ISSN 1725-2466

doi:10.3000/17252466.C_2009.318.ita

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 318

European flag  

Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

52o anno
23 dicembre 2009


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

456a sessione plenaria del 30 settembre e 1o ottobre 2009

2009/C 318/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Come servirsi della flessicurezza ai fini delle ristrutturazioni, nel contesto dello sviluppo globale (parere esplorativo richiesto dalla presidenza svedese)

1

2009/C 318/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Cooperazione macroregionale — Estendere la strategia per il Mar Baltico ad altre macroregioni europee (parere esplorativo)

6

2009/C 318/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Come rendere la strategia UE in materia di danni derivanti dal consumo di alcol una strategia sostenibile, di lungo periodo e multisettoriale (parere esplorativo)

10

2009/C 318/04

Parere del Comitato economico e scoiale europeo sul tema Il legame tra la parità fra uomini e donne, la crescita economica e il tasso di occupazione (parere esplorativo)

15

2009/C 318/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Diversità delle forme d'impresa (parere d'iniziativa)

22

2009/C 318/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Prodotti alimentari del commercio equo e solidale: autoregolamentazione o legislazione? (parere d'iniziativa)

29

2009/C 318/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La dimensione nordica delle regioni svantaggiate (parere d'iniziativa)

35

2009/C 318/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Promuovere le politiche e i programmi a favore dell'efficienza energetica a livello degli utenti finali (parere d'iniziativa)

39

2009/C 318/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'impatto della crisi mondiale sui principali settori manifatturieri e dei servizi europei (parere d'iniziativa)

43

2009/C 318/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Lavoro e povertà: verso un approccio globale indispensabile (parere d’iniziativa)

52

2009/C 318/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La relazione del gruppo de Larosière (parere di iniziativa)

57

2009/C 318/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il futuro della PAC dopo il 2013 (supplemento di parere)

66

 

III   Atti preparatori

 

Comitato economico e sociale europeo

 

456a sessione plenaria del 30 settembre e 1o ottobre 2009

2009/C 318/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo — Verso una strategia europea in materia di giustizia elettronica — COM(2008) 329 def.

69

2009/C 318/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Medicinali sicuri, innovativi e accessibili: una nuova visione del settore farmaceutico — COM(2008) 666 def.

74

2009/C 318/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce uno strumento europeo di microfinanziamento per l'occupazione e l'integrazione sociale (strumento di microfinanziamento Progress) — COM(2009) 333 def. — 2009/0096 (COD)

80

2009/C 318/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della decisione n. 1672/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma comunitario per l'occupazione e la solidarietà sociale – Progress — COM(2009) 340 def. — 2009/0091 (COD)

84

2009/C 318/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce gli obblighi degli operatori che commercializzano legname e prodotti del legno — COM(2008) 644 def. — 2008/0198 (COD)

88

2009/C 318/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde — La gestione dei rifiuti organici biodegradabili nell'Unione europea — COM(2008) 811 def.

92

2009/C 318/19

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Un approccio comunitario alla prevenzione delle catastrofi naturali e di origine umana — COM(2009) 82 def.

97

2009/C 318/20

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde TEN-T: riesame della politica — Verso una migliore integrazione della rete transeuropea di trasporto al servizio della politica comune dei trasporti — COM(2009) 44 def.

101

2009/C 318/21

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — UE, Africa e Cina: verso un dialogo e una cooperazione trilaterali — COM(2008) 654 def.

106

2009/C 318/22

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Una strategia dell'Unione europea per investire nei giovani e conferire loro maggiori responsabilità — Un metodo aperto di coordinamento rinnovato per affrontare le sfide e le prospettive della gioventù — COM(2009) 200 def.

113

2009/C 318/23

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 998/2003 relativo alle condizioni di polizia sanitaria applicabili ai movimenti a carattere non commerciale di animali da compagnia — COM(2009) 268 def. — 2009/0077 (COD)

121

IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

456a sessione plenaria del 30 settembre e 1o ottobre 2009

23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Come servirsi della flessicurezza ai fini delle ristrutturazioni, nel contesto dello sviluppo globale (parere esplorativo richiesto dalla presidenza svedese)

2009/C 318/01

Relatore: Valerio SALVATORE

Correlatore: Enrique CALVET CHAMBON

Con lettera datata 18 dicembre 2008, Cecilia MALMSTRÖM, ministro svedese per gli Affari europei, ha chiesto, a nome dell'allora futura presidenza svedese, al Comitato economico e sociale europeo, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di elaborare un parere esplorativo sul tema:

«Come servirsi della flessicurezza ai fini delle ristrutturazioni, nel contesto dello sviluppo globale

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 settembre 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore SALVATORE e dal correlatore CALVET CHAMBON.

Alla sua 456a sessione plenaria, dei giorni 30 settembre e 1o ottobre 2009 (seduta del 1o ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 111 voti favorevoli, 0 voti contrari e 9 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

La Commissione ha definito la «flessicurezza» come una «strategia integrata volta a promuovere contemporaneamente la flessibilità e la sicurezza sul mercato del lavoro». In questo documento il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sottolinea gli aspetti della flessicurezza da esso ritenuti, in questo periodo di crisi, particolarmente importanti per mantenere sul mercato del lavoro il massimo numero possibile di persone, e per offrire a quelle che ne stanno fuori il massimo di opportunità per trovare al più presto una nuova occupazione. Datori di lavoro e lavoratori devono collaborare, nel quadro del dialogo sociale, per assicurare che il massimo numero possibile di lavoratori resti sul mercato del lavoro.

1.2

In questo periodo di profonda crisi e di forte crescita della disoccupazione, è più che mai necessario che la flessicurezza non venga interpretata come un insieme di misure studiate per rendere più facile il licenziamento dei lavoratori attualmente attivi, né per mettere a rischio la protezione sociale in generale e, più specificamente, quella a favore dei disoccupati. Il CESE ritiene che le misure intese a migliorare la componente «sicurezza» (nel senso più ampio) della flessicurezza siano, in questo momento, la priorità assoluta.

1.3

Già in precedenti pareri il CESE ha messo in risalto l'importanza della flessicurezza interna. La crisi recente ha evidenziato l'importanza delle misure in questo campo, che consentono alle imprese di adattarsi al forte declino del volume degli ordinativi senza essere costrette a licenziare i propri dipendenti. Le imprese che utilizzano dispositivi di recupero/prestazione delle ore di lavoro («crediti» o «banca delle ore») concordati dalle parti sociali sono più pronte a reagire alle nuove situazioni di mercato provocate dalla crisi rispetto alle imprese che non utilizzano questo strumento. Uno degli insegnamenti tratti dalla crisi è che il sistema di «crediti» e la gestione flessibile dell'orario di lavoro devono essere promossi dalle parti sociali. Il CESE ritiene necessario che questi strumenti siano resi quanto più possibile attraenti sia per le imprese che per i lavoratori.

1.4

La flessicurezza può funzionare soltanto se i lavoratori hanno una buona formazione professionale. La creazione di nuovi posti di lavoro è strettamente legata alle nuove competenze. Ci si aspetta che le imprese investano nella formazione permanente dei propri dipendenti. La formazione è però anche di responsabilità di ciascun lavoratore. La strategia Lisbona 2010 plus dovrà dare una risposta a tali problemi.

1.5

La crisi evidenzia l'importanza del dialogo sociale. Gli ultimi mesi hanno dimostrato il grande impegno delle parti sociali a trovare soluzioni congiunte a questi urgenti problemi. Il CESE propone alla presidenza svedese e alla Commissione europea di stabilire una piattaforma web, allo scopo di moltiplicare gli scambi di esperienze sulle iniziative delle parti sociali, sempre tenendo conto delle diverse situazioni nazionali, regionali e locali.

1.6

A livello europeo le parti sociali stanno attualmente negoziando un accordo quadro autonomo sui mercati del lavoro inclusivi. Il CESE ritiene che un accordo futuro potrà rappresentare un vero valore aggiunto per aiutare le persone più vulnerabili che hanno perso il lavoro a causa della crisi a rientrare sul mercato del lavoro. Il CESE nutre inoltre grandi aspettative nei confronti delle iniziative di monitoraggio e valutazione congiunti nel quadro dell'attuazione della flessicurezza, alle quali le parti sociali europee si sono impegnate nel loro programma di lavoro 2009-2010.

1.7

La grande rapidità e gravità della crisi economica hanno indotto molti datori di lavoro a ripensare agli anni del boom economico, quando scoprirono quanto fosse difficile trovare personale adeguatamente qualificato in quantità sufficiente. Adesso che guardano ad un futuro più lontano, in attesa della ripresa che certamente verrà, i datori di lavoro non stanno cedendo alla tentazione di una eliminazione avventata di troppi posti di lavoro, come invece farebbero se fossero spinti dal solo intento di realizzare risparmi a breve termine. Nessuna impresa, tuttavia, può ignorare le regole economiche di base. In ultima analisi, la preoccupazione principale di ciascuna impresa è quella di assicurarsi la sopravvivenza. Per i lavoratori interessati è essenziale rientrare sul mercato del lavoro non appena possibile: il CESE sottolinea la necessità di offrire loro un'assistenza rapida e di qualità. Gli Stati membri dal canto loro dovrebbero seriamente pensare a migliorare la quantità e la qualità del personale delle agenzie di collocamento, per aiutare le persone a rientrare quanto prima sul mercato del lavoro.

1.8

Tenuto conto delle specificità nazionali e regionali e delle differenze tra settori industriali, secondo gli auspici del CESE l'Unione dovrebbe proseguire i suoi lavori in una prospettiva europea e nel rispetto del principio di sussidiarietà. È così che sarà creato il quadro europeo necessario a garantire il rafforzamento di un modello sociale europeo attualmente in fase di passaggio da un modello teorico a una realtà imprescindibile (1). È necessario delineare un processo post Lisbona (Lisbona 2010 plus) per dare una risposta agli interrogativi irrisolti e a quelli che emergeranno durante la crisi, il cui superamento potrebbe richiedere parecchio tempo e molta fatica. A questo riguardo, la flessicurezza rivestirà certamente un ruolo importante. Il CESE ritiene necessario trovare, nell'applicazione della flessicurezza, un punto di equilibrio tra le sue diverse dimensioni.

1.9

Il CESE sottolinea che le riforme del mercato del lavoro negli Stati membri devono evitare che continui a crescere il numero di posti precari caratterizzati da un'eccessiva flessibilità a scapito della sicurezza, che negli ultimi anni è stato in costante aumento. Il CESE condivide l'inquietudine espressa dal Comitato delle regioni nel parere del 7 febbraio 2008 (2) sulla flessicurezza, nel quale viene manifestato il timore che il prevalere della flessibilità esterna possa «giustificare anche una forte deregolamentazione delle relazioni contrattuali normali, portando all'aumento dei contratti di lavoro precari».

2.   Contesto

2.1

La presidenza svedese ha invitato il CESE ad esprimersi in materia di «flessicurezza»: si tratta di un argomento sul quale esso si è già pronunciato (3), ma che si presenta adesso in un nuovo contesto. L'urgenza di un riesame di tale dispositivo nella prospettiva della crisi finanziaria è stata peraltro confermata nel corso di un'audizione organizzata a Stoccolma dalla presidenza svedese il 7 luglio 2009.

2.2

Il concetto di flessicurezza può essere interpretato secondo approcci diversi. Nella comunicazione COM(2007) 359 def., la Commissione l'ha definita come una «strategia integrata volta a promuovere contemporaneamente la flessibilità e la sicurezza sul mercato del lavoro» (4). Poiché questa definizione è stata utilizzata anche per le conclusioni del vertice straordinario di Praga tenutosi il 7 maggio 2009, anche il presente parere si basa su di essa.

2.3

Il CESE ribadisce che, in conformità al principio di sussidiarietà, le politiche del mercato del lavoro sono di competenza degli Stati membri. Qualsiasi tentativo di armonizzare le normative sul lavoro andrebbe contro questo principio e si rivelerebbe inopportuno, perché sarebbe pregiudizievole per le tradizioni e le strutture geografiche che hanno mostrato la loro pertinenza e solidità. Si dovrà inoltre tener conto del fatto che non tutti i sistemi economici degli Stati membri hanno lo stesso livello di sviluppo, cosa che si riflette nei rispettivi sistemi sociali. In tale contesto, il CESE ritiene che l'obiettivo dell'UE in materia dovrebbe essere il seguente:

promuovere la cooperazione tra gli Stati membri attraverso la strategia europea per l'occupazione, che è stata integrata nel meccanismo di guida per la strategia di Lisbona a partire dal 2005. L'orientamento n. 21 per le politiche a favore dell'occupazione recita che gli Stati membri si mettono d'accordo per promuovere la sicurezza e la flessibilità occupazionali in modo equilibrato. L'UE deve fungere da catalizzatore affinché gli Stati membri mantengano gli impegni assunti e, contemporaneamente, diffondano e scambino le loro migliori pratiche nel quadro della politica di occupazione europea.

3.   Un nuovo dato di fondo

3.1   La crisi

3.1.1

Gli effetti della crisi economica più acuta mai registrata nella storia della Comunità europea sono abbastanza evidenti nel breve termine: tra di essi il principale è che il debito pubblico degli Stati membri sta aumentando a una velocità senza precedenti. Benché le banche centrali di tutto il mondo abbiano iniettato nei mercati abbondante liquidità, il sistema bancario non funziona ancora come nei periodi di normalità. In particolare, le piccole e medie imprese (PMI) e i lavoratori autonomi incontrano enormi difficoltà nell'accedere a nuovi finanziamenti. Gli effetti nefasti della disoccupazione sulle società e sul mercato interno non tarderanno a farsi sentire. Allo stesso tempo, è difficile creare nuovi posti di lavoro e quelli creati sono rari.

3.1.2

Sebbene l'ultimo parere elaborato dal CESE su questo argomento risalga soltanto alla primavera del 2008, il CESE ritiene indispensabile adeguare rapidamente il modello della flessicurezza alla luce della grave situazione socioeconomica attuale. Il CESE accoglie con favore la richiesta della presidenza svedese, che lo invita ad esaminare come gli Stati membri possano servirsi della flessicurezza ai fini delle ristrutturazioni, nel contesto dello sviluppo globale. Lo sviluppo globale si riallaccia alla crisi finanziaria e al suo impatto drammatico sull'economia reale e sull'occupazione. Quella attuale si è già confermata come la crisi economica più grave degli ultimi 80 anni, e le sue conseguenze probabilmente segneranno tutto il 21o secolo. Essa risulta particolarmente devastante in quanto è accompagnata da altre due crisi, che rappresentano due grandi sfide globali: la crisi climatica e la crisi demografica.

3.1.3

La crisi modifica l'ambiente socioeconomico in cui si possono progettare le riforme del mercato del lavoro. Si tratta di un'osservazione evidente, a prescindere dal giudizio in merito all'opportunità, alla fattibilità, o persino alla necessità o all'impossibilità di queste riforme strutturali in tempo di crisi. Tuttavia, il CESE tiene a sottolineare che l'inclusione e il reinserimento dei disoccupati nel mercato del lavoro devono figurare tra le priorità assolute.

3.1.4

Il CESE intende tuttavia trarre delle conclusioni dalle sue osservazioni, per poter formulare proposte concrete e positive circa i parametri di base che costituiscono la flessicurezza, ossia la flessibilità e la sicurezza. Il CESE desidera sottolineare che, per evitare conflitti sociali come quelli già verificatisi in Europa, è indispensabile una gestione equilibrata delle misure di flessibilità e di quelle di sicurezza.

3.2   La flessibilità interna ed esterna

3.2.1

La flessibilità interna deve essere il risultato del dialogo sociale tra i datori di lavoro e i lavoratori o i loro rappresentanti, e cioè le parti sociali, al livello dell'impresa o del comparto considerato. Evitando la perdita di posti di lavoro, essa può rappresentare, nei periodi difficili, un elemento stabilizzatore importante per la coesione sociale in Europa. Una buona intesa tra imprenditori e lavoratori è necessaria per garantire l'impegno delle imprese in materia di responsabilità sociale e per mantenere i lavoratori sul mercato del lavoro rafforzando l'occupazione. I governi hanno un ruolo fondamentale nel sostenere queste misure: i loro interventi non devono però mettere a rischio la loro capacità di fornire prestazioni sociali basilari come la sicurezza (in materia di prodotti alimentari, traffico aereo, universalità dei servizi d'interesse generale, oppure quella offerta dalle forze di polizia) e l'istruzione, che oramai deve essere pensata in una logica di apprendimento permanente.

3.2.2

Qualsiasi riforma sociale deve essere collocata nel suo contesto socioeconomico e politico. In periodi di crisi la flessicurezza solleva indubbiamente interrogativi difficili, visto che i sacrifici richiesti per un'ipotetica occupabilità non danno garanzie. Occorre dunque essere pienamente coscienti che la flessicurezza si rivelerà uno strumento utile solo se si tradurrà in una comprensione reciproca da parte di entrambi gli interlocutori sociali, e non di uno solo di essi, e questo ci obbliga a riflettere molto attentamente sul tema della sicurezza e sull'equilibrio tra sicurezza e flessibilità. Orbene, il CESE ritiene che la Commissione europea dovrebbe concentrare maggiormente la sua analisi sulle possibilità offerte dalla flessibilità interna che, nel quadro della flessicurezza, può essere uno strumento efficace per combattere la disoccupazione (5).

3.2.3

Il CESE ritiene indispensabile trovare un punto di equilibrio tra le diverse dimensioni della flessicurezza e sottolinea che questa non può in nessun caso essere applicata a scapito della sicurezza. Ebbene, come possono gli Stati garantire questo equilibrio in tempo di crisi? Il CESE propone che in questo momento particolare le riforme fondate sul modello della flessicurezza vengano esaminate con una attenzione del tutto particolare, per evitare ripercussioni sociali e politiche indesiderate. Queste precauzioni vanno poi addirittura rafforzate in relazione alla cosiddetta «flessicurezza esterna».

3.2.4

In linea con quanto sopra esposto, le misure di flessicurezza devono essere credibili da tutti i punti di vista, e in particolare da quello finanziario. Ciò comporterà probabilmente un riorientamento delle priorità per quel che riguarda le spese di bilancio degli Stati membri e, forse, un potenziamento degli aiuti comunitari: non può esservi flessicurezza senza sicurezza.

3.2.5

Disattendendo l'utilizzo prudente di diverse forme di flessibilità interna, sarebbe arrischiato nella situazione odierna forzare l'attuazione di riforme del mercato del lavoro allo scopo di favorire una maggiore flessibilità esterna. Le riflessioni della Commissione europea hanno sinora insistito proprio su questa dimensione della flessicurezza. In Europa, molti contratti collettivi includono disposizioni relative alla flessibilità all'interno delle imprese. Questa flessibilità può consistere, tra le altre cose, in un'organizzazione dell'orario di lavoro che includa periodi di formazione.

3.3   Il dialogo sociale

3.3.1

Il CESE ribadisce la sua richiesta, cioè che le parti sociali siano i protagonisti di un forum che consenta il confronto permanente di idee sulle riforme, in modo che i due poli del dialogo - i datori di lavoro e i lavoratori - siano in grado di vigilare sul mantenimento di un equilibrio permanente e dinamico tra flessibilità e sicurezza. Questo approccio è importante e interessante per il futuro dell'occupazione in Europa, ed è per questo motivo che è essenziale coinvolgere nel dibattito anche la società civile. Qualsiasi politica in materia di occupazione, qualsiasi riforma del mercato del lavoro ha un impatto considerevole sulla società: queste riforme non possono essere sganciate dalle prospettive economiche, sociali e sostenibili della società.

3.3.2

La flessicurezza rappresenta uno strumento importante per attenuare gli effetti della crisi finanziaria e dell'economia reale sul lavoro e sull'occupazione. Bisogna tuttavia evitare che essa venga strumentalizzata per permettere licenziamenti più facili nei paesi il cui diritto del lavoro garantisce un certo livello di sicurezza contro le prassi note come «hire and fire» (piena libertà di assumere e licenziare in funzione del bisogno). Il CESE approva la chiarezza con cui la Commissione ha affermato che la flessicurezza non può in alcun caso trasformarsi in un diritto a licenziare i lavoratori.

3.3.3

Il CESE desidera sottolineare che qualsiasi riforma del diritto del lavoro deve essere realizzata con la partecipazione delle parti sociali, altrimenti sarebbe destinata a fallire. Il dialogo sociale è un fattore garante della democrazia partecipativa, moderna e sociale. Qualunque eventuale modifica al diritto del lavoro dovrà scaturire da una negoziazione tra le parti sociali. Il dialogo sociale permette inoltre di adottare varie forme di flessibilità interna, offrendo alle imprese grande elasticità, indipendentemente dall'andamento crescente o calante delle loro attività.

3.3.4

Il CESE si compiace degli sforzi e dei lavori realizzati congiuntamente dalle parti sociali europee in materia di flessicurezza. Inoltre, apprezza che queste ultime abbiano inserito nel loro programma di lavoro per il biennio 2009-2010 il monitoraggio e la valutazione dell'attuazione della flessicurezza. Il CESE è in attesa di questo rapporto valutativo e conta sul fatto che la valutazione comune potrebbe avere un impatto significativo sul modo di concepire le diverse applicazioni della flessicurezza nei vari Stati membri.

3.4   Obiettivi dell'UE a breve e a medio termine

3.4.1

A breve termine, tenendo sempre presenti il requisito del dialogo sociale a tutti i livelli, i vincoli finanziari e il ruolo dei governi, l'analisi della flessicurezza e delle sue possibilità d'applicazione dovrà incentrarsi sul duplice obiettivo di preservare il massimo numero di posti di lavoro e col massimo valore aggiunto, e di rafforzare la protezione sociale globale di tutti i lavoratori, a prescindere dalla loro situazione sul mercato del lavoro.

3.4.2

In questo senso, il CESE ricorda le conclusioni contenute nella relazione del Consiglio dell'8 e 9 giugno sul tema della flessicurezza in tempo di crisi. È essenziale che i disoccupati possano reintegrarsi nel mercato del lavoro quanto più velocemente possibile: il CESE sottolinea pertanto la necessità di fornire loro, in tempi brevi, aiuti e orientamenti efficaci. Gli Stati membri devono essere incoraggiati ad utilizzare meglio i fondi europei disponibili, e devono impegnarsi fortemente a migliorare la qualità di tutti gli strumenti esistenti per promuovere l'occupazione, quali ad esempio le agenzie per l'occupazione di qualità, allo scopo di rafforzare le proprie attività e la propria efficienza.

3.4.3

Il CESE condivide l'opinione della Commissione secondo cui gli accordi sugli assegni di cassa integrazione possono rappresentare, a breve termine, uno strumento efficace per salvaguardare l'occupazione, evitare la disoccupazione e mantenere il potere d'acquisto. Questi meccanismi producono tre effetti: il mantenimento - a vantaggio dell'impresa - del know-how e delle competenze del lavoratore, la non esclusione del dipendente dal mondo del lavoro e la stabilità dell'economia nazionale, il che evita il diffondersi della disoccupazione. La crisi ha dimostrato la necessità di promuovere i sistemi di «crediti» (dispositivi di recupero/prestazione delle ore di lavoro) e la gestione flessibile dell'orario di lavoro. Le imprese che utilizzano i sistemi di «crediti» sono più pronte a reagire rapidamente alle nuove situazioni di mercato e ad adattarsi a improvvisi crolli della domanda. Il CESE chiede agli Stati membri e all'UE di rendere questo strumento quanto più attraente possibile per i lavoratori e per le imprese.

3.4.4

Il CESE esorta le parti sociali a tutti i livelli, compreso il livello microeconomico, a orientare il dialogo sociale - e quindi i compromessi che tutte le parti sociali devono sopportare in questo periodo di profonda crisi - al mantenimento e alla creazione di posti di lavoro, preservando allo stesso tempo il potere d'acquisto globale dei lavoratori. I governi devono trovare i mezzi per svolgere una funzione catalizzatrice e per favorire, se non persino premiare, questo tipo di accordi. Il CESE propone alla presidenza svedese e alla Commissione europea di stabilire una piattaforma web, in grado di moltiplicare gli scambi pratici di informazioni e di esperienze sulle iniziative delle parti sociali, sempre tenendo conto delle diverse situazioni nazionali, regionali e locali.

3.4.5

Il CESE ritiene che le quattro dimensioni della flessicurezza e i principi definiti dalla Commissione europea potrebbero effettivamente contribuire a ridurre la disoccupazione in Europa. È comunque necessario far sì che siano creati posti di lavoro di qualità. A questo riguardo, una reale protezione sociale riveste un ruolo molto importante: la protezione sociale è infatti essenziale per la coesione sociale nell'UE. A questo proposito il CESE sottolinea che le riforme del mercato del lavoro avviate dagli Stati membri devono evitare che continui a crescere il numero di posti precari caratterizzati da un'eccessiva flessibilità a scapito della sicurezza, che negli ultimi anni è stato in costante aumento. La Commissione dovrebbe contribuire a questo obiettivo procedendo a una valutazione periodica dell'attuazione della flessicurezza nei testi legislativi e normativi concernenti il mercato del lavoro e alla diffusione dei risultati di tale valutazione. Il CESE ritiene che i principi della flessicurezza dovrebbero essere maggiormente integrati nell'agenda post Lisbona, e suggerisce che i lavori delle parti sociali europee siano coordinati con questa agenda.

3.5   Un nuovo dibattito europeo

3.5.1

Il CESE ritiene opportuno che la futura presidenza svedese avvii un dibattito su quegli aspetti della flessicurezza che, sull'esempio di vari Stati membri che la applicano, potrebbero aiutare l'Unione ad attraversare l'attuale crisi finanziaria ed economica mondiale salvaguardando quanti più posti di lavoro possibile, in modo da non mettere a repentaglio la sua coesione sociale. L'UE ha tutto l'interesse a che i suoi lavoratori non perdano le competenze professionali acquisite, di cui si avrà bisogno quando la crisi sarà terminata. Ciò vale ancor di più se si considera che nella maggior parte dei paesi europei l'evoluzione demografica ridurrà in misura considerevole il potenziale di manodopera qualificata.

3.5.2

In tempo di crisi, il licenziamento di personale qualificato costituisce un pericolo nella prospettiva della ripresa futura. La mancanza di know-how rischia di diventare più acuta. Peggio ancora, sembra che molte imprese europee riducano i posti per tirocinanti o quelli per giovani laureati. In questo modo tali imprese pregiudicano il loro futuro. Inoltre, la stessa «flessicurezza» può funzionare soltanto se i lavoratori hanno una buona formazione professionale. La scelta di non formare più il personale comprometterebbe quindi questo strumento di riforma. La creazione di nuovi posti di lavoro è strettamente legata alle nuove competenze. La strategia «Lisbona 2010 plus» dovrà dare risposta a tali problemi. Ci si aspetta che le imprese investano nella formazione permanente dei propri dipendenti. Nel contempo, è evidente che la formazione è anche di responsabilità di ciascun lavoratore.

3.5.3

L'apprendimento permanente nel quadro della flessicurezza deve essere pensato nella logica di uno sviluppo sostenibile delle società dell'UE e, in questo modo, servire da esempio nel mondo. La formazione dei lavoratori deve essere orientata verso gli obiettivi europei, che sono quelli di aumentare i nuovi posti di lavoro di qualità e di impegnarsi per lo sviluppo di un'economia sostenibile.

3.5.4

La flessicurezza si fonda essenzialmente su una migliore occupabilità, e quest'ultima è condizionata dal grado di eccellenza dei sistemi d'istruzione e dall'efficacia delle pratiche di formazione permanente. Finché gli Stati membri si limiteranno a dichiararsi favorevoli all'apprendimento lungo tutto l'arco della vita senza riformare il proprio sistema d'istruzione, senza attribuire maggiore importanza all'istruzione prescolare, senza assegnare più risorse all'insegnamento e - infine - senza incoraggiare e agevolare con incentivi fiscali la formazione professionale e permanente nel quadro dell'occupazione, una condizione importante della flessicurezza non potrà essere soddisfatta. Il CESE invita i governi nazionali a considerare tutti i problemi riguardanti l'istruzione come una priorità assoluta. Il CESE è favorevole a un'azione comune degli Stati membri per promuovere il settore dell'istruzione e della formazione in Europa.

3.6   La flessicurezza nella prospettiva del Trattato di Lisbona

3.6.1

Il Trattato di Lisbona, che il CESE appoggia e che spera di veder rapidamente ratificato da tutti i 27 Stati membri dell'UE, concepisce il mercato interno come fondato sull'economia sociale. L'articolo 2 del Trattato cita infatti tra gli obiettivi dell'Unione «un'economia sociale di mercato». Questa indicazione rappresenta una novità importante. Questo nuovo orientamento, che dà molto più spazio ad un'interpretazione «sociale» del diritto comunitario, produrrà certamente degli effetti sulla futura legislazione europea,e in particolare sulla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee.

3.6.2

È innegabile che gli sviluppi politici intervenuti in un ristretto numero di Stati membri destano preoccupazioni sulle possibilità di successo dell'adozione definitiva del Trattato. Il CESE resta tuttavia ottimista, perché non esistono alternative, non c'è un «piano B». Occorre, in modo particolare nei periodi di crisi, che le istituzioni europee possano lavorare, in un'Unione a 27 Stati, secondo modalità di funzionamento più appropriate di quelle consentite dal Trattato di Nizza. Il CESE reputa pertanto necessario che le istituzioni europee preparino il dossier dedicato alla flessicurezza da un lato nella prospettiva di un'entrata in vigore del Trattato di Lisbona nell'anno in corso o - al più tardi - nel 2010, e dall'altro in funzione dell'evolvere della crisi. Un'entrata in vigore del Trattato avrebbe, tra l'altro, la conseguenza che la «sicurezza» assumerebbe nel diritto comunitario una dimensione nuova e più attuale.

Bruxelles, 1o ottobre 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  GU C 309 del 16.12.2006, pag. 119, parere d'iniziativa del CESE sul tema Coesione sociale: dare un contenuto al modello sociale europeo.

(2)  GU C 105 del 25.4.2008, pag. 16 (vedere punto 22).

(3)  GU C 256 del 27.10.2007, pag. 108;

GU C 211 del 19.8.2008, pag. 48, parere del CESE in merito alla comunicazione della Commissione Verso principi comuni di flessicurezza: posti di lavoro più numerosi e migliori grazie alla flessibilità e alla sicurezza.

(4)  È opportuno riportare in questa sede il testo esatto della comunicazione della Commissione europea, in cui sono esposti i quattro principi della flessicurezza: «La flessibilità, da un lato, ha a che fare con i momenti di passaggio (“transizioni”) che contrassegnano la vita di un individuo: dal mondo della scuola a quello del lavoro, da un'occupazione a un'altra, tra la disoccupazione o l'inattività e il lavoro e dal lavoro al pensionamento. Essa non comporta soltanto una maggiore libertà per le imprese di assumere o licenziare e non implica che i contratti a tempo indeterminato siano un fenomeno obsoleto. La flessibilità significa assicurare ai lavoratori posti di lavoro migliori, la “mobilità ascendente”, lo sviluppo ottimale dei talenti. La flessibilità riguarda anche organizzazioni del lavoro flessibili, capaci di rispondere con efficacia ai nuovi bisogni e alle nuove competenze richieste dalla produzione; riguarda anche una migliore conciliazione tra lavoro e responsabilità private. La sicurezza, d'altro canto, è qualcosa di più che la semplice sicurezza di mantenere il proprio posto di lavoro […]. Essa ha anche a che fare con adeguate indennità di disoccupazione per agevolare le transizioni. Essa comprende inoltre opportunità di formazione per tutti i lavoratori, soprattutto per quelli scarsamente qualificati e per i lavoratori anziani».

(5)  GU C 105 del 25.4.2008, pag. 16 - Il Comitato delle regioni, già prima dell'inizio della crisi finanziaria, ha espresso i suoi dubbi circa il prevalere della flessibilità esterna nell'impostazione adottata dalla Commissione. Il CdR «fa osservare che [certe] formulazioni [del testo della Commissione] quali «forme contrattuali flessibili e affidabili» danno adito a preoccupazione perché potrebbero giustificare anche una forte deregolamentazione delle relazioni contrattuali normali, portando all'aumento dei contratti di lavoro precari».


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/6


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Cooperazione macroregionale — Estendere la strategia per il Mar Baltico ad altre macroregioni europee (parere esplorativo)

2009/C 318/02

Relatore: Michael SMYTH

Il 18 dicembre 2008 Cecilia MALMSTRÖM, ministro svedese per gli Affari europei, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo, a nome della presidenza svedese dell'UE, di elaborare un parere esplorativo sul tema:

«Cooperazione macroregionale - Estendere la strategia per il Mar Baltico ad altre macroregioni europee.»

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 settembre 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore SMYTH.

Alla sua 456a sessione plenaria, dei giorni 30 settembre e 1o ottobre 2009 (seduta del 30 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato all'unanimità il seguente parere.

1.   Conclusioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene gli obiettivi sanciti nei quattro pilastri della strategia per la regione del Mar Baltico, volti a rendere la regione prospera, sicura, sostenibile sul piano ambientale, ricca di attrattiva e accessibile.

1.2

Il CESE dà atto del vasto processo di consultazione che ha preceduto la definizione della strategia e il ruolo svolto in tale processo dalle parti sociali e dai soggetti interessati. Sottolinea ancora una volta il ruolo essenziale della società civile organizzata nell'attuazione della strategia e ribadisce il suo sostegno alla creazione di un Forum della società civile del Mar Baltico che contribuisca ad associare strettamente la società civile all'evoluzione della strategia.

1.3

Il CESE accoglie con favore il piano d'azione previsto dalla strategia, che comprende 15 azioni prioritarie e affida l'attuazione di ciascuna di esse a un diverso Stato membro della regione.

1.4

La strategia per la regione del Mar Baltico presenta sia punti di forza che debolezze: i suoi principali punti di forza sono la globalità del campo d'azione e il previsto riesame periodico da parte della Commissione e del Consiglio europeo, mentre le debolezze sono legate alla sua complessità e alle questioni di governance relative all'attuazione. La strategia abbraccia le competenze di 21 direzioni generali e interessa 8 Stati membri oltre alla Russia. Con 4 pilastri, 15 settori prioritari d'intervento e numerose azioni orizzontali, la complessa «geometria variabile» che costituisce il nucleo centrale della strategia potrebbe renderla irrealizzabile. Il CESE ritiene pertanto che si debba fare il possibile per semplificare i sistemi di governance per l'attuazione della strategia.

1.5

Il CESE ha un importante ruolo da svolgere nel garantire che le fasi di elaborazione e di attuazione della strategia siano improntate a uno spirito di cooperazione. La creazione di un Forum della società civile del Mar Baltico costituisce un passo avanti nel coinvolgimento della società civile organizzata nella futura evoluzione della strategia.

1.6

La strategia per la regione del Mar Baltico rappresenta una grande sfida per il CESE in generale e in particolare per i membri provenienti dalla regione del Mar Baltico, in quanto li costringe a prendere l'iniziativa nel rappresentare la società civile organizzata nell'evoluzione della strategia attraverso le attività del Forum della società civile. La durata pluriennale della strategia giustifica pienamente l'istituzione di un gruppo permanente all'interno del CESE per garantire la partecipazione effettiva di quest'ultimo a un processo che potrebbe diventare un modello di cooperazione macroregionale per tutta l'Unione europea.

2.   Introduzione

2.1

Il tema della cooperazione macroregionale ha assunto maggiore importanza negli ultimi anni. Oggi all'interno dell'UE si ritiene che le macroregioni siano potenzialmente in grado di arrecare un contributo significativo alla politica di coesione e al raggiungimento di livelli di sviluppo analoghi in tutti gli Stati membri. In Europa sono già in essere forme di cooperazione macroregionale: ad esempio il gruppo Visegrad, che comprende la Repubblica ceca, l'Ungheria, la Polonia e la Slovacchia, è espressione degli sforzi profusi dai paesi dell'Europa centrale per collaborare, nello spirito dell'integrazione europea, in numerosi settori di comune interesse (1). Più recentemente nel 2008 il Partenariato euromediterraneo, denominato in precedenza Processo di Barcellona, è stato rilanciato al vertice di Parigi per il Mediterraneo. A questo partenariato partecipano tutti i 27 Stati membri dell'Unione europea assieme a 16 paesi partner del Mediterraneo meridionale e del Medio Oriente; scopo del partenariato è affrontare problemi comuni, come l'inquinamento marino e la sicurezza marittima, le tematiche energetiche e lo sviluppo imprenditoriale (2).

2.2

Nel novembre 2006 il Parlamento europeo ha adottato una risoluzione a favore dell'adozione di una strategia per il Mar Baltico. La strategia per la designata macroregione del Mar Baltico è stata adottata dalla Commissione il 10 giugno 2009 e presentata al Consiglio europeo il 19 giugno 2009. La presidenza svedese ne farà oggetto di ulteriori discussioni in previsione dell'adozione da parte del Consiglio a fine ottobre 2009. Il presente parere esplorativo viene elaborato su richiesta della presidenza svedese, nel cui programma di lavoro la strategia occupa un posto importante. Scopo del presente parere è esaminare la proposta strategia, la sua elaborazione, la sua struttura e il piano d'azione in essa previsto dal punto di vista della società civile organizzata. Esso si basa sull'analisi esposta nel parere La regione del Mar Baltico: il ruolo della società civile organizzata nel rafforzamento della cooperazione regionale e nella definizione di una strategia regionale, recentemente adottato dal CESE (3).

2.3

La richiesta di una strategia per il Mar Baltico scaturisce dalla consapevolezza che, per garantire un uso più razionale dei programmi e delle politiche, è necessario un migliore e più efficace coordinamento tra la Commissione europea, gli Stati membri, le regioni, gli enti locali e altri soggetti interessati. Il Mar Baltico è una delle regioni marittime con maggior traffico e più congestionate del mondo, come si può vedere nella mappa delle rotte giornaliere delle imbarcazioni inclusa nell'allegato al presente parere. La regione del Mar Baltico comprende gli otto Stati membri dell'UE che si affacciano sul Baltico (Finlandia, Svezia, Danimarca, Germania, Polonia, Estonia, Lettonia, Lituania) e la Russia. Il Consiglio europeo, nell'incaricare la Commissione dell'elaborazione della strategia, ha stabilito che gli aspetti della strategia riguardanti le relazioni esterne venissero collegati al quadro della dimensione settentrionale già esistente (4). Il CESE sostiene l'iniziativa di elaborare una strategia di sviluppo macroregionale che comprenda tutti gli Stati del Mar Baltico.

2.4

Il processo che ha portato all'elaborazione della strategia è senza precedenti. La Commissione ritiene che, se la strategia per il Mar Baltico è valida e realizzabile nella macroregione cui è destinata, potrebbe essere possibile applicare un approccio analogo ad altre macroregioni come quella danubiana (5), quella alpina e quella mediterranea.

La Commissione ha intrapreso una vasta serie di consultazioni nel corso del 2008 che hanno interessato tutto il territorio della macroregione e sono culminate in un convegno organizzato a Rostock nel febbraio 2009. Erano incentrate sui quattro pilastri su cui si fonda la strategia del Mar Baltico, che consistono nel rendere la regione:

ecologicamente sostenibile,

prospera,

accessibile e ricca di attrattiva,

sicura e senza rischi.

2.5

La strategia è corredata da un piano d'azione comprendente 15 settori prioritari d'intervento riguardanti tutti e quattro i pilastri. Ciascun settore prioritario dovrà essere coordinato da uno Stato membro della regione e tutti dovrebbero collaborare alla sua attuazione insieme ai soggetti interessati (6).

2.6

La strategia per il Mar Baltico e le azioni in essa previste saranno finanziate per mezzo degli strumenti già esistenti, vale a dire i fondi strutturali dell'UE (55 miliardi di EUR per il periodo 2007-2013), e di fondi messi a disposizione da ciascuno degli Stati del Mar Baltico, da ONG, da privati e da istituzioni finanziarie come la Banca europea per gli investimenti (BEI), la Nordic Investment Bank (NIB) e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS).

2.7

Oltre ai quattro pilastri, la strategia prevede anche alcune azioni orizzontali intese a sviluppare la coesione territoriale, tra cui:

misure volte ad allineare i finanziamenti e le politiche esistenti alle priorità e alle azioni della strategia del Mar Baltico,

misure volte a coordinare l'attuazione delle direttive UE e ad evitare inutili barriere burocratiche,

misure intese a incoraggiare l'uso della pianificazione dello spazio marittimo negli Stati membri come approccio comune nella cooperazione transfrontaliera,

lo sviluppo della pianificazione dello spazio terrestre negli Stati membri della regione del Mar Baltico,

la trasformazione dei progetti pilota di successo della strategia in azioni su larga scala,

l'espansione della ricerca come base per le decisioni politiche,

misure volte a migliorare e coordinare la raccolta di dati marittimi e socioeconomici nella macroregione del Mar Baltico,

la costruzione di un'identità regionale.

3.   Osservazioni in merito alla strategia per il Mar Baltico

3.1   Il CESE accoglie con favore l'approccio adottato dal Consiglio e dalla Commissione per l'elaborazione della strategia per il Mar Baltico e in particolare la vasta serie di consultazioni dei soggetti interessati realizzata nella macroregione. Si tratta di una strategia innovativa, in quanto basata su una struttura di governance transnazionale e quindi di portata più ampia rispetto alle consuete politiche regionali dell'UE. Questa nuova struttura di governance si situa a metà strada tra lo Stato nazionale e la comunità sovranazionale.

3.2   I quattro pilastri della strategia e il piano d'azione che ne consegue rappresentano un serio tentativo di mettere a punto un quadro di sviluppo più coordinato per una zona così diversificata come la regione del Mar Baltico e di promuovere in questo modo la coesione territoriale.

3.3   Il concetto di strategia per la regione del Mar Baltico viene descritto dalla Commissione come un lavoro in fieri. La definizione dei singoli aspetti della regione è necessariamente imprecisa, in quanto la geografia cambia a seconda della questione affrontata. La questione ambientale, ad esempio, disegna una geografia diversa rispetto a quella tracciata dall'economia o dai trasporti. L'approccio adottato nel concepire la strategia del Mar Baltico consiste nell'iniziare dall'identificazione dei temi e delle problematiche, lasciando che siano questi a definire la geografia della macroregione. Il CESE ritiene che la complessità delle sfide che deve affrontare la regione del Mar Baltico imponga di calcare maggiormente l'accento sulla governance efficace della strategia.

3.4   Il CESE dà atto dell'elevato livello di adesione politica alla strategia acquisito nella fase di consultazione. La rete dei sindacati del Mar Baltico (Bastun), che rappresenta gli iscritti ai sindacati di tutti gli Stati membri della regione e della Russia, ha svolto un ruolo di primo piano nel processo di consultazione che ha dato forma alla strategia fino a oggi. Tale impulso deve essere mantenuto durante la fase di attuazione. A questo fine, il CESE accoglie con favore l'impegno a presentare ogni due anni lo stato di avanzamento della strategia al Consiglio europeo sotto la presidenza polacca (2011), lettone (2013) e lituana (2015).

3.5   L'elaborazione di relazioni annuali sullo stato di avanzamento dell'attuazione della strategia e il riesame biennale costituiscono inoltre importanti meccanismi per assicurare che l'impegno dei soggetti interessati rimanga costante nel tempo. Nel corso delle consultazioni realizzate dalla Commissione è emerso che, nonostante il varo ufficiale sia in programma per il 19 giugno, la strategia rimane essenzialmente un lavoro in fieri. Il CESE ritiene che questo sia un fatto positivo e prende atto con soddisfazione che nel settembre e ottobre 2009, durante la presidenza svedese, verranno organizzate rispettivamente una conferenza di alto livello e una riunione ministeriale. Tenuto conto della rilevanza data alla consultazione delle parti interessate nella preparazione della strategia, è importante che il CESE partecipi attivamente alla sua elaborazione, attuazione e diffusione.

3.6   Mentre sembra che dalle consultazioni sia emerso un consenso circa l'attuazione della strategia, l'accordo è stato meno unanime per quanto riguarda l'adeguatezza del quadro istituzionale esistente ai fini dell'attuazione. Questo aspetto e altre questioni correlate saranno sicuramente oggetto di ulteriori discussioni tra i soggetti interessati e la Commissione (7).

3.6.1

Nel frattempo, tuttavia, la strategia dovrebbe servirsi delle opportunità offerte dalle iniziative europee esistenti, come la Programmazione congiunta della ricerca, che ha ricevuto il forte appoggio del CESE. Questa iniziativa contribuirà a sostenere la raccomandazione della Commissione contenuta nella strategia per il Mar Baltico, vale a dire, sfruttare il pieno potenziale della regione del Mar Baltico in termini di ricerca e innovazione per rendere questa regione uno spazio prospero.

3.7   Per quanto riguarda il finanziamento della strategia, il CESE desidera sottolineare il proprio sostegno a un uso più efficace dei molteplici canali di finanziamento UE già esistenti. Il finanziamento potrebbe essere reso più trasparente tramite la creazione e la presentazione di un bilancio per ogni settore prioritario. Se non si assicurano risorse finanziarie adeguate alla strategia per la regione del Mar Baltico, vi è il rischio che l'intera strategia diventi incoerente e frammentaria e che venga meno l'impegno dei soggetti interessati negli Stati membri. A questo proposito, il CESE ribadisce l'idea che per un'attuazione efficace occorre dotare la strategia di un bilancio distinto, onde evitare il rischio che essa si riduca a una mera dichiarazione politica e che i suoi obiettivi rimangano lettera morta (8).

3.8   Emergono alcune tensioni evidenti nel piano d'azione, che rappresenta un tentativo di garantire un'adesione costante da parte dei soggetti interessati proponendo una vasta gamma di azioni ad elevata visibilità. Questo approccio rischia di voler accontentare tutti senza poi soddisfare nessuno. Un'altra grande debolezza della strategia è la sua complessità.

3.9   La Commissione cerca di risolvere il problema della complessità dell'attuazione affidando a ciascuno Stato membro la responsabilità di una o più azioni prioritarie. Questa soluzione, valida in teoria, potrebbe tuttavia essere di difficile realizzazione pratica. Ciascuno Stato membro dovrà infatti coordinare le azioni intraprese su tutto il territorio della macroregione e in molteplici direzioni generali (la strategia nella sua totalità abbraccia le competenze di 21 direzioni generali). Le esperienze maturate finora con altre forme di cooperazione politica intergovernativa hanno avuto esiti variabili. La Carta di Lipsia sulle città europee sostenibili, che ha adottato un approccio analogo in materia di attuazione, è stata piuttosto deludente e finora i progressi sono stati lenti (9). Si può affermare che la strategia per la regione del Mar Baltico presenta un grado di complessità ancora maggiore della Carta di Lipsia e che essa rischia di essere troppo difficile da gestire.

4.   Il potenziale ruolo del CESE nella strategia per la regione del Mar Baltico

4.1

Il CESE ha già proposto la creazione di un Forum della società civile del Mar Baltico e si è dichiarato pronto ad avviare i lavori preparatori in vista della sua creazione (10). Tale Forum dovrebbe operare in parallelo alla strategia e contribuire al previsto riesame biennale. Il successo delle consultazioni realizzate per l'elaborazione della strategia conferma ulteriormente la necessità di un dibattito pubblico continuo e di un'opera di sensibilizzazione costante in merito all'attuazione della strategia.

4.2

Il CESE e i consigli economici e sociali degli Stati membri della regione del Mar Baltico hanno ruoli importanti da svolgere nel garantire che la fase di attuazione della strategia si svolga in un'atmosfera di cooperazione e collaborazione. Allo scopo di rafforzare la crescita delle istituzioni e le strutture partecipative della società civile soprattutto nei nuovi Stati membri e nei paesi confinanti come la Russia, potrebbe essere utile stabilire relazioni e una cooperazione a livello transfrontaliero tra organizzazioni omologhe, come i sindacati, le associazioni di consumatori e le organizzazioni di assistenza alla comunità e di volontariato. I membri del CESE provenienti dagli otto Stati membri che si affacciano sul Mar Baltico in modo particolare dovrebbero svolgere un ruolo di emissari, di interlocutori e di relatori dei documenti elaborati, per permettere al Comitato di assumere una posizione informata sullo stato di avanzamento, i successi e le sfide della strategia e quindi sostenere il conseguimento degli obiettivi.

4.3

Il CESE accoglie con favore il serio tentativo di sviluppare, per mezzo della strategia per il Mar Baltico, un approccio integrato alla cooperazione macroregionale, di cui il Comitato è da tempo fautore, al pari del Parlamento europeo.

4.4

Il CESE sostiene l'ampio approccio propugnato nella strategia in materia di attuazione, che prevede un ruolo di primo piano per gli Stati membri nel coordinare l'attuazione delle azioni riguardanti i 15 settori prioritari e i progetti faro ad esse associati.

4.5

Si può affermare che la strategia per la regione del Mar Baltico rappresenta un importante banco di prova del ruolo del CESE. Esso è chiamato a partecipare pienamente alla sua evoluzione malgrado le difficoltà di governance discusse sopra. La sfida investe in modo particolare i membri del CESE provenienti dagli otto Stati membri della regione del Mar Baltico, costringendoli a prendere l'iniziativa nel rappresentare la società civile organizzata nel processo continuo di attuazione della strategia attraverso il Forum della società civile della regione del Mar Baltico. La durata pluriennale della strategia giustifica pienamente l'istituzione di un osservatorio ad hoc del Mar Baltico o di un gruppo di studio all'interno del CESE per garantire la partecipazione effettiva di quest'ultimo a un processo che diventerà sicuramente un modello di cooperazione macroregionale per tutta l'Unione europea.

Bruxelles, 30 settembre 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  http://www.visegradgroup.eu/

(2)  http://ec.europa.eu/external_relations/euromed/index_en.htm

(3)  Parere CESE 888/2009, adottato il 13 maggio 2009 e non ancora pubblicato sulla GU.

(4)  La dimensione nordica è un dispositivo che consente all'UE, alla Russia, alla Norvegia e all'Islanda di attuare politiche comuni in settori di cooperazione stabiliti di comune accordo.

(5)  Quest'idea è stata espressa dalla commissaria HÜBNER nel discorso intitolato Towards a Strategy for the Danube Region, http://ec.europa.eu/commission_barroso/hubner/speeches/pdf/2009/07052009_ulm.pdf

(6)  La strategia e il piano d'azione per il Mar Baltico sono reperibili sul sito: http://ec.europa.eu/regional_policy/sources/docoffic/official/communic/baltic/com_baltic_it.pdf

(7)  Per una valida discussione generale delle problematiche istituzionali e di governance si veda il testo di C. Schymik e P. Krumrey EU Strategy for the Baltic Sea Region: Core Europe in the Northern Periphery?, Working Paper FGI 2009, SWP, Berlino.

(8)  Si veda il parere del CESE La regione del Mar Baltico: il ruolo della società civile organizzata nel rafforzamento della cooperazione regionale e nella definizione di una strategia regionale, punti 2.6 e 2.7, adottato il 13 maggio 2009 e non ancora pubblicato sulla GU. Ad esempio, il partenariato euromediterraneo ha un bilancio apposito e con una notevole dotazione finanziaria.

(9)  La Carta è stata firmata il 24 maggio 2007 durante il semestre di presidenza tedesca del Consiglio in una riunione informale dei ministri dell'UE responsabili per lo sviluppo urbano e la coesione territoriale. Questa Carta intergovernativa formula due raccomandazioni principali, ossia ricorrere maggiormente ad una politica di sviluppo urbano integrato e rivolgere un'attenzione particolare ai quartieri sfavoriti.

(10)  Si veda il parere del CESE La regione del Mar Baltico: il ruolo della società civile organizzata nel rafforzamento della cooperazione regionale e nella definizione di una strategia regionale, punto 3.4, adottato il 13 maggio 2009 e non ancora pubblicato sulla GU.


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/10


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Come rendere la strategia UE in materia di danni derivanti dal consumo di alcol una strategia sostenibile, di lungo periodo e multisettoriale (parere esplorativo)

2009/C 318/03

Relatrice: Van TURNHOUT

Con lettera datata 18 dicembre 2008, in vista della prossima presidenza svedese dell'Unione europea, il ministro svedese per gli Affari europei ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere esplorativo sul tema:

«Come rendere la strategia UE in materia di danni derivanti dal consumo di alcol una strategia sostenibile, a lungo termine e multisettoriale.»

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o settembre 2009, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice Van TURNHOUT.

Alla sua 456a sessione plenaria, dei giorni 30 settembre e 1o ottobre 2009 (seduta del 30 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 128 voti favorevoli, 5 voti contrari e 4 astensioni.

1.   Sintesi e raccomandazioni

1.1

Il presente parere esplorativo, elaborato dal Comitato economico e sociale europeo (CESE) su richiesta della presidenza svedese dell'UE, è incentrato sulla questione di come rendere la strategia UE in materia di danni derivanti dal consumo di alcol una strategia sostenibile, di lungo periodo e multisettoriale (1). L'obiettivo della presidenza svedese è quello di contribuire all'attuazione della strategia orizzontale dell'UE in materia di alcol e all'instaurazione di misure preventive di lungo periodo a livello sia comunitario che nazionale.

1.2

Il presente parere prende le mosse dal precedente parere del CESE sui danni derivanti dal consumo di alcol, che era incentrato su cinque temi prioritari: la protezione dei minori, la riduzione degli incidenti stradali legati all'abuso di alcol, la prevenzione dei danni alcol-correlati negli adulti e sui luoghi di lavoro, l'azione di informazione, educazione e sensibilizzazione e infine la creazione di una base comune di dati e conoscenze (2).

1.3

Il parere pone particolarmente l'accento sulle quattro priorità seguenti della presidenza:

l'impatto della pubblicità e del marketing sui giovani,

l'incidenza del prezzo sullo sviluppo dei danni,

mettere i bambini in primo piano, con particolare attenzione allo spettro dei disordini fetoalcolici (Fetal Alcohol Spectrum Disorder - FASD) e alla condizione dei bambini che vivono in famiglie con problemi di alcol,

gli effetti del consumo nocivo di alcol ai fini di un invecchiamento dignitoso e in buona salute.

Per realizzare un approccio globale alla problematica, tutti i temi affrontati nei due pareri e gli altri aspetti rilevanti dovrebbero essere considerati complessivamente.

1.4

I modelli di consumo delle bevande alcoliche variano sensibilmente da paese a paese ma la maggior parte dei consumatori beve generalmente in modo responsabile (cfr. punto 3.2) (3). Ciò premesso, il CESE esprime preoccupazione per il fatto che nell'UE, secondo le stime, il 15 % della popolazione adulta assume regolarmente alcol con livelli di consumo dannosi e che i minori risultano i più vulnerabili ai danni alcol-correlati. Sarebbe di conseguenza necessario mettere a punto misure destinate a coloro che già assumono alcol con livelli di consumo dannosi.

1.5

Le strategie utilizzate per la promozione commerciale delle bevande alcoliche sono tra i fattori che fanno aumentare la probabilità che i bambini e gli adolescenti incomincino a bere o intensifichino i loro consumi di alcol se già bevevano. Alla luce di questo fatto, il CESE chiede che sia ridotta l'esposizione dei minori al marketing di prodotti alcolici.

1.6

Una politica adeguata in materia di prezzi delle bevande alcoliche può essere uno strumento efficace per ridurre i danni alcol-correlati, particolarmente tra le persone a basso reddito e tra i giovani. Il CESE ritiene necessario adottare misure normative per regolamentare la disponibilità, la distribuzione e la promozione dell'alcol, in quanto l'autoregolamentazione non è sufficiente in questo settore.

1.7

Al fine di sensibilizzare al rischio di disordini fetoalcolici (FASD), il CESE sostiene la promozione di campagne di sensibilizzazione a livello nazionale ed europeo.

1.8

Il CESE ritiene che sia necessaria una maggiore opera d'informazione a livello europeo sugli effetti del consumo nocivo di alcol ai fini di un invecchiamento dignitoso e in buona salute.

1.9

Il CESE riconosce che le politiche relative al consumo di alcol dovrebbero seguire un approccio globale e includere un'ampia gamma di misure di comprovata efficacia nella riduzione dei relativi danni.

2.   Contesto

2.1

L'UE ha il potere e le competenze necessarie per affrontare i problemi di salute pubblica collegati a un uso rischioso e nocivo di alcol: l'articolo 152, paragrafo 1, del Trattato CE (4), afferma infatti che in materia di sanità pubblica l'azione comunitaria completa le politiche degli Stati membri.

2.2

Il Consiglio, facendo seguito alla sua raccomandazione del 2001 sul consumo di bevande alcoliche da parte di giovani (5), ha invitato la Commissione a seguire e valutare gli sviluppi della situazione e le misure adottate, nonché a riferire sulla necessità di azioni supplementari.

2.3

Nelle sue conclusioni del giugno 2001 e del giugno 2004, il Consiglio ha sollecitato la Commissione a presentare proposte per una strategia comunitaria globale di riduzione dei danni alcol-correlati, destinata a completare le politiche nazionali (6).

2.4

Nel 2006, la Commissione ha adottato la comunicazione Strategia comunitaria volta ad affiancare gli Stati membri nei loro sforzi per ridurre i danni derivanti dal consumo di alcol  (7). La comunicazione aveva lo scopo di delineare le misure già adottate dalla Commissione e dagli Stati membri e di spiegare in che modo la Commissione possa sostenere e integrare le politiche nazionali in materia di sanità pubblica. Il CESE reputa che la comunicazione sia ben lungi dal proporre una «strategia globale» (8): essa infatti non offre un'analisi completa e trasparente di tutti i settori di intervento e delle difficoltà che alcuni Stati membri hanno incontrato nel mantenere politiche di salute pubblica di qualità in materia di consumo di alcol a causa delle norme di mercato dell'UE (9). La strategia non riconosce inoltre che l'alcol è una droga psicoattiva, una sostanza che, se usata in eccesso, è tossica e in alcuni soggetti crea dipendenza.

2.5

La Corte di giustizia delle Comunità europee ha ripetutamente confermato che la riduzione dei danni alcol-correlati costituisce un importante e valido obiettivo di sanità pubblica, da perseguire con misure adeguate e conformemente al principio di sussidiarietà (10).

2.6

Il CESE riconosce il lavoro svolto da tutti i soggetti interessati in seno al Forum europeo «alcol e salute» fin dalla sua creazione nel 2007, e incoraggia sviluppi analoghi a livello locale.

3.   Gli effetti dannosi

3.1

L'Unione europea è la regione che consuma più alcol al mondo, con 11 litri di alcol puro pro capite all'anno (11). Se è vero che tra gli anni '70 e la metà degli anni '90 il consumo complessivo ha registrato un calo, rimanendo fino ad oggi relativamente stabile, bisogna tuttavia riconoscere che vi sono ancora delle differenze da paese a paese sia in termini di consumo sia sotto il profilo dei relativi danni e delle forme che questi assumono (12), e che i modelli di consumo nocivo continuano ad avere un peso significativo (13).

3.2

La maggior parte dei consumatori beve generalmente in modo responsabile. Il CESE tuttavia esprime preoccupazione per il fatto che, secondo le stime, 55 milioni di adulti (vale a dire il 15 % della popolazione adulta) assumono regolarmente alcol con livelli di consumo nocivi (14). Si stima che nell'UE il consumo nocivo di alcol sia responsabile di circa 195 000 decessi all'anno dovuti a incidenti, epatopatie, tumori, ecc. Il consumo nocivo di alcol è la terza causa di morte prematura e di malattia nell'UE (15).

3.3

Il CESE ritiene che il consumo nocivo di alcol da parte dei singoli non sia un problema isolato, ma che esso abbia molteplici cause tra cui la povertà, l'esclusione sociale, l'ambiente familiare e lo stress da lavoro.

3.4

La diversità dei modelli culturali e delle abitudini rilevate in Europa per quanto riguarda il consumo di alcol vale anche per il consumo rischioso e nocivo, non da ultimo tra i bambini e gli adolescenti (16). Il CESE invita la Commissione e gli Stati membri a tenere conto di questi modelli nazionali e locali al momento di definire le loro politiche in materia.

3.5

I minori sono particolarmente vulnerabili ai danni derivanti dal consumo di alcol. Si stima che nell'UE da 5 a 9 milioni di minori che vivono in famiglia soffrano per le conseguenze negative di tale consumo. L'alcol è una concausa nel 16 % dei casi di abusi e abbandono di minori e ogni anno 60 000 nascite sottopeso sono imputabili all'alcol (17).

3.6

Il consumo nocivo di alcol può causare danni non solo a chi beve ma anche a terzi. Dovrebbero essere quindi affrontati anche i danni alcol-correlati sui luoghi di lavoro, nel quadro delle norme relative alla salute e alla sicurezza, che sono innanzitutto di competenza del datore di lavoro. L'adozione di politiche relative al consumo di alcol sul luogo di lavoro potrebbe infatti contribuire a ridurre gli infortuni alcol-correlati e l'assenteismo, nonché ad aumentare la produttività. Il CESE pertanto invita datori di lavoro, sindacati, enti locali e altre organizzazioni a collaborare strettamente e a intraprendere azioni comuni per ridurre i danni alcol-correlati sul luogo di lavoro.

3.7

In Europa l'alcol costituisce un importante bene di consumo, che crea posti di lavoro, genera entrate fiscali e contribuisce alla bilancia commerciale. Cionondimeno, se consumato in quantità nocive, l'alcol può incidere negativamente anche sull'economia, a causa dei maggiori costi che comporta in termini di assistenza sanitaria e sociale e della perdita di produttività. Il costo dei danni provocati dall'alcol per l'economia dell'UE è stato stimato a 125 miliardi di EUR per il 2003, pari all'1,3 % del PIL (18).

4.   Impatto della pubblicità e del marketing sui giovani

4.1

Il CESE esorta la Commissione a riconoscere la Carta europea dell'OMS sul consumo di alcol (19), adottata da tutti gli Stati membri dell'UE nel 1995, e in particolare il principio etico secondo cui tutti i bambini e gli adolescenti hanno il diritto di crescere in un ambiente protetto dalle conseguenze negative che possono derivare dal consumo di alcol e, per quanto possibile, dalla pubblicità di bevande alcoliche.

4.2

La raccomandazione del Consiglio citata più sopra sollecitava gli Stati membri a creare meccanismi efficaci nei settori della promozione, commercializzazione e vendita al dettaglio e a garantire che le bevande alcoliche non fossero concepite o promosse in modo da costituire un richiamo per i bambini e per gli adolescenti.

4.3

Il consumo eccessivo di bevande alcoliche in un'unica occasione allo scopo di ubriacarsi (definito in inglese con l'espressione binge drinking) da parte di giovani adulti (di età compresa tra i 15 e i 24 anni) rappresenta una preoccupazione crescente per l'UE e per gli Stati membri. Nel 2006 il 24 % dei giovani affermava di avere « bevuto per ubriacarsi» almeno una volta alla settimana (20). La birra (40 %) e i superalcolici (30 %) sono le bevande alcoliche consumate più frequentemente dai giovani di età inferiore ai 20 anni (21), seguite dal vino (13 %), dagli alcopop (11 %) e dal sidro (6 %) (22). Le vendite promozionali, come ad esempio le formule happy hour e due al prezzo di uno incrementano il consumo di alcol e le probabilità di binge drinking tra i giovani (23). Per contrastare questa tendenza è necessario che la legislazione vigente in materia di età legale per il consumo di bevande alcoliche venga fatta rispettare più rigorosamente dalle autorità competenti.

4.4

La pubblicità e il marketing delle bevande alcoliche influenzano gli atteggiamenti e la percezione dell'alcol da parte dei giovani, inducendo in loro aspettative positive nei confronti del bere (24). Da un esame degli studi longitudinali realizzato dal gruppo scientifico del Forum europeo «alcol e salute» sono emerse prove costanti dell'impatto della pubblicità di bevande alcoliche sulle probabilità che i giovani che non bevevano incomincino a bere e che quelli che già bevevano si mettano a bere di più. Questo risultato colpisce ancora maggiormente se si pensa che l'indagine ha riguardato solo una piccola parte di una strategia di marketing più ampia (25).

4.5

Il CESE esprime preoccupazione per il fatto che le strategie di marketing utilizzate per le bevande alcoliche le rendono allettanti per i minorenni (26) e richiama l'attenzione sui risultati delle ricerche, che dimostrano sistematicamente che l'esposizione a contenuti televisivi legati all'alcol e la sponsorizzazione di eventi e programmi da parte di produttori di bevande alcoliche lasciano prevedere un più precoce e più elevato consumo di alcol (27).

4.6

Il comitato di esperti dell'OMS ritiene che i sistemi di regolamentazione su base volontaria non siano sufficienti a impedire un tipo di marketing che provoca conseguenze sui più giovani, e che l'autoregolamentazione funzioni solo laddove esiste una minaccia permanente e credibile di intervento da parte del governo (28).

4.7

Gli operatori della catena di produzione e distribuzione delle bevande alcoliche si sono dichiarati disponibili a svolgere un ruolo più proattivo nell'applicazione delle misure normative e di autoregolamentazione (29). È compito loro collaborare con gli Stati membri affinché i prodotti alcolici siano fabbricati, distribuiti e commercializzati in modo responsabile, contribuendo così alla riduzione dei danni alcol-correlati.

4.8

La direttiva Servizi di media audiovisivi contribuisce a stabilire norme minime per la pubblicità delle bevande alcoliche. Essa specifica che la pubblicità delle bevande alcoliche non può rivolgersi espressamente ai minori, non deve associare il consumo d'alcol al miglioramento delle prestazioni fisiche e al successo sociale o sessuale, né suggerire che le bevande alcoliche abbiano effetti stimolanti o sedativi o siano un mezzo per risolvere i conflitti personali (30). Il CESE ritiene però che tale direttiva non sia sufficiente, da sola, a garantire la piena protezione dei minori dalle strategie di marketing delle bevande alcoliche.

4.9

Il CESE esorta la Commissione a fare della riduzione dell'esposizione dei minori alla pubblicità e alle promozioni delle bevande alcoliche un obiettivo specifico e chiede che venga introdotta una regolamentazione più severa in materia.

5.   Incidenza del prezzo sui danni legati al consumo di alcol

5.1

In tutta Europa si manifesta un crescente interesse per le misure volte a combattere i danni legati al consumo di alcol. L'alcol costituisce per l'Europa un bene di consumo importante poiché crea posti di lavoro, genera entrate fiscali e contribuisce all'economia dell'UE grazie agli scambi commerciali. D'altro canto, però, si stima che nel 15 % dei casi l'alcol venga assunto con livelli di consumo dannosi, provocando danni tanto ai singoli individui che alla comunità. Il costo dell'abuso di alcol nell'UE è stato stimato, per il 2003, a 125 miliardi di EUR, pari all'1,3 % del PIL (31).

5.2

Secondo lo studio commissionato a RAND Europe, in tutta l'UE si nota una tendenza crescente ad acquistare le bevande alcoliche nei punti vendita al minuto di bevande da asporto (off-trade), in quanto questi offrono prezzi più bassi rispetto agli esercizi con licenza per consumo sul posto (on-trade) (32). Va tuttavia osservato che detto studio si occupa unicamente dei prezzi dell'alcol venduto off-trade e non effettua alcuna comparazione tra questi prezzi e quelli praticati dagli esercizi on-trade.

5.3

Dagli studi condotti in materia emerge che tra il 1996 e il 2004 il prezzo dell'alcol è diventato più accessibile in tutta l'UE, scendendo in alcuni paesi di oltre il 50 % (33). Vi sono elementi per affermare che nell'UE esiste una correlazione positiva tra accessibilità economica e consumo di alcol (34).

5.4

I giovani sono sensibili agli aumenti di prezzo delle bevande alcoliche, aumenti che secondo varie ricerche determinano una diminuzione sia della frequenza del consumo sia della quantità di alcol consumata nelle singole occasioni (35). Altri studi dimostrano tuttavia che, in risposta ad un aumento del prezzo delle bevande alcoliche, i giovani possono invece anche adottare modelli di consumo più nocivi, come ad esempio il pre-drinking, ovvero la pratica di consumare alcol a casa prima di uscire (36). Questa constatazione ha importanti implicazioni per la politica dell'UE in materia di prezzi dell'alcol, in particolare alla luce dell'aumento rilevato nel consumo nocivo da parte dei giovani.

5.5

Circa il 3,8 % dei casi di morte nel mondo, nonché il 4,6 % degli anni di vita persi al netto della disabilità (DALY), sono dovuti all'alcol. Esiste una correlazione positiva tra il consumo di alcol, le lesioni in seguito a incidenti stradali e i decessi per incidenti stradali (37). L'alcol è l'unica causa di alcune malattie (come le epatopatie da alcol e le forme di pancreatite legate all'abuso di alcol) ed ha un ruolo importante in altre malattie e lesioni (ad esempio, determinati tipi di cancro, di cardiopatie e di ictus, e la cirrosi epatica) (38). Il consumo nocivo di alcol contribuisce al verificarsi di azioni criminali, alle violenze e alle situazioni di deprivazione familiare, nonché alla diffusione di comportamenti sessualmente a rischio e di malattie sessualmente trasmissibili (39).

5.6

Si stima che nell'UE le ubriacature gravi occasionali abbiano contribuito a 2 000 omicidi, 17 000 incidenti stradali mortali (un terzo delle vittime della strada), 27 000 morti accidentali e 10 000 suicidi (40).

5.7

Le politiche in materia di prezzi delle bevande alcoliche possono essere un efficace strumento per ridurre i danni alcol-correlati (41). Il CESE ritiene dunque che esse debbano essere prese in considerazione nel definire le possibili azioni per affrontare tali danni nel quadro di una strategia di lungo periodo, sostenibile e multisettoriale.

5.8

Le politiche relative al consumo d'alcol dovrebbero seguire un approccio globale e includere un'ampia gamma di misure di comprovata efficacia nella riduzione dei relativi danni, quali le politiche contro la guida in stato di ebbrezza e gli interventi di assistenza medica primaria. Il CESE riconosce tuttavia che nessuna misura, presa singolarmente, può risolvere il problema delle conseguenze nocive dell'alcol.

5.9

Il CESE giudica necessario applicare efficacemente le normative vigenti per disciplinare la disponibilità, la distribuzione e la promozione delle bevande alcoliche. In questo campo l'autoregolamentazione può contribuire alla soluzione del problema, ma di per sé non è sufficiente. Per quanto riguarda le vendite sottocosto e promozionali, il CESE ritiene che dovrebbe essere possibile introdurre delle limitazioni senza che queste si configurino come una restrizione al commercio o una disposizione in conflitto con la legislazione UE.

6.   Mettere i bambini in primo piano, con particolare attenzione allo spettro dei disordini feto-alcolici e alla condizione dei minori che vivono in famiglie con problemi di alcol

6.1

Il destino dell'Europa dipende dalla buona salute e dalla produttività della sua popolazione. Il fatto che un'ampia percentuale del carico di malattia attribuibile ad un consumo rischioso e nocivo di alcol interessi i giovani è quindi fonte di grave preoccupazione per il CESE (42).

6.2

La Commissione riconosce il diritto dei minori a una protezione efficace contro lo sfruttamento economico e tutte le forme di abuso (43). Il Comitato appoggia pienamente tale posizione.

6.3

Il CESE osserva che il consumo rischioso e nocivo di alcol ha effetti negativi non soltanto sulla persona che beve, ma anche su terzi, soprattutto in relazione ad incidenti, lesioni fisiche e violenza. Riconosce inoltre che nelle famiglie il gruppo più a rischio è rappresentato dai minori.

6.4

Si stima che da 5 a 9 milioni di minori che vivono in famiglia soffrano per gli effetti nocivi dell'alcol, che quest'ultimo sia una concausa nel 16 % dei casi di abusi e abbandono di minori e, ogni anno, di 60 000 nascite sottopeso (44). Tra gli altri effetti negativi dell'abuso di alcol figurano la povertà e l'esclusione sociale, che possono incidere sulla salute, l'istruzione e il benessere dei minori sia nel presente che nel futuro.

6.5

La violenza domestica, che rappresenta un grave problema in molti paesi (45), è strettamente collegata a un elevato consumo di alcol (46). Se è vero che la violenza domestica può manifestarsi anche in assenza di consumo di bevande alcoliche, è altrettanto vero che un forte consumo può contribuire a provocare comportamenti violenti in alcune persone. Da una riduzione del consumo trarrebbero certamente beneficio non solo le vittime della violenza e i suoi autori, ma anche i minori che vivono nelle famiglie coinvolte.

6.6

L'alcol può avere effetti negativi sui bambini ancor prima della nascita. Lo spettro dei disordini feto-alcolici (FASD) descrive un ventaglio di difetti congeniti permanenti (fisici, comportamentali e cognitivi) causati dal consumo di alcol da parte della madre durante la gravidanza.

6.7

La consapevolezza di tali fetopatie e delle loro conseguenze è scarsa. Per ridurre i danni derivanti dal consumo di alcol durante la gravidanza è quindi fondamentale diffondere esempi di programmi di prevenzione basati su dati concreti. Il CESE sostiene il ricorso in tutta Europa a campagne mirate di sensibilizzazione a livello nazionale ed europeo sui rischi associati alle fetopatie alcoliche.

7.   Effetti del consumo nocivo di alcol ai fini di un invecchiamento dignitoso e in buona salute

7.1

Le persone anziane sono particolarmente sensibili agli effetti dell'alcol. Tra i problemi specifici di tale categoria figurano la perdita dell'equilibrio, il rischio di cadute e l'insorgere di problemi di salute. Circa un terzo degli anziani incomincia ad avere dei problemi di abuso di alcol in età avanzata, spesso in seguito alla perdita di una persona cara, a un deterioramento della salute fisica, a difficoltà motorie e a problemi di isolamento sociale (47).

7.2

Il consumo nocivo di alcol può influire sulla salute mentale degli anziani provocando ansia, depressione e confusione mentale.

7.3

I disturbi dovuti al consumo di alcol sono comuni tra gli anziani, particolarmente tra gli individui di sesso maschile che vivono da soli e sono socialmente isolati (48). Un consumo problematico di alcol è associato a un vasto deperimento della salute fisica, psicologica, sociale e cognitiva. Si calcola che circa il 3 % delle persone con più di 65 anni soffra di questi disturbi (49), ma è del tutto possibile che molti casi non vengano identificati in quanto i criteri diagnostici e di screening sono maggiormente mirati agli adulti più giovani. Va detto tuttavia che per quanto riguarda i problemi legati all'alcol spesso è più facile curare gli anziani che i giovani.

7.4

L'alcol può accentuare gli effetti di alcuni farmaci e ridurre gli effetti di altri. È quindi importante sensibilizzare gli operatori sanitari, quanti forniscono un'assistenza informale e i cittadini anziani sulle potenziali interazioni tra farmaci e alcol.

7.5

Il CESE ritiene che, a fronte dell'invecchiamento della popolazione dell'UE, sia necessario un impegno maggiore per garantire il benessere degli anziani, ad esempio tramite un'opera d'informazione a livello europeo che illustri gli effetti del consumo nocivo di alcol ai fini di un invecchiamento dignitoso e in buona salute.

Bruxelles, 30 settembre 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Per multisettoriale si intende una politica che «abbraccia più settori, compresa la società civile, i sindacati e le imprese».

(2)  Parere CESE del 30 maggio 2007 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Strategia comunitaria volta ad affiancare gli Stati membri nei loro sforzi per ridurre i danni derivanti dal consumo di alcol, relatrice: VAN TURNHOUT, correlatore: JANSON (GU C 175 del 27.7.2007).

(3)  Konnopka, A. e König, H.-H. The Health and Economic Consequences of Moderate Alcohol consumption in Germany 2002 («Salute e conseguenze economiche del consumo moderato di alcol in Germania nel 2002»), in Value in Health, 2009.

(4)  Trattato che istituisce la Comunità europea.

(5)  Raccomandazione 2001/458/CE del Consiglio del 5 giugno 2001.

(6)  Conclusioni del Consiglio del 5 giugno 2001 relative a una strategia comunitaria intesa a ridurre i pericoli connessi con l'alcol (GU C 175 del 20.6.2001, pag. 1) e Conclusioni del Consiglio del 1o e 2 giugno 2004 sull'alcol e i giovani (non pubblicato nella Gazzetta ufficiale).

(7)  COM(2006) 625 def.

(8)  Vedere nota 2.

(9)  Ibidem.

(10)  Cause Franzen (C-89/95), Heinonen (C-394/97), Gourmet (C-405/98), Catalonia (C-1/90 e C-179/90), Loi Evin (C-262/02 e C-429/02).

(11)  Si veda la relazione Alcohol in Europe – A Public Health Perspective («L'alcol in Europa - Una prospettiva di salute pubblica»), predisposta per la Commissione europea da P. Anderson e B. Baumberg, Institute of Alcohol Studies, giugno 2006.

(12)  Parere CESE del 30 maggio 2007 sul tema Strategia comunitaria volta ad affiancare gli Stati membri nei loro sforzi per ridurre i danni derivanti dal consumo di alcol, relatrice: VAN TURNHOUT, correlatore: JANSON (GU C 175 del 27.7.2007).

(13)  Vedere nota 11.

(14)  Per abuso d'alcol si intende un consumo di oltre 40 g di alcol (cioè 4 bicchieri al giorno) per gli uomini e di oltre 20 g di alcol (cioè 2 bicchieri al giorno) per le donne.

(15)  Alcohol-Related Harm in Europe - Key Data («Danni alcol correlati in Europa - Principali dati»), Bruxelles, 24 ottobre 2006, MEMO/06/397 (disponibile solo in lingua inglese).

(16)  Relazione ESPAD relativa al 2007.

(17)  Vedere nota 11.

(18)  Fonte: DG SANCO.

(19)  Organizzazione mondiale della sanità, Carta europea sul consumo di alcol (1995).

(20)  Vedere nota 11.

(21)  Relazione ESPAD relativa al 2007 (2009).

(22)  Il termine alcopop viene utilizzato per indicare bevande alcoliche vendute in bottigliette che ricordano le bibite analcoliche.

(23)  Independent Review of the Effects of Alcohol Pricing and Promotion («Esame indipendente degli effetti dei prezzi e della promozione delle bevande alcoliche»), 2008.

(24)  Scientific Opinion of the Science Group of the European Alcohol and Health Forum («Parere del gruppo scientifico del Forum europeo “alcol e salute”»), 2009, e Impact of Alcohol Advertising and Media Exposure on Adolescent Alcohol Use: A Systematic Review of Longitudinal Studies («L'impatto della pubblicità e dell'esposizione mediatica sul consumo di alcol tra gli adolescenti: un esame sistematico degli studi longitudinali»), 2009.

(25)  Vedere nota 24, prima parte.

(26)  Vedere nota 11.

(27)  Ibidem.

(28)  Seconda relazione del comitato di esperti OMS sui problemi connessi al consumo di alcol, 2007.

(29)  COM(2006) 625 def.

(30)  The affordability of alcoholic beverages in the European Union: Understanding the link between alcohol affordability, consumption and harms («L'accessibilità economica delle bevande alcoliche nell'Unione europea: comprendere il nesso tra accessibilità economica delle bevande alcoliche, consumo e danni da esso provocati»). Studio commissionato a RAND Europe dalla DG Salute e consumatori della Commissione europea, 2009.

(31)  Fonte: DG SANCO, 2006.

(32)  Vedere nota 11. Per esercizi on trade si intendono bar, club, ristoranti e altri esercizi di vendita al minuto che vendono alcol per il consumo sul posto. Per esercizi off-trade si intendono supermercati e altri negozi autorizzati alla vendita di alcol per consumo esterno.

(33)  L'accessibilità economica viene misurata considerando l'effetto netto del prezzo e del reddito.

(34)  Vedere nota 30.

(35)  Modelling the Potential Impact of Pricing and Promotion Policies for Alcohol in England: Results from the Sheffield Alcohol Policy Model (Modellare l'impatto potenziale delle politiche dei prezzi e della pubblicità delle bevande alcoliche in Inghilterra: lezioni dal modello di Sheffield), versione 2008 (1-1).

(36)  Alcohol Price and Consumer Behaviour («Il prezzo delle bevande alcoliche e i comportamenti dei consumatori»). Ricerca di mercato, IPSOS Belgium, 2009.

(37)  Vedere nota 30.

(38)  Global burden of disease and injury and economic cost attributable to alcohol use and alcohol use disorders («Il carico mondiale delle malattie, delle lesioni e dei costi economici attribuibili al consumo di alcol e ai disordini dovuti al suo abuso»), The Lancet, 2009.

(39)  Effectiveness and cost-effectiveness of policies and programmes to reduce the harm caused by alcohol («Efficacia e redditività delle politiche e dei programmi volti a ridurre i danni provocati dall'alcol»), The Lancet, 2009.

(40)  Vedere nota 11.

(41)  Organizzazione mondiale della sanità, Global Status Report: Alcohol Policy («Relazione sulla situazione mondiale: la politica in materia di bevande alcoliche»), 2004. Si veda inoltre Paying the tab - The costs and benefits of alcohol control («La resa dei conti - Costi e benefici dei controlli sull'alcol»), 2007, e le note 35 e 37.

(42)  Vedere nota 11.

(43)  COM(2006) 367 def.

(44)  Vedere nota 11.

(45)  Parere d'iniziativa del CESE sul tema Violenza domestica contro le donne, del 16 marzo 2006, relatrice: HEINISCH (GU C 110 del 9.5.2006) e parere d'iniziativa del CESE sul tema I minori in quanto vittime indirette della violenza domestica, del 14 dicembre 2006, relatrice: HEINISCH (GU C 325 del 30.12.2006).

(46)  Vedere nota 11.

(47)  Si veda il sito del Royal College of Psychiatrists del Regno Unito all'indirizzo:

http://www.rcpsych.ac.uk/mentalhealthinfoforall/problems/alcoholanddrugs/alcoholandolderpeople.aspx.

(48)  Alcohol Use Disorders in Elderly People: Redefining an Age Old Problem in Old Age («I disturbi da abuso d'alcol negli anziani: ridefinizione di un vecchio problema della vecchiaia»), British Medical Journal, 2003.

(49)  Prevalence of Mental Disorders in Europe: Results from the European Study of the Epidemiology of Mental Disorders («Prevalenza dei disturbi mentali in Europa: risultati dello studio europeo dell'epidemiologia dei disturbi mentali»), 2004.


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/15


Parere del Comitato economico e scoiale europeo sul tema Il legame tra la parità fra uomini e donne, la crescita economica e il tasso di occupazione (parere esplorativo)

2009/C 318/04

Relatrice: OUIN

Con lettera datata 18 dicembre 2008, il ministro svedese degli Affari europei Cecilia MALMSTRÖM ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare, nella prospettiva della futura presidenza svedese, un parere esplorativo sul tema:

«Il legame tra la parità fra uomini e donne, la crescita economica e il tasso di occupazione».

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o settembre 2009, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice OUIN.

Alla sua 456a sessione plenaria, dei giorni 30 settembre e 1o ottobre 2009 (seduta del 1o ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 138 voti favorevoli, 6 voti contrari e 6 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il merito della richiesta della presidenza svedese di elaborare un parere sul tema dei legami tra la parità fra uomini e donne, la crescita e l'occupazione è che ci consente di fare un passo indietro e di cogliere il quadro d'insieme di tale tematica. Infatti, nonostante la parità tra uomini e donne abbia fatto oggetto di numerose relazioni e studi, nonché di direttive, leggi, raccomandazioni e accordi, la situazione fatica a cambiare e le ineguaglianze persistono. Esse sono un retaggio dei secoli passati e solo negli ultimi 50 anni ci si è battuti per eliminarle. Ormai, la parità tra uomini e donne è riconosciuta per legge, tuttavia, rimangono da cambiare le mentalità e i comportamenti dei singoli e della società. Il presente parere propone appunto di cambiare prospettiva, in particolare riguardo a tre temi: l'organizzazione del tempo, il riconoscimento della qualificazione delle attività di servizio alla persona e l'equilibrio di genere sia nei settori professionali che nei posti decisionali.

1.2

Le raccomandazioni del Comitato economico e sociale europeo (CESE) sono dunque rivolte agli Stati membri, alla Commissione, alle parti sociali, ma anche a tutti i soggetti della società civile.

Raccomandazioni rivolte agli Stati membri:

1.3

La crescita si misura attraverso l'aumento del PIL, che è però un indicatore che non riflette in misura sufficiente il contributo economico delle donne. È opportuno rivedere lo strumento utilizzato per calcolare la crescita, onde poter esaminare il legame esistente tra quest'ultima e la parità di genere.

1.4

Contribuire a garantire la parità tra uomini e donne deve essere considerato:

un mezzo per promuovere la crescita e l'occupazione e non un costo o un ostacolo,

uno strumento per potenziare l'indipendenza economica delle donne, le quali saranno indotte a consumare un maggior numero di beni e servizi,

un sistema per investire nelle risorse umane, imponendo la parità di accesso alla formazione professionale e all'apprendimento permanente e valorizzando maggiormente l'esperienza e la diversità,

un mezzo per creare le condizioni a favore di una migliore conciliazione tra lavoro, vita familiare e vita privata, proponendo orari di lavoro flessibili, scelti nell'interesse sia delle imprese che dei lavoratori, aumentando i servizi di assistenza, considerando i servizi per la prima infanzia non come un onere bensì come un investimento, e incoraggiando gli uomini a partecipare al lavoro familiare,

un sistema per stimolare lo spirito imprenditoriale femminile sostenendo la creazione e la trasmissione di imprese e migliorando l'accesso delle donne ai finanziamenti,

un mezzo per garantire la presa in considerazione della parità di genere in tutte le misure adottate a breve, medio e lungo termine per far fronte alla crisi economica e finanziaria sia a livello di Unione europea in generale sia a livello di singoli Stati membri,

un modo per ridurre il fenomeno della «povertà dei lavoratori» (spesso i salariati sottopagati, i precari e i capo famiglia di nuclei monogenitoriali sono donne) migliorando l'accesso al lavoro e le possibilità di un impiego sicuro e di un salario decoroso.

Raccomandazioni rivolte alla Commissione:

1.5

Il CESE chiede di monitorare e valutare gli sforzi condotti dagli Stati membri nell'attuazione della tabella di marcia per la parità tra uomini e donne e di diventare una piattaforma di scambio di buone pratiche e di esperienze.

Raccomandazioni rivolte alle parti sociali:

1.6

Il Comitato chiede che venga attuato il quadro comune d'azione in materia di parità tra i sessi, concentrandosi sui ruoli rispettivi di uomini e donne, sulla promozione delle donne al processo decisionale, sul sostegno ad un equilibrio tra lavoro e vita privata e sulla riduzione della disparità salariale.

1.7

Chiede inoltre di migliorare le conoscenze e gli strumenti di lotta contro la separazione tradizionale degli impieghi tra maschili e femminili, al fine di favorirne l'equilibrio di genere.

1.8

Chiede infine di rendere le attività di assistenza alla persona delle vere e proprie professioni attraverso un maggior riconoscimento delle competenze necessarie per esercitarle.

Raccomandazioni rivolte a tutti i soggetti della società civile e ai responsabili politici. Il Comitato chiede di:

prendere in considerazione delle altre modalità di pensionamento, prevedendo eventualmente la possibilità per chi lo desideri di beneficiare di tempo libero prima della pensione per far fronte ai propri obblighi familiari,

potenziare l'offerta di servizi a domicilio attraverso lo sviluppo di servizi pubblici e la creazione di imprese,

aumentare la presenza delle donne nelle funzioni dirigenziali degli enti pubblici e nei consigli di amministrazione e nei comitati direttivi delle imprese pubbliche e private,

esaminare questo tema da una prospettiva di ampio respiro, per poter adottare sia misure immediatamente applicabili sia linee d'azione a lungo termine.

2.   Introduzione

2.1

La necessità di adottare misure per migliorare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro è parte integrante della strategia di Lisbona, vale a dire il processo destinato a trasformare l'Europa in una società più competitiva basata sulla conoscenza.

2.2

Nella relazione sulla parità tra donne e uomini 2008 (1), la Commissione afferma quanto segue: «il lavoro femminile è stato il principale fattore della continua crescita dell'occupazione nell'UE nel corso di questi ultimi anni. Tra il 2000 ed il 2006 il numero di persone che lavorano nell'UE-27 è salito di circa 12 milioni di unità, tra cui oltre 7,5 milioni di donne (…). Il tasso di occupazione delle donne con figli a carico è appena del 62,4 %, contro il 91,4 % degli uomini, con uno scarto di ben 29 punti percentuali. Oltre tre quarti dei lavoratori a tempo parziale sono donne (76,5 %), un dato che corrisponde a una donna su tre, rispetto a meno di un uomo su dieci».

2.3

Nella relazione del 2009 (2), la Commissione afferma che il tasso di occupazione femminile è del 58,3 % contro il 72,5 % di quello maschile e che il tasso di occupazione femminile a tempo parziale è del 31,2 % contro il 7,7 % di quello maschile. La Commissione inoltre sottolinea la predominanza delle donne nei settori in cui il lavoro è meno retribuito e mette in risalto la ripartizione iniqua dei poteri nelle istituzioni e nelle imprese.

2.4

Anche se è vero che in Europa la parità tra i sessi non è ancora realtà, è sicuramente vero che la situazione delle donne lavoratrici sul nostro continente è una delle migliori al mondo. Bisogna riconoscere che l'Unione europea ha affrontato il problema sin dal suo apparire e che ha creato strumenti statistici, condotto studi e analisi e adottato misure legislative in proposito.

2.5

Nonostante i progressi e i risultati positivi raggiunti, il potenziale economico delle donne non è stato adeguatamente valorizzato. Inoltre, la crisi economica e finanziaria mondiale senza precedenti attualmente in atto avrà probabilmente un impatto differente sulle donne e sugli uomini, data la loro diversa situazione nella sfera economica, sociale e familiare.

2.6

Considerando il gran numero di studi esistenti in materia, di raccomandazioni formulate e di decisioni adottate dalle istituzioni e dalle parti sociali europee (in 9 anni il Comitato ha adottato 14 pareri (3) su temi legati alla parità tra uomini e donne) il CESE ha deciso di non trattare, nel presente documento, il tema della parità nel suo complesso. L'ambito del presente parere è dunque limitato ai legami tra la parità da un lato e la crescita e l'occupazione dall'altro, tenendo presente l'obiettivo stabilito dalla strategia di Lisbona per quanto concerne la maggiore partecipazione delle donne al mercato del lavoro (4).

3.   Osservazioni generali

3.1   Antecedenti

3.1.1

Dagli anni '60, c'è stato un costante aumento dell'occupazione femminile. Un grande passo verso la parità dei sessi è stato, sin dagli anni '70, l'accesso in massa delle donne ad un lavoro. Da quando hanno avuto la possibilità di scegliere quando fare figli e di accedere agli studi superiori, le donne hanno voluto, al pari degli uomini, usare le loro competenze all'interno della società e non solo in ambito familiare, acquisendo un'indipendenza economica. Avere un lavoro retribuito significa avere una fonte di reddito personale, maggiori garanzie in termini di sicurezza sociale e di pensione, nonché una protezione contro la povertà in caso di separazione, divorzio o vedovanza.

3.1.2

L'ingresso delle donne nel mondo del lavoro ha creato nuove esigenze, che il mercato ha dovuto soddisfare. Lavorando in casa, le donne svolgevano un'attività che non era calcolata nel prodotto interno lordo. Quando le donne sono uscite dalla sfera familiare, si sono creati nuovi impieghi per svolgere i compiti che esse portavano avanti in casa. Basti pensare alle bambinaie e alle collaboratrici domestiche, e non solo.

3.1.3

L'occupazione femminile ha creato nuovi bisogni, che hanno contribuito allo sviluppo economico. Nel momento in cui le donne hanno trovato un'occupazione, le coppie si sono dotate di un maggior numero di elettrodomestici e di una seconda automobile, hanno cominciato a comprare piatti già pronti, hanno iniziato a pranzare fuori casa, le famiglie hanno avuto bisogno di servizi e strutture di assistenza ai malati, agli invalidi e agli anziani o di strutture per l'infanzia che funzionassero al di fuori dell'orario scolastico, tutti compiti che in precedenza erano portati avanti dalle casalinghe. Grazie ad un doppio stipendio, le coppie hanno potuto acquistare una casa e dedicarsi ad attività culturali, viaggiare, ecc. Questo ha comportato la creazione di posti di lavoro nell'industria degli elettrodomestici, in quella automobilistica e in quella agroalimentare, nella ristorazione collettiva, nei settori sanitari, sociali e parascolastici, dell'istruzione e della prima infanzia, nell'edilizia, nel settore turistico e in quello del tempo libero, della cultura e dei trasporti di passeggeri, ecc.

3.1.4

Da oramai quarant'anni, questo movimento di trasformazione del lavoro domestico in posti di lavoro è un motore della crescita. È tuttavia lecito chiedersi se si tratta veramente di crescita o piuttosto del riflesso del modo in cui essa è calcolata? L'economia non considera il lavoro domestico e familiare, eppure esso è necessario per garantire il funzionamento della società: da qui l'esigenza di porsi delle domande sul modo di calcolare la crescita.

3.2   Parità tra uomini e donne e crescita economica - fatti e constatazioni

3.2.1

Secondo un'analisi condotta dall'UE (5), il contributo della parità tra i sessi all'economia non deve essere misurato unicamente in termini di una migliore redditività delle imprese. Si tratta di un investimento produttivo che consente un progresso economico globale, una maggiore crescita e la creazione di posti di lavoro. La parità tra i sessi dà allo sviluppo un triplice contributo: 1) una più ampia partecipazione al mercato del lavoro comporta per le donne una migliore utilizzazione delle conoscenze su cui hanno investito nell'ambito della loro istruzione e formazione, 2) le donne acquisiscono una maggiore indipendenza economica, 3) le donne si integrano in modo più adeguato nel sistema fiscale e contribuiscono al benessere della collettività.

3.2.2

Anche se il contributo della parità tra i sessi all'economia è considerato come qualcosa che va al di là dell'approccio imprenditoriale e della gestione della diversità a livello delle aziende, non si può contestare che in alcuni casi quello all'approccio imprenditoriale ha portato a risultati economici positivi. La redditività delle aziende che annoverano un maggior numero di donne nei propri consigli di amministrazione è infatti maggiore.

3.2.3

Le politiche per la parità possono essere considerate un buon investimento a livello di risorse umane. Anche se gli obiettivi dello sviluppo economico sono circoscritti alla crescita economica, tali politiche possono avere, dal punto di vista dell'investimento, un impatto positivo sulle persone, le imprese, le regioni e le nazioni: anche un ricorso più ampio e più mirato alle donne caratterizzate da un alto grado di istruzione può generare vantaggi economici.

3.2.4

Una maggiore indipendenza economica delle donne è positiva per l'economia, poiché consente loro di acquistare più beni e servizi e aumenta il potere d'acquisto delle famiglie. Il contributo delle donne all'economia dovrebbe essere maggiormente riconosciuto nelle politiche economiche nazionali, regionali e locali.

3.3   La situazione attuale

3.3.1

Nel momento in cui la crisi economica e quella ambientale ci impongono di stabilire quale sia il tipo di sviluppo più auspicabile, c'è chi rimette in discussione il PIL come unico indicatore della crescita. Si potrebbe pertanto valutare l'uso di indicatori diversi (6).

3.3.2

Quali che siano gli indicatori impiegati, la situazione delle donne rimane non uguale a quella degli uomini, il che rappresenta un costo per la società. Gli Stati infatti investono lo stesso importo per l'istruzione di entrambi i sessi ma sono le ragazze a conseguire il 60 % dei diplomi universitari europei. È dunque incomprensibile che non vi sia un maggiore sostegno da parte degli Stati alla successiva partecipazione delle donne al mercato del lavoro. La spesa sostenuta per l'istruzione di entrambi i sessi è la stessa, dunque le donne dovrebbero avere le stesse responsabilità e retribuzioni degli uomini. Le donne dovrebbero approfittare delle attuali trasformazioni per acquisire le nuove competenze necessarie ai nuovi impieghi. Ciò nondimeno, il contributo delle donne, la loro istruzione superiore e il loro potenziale per soddisfare le future esigenze del mercato del lavoro continuano ad essere sottovalutati e a non essere riconosciuti.

3.3.3

Lottare contro le disparità tra i sessi non è solo una questione etica ma significa gestire meglio le risorse umane. Se la presenza delle donne al lavoro aumenta, vi sarà maggiore ricchezza e maggiore consumo di beni e servizi e aumenteranno le entrate fiscali. Le equipe di lavoro miste presentano un più elevato potenziale di innovazione. Dare alle coppie i mezzi per realizzare il desiderio di avere figli, permettendo ai genitori di mantenere il loro posto di lavoro, significa lottare contro il deficit demografico. Se l'Europa desidera investire nel capitale umano, deve innanzi tutto affrontare la situazione di svantaggio delle donne (7).

3.3.4

Il potenziale di sviluppo delle donne è ostacolato in particolare dai seguenti fattori:

l'iniqua condivisione delle responsabilità familiari (bambini, malati, genitori anziani, faccende domestiche, ecc.),

l'insufficienza, sia in termini numerici sia in termini di qualità, di strutture di custodia prescolari pubbliche e anche di strutture di custodia alternative ad un prezzo accessibile a tutti,

il peso degli stereotipi,

la separazione orizzontale e verticale del mercato del lavoro,

la separazione tra i sessi per quanto concerne l'orientamento scolastico e gli studi,

il mancato riconoscimento delle qualifiche e delle competenze mostrate dalle donne in una serie di mestieri,

il lavoro part-time, quando rappresenta una scelta obbligata,

il lavoro precario,

il lavoro non dichiarato,

i bassi salari,

le disparità salariali tra uomini e donne (8),

la violenza e le molestie di carattere sessuale e/o di genere,

il numero troppo limitato di donne con responsabilità in campo politico ed economico,

le condizioni svantaggiate delle donne imprenditrici, il sostegno inadeguato alla creazione e alla trasmissione di imprese e l'accesso ridotto ai finanziamenti,

i comportamenti retrogradi diffusi da alcune comunità,

la mancanza di modelli,

le donne stesse, che non si valorizzano come fanno gli uomini (esitano a candidarsi a posizioni di responsabilità, hanno una scarsa fiducia in se stesse, non si dedicano al social networking, non sfruttano adeguatamente le opportunità e sono riluttanti a combattere la discriminazione).

3.3.5

Concentrare gli sforzi sulle condizioni di accesso e di mantenimento delle donne nel mercato del lavoro, colmando le disparità salariali tra uomini e donne, significa garantire una maggiore crescita, creare migliori posti di lavoro, prevenire la povertà e ridurre i costi della «crisi sociale». In Europa, la povertà colpisce soprattutto le madri single (9).

3.3.6

In base alla antica ripartizione dei ruoli, il reddito percepito dall'uomo consentiva di finanziare il lavoro svolto da sua moglie a livello familiare, sociale e domestico. Oggi, se una coppia dispone di due stipendi, ne dedica prioritariamente uno, oltre che per finanziare i servizi necessari a coprire i compiti che venivano in precedenza svolti dalle casalinghe, al consumo di beni materiali.

3.3.7

In passato il lavoro gratuito delle casalinghe non aveva prezzo: trasformato in lavoro retribuito, esso finisce per avere un costo che i suoi utilizzatori non sono disposti o non possono pagare. Le bambinaie, le badanti, le domestiche vengono remunerate con i salari più bassi, lavorano part-time, hanno più di un datore di lavoro contemporaneamente (i privati che le assumono per poche ore la settimana), e spesso operano nell'ambito dell'economia sommersa. In Europa il più importante settore di lavoro non dichiarato è quello dei lavori domestici.

3.3.8

I genitori affidano ciò che hanno di più prezioso, il loro bambino, a persone che percepiscono retribuzioni molto inferiori alla media ma chiedono che il loro livello di competenze sia elevato. Allo stesso modo, ad una domestica si lascia la chiave della propria casa senza però riconoscerle un salario corrispondente al grado di fiducia che le si accorda. È difficile che le qualifiche del personale domestico vengano riconosciute dal momento che le famiglie giudicano «facile» un compito che potrebbero esse stesse svolgere. Ma se occuparsi dei propri figli non è un mestiere, occuparsi dei figli degli altri invece lo è (occorrono nozioni di psicologia, dietetica, igiene, capacità di concentrazione e di ascolto, un'attenzione e un controllo permanenti, ecc.). Le competenze richieste sono spesso considerate «naturalmente» femminili e per questo ignorate in campo «professionale». Esse vengono trasmesse a livello informale nelle famiglie piuttosto che insegnate a scuola.

4.   Osservazioni particolari

4.1   La marcia verso la parità tra i sessi può continuare a creare crescita e posti di lavoro, essenzialmente per i seguenti motivi:

l'aumento del tasso di occupazione delle donne crea ulteriori necessità di servizi,

una rivalutazione dei salari femminili crea potere d'acquisto, ulteriore capacità di consumo ed entrate fiscali,

una maggiore presenza femminile nelle cariche politiche e nelle posizioni decisionali ha un effetto positivo sulle prestazioni delle imprese e degli enti,

l'aumento del numero delle donne imprenditrici crea valore aggiunto e contribuisce all'economia attraverso l'innovazione e la creazione di posti di lavoro.

4.2   Dato che è inutile ripetere quello che altri documenti comunitari hanno già affermato, il Comitato economico e sociale europeo si limita a proporre alcune piste, che appaiono meno battute delle altre.

4.2.1   Risolvere il problema degli impieghi separati per uomini e donne

4.2.1.1

L'ostacolo principale alla parità tra i sessi è attualmente la separazione degli impieghi tra uomini e donne. Esistono infatti da un lato professioni maschili e, dall'altro, professioni femminili in cui spesso i salari sono più bassi e nelle quali il lavoro part-time (non per scelta) e la precarietà sono fenomeni più frequenti.

4.2.1.2

Fino a quando una professione sarà riservata ad uno solo dei sessi, sarà oggetto di stereotipi. È oramai dimostrato che uomini e donne sono capaci di esercitare tutti i tipi di mestieri. Alcune professioni, che per lungo tempo sono state appannaggio quasi esclusivo degli uomini (insegnante, giudice, medico generico) sono ora prevalentemente femminili. Perché è tanto difficile garantire l'equilibrio di genere nell'occupazione? È opportuno incrementare le conoscenze in proposito, affrontare il problema e promuovere l'eterogeneità degli impieghi. Questo permetterà tra l'altro anche di scongiurare la carenza di manodopera che si registra in alcuni settori.

4.2.1.3

Gli ostacoli che vengono frapposti alla eterogeneità degli impieghi e delle funzioni sono spesso di origine inconscia e sono legati alla immagine dei ruoli. Essi affondano le loro radici nel sistema educativo, in base al quale la scelta della futura professione differisce a seconda del sesso. I genitori e gli insegnanti devono essere maggiormente sensibilizzati alle conseguenze delle scelte di carriera dei giovani. Anche i rappresentanti padronali e sindacali chiamati a negoziare i sistemi di classificazione e a stabilire una gerarchia delle qualifiche nel corso delle trattative salariali svolgono un ruolo fondamentale in questo campo: è dunque importante che essi comprendano il valore delle competenze acquisite nella sfera domestica e familiare. L'equilibrio di genere è carente anche a livello delle funzioni dirigenziali: dunque le grandi aziende e i gradi alti della pubblica amministrazione dovrebbero adottare misure per favorirlo.

4.2.2   Qualificare i lavori di assistenza alla persona rendendoli vere e proprie professioni

4.2.2.1

I lavori di assistenza alla persona devono diventare professioni a tutti gli effetti, con qualifiche ufficialmente riconosciute, un'adeguata formazione, un diploma e una carriera vera e propria. Per far sì che tale servizio non sia più basato su un rapporto personale tra i privati e coloro che offrono le loro prestazioni, è opportuno creare imprese e servizi pubblici di assistenza alla persona. Le famiglie non devono più svolgere il ruolo di datori di lavoro bensì quello di clienti o di utenti che beneficiano, a pagamento, di alcune ore di lavori domestici, di assistenza ad un anziano, di baby-sitting o di doposcuola. Occorrerebbe estendere a tutta l'Unione un sistema già collaudato in alcuni paesi europei, dove l'impresa o il servizio pubblico che dà lavoro è responsabile della sicurezza di beni e persone e deve accertare le qualifiche dei lavoratori che svolgono mansioni a domicilio. Questi ultimi hanno pertanto un unico datore di lavoro, sono retribuiti anche per il tempo che impiegano per recarsi da un primo ad un secondo domicilio, hanno accesso ad una formazione professionale e godono di tutte le garanzie collettive. È necessario elaborare un quadro di riferimento europeo per i servizi di assistenza a domicilio, che comprenda anche la dimensione psicologica di tali servizi (fiducia, empatia, attenzione, ascolto, controllo …) le indispensabili conoscenze che essi comportano (dietetica, incidenza dei prodotti impiegati sulla salute e l'ambiente …) e non solo la dimensione materiale e tecnica dei lavori domestici.

4.2.2.2

Il riconoscimento delle qualifiche farà però aumentare il costo di tali servizi, che già ora la maggior parte delle famiglie non può permettersi. Per renderli più accessibili per tutti, si potrebbe pensare a un finanziamento da parte dello Stato e a un contributo delle imprese - se previsto a livello di accordi aziendali.

4.2.2.3

Una più elevata professionalità dei servizi di assistenza alla persona e la garanzia di salari più adeguati renderà possibile anche una loro maggiore eterogeneità sul piano della partecipazione di entrambi i sessi. Quando gli uomini vorranno esercitare mestieri quali collaboratore domestico, baby-sitter o badante un gran passo in avanti sarà stato compiuto verso la parità tra i sessi.

4.2.3   Ripartire meglio le responsabilità familiari

4.2.3.1

I padri dedicano ai lavori familiari e domestici meno tempo delle madri. Sensibilizzare i padri circa l'importanza del loro ruolo accanto ai figli, spingere gli uomini a prendersi le loro responsabilità nei confronti dei genitori anziani e dei malati in famiglia sono condizioni essenziali per la parità.

4.2.4   L'assistenza alla prima infanzia

4.2.4.1

Sviluppare l'assistenza alla prima infanzia non deve essere considerato un costo ma un investimento. Secondo Gösta Esping Andersen (10), le madri che lavorano restituiscono a lungo termine gli aiuti ricevuti, attraverso l'aumento dei loro introiti nel corso della loro vita e le imposte corrispondenti che devono versare. Questo gettito rimborsa il sostegno pubblico iniziale e ha un impatto positivo sui bambini che ne beneficiano. Tale investimento permette inoltre di contenere il declino demografico dell'Europa.

4.2.5   Sviluppare l'offerta di servizi

La parità presuppone lo sviluppo di un'offerta di servizi che liberi le donne dai lavori domestici e familiari e garantisca loro occupazioni stabili, a tempo pieno e qualificate. Sviluppare l'offerta di tali servizi (assistenza alla prima infanzia, servizi parascolastici, assistenza agli anziani e agli invalidi, lavori domestici e stiratura) significa creare posti di lavoro.

4.2.5.1

Lo sviluppo di tali servizi presuppone un finanziamento sovvenzionato (Stato, imprese, clienti) (11). Alcuni recenti accordi tra le imprese e i loro dipendenti propongono servizi di assistenza alla persona come alternativa ad un aumento salariale. Proporre servizi che permettono di conciliare meglio vita privata e vita lavorativa fa parte della responsabilità sociale delle imprese.

4.2.6   Prevedere un «credito di tempo»

4.2.6.1

Per conciliare vita professionale e familiare i servizi non bastano. Per una buona parte di vita, crescere ed educare i propri figli richiede molto tempo. Il lavoro part-time, quando è frutto di una scelta volontaria, può aiutare le persone con famiglia a carico a conciliare meglio la loro vita professionale, familiare e privata: esso non deve tuttavia rendere fragile la posizione delle donne nell'occupazione e nella vita, soprattutto quando esse rivestono il ruolo di capo famiglia, né scoraggiare i padri a partecipare alla vita familiare. Entrambi i genitori devono potersi occupare dei loro figli.

4.2.6.2

Vi sono poi altri membri della famiglia che richiedono il nostro tempo: le persone in fin di vita, gli ammalati, i genitori anziani. Nel momento in cui si sta procedendo alla riforma di tutti i regimi pensionistici, è opportuno abbandonare la visione della vita divisa in tre periodi: gli studi, il lavoro e la pensione. Ognuno deve avere la possibilità di studiare durante tutto l'arco della vita e disporre di un «credito di tempo» costituito da un numero sufficiente di anni da dedicare alle proprie attività familiari, sociali, associative, politiche e civiche. Bisognerebbe avere la possibilità di scegliere di prorogare l'età della pensione se si desidera disporre di tempo (finanziato come la pensione) durante la propria vita attiva.

4.2.7   Aumentare il numero delle donne alle funzioni dirigenziali

4.2.7.1

Le donne sono mal rappresentate in tutte le funzioni dirigenziali, in politica, ai livelli alti dell'amministrazione e nella direzione delle grandi imprese. Eppure, le imprese che contano una maggiore proporzione di donne nei loro consigli di amministrazione sono anche quelle che ottengono i migliori risultati finanziari. Le donne creano meno imprese e meno spesso assurgono al ruolo di dirigenti d'impresa. Dal canto loro, gli uomini sono poco rappresentati nella sfera familiare e usufruiscono meno dei congedi parentali.

4.2.7.2

Le donne che si sono imposte in un ambiente maschile potrebbero fungere da guida alle donne che aspirano alla stessa carriera (tutoraggio). In tale contesto, potrebbero rivelarsi necessarie delle misure vincolanti; i grandi enti pubblici e le grandi imprese private dovrebbero adottare misure per garantire una presenza femminile significativa tra i propri dirigenti.

4.2.8   Sostenere le donne imprenditrici

Le donne che intendono avviare o gestire un'attività imprenditoriale nell'UE hanno molte difficoltà a creare le proprie imprese e a mantenerle in vita, e questo per diversi fattori: scarsa conoscenza del mondo delle imprese, dei tipi di impresa e dei settori, limitate informazioni, assenza di contatti e di reti, dominio degli stereotipi, inadeguatezza e insufficiente flessibilità dei servizi per l'infanzia, difficoltà a conciliare affari e obblighi familiari, diversità del modo di concepire l'imprenditorialità da parte di uomini e donne. La tabella di marcia dell'UE per la parità tra uomini e donne ha individuato le misure da prendere per sostenere l'imprenditorialità femminile, per aiutare le donne a creare le loro imprese o a rilevare imprese esistenti, per far sì che esse godano di un'adeguata formazione all'imprenditorialità e per facilitare il loro accesso ai finanziamenti.

4.2.9   Il ruolo delle parti sociali

Dato che le disparità esistenti sul mercato del lavoro hanno cause complesse e collegate tra loro, nel 2005 le parti sociali europee hanno adottato - nell'ambito del loro primo programma di lavoro comune - un quadro d'azione sulla parità tra i sessi che copre essenzialmente quattro settori d'intervento: il ruolo del genere, la promozione delle donne nel processo decisionale, il sostegno all'equilibrio tra lavoro e vita privata e la riduzione delle disparità salariali.

Bruxelles, 1o ottobre 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  COM(2008) 10 def. pag. 4.

(2)  COM(2009) 77 def.

(3)  Cfr. i seguenti pareri:

parere del 24 marzo 2009 in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'applicazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un'attività autonoma, che abroga la direttiva 86/613/CEE, relatrice: SHARMA, (GU C 228 del 22.9.2009)

parere del 13 maggio 2009 in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 92/85/CEE del Consiglio concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute sul lavoro delle lavoratrici gestanti, puerpere o in periodo di allattamento, relatrice: HERCZOG, CESE 882/2009 (GU C 277 del 17.11.2009)

parere del 22 aprile 2008 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Combattere il divario di retribuzione tra donne e uomini, relatrice: KÖSSLER (GU C 211 del 19.8.2008)

parere dell'11 luglio 2007 sul tema Occupabilità e imprenditorialità - La società civile, le parti sociali e gli enti regionali e locali in una prospettiva di genere, relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 256 del 27.10.2007)

parere dell'11 luglio 2007 sul tema Il ruolo delle parti sociali nella conciliazione della vita professionale, familiare e privata, relatore: CLEVER (GU C 256 del 27.10.2007)

parere del 12 luglio 2007 sul tema L'occupazione per le categorie prioritarie (strategia di Lisbona), relatore: GREIF (GU C 256 del 27.10.2007)

parere del 13 settembre 2006 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Una tabella di marcia per la parità tra donne e uomini 2006-2010, relatrice: ATTARD (GU C 318 del 23.12.2006)

parere del 14 febbraio 2006 sul tema La rappresentanza femminile negli organi decisionali dei gruppi di interesse economici e sociali dell'Unione europea, relatore: ETTY (GU C 88 dell'11.4.2006)

parere del 14 dicembre 2005 in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'Anno europeo delle pari opportunità per tutti (2007) - Verso una società giusta, relatrice: HERCZOG (GU C 65 del 17.3.2006)

parere del 29 settembre 2005 sul tema Le donne e la povertà nell'Unione europea, relatrice: KING (GU C 24 del 31.1.2006)

parere del 28 settembre 2005 in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che costituisce un Istituto europeo per l'uguaglianza di genere, relatrice: ŠTECHOVÁ (GU C 24 del 31.1.2006)

parere del 15 dicembre 2004 in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante l'attuazione del principio delle pari opportunità e della parità di trattamento fra uomini e donne in materia d'occupazione e impiego, relatrice: SHARMA (GU C 157 del 28.6.2005)

parere del 3 giugno 2004 in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che attua il principio della parità di trattamento tra donne e uomini per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura, relatrice: CARROLL (GU C 241 del 28.9.2004)

parere del 25 gennaio 2001 in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la Direttiva 76/207/CEE del Consiglio relativa all'attuazione del principio della parità di trattamento tra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro, alla formazione e alla promozione professionali e le condizioni di lavoro, relatrice: WAHROLIN (GU C 123 del 25.4.2001).

(4)  Obiettivo fissato al 60 % per il 2010.

(5)  Nota di analisi: I vantaggi economici della parità tra i sessi, di Mark Smith e Francesca Bettio, 2008, finanziato ed elaborato ad uso della Commissione europea, DG EMPL.

(6)  Si potrebbero ad esempio utilizzare gli indicatori del PNUD (Programma di sviluppo delle Nazioni Unite): 1) l'IDH (indice di sviluppo umano), che classifica i paesi facendo la media di tre indicatori: il PIL pro capite, l'aspettativa di vita alla nascita e il livello d'istruzione; 2) l'IDSH, indicatore di sviluppo umano basato specificamente sul sesso, che permette di valutare le differenze di situazione tra uomini e donne; 3) l'IPF, l'indicatore della partecipazione delle donne alla vita economica e politica.

(7)  COM(2009) 77 def. «Gli Stati membri con il più elevato tasso di natalità sono attualmente quelli che più hanno fatto per migliorare l'equilibrio lavoro-vita familiare dei genitori e che fanno registrare un tasso di occupazione femminile elevato».

(8)  Cfr. l'eccellente campagna della Commissione Parità di retribuzione per un lavoro di pari valore, http://ec.europa.eu/equalpay

(9)  COM(2009) 77 def. «Questo fatto comporta anche il rischio di povertà, in particolare per genitori singoli, che per lo più sono donne (con un tasso di rischio di povertà del 32 %)».

(10)  Trois leçons sur l'Etat-Providence, 2008, Paris, Le Seuil.

(11)  L'esempio francese del «chèque-emploi-service» con deduzione fiscale, che permette di finanziare parzialmente tali servizi, rappresenta una pista interessante che ha ottenuto risultati positivi contro il lavoro non dichiarato in questo settore. Si tratta di un sistema frutto di un accordo tra le banche, lo Stato e i regimi di previdenza sociale, in base al quale le banche emettono speciali libretti di assegni per pagare le prestazioni di servizio a domicilio allo scopo di sopprimere il lavoro nero e facilitare ai datori di lavoro privati le pratiche amministrative relative alle dichiarazioni sociali e fiscali.


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/22


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Diversità delle forme d'impresa (parere d'iniziativa)

2009/C 318/05

Relatore: Miguel Ángel CABRA DE LUNA

Correlatrice: Marie ZVOLSKÁ

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 10 luglio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

«Diversità delle forme d'impresa

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 9 settembre 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore CABRA DE LUNA e dalla correlatrice ZVOLSKÁ.

Alla sua 456a sessione plenaria, dei giorni 30 settembre e 1o ottobre 2009 (seduta del 1o ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 113 voti favorevoli e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Lo scopo del presente parere è quello di descrivere la diversità delle forme di impresa presenti nell'Unione europea (UE). Proteggere e preservare tale diversità è molto importante per realizzare il mercato unico e mantenere il modello sociale europeo, nonché per conseguire gli obiettivi della strategia di Lisbona in materia di occupazione, competitività e coesione sociale.

1.2   Il presente parere è incentrato sulla necessità di far sì che sia il quadro giuridico che disciplina le imprese, sia la politica di concorrenza promuovano la diversità e la pluralità delle forme di impresa - che è una delle risorse principali dell'UE - in maniera coerente, in modo da creare condizioni uniformi fra tutte le diverse forme di impresa tenendo conto delle caratteristiche di ciascuna di esse.

1.3   La pluralità e la diversità delle varie forme di impresa sono riconosciute nel Trattato e confermate dalla realtà, attraverso i diversi regimi giuridici («statuti») già approvati o ancora all'esame.

1.4   Questa diversità contribuisce alla ricchezza dell'UE e riveste un'importanza chiave per l'Europa, il cui motto è «unita nella diversità». Tutte le forme di impresa rispecchiano un aspetto della storia europea, e ciascuna di esse è portatrice della nostra memoria e della nostra cultura collettive - delle «nostre culture». Questa diversità merita di essere preservata.

1.5   Questa diversità costituisce inoltre una base essenziale per realizzare gli obiettivi di Lisbona in materia di crescita, occupazione, sviluppo sostenibile e coesione sociale fondati sulla salvaguardia e sullo sviluppo della competitività dell'impresa.

1.6   La finalità delle norme sulla concorrenza non dovrebbe essere quella di garantire l'uniformità, bensì quella di offrire un quadro giuridico equilibrato applicabile alle diverse forme di impresa, le quali devono poter svilupparsi preservando i propri obiettivi e metodi di funzionamento.

1.7   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) chiede alla Commissione di iniziare a lavorare all'approvazione di statuti europei distinti per le associazioni e le mutue. Esso accoglie con favore l'avvio dei lavori per uno statuto europeo delle fondazioni, augurandosi che tali lavori si concludano presto con l'adozione di tale statuto. Apprezza la semplificazione del regolamento sulla società cooperativa europea (SCE), la cui complessità rallenta lo sviluppo di tale forma societaria.

1.8   I servizi e le reti che offrono sostegno e informazioni, consulenza giuridica, assistenza alla commercializzazione e altre prestazioni dovrebbero coprire anche l'intera gamma dei tipi di impresa.

1.9   Il CESE esorta la Commissione a rispettare l'identità delle cooperative per quanto riguarda le questioni di contabilità e a trattare le quote di capitale dei soci come quote di capitale sociale delle cooperative anziché come capitale di debito, a meno che il socio, recedendo dalla cooperativa, non ne diventi creditore.

1.10   Le statistiche economiche sulle società cooperative, sulle mutue, sulle associazioni, sulle fondazioni e sulle imprese analoghe sono molto limitate ed eterogenee; ciò rende difficile analizzare tali dati e valutare il contributo di tali tipi di impresa ai grandi obiettivi macroeconomici.

1.10.1

Per questo motivo il CESE chiede alla Commissione e agli Stati membri di promuovere l'istituzione di registri statistici delle suddette imprese. Si tratta in particolare della preparazione di conti satelliti, in base ai criteri armonizzati del sistema contabile europeo indicati in dettaglio nel Manual for drawing up the satellite accounts of enterprises in the social economy: cooperatives and mutual societies (Manuale per la redazione dei conti satelliti delle imprese dell'economia sociale: società cooperative e società mutue) (1) e nel rapporto del CESE sull'economia sociale nell'Unione europea (2).

1.11   Il CESE invita poi la Commissione a incoraggiare gli Stati membri a studiare la possibilità di concedere misure compensative alle imprese sulla base del loro valore sociale comprovato o del contributo verificato che esse recano allo sviluppo regionale (3).

1.12   Il CESE invita inoltre la Commissione a istituire un osservatorio sulla diversità delle forme d'impresa, in quanto tale diversità è un elemento essenziale per la competitività europea, e a sviluppare gli esistenti strumenti organici necessari a tal fine. Questi avrebbero il compito di assicurarsi che in nessuna delle politiche che riguardano le imprese siano presenti discriminazioni nei loro confronti e di procedere su questo punto a un coordinamento con i diversi servizi della Commissione.

1.13   Infine, il CESE chiede che tutte le organizzazioni maggiormente rappresentative delle diverse forme di impresa vengano associate al dialogo sociale quando la loro rappresentatività è dimostrata.

2.   La diversità delle forme di impresa e il mercato interno nell'Unione europea

2.1   Le diverse forme di impresa presenti nell'Unione europea derivano dalla complessa e diversificata evoluzione storica del nostro continente. Ciascuna di tali forme risponde a una particolare situazione storica, sociale ed economica, spesso differente da un paese all'altro d'Europa. Inoltre, le imprese sono continuamente chiamate a evolversi e ad adattarsi ai cambiamenti delle società e delle tendenze di mercato, finanche modificando la loro forma giuridica. Pertanto, la pluralità e la diversità delle varie forme di impresa sono aspetti importanti del patrimonio dell'Unione europea e sono cruciali per la realizzazione degli obiettivi della strategia di Lisbona in materia di crescita, occupazione, sviluppo sostenibile e coesione sociale fondati sulla salvaguardia e sullo sviluppo della competitività dell'impresa. Proteggere e preservare questa diversità è della massima importanza per garantire mercati competitivi, l'efficienza economica e la competitività degli operatori economici e per preservare la coesione sociale nell'Unione europea.

2.2   È quanto riconoscono le istituzioni europee attraverso il disposto degli articoli 48, 81 e 82 del Trattato CE e le disposizioni che figurano nel Trattato di Lisbona (4), il cui articolo 3, paragrafo 3, propone, come uno degli obiettivi dell'Unione, quello di un'economia sociale di mercato fondata sull'equilibrio tra le regole del mercato e la protezione sociale degli individui in quanto lavoratori e cittadini.

2.3   La diversità delle forme d'impresa può essere definita in base a differenti criteri, quali le dimensioni, la struttura giuridica, le forme di accesso ai finanziamenti, gli obiettivi, i diritti finanziari e politici attribuiti al capitale (distribuzione degli utili e dei dividendi, diritti di voto) oppure la composizione del capitale (pubblico o privato), la nomina degli amministratori, il rilievo economico (europeo, nazionale e locale), l'occupazione, il rischio di fallimento, ecc. Tutti questi criteri concorrono a formare una matrice della diversità, rappresentata in forma semplificata nella tavola seguente:

VARIETÀ DELLE FORME DI IMPRESA COLLETTIVA NELL'UNIONE EUROPEA

DIMENSIONITIPO

Multinazionale

Grande

Media e piccola

Impresa del settore pubblico

X

X

X

Società di capitali quotata

X

X

X

Società di capitali non quotata

 

X

X

Impresa familiare

 

X

X

Società di persone

X

X

X

Cooperativa

X

X (5)

X (5)

Mutua

 

X (5)

X (5)

Fondazione

 

X (5)

X (5)

Associazione

 

X (5)

X (5)

Altre forme di impresa senza fini di lucro esistenti negli Stati membri

 

X (5)

X (5)

Secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee (6), le fondazioni, le associazioni e le altre organizzazioni senza scopo di lucro possono essere considerate «operatori economici» nella misura in cui svolgono «attività economiche» ai sensi degli articoli 43 e 49 del Trattato CE ed esse vengono quindi comprese in questa categoria.

2.4   Anche se lo scopo comune a qualsiasi tipo di impresa è quello di creare valore e massimizzare i risultati, i parametri o i concetti utilizzati per misurare tale valore e tali risultati possono variare a seconda del tipo di impresa e degli obiettivi perseguiti da chi la controlla o trae vantaggio dalla sua attività. In alcuni casi, massimizzare i risultati significa conseguire il massimo rendimento del capitale investito dai soci; in altri casi, invece, creare valore e massimizzare i risultati significano massimizzare la qualità dei servizi prestati ai soci o al pubblico in generale (è il caso, ad esempio, di una cooperativa di istruzione i cui soci siano le famiglie oppure di una mutua previdenziale o ancora degli obblighi dei servizi pubblici).

2.4.1

È anche possibile che alcune grandi imprese non abbiano soci che detengono quote di capitale e che i loro utili vengano reinvestiti oppure destinati a obiettivi sociali di pubblica utilità, come accade nelle casse di risparmio di alcuni paesi europei (7).

2.4.2

Inoltre, in molte microimprese e PMI su base locale la produzione di valore non si esprime soltanto in termini di utili finanziari ma anche di conseguimento di finalità sociali attinenti ad esempio alle condizioni di lavoro, all'autogestione, ecc.

2.5   Nel seguito vengono descritti più particolareggiatamente i differenti tipi di impresa, in base alle loro dimensioni e alla loro tipologia in funzione della proprietà.

2.6   Le società multinazionali e le grandi imprese, che di solito date le loro dimensioni sono quotate in borsa (8), si consolidano nell'ambito della produttività e della competitività dei sistemi economici e quando ottengono risultati positivi possono anche mantenere livelli occupazionali elevati.

2.7   I vantaggi competitivi delle imprese si fondano sempre più spesso sulle strategie competitive in cui la ricerca, lo sviluppo e l'innovazione tecnologica (R&S&I) occupano una posizione centrale. Le aziende multinazionali e le grandi imprese svolgono un ruolo guida nelle attività di R&S&I svolte dal settore privato dell'economia dell'Unione europea, anche se il numero di multinazionali o grandi imprese nei settori guida dell'economia mondiale potrebbe ancora non essere sufficiente. Inoltre, oltre al fatto che le grandi imprese e le multinazionali sono importanti per l'economia e l'occupazione, va ricordato che ciascuna di esse è spesso il perno di ampie reti globali di produzione costituite o da PMI strettamente collegate tra loro (grande impresa in rete) o da imprese indipendenti (reti di produzione modulari). È proprio nei paesi europei con la maggiore proporzione di multinazionali e grandi imprese che si sta verificando più rapidamente il rallentamento della caduta della produzione e dell'occupazione innescata dall'attuale situazione economica.

2.8   Poiché negli ultimi decenni queste imprese hanno esternalizzato verso le PMI molte fasi dei loro processi di produzione nonché molte infrastrutture di servizi, i livelli di produzione e occupazione delle PMI dipendono spesso, oltre che da molti altri fattori, dalla domanda delle multinazionali e delle grandi imprese, le quali costituiscono quindi un veicolo per il posizionamento dell'UE sul mercato globale. Sebbene il 30 % delle 40 maggiori imprese industriali del mondo si trovasse nell'Unione europea (9), il loro valore di mercato è pari solo al 24 % del totale, e in alcuni settori che utilizzano tecnologie di punta, come quelli basati sulle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, la partecipazione dell'UE si riduce a quella di una sola grande impresa.

2.9   Negli ultimi decenni le PMI, le reti di PMI, le microimprese e i lavoratori autonomi hanno promosso importanti cambiamenti tecnologici e formano la base dell'economia europea: il 99 % delle imprese dell'UE sono PMI e in esse si trova il 66 % dei posti di lavoro (10). Di regola si tratta di imprese non quotate in borsa, ma esse possono utilizzare la quotazione in borsa per accrescere il loro capitale o raccogliere capitale di rischio (venture capital).

2.9.1

In linea generale bisognerebbe sostenere le PMI, e non solo attraverso lo Small Business Act  (11). Le PMI costituiscono spesso una forma di conservare posti di lavoro, dato che i gruppi di interesse che creano e controllano queste imprese sono costituiti da persone con forti legami con il territorio in cui esse operano e che hanno dimostrato una grande capacità nel creare e mantenere occupazione. Le PMI sono gli incubatori naturali della cultura d'impresa, campi di formazione permanente per dirigenti e imprenditori.

2.10   Le imprese che perseguono scopi di interesse generale possono essere di proprietà pubblica, a capitale misto o avere la forma giuridica di impresa privata. Sotto il profilo geografico esse possono avere carattere multinazionale, nazionale o locale, malgrado la maggior parte di esse operi a livello locale o regionale. Le loro attività sono incentrate sulla fornitura di servizi di interesse generale, come per esempio il trasporto pubblico, la fornitura di energia, di acqua, la gestione dei rifiuti, le comunicazioni, i servizi sociali o sanitari, l'istruzione ecc. Ciò non esclude tuttavia che tali imprese partecipino anche ad attività commerciali, a condizione di soddisfare le disposizioni della direttiva 93/84/CEE sulla trasparenza (12). Oltre a perseguire l'interesse generale, i loro profitti vengono reinvestiti in attività regionali e locali, pertanto esse contribuiscono in grande misura alla coesione sociale, economica e regionale. Le imprese che erogano servizi di interesse generale, in quanto fornitrici di servizi essenziali, sono soggetti di primaria importanza nel sostegno all'economia in generale, poiché investono in settori che esercitano un effetto leva sul resto dell'economia (elettricità, telecomunicazioni e relativa infrastruttura, trasporti ecc.).

2.11   I proprietari delle imprese quotate in borsa (listed enterprises) sono i loro azionisti registrati. Essi comprano e vendono le azioni sul mercato borsistico pubblico.

2.12   Le società non quotate possono essere grandi o piccole, ma, per definizione, le loro quote (siano esse rappresentate o meno da azioni o da altro capitale) non sono quotate in borsa. Nondimeno, in molti casi le società non quotate si preparano alla quotazione in borsa, specialmente nel caso in cui siano coinvolti capitale di rischio o investitori privati. Anche le PMI private non quotate possono ricorrere alla quotazione in borsa quando vogliono aumentare il capitale per finanziare l'espansione della loro attività.

2.13   Le imprese familiari sono uno strumento potente di diffusione della cultura imprenditoriale e continuano ad essere il principale strumento di accesso all'attività imprenditoriale per milioni di persone; questo non avviene solo nel caso delle PMI, che sono costituite in maggioranza da questo tipo di imprese, ma anche per le grandi imprese familiari che in paesi importanti quali la Germania, il Regno Unito, l'Italia o la Francia rappresentano tra il 12 % e il 30 % del totale delle grandi imprese (13). Grandi o piccole che siano, le imprese familiari si caratterizzano per il fatto che il gruppo familiare continua a esercitare il controllo sull'impresa anche quando tali imprese sono società per azioni. In questi casi può non esservi alcuna aspirazione a quotarsi in borsa.

2.14   Le società di persone sono aziende tipiche del mondo anglosassone ma esse esistono anche in altri Stati dell'UE. Esse sono spesso costituite da professionisti. Le società di persone fisiche sono uno strumento efficiente che consente ai professionisti (avvocati, commercialisti, ecc.) di operare nel mondo dei servizi professionali. Questo tipo di impresa è di proprietà dei soci, la cui principale obbligazione, oltre a quella di conferire il capitale, è quella di prestare la propria attività. Quando cessano l'attività o recedono dalla società, i soci trasferiscono la loro quota alla società stessa.

2.15   Infine, per completare questa rassegna dei vari tipi di impresa presenti nell'UE, esiste un'ampia gamma di imprese private con caratteristiche organizzative ed operative simili che svolge attività con finalità sociali, con l'obiettivo primario di soddisfare i bisogni delle persone anziché di remunerare gli investitori di capitali (14). Queste imprese sono principalmente società cooperative, mutue, associazioni e fondazioni (15). Nei documenti della Commissione, del Parlamento europeo e del CESE, tali imprese sono di solito riunite nella categoria delle «imprese dell'economia sociale» (16). Benché questa espressione non venga utilizzata in tutti gli Stati membri, e in alcuni le si preferisca l'espressione «terzo settore», «terzo sistema» (17), «economia della solidarietà», ecc., tutte queste espressioni designano imprese che in ogni parte d'Europa condividono le stesse caratteristiche (18).

3.   La dimensione sociale

3.1   Benché le multinazionali, le grandi imprese e le PMI non perseguano espressamente uno scopo di utilità sociale, la loro attività sui mercati reca un contributo decisivo alla competitività e all'occupazione e ha nel complesso una dimensione sociale. Questa dimensione generale sociale e territoriale è particolarmente evidente nel caso delle PMI con un ancoraggio locale ben definito e delle microimprese fortemente legate al territorio.

3.2   Nell'Unione europea sono inoltre attori di grande rilievo anche le cooperative, le mutue, le associazioni e le fondazioni, che svolgono una significativa attività economica in tre dei cinque settori istituzionali nei quali il Sistema europeo dei conti (SEC 1995) raggruppa tutti i centri di decisione economica di ciascuna economia nazionale (19). Nel complesso le imprese dell'economia sociale rappresentano il 10 % di tutte le imprese europee, pari a due milioni di imprese (20), e il 7 % (21) di tutti gli occupati retribuiti. I soci di cooperative sono 143 milioni, quelli delle mutue 120 milioni, e le associazioni riuniscono il 50 % della popolazione dell'UE (22).

3.2.1

Grandi o piccole che siano, le imprese dell'economia sociale operano in ambiti geografici e/o sociali che presentano problemi e sfide che mettono a repentaglio il mercato interno e la coesione sociale; in tali ambiti, queste imprese internalizzano i costi sociali e generano esternalità positive.

3.2.2

Essendo radicate nelle comunità locali e avendo come obiettivi prioritari la soddisfazione dei bisogni delle persone, queste imprese non delocalizzano l'attività, contrastando efficacemente lo spopolamento delle zone rurali e contribuendo allo sviluppo delle regioni e dei comuni più svantaggiati (23).

3.3   Le imprese erogatrici di servizi di interesse generale costituiscono un importante asse della dimensione sociale europea. Esse svolgono un ruolo specifico in quanto parti integranti del modello europeo di società, dato che attraverso la loro attività di fornitura di servizi attuano e promuovono i principi di qualità, di sicurezza, di accessibilità economica, di parità di trattamento, di accesso universale e di diritti degli utenti. In tal senso essi hanno anche un effetto diretto e indiretto sull'occupazione, dato che una buona infrastruttura attrae gli investimenti privati. Le imprese di interesse generale costituiscono una parte essenziale dell'economia, esse rappresentano dal 25 % al 40 % della mano d'opera e contribuiscono al PIL nella misura di oltre il 30 %.

3.4   Le imprese sociali (cooperative sociali e altre imprese analoghe, che possono rivestire diverse forme giuridiche) forniscono servizi in campi come la sanità, l'ambiente, i servizi sociali e l'istruzione. Esse incorporano spesso risorse considerevoli sotto forma di apporti altruistici ai loro processi di produzione, fungendo da strumenti efficaci delle politiche pubbliche di benessere sociale. Inoltre, gran parte delle imprese sociali sono «imprese sociali di inserimento lavorativo» (Work Integration Social Enterprises - WISE), i cui obiettivi sono quelli di creare occupazione e di integrare persone svantaggiate sul mercato del lavoro.

3.5   Il termine «impresa sociale» non designa sempre una categoria giuridica, bensì un insieme di imprese di utilità sociale ed economica che operano in settori molto diversi e non sono facili da classificare. La questione fondamentale dovrebbe essere quella dei modi con cui sostenere questi imprenditori creando condizioni che consentano loro di sviluppare la loro capacità di innovazione, una capacità particolarmente importante nei periodi di crisi (24). La Commissione europea dovrebbe considerare seriamente la possibilità di elaborare una politica per le imprese sociali (25).

3.6   Se dimostrano la loro rappresentatività, le organizzazioni maggiormente rappresentative delle differenti forme di imprese dovrebbero essere coinvolte nel dialogo sociale.

3.6.1

Le organizzazioni rappresentative di alcuni dei settori prima menzionati hanno già partecipato a colloqui settoriali: è il caso dell'Associazione delle cooperative e mutue assicuratrici europee (Association of European Cooperative and Mutual Insurers - AMICE) nel settore assicurativo, nonché di alcuni membri dell'associazione Cooperatives Europe  (26), come l'Associazione europea delle banche cooperative (European Association of Co-operative Banks - EACB) e il Raggruppamento europeo delle casse di risparmio (European Savings Banks Group - ESBG) nel settore bancario (27).

4.   Quadro giuridico e regolamentare delle diverse forme di impresa

4.1   Introduzione: varietà delle forme di impresa e mercato interno

4.1.1

La formazione e lo sviluppo del mercato interno non possono subordinare i fini ai mezzi; di conseguenza, occorre instaurare un quadro giuridico e regolamentare che rispecchi le caratteristiche dei diversi operatori economici sul mercato, in modo da creare condizioni uniformi per tutte le diverse forme di impresa tenendo conto delle caratteristiche di ciascuna di esse. Ad oggi questo quadro è generalmente concepito per le grandi società quotate, e la sua applicazione a tutti i tipi di impresa genera ostacoli per le imprese di minori dimensioni. Tale quadro dovrebbe essere efficace nell'incoraggiare gli operatori a comportarsi in maniera efficiente - il che a sua volta contribuirebbe a rendere il sistema più equo - e andrà attuato attraverso il diritto societario, contabile, della concorrenza e tributario, nonché tramite l'armonizzazione statistica e la politica in materia di imprese.

4.2   Diritto societario

4.2.1

La «società per azioni europea» e la «società cooperativa europea» dispongono già di un proprio statuto giuridico, ma altri tipi di impresa incontrano numerosi ostacoli nel mercato interno, a causa della mancanza di uno statuto europeo. Le PMI europee hanno bisogno di una normativa europea agile e flessibile, che renda loro più agevole operare oltre i confini nazionali. Inoltre le cooperative chiedono che venga semplificato il regolamento della società cooperativa europea, la cui complessità ne rallenta lo sviluppo.

4.2.2

La mancanza di una copertura giuridica impedisce alle fondazioni che operano a livello europeo di lavorare su un piede di parità con le imprese che hanno altre forme giuridiche. Il CESE accoglie quindi con favore i risultati dello studio di fattibilità per uno statuto europeo delle fondazioni («fondazione europea») e invita la Commissione a portare a termine la valutazione d'impatto entro l'inizio del 2010 presentando una proposta di regolamento che consenta alle fondazioni di portata europea di operare in condizioni di parità sul mercato interno (28).

4.2.3

Per ragioni analoghe, il CESE chiede alla Commissione anche di iniziare a lavorare per l'approvazione degli statuti europei delle associazioni e delle mutue.

4.3   Diritto contabile

4.3.1

Le norme in materia contabile dovrebbero essere adattate alle diverse forme di impresa. Gli ostacoli che il nuovo Sistema contabile internazionale (International Accounting System - IAS) sta creando oggi alle società quotate costituiscono un ulteriore esempio dei limiti posti dalle norme vigenti in questo campo. La contabilità delle imprese europee non può essere armonizzata a prezzo dell'abolizione delle caratteristiche fondamentali di alcuni dei diversi tipi di impresa esistenti nell'Unione europea.

4.3.2

Nel caso specifico delle cooperative, è evidente la difficoltà di definire un concetto di capitale sociale di applicazione generale e indifferenziata che potrebbe produrre effetti negativi e finanche distruttivi sulla diversità imprenditoriale. Il CESE esorta la Commissione a rispettare l'identità delle cooperative in materia contabile e a trattare il capitale conferito dai loro soci come capitale sociale anziché come debito della società a meno che il socio non diventi creditore della cooperativa ritirandosene (29).

4.3.3

Il Comitato concorda con la raccomandazione formulata dal «gruppo de Larosière» (30) secondo cui le norme in materia contabile non dovrebbero pregiudicare i modelli aziendali, promuovere i comportamenti prociclici, scoraggiare gli investimenti a lungo termine e compromettere la stabilità delle imprese.

4.4   Diritto della concorrenza

4.4.1

Ciascuna forma giuridica di impresa dovrebbe condurre la sua attività mantenendo nel contempo il suo modus operandi. Di conseguenza, le norme della concorrenza non possono basarsi su un modello imprenditoriale unico e uniforme, devono evitare comportamenti discriminatori e devono valorizzare le buone pratiche a livello nazionale. Non si tratta di stabilire dei privilegi, bensì di promuovere un diritto della concorrenza equo per tutti. Il CESE pertanto, in linea con precedenti pareri (31), è favorevole a regole di concorrenza e norme tributarie che prevedano forme di compensazione dei costi addizionali delle imprese non legati a processi produttivi inefficienti bensì all'internalizzazione dei costi sociali.

4.4.2

Determinati strumenti della politica di concorrenza non sono neutrali nei confronti dei diversi tipi di impresa, perché come il CESE ha già osservato, «il settore dell'economia sociale richiede soluzioni su misura per quanto riguarda le norme concernenti i regimi fiscali, gli appalti pubblici e la concorrenza» (32). Ad esempio, il sostegno pubblico agli investimenti privati in R&S&I per accrescere la competitività del sistema produttivo favorisce principalmente le grandi imprese, che sono quelle più impegnate nello svolgimento di tali attività. Inoltre, poiché le grandi imprese hanno una maggiore libertà di scelta quanto all'ubicazione delle loro strutture produttive, esse possono trarre meglio vantaggio dagli investimenti pubblici in infrastrutture per il settore manifatturiero. Ciò genera talvolta svantaggi competitivi per le piccole imprese, le quali hanno poche possibilità concrete di scegliere tra diverse opzioni di localizzazione dell'attività.

4.4.3

Le regole di concorrenza devono inoltre tener conto delle particolarità delle imprese sociali, che producono e distribuiscono beni e servizi non commerciali a persone emarginate o a rischio di esclusione sociale e che incorporano nei propri processi produttivi importanti risorse di volontariato.

4.5   Diritto tributario

4.5.1

Spesso, in alcuni Stati membri, alcune imprese sono soggette a situazioni di disuguaglianza concorrenziale per motivi estranei ai processi produttivi in quanto tali e derivanti invece da disfunzioni del mercato in materia di allocazione delle risorse (33) - in altri termini, da situazioni in cui è il mercato stesso ad essere inefficiente, allocando risorse in maniera non ottimale. Il CESE è favorevole alla proposta di direttiva sulla riduzione delle aliquote IVA per i servizi forniti a livello locale, proposta che concerne essenzialmente le PMI, e ribadisce la sua adesione al principio formulato dalla Commissione secondo il quale i vantaggi fiscali concessi ad un tipo di società devono essere proporzionati alle limitazioni giuridiche o al valore sociale aggiunto inerente a detta forma (34). Di conseguenza, il CESE chiede alla Commissione di incoraggiare gli Stati membri a studiare la possibilità di concedere misure compensative alle imprese basandosi sulla loro utilità pubblica comprovata o sul contributo verificato che esse recano allo sviluppo regionale (35). Bisognerebbe in particolare ricercare delle soluzioni al problema che deriva alle organizzazioni senza fini di lucro dall'impossibilità di recuperare l'IVA pagata in occasione dell'acquisto di beni e servizi necessari per lo svolgimento delle loro attività di interesse generale, nei paesi in cui tale situazione comporti un problema. Vanno inoltre menzionati i regimi fiscali che si applicano alle ONG che svolgono attività economiche non legate a finalità di interesse generale.

4.5.2

Attualmente le PMI hanno poche vere opportunità di investire in R&S&I, che è un elemento importante per rendere efficiente la produzione e mantenere competitiva l'attività delle imprese. Ciò determina uno svantaggio competitivo che andrebbe compensato mediante agevolazioni fiscali che premino le PMI che investono in questo campo. Le raccomandazioni includono un ampio ventaglio di misure compensative, tra le quali si potrebbero menzionare, secondo lo Stato, sgravi fiscali straordinari per investimenti multipli in R&S, rimborsi in caso di assenza di profitti e riduzione degli oneri sociali. In considerazione del ruolo strategico svolto dalle PMI nell'economia comunitaria, il CESE raccomanda che ciascuno Stato membro utilizzi una combinazione ottimale di misure compensative per facilitare la sopravvivenza e la crescita delle PMI nella sua economia. L'impatto di gran lunga più importante di questi programmi è la loro capacità di sostenere lo sviluppo delle PMI nei primi anni della loro vita.

4.6   Armonizzazione delle statistiche

4.6.1

I dati aggregati relativi ai diversi tipi di impresa vengono elaborati, nei singoli Stati membri e a livello dell'UE, secondo criteri approvati dal Sistema europeo dei conti nazionali e regionali (ESA 95). Tuttavia, le statistiche economiche disponibili sulle cooperative, le mutue, le associazioni, le fondazioni e altre imprese analoghe sono molto ridotte e sono redatte secondo criteri eterogenei, il che rende difficile analizzare e valutare il loro contributo ai grandi obiettivi macroeconomici. Di conseguenza, la Commissione ha commissionato un Manuale  (36) che renderà possibile preparare dati statistici nazionali relativi a queste imprese sulla base di criteri omogenei in termini di conti nazionali. Il CESE chiede che questi nuovi strumenti analitici siano utilizzati per redigere statistiche armonizzate per i suddetti tipi di impresa in tutti i paesi dell'UE e per attuare politiche più efficaci in questo campo.

Inoltre, sarebbe consigliabile definire la metodologia che consenta di promuovere un Osservatorio europeo delle microimprese.

Bruxelles, 1o ottobre 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Ciriec (per conto della Commissione europea), Enterprises in the Social Economy: Cooperatives and Mutual Societies (Manuale per la redazione dei conti satelliti delle imprese dell'economia sociale: società cooperative e mutue), 2006.

(2)  Ciriec (per conto del CESE), L'economia sociale nell'Unione europea, Bruxelles, 2008 (ISBN 928-92-830-08-59-0), disponibile anche on line all'indirizzo www.cese.europa.eu

(3)  GU C 234 del 22.9.2005.

(4)  Versione consolidata del Trattato sull'Unione europea in seguito all'adozione del Trattato di Lisbona. GU C 115 del 9.5.2008.

(5)  In alcuni Stati membri, nonché nei documenti del Parlamento europeo, della Commissione e del CESE, le imprese di questo tipo sono note come «imprese dell'economia sociale». Si tratta di una categoria sociologica, non di un termine giuridico.

(6)  Vedere per esempio le cause C-180/98, C-184/98, Pavlov, la causa C-325/85 Bond van Adverteerders.

(7)  Negli ultimi 50 anni la letteratura economica ha messo in rilievo la diversità delle funzioni obiettivo a seconda del tipo di impresa: cfr. B. Ward (1958), E.D. Domar (1967), J. Vanek (1970), J. Meade (1972) e J.L. Monzón (1989), citati nel Manuale per la redazione dei conti satelliti delle imprese dell'economia sociale di cui alla nota 1.

(8)  In alcuni casi le grandi imprese possono non avere azionisti o non distribuire utili in alcun modo, come avviene nelle casse di risparmio di alcuni paesi europei. Esistono anche grandi imprese, società cooperative per azioni, che non sono quotate in borsa, o società mutue che operano con o capitali propri e non con il capitale conferito dai soci.

(9)  www.forbes.com. The Global 2000, 4 febbraio 2008.

(10)  Cfr. GU C 120 del 20.5.2005, pag. 10 (punto 2.1), GU C 112 del 30.4.2004, pag. 105 (punto 1.7) e la risoluzione del PE sullo «Small Business Act» per l'Europa (GU C 182 del 4.8.2009, pag. 30).

(11)  COM(2008) 394 def. Pensare anzitutto in piccolo (Think Small First) Uno «Small Business Act» per l’Europa.

(12)  Direttiva 93/84/CEE del 30 settembre 1993 che modifica la direttiva 80/723/CEE relativa alla trasparenza delle relazioni finanziarie fra gli Stati membri e le loro imprese pubbliche (GU L 254, del 10.12.1993, pag. 16).

(13)  A. Colli, P. Fernández e M. Rose, National Determinants of Family Firm Development? Family Firms in Britain, Spain and Italy in the Nineteenth and Twentieth Centuries (Fattori nazionali dello sviluppo delle imprese familiari? Le imprese familiari nel Regno Unito, in Spagna e in Italia nei secoli XIX e XX), Enterprise & Society, 2003, vol. 4, n. 1, pag. 28-64.

(14)  Ciriec (per conto del CESE), L'economia sociale (cfr. nota 2).

(15)  Relazione del PE sull'economia sociale (2008/2250 (INI)).

(16)  La Commissione fa riferimento al settore dell'«economia sociale» in numerosi documenti (ad esempio, al punto 4.3 della sua comunicazione sulla promozione delle società cooperative in Europa (COM(2004) 18 def.)).

(17)  Nel Regno Unito, per esempio, esiste un «Ufficio del terzo settore» (Office of the Third Sector - OTS) che si occupa delle organizzazioni di volontariato e di servizi alla comunità, delle imprese sociali, delle istituzioni di beneficenza e di altri enti filantropici (charities), delle cooperative e delle mutue, ossia, in altri termini, dello stesso tipo di imprese designate nel presente parere con l'espressione «imprese dell'economia sociale». L'ots è un dipartimento del ministero britannico della Pubblica amministrazione (Cabinet Office) (www.cabinetoffice.gov.uk).

(18)  Relazione del PE sull'economia sociale (2008/2250 (INI)).

(19)  Il SEC 1995 raggruppa tutte le organizzazioni che presentano un comportamento economico analogo (SEC 1995,2.18) in cinque grandi settori (SEC 1995, Tabella 2.2): a) società non finanziarie (S.11), b) società finanziarie (S.12), c) pubbliche amministrazioni (S.13), d) famiglie (S.14) ed e) enti senza fini di lucro al servizio delle famiglie (S.15). Il SEC 1995 classifica le diverse entità produttive in base al settore di attività, includendo in ciascuno di essi quelle che svolgono un'attività economica identica o simile (SEC 1995,2.108), e le suddivide in cinque diversi livelli di aggregazione, i quali comprendono rispettivamente 60, 31, 17, 6 e 3 settori di attività (SEC 1995, Allegato IV).

(20)  Relazione del PE sull'economia sociale (2008/2250 (INI)).

(21)  Nell'UE le imprese dell'economia sociale occupano direttamente a tempo pieno 11 milioni di persone ed operano in settori economici di ogni tipo, siano essi altamente competitivi come la finanza o l'agricoltura oppure innovativi come i servizi alle persone o le fonti di energia rinnovabili.

(22)  Ciriec (per conto del CESE), L'economia sociale (cfr. nota 2).

(23)  Comunicazione sulla promozione delle società cooperative in Europa (COM(2004) 18 def.), punto 4.3.

(24)  Nel n. 17 di The Bridge (rivista trimestrale dell'Industry and Parliament Trust britannico: www.ipt.org.uk), R. Trimble osserva che «è tempo che l'impresa sociale realizzi il proprio potenziale».

(25)  Cfr. il parere del CESE, del 25 ottobre 2007, sul tema Spirito imprenditoriale e agenda di Lisbona GU C 44 del 16.2.2008, pag. 84.

(26)  Val la pena di notare che alcune organizzazioni, come Cooperatives Europe, stanno effettuando degli studi sulla propria rappresentatività al fine di partecipare alle consultazioni sul dialogo sociale.

(27)  Cfr. GU C 182 del 4.8.2009, pag. 71 e GU C 228 del 22.9.2009, pagg. 149–154.

(28)  Lo studio di fattibilità della Commissione relativo allo statuto della fondazione europea valuta che i costi di tali ostacoli alle attività transfrontaliere delle fondazioni europee oscillino tra i 90 e i 100 milioni di euro all'anno.

(29)  È quanto invoca la recente letteratura in materia contabile: cfr. l'articolo di B. Fernández-Feijóo e M. J. Cabaleiro, Clasificación del capital social de la sociedad cooperativa: una visión crítica (Classificazione del capitale sociale della società cooperativa: una visione critica), pubblicato sul n. 58 (agosto 2007) della Revista de Economía Pública, Social y Cooperativa del CIRIEC Spagna (www.ciriec.es).

(30)  Cfr. la relazione del gruppo di esperti ad alto livello sulla vigilanza finanziaria nell'Unione europea, febbraio 2009. (http://ec.europa.eu/internal_market/finances/docs/de_larosiere_report_en.pdf), raccomandazione n. 4, pag. 21.

(31)  GU C 234 del 22.9.2005 e COM(2004) 18 def.

(32)  GU C 117 del 26.4.2000, pag. 52, punto 3.8.1. Cfr. anche GU C 117 del 26.4.2000, pag. 57. La Commissione europea opera una distinzione tra «aiuti di Stato» e «misure generali», includendo tra queste ultime gli «incentivi fiscali per investimenti di carattere ambientale, di ricerca-sviluppo o di formazione [che] favoriscono solo le imprese che compiono tali investimenti, senza costituire per questo necessariamente aiuti di Stato» (comunicazione della Commissione sull'applicazione delle norme relative agli aiuti di Stato alle misure di tassazione diretta delle imprese, GU C 384 del 10.12.1998, punto 14). Nell'Unione europea le grandi imprese sono quelle più attive nel settore della R&S: in Spagna, ad esempio, il 27,6 % delle grandi imprese investe in R&S, mentre solo il 5,7 % delle imprese con meno di 250 dipendenti ha investito in tale settore, secondo dati del 2007 (www.ine.es).

(33)  Comunicazione della Commissione COM(2008) 394 def.

(34)  COM(2004) 18 def.

(35)  Parere del CESE in merito al doc. COM(2004) 18 def. (GU C 234 del 22.9.2005, pag. 1, punto 4.2.3).

(36)  Il Manuale per la redazione dei conti satelliti delle imprese dell'economia sociale: società cooperative e società mutue, citato alla nota 1.


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/29


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Prodotti alimentari del commercio equo e solidale: autoregolamentazione o legislazione? (parere d'iniziativa)

2009/C 318/06

Relatore: Hervé COUPEAU

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 10 luglio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

«Prodotti alimentari del commercio equo e solidale: autoregolamentazione o legislazione?»

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 settembre 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore Hervé COUPEAU.

Alla sua 456a sessione plenaria, dei giorni 30 settembre e 1o ottobre 2009 (seduta del 1o ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 164 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1   Il commercio equo e solidale di prodotti agricoli intende introdurre, a livello del commercio internazionale, il principio di una più giusta ripartizione dei redditi commerciali per permettere ai produttori dei paesi in via di sviluppo di:

innescare un processo di sviluppo economico (strutturazione di filiere produttive, organizzazione di settori di attività, ecc.),

avviare un processo di sviluppo sociale (creazione di strutture sanitarie, educative, ecc.),

sensibilizzare alla gestione ambientale (tutela della biodiversità, gestione delle emissioni di CO2, ecc.).

1.2   L'Europa costituisce il maggiore mercato del commercio equo e solidale, con circa il 65 % del mercato mondiale. I prodotti del commercio equo e solidale sono venduti attraverso cataloghi di vendita per corrispondenza, via Internet, tramite servizi di ristorazione e in punti di vendita al dettaglio di istituzioni, comunità e aziende, per un numero complessivo di punti vendita superiore a 79 000 unità, distribuite in 25 paesi. Nel 2008 il fatturato di questo settore ha oltrepassato 1,5 miliardi di euro; inoltre, l'aumento delle vendite è stato relativamente sostenuto, dell'ordine del 20 % all'anno. Tuttavia questa cifra d'affari rimane molto modesta rispetto ai 913 miliardi di euro di prodotti commercializzati dall'industria agroalimentare europea nel 2007.

1.3   Esistono due approcci complementari alla certificazione dei prodotti del commercio equo e solidale, ossia quello basato sul prodotto (elaborato da Fairtrade Labelling Organisations - FLO, che ha stabilito norme per 18 categorie di prodotti alimentari) e quello basato sul processo di trasformazione (elaborato dalla World Fair Trade Organisation - WFTO, che certifica la catena di approvvigionamento e il sistema di gestione delle principali organizzazioni di commercio equo e solidale sia nei paesi sviluppati che in quelli in via di sviluppo). Entrambi gli approcci hanno migliorato le garanzie per i consumatori e ridotto gli abusi da parte delle aziende che cercano di trarre vantaggio da questa forma di commercio etico senza soddisfare i criteri approvati dalle principali agenzie di sviluppo internazionali.

1.4   La certificazione promuove efficacemente il commercio equo e solidale e protegge le piccole e medie imprese che desiderano lanciarsi in questo tipo di commercio.

1.4.1

Lo scopo delle suddette certificazioni è quello di rispettare il carattere multidimensionale del commercio equo e solidale:

una dimensione commerciale che favorisca un rapporto equilibrato a beneficio dei produttori e dei lavoratori svantaggiati del Sud,

una dimensione legata allo sviluppo attraverso il rafforzamento delle organizzazioni di produttori sul piano finanziario, tecnico e operativo,

una dimensione educativa attraverso l'informazione e la sensibilizzazione dei cittadini e dei partner dei paesi del Sud,

una dimensione politica attraverso l'impegno a ottenere regole più giuste nel commercio internazionale convenzionale.

1.4.2

Malgrado i progressi rilevati nell'autoregolamentazione, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) intende richiamare l'attenzione sulla necessità di basare questo modello sul sistema di certificazione europeo il quale, tra gli altri principi, impone che il rispetto delle specifiche tecniche sia assoggettato ad un controllo esterno, effettuato da un organismo indipendente e accreditato a tal fine. Tutto ciò, ovviamente, senza pregiudizio dell'obbligo di adempiere alle disposizioni generali di legge per l'immissione in commercio dei prodotti alimentari.

2.   Introduzione

2.1

Il presente parere si occupa specificamente del commercio equo e solidale propriamente detto, ossia del partenariato commerciale alternativo che opera il collegamento tra il produttore e il consumatore così come è stato creato nel corso degli ultimi decenni dal movimento del commercio equo e solidale. Esistono altri programmi volti stabilire la maggiore o minore sostenibilità delle attività commerciali, ma essi non vengono esaminati in questa sede perché non rispondono a tutti i criteri del commercio equo e solidale elencati al punto 1.4.1.

2.2

Il commercio equo e solidale si è sviluppato per costruire relazioni economiche con i produttori dei paesi in via di sviluppo che si trovano marginalizzati negli scambi commerciali internazionali. Esso si inserisce in una prospettiva di sviluppo sostenibile e presenta sfide sociali importanti nei paesi del Sud. Ha l'obiettivo di contribuire a ridurre la povertà, soprattutto attraverso l'appoggio che esso offre alle organizzazioni dei produttori. Nei paesi del Nord cerca di promuovere un modello di consumo più sostenibile.

2.3

Il settore del commercio equo e solidale, ancora giovane e in piena evoluzione, registra un'espansione notevole ed è oggetto di un interesse sempre più attento da parte dei consumatori europei.

2.4

La fiducia dei consumatori, tuttavia, deve essere ancora consolidata: in effetti, pur essendo sensibili all'idea del commercio equo e solidale, molti di essi affermano di non disporre di informazioni sufficienti e possono sospettare possibili abusi da parte delle grandi imprese o della grande distribuzione.

2.5

I circuiti commerciali specializzati rimangono comunque sbocchi importanti per i prodotti del commercio equo e solidale. Queste strutture sono numerose, di piccole dimensioni e apprezzate dai consumatori.

3.   Contesto

3.1

L'art. 23, par. 3, della Dichiarazione universale dei diritti umani proclamata dalle Nazioni Unite nel 1948 recita: «Ogni individuo che lavora ha diritto ad una rimunerazione equa e soddisfacente che assicuri a lui stesso e alla sua famiglia un'esistenza conforme alla dignità umana (…)».

3.2

Le attività del commercio equo e solidale sono iniziate negli anni Cinquanta prima negli Stati Uniti, poi nel Regno Unito e successivamente nel resto d'Europa. Questo tipo di commercio è la manifestazione di una presa di coscienza dei danni sociali e ambientali causati dalle filiere delle importazioni dei paesi industrializzati.

3.3

Nel 1964 la Conferenza delle Nazioni Unite per il commercio e lo sviluppo (Unctad) ha denunciato la disparità dei termini di scambio e ha allertato la comunità internazionale sul carattere insostenibile, da un punto di vista umano e sociale, delle regole che disciplinano il commercio internazionale. I paesi del Sud insistono sulla necessità di scambi equi (Trade, not aid - Commercio, non aiuti).

3.4

Alcune date nella storia del commercio equo e solidale:

1860 - Pubblicazione del romanzo intitolato «Max Havelaar» scritto da Eduard Douwes Dekker

Fine anni '40 - Ten Thousand Villages e SERRV, negli Stati Uniti, cominciano a commerciare con le comunità povere dei paesi del Sud

Fine anni '50 - OXFAM UK mette in commercio nei suoi negozi britannici oggetti di artigianato fabbricati da profughi cinesi

1957 - Dei giovani cattolici olandesi fondano un'associazione per l'importazione di prodotti dai paesi in via di sviluppo

1964 - OXFAM UK crea la prima organizzazione per il commercio alternativo (in inglese ATO)

1967 - Creazione della prima organizzazione di commercio equo e solidale nei Paesi Bassi

1969 - Apertura dei primi negozi di commercio equo e solidale nei Paesi Bassi

1971 - Creazione della prima cooperativa di commercio equo e solidale in Bangladesh («Jute Works»)

1973 - Vendita del primo caffè del commercio equo e solidale nei Paesi Bassi

1988 - Per la prima volta a un caffè viene attribuito il marchio «fair trade» sotto il nome «Max Havelaar»

1989 - Creazione della International Federation of Alternative Trade – IFAT (Federazione internazionale del commercio alternativo), poi divenuta World Fair Trade Organisation (Organizzazione mondiale del commercio equo e solidale)

1990 - Creazione dell'EFTA (European Fair Trade Association - Associazione europea del commercio equo e solidale)

1993 - Creazione dell'organismo di etichettatura Transfair in Germania

1994 - Introduzione del tè fra i prodotti del commercio equo e solidale.

Creazione del Network of European Worldshops - NEWS (rete europea dei distributori di prodotti del commercio equo e solidale)

1996 - Introduzione delle banane tra i prodotti del commercio equo e solidale nei Paesi Bassi

1997 - Gli organismi di etichettatura (Max Havelaar, Transfair, Rattvisemarkt, Fair Trade,…) si uniscono per formare il Fairtrade Labelling Organisations (FLO -coordinamento dei marchi di garanzia del commercio equo e solidale). Monoprix e Auchan si impegnano a proporre il caffè del commercio equo e solidale

1998 - Le organizzazioni del commercio equo e solidale (FLO, IFAT, NEWS e EFTA) si riuniscono nell'associazione FINE

2004 - Distribuzione dei prodotti del commercio equo e solidale in alcune mense francesi.

3.5

Le regole dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC) non tengono conto né dell'aspetto umano e sociale, né dell'ambiente. Un'esigenza critica spinge le persone ad aderire ad una modalità di scambi commerciali rispettosa dei valori umani. Per loro il commercio equo e solidale è la prova che un mondo diverso è possibile. Questo tipo di commercio promuove la trasparenza, il buon governo e la responsabilità, contribuendo così allo sviluppo sostenibile.

4.   Descrizione

4.1

Lo scopo del commercio equo e solidale, e più in generale del consumo etico, responsabile e civico, è quello di definire i mezzi volti a rendere permanente il successo ottenuto presso la popolazione:

assicurando la trasparenza, la visibilità e la comprensione del funzionamento del commercio equo e solidale,

garantendo che l'acquisto vada a beneficio delle aziende agricole dei paesi in via di sviluppo.

4.2

Il CESE rileva che nel formulare le norme del commercio equo e solidale sono stati presi in considerazione i diritti fondamentali del lavoratore (OIL), il rispetto delle norme ambientali e della biodiversità e una migliore remunerazione dei produttori nelle relazioni commerciali internazionali.

4.3

A taluni il fatto di associare il termine «commercio» con gli aggettivi «equo e solidale» può sembrare contraddittorio, visto che non sono i valori umani a ispirare le leggi di mercato. Ciò nonostante, il problema di conciliare il commercio con il dialogo sociale, ai fini di una maggiore equità nel commercio mondiale, è una sfida del XXI secolo alla cui soluzione il CESE vorrebbe dare il proprio contributo. Ciò permetterebbe infatti uno sviluppo sostenibile offrendo migliori condizioni commerciali e garantendo i diritti dei produttori e dei lavoratori marginalizzati dal ciclo di Doha.

4.4

L'introduzione di nuove etichette e di codici di condotta lanciati da nuovi attori che rivendicano la loro adesione alle pratiche eque e solidali può, parallelamente, creare confusione nei consumatori. Facendo correre il rischio di annacquare il concetto, i suoi principi e i criteri che lo definiscono, la molteplicità dei sistemi di riferimento e di garanzia permette ad alcuni di trovare collocazioni economiche opportunistiche costruite sulla base di sistemi di garanzie meno costosi per chi se ne fa carico, spesso a valle della filiera, ma che presentano un minor coinvolgimento in materia di sostegno al rafforzamento dei paesi in via di sviluppo. Il Comitato vorrebbe una certificazione internazionale da parte delle organizzazioni del commercio equo e solidale (si vedano le proposte di cui sopra riguardanti la terminologia), fermi restando la necessità di un organismo di controllo indipendente e accreditato e, ovviamente, il rispetto della legislazione vigente in materia alimentare.

4.5

Il CESE chiede che tutti i prodotti del commercio equo e solidale siano garantiti sulla base degli stessi criteri in tutti i paesi dell'Unione europea. A tutt'oggi per questo tipo di commercio non esiste una definizione europea ufficiale che sia giuridicamente vincolante. Il Comitato intende allinearsi alla definizione congiunta adottata dalla FINE (la rete FINE è costituita da FLO, IFAT, NEWS ed EFTA) e utilizzata dalla Commissione europea in una recente comunicazione sul commercio equo e solidale (1):

«Il commercio equo e solidale è un partenariato commerciale, basato sul dialogo, la trasparenza e il rispetto, finalizzato ad ottenere una maggiore equità nel commercio internazionale. Contribuisce allo sviluppo sostenibile offrendo migliori condizioni commerciali ai produttori e ai lavoratori marginalizzati e garantendone i diritti, in particolare nel Sud.

Le organizzazioni di commercio equo e solidale (supportate dai consumatori) si impegnano attivamente per sostenere i produttori, sensibilizzare l'opinione pubblica e promuovere modifiche delle regole e delle pratiche seguite nel commercio internazionale».

5.   I produttori (principi)

5.1

Il commercio equo e solidale assicura che i produttori vengano remunerati nel modo migliore possibile, sulla base di un reddito regolare e sufficiente per poter vivere decentemente, secondo quanto stabilito dalle organizzazioni dei produttori e dai sindacati di ciascuna regione e paese interessati.

5.2

Il prezzo dev'essere determinato dal costo medio di produzione, in funzione dei seguenti fattori:

tempo impiegato dalla manodopera locale a un tasso di remunerazione rivalutato per garantire un livello di vita dignitoso,

investimenti necessari a medio o lungo termine per rispettare gli standard economici, ambientali e sociali del commercio equo e solidale,

analisi di mercato,

scelte politiche della maggior parte degli attori del commercio equo e solidale: anticipo del 60 % ai produttori prima del raccolto; stabilizzazione della relazione tra produttori e distributori per garantire degli sbocchi ai produttori e l'approvvigionamento ai distributori.

5.3

Il commercio equo e solidale deve altresì prevedere criteri quali il rifiuto dello sfruttamento del lavoro, in particolare dei minori, e il rispetto delle norme dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), anche quando ciò non sia previsto dalla legislazione sociale nazionale.

5.4

Esso garantisce un pagamento anticipato parziale delle derrate alimentari per permettere ai produttori di finanziare le materie prime.

5.5

I processi di fabbricazione dei generi alimentari dovranno imperativamente rispettare l'ambiente, le risorse naturali e le disposizioni di legge vigenti applicabili nell'Unione europea.

5.6

Il commercio equo e solidale permette di creare posti di lavoro socialmente utili sia a monte che a valle (consentendo anche ai lavoratori più precari di ritrovare dignità sul posto di lavoro).

5.7

Esso garantisce una tracciabilità reale e una trasparenza totale, permanente e pubblica delle attività in tutte le fasi delle filiere (contesto, prezzo, margine, ecc.).

5.8

Il commercio equo e solidale deve altresì consentire l'emergere di un'economia solidale in una prospettiva di sviluppo sostenibile.

5.9

Esso dev'essere valutato solo in termini di azioni ed impegni precisi, e non semplicemente sulla base di buoni propositi.

5.10

Il commercio equo e solidale è un sistema consolidato per avviare una nuova politica alimentare mondiale rispettosa dell'uomo.

6.   I prodotti

6.1

I prodotti alimentari rappresentano il grosso del fatturato del commercio equo e solidale. Tra questi prodotti il primo è il caffè; vi si trovano anche tè, cioccolato, frutta secca, spezie, riso, cereali, zucchero, miele e confetture di frutta. I prodotti freschi hanno fatto la loro apparizione nel commercio equo e solidale recentemente e rimangono marginali nei suoi circuiti a causa della lentezza della rotazione degli approvvigionamenti. Si assiste, tuttavia, a un aumento considerevole delle vendite dei prodotti freschi da quando i prodotti del commercio equo e solidale hanno cominciato ad essere venduti dalle cooperative di consumo e da altre organizzazioni private di vendita al dettaglio.

6.2

Per contribuire a migliorare la situazione dei piccoli produttori dei paesi in via di sviluppo, il commercio equo e solidale dovrebbe permettere di costituire filiere di produzione di alimenti trasformati in modo da generare posti di lavoro socialmente sostenibili.

6.3

Il commercio equo e solidale deve poter mettere l'accento sulla necessità di agire su filiere più importanti in modo da dare maggior peso politico a tale processo, nel rispetto dell'interesse del produttore.

7.   I principali paesi

7.1

Tutti gli Stati coinvolti nella produzione di derrate alimentari destinate al commercio equo e solidale sono paesi del Sud. Grazie alla relativa trasparenza del suo processo commerciale, il commercio equo e solidale ha evidenziato quanto sia bassa la percentuale del prezzo di vendita al consumo che va a beneficio del produttore (per ogni 100 euro spesi dal consumatore, soltanto 20 euro tornano all'economia locale) e quanto sia alta la quota di valore aggiunto (ad esempio, creato nella trasformazione e nella distribuzione al dettaglio) che rimane nei paesi sviluppati. Il problema di fondo è se il commercio equo e solidale sia in grado di modificare in maniera duratura le regole del commercio internazionale.

8.   Legislazione o certificazione

8.1

Il Comitato ritiene che la certificazione sia la migliore garanzia per i consumatori. Essa consiste in un processo di verifica da parte di un organismo terzo accreditato (al termine di una procedura di accreditamento) e imparziale per attestare che un servizio, un prodotto o un processo è conforme alle specifiche precisate in un disciplinare (quest'ultimo può essere oppure non essere normativo). Così, se sia la certificazione che l'accreditamento sono due procedure di verifica, l'accreditamento verifica le competenze mentre la certificazione verifica la conformità a un disciplinare. La sfida che il commercio equo e solidale e, più in generale, il consumo etico, responsabile e improntato a spirito civico hanno di fronte è quella di definire i mezzi per rendere permanenti i buoni risultati ottenuti permettendo di:

1)

garantire la trasparenza, la visibilità e la comprensione del funzionamento delle filiere del commercio equo e solidale. Su questo piano deve essere avviato un vero lavoro di informazione per spiegarne le linee generali e le sfide;

2)

garantire che l'acquisto di prodotti alimentari vada a beneficio di un villaggio, degli abitanti dei villaggi e dello sviluppo delle aziende agricole dei paesi in via di sviluppo.

8.2

Il commercio equo e solidale ha quindi creato sistemi di garanzia, ma essi derivano la loro legittimità dalla loro natura negoziale e dal coinvolgimento delle diverse parti interessate.

Il sistema di garanzia istituito da FLO definisce disciplinari per determinati prodotti,

il disciplinare e il quadro di riferimento istituito dal WFTO riguardano le pratiche stesse della struttura coinvolta nel commercio equo e solidale.

8.3

Il FLO e il WFTO cercano di sviluppare la complementarità tra i loro sistemi di garanzia. Si tratta di trovare i punti di convergenza e di coerenza tra i loro approcci. Fino ad ora questo processo si è limitato a constatare la situazione in atto.

8.4

Questi sistemi di verifica sono indispensabili. Un livello elevato di garanzia è essenziale per evitare la proliferazione di normative diverse nei paesi del Nord e per tutelare gli interessi dei consumatori. Gli organismi del commercio equo e solidale hanno già stabilito una serie di requisiti a livello internazionale e hanno concordato una carta dei criteri del commercio equo e solidale: ora essi devono continuare a cooperare per mettere a punto un sistema comune di certificazione per i produttori.

9.   Le condizioni dell'aiuto allo sviluppo

9.1

Il commercio equo e solidale contribuisce alla riduzione della povertà preservando al tempo stesso le basi per uno sviluppo sostenibile.

9.2

La politica estera dell'Unione europea interviene per favorire la crescita dell'agricoltura nei paesi in via di sviluppo. Il sostegno teso a incoraggiare i piccoli produttori agricoli ad aderire al commercio equo e solidale potrebbe diventare un criterio per la concessione di sovvenzioni, e ciò contribuirebbe allo sviluppo sostenibile in tali paesi.

10.   Le sfide del commercio equo e solidale

10.1

Il commercio equo e solidale è indubbiamente frutto del dinamismo commerciale, sociale, educativo e politico degli attori a livello locale e internazionale.

10.2

Si tratta di un'innovazione socioeconomica, sostenuta dalla società civile per modificare le pratiche commerciali internazionali allo scopo di tenere maggiormente conto del fattore umano nei processi produttivi. Il commercio equo e solidale dovrebbe:

mantenere la sua influenza in materia di responsabilità sociale e ambientale delle imprese,

consolidare la sua base sociale, con sindacati, associazioni dei consumatori, ambientalisti e associazioni di produttori locali,

ampliare e diversificare il mercato, dato che il commercio ha bisogno di estendere le sue gamme di prodotti e le sue reti,

ridistribuire meglio il valore aggiunto ai produttori,

sostenere l'organizzazione dei produttori del Sud affinché diventino più indipendenti,

consentire lo sviluppo locale e il rafforzamento dei diritti fondamentali, economici, sociali e culturali,

essere in grado di migliorare globalmente le regole e le pratiche del commercio convenzionale.

11.   Equo e solidale anche per i produttori europei?

11.1

Tutte le derrate alimentari del commercio equo e solidale sono prodotte nei paesi in via di sviluppo. Determinati prodotti - come lo zucchero, il vino e le banane - sono però prodotti anche dai paesi europei, e con norme sociali nettamente superiori che possono dare origine a un certo sovrapprezzo rispetto a un prodotto certificato come equo e solidale.

11.2

Per evitare situazioni del genere, bisognerebbe creare un'organizzazione internazionale di produttori di tali filiere in modo da trovare compromessi vantaggiosi per tutti.

12.   Il commercio equo e solidale: nuovo fondamento economico

12.1

Numerose organizzazioni per i diritti umani denunciano i problemi del commercio internazionale (OMC).

12.2

I diversi attori e parti in causa del commercio equo e solidale si differenziano a livello mondiale dal punto di vista sia qualitativo che quantitativo. D'altronde, è proprio la loro capacità di coprire la varietà dei campi del commercio equo e solidale a dare senso a questo approccio e ad offrirgli la possibilità di produrre un impatto significativo in avvenire.

Bruxelles, 1o ottobre 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  COM(2009) 215 def.


Appendice I

Ricavi per i produttori rispetto al commercio convenzionale

commercio

caffè

tè Darjeeling

zucchero

quinoa

riso basmati

convenzionale

5 %

7 %

2,5 %

6,7 %

6,5 %

equo e solidale

17 %

9,5 %

3,8 %

8,5 %

9,5 %


Appendice II

Esempio di scomposizione del prezzo del riso thai della marca Max Havelaar:

15 % produttore,

26 % costi di trasformazione,

2 % imposizione,

57 % costi di imballaggio e distribuzione.


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/35


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La dimensione nordica delle regioni svantaggiate (parere d'iniziativa)

2009/C 318/07

Relatore: Kaul NURM

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 febbraio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

«La dimensione nordica delle regioni svantaggiate

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 settembre 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore Kaul NURM.

Alla sua 456a sessione plenaria, dei giorni 30 settembre e 1o ottobre 2009 (seduta del 30 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 175 voti favorevoli, 1 voto contrario e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Gli obiettivi fondamentali della politica agricola comune, ed in particolare la garanzia dell'approvvigionamento alimentare, rimangono attuali anche nelle regioni nordiche e ciò comporta che si preservino le tradizioni della produzione agricola in queste regioni.

1.2

Il tema centrale del presente parere sono i lineamenti specifici e i problemi naturali, climatici e geografici delle regioni nordiche dell'UE, in cui la produzione agricola è soggetta a determinati condizionamenti a causa del clima freddo, cosa che porta con sé la necessità di spese più elevate che i produttori agricoli di regioni agroclimatiche favorite non devono sostenere.

1.3

Le condizioni che regnano nelle regioni nordiche fanno sì che in agricoltura i costi di produzione siano più elevati e la produttività notevolmente inferiore rispetto alle regioni produttrici più favorite. Il declino costante della redditività ed anche l'indebolimento della motivazione dei produttori che lo accompagna mettono a repentaglio la prosecuzione dell'attività agricola nelle regioni nordiche dell'Europa. Questo pericolo può essere evitato attraverso l'impiego di strumenti idonei di politica agricola.

1.4

Occorre anche garantire lo sfruttamento agricolo del suolo nelle regioni che presentano svantaggi naturali, allo scopo di salvaguardare i paesaggi tradizionali e preservare le zone che rivestono un grande interesse sul piano della protezione della natura. Gli aiuti compensativi alle regioni svantaggiate sono uno strumento con cui è possibile raggiungere quest'obiettivo, ma ciò presuppone che il sostegno sia orientato in modo più deciso di quanto non sia stato il caso fino ad oggi verso le regioni dove il pericolo che si perda la pratica dell'uso agricolo della terra è più grande.

1.5

Inoltre, per ottenere risultati positivi concreti, occorre, oltre alla fissazione di nuovi criteri di definizione delle regioni svantaggiate, riesaminare allo stesso tempo i principi del finanziamento di tale iniziativa. Si dovrebbe considerare la possibilità di inserire le compensazioni per le regioni svantaggiate nei pagamenti del primo pilastro. Nel sistema finora in vigore, in cui l'importo del sostegno diretto si basa su indicatori storici di produzione, si trattano in maniera più vantaggiosa i produttori agricoli delle zone favorite. Le indennità compensative non sono sufficienti a compensare le condizioni di produzione più sfavorevoli delle regioni che presentano svantaggi naturali.

1.6

Nel calcolo degli aiuti per le regioni svantaggiate si dovrebbe prendere in considerazione in futuro per ciascuna singola regione l'ammontare complessivo delle spese sostenute per far fronte agli svantaggi naturali e alle condizioni di produzione sfavorevoli: quanto peggiori si dimostrano le condizioni naturali tanto più elevato dovrebbe essere il sostegno. Bisognerebbe inoltre fissare delle soglie minime e massime per i pagamenti.

1.7

Per definire gli svantaggi naturali, non occorrerebbe soltanto tenere conto della somma delle temperature positive del periodo di vegetazione, ma anche della somma delle temperature negative della stagione invernale nella regione interessata.

1.8

Le regioni nordiche si trovano lontano dai grandi mercati europei; inoltre, le aeree rurali di tali regioni hanno una popolazione estremamente scarsa e i terreni coltivati sono parcellizzati, caratteristica che trascina verso l'alto i costi di produzione delle aziende agricole. Per evitare lo spopolamento di tali zone e mantenervi la produzione agricola sono necessari aiuti compensativi a valere sulle risorse per le regioni svantaggiate. Per tale ragione il CESE raccomanda che nel fissare i criteri per la definizione delle regioni svantaggiate si tenga conto anche della bassa densità di popolazione e si elaborino criteri aggiuntivi per sostenere la produzione agricola nelle zone con grandi estensioni forestali.

1.9

Nell'elaborazione e fissazione dei criteri per una nuova definizione delle regioni svantaggiate (regioni con condizioni naturali sfavorevoli), il CESE raccomanda di tenere conto delle particolarità naturali, climatiche e socioeconomiche delle regioni nordiche sulle quali mette l'accento nel parere. A questo proposito vi sarebbe la possibilità di definire tali regioni, analogamente a quanto avviene per le regioni di montagna, come zone speciali.

2.   Contesto

2.1

Il CESE ha già trattato l'argomento delle regioni svantaggiate in suoi precedenti pareri d'iniziativa (1).

2.2

Il 21 aprile 2009, la Commissione europea ha pubblicato la sua comunicazione COM(2009) 161 def., nella quale figura una proposta intesa a modificare i principi della definizione delle zone svantaggiate e stabilire nuovi criteri. Tra l'altro, la Commissione presenta anche una nuova denominazione per le regioni svantaggiate e raccomanda di chiamarle in futuro «zone caratterizzate da svantaggi naturali». Il CESE si rallegra per questo nuovo approccio.

2.3

Dal momento che nel mercato unico dell'UE è garantita la libera circolazione dei beni e dei servizi, a lungo termine nelle regioni nordiche dell'UE, in cui i costi unitari di produzione sono più elevati, non sarà possibile mantenere una produzione agricola senza un sostegno speciale. Ciò si ripercuote negativamente sulla sostenibilità sociale ed ambientale e sulla biodiversità di tali regioni.

2.4

I regimi in vigore per le regioni svantaggiate e i loro effetti non sono comparabili da uno Stato membro all'altro. In conseguenza della molteplicità di criteri applicati dagli Stati membri, i regimi attuali d'aiuto alle regioni svantaggiate non tengono sufficientemente conto delle condizioni di produzioni specifiche dovute alle circostanze naturali e climatiche e non le compensano adeguatamente e proporzionatamente.

2.5

Nell'ottica di garantire la sicurezza alimentare a lungo termine in Europa e nel mondo, l'attività agricola deve proseguire anche nelle regioni nordiche dell'Unione europea; in tali regioni, secondo le previsioni, le condizioni agroclimatiche possono migliorare, in un orizzonte temporale di cinquanta o cento anni, in seguito al riscaldamento globale, mentre le regioni meridionali conosceranno, contemporaneamente, problemi di siccità. Tale situazione potrebbe determinare uno spostamento della produzione agricola in Europa verso il Nord.

3.   Particolarità naturali e climatiche delle regioni nordiche, presentazione generale dei problemi, giustificazione di un regime speciale per queste regioni

3.1

La produzione agricola delle regioni settentrionali dell'UE si distingue da quella dell'Europa meridionale e centrale per le seguenti caratteristiche: un periodo di vegetazione sensibilmente più breve, una somma considerevolmente più bassa delle temperature effettive che sono necessarie alla crescita delle piante ed un eccesso d'umidità durante la maggior parte dell'anno. Le precipitazioni sono distribuite in modo disuguale su tutto l'anno, risultando insufficienti per il periodo di primavera-estate, che è per le piante il periodo di nascita, di spigatura e di crescita, mentre le piogge frequenti d'autunno impediscono di raccogliere al momento opportuno e degradano così il livello di qualità dei raccolti.

3.2

L'agricoltura delle regioni nordiche subisce anche, in una misura molto importante, gli effetti di un inverno lungo e del conseguente fenomeno dei terreni gelati. Le temperature possono scendere fino a meno quaranta gradi celsius. La profondità di penetrazione del gelo dipende allo stesso tempo dalla somma delle temperature negative e dallo spessore dello strato di neve, che può ad esempio raggiungere un metro in Lettonia ed in Estonia, e fino a due metri nel Nord della Finlandia e della Svezia. Lo scioglimento delle nevi e il disgelo sono processi lunghi e laboriosi che ritardano le semine di primavera e l'inizio del periodo di vegetazione. A seconda della latitudine e della distanza dal mare, nelle regioni nordiche la stagione della semina primaverile si situa tra la fine del mese d'aprile e la metà di giugno. Per tale motivo nell'elaborazione dei criteri per la definizione delle regioni svantaggiate si deve tener conto anche della somma delle temperature negative delle regioni interessate.

3.3

Per la costruzione degli edifici vanno preventivati costi più elevati in quanto è necessario stabilire fondazioni profonde, oltre lo spessore del gelo, posare le tubature dell'acqua e le canalizzazioni sotto il limite del gelo e isolare i muri esterni. Costi notevoli sono anche causati dal riscaldamento degli edifici in inverno e dallo sgombero della neve.

3.4

A causa della brevità del processo di costituzione del suolo che ha seguito l'era glaciale, i terreni coltivabili nelle regioni nordiche sono più sottili e presentano una qualità e una struttura disuguali. Sono, in genere, eccessivamente umidi, rocciosi in certe aree, troppo argillosi, sabbiosi o formati da torba. Occorre effettuare investimenti consistenti per migliorare il suolo, soprattutto nell'installazione e nella manutenzione di sistemi di drenaggio delle acque, ma anche nella calcinatura dei campi.

3.5

Le regioni nordiche sono caratterizzate da strutture delle superfici collinose e frammentate come risultato dei fenomeni glaciali in cui prevalgono foreste, zone umide e altri ambienti naturali. Per tale ragione i terreni coltivabili sono di piccole dimensioni e sparsi. Vi sono regioni in cui la dimensione media dei campi di un'azienda agricola è inferiore ad un ettaro, e inoltre i campi si trovano sparsi nelle foreste ad una certa distanza dall'azienda agricola stessa. Diventa così impossibile l'impiego di macchine più grandi e più efficienti e, contemporaneamente, si innalzano anche i costi di produzione e trasporto (interno) dell'azienda agricola. Svantaggi naturali di questo tipo non possono essere compensati ricorrendo a colture alternative o razionalizzando in altri modi la produzione agricola. Occorre applicare criteri aggiuntivi che tengano conto degli svantaggi naturali dei territori ricchi di foreste. Uno di questi criteri potrebbe essere la quota di terreno coltivato per ettaro. Una delle misure a favore delle regioni svantaggiate potrebbe consistere nel compensare i costi addizionali di trasporto sostenuti dalle aziende agricole.

3.6

Nelle zone nordiche la densità di popolazione delle regioni rurali è molto bassa, pari a meno di dieci abitanti al chilometro quadrato al di fuori delle grandi città e a meno di tre abitanti al chilometro quadrato nelle regioni periferiche, cosa che comporta costi elevati di trasporto sia per la produzione agricola sia per garantire l'accesso ai servizi, privati come pubblici. In seguito all'intensa meccanizzazione, l'Europa settentrionale ha conosciuto nel ventesimo secolo una crescita considerevole della produttività ed una perdita di posti di lavoro in ambiente rurale. Per questo la bassa densità di popolazione e la scarsa disponibilità di servizi sono diventate, a loro volta, fattori d'esodo rurale: numerosi sono coloro che rinunciano all'attività agricola perché le giovani generazioni non vogliono riprendere l'azienda agricola. L'agricoltura costituisce nondimeno, con l'attività forestale e il turismo, la base economica della vita rurale nelle regioni nordiche. I comuni rurali sono sensibilmente più piccoli e ciò fa sì che la spesa pro capite per i servizi pubblici, per esempio per l'istruzione scolastica e quella informale sia significativamente più alta. Nelle regioni scarsamente popolate la vita è più cara perché il numero ridotto di abitanti costituisce un bacino di acquirenti modesto in relazione al consumo di beni e servizi. Le aree periferiche delle regioni nordiche sono troppo distanti dai grandi centri perché le persone possano recarvisi quotidianamente per lavoro o per ottenervi dei servizi. Una misura a favore delle regioni svantaggiate dovrebbe consistere nella compensazione dei costi di trasporto addizionali dai centri (dal mercato) alle zone agrarie periferiche.

3.7

Minore è il numero di persone che vivono nelle zone rurali dell'Europa del Nord, più il costo della vita diventa elevato, poiché per avere accesso a beni ed a servizi, per farsi curare e per scolarizzare i bambini, è necessario percorrere distanze notevoli. È per questo che, nelle zone a bassa densità di popolazione dell'Europa del Nord, il mantenimento e la creazione di posti di lavoro nel settore agricolo e negli altri settori rivestono un'importanza particolare. Questo dovrebbe essere l'obiettivo sia della politica agricola comune che della politica regionale. Dal successo dell'attuazione di queste politiche dipende se si riuscirà a mettere in equilibrio i movimenti migratori tra campagna e città, a fermare l'abbandono delle terre e ed arrestare lo spopolamento delle regioni periferiche. In fin dei conti è importante anche per ragioni di sicurezza di tutta l'Unione europea evitare lo spopolamento di tali regioni di frontiera dell'UE.

3.8

Le aree ricche di foreste e di zone umide delle regioni nordiche in combinazione con un'agricoltura estensiva ed ecosistemi semi-naturali, hanno creato una base duratura per la biodiversità. Così il Nord è, tra l'altro, una zona di riproduzione di milioni di uccelli migratori, che vanno alla ricerca di cibo nei campi e nei prati incolti.

3.9

A causa degli svantaggi naturali e della frammentazione delle superfici agricole e di costi di trasporto determinati dalla bassa densità demografica, la produttività delle aziende agricole delle regioni nordiche è più debole e le entrate più basse. Ciò ha determinato, di conseguenza, conformemente ai principi della PAC applicati fino ad oggi, livelli modesti di aiuti diretti a titolo del primo pilastro. Nelle regioni nordiche, per garantire che i terreni agricoli siano sfruttati, che vi sia una produzione sostenibile di prodotti alimentari e che si preservi il paesaggio, occorre garantire ai produttori agricoli un reddito comparabile a quello dei produttori delle regioni più favorite. In caso contrario, gli abitanti abbandoneranno i villaggi e non coltiveranno più i terreni agricoli, i paesaggi tradizionali verranno trascurati e perderanno la loro fertilità. Una possibilità raccomandata dal CESE è che la Commissione europea studi a fondo le specificità delle regioni nordiche e definisca eventualmente tali regioni come zone speciali, analogamente a quanto avviene per le regioni di montagna.

3.10

Le caratteristiche e la gravità degli svantaggi naturali da affrontare possono presentare notevoli variazioni da una regione all'altra. Al momento di calcolare i futuri aiuti al reddito, per ciascuna regione si dovrebbe tenere conto delle spese necessarie per superare gli svantaggi naturali e le condizioni sfavorevoli di produzione: quanto più difficili risultano le condizioni naturali, tanto più elevati devono essere gli aiuti, anche se nel quadro di tetti massimi e soglie minime.

4.   Limitazioni naturali in materia di produzione vegetale, presentazione dei problemi, giustificazione di un regime speciale per tali regioni

4.1

Nelle zone nordiche le colture subiscono gli effetti degli inverni freddi, della brevità del periodo di vegetazione, di una bassa somma delle temperature utili per la crescita delle piante, come pure dell'eccesso d'umidità, cosa che richiede investimenti considerevoli per la costruzione di sistemi di drenaggio. La durata di vita dei sistemi di drenaggio dipende dai materiali utilizzati a tal fine e va da circa trenta a circa cinquanta anni; oltre questo periodo, questi sistemi si devono sostituire. Le spese annuali che richiedono la manutenzione e le riparazioni dei sistemi di drenaggio sono considerevoli. L'installazione dei sistemi di drenaggio e la loro manutenzione sono il presupposto per la messa in produzione dei suoli nei quali l'umidità è eccessiva.

4.2

In ragione della presenza di una roccia madre di struttura cristallina ovvero di pietra arenaria, il suolo delle zone nordiche, nella loro più grande parte, è acido, ed occorre calcinare i campi per renderli coltivabili regolarmente ogni 6-8 anni, cosa che esige spese supplementari rispetto alle zone che hanno un pH neutro. La calcinatura non è destinata a rendere i terreni più fertili, ma costituisce un requisito per la coltivazione dei terreni acidi e per compensare gli svantaggi naturali costanti. Il CESE ritiene che per la definizione delle regioni svantaggiate e la fissazione di nuovi criteri, al problema del suolo acido si dovrebbe prestare un'attenzione maggiore di quanto non sia stato fatto fino ad oggi.

4.3

Nelle regioni nordiche occorre essiccare tutti i raccolti in essiccatoi speciali, poiché in certi anni il loro tasso d'umidità può raggiungere il 30 %. Per poter conservare i raccolti, occorre portare l'umidità al 12-14 %. La costruzione di essiccatoi per i raccolti richiede investimenti cospicui e l'energia consumata per l'essiccazione rappresenta un supplemento considerevole di spesa. Il costo degli essiccatoi può arrivare fino a 300 000 euro per essiccatoio, e la durata d'utilizzo dell'apparecchiatura va dai dieci ai quindici anni, secondo l'intensità d'utilizzo. Basandosi su dati che provengono dalle aziende, si può affermare che le spese d'essiccazione dei raccolti rappresentano, in media, da 20 a 25 euro per tonnellata, sebbene il grado d'umidità dei raccolti e la quantità d'energia necessaria all'essiccazione varino da un anno all'altro. Se si considera che il raccolto medio, nelle regioni nordiche, è compreso tra 3 e 4 tonnellate per ettaro, si arriva, per queste zone, a costi supplementari di produzione compresi tra i 60 e i 100 euro per ettaro.

4.4

Le specie vegetali devono essere più resistenti al freddo e potere sopportare gelate notturne che si verificano anche nel mese di giugno; ciò implica rendimenti più bassi. A causa della brevità del periodo di vegetazione, non è possibile coltivare varietà, come ad esempio il granoturco foraggero, che hanno bisogno di un lungo periodo di vegetazione e di temperature più elevate ventiquattro ore su ventiquattro e che permetterebbero di ridurre anche in modo considerevole i costi d'allevamento. Per questa ragione, l'alimentazione animale si basa sull'insilamento d'erba, a costi unitari che sono superiori a quelli del granoturco foraggero.

4.5

Il pericolo delle gelate notturne minaccia soprattutto la coltura della frutta, delle bacche e della verdura. Almeno una volta ogni dieci anni, si verificano delle gelate notturne così intense durante il periodo di fioritura da distruggere la totalità del raccolto. Esistono, certamente, un certo numero di mezzi per lottare contro le gelate notturne, come l'irrigazione per aspersione, le fumate, la copertura con teloni, ecc., ma il loro utilizzo comporta sempre costi finanziari e di manodopera supplementari.

4.6

La brevità del periodo di vegetazione impone anche di portare a termine tutti i lavori agricoli in un arco di tempo molto ridotto. A tal fine occorrono macchinari di livello relativamente elevato, il che determina un ulteriore aumento della media degli investimenti necessari per ettaro.

5.   Limitazioni naturali in materia d'allevamento, presentazione dei problemi, giustificazione di un regime speciale per tali regioni

5.1

Nell'ambiente nordico, il periodo di pascolo per il bestiame è breve (da metà maggio fino a fine settembre), e per questa ragione, la quantità di foraggio da conservare per l'inverno, come pure i costi di produzione, sono più alti. E per conservare il foraggio per l'inverno occorre anche costruire depositi speciali. Spesso, non è possibile, a causa delle condizioni meteorologiche, cominciare nel momento adatto il raccolto del fieno e ciò implica una diminuzione del suo valore nutritivo. Rovesci frequenti in periodo di fienagione o d'insilamento possono abbassare il livello di qualità del foraggio.

5.2

I costi delle costruzioni e delle strutture per l'allevamento degli animali sono più elevati che nelle regioni calde, perché per porre le fondamenta delle costruzioni, è necessario scendere ad una profondità superiore a quella dello spessore del gelo e anche le tubature dell'acqua e le canalizzazioni devono essere posate sotto il limite del gelo (più di 1,2 metri almeno, se si prende l'esempio dell'Estonia).

5.3

Costi supplementari sono causati dalla necessità di liberare i poderi e le strade di comunicazione dalla neve e dal ghiaccio nel periodo invernale. In seguito ai danni provocati dal gelo occorre rifare il rivestimento stradale ogni cinque-dieci anni. A causa della scarsa densità di popolazione, esistono nei paesi del Nord molti viottoli e strade ricoperti di pietrisco. Sono necessarie risorse finanziarie supplementari per mantenere e riparare questi cammini, in particolare per riparare i danni in primavera e per evitare la polvere in estate.

5.4

I costi di magazzinaggio per chilo di latte sono più elevati nelle zone poco popolate che nelle zone d'agricoltura intensiva a forte densità di popolazione, poiché occorre percorrere lunghe distanze per raccogliere il latte. Ad esempio, in molte regioni insulari ed isole interne la produzione di latte è cessata, poiché questa produzione non era redditizia a causa dei costi di trasporto. Risulta costoso anche rifornire le aziende agricole con gli altri fattori di produzione necessari per l'attività agricola.

6.   Importanza per l'intera Unione europea della preservazione dell'agricoltura e della vita rurale nelle regioni nordiche

Garantire il mantenimento della produzione agricola ed evitare lo spopolamento delle aree rurali nelle regioni nordiche rivestono importanza per tutta l'Europa perché in tal modo si contribuisce a:

assicurare l'approvvigionamento degli abitanti di queste regioni con prodotti alimentari locali e la sicurezza dell'approvvigionamento alimentare dell'UE in caso di riscaldamento globale,

mantenere posti di lavoro e impedire che la popolazione abbandoni le zone rurali,

preservare, ed in numerosi casi persino aumentare, la biodiversità,

mantenere i paesaggi accessibili e conservarne l'attrattiva per l'industria del turismo e del tempo libero,

garantire la sicurezza dei territori ai confini dell'UE.

Bruxelles, 30 settembre 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  GU C 318 del 23.12.2006, pag. 86; GU C 44 del 16.2.2008, pag. 56 e GU C 120 del 16.5.2008, pag. 47.


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/39


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Promuovere le politiche e i programmi a favore dell'efficienza energetica a livello degli utenti finali (parere d'iniziativa)

2009/C 318/08

Relatore: CAPPELLINI

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 10 luglio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

«Promuovere le politiche e i programmi a favore dell'efficienza energetica a livello degli utenti finali (parere di iniziativa).»

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 settembre 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore CAPPELLINI.

Alla sua 456a sessione plenaria, dei giorni 30 settembre e 1o ottobre 2009 (seduta del 1o ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 126 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Nel corso dell'ultimo mandato il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si è occupato di molte delle tematiche legate alle politiche europee per l'efficienza energetica nelle loro diverse dimensioni (dimensione esterna, sfide energetiche di breve e di lungo periodo, politiche degli approvvigionamenti e della sicurezza), nell'ambito di una politica energetica improntata a criteri di economicità e sostenibilità. Esso ha altresì promosso, con la collaborazione di tutti i soggetti interessati, utilizzatori finali e Stati membri, le «giornate dell'efficienza energetica», di cui considera importante promuovere e valorizzare i risultati. Su tali basi, il CESE raccomanda alla Commissione europea ed al nuovo Parlamento di riprendere con forza le indicazioni già emerse nei precedenti pareri (1).

1.2

Il CESE ritiene inoltre che l'implementazione di una politica energetica di promozione dell'efficienza e delle nuove tecnologie «pulite» possa rappresentare una soluzione non solo per il problema ambientale, ma anche per ridurre la dipendenza in materia di approvvigionamento energetico, nonché per far fronte ai costi elevati delle materie prime e alle loro ricadute sugli utilizzatori finali.

Il CESE raccomanda di intensificare gli sforzi rivolti a coinvolgere in modo sistematico gli utilizzatori finali (in particolare i consumatori e le piccole imprese) in relazione ai nuovi vincoli stabiliti dal Consiglio europeo nel marzo 2007 e a far fronte alla crisi economica in corso.

1.3

Il Comitato ritiene che il partenariato sociale europeo e nazionale potrà favorire un maggior coinvolgimento dei consumatori finali di energia, in particolare le piccole imprese, le loro associazioni, le forme associate private e pubbliche a livello locale e le forme cooperative, al fine di apportare un contributo più incisivo per il conseguimento degli obiettivi europei di efficienza energetica e green economy. Tale impegno, se inserito nelle forme più appropriate, ad esempio nell'agenda del dialogo sociale europeo, anche di tipo settoriale, potrà contribuire fattivamente alla crescita dell'occupazione e alla creazione di nuove professioni qualificate collegate al settore dell'energia e alla diffusione di nuovi servizi.

1.4

Il CESE ritiene che la scelta di rafforzare la dimensione europea delle politiche energetiche dovrebbe incoraggiare anche il consolidamento, nel mercato interno e sui mercati domestici, di una strategia di sviluppo sostenibile ed una più ampia cooperazione scientifico-tecnologica capace di rilanciare investimenti pubblici e privati, ivi incluse forme di «cooperazione rafforzata» tra diversi Stati membri dell'UE.

1.5

Il CESE esprime il proprio disappunto e la propria preoccupazione per la carenza di informazioni e di dati omogenei e dettagliati relativi all'efficienza energetica per gli usi finali, e per la conseguente difficoltà di elaborare indicatori statisticamente «robusti» ed armonizzati, anche a causa dell'esiguità delle serie storiche disponibili sul piano europeo ed accessibili agli utilizzatori finali.

Il CESE conferma la propria preoccupazione per la mancata predisposizione in tempo utile da parte degli Stati membri dei piani nazionali di azione per l'efficienza energetica (PNAEE) come previsto dalla direttiva in esame.

1.6

Il CESE ritiene necessario ed urgente, per favorire una più completa, omogenea e incisiva implementazione a livello nazionale delle politiche europee per l'efficienza energetica, introdurre in collaborazione con la Commissione europea e gli Stati membri e previa sistematica consultazione delle rappresentanze degli utilizzatori finali, un sistema di monitoraggio europeo condiviso che promuova l'equità, nonché la trasparenza e la comparabilità delle bollette energetiche.

1.7

Il Comitato ritiene inoltre che per una migliore implementazione delle politiche europee per l'efficienza energetica vada rafforzato l'aspetto settoriale delle stesse al fine di consentire una loro più significativa attività di monitoraggio e di analisi d'impatto. Le politiche energetiche hanno, infatti, un impatto diverso sulle singole tipologie di attività economica, sia che si tratti di imprese consumatrici di energia (che hanno problematiche differenti a seconda dell'entità dei consumi, della tipologia dei processi ecc.), sia che si tratti di imprese che operano nei diversi settori della filiera energetica (ad esempio produttori e installatori di impianti, fornitori di servizi energetici, imprese dell'edilizia, ecc.), dove risiede un enorme potenziale di risparmio energetico ancora inespresso.

1.8

Il CESE è convinto inoltre che i programmi europei (il Programma quadro per la competitività e l'innovazione (CIP), il programma Energia intelligente - Europa (EIE) ed altri) necessitino di una improcrastinabile ed urgente semplificazione, di un maggior coinvolgimento degli utilizzatori finali e di un quadro meno dispersivo e più integrato di interventi (come ad esempio avviene nel programma ECAP). Propone pertanto un nuovo programma integrato, in grado di meglio coordinare tali attività a favore degli utilizzatori finali.

Il CESE invita l'UE, gli Stati membri e le imprese ad investire sufficienti risorse nella ricerca applicata e nel suo trasferimento agli utilizzatori finali, nei risparmi realizzabili grazie all'utilizzo delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione (ICT) nelle professioni tecniche ed avanzate, nonché nello sviluppo e innovazione in campo energetico e raccomanda una cooperazione globale più inclusiva in materia.

1.9

Il CESE ritiene urgente che l'UE si doti di strumenti e politiche fiscali e di accesso al credito più idonei a sostenere il risparmio energetico, agevolando tutti gli utilizzatori finali, e in particolare le PMI e le partnership pubblico-private che, in forma singola o associata, attuano modelli di produzione più efficienti e sostenibili.

Il CESE, consapevole del ruolo cruciale dell'istruzione e della formazione per la diffusione di una cultura dell'efficienza energetica, propone di avviare una consultazione straordinaria con le parti sociali e tutte le parti interessate a livello europeo e nazionale per riorientare le risorse finanziarie dell'UE esistenti, consolidando i profili e le professionalità collegate all'efficienza energetica, e per favorire l'informazione e la sensibilizzazione del grande pubblico.

2.   Obiettivi della direttiva 2006/32/CE

2.1

La direttiva 2006/32/CE ha lo scopo di:

«rafforzare il miglioramento dell'efficienza energetica negli usi finali» al fine di contribuire a migliorare la sicurezza dell'approvvigionamento di energia,

ridurre le emissioni di CO2 e di altri gas a effetto serra per fronteggiare il cambiamento climatico, sfruttare in modo economicamente efficiente la possibilità di risparmi energetici sotto il profilo dei costi, dando impulso anche all'innovazione ed alla competitività.

Per il raggiungimento di tale scopo la direttiva prevede alcuni obiettivi generali, tra i quali:

fornire agli Stati membri degli obiettivi indicativi di risparmio e i meccanismi appropriati per raggiungerli,

definire il quadro istituzionale, finanziario e giuridico per eliminare le barriere e le imperfezioni del mercato che ostacolano un uso finale efficiente dell'energia,

creare le condizioni per lo sviluppo di un mercato dei servizi energetici, in particolare per le PMI,

definire un obiettivo nazionale indicativo globale di risparmio energetico, pari al 9 % per il nono anno di applicazione della direttiva, da conseguire tramite servizi energetici e altre misure di miglioramento dell'efficienza energetica.

3.   Osservazioni generali

3.1   La fase di implementazione della direttiva 2006/32/CE si è rivelata inadeguata rispetto agli ambiziosi obiettivi iniziali fissati dalla Commissione, e questo a causa di:

misure a volte troppo poco incisive e facilmente eludibili nei processi di recepimento a livello nazionale,

piani d'azione e provvedimenti di recepimento nazionali poco coerenti ed incisivi rispetto a quanto dettato dalla direttiva,

programmi e misure di accompagnamento poco coordinati e frammentari,

carenza dei dati e delle informazioni omogenee indispensabili per condurre un'attività di monitoraggio e analisi di impatto della direttiva sugli utilizzatori finali, inadeguatezza e incapacità di fornire elementi utili per uno sviluppo coerente e duraturo dell'efficienza energetica nell'UE.

L'esperienza in corso dimostra che soltanto pochi dei 27 Stati membri dell'Unione europea hanno attuato politiche energetiche solide e strutturate di incentivo all'efficienza energetica e allo sviluppo delle fonti rinnovabili, avviando un processo di sviluppo di nuovi settori collegati alle suddette tecnologie e contribuendo a ridurre il costo dell'energia per le piccole imprese e le famiglie.

Nel Libro verde Verso una rete energetica europea sicura, sostenibile e competitiva  (2), la Commissione si esprime a favore dell'idea di istituire un gestore europeo delle reti energetiche.

In tre recenti pareri (3) il CESE ha sottolineato la necessità di realizzare degli studi sulla fattibilità di un servizio europeo di interesse generale dell'energia che potrebbe essere messo al servizio della politica comune dell'energia. Vi si sostiene in sostanza la necessità di condurre tale riflessione a monte, poiché si tratta di servizi che saranno espressione delle solidarietà europee e risponderanno alle sfide che l'Unione dovrà affrontare a livello multinazionale o transnazionale, in settori essenziali come la sicurezza dell'approvvigionamento energetico, la gestione delle risorse idriche, la tutela della biodiversità, il mantenimento della qualità dell'aria, la sicurezza interna ed esterna ecc. L’esistenza di servizi comunitari di questo tipo contribuirebbe a sensibilizzare tutti gli utenti finali riguardo alle loro responsabilità.

3.2   Gli utilizzatori finali e la visione europea delle politiche energetiche

Il forte ritardo registrato in alcuni Stati membri nel conseguire gli obiettivi di efficienza energetica, oltre al permanere della grave crisi economica, confermano la necessità e l'urgenza di interventi più coordinati, programmati e articolati volti a promuovere la erogazione di risorse da parte della Comunità europea e degli Stati membri ed a favorire una ripresa degli investimenti pubblici e privati. Una strategia ed una visione di sviluppo sostenibile, basata sui principi di efficienza, generazione distribuita, nuove fonti di «energia pulita» (incluse le fonti energetiche da biomasse) e una condivisione dei risultati a livello europeo tra gli Stati membri e le rappresentanze degli utilizzatori finali potrebbero contribuire ad evitare la frammentazione delle attività di ricerca necessarie unitamente agli sforzi profusi a livello internazionale.

Un aspetto importante per contrastare la crisi economica e rilanciare le politiche di efficienza energetica e le politiche di investimento ad esse collegate è quello di ripensare anche le politiche europee della fiscalità e del credito in funzione degli utilizzatori finali, del settore del credito e degli operatori energetici nonché delle amministrazioni interessate a livello locale, favorendo lo sviluppo delle ESCO (Energy Service Companies - società di servizi energetici) a livello europeo.

3.3   La cultura ed i nuovi saperi collegati all'efficienza energetica verso gli utilizzatori finali

Risulta evidente la carenza di informazioni generali e settoriali e di una valutazione d'impatto delle politiche di efficienza energetica dell'Unione europea sugli utilizzatori finali (in particolare le PMI e gli altri stakeholders), nonché l'assenza di una metodologia capace di verificare la coerenza tra obiettivi internazionali ed europei e di un processo di monitoraggio dei risultati ottenuti dai suddetti utilizzatori.

Sulla base di una prima verifica effettuata in alcuni Stati membri, si osserva che la disponibilità di dati sulla produzione industriale e sul consumo energetico è fortemente limitata dalla mancata fornitura di informazioni dettagliate.

Di qui l'esigenza di avviare indagini campionarie per la raccolta e l'elaborazione dei dati ed indicatori necessari per il monitoraggio e la valutazione dell'efficienza energetica negli usi finali e nei servizi, al fine di poter misurare l'impatto della direttiva stessa sulle strategie e le azioni d'intervento applicate in ciascuno Stato membro.

3.4   Gli indicatori per l'efficienza energetica e i bisogni degli utilizzatori finali

La Commissione europea e gli Stati membri potrebbero, anche attraverso l'istituzione di una task force indipendente di esperti, sostenere e favorire l'elaborazione di indicatori armonizzati ed affidabili, in grado di quantificare e ponderare il risparmio energetico che può comportare l'uso delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione. L'elaborazione di tali indicatori, di facile comprensione, potrebbe rappresentare una garanzia per gli utilizzatori finali, che potrebbero a loro volta fruirne in modo appropriato. Tale approccio contribuirebbe anche a ridurre il crescente ricorso, ingannevole o confuso, ai concetti di energia «verde» o «pulita», come mera strategia di marketing e senza una giustificazione reale, dimostrabile e quantificabile in termini di risparmio energetico e di riduzione delle emissioni, evitando altresì pratiche commerciali sleali.

3.5   Un sistema di monitoraggio e di osservatori integrato e condiviso da tutti gli Stati membri consentirebbe in particolare all'Unione europea e agli Stati membri di:

valorizzare una task force europea di esperti e una rete di organismi indipendenti per l'efficienza energetica, rivolta agli utilizzatori finali ed in particolare alle imprese, alle PMI e all'artigianato,

produrre rapporti periodici sulle politiche dell'UE ed il loro impatto sugli utilizzatori finali (in particolare le PMI),

disporre di una piattaforma informativa in più lingue di facile utilizzo ed accessibilità; realizzare il consolidamento e la qualificazione delle relazioni tra le organizzazioni di rappresentanza a livello europeo e nazionale ed i principali stakeholder.

3.6   Superare i ritardi e colmare i deficit nella preparazione dei PNAEE

Dai piani nazionali (PNAEE) non si evince un impegno forte e serio degli Stati membri nel realizzare gli obiettivi della direttiva, in particolare per quanto riguarda la riduzione dei consumi nei settori più significativi, cioè il trasporto e le abitazioni: spesso, infatti, i piani risultano molto generici, privi di dati e di un set di indicatori scientifici adeguati per una valutazione corretta del potenziale d'impatto delle misure previste, nonché non idonei alle finalità perseguite con la direttiva. Di qui l'esigenza di adottare iniziative più concrete e fattibili e la necessità di rendere più cogenti almeno alcune misure, verificando lo scostamento tra i piani nazionali e i risultati concreti, come è avvenuto per le emissioni degli autoveicoli, per la riduzione delle emissioni di CO2 in generale, per le emissioni di gas serra e per le energie rinnovabili.

La recente consultazione on line Public Consultation on the Evaluation and Revision of the Action Plan for Energy Efficiency [COM(2006) 545 def.] promossa dalla Commissione dimostra le carenze della direttiva in materia di consultazione degli utilizzatori finali. Un rapporto annuale, a cui anche il CESE potrebbe contribuire, basato su una appropriata metodologia di consultazione, potrebbe rappresentare uno strumento in grado di colmare una parte delle carenze rilevate nella preparazione dei PNAEE.

3.7   Una «nuova generazione» di programmi europei più a misura dell'utilizzatore finale (end-user friendly)

È pertanto necessario semplificare le procedure per l'accesso ai programmi (CIP ed in particolare EIE), al fine di facilitarne l'accesso anche alle imprese più piccole ed alle loro associazioni di rappresentanza nonché alle amministrazioni delle aree più svantaggiate (montane e periferiche). Il CESE è inoltre favorevole ad incoraggiare le partnership pubblico-private e le ESCO (Energy Service Companies - società di servizi energetici), in particolare a livello europeo, nazionale e locale, favorendo la partecipazione delle PMI all'esercizio effettivo della politica europea del Green Public Procurement (appalti pubblici «verdi»). Inoltre, nell'ambito del processo di semplificazione e better regulation, si invita la Commissione europea a studiare, insieme con i rappresentanti delle associazioni europee/nazionali degli utilizzatori finali, le procedure e le pratiche più efficaci per agevolare gli utilizzatori finali e i soggetti interessati dalla direttiva nell'implementazione delle politiche di efficienza energetica.

4.   Osservazioni specifiche

4.1   La direttiva prevede un ruolo specifico per gli operatori energetici nel settore dei servizi energetici (art. 6). Tale previsione risulta particolarmente critica, poiché in molti mercati nazionali è accaduto che i grandi operatori energetici abbiano operato nei mercati a valle della filiera energetica, quali i servizi energetici e le attività c.d. post-contatore, godendo di una condizione di vantaggio a causa della loro posizione dominante nelle altre fasi della filiera (produzione, distribuzione e vendita) e creando così forti barriere allo sviluppo del settore dei servizi energetici per le piccole imprese.

4.1.1

Permangono rilevanti problemi e criticità nella fase di recepimento della direttiva per quanto riguarda gli utilizzatori finali, quali:

disponibilità e trasparenza delle informazioni rilevanti per l'implementazione dei servizi energetici (spesso riservate ai soli operatori energetici ed alle autorità preposte) - art. 7,

corretta misurazione e fatturazione informativa del consumo energetico.

È opportuno pertanto un rafforzamento dell'azione di vigilanza, controllo e sanzione da parte degli organi competenti degli Stati membri e dell'UE e un monitoraggio più efficace ed incisivo degli operatori energetici (vedi articoli 11 e 13 della direttiva).

4.1.2

L'accesso agli «strumenti finanziari per il risparmio energetico» ed il funzionamento dei relativi «meccanismi» andrebbero rafforzati ed approfonditi, in sede tecnica e politica, a favore degli utilizzatori finali con particolare riguardo alla fiscalità energetica. Occorrerebbe uno specifico monitoraggio di tali strumenti e dei loro risultati, da attuare in stretta collaborazione con le associazioni europee e nazionali degli utilizzatori finali e tenendo in considerazione soprattutto le modalità con cui mitigare l'effetto rimbalzo (rebound effect). L'effetto rimbalzo, come è scaturito dall'audizione CESE presso il CNEL sulle «Politiche e i programmi a favore dell'efficienza energetica a livello degli utenti finali» del 9 luglio 2009, si riferisce al fatto che a volte interventi di miglioramento dell'efficienza energetica comportano un aumento dei consumi energetici e non una loro diminuzione.

4.1.3

Anche la diagnosi energetica e i certificati bianchi (art. 12) risultano particolarmente importanti per lo sviluppo dei servizi energetici e andrebbero pertanto ulteriormente rafforzati da parte degli Stati membri.

In tale ambito è auspicabile che anche il dialogo sociale europeo, incluso quello settoriale, possa apportare un contributo all'implementazione delle politiche dell'efficienza energetica al fine di favorire nuova occupazione e una maggiore competitività del sistema produttivo.

4.1.4

Per misurare il risparmio energetico sono infine previsti dei metodi di calcolo. Dato che tali metodi risultano ancora poco sviluppati e non armonizzati, si dovranno definire ed individuare quelli più largamente condivisi dagli utilizzatori finali, da utilizzare in maniera armonizzata tra gli Stati membri.

Si rileva, per concludere, che la Commissione europea ha avviato numerose procedure d'infrazione per il mancato o parziale recepimento della direttiva e che le relative conseguenze in termini di costi ed oneri burocratici ricadranno sugli utilizzatori finali.

Bruxelles, 1o ottobre 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  CESE 1513/2008 (GU C 77 del 31.3.2009, pag. 54), CESE 1913/2008; CESE 621/2009; CESE 52/2009.

(2)  COM(2008) 782 def./2.

(3)  Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le conseguenze sociali dell'evoluzione del binomio trasporti/energia, CESE 1911/2008 (GU C 175 del 28.7.2009, pag. 43) e parere sul tema Libro verde - Verso una rete energetica europea sicura, sostenibile e competitiva, CESE 1029/2009 (relatrice dei due pareri: BATUT); parere del CESE in corso di elaborazione sul tema Servizi di interesse economico generale: come ripartire le responsabilità tra l'UE e gli Stati membri?, CESE 966/2009 (non ancora pubblicata nella Gazzetta ufficiale) – TEN/389, relatore: HENCKS.


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/43


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'impatto della crisi mondiale sui principali settori manifatturieri e dei servizi europei (parere d'iniziativa)

2009/C 318/09

Relatore: PEZZINI

Correlatore: GIBELLIERI

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 febbraio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

«L'impatto della crisi mondiale sui principali settori manifatturieri e dei servizi europei.»

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI), incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 settembre 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore PEZZINI e dal correlatore GIBELLIERI.

Alla sua 456a sessione plenaria, dei giorni 30 settembre e 1o ottobre 2009 (seduta del 1o ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 156 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) è convinto che le conseguenze dell'attuale crisi finanziaria sui grandi settori manifatturieri e dei servizi dell'UE obblighino le istituzioni europee e gli Stati membri a una profonda riconsiderazione e a un maggior coordinamento delle politiche e degli strumenti comunitari, per ricostruire una scala dei valori che veda al primo posto l'economia reale, le esigenze delle imprese e quelle dei lavoratori e dei cittadini.

1.2   Il CESE chiede con forza la ratifica del Trattato di Lisbona, per assicurare all'UE un'architettura in grado di rispondere alla necessità di ridisegnare lo sviluppo del nostro continente in modo competitivo, sostenibile e aperto con:

misure per aumentare la cooperazione tra aziende e lavoratori,

politiche comuni e più coordinate,

sistemi decisionali più rapidi,

legislazioni più semplici e trasparenti.

1.3   Il CESE è convinto che, se ci sarà un rinnovo del progetto di costruzione europea, nello spirito che ha animato Jean Monnet al momento del varo e dell'attuazione del Trattato di Parigi che diede origine alla CECA, sarà possibile ricostruire le basi per un rilancio dell'economia europea. Infatti, i Trattati in vigore hanno mostrato limiti preoccupanti nell'affrontare la crisi e le sue conseguenze economiche e sociali.

1.4   Il principio di sussidiarietà deve essere ridefinito nella sua valenza originaria. Decisioni e responsabilità devono essere assunte al livello più efficace per il cittadino europeo. Di fronte ai problemi globali, politiche e strumenti non possono che essere stabiliti a livello europeo e mondiale.

1.5   Il CESE è convinto che i governi degli Stati membri e il Consiglio dell'UE debbano fare tutti gli sforzi possibili per ricreare, nei cittadini, la fiducia verso il progetto di un'Europa più forte e in grado di dotarsi di strumenti condivisi e riconosciuti e di fronteggiare la crisi globale attuale e quelle future.

1.5.1

Il CESE è consapevole che diversi paesi che hanno fatto parte del primo nucleo che ha voluto la Comunità europea stanno mostrando, soprattutto in questo momento di crisi, molta insofferenza verso le regole del mercato unico: concorrenza, aiuti di Stato. Ma questo è un errore! (1)

1.5.2

In una situazione come quella attuale, il Consiglio, aiutato dal PE e dalla Commissione, dovrebbe dar vita ad un «Patto strategico» che preveda:

forti impegni sul mercato unico, con meccanismi rafforzati, soprattutto in alcuni settori nei quali vi sono ancora difetti (2),

impegno a introdurre un coordinamento nella fiscalità, che rispetti la sovranità fiscale degli Stati, ma rafforzi la cooperazione su alcuni punti,

possibilità concertata di accesso all'eurozona, in tempi brevi e con il rispetto di determinate condizioni, per gli Stati «in sofferenza»,

interventi pubblici coordinati, proporzionati, trasparenti e degressivi nel tempo, per ridurre i rischi sistemici e accelerare il ritorno ad attività che si sostengano da sole sul libero mercato.

1.6   Il messaggio del CESE è che i cittadini, le forze sociali e la società civile nel suo complesso sono convinti che la crisi attuale induca a ricercare un'Europa più forte, che sappia spingersi oltre il ruolo limitato dei singoli Stati.

1.7   Ai singoli Stati devono essere richiesti sacrifici concreti, in termini di rappresentanza e di visibilità, per rafforzare il ruolo globale dell'Europa nelle sue espressioni democratiche: PE, Consiglio e Commissione.

1.8   Il CESE è convinto che il primo strumento da mettere in campo sia una vera politica industriale sostanziale, che non sia influenzata dalle scelte degli speculatori finanziari e che sia volta a promuovere lo sviluppo sostenibile. La concreta esperienza in materia di politica industriale, condotta per cinquant'anni sulla base del Trattato CECA in due importanti settori produttivi europei, deve essere recuperata e, dopo un opportuno aggiornamento, modificata per favorire uno sviluppo sostenibile e presa a riferimento per le azioni future (3).

1.9   È attraverso lo sviluppo delle imprese e dell'economia sociale e la loro capacità di fornire risposte innovative che l'Europa potrà superare la crisi e rilanciare l'economia.

1.10   Per realizzare una strategia di sviluppo, le parti sociali e la società civile organizzata nel suo complesso dovrebbero tendere a realizzare un territorio socialmente responsabile (TSR) nel quale si possano attuare diverse strategie, tra di loro coordinate:

una strategia di resistenza e di sopravvivenza, in grado di fornire la possibilità di operare in mercati maturi, attraverso una migliore specializzazione nello stesso mercato, con riduzione dei costi o con forte diversificazione in settori contigui oppure con nuove formule,

una strategia di innovazione di processo, di prodotto e di servizi, con cambio di mercato e di tecnologia, e con nuovi materiali che portino a nuovi prodotti,

nuove iniziative, con lancio di nuove forme di impresa, nuovi settori o nuove iniziative; è necessario ipotizzare, tramite un esercizio di foresight, nuovi prodotti in espansione (come i mercati guida o lead markets) verso i quali far confluire nuovi investimenti,

un marketing territoriale, che punti all'eccellenza attraverso convenzioni con centri di ricerca, al fine di accrescere la contaminazione tecnologica,

un sostegno finanziario, attraverso la finanziaria di sviluppo, anche utilizzando la garanzia fideiussoria del FEI (4),

la capitalizzazione del fondo rischi dei consorzi fidi, attraverso un accordo tra amministrazioni e sistema bancario, perché concedano dilazioni di pagamento alle micro e piccole imprese, soprattutto per salvaguardare i livelli occupazionali,

il consolidamento dei debiti a breve, per permettere a micro e piccole imprese di concentrarsi sulla produzione e commercializzazione nonché sui servizi post vendita dei propri prodotti,

il sostegno a un terziario innovativo (green economy), utilizzando le possibilità di formazione innovativa offerte dal Fondo sociale europeo,

lo sviluppo di servizi di livello elevato alle persone, anche attraverso la valorizzazione e il potenziamento delle polarità sociosanitarie (5),

la realizzazione di politiche infrastrutturali che contribuiscano a scelte più innovative per un'economia a bassa emissione di carbonio, nonché di condizioni per rendere vantaggioso il risiedere nel territorio,

il rafforzamento dei criteri ambientali e di efficienza energetica negli appalti pubblici,

l'incoraggiamento, attraverso finanziamenti, di prodotti nuovi e più efficienti, in sostituzione di quelli vecchi,

un migliore accesso all'informazione,

un uso agevolato delle materie prime.

1.11   Una comparazione tra i pacchetti nazionali di stimolo, nelle economie industrializzate, dimostra la necessità di una maggiore visione prospettica comune da parte dei governi europei, specie per quanto riguarda l'impulso allo sviluppo sostenibile e alla responsabilità sociale d'impresa, nonché di un migliore coordinamento con la Commissione europea. Inoltre, non ci si può limitare alla retorica. Gli Stati membri devono implementare i loro piani con tempestività dato che la crisi sta investendo con forza imprese e lavoratori.

1.12   Il CESE considera con favore gli sforzi compiuti a Praga, il 7 maggio 2009, dal Vertice sull'occupazione per individuare piste d'azione da realizzare a livello nazionale ed europeo insieme alle parti sociali, sulla base di un dialogo sociale rafforzato (6), per tenere maggiormente conto della creazione di posti di lavoro e delle misure necessarie a stimolare la domanda.

1.13   La strategia di Lisbona deve preservare la sua credibilità e dar prova delle sue capacità di adattamento a questo nuovo contesto, accelerando il processo delle riforme, individuando priorità chiare e metodi nuovi e accertandosi che vi sia coerenza tra gli obiettivi della strategia dell'UE in materia di sviluppo sostenibile e quelli della strategia post Lisbona che dovrà essere definita nei prossimi mesi.

1.14   I governi europei devono impegnarsi maggiormente per rispettare integralmente e nei tempi concordati gli impegni assunti in sede comunitaria.

1.15   Gli aiuti di Stato previsti per sostenere l'occupazione nelle imprese colpite dai problemi connessi con la mondializzazione e con il credito devono essere basati su condizioni che garantiscano che:

tali aiuti non vadano a rafforzare il protezionismo e non creino ostacoli alla libera concorrenza,

le imprese che ricevono fondi si impegnino soprattutto a sostenere i livelli occupazionali,

siano rispettati i contratti collettivi e mantenuto il potere d'acquisto dei lavoratori,

durante i periodi di produzione ridotta, i lavoratori possano usufruire di una formazione per nuove qualificazioni e che siano incoraggiati in questo senso,

il sostegno finanziario pubblico non diventi una forma di reddito per gli azionisti, attraverso dividendi o altre forme di buy-back di azioni,

per quanto possibile, il sostegno promuova lo sviluppo di nuovi prodotti e di nuovi servizi, secondo criteri di tutela ambientale,

gli aiuti non falsino la concorrenza e siano temporanei e degressivi,

vi siano meccanismi adeguati di controllo a tutela dei contribuenti.

1.16   In termini di risposta sociale alla crisi, le proposte finora adottate sono state inadeguate. Vi è una considerazione insufficiente dell'imperativo della creazione di posti di lavoro o di misure necessarie a incentivare la domanda (quali pacchetti di stimolo fiscale più coordinato, a livello UE, e politiche salariali) (7).

1.17   A livello di regole, per quanto riguarda le misure temporanee del mercato del lavoro, è necessario assicurare che il lavoro a breve termine sia combinato con una formazione appropriata specie sui temi d'igiene e sicurezza nei luoghi di lavoro e con garanzie per i livelli salariali.

1.18   Il Comitato ritiene urgente e fondamentale, per il futuro stesso della struttura produttiva dell'UE, la messa in campo di politiche tese a riorientare i giovani verso le discipline tecnico-scientifiche, a tutti i livelli del sistema scolastico e formativo, al fine di contrastare la distruzione dei valori collegati alle attività produttive, a favore di quelle finanziarie e speculative (8).

1.19   Per favorire la ripresa produttiva e la sostenibilità dei settori industriali e dei servizi europei, il CESE ritiene necessario rafforzare l'intervento delle attività di ricerca, innovazione e sviluppo, utilizzando gli strumenti già disponibili, come il 7PQ di RST e l'Istituto europeo di tecnologia (EIT), ma introducendo anche un chiaro orientamento settoriale, sulla base delle priorità identificate dalle piattaforme tecnologiche europee.

1.20   Il CESE chiede con forza un'azione comunitaria a sostegno del settore dei servizi alle imprese, sviluppando servizi e contenuti innovativi a beneficio dei cittadini, dei consumatori, dei lavoratori e delle imprese, specie per l'internazionalizzazione e l'export delle PMI.

1.21   Il Comitato ritiene necessario, come auspicato dalla propria presidenza (9), riconsiderare i criteri di applicazione dei fondi strutturali - specie del FSE - in vista di permetterne l'accesso diretto, a livello europeo, anche su base settoriale, riprendendo così l'esperienza della CECA, che si dimostrò efficace e di rapida applicazione.

1.22   Sul piano del commercio internazionale, il CESE ritiene prioritaria la rapida conclusione dei negoziati multilaterali sul commercio (Doha Round), che costituirebbe un segnale positivo per i mercati internazionali, con importanti riflessi sulla crisi in corso (10): l'UE può e deve acquisire una leadership negoziale più forte assicurando una voce unica per l'ottenimento di risultati ambiziosi che facciano rispettare le norme fondamentali dell'OIL in materia di condizioni di lavoro e di lavoro dignitoso, essenziali per la futura crescita dei settori manifatturieri e dei servizi europei.

1.23   La prospettiva di una spirale protezionistica nel contesto attuale è estremamente concreta e pericolosa. È pertanto essenziale che la Commissione applichi con convinzione le norme in materia di difesa commerciale intervenendo con fermezza contro il dumping e le sovvenzioni, che contesti e contrasti le misure protezionistiche ingiustificate e intensifichi il dialogo con i principali partner commerciali dell'UE per risolvere le controversie commerciali.

2.   Premessa

2.1

I settori manifatturieri e dei servizi rappresentano la spina dorsale dell'economia del nostro continente. La realizzazione del mercato unico ha permesso il loro forte sviluppo, secondo regole e standard comuni.

2.2

Detti settori hanno di fronte sfide eccezionali:

il collasso finanziario che ha investito, con violenza e sincronismo inauditi, l'intera economia globale e ha minato la credibilità e l'affidabilità dei mercati,

la nuova divisione internazionale del lavoro, con la necessità di apportare le razionalizzazioni e ristrutturazioni industriali imposte dal nuovo mercato globale, nel quale sono entrati, a pieno titolo, ma con minori vincoli, i continenti di nuova industrializzazione,

i cambiamenti climatici e l'ambiente, con l'obiettivo, imprescindibile per la salute dei cittadini, della protezione dell'ecosistema e dello sviluppo sostenibile, che impone di migliorare l'efficienza energetica e ammodernare i cicli produttivi con nuovi prodotti e processi basati su tecnologie pulite,

il capitale di risorse umane, con l'invecchiamento della popolazione e i forti flussi migratori che richiedono maggiore flessibilità e mobilità professionale e processi di formazione permanente, su profili di qualificazione più elevata, per assicurare una migliore qualità della vita e del lavoro,

le carenze di governance, a livello mondiale e a livello europeo, con l'inadeguatezza di istituzioni, di capacità decisionali e di regole, come dimostra l'attuale sistema monetario internazionale e la crisi della costruzione europea,

le disparità regionali, che si stanno accentuando all'interno dell'UE,

la contrazione delle risorse disponibili, sia a livello di bilanci pubblici sia a livello di bilanci d'impresa, che rischiano di non poter alimentare adeguatamente le riforme necessarie per far ripartire l'economia e l'occupazione.

2.3

La recessione mondiale in atto rischia di aggravare gli sforzi che i settori stanno compiendo per:

adeguarsi alla nuova divisione internazionale del lavoro,

proteggere l'ecosistema e lo sviluppo sostenibile,

riposizionarsi verso nuove tecnologie di prodotto e di processo,

accrescere e migliorare l'occupazione, su profili e professionalità sempre più elevati.

2.4

Le crisi attuali rappresentano per le imprese non soltanto una sfida di sopravvivenza ma anche grandi opportunità di sviluppo e di innovazione. L'impresa, però, non deve essere lasciata sola: occorre incoraggiare l'imprenditorialità e la creazione di posti di lavoro attuando al più presto riforme per migliorare l'ambiente in cui le imprese operano, riducendo i carichi amministrativi inutili, preservando e migliorando il mercato interno, incoraggiando il capitale di rischio, stimolando l'innovazione e le misure di «flessicurezza», legiferando meno e meglio e investendo nei rapporti tra il mondo accademico e scientifico e quello imprenditoriale, e nell'educazione e formazione delle risorse umane, soprattutto nelle discipline tecnico-scientifiche e nello sviluppo dei lead markets.

2.5

Il CESE vuole sottolineare l'importanza di evidenziare la situazione attuale e le possibili prospettive future dei principali settori manifatturieri, dei servizi e del turismo in particolare, tenendo conto di vari aspetti fondamentali, strettamente correlati:

dimensione internazionale: la crisi si è sviluppata su circuiti internazionali integrati, che si sono potuti avvalere di strumenti innovativi ben al di fuori dei poteri di regolamentazione e di controllo dei singoli mercati e del mercato internazionale nel suo complesso, e si è sovrapposta al processo d'aggiustamento da parte dell'Europa ad uno scenario di riferimento mondiale che vedrà nel 2020 i paesi BRIC (11) raggiungere e forse superare la quota del 30 % del PIL mondiale.

Dimensione istituzionale: i meccanismi istituzionali nazionali, regionali e internazionali di governance si sono rivelati del tutto insufficienti ad individuare, in via preventiva, le patologie; a definire anticipatamente mezzi e strumenti atti ad impedire il contagio a catena nelle singole economie regionali e nazionali; e a sviluppare anticorpi in grado di limitare i danni.

Dimensione sociale: a marzo 2009, il tasso di disoccupazione ha raggiunto l'8,9 % (7,2 % nel marzo 2008) nella zona euro e l'8,3 % (6,7 % nel marzo 2008) nell'UE-27 mentre il tasso di disoccupazione dei giovani con meno di 25 anni è stato del 18,1 % nella zona euro e del 18,3 % nell'UE-27 (12).

Dimensione «economia reale»: nell'UE-27 il calo della produzione manifatturiera, nel dicembre del 2008, è stato, rispetto allo stesso mese del 2007, del 12,8 % e quello dell'edilizia del 6,7 %; l'interscambio intracomunitario è diminuito del 13,7 % e l'export comunitario dei settori manifatturieri è calato del 5,8 % (13). I cali di produzione hanno riguardato, in particolare, i settori della chimica e del tessile, dei veicoli a motore, dei metalli (con forti contrazioni dell'export in settori quali le automobili), i prodotti chimici, le telecomunicazioni, il comparto della radio-TV e - in tema di servizi - del turismo (14).

Dimensione ambientale: l'efficienza energetica, la lotta ai cambiamenti climatici e l'uso sostenibile delle risorse rappresentano sfide indifferibili per la salvaguardia e lo sviluppo del pianeta, ed in particolare per l'Europa, la salute dei suoi cittadini, la protezione dell'ecosistema e l'economia nel suo complesso, con impatti importanti sulla sua competitività, specie in un quadro regolamentare chiaro, stabile ed armonizzato.

3.   Dimensione internazionale

3.1

Negli USA il PIL è diminuito dell'1 % nel quarto trimestre del 2008, dopo una diminuzione dello 0,1 %, nel trimestre precedente. Il PIL del Giappone è diminuito del 3,3 %, dopo una diminuzione dello 0,6 %, nel trimestre precedente. Il PIL della zona euro si è ridotto dell'1,5 %, dopo una diminuzione dello 0,2 %, nel trimestre precedente (15).

3.2

Il tasso di disoccupazione sta crescendo rapidamente e, secondo l'OCSE, tende a raggiungere un tasso prossimo al 12 % per la fine del 2010. Al tempo stesso, i salari stanno aumentando più lentamente o rimangono immutati.

3.3

Come sottolinea la Commissione (16): «fintanto che durerà la rarefazione del credito, i tentativi di rilanciare la domanda e di far rinascere la fiducia tra i consumatori sono destinati a fallire. (…) La crisi è globale, e la ripresa non sarà completa fintanto che non riprenderanno l'espansione dei principali attori dell'economia mondiale e l'attività commerciale tra di essi».

3.4

Dello stesso avviso è la Confederazione europea dei sindacati (CES): «La situazione economica si deteriorerà, probabilmente, e migliorerà solo se il modo di pensare cambierà radicalmente: lungi dalla nozione confortante, ma irrealistica, di un ritorno al business as usual, noi abbiamo bisogno di una nuova realtà economica, basata sulle persone, sull'innovazione e sullo sviluppo durevole. Abbiamo ugualmente bisogno di una rivalorizzazione del ruolo del governo:

nella regolamentazione dei mercati,

nel servizio pubblico,

nella lotta contro le disuguaglianze dei salari» (17).

3.5

In occasione del G20 di Londra, del 18 marzo 2009, la federazione europea degli imprenditori (Businesseurope) ha sottolineato come «la crisi finanziaria sta avendo un impatto devastante sulle imprese, dal momento che i principali driver della crescita sono stati colpiti da restrizioni nell'accesso alla finanza. (…) È necessario uno stimolo economico per evitare il collasso economico globale» (18).

4.   Dimensione istituzionale

4.1

Si stanno sviluppando un consenso sempre più largo e una convergenza sempre più ampia di forze per varare misure eccezionali e risposte politiche d'emergenza al fine di preservare ad ogni costo imprese, settori manifatturieri, attività produttive e di servizi, occupazione, redditi e consumi delle famiglie, al di là delle regole oggi esistenti.

4.2

La politica intesa a cercare di limitare le conseguenze economiche, occupazionali e sociali della crisi, scaricando sui propri vicini le tensioni accumulate al proprio interno, non solo rappresenta una falsa soluzione del problema, ma rischia di far precipitare le economie in nazionalismi e in protezionismi che distruggerebbero i quadri di cooperazione internazionale e d'integrazione regionale faticosamente costruiti negli ultimi anni, in Europa e nel mondo.

4.3

Il CESE ritiene fondamentali ed irrinunciabili, per qualsiasi intervento volto a far fronte alla crisi in atto, le azioni seguenti:

avviare un nuovo quadro di cooperazione internazionale e mondiale, basato su regole trasparenti, in grado di eliminare preventivamente patologie anche latenti nel sistema economico, monetario e finanziario internazionale, preservando la piena libertà di scambio nel commercio internazionale,

studiare da subito le possibilità di un nuovo contratto sociale con il settore finanziario, e una forte ri-regolazione e una migliore supervisione del mercato finanziario internazionale, così come un migliore controllo pubblico sui pacchetti di stimolo, per assicurare che il sostegno finanziario arrivi ai lavoratori, ai consumatori e alle imprese, e preservi il libero commercio internazionale,

preservare le fondamenta dell'UE, in termini di:

unicità del mercato europeo,

libera circolazione di persone, beni, capitali e servizi,

sviluppo e piena applicazione delle politiche comuni, ed in particolare della politica della concorrenza,

libertà d'impresa e salvaguardia del modello sociale europeo,

attuare interventi pubblici coordinati, proporzionati, trasparenti e degressivi nel tempo, per ridurre i rischi sistemici,

salvaguardare e migliorare la competitività e la consistenza dei settori europei manifatturieri e dei servizi,

potenziare l'economia della conoscenza,

migliorare le competenze delle risorse umane e manageriali,

qualificare prodotti e processi rivolti alla tutela ambientale, all'efficienza energetica e all'uso dei materiali e fornire condizioni-quadro per la loro diffusione sul mercato,

sostenere lo sviluppo di un territorio socialmente responsabile (TSR),

non aumentare il carico amministrativo e regolamentare per le imprese europee,

sviluppare un approccio coordinato in tema di IPR (19),

migliorare l'accesso al credito, specie per le PMI.

4.4

Il CESE è convinto che la crisi attuale debba condurre ad un salto istituzionale di maggiore integrazione economica, rivolta verso uno sviluppo dell'economia di qualità, nonché verso una maggiore e migliore occupazione.

4.5

Il CESE ritiene però ancor più necessario un salto di qualità verso una maggiore integrazione politica del continente, considerandola la sola in grado di realizzare quel trade-off tra la rinuncia agli egoismi ed alle priorità nazionali, verso un futuro comune.

4.6

Il CESE è convinto che solo se ci sarà un rinnovo del progetto di costruzione europea, nello spirito che ha animato Jean Monnet al momento del varo e dell'attuazione del Trattato di Parigi che diede origine alla CECA, sarà possibile ricostruire le basi per un rilancio dell'economia europea.

4.7

Occorre procedere rapidamente al perfezionamento delle ratifiche del Trattato di Lisbona, per assicurare un'architettura della costruzione europea in grado di rispondere con politiche maggiormente coordinate.

5.   Dimensione sociale della crisi: impatto su lavoratori, imprese e famiglie

5.1

Negli ultimi mesi si è assistito a un drastico aumento delle ristrutturazioni aziendali. Molte imprese hanno avviato piani di licenziamento, con notevoli conseguenze sociali, anche per il futuro dei giovani (20). Altre hanno dichiarato lo stato di fallimento.

5.2

Il CESE è convinto che le risorse umane saranno la chiave di volta della ripresa competitiva dell'UE, sia sotto il profilo delle capacità e delle qualificazioni della manodopera, sia sotto il profilo del nuovo modello di governance manageriale.

5.3

Per il CESE, l'investimento in manodopera ed il mantenimento dell'occupazione sono essenziali per promuovere la competitività industriale europea, in termini sia di qualifiche e nuove competenze della forza-lavoro, che di nuovo modello di responsabilità sociale d'impresa (21).

5.4

Considerando l'ampiezza della crisi, gli schemi di formazione/lavoro verso settori in crescita, come ad esempio le energie rinnovabili, dovrebbero essere messi rapidamente a disposizione dei lavoratori vittime della recessione.

5.5

Misure di sostegno ai consumi delle famiglie dovrebbero essere prese anche per dare nuovi impulsi alla domanda (22).

6.   Dimensione dell'economia reale: rilancio dei settori manifatturieri e dei servizi

6.1

La deindustrializzazione. Forse negli ultimi anni, soprattutto a cavallo del secolo, la Commissione e molti Stati membri hanno dato minore importanza alla politica industriale e manifatturiera per privilegiare la ricchezza che derivava dallo sviluppo di complessi sistemi finanziari, sostenuti da modelli soprattutto nord-americani.

6.2

Nel 2005 l'UE ha adottato degli orientamenti per una politica industriale integrata europea basata su una combinazione di iniziative settoriali ed orizzontali, cui ha fatto seguito nel 2007 una revisione intermedia, come contributo alla strategia dell'UE per la crescita e l'occupazione (23). Nel 2008 l'UE ha varato, poi, un piano d'azione sulla politica industriale sostenibile (24), su cui il CESE ha già avuto modo di pronunciarsi (25).

6.3

La centralità delle imprese socialmente responsabili e competitive, delle imprese dell'economia sociale e del lavoro sempre più qualificato e partecipe deve costituire il punto di riferimento delle politiche di rilancio dei settori manifatturieri e dei servizi.

6.4

La strategia di Lisbona deve preservare la sua credibilità. Gli Stati membri e le istituzioni dell'UE devono dimostrare di essere in grado di adattare le loro politiche al nuovo contesto, individuando priorità chiare e metodi nuovi che permettano di definire la strategia post Lisbona nei mesi a venire. Occorre accelerare le riforme, individuando priorità chiare, puntuali, con tabelle di marcia realizzabili e verificabili.

6.5

A parere del CESE, lo sviluppo dei settori europei manifatturieri e dei servizi dovrebbe avvenire attraverso un miglioramento dei processi e dei prodotti. Il CESE chiede all'UE una forte azione in proposito.

6.6

Per il CESE, tale strategia industriale dovrebbe includere:

grossi investimenti in edifici nuovi ed edifici riconvertiti alla sostenibilità, specie nelle infrastrutture edilizie pubbliche e negli edifici industriali (26), utilizzando materiali a bassa trasmittanza quali compositi di vetro e ceramica, per ridurre i consumi,

grossi investimenti a sostegno dell'efficienza energetica, aumento della capacità di generare energia dalle fonti rinnovabili e sviluppo di tecnologie per la cattura e lo stoccaggio di CO2,

investimenti in piani di trasporto a basso impatto, come la European Green Car Initiative proposta dalla Commissione (27), in produzioni più localizzate e in una migliore gestione dei rifiuti,

maggiore accesso del settore manifatturiero ai fondi d'investimento sostenuti dal governo, per assistere l'innovazione e la progettazione di tecnologie e processi puliti nel settore automobilistico e metalmeccanico, che riprenda e potenzi la Factories of the Future Initiative, proposta dalla Commissione (28),

impulso alle infrastrutture materiali ed immateriali di rete, a livello europeo, ed in particolare alla diffusione delle tecnologie dell'informazione di banda larga, con un rafforzamento della EU i2010 Initiative, vale a dire un dispositivo di investimenti e infrastrutture intelligenti intesi a favorire l'integrazione di un'UE allargata.

6.7

Occorre affrontare la situazione specifica delle PMI, specie per quanto riguarda la mancanza di accesso al credito ed ai prestiti. Attualmente i fondi dedicati alle PMI non raggiungono i loro scopi.

6.8

Lo Small Business Act, su cui il Comitato ha avuto modo di pronunciarsi (29), «non è all'altezza della sfida, in particolare nel contesto delle attuali difficoltà economiche e finanziarie», in quanto non è dotato di adeguati mezzi finanziari. È comunque importante assicurare una piena, puntuale e sistematica applicazione della strategia dello SBA negli Stati membri.

6.9

Di capitale importanza, ancor più nella situazione attuale, oltre all'accesso al credito, come ribadito a più riprese dal Comitato, sono:

l'adozione dello Statuto della società privata europea, particolarmente urgente per le PMI (30), nel rispetto dei diritti dei lavoratori,

la revisione della direttiva comunitaria sui ritardi di pagamento,

la promozione del ruolo dei distretti come motore dello sviluppo sul territorio, con l'istituzione di «distretti produttivi funzionali» a livello europeo, particolarmente utili per i settori manifatturieri e dei servizi,

il lancio di iniziative comunitarie di mentoring delle nuove PMI e delle start-up, per aumentare il loro tasso di successo e il loro accesso ai mercati internazionali,

un esame costante dei livelli di vulnerabilità di settore ai fini di prevenire i «fallimenti del mercato» e sviluppare visioni anticipatorie positive di sviluppo.

6.10

Quanto ai settori specifici, la Commissione aveva già identificato, dopo un'ampia consultazione pubblica, una serie di settori manifatturieri su cui concentrare un intervento di stimolo e di rivitalizzazione. Sei mercati erano stati identificati per la fase iniziale dell'iniziativa «Mercati guida» (31):

sanità online,

tessili di protezione,

costruzione sostenibile,

riciclaggio,

bioprodotti,

energie rinnovabili.

6.11

Il metodo usato dalla Commissione dovrebbe essere esteso ad altri settori. Dovrebbero, quindi, essere individuati i settori in cui un'azione concertata mediante strumenti politici chiave e condizioni quadro e una cooperazione potenziata fra le principali parti interessate siano in grado di accelerare lo sviluppo del mercato senza interferire con la dinamica concorrenziale (32). Lo stesso dicasi per lo sviluppo dell'industria europea della difesa, che dovrebbe diventare oggetto di una politica europea più coordinata, dopo la creazione dell'Agenzia europea per la difesa e i passi avanti registrati in tema di sicurezza comune (33).

6.12

Per rendere efficace la politica industriale europea occorre tener conto del contesto specifico dei singoli settori: da quello dei veicoli a motore (auto, camion e moto (34) al settore chimico, al settore navale, a quello carbosiderurgico, all'edilizia, al settore del vetro e della ceramica, ai cementi, al tessile e abbigliamento, all'agroalimentare, al metalmeccanico ed elettromeccanico, al settore aerospaziale, al settore informatico e delle telecomunicazioni, al settore energetico, ai servizi per la salute, ecc.

6.13

Anche per sostenere l'introduzione di innovazioni, il CESE ritiene essenziale sviluppare ulteriormente i nuovi strumenti di politica industriale creati, come le iniziative tecnologiche congiunte, gli appalti pubblici innovativi e il piano d'azione per la produzione e il consumo sostenibili.

6.14

Il CESE ritiene che anche nel settore dei servizi si debbano accelerare le liberalizzazioni, specie per quanto attiene alle prestazioni delle libere professioni e alle restrizioni ancora esistenti in termini di tariffe e di numero chiuso.

6.15

Il CESE chiede con forza un'azione comunitaria a sostegno del settore dei servizi alle imprese, sviluppando servizi e contenuti innovativi a beneficio di cittadini, consumatori ed imprese, accelerando la transizione al digitale e la diffusione della banda larga, ed eliminando le barriere all'e-government e all'interoperatività dei sistemi.

6.16

Secondo il CESE la politica esterna comune dovrebbe essere rafforzata e resa più severa nelle relazioni con il resto del mondo.

7.   Dimensione della sostenibilità dello sviluppo

7.1

Il CESE ha sostenuto (35) e sostiene le iniziative per lo sviluppo di politiche di estrazione, produzione e consumo sostenibili, pienamente integrate con le altre politiche comunitarie, per trasformare le sfide potenziali in opportunità competitive.

7.2

Il CESE è convinto che l'azione dell'UE debba continuare ad essere orientata verso obiettivi ambiziosi, supportati però da strumenti legislativi e finanziari che non penalizzino la competitività dell'Europa, traducendosi in maggiori oneri per imprese e cittadini, ma sostengano invece pratiche virtuose e processi di innovazione e di miglioramento tecnologico.

7.3

Il CESE ribadisce l'importanza di lanciare le opportune iniziative per assumere la leadership internazionale per quanto riguarda l'efficienza energetica, l'aumento della capacità di generare energia dalle fonti rinnovabili e lo sviluppo di tecnologie che catturino il CO2.

Bruxelles, 1o ottobre 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Su questo tema Mario MONTI, già commissario alla Concorrenza, ha espresso la sua preoccupazione per la sopravvivenza del modello europeo, che si basa sul mercato interno (articolo di fondo del Corriere della sera del 10 maggio 2009).

(2)  Riconoscimento delle qualifiche; tassazione sui redditi da capitale; ricongiungimento, ai fini pensionistici, delle prestazioni di lavoro svolte in paesi diversi, ecc.

(3)  Cfr. la piattaforma europea Manufuture (www.manufuture.org). Cfr. anche l'intervista con Étienne Davignon sull'applicazione del Piano Davignon (Bruxelles, 14 gennaio 2008; www.ena.lu).

(4)  Fondo europeo per gli investimenti (FEI), finanziato dalla Banca europea per gli investimenti (BEI). Cfr. la prima parte del Competitiveness and Innovation Framework Programme (CIP) (programma quadro per l'innovazione e la competitività).

(5)  Cfr. il mercato guida Sanità online (COM(2007) 860 def.), punto 6.10 infra.

(6)  Cfr. il parere del CESE sul tema Risultati del vertice sull'occupazione (CESE 1037/2009), non ancora pubblicato sulla GU.

(7)  Cfr. le proposte approvate nel Consiglio europeo di Lussemburgo, novembre 1997, sulla riduzione delle tariffe IVA su prestazioni professionali definite dagli Stati membri, in un quadro europeo.

(8)  Obiettivo: far sì che in tutti gli Stati membri dell'UE almeno il 50 % degli studenti si iscriva negli istituti di istruzione terziaria e che di questi almeno il 25 % scelga un istituto tecnico, di ingegneria o scientifico (relazione Electra).

(9)  Lettera del Presidente SEPI al Presidente BARROSO per il vertice sociale europeo di Praga.

(10)  Cfr. il parere del CESE sul tema I negoziati sui nuovi accordi commerciali: la posizione del CESE, GU C 211 del 19.8.2008, pagg. 82-89 e il parere Dimensione esterna della strategia di Lisbona rinnovata (non ancora pubblicato sulla GU).

(11)  BRIC: Brasile, Russia, India e Cina.

(12)  Eurostat STAT - 30 aprile 2009.

(13)  SEC(2009) 353.

(14)  UNWTO World Tourism Barometer vol. 7 no. 2 - Giugno 2009.

(15)  Nel primo trimestre 2009 è calato del 2,5 % rispetto a quello precedente. A maggio 2009 la produzione industriale UE si è ridotta del 15,9 % rispetto a un anno prima (16,8 % nel manifatturiero) - Cfr. SEC (2009) 1088 del 20 luglio 2009.

(16)  COM(2009) 114 def.

(17)  Cfr. la sintesi della risoluzione della CES relativa al piano di rilancio europeo (5 dicembre 2008; http://www.etuc.org/).

(18)  Cfr. nota di Businesseurope del 17 marzo 2009 in vista del G20 Business Event (18 marzo 2009; http://www.businesseurope.eu/).

(19)  IPR = International Product Regulations.

(20)  Nell'UE-27 il tasso di disoccupazione giovanile ha raggiunto il 18,3 % nel primo trimestre 2009, con 5 milioni di giovani disoccupati - Eurostat 23 luglio 2009.

(21)  Questo sarà tanto più difficile in quanto bisognerà tenere conto anche dell'effetto del rapporto fondo rischi/prestiti, previsto dall'accordo di Basilea II, sulle PMI. Occorre adottare una serie di disposizioni a livello dell'UE per vedere come attenuare questi effetti.

(22)  Cfr. l'indicatore consumer confidence (grafico 6), Business & Consumer Survey Results, DG ECFIN, giugno 2009.

(23)  COM(2007) 374 def.

(24)  COM(2008) 397 def.

(25)  Cfr. il parere del CESE sul tema Produzione e consumo sostenibili, GU C 218 dell'11.9.2009, pagg. 46-49.

(26)  Rapporto occupazione 2008-2009, Consiglio EPSO, 9 marzo 2009.

(27)  Cfr. COM(2008) 800 def. (Un piano europeo di ripresa economica).

(28)  Ibidem.

(29)  Parere CESE 38/2009, non ancora pubblicato sulla GU.

(30)  Cfr. parere del CESE sul tema L'accesso delle PMI ad uno statuto di diritto europeo (GU C 125 del 27.5.2002, pag. 100).

(31)  COM(2007) 860 def.

(32)  Consiglio Competitività del 4 dicembre 2006: Conclusioni sulla politica dell'innovazione e la competitività.

(33)  Cfr. i pareri del CESE sui temi Trasferimenti di prodotti destinati alla difesa e Difesa europea (pubblicati rispettivamente sulle GU C 100 del 30.4.2009, pag. 109, e GU C 10 del 14.1.2004, pag. 1).

(34)  Specie il settore moto dell'UE dovrebbe poter beneficiare di un sistema di sostegno e di incentivi degli Stati membri, simile a quello attuato per il settore auto, avendo sofferto come quest'ultimo della crisi economica in atto.

(35)  Parere del CESE sul tema Per una produzione rispettosa dell'ambiente (GU C 224 del 30.8.2008, pag. 1).


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/52


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Lavoro e povertà: verso un approccio globale indispensabile (parere d’iniziativa)

2009/C 318/10

Relatrice: Nicole PRUD'HOMME

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 26 febbraio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d’iniziativa sul tema:

«Lavoro e povertà: verso un approccio globale indispensabile

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o settembre 2009, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice PRUD’HOMME.

Alla sua 456a sessione plenaria, dei giorni 30 settembre 2009 e 1o ottobre 2009 (seduta del 30 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 173 voti favorevoli, 2 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Raccomandazioni

Sia per i lavoratori dipendenti che per alcune categorie di lavoratori autonomi, la povertà attiva (e cioè quella che colpisce i lavoratori) è una questione complessa, legata a diversi fattori interdipendenti. Per individuare meccanismi in grado di far fronte alle sfide, è quindi necessario un approccio globale.

1.1

Uno degli obiettivi centrali del progetto europeo dovrebbe essere un lavoro di qualità per tutti.

1.2

La questione dei lavoratori poveri dovrebbe essere discussa regolarmente nel quadro del dialogo sociale europeo.

1.3

Occorre completare rapidamente la definizione degli strumenti di ricerca necessari per giungere a una conoscenza sempre più approfondita delle situazioni, che consenta di coglierne le divergenze ma anche le convergenze a livello europeo.

1.4

Occorre studiare e introdurre nuovi modi di associare protezione sociale e occupazione, al fine di garantire in particolare a ogni lavoratore un reddito decente e di creare in tal modo le condizioni perché siano coperte le sue necessità di base (alloggio, assistenza sanitaria, istruzione personale e dei figli, ecc.).

1.5

Bisogna assicurare una formazione iniziale e una formazione continua efficaci per favorire un’occupazione di qualità e adottare dei provvedimenti ai diversi livelli (nazionale e regionale) intesi a creare le condizioni necessarie per evitare l’abbandono precoce degli studi da parte dei giovani.

1.6

Occorre proseguire gli sforzi e i dibattiti intorno alla flessicurezza per trovare un nuovo equilibrio tra flessibilità (l’elasticità necessaria alle imprese) e strumenti concreti in grado di rafforzare la sicurezza (protezione dei lavoratori) e impedire la crescita della povertà attiva puntando alla sua completa eliminazione.

1.7

Sfruttando il contesto dell’Anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale proclamato dalla Commissione europea per il 2010, si devono prevedere azioni di comunicazione, di informazione e di mobilitazione sul problema, a livello sia dell’Unione europea che degli Stati membri.

2.   Contesto

2.1

Nell’UE c’è stato un fiorire di analisi, suggerimenti e proposte innovative destinate ai lavoratori poveri, che dimostrano che il lavoro non è necessariamente una difesa contro la povertà, soprattutto nel contesto socioeconomico attuale.

2.2

Nella comunicazione intitolata Proposta di relazione congiunta per il 2009 sulla protezione e sull’inclusione sociale  (1), basata sulle nuove relazioni strategiche nazionali, la Commissione ha sottolineato l’importanza del tema dei lavoratori poveri e del lavoro di qualità. L’argomento e i problemi concreti trattati corrispondono perfettamente alle preoccupazioni e alle azioni comunitarie concernenti l’inclusione attiva. Il duplice obiettivo è quello di lottare contro la povertà e di sostenere lo sviluppo di posti di lavoro di qualità per tutti.

2.3

Il tema assume un’importanza del tutto particolare nell’attuale contesto di crisi, caratterizzato da un nuovo, consistente aumento della disoccupazione e da un acuirsi delle tensioni intorno alle finanze pubbliche. Tuttavia è opportuno prendere le distanze dalla congiuntura immediata e considerare l’argomento non solo come un problema da affrontare in circostanze straordinarie come quelle presenti, ma anche come un tema strutturale al centro degli sviluppi positivi auspicabili in materia di protezione sociale e di politica occupazionale sia nel medio che nel lungo termine.

2.4

La Commissione, che sta elaborando un documento sul lavoro e la povertà, ha proclamato il 2010 Anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale. In effetti, circa 80 milioni di cittadini UE (pari al 16 % della popolazione) sono direttamente colpiti dal fenomeno povertà. Tra di loro, un buon numero si trova in una situazione di povertà attiva, mentre l’8 % dei lavoratori vive al di sotto della soglia di povertà (2).

2.5

Nel suo parere sul tema Anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale (2010)  (3), il Comitato ha precisato che per illustrare pienamente il fenomeno sono necessari, accanto all’indicatore abituale della povertà monetaria relativa, altri indicatori di povertà in grado di misurarne la persistenza e le conseguenze sotto forma di vere e proprie privazioni. Al di là comunque delle sottigliezze tecniche, dal confronto reso ormai possibile da un accordo europeo sulla definizione del fenomeno, emerge un quadro chiaro delle tendenze in atto.

3.   Definizione

3.1

Parlare di lavoratori poveri implica innanzi tutto dare una spiegazione dei due termini: bisogna definire che cosa si intenda per lavoratore e che cosa si intenda per povero. La povertà di un lavoratore dipende, da un lato, dal reddito personale da lui percepito per tutta la durata del contratto di lavoro (cioè la retribuzione del lavoro) e, dall’altro, dalle risorse materiali complessive della sua famiglia. Il lavoro fa riferimento all’attività professionale del singolo individuo, mentre la povertà rimanda all’insufficienza delle risorse di una famiglia nel suo complesso. Talvolta si può passare rapidamente da una situazione e/o percezione di non povertà a una situazione di povertà.

3.2

Dunque la povertà è definita al livello delle famiglie, mentre l’attività è definita a livello del singolo individuo, il che fa confluire due diversi piani analitici. La povertà attiva dipende, innanzi tutto, dalla situazione occupazionale e dalle caratteristiche del posto di lavoro di una persona, e in secondo luogo, dal tenore di vita della famiglia cui la persona stessa appartiene. Questa duplice valutazione comporta delle difficoltà. Una persona può ricevere una retribuzione molto bassa senza per questo essere annoverata fra i poveri (questo perché le sue altre risorse familiari sono più cospicue). Al contrario, può essere considerata povera pur godendo di un livello retributivo vicino al reddito medio mensile del suo paese e giudicato congruo all’interno della società alla quale appartiene. Una persona può essere attiva ma non occupata (disoccupata) e ricevere un sussidio che la colloca nettamente al di sopra della soglia di povertà. Viceversa, può essere attiva ed occupata ma con una bassa retribuzione ed avere molte persone a carico, trovandosi di conseguenza al di sotto della soglia di povertà.

3.3

Di conseguenza, affrontare la questione dei lavoratori poveri sul piano politico significa intervenire al tempo stesso a livello della politica dell’occupazione, delle politiche di assistenza e di assicurazione sociale e delle politiche familiari.

3.4

Nel quadro della strategia europea per l’occupazione, integrata a sua volta nella strategia di Lisbona, la riduzione del numero di lavoratori poveri è diventata una priorità dell’UE. È stato dunque necessario, a partire dal 2003, creare un indicatore di valutazione e di confronto. Nel luglio 2003, nell’ambito dei lavori relativi al processo comunitario di inclusione sociale, il comitato per la protezione sociale dell’Unione europea ha adottato un indicatore comune destinato a valutare la percentuale di lavoratori poveri nell’Unione e a definirne le principali caratteristiche sociodemografiche.

3.5

Secondo la definizione del suddetto comitato per la protezione sociale sono lavoratori poveri le persone che hanno avuto «un’occupazione (stipendiata o autonoma) per gran parte dell’anno di riferimento» e che fanno parte di un nucleo familiare il cui reddito totale è inferiore al 60 % del reddito medio nazionale. Con l’espressione per gran parte dell’anno di riferimento si intende aver svolto un’occupazione per più della metà dell’anno: più precisamente, l’indicatore rischio di povertà al lavoro, identifica come lavoratore qualsiasi persona che sia stata occupata per almeno sette mesi su dodici nel corso del periodo di riferimento (4).

4.   Valutazione statistica

4.1

A fine 2008, la Commissione ha pubblicato, nel quadro degli obiettivi comuni della strategia dell’Unione in materia di protezione sociale e inclusione sociale (cfr. allegato) (5), la sua relazione annuale sulle tendenze sociali negli Stati membri. Da tale relazione si evince che alla fine del 2006, il 16 % dei cittadini europei era esposto al rischio povertà. In Europa, l’8 % dei lavoratori vive al di sotto della soglia di povertà. Le cifre variano tra un minimo del 4 % (Repubblica ceca, Belgio, Danimarca, Paesi Bassi e Finlandia) e un massimo del 13 o 14 % (rispettivamente in Polonia e in Grecia) (6). La povertà dei lavoratori è legata ai bassi salari (sono così definiti i salari inferiori al 60 % del salario medio), ad uno scarso livello di qualifiche, alle basse retribuzioni di alcune categorie di lavoratori autonomi, all’occupazione precaria e al lavoro a tempo parziale, una scelta spesso obbligata. Questa forma di povertà è anche legata alla situazione economica degli altri membri del nucleo familiare. Nel caso delle famiglie con bambini, osserva la Commissione, il modello familiare a reddito unico non è più sufficiente per mettere la famiglia al riparo dal rischio povertà.

4.2

L’indicatore di povertà monetaria relativa è stato spesso oggetto di critiche perché non prende di fatto in considerazione le diverse forme di povertà. È ovvio che la povertà in termini di reddito è solo uno degli elementi della povertà. Altri indicatori sono attualmente in fase di elaborazione nell’UE, al fine di fornire un’immagine diversa e complementare del fenomeno povertà.

4.3

Accanto ai sistemi per misurare la povertà monetaria, si stanno così sviluppando dei metodi per misurare la povertà delle condizioni di vita. A livello dell’Unione si misura ad esempio attualmente la privazione materiale (cfr allegato). Questo indicatore calcola la proporzione di persone che vivono in famiglie le quali non dispongono di almeno tre dei nove elementi seguenti: 1) capacità di sostenere una spesa imprevista, 2) una settimana di vacanza l’anno, 3) capacità di rimborsare i prestiti, 4) un pasto a base di carne, pollo o pesce almeno una volta ogni due giorni, 5) un alloggio adeguatamente riscaldato, 6) una lavatrice, 7) un televisore a colori, 8) un telefono, 9) un’autovettura privata. Tutti questi elementi di condizione materiale possono naturalmente essere oggetto di discussione, se presi singolarmente come indicatori, ma danno un’immagine interessante se esaminati nel loro complesso. Su scala europea, il tasso di privazione presenta grosse divergenze, poiché va da un 3 % nel Lussemburgo ad un 50 % in Lettonia. Si tratta di divergenze ben più rilevanti rispetto a quelle della povertà monetaria (dal 10 % al 21 %).

4.4

L’approccio basato sulla privazione materiale rivoluziona totalmente la classifica degli Stati membri per quanto riguarda la povertà. Ma in questo caso si tratta di povertà in generale, e non solo di lavoratori poveri. In un futuro prossimo dovrà essere possibile descrivere in ciascun paese la situazione dei lavoratori poveri in termini di privazione materiale. Fondamentalmente infatti la povertà in situazione lavorativa non è soltanto un problema di basso reddito, ma anche una questione di qualità della vita (professionale, familiare e sociale).

5.   Gli elementi della povertà in situazione attiva

5.1

Una delle principali cause della povertà dei lavoratori è la precarietà del loro status lavorativo. Numerosi attori, fra cui la Confederazione europea dei sindacati e i sindacati europei, si dicono preoccupati per l’aumento della precarietà del lavoro: sono infatti attualmente più di 19,1 milioni i lavoratori con contratti a tempo determinato (7) e circa 29 milioni i falsi lavoratori autonomi (soprattutto nel settore dell’edilizia), il che significa un totale di 48,1 milioni di lavoratori vittime di un certo grado di instabilità. Certo, si tratta di un gruppo molto eterogeneo che varia molto sia all’interno dei singoli paesi sia soprattutto tra un paese e l’altro, ma si tratta comunque di decine di milioni di lavoratori che devono far fronte a forme di precarietà che possono portare alla povertà.

5.2

Dal canto loro, i datori di lavoro sottolineano la complessità della questione della povertà in situazione lavorativa, evidenziando in primo luogo il legame tra rischio di povertà e livello di istruzione. È dunque importante rendere i sistemi di istruzione e formazione più equi e efficaci. È inoltre essenziale «rendere il lavoro proficuo» (8), vale a dire garantire un equilibrio efficace tra regimi fiscali e sistemi di sicurezza sociale.

5.3

La povertà attiva è principalmente determinata da una scarsa retribuzione del lavoro (che risulta spesso inadeguata rispetto alle mansioni svolte) e dai cambiamenti in atto del modello familiare. Sebbene in misura diversa nei diversi Stati membri, le situazioni familiari sono ormai ovunque caratterizzate da una maggiore instabilità, dall’aumento delle separazioni e dall’incremento del numero delle famiglie monoparentali, che contano per definizione un solo membro professionalmente attivo e sono quindi più esposte al rischio della povertà. Già nella Relazione congiunta sulla protezione sociale e l’inclusione sociale 2007  (9) la Commissione affermava che l’occupazione è la migliore difesa contro la povertà ma non può essere l’unica salvaguardia contro di essa. Occorre pertanto prendere, o incrementare, misure di solidarietà destinate alle famiglie, alle donne, ai giovani, agli studenti, agli anziani e ai disabili, nonché ai migranti e alle categorie più vulnerabili. Va inoltre sottolineato che la povertà dei lavoratori è una delle cause che determinano la povertà infantile.

5.4

Anche l’aumento dei prezzi dei trasporti, degli alloggi, dell’assistenza sanitaria, ecc. tende a fragilizzare la situazione dei lavoratori; i più colpiti sono quelli che ricevono una retribuzione prossima al salario minimo e le classi medio-inferiori, che spesso risiedono in quartieri periferici, lontano dal loro luogo di lavoro.

5.5

La povertà sul lavoro può anche essere la conseguenza di un livello basso di competenze o d’istruzione di una persona, che non dispone delle qualifiche necessarie per un lavoro dal salario adeguato, oppure può dipendere dall’inadeguatezza delle condizioni di lavoro. I gruppi vulnerabili sono soprattutto i lavoratori anziani, i giovani, le donne, le famiglie numerose, i disabili, le persone che hanno dovuto interrompere presto il loro ciclo di studi e i lavoratori migranti. È quindi essenziale garantire a tutte le persone disabili condizioni di accoglienza adeguate sul posto di lavoro e assicurare a ogni bambino buone basi per il futuro grazie a una scolarizzazione precoce, ma anche affrontando il problema dell’abbandono scolastico, il cui tasso attuale in Europa (15 %) rimane ancora troppo elevato.

5.6

Ma scavando più a fondo, ci si rende conto del fatto che molto spesso la povertà dei lavoratori è il risultato della sottoccupazione. Sia per i lavoratori dipendenti che per alcune categorie di lavoratori autonomi, la povertà attiva è una questione complessa, legata a diversi fattori interdipendenti. Per individuare meccanismi in grado di far fronte alle sfide, è quindi necessario un approccio globale. Senza politiche complete in materia di crescita e di adeguamento alla globalizzazione, e ora anche di ripresa dalla crisi, non ci possono essere programmi efficaci di lotta contro la povertà in situazione attiva.

6.   Proposte per un approccio globale di lotta alla povertà dei lavoratori

6.1

Per lottare contro questo fenomeno, è innanzi tutto opportuno riflettere in termini macroeconomici. Specie in un momento di crisi, la dinamica non può essere arrestata efficacemente solo con misure specifiche. L’occupazione - anche quella autonoma - e in particolare la creazione di posti di lavoro di qualità per tutti, deve essere la priorità di tutte le istituzioni europee.

6.2

Indicatori affidabili. Occorre portare avanti il processo di creazione di indicatori comuni e affidabili concernenti i lavoratori poveri. Gli investimenti europei e il metodo di coordinamento aperto hanno permesso di fare grossi passi avanti. È importante ora andare più lontano e alimentare le conoscenze con delle serie di dati più consistenti, che tengano conto simultaneamente della percentuale dei lavoratori poveri, dell’intensità del fenomeno e delle disparità nella distribuzione del reddito tra i poveri (all’interno dei singoli paesi e tra di essi).

6.3

Tecnicamente, su tali questioni statistiche si dovrebbe poter disporre non solo di dati nazionali basati su soglie nazionali, ma anche di dati interamente europei basati su soglie europee. Questo permetterebbe di stilare altre classifiche e di avere altre visioni rispetto a quella fornita attualmente dall’unico indicatore definito finora.

6.4

Retribuzioni giuste e dignitose, sostenute da un dialogo sociale rafforzato. La lotta alla povertà dei lavoratori presuppone anche una politica salariale ambiziosa. È necessario aumentare e sostenere tutte le iniziative volte a far sì che il salario sia la somma dell’inflazione (costo della vita) e di un’adeguata partecipazione agli utili legati all’aumento di produttività. A tale proposito, le contrattazioni salariali, chiave di volta del dialogo sociale, devono svolgere un ruolo preponderante nella lotta contro la povertà dei lavoratori. A livello settoriale, nazionale o europeo, quando i negoziati si svolgono correttamente non c’è nessuna reale incidenza finanziaria per le imprese e dunque non c’è nessun prezzo da pagare per un vero dialogo sociale. I passi avanti in materia di lavoro dignitoso si basano sul dialogo sociale, sugli investimenti delle parti sociali, sulla responsabilità delle imprese, sulle misure di incentivo e di correzione da parte dei poteri pubblici e attualmente sul comportamento delle banche nei confronti delle PMI. Uno strumento determinante per combattere la povertà dei lavoratori è rappresentato dalla lotta contro il lavoro non dichiarato, in quanto questo fenomeno, da un lato, colpisce i gruppi più vulnerabili (migranti, lavoratori precari) e, dall’altro, può portare a situazioni di quasi schiavitù contrarie alla Carta dei diritti fondamentali.

6.5

Meccanismi a favore dell’imprenditorialità e del lavoro autonomo. Anche molti imprenditori e lavoratori autonomi sono vittime, soprattutto all’inizio della loro attività, del fenomeno della povertà sul lavoro. È dunque necessario introdurre adeguati meccanismi di supporto, visto che molte di queste PMI si trasformano poi in creatrici di posti di lavoro. Benché l’80 % della crescita economica provenga dal settore delle PMI, molti imprenditori mentre creano le proprie imprese hanno redditi scarsi o nulli ed espongono le loro famiglie al rischio di povertà.

6.6

Sistemi di formazione adeguati. La formazione permanente è, soprattutto per i lavoratori meno qualificati, una condizione essenziale per migliorarne le competenze e garantirne l’accesso ad un salario giusto e dignitoso.

6.7

Una protezione sociale adeguata. La lotta contro la povertà dei lavoratori presuppone una razionalizzazione delle disposizioni vigenti. Alle prestazioni di assistenza occorre poter affiancare più efficacemente i nuovi servizi di custodia dei bambini e gli aiuti alla mobilità professionale (come il lavoro, anche la mobilità deve «rendere»), volti a permettere ai lavoratori poveri di trovare un’attività meglio retribuita.

6.8

In materia di alloggi, sembra che in alcuni paesi una percentuale non trascurabile delle persone senza fissa dimora sia rappresentata da persone che esercitano un’attività lavorativa; è importante dunque mobilitare le risorse previste per le case popolari, affinché sia data priorità a coloro che sono inseriti nel mercato del lavoro ma che rischiano di rimanere disoccupati e di perdere la loro relativa stabilità per colpa di un alloggio di bassa qualità o dell’assoluta mancanza di un alloggio.

6.9

Tenere conto dell’ambiente di lavoro e del lavoro stesso. In concreto, dato che la povertà dei lavoratori è in gran parte determinata dalle condizioni dell’attività professionale, è fondamentale agire sugli elementi legati all’ambiente di lavoro: gli aiuti alla mobilità lavorativa volontaria, l’accesso a pasti a prezzi agevolati, le condizioni abitative e i servizi di custodia dei bambini. Peraltro, i datori di lavoro dovrebbero essere messi in grado di studiare le misure più adeguate per conferire ai propri contratti di lavoro maggiori garanzie di sicurezza e offrire ai loro dipendenti l’opportunità di migliorare e ampliare le loro qualifiche.

6.10

Informare e mobilitare. Infine è importantissimo, nel quadro dell’Anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale, mobilitare l’opinione pubblica e i mezzi d’informazione. Analizzare il fenomeno dei lavoratori poveri, parlare delle situazioni umane degradanti che esso genera e sensibilizzare i cittadini europei potrebbe mettere fine ai disagi in cui si trovano alcuni dei lavoratori e contribuire così a restituire loro la dignità perduta. Non si tratta di muovere i cittadini a pietà, bensì di mobilitarli a favore di un lavoro di qualità per tutti al fine di promuovere un modello sociale europeo eticamente superiore.

Bruxelles, 30 settembre 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  COM(2009) 58 def.

(2)  Eurostat, Statistics in Focus, 46/2009.

(3)  Parere CESE del 29 maggio 2008 in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante l’Anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale (2010), relatore: PATER; correlatrice: KÖLLER (GU C 224 del 30.8.2008).

(4)  Per maggiori informazioni, cfr. Guillaume Allègre, I lavoratori poveri nell’UE: un’analisi esplorativa e comparativa, documento di lavoro OFCE, n. 2008-35, novembre 2008; Sophie Ponthieux, I lavoratori poveri come categoria statistica. Difficoltà metodologiche e analisi di un concetto di povertà nonostante il reddito da lavoro, documento di lavoro INSEE, n. F0902, marzo 2009.

(5)  Relazione congiunta sulla protezione sociale e l’inclusione sociale 2008: http://ec.europa.eu/employment_social/spsi/joint_reports_fr.htm

Per avere accesso a tutti i dati e a tutti i dossier trattati nell’ambito del metodo di coordinamento aperto: http://ec.europa.eu/employment_social/spsi/the_process_fr.htm

Per una prospettiva europea recente, e per avere un panorama della situazione e delle preoccupazioni in taluni paesi dell’Unione, cfr. Andreß, Hans-Jürgen e Lohmann, Henning (cur.), The Working Poor In Europe. Employment, Poverty and Globalization («I lavoratori poveri in Europa: occupazione, povertà e globalizzazione»), Cheltenham, Edward Elgar, 2008.

(6)  Si precisa che in termini monetari la povertà si misura su scala nazionale. Se la soglia di povertà fosse un parametro europeo, la classificazione dei paesi risulterebbe totalmente rivoluzionata.

(7)  Indagine europea sulle forze di lavoro. Risultati annuali 2008: http://epp.eurostat.ec.europa.eu/cache/ITY_OFFPUB/KS-QA-09-033/EN/KS-QA-09-033-EN.PDF

(8)  Rendre le travail rémunérateur è il titolo di uno studio sull’interazione tra regimi fiscali e sistemi di sicurezza sociale intrapreso dal comitato per l’occupazione e dal comitato per la protezione sociale. Si veda inoltre il parere del CESE Nuovi e migliori posti di lavoro attraverso la modernizzazione della protezione sociale, un approccio globale per contribuire a rendere il lavoro proficuo, relatrice: ST HILL (GU C 302 del 7.12.2004).

(9)  http://ec.europa.eu/employment_social/spsi/joint_reports_fr.htm#2007.


Appendice

Grafico 1: Povertà dei lavoratori nell'Unione europea nel 2006

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Grafico 2: La privazione materiale nell'Unione

Percentuale delle persone che vivono in un nucleo familiare che non dispone di almeno tre degli elementi citati al punto 4.3 (2006).

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23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/57


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La relazione del gruppo de Larosière (parere di iniziativa)

2009/C 318/11

Relatore: NYBERG

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 23 marzo 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

«La relazione del gruppo de Larosière.»

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 settembre 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore NYBERG.

Alla sua 456a sessione plenaria, dei giorni 30 settembre e 1o ottobre 2009 (seduta del 30 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 152 voti favorevoli, 37 voti contrari e 15 astensioni.

1.   Sintesi e raccomandazioni

1.1   La crisi economica e finanziaria ha assunto dimensioni che non si erano più registrate in tempi di pace dopo gli anni '30. Tuttavia, il presente parere verterà esclusivamente sulla crisi finanziaria e sulle possibilità di evitare che ciò che si è verificato si ripeta in futuro. Proprio in questo consisteva il mandato del cosiddetto «gruppo de Larosière», la cui relazione costituisce l'oggetto del presente parere. L'importanza di queste problematiche risulta chiaramente dal fatto che la Commissione europea ha già presentato una serie di proposte relative, ad esempio, alle agenzie di rating del credito, a determinate forme di attività finanziaria e alla vigilanza finanziaria che è stata al centro delle discussioni del gruppo de Larosière.

1.2   La principale causa della crisi è stata l'eccesso di liquidità che, secondo il gruppo de Larosière, è riconducibile in parte alla politica monetaria espansiva negli Stati Uniti e agli squilibri nell'economia mondiale. Ciò risulta particolarmente evidente nelle relazioni USA-Cina. Secondo il CESE, un'altra possibile causa del fenomeno è lo spostamento crescente della distribuzione del reddito dal lavoro al capitale. La distribuzione del reddito si è fatta più disuguale, e l'accresciuto patrimonio dei cittadini più abbienti ha cercato possibilità di investimento. Visto che le possibilità reali di investimento non sono aumentate allo stesso ritmo, il prezzo dei valori mobiliari è salito sensibilmente. La relazione de Larosière presenta un'analisi dettagliata della «bolla» finanziaria che si è creata, ma sarebbe necessario un esame più approfondito per orientare le decisioni politiche future.

1.3   Il CESE accoglie con favore le 31 raccomandazioni formulate dal gruppo de Larosière, ma desidera ampliare la riflessione, aggiungendo una serie di osservazioni e integrazioni.

1.3.1

Il gruppo de Larosière propone di introdurre per le banche requisiti patrimoniali più elevati nei periodi favorevoli e inferiori nei periodi sfavorevoli. Tuttavia, considerata la difficoltà di fare delle previsioni economiche relative alle fluttuazioni congiunturali, questa proposta può apparire rischiosa. Contemporaneamente, l'esempio della Spagna dimostra che un sistema fondato su requisiti patrimoniali variabili può funzionare. Il CESE ritiene pertanto che, prima di poter essere attuata, la misura proposta vada analizzata soprattutto per quanto riguarda i tempi.

1.3.2

A giudizio del CESE è assolutamente necessario introdurre norme più severe per le voci fuori bilancio sotto forma di requisiti patrimoniali e in materia di trasparenza. Le autorità spagnole avevano adottato le norme più severe in materia di voci fuori bilancio, e le banche spagnole sono state le meno colpite dalla crisi.

1.3.3

Le «voci fuori bilancio» e le «società veicolo» (special purpose vehicles) hanno finora dato luogo ad abusi. Degli attivi bancari a rischio sono stati ritirati dal bilancio stesso della banca per aggirare le norme relative ai requisiti patrimoniali e, in alcuni casi, per eludere le imposte. A questo riguardo, secondo il CESE, occorre adottare norme più severe.

1.3.4

Secondo il CESE, l'obiettivo di rendere più trasparente il grado di rischio degli attivi bancari deve costituire una delle esigenze fondamentali nel follow-up della relazione. Analogamente al gruppo de Larosière, il Comitato è dell'avviso che, quando rivendono prodotti a rischio, le banche debbano mantenere sempre a proprio carico una parte del rischio. I rischi che i prodotti finanziari comportano devono essere chiaramente riconoscibili. La trasparenza del settore è essenziale per ristabilire la fiducia nei mercati finanziari. A questo proposito il CESE desidera fare nuovamente riferimento alla Spagna. Nel settore finanziario il ricorso a nuovi strumenti deve essere possibile solo a patto che siano stati sottoposti alla valutazione di un'autorità di vigilanza finanziaria. L'introduzione di questo genere di valutazioni va discussa per decidere se sia preferibile eseguirle a livello nazionale oppure se vi sia bisogno di un sistema di controllo comune per tutta l'UE. Dato il modus operandi delle attività finanziarie transfrontaliere, sembrerebbe più opportuno prevedere un sistema comune.

1.3.5

Il cosiddetto sistema bancario parallelo comprende diverse forme di attività di concessione di prestiti non regolamentate. Queste nuove forme di operazioni finanziarie si sono potute sviluppare senza essere soggette ad alcuna regolamentazione, nemmeno al rispetto dei requisiti in materia di riserve. Il CESE riconosce la necessità di introdurre una regolamentazione anche in questo settore. La relazione propone di sviluppare anche per i fondi d'investimento, norme comuni, definizioni per i diversi prodotti e controlli più severi. Il CESE non può che approvare tali proposte.

1.3.6

È essenziale introdurre requisiti più severi in materia di gestione e vigilanza bancaria. Secondo il CESE, nelle soluzioni proposte dal gruppo de Larosière non si pone sufficientemente in evidenza il ruolo dei revisori dei conti. Un audit efficace avrebbe probabilmente permesso di limitare la diffusione dei prodotti a rischio. Il management delle società finanziarie deve poter contare sulla revisione per la valutazione dei prodotti. Il ruolo dei revisori e i diversi sistemi contabili sono questioni di cui tenere conto nel quadro della revisione dell'accordo di Basilea 2.

1.3.7

La relazione formula una serie di raccomandazioni valide in merito al sistema dei bonus, sostenendo che essi dovrebbero estendersi su più anni, dovrebbero corrispondere alle prestazioni reali e non dovrebbero essere garantiti a priori. Secondo il CESE, è necessario passare da un'ottica di breve termine a una di lungo termine in cui i bonus non siano calcolati sulla base di attività speculative. A tale scopo il Comitato sostiene l'idea di un'imposizione sulle operazioni finanziarie il cui gettito potrebbe essere destinato agli aiuti allo sviluppo. A ciò va aggiunto un ulteriore requisito, ovvero che il sistema dei bonus non deve fondarsi sull'andamento generale bensì sul fatto che la banca abbia conseguito risultati che si distinguono in positivo rispetto alla tendenza generale. Inoltre, si dovrebbe pensare a come stabilire un tetto massimo per questi bonus, allo scopo di evitare eccessi e l'assunzione di rischi sconsiderati. Nel quadro della cosiddetta Exit Strategy per uscire dalla crisi, è essenziale che gli enormi finanziamenti pubblici concessi agli istituti finanziari vengano rimborsati invece di confluire in nuovi utili e bonus elevati.

1.4   Formulare proposte per la vigilanza dei mercati finanziari costituiva il compito principale del gruppo de Larosière e, anche a giudizio del CESE, la vigilanza è fondamentale per evitare il ripetersi di un'altra crisi finanziaria. Ma la vigilanza richiede delle regole, e pertanto sono altrettanto importanti le proposte di modifica e potenziamento delle regole formulate nella prima parte della relazione.

1.4.1

Il gruppo de Larosière riconosce che vi è bisogno di un organismo europeo incaricato di sorvegliare il sistema finanziario su un piano macroprudenziale e di segnalare un'eventuale crisi finanziaria. Si propone di attribuire tale responsabilità alla BCE/SEBC (Banca centrale europea/Sistema europeo delle banche centrali) e di affidare l'incarico a un consiglio da istituire a questo scopo. Anche se sul piano amministrativo sarebbe ragionevole che tale consiglio facesse capo alla BCE, sul piano formale la gestione della vigilanza dovrebbe spettare all'SEBC. La vigilanza deve senza alcun dubbio coprire i sistemi finanziari di tutti gli Stati membri, e quindi anche la designazione dei responsabili di questo nuovo consiglio/organo direttivo deve essere affidata all'SEBC.

1.4.2

Nella relazione si propone di mettere a punto un nuovo sistema di vigilanza microprudenziale articolato in due fasi e dotato di autorità proprie incaricate di vigilare sulle banche, sui fondi di investimento e sui mercati mobiliari. Nella seconda fase vanno sviluppate norme di base comuni per la vigilanza ed eliminate le differenze di applicazione tra i diversi paesi. Questa fase deve prevedere anche l'armonizzazione delle eventuali sanzioni. Il CESE è del parere che non vi sia motivo di procedere a rilento e per questo motivo si rallegra della proposta della Commissione che, nella sua comunicazione, suggerisce di provvedere immediatamente alla preparazione dell'intero sistema di vigilanza microprudenziale.

1.4.3

I collegi costituiti dalle autorità nazionali per la vigilanza sulle banche operanti su base transfrontaliera possono, secondo il CESE, essere difficili da gestire se parallelamente non si procede alla necessaria armonizzazione. Altrimenti, alla luce delle differenze tra le norme che governano gli organismi nazionali di vigilanza, le tre autorità dovrebbero in pratica assumersi la responsabilità di svolgere una parte dei compiti di vigilanza.

1.4.4

Gli organi direttivi di queste nuove autorità non devono essere composti esclusivamente da professionisti del settore bancario. Di essi dovrebbero far parte anche i sindacati, gli utenti dei servizi bancari e il CESE in rappresentanza della società civile.

1.5   A livello mondiale, la relazione sottolinea la necessità di rafforzare il quadro di Basilea 2, di mettere a punto delle norme contabili internazionali e una regolamentazione globale delle agenzie di rating del credito e dei mercati dei derivati nonché di prevedere una nuova governance del settore finanziario e un ruolo più incisivo dell'FMI. Si intende eliminare la possibilità che gli istituti finanziari siano invogliati a stabilirsi in un paese perché il settore finanziario vi è scarsamente regolamentato. Molte delle proposte avanzate dal gruppo sono state adottate già in occasione del vertice del G20 a Londra. Il Financial Stability Forum, creato nel 1999 per la promozione della stabilità finanziaria mondiale, è stato trasformato nel Financial Stability Board. Il CESE esprime l'auspicio che questo organismo presenti una maggiore trasparenza nelle sue attività e disponga di risorse, conoscenze e poteri sufficienti per intervenire efficacemente. Pur approvando il fatto che l'FMI disporrà di maggiori risorse, il CESE vede con occhio critico le condizioni poste dal Fondo, che mettono in discussione aspetti importanti del modello sociale europeo. Anche per questo motivo è essenziale che l'UE possa esprimersi con una sola voce all'interno del Fondo monetario internazionale.

1.5.1

Nel dibattito sui mercati finanziari si utilizza ormai correntemente il concetto di «stress test», con cui si intende una simulazione della capacità del sistema bancario di un paese di far fronte a una crisi dei mercati finanziari. Alla luce della crisi finanziaria attuale è evidente l'importanza che tali test possono rivestire, ma al tempo stesso si pone la questione cruciale dell'opportunità di renderne pubblici i risultati. Infatti, se l'FMI dovesse eseguire un test di questo tipo per poi annunciare pubblicamente che il sistema bancario di un determinato paese non è in grado di far fronte alla crisi, la crisi potrebbe diventare realtà.

2.   Introduzione

2.1

La crisi economica e finanziaria ha assunto dimensioni che non si erano mai registrate in tempi di pace. La depressione degli anni '30 si verificò in un'epoca in cui le economie mondiali non erano integrate come lo sono attualmente. A quel tempo furono colpiti soprattutto gli Stati Uniti e l'Europa, mentre la crisi attuale ha ormai assunto proporzioni globali.

2.2

Quella che era iniziata come una crisi finanziaria si è trasformata in una crisi economica accompagnata da una recessione in buona parte del mondo. Questa situazione molto probabilmente sfocerà in una crisi sociale con un elevato tasso di disoccupazione. La portata del fenomeno dipenderà dal tipo di politica che si adotterà per far fronte alla crisi, cui, nel contempo, si è aggiunta una crisi politica che ha provocato la caduta di diversi governi.

2.3

Tuttavia, il presente parere verterà esclusivamente sulla crisi finanziaria e sulle possibilità di evitare che ciò che si è verificato si ripeta in futuro. Nel contesto della crisi globale, l'oggetto del parere è circoscritto: esso infatti non si occupa della crisi economica, né delle misure intese a contrastare l'attuale crisi finanziaria, come ad esempio i fondi pubblici da destinare al settore finanziario, bensì solamente dell'avvenire e, in questa prospettiva, più particolarmente della vigilanza del settore finanziario.

2.4

Era proprio in questo che consisteva il mandato del «gruppo de Larosière», la cui relazione è al centro del presente parere. Il gruppo de Larosière ha ampliato il proprio mandato. Si è trattato di un intervento necessario al fine di presentare un quadro completo indispensabile per formulare una serie di proposte più costruttive.

2.5

La crisi attuale ha avuto inizio nel settore finanziario. Prima che il gruppo de Larosière presentasse la sua relazione, la crisi aveva già assunto dimensioni talmente gravi da indurre la Commissione europea a presentare una serie di proposte di modifica della legislazione comunitaria. La più importante è probabilmente la proposta relativa alle agenzie di rating del credito. È stata inoltre presentata una proposta di direttiva su forme specifiche di attività finanziarie. In una comunicazione del 27 maggio scorso si esamina in particolare la parte della relazione de Larosière relativa alla vigilanza del settore finanziario. Secondo l'allegato I di un documento di lavoro che accompagna la comunicazione, tra quest'ultima e la relazione de Larosière esistono soltanto cinque divergenze, sulle quali il CESE formula alcune osservazioni ai punti 6.2.4, 6.3.1 e 6.3.5 del presente parere. Il CESE elaborerà un parere specifico in merito alle future proposte concrete di atti legislativi. Anche se nella comunicazione la Commissione non esamina i restanti capitoli della relazione, il CESE ritiene che essi siano altrettanto importanti per l'avvenire del settore finanziario.

2.6

La relazione de Larosière è stata redatta da banchieri per banchieri, e coloro che dovranno applicare le proposte sono essenzialmente esperti del settore che operano all'interno della Commissione e ministri delle Finanze degli Stati membri. Il CESE approva le 31 raccomandazioni formulate dal gruppo, anche se sostiene la necessità di allargare il campo visivo. La responsabilità di risolvere i problemi attuali non può essere assunta esclusivamente da coloro che, in pratica, hanno provocato la crisi finanziaria. I consumatori dei servizi forniti dai mercati finanziari sono soggetti privati e imprese che impegnano i loro risparmi e che ricorrono a prestiti per poter effettuare investimenti. Il compito dei mercati finanziari è quello di garantire loro, vale a dire alla società civile, i migliori servizi possibili. Oltre al sostegno generale alla relazione, il Comitato intende presentare una serie di osservazioni e proporre alcune integrazioni al testo.

3.   Cause della crisi finanziaria

3.1

Nonostante l'eccesso di liquidità nel settore finanziario le banche centrali non hanno adottato alcun provvedimento. Si è tenuto conto di un unico fattore, vale a dire l'andamento dei prezzi, che tuttavia non ha innescato l'aumento dei tassi di interesse. Il basso costo della liquidità ha determinato il rapido aumento dei valori mobiliari. È indubbio che l'eccesso di liquidità sia stato all'origine della crisi, come è innegabile che a seguito della crisi la liquidità sia scesa a livelli troppo bassi. Tuttavia, è difficile stabilire quale sia il giusto equilibrio di liquidità e offerta di moneta in condizioni normali. Il CESE inoltre sottolinea il dilemma che comporta il ricorso simultaneo al tasso d'inflazione e a una misura della massa monetaria come indicatori della politica monetaria. Un eccesso di liquidità induce le banche centrali ad alzare i tassi di interesse. Se contemporaneamente il livello dell'inflazione è basso, questo dovrebbe invece determinare un abbassamento dei tassi. Pertanto il CESE ritiene che, se si ricorre all'offerta di moneta come indicatore, sia necessario tenere conto, anche in una situazione così complessa, degli eventuali effetti che ciò potrebbe avere sull'economia reale.

3.2

La decisione politica di favorire l'acquisto di case in proprietà indipendentemente dalla solvibilità delle persone, il basso costo del credito e le nuove formule messe a punto dagli istituti finanziari per combinare diversi titoli hanno portato a un occultamento dei crediti ad alto rischio (mutui subprime). Questi titoli si sono diffusi su tutti i mercati finanziari mondiali, poiché il risparmio privato negli Stati Uniti, nel periodo 2005-2006, è stato addirittura negativo. A questo proposito il CESE ha formulato le seguenti osservazioni nel luglio 2008 (1): «La recente crisi americana dei mutui c.d. subprime ha messo in evidenza come la volatilità dei prezzi degli immobili unita a pratiche poco approfondite di valutazione del rischio-cliente per il mancato pagamento di rate sovradimensionate rispetto al valore degli immobili stessi dati in garanzia, possa generare crisi finanziarie di dimensioni tali da destabilizzare l'intero sistema. Occorre quindi che qualunque intervento in sede comunitaria faccia tesoro di questa esperienza (…).»

3.3

Contemporaneamente una serie di squilibri negli scambi mondiali ha provocato avanzi commerciali significativi in taluni paesi (soprattutto in Cina), avanzi che sono serviti ad acquistare titoli di Stato statunitensi. Nuove e complesse combinazioni di titoli (con i mutui subprime) hanno prodotto rendimenti elevati e l'intero mercato finanziario ha cercato di realizzare rendimenti sempre più elevati. I titoli supplementari potevano fungere da base per nuovi prestiti, facendo in tal modo aumentare il volume delle operazioni sui mercati finanziari, basate in realtà su titoli che presentavano notevoli rischi. Si è preferito pensare che uno degli scopi dei nuovi prodotti finanziari complessi fosse quello di ripartire i rischi. L'aumento del volume delle operazioni sui mercati finanziari in apparenza ha creato profitti sempre più consistenti.

3.4

I titoli assistiti da garanzia ipotecaria a rischio, difficilmente rivendibili sul mercato bancario, venivano integrati in nuovi valori mobiliari (cartolarizzazione) e, grazie a questo sistema, potevano essere rivenduti. L'elemento che ha posto fine a questo processo e ha scatenato la crisi è stata la recessione, accompagnata da un aumento della disoccupazione, che ha colpito gli Stati Uniti nel 2008. Poiché numerosi proprietari di immobili non riuscivano più a pagare i tassi concordati, le banche sono state costrette a deprezzare i propri attivi e a venderli. Questi hanno perso ulteriormente valore, la caduta ha subito un'accelerazione e la fiducia è svanita.

3.5

La relazione del gruppo de Larosière rileva una serie di fattori che hanno reso possibile questo fenomeno:

all'inizio dell'intero processo, la regolamentazione internazionale del settore bancario si inseriva nel quadro dell'accordo di Basilea 1. Questo sistema incoraggiava in pratica a non far figurare i rischi in bilancio. Il problema è stato in parte corretto dall'accordo di Basilea 2.

La crescita esplosiva dei nuovi prodotti finanziari complessi, negoziati fuori borsa (over the counter), ha reso i rischi invisibili.

La regolamentazione delle attività degli istituti finanziari si fonda sulla valutazione del rischio effettuata dalle agenzie di rating del credito.

Le agenzie di rating del credito attribuivano agli attivi che successivamente si sono dimostrati praticamente privi di valore il medesimo rating dei titoli di Stato. Va ricordato che tali agenzie ricevono finanziamenti dagli istituti finanziari che si rivolgono ad esse per la valutazione dei propri valori mobiliari!

Gli organi direttivi e di gestione degli istituti finanziari non hanno compreso il rischio che i nuovi prodotti finanziari complessi presentavano.

Vi sono carenze nella normativa e nella vigilanza, assenza di coordinamento e intensa concorrenza tra diversi centri finanziari.

3.6

La relazione del gruppo de Larosière contiene una critica velata alle banche centrali per non aver adottato dei provvedimenti volti a contrastare il drammatico aumento della liquidità.

3.7

Nella sua analisi, tuttavia, il CESE desidera compiere qualche passo avanti. L'incremento della liquidità dipendeva in parte dagli squilibri nell'economia mondiale. Ciò risulta più evidente nelle relazioni tra gli USA e la Cina: un avanzo commerciale e una propensione al risparmio pari al 30-40 % delle entrate, come forma di protezione integrativa per la malattia e la pensione in Cina, e disavanzo della bilancia commerciale accompagnato da risparmi inesistenti negli USA. Un'altra spiegazione possibile, che però nella relazione de Larosière non viene menzionata, consiste nello spostamento della distribuzione del reddito dal lavoro al capitale. La distribuzione del reddito si quindi è fatta più disuguale. Non soltanto l'OIL, ma anche l'OCSE ha raccomandato di porre fine a quest'evoluzione.

3.8

L'accresciuto patrimonio dei cittadini più abbienti cercava sbocchi d'investimento. Visto che le possibilità reali di investimento non erano aumentate allo stesso ritmo, il prezzo dei valori mobiliari è stato spinto verso l'alto. Una nuova regolamentazione dei mercati finanziari non può risolvere le cause dei problemi attuali, visto che questi ultimi richiedono delle decisioni politiche. La relazione de Larosière presenta un'analisi dettagliata della «bolla» finanziaria, ma le decisioni politiche future dovrebbero essere fondate su un esame più approfondito.

3.9

In definitiva, il contesto finanziario descritto ha incoraggiato la proliferazione di operazioni speculative che avevano solo una lontana corrispondenza con l'evoluzione dei numeri dell'economia reale, senza che si potesse contare, in compenso, su strumenti internazionali di politica fiscale e monetaria capaci di mettere un freno alla loro espansione. A questo proposito, le istituzioni finanziarie e le organizzazioni internazionali non hanno preso in considerazione la voce di numerosi movimenti sociali che rivendicavano ripetutamente l'adozione di misure di regolamentazione, prima fra tutte la «Tobin tax».

4.   Politiche e normative

4.1

Secondo la relazione, la crisi attuale è dovuta alle carenze del mercato, agli squilibri globali, alla regolamentazione insufficiente e alle lacune nella vigilanza. È impossibile risolvere tutti questi problemi ricorrendo a una nuova normativa, però una normativa adeguata costituisce un presupposto importante. Nella relazione si sostiene inoltre che è necessario affrontare tutti i problemi, ma è legittimo chiedersi se la regolamentazione proposta sia sufficiente. Inoltre vi si esprime il timore che un aumento della regolamentazione possa pregiudicare l'innovazione finanziaria. A questo proposito il CESE vorrebbe ricordare che i mutui subprime e la cosiddetta cartolarizzazione dei crediti sono effettivamente delle innovazioni finanziarie, ed è proprio l'abuso di alcune di queste innovazioni che ha dato origine agli attuali problemi finanziari. In certi casi la regolamentazione può contribuire all'innovazione in ambito finanziario, com'è avvenuto con l'Area unica dei pagamenti in euro (SEPA).

4.2

Nella relazione si propone un migliore coordinamento tra le banche centrali e gli organismi politici responsabili della regolamentazione dei mercati finanziari. Le banche centrali devono occuparsi maggiormente delle riflessioni macroeconomiche garantendo una migliore vigilanza dei mercati finanziari. Secondo il CESE, questa proposta, come pure quella secondo cui il Fondo monetario internazionale (FMI) dovrebbe svolgere un ruolo più efficace nella vigilanza di tali mercati, è essenziale.

4.3

In base alla relazione, la regolamentazione decisa a livello politico e l'autoregolamentazione del settore finanziario dovrebbero completarsi a vicenda. Dato che il controllo interno si è rivelato inefficace, si sostiene la necessità di sorvegliare l'autoregolamentazione. In questo modo, però, si rimuove proprio il limite tra regolamentazione politica e autoregolamentazione.

4.4

Nella pratica non esiste alcun limite. Con i quadri di Basilea 1 e Basilea 2, sono le stesse banche che praticamente stabiliscono le regole per il settore finanziario. Spetta alle banche o agli altri istituti finanziari garantire il rispetto di tali regole, oppure allo Stato se le regole vengono introdotte sotto forma di norme legislative. (Nell'UE le norme di Basilea 2 sono entrate in vigore il 1o gennaio 2008 mentre negli Stati Uniti saranno applicate solo a partire dal 1o aprile 2010). Nella relazione non si affrontano attentamente le carenze organizzative e democratiche dei mercati finanziari derivanti dall'autoregolamentazione. Alla luce della globalizzazione dei mercati, la questione del grado di influenza degli organi politici dovrebbe costituire uno dei fulcri del dibattito.

5.   Raccomandazioni del gruppo de Larosière

5.1   Graduale aumento dei requisiti patrimoniali delle banche. Dal momento che la crisi del settore bancario ha creato una situazione di scarsità del credito, l'aumento dei requisiti patrimoniali delle banche dovrà intervenire in un secondo tempo. Si tratta, secondo il CESE, di un requisito essenziale per poter evitare che in futuro il settore pubblico debba fornire capitali alle banche che accusano problemi di liquidità. Il Comitato conviene sul fatto che l'UE debba stabilire una definizione comune di requisito patrimoniale.

5.2   Requisiti patrimoniali variabili in funzione della congiuntura. Secondo la relazione, le banche centrali non devono solo seguire l'inflazione ma anche l'evoluzione del mercato monetario e del credito in generale. A fronte di un'eccessiva crescita del credito esse devono anche essere pronte a inasprire le politiche monetarie. Si propone pertanto di introdurre per le banche requisiti patrimoniali più elevati nei periodi favorevoli e requisiti inferiori nei periodi sfavorevoli. Considerata la difficoltà di fare delle previsioni economiche, questa proposta potrebbe comportare dei rischi. La manovra consistente nell'innalzare i requisiti dopo un periodo favorevole e un'espansione del credito può avere l'effetto contrario di inasprire la recessione se la congiuntura favorevole sta volgendo al termine. Contemporaneamente, l'esempio della Spagna dimostra che un sistema fondato su requisiti patrimoniali variabili può dare buoni risultati. Il CESE ritiene che, data la difficoltà di scegliere il momento di intervento, una tale misura vada analizzata prima di poter essere attuata.

5.3   Introdurre norme più severe in materia di voci fuori bilancio sotto forma di requisiti più elevati in materia di patrimonio e maggiore trasparenza. In Spagna le autorità avevano adottato le norme più severe in materia di voci fuori bilancio, e le banche spagnole sono state le meno colpite dalla crisi.

5.3.1

Quando le banche si occupano di misure concernenti le voci fuori bilancio, questo viene spesso associato a una delle innovazioni del mercato finanziario, vale a dire alle «società veicolo» (special purpose vehicles). Lo scopo di tali società è quello di non far pesare le attività rischiose sul bilancio proprio della banca, per non esporre quest'ultima al rischio. Un altro motivo può essere costituito dal desiderio di sottrarsi agli obblighi fiscali. A fronte degli abusi che ne sono derivati, il CESE ritiene necessario adottare norme più severe sia per il sistema delle «voci fuori bilancio» che per le «società veicolo». È importante che la regolamentazione impedisca che una parte delle attività venga occultata tramite questi metodi.

5.4   Il grado di rischio degli attivi bancari deve essere più chiaramente visibile. Secondo il CESE, questa dovrà essere una delle esigenze fondamentali quando la Commissione, nel follow-up della relazione, realizzerà auspicabilmente una vera trasparenza nel settore degli attivi bancari.

5.4.1

Nella relazione si affrontano temi come la cartolarizzazione, i mercati dei derivati, i fondi di investimento e il «sistema bancario parallelo». Il CESE auspica una soluzione globale in cui nessun problema legato ai valori mobiliari a rischio rimanga privo di soluzione nel quadro delle diverse proposte. Il sistema bancario parallelo comprende diverse forme di attività di concessione di prestiti non regolamentate. Nella relazione si propone di ampliare il quadro di Basilea 2 in modo da comprendere non solo questo genere di prestiti, ma anche i fondi speculativi (hedge funds), le banche d'investimento, ecc. Ciò sembra ovvio e richiede una decisione immediata. Queste nuove forme di operazioni finanziarie si sono potute sviluppare, spesso al di fuori del sistema bancario stesso, senza che fossero soggette ad alcuna forma di regolamentazione, nemmeno ai requisiti in materia di riserve. Anche per i fondi d'investimento la relazione propone di sviluppare norme comuni, definizioni per i diversi prodotti e controlli più severi. Il CESE non può che approvare tali proposte. Si prevede inoltre che, quando rivendono prodotti a rischio, le banche e gli istituti finanziari mantengano sempre a proprio carico una parte del rischio.

5.5   Il 13 maggio 2009 la Commissione ha presentato una proposta di direttiva nota come «direttiva sui gestori di fondi di investimento alternativi» (Alternative Investment Fund Managers) dedicata a un gran numero di questi nuovi strumenti. Il CESE intende pronunciarsi su tale proposta di direttiva in un secondo tempo. Già nel 2006 il CESE ha presentato un parere in merito al Libro verde sul rafforzamento del quadro normativo relativo ai fondi d'investimento nell'UE  (2).

5.6   Per quanto riguarda le norme contabili, nella relazione si propone tra l'altro che l'International Accounting Standard Board (IASB) introduca delle nuove regole per questi nuovi e complessi prodotti finanziari. Il metodo contabile basato sul valore di mercato (mark-to-market) ha sensibilmente inasprito la crisi. Quando si è registrato il crollo del valore degli attivi, questi sono stati contabilizzati in base al loro valore corrente. Nella situazione critica che si è prodotta, il loro valore è addirittura risultato molto più basso del valore reale. Tuttavia, nemmeno il metodo alternativo, che consiste nel determinare il valore degli attivi sulla base del prezzo d'acquisto, può dare risultati validi in una situazione di questo tipo. A questo proposito esistono, secondo il CESE, grandi margini d'innovazione.

5.7   Ci si può chiedere che senso abbia rivendere all'interno del sistema bancario attività con rischi nascosti. Forse sarebbe il caso di selezionare e ridurre gli strumenti disponibili. I banchieri parlano spesso dell'importanza delle innovazioni all'interno del mercato finanziario. Si tratta di un processo che è andato troppo oltre? Il CESE sollecita la Commissione a rivedere gli strumenti esistenti per valutarne l'utilità e i rischi, a proporre quali di essi vadano eventualmente eliminati o a fornire una definizione di quelli da mantenere. Questa responsabilità non può essere lasciata interamente al mondo bancario. La Commissione deve elaborare delle proposte per una decisione del Parlamento europeo e del Consiglio. I prodotti finanziari non devono essere eccessivamente complessi. Deve esservi maggiore trasparenza quanto al grado di rischio che comportano. La trasparenza dei prodotti finanziari costituisce forse l'elemento più importante per ristabilire la fiducia nei mercati finanziari.

5.7.1

Il CESE ricorda a questo proposito l'esempio della Spagna. Il settore finanziario non può introdurre alcuno strumento nuovo prima che sia stato sottoposto alla valutazione di un'autorità di vigilanza finanziaria. Nel suo esame, la Commissione deve tenere conto delle differenze tra gli strumenti utilizzati in Spagna e quelli adottati in altri Stati membri dell'UE. Contemporaneamente occorre discutere dell'introduzione generalizzata di questi controlli e decidere se vadano effettuati su scala nazionale oppure se vi sia bisogno di un sistema di controllo comune. Alla luce del funzionamento delle attività finanziarie transfrontaliere, sembrerebbe più opportuno prevedere un sistema comune.

5.8   Il CESE approva la proposta formulata nella relazione circa la gestione dei rischi delle banche, secondo cui la funzione di gestione dei rischi dovrebbe essere indipendente, i responsabili dovrebbero avere una posizione gerarchica molto elevata e si dovrebbe evitare di fare eccessivo affidamento sulle valutazioni esterne (agenzie di rating del credito). Si può naturalmente sostenere la proposta di potenziare la gestione del rischio all'interno degli istituti finanziari. La domanda cruciale a questo proposito è se tali raccomandazioni possano diventare qualcosa di più di semplici raccomandazioni? Fino a che punto si può regolamentare l'organizzazione interna di una società finanziaria? Molto probabilmente gli organismi di vigilanza dovranno limitarsi a sorvegliare l'organizzazione interna e a esprimere apertamente le loro critiche.

5.9   Quando la crisi si è aggravata, numerosi Stati membri hanno rafforzato i requisiti comunitari in materia di garanzie dei depositi. La relazione raccomanda di procedere a un'armonizzazione delle regole in modo da garantire a tutti i clienti un livello di tutela uniforme e sufficientemente elevato. Occorre risolvere il problema delle filiali che operano in altri paesi, ma da dove devono provenire i fondi per tali garanzie? Il CESE si dichiara d'accordo con la Commissione e la sollecita a elaborare quanto prima delle proposte per una serie di nuove norme comunitarie in materia di garanzie bancarie.

5.10   Requisiti più severi in materia di gestione e vigilanza bancaria. Alla luce dei recenti avvenimenti, si tratta di un'esigenza fondamentale. Anche all'interno degli istituti finanziari esistevano dei codici etici, però in alcuni casi sembra che non abbiano influito sui comportamenti concreti. Quando si tratta di competenze individuali, è tuttavia difficile formulare proposte concrete. Una nuova regolamentazione e un'eventuale esclusione dal mercato di determinati strumenti dovrebbero tuttavia permettere di migliorare la gestione delle banche. Gli strumenti che permettono di celare i rischi complicano notevolmente questo compito. Inoltre, il CESE ritiene che nelle soluzioni proposte dal gruppo de Larosière non si ponga sufficientemente in evidenza il ruolo dei revisori. Un audit efficace avrebbe probabilmente permesso di limitare la diffusione dei prodotti a rischio. Il management delle società finanziarie deve poter contare sulla revisione interna per la valutazione delle attività. Il ruolo dei revisori dei conti e dei diversi sistemi contabili sono questioni di cui occorre tenere conto nel quadro della revisione dell'accordo di Basilea 2. Sarebbe inoltre molto positivo dare ad alcune parti interessate (stakeholders) la possibilità di valutare le politiche e gli strumenti degli istituti finanziari attraverso la creazione di comitati ad hoc.

5.10.1

Il sistema dei bonus che premia gli investimenti a rischio e a breve termine costituisce un fattore importante che incide sul comportamento dei dirigenti bancari. La relazione formula una serie di raccomandazioni valide in merito al sistema dei bonus, sostenendo che essi dovrebbero estendersi su più anni, dovrebbero corrispondere alle prestazioni reali e non dovrebbero essere garantiti a priori. Secondo il CESE, è necessario passare da un'ottica di breve termine a una di lungo termine in cui i bonus non siano calcolati sulla base di attività speculative. A tale scopo il Comitato sostiene l'idea di un'imposizione sulle operazioni finanziarie il cui gettito potrebbe essere destinato agli aiuti allo sviluppo. A ciò va aggiunta un'ulteriore esigenza, ovvero che il sistema dei bonus non deve fondarsi sull'andamento generale bensì sul fatto che si siano conseguiti risultati che si distinguono in positivo rispetto alla tendenza generale. Inoltre, si dovrebbe pensare a come stabilire un tetto massimo per questi bonus, allo scopo di evitare eccessi e l'assunzione di rischi sconsiderati.

5.11   Per quanto riguarda le agenzie di rating del credito, il gruppo propone di affidare al comitato delle autorità europee di regolamentazione dei valori mobiliari (CESR) il compito di concedere le autorizzazioni. La Commissione ha già presentato una proposta di regolamento sulle agenzie di rating del credito. Il CESE ha elaborato un parere in materia pronunciandosi a favore della proposta (3). Secondo la relazione, occorre rivedere le disposizioni applicabili a tali organismi in materia di finanziamento. Il CESE ritiene che si possa già dichiarare chiaramente che essi non potranno ricevere finanziamenti da coloro i cui strumenti di credito sono oggetto della loro valutazione.

6.   Vigilanza

6.1   Formulare proposte sulla vigilanza dei mercati finanziari costituiva il compito principale del gruppo de Larosière e, anche a giudizio del CESE, la vigilanza è fondamentale per evitare il ripetersi di un'altra crisi finanziaria in futuro. Ma la vigilanza richiede delle regole e pertanto sono altrettanto importanti le proposte di modifica e potenziamento delle regole formulate nella prima parte della relazione.

6.2   Un sistema europeo di vigilanza macroprudenziale

6.2.1

Nella relazione si critica il sistema di vigilanza attuale per il fatto che si concentra sui singoli istituti finanziari invece di estendersi all'intero sistema finanziario. L'incarico della vigilanza macroprudenziale va affidato alla BCE/SEBC (Banca centrale europea/Sistema europeo delle banche centrali). Per i casi di vigilanza a carattere transfrontaliero (istituti finanziari con filiali in altri paesi), il gruppo ritiene necessario ricorrere a un sistema di mediazione giuridicamente vincolante.

6.2.2

Il gruppo de Larosière ribadisce che è necessario attribuire un mandato ufficiale ad un organismo europeo incaricato di sorvegliare il sistema finanziario sotto il profilo macroprudenziale e di segnalare eventuali rischi sistemici. Nel quadro della BCE/SEBC si dovrebbe creare un consiglio/organo di vigilanza indipendente (Consiglio europeo per il rischio sistemico - European Systemic Risk Board, ESRB) incaricato dello svolgimento di tale compito. In tale organo, oltre alle banche centrali, saranno rappresentate le tre autorità proposte per la vigilanza microprudenziale. Il CESE constata che attualmente è impossibile trovare un organismo dotato di tutte le competenze necessarie per la vigilanza macroprudenziale. È pertanto necessario creare tali competenze per metterle a disposizione del suddetto consiglio. Nella relazione de Larosière viene inoltre stabilita la necessità di coinvolgere anche la Commissione qualora dovessero sorgere rischi globali per il sistema finanziario.

6.2.3

Il CESE accoglie con favore le integrazioni approvate dal Consiglio Ecofin e dal Consiglio europeo alle proposte presentate il 27 maggio dalla Commissione. Tali integrazioni prevedono che il Consiglio generale della BCE sarà rappresentato nell'ESRB, che alle autorità di vigilanza nazionali verrà riconosciuto, in tale ambito, lo status di osservatore, che ogni Stato avrà diritto ad un voto e che eventuali raccomandazioni verranno presentate tramite l'Ecofin. Il Consiglio europeo, inoltre, ha proposto che il presidente dell'ESRB sia eletto dal Consiglio generale della BCE. Il CESE giudica opportuna questa proposta, dato che tutti i 27 Stati membri fanno parte di tale organo. Il Consiglio europeo raccomanda che le nuove autorità europee di vigilanza abbiano anche poteri di vigilanza per le agenzie di rating del credito. Il CESE condivide anche questa proposta, scaturita dalle discussioni tenute nel quadro della proposta di direttiva in materia, però sottolinea il fatto che solo una di queste autorità dovrebbe esercitare tale responsabilità.

6.3   Un sistema europeo di vigilanza microprudenziale

6.3.1   Per quanto riguarda la vigilanza quotidiana, si intende prevedere il rafforzamento dei tre comitati attualmente incaricati di sorvegliare le banche, le assicurazioni e i mercati mobiliari, trasformandoli in autorità di vigilanza. La regolamentazione in questi tre ambiti presenta differenze tali da escludere la possibilità di riunire i comitati per formare un'autorità unica.

6.3.2   La proposta prevede che in queste nuove autorità sia rappresentato soltanto il settore finanziario. Come già indicato, il CESE ritiene che le attività finanziarie non interessino unicamente coloro che le esercitano direttamente. Vi sono buone ragioni per garantire la partecipazione delle organizzazioni dei lavoratori a queste autorità. Inoltre, vi sono argomenti validi anche per coinvolgere i clienti dei servizi offerti dal settore bancario, assicurativo e dei valori mobiliari. A questo proposito è opportuno fare un confronto con le proposte presentate negli Stati Uniti dall'amministrazione Obama, che prevede di creare un consiglio specifico per i clienti delle banche incaricato di seguirne l'attività. Infine, in qualità di rappresentante della società civile organizzata, anche il CESE dovrebbe naturalmente essere invitato a partecipare alle autorità in questione.

6.3.3   Si propone inoltre che queste nuove autorità siano incaricate di rilevare le differenze in materia d'applicazione dell'attuale legislazione UE nei diversi Stati membri. Secondo il CESE, la Commissione dovrebbe avanzare delle proposte di modifica della normativa al fine di rimuovere tali differenze.

6.3.4   In base alla relazione, si devono creare delle autorità di vigilanza competenti negli Stati membri che possano anche ricorrere a regimi sanzionatori dissuasivi. Il CESE non può che approvare la proposta e sottolineare l'importanza di garantire l'indipendenza delle autorità dalle banche e dagli istituti finanziari. Sollecita pertanto la Commissione ad avanzare proposte legislative in materia.

6.3.5   Secondo il gruppo de Larosière, gli organismi nazionali di vigilanza sono responsabili della vigilanza quotidiana mentre le tre nuove autorità devono stabilire le regole e coordinare le attività. Occorre accertarsi che le autorità nazionali siano effettivamente indipendenti. Per quanto riguarda gli istituti finanziari transfrontalieri, si dovrebbero creare dei collegi costituiti dalle autorità di vigilanza nazionali interessate. Alla luce delle esperienze finora maturate, è stato necessario proporre l'obbligo dello scambio di informazioni per gli organismi nazionali.

6.3.6   Nella relazione si propone di mettere a punto un nuovo sistema microprudenziale articolato in due fasi. Nella seconda fase vanno sviluppate norme di base comuni per la vigilanza ed eliminate le differenze in materia d'applicazione nei vari paesi. Questa fase deve prevedere anche l'armonizzazione delle eventuali sanzioni. Il CESE è del parere che non vi sia motivo di procedere a rilento e per questo motivo si rallegra della proposta della Commissione che, nella sua comunicazione, suggerisce di provvedere immediatamente alla predisposizione dell'intero sistema di vigilanza microprudenziale.

6.3.6.1

I collegi di autorità di vigilanza nazionali possono, secondo il CESE, essere difficili da gestire se parallelamente non si procede alla necessaria armonizzazione. Alla luce delle fondamentali differenze tra le norme che governano gli organismi nazionali di vigilanza, le tre autorità dovrebbero in pratica assumersi la responsabilità di svolgere una parte dei compiti di vigilanza sugli istituti transfrontalieri.

6.3.6.2

Il CESE condivide pienamente l'invito - rivolto dal Consiglio europeo alla Commissione - a formulare proposte concrete sul modo in cui il sistema europeo delle autorità di vigilanza finanziaria (ESFS) potrebbe svolgere un importante ruolo di coordinamento tra le autorità di vigilanza in situazioni di crisi, sempre nel rispetto sia delle competenze delle autorità nazionali in relazione alle potenziali conseguenze di bilancio, sia delle competenze delle banche centrali, in particolare per quanto riguarda la prestazione di assistenza di emergenza in materia di liquidità.

7.   Rimedi a livello mondiale

7.1

Il gruppo de Larosière osserva che anche a livello mondiale è necessario procedere a una regolamentazione del settore finanziario, esercitare la vigilanza e gestire le crisi e che a tal fine manca un quadro adeguato. Il gruppo si pronuncia a favore di un rafforzamento del quadro di Basilea 2 e delle norme contabili internazionali, di una regolamentazione globale delle agenzie di rating del credito, di una nuova governance del settore finanziario e di un ruolo più incisivo per l'FMI. Si intende rimuovere la possibilità che gli istituti finanziari siano invogliati a stabilirsi in un paese perché il settore finanziario vi è scarsamente regolamentato. I collegi delle autorità di vigilanza degli istituti finanziari rivestono un ruolo particolare per le banche che operano su scala mondiale.

7.2

È molto probabile che sorgano delle difficoltà nella realizzazione di tutti questi cambiamenti sul piano mondiale. Molte delle proposte avanzate dal gruppo sono state nel frattempo adottate già in occasione del vertice del G20 a Londra. Il Financial Stability Forum, creato nel 1999, è stato trasformato nel Financial Stability Board con la partecipazione di tutti i paesi appartenenti al G20, oltre alla Spagna e alla Commissione europea, dotato di competenze più estese e con un collegamento più stretto con l'FMI. Questi cambiamenti sono perfettamente conformi alle raccomandazioni del gruppo de Larosière. Il precedente Forum non è stato in grado di lanciare tempestivamente l'allarme sui rischi presenti nel sistema finanziario nel quadro della crisi attuale. Il CESE esprime l'auspicio che, a seguito di tali modifiche, questo organismo presenti una maggiore trasparenza nelle sue attività e disponga di maggiori risorse, conoscenze e poteri per intervenire efficacemente. Va inoltre rilevato che gran parte delle decisioni prese a Londra attendono ancora di essere attuate.

7.3

Nel dibattito sui mercati finanziari si utilizza ormai correntemente il concetto di «stress test», con cui si intende una simulazione della capacità del sistema bancario di un paese di far fronte a una crisi dei mercati finanziari. Alla luce della crisi finanziaria attuale è evidente l'importanza che tali test possono rivestire. Al tempo stesso si pone la questione cruciale dell'opportunità di renderne pubblici i risultati. Se l'FMI dovesse eseguire un test di questo tipo per poi annunciare pubblicamente che il sistema bancario di un determinato paese non è in grado di far fronte alla crisi, la crisi potrebbe diventare realtà. Test di questo genere dovrebbero tuttavia essere condotti nel modo più trasparente possibile e potrebbero così trasformarsi in uno strumento importante per la vigilanza dei sistemi finanziari dei singoli paesi.

7.4

A Londra il G20 ha inoltre considerato la proposta di attribuire maggiori risorse all'FMI per aiutare i paesi colpiti dai problemi più gravi. Pur approvando tale iniziativa, il CESE vede con occhio critico le condizioni poste dall'FMI, che mettono in discussione elementi sociali importanti e anche aspetti fondamentali del modello sociale europeo. Anche per questo motivo è essenziale che l'UE si esprima con una sola voce all'interno del Fondo monetario internazionale.

Bruxelles, 30 settembre 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  GU C 27 del 3.2.2009, pag. 18.

(2)  GU C 110 del 9.5.2006, pag. 19.

(3)  GU C 277 del 17.11.2009 ECO/243 - Agenzie di rating (relatore: MORGAN).


Appendice

al parere del Comitato economico e sociale europeo

I seguenti emendamenti, che hanno ricevuto almeno un quarto dei voti espressi, sono stati respinti nel corso delle deliberazioni (art. 54, par. 3, del Regolamento interno):

Punto 1.2

Sopprimere:

«La principale causa della crisi è stata l'eccesso di liquidità che, secondo il gruppo de Larosière, è riconducibile in parte alla politica monetaria espansiva negli Stati Uniti e agli squilibri nell'economia mondiale. Ciò risulta particolarmente evidente nelle relazioni USA Cina. Secondo il CESE, un'altra possibile causa del fenomeno è lo spostamento crescente della distribuzione del reddito dal lavoro al capitale. La distribuzione del reddito si è fatta più disuguale, e l'accresciuto patrimonio dei cittadini più abbienti ha cercato possibilità di investimento. Visto che le possibilità reali di investimento non sono aumentate allo stesso ritmo, il prezzo dei valori mobiliari è salito sensibilmente. La relazione de Larosière presenta un'analisi dettagliata della “bolla” finanziaria che si è creata, ma sarebbe necessario un esame più approfondito per orientare le decisioni politiche future.»

Motivazione

Come ricorda il relatore in altri punti del parere, e come segnala la stessa relazione del gruppo de Larosière, le cause della crisi sono varie, ma non esiste alcuna prova del fatto che una di esse sia un cambiamento nella distribuzione del reddito, fenomeno che non è citato in nessuno degli studi sulle cause della crisi.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 68 Voti contrari: 121 Astensioni: 15

Punto 1.3.3

Seconda frase. Sopprimere «e, in alcuni casi, per evitare le imposte»:

«Le “voci fuori bilancio” e le “società veicolo” (special purpose vehicles) hanno finora dato luogo ad abusi. Degli attivi bancari a rischio sono stati ritirati dal bilancio stesso della banca per aggirare le norme relative ai requisiti patrimoniali e, in alcuni casi, per evitare le imposte. A questo riguardo, secondo il CESE, occorre adottare norme più severe.»

Motivazione

L'obiettivo principale delle voci fuori bilancio, come giustamente fa notare il relatore, è quello di non consumare risorse proprie. Non c'è alcuna prova del fatto che il fine sia eludere le imposte, il che d'altronde sarebbe molto difficile, anche con operazioni fuori bilancio.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 65 Voti contrari: 125 Astensioni: 12

Punto 1.4.4

Sopprimere l'intero punto:

« Gli organi direttivi di queste nuove autorità non devono essere composti esclusivamente da professionisti del settore bancario. Di essi dovrebbero far parte anche i sindacati, gli utenti dei servizi bancari e il CESE in rappresentanza della società civile. »

Motivazione

Gli organi direttivi non sono composti soltanto dai rappresentanti delle banche, ma anche da quelli delle autorità monetarie. L'aggiunta di nuovi componenti, che renderebbero difficile il funzionamento dei nuovi organi, non sembra giustificata. La raccomandazione 12 della relazione indica chiaramente il carattere indipendente e professionale che devono avere gli organi direttivi delle nuove autorità.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 60 Voti contrari: 132 Astensioni: 8


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/66


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il futuro della PAC dopo il 2013 (supplemento di parere)

2009/C 318/12

Relatore: KIENLE

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 24 febbraio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, lettera A, delle Modalità d'applicazione del Regolamento interno, di elaborare un supplemento di parere sul tema:

«Il futuro della politica agricola comune dopo il 2013

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 settembre 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore KIENLE.

Alla sua 456a sessione plenaria, dei giorni 30 settembre e 1o ottobre 2009 (seduta del 30 settembre 2009), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 167 voti favorevoli, 3 voti contrari e 13 astensioni.

1.   Il ruolo del CESE nel processo di ulteriore sviluppo della PAC

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) vanta una lunga tradizione nell'occuparsi delle riforme imminenti della politica agricola comune (PAC) in maniera approfondita e con il dovuto anticipo, laddove possibile già prima delle comunicazioni o dei testi di natura legislativa della Commissione europea. Con il parere esplorativo del 2007 richiesto dalla Commissione sul tema Verifica dello stato di salute e futuro della PAC dopo il 2013  (1), il CESE è stato il primo tra le istituzioni europee a compiere un'attenta riflessione sul futuro della politica agricola comune.

1.2

Sia durante la presidenza francese del Consiglio, nel secondo semestre del 2008, sia durante la presidenza della Repubblica ceca, durante il primo semestre 2009, si è tentato, senza risultato, di accelerare il dibattito sulla definizione della PAC dopo il 2013. Proprio perché il Consiglio Agricoltura ha sinora evitato di specificare formalmente i contenuti e le modalità di questo dibattito, il CESE ritiene ora assolutamente indispensabile elaborare un «supplemento di parere» sui principali sviluppi in atto. Dopo la «verifica dello stato di salute della PAC» del 2008 ciò potrà facilitare l'avvio delle discussioni sull'avvenire della PAC dopo il 2013. Il CESE reputa inoltre necessario dedicare un parere approfondito all'intera tematica inerente alla PAC.

1.3

Dal novembre del 2008, ossia da quando il Consiglio dei ministri dell'Agricoltura ha deciso di procedere a una verifica dello stato di salute della PAC, i mercati agricoli hanno registrato alcuni ingenti crolli dei prezzi. Quello del latte risulta particolarmente drastico. Il CESE ritiene che sia necessario esaminare ancora una volta se le reti di sicurezza, tra cui i sistemi di quote ancora esistenti, siano adeguate ad attenuare questo tipo di situazioni.

2.   Condizioni di partenza per l'ulteriore sviluppo della PAC dopo il 2013

2.1

Con la riforma della PAC del 2005 i pagamenti diretti nel settore agricolo sono stati sganciati in larga misura dalla produzione e, in alcuni Stati membri, la loro ripartizione avviene, in tutto o in parte, a livello regionale. Oltre ai pagamenti diretti, un secondo pilastro importante della politica agricola dell'UE è rappresentato dalle misure di sviluppo rurale (attraverso il Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale - FEASR). Lo scopo di queste misure, insieme ai pagamenti diretti, è arrivare a un'agricoltura competitiva e al tempo stesso sostenibile dal punto di vista sociale ed ecologico in una prospettiva di «multifunzionalità».

2.2

Per decenni è sembrato scontato che l'agricoltura potesse garantire senza alcun problema ai consumatori europei un approvvigionamento sicuro di generi alimentari a prezzi relativamente convenienti. Tuttavia, per i prossimi decenni si prevede una tendenza mondiale al rincaro sia dei prodotti agricoli sia delle materie prime non agricole (ad esempio il petrolio). Nel contempo dovremo aspettarci un notevole aumento della volatilità dei prezzi.

2.3

Le estreme oscillazioni dei prezzi alla produzione di importanti prodotti agricoli, ad esempio il latte e i cereali, intervenute in questi ultimi due anni dovrebbero essere viste come un campanello d'allarme. In futuro tornerà ad essere importante la dimensione sociale di un approvvigionamento sicuro di prodotti alimentari, specie per le fasce di reddito più basse, anche perché i mercati agricoli in generale sono particolarmente sensibili a quelle oscillazioni di prezzo che possono ripercuotersi negativamente sulla stabilità dell'approvvigionamento e delle aziende agricole. Si constatano inoltre chiaramente notevoli squilibri nella catena alimentare. L'estrema concentrazione del commercio al dettaglio dà luogo a una forte pressione economica sulla produzione agricola primaria e sulle fasi della trasformazione. Si è aperto un dibattito per stabilire se nella catena alimentare la fase della produzione agricola riceva una quota equa dei margini di profitto.

2.4

L'Unione europea e gli Stati membri perseguono obiettivi ambiziosi in materia di sicurezza alimentare, tutela dell'ambiente, lotta ai cambiamenti climatici e protezione degli animali. Questi aspetti costituiscono una parte importante del modello agricolo europeo. Con la riforma della PAC del 2003-2005 si è deciso di subordinare il pagamento unico disaccoppiato al rispetto di norme fondamentali e al mantenimento dell'azienda in «buone condizioni agronomiche e ambientali» (principio della «condizionalità»). Oltre a questi «requisiti minimi», tale riforma offre misure agroambientali per le quali tuttavia nel 2007 è venuta a mancare la componente di incentivo. Per conseguire gli obiettivi ecologici e sociali in agricoltura sarà necessario sviluppare ulteriormente il meccanismo degli incentivi per il periodo successivo al 2013. Il CESE ha più volte ribadito la sua convinzione di fondo che sarebbe sbagliato orientare l'agricoltura europea unicamente verso le condizioni e i prezzi che vigono sul mercato mondiale.

2.5

Se si vogliono raggiungere gli obiettivi e realizzare i compiti descritti, per il periodo 2014-2020 occorrerà stanziare una dotazione finanziaria adeguata. Attualmente l'incidenza della spesa per la politica agricola comune rapportata al prodotto interno lordo (PIL) dell'UE è inferiore allo 0,4 %. Occorrerà adoperarsi costantemente per informare i cittadini sui servizi importanti per la società che vengono finanziati con le risorse di bilancio assegnate alla politica agricola comune. Per il periodo dal 1993 al 2013 si calcola che l'incidenza della spesa per l'agricoltura sul bilancio complessivo dell'UE scenderà da circa il 50 al 33 %.

3.   Calendario previsto delle discussioni e delle decisioni

3.1

A livello di Consiglio, i primi dibattiti sulla configurazione della politica agricola dell'UE dopo il 2013 sono già stati avviati sotto la presidenza francese e sotto quella ceca.

3.2

Su questa base, una volta nominata, la nuova Commissione europea presenterà in una comunicazione, probabilmente nell'autunno del 2010, le prime riflessioni sulla politica agricola dopo il 2013 da sottoporre al dibattito politico. In tale sede occorrerà prestare attenzione alla «revisione finanziaria» ancora da realizzare. Si prevede che le proposte legislative per la PAC dopo il 2013 saranno presentate a metà 2011. Il Parlamento, il Consiglio e la Commissione potrebbero poi decidere al riguardo durante il primo semestre 2012.

3.3

Con il Trattato di Lisbona il Parlamento ottiene per la prima volta il diritto di codecisione nell'ambito della politica agricola comune. Questo rafforzamento del Parlamento avrà riflessi sostanziali e positivi per il dibattito sullo sviluppo della PAC dopo il 2013.

4.   Spunti per il dibattito sull'ulteriore sviluppo della PAC

4.1

Secondo il CESE, il dibattito sull'ulteriore sviluppo della PAC dopo il 2013 dovrà continuare a basarsi sul modello di un'agricoltura multifunzionale, orientata al mercato e al tempo stesso al servizio degli interessi della collettività. Con le riforme della PAC realizzate dal 1992 ad oggi si è cercato di conciliare gli obiettivi contrastanti di un'apertura ai mercati internazionali (si pensi ai negoziati di Doha dell'OMC), da un lato, e di elevati standard sociali (ad esempio in termini di tutela preventiva dei consumatori, tutela dell'ambiente e protezione degli animali), dall'altro. Il proseguimento di questa politica agricola dopo il 2013 richiede che la PAC continui a beneficiare di un finanziamento sufficiente.

4.2

Lo strumento dei pagamenti diretti all'agricoltura continuerà a rivestire un'importanza centrale nell'ambito della politica agricola comune. Il CESE ritiene che, se si vuole che la PAC sopravviva, il suo ruolo dovrà evolvere. La sua funzione di compensazione del calo dei prezzi istituzionali si ridurrà; d'altro canto dovrà assumere nuove funzioni nel garantire prestazioni nell'interesse della collettività e beni pubblici. Viste la crisi attuale e le prevedibili oscillazioni dei prezzi sui mercati agricoli, vengono ad assumere un'importanza ancor maggiore i compiti di stabilizzazione e di assicurazione della continuità di approvvigionamento. In tal modo la PAC risulterà utile anche ai consumatori. Oltre a ciò occorrerà anche tenere maggiormente conto degli aspetti riguardanti la salvaguardia dell'ambiente.

4.3

L'attuale binomio costituito dal «primo e secondo pilastro» della politica agricola andrebbe sostanzialmente mantenuto, garantendo però un migliore coordinamento. Occorre non solo assicurare nuovamente un'attuazione uniforme della PAC negli Stati membri, ma soprattutto definire con maggiore precisione le motivazioni e le finalità degli interventi, puntualizzando gli obiettivi perseguiti.

4.4

Il CESE si aspetta che dopo il 2013 vengano rimosse le differenze, determinate da ragioni storiche, nell'ammontare dei pagamenti diretti tra le aziende e gli Stati membri. In proposito occorrerà mettere a punto criteri obiettivi che tengano conto delle diverse condizioni strutturali, naturali e agroclimatiche. Dovranno essere inoltre considerate le notevoli differenze esistenti tra una regione e l'altra in termini di dotazione finanziaria per la promozione dello sviluppo rurale. A giudizio del CESE occorre evitare che l'attuazione della politica agricola comune a livello nazionale provochi ulteriori divergenze tra gli Stati membri.

4.5

Visto il forte crollo dei prezzi in alcuni importanti mercati agricoli, il CESE confida in misure efficaci intese ad assicurare una remunerazione più equa nella fase agricola della catena del valore.

Il CESE si attende inoltre conclusioni sugli adeguamenti delle reti di sicurezza per i mercati agricoli da decidere per l'avvenire alla luce delle esperienze della crisi globale.

4.6

Il CESE ritiene necessario continuare a sostenere - ad esempio attraverso investimenti volti a migliorare la qualità e la sicurezza dei prodotti alimentari o ad assicurare un impiego ecosostenibile delle risorse - il processo di adeguamento delle aziende agricole e dell'intero settore allo sviluppo del mercato e della concorrenza. Ancora più importante è però rafforzare la posizione di mercato degli agricoltori e delle organizzazioni di produttori. La futura PAC dovrà disporre di strumenti che consentano agli Stati membri di finanziare queste priorità in maniera sufficientemente flessibile.

4.7

Secondo il CESE, là dove la competitività delle aziende agricole risulta limitata, ad esempio nelle regioni svantaggiate e nelle zone di montagna, è necessario prevedere una compensazione ragionevole per assicurare che queste aree possano continuare a essere utilizzate a scopo agricolo anche in futuro. Nel caso dell'allevamento di bestiame da latte, praticato in circa il 60 % delle regioni svantaggiate dell'UE (di cui circa il 25 % è costituito da zone di montagna), è evidente che la rinuncia del sostegno dei prezzi da parte dello Stato e di altre regolamentazioni dei mercati agricoli può comportare una pressione economica particolarmente pesante per dette regioni svantaggiate.

4.8

Nella promozione dello sviluppo rurale andrebbe dedicata maggiore attenzione ai problemi demografici (ad esempio dotazione di infrastrutture e disponibilità di manodopera qualificata). Quando è a rischio l'esistenza stessa di interi rami produttivi (per es. zucchero, latte, tabacco) in determinate regioni tradizionali di produzione, si rendono necessarie particolari misure di adeguamento. Vanno inoltre tenuti presenti altri aspetti, come la sicurezza del lavoro.

4.9

L'eliminazione ufficiale della componente di incentivo rischia di svuotare le misure agroambientali della loro finalità. Per assicurare che gli agricoltori continuino a preferire queste misure di sostegno anche in avvenire, il CESE chiede che non solo vengano rimborsati i costi, ma che siano ricompensate adeguatamente anche le prestazioni degli agricoltori a favore della tutela dell'ambiente. Va sviluppato altresì un sistema che ricompensi gli agricoltori anche per il loro impegno attivo in favore della lotta contro i cambiamenti climatici e della protezione degli animali.

4.10

Il principio della «condizionalità», introdotto dapprima su base volontaria nel 2000 e quindi obbligatoriamente nel 2005, rappresenta un obbligo generale cui è subordinato il percepimento di pagamenti in funzione delle superfici. La Corte dei conti europea ha criticato la gestione un po' troppo superficiale di questo regime, e anche gli agricoltori e le autorità locali di controllo hanno mosso critiche per gli eccessivi oneri burocratici che esso comporta. Il CESE raccomanda cautela nell'ulteriore sviluppo del regime di condizionalità: qualsiasi proposta di modifica dei criteri previsti deve essere oggetto di una verifica per accertare se essa consenta un effettivo miglioramento.

Bruxelles, 30 settembre 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  (GU C 44 del 16.2.2008, pag. 60).


III Atti preparatori

Comitato economico e sociale europeo

456a sessione plenaria del 30 settembre e 1o ottobre 2009

23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/69


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo — Verso una strategia europea in materia di giustizia elettronica

COM(2008) 329 def.

2009/C 318/13

Relatore: Jorge PEGADO LIZ

La Commissione europea, in data 30 maggio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo - Verso una strategia europea in materia di giustizia elettronica»

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 9 settembre 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore PEGADO LIZ.

Alla sua 456a sessione plenaria, dei giorni 30 settembre e 1o ottobre 2009 (seduta del 30 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere all'unanimità.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie favorevolmente la comunicazione della Commissione Verso una strategia europea in materia di giustizia elettronica perché arriva al momento opportuno ed è stata elaborata e presentata in modo strutturato e argomentato. Ciò giustifica l'iniziativa del Comitato che ha deciso di pronunciarsi in materia, pur non essendo stato inizialmente interpellato in proposito.

1.2

L'accordo concluso nel frattempo tra Parlamento europeo, Consiglio e Commissione - menzionato nella risoluzione del Consiglio dei ministri della Giustizia e degli affari interni del 28 novembre 2008 -, relativo al piano d'azione da portare avanti in questo ambito fino al 2013, e le raccomandazioni sul campo d'applicazione dell'iniziativa e sul suo sviluppo futuro sono elementi fondamentali di cui tener conto nell'esame della questione.

1.3

In tale contesto il CESE prende atto degli orientamenti definiti per le azioni da attuare, ma lo fa sulla base di alcune premesse, in funzione di certi parametri e con alcune riserve, che il Comitato mette agli atti, per quanto riguarda le condizioni di attuazione e le modalità di applicazione dei suddetti orientamenti.

1.4

Il CESE richiama innanzitutto l'attenzione sulla necessità di delimitare più correttamente l'ambito proprio e specifico della giustizia elettronica, nel quadro di altre applicazioni delle nuove tecnologie informatiche a diversi aspetti del rapporto tra cittadino e amministrazione pubblica in generale.

1.5

Ricorda inoltre gli obiettivi ultimi della realizzazione della giustizia - la cosiddetta «giustizia giusta» -, in modo tale che iniziative lodevoli volte a semplificare e uniformare atti e procedimenti servano effettivamente gli interessi dei cittadini in generale e degli operatori economici e sociali in particolare, per quel che riguarda l'accesso alla giustizia, e siano accolte e auspicate dagli operatori giudiziari.

1.6

Esprime la sua preoccupazione in relazione alla possibilità che qualsiasi iniziativa in questo campo possa intaccare i diritti fondamentali dei cittadini europei, in particolare in materia di protezione dei dati, e raccomanda vivamente che le azioni da intraprendere siano sviluppate nel rispetto dei principi fondatori del diritto convenzionale internazionale e del diritto processuale civile nazionale comuni agli Stati europei.

1.7

Invita la Commissione a tenere sempre nella dovuta considerazione, in applicazione del principio di sussidiarietà, le specificità e le caratteristiche peculiari dei diversi diritti nazionali - le quali rispecchiano modelli culturali e valori nazionali che vanno preservati - e anche, in linea con il principio di proporzionalità, il rapporto costi/benefici per ogni nuova iniziativa.

1.8

Per questo motivo raccomanda che durante l'attuazione delle varie iniziative programmate la Commissione tenga sempre presente la prospettiva del cittadino per quanto riguarda l'applicazione della giustizia, in modo che siano le tecnologie informatiche e delle comunicazioni (TIC) ad essere al servizio della giustizia e non viceversa.

1.9

Suggerisce in particolare cautele speciali e una maggiore prudenza per quel che riguarda l'introduzione di meccanismi di dematerializzazione dei procedimenti giudiziari, in modo da garantire sempre i requisiti di forma e quelli di durata nel tempo dei supporti utilizzati, requisiti che sono garanti della certezza e sicurezza giuridiche.

1.10

Da ultimo, incita il Parlamento europeo e il Consiglio a seguire da vicino l'attuazione delle varie azioni programmate, controllando la loro applicazione alla luce dei valori e dei modelli che informano le loro rispettive risoluzioni, valori e modelli che il CESE condivide in pieno.

2.   Introduzione e nota esplicativa

2.1   Il tema della giustizia elettronica è stato affrontato per la prima volta in modo sistematico durante la presidenza italiana del secondo semestre del 2003, nel quadro di un convegno organizzato congiuntamente dal ministero della Giustizia italiano e dal Consiglio d'Europa. Nelle conclusioni di questo convegno si affermava che «in particolare, le discussioni sui vantaggi, le opportunità e i pericoli di Internet ci riportano in definitiva alla nostra preoccupazione di avere diritti e valori sanciti, soprattutto, dalle convenzioni del Consiglio d'Europa sui diritti dell'uomo e la protezione dei dati» (1).

2.2   Negli anni successivi vari Stati membri hanno sviluppato, ma in modo non coordinato, i loro propri sistemi di giustizia elettronica, alcuni dei quali basati su un'approfondita elaborazione teorica e una notevole cura per gli aspetti pratici (2).

2.3   A livello comunitario si è iniziato ad esaminare questo tema nell'ambito dell'e-government e, in particolare, sulla scia dei documenti eEuropa 2002 ed eEuropa 2005, approvati rispettivamente dal Consiglio europeo di Feira del 2000 e da quello di Siviglia del 2002, e nel quadro del documento sulla strategia i2010 (3).

2.3.1

D'altronde il progetto giustizia elettronica è stato lanciato nell'ambito del 6o programma quadro come uno dei primi «progetti integrati», ma con obiettivi ancora molto limitati e sperimentali. Tuttavia è stato soltanto durante la riunione informale dei ministri della Giustizia, tenutasi a Dresda nel gennaio 2007, che questo tema è stato delineato in modo specifico, per essere poi sviluppato nel convegno Work on e-Justice tenutosi nel maggio di quello stesso anno (4) a Brema.

2.4   Tuttavia, questo tema ha ricevuto effettivamente un impulso maggiore (5) durante la presidenza portoghese, sia nella riunione informale dei ministri della Giustizia e degli affari interni del 1o e 2 ottobre 2007 - che ha definito le questioni centrali delle future opzioni -, sia nel Consiglio Giustizia e affari interni del 6 e 7 dicembre 2007 - in cui si è fatto il punto sui lavori fino ad allora realizzati e si è stabilito che essi dovessero essere completati entro il primo semestre del 2008 -, sia infine nelle conclusioni del Consiglio dei ministri del 14 dicembre 2007 - dove i progressi realizzati nel campo della giustizia elettronica sono stati accolti con soddisfazione ed è stato rivolto l'invito a continuare i lavori.

2.5   È in seguito a questo impulso che la Commissione ha elaborato la comunicazione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo adesso all'esame, senza tuttavia procedere alla consultazione del CESE, il quale, rendendosi conto di ciò, ha deciso di prendere l'iniziativa di pronunciarsi in merito alla comunicazione.

2.6   È vero che nel frattempo sia il Parlamento europeo (6) che il Consiglio (7) hanno già avuto l'opportunità di prendere posizione in merito a tale comunicazione, in particolare per quel che concerne il piano d'azione ad essa allegato. Tuttavia, considerando che si tratta di un programma di misure da attuare nell'arco di un quinquennio, si reputa che le osservazioni e raccomandazioni formulate in appresso non siano inutili, dato che esse costituiscono un contributo dei rappresentanti della società civile, particolarmente interessati e toccati dalle iniziative da realizzare, e che esse potrebbero essere eventualmente prese in considerazione in fase di attuazione delle varie misure previste (8).

3.   Breve sintesi della comunicazione della Commissione  (9)

4.   Osservazioni generali

4.1   Il CESE sostiene le linee generali dell'iniziativa della Commissione, adesso completata dalle proposte del Parlamento europeo e dagli orientamenti del Consiglio.

4.1.1

Il sostegno è dato tuttavia sulla base di alcune premesse, in funzione di certi parametri e con alcune riserve.

4.2   Innanzitutto, è indispensabile delimitare correttamente l'ambito della «giustizia elettronica». Per quanto riconducibile a concetti più ampi come «democrazia elettronica» e «governance elettronica» - di cui forma parte e parte integrante -, per quanto strettamente legata al «diritto elettronico» - il cui obiettivo è quello di agevolare l'accesso digitale ai testi legali (siano essi di diritto sostanziale o processuale, di hard law o di soft law) e alla loro elaborazione in tempo reale, nonché di facilitare l'accesso alla giurisprudenza forense e alle decisioni amministrative -, la «giustizia elettronica» deve essere circoscritta agli aspetti giudiziari dell'applicazione della giustizia nell'ambito del diritto civile, commerciale e forse amministrativo, vale a dire, alle prassi e ai procedimenti giurisdizionali, comprese le procedure arbitrali (10).

4.3   D'altro canto, occorre tenere ben presente che in qualsiasi programma concernente l'applicazione della giustizia il valore supremo non è rappresentato dalla celerità della giustizia, dalla sua efficacia, dal suo costo o dalla sua semplificazione, bensì dalla GIUSTIZIA GIUSTA (11), nel totale rispetto dei diritti fondamentali, specialmente la protezione dei dati personali dei cittadini.

4.3.1

Con questa osservazione si intende mettere in guardia contro tutti gli eccessi che, nell'interesse della semplificazione, dell'efficacia, della riduzione dei costi o della rapidità, pregiudichino quel valore fondamentale della giustizia e che, invece di facilitare l'accesso alla giustizia, lo rendano più difficile o complesso.

4.4   È altrettanto importante che una determinata e auspicabile dematerializzazione o semplificazione degli atti processuali e l'uniformazione dei metodi e delle procedure di lavoro non snaturino ciò che è necessariamente diverso e non eliminino, assieme agli elementi superflui ed accidentali, ciò che è essenziale e non è tenuto ad essere, né deve eventualmente essere, uguale.

4.4.1

È fondamentale garantire che qualsiasi programma di applicazione delle tecnologie informatiche vada realmente incontro alle necessità sia dei cittadini europei in generale, sia degli operatori economici e sociali in particolare, sia infine degli operatori giudiziari, e non possa essere concepito contro i loro interessi.

4.4.2

È inoltre indispensabile garantire che qualsiasi sistema che verrà introdotto o sviluppato non consenta eventuali interferenze di terzi, per dolo o semplice negligenza, tali da compromettere la sicurezza e l'affidabilità d'uso, oppure la modificabilità totale o parziale dei dossier e del loro contenuto.

4.5   Occorre poi tenere sempre presente un'altra preoccupazione, legata alle diverse formalità che possono sembrare eccessive e superflue agli occhi dei profani, ma che contribuiscono in modo essenziale alla considerazione generale in cui sono tenuti i giudici e l'atto del giudicare, oppure costituiscono una garanzia del rispetto dei diritti fondamentali nell'applicazione della giustizia (12).

4.6   È opportuno far osservare che il diritto processuale, in quanto diritto accessorio, è sussidiario del diritto sostanziale e quest'ultimo è il prodotto delle differenze culturali dei vari Stati membri; da ciò consegue che - non essendo possibile, né auspicabile, né opportuna un'uniformazione del diritto sostanziale dei diversi paesi - non si potrà né si dovrà procedere all'uniformazione di aspetti basilari, evidentemente diversi, dei procedimenti giudiziari da esso derivati, pena la violazione dei diritti sostanziali che tali procedimenti devono tutelare e garantire.

4.7   Poiché il diritto - e in special modo il diritto processuale - è un insieme di strumenti di tecnica giuridica, finalizzati all'applicazione della giustizia, il cui utilizzo è riservato ai tecnici del diritto con una formazione ad hoc e un'esperienza professionale adeguata, è naturale che per la sua definizione e il suo utilizzo si usi il linguaggio tecnico specifico di questi professionisti.

4.7.1

Una tendenza esagerata a rendere tale linguaggio «semplice» e «accessibile a tutti in generale» può condurre a una perdita di rigore e di significato tecnico, il quale a sua volta non è e non deve essere necessariamente lo stesso in tutti i diritti nazionali.

4.7.2

Anche in questo caso, occorre innanzitutto ricercare, più che un'uniformità, una «tabella di equivalenze» o un «quadro comune di riferimento» tra i vari strumenti giudiziari.

4.8   Infine, si ritiene che la messa in opera efficace di qualsiasi sistema di applicazione delle nuove tecnologie alla giustizia richieda preliminarmente che sia garantita la sua conformità alle necessità e agli obiettivi dell'organizzazione, la sua compatibilità con i sistemi informatici esistenti, la previa verifica dei procedimenti vigenti e la possibilità di adattare questi sistemi, in tempi rapidi e a basso costo, a nuove circostanze e nuovi obiettivi.

4.8.1

Occorrerà valutare in modo più approfondito il rapporto costo/benefici generale dell'intera iniziativa, sia nell'insieme che in ogni fase della sua attuazione, visto che nella corrispondente analisi d'impatto preparata dai servizi della Commissione (peraltro disponibile, a quanto risulta, soltanto in una delle lingue ufficiali dell'UE) tale rapporto non viene quantificato. Anzi, si riconosce esplicitamente che «i relativi costi sono certi, ma non possono essere stimati» e possono essere determinati soltanto «caso per caso», mentre per quanto riguarda i benefici «in generale l'impatto economico è difficile da quantificare, anche se incontestabile». Queste considerazioni sono caratterizzate da una notevole soggettività, che è difficilmente accettabile in un progetto di questa portata (13).

5.   Osservazioni particolari

5.1   Poiché il processo è un insieme di atti (processuali) che devono tradursi in una documentazione, per motivi di sicurezza e certezza giuridiche e di garanzia dei diritti delle parti, la questione di un supporto durevole che copra tutto il processo pone dei limiti all'oralità e alla dematerializzazione di tali atti in uno Stato di diritto.

5.1.1

È questa la prospettiva in cui vanno analizzati e valutati certi aspetti delle azioni programmate nella «strategia globale» della comunicazione.

5.2   Per quanto riguarda il portale giustizia elettronica, il CESE ritiene che la sua creazione dovrà essere preceduta da una formazione rigorosa di tutti gli operatori giudiziari (giudici, pubblici ministeri, funzionari giudiziari, autorità amministrative, funzionari governativi e tutte le professioni del settore), in modo che detto portale rappresenti uno strumento utile e pratico per tutte le parti coinvolte.

5.2.1

Secondo il CESE, il portale potrà costituire un centro d'informazione e di servizi giudiziari, oltre che uno spazio di utile collegamento tra cittadini, imprese e operatori giudiziari per aiutare a risolvere i problemi giuridici.

5.2.2

Il CESE reputa che il portale potrà essere uno strumento utile e pratico di uso quotidiano per tutti gli operatori giudiziari; a tale scopo, tuttavia, è fondamentale garantire la fedeltà e l'autenticità delle informazioni in esso contenute ed è auspicabile che siano previsti diversi livelli di accesso e diritti di accesso conformi al tipo d'informazione in questione, come forma di tutela delle parti coinvolte.

5.2.3

Il portale deve inoltre funzionare come un punto di accesso alla legislazione comunitaria e nazionale, a somiglianza della rete giudiziaria europea civile e commerciale (14); l'accesso deve essere libero per il pubblico e permettere una migliore consulenza e assistenza giuridica generale per i problemi giuridici.

5.3   Per quanto riguarda lo strumento della videoconferenza, il CESE è dell'avviso che occorra realizzare un rigoroso controllo di tutti i tribunali degli Stati membri (15), in modo da verificare se vi siano presenti o meno apparecchiature audiovisive che consentano di generalizzare l'utilizzo di questo strumento, dato che attualmente non si ha la certezza che tutti gli Stati membri abbiano dotato i propri tribunali del materiale necessario per le videoconferenze, né che esso sia compatibile o semplicemente funzionante (16).

5.3.1

Inoltre, quando l'obiettivo è l'acquisizione di prove testimoniali o la comunicazione di atti o decisioni giudiziarie, il CESE ritiene necessaria una vera armonizzazione legislativa in materia di deposizioni e di videoconferenze tra i vari Stati membri, in modo da evitare interpretazioni e applicazioni divergenti della legislazione in materia. Senza la necessaria articolazione legislativa, lo strumento della videoconferenza si scontrerà con ostacoli legali e persino culturali nei vari Stati membri.

5.3.2

Se lo strumento della videoconferenza sarà adottato secondo le modalità proposte, il CESE ritiene che i tribunali interessati dovranno sempre richiederlo; in questo caso, il CESE riconosce che il portale può essere di aiuto nell'uso della videoconferenza tra i tribunali interessati, in quanto racchiude tutti gli elementi necessari a questo scopo (17).

5.4   In merito alla cooperazione tra autorità competenti per quanto riguarda in particolare l'interconnessione dei casellari giudiziari, il CESE ritiene che, trattandosi di un argomento delicato, questa cooperazione dovrà obbedire ai requisiti più rigorosi in materia di sicurezza e protezione dei dati, in modo da garantire il rispetto della vita privata dei cittadini (18).

5.4.1

Tuttavia, il CESE è dell'avviso che occorra anche esaminare in via preliminare le legislazioni nazionali e le condizioni materiali di ogni Stato membro, affinché, in una materia così delicata, non esistano applicazioni difformi e trattamenti divergenti in relazione allo scambio di informazioni in materia penale.

5.5   Per quanto riguarda gli strumenti di ausilio alla traduzione, il CESE richiama l'attenzione sul fatto che il portale giustizia elettronica dovrà essere plurilingue e dovrà mettere a disposizione informazioni in tutte le lingue dell'UE. Per essere utile, un sistema di traduzione automatica dovrà essere in grado di tradurre in tempo reale il contenuto delle pagine web, in modo da essere accessibile ai cittadini dell'UE.

5.5.1

Quale forma di aiuto per gli operatori giudiziari, il portale giustizia elettronica potrà contenere una base di dati di traduttori e interpreti giudiziari, nonché tutti i formulari necessari, correttamente tradotti nel linguaggio proprio del sistema giuridico di ogni Stato membro.

5.5.2

I costi presumibilmente enormi che comporterebbe un sistema efficace di traduzione automatica e in tempo reale in tutte le lingue comunitarie devono essere attentamente valutati in termini di fattibilità e proporzionalità in rapporto ai risultati che esso può raggiungere e alla sua utilizzazione pratica.

5.6   Le iniziative da trattare con riserve e cautele speciali sono quelle riguardanti in particolare la totale dematerializzazione del procedimento europeo d'ingiunzione di pagamento (19) o del procedimento europeo per le controversie di modesta entità (20) e, soprattutto, la creazione di altri «procedure europee interamente elettroniche», le citazioni o notificazioni di atti giudiziari per via esclusivamente elettronica, il pagamento on line delle spese giudiziarie o l'autenticazione elettronica dei documenti.

5.6.1

In tutti questi casi, il CESE consiglia la massima prudenza nell'introduzione delle misure e un'attenta valutazione del rapporto costi/benefici, oltre all'imposizione di lunghi periodi di sperimentazione e collaudo prima della loro adozione generalizzata, chiedendo che vi siano sempre garanzie assolute della loro conformità alle norme di diritto processuale comuni agli Stati di diritto.

Bruxelles, 30 settembre 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Convegno Strategie di rete e giustizia in Europa, Roma, 13 e 14 novembre 2003.

(2)  A questo riguardo vanno citati il caso del Belgio e quello del Portogallo. Della commissione belga incaricata di attuare il progetto «e-justice» hanno fatto parte le personalità accademiche e i giuristi più importanti, tra cui spiccano il prof. George de Leval (per quel che riguarda i modi per avviare i procedimenti e i mezzi di comunicazione tra gli operatori del settore giudiziario) e il prof. Yves Poullet (per quel che concerne il regime probatorio). Il secondo esempio è quello del Portogallo dove, in particolare sulla spinta dei risultati di una profonda riflessione sul tema Para um novo judiciário: qualidade e eficiência na gestão dos processos cíveis («Per un nuovo sistema giudiziario: qualità ed efficienza nella gestione dei procedimenti civili») - realizzata nel quadro dell'Osservatorio permanente della giustizia portoghese, sotto la direzione del prof. Boaventura de Sousa Santos e con il coordinamento della prof. Conceição Gomes - si è realizzato uno studio approfondito sull'introduzione delle nuove tecnologie nei vari momenti e nelle varie fasi dei procedimenti giudiziari.

(3)  COM(2005) 229 def. del 1o giugno 2005. Cfr. il parere del CESE pubblicato sulla GU C 110 dell'8.5.2006 (relatore: Göran Lagerholm).

(4)  È significativo che ne Il programma dell'Aia: dieci priorità per i prossimi cinque anni (COM(2005) 184 def. del 10 maggio 2005) non si faccia ancora alcuna menzione dell'utilizzo delle nuove tecnologie applicate alla giustizia. La mancanza di obiettivi ambiziosi in questo programma è stata inoltre evidenziata nel relativo parere del CESE (relatore: Luis Miguel Pariza Castaños), pubblicato sulla GU C 65 del 17.3.2006. Cfr. la recente Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo - Relazione sull'attuazione del programma dell'Aia per il 2007 (COM(2008) 373 def.), del 2 luglio 2008, secondo cui «il bilancio globale è piuttosto insoddisfacente».

(5)  A questo riguardo occorre fare riferimento alla decisione n. 1149/2007/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 settembre 2007, che istituisce il programma specifico Giustizia civile per il periodo 2007-2013 nell'ambito del programma generale Diritti fondamentali e giustizia (GU L 257 del 3.10.2007).

(6)  Cfr. la risoluzione del Parlamento europeo del 18 dicembre 2008 recante raccomandazioni alla Commissione sulla giustizia elettronica (relatrice: Diana WALLIS - 2008/2125(INI) - T6-0637/2008) e il parere della Commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni (relatore: Luca ROMAGNOLI) del 5 novembre 2008.

(7)  Cfr. il comunicato stampa relativo alla 2908a sessione del Consiglio Giustizia e affari interni del 27 e 28 novembre 2008 (16325/08) e, per riferimento, il doc. 15315/08 del 7 novembre 2008 della presidenza per il Coreper/Consiglio (Jurinfo 71, JAI 612, Justciv 239, COPEN 216).

(8)  Peraltro, ciò traspare chiaramente dagli interventi e dalle discussioni svoltesi nel quadro del Forum per la cooperazione giudiziaria in materia civile, tenutosi il 2 dicembre 2008 a Bruxelles nella sede del Parlamento europeo nell'ambito della presidenza francese (cfr. in particolare la Sessione II - Giustizia elettronica: uno strumento per i cittadini, i giuristi e le imprese).

(9)  Per motivi concernenti i limiti imposti alla lunghezza dei pareri, la sintesi che doveva presentare il riassunto della comunicazione della Commissione viene omessa e si rimanda il lettore alla comunicazione stessa, così come alle risoluzioni del PE e del Consiglio ad essa relative.

(10)  Ad esclusione tuttavia dei meccanismi di composizione stragiudiziale delle controversie che, sebbene tesi alla risoluzione delle vertenze, non rientrano nell'ambito dell'applicazione della giustizia, bensì in quello della semplice composizione stragiudiziale e volontaria di interessi contrapposti.

(11)  Definita in modo esemplare nel brocardo latino Justitia est constans et perpetua voluntas jus suum cuique tribuendi («La giustizia è la costante e perpetua volontà di dare a ciascheduno il suo diritto»).

(12)  Ci si riferisce in particolare ai cosiddetti «principi basilari» del diritto processuale, tra cui spiccano le «garanzie del giusto processo», che implicano l'imparzialità della corte, l'uguaglianza delle parti, il principio dispositivo e quello della disponibilità delle parti, la garanzia del contraddittorio, la pubblicità del processo, il diritto alla prova, la continuità del procedimento e la garanzia dell'effettiva citazione o notificazione di tutti gli atti processuali (cfr. Miguel Teixeira de Sousa, Estudos sobre o Novo Processo Civil [«Studi sul nuovo processo civile»], Ed. LEX Lisbona, 1997).

(13)  Cfr. Document de travail des services de la Commission - Annexe au projet de Communication de la Commission présentant une stratégie européenne en matière d'e-Justice - Analyse d'impact (Documento di lavoro dei servizi della Commissione - Allegato al progetto di comunicazione della Commissione per una strategia europea in materia di giustizia elettronica - Valutazione d'impatto) SEC(2008)1947 def. (non disponibile in italiano) del 30 maggio 2008, punti 5.3.2 e 5.3.3, pagg. 30 e 31.

(14)  Soprattutto in considerazione del fatto che, con la recente proposta di decisione della Commissione che modifica la decisione 2001/470/CE, il suo utilizzo è ora consentito solo agli operatori giudiziari (cfr. GU C 175 del 28.7.2009, pag. 84; relatrice: María Candelas Sánchez Miguel).

(15)  Nel frattempo la presidenza ceca del Consiglio ha già chiesto agli Stati membri tutte le informazioni sulle apparecchiature audiovisive disponibili nei loro tribunali e ha pubblicato tutte le risposte ricevute in un documento riassuntivo intitolato Summary of the replies of the EU Member States to the request of the Czech Minister of Justice for information on National videoconferencing equipment in the judiciary («Sintesi delle risposte inviate dagli Stati membri dell'UE alla richiesta di informazioni avanzata dal ministro ceco della Giustizia sulle apparecchiature nazionali di videoconferenza nel sistema giudiziario»).

(16)  La questione dell'interoperabilità dei sistemi ha inoltre richiamato l'attenzione della Commissione (COM(2008) 583 def.) ed è stata trattata nel parere del CESE (GU C 218 dell'11.9.2009, pag. 36, relatore: Antonello Pezzini), a cui si rinvia per le osservazioni in esso formulate e per l'elenco circostanziato di vari altri pareri del CESE dedicati a questa tematica.

(17)  Si segnalano i lavori già realizzati dal gruppo Informatica giuridica (Giustizia elettronica) del Consiglio, costituiti in particolare dalla relazione d'attività del 15 maggio 2009 sull'elaborazione dei dati giuridici (DOC 9362/09), dal documento strategico sull'uso della videoconferenza (DOC 9365/09), dal manuale destinato agli addetti ai lavori (DOC 9863/09) e dall'opuscolo informativo per il pubblico (DOC 9862/09) - anch'essi recanti la data del 15 maggio 2009 -, in cui a giusto titolo vengono espresse preoccupazioni identiche a quelle del presente parere.

(18)  Cfr. il parere del garante europeo della protezione dei dati (GEPD) sulla comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo dal titolo Verso una strategia europea in materia di giustizia elettronica (2009/C 128/02), GU C 128 del 6.6.2009, pag. 13.

(19)  Regolamento (CE) n. 1896/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006, che istituisce un procedimento europeo d'ingiunzione di pagamento (GU L 399 del 30.12.2006, pag. 1).

(20)  Regolamento (CE) n. 861/2007 del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 luglio 2007, che istituisce un procedimento europeo per le controversie di modesta entità (GU L 199 del 31.7.2007, pag. 1).


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/74


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Medicinali sicuri, innovativi e accessibili: una nuova visione del settore farmaceutico

COM(2008) 666 def.

2009/C 318/14

Relatore: Joost van IERSEL

La Commissione, in data 10 dicembre 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Medicinali sicuri, innovativi e accessibili: una nuova visione del settore farmaceutico»

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 9 settembre 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore van IERSEL.

Alla sua 456a sessione plenaria, dei giorni 30 settembre e 1o ottobre 2009 (seduta del 30 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 170 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

La comunicazione in esame (1) si propone di definire un calendario a lungo termine per la realizzazione di un mercato unico europeo per il settore farmaceutico (2), che a sua volta dovrebbe creare un ambiente sostenibile per l'industria farmaceutica in Europa e nel mondo, rispondendo così alle aumentate esigenze dei pazienti.

1.2

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che la comunicazione, sebbene fornisca un quadro generale indispensabile e presenti diversi obiettivi di grande validità, rimanga un po' troppo cauta e ambigua circa il modo in cui il programma dovrebbe essere eseguito.

1.3

Il settore farmaceutico dipende fortemente dalla situazione della sanità pubblica e dalla situazione finanziaria degli Stati, e deve far fronte alle sfide derivanti dalle aumentate esigenze e aspettative della cittadinanza e dei pazienti e dalla crescente concorrenza mondiale. L'attuale crisi, insieme alle conseguenti restrizioni di bilancio, si ripercuoterà inevitabilmente anche sul futuro del settore farmaceutico.

1.4

Per il CESE questi fattori rendono ancora più urgente l'adozione da parte del Consiglio di un'ampia agenda, attraverso cui rispondere alle suddette sfide sulla base di una prospettiva strategica concordata. L'obiettivo dell'UE dovrebbe essere quello di creare le condizioni per garantire al settore farmaceutico europeo di salvaguardare la propria posizione sul piano interno e di svilupparsi a livello mondiale.

1.5

Una prospettiva comune comporta che l'attuale sistema, fondato su competenze principalmente nazionali, che fanno del libero accesso ai medicinali e del completamento del mercato interno nel settore un obiettivo assai remoto, seppure auspicabile, sia progressivamente sostituito da pratiche convergenti e approcci comuni, nell'interesse dei pazienti europei, dell'industria farmaceutica e dell'intero settore sanitario.

1.6

Il CESE ritiene che le disposizioni nazionali dovrebbero dedicare maggiore considerazione alla dimensione europea. Le condizioni finanziarie e sanitarie nazionali dovrebbero in particolare tenere conto degli imponenti costi di un'attività di ricerca, sviluppo e innovazione rivolta al futuro e della grande importanza che essa riveste per il settore.

1.7

Il CESE si compiace della Iniziativa per la medicina innovativa prevista dal Settimo programma quadro. Si dichiara inoltre a favore dell'adozione di un brevetto comunitario in questo campo. Giudica utile un sistema europeo di risoluzione delle controversie. Osserva che si dovrebbe migliorare ulteriormente il funzionamento dell'Ufficio europeo dei brevetti.

1.8

I farmaci generici costituiscono un'opportunità di risparmio nel settore sanitario. Il CESE è favorevole allo sviluppo di mercati competitivi dei prodotti non coperti da brevetto. Il Consiglio dovrebbe trovare i modi per liberare il considerevole potenziale di risparmio che esiste in questo campo.

1.9

Per avere farmaci accessibili e a prezzo conveniente occorre riprendere la discussione relativa ai temi interconnessi delle grandi differenze di prezzo dei medicinali in Europa, dell'accessibilità, del commercio parallelo e del principio della non extraterritorialità. Questa discussione dovrebbe anche prendere in considerazione «una proposta contenente appropriate misure tendenti all'abolizione delle barriere ancora esistenti o delle distorsioni al libero movimento delle specialità medicinali» (3).

1.10

Il CESE giudica nel momento attuale che per promuovere una maggiore convergenza bisognerebbe introdurre il metodo aperto di coordinamento, assegnare alla Commissione un ruolo di sorveglianza, adottare buone pratiche e utilizzare dati trasparenti, come è prassi corrente nel quadro della strategia di Lisbona. Per mettere nella giusta prospettiva le sfide e le opportunità del settore, tali dati dovrebbero comprendere anche cifre e tendenze su scala mondiale e il relativo impatto.

2.   Introduzione

2.1

A causa del fatto che in campo farmaceutico le competenze sono ripartite tra la Commissione e gli Stati membri, da parecchio tempo manca una prospettiva generale europea riguardo al settore. Le istituzioni europee si sono concentrate per lo più sul miglioramento dell'accesso al mercato e sulle questioni di regolamentazione.

2.2

Le reticenze rilevate a livello dell'UE sono dovute al fatto che il settore sanitario occupa una posizione speciale e che dappertutto prevalgono i sistemi sanitari e le competenze nazionali. Nondimeno sia la Commissione che gli Stati membri hanno sempre più sottolineato l'esigenza di condizioni quadro europee per questioni sanitarie ben definite.

2.3

Per un settore che dipende da investimenti a lungo termine, trainati dalla ricerca e dall'innovazione, sono indispensabili condizioni e obiettivi europei. Ciò è ancora più importante perché:

il settore farmaceutico dipende fortemente dalle attività di ricerca e sviluppo e da prodotti nuovi e innovativi,

la concorrenza esterna, anche dei paesi asiatici emergenti, aumenta.

2.4

Il mercato unico rende necessari forti investimenti. È comprensibile che la Corte di giustizia delle Comunità europee abbia chiesto in varie sentenze la realizzazione di un mercato unico in questo settore, soprattutto nell'interesse dei pazienti. Questo mercato interno viene fortemente ostacolato dall'esistenza di 27 sistemi sanitari, ognuno con le proprie tradizioni e regolamentazioni e i propri prezzi.

2.5

Ancora nel 1996 il commissario allora competente per lo Sviluppo industriale, Bangemann, ha organizzato con tutte le parti interessate tre tavole rotonde dedicate al completamento del mercato interno dei prodotti farmaceutici. La consultazione è stata seguita da numerose altre analoghe. E in effetti, la formula eterogenea delle tavole rotonde, composte di rappresentanti di governi, imprese farmaceutiche e altre parti interessate, garantisce un'ampia varietà di vedute e di approcci nazionali.

2.6

Dal canto suo, il CESE ha lanciato a più riprese una serie di proposte concrete. I principali argomenti erano la libera circolazione dei prodotti farmaceutici nell'UE, l'esigenza di mettere sotto controllo la spesa farmaceutica negli Stati membri e la richiesta di un'industria farmaceutica forte nell'interesse della crescita e dell'occupazione in Europa (4). Rimane ancora molto da fare per realizzare dei progressi in questi campi.

2.7

La posizione degli Stati membri è essenziale. Le caratteristiche strutturali e organizzative dei sistemi sanitari nazionali sono determinanti per i prezzi, i rimborsi e l'accesso ai farmaci in Europa.

2.8

Malgrado le differenze di opinione e l'esigenza di salvaguardare le competenze nazionali, il Consiglio ha adottato dal 1965 a ora tutta una serie di misure legislative sulla pubblica sanità e sui prodotti farmaceutici, nell'ottica di migliorare le condizioni per i pazienti e le prestazioni sanitarie.

2.9

Nel 2001 è stato deciso di rendere più strutturato il dibattito istituendo un gruppo ristretto di parti interessate, il G-10 (5). Nel maggio 2002 il G-10 ha presentato 14 raccomandazioni generali a titolo di prospettiva strategica per il settore farmaceutico e negli anni successivi un certo numero di tali raccomandazioni sono state attuate.

2.10

Nel 2005 è stato costituito il Forum farmaceutico di alto livello, per attuare le rimanenti raccomandazioni del G-10, e tre gruppi di lavoro sono stati incaricati di elaborarne di nuove.

2.11

Tale processo si è concluso nell'ottobre 2008, allorché il Forum ha adottato le proprie conclusioni e raccomandazioni in materia di informazione dei pazienti, efficacia relativa e prezzi e rimborsi.

2.12

In tali conclusioni e raccomandazioni veniva sottolineata l'interconnessione tra, da un lato, la tecnologia e l'innovazione in un mercato dinamico competitivo e, dall'altro, le garanzie di qualità, il libero accesso ai prodotti farmaceutici, l'informazione attendibile dei pazienti e politiche efficaci in materia di determinazione dei prezzi e di rimborso.

2.13

Il Forum farmaceutico è in particolare giunto alla conclusione che sia la strategia di Lisbona per il rafforzamento della competitività europea che le dinamiche e le sfide del settore farmaceutico mondiale richiedono in questo momento un approccio approfondito e una visione a lungo termine del settore.

2.14

Per la prima volta il Settimo programma quadro ha definito un'agenda comune di ricerca per l'industria farmaceutica. Tale agenda comprende un numero considerevole di progetti farmaceutici innovativi, volti a stimolare le reti internazionali di ricerca esistenti e potenziali (6).

2.15

Nel frattempo gli effetti della globalizzazione divengono tangibili. Alla luce degli impressionanti risultati ottenuti dalla ricerca statunitense e da quella cinese e di altre economie emergenti, per l'industria europea sarà in fin dei conti decisivo il fatto che le imprese del settore siano esposte all'innovazione.

2.16

Dopo l'attuale crisi economica il mondo sarà differente. La situazione economica, la contrazione dei bilanci nazionali e il rafforzamento di altri soggetti globali in Asia avranno ripercussioni sulle condizioni di concorrenza. Qualsiasi politica futura per il settore della sanità e l'industria farmaceutica dovrà tenere nella dovuta considerazione questi fattori.

2.17

Il CESE giunge alla conclusione che negli ultimi dieci anni si è avuta una moltiplicazione di reti e di scambi che hanno condotto, in una certa misura, a una convergenza di vedute tra numerose parti in causa. Malgrado questi progressi permangono però delle lacune dovute alle differenze tra le varie legislazioni e sistemi sanitari. Il libero accesso ai prodotti farmaceutici rimane limitato e non esiste un mercato unico per questo settore.

3.   Le opinioni della Commissione

3.1

Nel dicembre 2008 la Commissione ha presentato una comunicazione strategica sul settore farmaceutico, in cui vengono definiti i principi e gli obiettivi, come pure le prospettive a lungo termine del settore e le sfide globali.

3.2

Tale comunicazione ha fornito il quadro di riferimento per le proposte legislative del pacchetto complessivo del dicembre 2008 e in generale per il futuro.

3.3

Uno degli elementi nuovi è costituito dalla grande attenzione per gli aspetti esterni, come la contraffazione, il commercio, le nuove malattie e la crescente importanza delle economie emergenti.

3.4

La comunicazione individua in particolare tre questioni, che affronta con cinque proposte legislative allegate alla comunicazione stessa: la contraffazione di prodotti farmaceutici, la farmacovigilanza e l'informazione dei pazienti (7).

3.5

Ancora una volta viene sottolineata l'importanza cruciale del settore farmaceutico per l'Europa in termini di ricerca e sviluppo, crescita e occupazione, e salute pubblica.

3.6

Si rileva tuttavia che per mantenere un settore farmaceutico vitale e sostenibile l'Europa continua a dover far fronte a importanti sfide sanitarie, scientifiche ed economiche:

la perdita di terreno rispetto agli Stati Uniti e all'Asia in materia di ricerca, sviluppo e innovazione,

nell'UE persistono disuguaglianze tra i pazienti per quanto riguarda la disponibilità e l'accessibilità economica dei farmaci,

cresce la divisione internazionale del lavoro, anche per quanto riguarda la ricerca, le prove cliniche, la manifattura e la commercializzazione,

occorre avere un ruolo di avanguardia in campo scientifico per rispondere alle sfide ancora aperte in materia di salute pubblica e per aprire nuovi mercati per i medicinali prodotti nell'UE.

3.7

La Commissione ritiene che sia più che mai urgente migliorare ulteriormente il funzionamento del mercato interno dei prodotti farmaceutici, per stabilizzare e rafforzare la posizione mondiale dell'Europa.

3.8

A tale scopo essa ha definito 25 obiettivi nei seguenti campi: (a) un mercato unico e duraturo dei medicinali, (b) cogliere le occasioni e le sfide della mondializzazione e (c) migliorare l'ambiente per la scienza e l'innovazione.

3.9

La comunicazione presenta un quadro coerente delle sfide interne e mondiali e degli approcci che sarebbe utile seguire e su tale base si dovrebbe stabilire un'agenda a lungo termine per il settore.

4.   Osservazioni generali

4.1   Il CESE riconosce l'esigenza di un approccio a vasto raggio per il settore farmaceutico europeo in una prospettiva globale.

4.2   La comunicazione viene presentata come una «nuova visione». Per quanto tale nuova visione fosse auspicabile, e malgrado l'ampia consultazione di numerose parti in causa, il risultato appare alquanto deludente. Mancano infatti un'analisi generale delle carenze del mercato interno e un approccio proattivo in termini di raccomandazioni politiche alla luce delle esigenze dei pazienti e dell'industria.

4.3   L'Europa ha perso terreno nell'innovazione farmaceutica. La globalizzazione del settore si traduce in nuove opportunità e nuove sfide. Opportunamente vengono presentate insieme le due questioni della mancanza di libero accesso ai medicinali in Europa e della necessità di avanzamenti scientifici che rispondano al progresso medico e alle sfide globali nel campo della salute pubblica. Rimane però da chiarire quali azioni debbano essere intraprese dagli Stati membri e nell'UE in risposta a queste sfide.

4.4   A giudizio del CESE urge migliorare il funzionamento di un mercato unico duraturo dei medicinali: si tratta infatti di una condizione preliminare per mantenere in Europa un'industria farmaceutica redditizia e altamente innovativa, al fine di rispondere alle accresciute esigenze della popolazione e alle sfide globali.

4.5   La comunicazione offre una cornice appropriata per la cooperazione in campo normativo e per i negoziati con un numero crescente di paesi terzi, come gli Stati Uniti, il Giappone, il Canada, la Russia, l'India e la Cina. Grazie alla cooperazione e ai negoziati con paesi terzi si creerà una prospettiva duratura per le esportazioni europee.

4.6   Un mercato interno ben funzionante costituisce un requisito indispensabile nel contesto internazionale. Nei fatti però il mercato rimane frammentato a causa delle differenze tra i prezzi e i regimi di rimborso nazionali, dei (nuovi) oneri amministrativi, delle lacune nell'attuazione della legislazione comunitaria, delle disparità di accesso e della mancanza di interesse commerciale dei mercati nazionali meno attraenti sul piano economico.

4.7   Inoltre l'UE si è ingrandita, raggiungendo in un tempo assai breve la cifra di 27 Stati membri, ognuno dei quali ha caratteristiche specifiche che si aggiungono al quadro complessivo, non da ultimo a causa delle aumentate differenze nei mercati e nelle esigenze dei pazienti. Questo accentua la complessità del quadro europeo.

4.7.1

Un esempio di tale complessità è l'accessibilità economica dei farmaci, la quale dipende fortemente dai sistemi previdenziali nazionali e dal grado di copertura degli assistiti. Nella maggior parte dei sistemi gli enti previdenziali o le loro associazioni negoziano con i produttori i prezzi dei farmaci soggetti a prescrizione obbligatoria, in modo che i farmaci possano essere forniti agli assistiti a prezzi convenienti, previo pagamento di un ticket di modesta entità.

4.8   Un fattore importante è costituito dalla relazione tra i costi di innovazione e il giro d'affari del settore. La ricerca e l'innovazione possono prosperare solo a condizione che il settore sia competitivo e che quindi il mercato europeo funzioni in modo soddisfacente.

4.9   Se tra le procedure amministrative e gli approcci permangono delle differenze il settore continuerà a risentire della propria frammentazione, di sovrapposizioni, di costi di innovazione eccessivi e quindi di svantaggi competitivi nei confronti delle industrie che sono favorite dal fatto di operare su scala continentale, come nel caso degli Stati Uniti e della Cina.

4.10   Sebbene anche in altre parti del mondo i grandi mercati di scala continentale subiscano parzialmente l'influenza delle differenze regionali, la situazione non è comparabile con la frammentazione che caratterizza l'Europa.

4.11   Un altro problema è costituito dal fatto che negli ultimi anni la produttività della spesa destinata alla ricerca nel settore farmaceutico è andata declinando per una serie di complessi fattori.

4.11.1

La rivoluzione biotecnologica, che prometteva molti progressi, è risultata dispendiosa per il settore, dato che la ricerca e la tecnologia applicata non sono state convertite in prodotti maturi. Affrontare nuove malattie comporta un'ulteriore e costosa attività di sviluppo di farmaci.

4.11.2

Il costo di immissione sul mercato di nuovi prodotti è aumentato, in parte a causa dell'esigenza di prove cliniche ampie e costose. Anche i requisiti regolamentari relativi allo sviluppo clinico sono divenuti più stringenti, mentre le attività di ricerca e sviluppo si sono orientate verso patologie e aree terapeutiche più complesse come il cancro, il morbo di Alzheimer e altre.

4.11.3

L'innovazione medica viene attualmente vista anzitutto come un fattore di costo per i bilanci nazionali piuttosto che come un elemento propulsivo dell'innovazione per il benessere dei pazienti. Un esempio eloquente è dato dalle politiche nazionali in materia di determinazione dei prezzi e di rimborsi, le quali, per talune classi di patologie non incentivano i prodotti innovativi rispetto a quelli più vecchi (si pensi ad esempio al prezzo di riferimento terapeutico).

4.12   Questo sviluppo si riflette sulla posizione dell'Europa rispetto ai concorrenti. Se da un lato le autorità di regolamentazione degli Stati Uniti sono in genere più rigorose di quelle dell'UE al momento di autorizzare l'immissione in commercio, dall'altro il mercato statunitense ha una maggiore capacità di attrarre investimenti in ricerca e sviluppo perché premia l'innovazione più di quanto lo faccia la maggior parte dei mercati dell'UE.

4.13   Paesi asiatici come la Cina e l'India, i cui mercati crescono mediamente di oltre il 15 % all'anno, attrarranno verosimilmente una parte importante degli investimenti internazionali in ricerca e sviluppo quando applicheranno efficacemente le norme sulla tutela della proprietà intellettuale.

4.14   Per realizzare ulteriori progressi in questo campo occorre trovare un nuovo equilibrio tra, da un lato, le rimanenti competenze nazionali e i meccanismi e le procedure (giuridiche) dell'UE e, dall'altro, condizioni di mercato in grado di spianare la strada allo sviluppo di un settore farmaceutico europeo forte e vitale.

5.   Andare incontro al futuro

5.1

Il CESE ritiene che la combinazione rappresentata dall'attuale crisi economica, dai preparativi per definire una strategia di Lisbona riveduta nel 2010 e dalle sfide globali costituisca per la futura Commissione un punto di partenza appropriato per un'azione di rinnovamento e di progresso.

5.2

La strategia di Lisbona, che comporta una più esatta definizione delle competenze nazionali e di quelle comunitarie e l'assegnazione di un ruolo più chiaro alla Commissione, può offrire un quadro e una metodologia utili per l'industria farmaceutica.

5.3

Nel 2008 la Commissione ha lanciato, nel contesto del Settimo programma quadro, l'Iniziativa per la medicina innovativa  (8). Il CESE accoglie con favore quest'agenda strategica, che sta effettivamente contribuendo a risolvere alcune sfide in materia di ricerca grazie a partenariati pubblico-privati - università, istituti di ricerca, PMI, ospedali, organizzazioni di pazienti e organismi di regolamentazione - con l'obiettivo di eliminare le strozzature esistenti in materia di scienza e di competenze per accelerare lo sviluppo di medicinali atti a rispondere alle future esigenze sanitarie.

5.4

Nella ricerca competitiva applicata al settore, i brevetti e la tutela della proprietà intellettuale costituiscono incentivi essenziali a innovare e ad affrontare i problemi sanitari attuali o emergenti e il lungo ciclo di vita dei prodotti (compresi i tempi di sviluppo prolungati).

5.5

Il CESE ha preso nota della relazione intermedia del novembre 2008 in merito all'inchiesta di settore sui prodotti farmaceutici ed è nettamente favorevole alla proposta adozione di un brevetto comunitario e all'istituzione di un sistema europeo per le controversie, che semplificherà i procedimenti giudiziari e consentirà di risparmiare sui costi, in contrapposizione a 27 procedimenti nazionali basati su legislazioni differenti.

5.6

Malgrado la reputazione di cui gode a livello mondiale l'Ufficio europeo dei brevetti, il CESE ritiene che il suo funzionamento potrebbe essere migliorato.

5.7

I farmaci generici, ossia le copie di specialità medicinali commercializzate dopo la scadenza del brevetto, sono sensibilmente più economici da produrre e da commercializzare rispetto alle specialità. Il CESE è favorevole allo sviluppo di mercati competitivi dei prodotti non coperti da brevetto.

5.8

Il CESE sottolinea che c'è bisogno di più efficienza e concorrenza nel mercato europeo dei farmaci generici. Invita la Commissione e gli Stati membri a valutare come si possa sfruttare il considerevole potenziale di risparmio che questo rappresenta per i pazienti e per i sistemi sanitari.

5.9

Per quanto riguarda la disponibilità e l'accessibilità economica dei farmaci, il CESE invita a riprendere il dibattito tra la Commissione, i governi e i privati interessati in merito a una serie di temi interconnessi, come le grandi differenze di prezzo dei medicinali in Europa, l'accessibilità, il commercio parallelo e il principio della non extraterritorialità.

5.10

In tale contesto il CESE invita a fare riferimento alle dichiarazioni successive del G-10, alla raccomandazione n. 6, alla raccomandazione n. 9.2 e alla relazione finale sull'avanzamento del Forum farmaceutico ad alto livello (9).

5.11

L'obiettivo del dibattito di cui sopra dovrebbe essere quello di definire una visione comune per quanto riguarda l'esigenza di disponibilità e di accessibilità economica dei farmaci per i pazienti, la creazione di un mercato unico, la prevedibilità del comportamento del settore pubblico e le possibili azioni in questo campo, e infine l'esigenza di condizioni stabili per le attività di ricerca, sviluppo e innovazione.

5.12

Le sfide interne e quelle globali sono interconnesse:

la posizione dell'industria farmaceutica europea dipenderà dalla sua posizione sul mercato europeo,

anche le malattie su scala globale e la circolazione mondiale di prodotti farmaceutici provenienti dalle economie emergenti e in via di sviluppo influiranno sui mercati europei,

una posizione sostenibile dell'industria sul piano interno deve comportare dei benefici per i pazienti grazie alle piattaforme di discussione relative ai prodotti farmaceutici, alle malattie e ai cambiamenti nell'atteggiamento dei consumatori di tali prodotti in Europa.

5.13

Come contributo al riavvio della discussione la Commissione dovrebbe presentare dati comunitari aggiornati sugli sviluppi di mercato, la creazione di posti di lavoro e i bilanci delle attività di ricerca e sviluppo in questo settore. Vi è inoltre una forte esigenza di dati comparabili sulla situazione mondiale.

5.14

I dati e le tendenze su scala mondiale devono coprire tra l'altro l'estensione delle attività di ricerca e sviluppo delle imprese europee nei grandi mercati emergenti, che accompagnerà sicuramente la crescita dei mercati in Cina e in India. Questo vantaggio derivante dalla globalizzazione costituisce un altro pressante argomento in favore della creazione di un mercato unico europeo, in quanto base duratura per le attività di ricerca, sviluppo e innovazione.

5.15

Il commercio equo e solidale e gli interessi dei pazienti richiedono che le importazioni dai paesi a basso reddito debbano essere subordinate all'impiego di buone prassi di produzione. I medicinali contraffatti devono essere vietati. Il rischio di vendita via Internet di medicinali contraffatti deve essere ridotto grazie ad un controllo efficace dei medicinali che vengono spediti per posta.

5.16

Il CESE ritiene che per avvicinarsi all'obiettivo di un mercato unico nel settore occorrerebbe introdurre il metodo aperto di coordinamento e assegnare alla Commissione un ruolo di sorveglianza, come è prassi consueta nel quadro della strategia di Lisbona.

5.17

Per accrescere la trasparenza, la Commissione dovrebbe pubblicare le migliori prassi e analizzare i dibattiti e gli sviluppi intervenuti negli Stati membri in materia di disponibilità e accessibilità economica dei farmaci, come pure di condizioni giuridiche per le attività di ricerca, sviluppo e innovazione e per il settore farmaceutico. È sulla base dei risultati di questa analisi che il Consiglio dovrebbe decidere.

Bruxelles, 30 settembre 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Comunicazione della Commissione - Medicinali sicuri, innovativi e accessibili: una nuova visione del settore farmaceutico COM(2008) 666 def., dicembre 2008.

(2)  Nel 2007 l'industria farmaceutica europea dava lavoro a circa 600 000 persone e investiva il 18 % del proprio giro d'affari in attività di ricerca e sviluppo.

(3)  Art. 9 della direttiva 89/105/CEE del Consiglio, del 21 dicembre 1988. Da allora, il Consiglio è diventato più riluttante nei confronti di un allargamento.

(4)  Cfr. il parere di iniziativa Il ruolo dell'Unione europea per una politica farmaceutica che risponda ai bisogni dei cittadini: migliorare l'assistenza, rilanciare la ricerca innovativa, controllare la dinamica della spesa sanitaria (GU C 14 del 16.1.2001, pag. 122) e il parere sulla comunicazione della Commissione Rafforzare l'industria farmaceutica stabilita in Europa a vantaggio dei pazienti - Un invito ad agire (GU C 241 del 28.9.2004, pag. 7).

(5)  Questo gruppo era composto da cinque ministri, due commissari e rappresentanti dell'industria.

(6)  Nelle sue osservazioni sulle comunicazioni della Commissione riguardanti la ricerca e la competitività dell'industria farmaceutica, il CESE ha costantemente sottolineato la grande importanza della ricerca (di base) in questo settore. Cfr. GU C 14 del 16.1.2001, pag. 122, GU C 234 del 30.9.2003, pag. 13 e GU C 110 del 30.4.2004, pag. 98.

(7)  Il CESE ha elaborato una serie di pareri su tali questioni: CESE 1022/2009, CESE 1023/2009, CESE 1024/2009, CESE 1191/2009 e CESE 1025/2009, GU C 306 del 16.12.2009.

(8)  La tabella di marcia della Iniziativa per la medicina innovativa è costituita dall'Agenda strategica di ricerca. Quest'ultima si concentra sui quattro pilastri della sicurezza, dell'efficacia, della gestione della conoscenza e dell'istruzione e formazione.

(9)  Cfr. la relazione finale sull'avanzamento, pag. 85.


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/80


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce uno strumento europeo di microfinanziamento per l'occupazione e l'integrazione sociale (strumento di microfinanziamento Progress)

COM(2009) 333 def. — 2009/0096 (COD)

2009/C 318/15

Relatrice generale: Gabriele BISCHOFF

Il Consiglio, in data 17 luglio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 152 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce uno strumento europeo di microfinanziamento per l'occupazione e l'integrazione sociale (strumento di microfinanziamento Progress)»

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 14 luglio 2009, ha incaricato la sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo di preparare i lavori in materia.

Conformemente all'articolo 20 del Regolamento interno, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 456a sessione plenaria, dei giorni 30 settembre e 1o ottobre 2009 (seduta del 1o ottobre), ha nominato relatrice generale BISCHOFF e adottato il presente parere con 171 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Sintesi delle conclusioni e raccomandazioni del Comitato

1.1   Gli strumenti di finanziamento adatti per le imprese sono un presupposto essenziale della crescita economica. Ciò vale anche per le microimprese dell'economia sociale. Pertanto lo sviluppo dei microcrediti va accolto con favore, in considerazione del fatto che essi possono costituire una nuova via per stimolare lo spirito d'impresa e creare nuovi posti di lavoro nelle microimprese (ossia nelle imprese con meno di 10 occupati e un fatturato annuo inferiore ai 2 milioni di euro). In tal modo si tiene conto del fatto che in Europa al momento gli strumenti di microfinanziamento sono disponibili solo in misura limitata.

1.2   La concessione di microcrediti alle microimprese dell'economia sociale e ai gruppi svantaggiati richiede un maggior dispendio di risorse ed è più costosa della concessione di crediti convenzionali. Questa maggiore onerosità si può ridurre, da un lato, grazie allo sviluppo di un'offerta di servizi standardizzata e tecnologicamente avanzata, di un marketing migliore e in generale con una professionalizzazione dei servizi di microcredito, e, dall'altro lato, attraverso garanzie e cofinanziamenti. Un compito fondamentale dello strumento di microfinanziamento proposto è quindi costituito dallo sviluppo dello strumento dei servizi di microfinanziamento, anche in cooperazione con i prestatori di servizi finanziari esistenti. In proposito occorre sviluppare strutture organizzative che rendano possibile il trattamento standardizzato di un gran numero di domande. Sarà molto difficile raggiungere il livello più elevato possibile di professionalità senza software idonei e senza il ricorso alle tecnologie basate su Internet.

1.2.1

Le esperienze fatte fino ad oggi in Europa in materia di concessione di microcrediti confermano inoltre che si devono creare ulteriori incentivi economici per assicurare che il settore finanziario svolga anche di fatto il compito attribuitogli della concessione di microcrediti a entrambi i gruppi specifici di destinatari.

1.3   L'accesso ai servizi di microfinanziamento dovrebbe essere aperto ai fondatori d'impresa appartenenti ai gruppi di persone svantaggiate, e ciò non solo per la creazione delle imprese ma anche nei primi anni dopo la loro costituzione.

1.4   Circa l'1 % delle risorse finanziarie allocate allo strumento di microfinanziamento Progress è destinato a coprire le spese amministrative. Tale percentuale non comprende le risorse concesse alle banche intermediarie e agli istituti di microfinanza perché essi eroghino a loro volta questi crediti ai gruppi destinatari. Il Comitato ritiene particolarmente importante sapere quale quota di risorse venga assegnata ai suddetti organismi per concedere questi crediti. Bisognerebbe inoltre, anche attraverso un monitoraggio regolare a livello europeo e la pubblicazione delle condizioni di concessione dei prestiti sui siti Internet delle competenti autorità di vigilanza, assicurarsi che le banche applichino a loro volta i tassi d'interesse agevolati anche ai gruppi destinatari.

1.5   Gli effetti occupazionali e sociali perseguiti attraverso l'introduzione di uno strumento europeo di microfinanziamento andrebbero valutati con precisione e in maniera differenziata secondo i gruppi destinatari. I due gruppi destinatari - le microimprese dell'economia sociale e i richiedenti individuali (disoccupati, giovani, persone socialmente svantaggiate) - hanno bisogno di capacità di consulenza e di sostegno diverse. Si deve prendere in considerazione questo aspetto anche da un punto di vista organizzativo, tenendo presenti le sovrapposizioni con i programmi già in corso.

1.6   Infine, il CESE raccomanda di verificare quali altre fonti di finanziamento, diverse dal programma Progress, siano disponibili per finanziare questo nuovo strumento di microfinanziamento.

2.   Introduzione e sintesi della proposta della Commissione

2.1

Nella comunicazione del 13 novembre 2007 intitolata Iniziativa europea per lo sviluppo del microcredito a sostegno della crescita e dell'occupazione (COM(2007) 708 def.) la Commissione propone in primo luogo di migliorare le condizioni quadro giuridiche e istituzionali negli Stati membri e in secondo luogo di creare una nuova struttura per sostenere la creazione e lo sviluppo di istituti di microfinanziamento nella Comunità (1). Analogamente, occorre mettere nuove risorse finanziarie a disposizione dei nuovi istituti microfinanziari di tipo non bancario (2). Nella comunicazione la Commissione attribuisce allo sviluppo di una struttura per la concessione di microcrediti una notevole importanza per l'attuazione della strategia di Lisbona per la crescita e l'occupazione (3).

2.2

Nella raccomandazione 2003/361/CE, del 6 maggio 2003, relativa alla definizione delle microimprese, piccole e medie imprese (4), la Commissione definisce il microcredito come un prestito inferiore a 25 000 euro e una microimpresa come un'impresa che occupa meno di 10 persone (compresi i lavoratori autonomi) e realizza un fatturato annuo oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 2 milioni di euro.

2.3

La relazione del gruppo di esperti sulla regolamentazione del microcredito in Europa ha messo in luce le grandi differenze esistenti tra gli Stati membri relativamente alla disponibilità di microcrediti come pure alle relative condizioni quadro.

2.4

Nella comunicazione del 3 giugno 2009 la Commissione aveva già annunciato un nuovo strumento europeo di microfinanziamento per l'occupazione (5) (lo strumento di microfinanziamento Progress).

2.5

La proposta di istituire uno strumento europeo di microfinanziamento per l'occupazione e l'integrazione sociale (6), presentata dalla Commissione il 2 luglio 2009, si prefigge l'obiettivo, nel contesto della crisi economica e finanziaria e dei suoi effetti sui livelli occupazionali e sull'attività di prestito, di creare un nuovo strumento di microfinanziamento per aiutare le persone disoccupate o i potenziali disoccupati o le persone appartenenti a gruppi svantaggiati ad avviare una propria microimpresa o un'attività lavorativa autonoma mediante microcrediti di importo non superiore a 25 000 euro, garanzie, strumenti rappresentativi di capitale, titoli di debito e altre misure di sostegno, quali ad esempio attività di comunicazione, monitoraggio, controllo, audit e valutazione. Anche le microimprese dell'economia sociale che assumono disoccupati e persone svantaggiate possono beneficiare di un sostegno. In tal modo si intende aprire la strada verso l'attività imprenditoriale alle persone senza lavoro o appartenenti ad altri gruppi svantaggiati. Grazie alla riallocazione di 100 milioni di euro dell'attuale dotazione finanziaria del programma Progress, che potrebbe comportare la mobilitazione complessiva di oltre 500 milioni di euro, nell'arco del quadriennio 2010-2013 si potrebbero sostenere fino a 45 000 persone ed imprese, con un importo medio stimato di 11 000 euro. La gestione dello strumento è assicurata dalla Commissione in cooperazione con istituzioni finanziarie internazionali come la Banca europea per gli investimenti (BEI) e il Fondo europeo per gli investimenti (FEI). Per gli Stati membri ciò non comporta alcun onere amministrativo supplementare.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1   Il CESE si compiace che la Commissione riaffermi, con le sue proposte di istituire uno strumento di microfinanziamento, il suo impegno a favore della creazione di posti di lavoro, e intenda recare un ulteriore contributo alla promozione dello spirito d'impresa delle persone appartenenti ai gruppi svantaggiati. Va tuttavia fatto notare che in Europa le esperienze di impiego di strumenti di microfinanziamento sono state finora relativamente poche e che sono necessari sforzi progettuali straordinari per assicurare da un lato la gestione amministrativa dei microcrediti e di altri strumenti e dall'altro lato l'applicabilità nel tempo di tale strumento. Proprio in considerazione degli impressionanti successi dei servizi di microfinanziamento nel campo della cooperazione allo sviluppo (nonché del fatto che nel 2006 la banca Grameen e il suo fondatore Muhammad Yunus sono stati insigniti del Premio Nobel per la pace), si devono sottolineare tutte le opportunità, ma anche le sfide che la trasposizione di tali esperienze nel contesto europeo comporta. Ciò è tanto più vero in quanto in questa trasposizione si perdono dei vantaggi essenziali del modello originale (ad esempio l'integrazione in una comunità locale, professionale od etnica, e la fiducia da ciò risultante che riduce i costi di monitoraggio e i casi di insolvenza). Pertanto la possibilità di trasporre queste esperienze in paesi più sviluppati è controversa.

3.2   Anche in Europa vi è un notevole bisogno di servizi di microcredito; solo circa metà delle imprese più piccole giudica positivamente il ruolo delle banche nell'accesso al credito (7). Il programma Jeremie (Joint European Resources for Micro to Medium Enterprises), che viene finanziato soprattutto con risorse dei fondi strutturali, è un'iniziativa comune della DG REGIO della Commissione e del gruppo BEI volta a sostenere e a migliorare il finanziamento di microimprese e PMI (8).

3.2.1

Con il programma quadro CIP (Competiveness and Innovation Framework Programme) (9) e con l'iniziativa pilota Jasmine (Joint Assistance Supporting Multiprojects for Innovation Networking), che intende tra l'altro promuovere il consolidamento e lo sviluppo degli istituti di microfinanza non bancari (10), la Commissione ha inoltre avviato iniziative importanti per migliorare la situazione del capitale delle PMI e delle microimprese. Il Comitato raccomanda un migliore coordinamento di queste diverse misure. Già nel 2006, nel parere adottato in merito al programma Jeremie (11), il Comitato ha affermato con chiarezza che occorre sostenere le iniziative lanciate dalla Commissione intese ad agevolare l'accesso alle fonti di finanziamento per le PMI e le microimprese e a tal fine ha chiesto di coinvolgere ampiamente le parti sociali.

3.2.2

Inoltre, il Comitato ha affermato che i fondi della BEI, quando sono stati utilizzati, si sono rivelati uno strumento utile per facilitare l'accesso ai finanziamenti delle microimprese e delle piccole imprese.

3.2.3

Nel parere citato, il Comitato ha poi osservato che l'accesso al microcredito dovrebbe essere agevolato in particolare per le PMI e che è essenziale raggiungere determinate categorie, come i giovani imprenditori, le donne imprenditrici ovvero le persone appartenenti a gruppi sociali svantaggiati e a minoranze etniche.

3.3   Nel contesto dell'utilizzo dei servizi di microfinanziamento le opportunità derivano dall'importanza fondamentale di forme di finanziamento quanto più informali e più rapide possibile, tra l'altro per la costituzione di imprese. La quota preponderante delle risorse necessarie per la costituzione di un'impresa è apportata dal fondatore o dai suoi parenti, amici e vicini (12). Ciò evidenzia i limiti dei crediti bancari abituali, per i quali il tasso di rifiuto è tanto più elevato quanto più modesti gli importi chiesti in prestito, dato che una verifica accurata delle richieste di credito risulta troppo onerosa. I servizi di microfinanziamento possono colmare il divario tra le vie di finanziamento informali (e di efficienza limitata) e il finanziamento tramite banche. Se la concessione di microcrediti e la prestazione di altri servizi di microfinanziamento può essere sottoposta a un esame analogo per rapidità, semplicità e flessibilità a quello possibile nel caso delle vie informali di finanziamento, allora i microcrediti possono dare un contributo essenziale alla dinamica economica e all'imprenditorialità.

3.4   L'accesso ai servizi di microfinanziamento dovrebbe essere aperto ai fondatori di imprese dei gruppi destinatari non solo nella fase di avvio dell'impresa, ma anche nei primi anni dopo la sua costituzione, dato che questi in larga misura dipendono da apporti di capitale più modesti per finanziare dei progetti.

3.5   Anche a prescindere dalla crisi attuale dei mercati finanziari e dell'economia reale, la concessione di crediti di piccolo ammontare è più onerosa e costosa della concessione di crediti convenzionali, perché la somma presa a prestito è relativamente modesta, le garanzie abitualmente richieste dalle banche non sono disponibili e le spese di trattamento del dossier sono molto elevate. Per questi motivi una copertura estesa, una struttura organizzativa appropriata e delle tecnologie adatte, e in generale una professionalità del più alto livello possibile, sono essenziali per la buona riuscita delle iniziative di microfinanziamento. Inoltre, le esperienze delle iniziative e dei programmi analoghi (CIP, Jeremie, BEI pilota, Jasmine) eventualmente già disponibili, dovrebbero essere assolutamente prese in considerazione.

3.6   In merito al livello di professionalità richiesto, è innanzitutto necessario gestire i microcrediti come un'attività di prestito al dettaglio che sia la più standardizzata possibile, per beneficiare di economie di scala e ripartire meglio i rischi. Un numero così elevato di clienti costituisce un obiettivo ambizioso, come mostrano le esperienze britannica e canadese (13). Ciò mostra l'importanza di acquisire un elevato grado di notorietà (ad esempio grazie a campagne pubblicitarie come le «settimane del microcredito» organizzate dall'Associazione francese per il diritto all'iniziativa economica (ADIE)) e di prevedere un accesso agevole (ad esempio tramite Internet). Occorrerebbe indicare se e come tali obiettivi possano essere raggiunti, e quale ruolo altri programmi (come il Fondo sociale europeo) possano svolgere a tal fine (sostegno tecnico). Inoltre, occorre prestare attenzione alle sovrapposizioni tra questi programmi e iniziative, al fine di assicurarne la coerenza.

3.7   In secondo luogo, nell'organizzazione dei processi di gestione, occorre assicurare i presupposti organizzativi richiesti da questa attività di prestito al dettaglio, per trattare le richieste in maniera rapida e flessibile nel rispetto delle forme idonee di sicurezza, e applicare sanzioni standardizzate e forme di ripartizione dei rischi in caso di inadempimento contrattuale (ritardo nei pagamenti). Come nel caso dei crediti al consumo, anche in questo caso si pone quindi il problema di come stimare la solvibilità dei clienti nel modo più semplice, rapido e affidabile possibile.

3.8   In terzo luogo, un presupposto tecnico per una siffatta attività di massa è costituito da sistemi di software funzionali per la preparazione, la conclusione e il monitoraggio dei contratti. In tal modo si potrebbe superare la possibile contraddizione tra un'attività di prestito al dettaglio standardizzata e un trattamento individualizzato delle richieste, contribuendo a uno sfruttamento più ampio del segmento di mercato dei servizi di microfinanziamento.

3.9   Le microimprese dell'economia sociale e le persone degli Stati membri o delle regioni in cui sono già insediati istituti di microfinanza possono beneficiare più facilmente e rapidamente dei fondi rispetto ai richiedenti dei paesi o delle regioni in cui siffatti istituti non esistono ancora o sono ancora nella fase di sviluppo. Il Comitato raccomanda di fare in modo che, nel quadro del programma, ciò non determini una disparità nelle opportunità di accesso.

3.10   Una questione cruciale è se nel contesto della concessione di credito si debba ricorrere agli istituti di credito abituali oppure a istituti specifici di microfinanza, eventualmente da sviluppare, i quali perlopiù non hanno scopo di lucro e sono di dimensioni molto piccole. Da un lato, da alcuni anni in Europa si va sviluppando, con il sostegno della Commissione, una rete di prestatori di servizi di microfinanziamento, sebbene solo un quinto di tali prestatori di servizi (meno di 20) conceda più di 400 microcrediti all'anno (14). Dall'altro lato, i servizi di microfinanziamento non riusciranno a espandersi senza un management altamente professionale e orientato alla produzione di utili - e in questo campo le banche (che concedono già adesso la maggior parte dei microcrediti) dispongono di notevoli vantaggi. Non sembra opportuno ripartire le risorse esclusivamente tra prestatori di servizi di microfinanziamento di piccole dimensioni, orientati al bene pubblico, che si rivolgono soprattutto a persone senza un reddito regolare, alle donne, ai giovani, agli anziani e agli immigrati, in quanto attraverso tale «sistema bancario di nicchia» la marginalizzazione di questi gruppi si consoliderebbe ancora in un altro campo. Per far sì che anche il settore bancario si attivi nel settore dei microcrediti, malgrado i rendimenti minimi attesi, saranno presumibilmente necessari incentivi economici o strumenti di sostegno aggiuntivi per la creazione dell'infrastruttura corrispondente.

3.11   Poiché con l'iniziativa in materia di microfinanziamento si perseguono espressamente obiettivi sociali ed occupazionali, è assolutamente necessario che l'efficacia di tale programma sia valutata anche in relazione a queste dimensioni, e in maniera differenziata a seconda dei due gruppi destinatari (microimprese dell'economia sociale e persone svantaggiate). Mentre finora gli unici criteri da considerare sono il volume dei crediti e il numero dei beneficiari, il Comitato raccomanda di misurare altresì l'inserimento sul mercato del lavoro formale, i redditi così generati e gli effetti supplementari indiretti sull'occupazione per i diversi gruppi menzionati nella comunicazione della Commissione. Solo così si potrà misurare il successo dell'iniziativa anche rispetto a queste dimensioni (15).

3.12   Va sottolineato positivamente il fatto che la proposta della Commissione prevede anche dei provvedimenti di sostegno, quali per esempio le attività di comunicazione, monitoraggio, controllo, audit e valutazione (articolo 4, paragrafo 1). Resta tuttavia aperta la questione se si tratti in primo luogo di attività di consulenza destinate ai fondatori di imprese oppure agli istituti di microfinanza, in che modo tali attività vadano organizzate e in che modo le risorse complessivamente disponibili vadano ripartite tra garanzie, strumenti rappresentativi di capitale, titoli di debito e provvedimenti di sostegno.

3.13   Il Comitato raccomanda di garantire che i tassi d'interesse agevolati vengano applicati anche ai beneficiari dei prestiti. Nel contempo occorre stabilire quale proporzione delle risorse allocate debba giungere alle banche intermediarie o agli istituti di microfinanza per il pagamento della loro attività di gestione.

3.14   Come già indicato nel parere INT/495, il Comitato appoggia l'iniziativa di creare un nuovo strumento di microfinanziamento per i gruppi di beneficiari menzionati, ma dubita dell'opportunità e utilità di finanziare un nuovo strumento di microfinanziamento attraverso una riduzione delle risorse già allocate al programma Progress. Il CESE raccomanda pertanto di verificare quali altre risorse finanziarie, oltre a quelle del programma Progress, siano disponibili per finanziare questo nuovo programma.

Bruxelles, 1o ottobre 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Cfr. COM(2007) 708 def., pag. 2.

(2)  Cfr. ibidem, pag. 11.

(3)  Cfr. ibidem, pag. 2.

(4)  GU L 124 del 20.5.2003, pag. 36.

(5)  COM(2009) 257 def. del 3 giugno 2009.

(6)  COM(2009) 333 def.

(7)  Cfr. l'Eurobarometro (2005) SME Access to Finance, flash Eurobarometro 174.

(8)  Cfr. COM(2006) 349, pag. 9.

(9)  Cfr. COM(2005) 121, pag. 6.

(10)  Cfr. COM(2007) 708, pag. 3.

(11)  GU C 110 del 9.5.2006.

(12)  Cfr. http://www.gemconsortium.org/download.asp?fid=608.

(13)  Cfr. http://ssrn.com/abstract=976211.

(14)  Sul tema del microfinanziamento nell'Unione europea, si vedano www.nantiklum.org/Overview_final_web.pdf e www.european-microfinance.org/data/file/Librairy/ISSUE%20PAPER.pdf.

(15)  Per un analogo modo di procedere, cfr. ftp://repec.iza.org/RePEc/Discussionpaper/dp3220.pdf.


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/84


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della decisione n. 1672/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma comunitario per l'occupazione e la solidarietà sociale – Progress

COM(2009) 340 def. — 2009/0091 (COD)

2009/C 318/16

Relatrice generale: Gabriele BISCHOFF

Il Consiglio, in data 17 luglio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 152 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della decisione n. 1672/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma comunitario per l'occupazione e la solidarietà sociale - Progress»

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 14 luglio 2009, ha incaricato la sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo di preparare i lavori in materia.

Conformemente all'articolo 20 del Regolamento interno, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 456a sessione plenaria, dei giorni 30 settembre e 1o ottobre 2009 (seduta del 1o ottobre 2009), ha nominato relatrice generale Gabriele BISCHOFF e ha adottato all'unanimità il presente parere.

1.   Sintesi delle conclusioni e raccomandazioni del Comitato

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sottolinea l'importanza del programma Progress per consolidare l'Europa sociale, creare posti di lavoro più numerosi e di migliore qualità, ridurre la povertà e rafforzare la coesione sociale. Accanto al Fondo sociale europeo (FSE), il programma Progress è infatti uno degli strumenti di finanziamento più importanti a sostegno dell'agenda per la politica sociale. Un compito essenziale del programma Progress è inoltre quello di contribuire all'ulteriore sviluppo della dimensione sociale.

1.2

Il CESE si compiace che tutte le energie siano concentrate sulla gestione della crisi, e che tutte le linee di bilancio vengano esaminate sotto questo profilo in modo da accertare quale contributo possano offrire per la gestione della crisi, e, in particolare, per garantire l'occupazione e creare nuovi posti di lavoro.

1.3

Sono proprio i disoccupati e i gruppi svantaggiati che hanno bisogno di sostegno e consulenza efficaci se vogliono avviare un'attività autonoma. Dato che a questo scopo è disponibile anche il FSE, il Comitato raccomanda di definire con maggiore precisione le interfacce tra il FSE e lo strumento di microfinanziamento Progress, in modo da garantire che le offerte create e l'accesso ai crediti fornito siano mirati a gruppi specifici e che vengano evitati doppioni.

1.4

Come affermato nel parere CESE INT/494 (Strumento europeo di microfinanziamento per l'occupazione e l'integrazione sociale), il CESE, in linea di principio, appoggia l'idea di rendere disponibili microcrediti - a condizioni favorevoli - anche alle microimprese dell'economia sociale, imponendo loro l'obbligo di assumere disoccupati o persone svantaggiate. Si dovrebbe tuttavia definire con maggiore precisione cosa si intenda con ciò.

1.5

Il Comitato si chiede tuttavia se la ridistribuzione dei fondi e la loro conseguente riduzione di 25 milioni di euro ogni anno non avrà un impatto considerevole sull'efficacia e sulla portata del programma Progress nel periodo 2010-2013, anche in riferimento all'ulteriore sviluppo e orientamento strategico del programma. Il Comitato invita pertanto la Commissione ad illustrare in maniera più dettagliata gli effetti della ridistribuzione e a studiare le possibili alternative. Ritiene inoltre opportuno analizzare il possibile impatto su altre linee di bilancio e su altri programmi, in particolare l'FSE e le linee di bilancio autonome, ad esempio quelle relative al dialogo sociale.

1.6

Temendo che la ridistribuzione comprometta l'efficacia del programma Progress in materia di politica sociale e di occupazione, il Comitato chiede alla Commissione di dimostrare, con le dovute motivazioni, che con i fondi che verranno ridistribuiti si potranno realizzare gli obiettivi di Progress meglio di quanto non farebbe la procedura prevista finora. È inoltre necessario spiegare come si possa garantire l'ulteriore sviluppo dell'Europa sociale, in particolare nel contesto dello sviluppo, della comunicazione e dell'attuazione della strategia post-Lisbona dopo il 2010.

1.7

Il Comitato raccomanda inoltre alla Commissione di precisare come si possa pervenire a un'attuazione più efficace di Progress, a una pianificazione più strategica e a misure più mirate, nonché in quali settori e su quali interventi sia possibile realizzare risparmi senza tuttavia mettere a rischio gli obiettivi e l'orientamento strategico del programma nel rimanente periodo di validità.

1.8

Il Comitato chiede inoltre informazioni sul tipo di incentivi economici da introdurre affinché il settore bancario svolga effettivamente uno dei compiti affidatigli che è quello di garantire l'accesso al credito.

2.   Introduzione e sintesi della proposta della Commissione

2.1   Riallacciandosi alla propria comunicazione Guidare la ripresa in Europa  (1) e allo scambio di opinioni nel corso del vertice sull'occupazione svoltosi il 7 maggio 2009, la Commissione, nella comunicazione dal titolo Un impegno comune per l'occupazione  (2), pubblicata il 3 giugno 2009, ha proposto diverse azioni prioritarie, tra cui figurano le seguenti:

fare un migliore uso delle misure di riduzione temporanea dell'orario di lavoro

prevedere e gestire meglio le ristrutturazioni

incentivare la creazione di posti di lavoro

aiutare i giovani.

2.1.1   Nella comunicazione COM(2009) 257 def. si raccomanda che «gli Stati membri, insieme alle parti sociali e con il sostegno del FSE, dovrebbero aiutare i giovani e i disoccupati ad avviare una loro attività su solide basi, per esempio mettendo a loro disposizione formazione e capitale iniziale» (3).

2.1.2   Tutte le linee di bilancio disponibili, e in particolare l'FSE, devono contribuire maggiormente alla gestione della crisi. Gli aiuti finanziari dell'FSE devono essere concentrati, tra l'altro, sulla promozione dell'imprenditorialità e delle attività indipendenti, incoraggiando ad esempio la creazione di imprese o riducendo i costi del ricorso al credito.

2.1.2.1

Nella comunicazione la Commissione propone inoltre un nuovo strumento europeo di microfinanziamento per l'occupazione, con l'obiettivo di offrire nuove possibilità ai disoccupati e appianare la strada verso la creazione di un'impresa specie per i gruppi particolarmente svantaggiati, fra cui i giovani.

2.1.2.2

I fondatori di microimprese dovranno inoltre essere assistiti con servizi di orientamento, formazione, preparazione e rafforzamento delle capacità, oltre che con i tassi di interesse agevolati dell'FSE (4).

2.2   Il 2 luglio 2007 la Commissione ha infine proposto un nuovo strumento di microfinanziamento per l'occupazione e l'integrazione sociale - Progress (5), concepito per aiutare i disoccupati e i gruppi svantaggiati a creare microimprese e per sviluppare ulteriormente l'economia sociale. La Commissione propone di ridistribuire, a favore di questo nuovo strumento di microfinanziamento, 100 milioni di euro del bilancio attualmente disponibile, attingendo al programma comunitario per l'occupazione e la solidarietà sociale - Progress.

2.3   Il programma comunitario per l'occupazione e la solidarietà sociale - Progress (2007-2013) - fornisce sostegno finanziario alla realizzazione degli obiettivi dell'Unione europea nei settori dell'occupazione, degli affari sociali e delle pari opportunità, compreso il loro ulteriore sviluppo. Progress serve inoltre allo sviluppo e all'attuazione concreta dell'agenda sociale europea. Il programma mira poi a «rafforzare il sostegno dell'UE all'impegno e agli sforzi degli Stati membri per la creazione di più e migliori posti di lavoro e per una più ampia coesione sociale» (6).

2.3.1

Finora il programma Progress finanzia le seguenti azioni:

analisi e consulenza politica,

monitoraggio dell'applicazione della legislazione e delle politiche UE,

promozione del trasferimento di politiche di diversi attori,

creazione di una piattaforma per lo scambio di esperienze tra gli Stati membri.

2.3.2

In linea con la logica del quadro strategico, Progress mette a disposizione i seguenti prodotti  (7):

formazione e apprendimento adeguati degli operatori del diritto e dei responsabili delle politiche,

accurate relazioni di monitoraggio/valutazione dell'attuazione e dell'impatto della legislazione e della politica comunitaria,

identificazione e diffusione di buone pratiche,

attività di informazione e comunicazione nonché creazione di reti ed eventi per le parti interessate,

strumenti, metodi e indicatori statistici adeguati,

consulenza, ricerca e analisi politica adeguate,

sostegno alle ONG e alle reti.

2.3.3

Il programma Progress si è sostituito a numerosi programmi comunitari precedenti: grazie a questo raggruppamento sarà infatti possibile creare sinergie e raggiungere maggiore trasparenza e coerenza.

2.4   Con il parere SOC/188 (parere in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma comunitario per l'occupazione e la solidarietà sociale - Progress), adottato nel 2005, il CESE ha espressamente aderito alla proposta della Commissione ritenendo che, accanto all'FSE, il programma Progress costituisse uno dei futuri strumenti di finanziamento più importanti a sostegno dell'agenda per la politica sociale.

2.4.1

In quello stesso parere, tuttavia, il CESE invitava a destinare a Progress stanziamenti di bilancio sufficienti, chiedendosi appunto se i mezzi proposti dalla Commissione effettivamente lo fossero. Chiedeva inoltre di garantire che la proclamata semplificazione amministrativa rendesse «possibile non solo una migliore gestione tecnica del programma, bensì anche un'articolazione dei contenuti in sintonia con i diversi obiettivi».

2.4.2

Il Comitato ha inoltre invitato non solo a sostenere le pertinenti reti UE-ONG, ma anche ad incoraggiare lo scambio di attori nazionali della società civile.

2.5   A norma dell'accordo interistituzionale del 2006, e sotto la spinta del Parlamento europeo, al programma Progress è stato assegnato un importo aggiuntivo pari a 114 milioni di euro. Per questo motivo il programma è stato avviato con un bilancio globale di 743 250 000 euro per un periodo di sette anni (2007-2013) ed è stato poi opportunamente adattato. Questa dotazione deve essere usata per promuovere le modifiche o l'ammodernamento nei cinque settori coperti da Progress: l'occupazione, la protezione e l'inclusione sociale, le condizioni di lavoro, la lotta contro la discriminazione e le pari opportunità.

2.6   Progress è accessibile ai 27 Stati membri, ai paesi candidati all'adesione e ai paesi EFTA/SEE. I gruppi destinatari sono gli Stati membri, gli enti locali e regionali, i servizi pubblici di collocamento e gli istituti nazionali di statistica. Anche le università, gli istituti di ricerca, le parti sociali e le ONG hanno la possibilità di partecipare.

2.6.1

La Commissione seleziona i progetti che devono essere appoggiati finanziariamente sulla base o di appalti pubblici o di inviti a presentare proposte.

2.7   La Commissione ritiene che la ridistribuzione di una parte degli stanziamenti di bilancio non danneggerà gli obiettivi del programma Progress.

2.7.1

L'importo di 100 milioni di euro deve essere attribuito al nuovo strumento europeo di microfinanziamento per l'occupazione e l'integrazione sociale - Progress. Ciò significa che per il restante periodo di validità di Progress (2010-2013) saranno disponibili 25 milioni di euro in meno ogni anno (8).

2.7.2

La Commissione propone pertanto di modificare come segue il paragrafo 1 dell'articolo 17 della decisione 1672/2006/CE che istituisce un programma comunitario per l'occupazione e la solidarietà sociale - Progress.

«La dotazione finanziaria prevista per la realizzazione delle attività comunitarie di cui alla presente decisione per il periodo dal 1o gennaio 2007 al 31 dicembre 2013 è pari a 643 250 000 euro» (9).

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1   Fondamentalmente il CESE si compiace che tutti i programmi europei vengano esaminati in relazione al contributo che essi possano prestare alla gestione della crisi, e, in particolare, per garantire l'occupazione e creare nuovi posti di lavoro.

3.1.1

Sono proprio i gruppi più svantaggiati, cioè i disoccupati, i giovani, i genitori soli, gli immigrati o le donne che hanno bisogno di essere sostenuti efficacemente. Mettere a disposizione crediti tuttavia non basta. Questi gruppi hanno bisogno piuttosto di consulenza specializzata, qualificazione e sostegno a monte, in particolare per poter elaborare un buon piano d'impresa. In questo contesto si dovrebbero definire le interfacce con gli aiuti a titolo dell'FSE, anche per verificare i rischi e le opportunità dell'idea di impresa.

3.2   In linea di principio, nella configurazione dello strumento di microfinanziamento Progress bisognerebbe operare una distinzione più netta tra i gruppi destinatari:

a)

microimprese dell'economia sociale già esistenti

b)

singoli richiedenti.

3.3   Come affermato nel parere CESE INT/494 (Strumento europeo di microfinanziamento per l'occupazione e l'integrazione sociale), il Comitato condivide in linea di principio l'idea di rendere disponibili microcrediti - a condizioni favorevoli - anche a singoli e a microimprese operanti nell'economia sociale, imponendo loro l'obbligo di garantire o creare posti di lavoro. Il Comitato si chiede tuttavia se la ridistribuzione dei fondi e la loro conseguente riduzione per Progress non avrà un impatto considerevole sull'efficacia e sulla portata del programma (10). Ci si chiede in particolare come la missione di Progress, cioè dare sostegno all'ulteriore sviluppo dell'Europa sociale, potrà essere assolta in maniera soddisfacente, anche in vista della strategia post-Lisbona. Il Comitato chiede pertanto alla Commissione di precisare questo aspetto quanto più rapidamente possibile. Non basta, come è invece successo nella valutazione ex ante (11), motivare l'adeguatezza delle linee di bilancio di Progress con il fatto che realisticamente i fondi devono provenire da una linea di bilancio esistente.

3.3.1

In ultima analisi esistono altre linee di bilancio e altri programmi - spesso di portata molto superiore - e in particolare l'FSE, che già offrono agli Stati membri la possibilità di utilizzare i fondi per microcrediti. Finora però gli Stati membri non vi hanno fatto ricorso.

3.3.2

Sarebbe inoltre opportuno illustrare il possibile impatto sulle linee di bilancio autonome, quali ad esempio quelle relative al dialogo sociale.

3.4   Nel complesso resta poco chiaro quale sia l'incentivo offerto al settore bancario affinché assuma concretamente, tra gli altri, il compito di erogare crediti. Di per sé, il trasferimento di fondi dal programma Progress con l'obiettivo di finanziare una misura specifica non rappresenta alcun valore aggiunto per la promozione degli obiettivi del programma. Il Comitato invita pertanto la Commissione a proporre opportuni incentivi economici intesi a far nascere - dal lato dell'offerta - un mercato dei microcrediti destinati ai gruppi specifici di cui sopra.

3.5   Nel contempo il Comitato invita la Commissione a spiegare se il programma per gli strumenti di microfinanziamento non possa essere finanziato da altri stanziamenti di bilancio o da altri programmi. Solo così facendo si potrebbe parlare di fondi supplementari impiegati per promuovere l'occupazione e l'integrazione sociale. In conseguenza della crisi l'Europa si troverà di fronte a grandi sfide: disoccupazione in crescita, introiti fiscali in calo e pesanti deficit di bilancio. Anche in questo senso Progress deve fornire contributi importanti. Occorre quindi garantire la disponibilità di mezzi sufficienti allo scopo.

3.6   Se il nuovo strumento di microfinanziamento viene finanziato attraverso una ridistribuzione degli stanziamenti Progress, si dovrebbe spiegare in maniera più concreta quali progetti o prodotti debbano essere soppressi o ridotti, dato che ogni anno il bilancio Progress disporrà di 25 milioni di euro in meno. Questa riduzione, che in relazione all'intera validità del programma (2007-2013) rappresenterebbe poco più del 13 %, in realtà corrisponde a una importo molto più elevato, dato che i 100 milioni di euro saranno prelevati sul bilancio rimanente per il periodo 2010-2013 per essere ridistribuiti. Ciò non deve portare ad una conseguente riduzione per esempio del sostegno accordato alle reti europee di ONG, che sono finanziate attraverso Progress. In analogia con il quadro strategico Progress, l'indicatore di rendimento del programma Progress è rappresentato dall'entità dei finanziamenti erogati alle ONG e alle reti.

3.6.1

Nel quadro strategico 2009 si sottolinea l'intento di rafforzare gli investimenti in questo settore, di «amplificare la capacità delle reti nazionali ed europee di partecipare e influire sul processo decisionale e sull'attuazione delle politiche a livello nazionale ed europeo» (12).

3.7   Nel contempo il Comitato ricorda che in nessun caso si parla di ridurre il finanziamento delle misure relative all'apprendimento reciproco (Mutual Learning/Peer-Reviews), uno dei cardini del metodo aperto di coordinamento. Queste misure dovrebbero essere rafforzate per poter contribuire più efficacemente alla gestione della crisi negli Stati membri, anche coinvolgendo maggiormente le parti sociali e le ONG interessate.

3.8   Il Comitato è convinto che tagli indiscriminati nei singoli settori del programma Progress metterebbero a rischio gli obiettivi, e danneggerebbero gravemente l'efficacia del programma. Raccomanda pertanto, qualora il nuovo strumento di microfinanziamento Progress venisse istituito, di convocare il comitato responsabile del programma per discutere un programma di riduzione insieme alla società civile.

3.9   Nel rimanente periodo di validità di Progress si dovrà anche trovare un'intesa su una nuova strategia post-Lisbona, comunicarla e attuarla coinvolgendo tutti gli attori interessati. Per fare questo sarà necessario un sostegno importante, finanziato essenzialmente attraverso Progress. Nel piano di lavoro Progress per il 2009 sono già previste misure a tale scopo. Dal 2010 dovrebbe esservi destinata una quota maggiore degli stanziamenti Progress.

Bruxelles, 1o ottobre 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  COM(2009) 114 def. del 4 marzo 2009.

(2)  COM(2009) 257 def.

(3)  COM(2009) 257 def., pag. 7.

(4)  Ibidem, pag. 14.

(5)  COM(2009) 333 def. e COM(2009) 340 def.

(6)  Commissione europea: Assicurare il successo del programma Progress - Quadro strategico per l'attuazione del programma comunitario per l'occupazione e la solidarietà sociale Progress (2007–2013), pag. 5.

(7)  Ibidem, pag. 9.

(8)  La scheda finanziaria aggiornata della Commissione indica che alla fine del 2009 saranno stati spesi poco più di 280 milioni di euro, su un bilancio totale di 745 milioni di euro. Ciò significa che 100 milioni di euro saranno prelevati dallo stanziamento restante e ridistribuiti.

(9)  COM(2009) 340 def.

(10)  Nella valutazione ex-ante della sua proposta, la Commissione spiega che è auspicabile destinare ai nuovi strumenti di microfinanziamento un importo superiore a 100 milioni di euro, ma che un prelievo di fondi superiore a 100 milioni di euro avrebbe comunque un impatto negativo sugli obiettivi e sulle priorità del programma Progress. Manca tuttavia una motivazione che spieghi perché questo accada solo quando la somma supera i 100 milioni di euro.

(11)  L'unica possibilità realistica sarebbe quindi quella di ridistribuire i finanziamenti da una linea di bilancio esistente. La linea di bilancio Progress sembra essere la più indicata allo scopo (SEC(2009) 907), pag. 12 (disponibile in lingua inglese).

(12)  Commissione europea: Assicurare il successo del programma Progress - Quadro strategico per l'attuazione del programma comunitario per l'occupazione e la solidarietà sociale Progress (2007–2013), pag. 18.


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/88


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce gli obblighi degli operatori che commercializzano legname e prodotti del legno

COM(2008) 644 def. — 2008/0198 (COD)

2009/C 318/17

Relatore: Valerio SALVATORE

Correlatore: Brendan BURNS

Il Consiglio, in data 14 novembre 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 175, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce gli obblighi degli operatori che commercializzano legname e prodotti del legno»

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha adottato il proprio parere in data 2 settembre 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore SALVATORE e dal correlatore BURNS.

Alla sua 456a sessione plenaria, dei giorni 30 settembre e 1o ottobre 2009 (seduta del 1o ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 87 voti favorevoli, 7 voti contrari e 8 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

L'obiettivo del regolamento proposto dalla Commissione di minimizzare il rischio d'immissione nel mercato europeo di legno illegale e dei suoi derivati è totalmente condiviso dal Comitato economico e sociale europeo. La deforestazione, infatti, oltre che responsabile di circa il 20 % delle emissioni mondiali di gas serra e della perdita di biodiversità, è causa di rilevanti problemi economici e, soprattutto, sociali. Per raggiungere lo scopo prefissato occorrono tuttavia maggior coraggio e interventi più incisivi, ricorrendo a misure legalmente vincolanti e a tempi di attuazione ridotti.

1.2

La proposta di regolamento rappresenta un tassello fondamentale, insieme agli accordi volontari di partenariato FLEGT (1), allo sviluppo di programmi di cooperazione legati alla certificazione e all'uso sostenibile delle risorse forestali nonché agli accordi con i maggiori paesi importatori di legname, per combattere non solo il taglio illegale del legno, ma anche la sua commercializzazione.

1.3

Il concetto di sostenibilità non si incentra solo sulla capacità di produrre legno, ma anche su criteri: sociali (condizioni di lavoro accettabili, rispetto dei diritti dei lavoratori), in base alle definizioni OIL (2); economici (evitare distorsioni del mercato per concorrenza sleale) e ambientali (impatto delle deforestazioni illegali sull'ambiente e sulla riduzione della biodiversità).

1.4

Nel regolamento in esame la Commissione ha individuato nel sistema della dovuta diligenza lo strumento per minimizzare il rischio d'immissione nel mercato europeo di legno illegale e dei suoi derivati. Tale opzione, così come formulata, richiede però alcuni correttivi.

1.5

Anzitutto essa considera solo gli operatori che commercializzano per la prima volta il legname e i prodotti del legno. A giudizio del Comitato detto sistema va esteso, con diverse modalità e regole, a tutti gli operatori che formano la filiera del legno. La tracciabilità deve riguardare ogni operatore, che deve disporre delle informazioni sull'origine e sulle caratteristiche del prodotto: paese, foresta, specie, età e fornitore. Le piccole e medie imprese, nonché i piccoli produttori, dovrebbero beneficiare di flessibilità e gradualità per adeguarsi al nuovo sistema senza sostenere oneri eccessivi.

1.6

Occorre comunque evitare duplicazioni con i sistemi di «tracciabilità» già esistenti, riconoscendo le legislazioni nazionali con i relativi strumenti di controllo, sistemi di certificazione forestale e modelli organizzativi, laddove in sintonia con criteri di gestione sostenibile del patrimonio forestale. In particolare in quei casi in cui già si applicano i principi della dovuta diligenza, è inutile imporre obblighi burocratici aggiuntivi. L'UE deve fissare standard di regole e comportamenti comuni nella procedura di gestione del rischio, con maggior rigore nel caso di aree ad alto rischio d'illegalità nella gestione del legno (3), avvalendosi nel caso di enti certificatori terzi, indipendenti e di comprovata esperienza.

1.7

Gli accordi con i paesi terzi devono prevedere collaborazioni organizzative/gestionali e sistemi di incentivi sociali, in considerazione della osservata correlazione inversa tra tasso di taglio illegale di legname e reddito pro capite degli abitanti di una certa nazione.

1.8

L'estensione della dovuta diligenza a tutti gli operatori favorirebbe l'immissione nel mercato esclusivamente di legno legale, meglio apprezzato non tanto per gli effetti economici in senso stretto, ma per il loro alto impatto sociale. La gestione lungimirante del patrimonio forestale e l'uso di prodotti legali rappresentano, infatti, un'opportunità di sviluppo «sostenibile» per le popolazioni locali che lavorano nel comparto del legno e una garanzia di futuro per l'industria europea del settore.

1.9

Il regolamento va esteso anche al legname e ai prodotti del legno destinati alla produzione di energia da fonti rinnovabili.

1.10

Le sanzioni per chi contravviene agli obblighi per il commercio di legname e prodotti del legno devono essere omogenee nei diversi Stati e graduate in base alle responsabilità, fino a prevedere, in casi gravemente dolosi, anche la sospensione delle attività commerciali.

1.11

Per assicurare il corretto funzionamento del sistema, si sostiene fortemente l'idea di affiancare alla Commissione un gruppo consultivo sul commercio di legname, che comprenda i diversi soggetti interessati.

1.12

La Commissione dovrebbe effettuare, dopo due anni dall'entrata in vigore del regolamento, una valutazione d'impatto sul buon funzionamento del mercato interno dei prodotti del legno. A seguito di eventuali esiti negativi dovrà provvedere alla revisione dei punti deboli del regolamento stesso.

2.   Introduzione

2.1

Questa proposta di regolamento mira a combattere il taglio illegale del legno, favorendo l'approvvigionamento in paesi che attuano pratiche legali di gestione delle foreste. Essa è una delle risposte dell'UE al problema del taglio illegale di legname che è una delle cause di deforestazione. La deforestazione è responsabile di circa il 20 % delle emissioni mondiali di gas serra ed è una delle principali cause della perdita di biodiversità a livello globale. Inoltre il disboscamento illegale produce fenomeni di dumping economico, sociale e ambientale, minacciando così la competitività delle imprese che operano uno sfruttamento legale delle foreste.

2.2

In merito al dumping sociale, l'UE ha tentato più volte, a partire dal 1996, di inserire negli accordi dell'OMC (Organizzazione mondiale del commercio) le disposizioni a difesa dei diritti fondamentali del lavoro. Tali proposte hanno incontrato una forte resistenza da parte dei paesi in via di sviluppo, che accusano i paesi industrializzati di strumentalizzare le proposte al fine di creare nuove forme di protezionismo nei confronti delle loro esportazioni. Inoltre tale tema è oggi fortemente presente all'interno della stessa UE.

2.3

La Commissione ha dunque elaborato una serie di possibilità per garantire, all'interno dell'UE, unicamente la commercializzazione di legname e di prodotti del legno di provenienza legale. Queste opzioni sono state sottoposte ad analisi d'impatto e sono confluite nel sistema «della dovuta diligenza». Maggiori controlli ai confini sarebbero sicuramente auspicabili e di grande efficacia, ma risulterebbero purtroppo incompatibili con le regole del libero scambio delle merci, e pertanto non praticabili.

2.4

La legalità della provenienza è definita sulla base della legislazione del paese dove è coltivato il legname. La legalità può essere verificata nei paesi aderenti agli accordi FLEGT, nell'ambito delle licenze UE-FLEGT, stabilite su accordi bilaterali volontari (VPAs) tra Commissione europea e singoli paesi esportatori, o in base ai permessi CITES (4). Negli altri paesi la legalità può essere verificata con altri mezzi. Per gli operatori essa può essere verificata attraverso sistemi che rispondono in pieno ai criteri previsti nel sistema della dovuta diligenza.

2.5

Il sistema della dovuta diligenza è basato sulla responsabilità degli operatori di minimizzare il rischio di porre sul mercato legno illegale attraverso un sistema di tracciabilità, fondato sull'accessibilità alle informazioni sulla provenienza e sulle caratteristiche del legno, rispondenti ai requisiti di legalità stabiliti dalle legislazioni nazionali. Il sistema mira inoltre a informare il consumatore, all'atto dell'acquisto, della necessità di non contribuire al taglio illegale del legno.

2.6

Per favorire l'implementazione del regolamento in esame gli operatori possono avvalersi dei sistemi elaborati dagli organismi di controllo, laddove esistenti. In ogni caso le autorità competenti, designate dagli Stati membri, devono individuare gli organismi di monitoraggio riservandosi di verificarne il corretto comportamento con cadenza regolare.

2.7

Gli organismi di controllo, che hanno preliminarmente elaborato norme per la realizzazione della dovuta diligenza, autorizzano gli operatori con sistemi adeguati. Le autorità competenti effettuano i dovuti controlli e applicano le opportune misure disciplinari nei confronti di quegli operatori certificati che non rispettano il sistema della dovuta diligenza.

2.8

Gli Stati membri adottano le disposizioni relative alle sanzioni in caso di violazioni e applicano tutte le misure necessarie per favorire l'applicazione del presente regolamento. Le regole in esso stabilite, in base agli accordi dell'OMC, saranno applicate allo stesso modo sia per i prodotti importati che per quelli prodotti nell'UE.

3.   Osservazioni generali

3.1   L'obiettivo di assicurare che il legname presente nel mercato europeo provenga da foreste gestite in modo legale e sostenibile è totalmente condiviso. Si auspica inoltre che il regolamento sia approvato in tempi brevi e che rappresenti un segnale forte dell'impegno dell'UE contro il taglio illegale di legname.

3.2   Il rafforzamento dell'approccio bilaterale mediante gli accordi volontari di partenariato FLEGT è sicuramente auspicabile, così come gli accordi con i maggiori paesi importatori di legname (USA, Russia, Cina, Giappone), al fine di stabilire norme internazionali per combattere non solo il taglio illegale del legno, ma anche la sua commercializzazione. È poi auspicabile lo sviluppo di programmi di cooperazione con i paesi produttori, miranti all'uso sostenibile delle risorse forestali, al rispetto delle leggi nei paesi produttori e all'estensione dei sistemi di certificazione. Più in generale è auspicabile la realizzazione di progetti che, attraverso lo sviluppo di adeguati sistemi di controllo, favoriscano in loco l'applicazione dei principi di «buona governance».

3.3   Il sistema della dovuta diligenza presenta però alcuni elementi di debolezza. Anzitutto esso considera solo gli operatori che commercializzano per la prima volta il legname e i prodotti del legno: i proprietari dei boschi, chi detiene il diritto di tagli e chi importa il legno, col risultato che gli effetti attesi sul controllo del rischio di immettere prodotti illegali sul mercato si attenuano man mano che gli operatori della filiera si avvicinano al consumatore finale. A giudizio del Comitato, detto sistema va esteso, con diverse modalità e regole, a tutti gli operatori che appartengono alla filiera del legno dell'UE.

3.3.1

Ogni operatore della filiera deve assicurarsi della legalità del legno in suo possesso, disponendo delle informazioni essenziali sull'origine del prodotto: paese, foresta, fornitore, specie, età, volume. Ciò può essere assicurato mediante l'adozione di un sistema di tracciabilità, che preveda diversi livelli di responsabilità. Ai piccoli proprietari forestali, che operano in ambiti nazionali già organizzati con sistemi legislativi di controllo efficaci, che rispettino il sistema della dovuta diligenza, è, infatti, inutile imporre oneri burocratici aggiuntivi. Viceversa, i grandi operatori che acquistano e commercializzano il legno nell'UE o importano da paesi terzi sono tenuti ad applicare il sistema come previsto dal regolamento.

3.4   Il sistema della dovuta diligenza, pur con i correttivi auspicati, non sembra nel breve periodo comunque sufficiente al raggiungimento degli obiettivi prefissati, anche alla luce della gravità e della complessità del problema del taglio illegale di legname. In particolare occorre focalizzare le misure ed i controlli verso le aree di provenienza del legno e le fasi della filiera considerate ad alto rischio di illegalità, vero punto focale del problema. In questi casi la gestione forestale richiederebbe anche il monitoraggio da parte di enti certificatori indipendenti e di comprovata esperienza.

3.5   È opportuno delineare a livello UE un quadro comune che fissi gli standard da rispettare nella procedura di gestione del rischio, utilizzando al meglio i sistemi di controllo e di tracciabilità del legno già esistenti nell'UE, evitando inutili duplicazioni, soprattutto a carico delle piccole e medie imprese forestali, e puntando all'armonizzazione del nuovo sistema con quelli più efficaci già adottati in diversi Stati membri. È dunque da incoraggiare l'applicazione di tutti quei sistemi che già rispondono ai requisiti connessi alla dovuta diligenza, in base alle legislazioni nazionali e ad idonei sistemi di controllo, come la certificazione forestale.

3.6   È opportuno che il presente regolamento sia esteso anche al legname e ai prodotti del legno destinati alla produzione di energia da fonti rinnovabili. Tutti i prodotti e sottoprodotti del legno, compresi quelli che possono presentare caratteristiche di sostenibilità, come nel caso delle biomasse destinate a produrre energia, devono avere provenienza legale. La legalità è, infatti, un prerequisito ineludibile per la sostenibilità di qualsiasi azione.

3.7   È infine da definire in modo chiaro ed omogeneo nei diversi Stati membri il sistema di sanzioni da adottare per chi contravviene agli obblighi di commerciare legname e prodotti del legno ottenuti in modo legale. Occorre a tal fine assicurare che le sanzioni siano effettive, proporzionate e dissuasive, fino a prevedere, in casi gravemente dolosi, la sospensione delle attività commerciali.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Al fine di realizzare gli obiettivi indicati è decisivo definire gli strumenti adeguati in grado di accertare la legalità del legno e dei prodotti del legno commercializzati nell'UE. Oltre alle legislazioni nazionali e agli strumenti previsti dalla proposta di regolamento, devono essere presi in considerazione i diversi sistemi che già soddisfano i criteri della dovuta diligenza, inclusi quelli di certificazione delle foreste. Inoltre occorre definire opportuni sistemi di riconoscimenti per chi, commercializzando il legno e i prodotti del legno, opera in modo corretto, e di sanzioni per chi contravviene alle regole fissate. Tali regole, che non è possibile fissare a livello europeo, dovranno essere stabilite dagli Stati membri seguendo criteri di omogeneità.

4.2

Il taglio illegale rappresenta, infatti, una minaccia a qualsiasi progetto di gestione forestale sostenibile. Gli accordi coi paesi terzi devono pertanto prevedere collaborazioni organizzative/gestionali e sistemi d'incentivi sociali, in considerazione dell'osservata correlazione inversa tra tasso di taglio illegale di legname e reddito pro capite degli abitanti di una certa nazione. I paesi tropicali ad alta pressione demografica e con la più diffusa povertà sono le principali frontiere di deforestazione (5). Analogamente, i paesi africani esportatori di legno sono tra i cinquanta paesi più poveri del mondo, figurano tra quelli a più basso indice di sviluppo umano e il loro reddito pro capite è tra i più miserabili (6).

4.3

L'estensione del sistema della dovuta diligenza a tutti gli operatori, e non solo a chi commercializza per la prima volta il legno e i prodotti del legno, comporta oneri amministrativi aggiuntivi, ma i vantaggi attesi saranno evidenti con la conseguente immissione sul mercato europeo esclusivamente di legname di provenienza legale, tracciabile lungo l'intera filiera. Si tratterà di molteplici vantaggi di natura non strettamente economica (7), ma soprattutto sociale. In tale contesto si considera l'ambiente come interno alle forze economiche e sociali in cui i soggetti sono mossi non solamente da motivazioni economiche, ma anche da interessi di altro tipo (ambientali, sociali e culturali).

4.4

I prodotti così ottenuti, oltre che confacenti alla richiesta di un mercato sempre più sensibile alle tematiche di tutela ambientale, risulteranno valorizzati, con la possibilità di conseguire anche un non trascurabile effetto imitativo nei paesi terzi. Pertanto una gestione lungimirante del patrimonio forestale e l'uso di prodotti di provenienza legale sono un'opportunità di sviluppo per i lavoratori locali e una garanzia di futuro per l'industria di settore.

4.5

È comunque opportuno che gli obblighi siano applicati in base alla dimensione delle aziende, concedendo così alle piccole e medie imprese e ai piccoli produttori una maggiore flessibilità e gradualità per adeguarsi al sistema della dovuta diligenza. In particolare gli operatori che acquistano per la prima volta il legno dovranno minimizzare il rischio di commercializzare prodotti illegali attraverso la tracciabilità documentale, attestante origine e caratteristiche del prodotto (paese, foresta, fornitore, specie, età, volume), mentre gli altri operatori della filiera a valle dovranno documentare da chi hanno acquistato il legno.

4.6

Nella definizione del regolamento sembra opportuno ribadire il pieno riconoscimento delle normative e dei modelli organizzativi nazionali più in sintonia con criteri di gestione sostenibile del patrimonio forestale, senza imporre loro novità fini a se stesse. A tale proposito giova ampliare il concetto di sostenibilità, che non s'incentra solo sulla capacità di produrre legno, ma anche su criteri sociali (condizioni rispettose dei diritti umani e del lavoro), economici (evitare distorsioni del mercato per concorrenza sleale) e ambientali (l'impatto delle operazioni sull'ambiente e sulla biodiversità dell'area).

4.7

Occorre creare un clima positivo a favore degli operatori che agiscono in modo corretto e che informano gli acquirenti sulla provenienza legittima del legno e dei prodotti da esso derivati. Infine è anche auspicabile l'avvio di una campagna d'informazione per sensibilizzare i consumatori sull'importanza di conoscere e poter verificare, mediante la tracciabilità, la provenienza legale del legno e dei prodotti derivati al momento dell'acquisto.

4.8

La promozione dell'utilizzo di legno di provenienza legale nell'edilizia, nel settore dei mobili o degli altri manufatti può realizzarsi attraverso azioni congiunte e la distribuzione di materiale divulgativo e informativo, allo scopo di promuovere il legno proveniente da foreste gestite in modo sostenibile quale unica materia prima sostenibile in grado di ricrearsi naturalmente e di immagazzinare anidride carbonica, anche durante tutto il ciclo di vita del prodotto, caratteristica che lo contraddistingue rispetto a qualsiasi altro materiale.

4.9

Per assicurare il corretto funzionamento del sistema, si sostiene fortemente l'idea di affiancare alla Commissione un gruppo consultivo sul commercio di legname, che comprenda i diversi soggetti interessati.

Bruxelles, 1o ottobre 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Action Plan for Forest Law Enforcement, Governance and Trade (Piano d'azione per l'applicazione delle normative, la governance e il commercio nel settore forestale).

(2)  Organizzazione internazionale del lavoro (ILO - International Labour Organisation).

(3)  Ruhong Li, J. Buongiorno, J.A. Turner, S. Zhu, J. Prestemon, Long-term effects of eliminating illegal logging on the world forest industries, trade and inventory, Forest policy and economics, 10 (2008) pagg. 480-490.

(4)  Convention on International Trade in Endangered Species (Convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e di fauna selvatiche minacciate di estinzione).

(5)  Causes of forest encroachment: An analysis of Bangladesh. Iftekhar M.S., Hoque A.K.F, Geo Journal 62 (2005) pagg. 95-106.

(6)  Greenpeace, L'industria del legno in Africa. Impatti ambientali, sociali e economici (2001).

(7)  Economics of sustainable forest management. Editoriale. Shashi S. Kant, Forest Policy and Economics, 6 (2004) pagg. 197-203.


23.12.2009   

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Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/92


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde — La gestione dei rifiuti organici biodegradabili nell'Unione europea

COM(2008) 811 def.

2009/C 318/18

Relatore: BUFFETAUT

La Commissione, in data 3 dicembre 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al:

«Libro verde - La gestione dei rifiuti organici biodegradabili nell'Unione europea»

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 settembre 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore BUFFETAUT.

Alla sua 456a sessione plenaria, dei giorni 30 settembre e 1o ottobre 2009 (seduta del 1o ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 160 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore l'iniziativa intrapresa dalla Commissione nel suo Libro verde. Si rammarica tuttavia che la riflessione non riguardi tutti i rifiuti organici biodegradabili, bensì esclusivamente una loro categoria.

1.2

In mancanza di una regolamentazione comune il Comitato raccomanda un'armonizzazione dei principi e dei metodi tecnici.

1.3

Il CESE insiste sulla necessità di rispettare la gerarchia dei metodi di gestione dei rifiuti e di incentivare e favorire il riciclo e il recupero, e in modo particolare il recupero energetico.

1.4

Il Comitato raccomanda di adoperarsi al massimo per ridurre la produzione dei rifiuti da parte dei consumatori e dei produttori industriali, pur sapendo che le quantità che si possono evitare in questo modo sono trascurabili. Dato che le condizioni locali influiscono molto sulla gestione dei rifiuti e sulle possibilità di utilizzare il materiale così prodotto, il Comitato giudica che per il momento l'Unione europea dovrebbe indicare orientamenti chiari e definire obiettivi di qualità, piuttosto che prevedere regole vincolanti uniformi sulle modalità di produzione del compost. Occorre pertanto lasciare agli Stati membri un margine di manovra per l'attuazione degli obiettivi europei. Sarebbe tuttavia necessario, dopo cinque anni dall'adozione degli eventuali orientamenti, fare un bilancio dell'attuazione della politica europea. Se questo risultasse insoddisfacente, bisognerebbe allora prevedere una legislazione più vincolante.

2.   Che cosa s'intende per «rifiuti organici biodegradabili»?

2.1

Per «rifiuti organici biodegradabili» (1) si intendono i rifiuti organici biodegradabili di giardini e parchi, i rifiuti alimentari e di cucina prodotti da nuclei domestici, ristoranti, servizi di ristorazione e punti vendita al dettaglio nonché i rifiuti similari prodotti dagli impianti dell'industria alimentare. Non rientrano in questa definizione i residui agricoli o silvicoli, il letame, i fanghi di depurazione o altri rifiuti organici biodegradabili come i tessuti naturali, la carta o il legno trattato. Il Libro verde in esame è dedicato non già all'ampia categoria dei «rifiuti organici biodegradabili» (déchets biodégradables) (1), bensì a una loro tipologia specifica, quella che in francese è denominata bio-déchets (bio-waste in inglese).

2.2

La quantità totale di rifiuti organici biodegradabili prodotta annualmente nell'UE è stimata in 76,5-102 Mt di rifiuti alimentari e di giardino inclusi nei rifiuti solidi urbani indifferenziati e fino a 37 Mt di rifiuti prodotti dall'industria alimentare e delle bevande.

3.   Qual è la necessità di un Libro verde?

3.1

Anzitutto, va tenuto presente che le politiche in materia variano nettamente da uno Stato membro all'altro. Occorre dunque stabilire se tali politiche a livello nazionale siano sufficienti, o se non sia preferibile e più efficace un'azione comunitaria, ferma restando l'importanza delle condizioni locali specifiche, segnatamente di ordine climatico.

3.2

La direttiva quadro sui rifiuti invita la Commissione a valutare la gestione dei rifiuti organici per prevedere, se del caso, una proposta legislativa oppure linee guida.

3.3

La Commissione ha pubblicato due documenti di lavoro, rispettivamente nel 1999 e nel 2001, ma la situazione si è nel frattempo modificata, in particolare con l'adesione di 12 nuovi Stati membri.

3.4

Il Libro verde si propone dunque di accertare le opzioni disponibili per migliorare la gestione dei rifiuti organici biodegradabili. Si tratta di avviare un dibattito sull'opportunità di un'azione comunitaria futura che tenga conto della gerarchia dei rifiuti e dei possibili vantaggi sul piano economico, sociale e ambientale. Ciò è difficoltoso a causa delle numerose incognite in materia.

4.   Le tecniche attuali

4.1

Negli Stati membri vengono utilizzati i seguenti sistemi:

la raccolta differenziata, che permette la produzione di un compost di qualità superiore,

la messa in discarica, tuttora molto utilizzata per i rifiuti solidi urbani,

l'incenerimento, con recupero di energia (meno rilevante nel Sud, dove è meno utile sfruttare il calore prodotto),

il trattamento biologico,

il trattamento con altri rifiuti,

la trasformazione del compost in pellet («pellettizzazione»),

il trattamento aerobico,

il trattamento anaerobico,

il trattamento meccanico-biologico (TMB), che abbina i processi meccanici (separazione) ai processi biologici.

4.2

Gli Stati membri fanno ricorso a tutte queste tecniche, ma tra di esse tre risultano prevalenti: l'incenerimento per evitare la messa in discarica, il recupero di percentuali elevate di materiale con tassi d'incenerimento relativamente bassi, e la messa in discarica.

4.3

Anche le regolamentazioni presentano notevoli differenze tra Stati membri. Ne esistono per l'impiego e la qualità del compost (però diverse da uno Stato membro all'altro), e anche per il recupero dell'energia, introdotte a livello comunitario.

4.4

L'impatto ambientale ed economico varia a seconda delle tecniche adottate. La messa in discarica è considerata meno onerosa, mentre l'incenerimento richiede investimenti più cospicui. Quanto al trattamento biologico, le tecniche sono talmente diverse che è difficile indicare un costo unico.

5.   Osservazioni di carattere generale

5.1   Campo d'applicazione

5.1.1

Il Libro verde in esame non si applica all'intera categoria dei «rifiuti organici biodegradabili» (déchets biodégradables), bensì a una loro tipologia specifica: quella che in francese è denominata bio-déchets. In un certo senso si crea così una nuova categoria di rifiuti organici biodegradabili che comprende unicamente i rifiuti verdi derivanti da parchi, giardini, ecc. e i rifiuti alimentari prodotti da nuclei domestici, ristoranti, servizi di ristorazione e impianti dell'industria agroalimentare.

5.1.2

I circuiti di raccolta e gli strumenti di trattamento per entrambe le categorie di rifiuti summenzionati, e talvolta anche le filiere del recupero, vengono previsti e attuati in maniera analoga. Di conseguenza sarebbe stato più logico adottare un approccio globale uniforme mediante un'unica normativa. Qualora ciò non fosse possibile, occorrerebbe almeno una regolamentazione armonizzata sotto il profilo dei principi e dei metodi tecnici.

5.1.3

I metodi di gestione dei rifiuti organici biodegradabili (appartenenti a entrambe le categorie menzionate in precedenza) devono evidentemente rispettare la gerarchia dei metodi di gestione dei rifiuti in generale: prevenzione, riciclaggio (nella fattispecie non si può contemplare il riutilizzo), altri tipi di recupero, fra l'altro a fini energetici, e infine smaltimento.

5.1.4

Chiaramente, la prevenzione alla fonte è il metodo preferibile. Nella pratica si tratta di limitare sia la percentuale di alimenti inutilizzati che finisce nei rifiuti, sia la produzione di rifiuti verdi derivanti da parchi, giardini, ecc. adottando metodi di coltivazione adeguati. Occorre tuttavia essere realisti: la produzione di rifiuti non può essere evitata.

5.1.5

Per questo tipo di rifiuti il riciclaggio è da considerare come il metodo di gestione prioritario: si tratta di produrre ammendante organico mediante compostaggio, oppure concime mediante metanizzazione. Il metodo di raccolta che precede il trattamento biologico riveste grande importanza. Si può procedere mediante raccolta differenziata alla fonte oppure mediante raccolta indifferenziata seguita dallo smistamento nell'apposito centro. A questo proposito è importante sottolineare che la qualità dei prodotti utilizzati per la fabbricazione del compost determina, in larga misura, la qualità del prodotto finale. Ciò che conta è raggiungere i traguardi previsti in materia di riciclaggio e di qualità del materiale finale, indipendentemente dalle tecnologie o dai metodi organizzativi impiegati.

5.1.6

Per i rifiuti organici biodegradabili l'efficienza del processo di recupero è ottimizzata grazie alla metanizzazione. Il recupero di energia dalla frazione residua dei rifiuti è un complemento indispensabile delle filiere del riciclaggio di questo tipo di rifiuti che consente di sfruttarne al meglio il potenziale energetico.

5.2   L'impiego dei compost

5.2.1

In proposito si deve sottolineare che gli impieghi variano molto a seconda delle situazioni esistenti negli Stati membri e che gli scambi commerciali d'importazione/esportazione sono molto limitati. Il mercato dei compost è essenzialmente locale. In taluni paesi il compost è utilizzato principalmente in agricoltura, mentre in altri è maggiormente destinato al pubblico, che lo usa per le piante o per arricchire il suolo. Sembra pertanto logico che la regolamentazione venga concepita in funzione dell'uso del prodotto finale. Si possono distinguere tre grandi categorie di impieghi/prodotti:

nutrizione dei vegetali e del suolo,

miglioramento delle proprietà fisiche del suolo,

sostituzione parziale del terreno.

5.2.2

In ogni caso, i criteri di qualità sanitaria e ambientale dei materiali finali (compost o digestati) vanno definiti sulla scorta di studi dei rischi scientifici. I criteri finali di qualità dei compost o dei digestati devono essere stabiliti in funzione degli impieghi previsti e di analisi accurate dei rischi basate su metodologie valide e collaudate.

5.3   Il livello decisionale

5.3.1

La responsabilità di sviluppare il trattamento dei rifiuti organici biodegradabili, trattamento le cui condizioni variano a seconda delle caratteristiche geografiche e climatiche e della domanda di compost sul mercato, va lasciata di preferenza agli Stati membri, i quali opereranno sulla base di linee guida chiare, definite a livello europeo, e di criteri qualitativi scientifici.

5.3.2

La politica dell'UE dovrebbe quindi poggiare sugli elementi che seguono: definizione di standard per il compost, un forte sostegno alla raccolta differenziata e al riciclaggio, definizione di standard per il processo di produzione del compost nonché scambio di buone pratiche. In tutto ciò occorre mantenere una certa flessibilità: perciò vanno preferite linee guida chiare piuttosto che misure legislative troppo vincolanti e inadeguate alle condizioni locali. Nella pratica gli enti locali hanno a disposizione tutta una serie di misure, in particolare in materia di politica tariffaria e fiscalità. Così, ad esempio in Francia, il fatto che un comune opti per la raccolta differenziata comporta una diminuzione della tassa sul ritiro dei rifiuti domestici, il che va a vantaggio diretto dei contribuenti. Si tratta di un'agevolazione che offre notevoli incentivi alle autorità comunali. Ciò non toglie, tuttavia, che la raccolta differenziata sia più facile da organizzare nelle zone rurali o suburbane che nei centri cittadini, in particolare nei centri storici.

5.4   La classificazione del compost. Anziché classificare la qualità del compost in funzione del tipo di raccolta (differenziata o indifferenziata), sarebbe preferibile definire criteri di qualità del prodotto finale indipendentemente dalla sua origine, in funzione di criteri scientifici e sanitari validi e della destinazione prevista.

5.5   Le tecniche da incoraggiare. È difficile imporre la raccolta differenziata, perché nella pratica essa può risultare molto difficoltosa soprattutto nei centri urbani, tuttavia va incoraggiata quando tecnicamente ed economicamente è possibile. Ciò va accompagnato da un'intensa politica di informazione e di comunicazione intesa a trasformare i comportamenti e le abitudini dei cittadini.

5.5.1

Il trattamento biologico va preferito ad altre forme di trattamento, e in particolare alla messa in discarica. A questo proposito si fa rilevare che alcuni strumenti economici e fiscali possono incitare a trovare soluzioni alternative alla messa in discarica. Tra questi strumenti si possono citare, ad esempio, l'aumento o l'introduzione di tasse sulla messa in discarica dei rifiuti in modo da finanziarne il trattamento a fini di recupero. È anche necessario offrire alternative a costi abbordabili.

5.5.2

Occorre in ogni caso far presente la gerarchia dei metodi di gestione dei rifiuti e rafforzare le misure intese a prevenire la produzione di rifiuti.

5.6   Impianti non contemplati dalla futura direttiva sulla prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento (IPPC). Gli impianti che non rientrerebbero nel campo d'applicazione di tale direttiva, e cioè quelli che hanno una capacità giornaliera inferiore a 50 t di rifiuti trattati, dovrebbero rispettare un sistema di garanzia della qualità. È importante sottolineare che, anche se questi impianti di piccole dimensioni rappresentano il 30 % della totalità degli impianti, essi trattano soltanto una percentuale molto esigua della quantità complessiva di rifiuti.

6.   Osservazioni specifiche: otto quesiti

6.1   La Commissione ha posto alle parti interessate otto quesiti specifici. Il Comitato economico e sociale europeo intende fornire una risposta al riguardo.

6.2   Quesito 1: Ridurre la produzione di rifiuti

6.2.1

Non si può che essere d'accordo sull'obiettivo generale di ridurre la produzione di rifiuti. Questa prevenzione può avere carattere quantitativo o/e qualitativo. Nel primo caso si tratta di limitare la quantità dei rifiuti immessi nelle filiere della gestione collettiva, mediante il compostaggio effettuato direttamente dai privati o a livello degli enti locali: tuttavia queste tecniche hanno un impatto limitato a livello del volume e un effetto piuttosto ridotto nel breve e medio termine. Nel caso della prevenzione di carattere qualitativo si tratta di evitare la contaminazione dei rifiuti organici biodegradabili.

6.2.2

In entrambi i casi è necessario sensibilizzare ed educare la popolazione, che ha un ruolo essenziale non solo nella produzione dei rifiuti, ma anche nella loro differenziazione e raccolta. In concreto, quest'opera di sensibilizzazione dovrebbe essere anzitutto mirata ai maggiori produttori di rifiuti.

6.2.3

Si potrebbero raccomandare le seguenti misure specifiche:

campagne intese a ridurre la produzione di rifiuti alimentari,

utilizzo di sacchi della spazzatura biodegradabili e totalmente compostabili,

raccolta selettiva dei rifiuti domestici pericolosi,

incentivi, per i maggiori produttori, a promuovere le raccolte differenziate dei rifiuti organici biodegradabili,

riduzione della produzione di rifiuti nella catena dell'approvvigionamento.

6.3   Quesito 2: Limitare la messa in discarica

6.3.1

Il fatto di limitare maggiormente la messa in discarica dei rifiuti organici biodegradabili presenta vantaggi ambientali e consentirebbe di utilizzare tali rifiuti per recuperare energia, di riciclare i materiali e di produrre maggiori quantità di compost, ma richiede l'esistenza di diverse alternative possibili a costi abbordabili.

6.3.2

Sarebbe opportuno incentivare il trattamento biologico, ad esempio grazie a strumenti finanziari. In Francia il gettito dell'aumento della tassa sull'interramento in discarica è destinato a una ridistribuzione a favore dei trattamenti biologici. Si dovrebbe altresì prevedere la fissazione di tassi di riciclaggio dei rifiuti organici biodegradabili.

6.4   Quesito 3: Opzioni per il trattamento dei rifiuti organici biodegradabili non conferiti in discarica

6.4.1

Risulta particolarmente indicata la digestione anaerobica dei rifiuti con recupero di energia grazie al biogas e impiego del digestato per la fabbricazione del compost. È un metodo conforme alla nozione del «ciclo di vita», in quanto permette di ridurre le emissioni di gas a effetto serra, di migliorare la qualità del suolo grazie al compost e di recuperare energia producendo biogas.

6.4.2

In ogni caso, a prescindere dal metodo scelto, va data la priorità al riciclaggio con produzione di concimi che ritorneranno nel terreno grazie a trattamenti ecologici il cui impatto ambientale positivo è unanimemente riconosciuto.

6.4.3

La nozione di «ciclo di vita» è interessante, ma il suo utilizzo concreto si scontra con il fatto che gli strumenti attualmente disponibili non consentono di metterla in pratica. Occorre migliorare i metodi di valutazione della gestione per tenere conto degli effetti del cambiamento climatico e del problema della qualità dei suoli.

6.4.4

Si dovrebbero applicare disposizioni meno rigorose per l'incenerimento dei rifiuti di qualità omogenea dato che questo metodo presenta minori rischi.

6.5   Quesito 4: Migliorare il recupero di energia

6.5.1

I rifiuti organici biodegradabili urbani contribuiscono per il 2,6 % alla produzione di energia rinnovabile. È il risultato dei metodi di trattamento attualmente impiegati: incenerimento, trattamento del biogas prodotto nelle discariche, biogas ottenuto con la metanizzazione.

6.5.2

Stando all'Agenzia europea per l'ambiente, il potenziale energetico dei rifiuti urbani sarebbe di 20 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, il che rappresenta circa il 7 % del potenziale globale delle energie rinnovabili di cui si disporrà nel 2020. È una cifra nient'affatto trascurabile, quindi non è opportuno dare un giudizio a priori negativo del recupero energetico dei rifiuti. Lo sviluppo della metanizzazione dei rifiuti organici biodegradabili va considerato come una soluzione interessante, che deve essere incoraggiata.

6.5.3

È essenziale promuovere lo sviluppo di tecnologie nuove e più efficienti onde accrescere l'eliminazione dei rifiuti mediante impianti per la produzione di biogas e altri tipi d'impiego dei rifiuti per la produzione di biocombustibili.

6.6   Quesito 5: Il riciclaggio dei rifiuti organici biodegradabili

6.6.1

È indispensabile promuovere il riciclaggio e le attività di recupero dei rifiuti organici biodegradabili. Occorre non solo informare e incoraggiare i produttori di tali rifiuti, ma anche fare pressione sulle amministrazioni responsabili in materia. Si potrebbe ad esempio incoraggiare ciascuno Stato membro a stabilire un obiettivo per l'utilizzo dei concimi ottenuti con materiali rinnovabili.

6.6.2

Si potrebbero contemplare le seguenti misure:

incentivi fiscali a favore d'iniziative per il riciclaggio di rifiuti organici biodegradabili e di recupero dei compost/dei digestati,

l'introduzione, negli appalti, di clausole che incoraggino l'uso dei concimi ottenuti con materiali rinnovabili,

la promozione di sistemi di garanzia della qualità per le varie fasi dei trattamenti biologici,

il recupero dell'energia dalla frazione residua dei rifiuti.

6.7   Quesito 6: Promuovere l'uso del compost/digestato

6.7.1

Tenuto conto della diversità degli impieghi e dei prodotti, occorrerebbe stabilire delle regole sia per i compost che per il loro impiego.

6.7.2

Per quanto riguarda i compost, è necessario stabilire dei massimali per i contaminanti, gli inquinanti e gli agenti patogeni.

6.7.3

Per l'uso dei compost sarebbe opportuno stabilire:

obiettivi di nutrizione dei vegetali e del suolo,

obiettivi di miglioramento delle proprietà fisiche del terreno,

obiettivi di parziale sostituzione del suolo.

6.7.4

Ciascun obiettivo dovrebbe corrispondere alle caratteristiche e alle qualità dei compost interessati. In ciascuno di questi casi, sulla base di studi scientifici dei rischi, bisognerebbe definire dei criteri qualitativi dei materiali finali sotto il profilo sanitario e ambientale. Tali criteri riguarderebbero gli inquinanti, gli agenti patogeni e le impurità.

6.7.5

Il problema dell'utilizzo del compost prodotto con rifiuti indifferenziati è legato al problema del metodo di trattamento. La raccolta differenziata alla fonte è la soluzione più sicura, ma non sempre facile da organizzare. La soluzione alternativa consiste in una raccolta indifferenziata seguita dalla separazione nell'impianto di trattamento o in un apposito centro di smistamento. Di conseguenza, considerato che le tecniche a disposizione sono numerose, occorre garantire che, indipendentemente dal metodo impiegato, vengano conseguiti gli obiettivi del riciclaggio e della qualità del materiale finale.

6.8   Quesito 7: Lacune nel quadro normativo vigente

6.8.1

Tutti gli impianti per il trattamento dei rifiuti devono formare oggetto di vigilanza e regole rigorose. Un testo specifico sulla gestione dei rifiuti organici biodegradabili che definisca norme minime a livello europeo consentirebbe, senza modificare la soglia prevista dalla direttiva IPPC, di assicurare una migliore sorveglianza degli impianti di compostaggio, che spesso sono al di sotto di questa soglia.

6.9   Quesito 8: Vantaggi e svantaggi delle tecniche di gestione dei rifiuti organici biodegradabili

6.9.1

Il Libro verde fa riferimento alla gerarchia dei sistemi di trattamento dei rifiuti, e giustamente raccomanda di limitare la messa in discarica. L'incenerimento può essere un buon metodo di valorizzazione dei rifiuti organici biodegradabili (per il recupero di energia), ma è evidente che in questo caso i nutrienti contenuti nei rifiuti non vengono utilizzati per migliorare la qualità dei suoli. Dal canto suo, il compostaggio ha il merito di produrre un materiale con notevole valore fertilizzante e proprietà idonee al condizionamento del terreno, ma presenta anche l'inconveniente che durante la fabbricazione del compost si producono emissioni di gas a effetto serra. La digestione anaerobica dei rifiuti con produzione e recupero energetico del biogas e impiego del digestato per la fabbricazione di compost è più complessa e richiede investimenti di maggiore rilievo rispetto al compostaggio. D'altro canto consente di ottenere una fonte di energia rinnovabile di migliore qualità.

6.9.2

In linea di principio, è opportuno mantenere la capacità d'innovazione tecnologica degli operatori affinché possano far evolvere le filiere dei rifiuti e migliorarle sul piano sia economico che quantitativo e qualitativo. Ciò che conta è assicurare la migliore qualità possibile del compost prodotto: occorre concentrarsi sugli obblighi di risultato facendo riferimento a soglie definite in base a criteri scientifici, anziché stabilire già in partenza le tecniche da utilizzare.

Bruxelles, 1o ottobre 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Ndt: il testo francese del parere distingue fra bio-déchets e déchets biodégradables. Tuttavia, il termine bio-déchets utilizzato nel doc. COM(2008) 811 def. è tradotto in italiano con «rifiuti organici biodegradabili», il che rende difficile evidenziare la distinzione operata dal relatore nel presente parere. La direttiva quadro sui rifiuti [COM(2005) 667 def. - 2005/0281 (COD)] usava semplicemente il termine déchets biodégradables, tradotto in italiano con «rifiuti biodegradabili».


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/97


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Un approccio comunitario alla prevenzione delle catastrofi naturali e di origine umana

COM(2009) 82 def.

2009/C 318/19

Relatrice: SÁNCHEZ MIGUEL

La Commissione, in data 23 febbraio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Un approccio comunitario alla prevenzione delle catastrofi naturali e di origine umana»

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 settembre 2009, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SÁNCHEZ MIGUEL.

Alla sua 456a sessione plenaria, dei giorni 30 settembre e 1o ottobre 2009 (seduta del 1o ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 165 voti favorevoli, nessun voto contrario e 2 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1

La prevenzione è un principio fondamentale per la protezione e la salvaguardia dell'ambiente, nonché un mezzo per ridurre al minimo i danni che potrebbero essere causati alla popolazione civile da catastrofi naturali o di origine umana, determinate da un uso insostenibile delle risorse naturali. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ha insistito in diverse occasioni sulla necessità che le autorità competenti di ciascun paese applichino le disposizioni vigenti in materia e ne controllino il rispetto.

1.2

Il metodo globale proposto per prevenire le catastrofi è, secondo il CESE, adeguato. In questo senso, risultano fondamentali tutti gli strumenti di raccolta delle informazioni, sia per valutare la situazione attuale (inventario, mappatura dei rischi e buone pratiche) sia per realizzare i programmi di lavoro annuali previsti dal meccanismo comunitario di protezione civile attraverso il centro di controllo e d'informazione. È in questo ambito che andrebbe nuovamente sottolineato il ruolo degli enti locali, mettendo in evidenza nella proposta il lavoro che essi svolgono nei confronti della popolazione civile nella diffusione di informazioni sui metodi, nell'azione preventiva e nella risposta alle catastrofi.

1.3

Per quanto concerne i sistemi proposti per finanziare le misure di prevenzione, attraverso l'inventario degli attuali sistemi di prevenzione delle catastrofi e di altri sistemi concreti collegati a politiche agricole, industriali, ecc., il CESE ritiene necessario ampliare il finanziamento ad altri settori quali la preparazione, la pianificazione e l'allarme rapido, che dovrebbero essere dotati di risorse finanziarie sufficienti per non mettere in pericolo l'attuale efficacia del meccanismo.

1.4

La ricerca concernente misure preventive in caso di catastrofe è un elemento essenziale che occorre sviluppare. Non basta far riferimento al Settimo programma quadro di ricerca e sviluppo tecnologico: bisogna assegnare mezzi propri ai programmi specifici di prevenzione dei rischi non solo comunitari, ma anche nazionali.

1.5

Infine, la cooperazione internazionale in materia di prevenzione è un complemento alla cooperazione già esistente nell'ambito degli interventi e degli aiuti in caso di catastrofe. È uno strumento di solidarietà sviluppato non solo in ambito ONU, ma anche in altri accordi internazionali sottoscritti dall'UE quali Euromed, Lomé, America Latina, ecc.

2.   Introduzione

2.1

L'impegno da parte dell'UE ad intraprendere azioni preventive per combattere il cambiamento climatico è dovuto non solo agli obblighi assunti a livello internazionale, ma anche alle continue catastrofi naturali o di origine umana che sono sopravvenute negli ultimi anni sul suo territorio. Questo orientamento preventivo può servire non solo a mantenere e rigenerare lo stato delle nostre terre, dei mari e dei fiumi, ma anche a diffondere il principio di prevenzione in altri paesi.

2.2

Le misure definite nella comunicazione oggetto del presente parere sono il risultato di una prassi che è stata applicata nella maggior parte dei paesi in casi specifici (ad esempio alluvioni o incendi) e che ha creato, in un breve lasso di tempo, quel coordinamento comunitario che ha permesso di agire con rapidità ad efficacia e anche di intervenire sul piano internazionale.

2.3

Il CESE ha chiesto un coordinamento a livello comunitario e soprattutto lo sviluppo, sempre su scala europea, di un approccio integrato per la prevenzione delle catastrofi (1). Desidera tuttavia insistere sulla necessità di affiancare a tali misure di prevenzione un sistema comunitario di assistenza in caso di catastrofi di qualsiasi tipo, considerandolo un sistema solidale di aiuto destinato non solo ai paesi comunitari, ma anche a tutti gli Stati che hanno bisogno delle nostre conoscenze e dei nostri mezzi per ridurre al minimo gli effetti di tali catastrofi.

2.4

La prevenzione è un principio fondamentale per la protezione e la salvaguardia dell'ambiente, nonché per ridurre al minimo i danni che potrebbero essere causati alla popolazione civile. Il suo obiettivo è quello di un uso sostenibile delle risorse naturali. Il rapido aumento della perdita di vite umane, di biodiversità e di risorse economiche avvenuto negli ultimi tempi ci impone di riconsiderare la questione dell'effettivo rispetto delle norme giuridiche già esistenti. In questo senso, il CESE ha sempre insistito sulla necessità che le autorità competenti di ciascun paese applichino e controllino il rispetto delle disposizioni vigenti (2), dato che alcune catastrofi avrebbero potuto essere evitate o, perlomeno, se ne sarebbero potuti attenuare gli effetti.

2.5

Gli obiettivi di prevenzione previsti nella presente comunicazione hanno una rilevanza che va oltre i confini dell'UE. Dal 16 al 19 giugno 2009 si è tenuta a Ginevra la seconda riunione della Piattaforma globale per la riduzione del rischio di catastrofi, con una partecipazione notevole dell'UE. In linea generale, il contenuto delle sue conclusioni, alcune delle quali verranno commentate nel presente testo, è in linea con gli obiettivi proposti dalla Commissione europea.

3.   Sintesi delle proposte contenute nella comunicazione

3.1

La comunicazione in esame fa seguito all'impegno assunto dalla Commissione dinanzi al Parlamento europeo e al Consiglio affinché si rafforzi l'azione comunitaria destinata a prevenire le catastrofi e attenuarne gli impatti.

3.2

Gli elementi chiave per stabilire un approccio preventivo si basano essenzialmente su misure già adottate a livello comunitario e che addirittura formano parte della normativa settoriale vigente. È opportuno riordinare e dare coesione alle azioni e ai mezzi esistenti affinché possano essere rispettati nel loro complesso. Gli elementi chiave sono i seguenti:

3.2.1

il primo consiste in una migliore conoscenza della situazione attuale che costituisce il punto di partenza; a tal fine occorre realizzare un inventario di informazioni sulle catastrofi e diffondere le migliori pratiche onde consentire lo scambio di informazioni tra le parti interessate. Questo permetterà di creare mappe di pericolosità e di rischio, come raccomandato dalla direttiva 2007/60/CE relativa alla valutazione e alla gestione dei rischi di alluvioni (3). Su questo aspetto, è essenziale promuovere la ricerca, come previsto dal Settimo programma quadro di ricerca e sviluppo tecnologico (2007-2013).

3.2.2

Mettere in contatto i soggetti e le politiche interessati in tutto il ciclo di gestione delle catastrofi è un altro elemento chiave proposto. Il meccanismo comunitario di protezione civile sarà un fattore fondamentale in tale contesto, grazie all'esperienza acquisita in tutti i suoi interventi. La Commissione insiste tuttavia anche sulla formazione e la sensibilizzazione del pubblico più vasto nel campo della prevenzione. Si sottolinea infine la necessità di migliorare i contatti tra i soggetti coinvolti e si propone di creare una rete europea integrata, composta di rappresentanti dei vari servizi nazionali interessati.

3.2.3

Una delle chiavi della prevenzione consiste nel migliorare il funzionamento degli strumenti esistenti e soprattutto nell'utilizzare in modo efficiente il finanziamento comunitario, considerando che prevenire è meno costoso che riparare. Tali strumenti dovranno essere presi in considerazione nell'ambito sia di alcuni fondi (ad esempio i progetti di riforestazione/afforestazione) sia della legislazione comunitaria vigente, in quanto rappresentano norme preventive per una serie di catastrofi naturali.

3.3

Infine, si propone di rafforzare la cooperazione internazionale nel campo della prevenzione, agendo in coordinamento con la strategia internazionale dell'ONU per la riduzione del rischio di catastrofi e con altre organizzazioni che operano nell'ambito del Partenariato euromediterraneo e della politica di vicinato.

4.   Osservazioni in merito alla proposta

4.1   Il CESE giudica molto positivamente il contenuto della comunicazione della Commissione. Se è vero che non introduce molte novità, è altrettanto vero che tale posizione è giustificabile. Se tutte le norme comunitarie vigenti fossero rispettate, le misure preventive risulterebbero efficaci e le catastrofi, che purtroppo si verificano con sempre maggiore frequenza, potrebbero essere evitate oppure avere danni minori. Il CESE (4) ha fatto della prevenzione una delle sue più frequenti rivendicazioni.

4.2   In relazione ad alcune delle proposte, occorre sottolineare il loro valore in quanto metodo globale e non solo in riferimento a singoli fenomeni concreti, come nel caso delle alluvioni. Il tipo di catastrofe, sia essa naturale o di origine umana, rende necessario un metodo di prevenzione generale basato sulla conoscenza più completa possibile della situazione attuale del nostro territorio, dei mari, dei fiumi e dell'atmosfera, nonché delle eventuali fuoriuscite di gas dagli impianti sotterranei di stoccaggio di CO2. La proposta di creare un inventario delle informazioni sulle catastrofi permetterà di creare mappe del rischio, come prevede la direttiva sulle alluvioni, che richiederà un'azione preventiva da parte delle autorità competenti.

4.2.1

Le autorità competenti in campo ambientale variano in funzione del sistema di organizzazione territoriale di ciascun paese (5). È tuttavia importante che siano esse le responsabili, in prima istanza, sia dell'azione preventiva sia dell'istruzione e informazione della società civile. Da esse dipende, in larga misura, l'efficacia delle misure stabilite per evitare o ridurre gli effetti delle catastrofi, siano esse naturali o di origine umana.

4.3   Il CESE giudica opportuno sottolineare l'importanza dello strumento finanziario per la protezione civile (6) che permette, attraverso i programmi annuali di lavoro, di coprire non solo le attività previste dal meccanismo comunitario di protezione civile (trasporto, formazione, ecc.), ma anche altre azioni relative a settori quali la preparazione, la pianificazione, l'allarme rapido e la prevenzione.

4.4   Il programma di lavoro per il 2009, approvato nel novembre 2008, attribuisce maggiore importanza alla voce «Progetti di cooperazione per la prevenzione» che passa da 1,1 milioni di euro (programma di lavoro 2008) a 2,25 milioni di euro (programma di lavoro 2009), promuovendo la prevenzione o la mitigazione dei danni a lungo termine attraverso il miglioramento della valutazione dei rischi. Al programma di lavoro possono partecipare soggetti che operano nel campo della protezione civile a tutti i livelli amministrativi o della società.

4.5   Il Comitato ritiene inoltre importante segnalare che il nuovo programma di lavoro prevede un aumento significativo di stanziamenti (da 650 000 euro nel 2008 agli attuali 1,18 milioni di euro) per le attività di sostegno e preparazione del meccanismo, tra i cui obiettivi figura quello di sostenere la Commissione nell'attuazione della strategia di prevenzione delle catastrofi e di aumentare le conoscenze in materia di prevenzione delle catastrofi. Il CESE sottolinea altresì che il programma di lavoro per il 2009 prevede un capitolo relativo allo scambio di buone pratiche nel campo della prevenzione.

4.6   La diffusione delle migliori pratiche consentirà di garantire un miglior coordinamento delle autorità competenti, di applicare in modo più rigoroso la prevenzione dei rischi e di agire più efficacemente in caso di catastrofe. A tale proposito, spetta al meccanismo comunitario di protezione civile (7) centralizzare, attraverso il centro di controllo e di informazione, le basi dati al fine di renderle più operative.

4.7   In tal senso, il Comitato ritiene che la proposta di migliorare i contatti tra tutti i soggetti mediante una rete europea formata dai diversi servizi nazionali consentirà non solo di applicare le migliori pratiche in caso di catastrofe, ma anche di agire preventivamente negli ambiti in cui l'intervento incontra normalmente delle difficoltà.

4.8   Un tema importante è quello relativo al finanziamento delle misure di prevenzione; in tale contesto, la proposta prevede due sistemi:

istituire, nel corso del 2009, un inventario degli strumenti comunitari esistenti in grado di finanziare le attività di prevenzione delle catastrofi, per valutare il grado di utilizzo di questi strumenti e per individuare eventuali lacune (8),

predisporre un catalogo delle misure di prevenzione finanziate a titolo di diverse politiche comunitarie (ad esempio riforestazione/afforestazione).

4.9   Il CESE ritiene che oltre a queste proposte, sia opportuno considerare un adeguato finanziamento della protezione civile (Strumento finanziario della protezione civile) affinché i nuovi compiti non comportino una diminuzione della capacità di attuazione del meccanismo comunitario, per quanto concerne non solo gli aspetti preventivi ma anche l'intervento in caso di catastrofe.

4.10   D'altro canto, è necessario tornare ad insistere sull'importanza della ricerca nel campo della prevenzione, vista l'utilità di investire in aspetti che sono di assoluta priorità e che già cominciano ad essere affrontati nell'ambito del Settimo programma quadro di ricerca e sviluppo tecnologico (2007-2013). Per portare avanti un'azione preventiva concreta, potrebbero tuttavia essere utilizzati altri mezzi economici collegati alla materia regolamentata: ad esempio fondi del secondo pilastro della PAC per azioni nel campo della silvicoltura. In questo senso, il CESE ritiene che la Commissione dovrebbe indicare le fonti di finanziamento delle quali si può disporre e che sono disperse nelle diverse politiche comunitarie - non solo la PAC, ma anche la politica regionale, quella energetica, quella climatica ecc. - in modo da ottenere un'efficace azione preventiva dinanzi a qualsiasi tipo di catastrofe.

4.11   Il Comitato desidera altresì sottolineare l'importanza della sensibilizzazione dei cittadini, delle organizzazioni sociali e del volontariato circa la necessità di politiche in materia di prevenzione come base per una maggiore sicurezza e come risposta adeguata alle situazioni di emergenza. La formazione e la sensibilizzazione della società civile in materia di prevenzione e corretto uso delle risorse naturali sarebbe un compito fondamentale delle autorità competenti, specie quelle locali, per la vicinanza alle risorse e alle loro modalità di utilizzo.

4.12   Infine, la proposta di rafforzare la cooperazione internazionale nel campo della prevenzione e non solo in quello dell'assistenza è uno degli elementi chiave su cui si basa la strategia internazionale per la riduzione del rischio di catastrofi (ISDR), elaborata dall'ONU per i paesi in via di sviluppo. In ogni caso, bisognerà fare in modo di generalizzare, con il patrocinio della stessa ONU, i meccanismi d'intervento senza per questo ridurre al minimo l'azione europea che si è dimostrata utilissima in occasione delle ultime calamità.

4.13   La politica europea di vicinato dovrebbe contenere sistematicamente un capitolo sulla cooperazione in materia di prevenzione dei rischi, al fine di promuovere uno sviluppo sostenibile conformemente anche agli obiettivi di sviluppo del millennio e al piano d'azione di Hyogo della ISDR dell'ONU.

Bruxelles, 1o ottobre 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  GU C 204 del 9.8.2008, pag. 66.

(2)  GU C 221 dell'8.9.2005, pag. 35.

(3)  GU L 288 del 6.11.2007.

(4)  GU C 221 dell'8.9.2005, pag. 35, GU C 195 del 18.8.2006, pag. 40 e GU C 204 del 9.8.2008, pag. 66.

(5)  Al punto 12 delle conclusioni della Piattaforma si chiede lo sviluppo di una cooperazione che riconosca e rafforzi la dipendenza reciproca fra le autorità centrali e locali e la società civile.

(6)  Decisione del Consiglio, del 5 marzo 2007, che istituisce uno strumento finanziario per la protezione civile. (2007/162/CE, Euratom).

(7)  GU C 204 del 9.8.2008.

(8)  La valutazione dei possibili strumenti di finanziamento disponibili su scala mondiale per la riduzione del rischio di catastrofi figura al punto 17 delle conclusioni della Piattaforma.


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/101


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde TEN-T: riesame della politica — Verso una migliore integrazione della rete transeuropea di trasporto al servizio della politica comune dei trasporti

COM(2009) 44 def.

2009/C 318/20

Relatore: Jan SIMONS

La Commissione, in data 4 febbraio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262, primo comma, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al:

«Libro verde TEN-T: riesame della politica - Verso una migliore integrazione della rete transeuropea di trasporto al servizio della politica comune dei trasporti»

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 settembre 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore Jan Simons.

Alla sua 456a sessione plenaria, dei giorni 30 settembre e 1o ottobre 2009 (seduta del 30 settembre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 167 voti favorevoli, 1 voto contrario e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) conviene con la Commissione sulla necessità di un radicale riesame degli orientamenti della TEN-T visto che dal 1996 l'UE si è allargata con l'adesione di numerosi nuovi Stati membri. Per effetto sia degli allargamenti dell'UE, sia dell'evoluzione delle priorità della politica del settore, in particolare con la maggiore attenzione rivolta all'ambiente e al clima, risulta necessario riorientare la rete delle infrastrutture di trasporto dell'Unione europea.

1.2

Circa il problema delle crescenti emissioni di CO2 e delle criticità infrastrutturali e organizzative del settore del trasporto merci, il Comitato conviene con la Commissione sulla necessità di attuare per questo settore delle soluzioni integrate comodali in modo da realizzare sinergie per gli utenti.

1.3

Il CESE auspica che impostando una nuova TEN-T si presti grande attenzione alla cosiddetta politica europea di vicinato (PEV), ossia ai collegamenti verso l'Est e il Sud dell'UE: la Commissione e gli Stati membri dovrebbero anzitutto concentrarsi sulla rete e non già su singole opere infrastrutturali. In questo modo si promuove anche la solidarietà fra gli Stati membri.

1.4

Circa la forma di una prossima TEN-T la Commissione presenta tre opzioni. Al pari del Consiglio, il Comitato preferisce una struttura a doppio livello, con una rete globale e una «rete centrale», comprendente una rete prioritaria, definita secondo criteri geografici, e un «pilastro teorico» per aiutare a integrare i vari aspetti della politica dei trasporti e delle infrastrutture di trasporto. Il Comitato ritiene che procedendo in questo modo le risorse finanziarie dell'UE possano essere utilizzate in maniera più efficace ed efficiente che in passato. Occorre creare un organo con il compito di coordinare l'utilizzazione dei fondi.

1.5

Il Comitato invita la Commissione a predisporre un quadro più vincolante per l'effettiva realizzazione della «rete prioritaria» e per sistemi interoperabili di gestione dei trasporti, prevedendo anche sanzioni adeguate.

1.6

Riguardo alla futura programmazione della TEN-T, il Comitato può convenire con l'approccio esposto dalla Commissione nel suo Libro verde, ossia il principio secondo cui ciascun modo di trasporto verrebbe utilizzato all'interno di una catena di trasporti comodale in funzione dei suoi vantaggi comparativi, e quindi assolve un ruolo importante per la realizzazione degli obiettivi climatici dell'Unione europea. L'obiettivo da perseguire deve rimanere il passaggio alla catena di trasporto più rispettosa dell'ambiente.

2.   Introduzione

2.1

Il 4 febbraio 2009 la Commissione ha presentato il Libro verde TEN-T: riesame della politica - Verso una migliore integrazione della rete transeuropea di trasporto al servizio della politica comune dei trasporti, in cui appunto riesamina la sua politica relativa a una rete transeuropea di trasporto (TEN-T).

2.2

Con questo riesame la Commissione intende coinvolgere il maggior numero possibile di soggetti interessati, in modo da poter beneficiare delle conoscenze, dell'esperienza e delle opinioni degli esperti del settore. A tale scopo ha promosso una consultazione pubblica che si è conclusa il 30 aprile 2009.

2.3

La Commissione europea analizzerà i risultati della consultazione e ne terrà conto nei lavori per lo sviluppo della nuova politica sulle TEN-T. Si prevede che il resto del 2009 servirà a elaborare le reazioni al Libro verde e a compiere gli studi necessari. All'inizio del 2010 la Commissione intende presentare la metodologia della politica in materia e quindi, alla fine del 2010, proposte legislative riguardanti il riesame degli orientamenti relativi alle TEN-T ed eventualmente il regolamento sulle TEN-T.

2.4

Gli artt. 154-156 del Trattato CE definiscono la politica relativa alle TEN-T come un contributo al raggiungimento degli obiettivi del mercato interno sul fronte della crescita e alla creazione di posti di lavoro, nonché alla realizzazione della coesione sociale, economica e geografica a beneficio di tutti i singoli cittadini e di tutte le imprese.

2.5

Inoltre, occorre realizzare uno sviluppo sostenibile attribuendo particolare importanza ai requisiti relativi alla protezione dell'ambiente. La politica relativa alla TEN-T dovrà cercare di fornire un contributo importante all'attuazione degli obiettivi 20/20/20 che l'Unione europea persegue sul fronte del clima.

2.6

La politica dell'UE sulla TEN-T è stata definita nel periodo 1990-1995 e adottata con la decisione del Parlamento europeo e del Consiglio del 1996. Da allora ha beneficiato di 400 miliardi di euro di investimenti in progetti per le infrastrutture di trasporto d'interesse comunitario, di cui molti sono stati tuttavia realizzati con notevole ritardo. La maggior parte dei progetti riguardanti i trasporti su strada (rispetto al numero complessivo dei progetti considerati prioritari) è stata portata a termine dagli Stati membri, soprattutto durante la prima fase della TEN-T (1996-2003). Nei casi evidenti occorre sviluppare ulteriormente e al più presto le infrastrutture che consentono il ricorso a modi di trasporto più rispettosi dell'ambiente.

2.7

Circa il 30 % dei 400 miliardi di euro investiti proviene da fonti di finanziamento comunitarie, come il bilancio TEN-T, il Fondo di coesione, la BERS e la BEI. Si stima che dovranno essere ancora investiti 500 miliardi di euro. Complessivamente si prevede che l'80 % dei fondi destinati alle TEN-T verrà utilizzato per il settore ferroviario.

2.8

L'esperienza insegna che difficilmente i cittadini europei avvertiranno i risultati e il valore aggiunto della TEN-T. Con l'approccio che propugna ora nel Libro verde in esame la Commissione cerca di rimediare a questa lacuna e imposta la futura politica della TEN-T in funzione degli obiettivi centrali del cambiamento climatico.

2.9

La stessa Commissione è convinta della necessità di un profondo riesame della politica della TEN-T. Mediante un processo d'integrazione degli obiettivi economici e ambientali che tiene chiaramente conto dell'esigenza di trasporti efficienti di persone e di merci, sulla base della comodalità e di tecniche innovative, si dovrebbero gettare basi solide per contribuire efficacemente agli obiettivi dell'Unione europea in materia di clima.

2.10

Data l'ampia portata del riesame, sotto il profilo sia politico che socioeconomico, ambientale, istituzionale, geografico e tecnico, la Commissione ha optato per la pubblicazione del Libro verde, in cui formula le sue idee e con il quale offre ai soggetti interessati, tramite la consultazione pubblica, l'opportunità di esprimere le proprie considerazioni e di formulare suggerimenti per una nuova politica della TEN-T.

2.11

Nella sua risoluzione del 22 aprile 2009 il Parlamento europeo si è espresso in merito a questo Libro verde sulla futura politica della TEN-T: ha osservato di essere d'accordo sull'idea di un «pilastro teorico», anche se ancora piuttosto vaga, ma ha giudicato più utili dei progetti concreti, assicurando che un numero prevalente di progetti prioritari sia destinato a promuovere tipologie di trasporto rispettose dell'ambiente.

2.12

Nella riunione dell'11 e 12 giugno 2009 il Consiglio europeo ha affermato che tutti i progetti prioritari della TEN-T in corso dovrebbero costituire parte integrante di una rete coerente di priorità comprendente sia le infrastrutture in essere, sia quelle in costruzione, sia i progetti d'interesse comunitario. Occorre conferire a questi progetti un carattere multimodale prestando attenzione ai nodi e ai punti di connessione intermodale.

2.13

Inoltre il Consiglio ritiene che la politica della TEN-T debba contribuire in larga misura agli obiettivi riguardanti i cambiamenti climatici e l'ambiente. L'integrazione ottimale e la cooperazione di tutti i modi di trasporto, al livello sia delle infrastrutture «materiali» che dei sistemi «intelligenti» di trasporto, dovrebbero contribuire a servizi di trasporto comodali efficienti e creare così una base solida che permetta al settore dei trasporti di ridurre le emissioni di CO2 e di altro tipo.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1

Il Comitato giudica che la Commissione, dopo aver constatato che non si è riusciti ad attuare come voluto la decisione del Parlamento europeo e del Consiglio del 1996 per la realizzazione di una rete infrastrutturale europea d'interesse comunitario (il che emerge anche dalla Comunicazione della Commissione - Le reti transeuropee: verso un approccio integrato COM(2007) 135 def.), abbia intrapreso misure adeguate per gettare le basi di un profondo riesame della politica TEN-T attraverso la consultazione pubblica tramite il Libro verde in esame.

3.2

Il Comitato conviene con la Commissione sulla necessità di un radicale riesame degli orientamenti della TEN-T anche perché, dopo i successivi allargamenti dell'UE intervenuti dopo il 1996, con l'adesione di numerosi nuovi Stati membri, un riorientamento della politica relativa alla rete delle infrastrutture di trasporto dell'Unione europea risulta indispensabile.

3.3

La valutazione della politica compiuta dalla Commissione riguardo agli orientamenti della TEN-T indica che l'allargamento dell'Unione europea ha pregiudicato l'efficacia della programmazione iniziale della rete, destinata a riunire parti significative delle reti nazionali dei diversi modi di trasporto e a collegarle fra di loro alle frontiere nazionali.

3.4

Visto che per realizzare una nuova TEN-T occorreranno finanziamenti enormi, il Comitato giudica necessario prendere in considerazione fattori ed elementi quanto più pertinenti possibile per operare scelte corrette e ben ponderate. Anzitutto il Comitato raccomanda che i mezzi finanziari rispecchino le ambizioni e non il contrario.

3.5

La base della futura politica delle TEN-T viene dal Trattato CE. In effetti, gli artt. 154-156 sanciscono i criteri di cui occorre tener conto. In passato non si è attribuita importanza sufficiente allo sviluppo sostenibile, e quindi agli obiettivi riguardanti il clima, ma il Comitato conviene con la Commissione sul fatto che si tratta invece di un elemento essenziale della politica dei trasporti in generale, e quindi anche della TEN-T. Del resto il Comitato lo ha già fatto presente nel suo parere del 13 marzo 2008 (TEN/298 - CESE 488/2008), sottolineando anche l'importanza di un approccio integrato.

3.6

Per dare attuazione alle disposizioni del Trattato sono stati definiti i cosiddetti orientamenti TEN-T, i quali indicano le condizioni per scegliere i progetti d'interesse comunitario che beneficiano del sostegno degli Stati membri. L'obiettivo ultimo di questi orientamenti è la creazione di un'unica rete multimodale capace di consentire trasporti sicuri ed efficienti in maniera innovativa.

3.7

Il Comitato conviene con la Commissione sulla necessità di ricercare delle soluzioni comodali per il settore dei trasporti di merci su strada in modo da ovviare ai problemi originati dalle crescenti emissioni di CO2 e alle criticità infrastrutturali e organizzative. Ad esempio, il Comitato è d'accordo con la Commissione sulla grande importanza dello sviluppo delle autostrade del mare per dare ulteriore impulso alle TEN-T.

3.8

La Commissione ritiene che la politica riveduta delle TEN-T dovrebbe svilupparsi a partire dai risultati sinora conseguiti e assicurare la continuità dell'approccio precedentemente convenuto. Il Comitato si chiede se un tale approccio sia effettivamente compatibile con un radicale riesame della politica relativa alle TEN-T. Ad ogni modo, il Comitato ritiene che una valutazione degli attuali progetti prioritari (cfr. allegato 3 degli Orientamenti TEN-T) sulla scorta di criteri obiettivi debba portare a un adeguamento del suddetto allegato, e quindi anche, eventualmente, alla scomparsa di progetti che vi figurano.

3.9

Per quanto riguarda l'impostazione di una nuova politica della TEN-T, il Comitato concorda con la Commissione sul fatto che questa dovrà poggiare su un duplice obiettivo, che integri economia e ambiente. Il Comitato è convinto che un approccio integrato permetta sinergie soprattutto se concerne progetti legati all'allargamento dell'Unione. Perciò è importante che, nella scelta di una rete, si siano accertate le conseguenze per l'ambiente, anche sotto il profilo dell'impatto sul clima. Occorre dunque ricercare un equilibrio fra, da una parte, gli interessi economici e, dall'altra, la salvaguardia dell'ambiente, promuovendo un sistema di trasporto sostenibile ed efficiente, imperniato sul principio della comodalità.

3.10

Come modello il Comitato addita l'integrazione dei trasporti aerei e ferroviari su percorsi fino a 500 km, che viene stimolata dal mercato. In proposito, i collegamenti ad alta velocità hanno grande importanza per il trasporto di passeggeri, ma anche nel trasporto merci esistono interessanti opportunità per l'integrazione degli aeroporti europei nella rete ferroviaria europea.

3.11

Il Comitato ritiene che la nuova TEN-T debba anzitutto concentrarsi sulla rete, materiale e immateriale, ponendo l'accento sul cosiddetto «vicinato», ad esempio sulle infrastrutture dell'Unione europea per i collegamenti da Ovest a Est e da Nord verso Sud (Via Baltica, Helsinki-Atene). Il Comitato ritiene che il cosiddetto approccio «di vicinato» sia utile per la solidarietà fra le popolazioni dell'Unione.

3.12

La Commissione suggerisce che, per determinare il valore aggiunto europeo, tutti i progetti d'interesse comune selezionati andrebbero sottoposti a un'analisi armonizzata costi-benefici e basata su una serie di criteri. In tal modo si potrà tener conto di tutti i fattori, misurabili o meno in termini monetari, e gli aiuti europei potrebbero essere assegnati in maniera equa e obiettiva, limitandoli a quei progetti che presentano un valore aggiunto effettivo per l'UE. Il Comitato ritiene che vada applicato qualsiasi metodo idoneo a un utilizzo dei fondi comunitari più efficace ed efficiente.

3.13

In particolare, un metodo armonizzato di questo tipo sarebbe utile per occuparsi dei punti critici delle infrastrutture transfrontaliere, dove si pone spesso il problema della ripartizione dei costi. In questo metodo sarà possibile razionalizzare il programma TEN-T, incentrandolo anche maggiormente sul binomio economia e ambiente.

3.14

Nel Libro verde la Commissione invita a privilegiare una delle seguenti opzioni circa la futura TEN-T:

mantenere l'attuale struttura a doppio livello, comprendente la rete globale e una serie di progetti prioritari (distinti l'uno dall'altro),

un unico livello costituito da progetti prioritari, eventualmente collegati in una rete prioritaria,

una struttura a doppio livello con la rete globale e una rete centrale, comprendente una rete prioritaria, definita secondo criteri geografici, e un pilastro teorico per aiutare a integrare i vari aspetti della politica dei trasporti e delle infrastrutture di trasporto.

3.15

Il Comitato preferisce la terza opzione. Ritiene che i mezzi finanziari dell'UE debbano essere impegnati in maniera più efficace che in passato e che la concentrazione di mezzi su una rete centrale sia il sistema migliore per conseguire tale obiettivo. La rete globale dovrà essere mantenuta: in effetti non potrà essere scartata facilmente perché nel corso degli anni l'applicazione di una parte della legislazione comunitaria sui trasporti è stata abbinata all'entità dell'attuale rete TEN-T. Questi progetti potrebbero quindi ora fare appello ai finanziamenti del Fondo per lo sviluppo regionale e del Fondo di coesione, e quindi non più agli aiuti del bilancio TEN-T.

3.16

Per utilizzare i mezzi finanziari dell'UE in maniera efficace ed efficiente, il Comitato giudica necessario creare un organo con il compito di coordinare l'utilizzo dei fondi.

3.17

Secondo il Comitato, una rete prioritaria definita secondo criteri geografici dovrebbe essere costituita da assi effettivamente multimodali che colleghino i centri più importanti, per motivi economici e per densità di popolazione, sia fra di loro, sia con i nodi principali della navigazione marittima, delle vie navigabili interne e dei collegamenti aerei. Questa rete dovrebbe soddisfare i requisiti previsti per la tutela dell'ambiente e la promozione di uno sviluppo sociale e sostenibile.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Uno sviluppo sostenibile, e soprattutto gli obiettivi ambiziosi per il clima, come quelli fissati dall'UE nel dicembre 2008, richiedono un adeguamento dell'approccio adottato dalla Commissione riguardo alle reti transeuropee. Il Comitato conviene con la Commissione sul fatto che, di per sé, le considerazioni ambientali sarebbero già una buona ragione per procedere a un riesame. Fa ad ogni modo presente che questo risulta auspicabile anche per la mancata realizzazione di progetti previsti e per l'allargamento dell'Unione europea.

4.2

Il Comitato è di per sé d'accordo sull'idea della Commissione che tutti i progetti d'interesse comune andrebbero sottoposti a un'analisi costi-benefici, ma ritiene che si potrebbe ricorrere anche ad altri metodi che avrebbero il medesimo effetto. Richiama comunque l'attenzione sulla necessità di accertare e valutare gli effetti esterni in modo più uniforme.

4.3

Il Comitato conviene con la Commissione sul fatto che in un riesame della TEN-T una rete costituita da grandi progetti infrastrutturali collegati fra di loro deve essere supportata da un pilastro teorico. Tiene poi a sottolineare che la Commissione dovrebbe concentrare buona parte dei suoi sforzi di coordinamento alla realizzazione di questo tipo di progetti.

4.4

Il Comitato fa presente che investendo sistematicamente nella ricerca e sviluppo tecnologici in Europa si sono offerte nuove possibilità per realizzare gli obiettivi della politica europea dei trasporti con mezzi diversi dai semplici investimenti nelle infrastrutture materiali.

4.5

Perciò, in varie sue comunicazioni, come il piano d'azione Logistica e il piano d'azione Sistemi di trasporto intelligenti, la Commissione ha definito possibilità e idee per politiche da adottare. Attuando queste nuove tecnologie si devono comunque evitare ricadute negative sulle condizioni di lavoro e sulla protezione dei dati.

4.6

Si può quindi citare la Green Car Initiative, che rientra nel programma per la ripresa economica in Europa e che illustra come l'applicazione di tecnologie propulsive pulite e di una logistica intelligente possa accrescere l'efficacia e l'efficienza del sistema di trasporto europeo. Va altresì ricordato che, sotto il profilo delle innovazioni, il programma d'azione Naiades è diretto alla promozione generale della navigazione interna.

4.7

Il piano d'azione Logistica menzionato al punto 4.5 espone in maniera sommaria l'idea dei «corridoi verdi». Il Comitato preferirebbe una precisazione al riguardo perché a suo avviso i corridoi verdi implicano anche la disponibilità di modi di trasporto alternativi fra due nodi per poter operare scelte efficaci sotto il profilo dei costi.

4.8

Sinora la realizzazione della TEN-T era vista come un obbligo degli Stati membri interessati ad impegnarsi direttamente. Benché la creazione d'infrastrutture sia di per sé una competenza nazionale, per la creazione della rete prioritaria il Comitato invita la Commissione a prevedere un quadro più vincolante per la sua realizzazione concreta, incluse sanzioni adeguate. Ciò dovrebbe valere anche per i sistemi interoperabili di gestione del traffico.

4.9

Il Comitato ritiene che le autostrade del mare dovranno svolgere esplicitamente un ruolo nel processo di riflessione sulla rete prioritaria e che al riguardo occorrerà prestare maggiore attenzione alla più ampia rete logistica in modo da dotare i porti marittimi dell'UE di un accesso soddisfacente e di collegamenti adeguati all'entroterra, ferma restando la necessità di escludere assolutamente qualsiasi distorsione della concorrenza.

4.10

Infine, il Comitato conviene su vari punti citati dalla Commissione nel suo Libro verde, di cui occorrerà tener conto nella futura programmazione della TEN-T. Si possono citare: le diverse esigenze del traffico passeggeri e merci, il fatto che gli aeroporti siano particolarmente sensibili ai prezzi dei carburanti, la sicurezza, le tendenze economiche, la salvaguardia dell'ambiente, i problemi dei porti marittimi (menzionati al punto 4.9) e la logistica relativa alle merci, la quale presuppone che ciascun modo di trasporto venga utilizzato in funzione dei suoi vantaggi comparativi all'interno di una catena di trasporti comodali efficiente e ha un ruolo importante per la realizzazione degli obiettivi dell'Unione europea relativi al clima. L'obiettivo da perseguire deve rimanere il passaggio alla catena di trasporto più rispettosa dell'ambiente.

Bruxelles, 30 settembre 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/106


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — UE, Africa e Cina: verso un dialogo e una cooperazione trilaterali

COM(2008) 654 def.

2009/C 318/21

Relatore: Luca JAHIER

Il 17 ottobre 2008 la Commissione europea ha deciso di consultare il Comitato economico e sociale europeo, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, in merito alla:

«Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - UE, Africa e Cina: verso un dialogo e una cooperazione trilaterali»

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 settembre 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore JAHIER.

Alla sua 456a sessione plenaria, dei giorni 30 settembre e 1o ottobre 2009 (seduta del 1o ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 145 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Negli ultimi quindici anni l'Africa è stata oggetto di una crescente attenzione da parte della Cina, diventata stabilmente il terzo partner commerciale ed economico del continente grazie a un costante aumento del volume degli scambi e degli investimenti effettuati nonché delle partnership stipulate con la grande maggioranza dei paesi africani. L'Europa invece, pur rimanendo il primo partner economico dell'Africa, vede ridursi, in un mondo multipolare dove i paesi emergenti cercano di stabilire un nuovo equilibrio, la propria posizione di vantaggio relativo. Dato che l'Africa resta un territorio geograficamente vicino e legato ad essa da interessi comuni, l'intervento di altre potenze obbliga l'Europa a rilanciare le sue relazioni di partenariato con il continente.

1.2

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) esprime il proprio apprezzamento per la proposta della Commissione di avviare un dialogo e una cooperazione trilaterale tra Unione europea, Cina e Africa. Si tratta di una prospettiva quanto mai necessaria e inevitabile, quantunque dall'esito assai incerto e problematico. In particolare sono da apprezzare sia l'approccio pragmatico e progressivo, sia la rilevanza dei quattro settori specifici proposti: pace e sicurezza, infrastrutture, sfruttamento delle risorse naturali e dell'ambiente, agricoltura e sicurezza alimentare.

1.3

Una cooperazione trilaterale ha però senso solo se risulta efficace e paritaria. Il dato di partenza dell'asimmetria dei rapporti esistenti è da prendere in seria considerazione: la Cina è un solo e grande paese che tratta con i singoli paesi africani, mentre l'UE spesso fatica a parlare con una sola voce nei suoi rapporti con il continente. Sebbene la presenza cinese in Africa non sia priva di ombre, molti governi africani tendono a preferire la partnership con Pechino, che appare più pronta a rispondere alle loro richieste senza porre condizionalità o lungaggini burocratiche.

1.4

Per realizzare una cooperazione efficace è anzitutto necessario verificare l'effettivo interesse di tutte le parti in causa per la strategia proposta e il loro concreto coinvolgimento nel dialogo triangolare. La Commissione e il Consiglio devono pertanto attuare tutte le iniziative necessarie per ottenere risposte adeguate alle proposte in campo.

È inoltre necessario:

che l'Unione europea si impegni maggiormente per dare unitarietà alla propria azione, sia nel campo economico che in quello diplomatico e della cooperazione allo sviluppo, con un approccio geostrategico a lungo termine più assertivo, che rilanci con forza la strategia UE-Africa di Lisbona e aumenti gli stanziamenti,

che i governi e l'Unione africana (UA) prestino maggiore attenzione ai benefici di lungo periodo che i rispettivi paesi possono trarre da una partnership con Europa e Cina, limitando lo spazio riservato ai tornaconti immediati delle leadership locali. Per questo devono essere sostenuti nel rafforzamento delle rispettive capacità di definire e gestire strategie di sviluppo regionale e continentale a lungo termine,

che la Cina venga sollecitata ad un impegno sempre maggiore affinché i frutti di questa cooperazione trilaterale, come anche di quella bilaterale che essa stabilisce con i singoli paesi africani, vadano a beneficio dell'insieme delle società e delle popolazioni locali e non solo dei loro governi.

1.5

Mettere al centro l'obiettivo di una crescita locale sostenibile significa in particolare assicurarsi che:

si incrementi la creazione di valore aggiunto locale,

si costruiscano nuove infrastrutture sociali, tenendo conto delle strutture esistenti,

si realizzi un effettivo trasferimento di competenze e di tecnologie,

si sostenga la crescita dei mercati locali e regionali, delle imprese locali e, più in generale, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro,

si promuovano partenariati tra imprese straniere e imprese locali,

non si aggravi il debito insostenibile a lungo termine e si rafforzino in genere le istituzioni locali e regionali.

1.6

Un dialogo e una cooperazione paritari devono inoltre assicurare a ciascuna parte la libertà di mettere in agenda anche i punti più controversi o quelli sui quali esistono valutazioni e preoccupazioni divergenti. Sulla scorta di quanto già affermato nella decisione del Consiglio dell'Unione europea, far rientrare nel processo proposto alcune questioni-chiave come la governance democratica, i diritti umani e il ruolo della società civile, attualmente assenti dalla comunicazione, sarebbe più coerente sia con la strategia di Lisbona del 2007, sia con l'accordo di Cotonou del 2000 che regola i rapporti tra UE e paesi ACP.

1.7

Il CESE ritiene in particolare necessario sottolineare l'importanza cruciale del coinvolgimento nel dialogo trilaterale dell'insieme degli attori non statali, in particolare del settore privato, delle organizzazioni sindacali, degli agricoltori, delle organizzazioni delle donne, dei consumatori, ecc. Il ruolo di tali attori è fortemente cresciuto negli ultimi anni, anche come conseguenza del successo degli accordi di Lomé e di Cotonou. Questo circolo virtuoso di partecipazione dei diversi attori socioeconomici nei rapporti UE-Africa non va dunque né penalizzato né messo a rischio, ma piuttosto valorizzato in modo adeguato. Il CESE invita pertanto la Commissione a integrare questo punto dirimente nella propria proposta.

1.8

Data la vocazione multilaterale dell'Europa e il crescente interesse degli USA nei confronti dell'Africa, la cooperazione trilaterale tra UE, Cina e Africa potrebbe essere allargata anche agli Stati Uniti, in vista di una partnership più completa, efficace e paritaria, che operi senz'altro nei settori indicati, ma si riservi la possibilità di ampliare la collaborazione anche ad altri ambiti.

2.   Introduzione

2.1

L'Africa si sta trasformando molto rapidamente. Pur rappresentando ancora solo il 2 % del PIL e meno dell'1 % della produzione industriale mondiali, il continente sta progressivamente rientrando nei flussi della globalizzazione dopo decenni di marginalizzazione geopolitica ed economica. L'Unione europea rimane il suo primo partner economico, ma l'Africa è sempre più corteggiata dai «finanziatori emergenti»: innanzitutto la Cina ma anche l'India, il Giappone, la Corea del Sud, i grandi paesi dell'America Latina e quelli del Golfo. Negli ultimi anni anche gli Stati Uniti sono tornati a dedicare attenzione al continente, interessati soprattutto a garantirsi approvvigionamenti energetici sicuri e a contrastare la minaccia del terrorismo. Nonostante il 40 % della sua popolazione continui a vivere sotto la soglia minima di povertà, l'Africa è quindi sempre meno percepita come un «continente disperato» e sempre più come una «nuova frontiera» che offre opportunità di sviluppo e di affari.

2.2

Lo stesso continente africano ha registrato consistenti novità di natura politica nel corso dell'ultimo decennio: la nascita dell'Unione africana, con il lancio del suo piano strategico 2004-2009 e la messa in campo di nuove capacità di intervento nella soluzione dei conflitti; il rafforzamento delle comunità economiche regionali; i programmi per lo sviluppo economico (il NEPAD, Nuova partnership per lo sviluppo dell'Africa) e della governance (il Meccanismo africano di revisione tra pari).

2.3

L'insieme di questi cambiamenti ha fatto sì che, come ha più volte sottolineato il commissario Louis MICHEL (1), la rinata attenzione internazionale nei confronti dell'Africa si sia andata articolando lungo tre direttrici principali: gli interessi economici, quelli concernenti la sicurezza e i nuovi interessi di potenza e geostrategici.

2.4

Sul piano economico, accanto alla competizione per l'accesso e il controllo delle risorse naturali del continente, a partire da quelle energetiche, l'attenzione si è rivolta anche alle potenzialità ancora enormi del mercato interno africano, che negli ultimi anni ha conosciuto una crescita media del 6 %, una bassa inflazione e un processo virtuoso di consistente riduzione del debito pubblico.

2.5

In entrambi gli ambiti la Cina ha dimostrato grande determinazione e capacità di investimento strutturale a lungo termine (2), modificando il suo rapporto storico con i paesi africani iniziato negli anni Cinquanta. A partire dalla metà degli anni Novanta, pur continuando a enfatizzare la cooperazione Sud-Sud tra paesi in via di sviluppo, la Cina ha dedicato maggior attenzione alle opportunità economiche che l'Africa offre e ha stabilito relazioni amichevoli con la quasi totalità dei paesi africani. La dimensione continentale del nuovo approccio cinese è stata confermata dalla creazione da parte di Pechino del Forum per la cooperazione tra Cina e Africa (FOCAC) (3), i cui summit triennali (Pechino 2000, Addis Abeba 2003, Pechino 2006 e quello previsto per dicembre 2009 a Sharm el-Sheikh, in Egitto) hanno segnato il ritmo e la continua evoluzione dei rapporti tra la Cina e i paesi africani. La rinnovata strategia cinese nei confronti del continente è stata resa ufficiale con la pubblicazione, nel gennaio 2006, del «Libro bianco» sulla politica della Cina in Africa (4).

2.6

Il sostanziale mutamento del contesto rispetto ai decenni precedenti ha spinto anche l'Unione europea a rivedere la propria politica nei confronti dell'Africa. Questo processo ha portato all'adozione, nel dicembre 2007 a Lisbona, di una nuova strategia comune Africa-UE, sulla quale il nostro Comitato ha avuto modo di esprimere un corposo e articolato parere (5).

2.7

Mentre Cina ed Europa riscoprono l'interesse per l'Africa e la disponibilità ad effettuarvi degli investimenti, il modo in cui questi importanti attori definiranno in futuro la propria linea di azione reciproca solleva questioni e attese, sia per le evidenti prospettive di concorrenza, sia per i possibili spazi di cooperazione. Bisogna infatti tenere conto che, se in termini assoluti l'UE e la Cina occupano rispettivamente il primo e il terzo posto tra i partner commerciali e gli investitori stranieri in Africa, nell'ultimo decennio il peso relativo dei rapporti commerciali Europa-Africa è calato, mentre quello Cina-Africa è aumentato drasticamente (6).

2.8

Facendosi carico del crescente dibattito pubblico sul peso della Cina in Africa e sollecitata anche dall'adozione, nell'aprile 2008, di una risoluzione sul tema da parte del PE (7), la Commissione europea ha dunque aperto nell'ultimo biennio un'articolata riflessione, corredata da significative iniziative di consultazione allargata (8), per comprendere le ripercussioni dei processi in corso e individuare le possibili linee di un dialogo trilaterale tra UE, Cina e Africa.

3.   Contenuti essenziali della comunicazione

3.1

La comunicazione propone di ricercare le modalità più opportune per facilitare un processo di dialogo e di cooperazione paritetica tra Africa, Cina e UE. L'obiettivo principale della Commissione è dunque promuovere la reciproca comprensione e permettere l'adozione di azioni comuni e coordinate in settori strategici, secondo priorità definite innanzitutto dalle istituzioni africane.

3.2

La comunicazione si basa su un'impostazione pragmatica e progressiva, che si concentra principalmente su una prospettiva di coordinamento concreto in settori ritenuti cruciali per la promozione della stabilità e dello sviluppo africani. Essi sono:

pace e sicurezza in Africa, volta soprattutto a una più intensa collaborazione con l'Unione africana e con la Cina nel quadro delle Nazioni Unite, per sostenere lo sviluppo dell'architettura africana per la pace e la sicurezza e rafforzare le capacità di gestione delle operazioni di pace da parte dell'UA.

Sostegno alle infrastrutture africane, che sono la spina dorsale per lo sviluppo, gli investimenti e il commercio nonché per una maggiore interconnettività e integrazione regionale, in particolare nei settori dei trasporti, delle telecomunicazioni e dell'energia.

Gestione sostenibile delle risorse naturali e dell'ambiente, che, rafforzando la connessione con iniziative quali l'EITI (Iniziativa per la trasparenza nelle industrie estrattive), il FLEGT (piano d'azione per l'attuazione della normativa forestale) e il Kimberley Process per la trasparenza nell'industria diamantifera, permetta processi più trasparenti, più ampi trasferimenti tecnologici e maggiori finanziamenti per fronteggiare il cambiamento climatico e favorire lo sviluppo di energie rinnovabili.

Agricoltura e sicurezza alimentare, con l'intento di potenziare la produttività e i livelli di produzione dell'agricoltura africana, soprattutto attraverso la ricerca e l'innovazione agricole, i controlli veterinari e la sicurezza alimentare, inserendosi nell'ambito del CAADP (il Programma globale per lo sviluppo agricolo africano).

3.3

Nelle intenzioni della Commissione, il dialogo e le consultazioni devono svilupparsi a tutti i livelli (nazionale, regionale, continentale e nel rapporto bilaterale UE-Cina), per diffondere tra i decisori politici delle tre parti una maggiore comprensione reciproca sulle politiche e sulle rispettive impostazioni, consentendo così lo sviluppo di concrete possibilità di cooperazione. Allo stesso tempo, il processo servirà anche per potenziare l'efficacia degli aiuti, in linea con la Dichiarazione di Parigi del marzo 2005 e le conclusioni del seminario di Accra del settembre 2008.

3.4

Il Consiglio dell'Unione europea ha recepito e approvato le principali raccomandazioni contenute nella comunicazione, ritenendo che tale dialogo trilaterale potrà contribuire «a sostenere gli sforzi profusi dall'Africa e dalla comunità internazionale a favore della democratizzazione, dell'integrazione politica ed economica, del buon governo e del rispetto dei diritti dell'uomo» (9) e raccomandando un esame più approfondito delle proposte di misure concrete.

3.5

Il CESE però nota con preoccupazione e disappunto che sia la Cina che l'UA non hanno sinora assunto alcuna posizione ufficiale in merito al dialogo trilaterale proposto dall'UE. In occasione dell'ultimo summit UE-Cina, la cooperazione con l'Africa non figurava all'ordine del giorno, come invece proponeva la comunicazione in esame (10). Al momento non vi sono dunque prove tangibili della volontà di Cina e UA di accogliere la proposta dell'UE.

4.   Elementi positivi

4.1

La comunicazione contiene diversi elementi apprezzabili e positivi, in particolare:

l'approccio dialogico e improntato a una logica di scambio che si inserisce nella necessaria politica di ricerca di coordinamento tra donatori e principali stakeholder,

il pragmatismo dimostrato nell'individuazione di quattro settori certamente strategici e ad alta possibilità operativa,

la proposta progressività della costruzione di tale cooperazione trilaterale, che cerca di valorizzare tutte le strutture già esistenti piuttosto che mettere in piedi un'ennesima e costosa struttura multilaterale.

4.2

Per quanto attiene in particolare al secondo punto, è indubbio che i quattro settori individuati siano cruciali per lo sviluppo del continente africano, come anche, pur se con modalità diverse, per i sistemi di relazioni bilaterali Cina-Africa ed Europa-Africa.

4.3

Il riaccendersi di alcuni conflitti e la fragilità dei processi di pace già in corso, uniti al rischio di sviluppo di nuove forme di integralismo e/o di aree dove si teme possano annidarsi basi del terrorismo, rendono estremamente rilevante la cooperazione nell'ambito del mantenimento e della promozione della pace e della sicurezza. Particolare attenzione va dedicata al sostegno dell'architettura africana per la pace e la sicurezza e delle operazioni dell'Unione africana di mantenimento della pace, sotto forma di capacity building, addestramento, supporto logistico e/o economico.

4.4

La cooperazione in tema di mantenimento e promozione della pace e della sicurezza dovrebbe però prevedere anche un dialogo specifico sulle regole inerenti la fornitura e il commercio delle armi, in particolare a governi o gruppi armati non statali coinvolti in conflitti in corso e/o che commettono gravi violazioni dei diritti umani (11), inserendo così anche nel rapporto trilaterale Cina-Europa-Africa un argomento su cui il confronto è già avviato in sede ONU.

4.5

Il rinnovato accento sugli investimenti in ambito infrastrutturale, per lungo tempo dimenticati da parte della cooperazione europea e invece asse portante dell'approccio cinese all'Africa, è strategicamente rilevante per due serie di ragioni. Innanzitutto, infrastrutture adeguate sono necessarie per garantire sia l'accesso e il trasporto di materie prime o di prodotti immessi sui mercati africani, sia quelle forme di concreta ed effettiva integrazione regionale fondamentali per lo sviluppo sociale ed economico dell'Africa. Inoltre, il miglioramento o la creazione ex novo di infrastrutture è una chiara priorità per molti governi africani e non può più essere subordinato alle sole capacità locali di finanziamento e di sostenibilità finanziaria (12).

4.6

L'importanza della sostenibilità ambientale e della gestione delle risorse naturali è evidente di per sé, non solo per quanto attiene al quadro internazionale del cambiamento climatico, ma anche per tutti gli aspetti connessi alle condizioni di sfruttamento, di trasporto e di impiego delle risorse naturali del continente, in particolare quelle minerarie ed energetiche.

4.7

Negli ultimi anni il dibattito ha riguardato soprattutto le condizioni ambientali e di lavoro nei cantieri gestiti o collegati a imprese cinesi che operano in Africa, come ampiamente documentato da uno studio dell'African Labour Research Network  (13). Ma non va dimenticato che lo stesso discorso deve essere fatto anche per molte società europee o transnazionali. Il problema del rispetto degli standard internazionali, come anche quello della trasparenza (14) nella conclusione e nell'applicazione dei contratti conclusi con i governi africani, riguarda quindi Cina, Europa e Africa in ugual misura e dovrebbe pertanto essere parte integrante del dialogo trilaterale sulla gestione sostenibile delle risorse naturali e dell'ambiente come di quello sul sostegno alle infrastrutture africane.

4.8

Il riconoscimento della centralità dell'agricoltura e della sicurezza alimentare è finalmente tornato nelle priorità dei maggiori donatori e nella comune strategia nei confronti del continente africano. È però necessario che questa attenzione si traduca con urgenza in passi concreti, sostenuti nel lungo periodo e riguardanti l'insieme dello sviluppo rurale, assicurando il pieno protagonismo delle popolazioni rurali, il coinvolgimento delle organizzazioni contadine e la salvaguardia per esse dell'accesso e gestione a lungo termine delle risorse locali.

4.9

In questa prospettiva, è utile tenere conto dell'allarme lanciato di recente dal Vertice delle organizzazioni contadine delle cinque regioni africane, organizzato a Roma dalla Coldiretti, riguardo alla forte crescita degli acquisti di terre agricole, in Africa e in altri paesi in via di sviluppo, da parte di paesi quali la Corea del Sud, la Cina, gli Emirati Arabi Uniti, l'Arabia Saudita e il Giappone, effettuati per garantirsi l'approvvigionamento alimentare e le risorse per la produzione di biocarburanti (15).

4.10

La cooperazione sulla sicurezza alimentare potrebbe essere usata anche per avviare un dialogo su altri temi rilevanti, quali il rispetto degli Obiettivi di sviluppo del Millennio, la tutela dei gruppi più vulnerabili e la protezione della salute. In quest'ultimo ambito bisognerebbe prestare un'attenzione particolare all'individuazione di strategie comuni per la lotta alle tre grandi pandemie (16) - malaria, HIV/AIDS e tubercolosi -, peraltro già oggetto di cooperazione internazionale in consessi multilaterali.

4.11

Per quel che riguarda il ruolo delle istituzioni africane nel processo di dialogo trilaterale, la centralità dell'Unione africana, accanto alle organizzazioni economiche regionali e ai singoli Stati, è del tutto apprezzabile. L'apertura della troika UA alla partecipazione al dialogo annuale UE-Cina è altrettanto importante, come lo è l'idea di affidare alla commissione dell'UA di Addis Abeba un ruolo di facilitatore nelle regolari consultazioni triangolari. Queste indicazioni si sposano bene con la necessità, sottolineata dal CESE già nel parere sulla strategia UE-Africa (17), di assicurare un'assunzione di responsabilità concreta da parte delle istituzioni africane, in modo da rafforzarne la sovranità e la legittimità e da permettere partenariati realmente equilibrati. È però necessario verificare che tali priorità siano condivise e fatte proprie dall'UA e che esse si traducano quanto prima in concreti piani d'azione.

4.12

La ricerca di un dialogo trilaterale tra UE, Cina e Africa è tanto più rilevante se si tiene conto del fascino che Pechino esercita sul continente. Agli occhi di molti governi africani la Cina appare come un esempio da seguire, essendo riuscita a uscire dalla povertà, a sconfiggere le malattie e a diventare un attore di primo piano sulla scena internazionale nell'arco di una sola generazione. La battaglia cinese contro la povertà si è svolta innanzitutto nelle zone rurali, puntando sullo sviluppo e sull'aumento della produttività agricola, una strategia che potrebbe servire anche agli interessi dei paesi africani (18). Il fascino cinese è accresciuto però anche dal fatto che la Cina non ha eredità coloniali, continua a definirsi un paese in via di sviluppo e a rifiutare le logiche di rapporto donatore-beneficiario, storicamente più proprie all'area OCSE. Queste caratteristiche, unite all'ampia disponibilità di fondi da investire o prestare ai partner governativi africani, danno a Pechino un evidente atout nei suoi rapporti con l'Africa.

5.   Elementi di criticità

5.1

Allo stesso tempo, però, la relazione Cina-Africa presenta anche dei punti critici, che generano preoccupazione negli osservatori esterni e sui quali si dovrebbero trovare degli spazi di dialogo all'interno del processo di cooperazione trilaterale proposto dalla Commissione.

5.2

La crescente presenza cinese in Africa non è priva di ombre, a cominciare da un ritorno della centralità dei governi locali e delle élite urbane, con la conseguente e preoccupante emarginazione del settore privato africano, la messa a rischio delle modeste conquiste sociali ottenute dai sindacati africani e le condizioni di lavoro fortemente penalizzanti per le maestranze locali. Una vera relazione di partenariato tra uguali dovrebbe prevedere la possibilità per tutte e tre le parti - UE, Cina e Africa - di mettere in agenda anche i punti più controversi o quelli sui quali esistono valutazioni e preoccupazioni divergenti.

5.3

Confrontando i quattro settori di cooperazione proposti dalla Commissione con gli otto punti individuati come prioritari nel Piano d'azione della strategia Europa-Africa inaugurata a Lisbona (19), si nota l'assenza dalla comunicazione di temi importanti quali la governance democratica, i diritti umani e il lavoro dignitoso. Per l'UE far rientrare nel dialogo trilaterale tali questioni, come anche il ruolo delle società civili, sarebbe più coerente sia con la strategia di Lisbona sia con l'accordo di Cotonou del 2000 (20) che regola i rapporti tra UE e paesi ACP.

5.4

Le strategie di intervento in Africa dell'UE e della Cina sono assai diverse. Mentre l'UE fornisce la maggior parte dei suoi aiuti sotto forma di doni, ponendo peraltro crescenti condizionalità politiche (il rispetto di regole democratiche, dei diritti umani, delle convenzioni dell'OIL, la lotta alla corruzione e l'avanzamento di pratiche di buon governo, oltre al coinvolgimento della società civile), e con l'obiettivo di ridurre la povertà, la Cina per lo più concede prestiti a condizioni agevolate, in gran parte finalizzati alla costruzione di infrastrutture e garantiti da contratti a lungo termine per lo sfruttamento delle risorse naturali. Inoltre, i prestiti cinesi sono spesso vincolati all'impiego di imprese, beni e talvolta anche manodopera cinesi, secondo forme di «aiuto legato» ormai largamente disattese dai paesi OCSE. Infine, le stesse regole dell'area OCSE in materia di gare d'appalto favoriscono in molti casi le società di paesi emergenti, Cina in testa.

5.5

L'approccio cinese risulta in genere più gradito alle classi dirigenti africane, perché senza condizionalità e non rallentato dal sovraccarico burocratico dell'Europa. Esso però presenta un duplice rischio: generare una forma di reindebitamento massiccio, i cui effetti sul lungo periodo potrebbero essere insostenibili, e rafforzare la dipendenza delle economie dei singoli paesi dalle «monoproduzioni» e dalle loro esportazioni, a loro volta legate alle fluttuazioni dei prezzi sui mercati internazionali.

5.6

Dal canto suo l'Europa, pur rimanendo il primo partner economico e commerciale dell'Africa, fatica a parlare con una voce unica e a creare e mantenere una vera coerenza d'insieme delle proprie politiche, siano esse di sviluppo, commerciali o di politica estera e di sicurezza. Anche sul terreno permangono molti limiti nel coordinamento delle azioni dei diversi Stati membri, con conseguente perdita di impatto e di efficacia.

6.   Alcuni nodi ulteriori

6.1

Accanto alle già citate condizionalità che l'UE pone nei suoi rapporti con l'Africa, ci sono altri elementi che marcano la diversità di approccio tra Europa e Cina e che non mancano di essere sottolineati da parte di vari governi africani:

i diversi problemi sorti nei rapporti tra l'UE e i paesi africani in occasione dei negoziati per la conclusione degli accordi di partenariato economico (APE), ai quali fa da contraltare una progressiva e ben pubblicizzata apertura del mercato cinese all'ingresso di merci africane senza dazi (entro il 2010 il loro numero dovrebbe salire a 440, rispetto alle 190 del 2006),

il forte e visibile impegno del governo cinese nella costruzione di infrastrutture, scuole, ospedali ed edifici pubblici, nettamente superiore rispetto alle opere, spesso compiute solo parzialmente, ascrivibili ai passati interventi europei,

una risposta assai più concreta da parte della Cina nel campo della formazione e dell'addestramento di professionisti nei settori agricolo, medico, scientifico e culturale, anche con consistenti aperture all'ingresso di studenti africani nelle università e nei centri di formazione cinesi,

la grande disponibilità di manufatti di origine cinese - in certi casi realizzati con scarso rispetto degli standard internazionali sulla sicurezza dei prodotti, con serie conseguenze sulla salute pubblica e sull'ambiente - che invadono progressivamente i mercati e le case dell'intero continente, con effetti spesso dirompenti su alcuni particolari settori produttivi locali, a partire da quello tessile (21).

6.2

La crisi economica e finanziaria internazionale in corso spinge infine ad aprire una riflessione sui suoi possibili effetti sull'Africa (22).

Gli effetti della recessione mondiale, la riduzione delle esportazioni, le chiusure protezionistiche di molti mercati e il calo dei prezzi di molte materie prime creano uno scenario preoccupante, che rischia di mettere seriamente in crisi i traguardi raggiunti nel decennio passato, come la riduzione del debito e dei deficit pubblici, l'aumento e la competizione sugli investimenti per le infrastrutture o il risanamento dei sistemi fiscali, nonché gli sforzi per la diversificazione delle strutture produttive nazionali.

6.3

Di fronte alla crisi, la Cina ha recentemente riconfermato e persino accresciuto i propri impegni, sia nel campo degli aiuti e dei prestiti che in quello degli investimenti (23). L'UE cerca di tenere fede agli impegni presi, ma alcuni Stati membri hanno già drasticamente ridotto risorse e impegni finanziari bilaterali nel 2009, con previsioni simili, se non peggiori, per il 2010. Come è stato affermato in tutti i recenti vertici, sono invece necessarie nuove risorse.

6.4

Nei rapporti tra Europa e Africa e tra Cina e Africa assume poi sempre maggior rilievo una serie di dinamiche migratorie che, soprattutto per quel che riguarda l'arrivo di cittadini cinesi nei paesi africani, sono ancora poco studiate. Avviare una riflessione sulle modalità e l'entità di questi flussi e sulle loro eventuali interconnessioni potrebbe servire a comprendere l'impatto che possono avere sullo sviluppo africano.

6.5

Il CESE ritiene infine fondamentale la complessa questione della partecipazione della società civile, tema non solo cruciale per la parte europea (24), ma ormai divenuto elemento significativo e parte integrante di tutti i rapporti di partenariato con l'Africa, in particolare in seguito all'accordo di Cotonou. Questa prospettiva non pare al momento rilevante nelle relazioni tra Cina e Africa, né nei rapporti bilaterali tra Pechino e i singoli paesi.

I quattro settori indicati dalla Commissione si prestano a un ampio e strutturato coinvolgimento di tutti gli attori non statali, in particolare gli imprenditori, i sindacati e le organizzazioni di agricoltori, delle donne e dei consumatori. Il loro ruolo nelle società africane, così come nelle dinamiche economiche e nelle relazioni politiche, pur riconosciuto e accresciuto proprio in virtù dei successi del processo avviato con gli accordi di Lomé e di Cotonou, rischia di perdere peso e di essere nuovamente marginalizzato se i dialoghi bi- o trilaterali rimarranno solo a livello intergovernativo: si tratta invece di un ruolo che dovrebbe essere ritenuto una ricchezza dirimente, da valorizzare e rilanciare.

6.6

Il CESE osserva con preoccupazione che la comunicazione in esame non fa cenno alcuno a tale questione né alla concreta possibilità di coinvolgimento sia dei partner sociali sia, più in generale, degli attori non statali nel quadro del processo proposto.

Bruxelles, 1o ottobre 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Si veda in particolare Louis MICHEL, Afrique-Europe: l'indispensable alliance, Pro-manuscripte, CE, dic. 2007.

(2)  Non ci sono solo risorse naturali, infrastrutture e commercio. La prima banca cinese, la Industrial Land Commercial Bank of China, ha acquisito il 20 % della più grande banca sudafricana e dell'Africa, la Standard Bank, sborsando 5,6 miliardi di dollari. Si tratta dell'investimento più consistente mai realizzato in Africa da un gruppo straniero.

(3)  Cfr. il sito ufficiale del FOCAC, www.focac.org/eng/

(4)  China's African policy, 12 gennaio 2006, http://www.focac.org/eng/zgdfzzc/t463748.htm

(5)  GU C 77 del 31.3.2009, pagg. 148-156, La strategia UE-Africa, relatore: DANTIN.

(6)  Secondo i dati FMI, il volume del commercio UE-Africa, che nel 1995 rappresentava il 45 % del totale degli scambi commerciali africani, è sceso a una quota di poco più del 30 %, mentre la Cina è passata dalle percentuali irrisorie del 1995 a circa il 27 % odierno. Nel 2008 il commercio Cina-Africa ha raggiunto quota 106,8 miliardi di USD, superando così, con due anni di anticipo e con una crescita del 45 % rispetto all'anno precedente, l'obiettivo dei 100 miliardi entro il 2010 annunciato durante il summit di Pechino del 2006. Cfr. anche Commission staff working paper, Annexes to the Communication of the Commission, SEC(2008) 2641 def.

(7)  La politica cinese e i suoi effetti sull'Africa, risoluzione del Parlamento europeo del 23 aprile 2008 (A6-0080/2008, P6_TA(2008)0173, relatrice: Ana Maria GOMES).

(8)  Di particolare rilievo la conferenza organizzata dalla CE il 28 giugno 2007, con oltre 180 policymaker, esperti e diplomatici africani, cinesi ed europei, e intitolata Partners in competition? The EU, Africa and China.

(9)  Cfr. le conclusioni della 2902a sessione del Consiglio Affari generali e relazioni esterne del 10 novembre 2008.

(10)  11o Summit UE-Cina, Praga 20 maggio 2009, comunicato finale congiunto.

(11)  Cfr. nota 7.

(12)  Cfr. le discussioni e le deliberazioni del XII vertice dell'UA, svoltosi lo scorso 26 gennaio–3 febbraio 2009 ad Addis Abeba, il cui tema centrale era appunto Lo sviluppo delle infrastrutture in Africa (www.africa-union.org).

(13)  A. Yaw Baah - H. Jaunch, Chinese investment in Africa, a labour perspective, ALRN, maggio 2009, http://www.fnv.nl/binary/report2009_chinese_investments_in_africa_tcm7-23663.pdf

(14)  Cfr. Tax Justice Network, Breaking the curse: how transparent taxation and fair taxes can turn Africa's mineral wealth into development, http://www.taxjustice.net/cms/upload/pdf/TJN4Africa_0903_breaking_the_curse_final_text.pdf

(15)  Le organizzazioni hanno parlato per il solo 2008 di acquisti di estensioni pari a 7,6 milioni di ettari e di accordi in materia agricola firmati dalla Cina con diversi paesi africani, http://www.coldiretti.it/docindex/cncd/informazioni/314_09.htm Cfr. anche L. Cotula, S. Vermeulen, R. Leonard, J. Keeley, Land grab or development opportunity? - Agricultural investment and international land deals in Africa, FAO-IFAD-IIED, maggio 2009.

(16)  GU C 195 del 18.8.2006, pagg. 104-109, Dare priorità all'Africa: il punto di vista della società civile europea, relatore: BEDOSSA.

(17)  GU C 77 del 31.3.2009, pagg. 148-156, già citato.

(18)  Con solo il 7 % delle terre arabili, la Cina nutre il 22 % della popolazione mondiale ha sostanzialmente vinto la battaglia contro la povertà estrema, l'analfabetismo, le malattie e le epidemie più devastanti e ha ridotto la mortalità infantile. Secondo Martin Ravallion (Are there lessons for Africa from China's success against poverty? - The World Bank, Policy Research working paper - n. 4463, Jan. 2008), l'Africa potrebbe trarre lezioni importanti da un'analisi attenta delle chiavi dello sviluppo cinese. Cfr. Allegato 2.

Cfr. anche R. Sandrey, H. Edinger, The relevance of Chinese agricultural technologies for African smallholder farmers: agricultural technology research in China, Centre for Chinese Studies, Stellenbosch University, aprile 2009, http://www.ccs.org.za/downloads/CCS%20China%20Agricultural%20Technology%20Research%20Report%20April%202009.pdf

(19)  Pace e sicurezza; governance democratica e diritti umani; commercio, integrazione regionale e infrastrutture; partnership per gli Obiettivi di sviluppo del Millennio; energia; cambiamenti climatici; migrazione, mobilità e lavoro; scienza, information society e spazio.

(20)  Cfr. l'art. 9, primo comma.

(21)  Su questo punto vedi l'interessante rapporto della Banca mondiale del 2007, Africa's Silk Road.

(22)  Si veda in proposito la comunicazione Aiutare i paesi in via di sviluppo nel far fronte alla crisi, COM(2009) 160 def. e il parere CESE in corso.

(23)  Cfr. gli impegni assunti nel corso del viaggio effettuato dal presidente Hu Jintao in quattro paesi africani (Mali, Senegal, Tanzania e Mauritius) a metà febbraio 2009.

(24)  GU C 110 del 9.5.2006, pagg. 68-74, Relazioni UE-Cina: il ruolo della società civile, relatore: SHARMA.


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/113


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Una strategia dell'Unione europea per investire nei giovani e conferire loro maggiori responsabilità — Un metodo aperto di coordinamento rinnovato per affrontare le sfide e le prospettive della gioventù

COM(2009) 200 def.

2009/C 318/22

Relatore: SIBIAN

La Commissione, in data 27 aprile 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Una strategia dell'Unione europea per investire nei giovani e conferire loro maggiori responsabilità - Un metodo aperto di coordinamento rinnovato per affrontare le sfide e le prospettive della gioventù»

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 1o settembre 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore SIBIAN.

Alla sua 456a sessione plenaria, dei giorni 30 settembre e 1o ottobre 2009 (seduta del 1o ottobre), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 133 voti favorevoli, 0 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene che in questo quadro sarebbe opportuno sviluppare una strategia non solo PER i giovani, ma anche CON i giovani, i quali dovrebbero essere inclusi nel processo decisionale e nell'attuazione delle normative.

1.2

Ai sensi del principio di sussidiarietà, la responsabilità delle politiche della gioventù ricade principalmente sugli Stati membri; tuttavia, per fronteggiare gran parte delle sfide della gioventù nella società contemporanea è necessario un approccio più globale e olistico. Per questo motivo, il Comitato accoglie favorevolmente una strategia integrata per la politica europea per la gioventù.

1.3

Tutti i campi d'azione scelti sono intersettoriali e interdipendenti, sono collegati tra loro e influiscono gli uni sugli altri, per questo è necessario un approccio orizzontale il cui punto di partenza siano le esigenze dei giovani.

1.4

Secondo il CESE, per garantire il successo della futura strategia, i fattori critici sono:

il processo di coordinamento,

l'ordine di priorità dei campi d'azione,

il coinvolgimento di tutte le parti interessate,

l'allocazione delle risorse necessarie,

il sostegno all'animazione socioeducativa e alle strutture per la gioventù.

Pertanto, il CESE raccomanda quanto segue:

1.5

l'animazione socioeducativa e le strutture per la gioventù dovrebbero costituire il principale punto di collegamento per sensibilizzare le parti interessate e gestire tutti i campi d'azione proposti nella strategia dell'Unione europea per i giovani, tramite un approccio intersettoriale.

1.6

Poiché le occasioni di apprendimento si possono creare in una pluralità di ambienti, è opportuno garantire maggiore sostegno all'apprendimento non formale, quale elemento complementare all'istruzione formale.

1.7

A livello comunitario e nazionale si dovrebbero stabilire collegamenti tra la scuola, il mondo del lavoro, le associazioni e le attività di volontariato.

1.8

Fornire sostegno alle attività imprenditoriali attraverso meccanismi di finanziamento non è facile, ma è necessario. L'imprenditorialità non può essere considerata solo in termini di rilevanza economica, ma deve essere vista in un contesto più ampio.

1.9

I giovani dovrebbero diventare soggetti attivi nella società, perché la loro partecipazione a tutti gli aspetti della loro vita è un presupposto necessario per lo sviluppo di politiche per la gioventù.

1.10

Al fine di prevenire l'emarginazione, è necessario istituire in tutta Europa un'ampia gamma di sistemi di animazione socioeducativa, attività e servizi di cooperazione di qualità. Tutte le attività destinate ai giovani a rischio di esclusione sociale dovrebbero trattare tali giovani come soggetti attivi e non come beneficiari passivi di servizi sociali.

1.11

Il riconoscimento (anche nel quadro dell'istruzione formale) delle competenze acquisite attraverso attività di volontariato è fondamentale. Le competenze non formali e le conoscenze acquisite possono essere sfruttate sia sul mercato del lavoro sia per partecipare più attivamente alla vita civile.

1.12

I progetti e le attività dovrebbero sviluppare nei giovani un senso di solidarietà verso il prossimo, di consapevolezza e di responsabilità nei confronti della comunità mondiale. Per evitare gli ostacoli sul loro percorso i giovani devono poter contare, per il loro futuro prossimo, sull'attuazione di condizioni che favoriscano adeguate politiche salariali, in grado di garantire loro una remunerazione dignitosa del loro lavoro.

1.13

Il CESE lamenta il fatto che la strategia proposta non specifichi metodi di attuazione e strumenti concreti di misurazione dei progressi compiuti a livello comunitario e nazionale. Si prevede tuttavia che lo strumento principale resterà il metodo di coordinamento aperto. Secondo il CESE, tale strumento dovrebbe essere integrato da un Patto europeo per la gioventù rinnovato. Inoltre, il Comitato invita le parti sociali e la Commissione europea a siglare un accordo per migliorare la mobilità e l'occupazione giovanile.

1.14

I giovani devono essere posti al centro della strategia. Considerato che gli strumenti più efficaci per raggiungerli sono l'animazione socioeducativa e la partecipazione alle strutture per la gioventù, valutare e migliorare la qualità dell'animazione socioeducativa deve essere una priorità.

1.15

La Commissione dovrebbe esortare gli Stati membri ad adottare misure per aumentare le opportunità di lavoro e consentire ai giovani di conquistare la propria autonomia. Ad esempio:

misure di sostegno durante il periodo di formazione iniziale (contributi finanziari, alloggio, servizi di consulenza, trasporti, ecc.),

un reddito di inserimento per i giovani in cerca della prima occupazione,

un apprendistato e tirocini di qualità,

la trasformazione dei tirocini in contratti di lavoro a tempo indeterminato.

2.   La proposta della Commissione

2.1

L'attuale quadro normativo che disciplina la cooperazione nel campo della gioventù, basato sul Libro bianco sulla gioventù, sul Patto europeo per la gioventù del 2005, sul metodo di coordinamento aperto (MCA) e sull'inserimento delle tematiche riguardanti i giovani in altre politiche, era destinato a scadere nel 2009 e non sempre ha soddisfatto le aspettative. Per questo motivo, dopo un ampio processo di consultazione che ha avuto luogo nel 2008, la Commissione europea ha avanzato una proposta in merito a un nuovo quadro di cooperazione. La comunicazione della Commissione, lanciata nell'aprile 2009, si intitola: Una strategia dell'Unione europea per investire nei giovani e conferire loro maggiori responsabilità.

2.2

La nuova proposta di strategia si basa su tre macro-obiettivi interconnessi, ciascuno dei quali comprende due o tre campi d'azione:

Obiettivo: creare maggiori opportunità per i giovani nel campo dell'istruzione e del lavoro.

Campi d'azione: istruzione, occupazione, creatività e imprenditorialità.

Obiettivo: migliorare l'accesso e la piena partecipazione di tutti i giovani alla società.

Campi d'azione: sanità e sport, partecipazione.

Obiettivo: promuovere la solidarietà reciproca tra la società e i giovani.

Campi d'azione: inclusione sociale, volontariato, i giovani e il mondo.

In ciascun campo d'azione, viene proposto un elenco di obiettivi e azioni specifici per la Commissione e gli Stati membri.

3.   Osservazioni generali

3.1   Ènecessario un coordinamento migliore

3.1.1

Le sfide sociali complesse, come la mancanza di sicurezza sociale, il diffondersi della xenofobia, gli ostacoli all'occupazione e all'istruzione, varcano facilmente i confini nazionali, mettendo a repentaglio il modello sociale europeo. Alla luce dell'attuale crisi economica, tali sfide richiedono una risposta più che mai coerente a livello europeo. Anche se non riguardano esclusivamente i giovani, questi ultimi sono una delle categorie più vulnerabili.

3.1.2

Il CESE ritiene che occorra un coordinamento migliore tra i livelli nazionale e comunitario e una definizione più chiara dei rispettivi ruoli. Le differenze esistenti tra gli Stati membri non dovrebbero essere considerate un problema, ma una fonte di sinergie positive. La Commissione dovrebbe adoperarsi per creare un legame più stretto tra livello comunitario e livello nazionale nell'ambito della cooperazione in materia di gioventù e cercare di rafforzare e migliorare l'attuazione degli obiettivi comunitari a livello nazionale, regionale e locale. Il processo di consultazione avente come oggetto la gioventù, che ha preceduto il lancio della proposta di strategia, ha dimostrato che la politica della gioventù ha acquisito maggiore rilevanza non solo a livello europeo, ma anche a livello nazionale.

3.1.3

Il CESE ritiene che la strategia proposta costituisca effettivamente un passo avanti e, per garantirne il successo, raccomanda di fronteggiare le seguenti sfide:

Rappresentatività. Nonostante il metodo di coordinamento aperto e il dialogo strutturato siano strumenti utili, è necessario valutarne e migliorarne costantemente l'utilizzo e sviluppare ulteriori strumenti di consultazione per coinvolgere nel processo decisionale le organizzazioni giovanili sul territorio, gli enti governativi, i giovani stessi e le altre parti interessate (1).

Visibilità della politica dell'Unione europea per la gioventù. I giovani trarrebbero beneficio da una maggiore visibilità delle misure adottate a livello comunitario, poiché si renderebbero conto che le opportunità loro offerte attraverso il ciclo di cooperazione giovanile (ad esempio gli scambi di giovani) sono il risultato della politica dell'Unione europea per la gioventù.

Differenze tra i paesi. Coordinare e combinare 27 approcci nazionali nel quadro di cooperazione europeo non è facile. In taluni paesi, alcuni dei campi d'azione sopraccitati hanno una tradizione consolidata e la strategia dell'Unione europea potrebbe sfruttare la loro esperienza, mentre in altri paesi questi ambiti di azione sono stati introdotti solo di recente. Indipendentemente da ciò, la nuova strategia dovrebbe apportare valore aggiunto ad ogni singolo Stato membro.

Le sfide della comunicazione. È necessario seguire un approccio comune per poter divulgare e raccogliere dati comparabili in modo strutturato al fine di migliorare la comunicazione e l'analisi dei progressi compiuti. Sono altresì necessari indicatori comuni orientati ai risultati.

Attuazione. Esistono differenze significative tra gli Stati membri anche per quanto concerne le rispettive capacità di attuazione delle politiche comunitarie. Alcuni paesi hanno sistemi ben sviluppati che coinvolgono il livello regionale e locale, mentre in altri, le risorse dedicate alla cooperazione europea sulle questioni della gioventù sono molto scarse.

3.1.4

Il CESE chiede alla Commissione di usare i poteri e l'autorità di cui dispone per spronare e guidare gli Stati membri nell'attuazione della strategia. La Commissione dovrebbe svolgere pienamente il proprio ruolo nel processo di coordinamento della strategia.

3.2   Garantire il successo dell'approccio intersettoriale

3.2.1

I campi d'azione indicati nella proposta di strategia (cfr. punto 2.2) coprono una vasta area socioeconomica. Nessuno di essi è riferito specificamente a una determinata fascia d'età, tuttavia si tratta di ambiti estremamente importanti per i giovani. Per alcuni campi d'azione, gli obiettivi da raggiungere sono descritti più nel dettaglio, in altri casi invece sono piuttosto generici.

3.2.2

Secondo il CESE, perseguire otto campi d'azione tematici contemporaneamente è un obiettivo ambizioso, per questo il Comitato raccomanda di affrontare i seguenti temi:

l'istituzione di un organo di coordinamento all'interno della Commissione europea e la definizione di procedure chiare per il sistema di coordinamento nel suo complesso per indirizzare, gestire, controllare e valutare il processo di attuazione, a livello sia comunitario sia nazionale, con la partecipazione delle parti interessate (comprese le organizzazioni giovanili) e degli enti responsabili del relativo campo d'azione (p. es. un altro organismo di un'altra istituzione europea, compreso il Consiglio d'Europa). È opportuno prevedere incontri periodici dei gruppi di lavoro misti e attività di apprendimento inter pares e tenere in considerazione la nuova versione del Patto europeo per la gioventù,

la definizione di obiettivi chiari inseriti in un calendario concordato e di una tabella di marcia per ciascuno di essi,

l'assegnazione di priorità ai campi d'azione con la garanzia che tutti saranno monitorati con attenzione,

il coinvolgimento di tutti i soggetti rilevanti (come gli animatori socioeducativi, i professionisti, i ricercatori, gli esperti, le parti sociali, i politici, ecc.), e l'inclusione dei giovani e delle strutture della gioventù in un dialogo strutturato migliorato e continuo,

la definizione di un approccio affidabile, trasparente e sistematico per l'attuazione della strategia,

l'inclusione della dimensione gioventù nella strategia di Lisbona dopo il 2010 al fine di agevolare l'integrazione sociale e l'inserimento professionale dei giovani di entrambi i sessi,

l'allocazione delle risorse necessarie grazie alla creazione di nuovi strumenti o all'adattamento delle generazioni di programmi presenti e future, ad esempio: Gioventù in azione, il programma di apprendimento permanente, Progress, MEDIA, Erasmus per giovani imprenditori, il programma competitività e innovazione, i fondi strutturali. Tali strumenti dovrebbero essere coordinati e complementari,

la riduzione della burocrazia e la garanzia di una maggiore trasparenza nella gestione dei progetti e delle attività concernenti i campi d'azione,

il sostegno all'animazione socioeducativa e alle strutture della gioventù deve essere considerato un elemento portante delle iniziative in tutti i campi d'azione tematici e la partecipazione deve ritenersi il principio di base generale.

3.3   L'animazione socioeducativa quale strumento di attuazione della strategia

3.3.1

Il CESE plaude la rilevanza attribuita al ruolo chiave dell'animazione socioeducativa. Le politiche per la gioventù dovrebbero essere concepite e attuate a beneficio di TUTTI i giovani. Il settore della gioventù è diventato un veicolo importante di cambiamento sociale (2), poiché sviluppa competenze trasferibili e compensa la mancanza di certificati formali (in particolare per i gruppi svantaggiati). Tuttavia è necessario lavorare di più per ottenere il riconoscimento delle competenze acquisite grazie all'animazione socioeducativa. Occorre rafforzare il ruolo delle organizzazioni giovanili nel conferire maggiori responsabilità ai giovani, poiché tali organizzazioni offrono uno spazio per lo sviluppo personale e occasioni di apprendere a partecipare, inoltre si deve dare maggior riconoscimento allo sviluppo delle competenze.

3.3.2

L'animazione socioeducativa consiste in attività che si propongono di avere un impatto sui giovani e hanno luogo in ambienti e strutture di vario genere (ad esempio, associazioni di volontariato giovanili, centri giovanili delle comunità locali, appositi spazi gestiti da enti pubblici o religiosi). È tuttavia necessario definire questa espressione in modo chiaro.

3.3.3

L'animazione socioeducativa dovrebbe diventare un elemento trasversale integrato in tutti i campi d'azione che rientrano nella proposta di strategia. Pertanto, la qualità dell'animazione socioeducativa dovrebbe essere un obiettivo dichiarato, per consentire alla nuova strategia a lungo termine per la politica della gioventù di raggiungere tutte le categorie di giovani. I programmi quali Gioventù in azione e il programma settoriale Leonardo da Vinci dovrebbero tendere a sviluppare, sostenere e migliorare la formazione di coloro che sono coinvolti nell'animazione socioeducativa, compresi i professionisti, e contribuire allo sviluppo di competenze più professionali in questo tipo di attività.

3.3.4

Generalmente le attività di animazione socioeducativa sono rivolte a persone che non hanno ancora fatto il loro ingresso nel mercato del lavoro. Questo gruppo di utenti comprende: adolescenti, persone con esigenze particolari, migranti per motivi economici, disabili e persone svantaggiate appartenenti a comunità povere. Sebbene l'animazione socioeducativa e la partecipazione alle strutture per la gioventù non siano di per sé strumenti di accesso diretto al lavoro, esse contribuiscono all'integrazione sociale e trarrebbero vantaggio da una collaborazione più stretta con i servizi di formazione professionale e da una maggiore visibilità del loro contributo all'occupabilità dei giovani.

4.   Osservazioni specifiche riguardanti i singoli campi d'azione

4.1   Il CESE si esprime sul contenuto degli otto campi d'azione proposti, pur sapendo che potrebbero giungere proposte di priorità diverse o che l'ordine di priorità potrebbe cambiare alla luce delle nuove proposte.

4.2   Istruzione

4.2.1

L'istruzione è sempre stata non soltanto un elemento essenziale dello sviluppo e della crescita personali, ma anche un fattore di progresso della società. Il CESE ha sottolineato che l'istruzione e la formazione professionale degli insegnanti sono molto legate ad altre politiche fondamentali, compresa la politica della gioventù (3).

4.2.2

L'apprendimento non formale può integrare l'istruzione formale e fornire quelle competenze necessarie che si acquisiscono meglio in un sistema meno formale, mentre l'istruzione formale può essere complementare ai metodi non formali, se si applicano i principi dell'apprendimento permanente.

4.2.3

Al fine di rendere l'apprendimento più attrattivo ed efficiente per i giovani (4) e di riconoscere il ruolo dell'apprendimento non formale, è necessario affrontare e seguire le questioni di seguito elencate:

inserire metodi di apprendimento non formale nell'istruzione formale,

agevolare il passaggio tra opportunità di apprendimento formali e non formali,

incoraggiare i giovani ad apprendere attraverso l'esperienza,

mettere in contatto le scuole e l'animazione socioeducativa locale,

mettere i giovani al centro del processo di apprendimento,

riconoscere le competenze acquisite grazie al volontariato e all'apprendimento non formale (il certificato Youthpass è un buon esempio e dovrebbe essere esteso ed includere più azioni e attività, anche al di fuori del programma Gioventù in azione),

sarebbe opportuno dotarsi di un sistema chiaro di valutazione delle competenze acquisite in contesti di istruzione non formali e informali.

4.2.4

La quota di giovani costretti ad esercitare un lavoro dipendente per finanziarsi gli studi continua ad aumentare, mentre proprio questa doppia attività costituisce una causa importante di mancato superamento degli esami.

4.2.5

Il programma Gioventù in azione e programmi quali Comenius, Erasmus e Erasmus Mundus potrebbero prevedere azioni e finanziamenti ad hoc per realizzare tali desiderata in futuro. Tali programmi dovrebbero essere resi più accessibili a tutte le categorie di giovani.

4.3   Occupazione

4.3.1

Esiste un collegamento diretto tra istruzione e occupazione: maggiore il grado di istruzione, minore il rischio di disoccupazione (5). In particolare, i ragazzi che abbandonano la scuola precocemente hanno grosse difficoltà a trovare un lavoro, con conseguente reddito basso e rischio di povertà ed esclusione sociale.

4.3.2

In questi ultimi anni le disuguaglianze sociali si sono tradotte, sempre più spesso e in modo più marcato, in disparità nel successo negli studi, nel conseguimento dei diplomi e nell'accesso a posti di lavoro qualificati. I giovani operai e impiegati sono in una situazione di forte precarietà con salari bassi nonché condizioni di lavoro e di vita non dignitose. Il diploma non costituisce più un'assicurazione contro la disoccupazione e la dequalificazione e pertanto la società deve fare la propria parte e affrontare queste questioni per aiutare chi si trova in queste situazioni.

4.3.3

In questo contesto, per offrire a tutti i giovani prospettive per il futuro che vadano al di là del lavoro precario, accanto al miglioramento delle qualifiche è particolarmente importante rafforzare le misure di politica attiva del mercato del lavoro a favore dei giovani in cerca di impiego e superare i problemi strutturali nel passaggio dalla formazione all'occupazione.

4.3.4

La ricerca di un lavoro retribuito meglio e più interessante spinge molti giovani a lasciare il proprio paese d'origine. Questo fenomeno è trasversale a tutti i livelli di istruzione e porta a una costante migrazione di cervelli, provenienti soprattutto dai nuovi Stati membri. Si tratta di qualcosa di ben diverso dalla mobilità temporanea, che è positiva per tutti (giovani, società, economie) e che va incoraggiata all'interno dell'Unione europea.

4.3.5

Il lavoro non è solo un fattore di inclusione sociale, ma anche di dignità personale e collettiva. L'insicurezza del posto di lavoro, i salari bassi e le ore di lavoro straordinario ostacolano la conciliazione tra vita professionale e vita privata/familiare.

4.3.6

L'UE e i governi nazionali dovrebbero occuparsi di più della transizione dei giovani dalla scuola al lavoro. Senza un orientamento e una consulenza professionali ben sviluppati e sistemi d'istruzione che soddisfino le esigenze del mercato del lavoro, non sarà possibile risolvere il problema della disoccupazione giovanile.

4.3.7

Considerato quanto sopra, il CESE raccomanda l'adozione, nel quadro della strategia, di misure specifiche nei seguenti ambiti:

migliorare e rendere più accessibili l'istruzione e la formazione professionale, per consentire ai giovani di accedere il più agevolmente possibile al mercato del lavoro e di rimanervi in pianta stabile,

applicare misure volte a garantire che per i giovani i contratti a termine e gli impieghi a bassa protezione sociale non diventino la norma,

sviluppare una rete capillare di servizi facilmente accessibili di orientamento professionale e di informazione per i giovani di entrambi i sessi a tutti i livelli di formazione, nonché aumentare le opportunità di tirocinio e apprendistato di qualità (grazie a una sorta di quadro europeo di qualità),

fornire un sostegno precoce e attivo ai giovani in cerca di tirocinio o occupazione, nonché programmi specifici per l'inserimento di categorie svantaggiate, come i giovani disoccupati di lungo periodo e coloro che abbandonano prematuramente gli studi o le azioni di formazione, ad esempio attraverso progetti occupazionali e iniziative di formazione di interesse generale,

migliorare la cooperazione tra istituti di insegnamento e datori di lavoro,

creare collegamenti tra i sistemi di istruzione e le imprese, laddove ciò risulti opportuno,

creare collegamenti con le associazioni e riconoscere le attività di volontariato,

promuovere le migliori pratiche tra tutti i soggetti coinvolti,

sviluppare ulteriormente l'iniziativa della Commissione Nuove competenze per nuovi lavori,

incoraggiare la mobilità tramite una nuova generazione di programmi (6).

4.3.8

Il CESE plaude la scelta dell'occupazione giovanile quale tema del ciclo di dialogo strutturato 2010, in quanto offre una buona occasione per promuovere questa tematica.

4.3.9

Nel mondo del lavoro è particolarmente importante il ruolo delle parti sociali. Le parti sociali europee sono fortemente impegnate in questo campo e tra le priorità dei loro programmi di lavoro congiunti figura da sempre una maggiore partecipazione al mercato del lavoro da parte dei giovani dotati delle qualificazioni e delle competenze necessarie per accedervi.

4.4   Creatività e imprenditorialità

4.4.1

Sostenere l'innovazione nei progetti destinati ai giovani e nelle attività imprenditoriali attraverso meccanismi di finanziamento non è semplice, ma è importante per creare opportunità di apprendimento che mettano al centro i partecipanti. Il CESE è a favore dello stanziamento di ulteriori risorse finanziarie per promuovere tali iniziative, giacché in molti Stati membri i finanziamenti nazionali sono scarsi o inesistenti.

4.4.2

Non dobbiamo limitarci a considerare l'importanza economica dell'imprenditorialità, ma dobbiamo tener conto del significato più ampio e olistico dello spirito imprenditoriale, quale strumento di identificazione e creazione di opportunità e di realizzazione di azioni per sfruttarle, in qualsiasi campo (sociale, politico, ecc.).

4.4.3

Il CESE raccomanda di incoraggiare e sostenere l'imprenditorialità sociale tra i giovani.

4.4.4

A tutti i livelli di istruzione dovrebbero esistere programmi per sviluppare il pensiero creativo e la capacità di risolvere i problemi.

4.4.5

Si dovrebbero creare programmi di tutorato dedicati a chi si appresta ad avviare un'impresa (imprenditorialità) e regimi di sostegno per tutti i tipi di imprenditorialità (7).

4.5   Salute e sport

4.5.1

Lo sport e l'attività fisica sono strumenti importanti per avvicinarsi ai giovani. Inoltre, favoriscono uno stile di vita sano, una cittadinanza attiva e l'integrazione sociale. Tuttavia, è necessario porre meno l'accento sullo sport come attività da seguire in qualità di spettatori e promuovere la partecipazione di massa e gli sport ricreativi e non agonistici.

4.5.2

Le manifestazioni sportive che implicano una partecipazione attiva sono piuttosto comuni presso i circoli sportivi ricreativi e attirano giovani di diversa estrazione sociale. Tale potenziale si potrebbe sfruttare al meglio integrando l'uso di metodi di apprendimento non formale destinati ai giovani lavoratori nel quadro della promozione dello sport e dell'attività fisica tra i giovani.

4.5.3

Le organizzazioni giovanili a livello comunitario e nazionale dovrebbero essere maggiormente coinvolte nelle attuali campagne dell'UE dirette a promuovere stili di vita sani, che affrontano temi quali: le sfide dell'alimentazione, i danni da abuso di alcool, il fumo e le droghe, la salute mentale. Le revisioni delle strategie comunitarie relative a tali temi dovrebbero incentrarsi maggiormente sui giovani quale gruppo speciale. La Commissione europea dovrebbe anche valutare l'opportunità di sviluppare una strategia europea sulla salute sessuale con una particolare attenzione ai giovani.

4.5.4

È necessario promuovere il programma dell'UE in materia di sanità tra le organizzazioni giovanili. Tale programma potrebbe essere fonte di ulteriori fondi per la promozione di stili di vita sani. Si dovrebbero incoraggiare le organizzazioni giovanili ad approfittare di questa iniziativa europea lavorando insieme ai professionisti della salute.

4.5.5

La Commissione e gli Stati membri dovrebbero anche esaminare la questione della salute e della sicurezza dei giovani nei luoghi di lavoro. Secondo dati nazionali ed europei, il rischio di incidenti sul lavoro è maggiore per i giovani lavoratori. La percentuale di incidenti non mortali sul lavoro è di oltre il 40 % superiore tra i lavoratori tra i 18 e i 24 anni (8) che tra i lavoratori più anziani.

4.6   Partecipazione

4.6.1

Il CESE ritiene che la strategia proposta dovrebbe avere un approccio pragmatico alla partecipazione ed essere qualcosa di più di un mero strumento politico. È necessario un dialogo reale e trasparente tra i giovani e i responsabili decisionali a tutti i livelli (europeo, nazionale, regionale e locale).

4.6.2

Secondo il CESE, per raggiungere questo obiettivo si dovrebbe procedere come segue:

sviluppare metodi di partecipazione allettanti e di facile impiego,

creare opportunità e strutture di partecipazione per i giovani,

trasferire e scambiare le buone pratiche,

creare e sostenere consigli della gioventù a livello locale, regionale, nazionale ed europeo,

creare opportunità per i giovani svantaggiati e gruppi informali in cui i giovani possano esprimersi,

rimuovere gli ostacoli alla mobilità offrendo in tal modo ai giovani occasioni di partecipazione e una chiave di lettura per comprendere meglio i temi europei,

sfruttare appieno gli strumenti di partecipazione già sviluppati da diversi soggetti a livello europeo e nazionale (9),

stimolare un dialogo strutturato continuo che coinvolga tutte le principali parti interessate (come i giovani, le organizzazioni giovanili, gli animatori socioeducativi, i professionisti, i ricercatori, gli esperti, le parti sociali, i politici, ecc.).

4.6.3

È opportuno aumentare la partecipazione dei giovani alle strutture della gioventù e alla società civile in senso lato. È altresì necessario comprendere meglio e promuovere di più concetti quali la partecipazione e la cittadinanza attiva.

4.7   Inclusione sociale

4.7.1

Incentivare i giovani a sviluppare il proprio potenziale dovrebbe essere una preoccupazione costante della società. Di conseguenza, l'approccio ai giovani svantaggiati dovrebbe essere ottimizzato attraverso l'adozione di misure specifiche.

4.7.2

L'animazione socioeducativa e l'apprendimento non formale sono strumenti efficaci di integrazione dei giovani. È più facile avvicinare i ragazzi che abbandonano la scuola precocemente o i giovani di famiglie migranti in contesti non formali creati per prevenire l'esclusione sociale. Tuttavia, tali iniziative non devono essere orientate alla soluzione dei problemi né incentrarsi solo su coloro che si trovano già in situazioni problematiche.

4.7.3

Il CESE raccomanda di sviluppare un'azione specifica per i progetti e le attività destinati direttamente ai giovani svantaggiati (tale azione potrebbe essere inserita nell'attuale programma Gioventù in azione), che tuttavia non dovrebbe sostituire la priorità generale del programma, bensì dare maggiore rilievo all'inclusione sociale dei giovani svantaggiati.

4.7.4

È necessario maggiore impegno per garantire coesione sociale nelle regioni dove il coinvolgimento dei giovani è minore.

4.7.5

L'aver designato l'anno 2010 quale Anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale offre una buona opportunità per promuovere e sviluppare questo tema.

4.8   Volontariato

4.8.1

Come già ribadito in altri pareri in passato, il CESE considera il volontariato un'esperienza preziosa per lo sviluppo personale e l'inclusione sociale e professionale nella società. Inoltre, il CESE riconosce il ruolo importante del volontariato per l'inclusione dei giovani con meno opportunità (10).

4.8.2

Al fine di rafforzare tale ruolo, l'Unione europea deve mantenere sulla propria agenda politica la necessità di garantire maggiore riconoscimento a questo tipo di attività. Un buon esempio che potrebbe essere esteso è Youthpass. Iniziative come il servizio volontario europeo andrebbero ulteriormente sviluppate e si dovrebbe riconoscere il valore del volontariato anche in altre forme di impegno (ad es. le altre azioni del programma Gioventù in azione).

4.8.3

È necessario sviluppare maggiori sinergie tra i sistemi di volontariato nazionali ed europei. A questo proposito, poiché si lavora con diversi concetti di volontariato, sarebbe opportuno dare una definizione univoca al termine, in modo da poterlo applicare in una pluralità di contesti.

4.8.4

Come già precedentemente raccomandato, nel campo del volontariato è essenziale garantire una migliore cooperazione tra i programmi nazionali ed europei esistenti, al fine di ridurre gli ostacoli tecnici e di risolvere le questioni relative alla copertura assicurativa sanitaria e all'assicurazione contro gli infortuni. Il CESE ha chiesto alla Commissione europea di considerare l'opportunità di creare un marchio per contraddistinguere i programmi di scambio che soddisfano i criteri di qualità europei. È importante assicurare la qualità delle attività di volontariato, qualsiasi forma esse assumano, e garantirla con strumenti appropriati (11).

4.8.5

È altresì necessario impegnarsi per evitare che il volontariato sostituisca varie forme di occupazione.

4.8.6

Il CESE esorta il Consiglio ad adottare la proposta di decisione presentata dalla Commissione che prevede di dichiarare l'anno 2011 Anno europeo del volontariato. Anche la Giornata internazionale del volontariato, che si celebra il 5 dicembre, offre una buona occasione per promuovere e sviluppare questo tema.

4.9   Igiovani e il mondo

4.9.1

Anche i giovani sono «fattori» direttamente colpiti dal processo di globalizzazione. Per questo sono necessarie ricerche scientifiche per conoscere meglio l'impatto della globalizzazione sui giovani. Partecipando a progetti e attività che sviluppano un senso di solidarietà e di consapevolezza del mondo, i giovani si sentono più responsabili nei confronti della comunità globale.

4.9.2

Le questioni mondiali (ambiente, cambiamenti climatici, sviluppo sostenibile) dovrebbero essere inserite nella politica per la gioventù per consentire a tale politica e ai progetti dei giovani di contribuire ai progressi in questo campo. Viceversa, si dovrebbero tenere in considerazione i giovani quando si predispongono le politiche mondiali.

4.9.3

Il CESE plaude l'iniziativa di scegliere I giovani e il mondo quale tema del ciclo di dialogo strutturato 2011, in quanto offre una buona occasione per promuovere questa questione.

5.   Strumenti e attuazione del nuovo quadro di cooperazione

5.1

Il CESE lamenta il fatto che la strategia proposta non specifichi metodi di attuazione e strumenti concreti di misurazione dei progressi compiuti a livello comunitario e nazionale. Si prevede tuttavia che lo strumento principale resterà il metodo di coordinamento aperto. Secondo il CESE, tale strumento dovrebbe essere integrato con un Patto europeo per la gioventù rinnovato.

5.2

Il futuro quadro di cooperazione dovrebbe basarsi su un dialogo strutturato migliorato che sia il più inclusivo possibile, sviluppato a tutti i livelli e che coinvolga i giovani, gli animatori socioeducativi, le organizzazioni giovanili, gli organismi nazionali, i ricercatori e le altre parti interessate in tutte le fasi di elaborazione delle politiche e nelle diverse politiche. Inoltre, tale quadro dovrebbe basarsi su un approccio ampio dal basso verso l'alto che comprenda varie modalità di cittadinanza attiva e coinvolga i giovani che hanno meno opportunità.

5.3

La definizione delle politiche nel quadro della strategia proposta dovrebbe basarsi sull'esperienza ed essere il più trasparente possibile. Il CESE raccomanda di utilizzare la banca dati del Centro europeo di conoscenze sulle politiche della gioventù (12) per la pubblicazione di tutte le relazioni, per la raccolta dati e le analisi.

5.4

I giovani devono essere al centro del processo e l'animazione socioeducativa è il modo più efficace per raggiungerli. Per questo motivo, la valutazione e il miglioramento della qualità dell'animazione socioeducativa dovrebbero essere prioritari.

Bruxelles, 1o ottobre 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Solo il 33 % dei giovani ritiene di rivestire un ruolo importante nella società a livello europeo e il 50 % pensa di non avere la possibilità di far sentire la propria voce (risultati della consultazione on-line nel campo della gioventù del 2008).

(2)  Si vedano i risultati della ricerca nel progetto up2youth presentato nella relazione europea sulla gioventù lanciata nell'aprile 2009.

(3)  Cfr. il parere del CESE del 16 gennaio 2008 sul tema Migliorare la qualità della formazione degli insegnanti, relatore: SOARES (GU C 151 del 17.6.2008).

(4)  Il 67 % dei giovani e delle organizzazioni giovanili si dichiarano insoddisfatti dei rispettivi sistemi d'istruzione nazionali (risultati della consultazione on line nel settore della gioventù del 2008).

(5)  La relazione europea sulla gioventù lanciata nell'aprile 2009 evidenzia che negli Stati membri le persone con un'istruzione secondaria inferiore corrono un rischio di disoccupazione quasi tre volte superiore alle persone con un'istruzione superiore.

(6)  Cfr. il parere del CESE del 17 gennaio 2008 in merito alla comunicazione Favorire il pieno coinvolgimento dei giovani nell'istruzione, nell'occupazione e nella società, relatore: TRANTINA (GU C 151 del 17.6.2008).

(7)  Conclusioni della manifestazione per i giovani organizzata dalla presidenza ceca dell'UE dal 2 al 5 giugno 2009 a Praga.

(8)  Statistiche europee degli infortuni sul lavoro (ESAW).

(9)  Come la Carta europea riveduta della partecipazione dei giovani alla vita locale e regionale del Consiglio d'Europa: http://www.coe.int/t/dg4/youth/Resources/Documents/Bibliographies/Political_participation_en.asp

(10)  Cfr. il parere del CESE del 13 dicembre 2006 sul tema Le attività di volontariato, il loro ruolo nella società europea e il loro impatto, relatrice: KOLLER (GU C 325 del 30.12.2006).

(11)  Cfr. il parere esplorativo del CESE del 25 febbraio 2009 sul tema Il servizio civile europeo, relatore: JANSON, correlatore: SIBIAN (GU C 218 dell'11.9.2009).

(12)  http://youth-partnership.coe.int/youth-partnership/ekcyp/index


23.12.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 318/121


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 998/2003 relativo alle condizioni di polizia sanitaria applicabili ai movimenti a carattere non commerciale di animali da compagnia

COM(2009) 268 def. — 2009/0077 (COD)

2009/C 318/23

Il Consiglio, in data 30 giugno 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'art. 152, par. 4, lettera b), del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 998/2003 relativo alle condizioni di polizia sanitaria applicabili ai movimenti a carattere non commerciale di animali da compagnia»

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente, e dato che esso aveva già formato oggetto dei precedenti pareri CES 1411/2000 e CESE 1705/2007, adottati rispettivamente il 29 novembre 2000 (1) e il 12 dicembre 2007 (2), il Comitato, nel corso della 456a sessione plenaria dei giorni 30 settembre e 1o ottobre 2009 (seduta del 30 settembre), ha deciso, con 180 voti favorevoli e 9 astensioni, di esprimere parere favorevole al testo proposto e di rinviare alla posizione a suo tempo sostenuta nei documenti citati.

Bruxelles, 30 settembre 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Parere del Comitato economico e sociale in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle condizioni di polizia sanitaria applicabili ai movimenti a carattere non commerciale di animali da compagnia (GU C 116 del 20.4.2001, pag. 54).

(2)  Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 998/2003 relativo alle condizioni di polizia sanitaria applicabili ai movimenti a carattere non commerciale di animali da compagnia per quanto riguarda l’estensione del periodo transitorio (GU C 120 del 16.5.2008, pag. 49).