ISSN 1725-2466

doi:10.3000/17252466.C_2010.354.ita

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 354

European flag  

Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

53o anno
28 dicembre 2010


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

461a sessione plenaria del 17 e 18 marzo 2010

2010/C 354/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Tabella di marcia per la parità tra donne e uomini (2006-2010) e strategia di monitoraggio

1

2010/C 354/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema I disabili. Occupazione e accessibilità a tappe per i disabili nell'UE: la strategia di Lisbona dopo il 2010 (parere esplorativo)

8

2010/C 354/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Integrazione dei lavoratori immigrati (parere esplorativo)

16

2010/C 354/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La politica europea dei trasporti nel quadro della strategia di Lisbona dopo il 2010 e della strategia per lo sviluppo sostenibile (parere esplorativo)

23

2010/C 354/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Trasformazioni industriali e prospettive del settore motociclistico in Europa (parere d’iniziativa)

30

2010/C 354/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La riforma della politica agricola comune nel 2013 (parere di iniziativa)

35

2010/C 354/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Per una nuova governance delle organizzazioni internazionali

43

2010/C 354/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La politica dei trasporti nei Balcani occidentali

50

2010/C 354/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Organizzazioni della società civile e presidenze del Consiglio dell'UE (parere di iniziativa)

56

2010/C 354/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'attuazione del Trattato di Lisbona: la democrazia partecipativa e l'iniziativa europea dei cittadini (articolo 11 TUE) (parere di iniziativa)

59

 

III   Atti preparatori

 

Comitato economico e sociale europeo

 

461a sessione plenaria del 17 e 18 marzo 2010

2010/C 354/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un piano a lungo termine per lo stock di nasello settentrionale e per le attività di pesca che sfruttano tale stockCOM(2009) 122 def. — 2009/0039 (CNS)

66

2010/C 354/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Consiglio che stabilisce un regime di controllo e di coercizione applicabile nella zona della Convenzione sulla futura cooperazione multilaterale per la pesca nell'Atlantico nordorientale COM(2009) 151 def. — 2009/0051 (CNS)

67

2010/C 354/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un piano pluriennale per lo stock occidentale di sugarello e per le attività di pesca che sfruttano tale stockCOM(2009) 189 def. — 2009/0057 (CNS)

68

2010/C 354/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un piano a lungo termine per lo stock di acciuga nel Golfo di Biscaglia e per le attività di pesca che sfruttano tale stockCOM(2009) 399 def. — 2009/0112 (CNS)

69

2010/C 354/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un programma di documentazione delle catture di tonno rosso (Thunnus thynnus) e modifica il regolamento (CE) n. 1984/2003COM(2009) 406 def. — 2009/0116 (CNS)

70

2010/C 354/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio relativo a talune disposizioni per la pesca nella zona coperta dall'accordo CGPM (Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo)COM(2009) 477 def. — 2009/0129 (CNS)

71

2010/C 354/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 247/2006 recante misure specifiche nel settore dell’agricoltura a favore delle regioni ultraperiferiche dell'UnioneCOM(2009) 510 def. — 2009/0138 (CNS)

72

2010/C 354/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione — Il futuro quadro normativo in materia di concorrenza applicabile al settore automobilistico COM(2009) 388 def.

73

2010/C 354/19

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Rivedere la politica comunitaria a favore dell'innovazione nella prospettiva di un mondo che cambia COM(2009) 442 def.

80

2010/C 354/20

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica delle direttive 98/26/CE, 2002/87/CE, 2003/6/CE, 2003/41/CE, 2003/71/CE, 2004/39/CE, 2004/109/CE, 2005/60/CE, 2006/48/CE, 2006/49/CE e 2009/65/CE per quanto riguarda i poteri dell'Autorità bancaria europea, dell'Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali e dell'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati COM(2009) 576 def. — 2009/0161 (COD)

85

2010/C 354/21

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 708/2007 relativo all'impiego in acquacoltura di specie esotiche e di specie localmente assenti COM(2009) 541 def. — 2009/0153 (CNS)

88

IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

461a sessione plenaria del 17 e 18 marzo 2010

28.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 354/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Tabella di marcia per la parità tra donne e uomini (2006-2010) e strategia di monitoraggio»

2010/C 354/01

Relatrice: Laura GONZÁLEZ DE TXABARRI ETXANIZ

Con lettera datata 25 settembre 2009, la vicepresidente della Commissione europea Margot Wallström, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, ha invitato il Comitato economico e sociale europeo, a elaborare un parere esplorativo sul tema:

Tabella di marcia per la parità tra donne e uomini (2006-2010) e strategia di monitoraggio.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 febbraio 2010.

Alla sua 461a sessione plenaria, dei giorni 17 e 18 marzo 2010 (seduta del 17 marzo), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 137 voti favorevoli, 3 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Raccomandazioni

1.1

La parità tra donne e uomini, oltre a essere un traguardo in sé, è una delle condizioni imprescindibili per il conseguimento degli obiettivi dell'UE sul piano della crescita, dell'occupazione e della coesione sociale.

1.2

La revisione intermedia della tabella di marcia per la parità avviene in un contesto di crisi economica, ed è necessario tenere conto delle differenze nell'impatto e nelle conseguenze che essa comporta per le donne e per gli uomini, data la diversa posizione che occupano nella società.

1.3

La parità deve far parte di tutte le politiche, in particolare di quelle sociali e occupazionali, e devono proseguire gli sforzi volti ad abbattere gli ostacoli che impediscono la partecipazione piena e uguale delle donne e degli uomini al mercato del lavoro.

1.4

Per garantire e rafforzare l'indipendenza economica delle donne occorre innanzitutto migliorare la qualità e la quantità della loro occupazione, anche attraverso un sostegno alle lavoratrici autonome, contrastare il rischio di precarietà che le minaccia e favorire una più equa ripartizione delle responsabilità familiari e domestiche.

1.5

La disparità salariale ha un'origine strutturale: sottovalutazione delle capacità considerate tradizionalmente «femminili», segregazione professionale e settoriale, occupazione precaria, interruzioni della vita lavorativa, ecc. La legislazione e i contratti collettivi sono strumenti efficaci per combattere la disparità salariale ed è necessario il coinvolgimento di tutti gli attori economici e sociali.

1.6

Una più forte presenza femminile nell'imprenditoria e in politica favorisce l'uguaglianza, il superamento degli stereotipi di genere, l'indipendenza economica delle donne e la loro partecipazione ai processi decisionali.

1.7

Le donne sono particolarmente vulnerabili all'esclusione sociale e alla povertà. L'individualizzazione dei diritti sociali, un reddito minimo garantito, la contabilizzazione dei periodi di inattività o di riduzione dell'orario lavorativo per consentire di fornire assistenza, sono tutte misure che rafforzano la protezione sociale e riducono il rischio di povertà per la popolazione.

1.8

L'equilibrio tra la vita familiare e quella lavorativa è essenziale per conseguire la parità e per migliorare l'occupazione delle donne. A tal fine è essenziale offrire servizi sociali pubblici e di qualità e migliorare i congedi di maternità, di paternità e parentali già esistenti. È necessario fare progressi sul fronte della corresponsabilità di tutti gli attori sociali nell'equa ripartizione del lavoro domestico e delle cure ai familiari.

1.9

Il CESE considera necessario promuovere la partecipazione paritaria delle donne ai processi decisionali; a tal fine gli Stati membri devono impegnarsi più a fondo, stabilendo obiettivi chiari e adottando misure efficaci (azione positiva, piani per la parità, ecc.).

1.10

Di fronte al persistere di fenomeni come la violenza di genere e la tratta di esseri umani, il CESE ritiene necessario applicare effettivamente l'attuale legislazione, elaborare piani d'azione nazionali coordinati per una strategia globale europea e aumentare il numero dei programmi specifici.

1.11

Per contrastare gli stereotipi sessisti, il CESE considera imprescindibile educare e formare la società a modelli non sessisti, offrire una formazione tanto agli uomini quanto alle donne, promuovere la presenza delle donne nello studio delle discipline scientifiche e tecnologiche, valorizzare gli impieghi tradizionalmente considerati «femminili» ed evitare il sessismo nei mezzi di diffusione e comunicazione.

1.12

La politica estera e di sviluppo dell'UE deve essere un veicolo per la promozione dei diritti delle donne nel contesto internazionale e per migliorare le loro capacità e la loro autonomia.

1.13

Il CESE ritiene necessaria una piena integrazione trasversale dell'analisi di genere in tutti gli ambiti di intervento della Commissione, nonché l'applicazione dell'analisi di genere ai bilanci, a livello sia europeo che nazionale. A tal fine occorrono risorse umane formate alle questioni riguardanti l'uguaglianza e indicatori disaggregati per sesso che consentano di visualizzare la situazione delle donne e degli uomini e di valutare il grado di attuazione del piano per la parità.

1.14

La nuova strategia per la parità da adottare a partire dal 2010 non potrà limitarsi a semplici raccomandazioni rivolte dalla Commissione agli Stati membri, ma dovrà comprendere orientamenti vincolanti e obiettivi quantificabili. A tal fine sarà necessario un maggior coinvolgimento politico a tutti i livelli. Le istituzioni europee devono dare l'esempio, procedendo ad una revisione proattiva del lavoro condotto e ad una valutazione dell'impatto relativo all'attuazione.

2.   Osservazioni generali

2.1

La tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010 rappresenta l'impegno della Commissione europea a fare dei progressi sul fronte della parità in collaborazione con gli Stati membri. Il CESE, su proposta della Commissione, esegue la sua valutazione analizzando l'impatto delle misure adottate e il loro grado di applicazione, e presenta alcune proposte di azione in vista della nuova strategia da adottare a partire dal 2010.

2.2

Il CESE riconosce all'Unione europea di essersi sempre impegnata a favore della parità: il Trattato di Roma del 1957 stabilisce il principio di uguaglianza salariale, il Trattato di Amsterdam del 1997, con una formulazione duplice, combina la trasversalità con misure specifiche, mentre il Trattato di Lisbona prevede un impegno esplicito per l'eliminazione delle disuguaglianze e la promozione della parità.

2.3

A livello internazionale, l'UE aderisce alla piattaforma d'azione di Pechino, agli obiettivi di sviluppo del millennio e alla Convenzione sull'eliminazione di ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne (CEDAW), che mette la donna al centro delle preoccupazioni in materia di diritti umani.

2.4

Nonostante questo ampio quadro normativo, gli obiettivi previsti non sono stati raggiunti e persistono le disuguaglianze tra donne e uomini. Non vi sono stati progressi sostanziali in nessuno dei sei ambiti prioritari di azione politica della tabella di marcia per la parità 2006-2010. È pertanto lecito chiedersi se esista una reale volontà politica di cambiamento. L'integrazione del principio di uguaglianza di genere, fattore chiave della competitività e della crescita, deve rappresentare una priorità della nuova strategia UE 2020.

2.5

La valutazione della tabella di marcia per la parità 2006-2010 avviene in un contesto di crisi economica, ed è necessario analizzare le conseguenze che la crisi stessa comporta per le donne, data la diversa posizione che occupano nel mercato del lavoro e nelle politiche pubbliche di spesa sociale, in particolare sul piano dei servizi sociali che sono quelli che più incidenza hanno per le donne.

2.6

La crisi ha investito per primi i posti di lavoro occupati tradizionalmente da uomini (edilizia, trasporti, industria), per poi allargarsi ad altri settori con maggiore presenza femminile (servizi bancari, commercio, ecc.). Così, in molti casi, il reddito delle famiglie si è ridotto esclusivamente allo stipendio delle donne, di norma inferiore a quello degli uomini in quanto, in maggioranza, le donne sono occupate nel settore dei servizi, con contratti a tempo parziale o a termine, oppure nel contesto dell'economia sommersa. Tutto ciò, a sua volta, ha un impatto negativo sull'economia nazionale perché riduce il consumo privato e ostacola la ripresa.

2.7

La crisi colpisce anche le politiche sociali. Per le donne la copertura delle indennità di disoccupazione è più ridotta, sia sul piano della quantità che su quello della durata, a causa della posizione spesso svantaggiosa che esse occupano nel mercato del lavoro. Inoltre, i servizi pubblici di base come l'assistenza sanitaria, l'istruzione e i servizi sociali riducono la loro offerta proprio nel momento in cui le famiglie, e in particolare le donne, ne hanno maggior necessità. Trattandosi di settori ad alta intensità di manodopera femminile, questo fenomeno avrà a sua volta effetti negativi sull'occupazione delle donne.

2.8

Le misure anticrisi non possono essere neutrali dal punto di vista del genere e, ove necessario, le politiche per la ripresa economica e gli attuali programmi dei fondi strutturali dovranno tenere conto della diversa posizione occupata nella società dalle donne e dagli uomini.

2.9

La parità deve essere una priorità non soltanto per gestire l'attuale crisi e la successiva ripresa, ma anche per affrontare le sfide demografiche ed economiche che si pongono al modello sociale europeo e che incidono sulle donne e sulla loro indipendenza economica.

3.   Osservazioni specifiche – Parte I: ambiti prioritari di azione a favore della parità tra donne e uomini

La tabella di marcia per la parità 2006-2010 delinea gli impegni e le azioni considerati necessari per progredire verso la parità ed eliminare le disuguaglianze.

La prima parte del documento presenta i sei ambiti prioritari di azione politica e gli indicatori corrispondenti:

1.

Realizzare una pari indipendenza economica per le donne e gli uomini

2.

Favorire l'equilibrio tra attività professionale e vita familiare

3.

Promuovere la pari partecipazione delle donne e degli uomini al processo decisionale

4.

Eradicare tutte le forme di violenza di cui sono vittime le donne

5.

Eliminare gli stereotipi di genere

6.

Promuovere la parità di genere nelle politiche esterne e di sviluppo.

La seconda parte del documento riguarda il miglioramento della governance.

3.1   Realizzare una pari indipendenza economica per le donne e gli uomini

3.1.1   Conseguire gli obiettivi di Lisbona in tema di occupazione

3.1.1.1

Molti paesi non hanno ancora raggiunto l'obiettivo di un tasso di occupazione femminile del 60 % stabilito dalla strategia di Lisbona. Se il tasso di occupazione degli uomini si situa al 70,9 %, quello delle donne arriva soltanto al 58,8 % (1), ma scende al 36,8 % per le donne di età superiore ai 55 anni, contro il 55 % per gli uomini della stessa fascia d'età. La disoccupazione colpisce di più le donne, ma con l'avanzare della crisi il divario si sta riducendo (9,8 % contro il 9,6 % degli uomini).

3.1.1.2

Oltre alla quantità, è necessario migliorare la qualità dell'occupazione femminile, perché le donne sono impiegate principalmente in settori a bassa retribuzione e in posti di lavoro a maggior rischio di precarietà. Il lavoro a tempo parziale è tipico dell'occupazione femminile (31,5 % contro l'8,3 % degli uomini), mentre il 14,3 % delle donne occupate ha un contratto a termine. Per le donne con figli, d'altronde, il tasso di occupazione femminile scende di oltre dieci punti, il che rispecchia gli squilibri nella ripartizione delle responsabilità familiari e la scarsità delle infrastrutture di assistenza.

3.1.1.3

Il CESE raccomanda di analizzare parallelamente il tasso di disoccupazione e quello di inattività delle donne per motivi familiari (2). Le donne, in quanto responsabili dell'assistenza, in molti casi non soddisfano i criteri per essere considerate «disoccupate», e quindi la loro inattività equivale a una disoccupazione sommersa.

3.1.1.4

È necessario adottare un approccio multidisciplinare che permetta di completare le politiche per l'occupazione con misure sociali e educative, una formazione che rimuova gli stereotipi nell'occupazione, servizi sociali pubblici di qualità che garantiscano l'assistenza alle persone non autosufficienti e campagne di sensibilizzazione per una più equa ripartizione del lavoro domestico tra donne e uomini.

3.1.1.5

La Commissione deve integrare e promuovere la parità in tutti i suoi programmi (come già avviene con il programma Progress). I fondi strutturali costituiscono uno strumento eccezionale: permettono di conoscere la misura in cui i diversi paesi rispettano l'obiettivo, di realizzare una valutazione annuale dell'impatto dei vari provvedimenti, rispettivamente sulle donne e sugli uomini, nei diversi paesi e persino di stabilire misure appropriate e sanzioni nei casi in cui non sia garantita un'occupazione femminile adeguata sul piano sia della quantità che della qualità.

3.1.2   Eliminare la disparità retributiva

3.1.2.1

L'equiparazione dei salari è imprescindibile per conseguire la parità, ma nonostante i progressi legislativi il divario salariale tra donne e uomini è ancora del 17,4 %, e arriva fino al 30 % per le donne di età superiore ai 50 anni.

3.1.2.2

La disparità salariale ha un'origine strutturale: segregazione delle donne in settori economici poco valorizzati e in professioni scarsamente retribuite, maggior presenza femminile nell'economia sommersa e nell'occupazione precaria e interruzione o riduzione della vita lavorativa per motivi familiari. Tutti questi elementi incidono negativamente sul livello salariale delle donne.

3.1.2.3

Il CESE (3) raccomanda che ciascuno Stato membro riesamini la sua legislazione in materia di inquadramento contrattuale e di retribuzione, per evitare la discriminazione diretta e indiretta delle donne.

3.1.2.4

La legislazione deve prevedere meccanismi di controllo che permettano di individuare la discriminazione fondata sul sesso, promuovendo sistemi trasparenti di classificazione professionale che valutino e retribuiscano in modo uguale le qualifiche, l'esperienza e il potenziale di tutti i lavoratori e le lavoratrici.

3.1.2.5

La contrattazione collettiva è un ottimo strumento per integrare sistemi non sessisti di valutazione dei posti di lavoro, permessi di formazione per la promozione professionale delle donne, periodi di aspettativa e di permesso per motivi familiari, flessibilità degli orari di lavoro, ecc., che contribuiscano a ridurre il divario salariale.

3.1.3   Le donne imprenditrici

3.1.3.1

Pur essendo spesso altamente qualificate, le donne sono ancora in minoranza negli incarichi di responsabilità all'interno delle imprese. La Commissione ha promosso la parità nel quadro della responsabilità sociale delle imprese, ha rafforzato gli aiuti statali per le nuove imprese create da donne (regolamento n. 800/2008) e ha dato il suo appoggio alla rete delle donne imprenditrici. Quest'ultima dovrebbe coinvolgere, oltre ai governi e alle istituzioni pubbliche, anche le pertinenti organizzazioni della società civile, per poter beneficiare di uno scambio di esperienze e di buone pratiche.

3.1.3.2

Il CESE suggerisce di attuare le raccomandazioni del piano d'azione dell'UE sull'imprenditorialità per favorire la creazione di imprese da parte delle donne mediante misure quali un migliore accesso ai finanziamenti e al credito, lo sviluppo di reti per l'organizzazione e la consulenza agli imprenditori, un'adeguata formazione e riqualificazione professionale, la promozione di buone pratiche, ecc.

3.1.4   Parità di genere nella protezione sociale e lotta contro la povertà

3.1.4.1

Le donne sono particolarmente vulnerabili all'esclusione sociale e alla povertà. La posizione diseguale nel mercato del lavoro e la condizione di persona dipendente nei sistemi di protezione sociale sono elementi che contribuiscono a questa situazione.

3.1.4.2

Le condizioni di accesso alla protezione sociale per le donne e gli uomini devono essere equiparate. La riduzione dell'orario lavorativo per motivi familiari, l'uso di congedi di maternità o parentali per l'assistenza, il lavoro a tempo parziale o a termine, la segregazione e la discriminazione salariale sono elementi che riducono sia l'entità che la durata delle future prestazioni sociali di cui potranno beneficiare le donne, specialmente le indennità di disoccupazione e le pensioni. Per porre almeno parzialmente rimedio a questa situazione di disuguaglianza è essenziale, tra l'altro, che il tempo dedicato al lavoro non remunerato e i periodi di riduzione dell'orario di lavoro o di inattività per motivi familiari siano riconosciuti come periodi di piena contribuzione.

3.1.4.3

Il sistema pubblico di protezione sociale deve garantire un reddito minimo dignitoso che riduca il rischio di povertà, prestando particolare attenzione alle donne anziane, alle vedove che percepiscono una pensione di reversibilità e alle famiglie monoparentali in cui il capofamiglia è una donna.

3.1.4.4

Una particolare attenzione va dedicata ai sistemi pensionistici privati introdotti in alcuni Stati membri, che stabiliscono le condizioni delle future pensioni in funzione del reddito individuale e della speranza di vita, penalizzando soprattutto le donne.

3.1.4.5

Il 2010 è l'Anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale, che coincide con la fase conclusiva della strategia di Lisbona e con l'introduzione del metodo aperto di coordinamento. La nuova strategia UE 2020 deve porsi obiettivi concreti e definire misure più efficaci sia a breve che a lungo termine per combattere la povertà, in particolare quella delle donne.

3.1.5   La dimensione di genere nel settore sanitario

3.1.5.1

Il CESE considera necessaria una nuova strategia per la salute che integri le diverse esigenze degli uomini e delle donne in materia sanitaria, ma constata che non si prevede alcuna azione concreta in questo senso. Sarebbe invece necessario fare progressi nella ricerca sulla salute delle donne e sulle malattie che le colpiscono.

3.1.5.2

In avvenire l'invecchiamento della popolazione e la partecipazione delle donne al mercato del lavoro faranno crescere la domanda riguardante i servizi di assistenza di lunga durata. Gli Stati membri devono garantire servizi sanitari e sociali pubblici di qualità, in quanto la loro mancanza ha un impatto negativo soprattutto sulle donne, che più spesso svolgono le attività di assistenza.

3.1.6   Combattere la discriminazione multipla, in particolare nei confronti delle donne migranti e appartenenti a minoranze etniche

3.1.6.1

Il CESE ribadisce la necessità di integrare la prospettiva di genere nella politica di immigrazione e asilo. Le immigrate, assieme alle donne appartenenti alle minoranze etniche, devono essere oggetto di particolare attenzione, perché risentono in più grande misura delle disuguaglianze e si trovano in situazione di maggiore vulnerabilità, specialmente nei periodi di crisi economica (4).

3.1.6.2

La «femminilizzazione» della migrazione ha un rapporto diretto con la domanda di manodopera nel settore dei lavori domestici e dell'assistenza, dovuta in grande misura alla scarsità di infrastrutture sociali. Un numero importante di donne immigrate è occupato in questi settori, caratterizzati dal fatto di appartenere all'economia informale e dalla precarietà. Questa occupazione va «professionalizzata» e regolarizzata, e si deve favorire la qualificazione professionale per migliorare l'inclusione lavorativa delle donne immigrate.

3.2   Favorire l'equilibrio tra attività professionale e vita familiare

3.2.1

In materia di occupazione femminile sono stati raggiunti gli obiettivi della strategia di Lisbona, ma sono rimasti incompiuti quelli di Barcellona riguardanti le strutture di assistenza per l'infanzia (copertura del 33 % per i bambini di età inferiore a 3 anni e del 90 % per la fascia 3-6 anni). È essenziale che vi sia un'infrastruttura per i servizi di assistenza che abbia disponibilità di posti e un'offerta flessibile tale da garantire un'attenzione personalizzata e di qualità: un'infrastruttura che copra gli orari diversi da quelli di lavoro e i periodi di vacanza, dotata di mense, di centri specializzati a seconda del grado di dipendenza, ecc. Gli investimenti nei servizi sociali non soltanto hanno conseguenze positive per l'economia in generale e per l'occupazione in particolare, ma hanno anche un'elevata utilità sociale.

3.2.2

L'assistenza all'infanzia e alle persone non autosufficienti richiede orari flessibili e impone una riorganizzazione degli orari di lavoro per adeguarli alle necessità familiari e lavorative e per rendere questi servizi ugualmente accessibili agli uomini e alle donne.

3.2.3

Molte donne, in parte a causa dell'insufficienza delle infrastrutture di assistenza, si avvalgono del lavoro a tempo parziale come misura di riequilibrio. La femminilizzazione del tempo parziale non è però dovuta esclusivamente a motivi familiari: in molti casi, anzi, è l'unica possibilità che le donne hanno di accedere al mercato del lavoro (5).

3.2.4

In materia di congedi, si impone un'equiparazione dei diritti individuali tra donne e uomini, indipendentemente dal tipo di contratto di lavoro (autonomo, a tempo determinato o indeterminato, ecc.). In questo senso il CESE valuta positivamente l'accordo raggiunto tra CES, BusinessEurope, CEEP e Ueapme per l'applicazione del congedo parentale (6), ma ritiene necessario continuare a progredire verso l'equiparazione totale. Il CESE si rallegra dell'iniziativa della Commissione volta a migliorare la protezione delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, e concorda sul fatto che si debba garantire un congedo di maternità non inferiore alle 18 settimane (7).

3.2.5

Ci si deve impegnare chiaramente per la corresponsabilità di tutti gli attori sociali nei compiti domestici e di assistenza, attualmente svolti principalmente dalle donne, per poter valorizzare appieno l'intero capitale umano. È necessaria quindi una campagna a favore di una più equa ripartizione del lavoro domestico e di assistenza, attualmente fonte di disuguaglianza, e una rivalutazione di questo tipo di lavori.

3.3   Promuovere la pari partecipazione delle donne e degli uomini al processo decisionale

3.3.1

Occorre un impegno più forte per conseguire la parità tra donne e uomini nei processi decisionali (8) in ambito economico, politico, scientifico e tecnologico. Negli ultimi anni la situazione delle donne non è cambiata di molto. È quindi necessario stabilire obiettivi chiari e scadenze per il loro raggiungimento, nonché adottare politiche specifiche e misure efficaci (azione positiva, piani per la parità, formazione specifica, quote di partecipazione, campagne di sensibilizzazione, ecc.).

3.3.2

La parità tra donne e uomini in politica deve essere un elemento centrale della costruzione europea. Dopo le elezioni del giugno 2009, le donne sono il 35 % degli eurodeputati, mentre in seno alla Commissione ci sono 10 donne e 17 uomini. Nei parlamenti nazionali le donne sono il 24 % dei rappresentanti, e il 25 % degli incarichi ministeriali nei governi nazionali è ricoperto da donne (9). Nel CESE, attualmente, il 23,6 % dei consiglieri è di sesso femminile e il 76,4 % è di sesso maschile, mentre per quanto riguarda gli incarichi dirigenziali (direttori, vicedirettori, segretari generali aggiunti) le donne rappresentano soltanto il 16,7 % contro l'83,3 % degli uomini. La rappresentanza paritaria tra donne e uomini deve essere una priorità fondamentale per arrivare all'uguaglianza a tutti i livelli.

3.3.3

I progressi registrati nel settore della ricerca pubblica sono molto modesti (un 39 % di donne) e sono appena percettibili quelli nel settore economico e finanziario (non ci sono donne a capo di banche centrali, mentre nei relativi consigli di amministrazione esse sono il 17 % dei membri e costituiscono soltanto il 3 % in quelli delle grandi imprese).

3.4   Eliminare la violenza basata sul genere e la tratta di esseri umani

3.4.1

La violenza contro le donne e le bambine continua a essere un problema gravissimo. Si tratta di un fenomeno mondiale e sistemico, che assume molteplici forme e manifestazioni. Il CESE condivide la preoccupazione espressa dalla Commissione per il numero di donne vittime di violenza, per l'ampiezza assunta dalla tratta delle donne e dalla prostituzione, in particolare tra le immigrate, e per la persistenza di reati commessi col pretesto della tradizione e dei precetti religiosi (10).

3.4.2

Si devono utilizzare misure sociali, economiche e giuridiche adeguate per ridurre ed eliminare le situazioni che possono alimentare la violenza contro le donne, come la mancanza di risorse materiali, la dipendenza economica, un basso livello di istruzione, la persistenza di stereotipi sessisti, le difficoltà di accesso al mercato del lavoro, ecc.

3.4.3

Va prestata particolare attenzione alle donne immigrate, rese ancora più vulnerabili dal loro isolamento dal contesto sociale o dalla situazione di irregolarità in cui si trovano. Il problema della lingua, le differenze socioculturali o la scarsa conoscenza delle strutture di assistenza impediscono a volte a queste persone di chiedere aiuto quando sono vittime di violenza domestica. La situazione è ancora più grave quando si tratta di immigrate prive di documenti, e vanno adottate misure specifiche per eliminare gli ostacoli e garantire i loro diritti.

3.4.4

Sono necessari programmi specifici (oltre alla continuazione di quelli già esistenti come i programmi Daphne) e occorre aumentare i finanziamenti per prevenire e combattere la violenza contro le donne. Si devono elaborare piani d'azione nazionali all'interno di una strategia coordinata a livello europeo, con misure concrete e scadenze precise che ne garantiscano l'effettiva applicazione. Una delle priorità degli Stati membri deve essere il potenziamento del quadro giuridico attuale al fine di prevenire la violenza familiare e proteggere le vittime reali e coloro che sono a rischio, tra cui i bambini. Occorrono inoltre indicatori in grado di presentare un quadro dettagliato di tutti gli aspetti della violenza di genere, ivi comprese le molestie sessuali e la tratta di esseri umani. Dati statistici unificati a livello UE sono indispensabili per realizzare un monitoraggio e una valutazione delle misure adottate in quest'ambito.

3.4.5

Dato il preoccupante numero di atti di violenza, compresa la violenza di genere, che si registrano tra i giovani, il CESE considera opportuna la decisione della Commissione di includere la violenza di genere tra i progetti del programma Gioventù in azione, così come è necessario includere la cultura della non violenza e il rispetto dei diritti di tutte le persone in tutti i programmi di istruzione e formazione per l'infanzia e la gioventù.

3.5   Eliminare gli stereotipi di genere nella società

3.5.1

Gli stereotipi sessisti sono atteggiamenti culturali e sociali che presuppongono l'esistenza di ruoli e funzioni «maschili» e «femminili», che influiscono sulla formazione e sulle opzioni di occupazione e generano una segregazione nel mercato del lavoro. Gli stereotipi ostacolano il conseguimento della parità e la piena partecipazione delle donne e degli uomini ai processi decisionali.

3.5.2

Nonostante l'elevato livello di istruzione raggiunto, le donne continuano a concentrarsi in settori economici (salute e azione sociale, istruzione, commercio, pubblica amministrazione, servizi alle imprese, settore alberghiero e della ristorazione, ecc.) e professioni (commesse, collaboratrici domestiche, badanti, personale amministrativo, ecc.) tradizionalmente considerati «femminili», nelle categorie professionali più basse, con minori possibilità di accedere a posti di lavoro migliori. La segregazione è rimasta inalterata negli ultimi anni, perché l'aumento dell'occupazione femminile si registra in settori già dominati dalle donne.

3.5.3

Per contrastare gli stereotipi sessisti è necessario:

educare i bambini e i giovani a modelli non sessisti, vigilando in particolare affinché il materiale didattico e gli insegnanti non perpetuino i suddetti stereotipi. Il CESE è favorevole all'inclusione della parità di genere come priorità specifica nei programmi comunitari di istruzione e formazione,

favorire la presenza delle donne nello studio delle discipline scientifiche e tecnologiche, dove sono poco rappresentate, e quindi consentire loro di accedere a posti di lavoro migliori e riequilibrare la presenza di donne e uomini in tutti i campi della conoscenza,

promuovere l'imprenditorialità, l'innovazione e la creatività tra le donne, siano esse lavoratrici autonome, lavoratrici dipendenti o disoccupate. Ciò rappresenta uno strumento importante per mettere in luce il contributo positivo che le donne apportano alla società,

assicurare che le donne abbiano la possibilità di partecipare al mercato del lavoro a parità di condizioni, in particolare quando sono madri e hanno figli minori a carico,

valorizzare gli impieghi «femminili», in particolare nell'ambito dell'assistenza, promuovendo la formazione permanente,

eliminare gli stereotipi sessisti dai mezzi di comunicazione e dalla pubblicità, prestando particolare attenzione alla violenza e alle immagini degradanti per le donne,

incrementare la presenza delle donne nei posti di responsabilità dei mezzi di comunicazione per promuovere la parità di trattamento e una visione realistica delle donne e degli uomini nella società.

3.6   Promuovere la parità tra donne e uomini all'esterno dell'UE

3.6.1

La Commissione deve continuare a promuovere i diritti delle donne in ambito internazionale attraverso la sua politica estera e di sviluppo. La dimensione di genere deve essere integrata in tutti gli aspetti della cooperazione, attraverso misure specifiche per le donne che ne promuovano la partecipazione ai processi decisionali e lo spirito d'iniziativa, e occorre potenziare le capacità dei paesi in via di sviluppo affinché si assumano il compito di promuovere la parità.

3.6.2

La prospettiva di genere deve essere integrata nella politica europea di sicurezza e di difesa (PESD) per intervenire nelle situazioni di crisi. In materia di aiuti umanitari (ECHO), la Commissione dovrebbe prestare particolare attenzione alle donne con figli o familiari a carico in caso di catastrofi naturali e alle donne vittime della violenza maschile nelle situazioni di conflitto.

4.   Parte II: Migliorare la governance sulla parità tra i generi

4.1

La Commissione deve integrare l'analisi di genere in modo trasversale in ciascuno dei suoi ambiti d'intervento, compresi i bilanci, e valutare i progressi in materia di parità all'interno della sua stessa struttura. A tal fine occorrono risorse umane formate alle questioni riguardanti l'uguaglianza di genere e indicatori disaggregati che consentano di visualizzare la situazione delle donne.

4.2

La Commissione deve mantenere un dialogo aperto e permanente con le organizzazioni delle donne, con le parti sociali e con altre organizzazioni della società civile per comprendere meglio i problemi della disuguaglianza.

4.3

Il CESE chiede alla Commissione di dare istruzioni a tutte le sue unità affinché usino un linguaggio non sessista in tutti i documenti e testi ufficiali, nell'interpretazione da e verso tutte le lingue e nelle pagine Internet.

5.   Parte III: Strategie da seguire a partire dal 2010

Su richiesta della Commissione, il CESE presenta una serie di proposte per la nuova tabella di marcia per la parità da adottare a partire dal 2010.

5.1

La parità tra uomini e donne va trattata in una prospettiva globale. Oltre a obiettivi come incrementare la partecipazione delle donne in tutti gli ambiti, far fronte alle sfide demografiche o migliorare il benessere dell'infanzia, le politiche comunitarie devono puntare esplicitamente a ridurre gli squilibri nella ripartizione delle responsabilità familiari, domestiche e di assistenza, tra donne e uomini in particolare e tra tutti gli attori sociali in generale.

5.2

La Commissione deve integrare in modo trasversale la parità di genere in tutti i suoi ambiti, comitati, unità, misure, politiche e direzioni. La questione del genere non riguarda soltanto la direzione generale Occupazione e affari sociali.

5.3

È necessario poter disporre di specialisti delle questioni di genere, che possano offrire formazione e materiali atti a migliorare la consapevolezza, le conoscenze e la capacità del personale europeo in materia di parità. Eurostat deve continuare a disaggregare le sue statistiche per sesso, migliorando le metodologie applicate a quelle già esistenti e incorporando nuovi indicatori che ci consentano di conoscere meglio la realtà delle donne e di avere così un quadro completo della situazione nell'UE.

5.4

La prospettiva di genere deve essere integrata nei bilanci dell'UE e di tutti gli Stati membri; sono, tuttavia, necessari studi per valutare l'impatto degli interventi pubblici sulle donne e sugli uomini.

5.5

I fondi strutturali offrono un quadro eccezionale per consentire agli Stati membri di integrare la parità di genere nei loro programmi operativi e nelle diverse fasi di applicazione dei fondi, e anche di realizzare una valutazione dell'impatto di genere per ciascun asse prioritario o ambito di intervento dei suddetti programmi. Per ottenere risultati migliori, è necessario che vi siano un maggiore coordinamento e una più stretta collaborazione tra i fondi strutturali e gli organi incaricati di garantire la parità in ciascun paese.

5.6

La Commissione deve accertarsi dell'effettiva applicazione della legislazione, presentando esempi di buone pratiche e sanzionando i paesi che non rispettino il principio della parità tra donne e uomini. La parità di genere va controllata e valutata in tutte le politiche e in tutte le direzioni della Commissione stessa. A tal fine è necessario disporre di un metodo di valutazione che permetta di osservare e apprezzare il grado di conseguimento degli obiettivi stabiliti e di verificare successi e insuccessi, nonché di un'unità di valutazione che supervisioni e valuti in modo sistematico le azioni dei diversi paesi sulla base degli indicatori già previsti dalla tabella di marcia.

5.7

Nel caso in cui la futura tabella venga modificata, il CESE raccomanda di introdurre alcune suddivisioni nell'ambito 1, che al momento tratta problematiche tra loro molto diverse (occupazione, salute, immigrazione) che vanno affrontate con mezzi differenziati. Il CESE propone inoltre di introdurre un nuovo ambito dal titolo Le donne e l'ambiente, perché le donne hanno un ruolo fondamentale nello sviluppo sostenibile, vista la loro preoccupazione speciale per la qualità e la sostenibilità della vita dell'attuale generazione e di quelle future (11).

5.8

Il CESE sottolinea il ruolo importante svolto dalle parti sociali nella promozione della parità attraverso il dialogo sociale e la contrattazione collettiva. Un buon esempio in questo senso è il quadro d'azione per la parità tra donne e uomini del 2005.

5.9

L'Istituto europeo per l'uguaglianza di genere deve avere un ruolo di primo piano per quanto riguarda il miglioramento della governance e la revisione della legislazione in vigore in materia di sensibilizzazione e di parità. Deve vigilare e garantire che tutte le politiche prevedano e promuovano la parità, nonché favorire la partecipazione dei cittadini e l'adozione di politiche più responsabili e più inclusive per quanto riguarda le questioni di genere.

5.10

Non si deve permettere che i problemi economici e finanziari che affliggono l'Europa e i cambiamenti demografici possano pregiudicare l'obiettivo della parità o farlo passare in secondo piano.

Bruxelles, 17 marzo 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Fonte: Eurostat (EFT), i dati sull'occupazione sono aggiornati al febbraio 2009, quelli sulla disoccupazione al settembre 2009.

(2)  Il tasso di inattività per motivo di assistenza a familiari (minori o persone non autosufficienti) per le donne di età compresa tra i 25 e i 54 anni è del 25,1 % contro il 2,4 % soltanto degli uomini. È inoltre inattivo per altre responsabilità familiari il 19,2 % delle donne, contro il 2,9 % degli uomini (fonte: EFT, Eurostat, 2008).

(3)  GU C 211 del 19.8.2008, pag. 54.

(4)  Cfr. i pareri del CESE GU C 182 del 4.8.2009, pag. 19 e GU C 27 del 3.2.2009, pag. 95.

(5)  Nel 2008, il 31,5 % delle donne occupate nell'UE aveva un lavoro a tempo parziale, contro l'8,3 % degli uomini. Il 27,5 % di queste lavoratrici aveva scelto il tempo parziale per motivi di assistenza (a minori o a persone non autosufficienti), e il 29,2 % perché non riusciva a trovare un lavoro a tempo pieno (nel caso degli uomini, rispettivamente il 3,3 % e il 22,7 %). Fonte: EFT, Eurostat.

(6)  Il congedo parentale passa da 3 a 4 mesi, uno dei quali non trasferibile per il padre, ed è applicabile a tutti i lavoratori indipendentemente dal tipo di contratto.

(7)  GU C 277 del 17.11.2009, pag. 102.

(8)  Dieci anni fa, in occasione della conferenza Donne e uomini al potere svoltasi a Parigi nel 1999, gli Stati membri dell'Unione europea hanno sottoscritto una dichiarazione in cui si impegnano a fare progressi verso una partecipazione ai processi decisionali più paritaria tra donne e uomini.

(9)  Dati aggiornati all'ottobre 2009.

(10)  GU C 110 del 9.5.2006, pag. 89.

(11)  Come si afferma nella piattaforma d'azione di Pechino del 1995.


28.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 354/8


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «I disabili. Occupazione e accessibilità a tappe per i disabili nell'UE: la strategia di Lisbona dopo il 2010» (parere esplorativo)

2010/C 354/02

Relatore: Miguel Ángel CABRA DE LUNA

Con lettera datata 23 luglio 2009, Diego LÓPEZ GARRIDO, sottosegretario di Stato all'Unione europea del ministero degli Affari esteri e della cooperazione, per conto della futura presidenza spagnola, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, ha invitato il Comitato economico e sociale europeo a elaborare un parere esplorativo sul tema:

I disabili. Occupazione e accessibilità a tappe per i disabili nell'UE: la strategia di Lisbona dopo il 2010.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 febbraio 2010.

Alla sua 461a sessione plenaria, dei giorni 17 e 18 marzo 2010 (seduta del 17 marzo), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 152 voti favorevoli, nessun voto contrario e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

Strategia UE 2020

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) chiede che, nel quadro dell'adozione della strategia UE 2020, degli orientamenti per l'occupazione e dell'Agenda sociale, si includa in tali documenti un paragrafo sulla disabilità che sia trasversale e che garantisca un miglior coordinamento in tutte le politiche comunitarie.

1.2

Ricorda che l'introduzione, nella futura strategia UE 2020, di criteri in grado di rafforzare le politiche in materia di disabilità, avrà effetti economici positivi per tutta la società e consentirà di fare passi avanti nell'inclusione sociale e nella non discriminazione.

1.3

Il CESE giudica necessario adottare un «Patto europeo per la disabilità» che getti le basi di una nuova politica comunitaria in materia. Tale patto dovrà essere conforme alla futura strategia della Commissione per i disabili, nel quadro del Trattato di Lisbona, della Convenzione dell'ONU sui diritti dei disabili e del suo protocollo. Detta convenzione dev'essere ratificata quanto prima dall'Unione europea e dagli Stati membri.

1.4

Il CESE chiede che vengano elaborate politiche a sostegno dell'innovazione. Tali politiche devono essere basate su dati statistici e rendere visibili i disabili in tutte le statistiche europee e nazionali pertinenti.

I disabili e l'occupazione

1.5

Il Comitato approva la creazione di un mercato inclusivo per tutti e segnala che le politiche occupazionali a favore dei disabili devono basarsi su un approccio che copra l'intero arco della vita lavorativa (lifestraming) concentrandosi in particolare sull'istruzione, sull'assunzione, sul mantenimento nel mercato del lavoro e sul reinserimento professionale. Nella futura strategia UE 2020 e nella nuova strategia della Commissione europea a favore dei disabili devono essere prioritarie le politiche destinate ai giovani disabili e quelle che intervengono in caso di invalidità acquisita.

1.6

Il CESE chiede alla Commissione di presentare entro un anno una relazione sull'applicazione delle misure sulla disabilità e l'occupazione previste dalla direttiva 2000/78/CE.

1.7

Il CESE ricorda che l'accesso al normale ambiente di lavoro presuppone lo sviluppo di servizi sociali adeguati nonché la creazione di incentivi e motivazioni. Riconosce il ruolo delle imprese che assumono una maggioranza di disabili e, in generale, delle imprese dell'economia sociale e delle PMI, le quali richiedono anch'esse il sostegno di servizi sociali e incentivi adeguati. Sottolinea inoltre l'importanza degli interlocutori sociali in questo contesto.

1.8

Il CESE reclama politiche di sensibilizzazione che possano controbilanciare gli stereotipi tuttora esistenti sui lavoratori disabili e sottolinea il ruolo dei mezzi di comunicazione nell'accettazione della diversità.

Accessibilità

1.9

Il CESE ribadisce che l'accessibilità è un vantaggio per l'intera collettività e non solo per i disabili e che comporta un aumento dei clienti delle imprese.

1.10

Il CESE raccomanda di applicare progressivamente le misure in materia di accessibilità, definendo obiettivi comuni a breve, medio e lungo termine (che comprendano anche una data chiara e definitiva per i prodotti, servizi e infrastrutture nuovi e per quelli già esistenti).

1.11

Il Comitato sostiene l'idea di nominare una Capitale europea dell'accessibilità per tutti.

1.12

Segnala inoltre l'urgenza di presentare una legge in materia di accessibilità elettronica (e-accessibilità). Ribadisce il proprio impegno in favore del principio di una «progettazione per tutti» e dello sviluppo di standard di accessibilità. Chiede che prima del 2011 venga presentato un piano d'azione intensivo in materia e auspica che venga creata una «Carta europea della disabilità», che faciliti il riconoscimento reciproco dei diritti e gli spostamenti transfrontalieri dei disabili.

Disabilità e genere

1.13

È necessario che le questioni di genere vengano integrate trasversalmente nella definizione, nell'elaborazione, nel monitoraggio e nella valutazione delle politiche sulla disabilità, onde mettere fine alla situazione di invisibilità e alle molteplici discriminazioni di cui soffrono le donne e le ragazze disabili.

Dialogo sociale e disabilità

1.14

Il CESE riconosce l'importanza degli interlocutori sociali al fine di garantire che i disabili godano, al pari delle altre persone, di condizioni di lavoro giuste e favorevoli.

1.15

Gli interlocutori sociali devono inserire la prospettiva della disabilità in tutte le azioni e in tutti i negoziati intersettoriali, settoriali e di impresa, specie per quanto concerne l'occupazione, l'accessibilità e la previdenza sociale.

Partecipazione e dialogo civile

1.16

Il CESE ribadisce la propria adesione al principio «nulla per i disabili senza i disabili». Tale principio deve essere applicato sia alla strategia UE 2020 sia ai programmi per i disabili finanziati con fondi pubblici.

1.17

L'UE e gli Stati membri devono promuovere e finanziare lo sviluppo della società civile assicurandone l'indipendenza e la capacità di partecipare alla elaborazione di politiche e/o alla fornitura di servizi sociali.

2.   Introduzione

2.1

Il CESE accoglie favorevolmente la richiesta della presidenza spagnola di elaborare un parere sul tema I disabili: Occupazione e accessibilità a tappe per i disabili nell'UE: la strategia di Lisbona dopo il 2010.

2.2

Sin dall'adozione del primo parere d'iniziativa specifico sul tema L'integrazione dei disabili nella società, nel luglio 2002 (1), il CESE ha creato in modo continuo e trasversale un corpus di documenti in cui ha sostenuto la parità di trattamento e la non discriminazione dei disabili e delle loro famiglie (2).

2.3

I disabili rappresentano più del 16 % della popolazione (almeno 80 milioni di persone) (3), una percentuale che aumenta con l'invecchiamento della popolazione.

2.4

Il CESE riconosce i progressi realizzati sia nella legislazione (4) sia nell'applicazione di politiche europee (5) che, accanto alla dichiarazione di Madrid (6) del 2002, hanno contribuito a rendere l'UE uno spazio maggiormente inclusivo per i disabili. Ciononostante, sussistono margini di miglioramento perché tali progressi hanno avuto un carattere settoriale, frammentario e hanno risentito della mancanza di una strategia armonizzata, cosa che è stata confermata dalla valutazione intermedia del piano d'azione europeo 2003-2010 (7). È inoltre necessario potenziare i servizi della Commissione europea responsabili delle politiche europee a favore dei disabili.

2.5

Il CESE richiama l'attenzione sugli ultimi risultati (2009) dell'Eurobarometro (8), in cui si sottolinea un forte incremento del senso di discriminazione basata sulla disabilità (8 punti percentuali in più nell'ultimo anno, vale a dire il 53 % nel 2009 rispetto al 45 % nel 2008). Nel 2009, più del 33 % dei disabili affermava di essersi sentito discriminato.

2.6

Il Comitato riconosce che i progressi in questo campo sono ampiamente dovuti all'opera di sensibilizzazione e di pressione svolta dal movimento europeo dei disabili e dalle organizzazioni rappresentative, riunite nel Forum europeo per le disabilità, nonché al sostegno delle parti sociali.

2.7

Il CESE ricorda al trio delle presidenze del Consiglio l'importanza di prendere in considerazione il presente parere nel corso delle rispettive presidenze.

3.   La nuova politica comunitaria sulla disabilità nella futura strategia dell'UE per il 2020

3.1   Il CESE è d'accordo con l'affermazione della Commissione secondo cui le politiche concernenti la strategia UE 2020 devono «contribuire in modo tangibile alla coesione sociale, far fronte alla disoccupazione, favorire l'inclusione sociale … Occorreranno quindi un riassetto dei sistemi d'istruzione e del mercato del lavoro e misure di stimolo alla mobilità e al dinamismo in grado di sviluppare il potenziale innovativo e creativo dell'Europa» (9).

3.2   Il CESE ritiene che nel contesto della strategia UE 2020 sia necessario adottare un «Patto europeo per la disabilità» analogo a quelli già definiti per le questioni di genere e per i giovani.

3.3   Il patto deve costituire un accordo comune, approvato dal Consiglio dei ministri, tra i governi degli Stati membri, la Commissione e il Forum europeo per le disabilità (EDF), con la partecipazione del Parlamento europeo, del CESE e, se del caso, delle parti sociali e dei rappresentanti della società civile organizzata. Il patto dovrebbe essere gestito da un Comitato europeo della disabilità, presieduto da un rappresentante degli Stati membri e dotato di una segreteria esecutiva affidata alla Commissione. Il patto, che risponde alla necessità di definire obiettivi comuni per gli Stati membri e di stabilire una serie di indicatori per la loro realizzazione, dovrà inoltre prevedere l'obbligo di presentare una relazione ad ogni Consiglio europeo di primavera (10). In tal modo ai disabili sarà applicata una variante del metodo di coordinamento aperto.

3.4   Il patto deve coprire i seguenti aspetti: parità di accesso all'istruzione, parità di trattamento sul lavoro e di accesso all'occupazione, normativa sul reddito minimo e sulla previdenza sociale, libera circolazione, vita indipendente e autonomia personale, parità di accesso a beni e servizi per i disabili, consenso su un programma di accessibilità alle nuove tecnologie, trasporti e ambiente urbano, salute, assistenza alle persone colpite da ogni tipo di dipendenza, e infine politiche fiscali volte a promuovere l'integrazione dei disabili e tali da coprire i costi aggiuntivi connessi allo svolgimento della maggior parte delle loro attività quotidiane (11).

3.5   Il patto deve tener conto in maniera trasversale delle necessità delle donne e delle ragazze disabili, dei giovani disabili, degli anziani disabili, delle persone particolarmente bisognose di sostegno per la loro autonomia personale, e dei disabili che vivono nelle zone rurali. Esso deve inoltre promuovere la ricerca, lo sviluppo e l'innovazione nell'ambito della disabilità.

3.6   Il patto deve presentare un accordo che dovrà essere sviluppato nel quadro del Trattato di Lisbona, della Carta dei diritti fondamentali e della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dei disabili, attraverso tre pilastri:

3.6.1   (i) Momento storico di revisione delle politiche comunitarie - Collocare i disabili e le loro famiglie al centro delle politiche comunitarie

3.6.1.1

Il CESE chiede che l'adozione della strategia UE 2020 e l'Agenda sociale abbiano un effetto meno limitato rispetto all'attuale strategia di Lisbona e all'Agenda sociale rinnovata (12), e garantiscano anche un più ampio coordinamento. Per tale motivo, è opportuno inserirvi un paragrafo dedicato ai disabili e alle loro famiglie, che affronti aspetti come l'occupazione, l'istruzione, l'inclusione, la previdenza sociale e l'accessibilità, e garantisca la presenza della disabilità nelle tre linee d'azione principali (13).

3.6.1.2

Il CESE ricorda che l'inclusione delle politiche a favore dei disabili nella strategia UE 2020, nei limiti delle competenze dell'UE, avrà effetti economici positivi per tutta la società e garantirà passi avanti in materia di inclusione sociale e di non discriminazione. È quanto dimostrano alcune recenti analisi dei costi e dei benefici (14).

3.6.1.3

Il patto europeo per i disabili deve essere conforme alla futura strategia della Commissione a favore dei disabili (15), che sostituirà l'attuale piano d'azione in materia, valido per il periodo 2003-2010.

3.6.1.4

La strategia europea per l'occupazione e il metodo di coordinamento aperto in settori quali l'inclusione sociale, la previdenza sociale, le pensioni, l'istruzione e i giovani devono continuare ad includere e tenere in maggiore considerazione la disabilità, negli orientamenti rivolti agli Stati membri e negli obiettivi comuni, affinché essa appaia nei programmi nazionali, rafforzando la loro capacità analitica e tenendo conto dei risultati ottenuti nelle relazioni periodiche.

3.6.1.5

Le politiche europee devono sostenere l'obiettivo di eliminare qualsiasi violazione estrema dei diritti fondamentali, in particolare: l'internamento dei disabili in grandi strutture chiuse, l'istruzione separata, l'annullamento della capacità giuridica o la violenza contro di essi, tenendo conto delle circostanze ancor più difficili di cui soffrono le donne e le ragazze disabili e le persone con particolari necessità di sostegno (16).

3.6.1.6

Occorrono politiche che promuovano l'innovazione e che si basino su dati statistici. Il patto cercherà di dare visibilità ai disabili in tutti gli strumenti statistici di rilievo (17), utilizzando fonti, indicatori e meccanismi statistici armonizzati, aggiornati e affidabili e creando, inoltre, un modulo permanente sulla disabilità nell'indagine sulla forza lavoro in Europa, e un modulo relativo alla partecipazione sociale dei disabili, nonché includendo le questioni relative alla disabilità nei principali moduli generali.

3.6.1.7

Il CESE chiede che gli orientamenti dell'UE in materia di diritti umani e norme internazionali umanitarie, che saranno adottati dal Consiglio dell'UE, contengano una direttrice relativa ai diritti dei disabili, basata sulla Convenzione dell'ONU sui diritti dei disabili.

3.6.2   (ii) Dare alla disabilità un adeguato quadro giuridico europeo

3.6.2.1

Il CESE afferma che l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona comporta nuove basi giuridiche. Ricorda inoltre il valore degli articoli 10, 11 e 19 di tale Trattato nonché gli articoli 21 e 26 della Carta dei diritti fondamentali, che ha valore di Trattato.

3.6.2.2

La Convenzione ONU comporta nuovi obblighi per l'UE. Il CESE pertanto invita:

3.6.2.2.1

l'UE ad adottare definitivamente la Convenzione e il suo protocollo, dando seguito alla decisione del Consiglio (18). Ricorda il valore giuridico di trattato internazionale che ha la Convenzione e chiede agli Stati membri di impegnarsi a ratificarla quanto prima;

3.6.2.2.2

ad analizzare, sulla base della Convenzione, tutte le norme comunitarie concernenti il mercato interno, i trasporti, la fiscalità, la concorrenza, la sanità, i consumi, le tecnologie digitali ed elettroniche, l'occupazione, l'istruzione e la non discriminazione;

3.6.2.2.3

a creare un sistema di coordinamento (19) all'interno della Commissione europea con la partecipazione dei commissari interessati e a istituire l'organismo indipendente previsto dalla Convenzione (20).

3.6.2.3

Il CESE accoglie favorevolmente l'attuale proposta di direttiva in materia di non discriminazione al di fuori del mercato del lavoro (21), ma sottolinea che essa non è abbastanza in linea con la Convenzione dell'ONU. La direttiva, attualmente in discussione al Consiglio, deve far sì che i disabili beneficino in determinate circostanze di un trattamento preferenziale in relazione al concetto di discriminazione; deve stabilire la portata della non discriminazione nelle questioni di protezione sociale, sanità e istruzione, affermando che l'istruzione separata è discriminatoria; deve garantire un'applicazione generalizzata dell'accessibilità per i disabili; deve imporre in tutti gli ambiti la realizzazione di ragionevoli adeguamenti come condizione preliminare per l'ottenimento di fondi pubblici; deve fare in modo che l'accessibilità riguardi anche tutti i beni e i servizi offerti al pubblico; e, infine, in sede di attuazione, deve fare in modo che le disposizioni dell'UE in questo campo vengano applicate in modo più tangibile, con un'applicazione immediata nel caso delle nuove costruzioni e compromessi realistici per le costruzioni esistenti.

3.6.3   (iii) Finanziamento adeguato del patto europeo per la disabilità

3.6.3.1

Il Comitato ricorda la necessità di mantenere e potenziare, all'interno della futura politica di coesione, le disposizioni del regolamento generale sui fondi strutturali relative alla non discriminazione e all'accessibilità dei disabili, in quanto criteri di selezione e di esecuzione di progetti cofinanziati dall'UE (22). La futura politica di coesione deve inoltre garantire, attraverso adeguate risorse finanziarie, che in tutti gli Stati membri vengano eseguite azioni a favore dei gruppi di disabili e azioni promosse da tali gruppi. Tali principi devono essere estesi al bilancio comunitario in generale e ad altri programmi europei di ricerca, competitività, formazione, occupazione, affari sociali, cooperazione allo sviluppo, compresi i nuovi programmi che saranno avviati a partire dal 2014.

3.6.3.2

Il CESE riconosce che la partecipazione della società civile alla gestione diretta del Fondo sociale europeo (formazione e occupazione) e del Fondo europeo di sviluppo regionale ha dato risultati molto positivi e invita a diffondere tale modello nei programmi operativi dei fondi strutturali a partire dal 2013.

3.6.3.3

Il CESE ritiene che mantenere, attraverso il programma Progress, il sostegno finanziario alle organizzazioni europee dei disabili, tra le quali l'EDF, e agli organismi che promuovono l'integrazione sociale, rafforzi democraticamente l'UE e crei una società civile strutturata.

4.   L'UE e l'occupazione dei disabili

4.1

L'occupazione dei disabili deve essere un principio fondamentale della strategia europea per l'occupazione. La situazione occupazionale dei lavoratori europei è difficile, ma quella dei lavoratori disabili lo è ancora di più, e pertanto è necessario potenziare un mercato del lavoro inclusivo per tutti.

4.2

Il CESE è preoccupato per la situazione occupazionale dei disabili. Già prima della crisi, il 78 % delle persone con disabilità gravi non aveva accesso al mercato del lavoro. I disabili presentavano un livello di inattività doppio rispetto al resto della popolazione e il loro tasso di occupazione era del 20 % inferiore a quello della media delle persone non disabili (23).

4.3

La crisi (che colloca il tasso medio di disoccupazione nell'UE al 10 % (24)) complica ancor più la situazione sul mercato del lavoro per i disabili per due motivi: l'accesso al mercato del lavoro sarà innanzi tutto più difficile (25) e, in secondo luogo, i governi tenderanno ad adeguare i loro deficit pubblici riducendo tutti i tipi di aiuti e di pensioni. Il CESE sottolinea che i disabili non possono essere le vittime principali della crisi e si oppone ad una diminuzione degli aiuti a loro favore (26).

4.4

C'è la possibilità che la crisi faccia aumentare il rischio povertà dei disabili e delle loro famiglie. D'altro canto, la crisi può rappresentare l'opportunità di sviluppare un'attività imprenditoriale più inclusiva, grazie ad incentivi tali da incrementare la produttività delle imprese, contribuendo ad un miglioramento dell'economia nel suo complesso.

4.5

Il Comitato afferma che la promozione dell'occupazione per i disabili deve essere uno degli obiettivi chiave della strategia europea per l'occupazione e chiede di inserire, negli orientamenti per l'occupazione, un obiettivo basato sulla conclusione n. 34 del vertice europeo di primavera 2006 (27), in cui si afferma che «Un obiettivo fondamentale è la crescita della partecipazione al mercato del lavoro, specialmente … delle persone con disabilità … Per raggiungere questi obiettivi i lavori dovrebbero essere svolti in stretta cooperazione con le parti sociali». È opportuno elaborare un catalogo di misure che gli Stati sono tenuti ad applicare nei loro programmi nazionali.

4.6

Le parti sociali svolgono un ruolo cruciale affinché i disabili possano accedere al mercato del lavoro tramite negoziazione collettiva e si inseriscano nelle imprese. Allo stesso modo, contribuiscono allo sviluppo delle politiche sulla diversità e possono pertanto negoziare appositi programmi per la diversità con gli imprenditori. Questi ultimi devono ricevere incentivi per avanzare su questa linea e possono utilizzare, per la realizzazione di detti programmi, politiche di responsabilità sociale delle imprese. In questo senso, il CESE si congratula con le parti sociali europee per aver concluso con successo, nel dicembre 2009, i negoziati per un nuovo accordo autonomo sui mercati del lavoro inclusivi.

4.7

Il CESE chiede che venga presentata entro un anno una relazione sull'applicazione delle disposizioni in materia di disabilità e occupazione della direttiva 2000/78/CE (28).

4.8

Il CESE ribadisce che i disabili dispongono, come tutti gli altri, delle competenze per poter svolgere una vita lavorativa piena, e afferma che non bisogna sottovalutare le loro capacità, bensì potenziarle. I disabili hanno diritto a lavorare come qualsiasi altra categoria della popolazione.

4.9

Il CESE richiama l'attenzione sul fatto che, secondo ricerche condotte dalla Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, l'impatto sempre crescente dei problemi di salute mentale rende tale disabilità la causa principale dell'abbandono temporaneo del mercato del lavoro, che in alcuni paesi causa quasi il 40 % (29) dei pensionamenti anticipati. È necessario un cambio di mentalità nei confronti dalla situazione di detti lavoratori, anche attraverso la sensibilizzazione di cittadini ed autorità.

4.10

Ricorda inoltre che per riconoscere le competenze dei disabili devono esistere meccanismi che certifichino le conoscenze da essi acquisite vuoi attraverso l'esperienza (informale), vuoi tramite l'istruzione formale. Per tale motivo, chiede di istituire un «passaporto delle qualificazioni» (30) che assicuri ai disabili una mobilità professionale all'interno dell'UE.

4.11

Le politiche dell'occupazione per i disabili devono coprire tutto il ciclo di vita lavorativa (lifestreaming  (31)) tenendo conto di problemi quali l'alloggio, l'istruzione di base, la formazione, l'indebitamento familiare, le difficoltà finanziarie, la salute, gli ambienti sfavorevoli e l'economia locale, nonché l'assunzione, il mantenimento sul posto di lavoro e il reinserimento professionale.

4.12

La libera circolazione (principio comunitario) non è stata pienamente raggiunta per i disabili e questo ha un impatto sui loro spostamenti in altri paesi dell'UE per motivi non solo di lavoro ma anche di studio, pensionamento o per qualsiasi altra attività.

4.13

Tra gli ostacoli alla libera circolazione si sottolinea l'impossibilità di esportare diritti come l'assistenza personale, diritto che potrebbe diventare una realtà attraverso misure concrete di coordinamento dei regimi di previdenza sociale e campagne europee di formazione e sensibilizzazione.

4.14

Il CESE ricorda che l'«inserimento attivo» deve fornire un collegamento con il mercato del lavoro, assicurare un reddito sufficiente e garantire un accesso a servizi sociali di qualità al fine di migliorare il tenore di vita anche di coloro che non hanno un'occupazione (32).

4.15

Il CESE ricorda che l'ingresso in un ambiente di lavoro ordinario richiede servizi di collocamento, di riqualificazione professionale, servizi sociali e sanitari, nonché il mantenimento e la gestione di un reddito, e infine una serie di incentivi (33).

4.16

Il CESE chiede un adeguamento delle prestazioni sociali e dell'imposizione fiscale che costituisca per i disabili un incoraggiamento a lavorare in impieghi di qualità e con retribuzioni adeguate, affinché l'inserimento nel mercato del lavoro non implichi una perdita di potere di acquisto. Auspica inoltre che vengano creati incentivi finanziari intesi a incoraggiare le imprese ad assumere disabili, a garantire loro un'occupazione assistita nel mercato ordinario del lavoro, e a promuovere il lavoro autonomo e l'imprenditorialità dei disabili, anche attraverso il microfinanziamento (34). Chiede infine che le ONG sviluppino servizi di sostegno ai lavoratori disabili e alle loro famiglie.

4.17

È opportuno adottare misure di mantenimento al lavoro e di reinserimento professionale per chi ha sofferto di una disabilità acquisita, affinché quest'ultima non implichi un abbandono anticipato del mercato del lavoro. Le misure devono altresì promuovere un adattamento del luogo di lavoro e dei dintorni immediati (adeguamenti ragionevoli) per i disabili e garantire programmi di formazione e riqualificazione professionale per i disabili al fine di assicurare lo sviluppo di una carriera (35). Nei paesi in cui esistono sistemi di quote, bisognerà garantire, attraverso meccanismi e sostegni adeguati, che gli obiettivi di inserimento nel lavoro siano raggiunti. La dimensione sociale degli appalti pubblici può anch'essa rafforzare l'occupazione dei disabili.

4.18

Il CESE crede fermamente che finanziare l'occupazione sia più vantaggioso che ricorrere ai sussidi di disoccupazione. Altrettanto vale per gli incentivi che inducono i disabili a ricercare un'occupazione e i datori di lavoro ad assumerli, come pure per gli incentivi al lavoro autonomo dei disabili.

4.19

Il CESE è favorevole alle politiche, tra cui l'istruzione precoce, rivolte ad aiutare i giovani disabili e a favorire la loro transizione dalla formazione alla prima occupazione. È inoltre favorevole alle politiche applicate in caso di disabilità acquisita e a quelle che garantiscono il mantenimento al lavoro e il reinserimento professionale. Questa categoria della popolazione dovrebbe essere considerata prioritaria nella futura strategia UE 2020 e formare parte della revisione della strategia della Commissione per i disabili. Il CESE ricorda il proprio parere SOC/349 in cui propone di elaborare una strategia non solo PER i giovani ma anche CON i giovani (36).

4.20

Il CESE riconosce il ruolo delle imprese che assumono in maggioranza disabili, di quelle che sono più attive di altre in questo campo e in generale delle imprese dell'economia sociale, ad esempio le cooperative, le mutue, le associazioni o le fondazioni, che favoriscono l'inserimento sociale dei disabili e la loro partecipazione al mercato del lavoro con gli stessi diritti, garantendo loro il regime speciale di sostegno stabilito dai vari Stati membri.

4.21

Il CESE sottolinea la necessità di sostenere le PMI affinché adottino, ai fini occupazionali, un atteggiamento basato sull'inclusione e svolgano il loro ruolo fondamentale al fine di assicurare l'efficacia delle misure a favore dei disabili sul lavoro.

4.22

Le istituzioni e gli organismi europei e nazionali devono conoscere la situazione e dare l'esempio, integrando nei loro organici lavoratori disabili attraverso un piano di misure concrete per migliorare gli attuali indici di inserimento professionale, generalmente molto bassi.

4.23

Il CESE sottolinea l'importanza del concetto di flessicurezza per i disabili, vale a dire il miglioramento delle condizioni di flessibilità e di adattabilità delle risorse umane nelle imprese accompagnato da un miglioramento delle condizioni di lavoro e della sicurezza sul lavoro. Le strategie da seguire devono garantire che, nel corso della loro vita, i disabili abbiano la possibilità di conciliare vita lavorativa e vita privata, di godere della formazione permanente, di operare una transizione tra diverse possibili situazioni e di beneficiare di risorse sociali e occupazionali.

4.24

Il CESE approva il sostegno ai nuovi posti di lavoro «verdi» e sociali, nonché la promozione dell'accessibilità e della progettazione per tutti, che rappresentano opportunità occupazionali per i disabili.

4.25

È inoltre favorevole alla concessione di aiuti ai lavoratori disabili che hanno bisogno di particolare assistenza e alla creazione dei servizi necessari affinché i loro familiari possano continuare a lavorare.

4.26

Le politiche di sensibilizzazione servono a mettere fine agli stereotipi (37) sui lavoratori disabili e devono essere dirette agli interlocutori sociali, ai responsabili della gestione, ai dirigenti e agli impiegati, agli operatori sanitari e alla pubblica amministrazione (38).

4.27

Gli strumenti di sostegno appena citati devono essere di facile uso per le imprese e per i lavoratori. È inoltre opportuno che vengano adeguatamente promossi e utilizzati dagli organismi pubblici.

4.28

È opportuno sottolineare il ruolo dei mezzi di informazione in quanto agenti di sensibilizzazione e diffusione, che svolgono una funzione essenziale nel promuovere i principi della tolleranza, dell'inclusione sociale e dell'accettazione della diversità nella società europea.

4.29

Il CESE accoglie favorevolmente lo sviluppo di iniziative innovative come quelle già citate del «passaporto di competenze» e del lifestreaming. A tale proposito mette in risalto altri esempi:

4.29.1

il modello di servizio job coaching che garantisce un sostegno costante nel normale ambiente di lavoro, comprendente l'assistenza e il tutoraggio;

4.29.2

la creazione di un sistema di accreditamento dell'apprendimento preliminare (39), che rispecchi le conoscenze professionali acquisite progressivamente;

4.29.3

l'assistenza durante tutta la vita lavorativa nelle imprese e nella pubblica amministrazione;

4.29.4

l'utilizzo di nuove tecnologie che dispongono di sistemi di sostegno audiovisivi quali il video tutorial system  (40) e, in generale, la fornitura di tecnologie di sostegno e la garanzia dell'accessibilità delle tecnologie generali nel luogo di lavoro;

4.29.5

lo sviluppo di un modello di gestione della disabilità (disability management model) (41) nell'ambito delle politiche generali in materia di diversità portate avanti nelle imprese.

5.   L'accessibilità per i disabili

5.1

Il CESE ricorda la risoluzione del Consiglio del 17 marzo 2008, nella quale si afferma che «L'accessibilità rappresenta una pietra miliare di una società inclusiva basata sulla non discriminazione» (42). Gli interlocutori sociali svolgono un ruolo fondamentale in quanto l'accessibilità è un requisito preliminare per l'occupazione.

5.2

Il CESE ribadisce il contenuto del suo parere esplorativo (43) sul tema Pari opportunità per i disabili in cui si sottolinea la necessità di pari diritti pur con diverse necessità e modi distinti di accedere a beni e servizi.

5.3

Il CESE raccomanda di realizzare gradualmente l'accessibilità attraverso obiettivi comuni a breve, media e lunga scadenza (con un termine preciso e definitivo per i beni, i servizi e le infrastrutture nuovi e per quelli già esistenti) che vincolino gli Stati membri, utilizzando, tra l'altro, le potenzialità degli appalti pubblici.

5.4

Giudica l'accessibilità essenziale per poter esercitare i diritti politici e civili di applicazione immediata. Questo deve dar luogo a programmi specifici di accessibilità, corredati da norme e sanzioni tali da impegnare tutti i pubblici poteri e da offrire ai cittadini disabili la possibilità di ricorrere a vari meccanismi di difesa dei loro diritti. Non dovrebbero ripetersi elezioni del Parlamento europeo senza garanzia dell'accessibilità dei seggi elettorali e senza una presenza rilevante di disabili nelle liste elettorali. È anzi opportuno che vengano adottate misure adeguate a livello nazionale.

5.5

Il CESE sottolinea gli sforzi condotti dagli Stati membri dell'UE e dalla Commissione a favore dell'accessibilità, il cui fine ultimo è quello di garantire l'accessibilità a qualsiasi luogo e struttura (edifici pubblici o di pubblico interesse, imprese private, beni e servizi, turismo, commercio elettronico, informazione, trasporti, tecnologie, comunicazioni).

5.6

Ribadisce che l'accessibilità è un beneficio per tutti (pensiamo agli anziani, alle donne incinte, alle persone a mobilità ridotta, ecc.). Le imprese accessibili avrebbero un maggior numero di clienti (pari al 15 % dei consumatori). Nuovi prodotti creano ulteriori mercati e sono una fonte di crescita sostenibile dell'economia.

5.7

Il CESE segnala altresì che l'impegno a garantire l'accessibilità è un impegno a garantire diritti fondamentali dei cittadini europei, come già ribadito nel suo parere sulla e-accessibilità (44).

5.8

Ricorda alle istituzioni europee, e in particolare alla Commissione, che il numero dei suoi edifici e dei sistemi d'informazione elettronici accessibili (ad es. la sua pagina web e la sezione relativa alle consultazioni pubbliche della Commissione) è limitato. È pertanto necessario programmare un piano di accessibilità che dimostri un reale impegno nei confronti dei disabili (45).

5.9

Il CESE chiede che vengano erogati aiuti statali (46) alle imprese e ai servizi privati affinché raggiungano l'obiettivo di adeguamenti ragionevoli, obiettivo previsto dalla direttiva 2000/78/CE (47). È altresì opportuno sviluppare il principio di accessibilità preventiva nei servizi privati.

5.10

Occorre continuare ad elaborare standard di accessibilità a sostegno della legislazione relativa agli acquisti degli enti pubblici, prendendo a modello la legislazione nordamericana che ha dato buoni risultati. Il CESE ricorda l'importanza del dialogo tra istituzioni, industria e società civile nella definizione di detti standard (48).

5.11

Il Comitato approva l'idea di istituire una Capitale europea dell'accessibilità universale, basata su un sistema di concessioni di bandiere, che riconosca alle città e alle regioni europee gli sforzi da esse condotti in materia di accessibilità a luoghi, beni e servizi e favorisca lo sviluppo sostenibile degli enti locali.

5.12

Il CESE spera che i nuovi regolamenti sui trasporti marittimi, sugli automezzi urbani e interurbani e sui taxi tengano conto in modo soddisfacente delle diverse necessità dei disabili e che tutti i mezzi di trasporto e i luoghi di accesso a essi vengano adeguati, prendendo a modello gli attuali regolamenti sui trasporti aerei e ferroviari.

5.13

Il CESE ha accolto favorevolmente la comunicazione della Commissione sull'e-accessibilità (49) e ha chiesto all'UE di integrare le azioni proposte come quadro strategico europeo per la società dell'informazione. La legislazione sulla e-accessibilità deve essere presentata con urgenza e contenere, tra l'altro, disposizioni concernenti l'accessibilità dei siti Internet, la comunicazione inclusiva, i servizi a distanza, la telefonia mobile, la tecnologia digitale e gli sportelli bancari automatici. Questi obiettivi figuravano già nella Dichiarazione ministeriale di Creta (50) del 2003 e nella Dichiarazione di Riga. Attualmente si nutrono ragionevoli dubbi su una loro realizzazione nei tempi stabiliti ed è opportuno elaborare prima del 2011 un programma d'azione intensivo che consenta un loro raggiungimento.

5.14

Il CESE ribadisce il suo impegno a rispettare il principio della «progettazione per tutti» e ritiene fondamentale includerlo nei programmi di formazione professionale e nei piani di studi universitari affinché venga applicato da tutti sul piano professionale.

5.15

Il CESE è favorevole alla creazione di una «Carta europea della disabilità» che dia ai disabili che si spostano al di là delle frontiere il riconoscimento reciproco dei loro diritti, tra cui lo stesso livello di accesso ai trasporti, alla cultura, al tempo libero, seguendo l'esempio della Carta europea del parcheggio.

6.   Disabilità e genere

6.1

Il CESE sottolinea che le donne disabili rappresentano il 60 % dei disabili in Europa e soffrono di una situazione di disuguaglianza. Le donne disabili continuano a subire discriminazioni nel riconoscimento dei loro diritti e nell'accesso a beni e servizi (sanità, istruzione, e prevenzione della violenza di genere, tra le altre cose).

6.2

In dieci anni, i livelli di occupazione delle donne disabili sono rimasti identici, caratterizzati da un alto tasso di inattività e di disoccupazione, da salari più bassi e da maggiori difficoltà nell'entrare nel mondo del lavoro.

6.3

È necessario che le questioni di genere siano integrate in maniera trasversale nella definizione, elaborazione, monitoraggio e valutazione delle politiche sui disabili. Occorre disporre di misure e di azioni specifiche volte a garantire l'accesso all'occupazione e a incentivare l'assunzione di donne.

7.   Dialogo sociale e disabilità

7.1

Il CESE invita gli interlocutori sociali ad assicurare che i disabili lavorino a parità di condizioni con gli altri, vale a dire condizioni di lavoro giuste e favorevoli, ma soprattutto che godano di pari opportunità e dello stesso salario per lavoro di pari valore e che possano esercitare i loro diritti lavorativi e sindacali. Invita in particolare i disabili ad aderire alle organizzazioni professionali e sindacali e chiede che il lavoro in subappalto venga realizzato alle stesse condizioni professionali (51) (articolo 27 della Convenzione ONU).

7.2

Sul lavoro, nel campo della previdenza sociale, della salute e della sicurezza sul lavoro, in altri contesti e per quanto concerne le relazioni di lavoro in generale, il dialogo sociale è fondamentale per la difesa dei diritti, le pari opportunità e la non discriminazione dei disabili. Esso si rivela inoltre essenziale per l'attuazione di azioni positive nel campo del lavoro e dell'accessibilità, così come della formazione, della promozione e dell'assistenza a lavoratori disabili.

7.3

Le parti sociali devono integrare la prospettiva della disabilità in tutte le azioni e i negoziati intersettoriali, settoriali e di impresa, specie per quanto concerne l'occupazione, l'accessibilità e la previdenza sociale, in collaborazione con la società civile organizzata e le organizzazioni dei disabili.

7.4

Le parti sociali devono partecipare al monitoraggio e all'applicazione della Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dei disabili, per quanto concerne le relazioni di lavoro e la previdenza sociale.

8.   Partecipazione e dialogo civile

8.1

Il CESE ribadisce la sua adesione al principio «nulla per i disabili senza i disabili» (52) ed è favorevole alle politiche di responsabilizzazione individuale dei disabili e di autopromozione dei loro diritti.

8.2

Considera che il dialogo civile con i disabili e le loro famiglie sia il quadro ideale per migliorare la governance dell'UE, definendo meccanismi e protocolli di applicazione vincolante e creando organi ad hoc di partecipazione e consultazione all'interno dell'UE.

8.3

Le organizzazione dei disabili devono contribuire alle relazioni periodiche che valutano le politiche di occupazione e di accessibilità, l'applicazione della Convenzione delle Nazioni Unite e i programmi e gli strumenti finanziari della Commissione, per garantire che venga tenuto in considerazione il punto di vista della società civile più inclusiva, ad esempio attraverso relazioni alternative.

8.4

L'UE e gli Stati membri devono garantire la promozione e il finanziamento dello sviluppo della società civile assicurandone l'indipendenza e la capacità di partecipare alla elaborazione di politiche e/o alla fornitura di servizi sociali.

Bruxelles, 17 marzo 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Parere CESE, GU C 241 del 7.10.2002, pag. 89.

(2)  Pareri del CESE: GU C 182 del 4.8.2009, pag. 19GU C 10 del 15.1.2008, pag. 80GU C 93 del 27.4.2007, pag. 32GU C 256 del 27.10.2007, pag. 102GU C 185 dell'8.8.2006, pag. 46GU C 88 dell'11.4.2006, pag. 22GU C 110 del 9.5.2006, pag. 26GU C 24 del 31.1.2006, pag. 15GU C 110 del 30.4.2004, pag. 26GU C 133 del 6.6.2003, pag. 50GU C 36 dell'8.2.2002, pag 72.

(3)  http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page/portal/microdata/eu_silc

(4)  Direttiva del Consiglio n. 2000/78/EC del 27 novembre 2000 - Regolamento (CE) n. 1083/2006 dell'11 luglio 2006; Regolamento (CE) n. 1107/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 5 luglio 2006 [GU L 204 del 26.7.2006] e il pacchetto telecomunicazioni COM(2007) 697 definitivo – 2007/0247 (COD).

(5)  Comunicazione della Commissione sull'Agenda sociale COM(2005) 33 definitivo e Comunicazione della Commissione - Pari opportunità per le persone con disabilità: un piano d'azione europeo, COM(2003) 650 definitivo.

(6)  http://antiguo.cermi.es/graficos/declaracion-madrid.asp

(7)  http://ec.europa.eu/social/BlobServlet?docId= 3784&langId=it

(8)  Eurobarometro: Discriminazione nell'UE nel 2009 (basato su ricerche effettuate sul campo dal 29 maggio al 14 giugno 2009).

(9)  COM(2009) 647 definitivo.

(10)  Risoluzione del Consiglio (2008/C75/01).

(11)  Parere del CESE, GU C 93 del 27.4.2007.

(http://w3.bcn.es/fitxers/baccessible/greugecomparatiueconmic.683.pdf).

http://www.feaps.org/actualidad/23_04_09/ultima_hora/sobreesfuerzo_15_04_09.pdf

(12)  COM(2009) 58 definitivo.

(13)  COM(2009) 647 definitivo.

(14)  Evaluation of employment policies for persons with disabilities and formulation and economic cost of new proposals for labour integration di Gregorio RODRÍGUEZ CAMPO, Carlos GARCÍA SERRANO e Luis TOHARIA, Colección Telefónica Accessible n. 9, Ediciones Cinca, aprile 2009 - ISBN: 978-84- 96889-48-4. Madrid.

(15)  Risoluzione del Consiglio (2008/C 75/01).

(16)  http://cms.horus.be/files/99909/MediaArchive/EDF%20declaration%20on%20girls%20and%20women%20with%20disabilities.doc.

(17)  Parere del CESE, GU C 10 del 15.1.2008, pag. 80.

(18)  Decisione del Consiglio 15540/09 del 24 novembre 2009.

(19)  http://cms.horus.be/files/99909/MediaArchive/library/EDF_contribution_OHCHR_contribution_national_frameworks_for_implementation_CRPD(final).doc.

(20)  http://www.efc.be/Networking/InterestGroupsAndFora/Disability/Pages/TheEuropeanConsortiumofFoundationsonHumanRightsandDisability.aspx.

(21)  Proposta di direttiva del Consiglio (COM(2008) 426 definitivo, del 2 luglio 2008).

(22)  http://www.observatoriodeladiscapacidad.es/?q=es/informacion/agenda/ 18112009/presentaci_n_de_innet16_european_inclusion_network_lanzamiento_del_obser.

(23)  Statistics in Focus, Theme 3: Employment of Disabled People in Europe 2002, Eurostat 26/2003.

http://epp.eurostat.ec.europa.eu/cache/ITY_OFFPUB/KS-NK-03-026/EN/KS-NK-03-026-EN.PDF.

(24)  Eurostat, gennaio 2010.

(25)  Eurobarometro, Discriminazione nell'UE nel 2009 e parere del CESE GU C 256 del 27.10.2007, pag. 102.

(26)  http://www.cermi.es/NR/rdonlyres/6487C9F8-F423-493B-83B8-562CB09201B8/30184/EstudioCERMICrisisyDiscapacidad.doc

www.cermi.es.

(27)  Conclusioni della presidenza del Consiglio europeo di Bruxelles 23-24 marzo 2006.

(28)  Direttiva del Consiglio 2000/78.

(29)  Analisi eseguita dalla Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro sulla base di dati raccolti dall'agenzia federale tedesca per il monitoraggio della sanità (2007):

http://www.gbe-bund.de/gbe10/pkg_isgbe5.prc_isgbe?p_uid=gastd&p_sprache=E.

(30)  Centro europeo dei datori di lavoro e delle imprese che forniscono servizi pubblici (CEEP): http://www.ceep.eu.

(31)  Centro europeo dei datori di lavoro e delle imprese che forniscono servizi pubblici (CEEP): http://www.ceep.eu.

(32)  Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro.

(33)  Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro.

(34)  http://ec.europa.eu/social/main.jsp?langId=es&catId=89&newsId=547.

(35)  Guida sul tema Creating an inclusive society: mainstreaming disability based on the social economy example (Costruire una società inclusiva: integrare la disabilità seguendo l'esempio dell'economia sociale).

http://www.socialeconomy.eu.org/IMG/pdf/Guide_on_Disability_Mainstreaming_and_Social_Economy.pdf.

(36)  Parere del CESE, GU C 318 del 23.12.2009, pag. 113.

(37)  www.fundaciononce.es

(38)  Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro: http://www.eurofound.europa.eu/.

(39)  Centro europeo dei datori di lavoro e delle imprese che forniscono servizi pubblici (CEEP): http://www.ceep.eu.

(40)  Centro europeo dei datori di lavoro e delle imprese che forniscono servizi pubblici (CEEP): http://www.ceep.eu.

(41)  Centro europeo dei datori di lavoro e delle imprese che forniscono servizi pubblici (CEEP): http://www.ceep.eu.

(42)  Risoluzione del Consiglio (2008/C 75/01).

(43)  Parere del CESE, GU C 93 del 27.4.2007, pag. 32.

(44)  Parere del CESE, GU C 110 del 9.5.2006, pag. 26 e Risoluzione del Consiglio del 6 febbraio 2003 (GU C 39 del 2003, pag. 5).

(45)  COM(2007) 501 definitivo.

(46)  Articoli 41 e 42 del regolamento (CE) n. 800/2008, della Commissione, del 6 agosto 2008.

(47)  Direttiva n. 2000/78, del Consiglio, del 27 novembre 2000.

(48)  http://ec.europa.eu/information_society/activities/einclusion/archive/deploy/pubproc/eso-m376/index_en.htm

http://cms.horus.be/files/99909/MediaArchive/M420%20Mandate%20Access%20Built%20Environment.pdf

(49)  COM(2005) 425 definitivo, COM(2008) 804 definitivo.

(50)  Dichiarazione sull'inclusione digitale: ministri dei Trasporti e delle comunicazioni dell'Unione europea. Aprile 2003.

(51)  Articolo 27 della Convenzione dell'ONU.

(52)  Slogan del Forum europeo sulle disabilità, assemblea generale 2009.


28.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 354/16


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Integrazione dei lavoratori immigrati» (parere esplorativo)

2010/C 354/03

Relatore: PARIZA CASTAÑOS

Con lettera datata 23 luglio 2009, Diego LÓPEZ GARRIDO, sottosegretario di Stato all'Unione europea del ministero degli Affari esteri e della cooperazione, ha invitato, per conto della futura presidenza spagnola, il Comitato economico e sociale europeo, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, ad elaborare un parere esplorativo sul tema:

Integrazione dei lavoratori immigrati.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 febbraio 2010.

Alla sua 461a sessione plenaria, dei giorni 17 e 18 marzo 2010 (seduta del 17 marzo), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 138 voti favorevoli, 5 voti contrari e 8 astensioni.

1.   Conclusioni e proposte

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sottolinea il valore aggiunto europeo delle politiche dell'occupazione e di quelle d'immigrazione e integrazione. Le politiche esclusivamente nazionali non funzionano e per tale ragione sarà necessario rafforzare la base europea di tali politiche.

1.2   Le lavoratrici e i lavoratori immigrati stanno dando un contributo positivo allo sviluppo economico ed al benessere dell'Europa. A causa della sua situazione demografica l'UE si troverà a dover accogliere un numero maggiore di nuovi immigrati.

1.3   È necessario migliorare i processi d'integrazione sia per ragioni di efficienza economica sia nell'interesse della coesione sociale. L'occupazione è un aspetto fondamentale dell'integrazione.

1.4   L'integrazione è un processo bidirezionale di reciproco adattamento che deve essere facilitato attraverso una buona governance e una buona legislazione. Il CESE chiede al Consiglio di approvare la direttiva volta a garantire un quadro comune di diritti per i lavoratori immigrati, nonché il miglioramento della legislazione contro la discriminazione.

1.5   Un'altra sfida per le parti sociali è l'integrazione sul luogo di lavoro in condizioni di parità di opportunità e di trattamento; esse devono incoraggiarla nell'ambito della contrattazione collettiva e del dialogo sociale, anche a livello europeo. Le lavoratrici e i lavoratori immigrati devono avere un atteggiamento favorevole all'integrazione.

1.6   Le imprese sviluppano le loro attività in contesti sempre più diversi. È necessario che le imprese adottino un approccio positivo alla diversità culturale al fine di migliorare l'integrazione e anche per ampliare le opportunità.

1.7   Il CESE propone che la Commissione gli chieda di elaborare un parere esplorativo sulla creazione di una piattaforma europea di dialogo per la gestione dell'immigrazione di manodopera, prevista dal programma di Stoccolma.

2.   Ambito del parere

2.1   La presidenza spagnola dell'Unione europea ha chiesto al CESE di elaborare un parere esplorativo per aiutare l'UE a migliorare l'integrazione dei lavoratori migranti. Il presente parere si concentrerà dunque sull'integrazione dei lavoratori migranti in ambito lavorativo e su altri aspetti legati direttamente e indirettamente al mercato del lavoro.

2.2   Gli aspetti generali della politica di immigrazione e di integrazione saranno presi in considerazione solo nella misura in cui sono direttamente correlati al parere. Il Comitato ha adottato diversi pareri sul tema dell'integrazione (1), considerata da un punto di vista più generale, e ha elaborato un parere d'iniziativa teso a rafforzare il tema dell'integrazione nella nuova agenda dell'UE per la politica sociale in ambiti quali: l'istruzione e la formazione, la parità fra i sessi, la sanità, gli alloggi, la politica per le famiglie e per i giovani, la povertà e l'esclusione sociale, ecc.

2.3   L'Europa deve rafforzare l'approccio dell'integrazione nella politica comune di immigrazione. Il CESE ha costituito un gruppo di studio permanente per l'integrazione al fine di partecipare ai lavori del Forum europeo dell'integrazione.

2.4   Il Trattato di Lisbona dispone di una base giuridica più solida (2) per consentire all'UE di: «sostenere l'azione degli Stati membri al fine di favorire l'integrazione dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti nel loro territorio».

3.   Gli immigrati contribuiscono allo sviluppo economico e al benessere dell'Europa

3.1   Negli ultimi anni, l'Europa ha accolto numerosi immigrati provenienti da paesi terzi alla ricerca di nuove opportunità. Tuttavia le politiche restrittive applicate da numerosi governi europei limitano la possibilità delle imprese di assumere legalmente lavoratori immigranti.

3.2   Nella sua relazione del 2008 sull'occupazione in Europa (3), la Commissione europea affermava che: «Dal 2000 ad oggi, i lavoratori di recente immigrazione hanno svolto un ruolo importante nella crescita globale dell'economia e dell'occupazione nell'UE, colmando le lacune di manodopera e competenze e aumentando la flessibilità del mercato del lavoro».

3.2.1   Nella relazione comune sull'occupazione 2009/2010 (4) la Commissione fa presente che, sebbene l'UE stia subendo una crisi di distruzione di posti di lavoro, persiste la scarsità di manodopera in determinati Stati membri e per alcune categorie professionali. Anche la Commissione propone di promuovere l'integrazione degli immigrati già insediati, che soffrono in modo particolare della crisi. Essa raccomanda inoltre di incoraggiare le imprese a differenziare la loro manodopera e ad applicare le «carte della diversità».

3.3   Dal 2000 a oggi nell'UE il 21 % della crescita del PIL e il 25 % dei nuovi posti di lavoro sono stati creati grazie al contributo degli immigrati e alcuni settori economici sarebbero rimasti stagnanti o avrebbero registrato una crescita limitata se non fosse stato per una forza lavoro costituita in gran parte dai lavoratori e dalle lavoratrici immigrati.

3.4   Va tenuto presente che le restrizioni nei confronti dei lavoratori cittadini dei nuovi Stati membri sono state soppresse in vari paesi (Regno Unito, Irlanda, Svezia ecc.).

3.5   Il CESE sottolinea l'importanza dello spirito imprenditoriale di molti immigrati, che costituiscono imprese in Europa contribuendo a creare occupazione e ricchezza, malgrado le leggi sull'immigrazione pongano ostacoli molto difficili da superare.

3.6   Sebbene l'intensità dei flussi migratori sia stata differente nei vari Stati membri dell'UE, si osserva che i paesi che accolgono più immigrati hanno beneficiato di una crescita maggiore dell'economia e dell'occupazione. In alcuni Stati membri, come la Spagna, il Regno Unito, l'Irlanda, l'Italia e altri ancora la percentuale è più elevata (5).

3.7   L'aumento dell'immigrazione nelle società europee costituisce una sfida importante per la coesione sociale, giacché da esso derivano numerosi problemi sociali nuovi che le società europee stanno affrontando e che devono essere oggetto di un approccio integrale, come proposto dal CESE in altri suoi pareri.

3.8   Il CESE ritiene che molti dei problemi sociali (razzismo, delinquenza, violenza di genere, emarginazione, abbandono scolastico, ecc.) mettano in evidenza la necessità di migliorare l'integrazione. Spesso le amministrazioni, soprattutto a livello locale, sono sopraffatte dai problemi.

3.9   A volte i mezzi di comunicazione utilizzano i problemi dell'immigrazione in maniera sensazionalista, creando inquietudine nella popolazione. Anche taluni leader politici utilizzano i problemi in modo opportunista e irresponsabile.

3.10   Il Comitato osserva con preoccupazione che il razzismo e la xenofobia si diffondono in numerosi settori della società. I partiti e i movimenti estremisti usano i problemi derivanti dall'immigrazione per diffondere la paura tra la popolazione e promuovere politiche intolleranti, violente e contrarie ai diritti umani.

3.11   Gli atti di razzismo sono classificati come reati nel diritto penale, ma in numerose occasioni le autorità politiche e i responsabili sociali manifestano un'inaccettabile atteggiamento di tolleranza. È necessario che le autorità di polizia e giudiziarie, i leader che orientano l'opinione, i mezzi di comunicazione e i responsabili politici cambino atteggiamento e combattano il razzismo con maggior decisione, assumendo il ruolo di educatori nei confronti della società.

4.   L'immigrazione verso l'Europa aumenterà in futuro

4.1   La situazione demografica dell'UE indica che a causa dell'invecchiamento della popolazione e della bassa natalità, i mercati del lavoro avranno bisogno del contributo di numerosi lavoratori e lavoratrici immigrati. Secondo le più recenti proiezioni demografiche di Eurostat, la popolazione in età lavorativa inizierà a diminuire dopo il 2012, anche nell'ipotesi che nel decennio in corso i flussi migratori ammontino a 1.500.000 persone all'anno. Se tali flussi non aumenteranno, nel prossimo decennio la popolazione in età lavorativa si ridurrà di 14 milioni di unità.

4.2   D'altro canto, sappiamo che la mobilità internazionale dei lavoratori aumenterà nel mondo, perché molte persone si vedono costrette a emigrare a causa della mancanza di lavori dignitosi nei loro paesi di origine, e alcune di esse desiderano venire in Europa per cercare nuove opportunità lavorative e personali.

4.3   A giudizio del Comitato il fatto che nuovi immigrati vogliano realizzare il loro progetto migratorio in Europa rappresenta una grande opportunità.

4.4   Il CESE ritiene che per consentire ai lavoratori immigrati di avere delle opportunità e alle società europee di migliorare la coesione sociale, siano necessarie politiche di miglioramento dell'integrazione sociale, perché il successo dei progetti migratori, sia per i lavoratori immigrati che per le società di accoglienza, dipende da come vengono sviluppati i processi di integrazione.

4.5   La crisi economica e l'aumento della disoccupazione colpiscono tutti i settori della società e tutti i lavoratori, sia autoctoni sia immigrati. Tuttavia, secondo i dati dei mercati del lavoro europei, le prime vittime della crisi sono i lavoratori immigrati scarsamente qualificati e che occupano i posti di lavoro di peggiore qualità. Inoltre le donne immigrate sono interessate in misura maggiore dalla disoccupazione.

4.6   Nonostante l'attuale congiuntura economica negativa e l'aumento della disoccupazione in Europa, le analisi demografiche indicano che, una volta superata la crisi e recuperato il livello di crescita dell'economia e dell'occupazione, sarà necessario il contributo di nuovi immigrati per soddisfare le esigenze dei mercati del lavoro europei, tenendo conto delle caratteristiche specifiche di ciascuno Stato membro.

5.   Le normative europee in materia di ammissione degli immigrati: una sfida da cogliere

5.1   Da quando, dieci anni fa, l'UE ha intrapreso il cammino che deve condurre a una politica comune dell'immigrazione, le difficoltà maggiori si incontrano nell'elaborazione delle normative che disciplinano l'ammissione di nuovi immigrati, poiché le legislazioni degli Stati membri in materia seguono approcci molto diversi.

5.2   Poiché le politiche e le leggi in materia di immigrazione e l'accesso all'occupazione sono legati all'evoluzione dei mercati del lavoro, le parti sociali devono partecipare attivamente alla loro elaborazione, che deve comunque basarsi sul rispetto dei diritti umani degli immigrati.

5.3   Il CESE ritiene che le leggi sull'immigrazione debbano facilitare l'integrazione e considerare i lavoratori immigrati come nuovi cittadini, come persone titolari di diritti che devono essere salvaguardati e non soltanto come mano d'opera in grado di soddisfare le necessità dei mercati del lavoro.

5.4   La partecipazione delle parti sociali deve esplicarsi a tutti i livelli e, a questo proposito, il CESE prende nota con interesse della proposta della Commissione di creare una piattaforma europea di dialogo aperta alle parti sociali per gestire la migrazione dei lavoratori.

5.5   Il CESE ha proposto una politica comune in materia di immigrazione e una legislazione armonizzata affinché gli immigrati possano venire in Europa legalmente, siano trattati in modo equo, i loro diritti fondamentali siano tutelati e vi sia una migliore integrazione.

5.6   Tuttavia, l'Europa non ha accolto gli immigrati con normative e politiche adeguate; al contrario, a causa del carattere restrittivo della maggior parte delle politiche e delle legislazioni nazionali, molti immigrati sono entrati in Europa illegalmente e sono obbligati a lavorare nell'economia informale. Il Comitato ritiene che l'UE debba adottare nuove iniziative per trasformare il lavoro informale in lavoro legale.

5.7   Il Comitato ritiene che facilitando le procedure per l'immigrazione legale si ridurrà l'immigrazione irregolare e il rischio che alcuni immigrati irregolari siano vittime delle reti criminali del traffico illecito e della tratta di esseri umani. Il Programma di Stoccolma comprende nuovi impegni dell'UE riguardanti la lotta contro queste reti criminali.

5.8   Il CESE ritiene che le politiche restrittive abbiano un impatto molto negativo sui processi di integrazione, poiché presentano gli immigrati come persone che non sono né bene accolte né bene accette.

5.9   In alcune occasioni, queste politiche sono accompagnate da discorsi di natura politica e sociale che criminalizzano l'immigrazione, favoriscono l'esclusione e promuovono la xenofobia e la discriminazione.

5.10   Il quadro di riferimento è quello del Patto europeo sull'immigrazione e l'asilo che nei prossimi anni si svilupperà attraverso il programma di Stoccolma. Presumibilmente, con il Trattato di Lisbona sarà più facile trovare accordi in seno al Consiglio e anche il potere di codecisione del Parlamento europeo agevolerà l'armonizzazione della legislazione.

5.11   Il CESE avrebbe preferito una legislazione orizzontale, ma il Consiglio e la Commissione hanno scelto di elaborare direttive settoriali. È stata recentemente approvata la Carta blu (6) per agevolare l'ammissione di lavoratori altamente qualificati e la Commissione prevede di elaborare ulteriori nuove proposte di direttiva nei prossimi mesi.

5.12   Il CESE ritiene fondamentale che l'UE abbia un'adeguata legislazione in materia di ammissione, perché l'integrazione è strettamente legata alla parità di trattamento e alla non discriminazione. Per questo motivo il CESE ha dato il proprio sostegno (7) (con alcune proposte di miglioramento) alla direttiva quadro in materia di diritti dei lavoratori immigrati proposta dalla Commissione (8) e che è in questo momento discussa al Consiglio. L'attuale versione della direttiva all'esame del Consiglio presenta però un approccio insufficiente e inaccettabile per la società civile e per il Comitato.

5.13   Il Consiglio deve adottare la direttiva quadro per garantire un livello adeguato di diritti a tutti i lavoratori immigrati ed evitare situazioni discriminatorie. Il Comitato propone alla presidenza spagnola dell'UE di riorientare i dibattiti sulla direttiva quadro al Consiglio per giungere rapidamente alla sua adozione, purché tale direttiva preveda un sistema adeguato di diritti comuni a tutta l'UE basato sulla parità di trattamento dei lavoratori immigrati, soprattutto per quanto concerne i diritti lavorativi e sociali.

5.14   Il CESE ha recentemente adottato un parere d'iniziativa in cui propone un quadro avanzato di diritti e doveri, affinché la legislazione in materia di immigrazione rispetti i diritti fondamentali (9). È altresì necessario rivedere la direttiva sui ricongiungimenti familiari.

6.   L'occupazione è una componente fondamentale del processo di integrazione

6.1   L'integrazione è un processo sociale bilaterale di adeguamento reciproco da parte degli immigrati e della società di accoglienza. È questo il primo dei principi fondamentali comuni per l'integrazione, adottati dal Consiglio nel 2004.

6.2   L'integrazione richiede che le autorità, le parti sociali e le organizzazioni esercitino una guida autorevole. Le politiche pubbliche possono favorire questi processi sociali ed è essenziale anche la partecipazione attiva della società civile. In un altro parere il CESE ha sottolineato l'importanza del ruolo delle amministrazioni locali e regionali (10).

6.3   Dal canto loro, anche i lavoratori e le lavoratrici immigrati devono avere un atteggiamento positivo nei confronti dell'integrazione e sforzarsi di imparare la lingua e di rispettare le leggi e gli usi e costumi della società di accoglienza.

6.4   Il CESE è impegnato, insieme alla Commissione, nelle attività del Forum europeo dell'integrazione e sottolinea ancora una volta l'importanza della partecipazione e della consultazione delle organizzazioni della società civile a tutti i livelli di governance.

6.5   L'integrazione degli immigrati non riguarda solamente l'ambito lavorativo oggetto del presente parere perché l'integrazione è particolarmente importante nel quadro familiare, nelle scuole, nelle università, nei comuni e nei quartieri, nelle istituzioni religiose, nelle organizzazioni sportive e culturali, ecc.

6.6   L'occupazione costituisce una parte fondamentale del processo sociale di integrazione, perché un posto di lavoro dignitoso, oltre ad essere la chiave per l'autosufficienza economica degli immigrati, favorisce le relazioni sociali e la conoscenza reciproca fra immigrati e società di accoglienza.

6.7   L'Europa sociale è basata sul lavoro, e per il suo sviluppo è fondamentale l'integrazione. Le imprese europee, che sono attori sociali imprescindibili, sono interessate all'integrazione e vi contribuiscono.

6.8   La crisi economica e l'aumento della disoccupazione stanno indebolendo i processi di integrazione e acuendo alcuni conflitti nella società e nel mercato del lavoro. Il CESE ritiene che, data la situazione, tutti i soggetti interessati - immigrati, enti pubblici, parti sociali e società civile - debbano raddoppiare gli sforzi d'integrazione.

6.9   I lavoratori immigrati hanno diritto ad un trattamento equo in Europa perché sono tutelati dalle convenzioni internazionali sui diritti dell'uomo e dai principi e dai diritti sanciti nelle convenzioni dell'OIL. Il CESE, in un altro parere (11), ha indicato i diritti e gli obblighi che la legislazione europea deve stabilire per i lavoratori immigrati.

6.10   Il CESE ritiene che la legislazione e le politiche pubbliche debbano essere accompagnate dalla collaborazione delle parti sociali, perché l'integrazione lavorativa è anche una questione di atteggiamento sociale e di impegno dei sindacati e dei datori di lavoro.

6.11   I servizi pubblici per l'impiego devono promuovere programmi per migliorare l'accesso al lavoro degli immigrati, agevolando il riconoscimento delle qualifiche professionali, migliorando la formazione linguistica e professionale senza discriminazioni e fornendo informazioni adeguate sui sistemi lavorativi del paese di accoglienza.

6.12   I sindacati, le organizzazioni imprenditoriali, le associazioni di immigrati e le altre organizzazioni della società civile svolgono un ruolo fondamentale per la trasmissione delle informazioni e per agevolare l'accesso degli immigrati al lavoro.

6.13   Considerato che la maggior parte della forza lavoro in Europa, compresi gli immigrati, è impiegata nelle piccole e nelle medie imprese, che sono la maggioranza delle imprese europee, è proprio nelle PMI che si esplicano in larga misura i processi sociali di integrazione.

7.   La parità di trattamento e la non discriminazione quali pilastri dell'integrazione

7.1   Il CESE considera fondamentale l'accoglienza e il trattamento che le autorità e le imprese riservano ai lavoratori immigrati, che spesso vivono situazioni svantaggiate rispetto ai lavoratori autoctoni.

7.2   Anche se la situazione è diversa da Stato membro a Stato membro, perché diverse sono le leggi sul lavoro e le consuetudini sociali, molti lavoratori immigrati in tutta Europa sperimentano svantaggi e difficoltà legate alla ricerca di un'occupazione e alla mancanza di riconoscimento delle qualifiche professionali, oltre al fatto che spesso non parlano la lingua e non conoscono le leggi, gli usi e le istituzioni sociali del paese ospitante.

7.3   Una buona legislazione contro la discriminazione è fondamentale, tuttavia a livello nazionale persistono leggi discriminatorie, che penalizzano i lavoratori immigrati rispetto agli autoctoni, e soprattutto pratiche discriminatorie, che si manifestano direttamente o indirettamente nei confronti dei lavoratori immigrati e li penalizzano a causa della loro origine nazionale, etnica o culturale.

7.4   La parità di trattamento e le politiche di lotta alla discriminazione sono i pilastri delle politiche in materia di integrazione. Considerando l'integrazione in un'ottica bidirezionale, il Comitato ritiene che le imprese, i sindacati e le autorità debbano garantire la parità di trattamento ai lavoratori immigrati ed evitare qualsiasi discriminazione.

7.5   Datori di lavoro e lavoratori immigrati devono rispettare le norme sul lavoro e i contratti collettivi vigenti in ciascuna impresa o settore, in conformità alla legislazione e alle consuetudini dello Stato. Il Comitato desidera sottolineare che il razzismo e la discriminazione costituiscono comportamenti illeciti, che devono essere sanzionati anche nelle imprese nel quadro della legislazione sul lavoro.

7.6   Per agevolare l'integrazione lavorativa dei lavoratori immigrati è necessario informarli in merito alle leggi sul lavoro e ai contratti collettivi che disciplinano i loro diritti e i loro obblighi nel luogo di lavoro.

7.7   Un contesto politico e sociale favorevole all'integrazione aiuta i lavoratori immigrati a partecipare ai percorsi e ai programmi di integrazione che le autorità dovranno offrire, come l'apprendimento della lingua, delle leggi e delle consuetudini.

7.8   Le direttive UE sulla parità di trattamento in materia di occupazione (12) e sulla parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica (13) sono strumenti giuridici essenziali per elaborare le leggi e definire le pratiche degli Stati membri nel quadro della lotta contro la discriminazione e della promozione dell'integrazione nel mondo del lavoro.

7.9   Il Parlamento europeo ha recentemente adottato una risoluzione in merito alla nuova direttiva in materia di lotta alla discriminazione (14), che completa le direttive già esistenti. Il CESE, dal canto suo, ha elaborato un parere in cui appoggia la proposta della Commissione e propone di tenere conto del fenomeno della discriminazione multipla. Quando sarà finalmente adottata, questa nuova direttiva estenderà il principio della non discriminazione ad ambiti quali l'istruzione, la sanità, la protezione sociale e gli alloggi.

7.10   Il CESE ritiene che le direttive antidiscriminazione non siano state recepite adeguatamente nelle legislazioni nazionali e che di conseguenza in vari Stati membri non esista una buona legislazione antidiscriminazione. La nuova direttiva, quando sarà adottata, costituirà uno strumento giuridico molto utile.

7.11   Le parti sociali, che sono attori fondamentali del funzionamento dei mercati del lavoro e costituiscono i pilastri della vita economica e sociale europea, hanno un ruolo importante da svolgere nel processo di integrazione. Nell'ambito delle contrattazioni collettive, esse devono assumersi la responsabilità che spetta loro per l'integrazione degli immigrati, eliminando dai contratti collettivi e dalle norme e pratiche lavorative qualsiasi elemento di discriminazione diretta o indiretta.

7.12   Nel quadro delle contrattazioni collettive, e con particolare riferimento alle imprese, si devono prevedere meccanismi atti a garantire che l'accesso al lavoro e le assunzioni avvengano nel rispetto del principio delle pari opportunità. In questo campo è particolarmente importante disporre di strumenti che consentano di evitare non soltanto la discriminazione diretta, ma anche quella indiretta.

7.13   Tuttavia attualmente a molti lavoratori immigrati non è garantita, di fatto, la parità di trattamento in termini di retribuzione e condizioni di lavoro. Le parti sociali e le autorità competenti in materia di occupazione devono dunque elaborare procedure per evitare la discriminazione e devono promuovere l'uguaglianza in modo proattivo.

7.14   In Europa stanno prendendo piede modelli di lavoro duali, con posti di lavoro di qualità per la maggior parte dei cittadini europei e gli immigrati altamente qualificati e posti di lavoro di cattiva qualità per la maggior parte degli immigrati. Di conseguenza anche la scarsa qualità dei posti di lavoro costituisce un fattore di discriminazione nei casi in cui si impiegano gli immigrati in quanto manodopera «più vulnerabile».

7.15   In diversi suoi pareri, il CESE ha proposto da un lato agli Stati membri di migliorare i loro sistemi di garanzia dell'equivalenza dei diplomi (15) e dall'altro all'UE di dotarsi di un sistema di riconoscimento dei diplomi che possa essere usato dai lavoratori immigrati (16). Nelle imprese europee infatti molti immigrati svolgono mansioni di livello inferiore rispetto alle loro qualifiche.

7.16   Anche per quanto concerne la carriera professionale e la promozione, molti lavoratori immigrati sono svantaggiati e discriminati. Le leggi sul lavoro, i contratti collettivi e le consuetudini all'interno delle imprese devono garantire il principio delle pari opportunità nella promozione dei dipendenti. Spetta pertanto alle parti sociali prendere nuove iniziative.

7.17   La formazione professionale e occupazionale è uno strumento molto importante per migliorare l'occupabilità dei lavoratori immigrati, eppure alcune leggi o consuetudini nazionali escludono o limitano la partecipazione dei cittadini di paesi terzi alle attività formative. Il CESE ritiene che gli enti pubblici e le parti sociali debbano agevolare l'accesso alla formazione dei lavoratori immigrati a parità di condizioni e di trattamento con i lavoratori autoctoni.

7.18   Alcuni Stati membri, in collaborazione con le imprese, sviluppano programmi di formazione nei paesi d'origine dei lavoratori migranti, prima del rilascio del permesso di soggiorno. Tali programmi favoriscono l'integrazione occupazionale dei cittadini di paesi terzi al loro arrivo in Europa.

7.19   L'Unione europea non ha ancora risolto in maniera soddisfacente la questione della trasferibilità dei diritti a pensione per i lavoratori europei. I lavoratori immigrati hanno anch'essi molti problemi derivanti dalle legislazioni nazionali, le quali non garantiscono adeguatamente i diritti alla pensione acquisiti durante il loro periodo di lavoro in Europa. I motivi sono molto diversi e dipendono dalle normative nazionali e dagli accordi stipulati con i paesi terzi.

7.20   Il Comitato propone alla Commissione europea di adottare un'iniziativa, eventualmente di carattere legislativo, per garantire i diritti pensionistici ai lavoratori immigrati nell'UE quando questi cambiano residenza all'interno dell'Unione europea e quando tornano nei rispettivi paesi d'origine o si stabiliscono in un altro Stato.

7.21   I sindacati devono accogliere fra le loro fila i lavoratori immigrati e agevolare il loro accesso alle funzioni di rappresentanza e di direzione. In Europa, la maggior parte dei sindacati ha sviluppato buone pratiche per garantire la parità di trattamento e la lotta alla discriminazione.

7.22   Il CESE ritiene che siano necessarie politiche attive e nuovi impegni delle parti sociali per incoraggiare i comportamenti che favoriscono l'integrazione, la parità di trattamento e la lotta contro la discriminazione sul luogo di lavoro. Il dialogo sociale europeo può costituire un contesto adeguato per indurre le parti sociali ad assumersi nuovi impegni al livello che ritengano opportuno.

7.23   L'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali ha svolto un'indagine (17) sulla discriminazione occupazionale basata sull'appartenenza etnica nei mercati del lavoro in Europa, giungendo alla constatazione che tale discriminazione è considerevole, malgrado la legislazione.

8.   La gestione della diversità

8.1   Le società europee sono caratterizzate da una sempre maggiore diversità, e tale diversità è destinata ad aumentare in futuro. La corretta integrazione degli immigrati nel contesto lavorativo è impossibile senza un approccio positivo alla diversità culturale che diventa sempre più importante per le imprese e i lavoratori.

8.2   Le grandi imprese hanno una loro cultura d'impresa che si è sviluppata nel tempo tra i lavoratori, il contesto sociale e i rapporti con i clienti.

8.3   Le imprese europee conducono le loro attività in città caratterizzate da una sempre maggiore diversità. Il Comitato delle regioni e la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, attraverso la rete CLIP (18), hanno eseguito uno scambio di esperienze per migliorare la diversità nei posti di lavoro pubblici.

8.4   La diversità culturale che l'immigrazione porta con sé rappresenta una sfida nuova che deve essere affrontata per arricchire la cultura dell'impresa attraverso l'integrazione di nuovi lavoratori a tutti i livelli: dirigenti, quadri e resto dei dipendenti.

8.5   Anche la globalizzazione porta le imprese a muoversi in contesti sociali e culturali e in mercati nuovi e ad acquisire clienti di altre culture.

8.6   Molte imprese riconoscono l'importanza di gestire la diversità. Negli ultimi decenni, lo spostamento verso un'economia dei servizi ha intensificato i contatti tra imprese e clienti e la globalizzazione ha spinto le imprese a cercare nuovi mercati in tutte le parti del mondo. La gamma di clienti e utenti a cui le imprese si rivolgono è dunque sempre più ampia.

8.7   Una buona gestione di questa diversità da parte delle imprese consente loro di sfruttare meglio le capacità di tutti i lavoratori di origini e culture diverse e di essere più efficaci nei loro rapporti esterni con un mercato che a sua volta è cambiato.

8.8   Le imprese che gestiscono bene la diversità si trovano in una posizione migliore per attirare talenti da tutto il mondo e per accaparrarsi clienti nei nuovi mercati. Inoltre, possono migliorare la creatività e la capacità d'innovazione dei propri dipendenti nella misura in cui tutti i lavoratori (compresi gli immigrati) trovano un clima di accoglienza propizio alla creatività.

8.9   Le piccole imprese europee in molti casi non hanno un reparto specifico per la gestione delle risorse umane, ragion per cui devono poter essere coadiuvate dalle autorità e dalle organizzazioni imprenditoriali mediante strutture specializzate.

8.10   La gestione della diversità si basa sulla rigorosa applicazione delle misure per la parità di trattamento e la lotta alla discriminazione. Richiede però anche l'attuazione di programmi di accoglienza destinati ai lavoratori immigrati, di misure di adattamento per tener conto delle differenze culturali, di sistemi di comunicazione che considerino le diversità linguistiche, di formule di mediazione per la risoluzione dei conflitti, ecc.

8.11   Per gestire la diversità è necessaria una formazione ad hoc. All'interno delle imprese, la formazione può essere mirata a vari gruppi: dirigenti, quadri o tutto il personale ed è necessario formare anche i rappresentanti sindacali e i rappresentanti dei datori di lavoro.

8.12   Sia le imprese, sia le organizzazioni dei datori di lavoro e i sindacati devono dotarsi di personale specializzato nella gestione della diversità al fine di promuovere iniziative, analizzare i risultati e attuare i cambiamenti.

8.13   Le autorità pubbliche, dal canto loro, dovranno collaborare alla gestione della diversità nelle imprese, anche attraverso incentivi economici e fiscali per le imprese che elaborano piani ad hoc, e favorire lo scambio di buone pratiche, lo sviluppo di programmi di formazione e la realizzazione di campagne promozionali.

9.   Le difficoltà di integrazione nell'economia informale e l'immigrazione irregolare

9.1   I lavoratori immigrati che non hanno i documenti in regola e che si trovano in situazione irregolare sono obbligati a svolgere la loro attività di lavoro nell'economia informale, il cui peso relativo nell'economia aumenta negli Stati membri che contano un maggior numero di immigrati irregolari.

9.2   In molti casi gli immigrati irregolari subiscono livelli estremi di sfruttamento da parte di taluni datori di lavoro. Il CESE ha adottato un parere (19) in merito alla proposta di direttiva che propone sanzioni per i datori di lavoro che sfruttano immigrati irregolari.

9.3   Le immigrate «clandestine» impiegate nel lavoro domestico si trovano in una situazione di estrema vulnerabilità e in alcuni casi in condizioni di semischiavitù. Alcune legislazioni nazionali non garantiscono pienamente i diritti lavorativi e i diritti sociali relativi a questa attività. Questo problema si aggrava ulteriormente nel caso delle persone che si trovano in una situazione irregolare e che lavorano nell'economia sommersa. Il Comitato propone alla Commissione europea di avviare nuove iniziative che tutelino adeguatamente i diritti lavorativi di queste lavoratrici.

9.4   Negli ultimi anni, in alcune leggi nazionali si sono criminalizzate le associazioni umanitarie che aiutano gli irregolari per facilitarne l'integrazione ed evitare che siano socialmente esclusi. Il Comitato fa rimarcare che tali leggi violano i diritti umani e il principio etico della solidarietà. La Commissione europea e l’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali devono valutare queste situazioni e adottare le iniziative necessarie.

9.5   L'integrazione sociale diventa più difficile quando gli immigrati sono in situazione irregolare, per questo il Comitato ha proposto di avviare procedure di regolarizzazione individuali per gli immigrati irregolari, tenendo conto del radicamento sociale e professionale e in conformità all'impegno assunto dal Consiglio dell'UE nel quadro del Patto europeo sull'immigrazione e l'asilo (20), che prevede la possibilità di procedere a regolarizzazioni individuali, nell'ambito delle legislazioni nazionali, per ragioni umanitarie o economiche, in particolare nei settori lavorativi in cui si concentrano molte persone in situazione di irregolarità.

10.   Alcune iniziative previste nel programma di Stoccolma

10.1   La Commissione ha proposto di istituire una piattaforma europea di dialogo per gestire la migrazione dei lavoratori a cui parteciperebbero imprenditori, sindacati, agenzie per l'impiego e altri soggetti interessati.

10.2   Il CESE propone alla Commissione di chiedergli di elaborare un parere esplorativo nel 2010, così come ha fatto in occasione dell'istituzione del Forum europeo dell'integrazione, in modo che il Comitato, con la partecipazione di tutte le parti interessate, avanzi delle proposte sulle modalità di costruzione di questa piattaforma europea con la quale desidera collaborare.

10.3   La Commissione ha anche proposto che l'UE si doti di un Codice dell'immigrazione che garantisca agli immigrati legali un livello di diritti uniforme e paragonabile a quello dei cittadini europei. Tale codice, frutto della codificazione dei testi normativi vigenti, comprenderà, se necessario, le modifiche utili per semplificare o completare le disposizioni esistenti, migliorandone l'applicazione.

10.4   Il CESE ritiene che le normative europee in materia di immigrazione debbano essere accompagnate da un quadro comune di diritti che sia orizzontale (statuto europeo) e che garantisca il rispetto e la tutela dei diritti e delle libertà di coloro che immigrano in Europa, indipendentemente dalla categoria professionale cui appartengono e dal loro status giuridico. Se la direttiva quadro che si sta discutendo al Consiglio fosse approvata con un alto livello di tutela, sarebbe un buono strumento giuridico per salvaguardare i diritti degli immigrati.

10.5   Il Comitato plaude all'iniziativa della Commissione di presentare un Codice europeo dell'immigrazione, purché si tratti di una proposta legislativa che tuteli i diritti fondamentali degli immigrati e garantisca loro un livello di diritti uniforme e paragonabile a quello dei cittadini europei.

Bruxelles, 17 marzo 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  GU C 27 del 3.2.2009. GU C 128 del 18.5.2010, pag. 29.

GU C 80 del 30.3.2004.

GU C 318 del 23.12.2006.

GU C 125 del 27.5.2002.

GU C 208 del 3.9.2003.

(2)  Articolo 79.

(3)  COM(2008) 758 def.

(4)  COM(2009) 674 def.

(5)  The Economic and Fiscal Impact of Immigrants («L'impatto economico e fiscale dell'immigrazione»), National Institute of Economic and Social Research (Istituto nazionale del Regno Unito per la ricerca economica e sociale), ottobre 2007 e Coyuntura española - Los efectos de la inmigración sobre el empleo y los salarios («Congiuntura spagnola, gli effetti dell'immigrazione sull'occupazione e i salari»), Bollettino di informazione mensile della banca «La Caixa», n. 295, ottobre 2006.

(6)  Direttiva 2009/50/CE.

(7)  GU C 27 del 3.2.2009, pag. 114.

(8)  COM(2007) 638 def.

(9)  GU C 128 del 18.5.2010, pag. 29.

(10)  GU C 318 del 23.12.2006.

(11)  GU C 128 del 18.5.2010, pag. 29.

(12)  Direttiva 2000/78/CE.

(13)  Direttiva 2000/43/CE.

(14)  P6_TA(2009)0211.

(15)  Cfr. in particolare GU C 162 del 25.6.2008, pag. 90.

(16)  Cfr. inter alia GU C 218 dell'11.9.2009.

(17)  EU-MIDIS European Union Minorities and Discrimination Survey: Main Results Report, European Union Agency for Fundamental Rights («Inchiesta dell'Unione europea sulle minoranze e la discriminazione: Rapporto sui principali risultati», Agenzia europea per i diritti fondamentali), 9 dicembre 2009.

(18)  Rete di città europee per delle politiche di integrazione locale per i migranti. Si tratta di una rete di oltre 30 città europee coordinata dalla Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro.

(19)  GU C 204 del 9.8.2008.

(20)  Consiglio dell'Unione europea 13440/08 del 24 settembre 2008.


28.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 354/23


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «La politica europea dei trasporti nel quadro della strategia di Lisbona dopo il 2010 e della strategia per lo sviluppo sostenibile» (parere esplorativo)

2010/C 354/04

Relatore: BUFFETAUT

Con lettera del 23 luglio 2009, la presidenza spagnola dell'Unione europea ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di elaborare un parere esplorativo sul tema:

«La politica europea dei trasporti nel quadro della strategia di Lisbona dopo il 2010 e della strategia per lo sviluppo sostenibile».

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 febbraio 2010.

Alla sua 461a sessione plenaria, dei giorni 17 e 18 marzo 2010 (seduta del 17 marzo), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 152 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ribadisce che la competitività, l'affidabilità, la fluidità e la redditività dei trasporti sono una condizione necessaria per la prosperità economica dell'Europa e che la libera circolazione delle persone e dei beni costituisce una delle libertà fondamentali dell'Unione europea. I trasporti saranno quindi chiamati a contribuire in maniera significativa alla realizzazione degli obiettivi della strategia 2020. Il CESE richiama l'attenzione sul fatto che il settore dei trasporti nel suo insieme è stato duramente colpito dall'attuale crisi economica, ma è consapevole del carattere insufficientemente sostenibile del settore.

1.2   Sostiene gli sforzi realizzati al fine di giungere a una comodalità efficace e consentire l'ottimizzazione e la messa in rete di tutti i diversi modi di trasporto al fine di sviluppare un sistema integrato e ottenere il massimo livello di fluidità dei trasporti. Sottolinea tuttavia che non bisogna rinunciare all'ambizione di favorire il trasferimento modale, altrimenti lo sviluppo dei modi di trasporto senza emissioni di CO2 entrerà in una fase di stagnazione e la congestione e le emissioni non cesseranno di crescere.

1.3   Il CESE prende atto della dipendenza del settore dei trasporti dalle energie fossili e delle relative conseguenze, tanto sul piano delle emissioni quanto su quello della sicurezza e dell'indipendenza dell'approvvigionamento; è consapevole che le risorse, in particolare quelle petrolifere, sono limitate; ritiene pertanto che la futura politica europea dei trasporti, pur mantenendo la competitività del settore nel quadro della strategia 2020, debba perseguire quattro obiettivi principali: la promozione di modi di trasporto a basse emissioni di CO2, l'efficienza energetica, la sicurezza e l'indipendenza dell'approvvigionamento e la lotta contro la congestione del traffico.

1.4   Le principali sfide da affrontare e gli obiettivi che deve prefiggersi una politica dei trasporti veramente sostenibile riguardano i seguenti aspetti: l'urbanizzazione crescente e la richiesta di un maggior comfort negli spostamenti quotidiani; la tutela della salute pubblica, che presuppone la riduzione delle emissioni di sostanze inquinanti e di gas a effetto serra; il mantenimento di un'economia degli scambi che tenga conto della necessità di ridurre le emissioni; la definizione di territori omogenei per sviluppare una vera politica dei trasporti integrata; la sensibilizzazione e il coinvolgimento dei cittadini e degli operatori economici, affinché possano contribuire all'attuazione di nuove politiche e di nuovi comportamenti in materia di mobilità. È chiaro tuttavia che se l'Unione europea agirà da sola i suoi sforzi saranno vani. La necessità di un accordo internazionale sulla riduzione dei gas a effetto serra appare quindi evidente, per motivi inerenti sia al riscaldamento climatico sia alla diminuzione delle risorse energetiche classiche.

1.5   In questo contesto, il CESE raccomanda l'adozione di una serie di misure concrete sia da parte degli enti locali che degli Stati membri, con l'aiuto e il sostegno dell'Unione europea. Quest'ultima dispone di una serie di strumenti di azione, quali gli atti legislativi, l'orientamento dei fondi di coesione o di sviluppo regionale, le nuove linee guida della rete transeuropea di trasporto e gli interventi della Banca europea per gli investimenti. Potrebbero essere adottate in particolare le seguenti misure, che si inseriscono nel quadro dei sopraelencati obiettivi principali:

l'attuazione di un piano ambizioso di ricerca e sviluppo nel settore della mobilità e dei trasporti (motorizzazione, carburanti, lotta alle emissioni, efficienza energetica),

la creazione di un forum per lo scambio di buone pratiche in materia di trasporti urbani o di trasporti a lunga distanza,

lo sviluppo di parcheggi scambiatori e la diffusione dei trasporti pubblici, in particolare tramite la realizzazione di corsie preferenziali per autobus, tramvie e metropolitane,

il perfezionamento delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) come strumento per migliorare l'efficacia, l'affidabilità e la sicurezza dei trasporti pubblici,

la creazione di veri servizi di gestione della mobilità in aree geografiche sufficientemente ampie, incaricati di ottimizzare i trasporti e di garantire la fluidità e l'efficace collegamento dei diversi modi di trasporto,

la creazione di zone di consegna di prossimità e di centri di distribuzione urbana per garantire le consegne nei centri urbani,

il mantenimento di infrastrutture ferroviarie in città,

la promozione, attraverso misure fiscali, di mezzi di trasporto e tecnologie più efficaci sul piano energetico e con minori emissioni di CO2 e di altre sostanze inquinanti,

la creazione di aree di sosta sicure e confortevoli per gli autotrasportatori, nonché il miglioramento delle loro condizioni di lavoro e della loro formazione,

la rapida attuazione di reti ferroviarie a priorità merci e lo sviluppo di una vera cultura del servizio ai clienti (customer care) in questo settore particolare,

l'incentivazione, se del caso anche a livello fiscale, delle automobili alimentate con energie alternative e dei biocarburanti di terza generazione,

la promozione di un vero piano europeo per lo sviluppo dei veicoli elettrici, che ponga così l'Unione europea in grado di definire, o di contribuire a definire, gli standard internazionali di un settore in piena evoluzione,

lo sviluppo del concetto di «porti ecologici» e la realizzazione delle autostrade del mare,

il miglioramento delle condizioni di lavoro e della formazione della gente di mare,

lo sviluppo di autostrade fluviali e fluviomarittime unitamente all'introduzione di nuove chiatte concepite soprattutto per il trasporto di semirimorchi e container,

il rispetto delle esigenze di sostenibilità e di tutela dell'ambiente nella scelta delle infrastrutture di trasporto,

l'internalizzazione dei costi esterni dei trasporti per tutti i settori dei trasporti, per evitare di penalizzare indebitamente un particolare modo di trasporto e per stabilire i costi effettivi dei trasporti,

l'adozione da parte degli enti pubblici competenti di obiettivi realistici in materia di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra e altre sostanze inquinanti e di sostenibilità dei trasporti locali,

l'integrazione di questi obiettivi nella progettazione dei sistemi di trasporto pubblico e nella scelta delle infrastrutture,

la realizzazione sistematica di valutazioni d'impatto solide e realistiche prima dell'attuazione delle politiche e delle misure proposte.

1.6   In pratica la sfida che dovrà affrontare la nuova politica dei trasporti consisterà nel mantenere il dinamismo e la competitività del settore, pur prefiggendosi di ridurre le emissioni di gas a effetto serra e le sostanze inquinanti, facilitare il trasferimento modale, ridurre le distanze e favorire la diffusione di trasporti senza soluzione di continuità, incentivare più persone a utilizzare i modi di trasporto a basse emissioni, calcolate in Km/passeggero o Km/merce.

1.7   Per superare tale sfida basta adottare una serie di semplici misure che possono avere ripercussioni dirette, rapide e tangibili a costi limitati: scegliere i carburanti più ecologici e più rinnovabili, utilizzare i biogas ricavati dal riciclaggio dei rifiuti, recuperare i siti inutilizzati (ad esempio, infrastrutture ferroviarie o portuali abbandonate) destinandoli ai servizi di mobilità, migliorare i punti di interscambio già esistenti, unificare i titoli di trasporto per i percorsi regionali e/o urbani, sviluppare le corsie preferenziali per gli autobus, incoraggiare il car sharing, facilitare lo scambio di informazioni tra gli operatori ferroviari, ecc.

1.8   Esistono poi altre soluzioni che richiedono invece scelte politiche forti, con ripercussioni finanziarie più importanti. Ecco alcuni esempi: creare parcheggi scambiatori per le automobili, collegati a un'alternativa di trasporto credibile; introdurre un sistema di centralizzazione delle informazioni che permetta la regolazione degli ingressi e delle uscite per tutti i modi di trasporto su un determinato territorio; prediligere la forma di urbanizzazione più adatta per ridurre la mobilità forzata; investire nella realizzazione di tramvie o metropolitane; internalizzare i costi esterni nei prezzi dei trasporti; sviluppare delle TIC che permettano di fornire informazioni affidabili agli attori della catena di mobilità; valutare l'efficacia dei modi di trasporto scelti; mettere a punto dei processi basati sull'energia rinnovabile e recuperare quest'energia utilizzandola per i migliori mezzi disponibili (elettricità per i tram, gas per alcuni veicoli, ecc.), ecc.

2.   Introduzione

2.1   La realizzazione del mercato unico presuppone l'esistenza di un sistema di trasporto passeggeri e merci efficace e affidabile. La globalizzazione stessa degli scambi è stata resa possibile dalla rivoluzione dei trasporti e da altri fattori, quali la riduzione dei costi, la moltiplicazione degli operatori, la concorrenza e la creazione di infrastrutture.

2.2   I trasporti sono necessari non solo per la vita economica e professionale, ma anche per quella personale e privata. Sono una condizione necessaria per gli scambi e per l'esercizio della libertà di circolazione, che rappresenta una libertà fondamentale.

2.3   Il settore dei trasporti è naturalmente anche un elemento essenziale dell'economia europea: rappresenta circa il 7 % del PIL e il 5 % dell'occupazione, oltre a contribuire alla creazione del 30 % del PIL dell'industria e dell'agricoltura e del 70 % del PIL dei servizi.

2.4   Occorre sottolineare che i pesanti oneri amministrativi che interessano il settore dei trasporti e il fatto che questi differiscano da uno Stato membro all'altro creano costi nascosti e ostacolano gli scambi intracomunitari. Tali costi e oneri incidono in particolare sulle piccole e medie imprese.

2.5   Se tuttavia l'Unione europea può dirsi soddisfatta per l'efficienza economica dei trasporti e la loro competitività, il settore dei trasporti continua invece ad essere caratterizzato da un insufficiente livello di sostenibilità. E un sistema di trasporto sostenibile non deve limitarsi a soddisfare le diverse finalità economiche dei trasporti, ma deve anche rispettare il pilastro sociale e il pilastro ambientale dello sviluppo sostenibile.

2.6   Il concetto stesso di trasporto sostenibile implica la creazione delle condizioni necessarie per la crescita economica, pur garantendo condizioni di lavoro dignitose e lavori qualificati per un'attività socialmente responsabile che non arrechi pregiudizio all'ambiente.

2.7   Nonostante i progressi nella motorizzazione dei veicoli e nella qualità dei carburanti, e malgrado gli impegni volontari dei produttori, il settore dei trasporti resta quello in cui si registra il più elevato tasso di crescita dei gas a effetto serra.

2.8   Il volume dei trasporti di merci ha registrato una crescita continua, superiore a quella del PIL, diversamente dai trasporti passeggeri, che nonostante un aumento medio annuo dell'1,7 % tra il 1995 e il 2007 non hanno superato la crescita del PIL nello stesso periodo (2,7 %).

2.9   I trasferimenti modali dal trasporto stradale verso altri modi, come il trasporto ferroviario e le vie navigabili, non solo sono rimasti limitati dal 2001, ma in alcuni casi si è osservato perfino un «ritrasferimento» verso il trasporto stradale.

2.10   Infine, il settore continua a dipendere per il 97 % dai combustibili fossili, con conseguenti ripercussioni negative tanto sul piano dell'ambiente che su quello della dipendenza energetica.

2.11   Una politica di lungo periodo deve quindi garantire l'efficacia dei nostri trasporti, migliorare il loro impatto ambientale e la loro sicurezza, aumentare la comodalità, favorire il trasferimento modale, migliorare le condizioni di lavoro e consentire gli sforzi necessari in termini di investimenti.

2.12   Tutto questo risulta particolarmente importante se si considera che gli studi della Commissione relativi al 2020 prevedono un forte aumento dei flussi di trasporto, salvo inversioni di tendenza:

trasporto interno in Europa occidentale: +33 %,

trasporto interno in Europa orientale: +77 %,

trasporto dall'Europa occidentale verso l'Europa orientale: +68 %,

trasporto dall'Europa orientale verso l'Europa occidentale: +55 %.

2.13   Se queste previsioni si avvereranno si prevede una congestione generalizzata dei principali assi di comunicazione. Troppi trasporti finiranno in sostanza per uccidere il trasporto. Dovremo quindi compiere sforzi considerevoli in termini di ricerca e sviluppo nelle tecniche di trasporto (motorizzazione, carburanti, efficienza energetica, lotta contro l'inquinamento, ecc.), investimenti nelle infrastrutture, miglioramento della comodalità, rilancio del trasporto merci ferroviario, sviluppo del trasporto fluviale e marittimo. Servirebbe un vero piano Marshall per le nuove tecnologie e gli investimenti nei trasporti, per raggiungere gli obiettivi della Commissione in materia di riduzione delle emissioni di CO2. Alcuni professionisti dei trasporti hanno sviluppato il concetto di ottimodalità, che consiste cioè nell'ottimizzazione dei risultati tecnici, economici e ambientali delle catene di trasporto delle merci e hanno creato un circolo per l'ottimodalità in Europa. L'obiettivo da perseguire è quello di riuscire a scollegare la crescita economica dagli effetti negativi dei trasporti.

2.14   È stata sollevata la delicata questione della natura dei trasporti e della loro utilità sociale ed economica. Circolare liberamente è un diritto fondamentale: la libera circolazione di persone, beni e servizi è anche uno dei principi fondatori dell'Unione europea nonché un caposaldo delle norme dell'Organizzazione mondiale del commercio. Inoltre, chi potrebbe pronunciarsi sull'utilità o meno dei trasporti? La domanda non è certo oziosa, dato che oggi appare necessario svelare la verità economica sui costi dei trasporti, ossia internalizzare i costi esterni generati da ogni tipo di trasporto e attualmente sostenuti dalla collettività, in particolare in materia di ambiente, ma anche di salute pubblica o di sicurezza. Arrivando ad una maggiore verità economica sui trasporti, dunque a costi più realistici, alcuni flussi potranno essere ridotti a vantaggio dei flussi di prossimità.

3.   Trasporti terrestri

3.1   Oggi la parola d'ordine in Europa è comodalità - cioè il fatto di ottimizzare ciascun modo di trasporto e promuovere la migliore complementarità e l'interazione più efficace possibile tra i vari modi di trasporto. L'80 % dei trasporti terrestri riguarda distanze inferiori ai 100 km. Occorre dunque fornire una risposta adeguata a questa domanda che, oltre che dal trasporto stradale, può anche essere soddisfatta dal trasporto ferroviario di prossimità, mentre il trasporto fluviale e quello marittimo appaiono meno praticabili per le distanze particolarmente ridotte. In ogni caso, è opportuno incoraggiare vivamente il trasferimento modale laddove risulti pertinente, altrimenti l'Unione europea non riuscirà a sviluppare un'economia dei trasporti a basse emissioni di CO2.

3.2   Trasporto urbano e regionale

3.2.1

Questo modo di trasporto è soggetto a specifiche limitazioni. La circolazione urbana è infatti responsabile del 40 % delle emissioni di CO2 e del 70 % delle emissioni di altre sostanze inquinanti prodotte dal trasporto stradale. Inoltre la congestione urbana, oltre ai suoi effetti nocivi per la salute pubblica e l'ambiente, ha un costo stimato pari al 2 % del PIL dell'Unione europea. Lo sviluppo dei trasporti pubblici è una necessità che deve tuttavia rispondere a determinati criteri per soddisfare i requisiti di un vero servizio di interesse generale e potersi quindi configurare come valida alternativa ai mezzi privati: frequenza, rapidità, sicurezza, comodità, accessibilità, prezzi abbordabili, efficienza della rete, facilità dei collegamenti. Sviluppando i trasporti pubblici sarà possibile affrontare non solo le sfide ambientali ma anche quelle relative alla coesione sociale, come la rottura dell'isolamento delle periferie urbane.

3.2.2

L'impiego dei trasporti a energia elettrica è certamente auspicabile, ma l'elettricità stessa deve essere prodotta in maniera sostenibile e possibilmente senza emissioni di CO2. Devono essere altresì incentivati i sistemi di car sharing e di car-pooling.

3.2.3

C'è bisogno di una politica della mobilità urbana veramente sostenibile che miri a contenere i trasporti individuali, se del caso con l'introduzione di pedaggi urbani, ma soprattutto attraverso il miglioramento della qualità e della facilità di impiego dei trasporti pubblici, che dipendono a loro volta dallo sviluppo delle infrastrutture e dei servizi necessari all'attuazione di un'intermodalità efficace. Tenuto conto della situazione delle finanze pubbliche in molti degli Stati membri dell'Unione europea, questo obiettivo in alcuni casi potrà risultare più facile da conseguire mediante lo sviluppo di partenariati pubblico/privato per la realizzazione di nuove infrastrutture (corsie preferenziali per gli autobus, tramvie, filobus e metropolitane, nuove linee ferroviarie regionali, ecc.), il recupero delle linee abbandonate, lo sviluppo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione dedicate ai trasporti, la modernizzazione e la semplificazione delle modalità di bigliettazione, ecc.

3.2.4

In pratica, per conseguire progressi concreti a costi sostenibili, basterebbero misure di buon senso come lo sviluppo di parcheggi scambiatori ben collegati ai centri urbani, l'introduzione di corsie preferenziali per gli autobus o il recupero delle linee ferroviarie dismesse.

3.2.5

Il perfezionamento delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) sarà un metodo valido per sviluppare l'intermodalità dei trasporti attraverso un'autentica politica territoriale di gestione dei trasporti. Tali tecnologie contribuiscono a migliorare la gestione dei traffici e dovrebbero consentire di mettere a punto sistemi di ottimizzazione energetica dei flussi di veicoli sulla rete stradale. Esse inoltre permettono di informare i viaggiatori in tempo reale durante l'intero tragitto e contribuiscono a semplificare e ottimizzare i sistemi di bigliettazione, facilitando altresì le modalità di prenotazione. Grazie a queste tecnologie, il viaggiatore potrà ottimizzare i propri spostamenti e conoscere gli orari, la frequenza dei passaggi e perfino il bilancio energetico del modo di trasporto scelto. Le TIC creeranno quindi vere e proprie sinergie tra i modi di trasporto, l'impiego delle infrastrutture e l'efficienza energetica.

3.2.6

I problemi di gestione dei sistemi di trasporto superano spesso i confini del singolo comune fino a interessare un ampio territorio circostante il centro urbano. Su iniziativa degli enti locali direttamente interessati, potrebbero essere istituiti, in zone geografiche ampie e omogenee, dei veri e propri servizi di gestione della mobilità, ad esempio mediante un sistema di delega dei servizi pubblici. Ai servizi di gestione della mobilità verrebbero assegnate in particolare le seguenti missioni:

analizzare le mobilità nei territori di competenza, tenendo conto degli operatori locali, dei flussi di viaggiatori, delle limitazioni geografiche e urbane, ecc.,

ottimizzare l'offerta di mobilità, adeguandola al tempo stesso alle necessità individuate,

gestire una serie di servizi trasversali per facilitare l'intermodalità: informazioni, biglietteria e telebiglietteria, trasporto su richiesta, trasporto di passeggeri a mobilità ridotta, car sharing, ecc.,

eseguire controlli della gestione della mobilità e del relativo impatto ambientale.

3.2.7

L'autorità organizzatrice resterebbe naturalmente libera di scegliere gli operatori locali, decidere le tariffe e definire la propria politica in materia di trasporti, spostamenti e assetto del territorio. Inoltre garantirebbe la trasparenza contrattuale, definirebbe contratti per obiettivi vincolanti per il gestore e le comunità interessate, fisserebbe obiettivi di qualità dei servizi, ecc.

3.2.8

Il CESE ha già sottolineato il ruolo determinante degli enti locali nell'organizzazione dei trasporti pubblici e dell'assetto del territorio. Tuttavia, sebbene il principio di sussidiarietà svolga certamente il suo ruolo in questo settore, l'Unione europea desidera giustamente promuovere i modelli più sostenibili di trasporti urbani. A questo proposito, ha già assegnato una serie di finanziamenti sia attraverso i fondi strutturali e di coesione sia nell'ambito del programma Civitas. Sarebbe auspicabile che l'UE non solo rafforzasse gli scambi di buone pratiche in materia di trasporti urbani ma anche finanziasse attività di ricerca sull'interazione tra trasporti e assetto del territorio nell'ambito del prossimo programma quadro.

3.3   Trasporto urbano di merci

3.3.1

Questo tipo di trasporto genera un volume di traffico importante. Ad esempio, a Parigi rappresenta il 20 % del traffico ed è responsabile del 26 % delle emissioni di gas a effetto serra. Occorre quindi ottimizzare la logistica urbana e favorire, quando è possibile, il trasferimento modale verso il trasporto ferroviario o fluviale.

3.3.2

Vi sono diverse soluzioni possibili:

raggruppamento delle consegne, mediante la creazione di zone di consegna di prossimità e di aree di sosta e di movimentazione in prossimità degli stabilimenti e delle imprese,

creazione di centri di distribuzione urbana, per garantire le consegne nei centri urbani con limitazioni di circolazione in funzione del peso, ricorso obbligatorio alle piattaforme logistiche, ottimizzazione della capacità di carico, utilizzo di veicoli elettrici,

mantenimento, per quanto possibile, delle infrastrutture ferroviarie in città, con accesso garantito per tutti gli operatori,

sviluppo di infrastrutture portuali fluviali nelle grandi città.

3.4   Trasporto di merci su strada

3.4.1

L'intensificazione del trasporto stradale di merci impone l'obbligo di affrontare una serie di sfide: l'aumento delle emissioni di CO2, la forte dipendenza del settore dei trasporti dai combustibili fossili, la necessità di migliorare le infrastrutture, specialmente sotto il profilo della sicurezza, e di garantire condizioni e ambienti di lavoro favorevoli per gli autisti.

3.4.2

Per quanto riguarda le emissioni di CO2, occorre intensificare la ricerca e lo sviluppo, concentrandosi in particolare sui nuovi motori e sulle energie alternative allo scopo di ridurre le emissioni. La promozione, tramite incentivi fiscali, di prodotti e/o interventi incentrati sui mezzi di propulsione alternativi e la riduzione delle emissioni di CO2 è ancora più efficace se può contare su una politica di ricerca ambiziosa. A questo proposito, l'internalizzazione dei costi esterni (1) deve essere applicata a tutti i mezzi di trasporto in maniera equa.

3.4.3

Lo sviluppo di soluzioni tecnologiche e l'applicazione delle TIC al trasporto di merci su strada sarà essenziale per superare le sfide con cui deve confrontarsi il settore e per ridurre la dipendenza energetica, le emissioni dei veicoli e la congestione delle reti. Per conseguire questo obiettivo bisognerà definire un quadro chiaro per introdurre nuove tecnologie con la creazione di standard aperti che garantiscano l'interoperabilità e aumentare le spese di R&S per le tecnologie che non hanno ancora raggiunto la maturità necessaria per essere commercializzate. Queste tecnologie dovranno anche essere utilizzate per ridurre la frequenza dei viaggi a vuoto con una migliore informazione applicata alla logistica. Inoltre potranno rivelarsi particolarmente interessanti per accrescere la sicurezza dei trasporti.

3.4.4

Si dovranno altresì migliorare le infrastrutture, ad esempio approntando aree di parcheggio e di servizio ben attrezzate, sicure e sorvegliate, per garantire la sicurezza degli autisti e per proteggerli da furti e altri atti criminali.

3.4.5

Inoltre sarà necessario mantenere l'attrattività della professione di conducente, garantendo buone condizioni di impiego e di lavoro, ad esempio un orario di lavoro regolamentato, tempi di guida e di riposo armonizzati, non solo stabiliti nella legislazione, ma anche applicati nella pratica (2).

3.5   Trasporto ferroviario

3.5.1

Se nel trasporto ferroviario di passeggeri si registra una tendenza al miglioramento, in particolare sulle grandi distanze, con le linee ad alta velocità, il trasporto ferroviario di merci resta invece ancora limitato, con circa l'8 % delle merci trasportate. Da un punto di vista generale, è opportuno assicurare che nel modernizzare e aumentare la competitività delle ferrovie si presti la massima attenzione alle esigenze di sicurezza nonché alla continuità del servizio in caso di intemperie stagionali.

3.5.2

Il CESE sostiene la proposta della Commissione di una rete ferroviaria a priorità merci; tuttavia, c'è bisogno di sviluppare una cultura del servizio ai clienti (customer care) basata su considerazioni commerciali e competitiva. L'apertura alla concorrenza dovrebbe facilitare questa transizione.

3.5.3

L'idea di reti a priorità merci consiste nel definire delle fasce orarie e geografiche nelle quali i treni merci beneficino di una priorità di passaggio, senza tuttavia arrecare disagio al traffico dei treni passeggeri.

3.5.4

Va ricordato che esistono già alcuni esempi concreti di ciò nell'Unione europea, con linee addirittura riservate al trasporto merci, come la Betuweroute, che collega il porto di Rotterdam alla Germania. Si possono poi citare i progetti New Opera e Ferrmed.

3.5.5

Lo sviluppo del trasporto ferroviario è un obiettivo realizzabile se vengono soddisfatte le seguenti condizioni:

offrire un vero e proprio servizio logistico piuttosto che un semplice servizio di trasporto,

riuscire a ridurre i costi per aumentare la competitività,

migliorare l'affidabilità del servizio prestato,

garantire tempi di percorrenza ragionevoli «da terminale a terminale»,

rendere l'offerta più flessibile e migliorare la capacità di reazione in caso di perturbazione del traffico.

3.5.6

Lo sviluppo del trasporto ferroviario richiede anche lo sviluppo di piattaforme intermodali di trasporto combinato rotaia-strada. A questo proposito, non si può che esprimere soddisfazione per lo sblocco del progetto di collegamento mediante trasporto combinato rotaia-strada Lione-Torino. Tuttavia, dopo uno sviluppo incerto del trasporto combinato rotaia-strada è ora giunto il momento di realizzare le autostrade ferroviarie per questo tipo di trasporto (come l'autostrada alpina o la Lorry-Rail tra Perpignan e Lussemburgo) e le autostrade del mare (come la Nantes Saint Nazaire - Gijon, prevista nel quadro del progetto franco-spagnolo Fres Mos).

3.6   Autovetture

3.6.1

Il pacchetto energia/clima impone notevoli limitazioni ai produttori. Sarà necessario sviluppare nuove automobili a energia alternativa, in particolare elettriche o ibride. È altresì importante non interrompere la riflessione sui biocarburanti. I biocarburanti che vengono sviluppati attualmente sono di terza generazione, quindi più efficienti. Vengono ricavati principalmente dalle alghe, evitando in tal modo i conflitti sull'utilizzo dei seminativi per la coltivazione agricola di prodotti destinati all'alimentazione umana.

3.6.2

Oltre agli sviluppi nelle tecnologie disponibili e nei veicoli in commercio, sono stati compiuti progressi anche in altri ambiti, che riguardano soprattutto il risparmio di energia e di spazio, attualmente saturo a causa della congestione automobilistica. Si possono citare, a titolo di esempio, i corsi per imparare a guidare in maniera ecologica (guida ecologica) impartiti da alcune grandi imprese o amministrazioni, la pratica del car sharing o del car-pooling, la possibilità di affittare piccoli veicoli elettrici in alcune città.

3.7   Spostamenti a piedi e in bicicletta

3.7.1

Nelle città vanno certamente incoraggiati gli spostamenti a piedi e in bicicletta, compatibilmente però con le limitazioni imposte dalla conformazione del territorio, dalle condizioni climatiche e dall'età degli utenti. Naturalmente gli enti locali dovrebbero impegnarsi a sviluppare piste ciclabili sicure, dato che uno degli ostacoli allo sviluppo dell'impiego della bicicletta consiste nel potenziale pericolo rappresentato dalla circolazione automobilistica.

4.   Trasporti marittimi

4.1   Attraverso i trasporti marittimi circola gran parte degli scambi internazionali. Il settore però risente della crisi economica e deve attualmente confrontarsi con un problema di sovraccapacità. Occorre quindi evitare un processo di disinvestimento e una perdita di competenze e di know-how che sarebbero disastrosi per la ripresa, tanto più che il trasporto marittimo europeo è il primo a livello mondiale e che occorre mantenere condizioni di concorrenza eque, oltre alla competitività della flotta europea, che rappresenta un vero punto di forza per l'Unione.

4.2   Carburanti

4.2.1

Le navi utilizzano sottoprodotti petroliferi molto inquinanti. Pertanto, oltre alla necessaria evoluzione tecnologica, occorre affrontare, assieme ai rappresentanti del settore, il problema di come compensare l'impatto ambientale negativo di questi prodotti. Se il sistema delle quote di CO2 non può essere adattato si potrebbe forse contemplare l'introduzione di una ecotassa. Di questo aspetto si dovrebbe discutere in seno alle istanze marittime internazionali.

4.2.2

In ogni caso il CESE ribadisce il proprio sostegno agli investimenti a favore della ricerca e dello sviluppo per quanto riguarda le navi, i carburanti e i porti verdi; inoltre, insiste affinché vengano realizzate le autostrade del mare previste nel programma delle reti transeuropee di trasporto (TEN-T).

4.3   Sicurezza

4.3.1

Anche se i rischi legati ai trasporti marittimi, come il naufragio o la fortuna di mare, non potranno mai essere completamente evitati, devono essere adottate tutte le misure possibili per garantire la sicurezza dei passeggeri e degli equipaggi, sia in sede di progettazione che di manutenzione delle navi. Le disposizioni europee sulla sicurezza in mare sono fra le più complete al mondo. In compenso, occorre adottare un atteggiamento fermo e severo nella lotta contro le degassificazioni selvagge.

4.4   Formazione

4.4.1

Per mantenere e sviluppare i trasporti marittimi europei è necessario che le professioni marittime continuino ad attirare e a fidelizzare i giovani. Inoltre, occorre migliorare la qualità della formazione della gente di mare e le condizioni di lavoro e di vita a bordo, adoperandosi altresì per aumentare gli equipaggi delle navi.

5.   Trasporti fluviali

5.1   I trasporti fluviali, già ampiamente sviluppati nel Nord Europa, potrebbero essere ulteriormente sviluppati anche in altri paesi. Prendendo spunto dai primi interventi realizzati nel settore marittimo, sarebbe opportuno riflettere sul concetto di «autostrada fluviale e fluviomarittima», tanto più che nel trasporto marittimo il consumo energetico e la produzione di emissioni sono da tre a quattro volte inferiori rispetto al trasporto stradale. Questo concetto innovativo potrà comunque svilupparsi soltanto con la messa in servizio di nuovi tipi di navi e la realizzazione di piattaforme portuali e logistiche.

5.2   La nave fluviomarittima e la chiatta fluviale sono elementi indispensabili per la messa a punto di nuovi servizi fluviali e per garantirne efficacia e redditività, grazie alla buona capacità di adeguamento ai traffici in termini di capacità e velocità, e alle caratteristiche portuali e di navigazione. Occorre ottimizzare le dimensioni delle navi e delle chiatte, soprattutto allo scopo di consentire il trasporto di semirimorchi e container.

6.   Trasporti aerei

6.1   I trasporti aerei producono il 3 % di CO2 presente nell'atmosfera. Occorre tuttavia sottolineare che dal 1990 l'aumento delle emissioni è stato pari alla metà dell'aumento del traffico. Ai trasporti aerei verrà applicato il sistema di scambio delle quote; inoltre la Commissione ha sollevato il problema della tassazione del cherosene e dell'imposizione dell'IVA nel settore dei trasporti intracomunitari.

6.2   Lo sviluppo dei trasporti aerei è stato possibile grazie alla liberalizzazione del settore e alla diffusione delle compagnie «a basso costo» (low cost), la cui localizzazione è spesso dipesa dalla concessione di sovvenzioni pubbliche. Sarebbe quindi opportuno che tali concessioni prevedessero l'obbligo per le imprese beneficiarie di attuare politiche di compensazione.

6.3   La sicurezza aerea naturalmente è un aspetto cruciale della politica dei trasporti aerei. L'Unione europea dovrebbe svolgere un ruolo di primo piano nella realizzazione di un sistema di sicurezza aerea internazionale, mantenendo tale impegno anche nell'ambito della conferenza internazionale dell'ICAO che si terrà a Montreal nel mese di marzo.

6.4   Occorre infine preparare accuratamente il passaggio alla seconda fase dell'iniziativa Cielo unico dopo il 2012 e concludere i difficili negoziati tra gli Stati Uniti e l'Unione europea in materia di trasporti aerei.

7.   Infrastrutture

7.1   Il CESE ha sempre sostenuto il programma delle reti transeuropee di trasporto. Ribadisce il proprio sostegno a questo programma, ma esprime preoccupazione per le difficoltà di finanziamento e per i ritardi.

7.2   Osserva che con l'allargamento dell'Europa sono aumentate le necessità del settore delle infrastrutture di trasporto e ciò impone un ripensamento degli strumenti finanziari esistenti, se non addirittura la creazione di nuovi strumenti. È importante riflettere in particolare sulle misure da adottare per la realizzazione di infrastrutture sostenibili: associazione di finanziamenti pubblici e privati, mobilitazione di nuove risorse fuori bilancio, ecc.

7.3   Occorre sottolineare che le infrastrutture di trasporto non soltanto svolgono un ruolo determinante per lo sviluppo socioeconomico e la coesione regionale, ma servono anche da base per la realizzazione di un sistema di trasporto sostenibile e rispettoso dell'ambiente. La scelta del tipo di infrastrutture è dunque cruciale. L'accessibilità delle regioni e la loro integrazione nelle strutture nazionali e europee devono quindi dipendere dalla promozione di infrastrutture sostenibili rispettose dell'ambiente.

7.4   Le future linee guida sulle TEN-T, che saranno presentate all'inizio del 2011, dovrebbero riflettere chiaramente la scelta dell'Unione europea di privilegiare i trasporti a basse emissioni di CO2.

7.5   Il CESE riafferma il pieno sostegno al programma Galileo e sottolinea che dovrà essere completato senza ulteriori ritardi.

8.   Internalizzazione dei costi ambientali

8.1   Vi è un consenso unanime sulla necessità di internalizzare i costi ambientali dei trasporti. Se questo obiettivo non venisse realizzato sarebbe la società a pagarne i costi. Inoltre si potrebbero incoraggiare comportamenti economici piuttosto aberranti, poiché verrebbero trasportati su distanze inutilmente lunghe prodotti che potrebbero essere invece reperiti in località vicine a quelle in cui vengono utilizzati.

Secondo il CESE, il modo più efficace per internalizzare una parte considerevole degli effetti sull'ambiente consisterebbe nell'introdurre una tassa sul CO2. Si tratterebbe infatti di un forte incentivo per spingere le imprese a cercare delle modalità per ridurre le emissioni di CO2 e, di conseguenza, il proprio impatto ambientale.

8.2   L'ecobollo è una soluzione che non può essere scartata a priori; vanno però valutate attentamente le modalità di attuazione e il relativo impatto. Si tratta peraltro di un principio che dovrebbe essere contemplato, sia per il trasporto aereo che per quello marittimo, in seno alle istituzioni internazionali competenti (ICAO e IMO). Vale senz'altro la pena di riaprire il dibattito sulla revisione della direttiva Eurobollo, senza tuttavia dimenticare che il principio dell'internalizzazione dei costi esterni va in ogni caso applicato indistintamente a tutti i modi di trasporto.

Bruxelles, 17 marzo 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Parere CESE 1947/2009 in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 1999/62/CE relativa alla tassazione di autoveicoli pesanti adibiti al trasporto di merci su strada per l'uso di talune infrastrutture, non ancora pubblicato; e parere pubblicato in GU C 317 del 23.12.2009, pag. 80.

(2)  GU C 161 del 13.7.2007, pag. 89 GU C 27 del 3.2.2009, pag. 49 GU C 228 del 22.9.2009, pag. 78.


28.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 354/30


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Trasformazioni industriali e prospettive del settore motociclistico in Europa» (parere d’iniziativa)

2010/C 354/05

Relatore: RANOCCHIARI

Correlatore: PESCI

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 luglio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Trasformazioni industriali e prospettive del settore motociclistico in Europa.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI), incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 febbraio 2010.

Alla sua 461a sessione plenaria, dei giorni 17 e 18 marzo 2010 (seduta del 18 marzo), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 140 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il settore del motociclo riveste un’importanza considerevole nell’UE in termini economici ed occupazionali. I costruttori rappresentano realtà molto diverse, che vanno da operatori a livello globale, attivi sull’insieme dei segmenti o su segmenti molto specialistici, a operatori a livello nazionale, o persino locale, a volte prossimi dell’artigianato. Questo vale anche per l’indotto, con una forte presenza di PMI (1).

1.2

Scatenato dalla crisi nell’ultimo trimestre del 2008, il calo della domanda ha innescato una serie di effetti negativi per l’intero settore con ricadute pesanti in termini strutturali ed occupazionali (-31 % di riduzione della domanda, con conseguente contrazione del 35 % di fatturato e ordini e un impatto negativo sull’occupazione). I dati provvisori relativi al 2009 confermano l’andamento negativo del mercato, con un meno 21 % rispetto al 2008 e un meno 25 % rispetto al 2007.

1.3

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) teme che se non saranno sviluppate al più presto politiche mirate di sostegno al settore si potrà registrare una ulteriore, sostanziale perdita di posti di lavoro nel corso del 2010.

1.4

Il CESE ha organizzato un’audizione pubblica nell’ambito del 67o Salone internazionale del motociclo (Milano, 12 novembre 2009) onde raccogliere ulteriori testimonianze da parte di costruttori, componentisti, sindacati, utenti, ONG e mondo universitario. Quest’audizione ha sostanzialmente confermato i convincimenti già emersi in seno al gruppo di lavoro.

1.5

In questo contesto, il CESE:

a)

reputa necessarie adeguate misure di sostegno della domanda di motocicli negli Stati membri, e chiede alla Commissione europea e agli Stati membri di incoraggiarne l’applicazione o il rinnovo, a termine, con un particolare riguardo ai veicoli a minor impatto ambientale e con requisiti di sicurezza avanzati;

b)

auspica che la Commissione, nel preparare l’imminente proposta di regolamento sui motocicli, voglia proporre obiettivi realizzabili da parte del settore, graduali e in linea con progettazione, industrializzazione e mercato. Si dovrà in particolare garantire flessibilità nelle soluzioni adottabili dall’industria, con un conseguente minor aggravio di costi per il consumatore, e tenere conto della congiuntura e dell’ampia diversità dei prodotti;

c)

ritiene che per assicurare una concorrenza leale sia necessaria una maggiore sorveglianza in sede di omologazione e sui mercati, così come anche la reciprocità negli accordi di libero scambio tra UE e Sud-Est asiatico;

d)

invita la Commissione a sviluppare nei confronti del settore del motociclo un approccio simile a CARS21 (2) per sostenere il partenariato nel settore, la competitività e l’occupazione;

e)

reputa che il Settimo programma quadro di ricerca e sviluppo (7PQ) possa contribuire a questi obiettivi ed auspica la creazione di una piattaforma dedicata al settore del motociclo sostenendo le aziende che producono in Europa e che si servono della filiera europea;

f)

invita l’industria a proseguire sulla via delle ristrutturazioni, fusioni e acquisizioni e a sviluppare ulteriori cooperazioni, anche con i componentisti, allo scopo di massimizzare tutte le sinergie possibili;

g)

reputa necessario sviluppare il «dialogo sociale» per favorire l’occupazione nel settore, creando standard europei per la formazione permanente e la specializzazione dei lavoratori e, nel contempo, sostenere una riduzione del lavoro precario;

h)

invita la Commissione a riservare ampio spazio al motociclo nel quadro delle azioni previste dal Piano d’azione per la mobilità urbana, per l’indubbio contributo che esso può offrire al raggiungimento di una mobilità più sostenibile.

2.   Il settore del motociclo in Europa

2.1

Il settore del motociclo riveste nell’UE un’importanza considerevole in termini economici ed occupazionali. Se paragonato al settore automobilistico (3), il settore del motociclo presenta rispetto ad esso alcune similitudini, ma soprattutto una serie di specificità, per le sue minori dimensioni, una struttura maggiormente frammentata e una tipologia della produzione più diversificata.

2.2

Nel corso degli ultimi decenni questo settore ha subito un’evoluzione importante, i marchi storici europei essendo stati sottoposti ad una crescente concorrenza da parte del Giappone. I costruttori giapponesi, oggi tra gli attori principali del settore, hanno sviluppato delle attività produttive direttamente nell’UE. Nel tempo, il settore in Europa si è riorganizzato attraverso ristrutturazioni, fusioni e acquisizioni e nascita di gruppi industriali di dimensioni medio-grandi, accanto ai quali convivono produttori di nicchia e un numero importante di PMI.

Oggi come oggi i costruttori «tradizionali» europei, giapponesi e americani mantengono una posizione di leadership sul mercato europeo, ma sin dagli anni ’90 devono fronteggiare la concorrenza crescente delle economie emergenti. In termini di veicoli prodotti, l’UE ha solo peso relativo (1,4 milioni), rispetto in particolare a Cina (oltre 20 milioni), India (oltre 8 milioni) e Taiwan (1,5 milioni), ma è però caratterizzata da una produzione a maggior valore aggiunto, e superiore sul piano di innovazione, qualità e sicurezza.

2.3

Eurostat riprende il settore del motociclo sotto il codice NACE 35.41. I dati più aggiornati, relativi al 2006, presentano a livello dell’UE27, per il settore della costruzione dei motocicli, una realtà costituita da 870 imprese, 80 % delle quali sono situate in sei Stati membri (Italia, Regno Unito, Germania, Francia, Spagna e Austria). Il fatturato medio di 8 milioni di euro attesta il numero importante di PMI, stimato a 650, ovvero circa 75 % del totale.

2.4

Il 90 % della produzione europea è opera di un centinaio di costruttori di dimensioni medio-grandi e medio-piccole, che producono in diversi paesi dell’UE (oltre a quelli già citati, Repubblica ceca, Paesi Bassi, Portogallo, Slovenia, Svezia), oltre a Norvegia e Svizzera. Il rimanente 10 % della produzione europea è suddiviso tra costruttori di dimensioni piccole o molto piccole.

2.5

I costruttori rappresentano realtà molto diverse: vanno infatti da operatori a livello globale, attivi sull’insieme dei segmenti (motociclette destinate a vari utilizzi, di diverse cilindrate; scooter di diverse cilindrate; ciclomotori; tricicli e quadricicli) o su segmenti molto specialistici, a operatori a livello nazionale o persino locale, a volte prossimi dell’artigianato per dimensioni e processo produttivo.

2.6

La regolamentazione tecnica (omologazione europea) determina diverse categorie di motocicli, con caratteristiche differenti (cilindrata, destinazione d’uso). A sua volta, la direttiva europea sulle patenti di guida determina diverse condizioni di accesso ai motocicli (ciclomotore AM; motociclo A1; motociclo A2; motociclo A). Queste complessità favoriscono la frammentazione della produzione e riducono le economie di scala.

2.7

La frammentazione nell’industria del motociclo ha in parte origini storiche, ma deriva principalmente dalla natura stessa del relativo mercato. Se i segmenti più strettamente legati alla mobilità utilitaria (in particolar modo urbana) quali gli scooter permettono maggiori sinergie produttive, in particolare per le motorizzazioni, i segmenti legati alla motocicletta si prestano meno a sinergie quali l’utilizzo di motorizzazioni e componentistica comuni su modelli di diversi marchi. Vi sono infatti innanzitutto caratteristiche dinamiche molto diverse a seconda del dimensionamento dei veicoli, e ad esse si aggiungono le diversità derivanti dagli utilizzi specialistici cui si rivolgono i veicoli, ed infine le differenti attese dell’utenza. In molti casi esiste una forte identificazione dei diversi marchi con determinate configurazioni motoristiche (ad esempio, il motore boxer di BMW, la distribuzione desmodromica di Ducati, il V-twin di Moto Guzzi, il motore tricilindrico di Triumph) o ciclistiche, in linea con la domanda proveniente da un mercato costituito in larga misura da appassionati, sia a livello europeo che sui mercati d’esportazione.

2.8

I veicoli sono prodotti in piccole serie e in numeri limitati, con conseguente minore redditività del capitale investito rispetto al settore automobilistico. Questa caratteristica si riflette in parte anche sui settori della componentistica e della distribuzione.

2.9

Sostenuto da un mercato UE in espansione sin dal 2002 (+22 % nel periodo 2002-2007), il fatturato originato dalla produzione UE ammontava a 7 miliardi di euro nel 2006, su un totale di 34 miliardi di fatturato del settore del motociclo nell’Unione europea. È interessante notare che nel periodo 2004-2006, nell’UE vi è stata una progressione nel settore di +12 %, e quindi superiore in termini percentuali a quella del settore manifatturiero in generale e a quella del settore automobilistico (entrambi a +8 %), con un conseguente impatto positivo sull’occupazione.

3.   Il ruolo dell’indotto: componentistica, distribuzione e assistenza post-vendita

3.1

L’elevata frammentazione è una caratteristica che contraddistingue anche il settore della componentistica e della distribuzione.

3.2

La componentistica proviene in parte da fornitori del mondo automobilistico che operano marginalmente anche nel settore del motociclo (sistemi di alimentazione), ma soprattutto da fornitori specifici (ruote, scarichi, frizioni…) per via della specializzazione richiesta. Il numero di fornitori del settore è stimato intorno a 500. Storicamente questi fornitori sono europei (concentrati in Italia, Spagna, Francia, Regno Unito, Germania e Olanda) ma negli ultimi anni è aumentata la presenza di fornitori asiatici. Per far fronte a questa concorrenza, alcuni fornitori europei hanno a loro volta delocalizzato parte delle loro attività in Asia. Tuttavia i componentisti europei dipendono esclusivamente dagli ordinativi dei produttori europei.

3.3

La rete di distribuzione e di assistenza risponde a un’esigenza di prossimità che è propria al motociclo (in particolare per ciclomotori e scooter): nell’UE sono attivi circa 37 000 punti vendita e assistenza post-vendita, spesso gestiti da imprese a conduzione familiare. Italia, Francia, Regno Unito, Germania, Spagna, Olanda, Grecia e Svezia rappresentano il 91 % del fatturato del settore distribuzione e assistenza; questo fatturato è cresciuto del +5 % nel periodo 2004-2006.

4.   Occupazione e aspetti sociali

4.1

Nel periodo 2002-2007, l’occupazione nel settore del motociclo è cresciuta costantemente, raggiungendo nel 2007 il numero di 150 000 impieghi nell’UE. È interessante notare che nell’UE nel periodo 2004-2006 la progressione dell’occupazione nel settore è stata di +4 %, rispetto a una diminuzione di -3 % nel settore manifatturiero in generale e di -5 % nel settore automobilistico. Questa progressione testimonia della dinamicità e dell’innovazione del settore, sostenuta in quel frangente da una domanda crescente di veicoli legati sia alla mobilità urbana sia al tempo libero.

4.2

25 000 di questi impieghi sono direttamente relativi alla produzione di motocicli, e si situa principalmente in Italia, Spagna, Francia, Regno Unito, Germania, Austria e Paesi Bassi. La stagionalità del mercato del motociclo (concentrato in primavera e estate) determina picchi di produzione in alcuni periodi dell’anno, durante i quali i costruttori ricorrono anche a lavoratori stagionali. C’è quindi una richiesta di maggior flessibilità per far fronte alle esigenze temporanee del mercato.

4.3

20 000 di questi impieghi sono relativi alla componentistica, e si situa principalmente in Italia, Spagna, Francia, Regno Unito, Germania, Paesi Bassi e Ungheria.

4.4

105 000 di questi impieghi sono relativi alla vendita e all’assistenza post-vendita. Per la loro natura, tali impieghi sono diffusi in tutta l’UE, anche se Italia, Germania, Francia, Regno Unito, Spagna, Olanda, Grecia, Belgio e Svezia coprono il 92 % di essi.

5.   Il contesto economico attuale e le tendenze internazionali

5.1

I dati menzionati in precedenza dimostrano che negli ultimi anni il settore del motociclo è stato molto dinamico con un mercato europeo in crescita che corrispondeva, nel 2007, a oltre 2,7 milioni di veicoli (il parco circolante UE è stimato intorno ai 34 milioni di veicoli). La crisi dell’ultimo biennio ha però causato una riduzione del mercato UE per il 2008 del -7,4 % rispetto al 2007. Particolarmente significativa è stata la riduzione registrata nell’ultimo trimestre del 2008, che è stata del -34 % rispetto al medesimo periodo del 2007. Questa tendenza negativa si è acuita nel primo trimestre del 2009, nel quale le vendite di motocicli hanno fatto registrare una riduzione di -37 % rispetto allo stesso periodo del 2008. I dati ancora provvisori per il 2009 confermano l’andamento negativo del mercato, con una riduzione complessiva del 21 % rispetto al 2008 e del 25 % rispetto al 2007.

5.2

Gli effetti della crisi sono presenti in tutto il settore. Per i costruttori, il calo delle vendite, oltre ad incidere pesantemente sui ricavi, ha comportato una riduzione della produzione per gestire gli overstocks. Questa riduzione ha a sua volta causato una contrazione delle ore lavorate, arresti della produzione e un minor ricorso al lavoro stagionale, con una conseguente revisione dei piani industriali a breve e medio termine. In alcuni casi sono state necessarie riduzioni permanenti degli effettivi, fino a -25 %. Alcuni dei costruttori medio-piccoli sono entrati in regime di amministrazione controllata e attualmente sono in vendita, altri hanno addirittura chiuso le proprie attività. Questi sviluppi prefigurano altre ristrutturazioni, anche se risulta difficile prevederne gli effetti sul tessuto economico-sociale, in termini di possibili delocalizzazioni fuori Europa.

5.3

A fronte della contrazione della domanda da parte dei costruttori, anche i fornitori di componenti devono ridurre la produzione, con le conseguenti ricadute occupazionali. Alcuni hanno dovuto cessare l’attività, e allo stato attuale è stimato che circa 10 % dei fornitori del settore siano a rischio di bancarotta. Questa situazione genera costi addizionali anche per i costruttori, che devono affrontare investimenti imprevisti per sostenere i fornitori di componenti, o trovarne altri, addirittura sviluppando nuovi stampi per parti in alluminio o plastica per rispondere alle forniture non più disponibili. Attualmente gli ordini, e i fatturati, sono in contrazione di circa il -40 %. Non è infrequente che per rimanere competitivi molti costruttori si rivolgano a fornitori del Sud-Est asiatico.

5.4

Il settore della distribuzione e dell’assistenza post-vendita, anche per via delle dimensioni ridotte delle aziende (PMI e imprese a conduzione familiare), è pesantemente toccato dalla crisi e dalla riduzione dell’attività. Per esempio, in Spagna si è registrata nel 2008 una riduzione del -25 % dei punti vendita, con il conseguente licenziamento di più di 6 000 persone. Se la tendenza non cambierà, si prevede che tra il 2009 e il 2010 chiuderanno in Spagna circa il 25 % delle imprese e dei concessionari, e il 60 % degli agenti. Gli effetti della crisi sulla rete della distribuzione genera costi addizionali anche per i costruttori, che devono sostenere la rete, in modo da mantenere gli sbocchi per i prodotti e poter sfruttare la ripresa economica, quando ci sarà.

5.5

Il CESE teme che se non saranno sviluppate al più presto politiche mirate di sostegno al settore si potrà registrare una ulteriore, sostanziale perdita di posti di lavoro nel 2010. Inoltre per contribuire al mantenimento dell’occupazione nel settore è necessario sviluppare il «dialogo sociale» favorendo la formazione permanente e la specializzazione dei lavoratori, anche a livello universitario, e nel contempo sostenere una riduzione del lavoro precario.

5.6

Le misure di sostegno a termine della domanda di motocicli sono state, per ora, isolate ed insufficienti. Contrariamente al settore automobilistico, in Europa solo l’Italia ha predisposto celermente un incentivo alla rottamazione, gli effetti del quale sono stati positivi per il mercato italiano e di riflesso per quello europeo, oltre a favorire il ritiro dalla circolazione dei veicoli maggiormente inquinanti. In Italia si è passati nel primo bimestre 2009 da una situazione iniziale con cali del mercato intorno al -35 % ad una situazione positiva per gli scooter di bassa cilindrata, che hanno beneficiato del contributo di euro 500 previsto per la rottamazione di veicoli obsoleti; rimangono invece in situazione negativa le motociclette e i ciclomotori, con un calo complessivo che supera il -20 %. La Spagna, sebbene dopo mesi di annunci abbia approvato a luglio un incentivo alla rottamazione dei motocicli, non ha ancora proceduto alla sua applicazione, alimentando così di fatto un atteggiamento di attesa da parte del consumatore e quindi frenando ulteriormente gli acquisti (da gennaio a agosto 2009, si è registrata una diminuzione di -52 % per i ciclomotori e di -43 % per le motociclette rispetto allo stesso periodo 2008). Da questo esempio risulta ovvia l’importanza di un quadro normativo europeo che favorisca la stabilità sui mercati nazionali, contribuendo alla fiducia del consumatore.

5.7

Le misure a sostegno della domanda sono certamente vantaggiose per gli utenti, ma non risolvono necessariamente il problema dei componentisti o quelli del comparto moto europeo. In Italia ad esempio il contributo fisso di euro 500 ha favorito in modo esponenziale i piccoli scooter 125 e 150cc importati da Taiwan e venduti con listini tra euro 1 500 e euro 2 000 e in misura minore la produzione europea con listini più alti, mentre non è servito a sostenere la domanda delle moto intermedie con listini tra euro 6 000 e euro 8 000. I componentisti europei non ne hanno avuto nessun beneficio in quanto non forniscono i produttori asiatici. Per assicurare un beneficio all’insieme del settore, appare necessario predisporre misure di sostegno della domanda volte ad assicurare un contributo che cresca parallelamente all’aumento del listino dei veicoli incentivati, in particolare per quelli contraddistinti da soluzioni avanzate in termini di impatto ambientale ridotto e di sistemi di sicurezza avanzati.

5.8

È urgente agevolare l’accesso ai finanziamenti per le imprese UE attive nel settore, così che possano sostenere le spese aggiuntive generate dalla crisi e continuare ad investire in ricerca, sviluppo e innovazione (costruttori e componentisti congiuntamente); e questo per rimanere competitive puntando su qualità e innovazione e per produrre veicoli sempre più ecologici e sicuri.

6.   Prospettive future per il settore: sfide e opportunità

6.1

Qualora i risultati negativi del primo semestre dovessero confermarsi per l’insieme del 2009, l’intero settore soffrirà, nel 2010, di una riduzione della propria capacità di credito presso le banche. Anche in caso di una ripresa imminente, le capacità di investimento e di Ricerca & Sviluppo saranno ridotte, con effetti negativi a medio termine e quindi un’accentuata fragilità delle imprese, con possibili ulteriori ripercussioni sull’occupazione.

6.2

Nell’ultimo decennio, dall’introduzione nel 1999 dello standard Euro 1 a quelli applicati presentemente, il settore ha conseguito un’importante riduzione delle emissioni inquinanti, che è stata dell’ordine di -90 % per CO e HC e di oltre -50 % per il NOx. Anche per quanto riguarda la riduzione dell’inquinamento acustico si sono ottenuti risultati incoraggianti; il settore è tuttora impegnato nel suo insieme (comprese le associazioni di consumatori) nell’obiettivo di ottenere ulteriori miglioramenti, conseguibili principalmente su strada attraverso l’uso esclusivo di scarichi omologati e una guida maggiormente eco-compatibile. Per quanto riguarda la sicurezza, il settore ha dato prova di innovazione con una serie di sistemi avanzati di frenata, che sta diffondendo progressivamente sulle diverse tipologie di motocicli, inclusi i veicoli di nuova architettura quali i tricicli e i quadricicli.

6.3

La Commissione sta preparando una proposta di regolamento sui motocicli, che è attesa nei primi mesi del 2010. Sebbene sia necessario continuare a fare progressi in tema ambientale e di sicurezza, è fondamentale, nel contesto economico attuale, evitare cambiamenti dirompenti e tenere conto delle reali capacità del settore e delle dimensioni dei suoi attori. Per quanto riguarda i nuovi standard Euro, è necessario proporre obiettivi realizzabili dal settore, con un’applicazione graduale che rispetti le tempistiche imposte da progettazione, industrializzazione e mercato. Nel nuovo regolamento, è auspicabile che si privilegi un approccio che permetta al settore di capitalizzare sulla propria capacità di innovazione, garantendogli un grado di flessibilità che tenga conto della congiuntura e dell’ampia diversità dei prodotti (per caratteristiche tecniche e mercato), in particolare per la diffusione dei sistemi di frenata avanzati. L’industria ha già presentato proposte in tal senso alla Commissione, per la parte ambientale e della sicurezza stradale.

6.4

I costruttori «tradizionali» sono esposti, e lo saranno sempre più, specie nel contesto economico attuale, a una concorrenza low cost/low quality proveniente in particolare dal Sud-Est asiatico, segnatamente per quanto riguarda i motocicli di piccola e media cilindrata, sui quali i margini sono ridotti. Da indagini effettuate, risulta che spesso questi prodotti importati non sono conformi all’omologazione europea e presentano rischi per la sicurezza del consumatore e per l’ambiente. Dai controlli effettuati su campioni di motocicli cinesi importati nell’UE sono risultati casi di non conformità dovuti a spazi di frenata fino al 35 % superiori a quelli previsti dai requisiti di omologazione UE, nonché a emissioni inquinanti fino a 20 volte superiori. Vi sono anche problemi legati alla contraffazione di veicoli o parti di veicoli di produzione europea da parte di costruttori delle economie emergenti, nonché alla falsificazione di certificati di conformità da parte di imprese commerciali che importano veicoli non conformi nell’UE. In una fascia del mercato UE molto sensibile al prezzo, per assicurare che vi sia una concorrenza leale, è necessaria una maggiore sorveglianza in sede di omologazione e sui mercati, con accurati controlli della «conformità della produzione» da parte delle autorità competenti e/o dei servizi di verifica tecnica sui veicoli messi in vendita onde verificarne la conformità al tipo omologato e il rispetto della proprietà intellettuale.

6.5

I costruttori «tradizionali» sono invece premiati dal consumatore per il design, la qualità dei loro prodotti e il loro grado di innovazione e di sicurezza. Questo si verifica per i veicoli d’alta gamma di piccola e media cilindrata, e in particolare per i veicoli di alta cilindrata, ad alto valore aggiunto, che si distinguono per le soluzioni tecniche adottate e dove il marchio è importante. Questi prodotti soffrono di più nel contesto economico attuale. La maggiore diffusione di veicoli tecnologicamente avanzati, quali ad esempio i veicoli ibridi ed elettrici che iniziano ad apparire sul mercato, dipenderà in larga parte dal sostegno del settore pubblico e quindi dalla capacità generale di superamento della crisi attuale.

6.6

Un’attenzione particolare si richiede per gli accordi di libero scambio, per assicurare che la liberalizzazione dei dazi doganali tra l’UE e i paesi del Sud-Est asiatico porti benefici ad ambedue le parti, eliminando altresì le barriere non tariffarie (ad esempio, il divieto di circolazione in Cina di moto di cilindrata superiore ai 250cc), che costituiscono gravi problemi per gli esportatori europei.

6.7

Per affrontare le sfide attuali, come già avvenuto nel passato, i costruttori europei devono continuare sulla via delle ristrutturazioni, fusioni ed acquisizioni, sviluppando ulteriori cooperazioni che portano ad una massimizzazione delle sinergie possibili.

6.8

La sopravvivenza dei componentisti europei è essenziale per mantenere la specificità delle produzioni distintive europee, che sono riconosciute dagli utenti come esclusive. Occorre cioè evitare che si ripeta quanto accaduto, per esempio, al settore ciclo, dove si è assistito alla sparizione dei fornitori di componenti importanti, come ad es. i telai, con il risultato che oggi l’Europa dipende dalla Cina per poter assemblare le biciclette.

6.9

I componentisti europei non sono in grado di fronteggiare una concorrenza sul prezzo, e devono necessariamente puntare sull’innovazione, sullo sviluppo di progettazione in comune con i costruttori per realizzare economie di scala - quando possibile - e su un effettivo partenariato che garantisca il flusso di ordini tra costruttori e fornitori per l’alto di gamma.

6.10

Un approccio simile a CARS21, specifico al settore del motociclo nel suo insieme, è auspicabile per affrontare al meglio queste sfide, sostenere la competitività del settore e tutelare l’occupazione.

6.11

I fondi per la ricerca nel 7PQ possono contribuire a questi obiettivi, privilegiando le aziende che producono in Europa e che si servono della filiera europea. A questo scopo una piattaforma di ricerca dedicata al settore del motociclo porterebbe un contributo fondamentale - in particolare per le PMI - attraverso la partecipazione a consorzi per stabilire priorità di ricerca, analogamente a quanto avviene per il settore dell’auto.

6.12

La Commissione ha recentemente presentato un piano d’azione per la mobilità urbana, che ha tra i suoi vari obiettivi quello di fluidificare il traffico, caratteristica insita nel motociclo. Il settore del motociclo è stato reso vulnerabile dalla crisi, ma beneficerà nel lungo periodo dei bisogni crescenti di veicoli alternativi a basse emissioni per una mobilità più sostenibile, in particolare nelle città, a condizione che le difficoltà economiche attuali possano essere superate nel medio periodo senza danni irrimediabili.

Bruxelles, 18 marzo 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Lista dei costruttori ed altre informazioni sul settore dei motocicli disponibili sul sito Internet della CCMI: http://www.eesc.europa.eu/sections/ccmi/opinions_reports/total_list/index_en.asp#PTW

(2)  Un quadro normativo competitivo del settore automobilistico europeo nel XXI secolo (gruppo di alto livello CARS21 nel 2007).

(3)  Cfr. la relazione informativa della CCMI sul tema Il settore automobilistico europeo: situazione attuale e prospettive future, adottata dalla CCMI il 13 novembre 2007.


28.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 354/35


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «La riforma della politica agricola comune nel 2013» (parere di iniziativa)

2010/C 354/06

Relatore: RIBBE

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 luglio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

La riforma della politica agricola comune nel 2013.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 25 febbraio 2010.

Alla sua 461a sessione plenaria, dei giorni 17 e 18 marzo 2010 (seduta del 18 marzo), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 163 voti favorevoli, 5 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) osserva con molta preoccupazione che cresce costantemente la discrepanza fra, da un lato, le grandi dichiarazioni sul modello agricolo europeo e/o la multifunzionalità, e, dall'altro, la realtà quotidiana vissuta dalle aziende agricole. Il modello agricolo europeo è minacciato oggi più che mai dagli attuali sviluppi, e deve quindi essere sostenuto e promosso con maggiore determinazione e in modo più mirato mediante una politica agricola comune (PAC) forte.

1.2   I mercati - e spesso i prezzi bassi e molto fluttuanti -, espongono gli agricoltori a forti pressioni che li costringono ad adeguarsi, specializzando e razionalizzando le proprie aziende. Questi processi possono portare a una concentrazione regionale problematica e all'abbandono dell'agricoltura nelle zone svantaggiate. In considerazione di tali pressioni all'adeguamento, il CESE ritiene che sia urgente promuovere in futuro, attraverso la PAC, il mantenimento e lo sviluppo di un'agricoltura multifunzionale, presente sull'intero territorio e guidata da criteri di sostenibilità.

1.3   Per il CESE la risposta è chiara: non basta perseguire unicamente un aumento della competitività per venire incontro alle esigenze del mercato mondiale. La PAC dopo il 2013 non dovrà puntare ad una produzione orientata ai prezzi più bassi, ottimizzata in base a criteri puramente economici, specializzata e concentrata regionalmente, ma dovrà invece orientarsi al modello agricolo europeo, che deve essere basato sui principi della sovranità alimentare, sulla sostenibilità e sulle reali necessità degli agricoltori e dei consumatori.

1.4   Questo presuppone un differente contesto generale di politica agricola, perché l'auspicata agricoltura multifunzionale non può essere realizzata alle condizioni e ai prezzi del mercato mondiale.

1.5   Il CESE invita la Commissione, il Consiglio e il Parlamento europeo innanzitutto a descrivere in modo inequivocabile l'obiettivo della PAC, quindi a presentare tutti gli strumenti richiesti e a rendere nota la dotazione finanziaria necessaria. Solo allora andrà chiarita la questione del finanziamento. Il CESE ritiene che sarebbe erroneo fissare in primo luogo un importo finanziario da assegnare ad un settore d'intervento e poi ripartire tale importo fra singole misure e Stati membri.

1.6   La «stabilizzazione dei mercati» rappresenta, a norma del Trattato, uno degli obiettivi della PAC. Occorre che i mercati siano stabili. Il CESE reputa quindi importante che si continuino a impiegare anche in futuro gli strumenti di mercato per stabilizzare i prezzi evitando fluttuazioni troppo accentuate. Tuttavia, le misure di regolazione dei mercati e/o di garanzia dei prezzi alla produzione sono state ridotte al minimo. Rispetto a quelli dei paesi terzi i mercati agricoli dell'UE sono fra i più aperti. A ciò è dovuta una gran parte dei problemi attuali, che a lungo termine non possono essere risolti solo grazie al sostegno finanziario.

1.7   La politica agricola non consiste quindi soltanto nel ripartire dei finanziamenti. Gli agricoltori si aspettano a ragione di ottenere un reddito adeguato dalla vendita dei loro prodotti sul mercato e dalla remunerazione dei servizi di utilità sociale che svolgono nel quadro del modello agricolo europeo.

1.8   A tale scopo è inoltre necessario promuovere e sostenere la produzione e la commercializzazione di prodotti di qualità che esprimono il territorio e la diversità delle zone rurali nell'UE, promuovendo le vie di distribuzione corte e favorendo l’accesso diretto degli agricoltori o delle associazioni di produttori al consumatore, per aumentare la competitività delle strutture aziendali e fare fronte allo strapotere contrattuale della grande distribuzione. La differenziazione e la distintività delle produzioni europee deve essere preservata anche attraverso una corretta informazione dei consumatori.

1.9   Un importante compito della riforma sarà quello di operare il passaggio dall'attuale, disomogeneo sistema di sostegno dell'agricoltura dell'UE a un sistema unico, basato su parametri obiettivi e accettato dalla società.

1.10   I pagamenti agli agricoltori non possono più essere motivati da decisioni o diritti appartenenti al passato, bensì devono costituire il corrispettivo di servizi di utilità sociale, da definire con precisione, che risultano necessari per la salvaguardia del modello agricolo europeo ma non si rispecchiano nei prezzi di mercato. Tali pagamenti devono pertanto essere orientati in funzione degli obiettivi.

1.11   Un premio unico europeo riferito alla superficie non è giustificato in considerazione delle principali condizioni strutturali e agroclimatiche, delle forti differenze che intercorrono tra i redditi medi nazionali e regionali e tra i costi dei materiali e della produzione, e dei differenti contributi che le varie aziende forniscono al mantenimento del modello agricolo europeo. Occorre piuttosto trovare soluzioni su misura per le varie regioni ed aziende.

1.12   I programmi di sviluppo rurale vanno ulteriormente sviluppati, ma anche ottimizzati. Il CESE è nettamente contrario al trasferimento di compiti di tal genere alla politica strutturale o regionale. Ritiene che gli interventi dell'attuale Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale - FEASR dovrebbero avere un chiaro riferimento all'agricoltura; la costruzione di strade e di reti informatiche a banda larga non rientra tra tali compiti.

2.   Obiettivi

2.1   La Commissione europea presenterà nel 2010 una comunicazione sulla futura elaborazione delle sue priorità politiche e del quadro finanziario a partire dal 2014. Tale documento conterrà anche delle osservazioni sull'indirizzo delle politiche comunitarie quali la PAC e i fondi strutturali.

2.2   L'obiettivo del presente parere di iniziativa è dare voce a delle riflessioni di fondo della società civile organizzata in merito al futuro orientamento e alla concezione della PAC. In tal modo il Comitato intende fornire alla Commissione argomenti e raccomandazioni per l'elaborazione della comunicazione.

3.   Situazione di partenza: il «modello agricolo europeo» - ossia la concezione europea in materia di politica agricola - è minacciato

3.1   Le aspettative della società nei confronti dell'agricoltura sono fortemente cambiate. Da tempo, non si tratta più solo di sforzarsi di raggiungere gli obiettivi fissati dall'articolo 33 del Trattato CE - integralmente ripreso nel nuovo Trattato di Lisbona - tra cui ad esempio quello di produrre derrate alimentari in quantità sufficiente e a prezzi ragionevoli puntando sullo sviluppo della produttività.

3.2   Sono sorte nuove esigenze fra le quali occorre citare: la protezione della biodiversità, il mantenimento del paesaggio rurale su tutto il territorio, lo sviluppo delle aree rurali abbinato alla creazione e alla salvaguardia di posti di lavoro, la definizione di prodotti regionali come beni culturali ecc. Inoltre l'agricoltura deve far fronte alle conseguenze del cambiamento climatico e contribuire allo stoccaggio di anidride carbonica.

3.3   Non soltanto la crisi alimentare mondiale, ma anche la situazione problematica sui mercati dell'energia mettono sempre più in evidenza altre importanti funzioni di un'agricoltura locale, ossia radicata a livello regionale, come la sicurezza alimentare, la sovranità alimentare e il ruolo svolto nella produzione di energia.

3.4   La sicurezza alimentare deve essere un diritto fondamentale per tutti gli esseri umani. Anche se non è necessario raggiungere un livello di autosufficienza alimentare pari al 100 %, l'obiettivo dovrebbe essere quello di giungere al livello più elevato possibile (quello corrispondente alla sovranità alimentare).

3.5   La produzione agricola è spesso legata al patrimonio culturale e all'identità regionale; i prodotti alimentari possono esprimere la distintività e la storia di regioni e nazioni. Sebbene in teoria ci si possa procurare i prodotti alimentari importandoli, altrettanto non vale per i paesaggi rurali, la biodiversità e il patrimonio culturale; questi devono essere preservati mediante una gestione attiva dell'agricoltura. Il valore dei prodotti alimentari si misura di conseguenza in modo completamente diverso rispetto per esempio a quello dei prodotti industriali, il cui sito di produzione viene scelto primariamente in funzione dei costi.

3.6   Il dibattito relativo alla gestione sostenibile si è quindi esteso all'agricoltura. Dinanzi ad un'agricoltura coerentemente orientata ad obiettivi di sostenibilità, si parla a livello politico di «modello agricolo europeo».

3.7   Il CESE ritiene che la chiave per ottenere una produzione alimentare quantitativamente sufficiente, qualitativamente buona e regionalmente differenziata, che venga realizzata su tutto il territorio europeo e sia rispettosa della natura, che salvaguardi e tuteli il territorio europeo, preservi la differenziazione e la distintività delle produzioni e promuova sia i paesaggi culturali europei, così vari e ricchi di specie diverse, che le aree rurali, stia nel mantenimento o nello sviluppo ulteriore del modello agricolo europeo, ossia di un'agricoltura d'impronta contadina (1) e multifunzionale nell'Unione nella quale il reddito agricolo sia equiparabile al reddito medio nazionale o regionale.

3.8   Il CESE sottolinea che già oggi anche in Europa vi sono notevoli differenze fra un'agricoltura orientata in senso multifunzionale e un'agricoltura che ha il dovere o la necessità di orientarsi innanzi tutto a dei mercati globalizzati e liberalizzati.

3.9   Esso osserva con molta preoccupazione che cresce sempre più la discrepanza fra le grandi dichiarazioni sul modello agricolo europeo e/o la multifunzionalità, e la realtà quotidiana vissuta dalle aziende agricole.

3.10   Questo è dovuto fra l'altro al fatto che gli agricoltori, ai quali viene assegnato un ruolo non solo puramente produttivo, bensì «multifunzionale» nelle zone rurali, si trovano a dover affrontare dei compiti che comportano dei costi, ma che non rendono nulla, dato che i prezzi di mercato per i prodotti agricoli non comprendono le prestazioni fornite dall'agricoltura nel quadro della multifunzionalità.

3.11   Di conseguenza in questo momento le aziende, per poter sopravvivere in termini economici, devono tenere il passo con ogni concepibile miglioramento della competitività. L'UE si allontana quindi passo a passo, in modo alquanto strisciante, dal modello agricolo europeo, e vi si osserva una tendenza all'industrializzazione dell'agricoltura. Da un lato nascono forme di impresa che sembrano annunciare una «americanizzazione» dell'agricoltura europea, dall'altro numerose aziende, che pure sarebbero importanti per il mantenimento di un'agricoltura multifunzionale, devono uscire di scena.

3.12   Questi processi hanno avuto andamenti molto vari in funzione sia dei differenti comparti che delle regioni, ma negli ultimi anni sono stati caratterizzati da un enorme dinamismo. In alcuni casi si sono osservate vere e proprie fratture strutturali: ad esempio nella regione tedesca della Bassa Sassonia, nel solo 2008, il 20 % delle aziende suinicole ha cessato l'attività, senza che vi fosse tuttavia alcuna riduzione del numero complessivo di maiali allevati.

3.13   Non si comprende chiaramente dove condurrà questo sviluppo. Già da un certo tempo non si può più scartare l'ipotesi che, al pari di quanto è avvenuto nell'industria, l'Europa perda interi comparti produttivi. Un primo esempio di tale fenomeno potrebbe essere quello dell'allevamento di pollame, comparto «industrializzato» più di qualsiasi altro. Una delle principali imprese europee del settore, la francese Doux, ha già delocalizzato vari siti produttivi dalla Francia al Brasile, per risparmiare sui costi di produzione.

3.14   Se ne può concludere che in fin dei conti i continui aumenti della produttività non possono garantire la sopravvivenza di un'agricoltura europea nel mercato globale deregolamentato, proprio come non hanno mai garantito il mantenimento dell'attività agricola su tutto il territorio europeo.

3.15   Il CESE fa osservare che delle importanti concentrazioni della produzione rendono l'agricoltura europea più vulnerabile in caso di crisi.

3.16   Il modello agricolo europeo è caratterizzato dalla rinuncia consapevole a un certo margine di produttività. Tale rinuncia comporta ovviamente uno svantaggio sul piano della concorrenza, ma risponde a un'aspettativa politica e sociale. Infatti i cittadini europei hanno, in materia di organismi geneticamente modificati, ormoni, stimolanti della crescita, lotta alla salmonellosi e preservazione del paesaggio, idee differenti da quelle prevalenti al di fuori dell'Europa. È tuttavia chiaro che, nel confronto internazionale, aspettative più elevate in materia di produzione comportano un aumento dei costi, che non può ricadere interamente sui produttori!

3.16.1   In questa prospettiva è della massima importanza rafforzare i meccanismi di controllo alla frontiera mediante protocolli di garanzia sanitaria che permettano di verificare le condizioni di tracciabilità e sicurezza e il non utilizzo di prodotti vietati nell'UE, applicando gli stessi requisiti ai prodotti comunitari e a quelli importati.

3.17   I politici europei hanno il compito di mantenere in attività un'agricoltura che da un lato non può tenere il passo con tutti gli sviluppi della produttività, ma che dall'altro deve garantire agli imprenditori un reddito sufficiente.

3.18   Il modello agricolo europeo non può essere realizzato alle condizioni e ai prezzi del mercato mondiale. Non si può pretendere un'agricoltura che:

sia in grado di produrre, in tutte le regioni d'Europa, alle condizioni (spesso distorte) del mercato mondiale,

risponda allo stesso tempo a tutte le aspettative in termini di produzione (qualità, sicurezza, preservazione delle risorse naturali, rispetto del benessere degli animali, ecc.), per di più facendo fronte ai costi europei,

e garantisca inoltre un mercato del lavoro moderno con una retribuzione attraente, caratterizzato da un livello d'occupazione e di sicurezza elevato come pure da un elevato livello di formazione e di qualificazione professionale.

3.19   Il modello agricolo europeo è quindi minacciato oggi più che mai dagli sviluppi in corso, e deve pertanto essere sostenuto e promosso mediante una PAC forte.

4.   La politica a partire dal 2014 - stabilire la direzione: verso dove deve andare la PAC?

4.1   Anche se nel corso della sua storia, la politica agricola comune è stata sottoposta più volte a modifiche e riforme talvolta fondamentali, attualmente è in corso un nuovo dibattito - post 2000, 2003 e 2008 - sulla riforma. Ciò significa che, almeno per ora, non tutte le questioni sociali legate alla PAC sono state risolte in maniera soddisfacente. È per questo motivo che la politica agricola comune è continuamente oggetto di dure critiche o viene addirittura rimessa in certa misura in questione. A giudizio del CESE, se si prende sul serio il modello agricolo europeo, un orientamento radicale dell'agricoltura verso il mercato si esclude già da solo.

4.2   Le parti interessate hanno quindi la responsabilità e il dovere non soltanto di partecipare al dibattito che ha luogo in seno alla società, ma anche di intervenire in tale dibattito in maniera attiva e decisa. Ciò consentirà loro infatti di spiegare alla società perché l'agricoltura svolge in effetti un ruolo speciale. Un'agricoltura e un allevamento gestiti in maniera sostenibile, secondo il modello agricolo europeo, sono la base dell'alimentazione della nostra società e rappresentano un settore strategico per una gestione e un assetto adeguati del territorio, la preservazione del paesaggio, la tutela dell'ambiente e la lotta ai cambiamenti climatici.

4.3   Il CESE considera assolutamente indispensabile che venga acquisito innanzi tutto un consenso sociale su come dovrà essere l'agricoltura europea del futuro e quindi sul modello di politica agricola da adottare. Più esattamente, l'interrogativo si pone in questi termini: la PAC intende difendere e sviluppare il «modello agricolo europeo», o vuole piuttosto dedicarsi in modo prioritario a preparare un numero ridotto di aziende sempre più specializzate, concentrate a livello regionale e ottimizzate ad affrontare una concorrenza globale sempre più aspra basata su prezzi minimi?

4.4   Per il CESE la risposta è chiara: non basta perseguire unicamente un aumento della competitività per venire incontro alle esigenze del mercato mondiale. La PAC dopo il 2013 non dovrà puntare ad una produzione orientata ai prezzi più bassi, ottimizzata in base a criteri puramente economici, specializzata e concentrata regionalmente, ma dovrà invece orientarsi al modello agricolo europeo, che deve essere basato sui principi della sovranità alimentare, sulla sostenibilità e sulle reali necessità degli agricoltori e dei consumatori.

4.5   Il modello agricolo europeo può sopravvivere solo se la competitività dell'agricoltura multifunzionale è rafforzata rispetto ad una produzione agricola ottimizzata da un punto di vista puramente economico. Questo deve divenire il compito principale della PAC, a ciò devono essere indirizzati gli strumenti di politica agricola, il che comporterà notevoli cambiamenti nella struttura del sostegno. Un'ulteriore riduzione degli strumenti di orientamento sarebbe in contraddizione con questo presupposto.

4.6   Il CESE invita la Commissione, il Consiglio e il Parlamento europeo innanzitutto a descrivere in modo inequivocabile l'obiettivo della PAC, quindi a presentare tutti gli strumenti necessari e a rendere nota la dotazione finanziaria necessaria. Solo allora andrà chiarita la questione del finanziamento. Il CESE ritiene che sarebbe erroneo fissare in primo luogo un importo finanziario da assegnare ad un settore d'intervento e poi ripartire tale importo fra singole misure e Stati membri.

4.7   Il CESE invita a tenere presente che nelle riflessioni sull'orientamento della PAC dopo il 2013 si dovrà tener conto che in Europa un sesto dei posti di lavoro è collegato direttamente o indirettamente alla produzione agricola. Pertanto la PAC è anche importante per garantire l'occupazione nell'UE, specialmente nelle zone rurali. Se la produzione agricola in senso stretto subisce una contrazione, anche i posti di lavoro nei settori a monte e a valle, fino all'industria alimentare, sono destinati a sparire! Inoltre, l'agricoltura viene praticata su circa l'80 % del territorio dell'Unione e svolge un ruolo centrale nell'uso sostenibile delle risorse, nella conservazione degli habitat naturali, nella biodiversità ecc. Essa è chiamata anche ad assumere un ruolo crescente nella lotta ai cambiamenti climatici.

5.   Un pacchetto diversificato di misure di politica agricola

5.1   Il mercato conosce dei prezzi, ma quasi non conosce valori. I prezzi che gli agricoltori realizzano sono sempre più orientati alle condizioni e ai prezzi di produzione più convenienti su scala globale. Tuttavia il «modello agricolo europeo» ha molto a che fare con valori che non si riflettono nei prezzi del mercato mondiale.

5.2   La «stabilizzazione dei mercati» rappresenta, a norma del Trattato UE, uno degli obiettivi della PAC. Pertanto il CESE ritiene che anche in futuro sarà importante impiegare gli strumenti di mercato per stabilizzare i prezzi evitando fluttuazioni troppo marcate. Tuttavia le misure di regolazione dei mercati e/o di garanzia dei prezzi alla produzione sono state ridotte al minimo. Rispetto a quelli dei paesi terzi i mercati agricoli dell'UE sono fra i più aperti. A ciò è dovuta una gran parte dei problemi attuali, che nel lungo periodo non possono essere risolti solo grazie al sostegno finanziario.

5.3   La politica agricola non consiste solo nel ripartire dei finanziamenti. Gli agricoltori si aspettano a ragione di ottenere un reddito adeguato dalla vendita dei loro prodotti sul mercato e dalla remunerazione dei servizi di utilità sociale che svolgono nel quadro del modello agricolo europeo.

5.4   Se vuole difendere il modello agricolo europeo, la società deve fornire un sostegno attraverso la politica agricola. Dal canto suo, l'agricoltura dovrà tener conto del fatto che la società si attende, in cambio del sostegno fornito, il soddisfacimento delle sue aspettative nei confronti dell'agricoltura multifunzionale.

5.5   Commercio/Mercati/Organizzazioni di mercato

Volatilità e stabilità dei mercati

5.5.1   Per quanto riguarda i mercati ed i prezzi, vanno presi in esame e risolti almeno tre tipi di problemi:

la volatilità crescente dei mercati, con tendenze al declino dei prezzi alla produzione,

il potere di mercato sempre maggiore dei settori della distribuzione e della commercializzazione nei confronti dei produttori e

le difficoltà innegabili nella produzione e commercializzazione di prodotti locali e regionali di qualità. In tal senso, manca una normativa specifica per l'agricoltura che produce per i mercati locali e regionali.

5.5.2   Rinunciando in grande misura a strumenti efficaci di stabilizzazione dei mercati si sono incoraggiate la speculazione e la volatilità di questi mercati. Ciò è però in contrasto con i vigenti e previgenti Trattati UE!

5.5.3   Le rilevanti fluttuazioni dei prezzi provocano tendenzialmente una riduzione della quota dei produttori nella catena di valore e un aumento dei margini per la commercializzazione.

5.5.4   Come si è evidenziato negli ultimi anni, anche i consumatori non beneficiano in misura significativa di questa situazione: la riduzione del 40 % del prezzo della barbabietola da zucchero ha influito a malapena sul prezzo finale, e lo stesso vale per i ribassi del latte e dei cereali.

5.5.5   Le esperienze maturate in passato dimostrano che è economicamente più vantaggioso praticare interventi di regolazione - con le misure idonee e al momento opportuno - piuttosto che dover successivamente porre rimedio ai danni causati.

5.5.6   La crisi del latte mostra chiaramente che non è possibile da un lato ridurre al minimo gli interventi regolatori relativi al mercato e/o al volume di produzione senza, dall'altro, rimettere in questione gli elevati requisiti richiesti per la produzione e la multifunzionalità auspicata dalla popolazione.

5.5.7   La scadenza del regime delle quote latte è legata al rischio che numerosi produttori di latte, soprattutto nelle regioni svantaggiate, abbandonino tale attività, il che spesso equivale all'abbandono tout court dell'attività agricola. È certamente vero che la quantità di latte che viene consumata, per esempio, in Estonia potrebbe essere prodotta a costi minori in altre e più produttive regioni d'Europa. Tuttavia questa delocalizzazione in funzione dei costi è in totale contrasto con gli obiettivi del modello agricolo europeo, e il CESE è in favore di una politica agricola che consenta una produzione distribuita sull'intero territorio e basata sui principi della sovranità alimentare! Ancora una volta va sottolineato che questo obiettivo non può essere realizzato con un mero trasferimento di fondi e che pertanto occorre regolare i mercati e la produzione.

5.5.8   La stabilizzazione dei mercati, compresa la creazione di una cosiddetta «rete di sicurezza», deve quindi costituire uno dei compiti centrali della riforma della PAC!

5.5.9   Il CESE chiede pertanto:

che vengano garantite ed applicate, quando ciò sia richiesto dal mercato, le poche misure di stabilizzazione dei mercati ancora in vigore, e che vengano sviluppate e messe in atto nuove idee in materia di stabilizzazione dei mercati, conformi ai dettami dell'OMC,

che, in considerazione della crescente imprevedibilità dei mercati agricoli internazionali venga avviata una misura strategica anticrisi sotto forma di aiuto allo stoccaggio,

che venga valutato ulteriormente come, con l'aiuto delle organizzazioni di produttori o attraverso accordi a livello di settore, si possa contribuire alla stabilizzazione dei mercati.

Problemi nell'ambito della catena alimentare

5.5.10   Per quanto riguarda la fissazione dei prezzi, esiste uno squilibrio di potere contrattuale. Gli agricoltori parlano di pratiche contrattuali sleali che hanno la loro origine nello strapotere contrattuale della grande distribuzione alimentare.

5.5.11   La questione decisiva riguardo a chi detiene quale quota della catena della creazione del valore viene regolata attualmente - nel totale rispetto dell'ottica liberista - dal solo mercato. Ciò è tutt'altro che soddisfacente, specie per gli agricoltori, che spesso, malgrado i costi in molti casi crescenti, assistono ad un calo sempre più marcato dei prezzi alla produzione e sono costretti ad affrontarlo ricorrendo a misure che sono contrarie agli obiettivi del modello agricolo europeo.

5.5.12   Dal momento che, nell'UE a 27, quindici catene della grande distribuzione controllano da sole il 77 % del mercato degli alimentari, il CESE chiede che venga verificato, al pari di quanto avviene attualmente negli Stati Uniti, se la legislazione in materia di concorrenza sia sufficiente a prevenire la formazione di strutture dominanti sui mercati e il ricorso a pratiche contrattuali discutibili. È importante che tutti i gruppi coinvolti vengano assoggettati al controllo. L'analisi dovrebbe portare ad una modifica delle normative comunitarie sulla concorrenza per il settore agroalimentare, per tener conto delle sue peculiarità, adattando così tali normative a quelle dei paesi concorrenti nei mercati globali, in linea con le conclusioni del gruppo ad alto livello sul latte.

5.5.13   Il CESE si attende dalla Commissione degli sforzi rivolti ad accrescere la trasparenza del processo di formazione dei prezzi e proposte di soluzione rivolte a impedire la cosiddetta formazione asimmetrica dei prezzi (2).

La commercializzazione di prodotti locali e regionali, di specialità e di prodotti di qualità

5.5.14   Le grandi catene di distribuzione di alimentari e i centri di trasformazione esigono materie prime a basso prezzo, di forma sempre più regolare, quasi standardizzata. Non vi è molto spazio per la diversità regionale e dei prodotti.

5.5.15   Tuttavia proprio la produzione e la commercializzazione di prodotti di qualità che esprimono il territorio e la diversità delle zone rurali nell'UE rappresentano un compito importante per il mantenimento del modello agricolo europeo, e meritano dunque di essere sostenute in misura molto maggiore. Accorciare le vie di distribuzione e procurare agli agricoltori o alle associazioni di produttori un accesso diretto al consumatore può favorire l'aumento della competitività proprio delle strutture aziendali che sono più piccole e a maggior intensità di manodopera.

5.5.16   Occorre tenere conto, in misura molto più ampia che in passato, delle indicazioni geografiche e delle differenziazioni tecniche di produzione. È necessario considerarle alla stregua di un «diritto di proprietà intellettuale» e proteggerle. Tali indicazioni possono costituire il vincolo tra i prodotti agricoli e le regioni, il che equivale a dire che i prodotti hanno non soltanto un'origine certa, ma presentano anche caratteristiche qualitative specifiche che si sono «distillate» nel tempo. È importante tuttavia che venga definito chiaramente cosa si intende per prodotti regionali.

5.5.17   Si constata attualmente l'esistenza di numerose pratiche di etichettatura fuorvianti e deplorevoli. Ad esempio in futuro non dovrebbe più essere consentito:

che sugli imballaggi del latte siano raffigurate mucche al pascolo se il latte proviene da animali che non hanno più accesso ai pascoli. Occorre invece incoraggiare una maggiore differenziazione dei prodotti immessi in commercio (dai programmi di produzione di latte proveniente da mucche allevate nei pascoli o nutrite con fieno fino alle strategie di commercializzazione regionale da parte di produttori o piccole cooperative),

che vengano utilizzate a scopo pubblicitario indicazioni regionali, anche se i prodotti vengono fabbricati altrove.

5.5.18   La trasparenza del mercato e le informazioni destinate ai consumatori (quali l'indicazione d'origine) vanno migliorate e controllate. Per far conoscere meglio la regolamentazione che devono rispettare gli agricoltori europei, occorre lanciare compagne che informino i consumatori sui sistemi di produzione europei. Inoltre, particolare importanza deve essere attribuita al sistema di etichettatura e, al riguardo, il CESE ritiene che sia opportuno tenere conto di quanto previsto nel parere sulle indicazioni alimentari ai consumatori (3).

5.5.19   In futuro il denaro dei contribuenti dovrebbe essere utilizzato principalmente per rafforzare i prodotti e i mercati regionali.

5.6   Gli strumenti di finanziamento della PAC

La situazione attuale

5.6.1   Attualmente nell'UE viene applicato un sistema disomogeneo di sostegno dell'agricoltura: negli Stati dell'UE-15 esistono i pagamenti unici, che si basano su diritti storici all'aiuto o si convertono in premi unici riferiti alla superficie. In quelli dell'UE-12 è stato introdotto direttamente un sistema di premi riferiti alla superficie, nel cui ambito i pagamenti sono inferiori a quelli erogati negli Stati dell'UE-15.

5.6.2   Pertanto i singoli produttori beneficiano attualmente in misure molto differenti di questa prassi di sostegno. Per un verso ciò viene spesso percepito come un'ingiustizia, per un altro si tratta di un sistema difficile da spiegare ai contribuenti.

5.6.3   Un compito centrale della futura riforma dovrà essere quindi quello di sviluppare un sistema unico, basato su parametri obiettivi e accettato dalla società.

5.6.4   I pagamenti diretti nell'ambito del primo pilastro trovano la loro origine nei ribassi dei prezzi garantiti operati nel 1992. Essi sono stati concessi sotto forma di pagamenti compensativi accoppiati fino al 2003, allorché sono stati disaccoppiati con le decisioni di Lussemburgo. Tuttavia, poiché la maggior parte degli Stati membri ha optato per il cosiddetto regime storico di pagamento unico, i singoli agricoltori continuano a beneficiare in misura estremamente variabile del sistema attuale. A causa del disaccoppiamento tali pagamenti non hanno più alcuna influenza diretta sulle modalità di produzione.

5.6.5   I pagamenti diretti riferiti alla superficie del secondo pilastro vengono concessi per ricompensare determinate prestazioni di interesse sociale che vengono fornite dagli agricoltori al di là dei criteri obbligatori e che non si riflettono nei prezzi di mercato, oppure per motivare gli agricoltori a mantenere in zone svantaggiate la produzione auspicata per motivi di utilità sociale.

5.6.6   I pagamenti diretti nell'ambito del primo pilastro vengono attualmente finanziati al 100 % dall'UE, mentre per quelli del secondo pilastro è obbligatorio il cofinanziamento degli Stati membri. Questi diversi meccanismi di finanziamento influiscono in numerosi Stati membri sull'attrattiva dei programmi. Il Comitato invita la Commissione a vigilare, nel quadro della pianificazione del prossimo programma, che i differenti tassi di cofinanziamento non inducano gli Stati membri a privilegiare alcune parti del programma a discapito di altre.

5.6.7   Accanto ai pagamenti diretti vengono erogati anche fondi per promuovere lo sviluppo rurale (terzo asse del secondo pilastro), per incoraggiare gli investimenti delle aziende (primo asse del secondo pilastro) e per il programma Leader.

5.6.8   A causa dell'instabilità e della volatilità dei mercati, e tenuto conto di altre circostanze, il trasferimento diretto di fondi è diventato in certi casi estremamente importante per il reddito delle aziende. In assenza di tale trasferimento il mutamento strutturale nell'agricoltura sarebbe ancora più drammatico, sebbene si debba riconoscere che le singole imprese beneficiano in misura estremamente variabile dello strumento attualmente più importante, i pagamenti diretti nell'ambito del primo pilastro.

Futuri sistemi di pagamento

5.6.9   Il CESE mantiene la posizione che ha sostenuto sinora in merito ai pagamenti diretti nell'ambito del primo pilastro. Per quanto riguarda i pagamenti diretti, orientati alla funzione, il CESE ha sempre affermato che il loro ruolo è sì rilevante, ma non può che essere complementare  (4). I redditi degli agricoltori dovrebbero provenire essenzialmente dal mercato e dalle prestazioni a favore della società che non sono remunerate dal mercato.

5.6.10   Tale remunerazione delle prestazioni, non concessa sino ad ora, ma necessaria, presuppone un consenso in merito a quali prestazioni siano fornite, individualmente o collettivamente, dagli agricoltori. Ciò sarà importante ai fini della definizione di alcuni principi chiari per la futura concessione di aiuti diretti. Questi ultimi in futuro dovranno essere fondati su criteri oggettivi, essere «accoppiati» - ossia riferiti - a qualcosa, ed essere accettati dalla società.

5.6.11   In linea di principio occorre che:

i pagamenti diretti nel quadro del primo e del secondo pilastro siano destinati esclusivamente agli agricoltori in attività, a enti per la cura del paesaggio o ad altri organismi che si occupano della preservazione del paesaggio rurale,

i pagamenti diretti nel quadro del primo e del secondo pilastro tengano conto dell'occupazione esistente e generata in ciascuna azienda,

i pagamenti diretti nel quadro del primo e del secondo pilastro compensino prestazioni fornite dall'agricoltura alla società, che sono necessarie per il mantenimento del modello agricolo europeo. Il reddito degli agricoltori dovrebbe provenire principalmente dai prezzi di un mercato regolato, i cui costi di produzione siano riconosciuti,

in considerazione delle condizioni agroclimatiche estremamente differenti che sono presenti nell'UE, i pagamenti diretti quadro del primo e del secondo pilastro contengano anche componenti rivolte a compensare su scala sovranazionale i costi che tali condizioni agroclimatiche determinano per gli agricoltori (5).

5.6.12   Bisogna anche decidere per quali prestazioni concrete debbano essere concessi aiuti diretti (di quale entità). Le aziende o le produzioni che non forniscono o non vogliono fornire tali prestazioni, e che quindi non contribuiscono alla realizzazione del modello agricolo europeo, non devono beneficiare di alcun aiuto diretto.

5.6.13   I pagamenti diretti intesi a compensare prestazioni di interesse generale che non hanno un prezzo di mercato (ad esempio prestazioni ambientali concrete e definite) non dovrebbero dar luogo a discussioni. Il CESE ritiene che i programmi in materia andrebbero non soltanto ampliati, ma anche resi più attraenti e flessibili. Pertanto è indispensabile introdurre nuovamente la componente di incentivo. Sarebbe importante anche poter reagire con maggiore flessibilità alle singole attività degli agricoltori. I programmi dovrebbero essere orientati meno alle misure e più ai risultati.

5.6.14   Molte nuove misure rientreranno in futuro in questa categoria, per esempio le pratiche agronomiche che contribuiscono alla mitigazione dei cambiamenti climatici o alla fissazione del carbonio nel suolo; la foraggicoltura vi rientra senz'altro.

5.6.15   Anche i pagamenti diretti rivolti a compensare difficoltà naturali costanti e immutabili, o restrizioni di utilizzazione dovute a vincoli di natura per esempio ambientale, sono più che giustificati. In molte zone protette è importante praticare un determinato tipo di attività agricola per mantenere il carattere della zona. Il CESE considera poco realistico rifiutare la concessione di pagamenti in base all'argomento che il regolamento sulle aree naturali protette costituisce un quadro di riferimento cui gli agricoltori si attengono.

5.6.16   Il nucleo della futura politica di sostegno all'agricoltura, per quanto riguarda i pagamenti diretti, deve consistere in pagamenti orientati a una funzione e quindi anche differenziati, giustificati da una prestazione concreta, che può essere spiegata alla società. Tra essi rientra certamente l'indennità compensativa.

5.7   Un unico premio riferito alla superficie come compensazione per gli svantaggi competitivi?

5.7.1   Una posizione che viene sostenuta nella discussione è quella di chi vuole convertire gli attuali pagamenti diretti del primo pilastro in un pagamento riferito alla superficie uguale in tutta Europa (flat-rate), che verrebbe concesso perché gli agricoltori europei devono rispettare norme di produzione più elevate rispetto alla concorrenza mondiale e subiscono quindi degli svantaggi competitivi.

5.7.2   Il CESE ritiene che si debba riflettere in merito a tale compensazione degli svantaggi competitivi. Infatti negli accordi in materia commerciale le norme sociali e ambientali, che sono decisive per il modello agricolo europeo, vengono considerate come ostacoli non tariffari agli scambi, il che è del tutto inaccettabile. Il sistema dell'OMC dev'essere urgentemente riformato sotto questo profilo, perché un sistema globale di scambi privo di norme sociali e ambientali è inaccettabile.

5.7.3   Ai fini della compensazione degli svantaggi competitivi è importante chiarire in quali settori di produzione esistono differenze concrete tra i requisiti europei e quelli dei principali concorrenti, e quali svantaggi dimostrabili ne derivano in termini di costi per le singole imprese, i tipi di impresa e le forme di produzione.

5.7.4   Le condizioni di produzione e quindi i costi a carico dei produttori in Europa sono estremamente variabili: tra le varie regioni sussistono importanti differenze strutturali e (agro)climatiche, nonché grandi disparità nel costo dei materiali e della vita. Gli svantaggi in termini di costi risentono anche fortemente delle eventuali economie di scala a livello di singoli Stati membri, di regioni e di tipi di azienda.

5.7.5   È inoltre facile immaginare che, per esempio, gli svantaggi documentabili delle aziende zootecniche non vengono eliminati dal pagamento di un premio unico riferito alla superficie di cui beneficiano anche le aziende che non si occupano di allevamento.

5.7.6   Ne consegue che la compensazione degli svantaggi competitivi non può avvenire attraverso un premio unico europeo riferito alla superficie, ma deve essere realizzata attraverso modalità specifiche per le differenti regioni, tenendo conto delle condizioni agroclimatiche e dei tipi di azienda.

5.8   Un premio unico riferito alla superficie con funzione di «trasferimento di reddito»?

5.8.1   È indiscutibile che i circa 50 miliardi di euro che fluiscono ogni anno dal bilancio dell'UE all'agricoltura europea sono ormai essenziali per la sopravvivenza di numerose imprese.

5.8.2   In altri termini gli attuali prezzi agricoli non solo sono troppo bassi per mantenere in vita il modello agricolo europeo, ma mettono anche in discussione l'agricoltura in Europa nel suo complesso.

5.8.3   Pertanto è stata discussa la possibilità di concedere a tutti i produttori agricoli un premio unico europeo riferito alla superficie, a titolo di «sovvenzione di base e garanzia del reddito».

5.8.4   Il reddito nelle differenti aziende agricole e regioni varia moltissimo. Anche in questo caso svolgono un ruolo decisivo le differenze menzionate nel punto 5.7.4. Ne consegue che anche il problema del reddito dev'essere affrontato in maniera molto differenziata. Anche questo problema non può essere risolto mediante un premio unico riferito alla superficie che, per esempio, favorirebbe in proporzione le aziende di grande superficie e quelle con poco personale.

5.8.5   Invece di un premio unico riferito alla superficie si dovrebbe eventualmente considerare un premio su base individuale o riferito al personale occupato, assoggettato a un massimale. Anche nel caso di un tale approccio occorre tenere in considerazione, ai fini della determinazione dell'entità dei premi, le differenze menzionate nel punto 5.7.4. Inoltre, in relazione a tale sistema di premi, si dovrebbe tenere presente anche che il reddito delle aziende dipende essenzialmente dai prezzi corrisposti al produttore e dai costi di produzione, e che questi sono soggetti a oscillazioni sempre maggiori. Un sistema che trova la propria ragion d'essere nella situazione del reddito deve anche essere in grado di reagire con sufficiente flessibilità alle sempre più forti oscillazioni dei prezzi.

Periodi transitori

5.9   Un sistema di pagamento europeo unico (da non confondere con un pagamento europeo unico riferito alla superficie) giustificato non più da diritti storici all'aiuto, ma da prestazioni attuali da definire concretamente, comporterà cambiamenti sensibili nei flussi finanziari tra gli Stati membri e anche tra le imprese. Sotto il profilo finanziario ci saranno vincenti e perdenti. Il CESE raccomanda di affrontare tale questione con cautela e di prevedere eventualmente dei periodi transitori, i quali tuttavia dovrebbero essere strutturati in modo tale che il nuovo sistema sia pienamente a regime alla metà, o al più tardi al termine, del prossimo periodo di finanziamento.

5.10   Il futuro del secondo pilastro

5.10.1   Molti pensano che il secondo pilastro della PAC sia inteso a rimediare ai danni provocati dalle condizioni generali sbagliate create dalla stessa politica.

5.10.2   Occorre comunicare all'opinione pubblica in modo convincente che le misure che saranno offerte in futuro nel quadro del secondo pilastro sono complementari ai pagamenti diretti orientati alla funzione, e contribuiranno in maniera ancora più mirata al mantenimento, alla salvaguardia e all'attuazione del modello agricolo europeo. Questo presuppone un'ottimizzazione del ventaglio di misure.

5.10.3   Quanto sopra vale non soltanto per l'attuale secondo asse del secondo pilastro. Anche gli aiuti agli investimenti destinati alle aziende agricole devono essere orientati in misura maggiore alla sostenibilità. Per il CESE è indubbio che in Europa sussista una forte esigenza di investimenti rivolti a ottimizzare le aziende agricole ai fini della sostenibilità, nonché a ristrutturare in parte il nostro paesaggio rurale, che in passato era stato modificato in funzione di esigenze puramente produttive (cfr. ad esempio il regime delle acque/la direttiva quadro in materia di risorse idriche).

5.10.4   Il CESE è favorevole ad un'ottimizzazione del ventaglio di compiti che vengono attualmente assegnati al terzo asse del secondo pilastro. È nettamente contrario al trasferimento di compiti di tal genere alla politica strutturale o regionale. Ritiene che gli interventi dell'attuale Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale - FEASR dovrebbero avere un chiaro riferimento all'agricoltura; la costruzione di strade e di reti informatiche a banda larga non rientrano tra tali compiti!

Bruxelles, 18 marzo 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Il concetto di impronta «contadina» si riferisce non già alle dimensioni dell'azienda agricola, quanto piuttosto al modo in cui questa viene condotta e concepita: organizzata in cicli interdipendenti e complementari quanto più possibile vicini all'azienda, orientata alla salvaguardia di posti di lavoro qualificati e multifunzionali, radicata nella comunità locale e nella regione, responsabile nei confronti della natura e degli animali, attenta alle generazioni future.

(2)  Si tratta della situazione per cui in caso di aumento dei prezzi alla produzione i prezzi al consumo crescono rapidamente, mentre allorché i prezzi alla produzione scendono, quelli al consumo li seguono con un certo ritardo.

(3)  GU C 77 del 31.3.2009, pag. 81.

(4)  GU C 368 del 20.12.1999, pagg. 76-86, punto 7.6.1.

(5)  GU C 318 del 23.12.2009, pag. 35.


28.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 354/43


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Per una nuova governance delle organizzazioni internazionali»

2010/C 354/07

Relatrice: VAN WEZEL

Correlatore: CAPPELLINI

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 febbraio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Per una nuova governance delle organizzazioni internazionali.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 marzo 2010.

Alla sua 461a sessione plenaria, dei giorni 17 e 18 marzo 2010 (seduta del 17 marzo), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 132 voti favorevoli, nessun voto contrario e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

L’economia mondiale ha raggiunto un grado di integrazione senza precedenti. In un mondo multipolare scosso da importanti crisi globali è evidente la necessità di una nuova governance e di una maggiore legittimità delle organizzazioni internazionali. Questa legittimità si deve fondare su valori, norme e obiettivi comuni, sulla coerenza, sull’efficacia e sull’inclusione di tutti i paesi e dei loro cittadini. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene la partecipazione attiva dell’UE allo sviluppo di questa nuova governance delle organizzazioni internazionali.

1.2

La necessità di riformare le organizzazioni internazionali, le organizzazioni dell’ONU e le istituzioni di Bretton Woods era stata riconosciuta già prima della crisi attuale, ma in seguito all’insorgere della crisi economica e finanziaria il processo di riforma ha acquistato nuovo slancio. Non appena ci si è resi conto che l’impatto della crisi finanziaria era irreversibile, il G20 ha preso in mano le redini della situazione. Benché i risultati del processo avviato dal G20 siano stati valutati positivamente, la legittimità delle sue decisioni viene messa in dubbio. Il CESE chiede all’UE di mettere a punto collegamenti efficaci tra il processo G20 e le istituzioni rappresentative dell’ONU e di rafforzare l’Ecosoc.

1.3

I paesi emergenti e quelli in via di sviluppo devono svolgere un ruolo più incisivo nella governance delle organizzazioni internazionali. Il CESE è favorevole a portare avanti la ristrutturazione della Banca mondiale e del Fondo monetario internazionale (FMI) per accrescere la partecipazione dei rappresentanti di questi paesi.

1.4

La governance delle organizzazioni internazionali dovrebbe fondarsi sulla Carta dell’ONU e sulla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo delle Nazioni Unite. L’UE è stata una convinta sostenitrice della cooperazione multilaterale e il CESE appoggia senza riserve tale politica, ma non può fare a meno di notare che il contesto per la promozione dei valori multilaterali è cambiato e di conseguenza ritiene necessaria una revisione delle comunicazioni della Commissione europea concernenti le politiche dell’UE sul multilateralismo  (1).

1.5

Anche se gli obiettivi che esse perseguono possono essere chiari, le organizzazioni internazionali risultano inefficaci perché il follow-up delle loro decisioni e il loro impatto non sono monitorati in modo adeguato. L’UE ha messo a punto dei meccanismi di controllo che costituiscono esempi di buone pratiche e che potrebbero essere adottati su scala internazionale per sorvegliare interventi complessi e su più livelli. Il CESE incoraggia l’UE a introdurre questi meccanismi di controllo presso le organizzazioni internazionali.

1.6

Il CESE è favorevole ad aumentare il potere delle organizzazioni internazionali di regolamentare i mercati finanziari a livello internazionale, allo scopo di evitare l’insorgere di una nuova crisi finanziaria. Il CESE sostiene una più rigida regolamentazione a livello europeo e internazionale nei seguenti ambiti: aumento delle riserve, regolamentazione degli hedge fund, smantellamento dei paradisi fiscali, lotta contro le remunerazioni eccessive e inique, riduzione dei rischi legati all’effetto leva e consolidamento a livello sopranazionale delle autorità di vigilanza.

1.7

Il CESE sostiene ogni iniziativa dell’UE volta ad incoraggiare la cooperazione e la coerenza tra le organizzazioni internazionali. Sollecita inoltre l’UE a dare seguito all’iniziativa avviata da Angela Merkel e a facilitare l’instaurazione di un dialogo formale tra le organizzazioni internazionali per promuovere la cooperazione fondata sull’agenda dell’OIL per un lavoro dignitoso.

1.8

Il CESE accoglie con favore la risoluzione del Parlamento europeo che invita gli Stati membri dell’UE a ratificare le convenzioni aggiornate dell’OIL e sostiene l’invito rivolto dal Parlamento europeo alla Commissione ad elaborare una raccomandazione diretta agli Stati membri per invitarli a ratificare le convenzioni aggiornate dell’OIL e a contribuire attivamente alla loro applicazione. Il CESE desidera partecipare attivamente all’elaborazione di questa raccomandazione.

1.9

Pur prendendo atto del «potere morbido» (soft power) utilizzato dall’UE nelle strutture di governance delle organizzazioni internazionali, il CESE ritiene che l’UE dovrebbe sviluppare una strategia per accrescere il suo potere e la sua posizione all’interno delle singole organizzazioni internazionali. Il CESE dovrebbe essere ascoltato nelle riunioni di consultazione nel quadro dell’elaborazione di queste strategie.

1.10

Il CESE auspica che il nuovo Trattato di Lisbona, il nuovo alto rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la cooperazione diplomatica rafforzata permettano di unificare la voce e di migliorare la posizione dell’UE all’interno delle organizzazioni internazionali. Il CESE incoraggia l’UE ad essere coerente nelle sue politiche esterne e con gli obiettivi che persegue.

1.11

Il processo di formazione della nuova struttura di governance non è molto trasparente. Dovrebbero esservi associate anche le parti sociali e le organizzazioni rappresentative della società civile e il CESE chiede che l’UE renda facilmente accessibili le informazioni relative a questo processo.

1.12

La disponibilità a consultare le organizzazioni rappresentative della società civile nonché le organizzazioni sindacali e dei datori di lavoro accresce l’efficacia delle organizzazioni internazionali. Esse devono formare parte di strutture consultive trasparenti e partecipare ai loro sistemi di monitoraggio. Il CESE auspica che l’UE (Commissione europea e Stati membri) promuova e faciliti una migliore consultazione delle organizzazioni della società civile e delle parti sociali nelle future strutture di governance delle organizzazioni internazionali.

2.   Introduzione

2.1

La discussione sul sistema della governance delle organizzazioni internazionali non è un fenomeno recente, tuttavia la rapida diffusione e il profondo impatto della crisi finanziaria globale hanno rivelato i punti deboli della governance globale in un’economia mondializzata e la crescente interdipendenza di tutti i paesi. La crisi non solo ha travolto tutte le economie, bensì ha provocato anche una grave crisi dell’occupazione che ha colpito milioni di lavoratori e imprese già vulnerabili. Per limitare al massimo l’impatto negativo della crisi ed evitare che si ripresenti in futuro, sarà necessario regolamentare meglio il settore finanziario, dove la crisi ha avuto inizio. Ma questo non è sufficiente. Per creare un’economia sostenibile e fondata sui valori, occorre instaurare una governance dell’economia mondiale nuova, più efficace, più responsabile e più trasparente.

2.2

Il presente parere si incentrerà sulle organizzazioni internazionali che governano le politiche sociali, economiche e finanziarie, tenendo conto dell’attuale processo di riforma che le riguarda e del contesto della crisi finanziaria: ONU, OMC, OIL, Banca mondiale, Fondo monetario internazionale, OCSE, G20 e Consiglio per la stabilità finanziaria (Financial Stability Board - FSB).

2.3

Il mondo si trova a far fronte a importanti crisi globali che possono essere contrastate efficacemente soltanto a livello globale. Ciò vale non solo per la crisi finanziaria ed economica, ma anche per la crisi alimentare, del settore dell’acqua e dell’energia, l’aumento della povertà, i problemi ambientali tra cui gli effetti del cambiamento climatico, la sicurezza e l’aumento delle migrazioni.

2.4

La globalizzazione ha trasformato le relazioni economiche, e ciò deve trovare riscontro nella struttura della governance economica globale. I rapporti di forza stanno cambiando: i paesi BRIC stanno acquistando sempre maggiore importanza in termini economici, politici e strategici. Siamo passati da un mondo bipolare (guerra fredda) a un mondo unipolare (supremazia USA), per arrivare a un mondo multipolare. Le economie emergenti e i paesi in via di sviluppo devono essere rappresentati nelle istituzioni che compongono il nuovo modello di governance globale.

2.5

Queste sfide possono essere affrontate soltanto da istituzioni che abbiano la legittimità per farlo. La nuova struttura di governance potrà godere di tale legittimità solo se sarà coerente nelle sue politiche, efficace nell’applicarle e se ne faranno parte tutti gli Stati e le popolazioni.

2.6

In questi ultimi anni sono state lanciate numerose iniziative volte a rivedere il sistema di governance globale delle organizzazioni internazionali e a riformare l’ONU. A livello nazionale si sono registrati dei progressi nell’approccio per «un’unica organizzazione» dell’ONU, iniziativa che viene condotta dal coordinatore residente delle Nazioni Unite. Nel 2009, il Comitato dei direttori generali del sistema delle Nazioni Unite (UN System Chief Executive Board of Coordination) ha annunciato il lancio di 9 iniziative congiunte da parte delle organizzazioni delle Nazioni Unite e delle istituzioni di Bretton Woods. Nella costruzione della nuova architettura della governance dell’economia mondiale si propone di rafforzare il ruolo e la competenza dell’Ecosoc. In seguito all’insorgere della crisi economica e finanziaria il processo di riforma ha acquistato nuovo slancio sotto la guida del G20.

2.7

A Pittsburgh (USA), il 24 e 25 settembre 2009 i dirigenti dei paesi del G20 hanno preso una serie di decisioni che cambieranno sostanzialmente la governance delle organizzazioni internazionali. Hanno stabilito che il G20 costituirà il principale forum della cooperazione economica internazionale e che porteranno avanti gli sforzi volti a regolamentare i mercati finanziari e a porre la questione dei posti di lavoro di qualità al centro della ripresa economica. Hanno convenuto di istituire un quadro di riferimento per una crescita economica forte, sostenibile ed equilibrata impegnandosi a formulare degli obiettivi comuni a medio termine per assicurare la coerenza delle loro politiche macroeconomiche, fiscali e commerciali con una crescita sostenibile ed equilibrata dell’economia globale. Hanno incaricato l’FMI di assisterli nella valutazione delle politiche per facilitare il dialogo in cui sono impegnati. In questo modo hanno ampiamente rafforzato il ruolo dell’FMI, già consolidato da un finanziamento supplementare di 500 miliardi di dollari USA. La Banca mondiale si è vista riconfermare le sue competenze in materia di riduzione della povertà grazie a prestiti supplementari (100 miliardi di dollari USA) e a un’attenzione particolare per la sicurezza energetica e alimentare dei paesi poveri. I dirigenti del G20 si riuniranno nuovamente in Canada nel giugno 2010, in Corea nel novembre 2010 e in Francia nel 2011.

2.8

I leader del G20 hanno deciso di ammodernare l’architettura per la cooperazione economica. All’interno dell’FMI i diritti di voto dei paesi emergenti aumenteranno del 5 % a scapito di economie più piccole finora sovrarappresentate. Anche la Banca mondiale è stata invitata ad esaminare la rappresentanza dei paesi emergenti nella sua struttura decisionale.

2.9

Tuttavia, malgrado il fatto che i risultati del processo del G20 siano stati accolti con relativo favore, viene messa in dubbio la legittimità della sua leadership. I paesi più poveri del mondo sono esclusi dal dibattito. Il programma del G20 non si fonda su una politica consensuale e non tutte le organizzazioni internazionali pertinenti vi partecipano attivamente. All’interno dell’ONU vi è forte preoccupazione per quella che è percepita come un’erosione del ruolo dell’organizzazione, particolarmente per quanto riguarda le questioni socioeconomiche. Occorre trovare un nuovo equilibrio tra il nuovo ruolo del G20, l’ONU e le sue agenzie, e le istituzioni di Bretton Woods. In un contesto di relazioni economiche e politiche in costante e rapida evoluzione, è probabile che sorgano iniziative e idee nuove.

2.10

I paesi del G20 devono instaurare legami efficaci con i processi rappresentativi delle Nazioni Unite in modo da tenere conto degli interessi di tutti i paesi del mondo in un’architettura mondiale nuova e più partecipativa, affiancata dall’istituzione di un «Consiglio per la sicurezza economica e sociale» in seno all’ONU, vale a dire un Ecosoc ampiamente riformato e dotato di poteri decisionali rafforzati, ovvero di un «Consiglio economico globale» (2). A fronte di tutti questi cambiamenti l’UE deve adottare una posizione chiara e alcuni osservatori temono che i nuovi rapporti di forza vadano a compromettere l’influenza europea sulla scena internazionale.

2.11

In questo processo non si presta tuttavia sufficiente attenzione al ruolo della società civile e delle parti sociali. Il CESE raccomanda che il G20 conceda uno spazio ufficiale alla società civile e alle parti sociali e incita i ministri del Lavoro del G20 a coinvolgere nelle loro attività le istituzioni che rappresentano le parti sociali a livello internazionale. Sebbene alcune organizzazioni internazionali riconoscano lo statuto consultivo delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile, in generale il processo risulta poco trasparente e organizzazioni rappresentative come il CESE e i consigli economici e sociali dovrebbero esservi coinvolte più attivamente.

3.   Principi della nuova governance

3.1

La nuova governance delle organizzazioni internazionali dovrebbe fondarsi sui principi e valori dell’ONU. Le organizzazioni internazionali possono presentare una propria struttura di governance, ma il loro funzionamento deve basarsi sulla Carta delle Nazioni Unite, sui diritti umani fondamentali, sulla dignità della persona, sulla parità di diritti tra uomini e donne, sulla giustizia e sul rispetto dei trattati e delle norme internazionali, e promuovere il progresso sociale e migliori condizioni di vita in una maggiore libertà. Una nuova governance delle organizzazioni internazionali deve promuovere lo sviluppo sostenibile e l’inclusione sociale ed essere in grado di far fronte efficacemente ai principali problemi sul piano mondiale.

3.2

I valori proclamati nella Carta delle Nazioni Unite e nella Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo dell’ONU costituiscono anche i valori dell’Unione europea. L’UE si fonda sui principi di libertà e dignità, dialogo e stabilità e rispetto degli accordi internazionali. L’Unione europea è sempre stata una convinta sostenitrice del multilateralismo, dell’ONU e dei suoi trattati, posizione che anche il CESE sostiene. Il Comitato rileva tuttavia che il contesto in cui si inquadra la promozione dei valori multilaterali è cambiato e reputa pertanto necessario rivedere le comunicazioni della Commissione europea sulle politiche dell’UE in materia di multilateralismo (Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo - Sviluppare un partenariato efficace con le Nazioni Unite nei settori dello sviluppo e delle questioni umanitarie, COM(2001) 231 def., e Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo - L’Unione europea e le Nazioni Unite: la scelta del multilateralismo, COM(2003) 526 def.).

3.3

Una nuova struttura di governance dell’economia mondiale dovrebbe fondarsi sulla Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali e concentrarsi sulla necessità di risolvere questioni sociali urgenti come la disoccupazione, la povertà, la sicurezza alimentare e le crescenti disuguaglianze. Essa dovrebbe contribuire alla giustizia sociale e a un mondo più equo, svolgere un ruolo più incisivo nella promozione di un’economia verde e proteggere beni pubblici come acqua e aria non inquinate, la biodiversità e la riduzione delle emissioni di CO2.

4.   Nuova governance: una cooperazione accresciuta, coerenza ed efficacia maggiori

4.1

Il CESE invita la Commissione europea e le altre istituzioni a promuovere attivamente una nuova governance delle organizzazioni internazionali che le renda più coerenti e permetta loro di contribuire più efficacemente allo sviluppo sostenibile nonché al conseguimento di obiettivi come il lavoro dignitoso e la sostenibilità delle imprese.

4.2

Le organizzazioni internazionali, e in particolare l’ONU e le sue agenzie, hanno in effetti obiettivi che sono chiari, ma spesso esse sono poco efficaci. Anche se gli obiettivi sono stati ufficializzati in trattati e norme internazionali, la loro applicazione è sovente inadeguata e manca un efficace sistema di valutazione dell’impatto. Una nuova governance delle organizzazioni internazionali dovrebbe porre maggiormente l’accento sul rispetto e sul follow-up delle loro decisioni.

4.3

Il monitoraggio è divenuto uno strumento importante per garantire la coerenza nell’attuazione delle politiche e per fornire ai dirigenti e ai responsabili politici elementi che indichino loro come concentrarsi sulle aree che li interessano maggiormente. Esso offre inoltre un sistema di allarme rapido che permette di effettuare interventi tempestivi e adeguati. Il CESE propone di adottare e sviluppare questo approccio, in funzione delle necessità delle organizzazioni internazionali, su una scala internazionale più ampia e coordinata, visto che l’esperienza europea nell’ambito del monitoraggio di interventi complessi e a più livelli ha rafforzato la capacità di gestione comune delle autorità pubbliche, dei professionisti e del settore privato.

4.4

Le organizzazioni internazionali possono essere più efficaci se rafforzano reciprocamente i loro obiettivi. Alcune dispongono di meccanismi di reclamo e arbitrato vincolante (OMC), altre di meccanismi di supervisione ben sviluppati, senza tuttavia disporre di competenze per garantire l’attuazione delle norme (OIL). Le politiche delle organizzazioni internazionali non devono contraddirsi tra loro e gli obiettivi specifici dell’ONU, delle istituzioni finanziarie internazionali e dell’UE potranno essere conseguiti solo se ciascuna di queste organizzazioni collabora per promuovere le norme delle altre come la parità di genere, la sostenibilità, il lavoro dignitoso e la liberalizzazione degli scambi commerciali.

4.5

La governance delle istituzioni finanziarie - FMI, Banca mondiale e Consiglio per la stabilità finanziaria (Financial Stability Board) - è al centro del dibattito sulla governance internazionale dell’economia globale. La necessità di regolamentare i mercati finanziari e di accrescerne la trasparenza è oggi più che mai urgente, visto che non è più possibile adottare provvedimenti esclusivamente a livello nazionale. Affinché le organizzazioni internazionali possano essere più efficaci nel prevenire eventuali crisi future, il CESE sostiene un aumento equilibrato della loro autorità nella regolamentazione dei mercati finanziari a livello internazionale, senza tuttavia creare un ambiente eccessivamente restrittivo, soffocante e burocratico. Il Comitato è favorevole ad una maggiore regolamentazione a livello europeo e internazionale nei seguenti settori: aumento delle riserve, regolamentazione degli hedge fund, smantellamento dei paradisi fiscali, lotta contro le remunerazioni eccessive e inique, riduzione dei rischi legati all’effetto leva e consolidamento a livello sopranazionale delle autorità di vigilanza.

4.6

Vi è bisogno di una maggiore cooperazione internazionale per far fronte all’impatto della crisi finanziaria sull’economia reale. Per essere sicura, un’economia globale deve essere maggiormente regolamentata e fondata sui valori. La cancelliera tedesca Angela Merkel ha preso un’iniziativa importante in questo senso: in occasione di una riunione con l’OMC, la Banca mondiale, l’FMI, l’OIL e l’OCSE tenutasi all’inizio del 2009, ha proposto di adottare una Carta per una governance economica sostenibile (3) che getterebbe le fondamenta di politiche coerenti intese a realizzare obiettivi comuni, e nel quadro della quale ogni singola organizzazione opererebbe in base al proprio mandato. Sulla base di questa Carta, i leader del G20 riuniti a Pittsburgh hanno formulato una serie di «valori centrali per un’attività economica sostenibile», in cui affermano la loro responsabilità nei confronti delle diverse parti interessate (consumatori, lavoratori, investitori e imprenditori) di accrescere la prosperità dei cittadini attraverso strategie economiche, sociali ed ambientali coerenti. L’OCSE ha predisposto una Norma globale per il XXI secolo (Global Standard for the 21st Century) basata sulle norme esistenti in materia di corporate governance, imprese multinazionali, lotta contro la corruzione e cooperazione in materia fiscale (4). La commissione Stiglitz raccomanda di adottare azioni incisive per contrastare il calo della domanda, creare posti di lavoro e realizzare gli obiettivi di sviluppo del Millennio (OSM). Il CESE raccomanda che l’UE e i rispettivi Stati membri sostengano queste iniziative.

4.7

L’OIL deve svolgere un ruolo particolare in questa nuova struttura di governance. Le sue norme fondamentali del lavoro e il concetto di lavoro dignitoso e di imprese sostenibili offrono orientamenti per far fronte alla crisi occupazionale. In occasione della sua 98a conferenza annuale tenutasi nel giugno 2009, le tre parti costituenti dell’OIL hanno sottoscritto il Patto globale per l’occupazione (Global Jobs Pact), un pacchetto di misure intese a invertire la tendenza negativa per quanto concerne l’occupazione e la crescita. Il CESE sollecita l’UE a insistere affinché si instauri tra le organizzazioni internazionali un dialogo ufficiale fondato sull’Agenda per il lavoro dignitoso dell’OIL in materia di occupazione, sviluppo delle imprese, protezione sociale, condizioni di lavoro umane, relazioni sindacali corrette e diritti sul lavoro.

4.8

Per realizzare una maggiore coerenza, il CESE raccomanda all’UE di promuovere, tanto internamente che esternamente, la ratifica delle convenzioni OIL di attualità e l’attuazione dell’Agenda per il lavoro dignitoso. Il Comitato esorta in particolare a procedere alla ratifica e attuazione delle convenzioni più pertinenti all’Agenda per il lavoro dignitoso, comprese le convenzioni sulla sicurezza e la salute sul lavoro e sulla protezione sociale, nonché la convenzione n. 94 sulle clausole del lavoro nei contratti pubblici. Le norme dell’UE non esentano gli Stati membri dagli obblighi assunti con la ratifica delle convenzioni dell’OIL. Il CESE sostiene l’invito rivolto dal Parlamento europeo alla Commissione nella risoluzione del 26 novembre 2009 di elaborare una raccomandazione agli Stati membri affinché ratifichino le convenzioni OIL di attualità e contribuiscano attivamente alla loro applicazione. A seguito dei pareri del CESE in merito alla Comunicazione della Commissione - La dimensione sociale della globalizzazione - Il contributo della politica dell’UE perché tutti possano beneficiare dei vantaggi  (5) e alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo ed al Comitato delle regioni - Promuovere la possibilità di un lavoro dignitoso per tutti  (6), il Comitato desidera partecipare attivamente all’elaborazione di questa raccomandazione.

4.9

Il CESE sostiene inoltre tutte le iniziative avviate dall’UE per promuovere la cooperazione tra organizzazioni internazionali su temi specifici. La cooperazione tra l’OMC e l’OIL sull’occupazione, la cooperazione tra la Banca mondiale e l’OIL sulle questioni relative alla sicurezza sociale e la cooperazione tra la Banca mondiale e l’FMI sull’applicazione delle norme fondamentali del lavoro costituiscono dei buoni esempi in questo ambito. L’occupazione giovanile, la microfinanza e la sicurezza sociale rappresentano questioni della massima importanza.

5.   Nuova governance: maggiore attenzione agli interessi dei paesi in via di sviluppo

5.1

I paesi emergenti e in via di sviluppo devono svolgere un ruolo più incisivo nelle nuove strutture di governance globale che verranno adottate dalle organizzazioni internazionali. La loro integrazione deve tuttavia basarsi sulle norme dell’ONU e sul rispetto dei diritti umani. L’obiettivo di garantire un lavoro dignitoso e l’attuazione delle norme fondamentali del lavoro dell’OIL nei paesi emergenti e in quelli in via di sviluppo dovrebbero ispirare le politiche delle organizzazioni internazionali. Occorre portare avanti la ristrutturazione della Banca mondiale e dell’FMI per accrescere la partecipazione e il potere dei rappresentanti dei paesi più poveri all’interno delle loro istituzioni e dei loro processi.

5.2

È essenziale assistere i paesi in via di sviluppo per agevolare la loro effettiva partecipazione al processo decisionale dell’OMC. Essi devono essere in grado di partecipare più facilmente ai negoziati commerciali ed essere incoraggiati a migliorare le loro conoscenze in materia di scambi commerciali nonché le loro capacità e competenze tecniche nel settore dell’integrazione del mercato. I paesi in via di sviluppo devono avere un certo spazio politico legittimo nelle relazioni commerciali.

5.3

Nel marzo 2009 l’FMI ha realizzato un’analisi della vulnerabilità dei paesi a basso reddito agli impatti negativi della crisi finanziaria globale e della conseguente recessione (7). Secondo le stime dell’OIL, oltre 200 milioni di persone rischiano di sprofondare nell’estrema povertà, per lo più nei paesi emergenti e in via di sviluppo. Il numero dei lavoratori poveri, di coloro che guadagnano meno di 2 dollari USA al giorno, potrebbe raggiungere 1,4 miliardi, vanificando i progressi realizzati nell’ultimo decennio nel campo della riduzione globale della povertà. La crescente povertà colpirà soprattutto le donne, considerato che costituiscono il 60 % dei poveri nel mondo. Alla luce di queste circostanze occorre impegnarsi maggiormente per realizzare gli obiettivi di sviluppo del Millennio (OSM). Il CESE esorta l’UE a rispettare scrupolosamente i propri impegni per conseguire gli OSM.

6.   Quale potrebbe essere il ruolo dell’UE nella promozione della nuova governance delle diverse organizzazioni internazionali?

6.1

In questo ambito l’UE deve svolgere un ruolo particolare sulla scena internazionale: l’Unione europea è il primo esportatore mondiale, il principale donatore di aiuti ai paesi in via di sviluppo e il mercato di riferimento sul piano internazionale. Ciononostante i risultati di alcune ricerche indicano che l’UE sta perdendo la propria influenza all’interno dell’ONU (8). Le risoluzioni sui diritti umani che l’UE presenta all’Assemblea generale ottengono meno sostegno rispetto a dieci anni fa a causa della maggiore influenza di paesi che rifiutano ingerenze nei propri «affari interni» come la Cina e la Russia (9).

6.2

La posta in gioco dell’UE nel sistema della governance globale è elevata. Il modello di mercato sociale europeo è unico nel suo genere e si è dimostrato particolarmente adatto per far fronte ai problemi complessi provocati dalla crisi economica attuale. L’UE e le sue istituzioni devono impegnarsi attivamente per salvaguardare i loro interessi e promuovere i loro valori.

6.3

L’UE è rappresentata in seno a tutte le organizzazioni internazionali interessate dalla questione della governance dell’economia mondiale, mediante la presenza di Stati membri nel consiglio di queste organizzazioni, il coordinamento delle politiche dei membri all’interno di tali organizzazioni, la rappresentanza garantita del membro che assume la presidenza oppure direttamente mediante lo status di rappresentante della Commissione europea. Nella maggior parte delle organizzazioni internazionali, l’UE ha solamente lo statuto di osservatore (ad eccezione dell’OMC e della FAO) e esercita la propria influenza attraverso modalità discrete (soft power). Benché questo potere e la sua rete fondata sulla buona volontà possano risultare efficaci, l’UE dovrebbe impegnarsi attivamente per conseguire una posizione formale, laddove possibile. Per ogni singola organizzazione internazionale l’UE dovrebbe sviluppare una strategia per accrescere il proprio potere e consolidare la propria posizione allo scopo di promuovere una governance più efficace ed equa di queste organizzazioni.

6.4

All’interno dell’FMI l’UE è rappresentata da diversi portavoce (il presidente dell’Eurimf, la BCE, il presidente dell’Eurogruppo, il ministro delle Finanze della presidenza dell’UE) e le divergenze tra gli Stati membri in materia di questioni finanziarie e di sviluppo impediscono all’Europa di parlare con una sola voce. Mentre per le questioni commerciali la Commissione europea ha l’autorità di esprimersi a nome dell’UE, per quanto riguarda altre questioni finanziarie o economiche nemmeno i 16 Stati membri che hanno una moneta unica e che hanno delegato alcune delle loro competenze alla BCE assumono necessariamente una posizione comune. Alla luce della crescente importanza delle istituzioni di Bretton Woods, e dell’FMI in particolare, il CESE esorta l’UE e le sue istituzioni a migliorare il loro coordinamento riguardo alla governance di tali istituzioni. Gli Stati membri dell’UE rappresentano complessivamente il 32 % dei diritti di voto nell’FMI, rispetto al 17 % degli USA. La perdita di influenza da parte degli Stati membri più piccoli dell’UE a vantaggio delle economie emergenti può essere compensata da un migliore coordinamento della politica dell’UE.

6.5

Il CESE esorta l’UE ad incoraggiare l’FMI a promuovere politiche che assicurino l’accesso al credito e ai finanziamenti, in particolare per le PMI e gli agricoltori che costituiscono la spina dorsale e i principali creatori di posti di lavoro di tutte le economie nazionali. Il CESE chiede inoltre all’UE di sollecitare le istituzioni finanziarie internazionali a mettere a disposizione dei paesi in via di sviluppo finanziamenti adeguati affinché possano adottare misure anticicliche e si astengano in tal modo dall’imporre vincoli di condizionalità prociclici.

6.6

Dal 2000 l’UE ha aumentato significativamente il proprio contributo finanziario alla Banca mondiale (241 milioni di euro nel 2008). Il CESE riconosce l’importanza del ruolo della Banca mondiale nell’eliminazione della povertà e raccomanda all’UE di incoraggiarla ad adottare politiche in materia di sviluppo economico che, tra i loro obiettivi, prevedano il lavoro dignitoso, l’accesso all’assistenza sanitaria, all’istruzione e ad altri servizi pubblici. Il CESE invita l’UE a sostenere la Banca mondiale nel finanziamento di piani di rilancio economico per i paesi colpiti dall’attuale crisi economica e finanziaria, piani incentrati sulla promozione della crescita sostenibile delle imprese, sulla creazione di posti di lavoro, sugli investimenti pubblici, sulle politiche attive del mercato del lavoro, sull’estensione dei regimi di sicurezza sociale di base a tutti i cittadini, su reti di sicurezza supplementari per i più vulnerabili e su investimenti nell’«economia verde».

6.7

In virtù del nuovo Trattato di Lisbona, il Parlamento europeo ha acquisito poteri di codecisione in materia di politica commerciale. A giudizio del CESE, ciò offre nuove opportunità per rafforzare la propria cooperazione con il Parlamento europeo e la Commissione in materia di scambi commerciali. Il Comitato ha infatti elaborato numerosi pareri relativi alle questioni commerciali e alla necessità di accrescere la coerenza tra le politiche commerciali e le politiche sociali e ambientali dell’UE (10) .

6.8

L’UE sta dedicando molto tempo al coordinamento dei propri punti di vista e delle proprie posizioni all’interno delle organizzazioni internazionali e ciò va a scapito del tempo e degli sforzi che potrebbe dedicare a convincere gli altri membri delle organizzazioni internazionali ad aderire a queste posizioni. La Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità costituisce una delle eccezioni positive più recenti al riguardo. Le organizzazioni della società civile possono sostenere una posizione congiunta. Il CESE osserva una certa convergenza nei voti degli Stati membri dell’UE e incoraggia l’Unione a prepararsi ad esprimersi con una sola voce per evitare di perdere influenza a causa del disaccordo tra i membri. Si spera che il Trattato di Lisbona contribuisca a migliorare questa situazione. L’accettazione del nuovo Trattato, la nuova posizione dell’alto rappresentante e la cooperazione diplomatica rafforzata rappresentano delle opportunità per migliorare la posizione dell’UE sulla scena internazionale.

6.9

Una migliore governance delle organizzazioni internazionali che preveda una maggiore coerenza e, di conseguenza, una maggiore efficacia, ha inizio in casa propria. Le politiche dell’UE all’interno dell’ONU e delle sue agenzie, del G20 e delle istituzioni di Bretton Woods dovrebbero fondarsi sui medesimi principi e promuovere i medesimi obiettivi, nel quadro del mandato e della struttura delle diverse organizzazioni. Occorre intensificare notevolmente gli sforzi per sviluppare delle politiche coerenti all’interno delle organizzazioni internazionali. La politica dell’UE sulla coerenza per lo sviluppo costituisce un esempio positivo in quest’ambito. Il CESE fa inoltre riferimento alla coerenza tra le politiche interne ed esterne nel quadro della strategia di Lisbona (11).

7.   Una migliore consultazione e partecipazione delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile

7.1

La partecipazione delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile costituisce uno dei presupposti per la salvaguardia e la promozione dei valori che stanno alla base delle organizzazioni internazionali. La governance delle organizzazioni internazionali avrà conseguenze di enorme portata per la società civile. La crisi recente ha dimostrato che la società civile, e più in particolare i contribuenti, i lavoratori, i consumatori, i risparmiatori, i proprietari di case e gli imprenditori, pagano un prezzo elevato per una governance globale insufficiente e inefficace.

7.2

La nuova struttura di governance sta prendendo forma nei vertici diplomatici di alto livello nel quadro di un processo poco trasparente. Le organizzazioni della società civile e le parti sociali hanno un accesso molto limitato alle informazioni relative al processo, e ancor meno hanno accesso al processo decisionale. Le organizzazioni della società civile e i sindacati si adoperano per mobilitare l’opinione pubblica e fare pressione sui rispettivi governi affinché comunichino le loro idee sulla futura governance dell’economia mondiale. Alcune parti del mondo imprenditoriale vengono consultate mentre altre vengono escluse. Nel quadro del processo politico dell’UE nei confronti delle organizzazioni internazionali occorre dare voce, con ancora maggiore forza, alle organizzazioni della società civile e alle parti sociali.

7.3

Esistono numerosi esempi di buone pratiche a livello nazionale, regionale e internazionale per quanto riguarda la partecipazione della società civile alla governance delle organizzazioni internazionali. A livello internazionale spicca l’esempio dell’OIL: i rappresentanti dei datori di lavoro e dei lavoratori fanno parte, su un piano di parità con i governi, di tutti gli organi dell’OIL, non solo per quanto riguarda la governance e il processo decisionale, ma anche la definizione di norme e le attività di controllo. Il Comitato consultivo economico e industriale (Business and Industry Advisory Committee - BIAC) e la Commissione sindacale consultiva (Trade Union Advisory Committee - TUAC) dell’OCSE costituiscono anch’essi dei validi esempi di consultazione delle parti sociali. Tutte le altre organizzazioni internazionali prevedono consultazioni meno sistematiche delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile; ne sono esempi lo statuto consultivo per le ONG all’ONU e l’assenza di consultazioni nel quadro del G20. L’efficacia della governance delle organizzazioni internazionali potrà essere rafforzata istituzionalizzando in maniera trasparente la partecipazione delle organizzazioni rappresentative della società civile e delle parti sociali. Sarà inoltre possibile rendere più efficaci le organizzazioni internazionali coinvolgendo le organizzazioni della società civile e le parti sociali nei loro meccanismi di sorveglianza e di controllo nonché nei loro sistemi di allerta precoce.

7.4

Il CESE auspica che l’UE coinvolga la società civile e le parti sociali nello sviluppo delle sue politiche e posizioni in merito alla nuova governance delle organizzazioni internazionali. Chiede inoltre che l’UE promuova, all’interno delle organizzazioni internazionali, la disponibilità a consultare la società civile e le parti sociali al momento di discutere le strutture di governance. Una consultazione significativa presuppone la trasparenza e un agevole accesso ai documenti in tempi che permettano di tenere conto dei punti di vista delle parti interessate e di integrarli.

7.5

Il CESE auspica che l’UE (la Commissione europea e gli Stati membri) promuova e faciliti una migliore consultazione delle organizzazioni della società civile e delle parti sociali nella futura governance delle organizzazioni internazionali.

Bruxelles, 17 marzo 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  COM(2001) 231 def.: Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo - Sviluppare un partenariato efficace con le Nazioni Unite nei settori dello sviluppo e delle questioni umanitarie e COM(2003) 526 def.: Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo - L’Unione europea e le Nazioni Unite: la scelta del multilateralismo.

(2)  Conformemente alle raccomandazioni della commissione di esperti presieduta dal Prof. Joseph Stiglitz e incaricata di assistere le Nazioni Unite in occasione della conferenza sulla crisi economica e finanziaria ed il suo impatto sullo sviluppo, giugno 2009. La commissione Stiglitz ha anche raccomandato di istituire un panel di esperti incaricato di assistere il Consiglio.

(3)  Comunicato stampa congiunto della cancelliera Merkel, Berlino, 5 febbraio 2009.

(4)  Angel Gurría, Segretario generale dell’OCSE, Roma, 12 maggio 2009.

(5)  GU C 234 del 22.9.2005, pag. 41.

(6)  GU C 93 del 27.4.2007, pag. 38.

(7)  FMI, The Implications of the Global Financial Crisis for Low-Income Countries (Le implicazioni della crisi finanziaria globale per i paesi a basso reddito), marzo 2009.

(8)  Richard Gowan, Franziska Brantner: A global Force for Human Rights? An audit of European Power at the UN. European Council on Foreign Relations (Una forza globale per i diritti umani? Audit del potere europeo alle Nazioni Unite. Consiglio europeo per le relazioni estere), settembre 2008. www.ecfr.eu

(9)  GU C 182 del 4.8.2009, pag. 13.

(10)  GU C 211 del 19.8.2008, pag. 82.

(11)  GU C 128 del 18.5.2010, pag. 41.


28.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 354/50


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «La politica dei trasporti nei Balcani occidentali»

2010/C 354/08

Relatore: ZOLTVÁNY

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 luglio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

«La politica dei trasporti nei Balcani occidentali.»

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 marzo 2010.

Alla sua 461a sessione plenaria, dei giorni 17 e 18 marzo 2010 (seduta del 17 marzo), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 132 voti favorevoli, 2 voti contrari e 4 astensioni.

1.   Raccomandazioni

1.1   Raccomandazioni all'Unione europea (Commissione europea)

Proseguire il processo di allargamento,

accelerare il processo di liberalizzazione dei visti con l'Albania e la Bosnia-Erzegovina per consentire ai cittadini di questi paesi di recarsi, senza obbligo di visto, nei paesi Schengen; avviare inoltre i negoziati in materia con il Kosovo (1),

mobilizzare tutte le risorse finanziarie disponibili per accrescere al massimo gli investimenti nei progetti infrastrutturali, ricorrendo, a tal fine, al quadro per gli investimenti nei Balcani occidentali recentemente istituito,

continuare a considerare prioritaria, nel quadro dell'applicazione del Trattato che istituisce una Comunità dei trasporti, la dimensione sociale. Il Forum sociale andrebbe appoggiato perché esso diventi uno strumento efficace per un dialogo sociale settoriale avanzato a livello regionale,

sostenere le iniziative a favore di modi di trasporto più verdi, come la navigazione interna e la ferrovia, nei Balcani occidentali,

tener conto delle valutazioni dell'impatto socioeconomico delle reti di trasporto al momento di formulare una politica comune dei trasporti,

appoggiare l'aggiornamento della rete principale di trasporto regionale in funzione delle necessità rilevate,

prendere in considerazione l'inclusione della rete principale di trasporto regionale dell'Europa sudorientale come componente futura della rete di trasporto transeuropea (RTE-T) nel processo di revisione della politica in materia di RTE-T con l'obiettivo di promuovere l'ulteriore integrazione dei Balcani occidentali nell'UE,

avviare uno studio sull'occupazione nei paesi dei Balcani occidentali aderenti alla Comunità dei trasporti. Dedicare inoltre la dovuta attenzione allo sviluppo di programmi di formazione destinati ai datori di lavoro e ai lavoratori per consentir loro di rispondere in modo più appropriato ai cambiamenti che intervengono nel mercato del lavoro,

assegnare risorse umane sufficienti per il settore degli affari sociali e del dialogo sociale all'interno del segretariato della Comunità dei trasporti.

1.2   Raccomandazioni al Comitato economico e sociale europeo (CESE)

Tramite l'opera dei comitati consultivi misti incoraggiare le parti sociali nei paesi dei Balcani occidentali a svolgere un ruolo attivo nel dialogo sociale a livello sia nazionale che regionale,

organizzare un convegno sulla politica dei trasporti con la partecipazione dei rappresentanti delle organizzazioni della società civile dei paesi dei Balcani occidentali, della Commissione europea e del CESE, e

individuare i meccanismi per sviluppare e istituzionalizzare la cooperazione futura con il Forum sociale regionale, la cui creazione è prevista dal trattato che istituisce una Comunità dei trasporti.

1.3   Raccomandazioni ai governi dei paesi dei Balcani occidentali

Rafforzare la cooperazione regionale nel settore della politica dei trasporti e delle infrastrutture di trasporto,

garantire una pianificazione efficiente degli investimenti pubblici d'interesse regionale e potenziare lo sviluppo di capacità nel settore dei trasporti,

attuare le riforme necessarie e accelerare il processo di adozione dell'acquis comunitario,

sfruttare le opportunità di finanziamento privato/co-finanziamento dei progetti prioritari e di quelli complementari (partenariato pubblico-privati - PPP) e creare un ambiente favorevole a questo tipo di progetti,

migliorare la trasparenza negli appalti pubblici,

migliorare la gestione delle frontiere ed accrescere la capacità dei valichi per accelerare e accrescere la qualità dei trasporti a livello regionale,

sviluppare politiche coerenti a livello regionale per incoraggiare il trasporto intermodale e la realizzazione di sistemi di trasporto intelligenti (ITS),

migliorare ulteriormente le relazioni con i paesi vicini e dirimere le questioni ancora aperte nelle relazioni bilaterali,

svolgere un ruolo attivo nello sviluppo della strategia per il Danubio, in corso di definizione, per beneficiare dei progetti infrastrutturali congiunti con gli Stati membri dell'UE e i paesi vicini, e

coinvolgere le parti sociali e i rappresentanti di altre organizzazioni della società civile pertinenti nel processo di sviluppo della politica di trasporto regionale e raggiungere una convergenza tra politiche dell'occupazione e riforme.

2.   Il contesto del parere

2.1   Il ruolo dei trasporti e delle infrastrutture nella cooperazione regionale dei Balcani occidentali è considerato un fattore chiave per lo sviluppo economico, sociale ed ambientale globale di tale regione. Lo sviluppo della rete principale di trasporto regionale dell'Europa sudorientale (rete principale) rappresenta un'eccellente occasione per i paesi dei Balcani occidentali di far convergere i loro interessi e di perseguire soluzioni economicamente e socialmente vantaggiose - nonché rispettose dell'ambiente - che vadano a beneficio della regione nella sua globalità. In termini di sviluppo economico, l'attuazione di progetti infrastrutturali regionali presenta un impatto positivo sulle economie regionali, contribuisce all'apertura dei loro mercati a nuove iniziative commerciali ed accresce l'efficienza degli scambi commerciali tra i paesi della regione. Lo sviluppo della rete di trasporto regionale aiuta in particolare i governi dei paesi dei Balcani occidentali a far fronte all'elevato tasso di disoccupazione, incentivando così la crescita economica globale della regione. L'offerta di migliori opportunità di lavoro e la maggiore mobilità dei lavoratori favoriscono inoltre lo sviluppo sociale. La rete di trasporto regionale contribuisce altresì a migliorare la cooperazione transfrontaliera e i contatti tra le persone. Dato l'impatto significativo dei trasporti sull'ambiente, è essenziale però tener conto delle questioni ambientali al momento di sviluppare la rete principale.

Lo sviluppo della rete di trasporto regionale presenta inoltre una marcata dimensione politica. Realizzando progetti infrastrutturali, i governi dei paesi dei Balcani occidentali, insieme a tutti gli altri attori coinvolti, possono dimostrare la loro volontà di superare le tensioni ed i problemi bilaterali derivanti dal loro recente passato. Lo sviluppo della rete contribuisce pertanto all'integrazione regionale di tali paesi.

2.2   Il ruolo dell'Unione europea nello sviluppo della politica dei trasporti nei Balcani occidentali

2.2.1

L'UE è direttamente interessata ai Balcani occidentali, in quanto la regione si trova al centro dell'Europa. Tutti i paesi dei Balcani occidentali sono candidati o candidati potenziali all'adesione all'UE. Per conseguire questo obiettivo, essi devono soddisfare tutti i criteri e le condizioni richiesti per l'adesione. La cooperazione regionale è uno dei presupposti per la loro riuscita integrazione nell'UE e costituisce pertanto una componente essenziale del processo di stabilizzazione e di associazione. Per questo motivo l'UE ha interesse a sostenere lo sviluppo di progetti regionali, compresa la rete principale di trasporto regionale che svolge un ruolo determinante.

2.2.2

A giudizio dell'UE, i trasporti sono un settore che, evidentemente, ben si presta a una cooperazione regionale efficiente, e la politica dei trasporti nei Balcani occidentali può di conseguenza essere di ampio respiro e favorire l'allineamento della regione con l'acquis comunitario. L'importanza della politica dei trasporti è ancora accresciuta dal fatto che 4 dei 10 corridoi paneuropei attraversano i Balcani occidentali. La politica comunitaria dei trasporti nella regione presenta tre obiettivi principali. Il primo è quello di migliorare e modernizzare la rete di trasporto dell'Europa sudorientale a tutto vantaggio dello sviluppo sociale ed economico. Il secondo obiettivo consiste nel migliorare la circolazione sulla rete mediante l'adozione di misure soft/misure orizzontali. Il terzo obiettivo è quello di contribuire a portare la regione in linea con l'acquis comunitario in materia di trasporti. Per perseguire questi obiettivi, l'UE sta attualmente negoziando un trattato che istituisce una Comunità dei trasporti con i paesi dei Balcani occidentali (cfr. infra, punto 4.3).

3.   Descrizione della rete principale di trasporto regionale

Nel Memorandum d'intesa sullo sviluppo della rete principale di trasporto regionale dell'Europa sudorientale, questa viene definita come una rete multimodale che comprende collegamenti stradali, ferroviari e di navigazione interna nei sette paesi dei Balcani occidentali partecipanti alla rete - Albania, Bosnia-Erzegovina, Croazia, ex Repubblica iugoslava di Macedonia, Montenegro, Serbia e Kosovo (2) - oltre a una serie di porti marittimi e fluviali e di aeroporti.

La rete principale stradale e ferroviaria è costituita da corridoi e da rotte. I corridoi corrispondono ai corridoi paneuropei V, VII, VIII e X già definiti che garantiscono i collegamenti internazionali con l'UE. Le rotte, di cui 7 stradali e 6 ferroviarie, completano la rete principale con l'obiettivo di collegare le capitali della regione in questione e dei paesi vicini. Lo scopo è altresì quello di mettere in comunicazione le principali città della regione, di offrire accesso ai porti (e aeroporti) della rete principale e di garantire che le zone più periferiche della regione siano adeguatamente servite. La rete principale di navigazione interna è costituita dal corridoio VII (il Danubio) e dal fiume Sava.

3.1   La rete stradale principale

La rete stradale principale presenta una lunghezza complessiva di 5 975 km (3 019 km di corridoi e 2 956 km di rotte). In base ai dati presentati all'Osservatorio dei trasporti dell'Europa sudorientale (SEETO), il 13,2 % della rete stradale principale presenta un livello scadente o molto scadente, mentre l'87 % circa delle strade è in condizioni che variano da medie a molto buone (3).

Il settore stradale è quello predominante: su di esso confluisce quindi buona parte dei finanziamenti. Vi è la necessità di migliorare la qualità delle strade per ridurre i ritardi, la congestione del traffico e l'inquinamento e per accrescere la sicurezza. Nonostante gli sforzi compiuti dai paesi interessati con l'adozione di nuove disposizioni legislative più severe, la sicurezza stradale resta uno dei problemi principali (4). In base ai dati relativi alla sicurezza stradale, la situazione nella regione dell'Europa sudorientale è preoccupante, con un aumento continuo del numero di vittime a causa dell'annosa carenza di investimenti e una i manutenzione adeguata e un'applicazione delle norme insufficiente.

3.2   La rete ferroviaria principale

3.2.1

La rete ferroviaria principale presenta una lunghezza complessiva di 4 615 km (3 083 km di corridoi e 1 532 km di rotte). Viene classificato di livello buono solo il 15 % della rete ferroviaria principale, mentre il 19 % è in condizioni che variano da scadenti a molto scadenti (5).

3.2.2

Le ferrovie costituiscono l'anello più debole tra tutti i modi di trasporto. Da un'analisi di accessibilità emerge che le ferrovie presentano tempi di percorrenza fino al 200 % superiori a quelli stradali sul medesimo tragitto. Le infrastrutture ferroviarie sono sottosviluppate in tutti i paesi dei Balcani occidentali. Di qui la necessità di investimenti massicci nelle ferrovie di tutti i paesi della regione. Un'altra sfida da affrontare nel prossimo futuro è costituita inoltre dalla ristrutturazione delle aziende ferroviarie, i cui organici sono spesso considerati eccessivi.

3.3   Gli altri modi di trasporto (navigazione interna, porti interni, porti marittimi)

3.3.1

La lunghezza complessiva del fiume Danubio (corridoio VII) (6) nel tratto che attraversa la Croazia e la Serbia è di 588 km, mentre la lunghezza navigabile della Sava è di 593 km. La rete principale comprende anche 7 porti marittimi e 2 porti fluviali (7). Il Danubio è in buone condizioni per gran parte del suo corso (ad eccezione di un tratto di 30 km), mentre la Sava presenta condizioni molto peggiori (8).

3.3.2

La navigazione interna costituisce il modo di trasporto più ecologico ed economico, ma ha lo svantaggio della lentezza.

3.3.3

Il trasporto intermodale ha proporzioni limitate e consiste per lo più nel trasporto stradale di container marittimi da e verso i porti. Per giunta, i terminali intermodali esistenti sono ancora sottoutilizzati. Per il trasporto intermodale esiste tuttavia un potenziale del 10 % circa, con un aumento previsto del 15 % entro il 2015 nella rete principale.

3.3.4

Si può affermare che i paesi dei Balcani occidentali stiano facendo progressi continui nella riforma del settore dei trasporti, applicando le loro strategie nazionali di trasporto ed introducendo nuove disposizioni e nuove regolamentazioni in linea con l'acquis e la politica dell'UE in materia di trasporti. In generale tali paesi riconoscono che le riforme dovrebbero corrispondere all'interesse regionale e che non dovrebbero cioè creare disparità tali da ostacolare lo sviluppo e la gestione efficace della rete principale. Come già accade nel processo d'integrazione nell'UE, alcuni paesi sono più avanzati di altri.

4.   I documenti strategici e gli accordi istituzionali

4.1

La politica comune dei trasporti per i Balcani occidentali è stata introdotta dal Patto di stabilità per l'Europa sudorientale nel 1999. Come già specificato precedentemente, l'UE ritiene che la cooperazione regionale sia un requisito essenziale per la futura adesione dei paesi dei Balcani occidentali, nonché una condizione fondamentale per sviluppare una politica dei trasporti regionale. L'UE ha incoraggiato pertanto tali paesi a espandere la cooperazione intraregionale e a rafforzare il coordinamento in materia di politica dei trasporti comune. Il Memorandum d'intesa sullo sviluppo della rete principale di trasporto regionale dell'Europa sudorientale è stato firmato tra la Commissione europea e i paesi partecipanti nel 2004 proprio con l'idea di promuovere lo sviluppo delle infrastrutture nella regione. Di conseguenza i diversi forum coinvolti nelle attività concernenti le infrastrutture di trasporto regionali sono stati sostituiti da tre organi principali coordinati tra loro. Le decisioni strategiche vengono prese nella riunione annuale dei ministri; l'applicazione del Memorandum d'intesa è coordinata da un comitato direttivo, mentre il SEETO funge da segretariato permanente (9). Il Memorandum d'intesa impegna gli aderenti a mettere a punto e ad attuare congiuntamente un piano d'azione evolutivo annuale e pluriennale che copre un periodo di 5 anni. Il Memorandum ha altresì l'importante compito di fornire un inquadramento al processo coordinato che condurrà alla stesura del trattato che istituisce una Comunità dei trasporti con i Balcani occidentali.

4.2

Questo trattato, attualmente in fase negoziale, sostituirà l'attuale Memorandum d'intesa. Esso punta a creare un mercato integrato per le infrastrutture, i sistemi e i servizi di trasporto terrestre, marittimo e di navigazione interna strettamente connessi con il relativo mercato del trasporto interno dell'UE. La creazione della Comunità dei trasporti accelererebbe il processo d'integrazione dei sistemi di trasporto all'interno della regione e con i sistemi dell'UE. Oltre ad accelerare l'adeguamento della legislazione anche all'acquis comunitario in materia sociale, la Comunità dei trasporti consentirebbe agli utenti dei trasporti e ai cittadini di beneficiare in anticipo del processo di adesione. La Comunità dei trasporti offrirebbe certezza giuridica agli operatori e agli investitori nel settore dei trasporti, stimolando e accelerando così gli investimenti necessari e lo sviluppo economico (10).

4.3

Il trattato punta altresì a creare un quadro regolamentare e commerciale stabile in grado di attirare gli investimenti in tutti i modi di trasporto e nei sistemi di gestione del traffico, ad incrementare l'efficienza dei modi di trasporto ed a contribuire a una ripartizione modale maggiormente sostenibile, nonché ad associare lo sviluppo dei trasporti al progresso sociale e al rispetto dell'ambiente. Va sottolineato che il trattato non entrerà in vigore nei paesi dei Balcani occidentali che non avranno recepito tutto l'acquis necessario.

5.   Le sfide principali per la politica dei trasporti nei Balcani occidentali

L'integrazione delle infrastrutture costituisce una sfida importante per i paesi dei Balcani occidentali. Se le infrastrutture e la promozione dei trasporti sono essenziali per lo sviluppo economico, la coesione e l'integrazione sociale, è pur vero che la regione dei Balcani occidentali è caratterizzata da un sistema di trasporto estremamente frammentato, da infrastrutture carenti e da servizi di trasporto poco efficienti. Per modificare la situazione attuale sono necessari interventi adeguati a livello di pianificazione, legislazione e finanziamento. Mentre si affrontano queste sfide, si dovrebbe però considerare che la regione dei Balcani occidentali presenta lineamenti specifici forti - storici, politici, economici, sociali e geografici - e che, di conseguenza, l'esperienza dell'estensione della politica dei trasporti comunitaria ai 12 nuovi Stati membri può essere in questo caso utilizzata solo in misura limitata.

5.1   La pianificazione

5.1.1

Il principale strumento di integrazione nel settore dei trasporti è costituito dall'armonizzazione normativa e dal coordinamento tra le autorità. Il numero di attori coinvolti nel processo di sviluppo della politica dei trasporti regionale rende necessaria una pianificazione adeguata e il coordinamento delle attività.

5.1.2

A livello nazionale l'applicazione dell'acquis impegna i governi dei paesi dei Balcani occidentali a pianificare e realizzare importanti riforme nel settore dei trasporti e in altri comparti correlati. Una valutazione d'impatto accurata dovrebbe costituire un elemento complementare di questo processo.

5.1.3

La pianificazione efficace della spesa pubblica e della cooperazione con altre parti direttamente interessate, comprese le parti sociali e le istituzioni finanziarie internazionali, dovrebbe annoverarsi tra gli elementi che hanno un ruolo importante per il corretto sviluppo della politica dei trasporti.

5.1.4

Un'altra sfida correlata è costituita dalla necessità di armonizzare le strategie di trasporto nazionali con gli interessi regionali e il coordinamento della realizzazione del progetto della rete principale allo scopo di sostenere la gestione e lo sviluppo efficace della rete principale.

5.1.5

Non va da ultimo dimenticato che l'elaborazione di piani d'azioni evolutivi pluriennali del SEETO per lo sviluppo della rete principale richiede una pianificazione e un coordinamento efficaci delle attività a livello regionale. Tale coordinamento sarà richiesto anche in seno al Forum sociale regionale a cui parteciperanno i rappresentanti delle parti sociali ed altri attori direttamente interessati dei paesi dei Balcani occidentali, comprese le organizzazioni non-governative.

5.2   La legislazione

5.2.1

La necessità di adattare la legislazione nazionale all'acquis comunitario e alle norme UE in materia di trasporti costituisce una priorità. L'acquis comunitario in materia è particolarmente esteso e copre l'accesso ai mercati e i requisiti sociali, tecnici, fiscali, ambientali e di sicurezza. I paesi dei Balcani occidentali devono pertanto affrontare la sfida di attuare e applicare un vasto corpus che comprende un gran numero di regolamenti, direttive e decisioni. Un'altra sfida è costituita dall'attuazione e dall'applicazione selettive dell'acquis comunitario.

5.2.2

Data la notevole frammentazione dell'Europa sudorientale, le questioni legate all'attraversamento dei confini rivestono una grande importanza per la regione. Attualmente, i tempi di attesa alle frontiere incidono notevolmente sull'efficienza e sulla competitività della rete principale. I paesi dei Balcani occidentali partecipanti alla rete dovrebbero compiere uno sforzo supplementare per migliorare la gestione e le procedure di frontiera e ridurre i tempi di attesa.

5.2.3

Gli aspetti ambientali meritano anch'essi di essere messi in evidenza in questa sede. L'applicazione delle norme ambientali acquisisce sempre maggior importanza al momento di sviluppare un progetto di infrastruttura. Visto che la legislazione ambientale costituisce una parte importante dell'acquis, la questione di stabilire se tale legislazione vada o non vada applicata non è pertinente. Si può tuttavia sostenere l'argomento che i paesi dei Balcani occidentali incontrano attualmente gravi problemi nell'imporre il rispetto delle norme ambientali.

5.3   Il finanziamento

5.3.1

Lo sviluppo e la manutenzione delle reti di trasporto richiedono fondi che il settore pubblico non è in grado di fornire. Il coordinamento dei donatori svolge pertanto un ruolo importante. Oltre all'UE, istituzioni finanziarie internazionali (IFI) come la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS), la Banca mondiale, la Banca europea per gli investimenti (BEI), la Banca di sviluppo del Consiglio d'Europa e i donatori bilaterali dovrebbero coordinare le loro attività e stanziare le risorse necessarie. Un'altra fonte di finanziamento per i governi dei paesi dei Balcani occidentali è costituita dai partenariati pubblico-privati (PPP).

5.3.2

L'importanza dei PPP è stata evidenziata in occasione della conferenza ministeriale svoltasi a Sarajevo nel settembre 2009. Nella dichiarazione ministeriale i partecipanti hanno non soltanto riconosciuto ed accolto con favore il ruolo importante svolto dal settore privato nello sviluppo delle infrastrutture, ma hanno anche riconosciuto la necessità di creare un ambiente istituzionale e legislativo che consenta a tale settore di partecipare ai progetti di infrastrutture tramite lo strumento dei PPP. I partecipanti hanno inoltre espresso il loro impegno a mettere a punto progetti su scala regionale ed hanno sostenuto la creazione di una rete di PPP per l'Europa sudorientale (11). La dichiarazione ministeriale fornisce un buon quadro per favorire l'espansione nella regione di progetti di sviluppo delle infrastrutture secondo la formula del PPP. La sua attuazione richiede però una serie di riforme, tra cui quella del regime legislativo e regolamentare, nonché il sostegno attivo dei partner internazionali - Commissione europea, istituzioni finanziarie internazionali, donatori bilaterali - che dovranno offrire assistenza tecnica e finanziaria.

5.3.3

Un'altra importante iniziativa intesa a garantire una più stretta cooperazione tra istituzioni finanziarie internazionali, donatori bilaterali e UE è costituita dal quadro per gli investimenti nei Balcani occidentali, avviato nel dicembre 2009 e costituito da due strumenti congiunti, uno di sovvenzione e l'altro di prestito, per finanziare nei Balcani occidentali progetti prioritari, tra cui i progetti infrastrutturali svolgono un ruolo centrale (12).

6.   Le conseguenze economiche e sociali/il ruolo della società civile

Lo sviluppo delle reti di trasporto regionali costituisce al contempo un'occasione e una sfida sia per i datori di lavoro che per i lavoratori. La partecipazione di entrambe le categorie è essenziale per la riuscita di qualunque progetto di infrastruttura. Si può tuttavia sostenere che né le organizzazioni di datori di lavoro, né i sindacati facciano uso in modo efficace del loro ruolo di parti sociali nei confronti delle istituzioni europee, dei donatori e delle istituzioni finanziarie internazionali. D'altro canto, la riorganizzazione delle infrastrutture e le riforme di accompagnamento, per poter avere successo, dipendono in larga misura da un ampio sostegno e da un'accettazione generalizzata. Ciò non è realizzabile senza il coinvolgimento attivo delle organizzazioni della società civile. Il dialogo con le parti sociali e gli attori della società civile dovrebbe pertanto svolgere un ruolo chiave nell'elaborazione di qualunque tipo di politica - trasporti compresi - nei Balcani occidentali. I paesi di tale regione sono però caratterizzati da una modesta tradizione di dialogo sociale e civile, da meccanismi di consultazione scarsamente sviluppati e da una concezione del partenariato non molto sviluppata. Di qui la necessità di incoraggiare i governi dei paesi dei Balcani occidentali perché consentano ai rappresentanti delle parti sociali e di altre organizzazioni della società civile pertinenti di partecipare attivamente al processo di sviluppo della politica di trasporto regionale e alla messa a punto delle strategie di riforma.

6.1   Le organizzazioni di datori di lavoro

6.1.1

Il settore dei trasporti ha costituito, nella regione dei Balcani occidentali, uno dei settori predominanti dal punto di vista dell'occupazione. I datori di lavoro dovrebbero quindi partecipare all'elaborazione delle politiche e alla realizzazione di riforme vantaggiose non soltanto per le loro imprese, ma anche per i lavoratori e i cittadini del loro paese. Le organizzazioni di categoria e i singoli datori di lavoro hanno un ruolo da svolgere anche nella negoziazione delle priorità per le reti di trasporto nazionali e regionali e nell'analisi del loro impatto sulla promozione della mobilità, sulla creazione e sul mantenimento dell'occupazione, nonché sui loro vantaggi generali per le economie nazionali.

6.1.2

La visibilità e l'influsso delle organizzazioni di datori di lavoratori variano da un paese all'altro della regione. In generale, la loro posizione è piuttosto debole soprattutto perché fanno loro difetto capacità di mobilitazione interna e perché hanno difficoltà a offrire una rappresentanza efficace a perseguire i loro interessi nelle relazioni con il governo e le altre parti in causa.

6.1.3

Occorre quindi che tra i membri delle organizzazioni di datori di lavoro si sviluppino capacità di rappresentanza e di analisi che potrebbero avvantaggiare non soltanto i singoli paesi, ma anche l'UE.

6.2   I sindacati

6.2.1

Il settore dei trasporti ha costituito, nella regione dei Balcani occidentali, una delle maggiori fonti di occupazione. Le condizioni sociali e quelle del mercato del lavoro di numerosi paesi della regione sono precarie, con tassi di disoccupazione costantemente elevati, alti livelli di povertà e migrazione della popolazione attiva, nonché sistemi di sicurezza sociale costretti a far fronte a richieste di prestazioni eccessive rispetto alle loro capacità. Nel settore ferroviario, in media il 50 % della forza lavoro ha lasciato il lavoro nell'arco degli ultimi dieci anni (13). La riforma del trasporto ferroviario che ciascun paese deve attuare comporta riduzioni del personale, privatizzazione degli operatori del trasporto merci e la chiusura delle linee locali non redditizie (14). I piani di liberalizzazione del trasporto ferroviario avranno pertanto ripercussioni sull'occupazione e sulle condizioni di lavoro.

6.2.2

La perdita di posti di lavoro colpisce anche il settore portuale, nonché le comunità che ne dipendono e le economie locali. Una situazione analoga si è verificata nel settore della navigazione interna.

6.2.3

I sindacati svolgono un importante ruolo nel valutare, assieme ad altre parti sociali, l'impatto dello sviluppo della rete principale sull'occupazione. I sindacati dei trasporti della regione, coordinati dalla Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (European Transport Workers' Federation - ETF), hanno condotto una campagna - a livello dell'UE e nazionale - a favore di una valutazione dell'impatto sociale da integrare in tutto il processo di pianificazione strategia e di attuazione del Trattato che istituisce una Comunità dei trasporti (15). L'attenzione dei sindacati è anche concentrata sul raggiungimento di una convergenza tra politiche dell'occupazione e riforme.

6.3   Gli altri gruppi d'interesse

Lo sviluppo delle infrastrutture presenta un impatto significativo sull'ambiente. La protezione ambientale svolge pertanto un ruolo importante in questo processo e andrebbe attentamente considerata in fase di pianificazione e sviluppo della rete di infrastrutture. In questo contesto le organizzazioni ambientali possono svolgere un ruolo importante. Tra queste si distingue per la sua posizione unica il Centro ambientale regionale per l'Europa centrale e orientale (Regional Environmental Centre for Central and Eastern Europe - REC), il cui compito è fornire assistenza di fronte ai problemi ambientali della regione. Il suo obiettivo primario è quello di promuovere la cooperazione tra organizzazioni non governative (ONG), governi, imprese ed altri diretti interessati alla questione ambientale, nonché di promuovere lo scambio di informazioni e la partecipazione del pubblico al processo decisionale in materia. Assieme al Consiglio per la cooperazione regionale (Regional Cooperation Council - RCC) - che rappresenta un'altra importante iniziativa a livello regionale - il REC ha deciso di attuare il programma quadro dal titolo Roadmap for Environmental Cooperation in South-Eastern Europe (tabella di marcia per la cooperazione ambientale nell'Europa sudorientale) che prevede una serie di conferenze tematiche di alto livello con cadenza trimestrale.

Oltre alle organizzazioni ambientali, lo sviluppo delle infrastrutture interessa in special modo le associazioni di consumatori di tutta la regione, nonché un'ampia gamma di ONG che si occupano dello sviluppo locale o di associazioni che promuovono l'uso dell'autovettura, come le associazioni del settore automobilistico.

7.   Il ruolo del CESE nello sviluppo della politica dei trasporti nei Balcani occidentali

I paesi dei Balcani occidentali presentano una modesta tradizione di dialogo sociale e meccanismi di consultazione tra le parti sociali scarsamente sviluppati. Il coinvolgimento delle parti sociali nei processi di riforma costituisce pertanto una condizione imprescindibile per una politica dei trasporti regionale all'insegna della sostenibilità. Il CESE può di conseguenza svolgere un importante ruolo consultivo per il potenziamento del dialogo sociale nella regione, tra cui anche in occasione del Forum della società civile dei Balcani occidentali. Il CESE può fornire il proprio aiuto per individuare eventuali partner tra le organizzazioni della società civile dei singoli paesi dei Balcani occidentali; può inoltre aiutare a sviluppare le capacità di tali organizzazioni e dei loro membri. L'esperienza del CESE può oltretutto costituire un valore aggiunto al momento di creare il Forum sociale regionale che dovrebbe formare parte del futuro Trattato che istituisce una Comunità dei trasporti.

Bruxelles, 17 marzo 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Ai sensi della risoluzione 1244/1999 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

(2)  Ai sensi della risoluzione 1244/1999 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

(3)  South-East Europe Core Regional Transport Network Development Plan (piano di sviluppo della rete principale di trasporto dell'Europa sudorientale), SEETO, dicembre 2008, www.seetoint.org/index.php?option=com_rubberdoc

(4)  European Road Federation (Federazione stradale europea) e Camera di commercio Belgio/Lussemburgo/Europa sudorientale Report: Networks for Peace and Development (Relazione: Reti per la pace e lo sviluppo) (2006), http://www.erf.be/index.php?option=com_content&view=article&id=157 %3Anetworks-for-peace-and-development&catid=18&Itemid=31

(5)  South-East Europe Core Regional Transport Network Development Plan, SEETO, dicembre 2008, www.seetoint.org/

(6)  L'importanza di questo fiume trova riconoscimento nella strategia per la regione del Danubio attualmente in corso di elaborazione a livello comunitario.

(7)  La rete principale comprende i seguenti porti marittimi: Fiume, Spalato, Ploce, Dubrovnik (Croazia), Bar (Montenegro), Durazzo e Valona (Albania). Ambedue i porti fluviali, Belgrado e Novi Sad, sono situati i in Serbia.

(8)  South-East Europe Core Regional Transport Network Development Plan, SEETO, dicembre 2009, www.seetoint.org/

(9)  Scopo del SEETO è anche quello di promuovere la cooperazione ai fini dello sviluppo delle infrastrutture principali e secondarie della rete principale di trasporto regionale dell'Europa sudorientale, nonché di promuovere e potenziare la capacità locale di applicazione dei programmi di investimento, gestione, raccolta e analisi dei dati relativi alla rete principale. www.seetoint.org

(10)  La Commissione propone la creazione di una Comunità dei trasporti con i Balcani occidentali e prende nuove misure per rafforzare la cooperazione con i paesi vicini nel settore dei trasporti (documento non disponibile in IT), Bruxelles, 5 marzo 2008, http://europa.eu/rapid/pressReleasesAction.do?reference=IP/08/382&guiLanguage=fr

(11)  Dichiarazione ministeriale sui partenariati pubblico-privati per lo sviluppo delle infrastrutture nell'Europa sudorientale, 25 settembre 2009.

(12)  Introducing the Western Balkans Investment Framework (una presentazione del quadro per gli investimenti nei Balcani occidentali, in EN), http://ec.europa.eu/enlargement/pdf/western-balkans-conference/wbif-a4-def_en.pdf; Western Balkans Investment Framework launched (Lancio del quadro per gli investimenti nei Balcani occidentali, in EN, FR e DE), http://europa.eu/rapid/pressReleasesAction.do?reference=BEI/09/246&format=HTML&aged=0&language=EN&guiLanguage=en

(13)  European Transport Workers' Federation (ETF) (Federazione europea dei lavoratori dei trasporti), The Social Impact of EU Transport Infrastructure Policy (L'impatto sociale della politica delle infrastrutture di trasporto dell'UE), 2005. Risultati di una consultazione pubblica.

(14)  Banca mondiale, Railway Reform in the Western Balkans (La riforma delle ferrovie nei Balcani occidentali). Documento non pubblicato. Banca mondiale, Washington D. C., 2005.

(15)  Dal gennaio 2003 la ETF coordina l'azione sindacale con i membri aderenti dell'Europa sudorientale. La ETF copre i seguenti settori: stradale, ferroviario, marittimo, aereo e navigazione interna. Nel settore portuale non è in corso alcun dialogo sociale.


28.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 354/56


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Organizzazioni della società civile e presidenze del Consiglio dell'UE» (parere di iniziativa)

2010/C 354/09

Relatore: BARABÁS

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 marzo 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Organizzazioni della società civile e presidenze del Consiglio dell'UE.

Il sottocomitato Organizzazioni della società civile e presidenze del Consiglio dell'UE, incaricato di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 12 gennaio 2010.

Alla sua 461a sessione plenaria, dei giorni 17 e 18 marzo 2010 (seduta del 17 marzo 2010), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 156 voti favorevoli, 2 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Il Trattato di Lisbona, che è entrato in vigore il 1o dicembre 2009, ha comportato profonde modifiche nell'ordinamento istituzionale dell'Unione europea, tra l'altro con l'istituzione della figura del Presidente permanente del Consiglio europeo. Al tempo stesso, il Trattato di Lisbona ha dotato di una base giuridica il trio delle presidenze (1), ossia il fatto che tre Stati membri assumano, per un periodo di 18 mesi e sulla base di un programma concordato in anticipo, la presidenza del Consiglio dell'UE.

1.2

Dal punto di vista della società civile, l'articolo 11 del Trattato di Lisbona riveste un'importanza particolare. Esso prevede infatti il rafforzamento della democrazia partecipativa, l'intensificazione e l'istituzionalizzazione del dialogo con i cittadini, la prosecuzione delle consultazioni sul merito delle questioni nel quadro dell'elaborazione delle politiche comunitarie e la creazione dell'iniziativa dei cittadini. Tutte queste misure dovrebbero contribuire al rafforzamento del dialogo civile.

1.3

Il presente documento è inteso ad esaminare i temi menzionati nei punti che precedono. A tal fine esso si concentra sul ruolo particolare del Comitato economico e sociale europeo (CESE) in quanto rappresentante istituzionale della società civile organizzata a livello europeo, formula delle proposte rivolte a consolidare tale ruolo e, parallelamente, esprime sostegno per le disposizioni del Trattato di Lisbona che mirano a rendere più efficace e trasparente il funzionamento dell'UE e ad accrescerne la legittimità.

2.   Verso la nuova presidenza di turno, la presidenza a tre

2.1

La presidenza di turno, o più esattamente la presidenza del Consiglio dell'Unione europea, non è una novità. Essa si caratterizza per il fatto di venire esercitata a turno da ognuno degli Stati membri per un periodo di sei mesi. Durante il proprio semestre di presidenza, lo Stato membro in carica rappresenta «il volto e la voce» dell'UE; esso ne definisce le strategie e assume la funzione e i compiti di organizzazione e di rappresentanza.

2.2

I compiti della presidenza sono associati a importanti responsabilità e si basano sugli sforzi dell'intero governo. Nell'esercizio di tale funzione uno Stato membro non ha il diritto di sostenere posizioni nazionali.

2.3

Le regole relative alla presidenza sono state modificate il 15 settembre 2006 dalla decisione del Consiglio relativa all'adozione del suo regolamento interno (2006/683/CE), che ha creato le basi del sistema del trio delle presidenze. Tale regolamento prevede in sostanza che per ogni periodo di 18 mesi le tre presidenze di turno elaborino, in stretta cooperazione con la Commissione e dopo aver condotto delle consultazioni, il programma delle attività del Consiglio per il periodo in questione.

2.4

Qual è il vantaggio di questa nuova struttura della presidenza? Il sistema mantiene le caratteristiche della presidenza semestrale, che lascia un certo margine di manovra al paese che esercita la presidenza. Al tempo stesso il programma elaborato congiuntamente dal trio contribuisce a una migliore collaborazione tra gli Stati membri, che possono così garantire una maggiore continuità e coerenza delle politiche dell'Unione e quindi della vita della Comunità.

2.5

Il primo trio delle presidenze, composto da Germania, Portogallo e Slovenia, è entrato in funzione il 1o gennaio 2007; ad esso è succeduto, per il periodo dal 1o luglio 2008 al 31 dicembre 2009, il trio costituito da Francia, Repubblica ceca e Svezia. È opinione comune che, per varie ragioni, e in particolare per la mancanza di basi giuridiche adeguate, i lavori di questi trii sono stati dominati piuttosto dalle considerazioni e dalle aspirazioni nazionali che dalle posizioni comuni al trio.

2.6

Dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, dal 1o gennaio 2010 è in carica il trio composto da Spagna, Belgio e Ungheria. La sua azione si fonda sul programma di lavoro adottato nella riunione del Consiglio europeo del 17 dicembre 2009. Tale programma, molto ambizioso, verte su un gran numero di settori. Uno dei principali elementi che contribuiscono al successo dei lavori è la composizione dei gruppi: un grande Stato membro e/o uno Stato fondatore, quindi con un grande bagaglio di esperienza, con uno Stato di più recente adesione e un «nuovo» Stato membro.

2.7

L'esperienza indica che, anche se gli Stati membri che dispongono di un maggiore peso politico beneficiano con questo sistema di un potere negoziale più forte, gli Stati membri più piccoli possono compensare i loro handicap, spesso solo apparenti, o la loro eventuale mancanza di esperienza, attraverso una giudiziosa scelta delle priorità, una buona strategia negoziale e una considerevole disponibilità al compromesso.

2.8

Dopo l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona l'azione della presidenza a tre creerà un precedente per quanto riguarda la ripartizione dei compiti tra il Presidente del Consiglio europeo, eletto per due anni e mezzo (con un mandato rinnovabile una volta), e il trio, che svolge le sue funzioni in base alla rotazione. Attualmente non si distinguono chiaramente tutti gli elementi di tale ripartizione. In questo campo il successo presuppone una stretta collaborazione. Considerando che, per il resto, continuerà a vigere il sistema attuale in un gran numero di settori, ci si può attendere che i governi nazionali continuino a sforzarsi di proiettare un'immagine positiva e di essere efficaci durante il semestre di presidenza. Questa nuova situazione comporta elementi importanti anche per le organizzazioni della società civile.

3.   Le organizzazioni della società civile e la pratica attuale: alcuni tratti caratteristici

3.1

Va anzitutto osservato che l'esecuzione dei compiti della presidenza del Consiglio incombe principalmente ai governi nazionali. Tali compiti vengono eseguiti grazie al contributo determinante di funzionari pubblici (diplomatici), esperti e responsabili politici. La partecipazione organizzata e istituzionale della società civile non è presa in considerazione né nei documenti che regolano l'esecuzione dei compiti della presidenza, né nel Trattato di Lisbona.

3.2

Nondimeno sia le istituzioni dell'UE che i governi dei paesi che esercitano la presidenza di turno riconoscono sempre più che la partecipazione della collettività, vale a dire delle organizzazioni della società civile e dei cittadini, può contribuire in misura considerevole al buon risultato dei lavori. Ciò è segno di un riconoscimento del valore della democrazia partecipativa e dell'importanza del dialogo civile.

3.3

Non possiamo tuttavia trarre la conclusione che si possa parlare di una politica e di una pratica uniche a livello dell'UE per quanto riguarda la maniera in cui le organizzazioni della società civile contribuiscono e partecipano alla realizzazione dei programmi delle presidenze del Consiglio. La situazione a livello nazionale può essere molto differente da un paese all'altro, e il grado di organizzazione e di attività della società civile del paese che esercita la presidenza di turno, come pure la qualità delle sue relazioni con il governo nazionale, hanno un'influenza determinante. In questo contesto le relazioni non sono in genere basate sulla parità.

3.4

Da quanto precede si può anche concludere che le organizzazioni della società civile non vengono generalmente coinvolte nell'elaborazione delle priorità proposte dal paese che esercita la presidenza del Consiglio. Tale situazione comporta logicamente che la società civile abbia un senso di titolarità scarso o inesistente.

3.5

Dato che quello del trio delle presidenze è uno sviluppo relativamente nuovo, non sorprende che le società civili dei tre Stati coinvolti organizzino solo occasionalmente delle azioni o iniziative congiunte preparate in anticipo. In questo campo dei primi segnali incoraggianti si avranno durante le presidenze del trio Spagna-Belgio-Ungheria, ad esempio nel quadro della preparazione e dell'organizzazione di manifestazioni della società civile che avranno grande visibilità (a Malaga nel 2010 e a Budapest nel 2011).

3.6

Da alcuni anni è consuetudine che il paese che esercita la presidenza del Consiglio ospiti, con il sostegno della Commissione europea, un incontro rappresentativo della società civile. In questo quadro, sotto la presidenza francese è stato organizzato a La Rochelle, nel settembre 2008, un importante forum della società civile. In tali incontri vengono discussi i temi che riguardano direttamente la società civile, temi che in via ideale dovrebbero essere integrati tra le priorità del paese in questione.

3.7

Gli anni tematici proclamati dall'Unione europea (per esempio l'Anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale 2010) offrono buone possibilità di coinvolgere le organizzazioni della società civile nei programmi e nelle attività della presidenza del Consiglio.

4.   Il Comitato economico e sociale europeo e le presidenze del Consiglio: prassi attuale

Nel corso degli anni il CESE ha svolto numerose attività in rapporto con le presidenze del Consiglio, tra l'altro nei seguenti campi:

invito di rappresentanti di alto livello dei paesi che esercitano la presidenza di turno alla sessione plenaria e alle riunioni di altri organi (sezioni, gruppi ecc.),

definizione delle priorità ed elaborazione di attività specifiche in relazione con i programmi della presidenza semestrale del Consiglio,

adozione di pareri in merito a varie questioni su richiesta e su iniziativa della presidenza di turno,

partecipazione a vari programmi della presidenza; presentazione di pareri sulle questioni in discussione,

visite nel paese che esercita la presidenza di turno; partecipazione a programmi specifici e rafforzamento dei contatti con le varie organizzazioni della società civile,

partecipazione a manifestazioni della società civile di grande portata e di scala europea organizzate nel paese che esercita la presidenza,

organizzazione nella sede del CESE di convegni, presentazioni, manifestazioni culturali, esposizioni ecc., che offrono al paese che esercita la presidenza di turno e alle organizzazioni della società civile la possibilità di farsi conoscere,

accoglienza di gruppi di visitatori (rappresentanti della società civile) provenienti dal paese che esercita la presidenza,

aumento dell'attenzione, nella comunicazione del CESE, per il paese che esercita la presidenza e per la sua società civile.

5.   La prossima tappa: il Trattato di Lisbona, la presidenza del Consiglio e la società civile organizzata - Raccomandazioni

5.1

Il nostro punto di partenza sono il Trattato di Lisbona e la sua entrata in vigore il 1o dicembre 2009, che creano le condizioni appropriate affinché l'UE possa dare alle varie sfide che si trova di fronte delle risposte orientate al futuro.

5.2

Il nostro obiettivo è sviluppare la democrazia partecipativa, intensificare il dialogo con i cittadini e rafforzare il dialogo civile, per contribuire anche al consolidamento della legittimità democratica delle istituzioni europee.

5.3

L'articolo 11 del Trattato di Lisbona costituisce una buona base sotto questo profilo; le nuove possibilità previste da tale articolo sono perfettamente in sintonia con le raccomandazioni contenute in precedenti pareri del CESE, in particolare quello sul tema La Commissione e le organizzazioni non governative: rafforzare il partenariato, adottato il 13 luglio 2000 (2), e quello sul tema La rappresentatività delle organizzazioni europee della società civile nel contesto del dialogo civile, adottato il 14 febbraio 2006 (3). Pertanto diviene non solo possibile, ma necessario che il CESE, in quanto rappresentante istituzionale della società civile organizzata a livello europeo, svolga un attivo ruolo di iniziativa ai fini dell'attuazione sempre più completa delle opportunità offerte dal Trattato di Lisbona, e in particolare dal suo articolo 11, come il CESE ha affermato nel parere sul tema L'attuazione del Trattato di Lisbona: la democrazia partecipativa e l'iniziativa dei cittadini (articolo 11 TUE), adottato anch'esso il 17 marzo 2010 (4).

5.4

In tale contesto le presidenze del Consiglio dispongono di strumenti appropriati per:

rafforzare l'impegno in favore dell'ideale europeo e contribuire a fare in modo che la cittadinanza europea attiva divenga un elemento più caratterizzante della nostra vita quotidiana,

fare in modo che le organizzazioni della società civile e i cittadini siano gli attori e i promotori diretti dei processi politici che, a vari livelli, mirano a definire il futuro dell'UE,

rafforzare il dialogo civile,

fare in modo che il CESE prosegua, innovi e arricchisca continuamente le proprie attività relative alla presidenze del Consiglio, e che in tale contesto, oltre a quanto elencato al punto 4, esso:

a)

incoraggi le iniziative e le azioni congiunte della società civile, compresa l'organizzazione, nel paese che esercita la presidenza, di manifestazioni della società civile caratterizzate da grande visibilità;

b)

operi per far sì che le principali iniziative della società civile, risultanti dal dialogo tra la società civile e il governo come partner uguali, siano integrate nei programmi della presidenza, cosa che permetterebbe di rafforzare la loro accettazione e il loro sostegno da parte della società;

c)

promuova regolarmente, nel quadro del gruppo di contatto del CESE con le organizzazioni e le reti europee della società civile, discussioni sulle questioni connesse alla presidenza in carica che rivestono importanza per le organizzazioni della società civile;

d)

incoraggi i consigli economici e sociali (o le istituzioni analoghe) dei paesi che esercitano la presidenza a partecipare attivamente alle attività e ai programmi pertinenti;

e)

offra ai consiglieri provenienti dallo Stato membro che esercita la presidenza tutto l'aiuto necessario affinché possano svolgere efficacemente il loro lavoro relativo alla presidenza;

f)

si adoperi, grazie alla diffusione di buone pratiche, affinché le organizzazioni della società civile contribuiscano efficacemente ai lavori dello Stato che esercita la presidenza.

Bruxelles, 17 marzo 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  «La presidenza del Consiglio, … è esercitata da gruppi predeterminati di tre Stati membri per un periodo di 18 mesi.» (GU C 115 del 9.5.2008, pag. 341, Dichiarazione relativa all'articolo 16, paragrafo 9 del trattato sull'Unione europea, concernente la decisione del Consiglio europeo sull'esercizio della presidenza del Consiglio, articolo 1, paragrafo 1). Tale presidenza viene comunemente definita il trio delle presidenze.

(2)  GU C 268 del 19.9.2000.

(3)  GU C 88 dell'11.4.2006.

(4)  Cfr. la stessa 59 GU in cui è pubblicato il presente parere.


28.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 354/59


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «L'attuazione del Trattato di Lisbona: la democrazia partecipativa e l'iniziativa europea dei cittadini (articolo 11 TUE)» (parere di iniziativa)

2010/C 354/10

Relatrice: Anne-Marie SIGMUND

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 luglio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

L'attuazione del Trattato di Lisbona: la democrazia partecipativa e l'iniziativa europea dei cittadini (articolo 11 TUE).

Il sottocomitato incaricato di preparare i lavori del Comitato in materia ha formulato il proprio parere in data 11 febbraio 2010.

Alla sua 461a sessione plenaria, dei giorni 17 e 18 marzo 2010 (seduta del 17 marzo), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 163 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Le disposizioni sui principi democratici dell'UE contenute nel nuovo Trattato sull'Unione europea (TUE) costituiscono, ad avviso del Comitato, una pietra miliare nel cammino verso un'Europa dei cittadini realmente vissuta, utilizzabile sul piano pratico e capace di prendere forma in maniera concreta. Tuttavia, è necessario definire in maniera più rigorosa i singoli processi democratici e dotarli delle strutture necessarie.

1.2   In materia di dialogo civile orizzontale e verticale (rispettivamente, paragrafi 1 e 2 dell'articolo 11 TUE), il Comitato invoca una definizione chiara di questo strumento e l'adozione di norme che disciplinino le relative procedure e i soggetti che vi prendono parte. Esso esorta la Commissione a procedere in modo analogo a quello seguito per l'articolo 11, paragrafo 4, TUE, ossia ad avviare un processo di consultazione presentando un Libro verde sul dialogo civile e ad adottare le disposizioni necessarie sulla base dei risultati ottenuti.

1.3   Il Comitato sottolinea la sua disponibilità, già manifestata in più occasioni, a contribuire in maniera concreta, in quanto partner e intermediario del dialogo civile, allo sviluppo di tale dialogo nonché a rafforzare il proprio ruolo di punto d'incontro. Il Comitato mette a disposizione di tutti gli organi dell'UE la propria rete e la propria infrastruttura, al fine di accompagnare in maniera costruttiva il dialogo civile con la società civile organizzata.

1.4   Con l'articolo 11, paragrafo 3, TUE, la prassi della Commissione in materia di consultazione, già oggi ampiamente sperimentata, viene collocata nel contesto del pilastro partecipativo, ora rafforzato, del modello democratico europeo. Anche per questo strumento il Comitato invoca norme di procedura più chiare, che rispettino il principio di trasparenza, apertura e rappresentatività.

1.5   Con l'«iniziativa dei cittadini europei» introdotta dall'articolo 11, paragrafo 4, TUE, per la prima volta nella storia il Trattato dà forma concreta a una procedura di democrazia diretta a livello transfrontaliero e transnazionale. Il Comitato accoglie con grande favore questa nuova possibilità e intende contribuire concretamente a tale storica innovazione. Esso precisa quindi la propria posizione in vista delle concrete disposizioni di applicazione che dovranno essere adottate entro il 2010. In proposito occorre assicurarsi che:

i cittadini non incontrino ostacoli inutili nell'esercizio delle loro facoltà partecipative, dato che si tratta soltanto di una iniziativa volta a mettere una questione all'ordine del giorno,

l'adozione di regole del gioco e disposizioni chiare renda più facile ai promotori organizzare la loro iniziativa nei 27 Stati membri senza scontrarsi con ostacoli imprevisti a livello nazionale,

ai promotori venga garantito, se del caso, un sostegno finanziario non appena raggiunta una determinata soglia.

1.6   Il Comitato si propone come elemento centrale di una infrastruttura transnazionale e democratica in Europa, e svolgerà il proprio ruolo nel quadro dell'articolo 11 TUE in maniera mirata ed efficace. Esso si offre inoltre di fungere da sportello di informazioni, di sostenere se del caso le iniziative dei cittadini adottando un parere pertinente, di organizzare audizioni su iniziative che abbiano avuto successo e di appoggiare, eventualmente anche con un parere, la valutazione effettuata dalla Commissione.

2.   Contesto

2.1   Nel dicembre 2001 a Laeken i capi di Stato e di governo dell'UE hanno adottato un nuovo metodo per l'elaborazione dei Trattati europei e deciso di convocare una «Convenzione sul futuro dell'Europa». Quest'ultima, grazie alla sua composizione (1), ha sviluppato una notevole dinamica democratica ed ha infine presentato, nel giugno 2003, un testo contenente proposte innovative nel senso di una maggiore trasparenza e partecipazione.

2.2   Dopo la mancata ratifica del «Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa» elaborato dalla Convenzione, dovuta all'esito negativo dei referendum in Francia e nei Paesi Bassi, un Trattato riveduto sull'Unione europea è stato firmato a Lisbona il 13 dicembre 2007 ed è entrato in vigore il 1o dicembre 2009.

3.   Introduzione

3.1   L'entrata in vigore del Trattato di Lisbona rende più semplici, razionali e trasparenti numerose procedure, ripartisce le competenze in maniera più chiara, estende le prerogative del Parlamento europeo e rafforza la visibilità dell'UE sia al suo interno che all'esterno.

3.2   Oltre che nelle forme della democrazia parlamentare (indiretta) (2), il modello democratico europeo viene ampliato e rafforzato - ma in nessun caso sostituito - anche dall'ancoraggio della democrazia partecipativa (diretta) nel Trattato sull'Unione europea.

3.3   Le disposizioni concrete in materia di democrazia partecipativa riguardano:

il dialogo civile orizzontale,

il dialogo civile verticale,

la prassi già seguita dalla Commissione in materia di consultazione, e

la nuova «iniziativa dei cittadini europei».

3.4   Conformemente alla natura del Trattato sull'Unione europea, le disposizioni dell'articolo 11 TUE sono soltanto clausole generali, che adesso occorrerà definire, sviluppare e attuare con le appropriate misure normative e alle quali i soggetti interessati sono chiamati a dar vita.

3.5   In tema di «iniziativa dei cittadini europei» la Commissione ha già adottato una valida iniziativa e pubblicato un Libro verde (3); al termine della procedura di consultazione così avviata, essa presenterà una proposta di regolamento per l'attuazione dell'articolo 11, paragrafo 4, TUE. La Commissione invia dunque un segnale chiaro dell'importanza del dialogo nella preparazione delle norme attuative di questo nuovo strumento, e in tale contesto presta una particolare attenzione al contributo dei soggetti della società civile organizzata e dei cittadini interessati provenienti dall'intera Unione che, in un secondo tempo, saranno i promotori di tali iniziative.

4.   Il Trattato di Lisbona: l'articolo 11 TUE

4.1   Il dialogo civile orizzontale

Articolo 11, paragrafo 1, TUE: «Le istituzioni danno ai cittadini e alle associazioni rappresentative, attraverso gli opportuni canali, la possibilità di far conoscere e di scambiare pubblicamente le loro opinioni in tutti i settori di azione dell'Unione».

4.1.1

Questa disposizione conferisce al «dialogo civile» orizzontale la sua base giuridica, senza peraltro definirlo in maniera più precisa. Il Comitato si è già pronunciato in merito al dialogo civile in diversi pareri (4) - (5) - (6), spiegando che lo considera un elemento chiave della partecipazione nel quadro del modello democratico europeo. Esso ha inoltre sottolineato a più riprese la propria disponibilità a fungere da piattaforma e moltiplicatore di tale dialogo e a contribuire alla creazione di un'opinione pubblica europea. In tale contesto il Comitato ha ripetutamente posto l'accento anche sul fatto che, in quanto partner e intermediario del dialogo civile, esso desidera contribuire - e contribuirà - in maniera costruttiva allo sviluppo di tale dialogo. E, sempre in tale contesto, il Comitato è ben disposto a rafforzare il proprio ruolo di punto di incontro e a fornire anche un sostegno pratico, ad esempio mettendo a disposizione la propria infrastruttura. Il Comitato considera molto importante contribuire direttamente a far sì che il dialogo civile ottenga la necessaria risonanza (a livello europeo) e diventi un autentico discorso interattivo.

4.1.2

Il Comitato insiste ancora una volta sulla necessità di definire in modo chiaro questo strumento di democrazia partecipativa e di stabilire le modalità concrete del suo funzionamento. Così, ad esempio, si deve stabilire con chiarezza quali criteri di «rappresentatività» vadano soddisfatti dalle «associazioni» menzionate nel paragrafo in esame affinché queste possano partecipare al dialogo. Anche riguardo alla questione della rappresentatività degli attori della società civile organizzata il Comitato ha già fatto notare (7) quanto sia importante distinguere tra rappresentatività quantitativa (legittima rappresentanza della maggioranza degli interessati) e qualitativa (prova della specifica competenza richiesta). Ad avviso del Comitato, le associazioni da includere nel dialogo devono essere rappresentative sul piano sia quantitativo che qualitativo.

4.1.3

Inoltre, bisognerà che il legislatore indichi con maggiore precisione quali misure concrete reputa necessarie per soddisfare il requisito degli «opportuni canali» di cui al paragrafo in esame.

4.1.4

A tale riguardo il Comitato giudica importante richiamare l'attenzione sulla differenza tra il dialogo civile e il dialogo sociale a livello europeo, e mette in guardia contro una possibile confusione tra i due concetti. È evidente che il dialogo sociale europeo costituisce anche un elemento essenziale di partecipazione qualificata; tuttavia, esso è soggetto a regole particolari riguardo al contenuto, alla partecipazione, alla procedura e agli effetti. Il suo ancoraggio normativo nel Trattato rispecchia la sua importanza.

4.2   Il dialogo civile verticale

Articolo 11, paragrafo 2, TUE: «Le istituzioni mantengono un dialogo aperto, trasparente e regolare con le associazioni rappresentative e la società civile».

4.2.1

Con questo paragrafo si tiene conto del dialogo civile verticale e si obbligano le istituzioni dell'Unione a svolgere tale dialogo in maniera regolare. Anche riguardo a questa forma di dialogo civile il Comitato si è già pronunciato (8) e anche in questo caso esso invita la Commissione a stabilirne con maggiore precisione le modalità sia sul piano del contenuto che delle procedure giuridiche.

4.2.2

Già da qualche tempo il Parlamento europeo - in previsione dell'entrata in vigore di questa disposizione del Trattato - ha fondato la cosiddetta «Agorà», creando così uno strumento per il dialogo civile verticale.

4.2.3

Dato che l'articolo 11, paragrafo 2, TUE obbliga tutte le istituzioni a un dialogo con la società civile, il Comitato invita tutte le istituzioni europee, ma in particolare il Consiglio, a chiarire il più presto possibile le loro intenzioni riguardo all'attuazione di questa norma del Trattato.

4.2.4

Il Comitato mette a disposizione di tutte le istituzioni dell'UE la propria rete e la propria infrastruttura al fine di lanciare e di accompagnare in maniera costruttiva questo dialogo verticale con la società civile organizzata.

4.3   Consultazioni ad opera della Commissione europea

Articolo 11, paragrafo 3, TUE: «Al fine di assicurare la coerenza e la trasparenza delle azioni dell'Unione, la Commissione europea procede ad ampie consultazioni delle parti interessate».

4.3.1

Con la disposizione in esame, la prassi della Commissione in materia di consultazioni - già oggi ampiamente sperimentata - viene collocata nel contesto del pilastro partecipativo, ora rafforzato, del modello democratico europeo. Il Comitato rammenta (9)- (10) che detta prassi è in fondo un elemento essenziale del progetto di «governance europea» lanciato dalla Commissione nel 2001 (11) e, in quanto misura «dall'alto» (top-down), consente solo in maniera indiretta un'azione della società civile. Sottolinea ancora una volta che la «consultazione», in quanto iniziativa delle autorità, va distinta dalla «partecipazione», che è un diritto dei cittadini. L'aspetto costituito dalla partecipazione attiva della società civile organizzata a un processo avviato di sua iniziativa, ovvero «dal basso» (bottom-up), non viene toccato da questa misura.

4.3.2

Il Comitato è disposto, nel quadro del proprio mandato, ad appoggiare la Commissione europea qualora essa desideri effettuare consultazioni che vadano al di là del quadro consueto dell'indagine on line, ad esempio organizzando audizioni comuni su temi specifici o tenendo consultazioni aperte nell'ambito di «forum delle parti interessate» (stakeholders' forum) secondo il metodo dello «spazio aperto» (open space).

4.3.3

La sola consultazione, tuttavia, non è ancora un vero dialogo con la società civile organizzata. Il Comitato invita quindi la Commissione a rivedere e strutturare la prassi finora seguita in materia di consultazioni. In primo luogo, il tempo a disposizione per le consultazioni deve essere sufficiente affinché la società civile organizzata e i cittadini abbiano davvero il tempo di elaborare le loro risposte e la consultazione non si risolva in un mero esercizio formale. In secondo luogo, il processo di valutazione dei risultati deve essere reso più trasparente. La Commissione dovrebbe dare riscontro ai contributi pervenuti ed esporre il proprio punto di vista, spiegando i motivi per cui questa o quella proposta è stata accolta o respinta, al fine di instaurare un autentico dialogo. Questo e altri miglioramenti dovrebbero essere discussi attivamente dalla Commissione con la società civile organizzata.

4.4   L'iniziativa dei cittadini europei

Articolo 11, paragrafo 4, TUE: «Cittadini dell'Unione, in numero di almeno un milione, che abbiano la cittadinanza di un numero significativo di Stati membri, possono prendere l'iniziativa d'invitare la Commissione europea, nell'ambito delle sue attribuzioni, a presentare una proposta appropriata su materie in merito alle quali tali cittadini ritengono necessario un atto giuridico dell'Unione ai fini dell'attuazione dei trattati».

4.4.1

Il Comitato condivide la valutazione secondo cui questa nuova «iniziativa dei cittadini europei» riveste per l'integrazione europea un significato che travalica ampiamente la dimensione giuridica e va considerata un primo elemento di democrazia diretta a livello transnazionale, ancorché riservato, secondo la formulazione della norma in esame, ai soli cittadini dell'Unione europea. Il Comitato si rallegrerebbe quindi se, in occasione di una revisione del Trattato, tale disposizione venisse estesa anche ai cittadini di paesi terzi stabilmente residenti nel territorio dell'UE.

4.4.2

In proposito si deve sottolineare che questa nuova «iniziativa dei cittadini europei» non è una «iniziativa popolare» analoga a quella prevista dall'ordinamento interno di molti Stati membri, la quale dà obbligatoriamente luogo ad un referendum, bensì un'iniziativa volta a invitare la Commissione a esaminare una questione e a presentare una proposta legislativa in merito. Si tratta insomma di uno strumento a disposizione delle minoranze, che offre soltanto la possibilità di influire sull'agenda politica. Il diritto di iniziativa legislativa rimane in capo alla Commissione, e il processo legislativo che eventualmente segue si svolge nel quadro delle procedure previste.

4.4.3

È evidente che per l'attuazione di questo nuovo strumento occorre stabilire determinate regole e norme. Tuttavia, dato che gli strumenti di democrazia diretta a livello europeo sono ancora da creare, bisognerebbe dotare l'iniziativa dei cittadini europei di un quadro che le consenta di svilupparsi progressivamente. Il regolamento per l'attuazione dell'articolo 11, paragrafo 4, TUE dovrebbe stabilire norme minime e condizioni di ammissibilità più basse possibili e, nei campi in cui mancano esperienze valide a livello dell'Unione, lasciare spazio per un margine di valutazione e interpretazione, dato che l'iniziativa dei cittadini europei può solo ottenere che un determinato tema venga incluso nel programma di azione della Commissione.

4.4.4

In nessun caso, tuttavia, il Comitato condivide il punto di vista del Parlamento europeo (12), secondo cui «è compito politico del Parlamento monitorare la procedura di un'iniziativa dei cittadini», e si dichiara contrario al monitoraggio, da parte del legislatore, di una procedura rientrante nella fase prelegislativa. Un tale «monitoraggio» violerebbe infatti il principio della divisione dei poteri. Pertanto, il Comitato auspica la creazione di una «istanza di consultazione» indipendente o di un «servizio di assistenza» (helpdesk) in grado di aiutare i promotori nella preparazione e nel lancio di un'iniziativa europea dei cittadini, così da poter almeno evitare in linea generale, se anche non escludere, conflitti patenti con le disposizioni in materia di ammissibilità e di attuazione.

4.4.5

A giusto titolo il PE richiama l'attenzione, in quella stessa risoluzione, sulla necessità di distinguere tra le petizioni, che vanno indirizzate al Parlamento stesso, e le iniziative dei cittadini, che vanno dirette alla Commissione per invitarla ad agire. In questo senso, anche le procedure e i requisiti relativi a entrambi questi strumenti di partecipazione dei cittadini vanno configurati in maniera del tutto differente.

4.4.6

L'iniziativa dei cittadini europei, in quanto strumento di democrazia diretta, è anche un mezzo efficace per mettere in atto dei processi deliberativi transnazionali. I cittadini, che ormai si sono piuttosto allontanati dall'«Europa politica», hanno adesso la possibilità di partecipare con iniziative e obiettivi concreti. Quanto più essi saranno invitati e incoraggiati a prender parte all'iniziativa senza dover affrontare ostacoli amministrativi inutili, tanto più essi cesseranno di considerarsi semplici spettatori di decisioni non pienamente comprensibili, e da oggetti si trasformeranno in soggetti della collettività europea. Un processo siffatto, messo in moto passo dopo passo, che incita a confrontarsi con problemi di rilevanza europea, avrà necessariamente l'effetto di creare una coscienza europea, un'opinione pubblica europea.

4.4.7

Quanto al possibile contenuto delle iniziative dei cittadini europei, si deve osservare che esso non può ovviamente contravvenire al Trattato o alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea. Tuttavia, così come nel processo indiretto (parlamentare) di formazione del consenso, anche in quello diretto (a livello dei cittadini) può accadere che gruppi estremisti si servano dei canali disponibili e li sfruttino (o ne abusino) per i loro scopi. Ciò rappresenta per ogni democrazia una sfida fondamentale, ma al tempo stesso anche il suo più grande vantaggio rispetto ai sistemi non democratici. Una democrazia rappresentativa moderna, che poggia su pilastri sia indiretti che diretti, deve essere capace e disponibile a discutere in maniera aperta e trasparente anche di istanze «scomode» o persino estremiste.

4.5   Libro verde della Commissione sul tema Diritto d'iniziativa dei cittadini europei

4.5.1

Sebbene il Comitato non fosse un destinatario diretto della procedura di consultazione ormai conclusa, esso desidera, prima dell'imminente esame della proposta di regolamento da parte del Parlamento europeo e del Consiglio, recare un contributo qualificato al processo di formazione dell'opinione: nei punti che seguono il Comitato esprime quindi il proprio parere in merito alle questioni sollevate nel Libro verde.

4.6   Numero minimo di Stati da cui i cittadini devono provenire

4.6.1

Il Comitato condivide il punto di vista della Commissione secondo cui la soglia in questione deve essere fissata in base a criteri oggettivi. Nel merito, invece, esso non è d'accordo con la Commissione sul fatto che, affinché un'iniziativa dei cittadini rappresenti davvero un interesse dell'Unione europea nel suo insieme, occorra che essi provengano da almeno un terzo degli Stati membri (ossia da 9 paesi), ma neppure con quelle organizzazioni secondo cui una soglia significativa in tal senso verrebbe raggiunta già con 4 Stati membri.

4.6.2

Il Comitato condivide piuttosto l'opinione del Parlamento europeo, secondo cui un quarto degli Stati membri (ossia attualmente 7 paesi) rappresenta una soglia appropriata. Tale valore fa riferimento all'articolo 76 TFUE, il quale prevede l'adozione, «su iniziativa di un quarto degli Stati membri», di misure che assicurino la cooperazione amministrativa nel quadro della cooperazione giudiziaria e di polizia o in materia penale. Al Comitato questo sembra un ordine di grandezza adeguato affinché l'iniziativa dei cittadini abbia una specifica dimensione europea.

4.7   Numero minimo di firme per Stato membro

4.7.1

Dato che il Trattato di Lisbona parla solo di un «numero significativo di Stati membri», si potrebbe considerare anche la possibilità di non fissare alcun numero minimo di partecipanti per paese. Il Comitato, tuttavia, tenuto conto dell'esigenza di una doppia maggioranza affermata a più riprese nel Trattato, condivide il punto di vista della Commissione secondo cui rinunciare a un numero minimo di partecipanti per Stato membro sarebbe contrario allo spirito del Trattato.

4.7.2

Piuttosto che stabilire una rigida percentuale fissa dello 0,2 % per Stato membro, il Comitato raccomanda di adottare un sistema flessibile in grado di assicurare una perequazione appropriata tra gli Stati. Si potrebbe quindi richiedere solo un limite minimo assoluto pari allo 0,08 % (13) affinché le firme provenienti da uno Stato membro siano prese in considerazione. Naturalmente, a livello dell'intera Unione europea un'iniziativa dei cittadini deve comunque essere sottoscritta da almeno un milione di cittadini. Dalla combinazione di questi due criteri risulta una perequazione automatica che soddisfa altresì il requisito di rappresentatività posto dal Trattato e l'esigenza di un autentico interesse europeo comune.

4.7.3

Al Comitato sembra che una disposizione flessibile di questo tipo, che sarebbe di più agevole applicazione, si giustifichi anche con il fatto che, in ultima analisi, l'iniziativa dei cittadini europei non sfocia necessariamente in una decisione vincolante, ma rappresenta di per sé soltanto un invito ad agire rivolto alla Commissione.

4.8   Requisiti da soddisfare per sottoscrivere un'iniziativa dei cittadini

4.8.1

Il Comitato condivide il punto di vista della Commissione secondo cui, per evitare oneri amministrativi inutili, condizione generale per sottoscrivere un'iniziativa dei cittadini dovrebbe essere il pieno possesso del diritto di partecipare alle elezioni del Parlamento europeo nel proprio paese di residenza. Malgrado tutta la simpatia per una maggiore partecipazione dei giovani (ad esempio grazie all'abbassamento dell'età minima a 16 anni), una siffatta deroga ai requisiti per partecipare alle elezioni del Parlamento europeo complicherebbe eccessivamente l'operazione di verifica delle firme, obbligando la quasi totalità degli Stati membri a istituire doppi registri elettorali.

4.9   Forma e formulazione di un'iniziativa dei cittadini

4.9.1

Anche in questo caso il Comitato reputa inopportuno stabilire requisiti formali troppo rigidi. In proposito dovrebbero valere i requisiti inderogabili di forma prescritti per le istanze alle pubbliche autorità e dovrebbero essere stabiliti determinati requisiti minimi (cfr. anche il punto 4.13 del presente parere). Il contenuto dell'iniziativa e della decisione richiesta dovrebbe essere formulato in maniera concisa ed inequivoca. Deve sempre essere chiaro che cosa si sottoscrive allorché si partecipa a un'iniziativa dei cittadini europei.

4.10   Requisiti in materia di raccolta, verifica e autenticazione delle firme

4.10.1

Nulla si oppone a che, in deroga ai singoli diritti nazionali, si stabiliscano, a livello dell'UE, regole di procedura o norme comuni in materia di raccolta, verifica e autenticazione delle firme, dato che l'iniziativa dei cittadini europei rappresenta uno strumento (nuovo e) transnazionale di partecipazione.

4.10.2

Dovrebbero essere autorizzate tutte le forme di raccolta delle firme che consentano di verificare l'identità del firmatario, e tale raccolta dovrebbe potersi effettuare sia attraverso un portale on line che direttamente presso il pubblico. Al Comitato sembra che esigere l'autenticazione delle firme da parte delle autorità nazionali o di un notaio significhi creare un ostacolo inaccettabile. Tuttavia, è anche necessario assicurarsi che i firmatari dell'iniziativa, oltre ad aver provato la loro identità, abbiano apposto la loro firma autonomamente e liberamente. A tal fine andrebbero adottate disposizioni specifiche, in particolare per quanto concerne la raccolta delle firme per via elettronica.

4.10.3

L'indicazione del nome, dell'indirizzo e della data di nascita, nonché di un indirizzo e-mail di verifica in caso di raccolta on line, sono misure di sicurezza e di autenticazione sufficienti. L'obiettivo deve essere quello di poter essere certi che ogni iniziativa che sia conforme alle regole minime stabilite dal regolamento per la raccolta delle firme non si imbatta in altri, ulteriori ostacoli in alcun paese dell'Unione. Per i cittadini europei residenti all'estero, il luogo rilevante per l'attribuzione della firma dovrebbe essere quello di residenza.

4.10.4

La verifica delle firme raccolte dovrebbe essere effettuata dagli Stati membri, proprio con quel metodo dei controlli a campione che è già stato sperimentato con successo in alcuni Stati membri dell'UE.

4.11   Termine per la raccolta delle firme

4.11.1

Le esperienze di iniziative dei cittadini compiute preliminarmente al Trattato di Lisbona hanno mostrato che il lancio stesso di un'iniziativa può richiedere molto tempo. Il Comitato ritiene quindi troppo breve il termine di un anno proposto dalla Commissione e raccomanda di portarlo a 18 mesi. Riallacciandosi all'osservazione, formulata sopra, secondo cui l'iniziativa mette in moto un processo che va ben al di là del suo obiettivo concreto, dando vita a una vera e propria opinione pubblica europea, il Comitato è dell'avviso che sarebbe deplorevole se, a causa di un termine relativamente breve di un anno, venisse compromesso l'esito positivo di un tale processo con tutti i suoi effetti concomitanti sul piano del diritto e della società.

4.12   Registrazione delle iniziative proposte

4.12.1

Il Comitato condivide il punto di vista della Commissione, secondo cui spetta agli stessi organizzatori esaminare preliminarmente la legittimità e l'ammissibilità della loro iniziativa. La registrazione dovrebbe poter essere effettuata su un sito Internet messo a disposizione dalla Commissione, il quale contenga anche informazioni sul contenuto delle iniziative, in modo che tutti i cittadini possano informarsi sulle iniziative in corso.

4.12.2

In proposito il Comitato raccomanda che la Commissione metta a disposizione, sul sito Internet da creare per l'iniziativa dei cittadini, anche uno strumento on line con cui poter raccogliere le firme. Inoltre, tale sito Internet potrebbe servire anche da forum di discussione sulle diverse iniziative e contribuire in tal modo alla creazione di un'opinione pubblica europea.

4.12.3

Ciò detto, il Comitato è dell'avviso che occorra mettere a disposizione degli organizzatori di un'iniziativa dei cittadini anche uno sportello di assistenza, che li consigli non solo riguardo alle questioni procedurali ma anche riguardo a quelle di merito. Al riguardo il Comitato è disposto a fungere da «helpdesk».

4.12.4

Eventualmente si potrebbe pensare a un sistema di «cartellini gialli» e «cartellini rossi» che permetta di segnalare agli organizzatori di un'iniziativa dei cittadini, in una fase relativamente precoce, l'eventuale inammissibilità di quest'ultima, ad esempio in ragione del mancato rispetto di criteri formali quali l'assenza di competenza della Commissione nel settore interessato o una violazione palese dei diritti fondamentali.

4.13   Requisiti che devono soddisfare gli organizzatori - Trasparenza e finanziamento

4.13.1

Secondo il Comitato, gli organizzatori di un'iniziativa dovrebbero fornire le seguenti informazioni:

comitato promotore dell'iniziativa e persone che ne hanno la rappresentanza esterna,

eventuali sostenitori dell'iniziativa,

piano di finanziamento,

prospetto delle risorse umane e delle strutture utilizzate.

4.13.2

Il Comitato ritiene assolutamente inaccettabile il fatto che la Commissione dichiari che non è prevista alcuna forma di sostegno e finanziamento pubblici delle iniziative dei cittadini, ma soprattutto il fatto che essa affermi che solo in questo modo si potrebbe garantire l'indipendenza di tali iniziative. La Commissione europea sostiene finanziariamente le strutture e le attività di numerose organizzazioni non governative efficaci, e sarebbe un'inammissibile illazione volerne dedurre che tali attori della società civile cofinanziati dalla Commissione sono perciò dipendenti da quest'ultima. Inoltre, dall'impostazione della Commissione deriverebbe la logica conseguenza che solo le grandi organizzazioni con cospicui sostegni finanziari avrebbero la possibilità di lanciare un'iniziativa dei cittadini europei.

4.13.3

Il Comitato invita quindi a discutere la possibilità che l'UE metta a disposizione un aiuto finanziario non appena una prima tappa sia stata raggiunta - ad esempio quella delle 50 000 firme di cittadini provenienti da tre Stati membri - onde escludere le campagne senza prospettive o non condotte seriamente. Il sistema dei cartellini gialli o rossi potrebbe risultare utile anche a questo scopo.

4.14   Esame di un'iniziativa dei cittadini europei da parte della Commissione

4.14.1

Il Comitato è dell'avviso che il termine di 6 mesi proposto dalla Commissione sia un termine massimo assoluto, e sostiene l'impostazione in due fasi (2 mesi per verificare il rispetto dei criteri formali e poi altri 3 mesi per prendere una decisione nel merito) proposta dal Parlamento europeo nella sua risoluzione (14). La Commissione dovrebbe configurare questo processo decisionale interno nella maniera più trasparente possibile.

4.14.2

In esito poi al successo di un'iniziativa dei cittadini, occorre verificarne in via definitiva la legittimità.

4.14.3

Durante la fase di valutazione politica da parte della Commissione, il Comitato organizza -con l'eventuale partecipazione del Parlamento europeo e della presidenza del Consiglio - delle audizioni nelle quali gli organizzatori presentano la loro iniziativa alla Commissione. Laddove necessario, il Comitato potrebbe coronare questo processo anche con l'adozione di un parere esplorativo o di iniziativa sul tema.

4.14.4

L'accettazione, l'accettazione parziale o il rigetto dell'iniziativa da parte della Commissione va motivato in dettaglio e pubblicamente nei confronti degli organizzatori. In caso di rigetto dell'iniziativa, la Commissione dovrebbe adottare una decisione formale, contro la quale deve essere possibile proporre ricorso dinanzi alla Corte di giustizia dell'Unione europea.

4.15   Iniziative riguardanti il medesimo argomento

4.15.1

Ad avviso del Comitato, la responsabilità di avviare un'iniziativa riguardante un argomento analogo a quello di un'altra incombe in ogni caso agli organizzatori. Al riguardo occorre rammentare ancora una volta che il nuovo diritto di iniziativa dei cittadini europei consiste nella facoltà di rivolgere un invito a esaminare una determinata questione. Il Comitato non ravvisa pertanto alcun motivo di erigere divieti od ostacoli all'esercizio di tale diritto.

4.16   Osservazioni complementari

4.16.1

Il Comitato è dell'avviso che la Commissione dovrebbe garantire agli organizzatori la traduzione in tutte le lingue ufficiali dell'UE del testo di un'iniziativa dei cittadini che abbia già raccolto 50 000 firme di persone provenienti da tre Stati membri.

5.   Osservazioni conclusive

5.1   Le disposizioni sui principi democratici dell'UE, e in particolare l'articolo 11 TUE, costituiscono, ad avviso del Comitato, una pietra miliare nel cammino verso un'Europa dei cittadini realmente vissuta, utilizzabile sul piano pratico e capace di prendere forma in maniera concreta. Tuttavia, è necessario definire in maniera più vincolante i singoli processi democratici e dotarli delle strutture necessarie.

5.2   Il Comitato invita quindi la Commissione a presentare, dopo il Libro verde sull'iniziativa dei cittadini europei, anche un Libro verde sul dialogo civile concernente l'applicazione concreta dell'articolo 11, paragrafi 1 e 2, TUE. Ciò al fine di riflettere sulle pratiche già esistenti, di definire con maggior precisione le procedure e i principi, di valutarli e, insieme con la società civile organizzata, apportare dei miglioramenti, in particolare creando delle strutture chiare. Anche in proposito il Comitato ribadisce di essere disposto a dare un contributo nell'ambito delle proprie competenze.

5.3   Inoltre, esso invita gli altri organi dell'UE a chiarire, a loro volta, in quali modi essi prevedano di attuare le nuove disposizioni del Trattato nella pratica.

5.4   L'articolo 11, paragrafo 4, TUE rappresenta un'innovazione democratica senza precedenti anche a livello mondiale. Per la prima volta nella storia della democrazia, infatti, a cittadini di Stati diversi viene attribuito congiuntamente un diritto transnazionale di partecipazione.

5.5   Questo nuovo diritto civico democratico racchiude un enorme potenziale. Esso mira a potenziare la democrazia rappresentativa in Europa e rafforza direttamente l'elemento partecipativo del modello europeo di democrazia. Indirettamente, tuttavia, esso può contribuire all'integrazione dell'UE, al suo rafforzamento, alla creazione di un'opinione pubblica europea e ad una maggiore identificazione dei cittadini con l'UE. Proprio in considerazione delle dimensioni e della diversità dell'Europa, bisogna assicurarsi che tutti i cittadini, anche quelli che non dispongono di grandi mezzi o non appartengono a importanti organizzazioni ormai consolidate, possano servirsi di tutti gli strumenti della democrazia. L'utilizzo di questi strumenti democratici non può infatti essere vincolato alla disponibilità di ingenti risorse finanziarie.

5.6   Il Comitato, che ha visto confermato dal Trattato di Lisbona il proprio ruolo di organo consultivo del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione continuerà ad adempiere ai suoi compiti essenziali e ad adottare pareri in ottemperanza ai doveri assegnatigli dal Trattato. Nell'esercizio della sua funzione di «ponte», esso fungerà ancor più di prima da nucleo centrale di un'infrastruttura democratica globale a livello europeo.

5.7   Nell'intento di sostenere nel miglior modo possibile con le sue attività gli organi summenzionati dell'Unione e di ottimizzare le proprie modalità di lavoro, per quanto riguarda l'iniziativa dei cittadini europei il Comitato propone anche di:

elaborare, prima della fine del periodo di valutazione, un parere su una iniziativa dei cittadini già accettata formalmente dalla Commissione,

elaborare, se del caso, un parere in appoggio a un'iniziativa in corso,

organizzare audizioni riguardanti iniziative andate a buon fine (organizzatori, Commissione, Parlamento europeo, Consiglio),

creare un «helpdesk» di informazione (da intendersi come uno sportello che assista i cittadini riguardo a questioni di procedura, ecc.),

fornire informazioni complementari (pubblicazione di una guida alla «democrazia partecipativa», organizzazione di convegni dedicati all'attuazione pratica, ecc.).

Bruxelles, 17 marzo 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Della Convenzione facevano parte, oltre al Presidente Valéry GISCARD D'ESTAING e ai due vicepresidenti Giuliano AMATO e Jean Luc DEHAENE, i seguenti membri:

15 rappresentanti dei capi di Stato e di governo degli Stati membri,

13 rappresentanti dei capi di Stato e di governo dei paesi candidati all'adesione,

30 rappresentanti dei parlamenti nazionali degli Stati membri,

26 rappresentanti dei parlamenti nazionali dei paesi candidati all'adesione,

16 rappresentanti tratti dalle file dei parlamentari europei,

2 rappresentanti della Commissione europea.

A questi si aggiungevano 13 osservatori provenienti dal CESE, dal CdR e dalle parti sociali, nonché il Mediatore europeo. Gli osservatori in rappresentanza del CESE erano Göke FRERICHS, Roger BRIESCH e Anne-Marie SIGMUND.

(2)  L'articolo 10 TUE dispone che «il funzionamento dell'Unione si fonda sulla democrazia rappresentativa».

(3)  COM(2009) 622 def. dell'11 novembre 2009.

(4)  Parere del 25 aprile 2001 sul tema La società civile organizzata ed il sistema di governo europeo(governance) - Contributo del Comitato all'elaborazione del Libro bianco (GU C 193 del 10.7.2001).

(5)  Parere del 14 febbraio 2006 sul tema La rappresentatività delle organizzazioni europee della società civile nel contesto del dialogo civile (GU C 88 dell'11.4.2006).

(6)  Parere esplorativo del 9 luglio 2008 sul tema Un nuovo programma europeo di azione sociale (GU C 27 del 3.2.2009), punti 7.6 e 7.7.

(7)  Cfr. nota 5.

(8)  Parere del 13 luglio 2000 sul documento di lavoro della Commissione sul tema La Commissione e le organizzazioni non governative: rafforzare il partenariato(GU C 268 del 19.9.2000) e parere del 24 settembre 1999 sul tema Il ruolo e il contributo della società civile organizzata nella costruzione europea(GU C 329 del 17.11.1999).

(9)  Parere del 25 aprile 2001 sul tema La società civile organizzata ed il sistema di governo europeo (governance) - Contributo del Comitato all'elaborazione del Libro bianco (GU C 193 del 10.7.2001).

(10)  Parere del 20 aprile 2002 sul tema La governance europea - Libro bianco (GU C 125 del 27.5.2002).

(11)  COM(2001) 428 def. del 25 luglio 2001.

(12)  Risoluzione del Parlamento europeo del 7 maggio 2009, relatrice Sylvia-Yvonne KAUFMANN (T6-0389/2009).

(13)  Questa percentuale si ispira al rapporto (grosso modo pari allo 0,08 %) attualmente esistente tra il numero minimo di firme richieste per un'iniziativa di legge popolare dalla Costituzione italiana e la popolazione italiana.

(14)  Questa procedura dovrebbe essere configurata in modo analogo a quella prevista all'articolo 225 TFUE per le iniziative del Palamento europeo, cfr. la risoluzione del Parlamento europeo, del 9 febbraio 2010, sulla revisione dell'accordo quadro tra il Parlamento europeo e la Commissione per la prossima legislatura (P7_TA(2010)0009).


III Atti preparatori

Comitato economico e sociale europeo

461a sessione plenaria del 17 e 18 marzo 2010

28.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 354/66


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un piano a lungo termine per lo stock di nasello settentrionale e per le attività di pesca che sfruttano tale stock»

COM(2009) 122 def. — 2009/0039 (CNS) (1)

2010/C 354/11

Il Consiglio, in data 18 gennaio 2010, e il Parlamento europeo, in data 5 marzo 2010, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 43 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (ex articolo 37 del Trattato che istituisce la Comunità europea), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un piano a lungo termine per lo stock di nasello settentrionale e per le attività di pesca che sfruttano tale stock

COM(2009) 122 def. — 2009/0039 (CNS) (1).

Avendo concluso che il contenuto della proposta è soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, nel corso della 461a sessione plenaria dei giorni 17 e 18 marzo 2010 (seduta del 17 marzo 2010), ha deciso all'unanimità di esprimere parere favorevole al testo proposto.

Bruxelles, 17 marzo 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Leggi: COD.


28.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 354/67


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Consiglio che stabilisce un regime di controllo e di coercizione applicabile nella zona della Convenzione sulla futura cooperazione multilaterale per la pesca nell'Atlantico nordorientale

COM(2009) 151 def. — 2009/0051 (CNS) (1)

2010/C 354/12

Il Consiglio, in data 18 gennaio 2010, e il Parlamento europeo, in data 5 marzo 2010, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 43 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (ex articolo 37 del Trattato che istituisce la Comunità europea), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Consiglio che stabilisce un regime di controllo e di coercizione applicabile nella zona della Convenzione sulla futura cooperazione multilaterale per la pesca nell'Atlantico nordorientale

COM(2009) 151 def. — 2009/0051 (CNS) (1).

Avendo concluso che il contenuto della proposta è soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, nel corso della 461a sessione plenaria dei giorni 17 e 18 marzo 2010 (seduta del 17 marzo 2010), ha deciso all'unanimità di esprimere parere favorevole al testo proposto.

Bruxelles, 17 marzo 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Leggi: COD.


28.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 354/68


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un piano pluriennale per lo stock occidentale di sugarello e per le attività di pesca che sfruttano tale stock»

COM(2009) 189 def. — 2009/0057 (CNS) (1)

2010/C 354/13

Il Consiglio, in data 18 gennaio 2010, e il Parlamento europeo, in data 5 marzo 2010, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 43 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (ex articolo 37 del Trattato che istituisce la Comunità europea), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un piano pluriennale per lo stock occidentale di sugarello e per le attività di pesca che sfruttano tale stock

COM(2009) 189 def. — 2009/0057 (CNS) (1).

Avendo concluso che il contenuto della proposta è soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, nel corso della 461a sessione plenaria dei giorni 17 e 18 marzo 2010 (seduta del 17 marzo 2010), ha deciso all'unanimità di esprimere parere favorevole al testo proposto.

Bruxelles, 17 marzo 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Leggi: COD.


28.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 354/69


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un piano a lungo termine per lo stock di acciuga nel Golfo di Biscaglia e per le attività di pesca che sfruttano tale stock»

COM(2009) 399 def. — 2009/0112 (CNS) (1)

2010/C 354/14

Il Consiglio, in data 19 gennaio 2010, e il Parlamento europeo, in data 5 marzo 2010, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 43 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (ex articolo 37 del Trattato che istituisce la Comunità europea), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un piano a lungo termine per lo stock di acciuga nel Golfo di Biscaglia e per le attività di pesca che sfruttano tale stock

COM(2009) 399 def. — 2009/0112 (CNS) (1).

Avendo concluso che il contenuto della proposta è soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, nel corso della 461a sessione plenaria dei giorni 17 e 18 marzo 2010 (seduta del 17 marzo 2010), ha deciso all'unanimità di esprimere parere favorevole al testo proposto.

Bruxelles, 17 marzo 2010.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Leggi: COD.


28.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 354/70


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un programma di documentazione delle catture di tonno rosso (Thunnus thynnus) e modifica il regolamento (CE) n. 1984/2003»

COM(2009) 406 def. — 2009/0116 (CNS) (1)

2010/C 354/15

Il Consiglio, in data 19 gennaio 2010, e il Parlamento europeo, in data 5 marzo 2010, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 43 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (ex articolo 37 del Trattato che istituisce la Comunità europea), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un programma di documentazione delle catture di tonno rosso (Thunnus thynnus) e modifica il regolamento (CE) n. 1984/2003

COM(2009) 406 def. — 2009/0116 (CNS) (1).

Avendo concluso che il contenuto della proposta è soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, nel corso della 461a sessione plenaria dei giorni 17 e 18 marzo 2010 (seduta del 17 marzo 2010), ha deciso all'unanimità di esprimere parere favorevole al testo proposto.

Bruxelles, 17 marzo 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Leggi: COD.


28.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 354/71


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Consiglio relativo a talune disposizioni per la pesca nella zona coperta dall'accordo CGPM (Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo)»

COM(2009) 477 def. — 2009/0129 (CNS) (1)

2010/C 354/16

Il Consiglio, in data 19 gennaio 2010, e il Parlamento europeo, in data 5 marzo 2010, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 43 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (ex articolo 37 del Trattato che istituisce la Comunità europea), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Proposta di regolamento del Consiglio relativo a talune disposizioni per la pesca nella zona coperta dall'accordo CGPM (Commissione generale per la pesca nel Mediterraneo)»

COM(2009) 477 def. — 2009/0129 (CNS) (1).

Avendo concluso che il contenuto della proposta è soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, nel corso della 461a sessione plenaria dei giorni 17 e 18 marzo 2010 (seduta del 17 marzo 2010), ha deciso all'unanimità di esprimere parere favorevole al testo proposto.

Bruxelles, 17 marzo 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Leggi: COD.


28.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 354/72


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 247/2006 recante misure specifiche nel settore dell’agricoltura a favore delle regioni ultraperiferiche dell'Unione»

COM(2009) 510 def. — 2009/0138 (CNS) (1)

2010/C 354/17

Il Consiglio, in data 19 febbraio 2010, e il Parlamento europeo, in data 18 febbraio 2010, hanno deciso, conformemente al disposto dell'articolo 43 del TFUE (Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) (ex articolo 37 del TCE), di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 247/2006 recante misure specifiche nel settore dell’agricoltura a favore delle regioni ultraperiferiche dell'Unione»

COM(2009) 510 def. — 2009/0138 (CNS) (1).

Poiché si era già pronunciato sul contenuto della proposta nei suoi pareri CESE 771/2008 e CESE 255/2010, adottati rispettivamente il 22 aprile 2008 (2) e il 17 febbraio 2010 (3), il Comitato, nel corso della 461a sessione plenaria dei giorni 17 e 18 marzo 2010 (seduta del 17 marzo 2010), ha deciso, all'unanimità, di non procedere all'elaborazione di un nuovo parere in materia ma di rinviare alla posizione a suo tempo sostenuta nei suddetti documenti.

Bruxelles, 17 marzo 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Leggi: COD.

(2)  parere del CESE in merito alla Strategia per le regioni ultraperiferiche: realizzazioni e prospettive, GU C 211, 19.8.2008, pag. 72.

(3)  parere del CESE sul tema L'impatto degli accordi di partenariato economico sulle regioni ultraperiferiche (regione dei Caraibi), GU C … del …, pag. ….


28.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 354/73


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione — Il futuro quadro normativo in materia di concorrenza applicabile al settore automobilistico

COM(2009) 388 def.

2010/C 354/18

Relatore: Bernardo HERNÁNDEZ BATALLER

La Commissione europea, in data 22 luglio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione - Il futuro quadro normativo in materia di concorrenza applicabile al settore automobilistico

COM(2009) 388 def.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 marzo 2010.

Alla sua 461a sessione plenaria, dei giorni 17 e 18 marzo 2010 (seduta del 18 marzo), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 84 voti favorevoli, 5 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) concorda con l'analisi della Commissione sul settore automobilistico e sull'individuazione delle aree in cui è necessaria una maggiore concorrenza. Tra le varie opzioni presentate dalla Commissione, il CESE ritiene preferibile quella che prevede l'adozione di disposizioni settoriali sotto forma di orientamenti che completino l'esenzione generale per categoria. Pertanto il CESE accoglie con soddisfazione la proposta di regolamento e la proposta di orientamenti aggiuntivi. Insiste tuttavia sul fatto che tali proposte dovrebbero essere lette congiuntamente e in rapporto di subordinazione rispetto agli orientamenti generali in materia di restrizioni verticali che non sono ancora stati presentati, cosa che rende difficile una valutazione indipendente.

1.2   Il CESE concorda con la Commissione sulla necessità di definire un quadro normativo che abbia un impatto generale positivo sul benessere dei consumatori e ne migliori la protezione. Ribadisce altresì gli orientamenti già formulati nei suoi pareri precedenti in materia di concorrenza (1).

1.3   Nella fattispecie è tuttavia necessario stabilire un regime transitorio di tre anni per i concessionari, per la stragrande maggioranza piccole e medie imprese, che necessitano - per motivi di certezza giuridica e in base ai principi di legittimo affidamento e di proporzionalità - di un periodo di tempo ragionevole per ammortizzare l'investimento sostenuto, per adattarsi meglio allo sviluppo tecnologico del mercato e per contribuire al miglioramento della sicurezza stradale.

1.4   Inoltre, il CESE auspica che il nuovo quadro normativo garantisca certezza giuridica a tutti gli operatori, non crei nuovi ostacoli alle imprese, sia informato ai principi stabiliti nello Small Business Act (Quadro fondamentale per la piccola impresa) e persegua gli stessi obiettivi in materia di concorrenza che si prefigge l'attuale regolamento (CE) n. 1400/2002.

1.5   Il CESE ritiene che gli orientamenti aggiuntivi non dovrebbero prevedere alcun limite agli accordi di monomarchismo, allineandosi così al nuovo regolamento d'esenzione.

1.6   Gli accordi relativi ai veicoli commerciali potrebbero essere disciplinati dal regolamento di esenzione generale per categoria in materia di restrizioni verticali per quanto riguarda il mercato post-vendita.

2.   Introduzione

2.1   Con il regolamento (CE) n. 1400/2002 della Commissione, del 31 luglio 2002, relativo all'applicazione dell'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato a categorie di accordi verticali e pratiche concordate nel settore automobilistico (2), sono state introdotte norme più severe di quelle contenute nel regolamento (CE) n. 2790/1999 della Commissione, del 22 dicembre 1999, relativo all'applicazione dell'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato CE a categorie di accordi verticali e pratiche concordate (3).

2.2   Il regolamento (CE) n. 1400/2002 della Commissione concerne principalmente le pratiche e le condotte che implicano una grave limitazione della concorrenza. Esso comprende due elenchi: uno relativo alle restrizioni che ne escludono l'applicabilità a un dato accordo nella sua totalità («restrizioni fondamentali») e un altro contenente restrizioni vietate che tuttavia non ostacolano l'applicazione dell'esenzione stabilita nel regolamento al resto dell'accordo («condizioni specifiche»).

2.3   Le principali disposizioni del regolamento (CE) n. 1400/2002 della Commissione sono le seguenti:

il campo di applicazione non è limitato alle autovetture, ma comprende anche altri tipi di veicoli come gli autobus e i camion,

ciascun costruttore di autoveicoli è tenuto a scegliere tra un sistema di distribuzione selettiva e un sistema di distribuzione esclusiva; l'esenzione si applica principalmente a due tipologie di distribuzione:

la distribuzione esclusiva, in cui il costruttore di autoveicoli assegna ad ogni distributore o riparatore un territorio di vendita o una clientela esclusivi. Per il territorio assegnato non si possono designare altri distributori. Ai distributori esclusivi può essere imposto il rispetto di determinati livelli minimi di qualità. La concorrenza è tuttavia rafforzata in quanto si favoriscono le vendite passive nel territorio esclusivo e, in particolare, quelle a favore di rivenditori non appartenenti alla rete di distribuzione,

la distribuzione selettiva, in cui il fornitore si impegna a vendere i beni o i servizi oggetto del contratto, direttamente o indirettamente, solo a distributori o riparatori selezionati in base a criteri specifici. Un sistema di distribuzione selettiva può basarsi su criteri di tipo quantitativo e/o qualitativo,

non è permessa la combinazione in uno stesso contratto di clausole di distribuzione selettiva e clausole di distribuzione esclusiva. Concretamente, non è permessa la cosiddetta «clausola di ubicazione» nel quadro di un sistema di distribuzione selettiva, mentre è possibile imporla ai distributori esclusivi,

il regolamento, all'articolo 8, paragrafo 1, individua tre diversi mercati in funzione del prodotto venduto:

distribuzione di autoveicoli nuovi; la relativa quota di mercato è calcolata sulla base del volume dei beni oggetto del contratto e dei beni corrispondenti venduti dal fornitore, nonché di tutti gli altri beni venduti dal costruttore che sono considerati dal distributore intercambiabili in ragione delle caratteristiche dei prodotti, dei loro prezzi e dell'uso al quale sono destinati,

distribuzione di pezzi di ricambio; la relativa quota di mercato è calcolata sulla base del valore dei beni oggetto del contratto e di altri beni venduti dal costruttore, nonché di tutti gli altri beni venduti dal costruttore che sono considerati dal distributore intercambiabili o sostituibili in ragione delle caratteristiche dei prodotti, dei loro prezzi e dell'uso al quale sono destinati,

servizi di riparazione e manutenzione; la relativa quota di mercato è calcolata sulla base del valore dei servizi oggetto del contratto venduti dai membri della rete di distribuzione del fornitore, nonché di tutti gli altri beni venduti da tali membri che sono considerati dall'acquirente intercambiabili o sostituibili in ragione delle caratteristiche dei beni, dei loro prezzi e dell'uso al quale sono destinati,

oltre a fissare le soglie delle quote di mercato, il regolamento, all'articolo 6, paragrafo 1, lettera c), considera incompatibili con la normativa le situazioni in cui «i prezzi o le condizioni di fornitura dei beni oggetto del contratto o di beni corrispondenti differiscono in misura sostanziale tra i diversi mercati geografici»; in casi simili la Commissione può addirittura revocare l'esenzione stabilita dal regolamento,

la Commissione ha tentato di rimuovere gli ostacoli al commercio parallelo; infatti, ai sensi del regolamento (CE) n. 1400/2002, la limitazione delle vendite effettuate dal distributore agli utilizzatori finali di altri Stati membri (ad esempio attraverso modifiche del prezzo di acquisto e della remunerazione del distributore a seconda del luogo di destinazione dei veicoli venduti o del luogo di residenza degli utilizzatori finali) è considerata equivalente a una restrizione indiretta delle vendite. Inoltre, non sono più consentiti obiettivi di vendita, assegnazioni di prodotti o sistemi di bonus basati su un territorio limitato rispetto all'intero mercato comune.

2.4   Il quadro normativo del settore automobilistico ha subito un'evoluzione negli ultimi anni e a tale proposito particolare rilevanza assume l'adozione del regolamento (CE) n. 715/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 20 giugno 2007, relativo all'omologazione dei veicoli a motore riguardo alle emissioni dai veicoli passeggeri e commerciali leggeri e all'ottenimento di informazioni sulla riparazione e la manutenzione del veicolo (4). L'osservanza delle disposizioni del citato regolamento, che era volontaria, è diventata obbligatoria dal settembre 2009 (5); tuttavia, per alcuni anni rimarrà in circolazione un numero rilevante di veicoli che non rientrano nel campo di applicazione del regolamento e che rappresenteranno un mercato significativo per le autofficine indipendenti.

2.4.1   Per quanto concerne la concorrenza nel mercato dei pezzi di ricambio per autoveicoli, è opportuno considerare che i diritti di proprietà industriale appartengono al costruttore e che pertanto, a causa del ricorso generalizzato a diversi accordi di subappalto con i fornitori di pezzi originali («accordi in materia di apparecchiature»), determinati ricambi continuano a rimanere bloccati all'interno delle reti di costruttori stessi.

2.4.2   Per questo motivo la Commissione ha proposto l'introduzione di una «clausola di riparazione» nella sua proposta di direttiva riveduta sui disegni e modelli comunitari. Tale proposta è stata accolta favorevolmente dal CESE, il quale ha ribadito (6) la sua interpretazione secondo cui il monopolio conferito al proprietario del disegno o modello si riferisce solo alla forma esteriore di un prodotto e non al prodotto in sé e ha riaffermato che «sottoporre i pezzi di ricambio inclusi nella clausola di riparazione al regime di protezione dei disegni o modelli significherebbe istituire un monopolio di prodotto nel mercato secondario, in contrasto con la natura stessa della protezione giuridica di disegni e modelli».

2.5   Per quanto riguarda concretamente il settore automobilistico, il CESE ha adottato un parere sul tema Mercati dei componenti e mercati a valle del settore automobilistico  (7), in cui ricorda che gli operatori di tali mercati sono i costruttori di autoveicoli, i loro fornitori e gli operatori indipendenti o autorizzati attivi nei segmenti della manutenzione, dei pezzi di ricambio e degli accessori, nonché nella produzione, distribuzione e vendita al dettaglio. Si tratta di una rete che conta 834 700 imprese - principalmente PMI -, con un giro d'affari complessivo pari a 1 107 miliardi di euro e circa 4,6 milioni di lavoratori.

3.   Ultimi sviluppi per quanto riguarda i documenti della Commissione

3.1   In data 21 dicembre 2009 la Commissione ha approvato un:

Progetto di regolamento (CE) n. …/… della Commissione del … relativo all'applicazione dell'articolo 101, paragrafo 3, del Trattato a categorie di accordi verticali e pratiche concordate nel settore automobilistico, e un

Progetto di comunicazione della Commissione - Orientamenti aggiuntivi in materia di restrizioni verticali negli accordi per la vendita e la riparazione di autoveicoli e per la distribuzione di pezzi di ricambio per autoveicoli.

La Commissione ha lanciato una consultazione pubblica su entrambe le proposte.

3.2   In data 15 gennaio 2010, il commissario responsabile della Concorrenza ha deciso di trasmettere al Comitato economico e sociale europeo i testi di cui al precedente paragrafo, con l'obiettivo di conoscere l'opinione del Comitato in merito ai due progetti normativi.

3.3   Pertanto, nell'ambito del presente parere sul documento COM(2009) 388 def., il relatore analizza nel contempo anche i due progetti normativi menzionati al punto 3.1.

4.   Sintesi dei documenti della Commissione

4.1   La Comunicazione della Commissione - Il futuro quadro normativo in materia di concorrenza applicabile al settore automobilistico propone quanto segue.

a)

Per quanto riguarda gli accordi relativi alla vendita di autoveicoli nuovi, e con decorrenza dal 31 maggio 2013:

applicare le regole generali della nuova esenzione per categoria proposta in materia di accordi verticali,

adottare orientamenti settoriali specifici volti sia a evitare l'esclusione dal mercato dei costruttori automobilistici concorrenti che a proteggere il loro accesso ai mercati della vendita al dettaglio e della riparazione di autoveicoli, tutelare la concorrenza all'interno di una stessa marca e mantenere l'effetto dissuasivo dell'articolo 81 del Trattato CE,

mantenere in vigore le disposizioni del regolamento applicabili agli accordi di distribuzione di autoveicoli fino al 31 maggio 2013.

b)

Per quanto riguarda gli accordi relativi ai servizi di riparazione e di manutenzione nonché alla distribuzione di pezzi di ricambio, e con decorrenza dal 31 maggio 2010:

applicare le regole generali della nuova esenzione per categoria proposta in materia di accordi verticali,

adottare orientamenti settoriali specifici, a integrazione di un regolamento di esenzione per categoria pure specifico, oppure combinare entrambi gli strumenti, al fine di potenziare la capacità delle autorità garanti della concorrenza di rispondere in modo più generale e completo ai problemi in materia di concorrenza relativi, in particolare, ai seguenti aspetti: i) accesso alle informazioni tecniche, ii) accesso ai pezzi di ricambio, iii) utilizzo abusivo delle garanzie e iv) accesso alle reti di autofficine autorizzate.

4.2   Il progetto di regolamento di esenzione

4.2.1   Gli accordi verticali in questione possono incrementare l'efficienza economica nell'ambito di una catena produttiva o distributiva in quanto permettono un migliore coordinamento tra le imprese partecipanti, anche se molto dipende dal grado di potere di mercato delle parti dell'accordo.

4.2.2   Vanno inoltre esclusi dal beneficio dell'esenzione per categoria gli accordi verticali contenenti limitazioni atte a determinare restrizioni della concorrenza e danni per i consumatori o che non sono indispensabili per il conseguimento degli effetti positivi di cui sopra.

4.2.3   Il progetto opera una distinzione tra gli accordi per la distribuzione di autoveicoli nuovi (mercato primario) e gli accordi per i servizi di riparazione e manutenzione e per la distribuzione di pezzi di ricambio (mercato secondario).

4.2.4   Al «mercato primario» si applicheranno le norme del regolamento generale sugli accordi verticali. In particolare, in virtù della limitazione basata sulla quota di mercato, dell'esclusione di taluni accordi verticali dall'esenzione prevista da tale regolamento e delle condizioni ivi stabilite, gli accordi verticali relativi alla distribuzione di autoveicoli nuovi potranno beneficiare dell'esenzione concessa dal regolamento generale purché siano rispettate tutte le condizioni ivi stabilite. Si tratta di una previsione ragionevole dal momento che nel settore in questione la concorrenza esiste.

4.2.5   Per quanto riguarda il «mercato secondario», occorre prendere in considerazione determinate caratteristiche specifiche del mercato dei servizi di assistenza post-vendita relativi agli autoveicoli; si tratta di tendenze connesse all'evoluzione tecnologica e alla crescente complessità e affidabilità dei componenti automobilistici che i costruttori acquistano da fornitori di pezzi originali.

4.2.6   Il CESE concorda con la Commissione sul fatto che le condizioni di concorrenza sul mercato dei servizi di assistenza post-vendita per gli autoveicoli hanno anche un impatto diretto sulla sicurezza pubblica - dal momento che la guida di un autoveicolo riparato in modo scorretto può rivelarsi pericolosa - e in termini di danni per la salute pubblica e l'ambiente, dal momento che le emissioni di biossido di carbonio e di altre sostanze inquinanti richiedono una manutenzione regolare del veicolo.

4.2.7   Gli accordi verticali relativi alla distribuzione di pezzi di ricambio e ai servizi di riparazione e manutenzione dovrebbero pertanto beneficiare di un'esenzione per categoria soltanto se soddisfano, oltre alle condizioni per l'esenzione previste dal regolamento generale, anche i requisiti più severi relativi a determinati tipi di restrizioni gravi della concorrenza che possono limitare la fornitura di pezzi di ricambio nel mercato dei servizi di assistenza post-vendita per gli autoveicoli; in sostanza si tratta:

degli accordi in forza dei quali i membri di un sistema di distribuzione selettiva di un costruttore di automobili limitano la vendita dei pezzi di ricambio ai riparatori indipendenti che li utilizzano per fornire servizi di riparazione o manutenzione,

degli accordi che, pur rispettando le disposizioni del regolamento generale, limitano la facoltà del produttore di pezzi di ricambio di vendere tali componenti ai riparatori autorizzati che fanno parte del sistema di distribuzione del costruttore, a distributori indipendenti di pezzi di ricambio, a riparatori indipendenti o agli utilizzatori finali; tale disposizione non pregiudica le norme sulla responsabilità civile, la facoltà di esigere l'utilizzo di pezzi di ricambio di «qualità equivalente» e persino gli accordi che prevedono l'obbligo per il riparatore autorizzato di utilizzare, per le riparazioni effettuate durante il periodo di garanzia, solo i pezzi di ricambio forniti dal costruttore,

degli accordi con i quali il costruttore di autoveicoli limita la facoltà del produttore di componenti o di pezzi di ricambio originali di apporre in maniera efficace e chiaramente visibile il proprio marchio o logo su detti pezzi originali.

4.3   Il progetto di orientamenti aggiuntivi

4.3.1   Gli orientamenti definiscono i principi da seguire per valutare, ai sensi dell'articolo 101 del Trattato, le eventuali questioni inerenti alle restrizioni verticali previste da accordi per la vendita e la riparazione di autoveicoli e per la distribuzione di pezzi di ricambio. Gli orientamenti in questione lasciano impregiudicata l'applicabilità delle linee direttrici generali sulle restrizioni verticali e devono essere considerati un'integrazione delle stesse.

4.3.2   Nell'interpretazione degli orientamenti la Commissione terrà inoltre conto del codice di condotta proposto dalle associazioni dei costruttori automobilistici (ACEA, JAMA) e relativo a determinate buone pratiche commerciali che i costruttori automobilistici si impegnano ad applicare per garantire la buona fede nell'adempimento degli obblighi contrattuali nei confronti dei distributori e riparatori autorizzati.

4.3.3   Gli orientamenti sono così strutturati:

campo di applicazione dell'esenzione per categoria relativa agli autoveicoli e rapporto con l'esenzione generale per categoria per gli accordi verticali,

applicazione delle disposizioni aggiuntive nell'esenzione per categoria relativa agli autoveicoli,

trattamento di restrizioni specifiche: monomarchismo e distribuzione selettiva.

4.3.4   Per quanto riguarda il monomarchismo, viene introdotta una nuova prescrizione in base alla quale l'inizio del periodo di cinque anni coincide con l'inizio del rapporto contrattuale tra le parti e non con la sostituzione di un documento contrattuale con un altro relativo alla medesima materia. Si tratta tuttavia di una disposizione contenuta nella nota a piè di pagina n. 9 del testo del progetto di comunicazione sugli orientamenti aggiuntivi, mentre l'importanza della modifica renderebbe consigliabile il suo inserimento nel corpo del testo.

4.3.5   Gli orientamenti elencano gli obblighi di non concorrenza e i relativi effetti negativi (innalzamento delle barriere all'ingresso o all'espansione di fornitori competitivi) e positivi (contribuire a risolvere un problema di «parassitismo», miglioramento dell'immagine di marca e della reputazione della rete di distribuzione).

4.3.6   Per quanto riguarda la distribuzione selettiva assumono rilevanza aspetti come l'accesso degli operatori indipendenti ad informazioni tecniche e l'applicazione corretta delle garanzie legali.

5.   Osservazioni

5.1   Da oltre vent'anni in materia di concorrenza il settore automobilistico (autovetture e veicoli commerciali) beneficia di specifici regolamenti di esenzione per categoria.

5.2   Nella relazione di valutazione, presentata il 31 maggio 2008, la Commissione aveva esaminato l'impatto dell'esenzione per categoria sulle pratiche del settore automobilistico. Tale relazione aveva suscitato numerosi commenti da parte dei soggetti interessati e, a sua volta, aveva dato origine alla relazione di valutazione d'impatto, elaborata dai servizi della Commissione (SEC(2009) 1052 e SEC(2009) 1053), che dovrebbe essere letta congiuntamente alla comunicazione COM(2009) 388 def.

5.3   Va considerato che attualmente è in corso anche la revisione dell'esenzione generale per categoria che dovrebbe portare alla sostituzione, a partire da maggio 2010, dell'attuale regolamento (CE) n. 2790/1999, del 22 dicembre 1999, con un nuovo regolamento. È proprio nel contesto di tale revisione certa del regolamento (CE) n. 2790/1999 che la Commissione propone:

in un primo momento, per il settore automobilistico, le tre sub-opzioni seguenti: (ii) applicazione tout court dell'esenzione generale per categoria relativa agli accordi verticali; (iii) adozione di disposizioni settoriali specifiche sotto forma di orientamenti aggiuntivi che accompagnino l'esenzione generale per categoria; (iv) adozione di un regolamento di esenzione per categoria focalizzato sulle restrizioni della concorrenza nei servizi di assistenza post-vendita,

in un secondo momento, adottare, insieme ai progetti di regolamento e di orientamenti, un regolamento contenente disposizioni settoriali specifiche con relativi orientamenti.

5.4   L'acquisto di un autoveicolo, al pari dell'acquisizione di un immobile di proprietà, non solo è la voce più rilevante del bilancio familiare dei consumatori europei, ma è anche il parametro più indicato per misurare l'importanza e il livello di realizzazione del mercato interno. Sulla base delle stime relative al settore automobilistico, si ritiene che la somma totale spesa durante la «vita utile» di un'automobile sia destinata per il 40 % all'acquisto del veicolo stesso, per un altro 40 % alla sua manutenzione e per il 20 % all'assicurazione.

5.5   L'obiettivo fondamentale dei consumatori europei in materia di concorrenza nel settore automobilistico potrebbe riassumersi in quattro elementi: scegliere dove acquistare e, all'occorrenza, far riparare il veicolo, beneficiare del prezzo migliore e poter contare su un aumento della sicurezza stradale.

5.6   Se da un lato è essenziale assicurare un mercato vivace e concorrenziale, con un adeguato sviluppo tecnologico e la partecipazione di tutti gli attori economici del settore automobilistico - specialmente le piccole e medie imprese del settore dei servizi di riparazione -, dall'altro sono altrettanto importanti i segnali di fiducia dati ai consumatori.

5.7   Il vigente regolamento (CE) n. 1400/2002 ha introdotto alcuni segnali positivi in tal senso. Ad esempio, per effetto delle sue disposizioni, la garanzia emessa in uno Stato membro da un costruttore rimane valida, alle stesse condizioni, in tutti gli Stati membri; inoltre un consumatore con un libretto di garanzia rilasciato da un concessionario in un altro Stato membro non deve più aspettare che la garanzia venga riconosciuta nel suo paese di origine; infine, se un consumatore affida il proprio veicolo a un concessionario o un riparatore autorizzato, quest'ultimo non può più addebitare commissioni o esigere una documentazione supplementare.

5.8   Permangono tuttavia alcuni problemi per quanto concerne la rivendita di veicoli nuovi per il tramite di intermediari, i requisiti imposti dai fornitori ai loro concessionari - soprattutto quelli volti a soddisfare i requisiti di «identità della marca» -, la libertà di rifornirsi presso altri concessionari autorizzati o importatori nazionali e, infine, le restrizioni indirette delle forniture incrociate di veicoli tra concessionari autorizzati.

5.9   La Commissione ha monitorato molto attentamente l'applicazione del regolamento (CE) n. 1400/2002 attraverso decisioni esemplari come le quattro adottate nel settembre 2007, che hanno fornito importanti orientamenti al settore per quanto concerne l'accesso alle informazioni tecniche (casi COMP/39.140-39.143 riguardanti le case automobilistiche Daimler-Chrysler, FIAT, Toyota e OPEL) (8).

5.10   A otto anni dall'adozione del regolamento (CE) n. 1400/2002, gli indicatori economici confermano che il livello di concorrenza nei mercati per i quali la Commissione aveva preferito un'esenzione settoriale per categoria più rigorosa è sensibilmente migliorato.

5.11   L'ambiente in questione, dinamico, concorrenziale e complesso, ha beneficiato in particolare dei seguenti fattori: il calo dei prezzi reali degli autoveicoli nuovi, l'ingresso sul mercato di nuove marche, le oscillazioni delle quote di mercato tra le marche concorrenti, una concentrazione moderata e decrescente nonché un maggior numero di opzioni per i consumatori nei diversi segmenti comparabili. Tuttavia la diversità dei mercati nazionali continua a contraddistinguere il mercato interno, soprattutto per quanto concerne i nuovi Stati membri; questi ultimi dispongono infatti di un mercato più sviluppato nei settori degli autoveicoli usati e dei riparatori indipendenti.

5.12   È soprattutto in rapporto al livello di accesso dei riparatori indipendenti ai pezzi di ricambio e alle informazioni tecniche che persistono gli ostacoli a una maggiore concorrenza, a tutto svantaggio dei consumatori. La contraffazione e la pirateria dei pezzi di ricambio costituiscono tuttora motivo di preoccupazione per il settore automobilistico: infatti, non solo in alcuni casi i pezzi di ricambio in questione sono di qualità scadente, ma addirittura il loro utilizzo può generare situazioni di pericolo per la sicurezza stradale.

5.13   Le proposte della Commissione sul futuro quadro normativo in materia di concorrenza applicabile al settore automobilistico sono compatibili con l'indirizzo e la politica di rispetto delle regole descritti. Pertanto il CESE ricorda i suoi precedenti pareri in cui ha valutato positivamente i lavori della Commissione in materia di azioni collettive, sia a carattere generale che particolare (azioni collettive aventi per oggetto una violazione delle regole di concorrenza).

6.   Osservazioni particolari

6.1   Il CESE ritiene che l'opzione della Commissione consistente nel proporre un regolamento specifico integrato da orientamenti sia equilibrata in quanto tiene conto delle eventuali ripercussioni economiche, dell'impatto sulle piccole e medie imprese (che rappresentano gran parte del mercato dei servizi di riparazione, manutenzione e distribuzione di pezzi di ricambio) e delle possibili ripercussioni sotto il profilo sociale, ambientale e della sicurezza stradale.

Il CESE desidera sottolineare alcuni aspetti, riportati di seguito, della proposta presentata.

6.2   Subordinazione del regime speciale relativo al settore automobilistico al regolamento generale sulle esenzioni per categoria - Il CESE fa notare che gli orientamenti aggiuntivi proposti dalla Commissione per il settore automobilistico dovrebbero essere letti congiuntamente agli orientamenti generali in materia di restrizioni verticali e in rapporto di subordinazione rispetto agli stessi (cfr. parte I, punto 1, (1), degli orientamenti) che non sono ancora stati presentati, cosa che rende difficile esprimere una valutazione indipendente e separata degli orientamenti aggiuntivi.

6.3   Entrata in vigore del nuovo regime - Il progetto di regolamento prevede due diversi regimi di entrata in vigore a seconda del mercato interessato. Un regime di applicazione immediata, a partire dal 1o giugno 2010, per il mercato dei pezzi di ricambio, della riparazione e della manutenzione dei veicoli, e un altro regime di estensione della validità del regolamento (CE) n. 1400/2002 fino al 31 maggio 2013, applicabile alla compravendita di autoveicoli nuovi.

6.3.1   Il CESE riconosce che attualmente è nel mercato primario che si registra il minor livello di concorrenza e che sarebbe auspicabile incrementarlo; tuttavia l'esistenza di due regimi differenti può generare difficoltà in quanto spesso i contratti conclusi tra concessionari e distributori comprendono entrambe le componenti in questione.

6.3.2   Al fine di tutelare gli interessi del consumatore di fronte alla rapida trasformazione del livello di sviluppo della concorrenza nel mercato dei pezzi di ricambio, della riparazione e della manutenzione, il CESE ammette la possibilità di prevedere una regolamentazione transitoria atta ad evitare l'insorgere di ulteriori ostacoli nella rinegoziazione dei contratti tra distributori e concessionari in seguito all'introduzione delle nuove norme.

6.3.3   Il CESE esorta la Commissione ad applicare il nuovo regolamento di esenzione per categoria nel settore automobilistico nella sua totalità a partire dal 1o giugno 2010, prevedendo però un periodo di due anni per la fase di adattamento alle nuove norme degli accordi di distribuzione attualmente in vigore nel mercato primario.

6.3.4   Vale la pena di ricordare che i costruttori possono recedere dagli accordi mediante preavviso di due anni. In pratica, i concessionari che hanno operato una determinata scelta effettuando gli opportuni investimenti sulla base dell'attuale regolamento di esenzione per categoria non potranno firmare nuovi accordi di distribuzione fino a giugno 2013, a meno che non venga data a costruttori e concessionari la possibilità di rinegoziare i propri contratti prima di tale scadenza, qualora lo ritengano necessario alla luce delle nuove norme e degli eventuali cambiamenti delle condizioni di mercato.

6.3.5   L'applicazione del nuovo regolamento di esenzione per categoria al mercato primario fin dal 1o giugno 2010 sarebbe doppiamente vantaggiosa in quanto l'entrata in vigore del nuovo regolamento coinciderebbe con quella degli orientamenti relativi ai servizi di assistenza post-vendita.

6.3.6   Considerando che la stragrande maggioranza dei concessionari fornisce anche servizi di assistenza post-vendita è facile comprendere per quale motivo il CESE sia favorevole all'applicazione contestuale del nuovo regolamento di esenzione per categoria al mercato primario e a quello secondario. Tale soluzione comporterebbe infatti una semplificazione garantendo altresì flessibilità e, aspetto niente affatto trascurabile, minori costi di transizione.

6.4   Monomarchismo

Ai sensi del paragrafo 25 e della nota a piè di pagina n. 9 degli orientamenti, dopo l'entrata in vigore del nuovo regolamento di esenzione per categoria i costruttori non potranno più inserire obblighi di monomarchismo nei nuovi accordi con i concessionari attuali. Considerando che la stragrande maggioranza dei costruttori nei prossimi anni manterrà la stessa rete di distribuzione, si tratta di una decisione che in pratica abolirà il monomarchismo. Una simile restrizione è in contrasto non solo con il suggerimento del CESE di cui al precedente punto 1, ma anche con il nuovo regolamento generale di esenzione per categoria, del 28 luglio 2009, che non pone alcun limite al monomarchismo.

6.5   Autovetture e veicoli commerciali

Così come avviene per il regolamento attuale, la Commissione pone sullo stesso livello autovetture e veicoli commerciali; in realtà le prime sono beni di consumo, mentre i secondi sono beni strumentali utilizzati in un contesto di scambi tra imprese (B2B) in cui il cliente acquista non un semplice veicolo, ma un pacchetto nell'ambito del quale l'assistenza è una voce fondamentale ai fini di una scelta che è dettata dall'esigenza di ottimizzare l'utilizzo del veicolo in questione, come nel caso dei trattori o dei macchinari per l'edilizia. Poiché i mercati di riferimento delle due tipologie di veicoli sono diversi, anche gli aspetti legati alla concorrenza variano a seconda di quale dei due tipi di prodotto si tratti.

6.5.1   Nella realtà, il settore dei veicoli commerciali, sia per quanto riguarda il mercato primario che per quello secondario, non registra alcun problema a livello di concorrenza né critiche da parte degli utilizzatori finali, dal momento che si tratta di un mercato estremamente competitivo in cui storicamente una quota elevata è detenuta dai fornitori indipendenti di pezzi di ricambio.

6.5.2   Il CESE ritiene pertanto che gli accordi relativi ai veicoli commerciali debbano essere disciplinati dal regolamento di esenzione per categoria generale, anche per quanto riguarda il mercato dei servizi di assistenza post-vendita, così come avviene per i trattori o i macchinari per l'edilizia.

6.6   Fornitura dei pezzi di ricambio

6.6.1   L'articolo 5, lettera b), del progetto di regolamento prevede che l'esenzione non si applichi alla «restrizione, concordata tra un fornitore di pezzi di ricambio, di attrezzature di riparazione o diagnostica o altre apparecchiature ed un produttore di autoveicoli, della facoltà del fornitore di vendere tali beni o servizi a distributori o riparatori autorizzati o indipendenti o ad utilizzatori finali».

6.6.2   La formulazione della restrizione in oggetto non sembra adeguata in relazione all'obiettivo perseguito dalla Commissione.

6.6.3   Infatti, nell'attuale regolamento di esenzione per categoria, la clausola relativa all'acquisto dei pezzi di ricambio impedisce al costruttore di imporre l'acquisto presso la sua impresa di una percentuale di forniture superiore al 30 %. Di conseguenza, la diversificazione delle forniture delle reti genera un abbassamento dei prezzi. È pur vero che i costruttori detengono ancora una percentuale che in realtà supera il 30 % delle forniture, ma ciò dipende dal sistema di obiettivi, incentivi e sconti offerti dai costruttori stessi. La situazione descritta è il riflesso della pressione concorrenziale esercitata dall'indotto sui costruttori.

6.6.4   L'articolo 5, lettera b), proposto non contiene alcun riferimento (analogo all'attuale clausola del 30 %) a una percentuale superata la quale distributori e riparatori non sono più tenuti a rifornirsi presso il costruttore.

6.6.5   Anzi, si afferma che i produttori di componenti devono avere la possibilità di vendere i loro prodotti anche ai riparatori autorizzati. Si tratta tuttavia di una possibilità che resterà solo sulla carta se i costruttori manterranno la facoltà di imporre un regime di esclusività o semi-esclusività per quanto riguarda le forniture di pezzi di ricambio all'interno della rete di competenza.

6.7   Garanzie

Infine il CESE tiene altresì a sottolineare la posizione della Commissione in relazione alle garanzie delle automobili. Alla luce della responsabilità diretta del costruttore per quanto riguarda il corretto funzionamento e la riparazione dei veicoli difettosi, la Commissione prevede che l'obbligo di utilizzare esclusivamente i pezzi forniti dal costruttore durante il periodo di garanzia costituisca un caso di esenzione. Il CESE considera accettabile tale posizione, anche se la norma in questione non deve tradursi per il consumatore in un'impossibilità assoluta di rivolgersi a riparatori indipendenti per la manutenzione ordinaria del veicolo; in tal caso, infatti, si potrebbe configurare una limitazione del diritto del consumatore alla qualità dei beni e alla garanzia degli stessi.

Bruxelles, 18 marzo 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  GU C 228 del 22.9.2009, pag. 47; GU C 175 del 28.7.2009, pag. 20.

(2)  GU L 203 dell'1.8.2002, pag. 30.

(3)  GU L 336 del 29.12.1999, pag. 21.

(4)  GU L 171 del 29.6.2007, pag. 1.

(5)  GU C 318 del 23.12.2006, pag. 62.

(6)  Cfr. i pareri CESE: GU C 388 del 31.12.1994, pag. 9 e GU C 286 del 17.11.2005, pag. 8.

(7)  GU C 317 del 23.12.2009, pagg. 29-36.

(8)  GU C 66 del 22.3.2007, pag. 18.


28.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 354/80


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Rivedere la politica comunitaria a favore dell'innovazione nella prospettiva di un mondo che cambia

COM(2009) 442 def.

2010/C 354/19

Relatore: MALOSSE

La Commissione, in data 2 settembre 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Rivedere la politica comunitaria a favore dell'innovazione nella prospettiva di un mondo che cambia

COM(2009) 442 def.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 marzo 2010.

Alla sua 461a sessione plenaria, dei giorni 17 e 18 marzo 2010, (seduta del 17 marzo), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 108 voti favorevoli, 1 voto contrario e 2 astensioni.

1.   Che cos'è l'innovazione

1.1   In base alla definizione contenuta nella comunicazione l'innovazione è «la capacità di tradurre idee nuove in risultati commerciali, ricorrendo a processi, prodotti o servizi nuovi in modo migliore e più veloce della concorrenza» (1).

1.1.1   L'innovazione, dunque, più che capacità è azione: essa rappresenta il processo tramite il quale idee già esistenti oppure nuove vengono trasformate in risultati.

1.1.2   L'innovazione è spesso frutto di un lavoro collettivo (associazione d'imprese, parti sociali, ricercatori) e investe anche il funzionamento interno delle imprese grazie soprattutto alle idee dei lavoratori. Per far fronte alla concorrenza mondiale, le imprese europee dovranno sviluppare procedure migliori al fine di far partecipare i lavoratori ai loro stessi risultati e favorirne la creatività.

1.1.3   L'innovazione può riguardare anche settori che non sono direttamente in rapporto con il mercato, come lo sviluppo umano, la sanità, l'innovazione sociale o ambientale, i servizi d'interesse generale, la cittadinanza o gli aiuti allo sviluppo.

1.2   In effetti, l'innovazione è più che altro un obiettivo della collettività, la valorizzazione della creatività umana per promuovere uno sviluppo economico sostenibile e più armonioso.

1.2.1   L'innovazione deve rispondere alle sfide di questo secolo: approvvigionamento energetico sostenibile, protezione del clima, evoluzione demografica, globalizzazione, capacità di attrazione dei territori, creazione di posti di lavoro, coesione e giustizia sociale.

1.3   L'innovazione non è un fine in sé: essa serve a realizzare obiettivi utili per la società, obiettivi che possono essere riassunti nei termini «progresso» e «sostenibilità». Tuttavia, è importante stabilire in che modo tali concetti siano definiti e debbano essere misurati.

È inoltre essenziale che l'Unione sia pioniera in questo campo, definendo e utilizzando nuovi indicatori economici e sociali in grado di misurare la crescita e la sua evoluzione nel tempo (2).

2.   I progressi compiuti dall'Unione europea

La Commissione fa naturalmente un bilancio positivo delle azioni condotte dall'UE per quanto concerne il miglioramento delle condizioni generali, il sostegno a favore di una più ampia adozione dei prodotti e servizi innovativi sul mercato, la creazione di sinergie e gli aspetti finanziari. È opportuno sottolineare che il testo della Commissione è essenzialmente incentrato sulle innovazioni tecnologiche.

Il termine «politica comunitaria», utilizzato quando si parla di innovazione, risulta piuttosto eccessivo in quanto, come dimostra il bilancio presentato nella comunicazione, si tratta più che altro di un insieme di misure e di azioni coordinate. L'UE in effetti non ha competenze giuridiche proprie in materia (competenze di sostegno).

2.1   Migliorare il contesto generale

2.1.1   Talune misure adottate dall'UE hanno avuto un impatto positivo reale: si pensi ad esempio alla revisione delle norme sugli aiuti di Stato, che ha favorito gli eco-investimenti e gli investimenti nella ricerca e sviluppo, oppure alla fusione delle reti degli Eurosportelli e dei Centri di collegamento dell'innovazione nel quadro della rete Impresa Europa. L'adozione dello Small Business Act europeo ha suscitato diverse speranze, alle quali però fino ad oggi non hanno fatto seguito realizzazioni concrete sufficienti e visibili per le PMI (3). Si potrebbe inoltre citare la comunicazione Nuove competenze per nuovi lavori, che, pur andando nella giusta direzione, resta per il momento senza alcuna possibilità di attuazione.

2.1.2   La mancanza di una decisione a proposito del brevetto comunitario è invece una chiara ammissione dell'incapacità, da parte del Consiglio europeo, di prendere al riguardo le misure necessarie destinate ad avere un impatto diretto sull'innovazione, come dimostrano la costante diminuzione della percentuale dei brevetti depositati in Europa rispetto al resto del mondo, ma anche i costi nettamente più elevati per gli europei. Per tale motivo, l'UE soffre di una mancanza di protezione che penalizza le imprese, e in modo particolare le PMI.

2.1.3   Le politiche e gli strumenti proposti dalla Commissione europea sono finora concentrati principalmente sulle fasi necessarie a monte dell'innovazione e sui grandi centri pubblici e privati di ricerca. Tutto ciò dovrebbe essere integrato da misure e strumenti aggiuntivi, come ad esempio processi di standardizzazione, che si concentrino maggiormente e sistematicamente sui successivi processi innovativi di applicazione.

2.1.4   In linea di massima, le amministrazioni, soprattutto quelle locali, possono essere una fonte di innovazione in tutti i settori.

2.1.4.1   Per quanto concerne gli appalti pubblici, i committenti troppo spesso privilegiano le offerte economicamente più vantaggiose, a scapito della qualità delle proposte. È invece possibile favorire l'innovazione orientando le commesse pubbliche e migliorare in tal modo la qualità dei servizi ai cittadini (4).

2.2   Realizzare le politiche d'innovazione

2.2.1   Nella comunicazione si sottolinea l'aumento delle possibilità di finanziamento a titolo del bilancio europeo nel quadro delle prospettive finanziarie 2007-2013.

2.2.1.1   In realtà tale aumento non risulta visibile a causa della lentezza e della complessità delle procedure, specie per quanto concerne il Settimo programma quadro di ricerca e sviluppo (PQRS). Lo stesso vale per i fondi strutturali dell'UE, nel cui caso l'estrema burocrazia delle procedure e la scarsa visibilità dovuta alla dispersione degli aiuti e alla regola dell'addizionalità impediscono che i fondi stessi possano essere utilizzati per ottenere un vero e proprio effetto leva sull'innovazione.

2.2.1.2   La prossima revisione del Regolamento finanziario deve essere l'occasione per semplificare, concentrare e ridefinire le norme in materia di partecipazione, ammissibilità e rendicontazione.

2.2.2   Questa osservazione vale anche per gli strumenti finanziari della Banca europea per gli investimenti (BEI), la quale in genere agisce tramite intermediari che applicano le loro proprie condizioni. Gli sforzi condotti dalla BEI e dalla Commissione per favorire il finanziamento delle PMI innovative sono notevoli, ma i loro effetti non sono visibili. Il mercato europeo dei finanziamenti resta frammentato e poco favorevole alle PMI innovative non tecnologiche. Sul piano nazionale, è necessario incoraggiare le banche ad assumersi maggiori rischi nel finanziare le PMI.

2.2.3   Il nuovo Programma quadro per la competitività e l'innovazione (CIP) aveva come obiettivo quello di riunire misure e programmi già esistenti ma frammentati. Le attività, in realtà, restano compartimentate in diversi sottoprogrammi, di cui non è stata dimostrata la coerenza. Inoltre, il CIP dispone di un bilancio di 3,6 miliardi di euro per 7 anni, il che risulta insufficiente considerando le poste in gioco per l'Unione europea.

2.2.4   I programmi europei hanno difficoltà a raggiungere i loro stessi obiettivi, soprattutto per quanto concerne la partecipazione del settore privato, e delle PMI in particolare. I fondi disponibili vengono assegnati in via prioritaria alle istituzioni pubbliche, a scapito del settore privato. La buona gestione dei fondi pubblici concessi alla ricerca e all'innovazione e l'impatto effettivo di tali investimenti sull'economia europea rappresentano preoccupazioni fondamentali per il Comitato economico e sociale europeo (CESE).

2.2.5   Il coordinamento tra i programmi comunitari e quelli nazionali non è efficace. Ad esempio, non esiste una programmazione comune tra Stati membri e UE che consenta di non confondere l'addizionalità con la complementarità.

2.3   Costruire sinergie

2.3.1   L'esistenza di programmi nazionali di riforma nel quadro della strategia di Lisbona offre agli Stati membri un quadro di riferimento in materia di innovazione. Tuttavia, l'impatto e l'efficacia di tali programmi sono indeboliti dall'eterogeneità degli approcci e dalla limitata partecipazione delle parti sociali e degli altri soggetti della società civile alla loro definizione e attuazione.

2.3.2   Lo Spazio europeo della ricerca è stato creato per promuovere la coerenza del sistema e le sinergie con gli Stati membri. Per il CESE, questo punto merita davvero di essere prioritario in futuro e di godere di un maggiore impegno.

2.3.2.1   Ad esempio, l'Istituto europeo di innovazione e tecnologia (IET), com'è concepito attualmente, non può svolgere la sua missione primaria di far dialogare il settore della ricerca, le imprese e il mondo dell'istruzione. Dotato di mezzi relativamente scarsi (2,8 miliardi di euro dal 2008 al 2013) (5), esso resta uno strumento virtuale, poco accessibile alle imprese che non hanno dimestichezza con i programmi europei.

2.3.3   In base al più recente quadro di valutazione sull'innovazione (6), i paesi più avanzati in questo campo hanno dei punti in comune: spese notevoli nel settore dell'istruzione e della formazione permanente, spese altrettanto considerevoli nel campo della ricerca e dello sviluppo e negli strumenti di sostegno all'innovazione. Si potrebbe aggiungere una buona esperienza in materia di dialogo sociale e dialogo civile.

Bisogna trovare migliori sinergie per far sì che queste buone pratiche si diffondano in tutta Europa e per promuovere più apertamente la convergenza tra UE e Stati membri su decisioni politiche comuni e coordinate a favore di questi fattori chiave di successo.

2.3.4   Le sinergie devono riguardare anche i soggetti della società civile e i partenariati pubblici/privati.

Attualmente, ad esempio, i cluster (raggruppamenti di imprese) permettono alle università e agli istituti di ricerca di collaborare efficacemente con le imprese all'interno di strutture che godono di investimenti pubblici e privati. L'esperienza dei cluster è positiva sul piano nazionale, ma l'UE non può sfruttarne i benefici data l'assenza di una politica di sostegno comunitario. L'UE dovrebbe adottare iniziative a favore di una «europeizzazione» dei cluster, iniziative che consentano di dare maggiore professionalità alla loro gestione, di renderli internazionali e di ottimizzarne il funzionamento e il finanziamento.

2.3.5   Occorre privilegiare le sinergie tra le priorità stabilite nei diversi programmi europei di sostegno all'innovazione tenendo conto delle sfide sociali: spesso infatti si ritrovano le stesse priorità in programmi diversi, privi di collegamenti fra loro.

3.   Le raccomandazioni del CESE

Il CESE approva l'elaborazione di una strategia europea ambiziosa in materia d'innovazione, che proponga una visione più ampia e maggiormente integrata.

3.1   Principi di base

L'innovazione va intesa in senso lato, sia per i beni e servizi sul mercato sia per il settore non commerciale e l'ambito sociale o umano,

il Trattato di Lisbona estende il campo d'applicazione delle politiche comunitarie nei settori favorevoli all'innovazione: politica commerciale, energetica, spaziale, turistica, culturale, sanitaria, ecc.,

l'innovazione è per sua natura interdisciplinare e trasversale e tali dovrebbero essere anche la strategia e i mezzi per la sua attuazione,

l'innovazione deve essere compatibile con i principi e i valori dell'Unione. Un'innovazione può infatti essere «buona» a livello tecnologico ma avere effetti indesiderati sull'ambiente o la coesione sociale,

è necessario familiarizzare i cittadini con le nuove tecnologie coinvolgendoli nel dibattito pubblico (OGM, energia nucleare, ecc.),

lo sviluppo delle tecnologie fondamentali (7) (nanotecnologie, micro e nanoelettronica, fotonica, materiali avanzati, biotecnologie, tecnologie dell'informazione e scienza della simulazione) deve essere sostenuto in maniera mirata e tenendo conto del loro carattere interdisciplinare. Occorre tuttavia fare in modo che i programmi europei di ricerca presentino un capitolo sulla valorizzazione interdisciplinare e che le applicazioni delle tecnologie fondamentali possano essere sfruttate nei settori tradizionali,

le priorità vanno definite tenendo conto degli obiettivi dell'UE a favore della collettività (sanità, ambiente, energia …),

la strategia europea dell'innovazione deve basarsi sulle sinergie e sui partenariati con i soggetti del settore privato e della società civile,

le PMI devono essere al centro del futuro programma europeo in materia d'innovazione. È opportuno favorire tutte le misure quadro, tutti i programmi e tutte le disposizioni che agevolano l'innovazione nelle PMI.

3.2   Proposte

3.2.1   Nell'ambito del gruppo di studio, il 14 gennaio 2009 il CESE ha organizzato un'audizione pubblica presso l'Istituto di prospettiva tecnologica di Siviglia. L'audizione, alla quale hanno preso parte rappresentanti dell'Istituto e soggetti locali che operano a favore dell'innovazione, ha consentito di elaborare proposte concrete.

3.2.2   Qualsiasi politica deve poter contare su indicatori adeguati e buoni strumenti di analisi. Oggi l'UE dispone di diversi strumenti di questo tipo: l'European Innovation Scoreboard, l'INNO-Policy Trendchart, l'European Cluster Observatory, l'Innobarometro, il Sectoral Innovation Watch e l'EU Industrial R&D Investment Scoreboard. Per motivi di coerenza, il CESE raccomanda di creare un unico «Osservatorio europeo dell'innovazione» che riunisca gli strumenti esistenti dando loro coerenza e maggiore visibilità. Inoltre, la valutazione ha senso solo se i risultati vengono raffrontati a degli obiettivi: il futuro piano europeo dovrà quindi essere accompagnato da obiettivi chiari in termini di indicatori quantitativi. L'osservatorio dovrà essere in grado di operare in modo trasparente e autonomo, basandosi su obiettivi e indicatori chiari, al fine di garantire una valutazione obiettiva delle politiche.

3.2.3   La ricerca di base prepara il terreno indispensabile alle innovazioni del futuro. Pertanto il CESE è favorevole ad un aumento dei bilanci europei a favore di questo tipo di ricerca, soprattutto per quanto riguarda il prossimo Programma quadro di ricerca e sviluppo dell'UE (PQRS), a condizione tuttavia di definirne le priorità (adeguandole alle sfide della società) e di creare un effetto leva con i programmi nazionali e il settore privato.

3.2.3.1   Il CESE propone inoltre di esaminare nuovi approcci per favorire la partecipazione delle PMI ai programmi comunitari, ad esempio il concetto di partenariato responsabile. Si tratta di semplificare, sulla base di una carta comune, le formalità amministrative (audit, rendicontazione).

3.2.4   Lo sviluppo di partenariati tra gli istituti d'insegnamento e di ricerca (in particolar modo le università) e gli operatori socioeconomici è anch'esso un mezzo adeguato per sviluppare una sinergia positiva a favore dell'innovazione non solo nelle imprese ma anche nel campo dell'istruzione (8).

3.2.4.1   L'IET dovrebbe diventare un «leader» della rete di strutture esistenti al fine di favorire la diffusione delle nuove tecnologie in tutti i settori. A lungo termine, l'IET dovrebbe permettere di finanziare investimenti in infrastrutture d'importanza europea, all'interno delle quali convergerebbero le politiche di ricerca, d'istruzione e d'innovazione.

3.2.4.2   Vanno inoltre incoraggiati i programmi che favoriscono la mobilità dei ricercatori, non solo tra gli Stati membri, ma anche tra il settore privato e quello pubblico; l'esempio del dottorato industriale danese, che consente agli ingegneri di un'impresa di preparare un dottorato universitario seguendo in particolare dei corsi in un altro Stato membro (9) è una buona pratica che merita di essere sperimentata su scala europea.

3.2.5   Gli strumenti che consentono di eliminare la compartimentazione delle attività di sostegno all'innovazione condotte dall'UE e dagli Stati membri dovrebbero, secondo il CESE, diventare elementi prioritari del futuro programma. In questo senso, occorre potenziare le reti di prossimità, che costituiscono un ponte tra il livello europeo e quello locale, facendo incontrare idee e progetti. Il CESE raccomanda la creazione di piattaforme europee di partenariato che siano aperte ai soggetti della società civile. La rete Enterprise Europe Network, che è l'operatore locale al servizio delle imprese, potrebbe costituire la base di tale piattaforma.

3.2.6   Il miglioramento dell'accesso ai finanziamenti è fondamentale, in particolar modo per lo sviluppo delle PMI innovative e delle start-up. Il ruolo della BEI deve essere potenziato, estendendo in particolare il meccanismo di finanziamento basato sulla condivisione dei rischi. Occorre inoltre creare un mercato europeo del capitale di rischio.

3.2.6.1   Il CESE raccomanda altresì di adottare misure specifiche nel quadro dello Small Business Act, ad esempio la promozione di un «secondo mercato borsistico» europeo nonché incentivi fiscali per gli investimenti dei privati nell'innovazione, e infine il coinvolgimento dei lavoratori.

3.2.7   Il Comitato osserva che in numerosi paesi l'innovazione e l'imprenditorialità non godono più come prima del favore dei giovani. Risulta dunque necessario promuovere la creatività e lo spirito d'iniziativa nei programmi d'insegnamento.

3.2.7.1   Basandosi sull'esperienza maturata con le ambasciatrici dell'imprenditorialità femminile, il CESE propone di sviluppare, con il sostegno delle istituzioni europee, una rete di ambasciatori dei giovani imprenditori.

3.2.8   Una migliore utilizzazione dei fondi strutturali è indispensabile per favorire l'innovazione nei paesi oggetto della politica di coesione. Si tratta, in particolare, di orientare meglio le azioni e di evitare il principio obbligatorio dell'addizionalità, il quale costituisce una fonte di ritardi e di mancanza di visibilità. Il CESE sottolinea le potenzialità dell'innovazione in campo sociale presso i soggetti della società civile, un tipo d'innovazione totalmente ignorato sinora dai programmi strutturali e dai programmi d'istruzione.

3.2.9   Anche la politica europea in materia di concorrenza (aiuti di Stato, cooperazione tra le imprese) deve essere orientata in modo tale da garantire un maggiore sostegno alla valorizzazione dell'innovazione e ai trasferimenti di tecnologie. Settori particolari quali l'edilizia abitativa o le infrastrutture e i mezzi di trasporto dovrebbero in tale contesto formare oggetto di un'attenzione specifica, dato il ruolo che svolgono nell'ambito dei cambiamenti climatici.

3.2.10   Con il Trattato di Lisbona, l'UE rafforza le proprie competenze in materia di politica commerciale e di cooperazione con i paesi terzi: le condizioni sono quindi propizie per definire una politica europea degli scambi scientifici e tecnici coordinata con le politiche nazionali. Una particolare attenzione va rivolta agli scambi e alla cooperazione con i paesi limitrofi dell'UE.

4.   Conclusioni

4.1   Più che dalle risorse finanziarie che le verranno assegnate, il successo della strategia in esame dipenderà dalla reale volontà politica della Commissione europea e degli Stati membri di garantire l'attuazione della strategia, la qualità dei partenariati, in particolare con la società civile, e la creazione di un dialogo con i cittadini. Il CESE chiede pertanto al Consiglio europeo e alla Commissione di presentare un programma d'azione a favore dell'innovazione che sia la chiave di volta di una strategia per la crescita e l'occupazione in Europa (UE 2020).

4.2   Il futuro programma europeo a favore dell'innovazione dovrebbe essere affiancato da un vero e proprio piano d'azione, corredato da un calendario per la sua attuazione e da un monitoraggio dei progressi effettuati. A tale proposito, la forma giuridica di tale piano (raccomandazione, «atto» o qualsiasi altra forma) è una questione secondaria: saranno il suo contenuto e gli impegni precisi per la sua attuazione, quantificati e scadenzati nel tempo, a determinarne l'efficacia.

4.3   L'obiettivo della strategia deve essere quello di attuare una vera e propria politica «comunitaria» per il rilancio dell'economia europea.

Bruxelles, 17 marzo 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Richard Nedis & Ethan Byler, Creating a National Innovation Framework, Science Progress, aprile 2009.

(2)  Come raccomanda la Commissione nella sua relazione (www.steglitz-sen-fitoussi.fr) sulla portata dei risultati economici e del progresso sociale, tali indicatori devono andare oltre la semplice misurazione del PIL e tener conto di altre valutazioni più specifiche e differenziate, riguardanti ad esempio il reddito disponibile, l'istruzione, l'ambiente o la distribuzione della ricchezza.

(3)  GU C 182 del 4.8.2009, pag. 30.

(4)  Un primo passo è stato compiuto nel quadro dell'iniziativa Mercati guida (ravvicinamento dei committenti per favorire l'assegnazione di appalti pubblici ad imprese innovative). L'iniziativa è appena stata avviata (settembre 2009) e dunque i risultati devono ancora essere valutati in modo specifico.

(5)  Per fare un confronto, il bilancio operativo annuale del Massachusetts Institute of Technology (MIT) è di 2,4 miliardi di dollari.

(6)  European Innovation Scoreboard - Pro Inno Europe.

(7)  Cfr. la comunicazione della Commissione europea Preparare il nostro futuro: elaborare una strategia comune per le tecnologie abilitanti fondamentali nell'UE, COM(2009) 512 def.

(8)  GU C 228 del 22.9.2009, pag. 9.

(9)  Grazie ai finanziamenti da parte delle borse europee Marie Curie.


28.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 354/85


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica delle direttive 98/26/CE, 2002/87/CE, 2003/6/CE, 2003/41/CE, 2003/71/CE, 2004/39/CE, 2004/109/CE, 2005/60/CE, 2006/48/CE, 2006/49/CE e 2009/65/CE per quanto riguarda i poteri dell'Autorità bancaria europea, dell'Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali e dell'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati

COM(2009) 576 def. — 2009/0161 (COD)

2010/C 354/20

Relatore unico: ROBYNS DE SCHNEIDAUER

Il Consiglio, in data 25 novembre 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica delle direttive 98/26/CE, 2002/87/CE, 2003/6/CE, 2003/41/CE, 2003/71/CE, 2004/39/CE, 2004/109/CE, 2005/60/CE, 2006/48/CE, 2006/49/CE e 2009/65/CE per quanto riguarda i poteri dell'Autorità bancaria europea, dell'Autorità europea delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali e dell'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati

COM(2009) 576 def. — 2009/0161 (COD).

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il parere in data 3 marzo 2010.

Alla sua 461a sessione plenaria, dei giorni 17 e 18 marzo 2010 (seduta del 18 marzo 2010), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 115 voti favorevoli, nessun voto contrario e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Secondo il Comitato economico e sociale europeo (CESE), l'esperienza della crisi finanziaria ha evidenziato la necessità di procedere con urgenza a una profonda riforma del sistema di vigilanza, che abbia come obiettivo la prevenzione non solo dei fenomeni isolati ma anche delle crisi di più ampia portata, e la resistenza ai relativi shock. Tale riforma deve però basarsi su principi definiti a livello comunitario, e oltre a ciò sull'interazione tra un regime comunitario solido e i regimi di vigilanza dei paesi terzi.

1.2

Il CESE deplora il fatto che a causa di un'imperfetta armonizzazione delle condizioni di accesso ai mercati e dei requisiti prudenziali non sia ancora possibile impedire il verificarsi di arbitraggi regolamentari e di distorsioni della concorrenza. L'allineamento di questi requisiti su criteri quali la solidità, il controllo dei rischi degli attori finanziari e la qualità delle informazioni fornite al pubblico costituisce un presupposto indispensabile per garantire una comunità di interessi nell'ambito dello spazio economico europeo. Questo movimento deve essere accompagnato dall'attenzione costante rivolta alle qualificazioni dei controllori sulla base di una collaborazione reciproca.

1.3

Il CESE sostiene quindi i lavori intrapresi dalla Commissione per dotare le autorità di vigilanza settoriali di poteri che permettono loro di definire standard tecnici comuni e risolvere eventuali controversie tra autorità nazionali. Approva l'evoluzione, nelle relazioni tra autorità di vigilanza, verso un sistema di risoluzione collegiale delle controversie relative a pratiche che riguardano materie in cui esistono già procedure decisionali comuni. Concorda con la Commissione in merito all'opportunità di operare una distinzione netta tra gli aspetti tecnici e quelli di natura politica, che rientrano invece tra le competenze delle istituzioni europee investite di un mandato politico.

1.4

Il CESE invita la Commissione ad adottare obiettivi ambiziosi nei lavori previsti nel suo programma per completare le modifiche intraprese nell'ambito degli standard tecnici applicabili al settore dei valori mobiliari e delle direttive attese nel settore delle assicurazioni e delle pensioni aziendali e professionali.

2.   Contesto

2.1

Il 26 ottobre 2009, la Commissione europea ha presentato una proposta di direttiva (Omnibus I) recante modifica di una serie di direttive riguardanti attività afferenti al settore dei servizi finanziari. Tali direttive riguardano in particolare i seguenti aspetti: requisiti patrimoniali, conglomerati finanziari, enti pensionistici aziendali o professionali, abusi di mercato, mercati degli strumenti finanziari, prospetto, carattere definitivo del regolamento, trasparenza, norme antiriciclaggio, organismi d'investimento collettivo in valori mobiliari.

2.2

La Commissione si prefigge di garantire la tutela dei consumatori, la stabilità finanziaria e il miglioramento del mercato unico, obiettivi questi che i regimi di vigilanza nazionali, anche se in parte armonizzati, non consentono di realizzare.

2.3

Per conseguire questi obiettivi occorre quindi definire l'ampiezza dei poteri previsti nei regolamenti di istituzione delle autorità derivanti dalla trasformazione degli attuali comitati di vigilanza europei. La proposta di direttiva di modifica permette di apportare i cambiamenti necessari ai testi esistenti, tenendo conto della necessità di assicurare un insieme più armonizzato di norme finanziarie.

2.4

La proposta è inoltre in piena sintonia con la politica sviluppata dalla Commissione in seguito all'analisi delle conclusioni formulate nella relazione del gruppo di esperti ad alto livello, presieduto da Jacques de Larosière, per istituire un sistema di vigilanza europeo più efficace, integrato e sostenibile. Secondo la comunicazione della Commissione del maggio 2009, tale sistema dovrebbe comprendere i) un Comitato europeo per il rischio sistemico (ESRB), incaricato della vigilanza macroeconomica e del controllo dei rischi per la stabilità finanziaria e ii) un Sistema europeo delle autorità di vigilanza finanziaria (ESFS) composto da una rete di autorità nazionali di vigilanza finanziaria che lavorino in tandem con nuove autorità di vigilanza europee.

2.5

Queste nuove autorità verrebbero create sostituendo i tre attuali comitati di vigilanza europei, che occupano il livello 3 nell'architettura del processo decisionale che prende il nome dal professor Lamfalussy, competenti rispettivamente in materia di attività bancarie, assicurazioni e pensioni aziendali o professionali e strumenti finanziari e dei mercati.

2.6

Per dotare l'Europa di un insieme più armonizzato di norme finanziarie, la Commissione, nella comunicazione del maggio 2009, intitolata Vigilanza finanziaria europea  (1), si prefiggeva l'obiettivo di permettere alle autorità di elaborare progetti di standard tecnici e di favorire lo scambio di informazioni microprudenziali.

2.7

La presente proposta dà seguito alla comunicazione del 2009, operando in tre direzioni principali. Essa definisce in primo luogo il campo di applicazione degli standard propriamente tecnici (strumenti, metodi, statistiche, formulari, ecc.) che dovranno essere successivamente adottati dalla Commissione e che sono destinati a garantire una convergenza della vigilanza verso una maggiore uniformità.

2.8

In secondo luogo, consente alle autorità di risolvere le controversie tra autorità nazionali riguardanti situazioni nelle quali è richiesta la cooperazione, secondo il principio in base al quale l'interesse nazionale si accorda con l'interesse comune, e la conciliazione precede un'eventuale decisione vincolante.

2.9

Infine, la proposta istituisce canali idonei per lo scambio di informazioni, che permettono di definire una dottrina comune senza alcun ostacolo di natura giuridica, in particolare nelle relazioni tra autorità nazionali e nuove autorità europee.

2.10

Le autorità di vigilanza europee avrebbero la facoltà di trattare con le autorità di vigilanza dei paesi terzi, di pubblicare pareri, in particolare sulle valutazioni prudenziali di concentrazioni e acquisizioni transfrontaliere e, infine, di elaborare gli elenchi degli operatori finanziari autorizzati della Comunità.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il presente parere del CESE si inquadra nella serie di pareri adottati a seguito della crisi finanziaria del 2007-2008, che comprendono in particolare quelli sulla relazione del gruppo de Larosière (2) e sulla vigilanza macro e microprudenziale. Benché le principali cause immediate di questa crisi possano essere attribuite alle derive del sistema finanziario degli Stati Uniti, essa ha altresì mostrato che esistono delle lacune nei regimi di vigilanza europei e che questi differiscono tra loro in maniera significativa. Il CESE tuttavia si rammarica che né le crisi né gli incidenti verificatisi in precedenza (in particolare il caso Equitable Life) siano stati sufficienti per avviare più celermente le riforme necessarie.

3.2

Le vicissitudini dei clienti di istituti che hanno sviluppato attività transfrontaliere sono infatti tali da compromettere la fiducia dei consumatori nel mercato unico.

3.3

Le nuove autorità dovrebbero essere dotate di strutture di consultazione degli ambienti professionali interessati, delle organizzazioni sindacali, dei consumatori di servizi finanziari e dovrebbero mantenere un dialogo con il CESE nella sua qualità di rappresentante della società civile.

3.4

Il CESE sottolinea la natura tecnica delle tre nuove autorità. Il loro status di organi autonomi deve restare subordinato alle competenze politiche della Commissione e del Parlamento europeo.

3.5

Il CESE osserva che le istituzioni finanziarie che operano in più Stati membri dovrebbero trarre vantaggio da una maggiore uniformità nelle pratiche di vigilanza. Inoltre è particolarmente consapevole del fatto che il regime proposto non comporta di per sé nuovi vincoli per gli attori finanziari, i cui costi vengono trasferiti sugli utenti, fatta eccezione per le conseguenze dell'adeguamento delle pratiche degli Stati che hanno beneficiato di arbitraggi regolamentari e di distorsioni della concorrenza.

3.6

Il CESE approva l'inclusione dei principi del «legiferare meglio» nel dispositivo proposto, attraverso consultazioni pubbliche e valutazioni d'impatto, fin dalla fase di elaborazione delle misure. Analogamente esprime apprezzamento per i principi di flessibilità e di necessità che intende promuovere la Commissione.

3.7

Per quanto riguarda il carattere collegiale delle tre nuove autorità, il Comitato si pronuncia a favore di un equilibrio tra le diverse autorità nazionali in caso di controversia. Secondo il criterio di collegialità quindi le autorità nazionali adottano decisioni comuni senza privilegiare la dimensione dei mercati o la presenza di operatori al di fuori del loro Stato di origine.

Bruxelles, 18 marzo 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  COM(2009) 252 def.

(2)  GU C 318 del 23.12.2009, pag. 57.


28.12.2010   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 354/88


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 708/2007 relativo all'impiego in acquacoltura di specie esotiche e di specie localmente assenti

COM(2009) 541 def. — 2009/0153 (CNS)

2010/C 354/21

Relatore: Valerio SALVATORE

Il Consiglio, in data 11 novembre 2009, e il Parlamento europeo, in data 5 marzo 2010, hanno deciso, rispettivamente ai sensi dell'articolo 37 del Trattato che istituisce la Comunità europea e dell'articolo 43, paragrafo 2, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 708/2007 relativo all'impiego in acquacoltura di specie esotiche e di specie localmente assenti

COM(2009) 541 def. — 2009/0153 (CNS).

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 25 febbraio 2010.

Alla sua 461a sessione plenaria, dei giorni 17 e 18 marzo 2010 (seduta del 17 marzo 2010), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 130 voti favorevoli, nessun voto contrario e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) condivide le modifiche apportate al regolamento (CE) n. 708/2007, relativo all'impiego in acquacoltura di specie esotiche e di specie localmente assenti, a seguito delle nuove acquisizioni in campo scientifico, comprese le risultanze dell'azione concertata del VI programma quadro Impasse.

1.2

È comune l'auspicio di perseguire il doppio obiettivo in esso indicato: ridurre al minimo il grado di rischio connesso con l'allevamento di specie esotiche e localmente assenti, e alleviare gli operatori del settore da defatiganti pratiche amministrative. L'aggravio burocratico consiste nelle autorizzazioni nazionali, necessarie per gli impianti di acquacoltura che allevano specie esotiche e localmente assenti.

1.3

A tale fine la garanzia della biosicurezza degli impianti è di primaria importanza. Essa richiede l'adozione di opportune misure: a) durante il trasporto, b) con l'applicazione di protocolli chiaramente definiti negli impianti di acquacoltura riceventi e c) con il rispetto di adeguate procedure fino all'immissione al consumo dei prodotti ittici.

1.4

In tale contesto, la nuova definizione di impianti di acquacoltura chiusi risulta ben articolata e coerente con quanto emerso del progetto Impasse, tuttavia il linguaggio squisitamente tecnico adottato potrebbe indurre a interpretazioni non sempre corrette. Onde prevenire possibili ambiguità in fase applicativa, andrebbe aggiunto al nuovo regolamento un chiaro riferimento alla circostanza che gli impianti di acquacoltura chiusi vanno considerati tali se essi sono localizzati sulla terraferma.

1.5

Il nuovo regolamento stabilisce inoltre che gli impianti di acquacoltura chiusi devono impedire la dispersione delle specie alloctone elevate o del materiale biologico nelle acque aperte a causa di inondazioni. A tale scopo andrebbe definita una distanza di sicurezza dei suddetti impianti dalle acque aperte, in base alla tipologia, ubicazione e conformazione del sito dell'impianto.

1.6

Analogamente, stabilito che l'acqua non è l'unico mezzo di rischio di fuga, vanno garantiti tutti i sistemi di protezione degli allevamenti chiusi dall'azione di predatori in grado di diffondere le specie allevate.

1.7

Si condivide infine l'assunto per cui non vanno considerati routinari i movimenti da un impianto di acquacoltura chiuso ad un impianto di acquacoltura aperto. A tale proposito si suggerisce di aggiungere l'auspicio che gli impianti di acquacoltura chiusi vadano gestiti ed amministrati in modo separato dagli allevamenti in sistemi aperti, quando il ciclo produttivo lo consente, al fine di minimizzare ogni eventuale rischio di contaminazioni degli ecosistemi acquatici.

2.   Introduzione

2.1

A fronte di una crescente domanda di proteine da prodotti ittici e di un declino del pescato per un eccessivo sfruttamento dei mari e delle acque interne, l'acquacoltura può offrire un contributo positivo per soddisfare la crescente domanda di tali alimenti. Infatti nelle ultime tre decadi si è registrata a livello mondiale una crescita annua dell'11 % nelle produzioni da acquacoltura (Naylor & M. Burke, 2005) (1).

2.2

In tale scenario l'introduzione e l'allevamento di specie esotiche e di specie localmente assenti in Europa è fortemente sostenuto da interessi economici e commerciali, interessi che, però, devono contemperarsi con gli obiettivi di salvaguardia degli ecosistemi, potenzialmente vulnerabili per il non corretto esercizio di tali attività.

2.3

L'introduzione di specie esotiche è, infatti, uno dei principali fattori di disturbo causati dall'uomo agli ecosistemi acquatici ed è la seconda causa, subito dopo la distruzione degli habitat, della perdita di biodiversità a livello mondiale. In tutti gli ecosistemi esiste un delicato equilibrio, frutto di un lento processo evolutivo, grazie al quale ogni organismo interagisce con il proprio ambiente, stabilendo una serie di relazioni con lo spazio che occupa e con gli altri organismi presenti. In tale situazione ogni organismo svolge un ruolo ben preciso e occupa una ben definita nicchia ecologica. Di interesse sono anche gli effetti dei cambiamenti climatici sulla migrazione delle specie ittiche nei diversi ambienti acquatici.

2.4

Quando una specie esotica entra a far parte di una nuova comunità, interagisce con le specie preesistenti e in tal modo può alterare in maniera imprevedibile gli equilibri precedentemente raggiunti. I nuovi inquilini possono predare e competere con le specie indigene per il cibo e per lo spazio, possono portare nuovi parassiti ed altri agenti patogeni provenienti dai loro paesi d'origine o ibridarsi con le specie autoctone.

2.5

Da qui l'esigenza di definire le principali caratteristiche degli impianti di acquacoltura chiusi: l'esistenza di una barriera fisica tra organismi selvatici e allevati, il trattamento dei rifiuti solidi, il corretto smaltimento degli organismi morti, il controllo e il trattamento dell'acqua entrante e uscente.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il rischio di fuga delle specie esotiche e localmente assenti dagli impianti di allevamento aumenta progressivamente col diminuire dei sistemi di controllo. I sistemi chiusi, in cui l'acquacoltura è confinata all'interno di strutture sicure, protette da barriere fisiche e chimiche, minimizzano il rischio di fuga, mentre i sistemi di allevamento estensivi aperti offrono il minor livello di sicurezza, favorendo talvolta, in modo anche inconsapevole, la diffusione delle specie importate negli ambienti naturali.

3.2

Si stima che circa il 20 % delle specie non autoctone sono allevate in sistemi aperti e meno del 10 % in sistemi chiusi intensivi, ma in alcuni casi (molluschi bivalvi), gli animali vivi sono temporaneamente traslocati anche a notevoli distanze per la fase di depurazione in impianti sia chiusi che aperti, con alti rischi di dispersione (Impasse) (2).

3.3

I sistemi chiusi esistenti utilizzano diverse tecnologie per la depurazione delle acque in entrata e in uscita, tutti comunque prevedono una separazione fisica tra gli allevamenti ittici e gli ecosistemi acquatici naturali. Tuttavia il rapido sviluppo di tali tecniche di allevamento e la evoluzione dei diversi sistemi di acquacoltura hanno spinto il Consiglio ad emanare il regolamento oggetto del presente parere.

3.4

Il regolamento (CE) n. 708/2007 del Consiglio ha istituito un quadro volto a disciplinare l'impiego in acquacoltura di specie esotiche e di specie localmente assenti al fine di valutare e ridurre al minimo l'eventuale impatto di tali specie sugli habitat acquatici. Il regolamento prevede un sistema di autorizzazioni che va definito a livello nazionale.

3.5

Tali autorizzazioni non sono richieste nel caso in cui gli impianti di acquacoltura chiusi garantiscono la biosicurezza degli allevamenti. La riduzione del rischio richiede l'adozione di opportune misure durante il trasporto, l'applicazione di protocolli chiaramente definiti negli impianti di acquacoltura riceventi e il rispetto di adeguate procedure fino all'immissione al consumo dei prodotti ittici.

3.6

La nuova definizione di impianti di acquacoltura chiusi recepisce in modo adeguato le risultanze dell'azione Impasse, tuttavia essa andrebbe integrata con un chiaro riferimento alla circostanza che gli impianti di acquacoltura chiusi vanno considerati tali se essi sono localizzati sulla terraferma.

3.7

L'obiettivo di impedire il passaggio di rifiuti solidi o di esemplari allevati o parti di essi nelle acque aperte, così come previsto dal nuovo regolamento, è pienamente condiviso. Tuttavia, in considerazione della forte evoluzione tecnologica nel settore della filtrazione e depurazione delle acque reflue, avendo sempre presente la priorità della sicurezza biologica, occorre tener conto che essa può realizzarsi mediante diversi sistemi: fisici, chimici, biologici, ovvero dalla combinazioni degli stessi.

4.   Osservazioni particolari

4.1

Per evitare ogni rischio di contaminazioni degli ecosistemi acquatici occorre definire misure adeguate di monitoraggio e controllo per la introduzione e il trasferimento di specie acquatiche esotiche o non presenti localmente. Ciò risulta possibile solo mediante la elaborazione, adozione e implementazione di codici internazionali di pratiche e procedure adeguati.

4.2

Stabilito che l'acqua non è l'unico mezzo di rischio di fuga, vanno garantiti tutti i sistemi di protezione degli allevamenti chiusi dall'azione di predatori, soprattutto uccelli, in grado di diffondere in natura gli animali allevati.

4.3

È poi auspicabile che gli impianti di acquacoltura chiusi vadano gestiti ed amministrati in modo separato dagli allevamenti in sistemi aperti, al fine di minimizzare ogni eventuale rischio di contaminazioni degli ecosistemi acquatici.

4.4

Si condivide la scelta di affidare agli Stati membri la responsabilità di aggiornare periodicamente sul sito web l'elenco degli impianti di acquacoltura chiusi ivi presenti, garantendo la massima pubblicità degli stessi, per responsabilizzare sia gli operatori che i diversi portatori di interessi locali sulla corretta gestione degli allevamenti.

Bruxelles, 17 marzo 2010

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Naylor, R. & M. Burke (2005). Aquaculture and Ocean Resources: Raising Tigers of the Sea. Annual Review of Environment and Resources.30:185-218.

(2)  Progetto Impasse n. 44142. D1.3. Deliverable 3.1. Review of risk assessment protocols associated with aquaculture, including the environmental, disease, genetic and economic issues of operations concerned with the introduction and translocation of species. (Gordon H. Copp, Esther Areikin, Abdellah Benabdelmouna, J. Robert Britton, Ian G. Cowx, Stephan Gollasch, Rodolphe E. Gozlan, Glyn Jones, Sylvie Lapègue, Paul J. Midtlyng, L. Miossec, Andy D. Nunn, Anna Occhipinti Ambrogi, S. Olenin, Edmund Peeler, Ian C. Russell, Dario Savini). - 2008 - (pag. 14).