire considerevolmente in un'istruzione di qualità accessibile a tutti. I sistemi di istruzione devono essere in grado di preparare i singoli individui a rispondere alle sfide attuali del mercato del lavoro. È particolarmente importante instaurare una stretta cooperazione con le imprese, e la classificazione ESCO dovrebbe essere più comprensibile e utilizzabile innanzitutto per le PMI. La classificazione prevista può fungere da fattore limitante della necessaria flessibilità quando si tratta di combinare competenze diverse per svolgere funzioni sempre nuove e mutevoli, cosa che le piccole imprese devono riuscire a fare con un numero limitato di dipendenti.

5.9

Per far coincidere meglio le competenze e le esigenze del mercato del lavoro, il CESE sottolinea in particolare il ruolo strategico che possono svolgere i consigli settoriali europei sull'occupazione e sulle competenze (CSE). Essi costituiscono una piattaforma straordinaria per mobilitare le esperienze concrete dei diversi soggetti sociali che li compongono, ad esempio per quanto riguarda l'analisi delle future opportunità e competenze in materia di occupazione e la loro classificazione (ESCO), oppure la valutazione dei cambiamenti riguardanti alcune competenze professionali richieste per posti di lavoro specifici (18).

5.10

Il CESE approva la decisione della Commissione di esaminare, anche in cooperazione con gli Stati membri, la situazione delle categorie professionali fortemente mobili, in particolare i ricercatori, per facilitare la loro mobilità geografica e intersettoriale al fine di completare entro il 2014 lo spazio europeo della ricerca.

5.11

Accoglie con favore anche lo sforzo sistematico compiuto dalla Commissione per rispondere ai cambiamenti demografici e alla carenza di alcune qualifiche sui mercati del lavoro europei sostenendo la migrazione economica legale nel quadro del programma di Stoccolma. Per massimizzare il contributo potenziale della migrazione alla piena occupazione, è necessario integrare meglio gli immigrati che già risiedono legalmente nell'UE, in particolare rimuovendo le barriere all'occupazione, quali la discriminazione e il mancato riconoscimento delle competenze e delle qualifiche, che espongono gli immigrati al rischio di disoccupazione e di esclusione sociale. A questo proposito l'annunciata nuova agenda per l'integrazione darà indubbiamente un valido contributo.

5.12

Il CESE ribadisce l'importanza di riconoscere i risultati dell'apprendimento informale e non formale, come ha sottolineato nel già citato parere sull'iniziativa Youth on the Move. Il dibattito sulle modalità di riconoscimento dovrebbe puntare anche sulla qualità dell'istruzione e della formazione, nonché sul suo monitoraggio e controllo. Ogni misura adottata per sostenere il riconoscimento dell'apprendimento informale e non formale dovrebbe andare a vantaggio di tutti i cittadini.

6.   Migliorare la qualità del lavoro e le condizioni di lavoro

6.1

Nella comunicazione in esame la Commissione indica, tra gli obiettivi, la piena occupazione. Questo fatto va però interpretato nel senso che occorre migliorare la qualità del lavoro e delle condizioni di lavoro.

6.2

Nelle conclusioni della quinta inchiesta di Eurofound sulle condizioni di lavoro in Europa (19) si afferma che: «garantire la qualità del lavoro e dei posti di lavoro è un presupposto fondamentale per il conseguimento [degli obiettivi della strategia Europa 2020].» L'inchiesta descrive anche alcune tendenze attuali del mercato del lavoro europeo. Tra gli aspetti positivi viene evidenziato che la formula standard dell'orario di lavoro (40 ore) continua ad essere la norma per la maggior parte dei lavoratori e che la quota di contratti di lavoro a tempo indeterminato aveva registrato un aumento fino al 2007, quando è esplosa la crisi mondiale. Il documento segnala tuttavia che da allora l'instabilità dei posti di lavoro e l'intensità del lavoro sono aumentate, e che molti europei temono di perdere il posto prima di aver compiuto 60 anni.

6.3

È probabile che gli effetti della crisi economica mondiale sul mercato del lavoro si faranno sentire ancora a lungo. Pertanto il CESE propone alla Commissione di tenere conto, nel considerare la possibilità di riaprire un dibattito sulla qualità del lavoro e sulle condizioni di lavoro, delle conclusioni della quinta inchiesta di Eurofound sulle condizioni di lavoro in Europa (risultati positivi, problemi persistenti e problemi dovuti alla crisi).

6.4

La priorità è creare posti di lavoro di qualità. Gli Stati membri dovrebbero impegnarsi a riformare il mercato del lavoro per sostenere la crescita e contribuire all'equilibrio tra offerta e domanda.

6.5

Da questo punto di vista, la proposta della Commissione di analizzare l'efficacia della legislazione UE in campo sociale dovrebbe essere volta innanzitutto a sostenere gli sforzi compiuti dagli Stati membri nell'attuazione di riforme che siano coerenti con la priorità di creare posti di lavoro di qualità.

6.6

Per quanto riguarda la direttiva sul distacco dei lavoratori, il CESE accoglie con favore lo sforzo della Commissione di sostenerne un'attuazione uniforme e corretta, il rafforzamento della cooperazione amministrativa tra Stati membri, l'introduzione di un sistema elettronico di informazione (IMI) e il mantenimento delle norme del lavoro degli Stati membri, nel rispetto del diritto nazionale del lavoro e della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

6.7

Negli ultimi vent'anni l'intensità del lavoro è considerevolmente aumentata. Alcuni studi dell'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, condotti nel quadro della strategia UE per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro, hanno messo in guardia rispetto a rischi nuovi e futuri, come lo stress lavorativo, i problemi muscolo-scheletrici, la violenza e le molestie sul lavoro. Per quanto riguarda l'esame della legislazione in materia di salute e sicurezza, il CESE ritiene che esso debba avvenire nel quadro di un dialogo e di accordi con le parti sociali. Si dovrebbe mettere l'accetto innanzitutto sull'attuazione coerente degli strumenti esistenti, nonché su una maggiore sensibilizzazione e assistenza ai lavoratori e alle imprese.

6.8

Per quanto riguarda le attività avviate in materia di informazione e consultazione, il CESE sostiene la prevista consultazione delle parti sociali europee sulla creazione di un quadro europeo per la ristrutturazione. Grazie a tale dialogo, sarà possibile stabilire se le direttive vigenti costituiscano un quadro adeguato per un dialogo costruttivo tra la direzione, le organizzazioni sindacali e i rappresentanti dei lavoratori a livello di impresa.

6.9

Per quanto concerne il riesame delle direttive sul lavoro part-time e i contratti a tempo determinato, che sono basate su accordi comuni tra le parti sociali e hanno costituito finora un utile strumento per rafforzare la flessibilità interna, il CESE ritiene che la Commissione dovrebbe accertarsi che le parti sociali europee ritengano utile procedere a tale revisione.

7.   Strumenti di finanziamento dell'UE

7.1

In una fase di risanamento dei bilanci pubblici, l'Unione europea e gli Stati membri devono concentrarsi su un migliore utilizzo dei finanziamenti UE e al tempo stesso, nel quadro di tale politica, dare la priorità alla creazione di posti di lavoro e al miglioramento delle qualifiche professionali. È fuor di dubbio che la politica di coesione contribuisce allo sviluppo delle competenze e alla creazione di posti di lavoro, anche nel settore in espansione dell'economia verde. Si può sempre fare di più per sfruttare meglio le possibilità offerte dagli strumenti finanziari dell'UE a sostegno delle riforme nei settori dell'occupazione, dell'istruzione e della formazione.

7.2

Per questo motivo il CESE sostiene la Commissione nell'appello rivolto agli Stati membri affinché concentrino gli interventi del Fondo sociale europeo (FSE) e degli altri fondi sulle quattro priorità chiave introdotte dalla comunicazione della Commissione e sulle riforme che possono derivarne, contribuendo così al conseguimento degli obiettivi dell'agenda in esame e degli obiettivi nazionali derivanti dalla strategia Europa 2020.

7.3

In questo contesto riveste particolare importanza l'FSE, che apporterà dei vantaggi in tutti i settori interessati. L'FSE può contribuire a sostenere le singole componenti della flessicurezza, a prevedere e sviluppare le qualifiche, a introdurre forme innovative di organizzazione del lavoro, anche in merito alla salute e alla sicurezza sul lavoro, a favorire l'imprenditorialità e la creazione di imprese nonché a sostenere i lavoratori disabili e i gruppi svantaggiati sul mercato del lavoro o esposti al rischio di esclusione sociale.

7.4

Alcune raccomandazioni del CESE sono contenute nel parere sul futuro dell'FSE (20). In tale contesto il CESE afferma, tra l'altro, che «si devono trarre insegnamenti dal ricorso all'FSE per sostenere sia la ripresa che la crescita economica dell'Unione europea, puntando su un sostegno più adeguato alle PMI, alle microimprese e agli attori dell'economia sociale che rispettano gli obiettivi dell'FSE, e sui miglioramenti sociali, sia in termini di salvaguardia e creazione di posti di lavoro di qualità che di inclusione sociale, in particolare attraverso il lavoro».

7.5

Per quanto riguarda il bilancio futuro dell'UE, nello stesso parere il CESE aggiunge che «l'FSE è lo strumento privilegiato per sostenere l'attuazione della strategia europea per l'occupazione e (…) di conseguenza, considerata l'attuale situazione economica, l'FSE deve continuare a essere uno strumento strategico e finanziario importante e dovrà essere dotato di maggiori risorse in linea con le sfide ancor più difficili che dovrà affrontare (tasso di disoccupazione più elevato), rispecchiando l'aumento del bilancio generale dell'UE: ciò significa che l'incremento della dotazione del Fondo dovrà essere per lo meno del 5,9 %, come proposto dalla Commissione europea riguardo all'aumento generale del bilancio dell'Unione per il 2011.»

7.6

Il CESE accoglie con favore il contributo e i risultati ottenuti finora del programma Progress dell'UE attuato dal quadro strategico 2007-2013 per l'occupazione e la solidarietà sociale. Nello stesso tempo si rallegra che la Commissione, nel quadro della revisione dei suoi strumenti finanziari, abbia lanciato una consultazione pubblica riguardante anche la struttura, il valore aggiunto, le azioni, il bilancio e l'attuazione del nuovo strumento che succederà al programma Progress e che dovrebbe rispondere alle nuove sfide cui l'Unione sarà confrontata nel campo sociale e dell'occupazione.

Bruxelles, 13 luglio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU C 128 del 18.5.2010, pag. 74.

(2)  Conclusioni del Consiglio, del 5 e 6 dicembre 2007, Verso principi comuni di flessicurezza (doc. 16201/07).

(3)  Relazione comune sull'occupazione, COM(2011) 11 definitivo, Bruxelles, gennaio 2011, http://ec.europa.eu/europe2020/pdf/3_it_annexe_part1.pdf.

(4)  OECD Harmonised Unemployment Rate («OCSE: Tasso di disoccupazione armonizzato»), comunicato stampa del 10 maggio 2011, http://www.oecd.org.

(5)  Analisi annuale della crescita, COM(2011) 11 definitivo, del 12 gennaio 2011.

(6)  Dialogo sulla crescita e l'occupazione in Europa, dal 1o al 3 marzo 2011, Vienna, http://www.ilo.org.

(7)  Documento di lavoro dei servizi della Commissione - Demography Report 2010 («Relazione demografica 2010») http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/population/documents/Tab/report.pdf.

(8)  GU C 27 del 3.2.2009, pag. 114, e parere CESE 801/2011 del 4 maggio 2011.

(9)  Strategia europea sulla disabilità 2010-2020: un rinnovato impegno per un'Europa senza barriere, COM(2010) 636 definitivo, 15 novembre 2010.

(10)  Strategia per la parità tra donne e uomini 2010-2015, COM(2010) 491 definitivo.

(11)  Verso un atto per il mercato unico, COM(2010) 608 definitivo, ottobre 2010.

(12)  GU C 132 del 3.5.2011, pag. 55.

(13)  Strategia europea sulla disabilità 2010-2020: un rinnovato impegno per un'Europa senza barriere, COM(2010) 636 definitivo.

(14)  Studio comune delle parti sociali europee intitolato The implementation of Flexicurity and the role of the social partners («L'attuazione della flessicurezza e il ruolo delle parti sociali»), elaborato nel quadro del programma di lavoro comune per il dialogo sociale dell'UE per il periodo 2009-2011.

(15)  Secondo le indagini attuali dell'OCSE, la riduzione dei contributi a carico delle imprese porterebbe ad un aumento dell'occupazione dello 0,6 %.

(16)  Accordo autonomo delle parti sociali europee (2010) sui mercati del lavoro inclusivi, negoziato nel quadro del programma comune di lavoro 2009-2011.

(17)  GU C 18 del 19.1.2011, pag. 18.

(18)  GU C 132 del 3.5.2011, pag. 26, GU C 347 del 18.12.2010, pag. 1, e GU C 128 del 18.5.2010, pag. 74.

(19)  Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, quinta inchiesta, http://www.eurofound.europa.eu/.

(20)  GU C 132 del 3.5.2011, pag. 8.


29.10.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/150


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Verso una politica globale europea degli investimenti internazionali»

COM(2010) 343 definitivo

2011/C 318/25

Relatore: Jonathan PEEL

La Commissione europea, in data 7 luglio 2010, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Verso una politica globale europea degli investimenti internazionali

COM(2010) 343 definitivo.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 20 giugno 2011.

Alla sua 473a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2011 (seduta del 13 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 123 voti favorevoli, 5 voti contrari e 9 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore l'attribuzione all'UE di nuove competenze in materia di investimenti esteri diretti (IED) ed esprime soddisfazione per le opportunità che questo primo passo offre rafforzando e rendendo più coerente la tutela degli investimenti tra gli Stati membri e i paesi terzi. Disporre di un quadro generale è infatti auspicabile, purché non sia troppo restrittivo. È fondamentale garantire la sicurezza degli investitori, nell'interesse delle imprese dell'UE e dei paesi in via di sviluppo. Il maggiore potere contrattuale offerto dalla competenza esclusiva dell'UE dovrebbe consentire all'Unione di diventare un attore più importante e dovrebbe garantire un migliore accesso a mercati chiave di paesi terzi, proteggendo al tempo stesso gli investitori, il che migliorerebbe la nostra competitività sul piano internazionale.

1.2   Il Comitato esprime particolare apprezzamento per la rassicurazione contenuta nella comunicazione in esame secondo cui la politica dell'UE in materia di commercio e investimenti «deve adattarsi» e deve essere compatibile con la politica economica e le altre politiche dell'Unione, comprese quelle «in materia di tutela dell'ambiente, di lavoro dignitoso, di salute e di sicurezza sul luogo di lavoro», nonché di sviluppo. È fondamentale che la politica dell'UE in materia di investimenti non sia in contrasto con nessuna di queste altre politiche. Il Comitato auspica che nella stipula di futuri trattati UE di investimento o nel loro rinnovo, le due parti lascino un margine di manovra sufficiente in ognuno di questi aspetti specifici dello sviluppo sostenibile. Occorre inoltre che gli investitori, nel quadro dei loro sforzi rivolti a rafforzare e mantenere la loro competitività generale, tengano pienamente conto dei loro obblighi in materia di esigenze di sviluppo sostenibile. Tuttavia, un'efficace strategia UE in materia di investimenti riveste un ruolo fondamentale nel mantenere la competitività dell'UE in un momento di rapide trasformazioni economiche e di importanti spostamenti degli equilibri di potere economico a livello mondiale.

1.3   Il Comitato concorda sul fatto che l'adozione di un modello unico di accordi di investimento con i paesi terzi non sarebbe necessaria né auspicabile. Tuttavia, gli accordi di investimento conclusi dall'UE dovrebbero portare a unire un contesto aperto agli investimenti a un'effettiva protezione degli investitori dell'UE, garantendo loro un'adeguata flessibilità operativa nei paesi nei quali investono. Se si vuole che gli investitori traggano vantaggio è fondamentale che, con la graduale soppressione delle restrizioni agli investimenti, si crei tale contesto e si diano sufficienti garanzie di protezione, in particolare introducendo disposizioni sul trattamento nazionale, sul trattamento giusto ed equo e sul libero trasferimento di fondi.

1.4   Il Comitato osserva anche che qualsiasi tentativo di porre termine a tutti i trattati bilaterali in materia di investimenti (TBI) conclusi dagli Stati membri entro cinque anni avrebbe immediatamente un enorme impatto destabilizzante sugli investimenti in corso nonché sull'occupazione e sulla protezione sociale, anche se ciò non vuol dire che non si debba eseguire un'attenta analisi di questi aspetti nel quadro di un'eventuale revisione volta a garantire in futuro un approccio più coerente, trasparente ed equilibrato da parte dell'UE.

1.5   A tal fine il Comitato auspica che l'UE colga l'occasione per migliorare e aggiornare gli accordi di investimento che saranno negoziati, facendo leva sulle proprie forze piuttosto che limitarsi a imitare altri. L'UE deve fare una riflessione critica sui recenti sviluppi sul piano del diritto in materia di investimenti internazionali nonché della politica e delle pratiche in materia di investimenti (tra cui l'arbitrato tra investitore e Stato), al fine di garantire che la sua filosofia e il suo approccio in relazione ai futuri trattati di investimento e ai capitoli specifici sugli investimenti da inserire negli accordi di libero scambio siano aggiornati e sostenibili.

1.6   Il Comitato appoggia pienamente il proposito della Commissione di stabilire un ordine di priorità per i negoziati con quei paesi, in particolare le principali economie emergenti indicate nella comunicazione Europa globale, che presentano un forte potenziale di mercato, ma nei quali gli investitori esteri hanno bisogno di una migliore tutela. Il Comitato apprezza tuttavia che nella comunicazione si precisi che questo approccio non deve precludere eventuali iniziative multilaterali future.

1.7   Il Comitato esorta inoltre la Commissione a utilizzare gli accordi per la tutela degli investimenti come un'opportunità per promuovere investimenti di lungo termine nei paesi in via di sviluppo, tali da offrire benefici economici quali la creazione di posti di lavoro dignitosi e di alta qualità, il miglioramento delle infrastrutture e il trasferimento di conoscenze.

1.8   Il Comitato si rammarica che la comunicazione in esame non tratti in maniera sufficientemente dettagliata il modo in cui una politica internazionale dell'UE in materia di investimenti potrà interagire e combaciare con il programma dell'UE in materia di sviluppo, con particolare riferimento ai paesi ACP, ai paesi meno sviluppati e ai negoziati per gli accordi di partenariato economico (APE) ancora in corso.

1.9   L'apertura agli investimenti esteri diretti in tutti e due i sensi ha recato finora notevoli benefici all'UE, ma il Comitato si rammarica altresì che la Commissione non si pronunci in merito alle possibili acquisizioni di imprese e società europee di importanza strategica.

1.9.1   La Commissione reputa, chiaramente e a giusto titolo, che l'UE debba essere uno spazio aperto agli investimenti, ma la stessa Commissione deve valutare a fondo quale sia la modalità migliore per raggiungere e monitorare tale obiettivo. Essa deve inoltre considerare con attenzione l'aspetto complesso della reciprocità con i terzi nel campo degli investimenti, evitando qualsiasi approccio di mero scambio uno a uno.

1.10   Il Comitato ritiene che vada ricercato, per quanto possibile, l'inserimento di capitoli specifici sugli investimenti nel quadro di qualsiasi più ampio negoziato commerciale dell'UE e che gli investimenti debbano rientrare anch'essi nel ruolo di controllo previsto per la società civile laddove, nell'ambito di tali accordi, si consideri la costituzione di forum della società civile.

2.   Contesto - investimenti: una nuova «frontiera» per l'UE

2.1   La comunicazione della Commissione intitolata Verso una politica globale europea degli investimenti internazionali scaturisce dal Trattato di Lisbona. L'articolo 207 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) include finalmente, per la prima volta, gli investimenti esteri diretti nell'ambito di applicazione della politica commerciale comune, mentre l'articolo 206 prevede che l'Unione contribuisca alla «graduale soppressione delle restrizioni [agli scambi internazionali e] agli investimenti esteri diretti». Come si legge nella comunicazione in esame, gli «investimenti si presentano come una nuova frontiera per la politica commerciale comune», ma tale constatazione segna solo la prima tappa nella definizione della politica dell'UE in questa materia, e le risposte alla comunicazione stessa incideranno notevolmente sul suo futuro orientamento.

2.2   Con il Trattato di Lisbona vengono trasferite importanti competenze in materia di politica esterna dell'UE: tutti i diversi aspetti (commercio, investimenti, sviluppo e allargamento) devono essere integrati più strettamente tra loro e armonizzati gli uni agli altri, anche al fine di consentire un migliore coordinamento.

2.3   La comunicazione in esame si propone di analizzare «il modo in cui l'Unione potrebbe elaborare una politica di investimenti internazionali suscettibili di migliorare la competitività dell'UE», contribuendo «agli obiettivi di una crescita intelligente, sostenibile e inclusiva enunciati dalla strategia Europa 2020» e mantenendo un contesto aperto agli investimenti.

2.4   Il Comitato non è stato tuttavia consultato in merito alla proposta, parallela, di regolamento che stabilisce disposizioni transitorie in relazione ai trattati bilaterali in materia di investimenti (TBI), un aspetto questo particolarmente importante per molti, sebbene la Commissione sottolinei di non volere riscrivere tali trattati. Attualmente, negli Stati membri sono in vigore oltre 1 100 TBI con 147 paesi terzi. Si va dalla Germania che ne conta da sola 120 all'Irlanda che non ha stipulato nessun accordo di questo tipo. Degli altri Stati membri dell'UE-15, solo la Grecia e la Danimarca dispongono di meno di 50 TBI, mentre tra i nuovi Stati membri solo la Repubblica ceca e la Romania ne contano 60 o più.

2.5   La Commissione propone di rivedere gli accordi in vigore entro 5 anni e di riferire al Parlamento e al Consiglio. La stabilità e la certezza del diritto per gli investitori devono avere il massimo rilievo. Alcuni settori esercitano tuttavia pressioni sulla Commissione affinché essa ponga termine a tutti i TBI entro 5 anni. Questa misura avrebbe immediatamente un enorme impatto destabilizzante sugli investimenti in corso, che potrebbe ripercuotersi gravemente non soltanto sull'occupazione e sulle imprese interessate, ma anche sulla protezione sociale e sulle pensioni future in tutti i paesi d'Europa nei quali i fondi pensione hanno investito in misura cospicua in queste società. Tuttavia ciò non dovrebbe impedire all'UE di considerare i TBI nel quadro di un'eventuale riesame complessivo dei recenti sviluppi sul piano del diritto in materia di investimenti internazionali, della politica e delle pratiche in materia di investimenti nonché dell'arbitrato tra investitore e Stato al fine di garantire che in futuro la politica degli investimenti e l'approccio negoziale dell'UE siano più coerenti, trasparenti e sostenibili.

2.6   L'attribuzione delle nuove competenze all'UE in materia di investimenti esteri diretti (IED) dovrebbe offrire opportunità concrete per rafforzare e rendere più coerente la tutela degli investimenti tra gli Stati membri e i paesi terzi e per promuovere investimenti di lungo termine nei paesi in via di sviluppo, tali da offrire benefici economici quali la creazione di posti di lavoro dignitosi e di alta qualità, il miglioramento delle infrastrutture nonché il trasferimento di conoscenze. Ciò potrebbe contribuire anche a ridurre le enormi pressioni esercitate attualmente sull'UE dai flussi migratori.

2.7   Le decisioni di investimento sono determinate, naturalmente, da considerazioni di mercato, ma gli investimenti sono spesso suddivisi in due aspetti: «accesso al mercato» e «protezione». La comunicazione in esame verte principalmente su questo secondo aspetto, pur affrontandone anche altri tra cui l'apertura agli investitori esteri, e persegue l'obiettivo di garantire a questi ultimi di poter «operare in un ambiente imprenditoriale aperto e adeguatamente ed equamente regolamentato sia all'interno che al di là delle frontiere del paese ospitante».

2.7.1   L'accesso al mercato degli investimenti è già contemplato negli accordi multilaterali e bilaterali stipulati a livello dell'UE (i servizi rappresentano un elemento essenziale del ciclo di negoziati di Doha attualmente in corso). Non è chiaro in che misura gli «investimenti di portafoglio», descritti dalla Corte di giustizia come «l'acquisto dei titoli sul mercato dei capitali effettuato soltanto per realizzare un investimento finanziario, senza intenzione di influenzare la gestione dell'impresa» (1), rientrino nell'ambito trattato dalla comunicazione in esame: questo aspetto va infatti chiarito, come anche qualsiasi possibile differenza di trattamento.

3.   Gli investimenti esteri diretti (IED)

3.1   Nella comunicazione in esame, «si ritiene in generale» (sulla scorta delle sentenze della Corte di giustizia) che gli investimenti esteri diretti (IED) comprendano «qualunque investimento estero che serva a stabilire collegamenti durevoli e diretti con l'impresa a disposizione della quale viene messo il capitale necessario a realizzare un'attività economica» o siano un flusso di capitale che va da un investitore con sede in un determinato paese verso un'impresa ubicata in un altro paese. La mancanza di una definizione assoluta offre alla Commissione una maggiore flessibilità in vista di un possibile futuro mutamento delle condizioni ma potrebbe anche creare una maggiore incertezza giuridica, che non rappresenta certo un contesto ideale per gli investimenti. Qualsiasi definizione più restrittiva dell'investimento deve rafforzare, piuttosto che indebolire, la protezione dell'investitore, e non deve ridurre la flessibilità.

3.2   Molti osservatori ritengono che le questioni legate agli investimenti possano diventare più importanti degli scambi commerciali, soprattutto per quanto riguarda l'accesso ai mercati delle economie emergenti. Negli ultimi anni, gli IED da parte di imprese e industrie dell'UE sono aumentati in misura esponenziale, per effetto anche di un'accelerazione della globalizzazione. Nella maggior parte dei casi, in base ai costi comparativi di produzione, il luogo ideale di produzione si trova il più vicino possibile al mercato finale, e ciò risulta particolarmente importante con l'apertura di nuovi sbocchi commerciali, soprattutto nelle principali economie emergenti. Questa tendenza può accelerarsi, poiché le attività di approvvigionamento e produzione possono essere spostate facilmente da un paese all'altro come si è già visto in seguito alle differenze nazionali e regionali nel grado di accettazione dell'impiego delle biotecnologie.

3.2.1   Le filiere mondiali di approvvigionamento e anche quelle di produzione possono ramificarsi in numerosi paesi, ad esempio un telefono cellulare destinato all'Europa può essere costruito in Cina utilizzando componenti di alta tecnologia importati da altre parti dell'Asia orientale. È interessante notare che, mentre in questi ultimi anni le importazioni dell'UE dalla Cina hanno fatto registrare un rapido incremento (passando da 117 miliardi a 200 miliardi di euro, ossia quasi il doppio, tra il 2005 e il 2008), nell'ultimo decennio la quota complessiva di importazioni dell'UE dall'Asia orientale in generale è rimasta abbastanza stabile (oscillando tra il 21 % e il 26 %). Prima dell'ingresso della Cina nell'OMC, questi componenti venivano importati nell'UE direttamente da altri paesi. Oltre la metà delle esportazioni cinesi proviene in realtà da imprese di proprietà straniera che hanno investito in Cina (nel settore elettronico tale quota raggiunge il 65 %).

3.3   Gli IED svolgono un ruolo fondamentale nella strategia commerciale globale dell'UE e la comunicazione ne spiega le ragioni principali in modo chiaro. Numerose imprese dell'UE (tra l'altro del settore tessile) hanno trasferito inoltre la produzione in Cina per rimanere competitive, il che ha consentito loro anche di continuare a finanziare attività fondamentali, soprattutto di R&S, nel paese d'origine. Nel 2009, gli investimenti dell'UE in Cina sono ammontati a 5,3 miliardi di euro, mentre quelli cinesi nell'UE sono stati di appena 0,3 miliardi (2). Come si legge nella comunicazione in esame lo «stato attuale della ricerca sugli IED e l'occupazione mostra che non è stato ancora individuato un impatto negativo misurabile sull'occupazione a livello aggregato per quanto riguarda gli investimenti verso l'esterno» (3), sebbene la Commissione riconosca che «mentre il bilancio aggregato è positivo, possono evidentemente prodursi effetti negativi a livello settoriale, geografico e/o individuale». Tali ripercussioni potrebbero interessare con maggiore probabilità i lavoratori meno qualificati.

3.3.1   Come si rileva nel documento della Commissione, le principali economie emergenti cominciano invece a incrementare la loro «quota relativa» nei flussi di IED mondiali. L'UE si colloca ai primi posti per quanto riguarda i flussi di IED sia in entrata che in uscita, come mostra l'acquisto di imprese dell'UE (ad esempio Corus e Volvo) da parte di società indiane e cinesi, che si aggiunge al fatto che numerosi marchi noti, in particolare del settore automobilistico, prodotti da imprese statunitensi e giapponesi, sono già presenti in Europa.

3.3.2   L'apertura agli IED in tutti e due i sensi ha recato notevoli benefici all'UE, come osserva la Commissione, la quale tuttavia non si pronuncia in merito alle possibili acquisizioni di imprese e società europee di importanza strategica. I media hanno speculato sulla possibilità che l'UE istituisca un organo dotato del potere di esaminare e bloccare queste acquisizioni straniere. Ad esempio, nonostante il divieto imposto dall'UE nel 1989 di trasferire alta tecnologia in Cina, questo paese cerca di acquistare attività (e titoli di Stato), soprattutto in Stati membri con elevati livelli di indebitamento, e di acquisire società che operano nel settore delle tecnologie di avanguardia. Da proiezioni elaborate dalla Banca centrale del Regno Unito emerge che entro il 2050 la Cina potrebbe detenere il 40 % dei risparmi complessivi dei paesi del G20, contro il 5 % appena degli Stati Uniti. Questi aspetti rientrano, in Canada, nel campo di applicazione della legge sugli investimenti e, negli Stati Uniti, sono di competenza del Committee on Foreign Investment (Comitato per gli investimenti esteri). La Commissione reputa, chiaramente e a giusto titolo, che l'UE debba essere uno spazio aperto agli investimenti, ma deve valutare a fondo quale sia la modalità migliore per raggiungere e monitorare tale obiettivo e deve considerare con attenzione l'aspetto complesso della reciprocità con i terzi nel campo degli investimenti, evitando qualsiasi approccio di mero scambio uno a uno.

4.   Gli investimenti come elemento di una politica estera dell'UE di più ampio respiro

4.1   La definizione di una politica globale dell'UE in materia di investimenti internazionali deve tenere conto di numerosi aspetti. Gli investimenti sono determinati da considerazioni di mercato, ma se si vuole che gli investitori traggano vantaggio, grazie alla flessibilità operativa e alla graduale soppressione delle restrizioni in questo settore, sostenuta da sufficiente protezione, è anche fondamentale che si crei un contesto aperto agli investimenti, introducendo tra l'altro disposizioni sul trattamento nazionale, sul trattamento giusto ed equo e sul libero trasferimento di fondi. Queste condizioni sono indispensabili per assicurare l'espansione degli scambi commerciali, dai quali «la nostra prosperità dipende» (4), con importanti paesi terzi e altre economie emergenti.

4.2   La politica in materia di investimenti è stata uno dei «temi di Singapore», aggiunti dall'UE nel 1997 al programma dei lavori dell'allora futuro ciclo di negoziati commerciali in ambito OMC, denominato poi «Doha Round», ma fu successivamente abbandonata nel quadro di un tentativo di compromesso alla conferenza di Cancún del 2003. Di fronte alla necessità di coinvolgere i paesi in via di sviluppo, questa politica è ricomparsa come obiettivo fondamentale dell'UE nella comunicazione in materia di scambi commerciali pubblicata dalla Commissione nel 2006 e intitolata Europa globale nella quale si passa in rassegna la maggior parte dei negoziati per gli accordi di libero scambio condotti attualmente dall'UE. La comunicazione in esame si fonda su tale approccio e sui paesi e le regioni individuati nel documento della Commissione, precisando al tempo stesso che questo approccio non deve precludere eventuali iniziative multilaterali future (5).

4.3   Il Canada, che aveva manifestato il desiderio di inserire la tutela degli investimenti nei suoi accordi economici e commerciali in corso di negoziato con l'UE, garantisce un elevato livello di tutela agli investitori e si colloca ai primi posti nella classifica sulla facilità del fare impresa (Ease of doing business index) stilata dalla Banca mondiale, come anche in quella dei flussi di investimento. Tuttavia, tranne per Singapore, lo stesso non si può dire per numerosi altri paesi individuati in Europa globale e nella comunicazione in esame. Tra i 183 paesi elencati nella classifica della Banca mondiale, la Cina (Hong Kong esclusa) figura all'89o posto, la Russia al 120o, il Brasile al 129o e l'India al 133o. Questi paesi raggiungono un cattivo punteggio anche dal punto di vista della tutela degli investitori. In questo ambito è necessario ancora definire dei contesti normativi propizi alle imprese. È utile stabilire un ordine di priorità per i negoziati con quei paesi che presentano un forte potenziale di mercato ma nei quali gli investitori esteri hanno bisogno di una migliore tutela.

4.3.1   Anche Singapore e l'India hanno chiesto di includere dei capitoli specifici sulla tutela degli investimenti negli accordi di libero scambio in corso di negoziato con l'UE. Come proposto, dovrebbero essere stipulati accordi separati e autonomi in materia di investimenti con la Cina e la Russia (6), paesi con i quali i negoziati più ampi procedono molto a rilento. Si ritiene che lo stesso interesse vi sia anche da parte della Russia. In Cina le imprese dell'UE continuano a incontrare grossi ostacoli, in particolare in materia di diritti di proprietà intellettuale, appalti e alta tecnologia. Il Brasile rifiuta invece in modo categorico la possibilità di includere un capitolo sugli investimenti negli accordi di libero scambio con il Mercosur, mentre rimane impraticabile la conclusione di qualsiasi accordo con paesi come il Venezuela.

4.4   Come emerge chiaramente dallo studio realizzato dalla London School of Economics (7), l'attribuzione della competenza esclusiva dovrebbe rafforzare il ruolo dell'UE, cosa che il Comitato accoglierebbe con favore. Lo studio sottolinea che dagli anni '90 le regole che disciplinano gli investimenti sono state influenzate dai paesi (nordamericani) del NAFTA attraverso la conclusione di accordi più generali, che vanno indirettamente a scapito degli investitori dell'UE (anche se alcuni di questi accordi riguardano Stati membri di più recente adesione). Nello studio si fa notare inoltre che il maggiore potere contrattuale offerto da una politica UE comune dovrebbe consentire all'UE di accedere meglio ai mercati di paesi terzi importanti, proteggendo al tempo stesso gli investitori, il che migliorerebbe la competitività dell'Europa sul piano internazionale.

4.4.1   Il Comitato concorda con gli autori dello studio di cui sopra sul fatto che l'UE dovrebbe cogliere questa opportunità per aggiornare gli accordi sugli investimenti che sta attualmente negoziando. L'Unione dovrebbe tuttavia far leva sulle proprie forze piuttosto che imitare il NAFTA.

5.   Considerazioni sociali e ambientali in relazione agli investimenti

5.1   Tuttavia, molti temono la crescente politicizzazione dei negoziati sugli investimenti che inevitabilmente ne conseguirebbe, anche per effetto del dettato dell'articolo 205 del TFUE, secondo il quale la politica commerciale comune deve essere fondata sui principi generali dell'azione esterna dell'Unione, nei quali rientra la promozione della democrazia, dello Stato di diritto, del rispetto dei diritti umani e di uno sviluppo economico, sociale e ambientale sostenibile. Tali timori non sono tuttavia condivisi dal Comitato, per il quale queste considerazioni sono della massima importanza.

5.2   Nei trattati bilaterali di investimento stipulati di recente con il NAFTA è stata inserita una disposizione di tutela dall'espropriazione indiretta, che solo di rado è contemplata nei trattati bilaterali di investimento stipulati con gli Stati membri. Senza questo tipo di tutela si rischia che le controversie siano lasciate all'arbitraggio, che non è proprio la soluzione ideale. Questo aspetto è particolarmente interessante per il Comitato per quanto riguarda l'inserimento di disposizioni e altre misure di regolamentazione in materia di sviluppo sostenibile che sono chiaramente di pubblico interesse (8), soprattutto laddove le controparti le considerino un modo per innalzare barriere.

5.3   Come già dichiarato, il Comitato esprime apprezzamento per la rassicurazione contenuta nella comunicazione in esame secondo cui la politica dell'UE in materia di commercio e investimenti deve essere compatibile con le altre politiche dell'Unione, comprese quelle «in materia di tutela dell'ambiente, di lavoro dignitoso, di salute e di sicurezza sul luogo di lavoro», nonché di sviluppo. Il Comitato ritiene che vada ricercato, per quanto possibile, l'inserimento di capitoli specifici sugli investimenti nel quadro di accordi commerciali dell'UE più ampi. La tutela degli investimenti deve rientrare anch'essa nel ruolo di controllo previsto per la società civile laddove, nell'ambito di tali accordi, si consideri la costituzione di forum della società civile (9).

5.4   Già nel suo parere in merito alla comunicazione Europa globale, il Comitato invitava ad applicare gli standard previsti dal sistema di preferenze generalizzate (SPG Plus) ai futuri accordi di libero scambio dell'UE. Questi comprendono le 8 convenzioni fondamentali dell'OIL e importanti convenzioni in materia ambientale. La vigilanza su tali aspetti deve far parte delle competenze attinenti agli investimenti di ogni singolo forum della società civile che sarà costituito, non da ultimo per evitare il più possibile che, in caso di controversia, il paese ospitante possa appellarsi agli aspetti ambientali e sociali in maniera scorretta. Va però osservato che, delle suddette convenzioni dell'OIL, il Canada ne ha ratificate solo 5, la Corea 4 e gli USA appena 2.

5.4.1   Il Comitato accoglie con soddisfazione il chiaro impegno espresso nell'accordo Cariforum (2008) a non abbassare le norme in materia di ambiente e lavoro allo scopo di attrarre gli investimenti, e apprezza l'inserimento di una disposizione che impegna gli investitori (articolo 72) a rispettare tali norme, a evitare la corruzione e a mantenere i contatti con le comunità locali. Occorre che gli investitori, nel quadro dei loro sforzi rivolti a rafforzare e mantenere la loro competitività generale, tengano pienamente conto dei loro obblighi in materia di esigenze di sviluppo sostenibile. Inoltre, gli investitori UE all'estero devono essere tutelati dai concorrenti locali qualora per questi ultimi valgano norme meno rigorose.

6.   Gli investimenti quale strumento di sviluppo?

6.1   Secondo il Comitato, uno degli aspetti cruciali che nella comunicazione in esame non sono stati trattati in maniera sufficientemente dettagliata è il modo in cui una politica internazionale dell'UE in materia di investimenti potrà interagire e combaciare con il programma dell'UE in materia di sviluppo, con particolare riferimento ai paesi ACP e ai paesi meno sviluppati e in relazione ai negoziati per gli accordi di partenariato economico (APE) ancora in corso. L'approccio adottato dall'UE in Africa è in netto contrasto con quello seguito dalla Cina: nella sua ricerca di nuove fonti di materie prime e di investimenti esteri, questo paese ha avviato con diversi paesi africani dei partenariati concentrati sugli investimenti come attività commerciale piuttosto che come aiuto allo sviluppo.

6.2   L'UE deve promuovere investimenti di lungo termine nei paesi in via di sviluppo, tali da offrire benefici economici quali la creazione di posti di lavoro dignitosi e di infrastrutture nonché il trasferimento di conoscenze. Questo aspetto dovrebbe essere parte integrante dell'iniziativa degli accordi di partenariato economico, la cui preoccupazione principale è lo sviluppo.

6.2.1   In pareri precedenti (10), il Comitato ha sostenuto che lo sviluppo economico dell'Africa deve «dipendere anzitutto e in primo luogo dall'approfondimento del suo mercato interno, che è in grado di sviluppare una crescita endogena che consentirebbe al continente di stabilizzarsi e consolidarsi nell'ambito dell'economia mondiale. L'integrazione regionale e lo sviluppo del mercato interno sono i punti di partenza, le molle che permetteranno all'Africa di aprirsi al commercio mondiale con esito positivo». Il Comitato ribadisce questa raccomandazione per quanto riguarda la politica dell'UE in materia di investimenti.

Bruxelles, 20 giugno 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Sentenza della Corte di giustizia del 28 settembre 2006.

(2)  Dati della Commissione.

(3)  2010 Impact of EU Outward FDI («Impatto degli IED dell'UE nel 2010»), Copenhagen Economics.

(4)  Comunicazione della Commissione Europa globale, citata nel parere CESE, GU C 211 del 19.8.2008, pag. 82.

(5)  I punti di vista del Comitato in merito ad accordi multilaterali o bilaterali sono esposti più in dettaglio nel parere CESE, GU C 211 del 19.8.2008, pag. 82.

(6)  Cfr. comunicazione della Commissione Commercio, crescita e affari mondiali, punto 2.1.

(7)  The EU Approach to International Investment Policy after the Lisbon Treaty (L'approccio dell'UE alla politica in materia di investimenti internazionali dopo il Trattato di Lisbona), studio a cura della London School of Economics et al., 2010.

(8)  Le posizioni del Comitato in merito alle valutazioni d'impatto sulla sostenibilità e la politica commerciale dell'UE sono illustrate nel parere CESE, GU C 218 del 23.7.2011, pag. 14.

(9)  Un forum della società civile è previsto nel quadro degli accordi con i paesi del Cariforum (accordi di partenariato economico) e dell'America centrale (accordi di libero scambio) per vigilare sull'attuazione dell'accordo nel suo insieme, nonché nel quadro dell'accordo stipulato con la Corea per controllare l'applicazione del capitolo relativo allo sviluppo sostenibile.

(10)  GU C 317 del 23.12.2009, pag. 126 e GU C 255 del 22.9.2010, pag. 1.


29.10.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/155


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Piano di efficienza energetica 2011»

COM(2011) 109 definitivo

2011/C 318/26

Relatrice: Ulla SIRKEINEN

La Commissione europea, in data 8 marzo 2011, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Piano di efficienza energetica 2011

COM(2011) 109 definitivo.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 giugno 2011.

Alla sua 473a sessione plenaria, dei giorni 13 e 14 luglio 2011 (seduta del 14 luglio), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere all'unanimità.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   A titolo di conclusioni il Comitato economico e sociale europeo (CESE):

ribadisce il suo pieno sostegno all'obiettivo di una maggiore efficienza energetica quale elemento centrale della strategia Europa 2020,

evidenzia che l'efficienza energetica e il risparmio energetico dipendono in misura preponderante dall'azione di cittadini, imprese e lavoratori, nonché dalla modifica del loro comportamento,

metterebbe l'accento in misura maggiore sugli effetti sostenibili di lungo termine invece di premere per risultati a breve termine,

sottolinea che il risparmio energetico dovrebbe favorire lo sviluppo economico, il benessere sociale e la qualità di vita,

evidenzia la responsabilità degli Stati membri e il compito dell'UE di creare un quadro comune,

sottolinea l'importanza di scegliere lo strumento giusto e ritiene che gli accordi volontari siano utili mentre le misure vincolanti siano necessarie laddove gli incentivi positivi non funzionino,

sottolinea l'importanza della cogenerazione come metodo altamente efficiente di produzione di energia,

non sostiene la fissazione di un obiettivo generale vincolante per l'efficienza energetica, ma raccomanda di concentrare gli sforzi sul raggiungimento di risultati concreti,

sottolinea la necessità di assicurare il sostegno finanziario e gli investimenti per realizzare il grande potenziale dei nuovi Stati membri.

1.2   Il CESE raccomanda

alla Commissione in merito al piano di efficienza energetica:

di chiarire la questione della misurazione dei risultati prodotti dalla misure di efficienza energetica,

di spiegare meglio le basi della stima del consumo di energia nel 2020,

di dare ai piani d'azione nazionali per l'efficienza energetica un carattere più strategico e di condurre consultazioni pubbliche nel corso del processo di elaborazione e di valutazione,

di precisare il requisito imposto al settore pubblico di raddoppiare il tasso di ristrutturazione degli edifici,

di realizzare e pubblicare uno studio approfondito dei certificati bianchi,

di utilizzare misure più mirate per affrontare casi specifici di grandi potenziali di efficienza energetica non sfruttati e di garantire al tempo stesso che un aiuto di Stato possa essere concesso in casi determinati,

di richiedere un accesso garantito alle rete per l'elettricità ottenuta per cogenerazione per ampliare la quota della cogenerazione nella produzione di calore ed elettricità;

in merito alle misure per rafforzare la modifica del comportamento:

di mettere al centro il consumatore di energia,

di promuovere maggiormente il ruolo del settore pubblico nel miglioramento dell'efficienza energetica, in quanto modello da seguire per le imprese e le famiglie,

di studiare i comportamenti individuali e di prevedere informazioni e misure di sensibilizzazione ad hoc in funzione di differenti gruppi di consumatori,

garantire che i consumatori traggano benefici dall'azione,

fornire, ove necessario, incentivi efficienti attentamente concepiti (anche i più modesti possono generare dei risultati),

ai costruttori e ai governi, di assicurare che gli investimenti addizionali negli edifici ne accrescano il valore,

di accrescere e adattare l'istruzione e la formazione nel settore edilizio,

alla Commissione, di studiare i problemi e, se necessario, di rivedere le disposizioni sugli attestati di certificazione energetica e il nuovo sistema di etichettatura ecologica degli apparecchi,

di promuovere l'organizzazione di formazioni per le amministrazioni pubbliche sul tema dell'efficienza energetica, compresi gli appalti verdi,

alla Commissione, di valutare gli effetti sui consumatori di energia dell'introduzione di contatori intelligenti e di proporre misure addizionali per ottenere benefici reali,

di continuare e di sviluppare sistemi nazionali di accordi volontari a lungo termine ben funzionanti e di applicarli anche al settore pubblico,

di coinvolgere realmente tutte le parti interessate - cittadini, imprese, lavoratori.

2.   Introduzione

2.1   L'efficienza energetica è al centro della strategia Europa 2020. Essa contribuisce al raggiungimento di tutti e tre gli obiettivi della politica energetica, ossia sicurezza dell'approvvigionamento, competitività e protezione dell'ambiente / lotta ai cambiamenti climatici. Il CESE ha costantemente sostenuto l'obiettivo di una maggiore efficienza energetica e in molti pareri ha espresso il proprio punto di vista sulle relative misure.

2.2   Il presente parere copre due iniziative. Il CESE ha deciso di elaborare nel 2011 un parere d'iniziativa sul tema dell'efficienza energetica incentrato sulla modifica dei comportamenti e sui modi per ottenere dei risultati. Quando nel marzo 2011 la Commissione ha presentato il suo nuovo piano per l'efficienza energetica, è stato deciso che il CESE avrebbe presentato i suoi punti di vista al riguardo nello stesso parere.

2.2.1   Pertanto nel presente parere le conclusioni e le raccomandazioni, nonché il capitolo 2 («Introduzione») e il capitolo 4 («Osservazioni generali sull'efficienza energetica»), riguardano entrambe le iniziative. Il capitolo 3 («Sintesi della comunicazione Piano di efficienza energetica 2011») e il capitolo 5 («Osservazioni particolari») fanno riferimento alla comunicazione Piano di efficienza energetica 2011, mentre il capitolo 6 («Misure per rafforzare la modifica del comportamento») si riferisce all'iniziativa del CESE. L'ultimo capitolo è essenzialmente basato sui risultati di un'audizione tenutasi il 18 maggio 2011.

2.3   Il consumo interno lordo di energia (meno gli usi non energetici) era stimato nel 2007 a 1 842 Mtep (milioni di tonnellate equivalente petrolio), ossia con un obiettivo di risparmio energetico di 368 Mtep. Recenti calcoli danno un consumo stimato di 1 678 Mtep nel 2020. Le ultime statistiche relative al 2008 indicano un consumo interno lordo di energia pari a 1 685 Mtep.

2.4   Il consumo energetico finale nel 2008 è stato di 1 169 Mtep. Il 25 % di questa energia è utilizzato nel settore abitativo e il 12 % nei servizi. Nelle famiglie il 67 % del consumo di energia è destinato al riscaldamento degli ambienti, il 15 % all'illuminazione e agli elettrodomestici, il 14 % al riscaldamento dell'acqua e il 4 % alla cottura di cibi. Ai trasporti è imputabile il 32 % del consumo di energia, all'industria il 27 % e ad altri usi il 4 %.

3.   Sintesi della comunicazione Piano di efficienza energetica 2011

3.1   Il precedente piano d'azione in materia di efficienza energetica, risalente al 2006, e le successive misure giuridiche e di altra natura sono risultati dei buoni fattori propulsivi di una maggiore efficienza energetica. Esse non erano tuttavia concepite per raggiungere entro il 2020 un obiettivo di risparmio del 20 % nel consumo di energia primaria dell'UE, obiettivo che è stato fissato successivamente. Secondo le stime, l'UE è avviata a raggiungere solo la metà di questo obiettivo.

3.2   Il nuovo piano fa parte dell'iniziativa faro Un'Europa efficiente sotto il profilo delle risorse della strategia Europa 2020. Lo scopo è raggiungere l'obiettivo di risparmio energetico del 20 % nel 2020. Il piano presenta gli obiettivi della Commissione, che verranno concretizzati più oltre nel 2011 attraverso proposte giuridiche e di altro tipo, innanzitutto mediante una revisione della direttiva sui servizi energetici e della direttiva sulla cogenerazione (1).

3.3   Se pienamente attuate, le misure esistenti e le nuove misure hanno, secondo la Commissione, un potenziale di risparmio economico fino a 1 000 euro l'anno per famiglia, di crescita dell'occupazione fino a 2 milioni di posti di lavoro e di riduzione dei gas a effetto serra di 740 milioni di tonnellate, oltre a migliorare la competitività industriale dell'Europa.

3.4   Il potenziale di risparmio maggiore risiede nell'edilizia. L'attenzione è posta sull'accelerazione del tasso di ristrutturazione degli edifici pubblici e privati e sul miglioramento del rendimento energetico di componenti ed elettrodomestici:

un obiettivo vincolante teso a raddoppiare il tasso di ristrutturazione degli edifici pubblici, per raggiungere il migliore 10 % in termini di efficienza energetica e, a partire dal 2019, un obiettivo vincolante di un consumo energetico «quasi pari a zero» per tutti i nuovi edifici;

un rafforzamento dei contratti di rendimento energetico e del Patto dei sindaci.

3.5   Per ridurre il consumo di energia nelle case:

promozione dell'utilizzo del teleriscaldamento e del teleraffreddamento,

disposizioni di legge per affrontare il problema della frammentazione degli incentivi (proprietario/affittuario),

sostegno alla formazione per soddisfare il crescente bisogno di persone qualificate impegnate nella ristrutturazione edilizia,

sostegno alle società di servizi energetici (ESCO) per il superamento degli ostacoli di mercato.

3.6   Per potenziare l'efficienza energetica nell'industria di produzione dell'energia (30 % dell'uso di energia primaria):

un obbligo vincolante per il raggiungimento dei livelli consentiti dalle migliori tecniche disponibili (MTD) per quel che concerne l'efficienza energetica delle nuove installazioni e di quelle che devono richiedere il rinnovo dell'autorizzazione,

sistemi obbligatori di cogenerazione per le nuove installazioni di energia termica, laddove esista una domanda potenziale sufficiente per il riscaldamento o il raffreddamento, e accesso prioritario ai sistemi di distribuzione per l'elettricità da cogenerazione,

maggiore presa in considerazione dell'efficienza energetica da parte delle autorità nazionali di regolamentazione delle reti nelle loro decisioni e nel monitoraggio,

istituzione da parte di tutti gli Stati membri di un sistema nazionale di obblighi in materia di risparmio energetico (certificati bianchi?).

3.7   Nuove misure per l'industria manifatturiera:

incoraggiare gli Stati membri affinché forniscano alle PMI informazioni e incentivi adeguati (in materia di tassazione e finanziamento),

audit energetici periodici obbligatori nelle grandi imprese e incentivi per l'introduzione di sistemi di gestione dell'energia,

requisiti di progettazione ecocompatibile per le attrezzature industriali standard come motori, pompe, aria compressa, essiccazione, fusione, colata, distillazione e forni,

incoraggiare accordi volontari basati su obiettivi chiari, su metodologie, sulla misurazione e sul monitoraggio.

3.8   La Commissione continuerà a promuovere lo sviluppo, la verifica e la diffusione di nuove tecnologie efficienti sotto il profilo energetico.

3.9   Il finanziamento teso a potenziare l'efficienza energetica, per superare le carenze del mercato e della regolamentazione, è essenzialmente una responsabilità nazionale. In aggiunta, l'UE sostiene l'efficienza energetica attraverso i programmi della politica di coesione, il programma Energia intelligente per l'Europa, il finanziamento intermedio, il piano europeo di ripresa economica e il programma quadro di azioni di ricerca, sviluppo tecnico e dimostrazione. La Commissione esaminerà ulteriori opzioni al momento di preparare il prossimo quadro finanziario.

3.10   In relazione ai consumatori, la Commissione valuterà e terrà conto delle migliori soluzioni per determinare una modifica dei comportamenti. Inoltre:

norme di consumo più rigorose per vari elettrodomestici,

sostegno alla diffusione nel mercato di componenti di costruzione più efficienti, come la progettazione ecocompatibile o l'etichettatura energetica per le finestre nonché la progettazione ecocompatibile o l'etichettatura di interi sistemi,

migliore informazione sul consumo di energia attraverso le bollette, ecc., introduzione dell'obbligo di installare contatori dell'elettricità intelligenti presso l'80 % dei consumatori entro il 2020 (a patto che ciò sia sostenuto da un'analisi nazionale favorevole dei costi e benefici), sviluppo di nuovi sistemi intelligenti per il risparmio energetico (nel rispetto della riservatezza dei dati),

etichette e standard energetici che tengano conto del «grado di preparazione alla rete intelligente» di elettrodomestici ed edifici.

3.11   I trasporti, anche se presentano il consumo di energia che cresce più velocemente, non sono trattati nel piano di efficienza energetica, in attesa del Libro bianco sui trasporti (pubblicato nell'aprile 2011).

3.12   I piani nazionali d'azione per l'efficienza energetica (PNAEE) dovranno essere ampliati per coprire l'intera catena energetica. La rendicontazione e il monitoraggio saranno inclusi nel coordinamento ex ante delle politiche nell'ambito della strategia Europa 2020 (il semestre europeo).

3.13   La Commissione non propone per il momento degli obiettivi nazionali vincolanti. Valuterà gli sviluppi nel 2013 e, se apparirà improbabile il raggiungimento dell'obiettivo del 20 %, proporrà degli obiettivi nazionali vincolanti. Per quanto concerne gli obiettivi settoriali, il piano ne comprende alcuni, come illustrato sopra.

4.   Osservazioni generali sull'efficienza energetica

4.1   Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione per un nuovo piano di efficienza energetica, che è stato finalmente presentato dopo una lunga attesa. Il Comitato sostiene l'obiettivo della comunicazione, ma avanza delle osservazioni e delle richieste di chiarimenti che illustra nel presente parere. Il CESE attende con interesse il momento di esprimere i suoi punti di vista dettagliati sulle proposte legislative e di altro tipo che daranno attuazione a questo piano. L'efficienza energetica e il risparmio energetico dipendono in misura preponderante dalle azioni di cittadini, imprese e lavoratori, il che rende la consultazione continua e la partecipazione della società civile straordinariamente importanti.

4.2   Nelle attuali condizioni economiche, con vincoli alle finanze pubbliche, un'alta disoccupazione e una diffusa mancanza della fiducia necessaria per realizzare investimenti, questo compito non è agevole, anche se potrebbe apportare benefici in un arco di tempo relativamente breve. Più importante è garantire uno sviluppo attento, sostenibile e di lungo termine verso un'efficienza energetica molto maggiore. Premere per risultati a breve termine potrebbe non portare a risultati sostenibili.

4.3   La scelta delle misure è cruciale per l'ottenimento di risultati reali. Il CESE ritiene, come si afferma nel parere sull'efficienza energetica del 2008 (2), che lo strumento degli accordi volontari con gli operatori nazionali sia utile, ma nelle convenzioni che vengono approvate deve emergere con chiarezza che, in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi, si interverrà con normative obbligatorie. La regolamentazione è ovviamente necessaria in molti casi, ma soltanto quando gli incentivi positivi non funzionano. Si deve far ricorso al dialogo sociale e civile ogni volta che ciò sia possibile ed evitare un onere amministrativo aggiuntivo per tutti e in particolare per le PMI.

4.4   La situazione è particolarmente paradossale nei nuovi Stati membri, dove il potenziale per una maggiore efficienza energetica è il più alto, ma le risorse economiche sono minime. Ad esempio, si avverte un'urgente necessità di riparare i sistemi di teleriscaldamento che presentano perdite e di garantire una qualità elevata nel settore dell'edilizia e in quello degli elettrodomestici. I governi devono agire nell'interesse generale e in un'ottica di lungo termine. Andrebbe fatto un uso migliore dei fondi strutturali.

4.5   Quando si discute di efficienza energetica e di risparmio energetico, è utile tenere a mente alcune caratteristiche basilari.

4.5.1   Per maggiore efficienza energetica si intende l'utilizzo di meno energia per unità di consumo. Questo risultato è perlopiù raggiunto mediante migliori tecnologie. L'investimento in una nuova soluzione tecnologica produce effetti durevoli per tutto l'arco della sua vita. È cruciale non solo lo sviluppo tecnologico, ma anche la sua diffusione.

4.5.2   Malgrado una maggiore efficienza energetica, il consumo di energia può ancora aumentare persino in tempi di vincoli economici, per effetto di un reddito più alto, di un numero crescente di famiglie con più alti livelli di benessere e un numero maggiore di elettrodomestici, di viaggi più frequenti, ecc.

4.5.3   Per risparmio energetico, d'altro canto, si intende un consumo decrescente di energia grazie soprattutto a modifiche dei comportamenti. Ciò deve costituire un obiettivo prioritario d'azione. Per dare risultati reali, il cambiamento dovrebbe essere permanente, ma l'effetto «rimbalzo» ha facilmente la meglio. Il CESE sottolinea la necessità di prestare un'attenzione maggiore e più ravvicinata alle motivazioni e alle dinamiche del comportamento umano. Quali tipi di incentivi influenzano realmente le persone spingendole a modificare il loro comportamento (cfr. anche il capitolo 6)?

4.5.4   Il risparmio energetico può anche essere il risultato di una minore attività economica, cosa che abbiamo potuto osservare di recente durante la crisi finanziaria. Rafforzare il risparmio energetico dovrebbe favorire lo sviluppo economico, il benessere sociale e la qualità di vita. L'obiettivo fondamentale è scindere la crescita economica dall'aumento del consumo di energia.

4.5.5   È inoltre necessario valutare come i costi delle misure di efficienza energetica siano traslati sui consumatori e moderare tali ripercussioni al fine di non rendere l'accesso all'energia troppo oneroso per i consumatori e di non aggravare situazioni di esclusione energetica. È di estrema importanza conseguire un migliore equilibrio tra i costi e i benefici dell'efficienza energetica, non mettendo a repentaglio l'accessibilità dell'energia per i consumatori e l'universalità di tale accesso.

4.6   Una questione spinosa riguarda la misurazione dei risultati prodotti dalle misure di efficienza energetica. È sorprendente che la Commissione non ne faccia assolutamente menzione, neanche nella valutazione d'impatto del piano. In molti casi le misure in quanto tali e il loro potenziale teorico sono registrate come risultati. I risultati reali aggregati, in termini di variazione nel consumo stimato di energia, sono disponibili dopo un considerevole intervallo di tempo. A ciò si aggiunge l'intervallo di tempo legato alle statistiche: attualmente le più recenti sono del 2008!

4.7   Inoltre rimane alquanto oscura la base della stima secondo cui l'UE sarebbe avviata a raggiungere solo per metà l'obiettivo fissato per il 2020. Ovviamente tale stima è basata su varie fonti e numerosi calcoli e tiene conto della recente contrazione economica. Ma si tratta di un risultato medio, oppure dello scenario più ottimistico o di quello più pessimistico?

4.8   Il CESE considera l'efficienza energetica e il risparmio energetico prevalentemente come una responsabilità degli Stati membri, a causa del vasto potenziale a livello locale, definito dalle circostanze e tradizioni locali. Il CESE sottolinea con forza l'importanza di PNAEE accurati e ambiziosi. Richiama l'attenzione sul fatto che essi dovrebbero avere un carattere più strategico di quanto non abbiano avuto finora e che nel corso del processo di elaborazione e di valutazione di tali piani si dovrebbero condurre delle consultazioni pubbliche. Accoglie con favore il nuovo approccio proposto in materia di rendicontazione e monitoraggio. Gli Stati membri non dovrebbero indietreggiare di fronte a questa responsabilità e la Commissione dovrebbe contribuire a rafforzare la titolarità degli Stati membri e a creare un quadro comune per tali attività.

4.9   Il Comitato concorda con il punto di vista della Commissione circa il ruolo dell'UE in tale contesto, che discende dall'art. 194, par. 1, del Trattato sul funzionamento dell'UE. In breve, esso consiste nell'evitare distorsioni del mercato interno, nel creare un quadro comune per i meccanismi, lasciando agli Stati membri, in coordinamento con l'UE, la fissazione dei livelli concreti da rispettare, nell'istituire una piattaforma per lo scambio di buone pratiche e la creazione delle capacità, nel concedere finanziamenti attraverso gli strumenti dell'UE e nel promuovere l'UE a livello internazionale.

4.10   È evidente che occorre sfruttare tutto il potenziale per una maggiore efficienza energetica. Per ottenere risultati tangibili in un arco di tempo ragionevole senza costi elevati e così motivare gli attori, le misure dovrebbero essere innanzitutto rivolte a quei settori con il potenziale maggiore e più efficiente sotto il profilo dei costi.

4.11   Per quanto riguarda le misure proposte, il CESE sostiene l'introduzione dei requisiti in materia di progettazione ecocompatibile ed etichettatura, ma ritiene che prima occorra valutare il funzionamento del nuovo sistema di etichettatura (cfr. il punto 6.8). Il CESE sostiene anche le misure tese a superare gli ostacoli legati al finanziamento iniziale per la ristrutturazione e il rifacimento degli edifici. Il Comitato raccomanda anche di esaminare quei settori nei quali si possono utilizzare efficacemente gli accordi volontari di lungo termine.

4.11.1   Tutte le misure devono essere applicate prestando attenta considerazione alla loro efficienza rispetto ai costi e alle differenti circostanze. Non bisogna caricare di un peso eccessivo né le famiglie e le imprese, né il settore pubblico. In teoria, è vero che un aumento dei prezzi dell'energia e dei costi connessi porta a un minore consumo di energia, ma in pratica prezzi più alti comportano un rischio di povertà energetica, data la riconosciuta bassa elasticità rispetto al prezzo delle famiglie. Inoltre, la competitività dell'industria e l'occupazione vengono messi a repentaglio. Ciò sembra evidente di per sé, ma ovviamente va ribadito, viste alcune delle proposte della Commissione. Queste verranno commentate nel capitolo seguente.

4.11.2   Il CESE tiene a ribadire la propria preoccupazione per gli effetti che alcune misure potrebbero avere sui costi e per le possibili ripercussioni sui consumatori. È essenziale che la politica sia incentrata sulla soluzione di più lungo termine e più sostenibile alla povertà energetica, ossia su un radicale miglioramento degli standard di efficienza energetica delle abitazioni, in particolare di quelle occupate da famiglie a basso reddito e vulnerabili.

4.11.3   Come la Commissione sottolinea, in molti Stati membri esistono programmi efficienti, alcuni dei quali funzionano con successo da parecchi anni o persino da decenni. Secondo il CESE, è chiaramente preferibile continuare e, ove opportuno, rafforzare questi piani, invece di considerarli superati e sostenere soltanto le nuove misure.

5.   Osservazioni particolari

5.1   Il Comitato concorda nel dare al settore pubblico un ruolo di avanguardia e di modello da seguire per le imprese e le famiglie. Tuttavia il requisito di raddoppiare il tasso di ristrutturazione degli edifici potrebbe rivelarsi troppo gravoso malgrado i suoi effetti positivi. È inoltre necessaria una definizione più chiara di cosa si intenda per edificio del settore pubblico.

5.2   Le misure per potenziare l'efficienza energetica e il risparmio energetico nelle famiglie devono essere sostenute. Nel 2008 il CESE ha presentato raccomandazioni dettagliate sulle misure - in particolare, gli incentivi fiscali - per l'efficienza energetica negli edifici (3). In tale contesto, il CESE ribadisce l'importanza di capire meglio il comportamento umano per mettere a punto gli incentivi migliori, che possono non essere sempre di natura economica (cfr. i punti 6.5 e 6.5.1).

5.3   Il CESE sostiene l'obiettivo del potenziamento dell'efficienza energetica nella produzione di calore ed elettricità, ma alcune delle misure proposte sembrano troppo gravose ed inefficienti.

5.3.1   Il settore dell'energia dovrebbe offrire di per sé sufficienti incentivi economici per indurre le imprese dei servizi pubblici a investire nelle tecnologie, disponibili e applicabili, che sono più efficienti dal punto di vista energetico evitando così un massiccio intervento pubblico. I più recenti progressi tecnologici, che non sono ancora stati messi a punto e che rimangono molto costosi - ossia non disponibili realmente nel mercato - dovrebbero ricevere sostegno per essere sviluppati ulteriormente prima di essere adottati dagli utenti.

5.3.2   Il Comitato sottolinea che la cogenerazione svolge un ruolo estremamente efficace nella produzione di calore e di energia. La cogenerazione è largamente applicata, con grande beneficio, in Europa e presenta un certo potenziale in termini di efficienza rispetto ai costi. Il teleriscaldamento e il teleraffreddamento hanno ancora un grande potenziale in Europa, ma gli obblighi dovrebbero essere imposti in modo prudente, in quanto i sistemi di teleriscaldamento e teleraffreddamento richiedono investimenti costosi ed essi non devono diventare obsoleti nel giro di qualche anno. Una misura utile per sostenere un'espansione economicamente efficiente dei sistemi di cogenerazione centrali e decentrati nell'Unione europea può essere quella di dare alle reti per l'elettricità da cogenerazione un accesso garantito.

5.4   Il CESE concorda con la Commissione sul fatto che l'efficienza energetica rappresenta un settore commerciale promettente. Il suo sviluppo dovrebbe tuttavia essere affrontato rafforzando la domanda, non spingendo in primo luogo dal lato dell'offerta. Le imprese dei servizi pubblici dovrebbero certamente essere obbligate a fornire informazioni molto migliori, anche nelle bollette, rispetto a quanto succede attualmente. Nel parere in merito alla direttiva sui servizi energetici (4), il CESE aveva già espresso i suoi dubbi circa l'imposizione di obblighi di risparmio energetico alle imprese di servizi pubblici, in quanto ciò contrasta con la logica d'impresa.

5.4.1   Per quanto concerne i certificati bianchi, il CESE propone che la Commissione realizzi uno studio approfondito dei regimi esistenti, tenendo conto dei risultati positivi nei casi in cui sono stati applicati ed esaminandone l'impatto globale e la loro fattibilità in relazione con il mercato interno e altre normative.

5.5   La Commissione rileva che il progresso maggiore in materia di efficienza energetica si è registrato nell'industria manifatturiera (- 30 % in 20 anni). Inoltre, le misure a livello dell'UE - come il sistema di scambio di quote di emissioni (ETS) - sono già rivolte alle industrie ad alta intensità energetica. Non è chiaro cosa intenda la Commissione per grandi industrie: i grandi consumatori di energia (ad esempio, le industrie ad alta intensità energetica) oppure qualsiasi grande impresa? In ogni caso, il CESE sostiene con forza le misure proposte dalla Commissione per potenziare l'efficienza energetica nelle PMI.

5.5.1   C'è sempre margine per ulteriori miglioramenti e per realizzarli il CESE raccomanda inoltre l'utilizzo di accordi volontari a lungo termine. In alcuni casi esistono sicuramente dei potenziali di efficienza inutilizzati di estensione non comune. Se, per esempio, una piccola parte di un settore non ha preso provvedimenti efficaci per quanto riguarda il suo potenziale di efficienza energetica, è possibile che ciò non giustifichi tuttavia nuove misure obbligatorie per interi settori. I casi di grandi potenziali inutilizzati di efficienza energetica dovrebbero essere affrontati in modo più diretto e selettivo. Gli audit energetici e i sistemi di gestione dell'energia sono utilizzati ampiamente e in misura crescente e sono normalmente inclusi negli obblighi stabiliti dagli accordi volontari. In tale contesto è importante che s'imponga la possibilità di concedere un aiuto di Stato, anche se le regole dell'UE proibiscono di concedere aiuti per misure che sono obbligatorie.

5.5.2   L'estensione dei requisiti di progettazione ecocompatibile alle attrezzature industriali standard è un'opzione che merita di essere esplorata, ma non andrebbero ostacolati né l'utilizzo su larga scala di soluzioni su misura né un'ulteriore innovazione.

5.6   Il CESE concorda con la Commissione in merito ai grandi potenziali non sfruttati nell'utilizzo delle TIC a fini di risparmio energetico, come i contatori intelligenti e le vaste applicazioni ad essi associate. Si tratta di un settore promettente per l'innovazione europea e dovrebbe essere sviluppato con determinazione, in cooperazione con le differenti parti interessate.

5.7   Il CESE ha già espresso la sua perplessità in merito ad obiettivi generali vincolanti in materia di efficienza energetica e ha raccomandato di valutare la fattibilità di obiettivi settoriali secondo un approccio caso per caso. Il Comitato apprezza che la Commissione abbia per il momento scelto questa strada. Bisognerebbe indirizzare tutti gli sforzi verso misure tese a conseguire risultati concreti.

5.8   Il CESE si rammarica che la comunicazione non approfondisca il tema dell'efficienza energetica nei servizi, come la distribuzione, i servizi ricreativi, le attività sportive, eccezion fatta per quella negli edifici. Inoltre la Commissione accenna solamente al tema della dimensione esterna dell'efficienza energetica, senza svilupparlo. Il CESE ha formulato delle raccomandazioni in materia di politica energetica esterna dell'UE, anche per quel che concerne l'efficienza, in due pareri elaborati negli ultimi anni (parere CESE sul tema La dimensione esterna della politica energetica europea, GU C 182 del 4.8.2009, pag. 8, e parere CESE 541/2011 sul tema Approvvigionamento energetico: di quale politica di vicinato abbiamo bisogno per garantire all'UE la sicurezza dell'approvvigionamento?).

6.   Misure per rafforzare la modifica dei comportamenti

6.1   L'offerta di energia è stata l'obiettivo di molte misure politiche tese a potenziare l'efficienza energetica, e lo è ancor di più con il nuovo piano della Commissione che riguarda l'intera catena energetica. Vengono introdotti il sostegno allo sviluppo tecnico, gli standard minimi di rendimento, nonché i requisiti di etichettatura e certificazione, e altre misure sono pianificate a livello UE e nazionale. Tuttavia queste misure da sole non sono sufficienti a raggiungere dei risultati concreti, visto che tanto dipende dal comportamento di cittadini e imprese. Pertanto, di sua iniziativa, il CESE intende rivolgere l'attenzione alla domanda e alle esperienze pratiche di misure tese a modificare i comportamenti.

6.1.1   A questo scopo il 18 maggio 2011 il CESE ha organizzato un'audizione. Il programma e le presentazioni sono disponibili sul suo sito Internet (5). Il presente capitolo è basato sulle presentazioni effettuate e sulle discussioni svoltesi in questa audizione.

6.2   Esiste un grande potenziale per il risparmio energetico anche in assenza di investimenti. Per quanto riguarda le famiglie, ad esempio, si può semplicemente spegnere le luci nelle stanze vuote, abbassare la temperatura nelle stanze, non lasciare gli apparecchi nel modo «veglia» (standby), utilizzare meno l'auto e guidare in modo più attento ai consumi, ecc. Nelle imprese gli audit nel quadro di accordi volontari rivelano molte misure dello stesso tipo.

6.2.1   Un buon esempio di azione volontaria di successo è dato dallo stesso CESE. Un recente esame EMAS («Sistema comunitario di gestione e audit ambientali») degli edifici del CESE e del CdR mostra che dal 2008 al dicembre 2010 il consumo di elettricità è diminuito del 10,6 % e quello di gas del 30,3 %.

6.3   L'informazione e la sensibilizzazione rappresentano i primi passi per realizzare queste semplici misure, nonché altre che richiedono qualche investimento. L'esperienza, tra le molte altre disponibili, di un'impresa danese di servizi pubblici (la SEAS-NVE) mostra che l'informazione, per essere efficiente, deve essere differenziata in funzione dei diversi valori e delle diverse preferenze e necessità del consumatore. Per questo è necessaria una comprensione più profonda del comportamento umano e a questo riguardo la psicologia del comportamento è uno strumento importante.

6.3.1   Per meglio orientarsi nella gran quantità di informazioni i consumatori di energia hanno bisogno di aiuto per comparare le caratteristiche di apparecchi e misure. Un buon esempio di uno sforzo di questo tipo è il sito web Topten del WWF e di altri soggetti, disponibile in tutt'Europa.

6.3.2   «Disinteresse - preriflessione - riflessione - preparazione - azione - mantenimento» rappresentano, nell'esperienza del movimento Transition Towns, le fasi attraverso cui passano i cittadini per giungere a dei risultati nel risparmio energetico. E l'azione richiede una sensibilizzazione, ma questa da sola non è sufficiente.

6.3.3   Secondo un recente studio dell'OCSE, un'apparecchiatura meno costosa rappresenta la principale motivazione per ridurre il consumo di energia a casa, mentre informazioni più pratiche e la fiducia nei benefici ambientali contano molto meno.

6.4   I responsabili delle politiche non devono quindi fare assegnamento soltanto sulle misure di informazione e sensibilizzazione e neanche sui messaggi di politica ambientale per produrre dei risultati in materia di efficienza e risparmio energetico. I consumatori ed altri utenti dell'energia devono trarre beneficio dall'azione. Una bolletta dell'energia più leggera può rappresentare un beneficio di questo genere, se è immediata. Altrimenti sono necessari degli incentivi.

6.5   Le riduzioni IVA, le garanzie, le sovvenzioni dirette rappresentano dei possibili incentivi economici. Essi sono necessari, ma dovrebbero essere applicati con grande attenzione, in particolare nel quadro degli attuali vincoli sulle finanze pubbliche. Ad esempio, si dovrebbe sostenere l'ulteriore sviluppo dell'ultima costosissima tecnologia per farla diventare meno costosa, piuttosto che concedere incentivi agli utenti affinché investano in tale tecnologia.

6.5.1   I fondi strutturali dell'UE potrebbero dare un contributo maggiore e più efficiente, in particolare nei nuovi Stati membri, dove il potenziale è notevole e il bisogno di sostegno è grande. La Commissione dovrebbe studiare le ragioni per il basso uso delle risorse disponibili e, ove opportuno, rivedere le regole di finanziamento. Sembra che in molti casi la quota del finanziamento UE sia troppo bassa per agire da incentivo.

6.6   Anche degli incentivi molto modesti possono essere efficaci. Un riscontro positivo sotto forma di una lettera di riconoscimento o di un buon piazzamento in una competizione locale potrebbe essere sufficiente. La pressione sociale del vicinato ha prodotto buoni risultati. Molte volte una raccomandazione di un amico è decisiva. I media sociali potrebbero essere utilizzati per introdurre questo tipo di caratteristiche. Fenomeni come questo, detti anche nudges (stimoli), vanno ulteriormente studiati e sviluppati.

6.7   Nel settore edilizio l'efficienza energetica dei nuovi edifici è una questione di regolamentazione. Un altro problema da risolvere in questo contesto è quello della frammentazione degli incentivi (proprietario/affittuario).

6.7.1   Nel vecchio patrimonio immobiliare, le misure per potenziare l'efficienza energetica sollevano dubbi circa gli effetti finanziari dell'investimento: i risultati sono ancora influenzati dal comportamento e il valore dell'investimento nel mercato non è chiaro. I costruttori dovrebbero farvi fronte ad esempio con delle garanzie di alte prestazioni. In aggiunta alle misure di sensibilizzazione, i governi dovrebbero seguire una linea politica stabile e fornire incentivi finanziari.

6.7.2   Per le famiglie a basso reddito, le ristrutturazioni dovrebbero essere gratuite e non finanziate mediante prestiti. Molte di queste famiglie sono infatti restie a contrarre prestiti o non possono permetterselo. Spesso, sul piano dei costi risulta più efficiente ristrutturare edifici strada per strada o quartiere per quartiere.

6.7.3   La certificazione della prestazione energetica degli edifici rappresenta una misura positiva, in teoria. In pratica sono emersi molti problemi, dai revisori non qualificati all'assenza di un valore reale dei certificati nel mercato. I test condotti sullo stesso edificio da revisori differenti hanno dato risultati estremamente diversi. La direttiva sul rendimento energetico nell'edilizia lascia aperta la possibilità per gli Stati membri di utilizzare come base di calcolo il fabbisogno di energia oppure il consumo di energia, così come fa la norma EN 15217. Vi è necessità di un certificato di rendimento energetico a livello europeo per gli edifici, basato sul fabbisogno energetico calcolato, e di una revisione della norma EN 15217. La Commissione dovrebbe esaminare con attenzione i requisiti e il sistema di certificazione e almeno introdurre dei criteri comuni per gli audit. Un metodo di calcolo armonizzato per il consumo di energia negli edifici, basato su edifici di riferimento per differenti zone climatiche, rappresenterà una buona soluzione.

6.7.4   Sia per i nuovi edifici che per la ristrutturazione di quelli vecchi, la disponibilità di una pianificazione, di una progettazione e di una manodopera specializzate sono essenziali e rappresentano una strozzatura. Misure efficienti sono urgentemente necessarie per accrescere l'istruzione e la formazione di tutti i soggetti coinvolti, dagli architetti e dagli urbanisti fino agli operai, e per adattare i corsi di studio alle necessità in materia di efficienza energetica.

6.8   Per gli elettrodomestici l'etichettatura ecologica degli apparecchi rappresenta una misura importante per informare il consumatore. Ciò ha dato buoni risultati e potrebbe fare altrettanto in futuro, anche se il potenziale maggiore è stato ormai probabilmente utilizzato. Tuttavia il sistema rinnovato ha incontrato critiche. Esso non è abbastanza chiaro e può portare a fraintendimenti (ad esempio, il simbolo A+ può essere esposto come migliore livello di prestazione). Inoltre il funzionamento del sistema così come concepito non è stato completamente messo alla prova dai consumatori. La Commissione dovrebbe studiare la situazione e apportare i necessari aggiustamenti.

6.9   Il contatore intelligente / a distanza del consumo di energia si sta diffondendo rapidamente, in linea con i requisiti dell'UE. Ciò aumenta chiaramente la produttività delle imprese energetiche, ma non è chiaro il beneficio per le famiglie, che sostanzialmente sono quelle che, in modo diretto o indiretto, lo pagano. Il contatore da solo non fa molto. Inoltre il consumo di energia dovrebbe essere esposto in modo facile e visibile e a questo scopo il settore delle tecnologie dell'informazione fornisce molte soluzioni innovative e in via di sviluppo. Inoltre andrebbe fornito un modo semplice per adattare il proprio consumo di energia (ad esempio, permettere all'impresa di energia di interrompere l'erogazione a certe ore, ecc.). Per il momento, la Commissione dovrebbe esaminare l'utilizzo dei contatori intelligenti negli Stati membri e i loro effetti sul comportamento delle famiglie e, se necessario, modificare le attuali disposizioni oppure proporre ulteriori misure, nel rispetto della riservatezza dei dati.

6.10   Nell'industria l'utilizzo di accordi volontari di lungo termine ha mostrato convincenti risultati positivi in vari Stati membri, ad esempio in Finlandia. Normalmente a questi sistemi sono legati degli incentivi. Nell'esperienza finlandese, con incentivi molto modesti, un fattore di motivazione è dato dalla consapevolezza da parte dei partecipanti che, in caso di fallimento, l'alternativa è rappresentata dalla regolamentazione. Gli accordi volontari potrebbero essere una misura efficiente anche nel settore pubblico, come mostrato dai recenti sviluppi in Finlandia. Gli accordi settoriali a livello dell'UE hanno prodotto alcuni risultati, ma non hanno funzionato sempre come ci si attendeva. Questo non costituisce una ragione per valutare in modo negativo gli accordi nazionali di lungo termine esistenti e ben funzionanti.

6.11   Tutto considerato, i consumatori di energia devono modificare i loro comportamenti in modo radicale e permanente. I cittadini, in quanto consumatori, lavoratori ed elettori sono fondamentali. I progetti possono avere successo soltanto quando tutte le parti interessate, non solo le autorità e le imprese ma anche i sindacati e gli utenti, sono pienamente coinvolte.

Bruxelles, 14 luglio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  GU L 114 del 27.4.2006, pag. 64, e GU L 52 del 21.2.2004, pag. 50.

(2)  GU C 77 del 31.3.2009, pag. 54.

(3)  GU C 162 del 25.6.2008, pag. 62.

(4)  GU C 120 del 20.5.2005, pag. 115.

(5)  http://www.eesc.europa.eu/?i=portal.en.events-and-activities-energy-efficiency-changing-behaviour.


29.10.2011   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/163


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull'esportazione ed importazione di sostanze chimiche pericolose (rifusione)»

COM(2011) 245 definitivo — 2011/0105 (COD)

2011/C 318/27

Il Parlamento europeo, in data 10 maggio 2011, e il Consiglio, in data 27 maggio 2011, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 192, paragrafo 1, e dell'articolo 304 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull'esportazione ed importazione di sostanze chimiche pericolose (rifusione)

COM(2011) 245 definitivo — 2011/0105 (COD).

Avendo concluso che il contenuto della proposta è soddisfacente e dato che esso aveva già formato oggetto dei suoi pareri CESE 493/2008 e CESE 799/2007, adottati rispettivamente il 12 marzo 2008 (1) e il 30 maggio 2007 (2), il Comitato, nel corso della 473a sessione plenaria dei giorni 13 e 14 luglio 2011 (seduta del 13 luglio), ha deciso, con 137 voti favorevoli e 10 astensioni, di esprimere parere favorevole sul testo proposto e di rinviare alla posizione a suo tempo sostenuta nei documenti citati.

Bruxelles, 13 luglio 2011

Il presidente del Comitato economico e sociale europeo

Staffan NILSSON


(1)  Parere del CESE in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio delle sostanze e delle miscele e recante modifica della direttiva 67/548/CEE e del regolamento (CE) n. 1907/2006, GU C 204 del 9.8.2008, pag. 47.

(2)  Parere del CESE in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull'esportazione ed importazione di prodotti chimici pericolosi, GU C 175 del 27.7.2007, pag. 40.