ISSN 1725-2466

doi:10.3000/17252466.C_2009.228.ita

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 228

European flag  

Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

52o anno
22 settembre 2009


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

Comitato economico e sociale europeo

 

452a sessione plenaria del 24 e del 25 marzo 2009

2009/C 228/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema il ruolo delle foreste e del settore forestale nella realizzazione degli impegni dell'UE in materia di clima (parere esplorativo)

1

2009/C 228/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Partenariato tra istituti d'istruzione e datori di lavoro (parere esplorativo)

9

2009/C 228/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Individuazione degli ostacoli residui alla mobilità sul mercato interno del lavoro (parere esplorativo)

14

2009/C 228/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema la situazione dei lavoratori anziani di fronte alle trasformazioni industriali: assicurare il sostegno e gestire la diversità d'età nei settori e nelle imprese (parere d'iniziativa)

24

2009/C 228/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema le relazioni transatlantiche — come migliorare la partecipazione della società civile

32

 

III   Atti preparatori

 

Comitato economico e sociale europeo

 

452a sessione plenaria del 24 e del 25 marzo 2009

2009/C 228/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro bianco in materia di azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie

40

2009/C 228/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Relazione della Commissione — Relazione sulla politica di concorrenza (2007)

47

2009/C 228/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde — Il diritto d'autore nell'economia della conoscenza

52

2009/C 228/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Per una programmazione congiunta della ricerca: cooperare per affrontare più efficacemente le sfide comuni

56

2009/C 228/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE per quanto riguarda gli enti creditizi collegati a organismi centrali, taluni elementi dei fondi propri, i grandi fidi, i meccanismi di vigilanza e la gestione delle crisi

62

2009/C 228/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai pagamenti transfrontalieri nella Comunità

66

2009/C 228/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio sulla partecipazione della Comunità ad un programma europeo di ricerca e sviluppo in metrologia realizzato da alcuni Stati membri

69

2009/C 228/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio del […] che istituisce un programma comunitario a sostegno di attività specifiche nel campo dei servizi finanziari, dell'informativa finanziaria e della revisione contabile

75

2009/C 228/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2002/15/CE concernente l'organizzazione dell'orario di lavoro delle persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto

78

2009/C 228/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'etichettatura degli pneumatici in relazione al consumo di carburante e ad altri parametri fondamentali

81

2009/C 228/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Secondo riesame strategico della politica energetica — Piano d'azione dell'UE per la sicurezza e la solidarietà nel settore energetico

84

2009/C 228/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l'indicazione del consumo di energia e di altre risorse dei prodotti connessi al consumo energetico, mediante l'etichettatura ed informazioni uniformi relative ai prodotti (rifusione)

90

2009/C 228/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento (CE) n. …/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del … recante modifica del regolamento (CE) n. 1692/2006 che istituisce il secondo programma Marco Polo relativo alla concessione di contributi finanziari comunitari per migliorare le prestazioni ambientali del sistema di trasporto merci (Marco Polo II)

95

2009/C 228/19

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma di cooperazione nel settore audiovisivo con i paesi terzi denominato MEDIA Mundus

100

2009/C 228/20

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1927/2006, che istituisce un Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione

103

2009/C 228/21

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'applicazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un'attività autonoma, che abroga la direttiva 86/613/CEE

107

2009/C 228/22

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di raccomandazione del Consiglio sulla sicurezza dei pazienti, comprese la prevenzione e la lotta contro le infezioni nosocomiali

113

2009/C 228/23

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca centrale europea — UEM@10: successi e sfide di un decennio di Unione economica e monetaria

116

2009/C 228/24

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato delle regioni e al Comitato economico e sociale europeo — Libro verde sulla coesione territoriale — Fare della diversità territoriale un punto di forza

123

2009/C 228/25

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica delle direttive 92/79/CEE, 92/80/CEE e 95/59/CE per quanto concerne la struttura e le aliquote delle accise che gravano sui tabacchi lavorati

130

2009/C 228/26

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sui risultati dei negoziati relativi alle strategie e ai programmi della politica di coesione per il periodo di programmazione 2007-2013

141

2009/C 228/27

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CEE) n. 95/93 relativo a norme comuni per l'assegnazione di bande orarie negli aeroporti della Comunità

148

2009/C 228/28

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema un piano europeo di ripresa economica (supplemento di parere)

149

IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

Comitato economico e sociale europeo

452a sessione plenaria del 24 e del 25 marzo 2009

22.9.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 228/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema il ruolo delle foreste e del settore forestale nella realizzazione degli impegni dell'UE in materia di clima (parere esplorativo)

2009/C 228/01

Con una lettera inviata al Presidente del Comitato economico e sociale europeo Dimitris DIMITRIADIS in data 20 giugno 2008, la vicepresidente della Commissione europea Margot WALLSTRÖM ha chiesto al Comitato, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato CE, di elaborare un parere esplorativo sul tema:

«Il ruolo delle foreste e del settore forestale nella realizzazione degli impegni dell'UE in materia di clima.» (parere esplorativo)

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 marzo 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore KALLIO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 marzo 2009, nel corso della 452a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 145 voti favorevoli, 8 voti contrari e 14 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE ritiene che le foreste e la materia prima rinnovabile che esse forniscono rivestano una grande importanza nel controllo del cambiamento climatico, e ciò per i seguenti motivi:

crescendo, le foreste fissano nella biomassa e nel terreno il carbonio sottratto all'atmosfera,

i prodotti in legno costituiscono un deposito di anidride carbonica: durante il loro ciclo di vita, infatti, essa non ritorna nell'atmosfera,

l'uso del legno come fonte energetica riduce il ricorso ai combustibili fossili e quindi le emissioni di gas a effetto serra,

l'uso del legno nell'edilizia e nella fabbricazione di mobili riduce indirettamente le emissioni dovute ai combustibili fossili, perché permette di sostituire materiali non rinnovabili come il cemento, la cui produzione richiede un maggiore consumo energetico e provoca emissioni maggiori rispetto all'impiego di legno.

1.2

Il CESE osserva che in Europa il legno è utilizzato principalmente nelle costruzioni, come fonte energetica, nella fabbricazione di mobili e nella produzione di carta. Grazie agli effetti moltiplicatori della filiera di lavorazione, i prodotti in legno comportano un considerevole valore aggiunto in termini di occupazione, reddito per i proprietari di foreste e attività economica, specialmente nelle zone rurali.

1.3

Il CESE sottolinea che ormai da vari decenni le foreste europee fungono da pozzi di assorbimento del carbonio e, grazie al fatto che la loro crescita è quantitativamente superiore alle operazioni di disboscamento effettuate, rallentano l'aumento della concentrazione di anidride carbonica nell'atmosfera. Bisogna tutelare l'importante ruolo svolto dalle foreste naturali nell'immagazzinare carbonio e nel preservare la biodiversità. La gestione sostenibile delle foreste negli Stati membri viene monitorata utilizzando i criteri e gli indicatori della MCPFE (1), che vengono sviluppati costantemente.

1.4

Il CESE raccomanda che l'UE intraprenda le seguenti misure:

sforzarsi di incrementare l'uso del legno in vari modi e per vari scopi, promuovendo ad esempio il ricorso alla bioenergia di origine forestale prodotta in maniera sostenibile o l'uso del legno nell'edilizia, grazie alla diffusione delle conoscenze e all'elaborazione di standard costruttivi comuni e di calcoli del ciclo di vita nonché alla considerazione dell'uso del legno per l'edilizia nelle politiche degli Stati membri in materia di acquisto di legname,

partecipare più attivamente alla politica internazionale in materia di foreste e assumere un ruolo guida nella promozione su scala mondiale della silvicoltura sostenibile,

istituire un consiglio di esperti europei, composto da esponenti di primo piano dell'industria silvicola, della politica forestale e della ricerca, nonché da proprietari di foreste e da altri importanti soggetti del settore forestale, di quello ambientale e della protezione del clima. Tale consiglio avrà compiti di vario tipo e servirà a migliorare e ampliare il dialogo, il trasferimento di conoscenze e il processo decisionale in materia di politica forestale,

sforzarsi di integrare i rapporti sui gas serra per il periodo post Kyoto mediante le seguenti misure:

a)

il riconoscimento della quantità di carbonio fissata nei prodotti in legno ottenuti in maniera sostenibile come elemento obbligatorio da includere nei calcoli relativi al bilancio del carbonio;

b)

lo sviluppo del programma REDD (2) per farne uno strumento efficace per lo scambio di emissioni, e la sua inclusione nei calcoli relativi al bilancio del carbonio per i casi di cambiamento nella destinazione d'uso del territorio, in particolare per prevenire la deforestazione nei paesi in via di sviluppo,

sostenere la ricerca, inventariare le risorse forestali, individuare le aree di rischio soggette agli effetti dei cambiamenti climatici, sviluppare sistemi per monitorare lo stato delle foreste e garantire il finanziamento.

1.5

Il CESE sottolinea che, a causa delle conseguenze dannose del cambiamento climatico, gli Stati membri dovrebbero predisporre piani di emergenza per la tutela forestale, al fine di prevenire i danni derivanti dai fenomeni atmosferici estremi (tempeste, siccità, incendi, devastazioni provocate da insetti) nonché per rimediare alle loro conseguenze e per accrescere il patrimonio di informazioni sull'importanza della tutela forestale.

1.6

Il CESE raccomanda di promuovere la generazione decentrata di bioenergia negli Stati membri, anche mediante tariffe di immissione in rete.

1.7

Sottolinea che, oltre a influire sui cambiamenti climatici, le foreste svolgono numerose altre importanti funzioni sociali, che devono essere tutelate. A parte la produzione di legno, gli obiettivi del settore forestale comprendono la tutela della biodiversità, delle risorse idriche sotterranee e del paesaggio, l'uso delle foreste a scopo di svago e di turismo, la funzione di barriera contro il rumore del traffico, la prevenzione delle valanghe e dell'erosione e lo sfruttamento di prodotti diversi dal legno, come i frutti di bosco, i funghi e la selvaggina. Queste varie funzioni di pubblica utilità svolte dalle foreste non si riflettono né nei calcoli relativi alla redditività né nel prezzo del legno.

2.   Impegni dell'UE in materia di clima e relativi effetti sulle foreste e sull'economia forestale

2.1

Nel dicembre 2008 il Parlamento europeo ha adottato il pacchetto UE sul clima e l'energia; nel pacchetto, gli aspetti che interessano le foreste e il settore forestale sono i seguenti:

la revisione della direttiva sullo scambio dei diritti di emissione. Tale direttiva fornisce orientamenti in materia di assetto territoriale, di cambio di destinazione d'uso del territorio e di economia forestale, ai fini dell'elaborazione di rapporti sui gas a effetto serra e dello scambio di diritti di emissione. Il carbonio fissato nelle foreste o contenuto nei prodotti in legno è infatti una componente importante dei rapporti sui gas ad effetto serra,

il fatto che il settore della cellulosa e della carta, pur rientrando nel regime di scambio dei diritti di emissione, potrebbe, in base a determinati criteri, essere considerato un settore soggetto a «rilocalizzazione delle emissioni di carbonio» (carbon leakage). Le decisioni in merito alla rilocalizzazione delle emissioni verranno comunque assunte in un secondo momento. A differenza di quanto avviene per il legno grezzo, la produzione della maggior parte degli altri materiali da costruzione (cemento, acciaio e alluminio) rientra nel regime di scambio dei diritti di emissione, per cui il prezzo del carbonio inciderà sulla loro competitività. Ciò comporta un vantaggio indiretto per i materiali lignei e per l'uso del legno nell'edilizia,

la direttiva quadro sulle «fonti di energia rinnovabili» (FER). L'obiettivo di raggiungere nel 2020 una quota di energie rinnovabili pari al 20 % impone di accrescere considerevolmente il ricorso alla bioenergia di origine forestale (riscaldamento, elettricità e biocombustibili). Per sfruttare meglio il potenziale della biomassa, questa direttiva (punto 34) stabilisce l'obiettivo di ricorrere maggiormente alle riserve di legno esistenti e di sviluppare nuovi metodi di silvicoltura. La direttiva fissa numerosi obiettivi relativi alla produzione sostenibile della biomassa forestale e al settore edilizio. Ciò al fine di risparmiare energia e di ridurre le emissioni nel quadro della produzione di materiali,

la direttiva sui carburanti per i trasporti. Conformemente agli orientamenti contenuti nella direttiva RED, anche questa direttiva specifica i requisiti di sostenibilità per la produzione di biomassa (compresa, come valore indicativo, quella forestale) usata nella produzione di biocarburanti.

2.2

Le foreste si estendono sul 31 % del territorio europeo, e si stima che esse assorbano annualmente circa il 10 % dell'anidride carbonica emessa nel nostro continente (3). La quantità di carbonio liberata nell'atmosfera nelle foreste gestite in modo sostenibile è minore (pozzo di assorbimento del carbonio) o pari (neutralità in termini di carbonio) a quella che le foreste assorbono dall'atmosfera.

3.   La risorse forestali  (4) e il loro sfruttamento in Europa

3.1

La superficie forestale dei 27 Stati membri ammonta a 156 milioni di ettari. Tuttavia, a causa delle condizioni naturali, non tutta questa superficie è utilizzabile per ricavarne legno e per altri scopi commerciali. Secondo alcune stime, infatti, tale superficie è accessibile in media per l'80-90 %, percentuale che si riduce spesso al 40-50 % nell'Europa orientale. Negli ultimi 15 anni la superficie forestale complessiva degli Stati membri è aumentata di circa 10 milioni di ettari, grazie al rimboschimento, alla conversione di superfici agricole e alla riforestazione spontanea. L'insieme di queste nuove superfici forestali equivale al territorio dell'Ungheria.

3.2

Circa il 60 % delle foreste dell'UE-27 appartiene a privati, per lo più famiglie, mentre il restante 40 % è di proprietà pubblica o collettiva (Stato, comuni, comunità religiose o altre entità). I proprietari privati di foreste sono oltre 15 milioni, e tale cifra continua ad aumentare a causa della ristrutturazione della proprietà forestale nei paesi dell'Europa orientale o in seguito alla divisione di beni ereditari.

3.3

Per secoli le popolazioni europee hanno sfruttato le foreste in vari modi, modificandone la struttura. Le foreste europee sono quindi in gran parte «seminaturali», ossia trasformate dall'azione dell'uomo per quanto riguarda la presenza di specie vegetali. Più precisamente, la quota di foreste seminaturali è pari all'85 %. Esistono inoltre «piantagioni di alberi», nelle quali viene praticata la silvicoltura: presenti principalmente nell'Europa sudoccidentale, esse rappresentano circa l'8 % della superficie forestale europea. Le «foreste naturali» (5), intatte e non assoggettate ad attività silvicole, si trovano invece per lo più nell'Europa orientale, nei paesi baltici e in quelli nordici, e costituiscono approssimativamente il 5 % della superficie forestale europea.

3.4

Le foreste naturali e le aree forestali protette costituiscono la categoria più importante per la tutela della biodiversità. Le foreste naturali sono inoltre ecosistemi stabili che limitano le conseguenze dei mutamenti climatici. Circa l'8 % della superficie forestale europea è sottoposto a misure di protezione della diversità forestale, mentre un altro 10 % circa è oggetto di tutela del paesaggio: in tutto, quindi, è protetto il 18 % delle foreste, pari a 34 milioni di ettari. Negli ultimi anni le aree forestali protette per legge o in base ad altre norme giuridiche sono aumentate, e oggi in Europa le più rare e pregiate fra le foreste degne di tutela sono per lo più già protette. Le foreste protette sono spesso situate in zone montuose o lontane dai centri abitati, in aree non intaccate da attività umane e quindi generalmente di maggior valore in termini di biodiversità. Inoltre, circa il 10 % delle foreste è protetto nel quadro della tutela dei sistemi idrici, delle riserve d'acqua sotterranee o del suolo, o della prevenzione delle valanghe o dell'erosione. Nelle foreste sfruttate commercialmente la biodiversità viene favorita anche lasciando sul posto i tronchi in decomposizione e gli habitat di microrganismi, per consentire la sopravvivenza di specie rare.

3.5

Nelle foreste europee sfruttate commercialmente il disboscamento è nettamente inferiore alla crescita. Nel 2005, nelle foreste dell'UE-27 che per le loro condizioni naturali si prestano al disboscamento, l'aumento netto delle riserve di legname è stato di 687 milioni di m3, mentre il prelievo di legname è stato pari a 442 milioni di m3. In altri termini, nel 2005 il tasso di sfruttamento forestale, ossia il rapporto tra il taglio di legname e la crescita delle foreste, è stato in media del 60 % (con valori che andavano dal 30 all'80 %): esso ha superato il 50 % negli Stati membri dell'Europa settentrionale e centrale, ma è stato inferiore a detta percentuale negli Stati membri dell'Europa meridionale e sudorientale. Tale tasso è cresciuto negli ultimi dieci anni, ma non ha ancora raggiunto il livello del 1990. Il disboscamento è aumentato in parte a causa delle violente tempeste verificatesi nei primi anni del nuovo millennio, in seguito alle quali in alcune zone è stato necessario concentrare in un periodo limitato il prelievo di legname che in condizioni normali sarebbe stato distribuito su diversi anni. Nel 2006 le importazioni di legno grezzo, legno sminuzzato e residui lignei nei 27 paesi dell'UE sono state pari a 83 milioni di m3 (senza contare la carta e la cellulosa), mentre le esportazioni di tali materiali verso paesi terzi sono state pari a 54 milioni di m3  (6).

3.6

Poiché il taglio di legname è inferiore alla crescita, nelle foreste attualmente sfruttate a scopo commerciale rimane inutilizzato circa il 40 % dell'aumento annuo delle risorse, cioè approssimativamente 250 milioni di m3. Inoltre, negli ultimi 50 anni le risorse forestali degli Stati membri dell'UE-27 sono cresciute costantemente, raggiungendo il volume complessivo di circa 30 miliardi di m3, che corrispondono a 9,8 miliardi di tonnellate di carbonio. Parte del carbonio sequestrato dagli alberi viene immagazzinato nel suolo, ma, data la mancanza di ricerche in materia, non esistono valutazioni di tale quota per l'intera Europa. Sotto il profilo del fissaggio del carbonio sussiste una differenza importante tra le foreste sfruttate commercialmente e quelle naturali. Queste ultime si trovano in una «fase terminale» in cui svolgono, nella prevenzione dei cambiamenti climatici, una mera funzione di serbatoio del carbonio. In esse il fissaggio del carbonio (attraverso la crescita della biomassa) e la sua liberazione (attraverso la decomposizione della biomassa) sono in equilibrio. Nelle foreste sfruttate commercialmente, invece, con il prelievo di legno vengono create sempre nuove potenzialità aggiuntive di fissaggio del carbonio. Il CESE sottolinea fermamente di non voler affermare che, per le ragioni sin qui menzionate, le foreste sfruttate commercialmente abbiano un valore maggiore di quelle naturali.

3.7

È importante analizzare il potenziale di disboscamento o altro uso commerciale delle foreste europee, al fine di conoscere e di quantificare il fissaggio di carbonio, la produzione di bioenergia forestale e il ciclo del carbonio relativo ai prodotti in legno. Al momento, tuttavia, manca un quadro complessivo del potenziale di disboscamento dei 27 Stati membri dell'UE. Diversi Stati dispongono di un proprio programma forestale nazionale, in cui vengono indicate le varie possibilità di disboscamento alla luce delle esigenze di tutela delle foreste e della biodiversità nonché di altre esigenze di multifunzionalità.

4.   Ripercussioni dei mutamenti climatici sulle foreste

4.1

Le foreste assimilano l'anidride carbonica (CO2) dell'atmosfera e la convertono in biomassa, composta principalmente da legno, liberando al tempo stesso ossigeno, necessario per la vita animale ed umana. I mutamenti climatici - principalmente l'aumento della concentrazione di gas ad effetto serra nell'atmosfera e l'aumento della temperatura, ma anche la concentrazione di ozono negli strati bassi dell'atmosfera, il deposito di azoto e l'acidificazione del suolo - comportano, immediatamente o dopo un certo tempo, una minaccia per la salute, la crescita e la struttura delle foreste.

4.2

Le ripercussioni dei mutamenti climatici sulle foreste sono di due tipi. Se il clima cambia gradualmente, divenendo per esempio più caldo o più asciutto, gli alberi devono adattarsi a questo cambiamento. Tale reazione di adattamento è graduale, ed è possibile prevederne il ritmo e pianificare le opportune misure correttive. Le più gravi minacce dirette per lo sviluppo delle foreste derivano dai fenomeni atmosferici estremi. Dalle serie storiche raccolte a partire dal 1850 risulta che in Europa negli ultimi 20 anni si è registrato un netto aumento dei danni dovuti alle tempeste. Analogamente, nell'ultimo decennio nei paesi mediterranei si sono registrati frequenti incendi forestali. I fenomeni atmosferici estremi non possono essere previsti con precisione, ma è comunque possibile prepararsi ad affrontare tali eventi mediante un'appropriata programmazione.

4.3

Quando la foresta sfruttata commercialmente non si adegua in misura sufficiente ai cambiamenti graduali del clima, si registra una serie di conseguenze, fra cui l'attenuazione della vitalità degli alberi, la diminuzione della loro redditività e la morte di alcuni di essi, la riduzione della loro capacità di competere con altri organismi e il conseguente aumento dell'incidenza di malattie e parassiti, nonché un cambiamento nella distribuzione delle specie arboree nelle foreste. Nelle regioni nordiche l'adattamento degli alberi può essere messo a rischio anche dall'allungamento della stagione della crescita, che altera il loro ritmo di sviluppo, e dalla contrazione del periodo invernale o di riposo, alla quale possono non riuscire ad adattarsi in misura sufficiente. In caso di fenomeni atmosferici estremi, come la siccità, gli incendi, le tempeste o le forti nevicate, gli alberi possono morire su una vasta superficie, le misure di rimboschimento possono essere ostacolate, e la presenza di alberi morti può favorire il diffondersi di parassiti anche a foreste circostanti sane.

4.4

Gli effetti dei cambiamenti climatici sulla vegetazione variano da una regione all'altra dell'Europa. Nelle diverse zone (regioni nordiche, zona temperata, area mediterranea e regioni alpine e polari) e nei vari paesi i principali effetti previsti sono i seguenti:

nell'area mediterranea è prevedibile un'intensificazione delle fasi di caldo secco, da cui conseguiranno una carenza di acqua dolce e maggiori rischi di incendi forestali e di desertificazione,

nell'Europa centrale la stagione della crescita si allungherà; la crescita stessa potrebbe accelerare; la quota di latifoglie è probabilmente destinata ad aumentare; le precipitazioni potrebbero ridursi e la siccità potrebbe fare la sua comparsa; inoltre, aumenterebbe la frequenza dei fenomeni atmosferici estremi, e in particolare delle tempeste,

nelle zone nordiche caratterizzate dalla presenza di conifere si avrà probabilmente un allungamento della stagione di crescita; la crescita stessa potrebbe aumentare; il fenomeno delle tempeste si intensificherà; nella zona temperata, si avrà presumibilmente uno spostamento verso nord dell'habitat di vari insetti parassiti, fenomeno che potrebbe causare vasti danni,

nelle foreste alpine di montagna e in quelle nordiche site in prossimità del limite di diffusione degli alberi, i cambiamenti climatici potrebbero comportare uno spostamento di tale limite di diffusione verso quote più elevate o latitudini più settentrionali, nonché la graduale estinzione di determinate specie.

5.   Il ruolo della gestione delle foreste nell'adattamento ai mutamenti climatici

5.1

Una buona gestione delle foreste è fondamentale per garantire l'adattamento di queste ai mutamenti climatici. E gestire bene le foreste significa anche adottare misure di prevenzione, come l'individuazione e la rimozione tempestive degli alberi morenti o la riduzione al minimo della presenza di materiali infiammabili. Bisogna sensibilizzare la popolazione, i proprietari di foreste e i responsabili della loro gestione in merito all'importanza di una buona gestione forestale per l'adattamento degli alberi ai mutamenti climatici. La maggior parte delle foreste dell'Unione europea è oggetto di cure continue, per cui in genere la loro produttività e la loro vitalità si mantengono elevate. Le possibili misure di adattamento devono essere attuate sin d'ora e in maniera continua, perché la silvicoltura ha bisogno di una pianificazione a lungo termine a causa del lungo tempo di rotazione, in genere variabile tra 15 e 150 anni.

5.2

Nel rinnovare le foreste, occorre destinare a ciascuna zona le specie arboree che vi si adattano meglio. La preferenza dovrebbe andare alle specie indigene, perché le specie originarie di una determinata area hanno migliori possibilità di adattarsi ai cambiamenti locali del clima grazie al proprio patrimonio genetico. Bisogna inoltre privilegiare le foreste miste, che riducono i rischi, suddividendoli tra singole specie arboree con caratteristiche differenti.

5.3

Nel caso di foreste composte da una sola specie di conifera e site al di fuori dell'area naturale di diffusione di tale specie, bisogna cercare di modificare la composizione della foresta al fine di ricostruire per quanto possibile la distribuzione originaria delle specie arboree. Rispetto alle foreste miste, quelle impiantate utilizzando una sola specie arborea sono meno resistenti alle tempeste e alle conseguenti invasioni di insetti.

5.4

Per far fronte ai rischi derivanti da fenomeni atmosferici estremi dovuti ai cambiamenti climatici, nonché alle devastazioni e ai danni che tali fenomeni causano alle foreste, occorre predisporre piani di emergenza, opzioni di finanziamento per la copertura dei danni e schemi di intervento. Bisogna elaborare una cartografia delle zone maggiormente a rischio di siffatti fenomeni meteorologici. È necessario definire degli schemi di intervento anche per provvedere ad aumenti repentini dell'attività di disboscamento e per garantire il corretto funzionamento del mercato del legname.

5.5

I cambiamenti climatici e il commercio internazionale di materiali vegetali favoriscono la diffusione di specie estranee e di parassiti delle piante. La direttiva sulla protezione delle piante contiene disposizioni in materia di difesa dagli agenti dannosi per le piante e di prevenzione della diffusione di parassiti, nonché in materia di commercio internazionale di prodotti lignei, sementi e plantule. Per salvaguardare la salute delle foreste e prevenire la diffusione nel territorio comunitario di parassiti particolarmente dannosi (come ad esempio il nematode del pino), occorrono norme sufficientemente rigorose in materia di protezione delle piante, come pure un'efficace sorveglianza. Per contrastare l'insediamento di specie allogene invasive, occorrono strategie e programmi nazionali.

5.6

La gestione delle foreste non deve contraddire gli obiettivi della biodiversità. Nella gestione delle foreste seminaturali si dovrebbe tenere conto della biodiversità lasciando nelle foreste sfruttate commercialmente tronchi in decomposizione e microbiotopi intatti, al fine di preservare delle specie viventi. In vari Stati membri gli interventi di protezione attuati volontariamente dai proprietari nelle foreste private vengono sostenuti finanziariamente a titolo di misura di tutela della biodiversità. Anche i regimi di certificazione forestale prevedono che nella gestione delle foreste venga tenuto conto dei requisiti relativi alla biodiversità.

5.7

Attualmente, nelle foreste europee sfruttate commercialmente è presente una considerevole quantità di tronchi in decomposizione, ancora in piedi o giacenti al suolo, che svolgono la funzione di depositi del carbonio e al tempo stesso costituiscono un habitat indispensabile per alcune specie viventi. La quantità media di alberi in decomposizione è di 10 m3 per ettaro. La presenza di una grande quantità di piante in decomposizione può favorire una diffusione massiccia di insetti nocivi o accrescere il rischio di incendi. Tuttavia, i vantaggi della biodiversità sono considerevoli, ed è quindi importante che non tutti i tronchi in decomposizione vengano rimossi dal sito di crescita, ad esempio nel quadro della raccolta destinata alla produzione di bioenergia.

5.8

Le foreste naturali e le aree forestali protette sono necessarie per preservare la biodiversità. Per quanto riguarda la capacità di fissare il carbonio, le foreste naturali, invecchiando, cessano di essere dei pozzi di assorbimento e diventano dei depositi di carbonio. Il passaggio delle foreste dallo sfruttamento commerciale attivo allo stato di area totalmente protetta riduce quindi la superficie destinata agli alberi in fase di crescita, i quali consentono di aumentare la quantità di carbonio fissato nelle foreste e soprattutto di produrre energia e prodotti in legno in sostituzione di altre fonti di energia e di altri materiali.

5.9

Ai fini della lotta contro i cambiamenti climatici, la protezione integrata praticata nelle foreste sfruttate commercialmente (legno in decomposizione e microbiotopi) è più efficace della protezione totale.

6.   Il ruolo dei prodotti in legno nel contenimento dei cambiamenti climatici

6.1

Durante il ciclo della crescita e della lavorazione le foreste influiscono sul cambiamento climatico in quattro modi:

crescendo, sottraggono carbonio all'atmosfera e lo fissano nella biomassa e nel terreno,

i prodotti in legno sono un deposito di anidride carbonica,

l'uso del legno come fonte energetica riduce il ricorso ai combustibili fossili e quindi le emissioni di gas a effetto serra,

l'uso di prodotti in legno, ad esempio nell'edilizia e nella fabbricazione di mobili, riduce indirettamente le emissioni dovute ai combustibili fossili, perché permette di sostituire materiali non rinnovabili come il cemento, la cui produzione provoca un consumo energetico maggiore ed emissioni maggiori rispetto all'impiego di legno.

6.2

Per vari decenni le foreste europee sono servite da pozzi di assorbimento del carbonio e, grazie al fatto che l'attività di disboscamento è inferiore alla ricrescita degli alberi, hanno rallentato l'aumento della concentrazione di anidride carbonica nell'atmosfera. Tuttavia, nelle foreste sfruttate commercialmente la riduzione dei tagli non può continuare all'infinito, perché, con il rallentare della crescita, si riduce gradualmente anche la capacità di assorbire carbonio. Pertanto, nelle foreste sfruttate commercialmente le attività di gestione devono essere continue.

6.3

L'impiego di prodotti forestali (secondari) (7) causa un effetto di sostituzione molto importante per il contenimento dei cambiamenti climatici. Il carbonio sottratto all'atmosfera e fissato negli alberi viene trasferito e immagazzinato nei prodotti ricavati dal legno, come carta, mobili, assi ed edifici in legno. Nel caso delle abitazioni costruite in legno, per esempio, tale carbonio non ritorna all'atmosfera, nel migliore dei casi, prima di alcuni secoli. Al termine del loro ciclo di vita i prodotti in legno possono essere riciclati e, successivamente, bruciati per produrre energia. L'inclusione dei prodotti in legno nei rapporti sui gas a effetto serra previsti dal Protocollo di Kyoto per il calcolo del bilancio del carbonio è al momento solo facoltativa; inoltre, tali rapporti sono tuttora incompleti, anche a causa del fatto che in essi si tiene conto del commercio internazionale.

6.4

Le attuali banche dati consentono di calcolare, a livello sia nazionale che internazionale, la capacità di sequestro di carbonio dei prodotti lignei. Vengono elaborati metodi di calcolo, con l'obiettivo di utilizzarli per calcolare il bilancio del carbonio delle foreste. Quest'anno, alla conferenza di Copenaghen sul clima, l'UE dovrebbe proporre, per il periodo post Kyoto a partire dal 2012, l'inclusione obbligatoria della quantità di carbonio immagazzinata nei prodotti in legno - e dunque l'utilizzo dei relativi rapporti - nel computo del bilancio del carbonio.

6.5

Includendo nel bilancio del carbonio il potenziale di immagazzinamento dei prodotti in legno, si può fornire un incentivo a gestire le foreste in modo più efficiente e compatibile con l'ambiente. Sottoporre le foreste a cure continue è molto importante per preservare la loro vitalità dalle conseguenze dannose dei cambiamenti climatici.

7.   Uso del legno nell'edilizia

7.1

Il settore delle costruzioni riveste un ruolo importante nella prevenzione dei cambiamenti climatici, dal momento che a livello mondiale il 40-50 % dell'energia primaria viene impiegata per gli edifici e per il loro riscaldamento e condizionamento (8). Si calcola che quasi il 40 % delle emissioni di anidride carbonica venga generato nella produzione di materiali da costruzione, nell'edilizia e nell'uso degli immobili. Negli Stati dell'UE-27 nel 2005 sono stati consumati 1.170,2 milioni di tonnellate di petrolio equivalente. Di tali consumi il 28 % è stato dovuto all'industria, il 30,9 % ai trasporti e il 41,1 % ai consumi domestici. Il riscaldamento e il condizionamento di edifici sono responsabili dell'8 % delle emissioni di CO2. Una parte considerevole di queste emissioni può essere evitata grazie ad una costruzione professionale e a nuove tecniche, come pure accrescendo la quota di legno utilizzato nella costruzione.

7.2

Il legno costituisce, per tutto il suo ciclo di vita, un materiale da costruzione a basso tenore energetico, rinnovabile e neutrale dal punto di vista del carbonio. Nessun altro comune materiale da costruzione può essere prodotto con un consumo energetico altrettanto modesto. Utilizzando un metro cubo di legno in sostituzione di altri materiali da costruzione, si riducono le emissioni di CO2 nell'atmosfera mediamente di 1,1 tonnellate.

7.3

La maggiore diffusione degli edifici in legno e del legno come materiale da costruzione su scala internazionale sono limitate dalla mancanza di norme, regole e criteri di certificazione unitari. Il settore delle costruzioni dovrebbe disporre di analisi, basate su calcoli scientifici, del ciclo di vita e delle emissioni di gas a effetto serra dei vari prodotti, che consentano di comparare la resa di materiali diversi in maniera imparziale. Gli Stati membri dovrebbero includere nella loro politica di approvvigionamento di legname i materiali forestali destinati all'«edilizia verde», e applicare più ampiamente che in passato requisiti di certificazione forestale compatibili con i criteri internazionali di sostenibilità.

8.   Bioenergia dalle foreste

8.1

La biomassa di origine forestale è la principale fonte rinnovabile di bioenergia immediatamente accessibile in Europa. Tale biomassa viene utilizzata a fini energetici nei tre modi seguenti:

nella produzione di calore e di vapore per uso industriale,

nella generazione di elettricità,

come biocarburante per i trasporti.

Negli ultimi anni in Europa si è avuta una rapida crescita della generazione di calore o di elettricità e della cogenerazione di calore ed elettricità a partire dalla biomassa di origine forestale. Il calore e l'elettricità vengono generati per essere forniti a singole case, nonché per impianti di riscaldamento o impianti elettrici e di riscaldamento di varie dimensioni destinati a scuole, servizi pubblici, ospedali, piccoli centri o città. Le tecnologie per la produzione di biocarburanti a partire dalla biomassa di origine forestale e dal legno grezzo sono ancora in fase di sperimentazione e sviluppo, e occorrono investimenti ulteriori in questo campo. Una nuova possibilità di accrescere i valori energetici del legno e l'efficacia del suolo come pozzo di assorbimento del carbonio è offerta dalla pirolisi della biomassa, procedimento mediante il quale si ottiene carbone di legna adatto per l'arricchimento del terreno.

8.2

Nel 2006 nell'UE-25 la produzione di energia da fonti rinnovabili è stata pari a 110 milioni di tonnellate equivalenti di petrolio, ossia a circa il 14 % del consumo energetico complessivo (fonte: Eurostat, 2008). La maggior parte (65 %) di tale energia proveniva dalla biomassa, per lo più (60 %) di origine forestale. La quota di energia di origine forestale sul consumo totale varia in misura considerevole tra i 27 Stati membri dell'UE.

8.3

Tra i biocarburanti a base di legno che si ricavano dalle foreste figurano trucioli, legno sminuzzato, barrette, granulato, mattonelle, ceppi, radici, carbone, gas ricavato dal legno e legname proveniente da alberi a crescita rapida coltivati per uso energetico, come il salice. Offrono un grande potenziale energetico i prodotti secondari dell'industria del legno (liquami industriali e residui di legno, come pure liscivia nera, corteccia, segatura, resti di lavorazione e legno riciclato), utilizzati intensivamente nella produzione di calore ed energia, in particolare nell'industria forestale integrata. L'uso di prodotti secondari e di legno riciclato per produrre energia potrebbe ammontare al 30-50 % dell'utilizzo di legno grezzo.

8.4

L'impiego di bioenergia di origine forestale in Europa potrebbe aumentare considerevolmente rispetto al livello attuale. Secondo stime iniziali il potenziale di raccolta di biomassa in Europa ammonta a 100-200 milioni di m3 all'anno, a condizione che il disboscamento non rappresenti un pericolo per l'ambiente, la biodiversità forestale e le aree protette. Si ritiene che la quantità di biomassa forestale raccolta, nel quadro del taglio di tronchi o separatamente, ammonti attualmente al 10-15 % del potenziale di produzione.

8.5

Un maggiore ricorso alla biomassa forestale creerebbe nuove opportunità non soltanto per i proprietari di foreste - grazie all'ampliamento del mercato del legname e all'aumento della concorrenza sui prezzi - ma anche per l'industria della lavorazione del legno, che beneficerebbe di un mercato più ampio per i suoi sottoprodotti. Una domanda sostenuta di biomassa forestale potrebbe influire sul mercato del legno grezzo, intensificando la concorrenza tra il settore delle bioenergie e l'industria che fa uso di tale materiale. Il sostegno all'utilizzo finale, ad esempio mediante tariffe preferenziali di immissione in rete per l'energia «verde», costituisce uno strumento importante per sviluppare a livello locale e regionale una serie di strategie diverse in materia di bioenergie. La promozione delle bioenergie dovrebbe continuare ad essere una forma importante di sostegno anche nel quadro dello sviluppo regionale nell'UE.

8.6

I mercati dei combustibili a base di legno, e in particolare della legna da ardere, sono prevalentemente locali, ma un aumento dell'uso di legno per scopi energetici nell'UE contribuirebbe fortemente ad accrescere il fatturato e l'occupazione nel settore dei macchinari e dell'attrezzatura. Per produrre granulato, mattonelle e altri tipi di combustibili lavorati a base di legno, occorrono infatti macchinari e attrezzature speciali. La produzione di energia richiede un gran numero di caldaie e di altri dispositivi di notevole valore economico e con un potenziale di crescita considerevole. Aumentando l'uso dell'energia ricavata dal legno si creano importanti opportunità per l'esportazione di tecnologia verso paesi terzi.

8.7

Nell'ambito della direttiva quadro sulle fonti di energia rinnovabili vengono attualmente elaborate norme relative alla produzione sostenibile di biomassa. Tali norme sono importanti per garantire l'acquisizione e la produzione sostenibili di bioenergia di origine forestale, nonché il ricorso a procedure comuni. Per evitare un'inutile duplicazione del lavoro, occorre che le norme relative alla produzione sostenibile di biomassa forestale siano coerenti con i criteri stabiliti a livello europeo dalla MCPFE.

9.   Aspetti concernenti la politica forestale

9.1

L'impianto di nuove foreste costituisce uno dei metodi più efficaci per sottrarre carbonio all'atmosfera. L'UE dovrebbe sostenere, nel quadro della propria politica di sviluppo, progetti di rimboschimento nei paesi in via di sviluppo, perché i cambiamenti climatici comporteranno probabilmente un aumento delle disparità economiche tra questi paesi e quelli industrializzati. I progetti di impianto di foreste dovrebbero essere accompagnati da strategie di adattamento volte a sostenere la creazione di capacità, l'incremento delle foreste multifunzionali e la buona governance nei paesi in via di sviluppo. Nei paesi in via di sviluppo l'UE dovrebbe inoltre cercare di prevenire il disboscamento illegale, promuovere la silvicoltura sostenibile e incoraggiare l'elaborazione di programmi forestali in collaborazione con altri settori.

9.2

La normativa prevista dal Protocollo di Kyoto per calcolare gli effetti del cambio di destinazione d'uso del territorio sul bilancio del carbonio non contiene disposizioni concernenti i paesi in via di sviluppo che consentano di tener conto della riduzione delle emissioni di anidride carbonica risultante dalla prevenzione della deforestazione. Dal momento che quest'ultima accresce le emissioni di CO2, l'UE dovrebbe promuovere l'elaborazione e l'adozione del programma cooperativo delle Nazioni Unite per la riduzione delle emissioni derivanti dalla deforestazione e dal degrado forestale nei paesi in via di sviluppo (lo «strumento REDD») affinché nel periodo post Kyoto, a partire dal 2012, tale strumento sia utilizzato nel calcolo delle emissioni di gas a effetto serra derivanti dal cambio di destinazione d'uso del territorio. A tal fine occorrerà al tempo stesso definire un prezzo che rispecchi il valore del carbonio accumulato, in modo che gli Stati membri, grazie allo scambio di diritti di emissione, possano contribuire a contrastare la deforestazione nelle zone tropicali.

9.3

L'UE ha sviluppato la cosiddetta procedura FLEGT (9), intesa a prevenire la vendita sui mercati comunitari del legname prodotto illegalmente e dei suoi derivati. Grazie a un sistema di partenariato specifico per paese, il sistema di licenze FLEGT promuove e sostiene la gestione sostenibile delle foreste nei paesi in via di sviluppo e favorisce una cooperazione più efficace tra gli Stati membri e tali paesi. L'UE dovrebbe sostenere l'ulteriore sviluppo del sistema FLEGT e la sua espansione a livello mondiale. La prevenzione del taglio illegale rallenterebbe la deforestazione nelle zone tropicali e il conseguente aumento delle emissioni di anidride carbonica. Anche i regimi volontari di certificazione forestale, come il PEFC (10) e il FSC (11), mirano a ridurre la deforestazione illegale.

9.4

Attraverso accordi internazionali e organizzazioni come il Comitato legno della Commissione economica per l'Europa delle Nazioni Unite, la Commissione per la silvicoltura europea della FAO e la MCPFE, viene già eseguita una raccolta di dati relativi alle risorse forestali europee, al carbonio che esse immagazzinano, al ciclo del carbonio, alla diversità delle foreste, ai loro prodotti e ai loro effetti di protezione. È tuttavia necessario e urgente acquisire ulteriori informazioni ed intensificare la ricerca. Nello sviluppare i sistemi comunitari di monitoraggio, come ad esempio il nuovo progetto FutMon, bisogna utilizzare i sistemi di monitoraggio nazionali, paneuropei e globali già esistenti o in corso di definizione, garantendo che nel trattamento e nella pubblicazione dei dati vengano protetti i dati relativi proprietari fondiari. L'UE deve utilizzare i propri programmi quadro nel settore della ricerca per promuovere la ricerca in questi settori e per facilitare il trasferimento di dati mediante progetti di ricerca e sviluppo sia di base che applicata.

Bruxelles, 25 marzo 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Conferenza ministeriale sulla protezione delle foreste in Europa (Ministerial Conference on the Protection of Forest in Europe - MCPFE), attiva dal 1990.

(2)  Programma cooperativo delle Nazioni Unite per la riduzione delle emissioni derivanti dalla deforestazione e dal degrado forestale nei paesi in via di sviluppo (Reduction Emissions from Deforestation and Forest Degradation - REDD).

(3)  G.J. Nabuurs e altri, Temporal evolution of the European Forest sector carbon sink 1950-1999 («Evoluzione temporale dell'assorbimento di carbonio del settore forestale europeo»), Global Change Biology 9, 2003.

(4)  MCPFE (Conferenza ministeriale sulla protezione delle foreste in Europa), UNECE (Commissione economica delle Nazioni Unite per l'Europa) e FAO (Agenzia delle Nazioni Unite per l'alimentazione e l'agricoltura), State of Europe's Forests 2007. The MCPFE report on sustainable forest management in Europe («Lo stato delle foreste europee 2007 - Relazione della Conferenza ministeriale sulla protezione delle foreste in Europa»), Varsavia 2007, 247 pagg.

(5)  Ai fini del presente parere si sono adottate le seguenti definizioni: per «foreste naturali» intatte (o «foreste primarie») si intendono quelle che, non essendo intaccate dall'attività antropica presentano le caratteristiche proprie del ciclo di sviluppo forestale naturale, ossia quelle che, per composizione di specie arboree, struttura delle età e quota di alberi morti, corrispondono allo stato naturale e nelle quali non sono osservabili segni dell'attività umana; per «piantagioni di alberi», le aree forestali caratterizzate dalla presenza di specie arboree non indigene introdotte dall'uomo, o che comprendono alberi aventi tutti la stessa età e appartenenti a una o due specie indigene e impiantati dall'uomo; per «foreste seminaturali», le aree forestali che non appartengono né alla categoria delle foreste non intaccate dall'attività antropica né a quella delle piantagioni di alberi. Queste definizioni figurano al punto 72 della posizione del PE sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili (direttiva FER). Essa definisce le aree forestali in cui la biomassa può essere raccolta in maniera sostenibile (la raccolta di biomassa è ammessa in tutti i tipi di foreste, salvo che in quelle «naturali» o «primarie».

(6)  Fonte: ForeSTAT (FAO, 2007).

(7)  Si tratta di tutto il materiale ligneo (compresa la corteccia) che viene ricavato sul luogo di disboscamento. I residui di taglio e gli altri materiali che vengono lasciati nel luogo di disboscamento sono considerati come materia organica morta e non come prodotti forestali secondari (Orientamenti del 2006 relativi alla direttiva sulla prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento).

(8)  Fonte: UNECE/FAO, Forest Products Annual Market Review (Rassegna annuale del mercato dei prodotti forestali) 2007-2008, reperibile all'indirizzo web http://www.unece.org/timber/docs/fpama/2008/fpamr2008.htm oppure http://www.iisd.ca/ymb/efw/20october.html.

(9)  Applicazione delle normative, governance e commercio nel settore forestale (Forest Law Enforcement, Governance and Trade – FLEGT). Cfr. la Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo L'applicazione delle normative, la governance e il commercio nel settore forestale (FLEGT) - Proposta di un piano d'azione dell'Unione europea (COM(2003) 251 def.) e il regolamento (CE) n. 1024/2008 della Commissione, del 17 ottobre 2008, recante modalità d'applicazione del regolamento (CE) n. 2173/2005 del Consiglio relativo all’istituzione di un sistema di licenze FLEGT per le importazioni di legname nella Comunità europea (GU L 277 del 18.10.2008, pagg. 23-29).

(10)  Programma per la ratifica dei regimi di certificazione forestale (Programme for the Endorsement of Forest Certification Schemes - PEFC): cfr. www.pefc.org.

(11)  Consiglio per la tutela delle foreste (Forest Stewardship Council - FSC): cfr. www.fsc.org.


22.9.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 228/9


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Partenariato tra istituti d'istruzione e datori di lavoro (parere esplorativo)

2009/C 228/02

Con lettera datata 27 giugno 2008, il ministero ceco per gli Affari esteri ed europei ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo, in vista della prossima presidenza ceca dell'Unione europea, di elaborare un parere esplorativo sul tema:

«Partenariato tra istituti d'istruzione e datori di lavoro» (parere esplorativo).

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 marzo 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore MALOSSE e dal correlatore PÎRVULESCU.

Alla sua 452a sessione plenaria, dei giorni 24 e 25 marzo 2009 (seduta del 24 marzo 2009), il Comitato economico e sociale europeo ha adottato il seguente parere con 160 voti favorevoli, 1 voto contrario e 11 astensioni.

1.   Sintesi e raccomandazioni

1.1

Il presente parere esplorativo, elaborato su richiesta della presidenza ceca e riguardante le relazioni tra datori di lavoro e istituti d'insegnamento, formula alcune raccomandazioni rivolte tanto alle imprese, alle associazioni di imprenditori e ai diversi istituti d'insegnamento, quanto all'Unione europea, e prefigura alcuni assi di apertura verso il dialogo sociale e il dialogo civile con l'insieme delle istituzioni e delle strutture interessate.

1.2

L'approccio seguito verte sui seguenti elementi:

il contesto di crisi, che mette l'Europa di fronte a nuove sfide esterne e interne e che comporta, per l'economia reale, chiusure e ristrutturazioni di imprese e un forte aumento della disoccupazione,

l'esistenza di tendenze strutturali dal forte impatto sociale ed economico, tra cui l'invecchiamento della popolazione, l'affacciarsi di nuove potenze concorrenti sulla scena economica mondiale e lo sviluppo di nuove tecnologie che impongono un costante adeguamento e la necessità di anticipare le nuove competenze del futuro,

i bisogni delle persone e dei gruppi sociali a rischio di esclusione. In tempo di crisi, infatti, i gruppi vulnerabili sono i più esposti. I partenariati devono favorire l'uguaglianza sviluppando progetti che promuovano l'inserimento nel mercato del lavoro delle donne, dei giovani, delle minoranze, dei disabili e dei lavoratori anziani.

1.3

Il parere evidenzia alcuni assi metodologici prioritari:

una cultura del partenariato che rispetti le diverse funzioni fondamentali delle imprese e degli istituti d'insegnamento,

una situazione generale ancora non soddisfacente sul piano delle relazioni e dei partenariati tra gli istituti d'insegnamento e le imprese, al di fuori dell'insegnamento tecnico e professionale, caratterizzata soprattutto dalla mancanza dei mezzi e della visione strategica necessari,

la necessità di trovare, in tutte le iniziative da realizzare, il giusto equilibrio tra un approccio discendente (top-down) e uno ascendente (bottom-up),

l'importanza delle relazioni interpersonali per l'efficace funzionamento dei partenariati,

l'obbligo di trattare l'intera problematica del partenariato in senso lato tra gli istituti d'insegnamento (università, formazione professionale, scuole …) e i datori di lavoro (settore privato, settore pubblico, ONG …) nel quadro di un approccio su tre livelli:

l'insegnamento primario, secondario e terziario,

la formazione professionale iniziale e continua,

la formazione di ingegneri e tecnici, l'innovazione e la ricerca,

azioni specifiche rivolte ai settori professionali e alle PMI. Questa categoria d'impresa costituisce infatti, grazie alle capacità e alla flessibilità che la caratterizzano, la principale risorsa per la creazione di posti di lavoro in tempi di crisi, con un ruolo particolare nello sviluppo dello spirito imprenditoriale e della creatività,

il ruolo delle organizzazioni di imprenditori e dei sindacati, nonché delle organizzazioni della società civile, in quanto catalizzatori di progetti e sinergie, per sostenere iniziative e strutture durature e dinamiche.

Un orientamento generale a favore di un modello di cooperazione tra tutte le parti interessate in un contesto di concorrenza.

1.4

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) propone di costruire un nuovo quadro di portata europea per il partenariato tra istituti d'insegnamento e imprese, in un'ottica di valorizzazione dei punti di forza della dimensione europea, ma anche di avanzamento della società nel suo complesso. Il CESE raccomanda di lanciare un processo europeo che potrebbe chiamarsi «processo di Praga» con riferimento al convegno Partenariato tra istituti d'istruzione e datori di lavoro, che si terrà in quella città il 6 e 7 aprile su iniziativa della presidenza ceca. Il processo potrebbe costituire un quadro di riferimento europeo piuttosto ampio, che consentirebbe agli operatori di realizzare azioni innovative a livello locale e nazionale, segnatamente di:

chiedere agli Stati membri e alle altre autorità pubbliche di investire di più nell'istruzione in generale, e in particolare in questi partenariati, per rispondere adeguatamente alla crisi economica e alle difficoltà che persistono sul mercato del lavoro,

incoraggiare le imprese e gli istituti d'insegnamento a realizzare questi partenariati in modo innovativo sul piano sia della forma che dei contenuti,

organizzare scambi di buone pratiche e definire scenari tecnici e finanziari che diano la possibilità di collaudare, valutare e divulgare le iniziative a livello europeo,

sviluppare progetti comuni (parametri di riferimento comuni per i diplomi, reti di scuole o di iniziative, formazione degli insegnanti, reti di mediatori),

promuovere programmi di mobilità incrociata tra insegnanti, studenti, scuole e organizzazioni degli imprenditori.

1.5

Il CESE suggerisce di finanziare il processo fino al 2013 con i fondi strutturali europei e i programmi esistenti (Leonardo, Grundtvig, Erasmus per gli studenti, Erasmus per gli apprendisti ed Erasmus per i creatori d'imprese, …), se necessario adeguandoli. Il FSE in particolare dovrebbe poter essere utilizzato per sostenere la formazione iniziale. Dopo il 2013 si potrebbe proporre un programma specifico complementare.

2.   La necessità e il potenziale dei partenariati tra il mondo dell'impresa e quello dell'istruzione

2.1

Su tutto il territorio europeo, lo sviluppo e la qualità della vita sono in larga parte condizionati dai livelli culturali e scientifici, che a loro volta dipendono dalla qualità dei sistemi di istruzione. Va sottolineato che in Europa la collaborazione tra l'imprenditoria e l'insegnamento è confrontata a una serie di grandi cambiamenti, legati:

sul piano sociale, a una forte crescita della domanda di sapere,

sul piano economico, allo sviluppo esponenziale delle discipline da insegnare per far fronte alle esigenze dell'economia,

sul piano culturale, ai bisogni sempre più complessi in materia di promozione dei valori della multiculturalità.

La collaborazione deve integrare inoltre:

il diritto universale all'insegnamento e all'istruzione, e in particolare al livello più elevato possibile di cultura generale, ivi compreso l'apprendimento delle lingue e delle moderne tecniche di comunicazione,

la lotta contro ogni forma di esclusione e di discriminazione, così come il rispetto della diversità in tutte le sue espressioni,

lo spirito di iniziativa, la creatività e tutti i valori positivi associati ai concetti di creazione di ricchezza e imprenditorialità,

un'attenzione particolare ai casi individuali e in particolare ai gruppi vulnerabili.

2.2

Per quanto riguarda le competenze professionali necessarie per il mercato, l'Europa si è sempre affidata alle previsioni a lungo termine. In un'economia globale in rapida trasformazione, tuttavia, è sull'individuazione delle necessità dell'industria, e in particolare delle PMI, a breve e medio termine che si dovrebbe intensificare la collaborazione tra il mondo dell'istruzione e quello delle imprese.

2.3

Da diverso tempo si registrano esperienze molto positive nel campo dell'istruzione tecnica, secondaria e superiore nel quadro di partenariati che consentono un rapporto di simbiosi tra l'ambito scolastico e quello economico basato su accordi multipli - formali o informali - che legano gli istituti d'insegnamento alle imprese e viceversa. Al di là delle buone pratiche che si osservano un po' dappertutto, esiste una fortissima ambizione a costruire, nel rispetto delle competenze di ciascuno - e in particolare di quella, riservata agli istituti d'insegnamento, di rilasciare diplomi in piena autonomia - partenariati durevoli, volti a creare sinergie e unire i punti di forza e i talenti al fine di elaborare risposte congiunte ai bisogni economici e sociali.

L'impresa e gli istituti d'istruzione perseguono naturalmente finalità diverse, ma sviluppando gli scambi di informazioni, i partenariati e i progetti comuni, possono trarre vantaggi reciproci e così assicurare il successo delle rispettive missioni. Da anni, se non da secoli, esistono in molti Stati membri (Germania, Francia, Regno Unito, ecc.) esempi di sistemi basati sull'alternanza scuola-lavoro o sull'apprendistato che hanno dimostrato l'elevato valore aggiunto dei partenariati permanenti, strutturati e integrati.

2.4

Idealmente, l'impresa apporta la sua conoscenza dei bisogni del mercato, sia nell'immediato sia a livello previsionale, offrendo in tal modo la possibilità di orientare più adeguatamente l'offerta didattica e formativa. Essa rappresenta un serbatoio di conoscenze, competenze professionali e mezzi tecnici.

2.5

Dal canto loro, gli istituti d'istruzione dispongono di un capitale di conoscenze (tecniche e scientifiche) potenzialmente valorizzabili sul piano pratico: preparazione all'ambiente di lavoro, sviluppo di nuove offerte e iter formativi.

3.   Le sfide per le imprese e gli istituti d'istruzione

3.1

Nonostante le numerose esperienze positive, le iniziative di collaborazione tra istituti d'istruzione e datori di lavoro restano circoscritte, spesso limitate all'insegnamento tecnico e professionale. Di fronte alla crisi economica, «rilanciare il potenziale» di questi partenariati è una necessità: una formazione più adeguata alle esigenze del mercato del lavoro e un miglior utilizzo delle competenze e delle risorse umane nelle imprese sono condizioni imprescindibili del rilancio dell'economia.

3.2

Il quadro di questi nuovi partenariati europei deve chiaramente essere multiforme. Esso deve coinvolgere in maniera differenziata i vari soggetti interessati:

sul piano locale, vanno coinvolti l'imprenditoria, gli istituti d'istruzione e le autorità locali,

le associazioni imprenditoriali, le parti sociali, le strutture d'insegnamento e gli altri soggetti della società civile devono poter dare un impulso e un quadro strutturato ai partenariati locali,

a livello europeo, è necessario il coinvolgimento della Commissione europea, delle grandi organizzazioni imprenditoriali e dei lavoratori e degli altri soggetti della società civile, nonché, ovviamente, dei governi europei, al fine di conferire a tali partenariati una dimensione consona all'Europa a 27.

3.3

Gli istituti d'istruzione e le imprese hanno il compito comune, soprattutto a livello delle rispettive organizzazioni rappresentative, di proporre percorsi e offerte formative.

3.4

L'impresa è confrontata alla necessità di dotarsi di una gamma molto diversificata di competenze in riferimento alle diverse dimensioni che condizionano o incidono sulla sua organizzazione, il suo funzionamento e la sua attività economica: i cambiamenti tecnologici, l'internazionalizzazione e le nuove tecnologie. Essa deve, da un lato, reperire sul mercato competenze adeguate e, dall'altro, fornire ai suoi dipendenti, quadri e futuri quadri le qualifiche richieste a quanti esercitano tali professioni. Dal canto loro, i lavoratori subordinati sono confrontati alla corrispondente necessità di sviluppare la propria occupabilità nei rispettivi impieghi e di veder convalidate le qualifiche acquisite da diplomi il cui valore sia riconosciuto sia all'interno dell'impresa sia all'esterno, sul mercato del lavoro.

3.5

La dinamica evolutiva dell'istruzione in Europa è fortemente dominata da due fenomeni: l'effetto di massa e la diversificazione degli insegnamenti. Il rapido aumento del numero di alunni e di studenti negli ultimi decenni ha comportato una forte diversificazione del pubblico (struttura d'età, precedenti scolastici, estrazione sociale, ecc.) che, a sua volta, ha generato la necessità di metodi di lavoro adeguati e di una gestione particolare.

3.6

Nonostante le difficoltà del momento, il potenziale di cooperazione è massimo, e tre sono gli aspetti che meritano di essere sottolineati a questo livello di approccio.

3.6.1

Oggi si avverte una gravissima carenza di personale qualificato in settori come i servizi alla persona, l'edilizia, l'industria alberghiera, la ristorazione, ecc. L'insegnamento tecnico e professionale è spesso servito da riferimento alla cooperazione tra imprese e istituti d'istruzione sul piano locale. In molti paesi esso è caduto in disuso e alcuni pensano che lo sviluppo della precarietà e dell'esclusione nelle nostre società sia direttamente legato a tale fenomeno. Responsabilità comune delle imprese e degli istituti d'istruzione è migliorare le prospettive di carriera (stipendi, promozioni, ecc.) e promuovere il valore dei mestieri tradizionali e dell'artigianato, assicurando al tempo stesso un'istruzione di qualità in cui la «cultura generale» occupi uno spazio importante.

3.6.2

La permanenza e la rapidità dei cambiamenti in corso impongono l'aggiornamento costante dei risultati, la formazione continua, la riqualificazione e il mantenimento del livello di competenze e qualifiche professionali acquisite. La «formazione lungo tutto l'arco della vita», quindi, oggi s'impone a tutti e rappresenta una formidabile opportunità per i partenariati tra datori di lavoro e istituti d'insegnamento.

3.6.3

Salvo eccezioni, gli istituti d'insegnamento rimangono sconosciuti alla stragrande maggioranza delle imprese, soprattutto alle PMI, che, invece, possono aver bisogno di un tipo di formazione polivalente.

Un metodo utile sarebbe quello di coinvolgere maggiormente i datori di lavoro nella formazione degli insegnanti impegnati nel processo di sviluppo delle competenze professionali. Sarebbe inoltre opportuno formare dei mediatori che stimolino i partenariati e contribuiscano al loro buon funzionamento.

4.   Verso un quadro europeo per le relazioni tra il mondo dell'istruzione e le imprese

Gli investimenti nella formazione sono particolarmente necessari nei periodi di crisi, in cui emergono nuove sfide e aumenta fortemente la disoccupazione. È essenziale, tuttavia, saper anche anticipare, valutare e gestire le esigenze future del mercato in termini di competenze, come ha riconosciuto la stessa Commissione europea nella sua comunicazione Nuove competenze per nuovi lavori  (1). È indispensabile mobilitare le risorse esistenti, in particolare i fondi strutturali, per affrontare il problema in questo periodo, e immaginare nuove forme di intervento per il periodo 2014-2020.

4.1   Negli anni '80 è stata creata una rete unica europea (programma Comett) capace di organizzare ogni anno con grande efficacia migliaia di scambi transnazionali industria/università, ivi compresi corsi intensivi di formazione avanzata. Sia la quantità sia la qualità dell'offerta in materia di formazione avanzata sono migliorate su tutto il territorio europeo, contribuendo in tal modo ad accrescere la competitività europea nonché la consapevolezza e la comprensione dei vantaggi della cooperazione tra università e imprese.

Alcuni elementi del programma Comett sono stati ripresi nel programma Leonardo da Vinci: è però venuta meno la specificità e il potenziale delle reti create nell'ambito di Comett (2).

4.2   Il processo di Bologna

4.2.1

La creazione di uno Spazio europeo dell'istruzione superiore, avviata nel 1999 dai ministri dell'Istruzione e dai responsabili universitari di 29 paesi con il nome di «Processo di Bologna», ha dato luogo a una riforma radicale che coinvolge ufficialmente 46 paesi membri del Consiglio d'Europa.

4.2.2

Suo obiettivo è la costituzione di uno Spazio europeo della formazione, da realizzare principalmente attraverso l'armonizzazione, in Europa, dei cicli universitari di licence-master-doctorat. Tale armonizzazione consente soprattutto di rendere comparabili gli studi e quindi di favorire la circolazione degli studenti e la mobilità delle persone. Si tratta di orientamenti atti a favorire la trasparenza, ad abbattere le barriere e a migliorare la cooperazione università/impresa.

4.2.3

Bisogna tuttavia constatare che:

il rafforzamento dei legami tra il mondo delle imprese e quello dell'istruzione non è mai indicato come aspetto prioritario,

le università, che ovviamente non hanno come missione primaria le relazioni con i datori di lavoro, generalmente non dispongono né dei mezzi né delle capacità per intrattenere relazioni strutturate con le imprese dei paesi UE,

i datori di lavoro sono disponibili alla cooperazione, ma, troppo spesso, non offrono l'aiuto tecnico e finanziario che ci si può attendere.

4.3   Il processo di Copenaghen

4.3.1

Il processo di Copenhagen, lanciato dall'Unione europea nel 2002, ha l'obiettivo di far sì che i sistemi d'istruzione e formazione professionali (IFP) diventino un punto di riferimento di qualità a livello mondiale, e vi è stato un forte incoraggiamento a realizzare azioni analoghe a quelle del processo di Bologna, adattate però al campo dell'insegnamento e della formazione professionali.

4.3.2

Il programma Leonardo permette la mobilità delle persone che desiderano acquisire un'esperienza professionale in Europa e agevola gli scambi di buone pratiche tra i responsabili della formazione. Il programma Grundtvig ha invece il fine di migliorare la qualità e rafforzare la dimensione europea dell'istruzione degli adulti, nonché di offrire ai cittadini europei più possibilità di ottenere una formazione migliore lungo tutto l'arco della vita. Questi due programmi sono tuttora troppo poco conosciuti e non hanno raggiunto la «massa critica» che avrebbe permesso di conseguire gli obiettivi previsti. Senza metterne in discussione le modalità, in futuro sarà opportuno rafforzarne gli strumenti di intervento.

4.3.3

La dichiarazione del Consiglio di Bordeaux (26 novembre 2008) si riallaccia al processo di Copenaghen sulla cooperazione rafforzata in materia di insegnamento e di formazione professionale. Conferma inoltre la necessità di mobilitare finanziamenti pubblici e privati adeguati, ricorrendo a strumenti quali il FSE, il FEASR e i prestiti della BEI.

Constatando l'inadeguatezza in materia di competenze e la necessità di realizzare attività sul piano dell'anticipazione dei bisogni, la dichiarazione di Bordeaux raccomanda di dare alla componente della formazione professionale il più ampio sviluppo possibile, con l'intervento degli Stati membri, della Commissione e delle parti sociali.

5.   Un nuovo processo europeo a favore dei partenariati tra datori di lavoro e istituti d'insegnamento

5.1

Secondo l'ultima relazione sul progresso del programma «Istruzione e formazione 2010» (3), l'Unione europea non può ignorare il ritardo accumulato in materia di istruzione, né la difficoltà di fornire alle imprese personale in possesso di una formazione di base e di specializzazioni sufficienti per affrontare le sfide tecnologiche e il contesto della globalizzazione odierna. A questo fine, la mobilità intraeuropea rappresenta una necessità, così come lo è l'apprendimento delle lingue straniere nel quadro della strategia europea per il multilinguismo. Il vantaggio di un approccio incrociato al tema delle relazioni imprese/istituti d'insegnamento deve essere inteso come una necessità non solo per affrontare la problematica, ma anche, e soprattutto, per abbattere le barriere che separano le politiche nazionali in materia di istruzione e liberare infine il potenziale umano che offre l'integrazione europea.

5.2

Occorre fornire una maggiore assistenza alle scuole e alle università che non intendono limitare l'offerta alla formazione iniziale, ma estenderla alla formazione continua. Ad esempio, fatta eccezione per alcuni Stati membri, gli istituti d'istruzione non hanno diritto a ricevere assistenza finanziaria nel quadro dei programmi strutturali per lo sviluppo delle risorse umane. Le esperienze dei paesi in cui l'accesso a tali aiuti è possibile sta tuttavia a dimostrare che queste iniziative possono fornire un notevole contributo positivo allo sviluppo di legami più forti con le imprese e, parallelamente, al miglioramento della qualità generale dell'offerta in materia di istruzione e formazione.

5.3

Il principale difetto riconosciuto ai programmi europei è la mancanza di ambizione dovuta alle ristrettezze dei bilanci. Ci si chiede quindi se, anziché limitarsi a raccomandare un «ennesimo» programma europeo che rimarrebbe riservato e toccherebbe un pubblico alquanto marginale ed elitario, non sia il caso di adottare un approccio sistemico fondato su meccanismi più semplici (non burocratici come i programmi europei), ma anche più ambiziosi con:

un quadro politico generale soggetto all'approvazione, alla valutazione e al seguito da parte del Parlamento europeo, del Consiglio europeo, del CESE e delle parti sociali,

strumenti europei per identificare i mercati e i settori con forte domanda di personale qualificato,

scambi di buone prassi, anche per quanto riguarda l'istruzione tecnica, la formazione permanente e la ricerca,

sistemi di «borse europee» finanziati sia dall'UE e dagli Stati membri sia dal settore privato o associativo e rivolti a tutte le tipologie di pubblico, segnatamente le minoranze e i giovani in difficoltà: tirocini pratici, progetti d'inserimento professionale, progetti d'innovazione,

l'elaborazione di parametri di riferimento comuni per i diplomi o i titoli professionali e le reti di iniziative locali transfrontaliere,

la creazione di reti europee di mediatori per facilitare i paternariati,

un adeguamento dei fondi europei e dei programmi esistenti a questo fine.

5.4

L'integrazione europea rappresenta una risorsa straordinaria, in quanto permette di condividere le esperienze ed espandere le potenzialità e offrire così ai nostri istituti d'insegnamento un quadro più ampio e più ricco, e alle imprese un mercato interno che valorizzi le loro potenzialità di sviluppo. Il processo di Praga, con riferimento al convegno Partenariato tra istituti d'istruzione e datori di lavoro, che si terrà in quella città il 6 e 7 aprile su iniziativa della presidenza ceca, potrà fornire una dinamica politica e una tabella di marcia operativa.

Bruxelles, 24 marzo 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  COM(2008) 868 def. Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Nuove competenze per nuovi lavori - Prevedere le esigenze del mercato del lavoro e le competenze professionali e rispondervi.

(2)  Parere esplorativo del CESE, del, sul tema Promuovere la mobilità dei giovani in Europa, relatore: RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO (GU C 224 del 30.8.2008).

(3)  http://ec.europa.eu/education/policies/2010/natreport08/council_it.pdf – Relazione del Coreper al Consiglio del 31 gennaio 2008, Progetto di relazione congiunta 2008 del Consiglio e della Commissione sull'attuazione del programma di lavoro«Istruzione e formazione 2010», doc. 5723/08.


22.9.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 228/14


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Individuazione degli ostacoli residui alla mobilità sul mercato interno del lavoro (parere esplorativo)

2009/C 228/03

In data 27 giugno 2008 la presidenza ceca dell'Unione europea ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere sul tema:

«Individuazione degli ostacoli residui alla mobilità sul mercato interno del lavoro» (parere esplorativo).

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 marzo 2009, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice DRBALOVÁ.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 marzo 2009, nel corso della 452a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 152 voti favorevoli, 1 voto contrario e 5 astensioni.

1.   Raccomandazioni

1.1

La mobilità in Europa deve continuare a figurare tra le priorità politiche dell'UE, specialmente in un momento in cui l'Europa si trova a dover affrontare, da un lato, le sfide della globalizzazione e delle trasformazioni tecnologiche e, dall'altro, uno sviluppo demografico negativo come pure gli effetti della crisi finanziaria ed economica. L'approccio teso a rafforzare la mobilità deve rispettare le condizioni proprie dei singoli Stati membri, ma occorre anche coordinarlo in modo efficace a livello europeo, sostenerlo a livello nazionale e garantirne la trasparenza. Le misure adottate devono contribuire a creare una nuova concezione di mobilità equa e bilanciata nonché a promuovere lo sviluppo di nuove forme di mobilità.

1.2

Il CESE dà il proprio sostegno al piano d'azione della Commissione europea per la mobilità del lavoro (2007-2010) e ritiene che si tratti di uno strumento atto a superare gli ostacoli residui e a conseguire gli obiettivi fissati dalla strategia europea per la crescita e l'occupazione.

1.3

Il Comitato accoglie con favore anche l'intenzione della Commissione di pubblicare nel 2009 un Libro verde sulla mobilità dei giovani e attende con interesse i risultati e le conclusioni del dibattito pubblico.

1.4

Il CESE esorta a sfruttare pienamente il potenziale del sistema EURES (European Employment Services) e ad adottare ulteriori misure tese in particolare a migliorare la qualità, l'ampiezza e l'accessibilità dei servizi e delle informazioni disponibili nonché a sensibilizzare maggiormente i cittadini europei e, soprattutto, le imprese. Al tempo stesso raccomanda alla Commissione di analizzare i motivi per cui, sul numero totale degli utilizzatori del portale, sono scarsamente rappresentate alcune categorie di lavoratori, in particolare quelli scarsamente qualificati o non qualificati.

1.5

Il CESE raccomanda agli Stati membri di tenere conto della dimensione della mobilità in tutte le decisioni politiche pertinenti e di inserire, nello spirito degli orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione (1), gli obiettivi stabiliti nelle loro strategie e programmi nazionali di riforma. Gli Stati membri dovrebbero adoperarsi per creare programmi di politica attiva del mercato del lavoro a sostegno della mobilità.

1.6

In generale il CESE approva lo sforzo di coordinare nel modo più efficace possibile la sicurezza sociale a livello comunitario e si congratula con la presidenza francese per i successi ottenuti nei negoziati relativi alle modifiche al regolamento (CE) n. 883/2004 (2) in linea con le conclusioni del dibattito sul regolamento di applicazione. Il CESE chiede nuovamente che il regolamento di applicazione del regolamento (CE) n. 883/2004 entri in vigore al più presto, in modo che il miglioramento e la semplificazione da esso introdotti a sostegno della mobilità nell'UE siano operativi quanto prima.

1.7

Riguardo all'applicazione del regolamento (CE) n. 883/2004, il CESE ritiene opportuno soffermarsi in uno dei suoi prossimi pareri sulla coerenza di tale atto con il regolamento (CEE) n. 1612/68 (3) e con la direttiva 2004/38/CE, nonché con le sentenze in materia della Corte di giustizia europea, al fine di garantire maggiore trasparenza, certezza giuridica e rispetto del principio di parità da parte degli Stati membri.

1.8

Il CESE, pur accogliendo con favore la proposta di direttiva sulla trasferibilità dei diritti a pensione (4) come un ulteriore passo avanti della Commissione verso il rafforzamento della mobilità transfrontaliera nell'UE, nutre forti dubbi in merito al suo contenuto. Il CESE ritiene che in realtà il disposto della direttiva non contribuirà ad eliminare i principali ostacoli alla mobilità transfrontaliera per quanto riguarda la trasferibilità dei diritti a pensione e la loro doppia imposizione. Inoltre la proposta contiene anche altre disposizioni che determinerebbero un aumento dei costi di gestione dei sistemi pensionistici e ne minaccerebbero l'ulteriore sviluppo.

1.9

Per quanto riguarda i risultati della relazione del luglio 2008 sul contributo dato alla mobilità dall'iniziativa Europass, il CESE raccomanda alla Commissione di analizzare il motivo della bassa percentuale di utilizzatori poco qualificati. Invita altresì a sviluppare appieno il potenziale di tutti gli strumenti di Europass, in particolare Europass Mobilità, tramite un più stretto coordinamento a livello europeo, l'erogazione di aiuti nazionali, la partecipazione di tutte le parti interessate e una maggiore trasparenza. Per quanto concerne il Quadro europeo delle qualifiche (QEQ), il CESE giudica importante che vengano creati dei collegamenti con i sistemi europei per il trasferimento e il cumulo delle unità di credito nell'ambito dell'istruzione superiore e dell'istruzione e formazione professionale. Affinché il QEQ possa apportare un valore aggiunto, è necessario che resti semplice, affidabile ed efficace nell'aiutare gli imprenditori a trovare i collaboratori stranieri di cui hanno bisogno.

1.10

Il CESE ha accolto con interesse la seconda relazione della Commissione europea del 18 novembre 2008 sull'applicazione delle disposizioni transitorie per i nuovi Stati membri e invita gli Stati membri che mantengono delle norme transitorie sulla libera circolazione delle persone a rispettare le conclusioni contenute nella relazione e ad attenersi alle procedure previste dai Trattati. Si tratta di una condizione indispensabile per l'attuazione del concetto di «mobilità equa» (fair mobility) come pure per impedire il dumping sociale e il lavoro non dichiarato.

1.11

Il CESE accoglie con favore, da un lato, la decisione della Commissione di creare un comitato di esperti che avrà l'incarico di esaminare le questioni tecniche legate all'applicazione della direttiva e, dall'altro, l'invito rivolto alle parti sociali europee ad effettuare un'analisi comune degli effetti di tali sentenze.

1.12

Il CESE richiama l'attenzione sul ritardo accumulato nel recepimento della direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali negli Stati membri (la data prevista di entrata in vigore era il 27 ottobre 2007).

1.13

Il CESE considera le attuali proposte legislative della Commissione europea intese a facilitare la migrazione economica dai paesi terzi come un ulteriore sforzo per promuovere la mobilità e la migrazione economica in Europa. I diritti e i doveri previsti dalla proposta di direttiva per i cittadini di paesi terzi, fondati sulla parità di trattamento, rappresentano un buon punto di partenza per le disposizioni legislative in materia di immigrazione e dovrebbero essere estesi a tutte le categorie di lavoratori migranti. Le disposizioni transitorie che limitano temporaneamente il diritto alla libera circolazione dei lavoratori dei nuovi Stati membri costituiscono un'eccezione da superare al più presto (5).

1.14

Il CESE nutre pieno rispetto per l'autonomia delle parti sociali europee e prevede che esse contribuiranno attivamente al rafforzamento della mobilità per migliorare la situazione del mercato del lavoro ed aumentare la competitività dell'UE.

1.15

Il CESE invita gli Stati membri e la Commissione a lavorare congiuntamente all'elaborazione, all'attuazione, al monitoraggio e alla valutazione di programmi di reinserimento sociale non discriminatori destinati a quei cittadini e ai loro familiari che ritornano nello Stato in cui avevano il domicilio o la residenza dopo aver lavorato per qualche tempo in un altro Stato membro.

2.   Introduzione

2.1

La Commissione europea ha proclamato il 2006 Anno europeo della mobilità dei lavoratori. L'obiettivo dell'iniziativa era sensibilizzare maggiormente i cittadini europei sulle opportunità lavorative nel quadro dell'UE nonché sui loro diritti e doveri.

2.2

La mobilità dei cittadini, sotto forma di diritto alla libera circolazione, è sancita nel diritto primario della CE. Essa figura inoltre tra gli obiettivi fondamentali della strategia di Lisbona e tra gli orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione  (6).

2.3

Questa iniziativa si riallaccia ad una serie di precedenti attività dell'UE, in particolare al Piano di azione per le competenze e la mobilità  (7), adottato dalla Commissione nel 2002, e ha dato luogo al nuovo Piano d'azione europeo per la mobilità del lavoro (2007-2010)  (8) che tiene conto delle nuove realtà e delle sfide cui l'Europa è attualmente confrontata.

2.4

Nel primo semestre del 2009 la presidenza di turno dell'UE spetta alla Repubblica ceca, che ha scelto come motto «Un'Europa senza barriere». Per questo motivo la presidenza ceca ha chiesto al CESE di elaborare quattro pareri esplorativi intesi ad individuare gli ostacoli rimanenti in vari settori del mercato interno dell'UE, uno dei quali è la mobilità della manodopera in Europa.

2.5

La presidenza ceca proseguirà gli sforzi tesi ad aumentare la mobilità dei lavoratori in Europa e si adopererà, nel quadro delle sue priorità, per attuare al massimo la libera circolazione dei lavoratori nel quadro dell'UE, nonché per agevolare e intensificare la mobilità geografica e professionale della manodopera nell'intero mercato dell'UE. Essa tenterà inoltre di portare a termine i lavori intesi a modernizzare la regolamentazione nel campo del coordinamento della sicurezza sociale dei lavoratori migranti.

2.6

La presidenza ceca richiama l'attenzione sugli effetti negativi esercitati dalle disposizioni transitorie, attualmente in vigore, che limitano la libera circolazione della manodopera. Essa ritiene che il pieno utilizzo delle potenzialità della manodopera e la flessibilità del mercato del lavoro dell'UE costituiscano elementi molto importanti della strategia di Lisbona.

3.   Osservazioni generali

3.1

Dalla relazione della Commissione Occupazione in Europa 2008 emerge che le buone prestazioni economiche dell'Unione europea iniziate nel 2006 hanno dato risultati promettenti nel 2007: crescita del PIL del 3,1 % e creazione di 3,5 milioni di nuovi posti di lavoro. L'occupazione è cresciuta in tutti gli Stati membri, ad eccezione dell'Ungheria, e nel 2007 il tasso medio di occupazione nell'UE ha raggiunto il 65,4 %. Il tasso di disoccupazione si è attestato al di sotto del 10 %, con l'eccezione della Slovacchia. Gli allargamenti dell'UE del 2004 e del 2007 hanno avuto un effetto positivo sull'economia dell'Unione e non hanno creato perturbazioni nei mercati del lavoro dell'UE-15. Le statistiche indicano anche che vi è una sinergia tra prestazioni del mercato del lavoro, produttività e qualità dei posti di lavoro.

3.2

Nel 2008 l'UE è stata duramente colpita dalla crisi finanziaria globale; le famiglie e le imprese sono sottoposte ad una forte pressione, come pure, d'altro canto, i mercati del lavoro. Le proiezioni economiche per il 2009 annunciano una crescita prossima allo zero e il rischio di contrazione dell'economia dell'UE. La zona euro e alcuni Stati membri sono già in recessione. Il Consiglio europeo di dicembre ha adottato un Piano europeo di ripresa economica  (9), presentato dalla Commissione, in cui vengono proposte dieci azioni in quattro settori prioritari, tra cui un'importante iniziativa europea di sostegno all'occupazione.

3.3

Una sfida cui l'Europa e l'UE debbono costantemente confrontarsi è costituita dall'attuale tendenza demografica negativa e dall'invecchiamento della manodopera, fattori che in futuro avranno effetti dirompenti sulla competitività dell'Europa. Per rimediare a tale situazione occorre adottare un approccio complesso e, nella situazione economica attuale, anche estremamente sensibile. Ciascuno Stato sta adottando il proprio mix di politiche nazionali intese a rafforzare il funzionamento di mercati del lavoro inclusivi; particolare attenzione viene dedicata alle categorie vulnerabili sul mercato del lavoro, ai lavoratori anziani, ai giovani, ai migranti e alle persone con disabilità. A questo proposito le relazioni della Commissione mostrano che all'UE resta ancora molto da fare nell'attuazione delle normative vigenti relative al rispetto del principio di non discriminazione (10).

3.4

Pertanto il rilancio dei mercati del lavoro e il sostegno alla mobilità dei lavoratori in Europa continuano ad essere un elemento fondamentale della strategia europea per l'occupazione. Nonostante tutte le iniziative e azioni intraprese dalla Commissione europea e dagli Stati membri, la mobilità nell'UE è tuttora in ritardo rispetto all'obiettivo, fissato nel 2000 a Lisbona, secondo cui l'Europa dovrebbe diventare l'economia basata sulla conoscenza più competitiva al mondo.

3.5

Scopo del nuovo piano d'azione della Commissione per la mobilità (2007-2010) è analizzare la situazione alla luce delle sfide poste dalla globalizzazione, dai cambiamenti demografici e dallo sviluppo di nuove tecnologie, concentrarsi sugli ostacoli alla mobilità in Europa, individuare nuove tendenze nei modelli di mobilità e definire le azioni necessarie.

3.6

Il piano d'azione della Commissione mira in particolare a:

migliorare la legislazione e le prassi amministrative vigenti. Le azioni sono intese in particolare ad adattare la legislazione comunitaria alle esigenze e alle condizioni attuali, a rafforzare lo status e la capacità analitica della rete TRESS (11) e a potenziare la cooperazione e le procedure amministrative tra istituzioni e autorità nazionali,

rafforzare il sostegno politico a favore della mobilità da parte delle autorità a tutti i livelli, in particolare per quanto riguarda gli investimenti nei sistemi di mobilità esistenti a livello nazionale, regionale o locale e lo sviluppo di meccanismi appropriati per incoraggiare la mobilità dei lavoratori,

rafforzare, sostenere e migliorare la qualità dei servizi offerti da EURES (12), nonché accentuarne la dimensione strategica rafforzandone il potenziale analitico per quanto riguarda i flussi di mobilità e le trasformazioni del mercato del lavoro,

promuovere la conoscenza dei vantaggi della mobilità introducendo procedure innovative, modificando le procedure di informazione e presentando esempi di buone prassi.

3.7

La Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (Eurofound), una delle agenzie della Commissione europea che operano su base tripartita, è divenuta una piattaforma unica per le analisi e le ricerche nel campo del sostegno alla mobilità in Europa nonché per l'individuazione degli ostacoli esistenti e delle nuove sfide legate alle trasformazioni del mondo del lavoro.

3.8

Finora il CESE non ha elaborato alcun parere complessivo sulla mobilità e sugli ostacoli che ad essa si frappongono in Europa. Tuttavia, nel quadro delle sue attività di organo consultivo della Commissione europea, il CESE ha reagito con decisione a tutte le comunicazioni e iniziative in materia di circolazione dei lavoratori in Europa elaborando una serie di pareri importanti (13).

3.9

Anche le parti sociali europee svolgono un ruolo di primo piano. Esse attribuiscono un'importanza fondamentale alla mobilità in Europa e al superamento degli ostacoli che ad essa si frappongono, e per questo motivo hanno inserito tale problematica nel loro Programma di lavoro comune per il periodo 2003-2005. Le parti sociali hanno contribuito all'individuazione di alcuni ostacoli alla mobilità nell'UE anche tramite altre iniziative e testi comuni su questi temi.

4.   Fatti e cifre: l'inchiesta di Eurofound

4.1   Dall'analisi di Eurofound, condotta sulla base dei risultati dell'Eurobarometro (14), è emersa una serie di dati importanti per comprendere gli atteggiamenti e le mentalità dei cittadini europei rispetto alla mobilità e alla migrazione in Europa:

i cittadini europei continuano a considerare il loro «diritto a viaggiare e a lavorare nel quadro dell'UE» come il maggiore vantaggio e contributo apportato dall'UE (53 % degli intervistati),

nonostante le istituzioni dell'UE e i cittadini europei sostengano con forza l'idea della mobilità in Europa, gli Stati membri nutrono ancora dei timori circa gli effetti potenziali della migrazione economica proveniente dai nuovi Stati membri,

soltanto il 2 % circa dei lavoratori dell'UE (UE-25) è nato in uno Stato membro diverso da quello dove lavora attualmente,

quasi il 4 % della popolazione dell'UE ha vissuto in un altro Stato membro, mentre un altro 3 % in un paese al di fuori dell'UE.

4.1.1   Per quanto riguarda la mobilità geografica, l'inchiesta ha mostrato che la mobilità transfrontaliera in Europa non è troppo elevata. I risultati indicano che gli europei risiedono in media dieci anni nello stesso luogo, tenuto conto dei periodi brevi di residenza dei giovani adulti e di quelli relativamente lunghi delle persone di età più avanzata. La ricerca ha dimostrato che nel prossimo futuro non sono prevedibili cambiamenti drastici della situazione.

4.1.2   La motivazione principale alla mobilità resta il desiderio di conoscere nuove persone e luoghi. Tuttavia, per più di un terzo delle persone (38 %) che programmano di vivere all'estero prevalgono le motivazioni economiche (soldi, qualità dell'occupazione). Nei nuovi Stati membri prevalgono le ragioni economiche, ma la principale motivazione è il lavoro piuttosto che il desiderio di godere o di abusare dei vantaggi dei sistemi sociali o dei servizi pubblici di migliore qualità. Al contrario, il deterrente principale dalla mobilità è il timore di recidere i legami sociali (riduzione dei contatti con la famiglia e perdita del suo sostegno). Fattori limitanti sono anche le condizioni di alloggio e il livello dei servizi sanitari e di assistenza.

4.1.3   Sfide future. La mobilità geografica resta una priorità politica dell'Unione europea. Se la mobilità è troppo bassa, ciò può significare una ridotta adattabilità e competitività ma, d'altro canto, una mobilità eccessiva tra regioni povere e regioni ricche può avere ripercussioni sui mercati del lavoro (carenza di manodopera qualificata, aumento della disoccupazione, fuga di cervelli).

4.1.4   Un'importante fonte di informazioni al riguardo è lo studio pubblicato dalla Commissione (DG Occupazione) dal titolo Mobilità geografica nell'UE: ottimizzarne i vantaggi economici e sociali  (15). Nello studio si sostiene che i compiti delle politiche intese ad aumentare il tasso di mobilità geografica sono due: 1) l'ampliamento dei vantaggi attesi dalla mobilità e 2) la diminuzione dei costi che essa impone ai singoli individui. Lo studio analizza soprattutto l'aspetto economico della mobilità geografica e il ruolo di quest'ultima nell'appianare le differenze tra i mercati del lavoro regionali (occupazione, salari reali, carenza di manodopera).

4.1.5   In materia di mobilità professionale, il numero medio di posti occupati nel quadro della carriera lavorativa è 3,9; la durata media di ogni posto nel corso di tutta la carriera è pari a 8,3 anni. L'8 % degli intervistati aveva cambiato posto di lavoro nell'ultimo anno, il 32 % negli ultimi cinque anni e il 50 % negli ultimi dieci.

4.1.6   Per quanto riguarda le prospettive future, dallo studio è emerso che il 41 % degli intervistati prevede di cambiare datore di lavoro entro cinque anni, il 54 % non prevede di cambiare lavoro e il restante 5 % è indeciso. Si possono individuare tre ragioni principali per cui le persone prevedono di cambiare datore di lavoro entro cinque anni: desiderio di cambiare per scelta volontaria, scelta non volontaria oppure scelta neutra indotta dalle circostanze.

4.1.7   Dall'inchiesta è emerso che, sul numero totale dei cambiamenti previsti nei successivi cinque anni, il 65 % sarebbe stato effettuato in base ad una scelta volontaria. La mobilità volontaria da un lavoro all'altro contribuisce ad un migliore sviluppo delle competenze dei lavoratori, aumentandone l'occupabilità e migliorandone le prospettive in termini di carriera e di retribuzione.

4.1.8   Uno studio intitolato Mobilità del lavoro nell'Unione europea: ottimizzarne i vantaggi sociali ed economici  (16) ha dato risultati interessanti. Esso serve come base di discussione tra Stati membri su come ottimizzare la mobilità del lavoro dal punto di vista economico e sociale. Lo studio analizza la situazione e le differenze nell'UE-27, esamina i fattori economici direttamente legati alla produttività, ai salari, all'innovazione e all'occupazione, nonché gli aspetti riguardanti la qualità del lavoro e la coesione sociale.

5.   Osservazioni specifiche

5.1   Tutte le iniziative e le misure intese ad agevolare e a migliorare la mobilità professionale nonché a far incontrare offerta e domanda sui mercati del lavoro non solo sono importanti per migliorare il funzionamento di questi ultimi e porre rimedio alle loro carenze, ma possono dare un contributo notevole al conseguimento degli obiettivi della strategia europea per la crescita e l'occupazione.

5.2   Nonostante i cittadini europei credano fermamente nel proprio diritto alla libera circolazione e un'ampia maggioranza di europei riconosca anche che l'idea di conservare un unico posto di lavoro per tutta la vita non corrisponde più alla realtà, i risultati dell'inchiesta indicano che esiste ancora tutta una serie di ostacoli che impediscono ai lavoratori di spostarsi tra diversi paesi oppure di superare i rischi per trovare un nuovo e migliore posto di lavoro.

5.3   Gli ostacoli alla mobilità sono numerosi, ad esempio:

conoscenze linguistiche limitate,

competenze e conoscenze scarse o insufficientemente sviluppate,

carenze nel riconoscimento della formazione conseguita e delle qualifiche specializzate tra diversi Stati membri,

ostacoli giuridici e amministrativi,

difficoltà di trovare un'occupazione duratura per entrambi i componenti di una coppia,

frammentazione dell'informazione sui posti di lavoro oppure insufficiente trasparenza per quanto riguarda le opportunità di formazione e di lavoro,

infrastrutture di trasporto insufficienti,

scarsità di offerte e prezzi elevati sul mercato degli alloggi,

recentemente, anche perdita di fiducia e xenofobia.

5.4   Per sostenere la mobilità in Europa sarà necessario eliminare una serie di ostacoli persistenti. Il CESE è consapevole che delle politiche efficaci per rafforzare la mobilità dei lavoratori dovrebbero comprendere gli elementi fondamentali illustrati qui di seguito.

5.4.1

In primo luogo, è importante sviluppare una maggiore consapevolezza degli ostacoli alla mobilità geografica e professionale e delle misure atte a sostenerla. Negli anni scorsi in Europa sono stati compiuti degli sforzi per individuare ed affrontare gli ostacoli alla mobilità dei lavoratori; ciò nondimeno sarebbe opportuno, tramite studi condotti a livello sia europeo che nazionale, approfondire la conoscenza del fenomeno della mobilità in termini di ampiezza, carattere, fattori determinanti ed ostacoli, esaminandone anche le conseguenze economiche.

5.4.2

In secondo luogo, occorre applicare il concetto della flessicurezza ai mercati del lavoro europei. L'esperienza dimostra che i paesi che hanno applicato tale concetto in modo efficace presentano un livello più elevato di adattabilità ai cambiamenti globali. In tale contesto la mobilità è intesa come uno degli elementi in grado di determinare un aumento dell'occupazione, dell'adattabilità dei lavoratori e della competitività delle imprese in un contesto globale. L'organizzazione del lavoro deve rispondere maggiormente alle esigenze delle imprese e dei lavoratori, e in questo modo può dare un notevole contributo alle nuove forme di mobilità.

5.4.3

In terzo luogo, bisogna adattare i sistemi di istruzione alle esigenze del mercato del lavoro. Occorre rafforzare l'accesso a un sistema efficace di formazione permanente. Attualmente, infatti, i mercati del lavoro sono sempre più caratterizzati da cambiamenti rapidi e dalla richiesta di nuove qualifiche. Un numero sempre crescente di persone dovrà adattarsi ai cambiamenti nella propria occupazione e carriera, acquisendo qualifiche nuove e diversificate. Per questo motivo gli individui dovranno avere la possibilità di accrescere e migliorare le loro competenze, così da restare «occupabili» e adattarsi ai cambiamenti del mercato del lavoro. Le priorità dovrebbero essere:

garantire che gli individui acquisiscano le conoscenze e competenze necessarie ancora prima di lasciare il sistema di istruzione,

motivarli ad assumere anche personalmente la responsabilità di accrescere le proprie competenze lungo tutto l'arco della vita, e creare delle condizioni quadro che consentano loro di farlo,

rendere le formazioni più attraenti, flessibili e rispondenti alle esigenze del mercato del lavoro,

in tale contesto, occorre prestare particolare attenzione ad alcune categorie di lavoratori, ossia i giovani e gli anziani,

applicare il principio di partenariato tra soggetti interessati – Stato, parti sociali, istituti di istruzione e imprese.

5.4.4

In quarto luogo, occorre sviluppare ulteriormente i sistemi di sicurezza sociale affinché sostengano e agevolino il passaggio tra i diversi statuti lavorativi e non impediscano alle persone di trasferirsi in altri Stati per cercare un'occupazione migliore. A questo proposito il CESE rimanda al proprio parere sul principio della flessicurezza, in particolare per quanto riguarda l'enfasi posta sul miglioramento dell'occupabilità dei singoli per garantire che questi ultimi possano adattarsi meglio ai cambiamenti del mercato del lavoro e sfruttare le opportunità professionali più interessanti. Si tratta insomma di creare nuovi posti di lavoro, di assistere le persone nei cambiamenti di occupazione nel corso della carriera e di aumentare le loro opportunità sul mercato del lavoro. L'esperienza dimostra che oggi è fondamentale facilitare l'assunzione di lavoratori eliminando gli ostacoli amministrativi e investendo nelle competenze e nelle politiche attive del mercato del lavoro, invece di scegliere l'opzione di un aumento passivo delle prestazioni sociali.

5.4.5

In quinto luogo, è importante eliminare gli ostacoli legislativi, amministrativi e fiscali che limitano la mobilità geografica e professionale prefiggendosi di:

attuare puntualmente le misure relative alla libera circolazione dei lavoratori affinché sia garantito un accesso non discriminatorio all'occupazione,

incitare gli Stati membri ad attuare in modo rapido e coerente la direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali (17) e creare un quadro europeo di tali qualifiche,

adottare misure intese ad eliminare la doppia imposizione sui sistemi pensionistici complementari,

risolvere i problemi legati al divieto di effettuare discriminazioni sulla base della nazionalità nel settore fiscale (e delle prestazioni sociali),

nell'eliminare gli ostacoli alla mobilità, prestare particolare attenzione alle persone con disabilità,

tenere conto delle esigenze specifiche delle donne con figli e/o altre persone dipendenti dalla loro assistenza.

5.4.6

In sesto luogo, i cittadini europei dovrebbero avere facile accesso ad informazioni valide sulle opportunità di lavoro e formazione. Mentre le informazioni sulle condizioni di vita e di lavoro sono disponibili in grande quantità, l'importanza attribuita alle informazioni sulle opportunità di lavoro e formazione è scarsa: esse sono spesso inesistenti o di difficile accesso. Un sistema di informazione dell'UE sulle opportunità di lavoro e formazione è essenziale per i cittadini e per le imprese, affinché possano compiere le scelte giuste per quanto riguarda lo sviluppo delle capacità e lo sfruttamento delle opportunità, aumentando così la propria mobilità. A questo proposito il sito web EURES può svolgere un ruolo importante e costruttivo. Ciò nonostante, il problema di EURES continua ad essere la sua scarsa visibilità e scarsa notorietà presso i cittadini e, in particolare, le imprese. In tale contesto si dovrebbe prestare particolare attenzione al miglioramento delle informazioni su questioni specifiche, come ad esempio le modifiche o gli adeguamenti delle prestazioni di sicurezza sociale (a seconda che siano statutarie o complementari) in caso di mobilità professionale e geografica. Ad esempio, nel caso dei sistemi pensionistici professionali, sarebbe utile disporre di informazioni sul livello dei diritti acquisiti, sul regime fiscale di applicazione, sulle possibilità di trasferire tali diritti nonché sui costi e i benefici di ciascuna alternativa, ecc (18).

5.4.7

Infine, per facilitare la mobilità occorre lanciare delle iniziative volte a migliorare sia le condizioni di accesso agli alloggi che le infrastrutture di trasporto. È fondamentale che le persone possano trovare un alloggio adeguato ed economicamente accessibile nei luoghi dove vi sono le opportunità di lavoro. Altrettanto essenziali per promuovere la mobilità dei lavoratori sono anche le misure a sostegno di infrastrutture di trasporto efficienti e flessibili. Gli Stati membri, in collaborazione con le imprese, dovrebbero prestare attenzione ai costi legati al trasferimento nonché creare e sviluppare sistemi per incentivare gli aspiranti alla mobilità professionale (mobile job-seekers).

5.5   L'allargamento dell'Unione europea a dieci nuovi Stati membri nel 2004 e quello a due nuovi Stati membri nel 2007 hanno aperto il dibattito sull'opportunità di aprire i confini consentendo così la libera circolazione dei lavoratori. I risultati dell'inchiesta di Eurofound confermano che, anche se in Europa la migrazione tra est e ovest continuerà, nel complesso la mobilità geografica è bassa e ha carattere temporaneo.

5.5.1   Entro il 1o maggio 2009 gli Stati membri che hanno finora applicato le disposizioni transitorie nei confronti degli Stati che hanno aderito all'UE nel 2004 devono dichiarare se intendono passare alla terza fase e prorogare tali disposizioni per altri due anni. Per quanto riguarda la Bulgaria e la Romania, il termine per la dichiarazione da parte degli Stati membri era fissato al 31 dicembre 2008 (19). Il CESE ha quindi accolto con interesse la seconda relazione della Commissione del 18 novembre 2008 (20) sul funzionamento delle disposizioni temporanee di cui al trattato di adesione, che nella sostanza si è limitata a confermare le conclusioni della prima relazione del 2006 (21). Anche dalle conclusioni della seconda relazione emerge chiaramente che l'apertura dei mercati del lavoro ai lavoratori dei nuovi Stati membri ha influito in maniera indubbiamente positiva sull'economia sia degli Stati di accoglienza che dell'UE nel suo insieme.

5.5.2   Ogni decisione intesa a modificare l'applicazione delle disposizioni transitorie dovrebbe essere adottata a livello del singolo Stato membro ed essere basata su analisi fattuali. Il CESE è tuttavia convinto che la fine dei periodi transitori nel 2009 favorirà la creazione di mercati del lavoro flessibili e inclusivi, e potrebbe contribuire alla diminuzione del lavoro non dichiarato e all'eliminazione della povertà in Europa.

5.5.3   Per giunta, l'applicazione delle disposizioni transitorie rischia di limitare l'applicazione pratica dell'articolo 69 del regolamento (CEE) n. 1408/71 del Consiglio relativo al coordinamento dei regimi di sicurezza sociale (in base al quale i disoccupati mantengono il diritto a ricevere l'indennità di disoccupazione dallo Stato membro competente per la sua erogazione anche mentre cercano una nuova occupazione in un altro Stato membro).

5.6   Il distacco dei lavoratori nel quadro della liberalizzazione dei servizi in Europa. I vantaggi derivanti dal corretto funzionamento del mercato unico sono importanti per le imprese, i lavoratori, i cittadini e l'economia in generale. Ciò contribuisce alla crescita delle imprese e migliora l'accesso al mercato, che comprende ormai circa 500 milioni di persone di 30 paesi (Spazio economico europeo). Le imprese europee sono diventate più competitive e la loro posizione sul mercato globale si è rafforzata. La nuova direttiva sui servizi nel mercato interno costituisce uno strumento importante per liberalizzare ulteriormente il mercato dei servizi.

5.6.1   In questo contesto la Commissione ha pubblicato due comunicazioni (22) relative al distacco dei lavoratori nell'ambito della prestazione di servizi, il cui obiettivo era analizzare la situazione e fornire agli Stati membri determinati orientamenti per una corretta applicazione e interpretazione delle sentenze della CGCE. La seconda comunicazione verteva in particolare sulla complementarità dei due strumenti e sulla possibilità di massimizzare i vantaggi garantendo al tempo stesso la tutela dei lavoratori.

5.6.2   Il CESE, conformemente al suo precedente parere del 29 maggio 2008 (23), approva la decisione della Commissione 2009/17/CE (24) che istituisce un comitato di esperti ad alto livello che dovrà sostenere e assistere gli Stati membri nell'individuazione e nello scambio delle buone prassi nonché esaminare in modo approfondito e risolvere i problemi legati all'applicazione della direttiva. A tale processo sono associati anche i rappresentanti delle parti sociali.

5.6.3   Alcune recenti sentenze della Corte di giustizia europea (cause Laval (25), Viking (26) e Rüffert (27) riguardanti la direttiva 96/71/CE sul distacco dei lavoratori hanno suscitato discussioni controverse su tale direttiva. Pertanto il CESE approva la proposta, presentata congiuntamente dalla Commissione europea e dalla presidenza francese nell'ottobre 2008, in base alla quale le parti sociali europee dovrebbero effettuare un'analisi comune che consenta di giungere ad una valutazione approfondita degli effetti giuridici, economici e sociali di tali sentenze.

5.7   Coordinamento e modernizzazione dei sistemi di sicurezza sociale. Uno strumento importante a sostegno della mobilità nell'UE è il quadro legislativo che garantisce il coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale. L'attuale regolamento (CEE) n. 1408/71 (28) sarà sostituito dal regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, adottato nell'aprile 2004. Ai sensi dell'articolo 89 del nuovo regolamento, le sue modalità di applicazione sono definite da un ulteriore regolamento, il cui testo (COM(2006) 16 def.) (29) è stato presentato soltanto nel gennaio 2006. Scopo del nuovo regolamento di applicazione è innanzitutto semplificare e razionalizzare le disposizioni giuridiche e amministrative, chiarire i diritti e i doveri di tutti i partecipanti al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, introdurre procedure migliori e più rapide per lo scambio di informazioni nonché ridurre i costi.

5.7.1   In un parere del 2006 (30) il CESE ha giudicato la nuova proposta come un passo avanti per migliorare le condizioni della libera circolazione nell'UE. La proposta di regolamento contiene una serie di semplificazioni, chiarimenti e miglioramenti. Il CESE approva in particolare l'estensione del campo di applicazione del regolamento, sia in termini di soggetti che di fattispecie, e tutte le disposizioni volte a migliorare la cooperazione tra le istituzioni di sicurezza sociale.

5.7.2   Nel suddetto parere il CESE ha anche segnalato il carattere delicato dei negoziati sull'allegato XI del regolamento (CE) n. 883/2004, nel quale vengono definite le procedure per l'attuazione di talune disposizioni legislative: a questo proposito gli Stati membri sono invitati ad indicare quali specificità dei loro sistemi nazionali vogliano escludere dal campo di applicazione del regolamento per garantire che il coordinamento della sicurezza sociale avvenga senza attriti. Su questo punto gli Stati membri hanno avviato già da tempo intensi negoziati. Il CESE li ha invitati a giungere rapidamente ad una decisione, osservando che il perseguimento di interessi di parte non dovrebbe ritardare l'entrata in vigore del nuovo regolamento, specialmente per quanto riguarda le iniziative della Commissione intese a rafforzare la mobilità in Europa.

5.7.3   In generale, il quadro legislativo che assicura il coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale dovrà saper rispondere in modo flessibile alla realtà in trasformazione del mondo del lavoro, alle nuove forme di occupazione e alla variabilità dei regimi di lavoro nonché, soprattutto, alle nuove forme di mobilità. Bisognerebbe rafforzare le forme di cooperazione amministrativa tra Stati membri basate su mezzi elettronici.

5.8   In generale le prestazioni per i migranti vengono erogate in base non soltanto al regolamento di coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, ma anche al regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, o eventualmente in virtù del principio di parità contenuto nella direttiva 2004/38/CE  (31). Sulla base di tale principio, quando la migrazione è legale, nel paese di accoglienza tutti dovrebbero avere pari diritto a tutte le prestazioni. Nessuno dovrebbe essere escluso dal sistema.

5.9   Il problema sta nel fatto che il quadro normativo generale è composto di atti che hanno diversa forza giuridica (regolamenti, direttive, sentenze della CGCE). I regolamenti vengono applicati direttamente e in modo uniforme, mentre le direttive sono recepite dai diversi Stati membri in modi diversi. Pertanto in futuro bisognerà assicurare la trasparenza e, in particolar modo, la coerenza di tali disposizioni. Si dovrebbe rispettare il principio di parità (ad esempio la parità di accesso alle agevolazioni fiscali) e garantire la certezza giuridica. Non si potrà forse semplificare il quadro giuridico, ma si potranno colmare una serie di carenze grazie alla cooperazione tra Stati membri: esistono ancora tante possibilità in questo senso.

5.10   La mobilità nel campo dell'istruzione e della formazione specializzata è parte integrante della libertà di circolazione delle persone e costituisce uno strumento fondamentale per creare uno spazio europeo dell'istruzione e della formazione.

5.10.1   Il CESE dà il suo sostegno alla Carta europea di qualità per la mobilità  (32), che parte dal fatto che la mobilità in tema di istruzione e formazione è parte integrante della libera circolazione delle persone e che il rafforzamento della mobilità europea in questo settore è un modo per realizzare gli obiettivi della strategia di Lisbona. La Carta propone un insieme di principi e misure applicabili alle iniziative di mobilità cui partecipano giovani o adulti, ai fini di un apprendimento formale o informale nonché per il loro sviluppo personale e professionale.

5.10.2   La Commissione europea ha messo a punto tutta una serie di strumenti efficaci a sostegno della mobilità in Europa nel campo dell'istruzione, della formazione e dell'apprendimento permanente. Europass (33) è stato istituito come una raccolta coordinata di documenti con lo scopo di aiutare i cittadini ad avere una maggiore consapevolezza delle proprie qualifiche e competenze. L'ultima relazione di valutazione del 2008 ha confermato l'efficacia dei centri nazionali e del portale Internet come pure il valore aggiunto complessivo dell'iniziativa, ma ha anche individuato alcune carenze, in particolare riguardo a taluni strumenti di Europass meno incentrati sui risultati dell'apprendimento.

5.10.3   Questa dimensione andrebbe rafforzata tramite l'attuazione del Quadro europeo delle qualifiche (QEQ) per l'apprendimento permanente (34), che dovrebbe essere collegato con i sistemi europei di trasferimento e accumulazione di crediti (35).

5.11   Inoltre, l'afflusso straordinariamente elevato di lavoratori di paesi terzi, legato alle attuali misure dell'UE intese a semplificare la migrazione legale, spinge a riflettere sulla nuova sfida di fronte alla quale si trovano i sistemi di istruzione europei.

5.11.1   Il CESE attende con interesse anche i risultati del dibattito lanciato nel luglio 2008, con la pubblicazione, da parte della Commissione, del Libro verde Migrazione e mobilità: le sfide e le opportunità per i sistemi d'istruzione europei  (36) che richiama l'attenzione sul futuro e sul ruolo della direttiva 77/486/CE, riguardante finora soltanto l'istruzione dei figli dei lavoratori migranti provenienti da Stati dell'UE.

5.12   Semplificazione della migrazione legale e lotta contro la migrazione illegale dai paesi terzi, come indicato nella comunicazione della Commissione sull'approccio globale in materia di migrazione  (37) del novembre 2006, che costituisce un altro contributo della Commissione per una maggiore mobilità e una migliore gestione della migrazione in Europa a fronte delle sfide demografiche. Conformemente al suo programma legislativo per il 2007, la Commissione ha pubblicato due proposte legislative (38) intese a semplificare l'ingresso e il soggiorno nell'UE di migranti economici provenienti dai paesi terzi e ha presentato la proposta di instaurare un sistema di carte blu inteso ad attirare in Europa lavoratori altamente qualificati da tali paesi. I diritti e i doveri previsti dalla proposta di direttiva per i cittadini di paesi terzi, fondati sulla parità di trattamento in ambiti quali la retribuzione, le condizioni di lavoro, la libertà di associazione come pure l'istruzione e la formazione professionale, rappresentano un buon punto di partenza per le disposizioni legislative in materia di immigrazione e dovrebbero essere estesi a tutte le categorie di lavoratori migranti. A giudizio del CESE, le disposizioni transitorie che limitano temporaneamente il diritto alla libera circolazione dei lavoratori dei nuovi Stati membri costituiscono un'eccezione da superare al più presto, soprattutto per quanto riguarda l'impiego di lavoratori altamente qualificati (39).

Bruxelles, 25 marzo 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione (2008-2010), COM(2007) 803 def., parte V - 2007/0300 (CNS).

(2)  Regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (GU L 166 del 30.4.2004, pagg. 1-123), http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2004:166:0001:0123:IT:PDF.

(3)  Regolamento (CEE) n. 1612/68 del Consiglio, del 15 ottobre 1968, relativo alla libera circolazione dei lavoratori all'interno della Comunità (GU L 257 del 19.10.1968, pagg. 2–12).

(4)  Attuazione del programma comunitario di Lisbona: Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al miglioramento della trasferibilità dei diritti a pensione complementare, COM(2005) 507 def. - 2005/0214 (COD).

(5)  Parere CESE in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati, relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 27 del 3.2.2009).

(6)  Orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione (2005-2008), orientamento n. 20, COM(2005) 141 def. – 2005/0057 (CNS).

(7)  Relazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Relazione finale sull'attuazione del piano d'azione della Commissione per le competenze e la mobilità COM(2002) 72 def., COM(2007) 24 def.

(8)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - La mobilità, uno strumento per garantire nuovi e migliori posti di lavoro: Piano d'azione europeo per la mobilità del lavoro (2007 - 2010), COM(2007) 773 def.

(9)  Comunicazione Un piano europeo di ripresa economica, COM(2008) 800 def. del 26 novembre 2008.

(10)  Direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro (GU L 303 del 2.12.2000, pagg. 16–22).

(11)  TRESS - Training and Reporting in European Social Security (Formazione e relazioni in materia di sicurezza sociale europea).

(12)  EURES - European Employment Service (Servizio europeo per l'occupazione).

(13)  Cfr. ad esempio il parere CESE sulla libera circolazione e il soggiorno dei lavoratori, relatore: VINAY (GU C 169 del 16.6.1999), il parere CESE in merito alla Proposta di regolamento (CE) del Consiglio relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, relatore: RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO (GU C 75 del 15.3.2000), il parere CESE in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, relatore: RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO (GU C 149 del 21.6.2002), il parere CESE in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante le modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, relatore: GREIF (GU C 324 del 30.12.2006).

(14)  Mobility in Europe: Analysis of the 2005 Eurobarometer survey on geographical and labour market mobility (Mobilità in Europa: Analisi del sondaggio di Eurobarometro del 2005 sulla mobilità geografica e sul mercato del lavoro), Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, 2006.

(15)  Studio Geographical Mobility in the European Union: Optimising its Economic and Social Benefits, aprile 2008, DG EMPL della Commissione europea, Contratto VT/2006/042.

(16)  Studio Job Mobility in the EU: Optimising its Social and Economic Benefits, aprile 2008, Istituto tecnologico danese, Contratto VT/2006/043.

(17)  Direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali.

(18)  La Commissione europea ha già intrapreso a tale riguardo una serie di azioni concrete che permetteranno di sensibilizzare i cittadini europei e di fornire loro informazioni comprensibili sui loro diritti e doveri in materia di protezione sociale nei paesi dell'UE (mediante opuscoli, manuali, video).

(19)  Grecia, Spagna, Ungheria e Portogallo hanno già abolito le restrizioni alla libera circolazione dei lavoratori provenienti da tali paesi.

(20)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Le ripercussioni della libera circolazione dei lavoratori nel contesto dell'allargamento dell'Unione europea - Relazione sulla prima fase (1o gennaio 2007 - 31 dicembre 2008) di attuazione delle disposizioni transitorie previste dal trattato di adesione del 2005 e come richiesto secondo la disposizione transitoria inclusa nel trattato di adesione del 2003 (COM(2008) 765 def.).

(21)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Relazione sul funzionamento delle disposizioni temporanee di cui al trattato di adesione del 2003 (periodo dal 1o maggio 2004 al 30 aprile 2006) - COM(2006) 48 def.

(22)  Comunicazione della Commissione Orientamenti relativi al distacco di lavoratori nell’ambito della prestazione di servizi (COM(2006) 159 def.) e comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Distacco di lavoratori nell’ambito della prestazione di servizi - Massimizzarne i vantaggi e le potenzialità garantendo la tutela dei lavoratori (COM(2007) 304 def.).

(23)  Parere del CESE del 29 maggio 2008 sul tema Distacco di lavoratori nell'ambito della prestazione di servizi — Massimizzarne i vantaggi e le potenzialità garantendo la tutela dei lavoratori, relatrice: LE NOUAIL MARLIÈRE (GU C 224 del 30.8.2008, pagg. 95–99).

(24)  GU L 8 del 13.1.2009, pagg. 26–28.

(25)  Causa CGCE C-341/05: Laval un Partneri Ltd contro Svenska Byggnadsarbetareförbundet (sindacato svedese dei lavoratori del settore edilizio e dei lavori pubblici).

(26)  Causa CGCE C-438/05: International Transport Workers' Federation et al. contro Viking Line ABP et al.

(27)  Causa CGCE C-346/06: Rechtsanwalt Dr. Dirk Rüffert, in qualità di curatore fallimentare della Objekt und Bauregie GmbH & Co. KG contro il Land Niedersachsen.

(28)  GU L 149 del 5.7.1971.

(29)  Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante le modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, COM(2006) 16 def. – 2006/0006 (COD).

(30)  Parere CESE del 26 ottobre 2006 in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante le modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 883/2004 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, relatore: GREIF (GU C 324 del 30.12.2006).

(31)  Direttiva 2004/38/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri, che modifica il regolamento (CEE) n. 1612/68 ed abroga le direttive 64/221/CEE, 68/360/CEE, 72/194/CEE, 73/148/CEE, 75/34/CEE, 75/35/CEE, 90/364/CEE, 90/365/CEE e 93/96/CEE (Testo rilevante ai fini del SEE).

(32)  Carta europea di qualità per la mobilità (GU L 394 del 30.12.2006), http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:L:2006:394:0005:01:IT:HTML.

(33)  Decisione n. 2241/2004/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 2004, relativa ad un quadro comunitario unico per la trasparenza delle qualifiche e delle competenze (Europass).

(34)  Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 23 aprile 2008 sulla costituzione del Quadro europeo delle qualifiche per l'apprendimento permanente (2008/C 111/01).

(35)  Sistema europeo di trasferimento di crediti accademici (ECTS) e proposta di raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio sull'istituzione del sistema europeo di crediti per l'istruzione e la formazione professionale (ECVET) (COM(2008) 180 def.).

(36)  Libro verde - Migrazione e mobilità: le sfide e le opportunità per i sistemi d'istruzione europei (COM(2008) 423 def.).

(37)  Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo - L'approccio globale in materia di migrazione un anno dopo: verso una politica europea globale della migrazione (COM(2006) 735 def.).

(38)  Proposta di direttiva del Consiglio sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati (proposta di introdurre la «Carta blu UE») (COM(2007) 637 def.) e Proposta di direttiva del Consiglio relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano legalmente in uno Stato membro (COM(2007) 638 def.).

(39)  Cfr. nota 5.


22.9.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 228/24


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema la situazione dei lavoratori anziani di fronte alle trasformazioni industriali: assicurare il sostegno e gestire la diversità d'età nei settori e nelle imprese (parere d'iniziativa)

2009/C 228/04

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 gennaio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

«La situazione dei lavoratori anziani di fronte alle trasformazioni industriali: assicurare il sostegno e gestire la diversità d'età nei settori e nelle imprese.»

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 marzo 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore KRZAKLEWSKI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 24/25 marzo 2009, nel corso della 452a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 159 voti favorevoli, 8 voti contrari e 8 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo ritiene che la questione dell'occupazione nell'Unione europea vada considerata globalmente, in quanto riguarda tutte le fasce di età, in particolare nella crisi attuale.

1.2   Il Comitato invita la Commissione a occuparsi specificamente della questione delle persone in avanzata età lavorativa sul mercato del lavoro (i cosiddetti senior), e le rammenta la necessità di migliorare e rafforzare l'applicazione delle disposizioni concernenti l'età previste dalla direttiva 2000/78/CE sulla parità di trattamento in materia di occupazione, elaborando a livello europeo un programma e un quadro di sostegno a una politica occupazionale per i senior.

1.2.1   Tale documento dovrebbe includere una raccolta di buone prassi la cui applicazione contribuisca a mantenere o far entrare e nel mercato del lavoro le persone di 50 anni e più, e in particolare quelle prossime all'età legale del pensionamento. Occorre sensibilizzare gli imprenditori, i lavoratori a partire dalla metà della loro carriera professionale, i gruppi di senior e praticamente tutta la società riguardo alle opportunità e ai vantaggi connessi con la presenza dei senior sul mercato del lavoro.

1.2.1.1   Tutte le azioni riguardanti i senior devono essere intraprese mantenendo nel contempo tutte le misure intese a favorire l'occupazione, in particolare quella delle giovani generazioni che si affacciano sul mercato del lavoro.

1.2.2   Il Comitato ritiene che, allo scopo di creare principi e un quadro comuni a livello dell'UE sulla questione dei senior sul mercato del lavoro, si dovrebbe utilizzare il metodo aperto di coordinamento. Questo è particolarmente importante nell'attuale clima economico caratterizzato da una crescente perdita di posti di lavoro, dato che in una situazione di crisi i lavoratori anziani possono essere discriminati più per motivi di età che di capacità professionale.

1.3   I modelli e gli approcci proposti dal Comitato in questo parere sono incentrati sulla categoria dei lavoratori anziani, i quali rischiano di essere esclusi dal mercato del lavoro, nonché su quella dei lavoratori che, pur avendo raggiunto (o essendo prossimi a raggiungere) l'età richiesta per andare in pensione ordinaria o anticipata, desiderano continuare a lavorare.

1.4   Date le notevoli divergenze tra i tassi di occupazione dei senior nei vari Stati membri dell'UE, questi ultimi dovrebbero elaborare e sviluppare - o, se esistono già, rivedere periodicamente e approfondire - dei «quadri nazionali di sostegno all'occupazione dei senior» che prevedano una combinazione delle seguenti misure a favore dei lavoratori anziani:

sostegno all'invecchiamento attivo,

introduzione, nelle politiche degli Stati membri, di incentivi finanziari sia per i lavoratori anziani che per le imprese che li occupano, allo scopo di mantenere tali persone sul mercato del lavoro,

miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (in particolare fisico),

applicazione nel mercato del lavoro di soluzioni istituzionali che incidano sulla sua adattabilità per quanto concerne l'occupazione di lavoratori anziani.

1.5   Il Comitato constata con preoccupazione che, malgrado il progressivo aumento del tasso di occupazione dei senior, in quasi tutti gli Stati membri dell'UE solo una piccola percentuale delle società e delle imprese riserva alla problematica relativa a queste persone un posto importante nella propria politica. Occorre quindi comprendere al più presto quali sono i motivi per cui le imprese non si sforzano di introdurre buone prassi in materia di occupazione dei senior, quando tutte le analisi mostrano che si tratta di una soluzione vantaggiosa caldeggiata dai governi di diversi Stati membri.

1.5.1   Una condizione fondamentale per l'occupazione dei senior è garantire condizioni tali per cui il prolungamento del contratto di lavoro sia economicamente vantaggioso per entrambe le parti: datore di lavoro e lavoratore. Un approccio di questo tipo dovrebbe basarsi su un «bilancio esteso» (ovverosia un'ampia analisi costi benefici) che tenga conto dei seguenti fattori:

il sistema salariale e pensionistico degli Stati membri,

le condizioni di occupazione dei senior sia dal punto di vista dei lavoratori che da quello dei datori di lavoro,

i sistemi di formazione lungo tutto l'arco della vita (compresa la formazione professionale continua) per i lavoratori ultracinquantenni e perfino ultraquarantacinquenni.

1.5.2   Il Comitato ritiene che, dal punto di vista del datore di lavoro, la questione decisiva per l'occupazione di lavoratori anziani riguardi il modo in cui mettere a frutto l'esperienza e le competenze dei senior.

1.6   Il Comitato invita le istituzioni europee, i governi degli Stati membri e le parti sociali a diffondere presso le imprese e i lavoratori un'idea di gestione improntata alla diversificazione delle età dei lavoratori, quale forma efficace di gestione della produttività e risposta adeguata alle difficoltà esistenti sul mercato del lavoro europeo.

1.7   Il Comitato vorrebbe porre l'accento sulla necessità di una posizione attiva delle istituzioni europee e degli Stati membri nei confronti della questione della gestione dell'età.

1.7.1   Il Comitato ritiene che la formazione alla gestione dell'età dovrebbe essere introdotta nei corsi di formazione per dirigenti, nonché costituire una materia nei programmi degli studi di gestione, e che in tale formazione vadano discusse e approfondite questioni quali:

il mantenimento della motivazione e della creatività fra i lavoratori anziani,

l'adeguamento del ritmo di lavoro in modo da evitare di arrivare nel corso degli anni ad una situazione di burn-out,

l'instaurazione di rapporti di lavoro fra lavoratori di diversi gruppi d'età.

1.7.2   Il Comitato sottolinea che, per l'aumento del tasso di occupazione dei senior, rivestono un'importanza fondamentale l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita e le azioni di formazione generale e professionale, che contribuiscono in maniera inequivocabile a migliorare il livello di istruzione dei lavoratori anziani.

1.8   Considerata la notevole disparità esistente fra il tasso di occupazione maschile e quello femminile nella fascia d'età compresa fra i 55 e i 64 anni, il Comitato ritiene essenziale che gli Stati membri e la Commissione intraprendano azioni volte ad integrare gli approcci attuali in materia di occupazione delle donne over 55, aggiungendovi elementi nuovi e avendo il coraggio di elaborare modelli non ancora in uso.

1.8.1   L'aumento del tasso di occupazione delle donne ultracinquantenni può essere cruciale per il conseguimento degli obiettivi occupazionali fissati dalla strategia di Lisbona.

1.8.2   Il Comitato chiede alla Commissione di condurre, in collaborazione con le agenzie dell'Unione europea, studi intesi a verificare se il ridotto tasso di occupazione delle donne ultracinquantenni configuri o meno una prassi discriminatoria sul mercato del lavoro.

1.9   Il Comitato richiama l'attenzione sul fatto che uno dei freni principali all'aumento dell'occupazione dei lavoratori anziani è costituito dall'esclusione digitale. Per lottare efficacemente contro questo fenomeno, occorre stabilire un legame quanto più stretto possibile tra la formazione continua degli ultracinquantenni e la loro formazione all'utilizzo delle tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni (TIC). Perché i senior vincano la paura di utilizzare le TIC, è opportuno che la prima fase della loro formazione in materia si svolga in seno a gruppi di lavoratori anziani omogenei per età e per competenze.

1.9.1   Allo stesso tempo il Comitato ritiene che la creazione delle condizioni necessarie per completare le competenze di base degli ultracinquantenni in materia di tecniche e tecnologie nuove dovrebbe essere compito degli Stati membri, con la partecipazione attiva di autorità nazionali e locali, parti sociali e istituti di istruzione.

1.9.2   L'assolvimento di tale compito comporta necessariamente un'analisi precisa delle qualifiche di base attualmente richieste per poter operare nella società dell'informazione, in modo da poter definire con gli Stati membri, se del caso, modalità e strumenti per completarla.

1.10   Il Comitato vorrebbe in particolar modo richiamare l'attenzione sul fatto che le soluzioni volte a consentire ai senior di essere attivi sul mercato del lavoro necessitano di azioni sistematiche e complesse, ma anche di un approccio individualizzato che tenga conto della specificità delle singole situazioni e delle singole persone.

1.10.1   Un approccio siffatto richiede strumenti che consentano di prevedere e di anticipare sia le trasformazioni industriali e tecnologiche che i fabbisogni formativi, nonché l'evoluzione della società. In questo campo un ruolo particolare dovrebbero svolgerlo gli osservatori del mercato del lavoro, delle competenze e delle trasformazioni sociali, nonché i sistemi di statistica (e di informazione) degli Stati membri e dell'UE.

1.10.2   Il Comitato chiede dunque alla Commissione di condurre con maggiore frequenza di quanto non sia stato fatto finora studi statistici sull'occupazione degli ultracinquantenni, considerate l'importanza e la delicatezza particolari di questa materia. Ciò è ancora più necessario in una congiuntura di crisi. I lavoratori anziani sono tra i più minacciati dai piani di riduzione del personale e di ristrutturazione già in corso e da quelli futuri.

2.   Introduzione

2.1   Per far fronte alla futura penuria di manodopera derivante dalle evoluzioni demografiche, nel marzo 2001 l'Unione europea si era prefissa l'obiettivo di raggiungere entro il 2010 un tasso di occupazione del 50 % tra le persone di età compresa tra i 55 e i 64 anni. Dalle prime valutazioni emerge che il conseguimento di tale obiettivo entro il termine stabilito si prospetta molto problematico.

2.2   Sia in pareri su documenti della Commissione o del Consiglio (1) che in pareri esplorativi (2), il Comitato ha affrontato in modo approfondito le seguenti questioni:

i dati statistici sui lavoratori anziani e le conseguenze che ne derivano per l'UE,

la necessità e le motivazioni di un approccio positivo nei confronti dei lavoratori senior,

l'influenza dei sistemi di prepensionamento sul livello occupazionale delle persone anziane,

le cause della drastica diminuzione del loro tasso di occupazione prima del 2000,

gli approcci previsti e adottati al fine di accrescere il loro tasso di occupazione e ritardare la loro uscita dal mercato del lavoro, in particolare offrendo loro la possibilità di entrare in un sistema di flessicurezza,

la loro partecipazione alle iniziative di formazione e perfezionamento professionali,

la conciliazione della loro vita professionale, familiare e personale, nonché la promozione della solidarietà tra generazioni,

la qualità della loro vita professionale, della loro produttività e della loro occupazione nel contesto della globalizzazione e dei cambiamenti demografici.

2.3   Se si vuol migliorare il tasso di occupazione dei senior, è assolutamente necessario elaborare, diffondere e attuare politiche e modelli di intervento centrati sulla soluzione dei problemi dei lavoratori dinanzi all'invecchiamento e alle trasformazioni industriali. Uno degli approcci di cui questo parere tratta più ampiamente consiste nel gestire tali cambiamenti operando una diversificazione delle fasce di età, delle iniziative di formazione e delle competenze, a sostegno dei lavoratori di ogni età.

2.4   Gli approcci e i modelli proposti nel presente parere di iniziativa si concentrano, in linea con il tema del parere, sulla popolazione dei lavoratori anziani che rischiano di essere esclusi dal mercato del lavoro in considerazione della loro età, dei processi di ristrutturazione, dei diversi cambiamenti economico-sociali e di quei lavoratori che hanno raggiunto l'età per andare in pensione o in pensione anticipata, ma desiderano continuare a lavorare. In questo momento occorre prestare un'attenzione particolare alla diversità d'età della forza lavoro, onde evitare la discriminazione nei confronti dei lavoratori anziani in un periodo di crisi economica e di tagli occupazionali.

2.4.1   Gli approcci discussi nel parere riguardano essenzialmente i senior disoccupati che desiderano rientrare nel mercato del lavoro e i pensionati che per diversi motivi desiderano riprendere a lavorare.

3.   Proposte basate sull'analisi dei dati statistici attualmente disponibili sulla situazione dei lavoratori anziani nell'UE

3.1   Alla fine del 2005, nell'UE 22,2 milioni di persone tra i 55 e i 64 anni risultavano occupate, mentre nella stessa fascia di età 1,6 milioni di persone risultavano ufficialmente disoccupate e altri 28,5 milioni non esercitavano alcuna attività lavorativa. L'aumento della partecipazione dei senior al mercato del lavoro figura tra gli obiettivi della strategia di Lisbona.

3.2   Nell'UE-25 il tasso di occupazione dei senior, che nel 2000 era pari al 36,6 %, è salito al 42,5 % nel 2005 (cfr. il grafico che figura all'allegato 1). L'aumento ha interessato tutti gli Stati membri dell'UE-25 ad eccezione della Polonia e del Portogallo. Sempre nel 2005, il tasso di occupazione delle persone di età compresa fra i 55 e i 64 anni ha raggiunto o addirittura superato l'obiettivo fissato per il 2010 in Svezia, Danimarca, Regno Unito, Estonia, Finlandia e Irlanda.

3.3   Nel 2005 nell'UE-25 il tasso di occupazione dei senior era del 51,8 % per gli uomini, mentre per le donne era pari al 33,7 %. Tuttavia, nel periodo 2000-2005, tale tasso è aumentato più rapidamente per le seconde (+ 6,8 %) che per i primi (+ 4,9 %).

3.4   La categoria delle persone di età compresa tra i 56 e i 64 anni non è omogenea dal punto di vista della loro situazione sul mercato del lavoro. I dati della tabella di cui all'allegato 2 mostrano infatti notevoli disparità tra i dati relativi alla fascia di età 55-59 anni e quelli relativi alla fascia di età 60-64 anni per quanto concerne il tasso di occupazione, che nel 2005 era rispettivamente del 55,3 % e del 26,7 %. Per gli uomini come per le donne, il «divario» in termini di tasso di occupazione tra la fascia dei 55-59enni e quella dei 60-64enni, nella fattispecie addirittura del 28,6 %, era nettamente più elevato di quello tra le fasce dei 50-54enni e dei 55-59enni, pari al 17 %.

3.5   In termini di occupazione dei senior è la Svezia a far registrare il tasso più elevato sia nella fascia dei 55-59enni che in quella dei 60-64enni, con percentuali rispettivamente del 79,4 % e del 56,9 %, mentre in coda alla classifica si trovano la Polonia per i 55-59enni (con il 32,1 %) e il Lussemburgo per i 60-64enni (con il 12,6 %).

3.6   L'analisi dei dati riportati nell'allegato 2, relativi al tasso di occupazione dei senior ripartite per livello di istruzione, evidenzia che, per le donne come per gli uomini, tra chi possiede un livello superiore di istruzione, la percentuale degli occupati è molto maggiore di quella che si registra tra le persone meno istruite. Nell'UE-25, tra i senior con il livello di istruzione più basso - su una scala di tre livelli - solo il 30,8 % ha un lavoro, mentre tra quelli con il livello di istruzione più elevato dei tre risulta occupato il 61,8 %.

3.7   L'analisi effettuata dal Cedefop sui risultati della più recente indagine europea sulla formazione professionale continua (3) mostra che, praticamente in tutti gli Stati membri, i lavoratori senior partecipano a questo tipo di formazione molto meno di quelli giovani: nel 2005 nell'UE-27 vi partecipava il 24 % dei lavoratori over 55, mentre tra quelli di età compresa tra i 25 e i 54 anni il tasso di partecipazione raggiungeva il 33 %. La scarsa partecipazione alle iniziative di formazione continua è ancor più evidente nel settore delle PMI: nelle piccole imprese, infatti, vi era impegnato solo il 13 % dei lavoratori senior (over 55). L'allegato III riporta dati specifici in materia.

3.8   Il ricorso al lavoro a tempo parziale è più frequente tra le persone di età compresa tra i 55 e i 64 anni che tra quelle di età compresa tra i 30 e i 49 anni (22,2 % contro 16,8 %). Tale forma di occupazione è inoltre nettamente più diffusa tra le donne tra i 55 e i 64 anni (39,5 %) che tra gli uomini della stessa fascia di età (10,3 %).

3.8.1   Se si passa a considerare il lavoro autonomo, si osserva che, in termini percentuali, anch'esso è svolto più frequentemente dai 55-64enni che dai 30-49enni (23 % contro 15,4 %). In questo caso, però, a differenza di quanto avviene per il lavoro a tempo parziale, gli uomini sono molto più numerosi delle donne.

3.8.2   Tenendo conto dell'impatto dei fattori fondamentali per l'occupazione dei senior, è stata effettuata un'analisi per gruppi (cluster analysis) (4), in cui si sono ripartiti gli Stati membri dell'UE in sei gruppi caratteristici corrispondenti ad altrettante aree geografico-culturali (Isole britanniche, Europa settentrionale, Baltico, Europa occidentale, Europa centrale, Mediterraneo) e si sono esaminati quindi gli approcci («sistemi») adottati in ciascun gruppo di Stati nei confronti di queste persone. A ciascuno di questi sistemi è stato ricondotto un insieme di fattori fondamentali che incidono sulla situazione del mercato del lavoro. I tre sistemi in questione sono i seguenti:

I sistema - sostegno all'invecchiamento attivo,

II sistema - incentivi finanziari a favore dei lavoratori anziani che escono dal mercato del lavoro,

III sistema - strumenti generali del mercato del lavoro che incidono sulla sua adattabilità per quanto attiene all'occupazione dei lavoratori anziani.

3.8.3   L'analisi per gruppi ha mostrato che il I sistema viene applicato largamente nei paesi nordici e in scarsa misura invece nei nuovi Stati membri dell'Europa centrale, nei paesi baltici e in quelli mediterranei. Il II sistema è largamente applicato nei paesi (continentali) dell'Europa occidentale e in quelli mediterranei, mentre nelle isole britanniche si fa ampio uso del I sistema e un uso limitato del III.

4.   Politiche e modelli d'intervento incentrati sulla soluzione dei problemi dei lavoratori anziani dovuti all'età

Mantenere i lavoratori senior sul mercato del lavoro

4.1   Le politiche e i modelli d'intervento esposti in questa sezione si rivolgono ai lavoratori over 50 (o anche over 45) che, nelle PMI, nelle grandi imprese o nel settore dei servizi, rischiano di perdere il lavoro:

a causa della ristrutturazione o della scarsa competitività delle loro imprese, o anche a causa delle trasformazioni del mercato globale del lavoro e dei servizi,

a causa del loro stato di salute o della necessità di occuparsi di terzi,

a causa della mancanza delle qualifiche e delle competenze richieste per utilizzare le tecnologie moderne, segnatamente le TIC,

a causa del fatto che hanno l'intima convinzione di essere privi delle necessarie capacità di adattamento, le più importanti delle quali sono la motivazione e l'attitudine all'apprendimento.

4.2   Per riuscire a mantenere efficacemente i lavoratori senior sul mercato del lavoro, è di cruciale importanza creare, nel sistema di gestione di un'impresa, un meccanismo di anticipazione, basato fra l'altro sul ricorso sistematico a una valutazione fin dalla metà della carriera professionale, per evitare che un lavoratore entri in una situazione di rischio. Questo approccio va favorito con una politica pubblica che consenta ai senior di conservare la loro occupazione, prolungando così la loro carriera, o di riprendere l'attività lavorativa.

4.2.1   Per individuare il momento e la situazione in cui intervenire, uno strumento importante di sostegno ai lavoratori senior consiste nell'estendere o introdurre nelle imprese il ricorso periodico a meccanismi di anticipazione, nonché nel far partecipare il maggior numero possibile di lavoratori ai bilanci delle competenze. Un approccio di questo tipo comporta necessariamente dei costi, che possono essere coperti dalle stesse imprese e dai fondi di sostegno comunitari (in particolare dal Fondo sociale europeo), nonché con altre risorse pubbliche.

4.2.1.1   Il bilancio delle competenze è una procedura di convalida della formazione, formale e non, acquisita dai lavoratori. Ogni certo numero di anni, ciascun lavoratore dovrebbe aver diritto ad un'analisi delle proprie competenze, effettuata mediante un colloquio, dei test e con l'ausilio di esperti in orientamento di carriera, mentre la convalida della formazione acquisita mediante l'esperienza potrebbe essere affidata a una rete nazionale di centri pubblici e costituire una base per l'ulteriore sviluppo della carriera del lavoratore.

4.2.1.2   Quanto all'inventario delle abilità, esso deve essere realizzato da una società di consulenza indipendente. Se il livello delle competenze del lavoratore risulta inconciliabile con le possibilità offerte sul mercato del lavoro per lo stesso livello di retribuzione, l'impresa è tenuta a pagare e organizzare le iniziative di formazione necessarie affinché il lavoratore colmi le lacune evidenziate nelle sue competenze, nonché a sostenere i costi dei programmi di riqualificazione, mentre il lavoratore, da parte sua, ha l'obbligo di partecipare alle iniziative di formazione e di completare il programma di formazione.

4.3   Se vuol trattenere i propri dipendenti, è importante che l'impresa definisca al suo interno dei nuovi profili professionali per i lavoratori senior, come ad esempio quello di mentore , di coach  (5) (perlopiù nel settore della selezione del personale) o di tutor  (6), allo scopo di garantire la continuità aziendale e il valore dell'impresa attraverso l'insegnamento e la trasmissione ai neoassunti e ai lavoratori più giovani di diverse forme del suo capitale.

4.4   Una politica di fondamentale importanza per trattenere i lavoratori anziani nell'impresa è rappresentata dalla flessibilità dell'approccio adottato in materia di orario di lavoro nonché dei pacchetti di misure compensative. Alla domanda di un «giusto mix» di lavoro e ferie si risponde offrendo orari di lavoro flessibili, la possibilità di lavorare a tempo parziale e programmi di cessazione graduale dell'attività lavorativa. È possibile anche modulare in modo diverso la struttura del binomio salario-contributi e la ripartizione delle quote di questi ultimi. Un altro sistema ormai sperimentato per trattenere i lavoratori consiste nel ridurre l'orario settimanale di lavoro o nel dar loro la possibilità di optare per una compensazione sotto forma di ferie supplementari.

4.5   La questione del trattenimento nelle aziende dei lavoratori anziani si pone frequentemente in una situazione in cui il lavoratore deve scegliere fra avvalersi del diritto di andare in pensione anticipatamente o restare sul mercato del lavoro.

4.5.1   In questa situazione si dovrebbe utilizzare nei confronti del lavoratore una politica di incentivi positivi di tipo finanziario, sociale e organizzativo (per es. il passaggio ad un posto di lavoro meno faticoso che richieda nuove competenze da acquisire mediante formazione). Va infatti applicato il superiore principio della libertà di scegliere quanto restare sul mercato del lavoro, essendo questo uno dei pilastri della flessicurezza.

4.5.2   Il CESE ritiene che per mancanza di un approccio conciliante e creativo verso coloro che hanno maturato il diritto a un pensionamento anticipato, troppo pochi lavoratori di questo tipo restano sul mercato del lavoro fino al raggiungimento della normale età pensionabile.

4.6   Cruciali per trattenere efficacemente i lavoratori, ma in grado di incidere anche sulla produttività, sono le politiche di istruzione e di formazione. Non l'età, ma le abilità e le competenze dovrebbero determinare le opportunità del lavoratore sul mercato del lavoro!

4.6.1   Fra le politiche educative e formative per trattenere sul mercato del lavoro i lavoratori ultracinquantenni le più importanti sono le seguenti:

azioni volte alla partecipazione e all'inserimento dei lavoratori senior, grazie alle quali questi prendono parte a tutti i programmi di formazione offerti dall'impresa o alle formazioni svolte sul luogo di lavoro. Inoltre, ai lavoratori anziani dotati di qualifiche particolari viene offerta la possibilità di continuare a lavorare nell'impresa oltre l'età pensionabile,

corsi di richiamo e aggiornamento sulle tecnologie sul luogo di lavoro, destinati ai lavoratori anziani che non hanno potuto partecipare a tempo debito alle iniziative di formazione riguardanti il processo di produzione e vi si sentono quindi meno coinvolti. Il quadro comune di azione delle parti sociali per il riconoscimento delle competenze e delle qualifiche, l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita e l'educazione degli adulti offrono soluzioni in tal senso (7),

corsi specifici di informatica (uso del computer e navigazione su Internet) per ultracinquantenni, che consentono a un maggior numero di lavoratori anziani, pensionati e rispettive organizzazioni di utilizzare le TIC. In questo percorso formativo è di cruciale importanza adattare i corsi alle esigenze delle persone di età avanzata, ad esempio utilizzando caratteri di formato più grande o il portale «Senior WEB».

L'assunzione dei lavoratori anziani, ovvero come attirarli nel mercato del lavoro e convincerli a restare in azienda

4.7   Questo approccio è caratterizzato dal fatto che sono le imprese stesse a dover trovare dei metodi efficaci per raggiungere gli anziani che non sono sul mercato del lavoro e convincerli a mettere da parte le diverse forme di attività cui si dedicano o a sospendere la pensione per rientrare nel mercato del lavoro.

4.8   In media un terzo dei pensionati ha difficoltà a vivere con i redditi di cui dispone (8). Un buon numero di questi potenziali lavoratori ha dovuto accettare una pensione più bassa e si è sentito scoraggiato di fronte all'impossibilità di trovare un lavoro, apparentemente dovuta alla sua età. Questi ex lavoratori «sfortunati» potrebbero essere ancora disposti ad aggiornare la loro formazione, ma si trovano da anni al di fuori del mercato del lavoro e hanno probabilmente rinunciato all'idea di un qualsiasi rientro in tale mercato.

4.8.1   È chiaro che occorre combattere le cause di questa situazione, in cui in media un terzo dei pensionati ha difficoltà a sopravvivere con il livello di reddito di cui dispone, realizzando un sistema pensionistico migliore, stabile e solidale, il cui finanziamento sia assicurato dall'impiego di tutte le risorse umane disponibili.

4.9   Fra i possibili candidati al rientro nel mercato del lavoro figurano altresì i pensionati i cui figli sono già usciti di casa e che improvvisamente si trovano ad avere fin troppo tempo libero e cercano un'occupazione e un reddito supplementari.

4.10   Di conseguenza è di capitale importanza rivolgersi a queste persone dapprima diffondendo tra loro le necessarie informazioni e poi contattandoli direttamente, spingendoli a prendere contatto con l'impresa interessata e coinvolgendoli in un'iniziativa di formazione continua o incoraggiandoli a seguire corsi o percorsi formativi organizzati allo scopo di attirare persone sul mercato del lavoro.

Per raggiungere questi obiettivi, sarà utile ricorrere ai seguenti strumenti:

seminari informativi che vertano su questioni di interesse per le persone anziane,

borse del lavoro e delle carriere professionali come i «caffè 50+» o le «centrali del lavoro» che si rivolgono a questa fascia di età,

pubblicità nei luoghi frequentati da anziani e nei mezzi di informazione da essi preferiti. In tali iniziative occorrerà fare attenzione a non utilizzare un linguaggio che possa indisporre i destinatari: così, anziché con termini come «di età avanzata» o «pensionato», ci si dovrà riferire a loro con termini come «maturo», «esperto» o «di provata esperienza»,

istituzione nelle imprese di «gruppi di lavoro di lavoratori anziani» che forniscano orientamento e consigli riguardo ai modi di attrarre i senior con esperienza. Le imprese potrebbero anche organizzare presso di loro eventi ai quali invitare pensionati ed ex dipendenti e anche incoraggiare tali persone, mediante lettere personalizzate o contatti telefonici diretti, a rientrare in azienda.

4.11   Il successo nell'assunzione di lavoratori anziani dipenderà in larga misura dall'attività di una rete che colleghi PMI, amministrazioni pubbliche, parti sociali e altri soggetti interessati, non solo a livello di singoli comuni ma anche su scala regionale o nazionale, eventualmente estendendo questo strumento anche a partner di altri paesi.

4.11.1   I compiti più importanti di tale rete dovrebbero consistere nel modificare gli atteggiamenti collettivi nei confronti del necessario prolungamento delle carriere e nel creare le condizioni necessarie per convincere i lavoratori ultracinquantenni e le imprese della possibilità di «stare al passo con i cambiamenti».

4.11.2   Una rete di questo tipo potrà inoltre servire a sensibilizzare i datori di lavoro riguardo ai vantaggi derivanti dall'assunzione di lavoratori ultracinquantenni e a incidere sulle politiche nazionali per orientarle verso sistemi di assunzione che favoriscano tanto i lavoratori che scelgono di protrarre l'attività professionale quanto i datori di lavoro che adeguano il sistema di gestione del personale ai lavoratori anziani.

4.11.3   Allo stesso tempo, una rete siffatta potrebbe contribuire alla diffusione e allo sviluppo delle buone prassi nonché alla definizione delle competenze chiave.

5.   La gestione attraverso la diversificazione: uno degli approcci metodologici da adottare per affrontare la questione dell'occupazione dei senior

5.1   Gli studi effettuati mostrano che, in materia di occupazione, introdurre un elemento di diversità in un gruppo di lavoratori può favorire l'assolvimento dei compiti affidati al gruppo stesso, dato che in tal modo esso si arricchisce di una gamma di informazioni, risorse e processi decisionali che ne migliorano le prestazioni.

5.1.1   Un tempo si riteneva che, diversificando la composizione delle squadre di lavoro dal punto di vista anagrafico o etnico, si potessero generare dei conflitti. Tali difficoltà sono però sormontabili se si fornisce ai lavoratori una formazione che li sensibilizzi nei confronti di tali questioni e se li si incoraggia a lavorare in gruppi diversificati al fine di superare le loro prevenzioni.

5.2   Alcune note imprese europee sono giunte a elevare al rango di regola l'equazione «gestire la diversità = gestire la produttività». La diversificazione della forza lavoro ha l'obiettivo di instaurare un meccanismo in cui ciascun lavoratore possa contribuire appieno all'organizzazione e al progresso dell'impresa grazie all'eccellenza delle sue prestazioni.

5.3   Valorizzando i diversi gradi di preparazione professionale e nel contempo attirando e trattenendo i lavoratori maggiormente qualificati, i programmi di diversificazione fanno delle pari opportunità uno degli elementi essenziali per la gestione delle risorse umane. È ormai opinione sempre più diffusa che le pratiche non discriminatorie di gestione della diversificazione rappresentino degli strumenti utili per migliorare l'efficienza e la produttività. Stabilire un nesso tra trattamento equo e produttività economica costituisce inoltre una delle priorità dell'Organizzazione mondiale del lavoro.

5.4   Se si analizzano i modelli e le politiche di sostegno ai lavoratori anziani descritti nella sezione 4, si può affermare che essi si sviluppano con successo in due direzioni: quella della gestione della diversificazione dell'età da un lato e quella della gestione della diversificazione delle capacità dall'altro. Al riguardo va sottolineato che, in pratica, questo tipo di gestione della piramide delle età comincia già praticamente all'inizio del percorso professionale.

5.5   Le imprese che ricorrono alla gestione attraverso la diversificazione delle età procedono all'assunzione di un certo numero di lavoratori anziani, o riorganizzano quelli già alle loro dipendenze, al duplice scopo di garantire un giusto equilibrio fra le età e di mitigare la penuria di dipendenti qualificati. L'obiettivo di questo tipo di gestione è arrivare ad avere il giusto mix di diverse fasce di età, qualifiche, culture e competenze.

5.6   Per attuare la gestione attraverso la diversificazione delle competenze, si procede riconoscendo e valorizzando i diversi bagagli professionali dei lavoratori anziani e ci si sforza di attirare e trattenere nell'impresa quelli dotati delle qualifiche migliori.

5.7   Il ricorso al sistema della diversificazione delle età presenta i seguenti vantaggi:

un aumento del livello generale di qualificazione, nonché della capacità di innovazione, del personale,

maggiori potenzialità per la carriera professionale dei lavoratori più giovani, data la presenza di lavoratori anziani ben retribuiti,

un miglioramento della qualità e dell'organizzazione sia per i prodotti che per i servizi,

il mantenimento nell'impresa di un livello adeguato di competenze e di un potenziale di sviluppo professionale, nonché la possibilità di riorganizzare i lavoratori all'interno.

5.8   Secondo le analisi della Fondazione di Dublino (9), i fattori da cui dipende la buona riuscita della gestione in base alle diverse età nell'ambito di un'impresa sono i seguenti:

la sensibilizzazione al fattore età,

l'esistenza di un quadro adeguato per una politica nazionale di sostegno a questo tipo di gestione,

l'oculatezza nella pianificazione e attuazione della gestione stessa,

la collaborazione di tutte le parti interessate nel sensibilizzare i responsabili al fattore età,

una valutazione e una stima dei costi e dei benefici.

6.   Buone prassi utili per attuare e sviluppare nell'UE politiche e modelli di sostegno ai lavoratori anziani

Per sviluppare nell'UE dei modelli e delle politiche di sostegno ai lavoratori anziani ci si può basare sullo scambio e l'applicazione di buone prassi nei seguenti campi:

l'impegno delle parti sociali nella negoziazione di contratti collettivi di lavoro, da concludere a livello aziendale, settoriale o intersettoriale, che prevedano misure riguardanti i lavoratori anziani; tali accordi possono assumere anche la forma di patti sociali, di clausole inserite nei regolamenti di lavoro o di altre convenzioni bilaterali o multilaterali,

il coinvolgimento di tutte le parti interessate nell'elaborazione di normative nazionali (ed europee) che incoraggino i lavoratori ultracinquantenni a restare sul mercato del lavoro e i loro datori di lavoro a trattenerli in azienda o a reclutare dei senior,

la progettazione e l'avvio di sistemi o strutture in rete volte a individuare la situazione e gli indicatori che caratterizzano nel complesso i lavoratori anziani,

la gestione delle imprese (o dei gruppi di imprese) in base alla diversità, indirizzandosi a concrete fasce di età comprendenti i lavoratori anziani (fra cui la gestione della diversità d'età e della diversità di competenze),

l'introduzione di modelli di sistemi di consulenza per i lavoratori ultracinquantenni e i loro datori di lavoro, incentrate sullo sviluppo di moduli di valutazione dei bisogni in materia di competenze dei lavoratori per impresa, settore, regione o paese,

l'applicazione di strumenti di consulenza per i lavoratori, in materia di concezione di iniziative di formazione, corsi e altre attività di insegnamento e perfezionamento specificamente rivolte ai senior,

lo sviluppo di sistemi di assistenza agli imprenditori e ai dirigenti d'impresa in merito agli strumenti per migliorare l'adattabilità, la competitività e la produttività delle imprese, per quanto riguarda il cambiamento attraverso la gestione della diversità d'età o la gestione del capitale umano con l'ausilio di tecnologie informatiche,

la creazione e l'ampio utilizzo di strutture e sistemi in rete (settoriali, territoriali, miste, di rappresentanti delle parti interessate, ecc.) e di osservatori delle qualifiche e dei posti di lavoro che seguano la questione dell'accesso dei senior al mercato del lavoro, tenuto conto delle loro competenze, e l'evoluzione delle ristrutturazioni. Il campo di osservazione di tali strutture può coprire diversi settori, enti locali o regioni (anche transfrontaliere).

Bruxelles, 25 marzo 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Pareri in merito alle comunicazioni della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Aumentare il tasso d’occupazione dei lavoratori anziani e differire l’uscita dal mercato del lavoro (GU C 157 del 28.6.2005, pag. 120; relatore: DANTIN), Promuovere la solidarietà fra le generazioni (GU C 120 del 16.5.2008, pag. 66; relatore: JAHIER) e Piano d'azione in materia di educazione degli adulti - È sempre il momento di imparare (GU C 204 del 9.8.2008, pag. 89; relatrice: HEINISCH; correlatori: LE NOUAIL-MARLIÈRE e RODRÍGUEZ GARCÍA CARO).

(2)  Pareri esplorativi sui temi Qualità della vita professionale, produttività e occupazione di fronte alla globalizzazione e alle sfide demografiche (GU C 318 del 23.12.2006, pag. 157; relatrice: ENGELEN-KEFER) e Il ruolo delle parti sociali nella conciliazione della vita professionale, familiare e privata (GU C 256 del 27.10.2007, pag. 102; relatore: CLEVER).

(3)  Eurostat, Indagine sulla formazione professionale continua (Continuing Vocational Training Survey -CVTS) 3.

(4)  Commissione europea, direzione generale Occupazione, affari sociali e pari opportunità, unità D1, Active ageing and labour market trends for older workers («Invecchiamento attivo e tendenze del mercato del lavoro per i lavoratori anziani»).

(5)  Il termine mentoring designa un modo di assistere gli altri avvalendosi della propria esperienza di vita (professionale). Il coaching è una nozione più ampia, che può comprendere la funzione di mentor ma va al di là di essa: il coach (o trainer) si concentra infatti sul processo di apprendimento del cliente e mira a fargli raggiungere degli obiettivi concreti.

(6)  L'essenza del tutoraggio (shadowing) consiste nel far seguire professionalmente i lavoratori più giovani, e in particolare i neoassunti, da lavoratori di almeno 50 anni di età. Tale metodo è particolarmente indicato per istruire i lavoratori meno esperti riguardo a pratiche o fenomeni di cui altrimenti non percepirebbero altrettanto facilmente e rapidamente l'esistenza o la portata.

(7)  Cfr. i seguenti pareri del CESE: del 22 ottobre 2008, in merito alla Proposta di raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio sull'istituzione del sistema europeo di crediti per l'istruzione e la formazione professionale (ECVET) (CESE 1678/2008; relatrice: LE NOUAIL-MARLIÈRE, non ancora pubblicato nella GU); in merito alla Proposta di raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio sulla costituzione del Quadro europeo delle qualifiche e dei titoli per l'apprendimento permanente (GU C 175 del 27.7.2007, pag. 74; relatore: RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO); e in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Piano d'azione in materia di educazione degli adulti - È sempre il momento di imparare (GU C 204 del 9.8.2008, pag. 89; relatrice: HEINISCH; correlatori: LE NOUAIL-MARLIÈRE e RODRÍGUEZ GARCÍA CARO).

(8)  B. McIntosh, An employer 's guide to older workers («I lavoratori anziani - Guida per i datori di lavoro»).

(9)  Gerlinde Ziniel Presentation of database on employment initiatives for an ageing workforce (Presentazione della base dati sulle iniziative occupazionali concernenti i lavoratori anziani), Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro.


22.9.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 228/32


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema le relazioni transatlantiche — come migliorare la partecipazione della società civile

2009/C 228/05

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 gennaio 2008, nel corso della sessione plenaria, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

«Le relazioni transatlantiche – come migliorare la partecipazione della società civile

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 marzo 2009, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice CARR e dal correlatore KRAWCZYK.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 marzo 2009, nel corso della 452a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 196 voti favorevoli, 7 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Le relazioni UE-USA si inscrivono oggi in un contesto nuovo, caratterizzato da sfide e aspettative crescenti. In tutto il mondo l'elezione del presidente OBAMA ha suscitato grandi speranze e ispirato nuova fiducia nelle potenzialità delle relazioni transatlantiche. In molti ambiti, che vanno dalla risposta comune all'attuale crisi economica e finanziaria alla questione dei cambiamenti climatici, alla promozione dei diritti umani, alle relazioni economiche bilaterali, si nutre un'autentica speranza che l'UE e gli USA lavorino insieme e svolgano un ruolo guida.

1.2

Tanto in Europa quanto negli USA, la società civile e le parti sociali, grazie alla loro rappresentatività o alle loro competenze in specifici settori, hanno un ruolo essenziale da svolgere nel contribuire a tale cooperazione rinnovata.

1.3

Il CESE invita i responsabili politici europei a cogliere questa opportunità e a promuovere, di concerto e in collaborazione con gli USA, le necessarie riforme nel sistema dell'ONU, dell'OMPI (1), della Corte penale internazionale, del G8, del G20, dell'OMC, della Banca mondiale, dell'FMI e dell'OIL, con l'intento di rendere tali istituzioni più efficaci nel fornire una risposta alle sfide di lungo termine poste dalla globalizzazione e dall'attuale crisi finanziaria globale.

1.4

L'entità della crisi economica e finanziaria impone di intensificare la cooperazione economica transatlantica. Un primo passo in questo senso consiste nel migliorare il coordinamento degli interventi monetari e fiscali realizzati dalle due parti, allo scopo di stimolare l'economia mondiale tramite il G20. Sarà poi opportuno definire congiuntamente un nuovo approccio comune che consenta di regolare in modo efficiente ed efficace il sistema finanziario mondiale, in modo tale da mettere definitivamente al riparo l'economia mondiale dall'assunzione di rischi eccessivi. Occorre definire regole chiare per la finanza internazionale all’interno di una profonda riforma degli organismi economici internazionali per dare un segnale forte ai cittadini ed alle imprese.

1.5

L'obiettivo del Quadro per la promozione dell'integrazione economica transatlantica, ossia migliorare l'integrazione e la crescita economica transatlantica in modo da apportare benefici ai cittadini e potenziare la competitività delle rispettive economie, dovrebbe essere realizzato sotto la supervisione del Consiglio economico transatlantico (CET).

1.6

Il Quadro è incentrato sull'idea della cooperazione normativa. Pur essendosi trovati in disaccordo su alcuni punti, l'UE e gli USA condividono molti dei valori su cui si fonda la regolamentazione delle loro economie. Cooperare sul piano normativo significa collaborare a monte per individuare e risolvere i problemi sociali, ambientali ed economici. Il CESE incoraggia la Commissione e gli Stati membri a promuovere, nel contesto delle relazioni transatlantiche, il modello sociale europeo, fondato su sistemi di protezione sociale e di dialogo civile e sociale avanzati.

1.7

Nel prossimo futuro il Consiglio economico transatlantico dovrà affrontare compiti importanti:

per risolvere la crisi finanziaria globale e affrontarne le conseguenze economiche generali occorrerà adottare regimi normativi nuovi da entrambe le sponde dell'Atlantico.

Mano a mano che l'UE, e ora anche gli Stati Uniti, si adoperano per combattere i cambiamenti climatici, sorgeranno numerose questioni normative. Il CET dovrà garantire che tali sforzi vengano ottimizzati e che al tempo stesso siano migliorate le prestazioni ambientali.

La grande depressione degli anni '30 è stata aggravata dal ricorso al protezionismo. Il CET dovrà contribuire al monitoraggio delle tendenze protezionistiche in Europa, negli USA e nel resto del mondo.

Il CET dispone di un vasto programma di iniziative di cooperazione in campo normativo. Sussistono infatti notevoli e inutili differenze nei metodi utilizzati dalle autorità di regolamentazione europee e americane nell'elaborazione di nuove norme che tengano conto degli interessi di tutte le parti coinvolte.

Le violazioni dei diritti di proprietà intellettuale continuano a moltiplicarsi in ogni parte del mondo. Il CET deve continuare a intensificare gli sforzi congiunti intesi a controllare l'applicazione della normativa nelle zone più problematiche, come ad esempio la Cina. Inoltre dovrebbe studiare come garantire la tutela dei diritti di proprietà intellettuale e al tempo stesso assicurare, ad esempio, l'accesso a farmaci a prezzi abbordabili.

Il CET deve inoltre migliorare i propri meccanismi di cooperazione. Deve essere dotato di maggiori risorse e di criteri più chiari che consentano di inserire nuovi temi nella sua agenda.

La consultazione delle parti interessate deve essere potenziata tramite una maggiore trasparenza e coordinamento, ed estesa ai Dialoghi su un piede di parità.

Ai legislatori di entrambe le sponde dell'Atlantico deve inoltre essere attribuito un ruolo più ampio nel processo.

1.8

Per raggiungere questi e altri obiettivi, è di cruciale importanza che il CET prosegua le proprie attività sotto la nuova amministrazione americana, così come con la nuova Commissione e il nuovo Parlamento europeo. Il CESE invita il presidente OBAMA a procedere rapidamente alla nomina del nuovo copresidente statunitense del CET, così da consentire la prosecuzione delle importanti attività di questo organo.

1.9

Le attuali sfide economiche sarebbero gravemente acuite da un ritorno al protezionismo nel mondo, come è avvenuto durante la crisi economica degli anni '30. Il CESE incoraggia l'UE e gli USA a collaborare per mantenere gli impegni assunti in questo senso dai leader del G20 al vertice del 15 novembre 2008 e ad adoperarsi in ogni modo per una rapida e positiva conclusione del ciclo di Doha, nonché per impedire la creazione di nuove barriere agli scambi commerciali e agli investimenti.

1.10

Analogamente, il CESE esorta l'UE e gli USA a collaborare per dissuadere altri paesi dal ricorrere a politiche che limitino l'accesso agli investimenti o ai mercati delle commesse pubbliche, come è invece purtroppo avvenuto recentemente nel corso di dibattiti al Congresso. Incoraggia inoltre UE e USA ad affrontare la questione di come rilanciare il commercio mondiale in modo da rafforzare i negoziati commerciali mondiali integrandovi le considerazioni legate allo sviluppo sostenibile e le norme sociali. Il CESE accoglie con favore l'intenzione del presidente OBAMA di attenuare le conseguenze negative degli adeguamenti commerciali per determinati lavoratori e cittadini.

1.11

Il CESE raccomanda vivamente la creazione di meccanismi di finanziamento per i Dialoghi transatlantici (TABD (2), TACD (3), TALD (4) e TAED (5), nonché l'inclusione del TALD e del TAED nel Gruppo dei consulenti del CET.

1.12

Il CESE invita l'UE e gli USA a migliorare l'accessibilità e l'apertura del processo del dialogo transatlantico e ad aumentare il coinvolgimento di rappresentanti della società civile anche esterni ai quattro Dialoghi.

1.13

Il CESE invita la Commissione europea a organizzare nel prossimo futuro una riunione delle parti interessate al dialogo transatlantico, al fine di fare il punto della situazione, procedere a uno scambio di opinioni e coordinare le azioni relative alle nuove iniziative da intraprendere. Il CESE ricorda alla Commissione che in una comunicazione del 2005 essa aveva suggerito di organizzare una conferenza tripartita nel settore delle relazioni industriali.

1.14

Il CESE, dal canto suo, propone di avviare contatti con le parti socioeconomiche statunitensi e seguirà da vicino la creazione di gruppi consultivi nell'amministrazione USA, al fine di individuare possibili interlocutori su diversi temi. Il CESE cercherà inoltre soluzioni per promuovere meglio lo scambio di conoscenze ed esperienze con i rappresentanti della società civile statunitense. Per la realizzazione di tali compiti, il CESE dovrebbe istituire un gruppo di contatto informale con funzioni di supervisione delle proprie attività nel settore delle relazioni transatlantiche.

1.15

Il CESE ritiene opportuno ed utile che tra UE e USA venga intensificata la collaborazione scientifica e culturale (dialogo culturale), come base per una maggiore comprensione reciproca ed una maggiore collaborazione politica. L’UE e gli USA devono adoperarsi congiuntamente per promuovere e favorire la creatività non solo nel campo della scienza, della tecnica e dell’innovazione, ma, in particolare, nel campo delle espressioni artistiche, come base per rilanciare nuovi valori, per una crescita ed un arricchimento delle donne e degli uomini.

2.   Contesto

2.1

Le relazioni UE-USA si inscrivono oggi in un contesto nuovo, caratterizzato da sfide e aspettative crescenti. L'elezione del presidente OBAMA ha suscitato grandi speranze in tutto il mondo e ispirato un rinnovato ottimismo nelle potenzialità delle relazioni transatlantiche. In molti ambiti, che vanno dalla risposta all'attuale crisi economica e finanziaria alla questione dei cambiamenti climatici, alla promozione dei diritti umani, alle relazioni economiche bilaterali, si nutre un'autentica speranza che l'UE e gli USA lavorino insieme e svolgano un ruolo guida. In un parere del 2004 (6), il CESE aveva individuato una serie di questioni da iscrivere nell'agenda dei negoziati transatlantici, tra cui la necessità di migliorare la governance mondiale. I recenti avvenimenti hanno evidenziato l'importanza della cooperazione in questo settore.

2.2

Le sfide che l'UE, gli USA e il resto del mondo si trovano oggi ad affrontare sono impegnative: occorre un nuovo approccio per assicurare che l'economia mondiale non sia più vittima degli abusi di un capitalismo finanziario selvaggio. L'economia transatlantica e mondiale vivono la più grave crisi economica degli ultimi decenni: la lotta ai cambiamenti climatici richiede l'impegno di tutti i soggetti coinvolti, e in materia di politica estera molte sono le questioni importanti da affrontare per promuovere la pace, la democrazia e i diritti umani nel mondo intero. Senza una più profonda cooperazione UE-USA, gli sforzi dell'Europa per risolvere tali problemi saranno insufficienti.

2.3

La società civile europea e le parti sociali, grazie alla loro rappresentatività e alle loro competenze in specifici settori, hanno un ruolo essenziale da svolgere nel contribuire a tale cooperazione rinnovata. Affinché essa si traduca in realtà, è fondamentale che i numerosi organismi politici attraverso i quali l'UE e il governo degli USA intrattengono un dialogo si impegnino di più con tutti i soggetti interessati. La libertà di circolazione dei cittadini rappresenta un passo importante per migliorare le relazioni UE-USA incoraggiando gli scambi commerciali, culturali e sociali. L'ampliamento dello «spazio senza visti» tra gli Stati membri dell'UE e gli USA dovrebbe rimanere una delle priorità politiche da perseguire.

2.4

Sino ad oggi le relazioni bilaterali UE-USA si sono inscritte nel quadro della Dichiarazione transatlantica (7) del novembre 1990, seguita nel 1995 dalla Nuova agenda transatlantica (NTA) (8) e, nel maggio 1998, dal Partenariato economico transatlantico (TEP) (9). Un ulteriore sviluppo istituzionale è stata la firma, nell'aprile 2007, del Quadro per la promozione dell'integrazione economica transatlantica (10), che ha dato vita al Consiglio economico transatlantico (CET) (11).

2.5

Finora le interazioni politiche sono state incentrate più sulle questioni di politica estera e su quelle economiche e commerciali che sulle tematiche sociali e dello sviluppo sostenibile. Inoltre, salvo poche eccezioni, il coinvolgimento delle parti interessate, che pure conta su una solida tradizione e buoni risultati in numerosi paesi europei e a livello comunitario, non è ancora diventato un elemento portante delle relazioni UE-USA. Pur sottolineando e valorizzando ciò che funziona bene in questa nuova era della cooperazione transatlantica, il CESE invita l'UE e gli USA a occuparsi dei settori che necessitano di un miglioramento.

2.6

Il presente parere non copre tutti gli aspetti delle relazioni transatlantiche. Non riguarda il Canada, le cui relazioni con l'UE saranno oggetto di un parere distinto. Esso è invece incentrato su pochi aspetti delle relazioni UE-USA, quali il multilateralismo, il commercio, la cooperazione economica transatlantica, i cambiamenti climatici globali e il coinvolgimento delle parti interessate.

3.   Multilateralismo

3.1

Negli ultimi anni le relazioni UE-USA sono state caratterizzate da approcci divergenti in materia di istituzioni multilaterali. Vi sono forti motivi di ritenere che il nuovo governo americano perseguirà una politica di maggiore impegno sia con i partner alleati che con le organizzazioni internazionali. Il CESE invita i responsabili politici europei a cogliere questa opportunità e a promuovere, di concerto e in collaborazione con gli USA, le riforme necessarie a rafforzare il sistema dell'ONU, inclusi l'OIL, la Corte penale internazionale, l'OMPI, il G8, il G20, l'OMC, la Banca mondiale e l'FMI, con l'intento di rendere tali istituzioni più efficaci nel fornire una risposta alle sfide di lungo termine poste dalla globalizzazione e dall'attuale crisi finanziaria globale. Il CESE sostiene la proposta, formulata dal cancelliere Angela Merkel a Parigi nello scorso mese di gennaio, di creare un Consiglio economico e sociale in seno all'ONU. Tale organo dovrebbe essere alla pari con il Consiglio di sicurezza.

3.2

Uno degli insegnamenti tratti dalle relazioni UE-USA degli anni passati è l'impossibilità di risolvere gravi problemi globali senza un consenso tra UE e USA. Per migliorare la situazione sotto la nuova amministrazione, UE e USA dovrebbero collaborare strettamente per definire strategie comuni su molte questioni legate alla sicurezza mondiale e ai diritti dell'uomo.

3.3

La governance transatlantica non è alternativa, bensì complementare alle relazioni multilaterali, sia per l'UE che per gli USA. Essendo i due attori principali sulla scena mondiale, UE e USA devono collaborare su tutte le questioni di rilevanza internazionale, che si tratti della gestione della liberalizzazione del commercio o del maggior rispetto di talune politiche di tutela ambientale e del lavoro.

3.4

Affinché l'UE e gli USA possano dar prova di leadership sulla scena mondiale è fondamentale che vengano rispettati e applicati pienamente gli accordi multilaterali. Il primo passo in questa direzione dovrebbe essere la ratifica di tutte le convenzioni OIL (12) e delle decisioni dell'OMC da parte dell'UE, dei suoi Stati membri e degli USA.

4.   Cooperazione economica

4.1   La crisi economica e finanziaria

4.1.1

L'attuale contesto mondiale, caratterizzato dalla crisi finanziaria più profonda e dalla congiuntura economica più difficile degli ultimi decenni, richiede un'intensificazione della cooperazione economica transatlantica. Ciò significa innanzitutto che le misure monetarie e fiscali adottate dalle due parti devono agire in modo coordinato per dimostrarsi efficaci nelle nostre economie, strettamente interconnesse. Il CESE esprime preoccupazione per l'insufficiente coordinamento osservato finora. L'UE e gli USA, in collaborazione con gli altri grandi attori economici, devono intensificare il loro impegno su questo fronte, in particolare tramite il G20, per far progredire le nostre economie. Il piano americano di ripresa e reinvestimento approvato nel febbraio 2009 e il piano europeo di ripresa economica adottato dal Consiglio europeo nel dicembre 2008 presentano notevoli analogie, benché il piano europeo risenta di un'insufficiente unità d'intenti. Entrambi vanno perseguiti con l'obiettivo della complementarietà reciproca ed evitando l'adozione di misure protezionistiche.

4.1.2

Il secondo passo verso la ripresa è la definizione di un nuovo approccio comune inteso a garantire una regolamentazione efficace ed efficiente del sistema finanziario mondiale, in grado di mettere definitivamente al riparo l'economia dall'assunzione di rischi eccessivi. Entrambe le parti adottano nuove misure di regolamentazione ed è necessario uno stretto coordinamento per evitare inutili divergenze. Per tale ragione, sia il CET sia il Quadro del 2007 cui esso dà attuazione rivestono più che mai un'importanza fondamentale.

4.2   Il Consiglio economico transatlantico

4.2.1

Il Quadro per la promozione dell'integrazione economica transatlantica si propone di migliorare l'integrazione economica transatlantica e la crescita in modo da apportare benefici ai cittadini e promuovere la competitività delle nostre economie. Tale obiettivo deve essere conseguito sotto la supervisione del CET, che si riunisce almeno una volta l'anno e ha l'incarico di sovrintendere agli sforzi delineati nel Quadro allo scopo di accelerare i progressi, nonché di fissare obiettivi intermedi e favorire azioni congiunte. Tale mandato conferisce al CET un notevole potere propulsivo rispetto all'integrazione economica transatlantica, specialmente in un momento di crisi.

4.2.2

Il Quadro è incentrato sull'idea della cooperazione normativa. L'UE e gli USA condividono molti dei valori alla base della regolamentazione delle loro economie. Ad esempio condividono l'idea che lo scopo della regolamentazione è garantire un livello elevato di tutela dell'ambiente, della salute e della sicurezza umana e animale, nonché di sicurezza economica e giuridica. Ritengono inoltre che la regolamentazione dell'economia debba portare a tali risultati nel modo più efficiente possibile, limitando al massimo le perturbazioni all'attività economica, e basarsi su competenze di altissima qualità. Certo le divergenze esistono, come dimostrato dai casi di ricorso all'OMC, e alcune sono il frutto di atteggiamenti profondamente diversi tra i cittadini. Tuttavia, in molti casi le differenze sono dovute semplicemente a una consultazione insufficiente tra le autorità di regolamentazione e la società civile. Cooperazione normativa significa collaborare, anche tramite i contatti con la società civile, all'individuazione congiunta dei problemi sociali, ambientali ed economici e alla loro risoluzione.

4.2.3

Un settore che potrebbe trarre beneficio da un maggiore contatto con la società civile è quello della sicurezza alimentare. Le relazioni UE-USA sono state a lungo perturbate da una serie di divergenze in materia, ivi comprese le norme riguardanti la presenza di ormoni nelle carni bovine e i trattamenti antimicrobici nel pollame. In questi casi l'UE non era disposta ad accettare le norme USA. Contenziosi più vasti sono sorti in merito all'uso degli organismi geneticamente modificati negli alimenti.

4.2.4

Fino a oggi il CET si è riunito tre volte, l'ultima a Washington il 12 dicembre 2008. Nonostante la sua breve vita, esso ha compiuto importanti progressi in settori fondamentali per l'economia:

ha portato al riconoscimento dell'equivalenza dei principi internazionali d'informativa finanziaria e dei principi contabili USA da parte sia delle autorità dell'UE che di quelle statunitensi. Tale riconoscimento ha comportato un risparmio di miliardi per le aziende europee,

il dibattito nel quadro del CET ha permesso all'UE e agli USA di adottare approcci coordinati in materia di fondi sovrani,

in tema di sicurezza, quest'anno le due parti hanno concordato una tabella di marcia congiunta per il riconoscimento reciproco dei rispettivi programmi in materia di sicurezza dei trasporti: ciò significa che in futuro i trasportatori saranno in grado di garantire i massimi standard di sicurezza aderendo a un unico programma,

il Forum di alto livello sulla cooperazione normativa del CET sta trovando un terreno d'intesa fra le autorità di regolamentazione su questioni quali la valutazione dell'impatto e del rischio e la sicurezza dei prodotti importati dalla Cina e da altri paesi.

4.2.5

Ora si prospettano al CET compiti importanti da affrontare e la possibilità di migliorare il proprio funzionamento:

per risolvere la crisi finanziaria globale e affrontarne le conseguenze per l'intera economia occorreranno regimi normativi nuovi su entrambe le sponde dell'Atlantico. Tale regolamentazione, certamente necessaria, dovrebbe essere proporzionata agli ambiziosi obiettivi da perseguire e, soprattutto, coordinata fra i due hub finanziari mondiali.

Mano a mano che l'UE, e ora anche gli Stati Uniti, si adoperano per combattere i cambiamenti climatici, sorgeranno numerose questioni normative, fra cui la definizione dei requisiti per i combustibili puliti e i dettagli tecnici dei sistemi per lo scambio delle quote di emissione. Il CET dovrà garantire l'ottimizzazione dell'efficacia e dell'efficienza economica di tali sforzi evitando approcci incompatibili.

Le nuove iniziative per la sicurezza, come la normativa statunitense del 2007 che prevede la scansione di tutte le merci in arrivo negli USA, non utilizzano strumenti adeguati per migliorare la sicurezza e finiscono col creare nuove barriere agli scambi commerciali.

Le violazioni dei diritti di proprietà intellettuale continuano a moltiplicarsi in ogni parte del mondo. Il CET deve continuare a intensificare gli sforzi congiunti intesi a controllare l'applicazione della normativa nelle zone più problematiche, come la Cina. Nei dibattiti andrebbe inoltre affrontato il tema di come garantire la tutela dei diritti di proprietà intellettuale e al tempo stesso assicurare l'accesso a farmaci a prezzi abbordabili.

Il CET dispone di un vasto programma di iniziative di cooperazione in campo normativo. Sussistono infatti notevoli e inutili differenze nei metodi utilizzati dalle autorità di regolamentazione europee e americane nell'elaborazione di nuove norme (valutazione del rischio, livello scientifico, consultazione delle parti interessate ecc.). Per migliorare realmente l'integrazione economica, è necessario compiere maggiori progressi in questi ambiti.

Il CET deve inoltre migliorare i propri meccanismi di cooperazione. Deve essere dotato di maggiori risorse e di una struttura più definita, come ad esempio criteri chiari per l'inserimento di nuovi temi nella sua agenda e un mandato più forte per poter invitare le autorità di regolamentazione a rendere compatibili le loro differenze. Ai legislatori di entrambe le sponde dell'Atlantico deve inoltre essere attribuito un ruolo più ampio nel processo.

Un elemento chiave sarà il rafforzamento della consultazione delle parti interessate tramite una maggiore trasparenza e coordinamento (si veda il punto 6).

4.2.6

Per conseguire questi e altri obiettivi, è di cruciale importanza che il CET prosegua e ampli le sue attività sotto la nuovo amministrazione americana, così come con la nuova Commissione e il nuovo Parlamento europeo. Il CESE si aspetta che il presidente Obama proceda rapidamente alla nomina del nuovo copresidente statunitense del CET, così da consentire la prosecuzione delle importanti attività di questo organo.

4.3   Commercio

4.3.1

Le attuali sfide economiche sarebbero gravemente acuite da un ritorno al protezionismo nel mondo, come è avvenuto durante la crisi economica degli anni '30. Il CESE incoraggia l'UE e gli USA a collaborare per mantenere gli impegni assunti dai leader del G20 al vertice del 15 novembre 2008 e ad adoperarsi in ogni modo per una rapida e positiva conclusione del ciclo di Doha, nonché per impedire la creazione di nuove barriere agli scambi commerciali e agli investimenti. L'UE e gli USA dovranno cooperare per garantire l'applicazione degli impegni commerciali già assunti da parte dei principali partner commerciali mano a mano che si accentuerà la tendenza ad assumere misure protezionistiche a difesa delle imprese nazionali. In particolare essi dovranno dare il buon esempio agli altri, dissuadendoli dal ricorrere a politiche che limitino l'accesso agli investimenti o ai mercati delle commesse pubbliche, diversamente da quanto è avvenuto nelle recenti discussioni al Congresso statunitense. Il CESE incoraggia inoltre l'UE e gli USA ad affrontare la questione di come rilanciare il commercio mondiale in modo da rafforzare i negoziati commerciali mondiali integrandovi le considerazioni legate allo sviluppo sostenibile e le norme sociali.

4.3.2

Sarebbe bene che il nuovo governo americano chiarisse maggiormente ai partner commerciali la sua posizione in merito. In queste prime fasi esso sembra invece attribuire una maggiore importanza alle questioni ambientali e sociali associate al commercio, e adottare un atteggiamento più aperto in campo commerciale.

4.3.3

Il CESE accoglie con grande favore questo approccio al commercio internazionale e raccomanda che l'UE sostenga ogni spinta verso accordi commerciali intesi a migliorare sia l'offerta che la domanda di buona governance a livello nazionale e internazionale e ad affrontare le questioni legate ai diritti dei lavoratori e alla protezione dell'ambiente.

5.   Cambiamenti climatici globali

5.1

I paesi europei, da tempo all'avanguardia nelle politiche climatiche, hanno a lungo atteso che gli Stati Uniti si associassero a loro adottando iniziative ambiziose in materia. La nuova amministrazione USA ha promesso di compiere grandi sforzi per lottare contro i cambiamenti climatici globali. Il CESE si augura che vengano adottate politiche nuove e più incisive per ridurre le emissioni dei gas a effetto serra. Oltre a pianificare l'attuazione di un sistema fondato su un tetto massimo di emissioni e sullo scambio delle quote per limitare le emissioni di biossido di carbonio (CO2) da parte delle grandi industrie, l'amministrazione OBAMA aumenterà probabilmente gli investimenti nel settore delle energie rinnovabili. Occorrerebbe sfruttare, su scala globale, le iniziative di rilancio della crescita per creare posti di lavoro «verdi»e riorientare in questa direzione investimenti e innovazione.

5.2

Il CESE approva l'intenzione del presidente OBAMA di investire in tecnologie efficienti e pulite a livello nazionale e, nel contempo, di mettere a frutto le politiche statunitensi di assistenza e promozione delle esportazioni per aiutare i paesi in via di sviluppo a superare la fase di sviluppo ad alta intensità di carbonio ed energia. Accoglie inoltre con favore la richiesta di impegni vincolanti e applicabili per ridurre le emissioni.

5.3

Il CESE invita gli USA a partecipare alla Conferenza dell'ONU che si terrà a Copenaghen nel dicembre 2009 con una posizione negoziale chiara e forte, che consenta di avvicinare le posizioni degli USA e dell'UE in vista di un nuovo protocollo internazionale post-Kyoto sulla riduzione delle emissioni. L'UE si aspetta un profondo impegno nei negoziati per la Convenzione quadro dell'ONU sui cambiamenti climatici (UNFCC) e un forte sostegno a suo favore.

5.4

Per quanto concerne l'UE, per giungere a un approccio più coerente per il raggiungimento degli obiettivi comunitari in materia di clima, il CESE invita gli Stati membri a pervenire a un consenso per superare le tensioni fra, da un lato, la competitività economica e, dall'altro, maggiori sacrifici a favore dell'ambiente, e a non ridurre gli investimenti destinati alle nuove iniziative di ricerca in materia di tecnologie innovative e più ecologiche in questo periodo di crisi economica globale.

5.5

Il CESE invita la Commissione europea e la nuova amministrazione USA a coinvolgere attivamente le ONG e le reti ambientaliste, così come le imprese e i sindacati, in preparazione della conferenza dell'ONU che si svolgerà a Copenaghen nel dicembre 2009 e a ripristinare il TAED, che potrebbe fungere da organismo di coordinamento delle parti interessate attive nel settore dell'ambiente e costituire un partner in tali preparativi.

6.   Partecipazione delle parti interessate

6.1

L'UE e gli USA hanno tradizioni diverse in materia di partecipazione delle parti interessate al processo decisionale politico. La nuova agenda transatlantica ha impegnato UE e USA a una cooperazione sistematica intesa, fra l'altro, a creare contatti tra i popoli delle due sponde dell'Atlantico. Di conseguenza, sono stati avviati dialoghi con la società civile fra gruppi di lavoratori, di consumatori e per la tutela ambientale.

L'attività dei Dialoghi transatlantici istituiti nella seconda metà degli anni '90 e il loro coinvolgimento nelle strutture di cooperazione UE-USA sono stati diseguali, specialmente nei vertici UE-USA, caratterizzati da un'attenzione esclusiva per il TABD. Inoltre, il Gruppo dei consulenti del CET comprende unicamente il TABD, il TACD e il TLD (Dialogo transatlantico tra legislatori). I restanti due Dialoghi, il TALD e il TAED, sono stati esclusi senza consultazione delle parti interessate.

6.2

In tale contesto il Parlamento europeo, nella sua risoluzione dell'8 maggio 2008 sul CET, ha chiesto che i presidenti del TALD e del TAED siano inclusi nel Gruppo dei consulenti. Il CESE sostiene con vigore tale richiesta ed esorta il CET a procedere alla revisione delle modalità operative adottate dai suoi copresidenti il 28 giugno 2007 a Berlino.

6.3

Le nuove modalità operative devono prevedere anche migliori meccanismi di trasparenza e di coordinamento con il Gruppo dei consulenti, compreso l'accesso ai documenti e la convocazione delle riunioni con sufficiente anticipo.

6.4

Il CESE appoggia il nuovo invito, lanciato dal Parlamento europeo nel progetto di relazione sullo stato delle relazioni transatlantiche all'indomani delle elezioni negli USA, a una comprensione più approfondita delle società civili delle due parti (13). Il CESE deve assumere un ruolo in questo processo.

6.5

Tutti i vari gruppi di interesse coinvolti nei Dialoghi hanno esperienza pregressa nella creazione di reti transnazionali. Le iniziative assunte dagli USA e dall'UE negli anni '90 con l'intento di tener conto delle nuove realtà dell'integrazione europea hanno inoltre creato nuove opportunità per le organizzazioni transatlantiche della società civile (14).

6.6

I risultati raggiunti dai quattro Dialoghi sopra menzionati e il sostegno da essi ottenuto da parte dei leader politici di entrambe le sponde dell'Atlantico sono stati variabili. Il TACD funziona bene ed è molto attivo nei lavori preparatori ai vertici UE-USA e nelle attività del CET.

6.7

Il TAED invece, purtroppo, dopo un avvio relativamente positivo, è stato sospeso a due anni dall'inizio delle attività. Vi sono buone ragioni perché venga ripristinato e contribuisca così ai lavori del CET e ai vertici UE-USA. Il CESE raccomanda vivamente la creazione di adeguati meccanismi di finanziamento a favore dei Dialoghi e l'inclusione del TALD e del TAED (una volta ripristinato) nel Gruppo dei consulenti del CET.

6.8

Il CESE si rende conto che, per talune organizzazioni della società civile, le relazioni transatlantiche bilaterali possano non essere sempre necessariamente la forma più naturale di cooperazione transnazionale. Nel caso dei sindacati e dei gruppi ambientalisti, la dimensione transatlantica si trova a competere non soltanto con le questioni nazionali, ma anche con i temi di portata globale, come i cambiamenti climatici o il diritto sindacale nei paesi in via di sviluppo. Ciononostante, il coinvolgimento di un più ampio numero di soggetti interessati nelle relazioni UE-USA conferisce sostegno popolare e legittimità democratica all'intero processo. Il CESE invita l'UE e gli USA a migliorare l'accessibilità e l'apertura del processo del dialogo transatlantico e ad aumentare il coinvolgimento dei rappresentanti della società civile.

6.9

Il CESE invita la Commissione europea a organizzare nel prossimo futuro una riunione di tutte le parti coinvolte nelle relazioni transatlantiche per fare il punto della situazione, procedere a uno scambio di opinioni e coordinare gli interventi relativi alle nuove iniziative da intraprendere. Offre il proprio coinvolgimento attivo in tale iniziativa per quanto concerne la partecipazione della società civile.

6.10

Nella comunicazione del 18 giugno 2005 (COM(2005) 196 def.), la Commissione proponeva alcuni suggerimenti interessanti, fra cui la promozione del dialogo tra i rappresentanti delle parti sociali dell'UE e degli USA, compresa una conferenza tripartita nel settore delle relazioni industriali. Sarebbe opportuno riesaminare tali suggerimenti, ai quali non è mai stato dato seguito. Uno scambio fra le parti sociali dell'UE e degli USA risulterebbe di particolare utilità nel contesto della proposta USA di introdurre una legge di riforma delle libertà sindacali (l'Employee Free Choice Act).

6.11

Il CESE avvierà contatti con i partner economici e sociali statunitensi (imprese, sindacati, agricoltori, consumatori ecc.) per accertare se siano interessati all'organizzazione di un dialogo su una o due tematiche specifiche, come i cambiamenti climatici o il commercio e lo sviluppo sostenibile, che sarebbero di utilità per ambedue le sponde dell'Atlantico. L'obiettivo di un siffatto dialogo è coinvolgere simultaneamente tutte le varie parti interessate, diversamente dai Dialoghi esistenti, che operano ciascuno entro la propria sfera di competenza e con le rispettive organizzazioni. Il CESE instaurerà poi contatti con la Commissione europea e l'amministrazione americana per ottenerne il sostegno e stabilire se siano interessate.

6.12

Il CESE seguirà da vicino l'istituzione di gruppi consultivi all'interno dell'amministrazione, al fine di individuare possibili interlocutori su diversi argomenti. Rifletterà inoltre su come meglio promuovere lo scambio di conoscenze ed esperienze con i rappresentanti della società civile statunitense su questioni di interesse comune. In tale contesto, si propone che la sezione specializzata Relazioni esterne istituisca un gruppo di contatto informale, su base transitoria, con funzioni di supervisione delle attività del CESE nel settore delle relazioni transatlantiche. Qualora tale esperienza avesse esito positivo, il gruppo di contatto potrebbe essere trasformato in struttura ufficiale permanente.

6.13

Nel suo progetto di relazione, il Parlamento europeo ribadisce la necessità di sostituire l'attuale NTA, risalente al 1995, con un nuovo accordo di partenariato transatlantico, in grado di fornire una base più stabile e aggiornata alle relazioni UE-USA (15). Il CESE sostiene con vigore tale invito e auspica che quando verrà negoziato il nuovo strumento i gruppi di interesse della società civile statunitense ed europea siano coinvolti sin dall'inizio. L'inclusione dei soggetti della società civile organizzata avrebbe l'effetto di rafforzare e migliorare le strutture istituzionali.

6.14

Un dialogo rafforzato si tradurrebbe in una partecipazione più attiva della società civile di entrambe le sponde dell'Atlantico, stimolando così l'efficacia delle reti e promuovendo lo scambio di opinioni all'interno delle reti transatlantiche della società civile e tra di esse, compresi i Dialoghi. Esso consentirebbe infine un accesso di alto livello ai poteri pubblici e contribuirebbe a favorire le relazioni tra le reti e i Dialoghi da un lato e i governi/l'amministrazione dall'altro.

Bruxelles, 25 marzo 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale.

(2)  Dialogo transatlantico tra imprese (Transatlantic Business Dialogue).

(3)  Dialogo transatlantico tra consumatori (Transatlantic Consumer Dialogue).

(4)  Dialogo transatlantico sul lavoro (Transatlantic Labour Dialogue).

(5)  Dialogo transatlantico sull'ambiente (Transatlantic Environmental Dialogue).

(6)  Parere del CESE sul tema Il dialogo transatlantico - come migliorare le relazioni transatlantiche, GU C 241 del 28.9.2004.

(7)  Dichiarazione transatlantica sulle relazioni CE-USA del 1990: http://ec.europa.eu/external_relations/us/docs/trans_declaration_90_en.pdf.

(8)  Cfr. http://eurunion.org/eu/index.php?option=com_content&task=view&id=2602&Itemid=9.

(9)  Cfr. http://ec.europa.eu/external_relations/us/docs/trans_econ_partner_11_98_en.pdf.

(10)  Cfr. http://www.eu2007.de/de/News/download_docs/April/0430-RAA/022Framework1.pdf.

(11)  Cfr. http://ec.europa.eu/enterprise/enterprise_policy/inter_rel/tec/index_en.htm.

(12)  Per informazioni sul tasso di ratifica delle convenzioni OIL si veda il documento Information Document on Ratifications and Standards Related Activities Report III (Part II), Conferenza internazionale sul lavoro, 97a sessione, 2008.

(13)  Progetto di relazione sullo stato delle relazioni transatlantiche all'indomani delle elezioni negli USA (2008/2199(INI)).

(14)  Per una breve descrizione dei Dialoghi, si veda il parere del CESE sul tema Il dialogo transatlantico – come migliorare le relazioni transatlantiche, del 3 giugno 2004, relatrice: Eva BELABED, GU C 241 del 28.9.2004.

(15)  Progetto di relazione del Parlamento europeo sullo stato delle relazioni transatlantiche all'indomani delle elezioni negli USA (2008/2199 (INI)).


III Atti preparatori

Comitato economico e sociale europeo

452a sessione plenaria del 24 e del 25 marzo 2009

22.9.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 228/40


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro bianco in materia di azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie

COM(2008) 165 def.

2009/C 228/06

La Commissione, in data 2 aprile 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al:

«Libro bianco in materia di azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie»

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 marzo 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore ROBYNS DE SCHNEIDAUER.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 marzo 2009, nel corso della 452a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 54 voti favorevoli, 4 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

L'accesso a un'effettiva tutela giurisdizionale è un diritto fondamentale contemplato nella Carta europea dei diritti fondamentali. Per tale ragione il CESE insiste sulla necessità di promuovere l'accesso dei cittadini a tale tutela, in particolare quando si tratta di rimediare alle violazioni delle norme della concorrenza, da cui sono danneggiati non soltanto quegli operatori concorrenti che rispettano le regole, ma anche i consumatori, le PMI e i lavoratori delle imprese interessate, in quanto vengono messi in pericolo i loro posti di lavoro e il loro potere d'acquisto. Il Comitato accoglie con favore il Libro bianco della Commissione, cui dà il suo sostegno per quanto riguarda questo aspetto. Il CESE sottolinea la necessità di disporre di mezzi più efficaci per consentire ai soggetti danneggiati dalle violazioni delle norme antitrust di ottenere l'integrale ristoro di tutti i danni subiti, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee. Un sistema equilibrato che presti attenzione agli interessi di tutti è essenziale per la società nel suo insieme.

1.2

Il principio guida della politica della concorrenza deve essere la ferma applicazione nell'ambito pubblico degli articoli 81 e 82 del Trattato CE da parte della Commissione e delle autorità nazionali garanti della concorrenza degli Stati membri. Il Comitato è consapevole dei diversi intralci ed ostacoli che si frappongono all'attuazione dei diritti individuali e collettivi su iniziativa dei privati danneggiati che chiedono di essere pienamente risarciti, e accoglie con grande favore gli sforzi della Commissione per affrontare questi problemi. Queste azioni risarcitorie costituiscono un elemento necessario per l'applicazione efficace degli articoli 81 e 82 del Trattato CE: esse integreranno - ma non potranno sostituire, né mettere a repentaglio - l'attuazione del diritto da parte della autorità pubbliche. Inoltre, il miglioramento delle norme privatistiche avrà effetti positivi come elemento di dissuasione rispetto a future violazioni.

1.3

Il CESE reputa necessario un quadro giuridico che migliori le condizioni per l'esercizio del diritto dei danneggiati - sancito dal Trattato - a essere risarciti per tutti i danni subiti per il mancato rispetto delle norme antitrust comunitarie. Per tale motivo, a livello comunitario e degli Stati membri vanno adottate le misure necessarie, vincolanti e non vincolanti, per migliorare i procedimenti giudiziari nell'Unione europea e garantire una tutela minima soddisfacente dei diritti dei danneggiati. I metodi stragiudiziali di composizione delle controversie possono solo essere complementari ai procedimenti giudiziari. Questi metodi, infatti, possono costituire un'alternativa interessante, offrendo una procedura meno formale e meno costosa, a patto che entrambe le parti della controversia siano realmente intenzionate a cooperare e solo se è comunque effettivamente disponibile una tutela giurisdizionale.

1.4

Per quanto riguarda le azioni collettive, il CESE reputa necessario istituire dei meccanismi idonei a consentirne un esercizio efficace, basandosi su un approccio europeo e su misure, radicate nella cultura e nelle tradizioni giuridiche europee, che facilitino l'accesso alla giustizia agli enti a ciò abilitati dalla legge e ai gruppi costituiti dai danneggiati. Misure di follow-up dovrebbero offrire tutele adeguate nei confronti dell'introduzione di elementi che in altri ordinamenti giuridici hanno dimostrato di prestarsi ad abusi con maggiore facilità. Il CESE invita la Commissione a garantire un coordinamento con altre iniziative per agevolare i risarcimenti, in particolare con l'iniziativa in corso presso la DG SANCO.

1.5

Le proposte contenute nel Libro bianco riguardano un quadro giuridico complesso, che interessa i sistemi procedurali nazionali e in particolare le norme in materia di legittimazione processuale, divulgazione delle prove, colpa e ripartizione delle spese.

1.6

Per quel che riguarda l'accesso alle prove e la loro divulgazione inter partes, ci si dovrebbe basare sull'allegazione dei fatti e su un rigoroso controllo giurisdizionale della fondatezza dell'azione e della proporzionalità della richiesta di divulgazione.

1.7

Il CESE chiede alla Commissione di dare seguito al Libro bianco e di proporre le misure adeguate a conseguirne gli obiettivi; ciò nel costante rispetto del principio di sussidiarietà, ma senza che l'applicazione di quest'ultimo renda più difficile superare gli ostacoli che oggi intralciano l'accesso ai meccanismi efficaci di ricorso utilizzabili dai danneggiati per ottenere il risarcimento dei danni causati dalle violazioni delle norme antitrust.

2.   Introduzione

2.1   Il CESE sottolinea che gli individui o le imprese danneggiati dalle violazioni delle norme sulla concorrenza devono poter chiedere il risarcimento al soggetto che ha causato il danno. In proposito il Comitato prende nota del fatto che le compagnie di assicurazione non forniscono copertura assicurativa per le conseguenze - principalmente il risarcimento del danno - cui un'impresa si espone con la violazione intenzionale di norme antitrust ed è convinto che ciò accresca l'effetto dissuasivo nei confronti delle imprese, dato che in tal caso esse sono costrette a sostenere l'intero costo del risarcimento del danno da loro causato e a pagare le ammende previste in tal caso.

2.2   Come osservato in passato dal CESE (1), la politica di concorrenza è strettamente legata ad altre politiche, come quelle in materia di mercato interno e di consumatori. Sarebbe quindi opportuno promuovere, nella misura del possibile, il coordinamento delle iniziative volte ad agevolare il risarcimento del danneggiato.

2.3   La Corte di giustizia ha garantito il diritto dei soggetti danneggiati, siano essi cittadini o imprese, a ottenere il risarcimento nel caso in cui subiscano danni in conseguenza del mancato rispetto delle norme antitrust comunitarie (2).

2.4   A seguito del dibattito pubblico innescato dalla pubblicazione nel 2005 del Libro verde della Commissione Azioni di risarcimento del danno per infrazione delle norme antitrust comunitarie  (3), il CESE (4) e il Parlamento europeo (5) hanno sostenuto il punto di vista della Commissione e l'hanno esortata ad adottare misure concrete. In particolare, il Comitato ha accolto favorevolmente l'iniziativa della Commissione, sottolineato gli ostacoli incontrati dai danneggiati quando cercavano di ottenere un risarcimento e richiamato il principio di sussidiarietà.

2.5   Nell'aprile 2008 la Commissione ha formulato alcune proposte specifiche nel Libro bianco in esame (6), in cui si analizzano i problemi relativi alle azioni di risarcimento del danno per violazione di norme antitrust e si delineano una serie di misure volte a facilitare tali azioni. Le misure e le scelte politiche ivi proposte riguardano i seguenti nove aspetti: la legittimazione ad agire; l'accesso alle prove; l'effetto vincolante delle decisioni delle autorità nazionali garanti della concorrenza; il criterio relativo alla colpa; il risarcimento del danno; il trasferimento del sovrapprezzo; i termini di prescrizione; le spese relative alle azioni di risarcimento del danno; l'interazione tra i programmi di clemenza e le azioni di risarcimento del danno.

2.6   Per elaborare il Libro bianco, la Commissione ha proceduto ad ampie consultazioni che hanno coinvolto rappresentanti dei governi degli Stati membri, giudici degli organi giurisdizionali nazionali, rappresentanti delle imprese, associazioni di consumatori, altri operatori del diritto e molte altre parti interessate.

2.6.1   Una concorrenza non falsata è parte integrante del mercato interno ed è importante per attuare la strategia di Lisbona. L'obiettivo principale del Libro bianco è quello di migliorare le condizioni giuridiche di esercizio, conformemente al Trattato, del diritto dei danneggiati a ottenere il risarcimento per i danni subiti a causa del mancato rispetto delle norme antitrust comunitarie. Quello del risarcimento completo è, pertanto, il primo e più importante principio guida.

2.6.2   Il Libro bianco affronta i seguenti aspetti:

legittimazione ad agire: acquirenti indiretti e azioni collettive,

accesso alle prove: divulgazione inter partes,

effetto vincolante delle decisioni delle autorità nazionali garanti della concorrenza,

criterio relativo alla colpa,

risarcimento del danno,

trasferimento del sovrapprezzo,

termini di prescrizione,

spese relative alle azioni di risarcimento del danno,

interazione tra i programmi di clemenza e le azioni di risarcimento del danno.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1   Il CESE è favorevole a un sistema più efficace che consenta a chi ha subito un danno in conseguenza di violazioni delle norme antitrust comunitarie di ricevere un risarcimento equo. Attualmente, i soggetti danneggiati dalle violazioni delle norme antitrust possono chiedere il risarcimento del danno sulla base delle norme generali in materia di responsabilità civile e del diritto processuale del proprio Stato membro. Tuttavia, tali procedure spesso sono insufficienti per garantire un risarcimento effettivo, specie nei casi in cui molti soggetti abbiano subito un danno della stessa natura.

3.2   Il Comitato riconosce l'importanza delle questioni sollevate dal Libro bianco. Le osservazioni che seguono si concentrano sui temi che il CESE considera più delicati nel quadro del dibattito in corso. Il Comitato chiede alla Commissione di garantire che un effettivo risarcimento per i soggetti danneggiati da violazioni delle norme antitrust sia disponibile in tutti gli Stati membri dell'UE e, quindi, invita la Commissione a proporre le misure necessarie per dare seguito al Libro bianco a livello comunitario. Il CESE sottolinea che occorre tener conto del principio di sussidiarietà nel valutare proposte specifiche a livello dell'UE e rammenta che tali proposte dovrebbero opportunamente conciliarsi con i sistemi giuridici e procedurali degli Stati membri.

3.3   Il CESE è dell'avviso che i soggetti danneggiati debbano ricevere il risarcimento completo del valore reale del pregiudizio subito, valore che comprende non solo la perdita in senso stretto (il «danno emergente», materiale o morale), ma anche il lucro cessante e il diritto agli interessi.

3.3.1   Il CESE ritiene opportuno che l'intervento comunitario da parte della Commissione prenda in considerazione due tipi di strumenti complementari:

da una parte, uno strumento legislativo europeo in cui sia codificato l'acquis comunitario relativo alla portata del risarcimento dei danni che i soggetti danneggiati da violazioni del diritto della concorrenza possono ottenere,

dall'altra, un quadro di indicazioni non vincolanti per la quantificazione dei danni, ad esempio attraverso metodi approssimati di calcolo o regole semplificate per la stima del pregiudizio subito.

3.4.   Ad avviso del CESE, qualsiasi persona danneggiata che sia in grado di dimostrare un nesso causale sufficiente la violazione e il danno deve poter ottenere il risarcimento di quest'ultimo. È chiaro però che occorre cercare di evitare l'insorgere di situazioni che diano luogo a un arricchimento senza causa, per esempio nel caso di acquirenti che hanno trasferito il sovrapprezzo. Secondo il CESE, qualunque sia il livello (nazionale o comunitario) a cui la misura pertinente viene adottata, in queste circostanze i convenuti dovrebbero avere il diritto di eccepire l'avvenuto trasferimento del sovrapprezzo a fronte di una richiesta di risarcimento di detto sovrapprezzo. L'onere della prova per questa argomentazione non dovrebbe essere inferiore a quello previsto per la dimostrazione del danno da parte dell'attore.

3.5   In considerazione delle divergenze esistenti nel calcolo dei termini di prescrizione, per garantire la certezza giuridica è importante unificare i relativi criteri. A tale proposito il CESE ritiene che:

il termine di prescrizione non dovrebbe iniziare a decorrere, in caso di violazione continuata o reiterata, prima del giorno in cui l'infrazione cessa, ovvero prima che si possa ragionevolmente presumere che il soggetto danneggiato sia a conoscenza della violazione e del pregiudizio che essa gli ha causato,

in ogni caso, un nuovo termine di prescrizione di almeno due anni dovrebbe iniziare a decorrere una volta che la decisione relativa all'infrazione sulla quale l'attore basa la propria azione è diventata definitiva.

3.6   Interazioni tra l'applicazione delle norme da parte delle autorità pubbliche e le azioni di risarcimento

3.6.1

La responsabilità primaria della regolamentazione dei mercati e dell'applicazione delle regole di concorrenza nell'UE deve, in quanto materia di interesse pubblico, rimanere in capo alle autorità pubbliche. Pertanto, il CESE ritiene che qualsiasi intervento futuro debba sostenere l'applicazione efficace delle norme antitrust da parte delle autorità pubbliche e nel contempo rendere più facile ottenere il risarcimento dei danni subiti per i soggetti danneggiati dalla violazione di tali norme. L'applicazione delle norme da parte delle autorità pubbliche svolge un ruolo fondamentale nella lotta contro i comportamenti anticoncorrenziali, tanto più che la Commissione e le autorità nazionali garanti della concorrenza dispongono di poteri unici in materia di indagini e di composizione stragiudiziale.

3.6.2

Mentre l'applicazione da parte delle autorità pubbliche si concentra sul rispetto delle norme e sulla dissuasione, l'obiettivo delle azioni risarcitorie è quello di permettere di ottenere un risarcimento completo del danno subito. Tale piena riparazione comprende il danno emergente, il lucro cessante e gli interessi.

3.6.3

Riguardo alla valutazione delle misure volte a garantire un effettivo e completo risarcimento, il CESE auspica che il quadro di riferimento previsto per la quantificazione del danno detti orientamenti pratici ad uso dei giudici nazionali, come descritto nel Libro bianco.

3.7   Metodi stragiudiziali di composizione delle controversie

3.7.1

Pur ritenendo indispensabile un quadro più efficace per la tutela giurisdizionale dei soggetti danneggiati dalla violazione delle norme antitrust, il CESE appoggia la Commissione quando incoraggia gli Stati membri a definire norme procedurali che favoriscano la composizione stragiudiziale delle controversie. In quanto alternativi alla tutela giurisdizionale, i metodi stragiudiziali di composizione delle controversie possono svolgere un ruolo complementare importante nel risarcimento dei danneggiati, senza peraltro limitare in alcun modo il ricorso alle vie legali. Tali metodi potrebbero consentire di addivenire a una soluzione equa in tempi più brevi, a costi inferiori e in un clima meno conflittuale tra le parti, riducendo nel contempo il carico giudiziario. Il CESE invita pertanto la Commissione a incoraggiare il ricorso a metodi di composizione stragiudiziale delle controversie nell'Unione europea e a migliorarne la qualità. Tuttavia, il CESE rileva che i meccanismi alternativi di composizione delle controversie possono funzionare quale metodo alternativo credibile per far ottenere ai danneggiati un risarcimento soltanto se sono previsti dei meccanismi per l'effettiva tutela giurisdizionale, anche attraverso azioni collettive. In assenza di strumenti efficaci di tutela giurisdizionale, gli incentivi per una composizione stragiudiziale equa e appropriata sono insufficienti.

4.   Osservazioni specifiche in merito al Libro bianco

4.1   L'ingente volume dei contratti di massa rende oggi necessario stabilire, negli ordinamenti giuridici, meccanismi che consentano di aggregare o cumulare le singole azioni dei soggetti danneggiati dalle violazioni delle norme antitrust.

4.1.1   Il CESE condivide il punto di vista della Commissione che propone, ai fini dell'effettivo risarcimento collettivo dei soggetti danneggiati, di combinare i seguenti due meccanismi complementari:

da un lato, le azioni rappresentative intentate da soggetti qualificati (associazioni di consumatori, ambientaliste, imprenditoriali, di soggetti danneggiati), sulla cui legittimità il CESE si è già ampiamente pronunciato (7),

dall'altro, le azioni collettive in cui i danneggiati decidono di aggregare in una sola azione le proprie domande individuali di risarcimento del danno subito.

4.2   Osservazioni in merito alle azioni collettive per il risarcimento del danno

4.2.1

L'adeguato risarcimento dei soggetti danneggiati dalla violazione di norme antitrust - concorrenti che si attengono alle regole, consumatori, PMI e dipendenti delle imprese coinvolte, i quali sono indirettamente danneggiati da pratiche che mettono a repentaglio i loro posti di lavoro e il loro potere di acquisto - è una preoccupazione di primaria importanza per il CESE. Il Comitato ha espresso il proprio punto di vista sul tema Definizione del ruolo e del regime delle azioni collettive nel settore del diritto comunitario del consumo in un suo parere di iniziativa (8), nel quale, sulla scia di pareri precedenti, ha affermato che l'ammissione del diritto al risarcimento deve essere accompagnata dall'adozione di procedure appropriate per riconoscere e far valere tale diritto. L'istituzione di un'azione collettiva europea è una delle possibili opzioni discusse nell'ambito del dibattito su come rendere effettivo il diritto al risarcimento. Il CESE ritiene che le misure di follow-up debbano essere equilibrate e offrire tutele efficaci per evitare gli abusi. Tali misure dovrebbero essere in linea con le altre proposte in materia di risarcimenti collettivi, segnatamente con quelle in corso di elaborazione presso la DG SANCO, e devono essere esaminate e discusse in maniera coordinata e coerente, in modo da evitare inutili duplicazioni di strumenti giudiziari che creino soverchie difficoltà di recepimento e applicazione negli Stati membri.

4.2.2

Il CESE appoggia l'ampio consenso creatosi tra i responsabili politici europei e le parti direttamente interessate sulla necessità di evitare nell'Unione europea il rischio di abusi analoghi a quelli riscontrati negli Stati Uniti. Le misure di follow-up dovrebbero rispecchiare le tradizioni culturali e giuridiche europee, mirare esclusivamente al risarcimento del danno e garantire un giusto equilibrio fra le parti, conducendo a un sistema che salvaguardi gli interessi della società nel suo insieme. Il Comitato raccomanda di evitare l'ammissibilità di onorari legati all'esito della causa (contingency fees) e regimi che suscitino l'interesse economico di terzi.

4.3   Osservazioni in merito alla prova

4.3.1

Ai fini dell'effettività del diritto di accesso alla prova, in quanto parte del diritto a una tutela giuridica efficace, il CESE concorda sulla necessità di mantenere in tutta l'UE un livello minimo di divulgazione inter partes nelle cause di risarcimento del danno da violazione della normativa antitrust. Un'estensione dei poteri del giudice nazionale quanto alla divulgazione di categorie precise di prove rilevanti potrebbe contribuire a conseguire questo obiettivo, purché tale divulgazione rientri nei limiti già fissati nella giurisprudenza della Corte di giustizia, in particolare riguardo ai criteri di rilevanza, necessità e proporzionalità.

4.3.2

Il CESE riconosce gli ostacoli reali che i danneggiati incontrano quando si tratta di provare le loro affermazioni e apprezza gli sforzi compiuti dalla Commissione per migliorare l'accesso agli elementi di prova. Sottolinea che le differenze tra i sistemi procedurali degli Stati membri non dovrebbero essere trascurate. Gli obblighi di divulgazione delle prove dovrebbero essere subordinati a precise tutele e proporzionati alla causa cui si riferiscono.

4.3.3

Il CESE chiede alla Commissione di sottoporre gli obblighi di divulgazione delle prove a precise tutele, il problema essendo quello di preservare un sistema che contemperi l'accesso effettivo alla prova con i diritti della difesa. Il Comitato fa notare che in proposito può essere utile una rigorosa vigilanza da parte del giudice.

4.3.4

Quando a livello comunitario viene accertata una violazione degli articoli 81 o 82 del Trattato, i soggetti danneggiati possono, in base all'articolo 16, paragrafo 1, del regolamento (CE) n. 1/2003, addurre la decisione di accertamento come prova vincolante in un procedimento civile per danni. Il CESE ritiene che, sulla base del principio di equivalenza delle norme procedurali, una norma analoga dovrebbe valere per tutte le decisioni delle autorità nazionali garanti della concorrenza che constatino una violazione degli articoli 81 e 82.

4.4   Osservazioni in merito alla partecipazione e alla rappresentanza in giudizio dei soggetti danneggiati

4.4.1

In merito alle azioni collettive con modalità opt-in e opt-out, il CESE sottolinea i vantaggi e gli svantaggi di questi meccanismi, già descritti nel parere di iniziativa del 14 febbraio 2008 (9). In quel parere il CESE aveva sottolineato in particolare che la modalità opt-in, pur presentando certi vantaggi, è di difficile gestione e costosa, porta a ritardi procedurali e non è adatta per gran parte dei consumatori, poiché questi ultimi non dispongono di informazioni adeguate sull'esistenza delle procedure in questione. Il CESE osserva che taluni Stati membri hanno adottato modelli diversi di tutela giurisdizionale, che prevedono sia la modalità opt-in che quella opt-out.

4.4.2

Queste osservazioni valgono anche per le «azioni rappresentative». Infatti, dato che nel Libro bianco si fa riferimento non solo ai danneggiati identificati, ma anche a quelli identificabili, non sembra si possa escludere la proposizione di azioni a nome di un gruppo di persone non identificate. Se è vero che l'identificazione dei singoli danneggiati può contribuire alla definizione della controversia, è vero altresì che potrebbero darsi casi - come ad esempio quelli che coinvolgano un numero molto elevato di consumatori - in cui sarebbe opportuno estendere la causa a tutti i possibili danneggiati. Il CESE suggerisce quindi alla Commissione di chiarire la sua proposta in materia.

4.4.3

Il CESE richiama le raccomandazioni formulate nei suoi pareri precedenti in merito all'importante ruolo dei giudici. Questi ultimi possono essere aiutati attraverso una formazione specifica che li metta in grado di verificare meglio i criteri di ammissibilità delle azioni, la loro valutazione e l'accesso alle prove, dato che per definizione le azioni collettive devono basarsi sul fatto che è improbabile che la stessa azione venga proposta a titolo individuale. I giudici devono quindi svolgere un ruolo importante e attivo nell'individuare e nell'ammettere le azioni realmente fondate in una fase precoce del procedimento.

4.4.4

Le associazioni qualificate dei consumatori e di categoria sono i candidati naturali alla rappresentanza dei danneggiati nelle azioni rappresentative. Il Libro bianco della Commissione consente espressamente alle associazioni di categoria autorizzate anche di proporre azioni rappresentative a nome dei propri iscritti. Dato che altri soggetti qualificati che soddisfino determinati standard potrebbero avere anch'essi motivi legittimi per intentare un'azione collettiva, occorre valutare con attenzione se ciò possa condurre a situazioni in cui vengono proposte più azioni di risarcimento concorrenti per danni causati dalla medesima violazione. Il CESE raccomanda che, per rendere efficace la loro azione, i danneggiati possano farsi rappresentare collettivamente da un unico soggetto.

4.5   Osservazioni in merito all'effetto vincolante delle decisioni definitive delle autorità nazionali garanti della concorrenza (ANC)

4.5.1

In linea di principio, il CESE è d'accordo con la Commissione sul fatto che le decisioni definitive delle ANC debbano essere considerate presunzioni inconfutabili della violazione in successive cause civili per il risarcimento dei danni. Il Comitato è convinto che i giudici nazionali si trovino nella posizione migliore per valutare il nesso causale tra la violazione accertata e il danno invocato e dovrebbero restare gli unici legittimati a effettuare tale valutazione.

4.5.2

Il CESE osserva inoltre che il valore delle decisioni definitive delle ANC comporta che si presti la dovuta attenzione al livello di armonizzazione sia dei sistemi istituzionali di «controlli e contrappesi» che delle garanzie procedurali tra i diversi Stati membri.

4.6   Osservazioni in merito al criterio relativo alla colpa

4.6.1

In determinati Stati membri il nesso causale tra colpa e danno è un elemento costitutivo della responsabilità extracontrattuale e all'attore incombe l'onere di dimostrare sia il proprio diritto a ottenere il risarcimento che la colpa del convenuto. Il CESE raccomanda alla Commissione di tener conto di tali differenze, dato che esse derivano dallo sviluppo storico dei sistemi giuridici nazionali, e la esorta ad assicurarsi che qualsiasi regime adottato in futuro garantisca un procedimento equo, volto al rapido ed efficiente risarcimento dei danni che siano stati adeguatamente provati.

4.7   Osservazioni in merito ai programmi di clemenza

4.7.1

I programmi di clemenza hanno un impatto enorme sul numero dei cartelli individuati e un notevole effetto dissuasivo. Il loro buon funzionamento è quindi in primo luogo nell'interesse dei danneggiati. Rendere pubbliche informazioni riservate avrebbe effetti negativi sull'individuazione dei cartelli e dunque sulla possibilità dei soggetti danneggiati di chiedere il risarcimento dei danni. Di conseguenza, il CESE accoglie con favore le proposte intese a preservare l'efficienza di tali programmi. Tuttavia, occorre evitare che l'applicazione dei programmi di clemenza finisca di fatto per mettere al riparo, al di là dello stretto necessario, i partecipanti ai cartelli dalle conseguenze civili della loro condotta illecita, a detrimento dei soggetti danneggiati.

4.8   Osservazioni in merito alle spese relative alle azioni di risarcimento del danno

4.8.1

Il Libro bianco propone approcci diversi per ridurre il rischio finanziario di chi propone un'azione risarcitoria. Il CESE condivide l'idea che l'esercizio del diritto al risarcimento del danno non debba essere ostacolato dai costi irragionevoli dei procedimenti giudiziari. Il Comitato si è già pronunciato al riguardo nel suo parere in merito al Libro verde (10).

4.8.2

Il Libro bianco invita gli Stati membri a riesaminare le norme nazionali in materia di ripartizione delle spese e ad attribuire ai giudici nazionali la facoltà di derogare - in circostanze eccezionali - al principio «chi perde paga», attualmente applicato nella maggior parte dei sistemi giuridici nazionali. Anche al riguardo il CESE invita la Commissione a prestare la dovuta attenzione ai modi per garantire sia un accesso equo alla giustizia che la fondatezza delle azioni proposte.

4.8.3

Ad avviso del CESE, gli Stati membri dovrebbero riflettere sulle rispettive norme in materia di spese processuali e la Commissione dovrebbe esaminare le prassi osservate al riguardo nei singoli Stati membri. L'idea è quella di consentire l'esperimento di azioni non manifestamente infondate anche nei casi in cui altrimenti esse non verrebbero proposte a causa dei costi del procedimento, senza peraltro con ciò pregiudicare l'adozione di norme procedurali che agevolino il ricorso alla transazione in quanto alternativa più economica all'avvio o alla prosecuzione di una causa.

4.8.4

Il CESE rammenta che non è auspicabile introdurre un sistema di onorari legati all'esito della causa (contingency fees), che sarebbe contrario alla tradizione giuridica europea. Come già osservato dal CESE in un precedente parere (11), nella maggior parte degli Stati membri dell'Unione europea tale sistema è vietato o dalla legge o dai codici deontologici forensi.

4.8.5

Infine, il CESE ritiene che la notifica e la convocazione dei possibili attori potrebbero essere effettuate in maniera efficiente e a costi ragionevoli mediante un registro elettronico europeo delle cause, consultabile dai danneggiati in tutta l'Unione europea.

Bruxelles, 25 marzo 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Relazione della Commissione - Relazione sulla politica di concorrenza 2006 (COM(2007) 358 def.), relatore: Franco CHIRIACO (GU C 162 del 25.6.2008), punto 7.1.1, Bruxelles, 13 febbraio 2008.

(2)  Per tutte le sentenze cfr. «Courage contro Crehan» («Causa C-453/99») e «Manfredi» (Cause riunite C-295/04 a C-298/04).

(3)  Libro Verde - Azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie, COM(2005) 672 def., pp. 1-13, Bruxelles, 19 dicembre 2005.

(4)  Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro Verde - Azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie, relatrice: María Candelas SÁNCHEZ MIGUEL (GU C 324 del 30.12.2006, pp. 1-10), Bruxelles, 26 ottobre 2006.

(5)  Risoluzione del Parlamento europeo del 25 aprile 2007.

(6)  Libro bianco in materia di azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie (COM(2008) 165 def.), Bruxelles, 2 aprile 2008.

(7)  Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Definizione del ruolo e del regime delle azioni collettive nel settore del diritto comunitario del consumo, relatore: Jorge PEGADO LIZ (GU C 162 del 25.6.2008, pp. 1-21), Bruxelles, 14 febbraio 2008.

(8)  Ibidem.

(9)  Cfr. la nota n. 7.

(10)  Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde - Azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie, INT/306, relatrice: María Candelas SÁNCHEZ MIGUEL (GU C 324 del 30.12.2006), punto 5.4.5.

(11)  Cfr. la nota n. 7.


22.9.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 228/47


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Relazione della Commissione — Relazione sulla politica di concorrenza (2007)

COM(2008) 368 def.

2009/C 228/07

La Commissione europea, in data 16 giugno 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Relazione della Commissione — Relazione sulla politica di concorrenza (2007)»

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 marzo 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore Paulo BARROS VALE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 marzo 2009, nel corso della 452a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 98 voti favorevoli, 2 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Sintesi e conclusioni

1.1   Ogni anno il Comitato economico e sociale europeo valuta la relazione della Commissione sulla politica di concorrenza e coglie questa occasione per esprimere una serie di considerazioni e proposte, che in molti casi hanno richiamato l'attenzione delle autorità e favorito aggiustamenti, che riteniamo generalmente positivi, per quanto riguarda sia le priorità e gli strumenti a disposizione di questa politica, sia le risorse che vengono utilizzate, con un'efficacia crescente, peraltro come si rileva con compiacimento.

1.1.1   Occorre segnalare il ritardo con cui il presente parere viene elaborato rispetto all'anno preso in esame (il 2007), fatto che condiziona l'analisi non solo per il tempo trascorso, ma anche per le circostanze attuali assolutamente atipiche e che non possono essere ignorate.

1.2   Il CESE ritiene tuttavia che la politica di concorrenza debba occuparsi di nuovi settori, andando al di là dell'impostazione tradizionale, importante ma relativamente riduttiva, che essa ha coltivato. Già in passato il Comitato aveva avuto l'opportunità di proporre che la Commissione si impegnasse ad estendere la sua attività a nuovi settori di intervento, un'estensione che si rende ancor più necessaria nella complessa e difficile congiuntura attuale, a causa della situazione economica, ma soprattutto per gli insegnamenti che tutte le parti in causa devono inevitabilmente trarre dagli errori e specialmente dalle omissioni che hanno condotto alla situazione attuale.

1.3   I problemi legati a una regolamentazione/vigilanza carente (e in taluni casi persino lassista) in settori strategici, oltre a generare squilibri e rischi sistemici inaccettabili, si ripercuotono sulla sana concorrenza e hanno l'effetto di proteggere i trasgressori, con danni enormi per tutta la società. È necessario che la politica di concorrenza si interessi a tali questioni per evitare che in futuro si ripresentino gli enormi costi che la maggior parte delle imprese e dei cittadini si troveranno a sostenere a causa della «non concorrenza» determinata da alcuni operatori le cui ambizioni non sono state frenate dai sistemi carenti posti a tutela dei mercati, in particolare quelli finanziari, che condizionano tutti gli altri.

1.4   A un altro livello, come già il CESE ha sollecitato in passato, è necessario valutare il da farsi in vista di una maggiore articolazione (e la creazione di strumenti idonei) con le altre politiche dell'UE volte ad evitare la concorrenza sleale a livello interno (dovuta a differenze in termini di dimensioni, ubicazione geografica e inquadramento fiscale delle aziende). A livello esterno l'UE deve garantire che i paesi terzi non si avvantaggino artificialmente dalla violazione delle regole internazionali del commercio, delle convenzioni principali dell'OIL sui diritti del lavoro e sindacali - comprese quelle sul lavoro minorile e sulle condizioni di lavoro disumane -, oppure delle misure basilari di protezione ambientale. L'Unione europea dovrebbe anche applicare con convinzione le regole dell'OMC contro le sovvenzioni statali all'esportazione e contro le altre politiche pubbliche che determinano una distorsione della concorrenza e impediscono l'accesso ai mercati alle imprese dell'UE.

1.5   Rispetto alla relazione del 2006, la relazione in esame tiene conto di due nuovi strumenti della politica di concorrenza (ovvero, «misure statali» e «ruolo della politica di concorrenza nel quadro politico più ampio») e ciò rappresenta, in considerazione dell'obiettivo di rafforzare questa politica comunitaria fondamentale, uno degli aspetti più positivi del lavoro svolto.

1.6   Per quanto riguarda l'applicazione delle norme sul controllo degli aiuti di Stato, la relazione illustra l'intensa attività della Commissione, il che dimostra l'importanza assunta da questo tema nel 2007.

1.7   In relazione al «ruolo della politica di concorrenza nel quadro politico più ampio», il Comitato prende nota con soddisfazione delle preoccupazioni della Commissione al riguardo, ma ritiene che questo tema meriterebbe di essere sviluppato, nel senso di chiarire la forma o i mezzi per una maggiore integrazione della politica di concorrenza nel contesto della strategia di Lisbona. A livello dei mercati settoriali considerati, si dovrebbero fornire maggiori chiarimenti sulle misure da attuare, sugli strumenti da impiegare e sugli obiettivi da raggiungere.

1.8   In considerazione dell'importanza assunta dalla tematica della liberalizzazione dei mercati dell'energia, le informazioni in materia fornite nella relazione appaiono scarse. Analogamente al punto dedicato al settore dell'antitrust, in cui sono dettagliatamente indicate le pratiche cui si fa riferimento, anche per il terzo pacchetto di liberalizzazione occorrerebbe una trattazione più precisa degli obiettivi da raggiungere.

1.9   In relazione ai servizi finanziari, la relazione affronta l'argomento delle carte di pagamento affermando che in questo settore esiste una forte concentrazione che genera problemi sotto il profilo della concorrenza, senza tuttavia proporre misure per superare tali problemi. Non viene menzionato il tema della vigilanza bancaria e del controllo delle norme prudenziali da parte delle autorità competenti, un argomento che è tra i più importanti e situazione che genera un contesto non concorrenziale, con molteplici ripercussioni sui vari operatori di mercato. A questo riguardo il CESE esprime la sua grande preoccupazione, in particolare per quel che concerne la partecipazione statale negli istituti finanziari le cui modalità, nella maggior parte dei casi, sono state poco trasparenti.

1.10   Il CESE preferirebbe inoltre che la relazione presentata ogni anno dalla Commissione fosse non tanto un elenco di realizzazioni (e molte volte un elenco di progressi e successi), quanto un documento in cui accanto ai passi in avanti compiuti (di cui il Comitato si rallegra) fossero presentate con più chiarezza sia le difficoltà e gli ostacoli rilevati, sia delle proposte per superarli e spingersi verso nuove tappe della politica di concorrenza.

2.   Contenuto della relazione 2007

2.1

In rapporto agli strumenti della politica di concorrenza, la relazione illustra, come fa abitualmente ogni anno, per ciascuno di essi la visione che ha guidato l'operato della Commissione nell'anno in esame.

Si è promossa una lotta più efficace contro le intese e le pratiche restrittive e gli abusi di posizione dominante, incentivando i partecipanti a segnalare tali fattispecie. In seguito all'invito formulato dal Parlamento europeo alla Commissione perché preparasse un Libro bianco contenente proposte dettagliate volte a garantire una maggiore efficacia delle domande di risarcimento del danno per violazione della normativa antitrust, la Commissione ha condotto numerose consultazioni con i governi nazionali, con magistrati e con rappresentanti dei vari settori interessati.

Si è data una particolare priorità anche al lavoro volto a individuare, indagare e sanzionare la formazione di cartelli, attività che si è tradotta in ammende a 41 imprese (lo stesso numero del 2006) per un ammontare totale di 3 334 milioni di euro (contro i 1 846 milioni di euro dell'anno precedente).

Nel settore degli aiuti di Stato la Commissione ha chiuso una procedura d'infrazione contro la Repubblica ceca, che aveva limitato il potere del garante nazionale della concorrenza di applicare le norme pertinenti nel settore delle telecomunicazioni elettroniche. Sulla base del regolamento in materia di concentrazioni, la Commissione ha anche adottato una decisione in cui si dichiara che l'autorità di regolamentazione spagnola per il settore dell'energia ha infranto detto regolamento.

Per quanto attiene al controllo delle concentrazioni, la Commissione ha adottato una comunicazione consolidata sui criteri di competenza giurisdizionale, nonché gli orientamenti relativi alla valutazione delle concentrazioni non orizzontali, avviando anche una consultazione pubblica in merito alle misure correttive in questo campo.

Anche il tema del controllo degli aiuti di Stato ha fatto parte delle preoccupazioni della Commissione, che ha adottato una nuova metodologia per la fissazione dei tassi di riferimento, ha avviato una consultazione in merito ad un progetto di regolamento generale di esenzione per categoria e ha iniziato la procedura per la revisione della sua comunicazione relativa agli aiuti di Stato concessi sotto forma di garanzie.

In rapporto al ruolo della politica di concorrenza nel quadro politico più ampio, la Commissione ha riesaminato la strategia di Lisbona proponendo d'integrarvi meglio la politica di concorrenza, allo scopo di rafforzare la vigilanza del mercato a livello settoriale.

2.2

A livello settoriale, la relazione del 2007 abbraccia le azioni più rilevanti realizzate in rami importanti dell'economia, come quello riguardante:

l'energia, per il quale è stata presentata una proposta per un terzo pacchetto di liberalizzazione dei mercati dell'elettricità e del gas. Per quanto riguarda l'antitrust, si è rivolta una particolare attenzione ai casi di preclusione dai mercati e di collusione,

i servizi finanziari, per il quale sono state pubblicate le relazioni finali riguardanti le indagini settoriali sui mercati europei del settore bancario al dettaglio e dei servizi assicurativi alle imprese,

le comunicazioni elettroniche, il cui quadro normativo vigente contribuisce a determinare nel relativo mercato un livello sempre maggiore di concorrenza. Per questo settore è stata raccomandata una riduzione del numero di mercati suscettibili di una regolamentazione ex ante, è stato proposto un regolamento relativo al roaming e sono state adottate varie decisioni sul finanziamento pubblico per la banda larga,

le tecnologie dell'informazione, in cui si è dato seguito ai procedimenti contro Microsoft, AMD e Rambus, già avviati in precedenza,

i mezzi di comunicazione, in cui si è continuato sia a seguire attentamente la migrazione dalla trasmissione radiotelevisiva in tecnica analogica a quella in digitale, sia a dare la priorità ad interventi volti a garantire la disponibilità di contenuti di alta qualità a condizioni aperte e trasparenti,

il settore automobilistico, il cui regolamento di esenzione per categoria rafforza la concorrenza intra-marca,

i trasporti, per il quale la politica di concorrenza è intesa a garantire il funzionamento efficiente di mercati che sono stati liberalizzati in tempi recenti,

i servizi postali, per il quale si è negoziata la proposta della Commissione per la completa apertura alla concorrenza del mercato dei servizi postali dell'UE.

2.3

Sembrano rilevabili alcune incongruenze o una mancanza di chiarezza in talune aree di intervento, ad esempio in relazione alle comunicazioni elettroniche, visto che non si comprendono né la necessità né gli obiettivi del nuovo pacchetto normativo di cui al punto 48, che rischia di essere in contrasto con il punto 44, in cui si menziona il contributo dell'attuale pacchetto normativo agli sforzi per accrescere la concorrenza.

2.4

Anche in relazione alle tecnologie dell'informazione si rileva la mancata indicazione degli obiettivi da perseguire o delle misure da portare avanti. Si fa unicamente riferimento ai casi avviati in anni precedenti, senza menzionare la definizione di norme e politiche o quel che si intende realizzare in questo campo.

2.5

Sempre in questo ambito, occorre segnalare la nuova realtà rappresentata da Internet, ossia un palcoscenico in cui si svolge un'intensa attività imprenditoriale, la cui regolamentazione è ancora allo stato embrionale e costituisce attualmente una fonte potenzialmente inesauribile di «disfunzioni della concorrenza», non esistendo una vera protezione dei consumatori. È quindi urgente regolamentare le attività svolte in Internet.

2.6

In relazione al settore dei trasporti va notato il riferimento dettagliato, di cui il CESE si compiace, alle azioni intraprese per i vari tipi di trasporto: su strada, su rotaia (per merci e passeggeri), per mare e aereo.

2.7

Per quanto riguarda i servizi postali dell'UE, non è chiaro il processo di negoziazione della proposta della Commissione relativa alla loro completa apertura alla concorrenza.

2.8

La relazione si presenta chiara e dettagliata nella descrizione sia del funzionamento della rete europea della concorrenza, sia dell'operato delle autorità nazionali garanti della concorrenza. Va evidenziato il riferimento al rafforzamento della cooperazione fra i membri della suddetta rete. Sono da valutare positivamente anche gli sforzi compiuti dalla Commissione nell'anno considerato per il suo coinvolgimento nelle attività internazionali e nella cooperazione interistituzionale.

2.9

Nel quadro dell'allargamento, sono proseguiti gli sforzi per far conoscere ai paesi candidati le norme sulla concorrenza e si è iniziato a chiedere a tali paesi di presentare risultati credibili nel processo di adozione di tali norme.

3.   Una nuova generazione di politiche di concorrenza e l'individuazione dei problemi che la congiuntura obbliga ad affrontare

3.1   Il CESE ritiene di dover cogliere questa occasione per scegliere un'impostazione diversa rispetto al passato per quel che concerne la tematica della politica di concorrenza, ossia non limitarsi a valutazioni e considerazioni sui temi che la Commissione ha scelto di trattare nella sua relazione finale ma spingersi oltre, proponendo altri ambiti che la futura generazione delle politiche di concorrenza dovrebbe abbracciare.

Perciò:

3.1.1   in primo luogo, nel mondo perturbato di oggi, tenendo conto dell'evoluzione e degli insegnamenti recenti legati all'accelerazione della globalizzazione economica, una nuova generazione di politiche della concorrenza non può prescindere dalla stretta articolazione con nuove impostazioni e priorità di una politica commerciale esterna comune europea.

3.1.1.1   Questa politica commerciale esterna comune europea deve garantire che i paesi terzi non beneficino artificialmente della liberalizzazione degli scambi commerciali per mezzo del mancato rispetto delle norme internazionali del commercio e delle convenzioni principali dell'OIL sui diritti sindacali - comprese quelle sul lavoro minorile e sulle condizioni di lavoro disumane -, oppure delle misure basilari di protezione ambientale e delle regole sulla libertà di stabilimento e di associazione tra imprese, mancato rispetto che può condurre a un dumping sociale o ambientale. L'Unione europea dovrebbe anche applicare con convinzione le regole dell'OMC contro le sovvenzioni statali all'esportazione e contro le altre politiche pubbliche che determinano una distorsione della concorrenza e impediscono l'accesso ai mercati alle imprese dell'UE, segnatamente, le politiche monetarie e di cambio volte unicamente a ridurre o a mantenere artificialmente bassi i prezzi dei prodotti e servizi esportati, ecc.

3.1.1.2   L'Europa dovrebbe continuare ad operare per realizzare un contesto di condizioni uniformi nel settore del commercio internazionale e per rafforzare il potere dell'OMC di prendere delle misure contro le sovvenzioni statali e contro il dumping sociale ed ambientale in violazione degli accordi internazionali. La società civile organizzata europea chiede anche che la politica commerciale e i diritti delle singole imprese e dei lavoratori derivanti dagli accordi internazionali nel quadro dell'OMC, dell'OIL, ecc., siano sempre fatti rispettare appieno dalla Commissione europea. Non si dovrebbe permettere che essi siano ignorati o si intervenga solo a metà in materia di diritti delle singole imprese e dei lavoratori per considerazioni generali di politica estera oppure a causa di interessi specifici di singole imprese o di singoli Stati membri. Non si tratta di imporre il nostro modello e le nostre norme ad altre nazioni o società, bensì di esigere una soglia minima di pratiche accettabili che non alterino artificialmente le condizioni di mercato.

3.1.1.3   Non è né ragionevole né giustificabile che l'Europa si preoccupi di imporre agli operatori economici interni il rispetto di norme volte a garantire equilibri concorrenziali e di mercato, mentre in generale dimentica le pratiche anticoncorrenziali che importa quotidianamente da altre aree geografiche. Soltanto una vera articolazione tra la politica di concorrenza e una giusta politica commerciale esterna comune, accompagnata da prese di posizione nette e coraggiose in sede OMC, potrà riequilibrare la situazione attuale.

3.1.2   In secondo luogo, è necessario che la politica di concorrenza inizi ad occuparsi di certi tipi di squilibri interni che sono essi stessi causa di distorsioni. Essa dovrà valutare le conseguenze derivanti dalla diversità di caratteristiche degli operatori di mercato e stabilire norme che tengano conto del fatto che le piccole e micro imprese sono per loro natura condizionate nella loro capacità di fare concorrenza alle grandi imprese, così come le aziende situate in zone periferiche sono svantaggiate rispetto alle aziende ubicate accanto ai grandi centri di consumo. Le politiche di coesione economica, sociale e territoriale dell'Europa dovranno pertanto essere strettamente articolate in futuro con la politica di concorrenza, che dovrà essere sempre più attenta alle varie realtà che influenzano i mercati.

3.2   La congiuntura in cui si inscrive la valutazione del lavoro della Commissione nel 2007 obbliga inoltre il CESE a sollevare numerose questioni concrete che, per la loro attualità ed enorme importanza, devono richiamare l'attenzione dei responsabili europei delle decisioni politiche, in quanto dimostrano la fragilità degli strumenti a disposizione per affrontare fenomeni con cui cittadini ed aziende sono alle prese.

3.2.1   Indipendentemente dalla bontà degli obiettivi di protezione dell'economia in generale, senza avvantaggiare alcune imprese e/o settori a scapito di altri, gli Stati potranno intervenire prestando aiuto a certi operatori economici (e indirettamente ai loro azionisti, dipendenti, creditori e fornitori), a spese di tutti gli altri, in scenari in cui a beneficiare degli aiuti sono i trasgressori e vengono pregiudicati quelli che rispettano le regole? Quali sono gli effetti della distorsione della concorrenza causati da una nuova ondata di disparità di trattamento tra gli operatori economici?

3.2.2   In effetti, nel ribadire la necessità e l'importanza dell'esistenza di una politica di concorrenza forte e coesa che deve guidare l'operato dell'Unione europea come se fosse un tutt'uno, il CESE comprende e concorda che, in circostanze eccezionali come quelle attuali, vengano introdotte misure straordinarie, forse fonti di distorsioni della concorrenza. Ciononostante, queste distorsioni consapevolmente autorizzate devono essere monitorate e sorvegliate con il massimo rigore dalla Commissione, nonché corrette non appena la situazione economica ritorni alla normalità.

3.2.3   Per evitare distorsioni della concorrenza in tutti i settori, la scelta da parte dei governi di incentivi fiscali e/o finanziari caratterizzati da un accesso trasparente e generalizzato (purché si rispettino criteri oggettivi) può rappresentare il metodo migliore per dare impulso all'economia senza provocare discriminazioni ingiustificate.

3.2.4   Quali sono stati gli interventi che le autorità garanti della concorrenza hanno attuato ai vari livelli del sistema per garantirne il funzionamento durante la recente crisi dei prezzi che ha interessato sia i combustibili a livello del consumatore che i generi alimentari di base (crisi in cui l'aumento del costo delle materie prime si è ripercosso immediatamente e direttamente sul prezzo finale, mentre così non è stato per la riduzione del costo delle materie prime, e in cui, però, tutti hanno avuto l'impressione che vi fosse uno stretto coordinamento tra i grandi operatori per fissare i prezzi)?

3.2.5   È quindi giunto il momento che la Commissione cominci ad impostare le azioni relative alla politica di concorrenza in modo meno ristretto e più ampio e, per questo motivo, il CESE la invita a una riflessione in proposito e la incoraggia a presentare un nuovo obiettivo verso cui tendere in quest'ambito così importante per la costruzione europea.

Bruxelles, 25 marzo 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


22.9.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 228/52


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde — Il diritto d'autore nell'economia della conoscenza

COM(2008) 466 def.

2009/C 228/08

In data 16 luglio 2008, la Commissione ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema:

«Libro verde — Il diritto d'autore nell'economia della conoscenza»

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 marzo 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore RETUREAU.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 24 marzo 2009, nel corso della 452a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 173 voti favorevoli, 6 voti contrari e 2 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Il Libro verde in esame intende promuovere un dibattito sui mezzi più idonei ad assicurare la diffusione on line delle conoscenze nei settori della ricerca, della scienza e dell'istruzione, e cerca di dare risposte ad alcuni problemi relativi al ruolo del diritto d'autore nell'economia della conoscenza.

1.2

Per «diritto d'autore» si intendono sia il vero e proprio diritto d'autore che i diritti ad esso connessi, concetti che hanno sostituto la tradizionale «proprietà letteraria e artistica» (1). A tutelare il diritto d'autore concorrono diverse convenzioni e organizzazioni internazionali, tra cui, in particolare, la convenzione di Berna, amministrata dall'OMPI (2), e l'accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio («accordo TRIPS»), stipulato nel quadro dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC).

1.3

Articolato in due parti, il Libro verde affronta nella prima la problematica generale delle eccezioni ai diritti esclusivi dei titolari del diritto d'autore e dei diritti connessi, mentre la seconda è dedicata ai problemi posti dalle eccezioni e limitazioni che assumono particolare rilievo per la diffusione della conoscenza ed esamina l'opportunità di adeguare tali eccezioni all'era digitale.

1.4

Le eccezioni e limitazioni al diritto d'autore previste dall'accordo TRIPS sono oggetto di un'interpretazione stretta.

1.5

Nell'ambito del suo riesame del mercato unico (3) la Commissione ha sottolineato la necessità di promuovere la libera circolazione delle conoscenze e dell'innovazione. Il Comitato sostiene totalmente tale orientamento, indispensabile per proseguire nell'attuazione della strategia di Lisbona.

1.6

In materia di diritto d'autore e diritti connessi vigono oggi nove direttive (4). Gli autori di software sono assimilati agli autori di creazioni letterarie e artistiche; tuttavia, sia nel diritto positivo che nella pratica i loro diritti sono più ristretti rispetto al «diritto d'autore tradizionale».

2.   Questioni generali

2.1

La filosofia della direttiva 2001/29/CE sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti connessi nella società dell'informazione - ossia garantire agli autori la massima protezione possibile - dovrebbe, secondo la Commissione, continuare ad essere pienamente applicabile anche nell'era digitale, contraddistinta dalla smaterializzazione e dalla trasmissione istantanea delle opere letterarie e artistiche, delle pubblicazioni tecniche e scientifiche e delle opere realizzate mediante software; i beneficiari dei diritti, dal canto loro, sostengono di ricavare solo scarsi introiti dallo sfruttamento on line delle loro opere.

2.2

Attualmente l'elenco comunitario delle eccezioni comprende un'eccezione obbligatoria e 20 eccezioni facoltative. Gli Stati membri sono quindi liberi di recepire o meno le eccezioni facoltative, e questo, a giudizio del Comitato, rappresenta un forte ostacolo a una reale armonizzazione delle eccezioni ammissibili nell'ambito di un'economia della conoscenza, in cui si utilizzano gli strumenti tecnologici in costante evoluzione dell'era digitale. Tuttavia, trattandosi di un elenco tassativo, gli Stati membri non possono aggiungervi altre eccezioni. Inoltre, in applicazione del «test a tre fasi» (three-step test) elaborato dall'OMC e dall'OMPI, la portata di tali restrizioni è subordinata a tre condizioni: che siano applicate esclusivamente in determinati casi speciali (ad esempio, utilizzatori non vedenti), che non siano in conflitto con lo sfruttamento normale dell'opera e, infine, che non arrechino ingiustificato pregiudizio agli interessi legittimi del detentore del diritto.

2.3

Il Comitato ritiene che tali disposizioni contribuiscano a una forma di armonizzazione; tuttavia, un sistema basato su un elenco esaustivo e facoltativo, che consente di restringere la portata delle eccezioni eventualmente recepite, solleva problemi ben più acuti di applicazione e di controllo in caso di diffusione on line (segnatamente via satellite).

2.4

All'elenco andrebbe applicato un approccio più categorico, che rispecchi gli obiettivi della società della conoscenza e quelli della lotta contro ogni forma di discriminazione, poiché l'obiettivo dell'armonizzazione non è stato ancora raggiunto: rimangono ancora troppe eccezioni.

2.5

La maggior parte degli interessi economici è riconducibile soprattutto alle attività ricreative, a certe forme di cultura o ai giochi, piuttosto che alla conoscenza propriamente detta. Tuttavia, non si dovrebbe stabilire una linea di demarcazione troppo netta fra le diverse categorie di contenuti, con l'evidente eccezione di quelli pornografici o pericolosi per il pubblico più giovane.

2.6

Tali eccezioni andrebbero applicate a tutte le forme di disabilità che restringono l'accesso ai contenuti multimediali di Internet, all'istruzione di qualsiasi livello, comprese la formazione permanente e le università della terza età, alle biblioteche e mediateche pubbliche e universitarie, ai lungodegenti o ai pazienti in riabilitazione funzionale e ai detenuti, nonché ai ricercatori del settore pubblico e privato, sulla base di accordi specifici con le biblioteche e i centri di documentazione specializzati. I beneficiari delle eccezioni dovrebbero disporre di mezzi di ricorso nei casi in cui si trovino impossibilitati o quasi ad ottenere l'accesso. Tuttavia, all'estensione del campo delle eccezioni dovrebbero affiancarsi nuove modalità di compenso, quantomeno per i titolari originari del diritto (5), come avviene nel caso della remunerazione della riproduzione privata.

2.7

Gli eventuali compensi dovrebbero essere raccolti da società autorizzate di gestione collettiva, incaricate di raccoglierli e di ridistribuirli in base a chiavi di riparto modulabili secondo i tipi di eccezioni obbligatorie considerati.

2.8

Sarebbe opportuno avviare consultazioni e negoziati con i rappresentanti dei diversi interessi coinvolti, dalla produzione all'utilizzazione delle opere. Tuttavia, il Comitato è dell'avviso che, se in una prima fase la Commissione avrebbe potuto definire degli orientamenti, per il futuro sarebbe opportuno predisporre «licenze tipo» comunitarie minime, che potrebbero essere gestite a livello nazionale fra le parti interessate.

2.9

L'intermediazione delle biblioteche pubbliche e universitarie e dei centri di documentazione e di ricerca, nonché il controllo esercitato dalle società di gestione collettiva, rappresentano, a giudizio del Comitato, una risposta sufficiente ai criteri, forse troppo limitativi o interpretati in modo troppo restrittivo, fissati dall'accordo TRIPS, i quali non fanno riferimento né ai bisogni della società della conoscenza né all'enorme espansione dell'uso di Internet, in particolare nei campi dell'istruzione, della formazione e degli scambi fra scienziati e ricercatori.

2.10

Molte opere di carattere educativo, scientifico o tecnico sono già accessibili su Internet grazie a «licenze light», quali la GPL (6) o le licenze creative commons per le opere letterarie e artistiche. L'uso di queste licenze e la produzione di contenuti utili alla società della conoscenza (7) andrebbero incoraggiati tramite gare d'appalto o con il sostegno di istituzioni che producono contenuti scientifici e tecnici o software in applicazione di licenze di questo tipo (8).

3.   Eccezioni: questioni specifiche

3.1

Il Libro verde riserva una particolare attenzione alle eccezioni che hanno maggiori capacità di promuovere la diffusione delle conoscenze, come quella a favore di biblioteche o archivi, l'autorizzazione a diffondere le opere a fini didattici e di ricerca, l'eccezione a favore delle persone disabili e l'eventuale eccezione per i contenuti creati dall'utente.

3.2

La digitalizzazione delle opere di biblioteche e archivi, sia ai fini della conservazione e della tutela dei documenti originali - che sono talvolta esemplari unici - sia ai fini della comunicazione on line, è in pieno sviluppo, come dimostra l'iniziativa della biblioteca digitale comunitaria Europeana.

3.3

L'ampiezza delle condizioni vigenti a livello nazionale per la digitalizzazione e la comunicazione delle opere è molto variabile e a volte, a giudizio del Comitato, troppo limitata. Infatti, la direttiva prevede una sola eccezione al diritto di riproduzione - quella per la consultazione ai fini di una ricerca specifica - con una conservazione limitata e senza finalità commerciali. Il test a tre fasi è rigorosamente configurato, ma potrebbe essere reso più flessibile, soprattutto se si stabilisse un compenso, anche forfettario, a favore degli autori.

3.4

Le limitazioni dovrebbero riguardare innanzitutto la conservazione delle opere più fragili o più rare e gli elenchi delle opere raccomandate per gli scolari, allievi della scuola superiore e studenti universitari, in quanto l'istruzione iniziale e quella permanente possono essere dichiarate come settori che rivestono un interesse nazionale speciale. Si dovrebbe poter limitare la scelta dei formati dei file a quelli rientranti in uno standard internazionale riconosciuto dall'ISO e interoperabile con la maggior parte dei formati «aperti» o «proprietari» esistenti (9).

3.5

Il numero delle copie dovrebbe essere fissato in funzione del numero di utenti autorizzati e in base alle loro esigenze di conservazione definite in modo tassativo (10).

3.6

La questione della messa a disposizione on line pone problemi particolari, che a loro volta impongono di apprestare ulteriori garanzie di non divulgazione da parte dei destinatari. Alcuni di questi ultimi potrebbero sostenere i costi della licenza e del servizio (11).

3.7

Sarebbe opportuno considerare la possibilità di modificare la direttiva per consentire il prestito di opere on line, a fini didattici e di ricerca, a determinate condizioni ben definite sia a livello giuridico che tecnico. La procedura applicata e l'obbligo di comprendere a fondo i termini della licenza speciale, nonché le condizioni specifiche dei prestiti on line, dovrebbero contribuire a educare al rispetto del diritto d'autore, e ciò vale in particolare per i giovani. Il Comitato ha sempre raccomandato l'educazione al rispetto della creazione intellettuale in quanto componente etica fondamentale dell'economia della conoscenza.

4.   Opere «orfane»

4.1

Le opere «orfane» costituiscono un patrimonio importante di creatività.

4.2

Il Comitato ritiene che il Libro verde ponga le domande giuste, proponendo delle ipotesi di soluzione concrete estremamente positive. Dopo aver effettuato ricerche sufficientemente diligenti, si potrebbe prevedere la regolare pubblicazione degli elenchi delle opere orfane. In assenza di comunicazioni da parte degli aventi diritto entro un determinato lasso di tempo, l'opera non diverrebbe di dominio pubblico ma rientrerebbe nell'ambito di un adeguato sistema di tutela del diritto d'autore, per il caso in cui un avente diritto si manifestasse successivamente. Per la scelta del sistema di licenza da utilizzare si potrebbe trarre ispirazione dalle esperienze di Danimarca e Ungheria, per quanto, a giudizio del Comitato, una licenza tipo a livello europeo sarebbe senz'altro fattibile e preferibile.

4.3

Il Comitato ritiene che non sia necessario ricorrere a una direttiva specifica per le opere orfane. Infatti, la gestione di tali opere non implica nuove eccezioni al diritto d'autore, ma comporta piuttosto delle modalità particolari di gestione delle licenze nel quadro del regime giuridico del diritto d'autore. A giudizio del Comitato, l'introduzione di un nuovo capitolo nella direttiva attuale dovrebbe costituire lo strumento appropriato.

4.4

La Commissione potrebbe pubblicare e aggiornare periodicamente l'elenco delle istituzioni responsabili della gestione delle opere orfane, e, dopo una fase sperimentale di 5-10 anni, si potrebbe procedere a un riesame dell'elenco, provvedendo fra l'altro alla pubblicazione di una relazione e di dati statistici.

5.   Eccezione a favore dei portatori di handicap

5.1

Il Comitato auspica un approccio meno restrittivo rispetto a quello oggi prevalente in numerosi paesi europei per quanto concerne la natura degli handicap e le difficoltà di accesso alle opere. Ciò in quanto, alle difficoltà di fruizione delle opere inerenti alle diverse situazioni di handicap, si aggiunge il fatto che i redditi dei portatori di handicap sono generalmente modesti: un ostacolo economico incontestabile e socialmente inaccettabile quando si tratta di accesso all'informazione, all'istruzione e alla cultura.

5.2

Il coinvolgimento delle associazioni dei disabili dovrebbe consentire di riformulare le eccezioni relative ai diversi handicap. Tali associazioni potrebbero anche essere coinvolte nella gestione di terminali dedicati e, nei casi più gravi, fornire personale specializzato per assistere i portatori di handicap. Queste forme di assistenza sarebbero finanziate con donazioni private o sovvenzioni statali destinate a tali associazioni. Le associazioni potrebbero, allo stesso titolo delle biblioteche o dei musei accreditati o anche in collaborazione con le une o gli altri, negoziare con i rappresentanti degli autori condizioni d'uso che offrano garanzie contro la pirateria. Il Comitato ritiene necessario estendere l'eccezione in esame alle banche di dati, poiché in caso contrario l'accesso ad opere di riferimento quali enciclopedie e dizionari potrebbe risultare ostacolato. La direttiva sulle banche di dati dovrebbe quindi essere rivista sia per le ragioni educative e di accesso alle conoscenze già menzionate sia per garantire l'accesso dei portatori di handicap.

5.3

Le associazioni potrebbero anche essere coinvolte nelle attività di educazione al rispetto della licenza d'uso. Anche in tale ambito è indispensabile convincere gli utenti del fatto che il rispetto del diritto d'autore è una condizione essenziale per il proseguimento dell'attività creatrice. Tuttavia, poiché sarebbe ingiusto trasferire sui disabili l'onere della licenza e dei terminali dedicati, è indispensabile prevedere un'eccezione per tutti i casi in cui la disabilità determina problemi di accesso alle opere. Tale onere deve essere assunto dalle istituzioni pubbliche che hanno l'obbligo di rendere le opere, comprese le banche di dati e il software, accessibili agli utenti portatori di handicap. La normativa in materia di banche di dati dovrebbe essere modificata di conseguenza (12).

5.4

In pratica, alle maggiori biblioteche pubbliche e ai principali musei si potrebbe imporre l'obbligo di mettere a disposizione le opere in un formato particolare, adeguato al tipo di handicap in questione, a carico del bilancio dell'amministrazione regionale o nazionale preposta alla gestione della cultura. Questa politica risponderebbe agli obblighi in materia di lotta per l'uguaglianza fra i cittadini e contro qualsiasi forma di discriminazione.

5.5

L'eccezione per finalità didattiche o di ricerca prevista dalla direttiva è applicata in modo troppo restrittivo: si dovrebbe fare in modo di ampliarla senza arrecare pregiudizio al test dell'OMC attraverso l'inclusione nel documento delle indicazioni della fonte e dell'autore, nonché delle limitazioni d'uso e del divieto di riproduzione illegale.

5.6

I prestiti on line di opere per finalità didattiche o di ricerca potrebbero essere assoggettati a un regime di licenza obbligatoria, sulla base di un contratto tipo fra l'ente prestatore e gli organismi di riscossione autorizzati.

5.7

L'eccezione dovrebbe essere applicabile sia ai brani di un'opera selezionata dai responsabili pedagogici competenti che alle opere complete: il criterio dovrebbe dipendere da considerazioni di ordine educativo. In tal modo si verrebbe a rafforzare la certezza giuridica senza attenuare la portata del diritto di riproduzione. Un'armonizzazione rafforzata eviterebbe, in un contesto educativo transeuropeo, che un'azione considerata legale in un dato paese fosse considerata pirateria in un altro.

5.8

L'apprendimento a distanza comporta che le copie (il materiale didattico) possano essere utilizzate a domicilio, in particolare dagli studenti, ma anche dai cittadini europei residenti in un paese terzo.

6.   Contenuti creati dall'utente

6.1

La questione dei contenuti creati dagli utenti è di sempre maggiore attualità nel contesto del «Web 2.0» (13). Il diritto d'autore o la licenza alternativa proposta dall'autore iniziale possono essere trasformati o evolversi senza che tale processo sia equiparato alla pirateria.

6.2

Nell'ambito di tali iniziative, fra cui figurano le enciclopedie partecipative, la soluzione più semplice sarebbe stabilire un tipo di licenza appropriato, come le licenze creative commons o Wikipedia, e fare in modo che l'autore iniziale assuma, prima di qualsiasi aggiunta o modifica, un ruolo di moderatore, pur garantendo la pluralità delle idee.

6.3

Anche in questo particolare caso si osserva che la coesistenza di Internet con il diritto d'autore non si dimostra facile.

6.4

Nel caso della diffusione su Internet, il compenso destinato agli autori non dipende tanto dal pagamento delle licenze dirette quanto piuttosto dagli introiti indiretti derivanti dalla pubblicità ancor più che dagli abbonamenti. Benché anche gli abbonamenti siano in crescita, il modo di operare (business model) di Internet fa appello a soluzioni non tradizionali di diffusione, caratterizzati dalla digitalizzazione e dalla trasmissione digitale. Da questo punto di vista siamo ancora in una fase transitoria di ricerca di nuove modalità di compenso (14), dato che i costi di produzione e trasmissione delle opere digitali non sono comparabili con quelli, assai più elevati, relativi alla vendita delle opere su supporti materiali.

6.5

Resta ancora da trovare un equilibrio fra le nuove forme di diffusione, le tecnologie di riproduzione, i bisogni della società della conoscenza e i diritti degli autori. In assenza di una normativa e della ricerca di nuove forme di compenso degli autori, tale equilibrio non scaturirà certo dal massiccio ricorso a misure meramente repressive, essenzialmente rivolte contro una fascia di età che si trova ad essere criminalizzata. Considerate l'importanza e la rapidità delle evoluzioni tecnologiche, è urgente far evolvere anche gli attuali limiti normativi.

Bruxelles, 24 marzo 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  La nuova denominazione è dovuta all'estensione della proprietà letteraria e artistica a nuovi settori e a nuovi oggetti della creazione intellettuale.

(2)  Organizzazione mondiale per la proprietà intellettuale.

(3)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Un mercato unico per l’Europa del XXI secolo (COM(2007) 724 def. del 20 novembre 2007).

(4)  Alcune delle quali riguardano diritti specifici, come quelli degli autori di banche dati e di circuiti elettronici.

(5)  Gli autori, in quanto soggetti che hanno concepito o realizzato, da soli o tramite terzi, una determinata creazione.

(6)  Licenza pubblica generale (General Public Licence), che riguarda soprattutto le licenze libere.

(7)  Cfr. il parere d'iniziativa del CESE sul tema La cooperazione e il trasferimento delle conoscenze tra gli organismi di ricerca, l'industria e le PMI: un presupposto importante per l'innovazione (CESE 330/2009).

(8)  Molte grandi imprese private contribuiscono attivamente al finanziamento di queste produzioni coperte da licenze particolari o libere, considerandole delle proficue fonti di innovazione.

(9)  Ciascun file dovrebbe inoltre essere contrassegnato da un'apposita indicazione (la cosiddetta «filigrana digitale» o digital watermark) che rimandi a una nota esplicativa della licenza obbligatoria dove sono illustrate le limitazioni d'uso specificamente previste.

(10)  Ad esempio, una copia in loco, una seconda copia presso un'istituzione analoga (in virtù di un accordo di conservazione reciproca) e una terza copia su un server di archiviazione digitale.

(11)  Ad esempio per la costituzione di file di documentazione per i ricercatori operanti in settori particolari e al servizio di laboratori o altre imprese.

(12)  Essa dovrebbe inoltre interessare sia le banche di dati originali che quelle «sui generis» (dizionari, enciclopedie, ecc.).

(13)  Per Web 2.0 si intendono le interfacce che consentono a chi naviga in Internet di interagire sia con il contenuto delle pagine on line che con gli altri utenti, facendo del web una rete comunitaria e interattiva.

(14)  Come nel caso delle iniziative di Google e, più di recente, di Microsoft.


22.9.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 228/56


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Per una programmazione congiunta della ricerca: cooperare per affrontare più efficacemente le sfide comuni

COM(2008) 468 def.

2009/C 228/09

Il Consiglio, in data 15 luglio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Per una programmazione congiunta della ricerca: cooperare per affrontare più efficacemente le sfide comuni»

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 marzo 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore ZBOŘIL.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 marzo 2009, nel corso della 452a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 104 voti favorevoli e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE accoglie con favore la comunicazione e constata che il concetto proposto di attuazione di una gestione strategica transfrontaliera delle attività di ricerca e sviluppo è straordinariamente importante e urgente soprattutto per realizzare un rapido progresso nei settori fondamentali della scienza e della ricerca. Il Piano strategico europeo si fonda sulle migliori pratiche e le sviluppa in un sistema funzionale.

1.2

A tale proposito gli Stati membri devono avviare un processo per rafforzare la loro cooperazione in materia di R&S, così da riuscire ad affrontare meglio le sfide sociali più importanti a livello europeo o mondiale in cui la ricerca pubblica svolge un ruolo essenziale. In questo senso, inoltre, il CESE accoglie con favore e sostiene le conclusioni adottate in materia dal Consiglio Competitività del 2 dicembre 2008 (1) e condivide le dichiarazioni formulate in tale contesto.

1.3

Il CESE è convinto della necessità di creare quadri strategici fondamentali basati sulle priorità politiche dell'UE. Per l'attuazione dell'approccio proposto occorrerà soprattutto una forte volontà politica.

1.4

Il CESE mette in guardia dal porre troppo l'accento sull'approccio dall'alto verso il basso. Ritiene indispensabile adottare innanzitutto un approccio dal basso verso l'alto così da rispondere agli interessi strategici dei soggetti coinvolti dando loro la possibilità di condividere le migliori capacità di ricerca e sviluppo.

1.5

Allo stesso tempo il Comitato richiama l'attenzione sul fatto che tale coordinamento non sarà facile, specie per gli interessi particolari di alcuni paesi e la mancanza di volontà politica di condividere innanzitutto le conoscenze, ma anche le capacità di ricerca e sviluppo.

1.6

Il CESE condivide appieno l'idea secondo cui è urgente incrementare le risorse finanziarie e umane affinché la Comunità migliori la propria competitività rispetto ai principali concorrenti economici. Non si dovrebbe tuttavia in nessun caso escludere la possibilità di una cooperazione scientifica anche con questi paesi e con i loro organismi di ricerca (2).

1.7

Il CESE constata, al tempo stesso, che l'attuazione della programmazione congiunta delle attività transfrontaliere di ricerca e sviluppo sarà estremamente difficile, poiché essa richiederà un cambiamento di mentalità verso una maggiore apertura e cooperazione (3), e una trasformazione di questo tipo non è questione da poco.

1.8

Riconoscendo ed apprezzando l'ampia gamma di cooperazioni transfrontaliere e di progetti congiunti già esistenti, come pure i loro eccellenti risultati, il CESE raccomanda di trarre da questi programmi delle esperienze da utilizzare per il nuovo concetto di programmazione strategica. Nel definire i processi della programmazione congiunta della ricerca, bisognerebbe saper ricavare insegnamenti utili anche dagli insuccessi.

1.9

Per consentire un'applicazione pratica più efficace e più rapida delle conoscenze scientifiche acquisite sarà indispensabile un coinvolgimento adeguato del settore privato nell'intero processo. Al riguardo il CESE richiama l'attenzione sulle difficoltà legate alla partecipazione di tale settore, in particolare per quanto riguarda l'utilizzo dei risultati, la questione della proprietà intellettuale, ecc. (4)

1.10

Il CESE giudica indispensabile che per questa importante attività comunitaria vengano progettati e sperimentati quadri di lavoro validi, in grado di motivare la partecipazione dei singoli Stati membri, ma soprattutto delle loro capacità scientifiche e di ricerca, al fine di sostenere l'approccio dal basso verso l'alto e, in particolar modo, di mobilitare le risorse finanziarie necessarie. Una condizione essenziale è la sufficiente mobilità dei fondi e un quadro di sostegno che elimini gli eventuali ostacoli.

1.11

Nell'elaborazione di questi quadri di lavoro non occorre soltanto tenere conto dei fattori che possono avere effetti sinergici di sostegno, ma è necessario analizzare in modo approfondito anche i rischi che minacciano il concetto di programmazione congiunta europea.

1.12

In tale contesto il CESE si è già pronunciato a favore della proposta di creare un'infrastruttura europea della ricerca (5), e ne sottolinea l'urgenza. Tale infrastruttura, infatti, rafforzerà gli obiettivi generali della programmazione congiunta e contribuirà ad aumentare il valore aggiunto europeo. Pertanto il CESE invita gli Stati membri a dare attuazione quanto prima, con modalità innovative, a tale iniziativa della Commissione.

1.13

Il CESE accoglie con favore la costituzione del gruppo ad alto livello per la programmazione congiunta, incaricato di selezionare i temi di tale programmazione sulla base di un'ampia consultazione pubblica delle varie comunità scientifiche regionali, nazionali ed europee, nonché, se necessario, del settore privato. A seguito di tali attività, il Consiglio, su proposta della Commissione, dovrebbe essere in grado di adottare iniziative di programmazione congiunta entro il 2010.

2.   Introduzione: il documento della Commissione

2.1

L'Europa non deve solo investire di più nella ricerca, ma anche investire meglio se vuole realizzare quanto dichiara, cioè uno sviluppo equilibrato e sostenibile. La strategia di Lisbona ha fissato tra i suoi obiettivi prioritari la transizione verso una società basata sulla conoscenza e imperniata sulla scienza, la tecnologia e l'innovazione, chiedendo maggiori investimenti nella ricerca.

2.2

La nuova iniziativa - la programmazione congiunta - segna un cambiamento nello scenario della cooperazione europea nel settore della ricerca. Essa si presenta infatti come un processo volontario teso a ravvivare il partenariato tra Stati membri sulla base di principi chiari e di una governance trasparente ad alto livello. L'obiettivo è migliorare l'efficienza e l'impatto dei finanziamenti pubblici nazionali destinati alla ricerca in settori strategici. L'iniziativa sulla programmazione congiunta è destinata innanzitutto ai programmi di ricerca pubblici, ovvero alla cooperazione pubblico-pubblico. Ciò nonostante le imprese del settore, ma anche altre parti in causa, dovrebbero partecipare in qualche forma alla fase di consultazione e di attuazione di specifiche iniziative di programmazione congiunta.

2.3

La comunicazione viene incontro alle richieste espresse dalle parti in causa che vogliono un approccio volontario e dal basso, abbinato ad una guida strategica a livello europeo, e rifiutano un metodo che si applichi indiscriminatamente a tutto.

2.4

La comunicazione in esame è una delle cinque iniziative previste dalla Commissione a seguito del Libro verde del 2008 intitolato Nuove prospettive per lo Spazio europeo della ricerca  (6). Essa riguarda in particolare la dimensione «Ottimizzare i programmi e le priorità di ricerca» e rappresenta inoltre un altro passo avanti nella realizzazione della cosiddetta «quinta libertà», eliminando gli ostacoli alla libera circolazione delle conoscenze.

2.5

Rispetto ai partner principali, l'Europa continua a investire in misura insufficiente nella ricerca, e la spesa per le attività di R&S (sia pubblica che privata) è rimasta sostanzialmente ferma negli ultimi dieci anni. L'Europa, tuttavia, dovrebbe non solo aumentare gli investimenti in modo rapido e sostanziale, ma anche trovare soluzioni nuove e sempre più innovative per utilizzare in maniera più efficiente ed efficace le scarse risorse di R&S disponibili. L'Europa dovrebbe anche potenziare la propria capacità di trasformare i risultati della ricerca in benefici sociali ed economici.

2.6

Negli ultimi anni gli Stati membri e la Comunità hanno adottato molte iniziative per stimolare l'impatto e l'efficienza della ricerca pubblica. Da tempo le parti in causa sottolineano come un punto debole del sistema UE di ricerca e sviluppo sia la scarsa collaborazione e lo scarso coordinamento tra i programmi pubblici nazionali nel campo della R&S; tuttavia, nonostante gli sforzi degli ultimi anni, il panorama della ricerca europea continua ad essere compartimentato.

2.7

Attualmente, l'85 % delle attività pubbliche di R&S è programmato, finanziato, monitorato e valutato a livello nazionale, con scarsa collaborazione o scarso coordinamento tra paesi. Meno del 6 % degli investimenti complessivi in R&S e appena il 15 % delle attività europee di R&S a scopi civili che beneficiano di finanziamenti pubblici (di cui il 10 % è rappresentato da organizzazioni e programmi intergovernativi e il 5 % dal programma quadro) sono finanziati nell'ambito di collaborazioni transfrontaliere.

2.8

Il problema non è che tutta la programmazione nel settore della ricerca debba svolgersi in collaborazione né tanto meno che si debba porre fine ai programmi puramente nazionali. La questione è invece che, in settori d'importanza strategica per tutta l'Europa o buona parte di essa, la frammentazione della programmazione delle attività di ricerca pubbliche genera ritorni economici poco soddisfacenti e costa invece molto, senza contare che impedisce all'Europa di conseguire gli obiettivi sociali che si è prefissa.

2.9

Alcuni dei risultati scientifici più eclatanti dell'Europa sono il frutto della messa in comune di fondi pubblici per la R&S provenienti da vari paesi e soprattutto della creazione di strutture scientifiche comuni (7). Gli effetti di queste iniziative comuni, tuttavia, avrebbero potuto essere ben superiori se fossero state globalmente più mirate sotto il profilo strategico, se ci fosse stato un più forte impegno politico nonché maggiore trasparenza e minore rigidità. Non ha molto senso aumentare il numero di queste iniziative o incrementare l'entità complessiva del Settimo programma quadro se non si affronta prima il problema della mancanza di un'efficace programmazione strategica congiunta.

2.10

Programmazione congiunta significa anche cambiare la struttura del panorama europeo della ricerca, nell'ambito di un processo globale, strategico e di lungo termine, che si pone come obiettivo il rafforzamento della capacità dell'Europa di affrontare le principali sfide di carattere socioeconomico, come ad esempio i problemi tra loro interrelati del clima e dell'energia. Programmazione congiunta significa ottenere una strutturazione che serva a rendere più efficaci ed incisivi i finanziamenti pubblici destinati alla ricerca. Gli Stati membri devono essere pronti ad andare verso la definizione e l'attuazione di agende di ricerca comuni che prevedano attività pluriennali approvate di concerto e meccanismi di finanziamento comuni.

2.11

La programmazione congiunta impone agli Stati membri di acquisire una nuova mentalità. Innanzitutto, essi devono assumere i necessari impegni e intraprendere interventi concreti, ma devono anche ripensare e riorganizzare le modalità di elaborazione e attuazione dei programmi di ricerca nazionali, che vanno riformulati e mirati al conseguimento di obiettivi comuni. Per questo motivo deve trattarsi di un processo volontario, ispirato al principio delle geometrie variabili e dell'accesso aperto.

2.12

A priori, la programmazione congiunta non implica necessariamente un finanziamento comunitario, anche se, naturalmente, il Settimo programma quadro di cooperazione può fungere da catalizzatore. L'idea è che siano soprattutto gli Stati membri a definire le strategie comuni e a mettere insieme le risorse nazionali. D'altra parte non è nemmeno esclusa la possibilità di un intervento integrativo della Comunità in funzione del valore aggiunto, della dimensione europea e del possibile effetto di strutturazione delle iniziative in questione.

2.13

La Commissione propone una metodologia pragmatica per realizzare la programmazione congiunta in alcuni settori concordati. La metodologia per rendere operativa la programmazione si basa sull'esperienza acquisita con le piattaforme tecnologiche europee, ma è adattata ai programmi di ricerca pubblici. Sono previste varie fasi, conformi al ciclo di vita dei programmi di ricerca, dalla definizione del programma alla sua realizzazione fino al monitoraggio e alla valutazione.

2.14

L'istituzione di una serie di condizioni generali, elencate di seguito, potrebbe facilitare la programmazione congiunta:

accordo su alcuni principi e procedure condivisi per la revisione tra pari («regole scientifiche del gioco»),

sviluppo di metodologie comuni per le attività di previsione e per la valutazione congiunta di programmi o investimenti nazionali o regionali in ambiti di ricerca specifici («regole strategiche del gioco» che, data l'imprevedibilità del contesto, richiedono flessibilità e intuito),

definizione di principi comuni per il finanziamento transfrontaliero della ricerca da parte delle amministrazioni nazionali o regionali («regole finanziarie del gioco»),

misure efficaci per la tutela dei diritti di proprietà intellettuale e per agevolare la diffusione e l'utilizzo ottimale dei risultati della ricerca.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1

Il CESE accoglie con favore la comunicazione e constata che il concetto proposto di attuazione di una gestione strategica transfrontaliera delle attività di ricerca e sviluppo è straordinariamente importante e urgente soprattutto per realizzare un rapido progresso nei settori fondamentali della scienza e della ricerca. A questo proposito, inoltre, il CESE accoglie con favore e sostiene le conclusioni adottate in materia dal Consiglio Competitività del 2 dicembre 2008 e condivide le dichiarazioni formulate in tale contesto.

3.2

Tra le caratteristiche positive del concetto vi sono lo sforzo di utilizzare nel modo più efficace possibile i fondi pubblici, grazie ad un coordinamento strategico degli orientamenti fondamentali della ricerca, nonché il miglioramento interno delle capacità di ricerca e sviluppo, grazie ad una più ampia cooperazione internazionale su progetti di ricerca predisposti e realizzati congiuntamente.

3.3

Il Comitato si rallegra che sia stata effettuata un'analisi di impatto e che su tale base sia stata scelta, tra quattro possibilità, la variante «piano strategico europeo», che si fonda sulle migliori pratiche in vigore e le sviluppa in un sistema funzionale nel cui ambito spetterà agli Stati membri individuare i temi della programmazione congiunta.

3.4

Il Comitato si compiace anche del fatto che per il progetto pilota di coordinamento è stato scelto il settore delle tecnologie energetiche, e ha sostenuto pienamente questo progetto, basato sul nuovo approccio, nel suo parere sul piano SET (8).

3.5

Il CESE è convinto della necessità di creare quadri strategici fondamentali basati sulle priorità politiche dell'UE.

3.6

Il CESE tuttavia mette in guardia dal porre troppo l'accento sull'approccio dall'alto verso il basso. A suo avviso, invece, se ci si basa sulle caratteristiche delle reti scientifiche internazionali esistenti, che comprendono molti gruppi di ricerca e sono in parte finanziate da agenzie internazionali, come l'AIE, è indispensabile innanzitutto adottare un approccio dal basso verso l'alto al fine di coinvolgere i singoli soggetti in progetti adeguati, così da rispondere ai loro interessi strategici e alle possibilità di condivisione delle loro migliori capacità di ricerca e sviluppo. Le conferenze scientifiche internazionali rappresentano possibili forum cui si può affidare l'incarico di elaborare proposte adeguate.

3.7

Allo stesso tempo il Comitato richiama l'attenzione su fatto che tale coordinamento non sarà facile, specie per gli interessi particolari di alcuni paesi e la mancanza di volontà politica di condividere innanzitutto le conoscenze, ma anche le capacità di ricerca e sviluppo. L'apertura e la trasparenza saranno quindi presupposti indispensabili per una riuscita applicazione pratica del concetto.

3.8

Riconoscendo ed apprezzando l'ampia gamma di cooperazioni transfrontaliere e di progetti congiunti già esistenti, come pure i loro eccellenti risultati, il CESE raccomanda di trarre da questi programmi delle esperienze da utilizzare per il nuovo concetto di programmazione strategica. Nel definire i processi della programmazione congiunta della ricerca, bisognerebbe saper ricavare insegnamenti utili anche dagli insuccessi.

3.9

Il CESE condivide appieno l'idea secondo cui è urgente applicare il concetto e, allo stesso tempo, occorre incrementare le risorse finanziarie e umane, se si vuole che la Comunità migliori la propria posizione anche, in ultima analisi, in termini di competitività economica nei confronti dei principali concorrenti, ossia gli Stati Uniti e i paesi asiatici. Non si dovrebbe tuttavia in nessun caso escludere la possibilità di una cooperazione scientifica anche con questi paesi e con i loro organismi di ricerca (9).

3.10

Il CESE constata al tempo stesso che l'attuazione della programmazione congiunta delle attività transfrontaliere di ricerca e sviluppo sarà estremamente difficile, poiché essa richiederà un cambiamento di mentalità verso una maggiore apertura e cooperazione (10), e una trasformazione di questo tipo non è questione da poco.

3.11

Per consentire un'applicazione pratica più efficace e più rapida delle conoscenze scientifiche acquisite, che è l'obiettivo finale della programmazione strategica congiunta e delle specifiche soluzioni di ricerca, sarà indispensabile un coinvolgimento adeguato del settore privato nell'intero processo: il CESE constata che il concetto di programmazione congiunta consente tale coinvolgimento. Il CESE richiama inoltre l'attenzione sulle difficoltà legate alla partecipazione del settore privato, in particolare per quanto riguarda l'utilizzo dei risultati, la questione della proprietà intellettuale, ecc. (11)

3.12

Il processo di innovazione, ossia l'applicazione pratica delle conoscenze scientifiche acquisite, dipenderà da una grande varietà di situazioni locali, come ad esempio le infrastrutture esistenti, l'accessibilità dei capitali, gli oneri o le agevolazioni fiscali per alcuni tipi di investimenti nonché, in particolare, le esperienze dell'industria rispetto a tipi di investimenti analoghi. Infine, può trattarsi anche di incentivi diretti agli investimenti, ad esempio esenzioni dalle imposte. Questi elementi possono introdurre delle contraddizioni nell'ambito del progetto.

4.   Osservazioni specifiche

4.1   È evidente che questa programmazione strategica congiunta e le soluzioni basate su uno sviluppo scientifico-tecnico devono avere come oggetto, in via prioritaria, le più urgenti sfide sociali attuali: cambiamento climatico, produzione e consumo di energia (comprese le fonti rinnovabili), sicurezza, salute e invecchiamento, se si vogliono trovare e applicare soluzioni sufficientemente rapide ed efficaci.

4.2   Si tratta quindi del principale settore della ricerca fondamentale, finanziato soprattutto tramite fondi pubblici, dei processi di programmazione strategica congiunta e delle soluzioni di ricerca. Anche in relazione a questi elementi si dovrebbero padroneggiare adeguatamente innanzitutto la fase iniziale di ogni progetto, quindi l'individuazione dei soggetti necessari e l'elaborazione di una visione sufficientemente motivante del progetto, che riesca ad attirare soggetti di qualità.

4.2.1   In nessun caso, tuttavia, si dovrebbe escludere dalla programmazione in esame la cooperazione nel campo della ricerca pura fondamentale, dalla quale, a priori, non ci si aspettano applicazioni concrete. Essa dovrebbe invece essere inserita in queste attività, poiché la storia insegna che i successi più eclatanti sono stati conseguiti proprio in questo campo (si possono ricordare a questo proposito i laser, la meccanica quantistica o la teoria elettromagnetica).

4.3   Mentre la programmazione strategica congiunta proposta sarà attuata e finanziata dagli Stati membri partecipanti, e quindi resterà di loro piena competenza, è invece estremamente auspicabile che gli organi dell'UE partecipino all'avvio e soprattutto al coordinamento nella fase iniziale di elaborazione di una visione comune. La Commissione, ma anche altre organizzazioni, possono intervenire per agevolare il dialogo e dovrebbero essere pronte a offrire assistenza agli Stati membri impegnati nelle iniziative di programmazione congiunta che ne facciano richiesta. Il Consiglio dell'Unione europea dovrebbe garantire un monitoraggio efficace delle attività. Grazie a questo accesso aperto, gli Stati membri saranno informati delle iniziative previste o già in corso.

4.4   Un altro elemento determinante della programmazione congiunta è l'adozione di un approccio realistico e flessibile abbinato ad un processo graduale, che aiuti ad ottenere il massimo effetto di strutturazione e l'impatto più forte a livello sociale.

4.5   Il CESE giudica indispensabile che per questa importante attività comunitaria vengano progettati e sperimentati quadri di lavoro validi, in grado di motivare la partecipazione dei singoli Stati membri ma soprattutto delle loro capacità scientifiche e di ricerca, al fine di sostenere l'approccio dal basso verso l'alto e, in particolar modo, di mobilitare le risorse finanziarie necessarie. A questo proposito la Commissione, sulla base dei programmi di ricerca comuni già esistenti, dovrebbe promuovere immediatamente la cooperazione tra i soggetti interessati. Condizioni essenziali a questo proposito sono una sufficiente mobilità dei fondi e la presenza di un quadro di sostegno.

4.6   Nell'elaborazione di questi quadri di lavoro non soltanto occorre tenere conto dei fattori che possono avere effetti sinergici di sostegno, ma bisogna analizzare in modo approfondito anche i rischi che minacciano il concetto di programmazione congiunta europea e l'applicazione pratica dei risultati. Infatti, la sottovalutazione di questi rischi può essere la causa del mancato successo, nella fase di realizzazione, di idee di per sé molto interessanti. Dalla comunicazione e dai documenti di accompagnamento emerge chiaramente che la Commissione ha prestato la giusta attenzione a questi fattori.

4.7   Il progetto pilota «piano SET» deve essere attentamente monitorato analizzandone le misure attuate in modo che sia possibile migliorare operativamente, a partire dalle esperienze acquisite, l'approccio strategico europeo di programmazione della cooperazione transfrontaliera in materia di ricerca e sviluppo. Per l'ambiente europeo della ricerca e sviluppo si tratterà di un processo di apprendimento empirico.

4.8   Le nuove strutture di organizzazione delle attività transfrontaliere di ricerca e sviluppo dovrebbero essere create nei settori in cui daranno un contributo certo a livello europeo e apporteranno un evidente valore aggiunto. Per questo motivo il CESE giudica indispensabile utilizzare al massimo il potenziale delle strutture organizzative che si siano rivelate valide (avendo conseguito risultati sul piano scientifico o nel campo della cooperazione internazionale) oppure possano svilupparsi ancora in modo efficace.

4.9   Il CESE è d'accordo con la scelta di suddividere in tre fasi la programmazione strategica delle attività di ricerca e sviluppo e la sua attuazione:

4.9.1   sviluppo di una visione comune per il settore concordato, che fissi l'obiettivo o gli obiettivi a lungo termine successivamente approvati a livello politico. La visione dovrebbe essere elaborata in base ad elementi credibili e ad ampie consultazioni delle parti in causa, in particolare le comunità scientifiche e industriali, e dovrebbe basarsi su una valutazione congiunta dei programmi e delle capacità esistenti;

4.9.2   dopo aver definito la visione, questa dovrebbe tradursi in un'agenda di ricerca strategica che comporti obiettivi specifici, misurabili, raggiungibili, realistici e definiti nel tempo (i cosiddetti obiettivi intelligenti, noti con la sigla SMART). L'agenda di ricerca strategica dovrebbe garantire il collegamento degli obiettivi del progetto con le risorse necessarie (umane, finanziarie e organizzative), consentendo così una buona preparazione del progetto tramite la conoscenza del contesto necessario in un determinato settore di ricerca;

4.9.3   attuazione dell'agenda di ricerca strategica: è opportuno utilizzare e rafforzare tutto il ventaglio di strumenti a disposizione della ricerca pubblica (programmi di ricerca nazionali e regionali, organismi di ricerca e programmi di cooperazione intergovernativi, infrastrutture di ricerca, programmi di mobilità). L'attuazione può includere, ma non necessariamente, finanziamenti e strumenti UE attraverso il programma quadro. Occorre garantire un monitoraggio e una valutazione periodici dei progressi compiuti, riferendone i risultati a livello politico.

4.10   Dato che i progetti di programmazione congiunta, così come avviene per le infrastrutture europee di ricerca, saranno finanziati dagli Stati membri, sarà essenziale assicurare il coordinamento di tali finanziamenti. Il CESE giudica necessario che si mettano in atto adeguate sinergie tra la creazione dell'infrastruttura europea della ricerca, la programmazione congiunta e il Settimo programma quadro. Al tempo stesso osserva che taluni Stati membri non prendono tali iniziative troppo sul serio.

4.11   Il CESE accoglie con favore la costituzione del gruppo ad alto livello per la programmazione congiunta, incaricato di selezionare i temi di tale programmazione sulla base di un'ampia consultazione pubblica delle varie comunità scientifiche regionali, nazionali ed europee, nonché, se necessario, del settore privato. Come risultato di tali attività, il Consiglio, in base ad una proposta della Commissione di prossima pubblicazione, dovrebbe essere in grado di adottare iniziative di programmazione congiunta entro il 2010.

Bruxelles, 25 marzo 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Consiglio dell'Unione europea, 3 dicembre 2008, (16.12) 16775/08, RECH 411; COMPET 551; ANNEX.

(2)  Cfr. anche il parere INT/461 - CESE 1021/2009 del 11.6.2009 (non ancora pubblicato nella GU).

(3)  Cfr. anche il parere INT/448 - CESE 330/2009 del 26.2.2009 (non ancora pubblicato nella GU).

(4)  Cfr. anche il parere INT/448 - CESE 330/2009 del 26.2.2009 (non ancora pubblicato nella GU).

(5)  Parere INT/450 - CESE 40/2009 - 2008/0148 (CNS) del 15 gennaio 2009 (non ancora pubblicato nella GU).

(6)  Oltre alla comunicazione in esame, quest'anno la Commissione ha adottato:

una raccomandazione relativa alla gestione della proprietà intellettuale nelle attività di trasferimento delle conoscenze e al codice di buone pratiche destinato alle università e ad altri organismi pubblici di ricerca, C (2008) 1329 del 10 aprile 2008,

una comunicazione intitolata Migliori carriere e maggiore mobilità: una partnership europea per i ricercatori, COM(2008) 317 def. del 23 maggio 2008.

Sono inoltre in preparazione un regolamento del Consiglio riguardante un quadro normativo comunitario per un'infrastruttura europea di ricerca e una comunicazione su un quadro strategico europeo per la cooperazione scientifica e tecnologica internazionale.

(7)  Cfr. anche il parere INT/450 - CESE 40/2009 - 2008/0148 (CNS) del 15 gennaio 2009 (non ancora pubblicato nella GU).

(8)  Parere in merito al Piano strategico europeo per le tecnologie energetiche (GU C 27 del 3.2.2009, pag. 53).

(9)  Cfr. anche il parere INT/461- CESE 1021/2009 del 11.6.2009 (non ancora pubblicato nella GU).

(10)  Cfr. anche il parere INT/448 - CESE 330/2009 del 26 febbraio 2009 (non ancora pubblicato nella GU).

(11)  Cfr. anche il parere INT/448 - CESE 330/2009 del 26 febbraio 2009 (non ancora pubblicato nella GU).


22.9.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 228/62


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE per quanto riguarda gli enti creditizi collegati a organismi centrali, taluni elementi dei fondi propri, i grandi fidi, i meccanismi di vigilanza e la gestione delle crisi

COM(2008) 602 def. — 2008/0191 (COD)

2009/C 228/10

Il Consiglio, in data 22 ottobre 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 47 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE per quanto riguarda gli enti creditizi collegati a organismi centrali, taluni elementi dei fondi propri, i grandi fidi, i meccanismi di vigilanza e la gestione delle crisi»

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 marzo 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore BURANI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 24 marzo 2009, nel corso della 452a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 179 voti favorevoli, 4 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Riassunto e conclusioni

1.1

Il Comitato approva l'iniziativa della Commissione, coerente con la sua azione di costante aggiornamento delle misure atte a migliorare e aggiornare il quadro normativo dell'accordo di Basilea; è pure d'accordo in linea generale con le disposizioni attuative proposte, salvo qualche osservazione su aspetti singoli, che non alterano il quadro generale.

1.2

Gli strumenti di capitale ibrido, che presentano caratteristiche miste di capitale proprio e capitale di debito, sono attualmente soggette a regole nazionali che dovrebbero essere armonizzate per raggiungere un ragionevole level playing field in campo internazionale. La Commissione non dà a questi strumenti una definizione precisa in quanto essi assumono forme diverse e evolutive, ma fissa dei principi di base per la loro ammissibilità: non devono avere una scadenza iniziale inferiore a 30 anni, devono essere interamente pagati e congegnati in modo da assorbire interamente le perdite. Inoltre non devono svilupparsi eccessivamente rispetto al capitale proprio; viene demandato alle autorità nazionali il potere di intervenire per frenare le crescite abnormi.

1.3

In materia di clienti collegati, è stata introdotta la nozione di rischio derivante dalle difficoltà di un'azienda dalla quale un'altra è finanziariamente dipendente e sono stati semplificati, armonizzati e ristrutturati gli obblighi di informativa. In materia di grandi rischi, l'innovazione di maggior rilievo riguarda l'introduzione di un limite unico del 25 %, che comprende anche i depositi interbancari. Il CESE ritiene che quest'ultima norma, ispirata probabilmente allo «scenario catastrofe» degli ultimi tempi, debba essere riveduta, in considerazione dell'importante funzione regolatrice della liquidità di questi depositi e della loro relativamente minore rischiosità, in tempi normali, rispetto ad altri tipi di esposizioni.

1.4

La proposta in esame introduce una norma che impone di mantenere un interesse economico rilevante, e comunque non inferiore al 5 %, agli emittenti, agli intermediari e ai gestori che abbiano direttamente preso parte alla negoziazione, alla strutturazione e alla redazione scritta dell'accordo iniziale da cui nascono le obbligazioni. Tale norma sembra ispirata alla pessima esperienza dei CDO (collateralized-debt obligations) americani, che peraltro hanno caratteristiche ed origini differenti dalle normali cartolarizzazioni. Il CESE si interroga sul possibile impatto di questa nuova norma sulla liquidità dei mercati.

1.5

Viene accordata agli Stati membri la facoltà di esentare nel calcolo delle esposizioni i rischi intragruppo quando le controparti siano stabilite nello stesso SM. Il Comitato è bene al corrente delle ragioni di tipo giuridico che osterebbero all'estensione della norma a controparti residenti in altri SM, ma ritiene che in condizioni normali la mancata inclusione delle controparti estere nuocerebbe alla valutazione globale della rischiosità dell'azienda in causa. Una soluzione ragionevole consisterebbe nell'estendere l'esenzione all'intero gruppo secondo valutazioni da farsi caso per caso, salvo sospendere la facilitazione qualora si percepissero segnali di criticità.

1.6

Con riferimento alla norma di cui al punto precedente, ma con valenza di carattere generale, il Comitato di pronuncia ancora una volta contro la concessione di facoltà agli SM di adottare o non adottare talune prescrizioni: viene intaccato il principio dell'armonizzazione e la parità di condizioni di concorrenza.

1.7

A giudizio del CESE, un'attenzione particolare dovrebbe essere dedicata al rischio costituito dall'esposizione potenziale per l'utilizzo di linee di credito non ancora utilizzate su carte di credito: un'esposizione che potrebbe rapidamente divenire rilevante in periodi di restrizioni sul credito al consumo e ipotecario.

1.8

In materia di meccanismi di vigilanza, la proposta di direttiva introduce una serie di nuove regole atte ad aumentare l'efficienza dei controlli: in primo luogo, viene presa in considerazione la «succursale rilevante dal punto di vista dei rischi sistemici», da sottoporre a vigilanza nel paese ospite quando ne venga riconosciuto lo stato di criticità e previo accordo fra le autorità dei paesi interessati; il CESE è d'accordo, ma sottolinea che occorrono misure da adottare nei casi di eventi subitanei e non previsti.

1.9

Il CESE rileva infine con particolare favore l'istituzione dei collegi delle autorità di vigilanza istituiti dall'autorità di vigilanza consolidata e dei quali fanno parte le autorità dei paesi nei quali risiedono le aziende di un determinato gruppo. Una tale iniziativa non può che migliorare l'efficacia del controllo sui gruppi e la tempestività nell'adozione di misure adeguate quando ne insorga la necessità.

2.   Introduzione

2.1

La crisi dei mercati finanziari ha indotto la Commissione ad accelerare la procedura, già in atto, di rafforzamento e, ove necessario, di modifica, delle disposizioni riguardanti la struttura dei requisiti patrimoniali delle istituzioni finanziarie, adottato nel quadro dell'accordo di Basilea II con le direttive 2006/48/CE e 2006/49/CE. È da notare che le riflessioni sulle nuove disposizioni erano già in corso quando la crisi si è manifestata; una riforma strutturata dei mercati dovrebbe essere messa in opera dopo la pubblicazione di un Libro bianco, prevista per giugno 2009. La proposta in esame contiene una serie di norme intese a:

regolarizzare la posizione degli Stati membri che hanno accordato deroghe previste dall'articolo 3 della precedente direttiva in materia di deroghe dagli obblighi prudenziali per le reti bancarie, estendendo questa possibilità ad altri Stati membri; vengono incluse nelle deroghe le reti bancarie con patrimonio superiore a 311 miliardi di euro e con più di cinque milioni di membri (cooperative, enti creditizi collegati a organismi centrali),

fissare principi e norme non fissati da norme comunitarie, principalmente quelle sugli strumenti di capitale ibrido,

chiarire il quadro di vigilanza per la gestione delle crisi e la creazione di un collegio di vigilanza.

2.2

La proposta di direttiva è stata preceduta da una consultazione su Internet delle parti interessate; il testo è stato redatto tenendo conto delle indicazioni ricevute, ma evidentemente mantenendo fermi i principi di base ai quali la consultazione si era ispirata:

le esposizioni interbancarie non sono prive di rischio e pertanto devono essere sottoposte a limiti,

la cartolarizzazione dei crediti deve comportare il mantenimento di una quota di rischio a carico dei cedenti e dei «promotori» (intermediari) per le esposizioni cartolarizzate. Deve inoltre essere imposto l'obbligo di un grado dimostrabile di dovuta diligenza e rigore nel modello «originate to distribuite»,

per tutte le banche transfrontaliere devono essere istituiti collegi di autorità di vigilanza, con obbligo per le partecipanti di concordare un meccanismo di mediazione tramite il Comitato europeo delle autorità di vigilanza.

2.3

Il CESE apprezza lo spirito di fondo che anima queste proposte e concorda sulla linea generale delle proposte formulate dalla Commissione: gli eventi ai quali si è assistito, ma soprattutto alcuni fatti e i misfatti, hanno incrinato nel pubblico la fiducia nel sistema finanziario nel suo complesso e impongono l'adozione di adeguate misure. È tuttavia necessario che la severità delle regole prudenziali non penalizzi al di là del necessario gli operatori e i loro clienti. Come la crisi in atto ha dimostrato, le regole prudenziali, assicurando la stabilità e solidità dei mercati, assolvono anche ad una funzione di alto valore sociale.

3.   Il capitale ibrido

3.1   Gli strumenti di capitale ibrido presentano caratteristiche sia del capitale proprio (azioni) che del capitale di debito (obbligazioni); offrono un rendimento più elevato rispetto a queste ultime ma non godono del diritto di voto - o hanno diritti di voto limitati - rispetto alle azioni.

3.1.1   In mancanza di una legislazione europea, l'ammissibilità degli strumenti ibridi è soggetta a criteri nazionali divergenti: di qui uno squilibrato playing field e la possibilità di «arbitraggi normativi» da parte delle banche transnazionali. La Commissione si astiene dal dare una definizione precisa degli strumenti ibridi, considerando che l'innovazione rischierebbe di renderla rapidamente obsoleta o incompleta: ha preferito invece enunciare i principi di base per la loro ammissibilità.

3.1.2   In linea generale gli strumenti ammissibili come fondi propri di base («capitale di classe 1») sono tutti quelli che assorbono pienamente le perdite; in questa definizione rientrano gli strumenti ibridi, che oltre ai requisiti già descritti devono anche essere costantemente disponibili e avere il grado più subordinato in caso di liquidazione. Queste condizioni, già stabilite dal G10 nel 1998, non erano stati recepite nella legislazione europea.

3.1.3   Ulteriori precisazioni e condizioni stabiliscono che gli ibridi di capitale non devono avere scadenza, o almeno una scadenza inizialmente stabilita superiore a 30 anni. Essi assorbono le perdite in condizioni normali e rappresentano il credito più subordinato in caso di liquidazione; aiutano quindi le istituzioni a continuare la normale attività senza impedire la ricapitalizzazione. Il CESE manifesta il suo accordo sulle misure che la Commissione intende adottare.

3.2   La proposta della Commissione comprende anche una serie di limiti quantitativi agli strumenti ibridi, che non devono svilupparsi eccessivamente a detrimento del capitale azionario - o della dotazione propria nel caso di istituzioni non a base azionaria. Le autorità di controllo possono sospendere questi limiti in situazioni di emergenza.

3.2.1   Disposizioni particolari riguardano le banche a base non azionaria, quali le cooperative: i certificati dei soci, qualificati come «gli strumenti di grado più subordinato», sono considerati come ibridi convertibili a condizione che essi siano interamente pagati.

3.3   Nuove misure da adottare in materia di ibridi, tanto qualitative che quantitative, possono influire sulle strategie future dell'industria finanziaria; ma cambiamenti radicali in un breve periodo rischierebbero di sconvolgere i mercati. La Commissione propone che la direttiva preveda un periodo di transizione di 30 anni: un termine che il CESE ritiene congruo se riferito alla situazione presente e del presumibile breve-medio termine; diventa forse azzardato nel lungo termine. Ma non sembrano esistere alternative praticabili.

4.   I grandi fidi

4.1

La regolamentazione dei grandi fidi risale al 1992 e da allora non è cambiata; gli eventi recenti hanno messo in evidenza la necessità di nuove regole. La proposta della Commissione tiene in maggior conto la rischiosità di certe esposizioni e nel contempo intende ridurre i costi delle rilevazioni, aumentare la trasparenza e creare condizioni più eque di concorrenza.

4.2

È cambiata la nozione di clienti collegati. Sin qui ci si concentrava sul rischio che un'impresa potesse avere difficoltà a causa dei problemi finanziari di un'altra impresa; gli avvenimenti hanno dimostrato che due o più imprese possono essere a rischio a causa dei problemi dell'azienda dalla quale sono finanziariamente dipendenti.

4.3

Sono stati anche semplificati e armonizzati i costosi e complicati obblighi di informativa, fonti di costi elevati e di complicazioni per il settore. Il cambiamento più evidente è costituito dalla segnalazione consolidata dei 20 maggiori fidi quando essi sono calcolati secondo il metodo del rating interno. I diversi limiti applicabili sono stati unificati al 25 %.

4.4

Le numerose esenzioni in vigore, spesso di non facile interpretazione, sono in gran parte soppresse; ne rimangono in vigore quelle che non sembrano costituire un rischio elevato. L'elenco è peraltro ancora abbastanza lungo, ma in generale sembra rispondere a ben valutati criteri di prudenza.

4.5

Il CESE è d'accordo in linea generale con la regolamentazione proposta; formula peraltro alcune osservazioni su qualche aspetto importante:

4.5.1

L'art. 111, paragrafo 1 di cui al punto 4.3 prevede un limite unico del 25 % e si applica anche ai depositi interbancari. È ben comprensibile la «ratio» di questa norma: si sono viste istituzioni bancarie, anche alcune apparentemente fra le più solide, crollare quasi senza preavviso; ma le regole, che saggiamente dovrebbero sempre essere improntate alla raffigurazione del caso peggiore, non possono giungere al punto di ispirarsi ad uno «scenario catastrofe». L'imposizione di un limite di rischio eccessivamente basso, come sembra essere il caso per i depositi interbancari, restringe la liquidità in ogni momento, e in particolare nei momenti di tensione dei mercati. Sembrerebbe consigliabile rivedere questa norma, accordando un limite più elevato ai crediti interbancari a breve termine, tanto più che il tetto del 25 % verrebbe applicato senza tener conto della loro scadenza. Particolarmente nel periodo attuale, il credito interbancario a breve può funzionare come fattore regolatore della liquidità del mercato; inoltre, in linea generale essi presentano una minore rischiosità rispetto ad altri tipi di esposizioni. I recenti episodi che derivano da una situazione eccezionale non inficiano questo principio, ma situazioni eccezionali vanno fronteggiate con misure eccezionali, e la normalità dovrebbe essere regolata da regole «normali».

4.5.2

L'art. 113.d.4 accorda agli SM la facoltà di concedere esenzioni dall'applicazione dell'art. 111, paragrafo 1; il CESE, seguendo una linea costantemente adottata in casi analoghi, manifesta la sua decisa opposizione a qualsiasi misura suscettibile di ostacolare la parità di concorrenza. La facoltà, anziché l'obbligo, di fare o non fare costituisce un freno all'armonizzazione. Il CESE è bene al corrente, come chiunque, che la concessione di facoltà in luogo dell'imposizione di obblighi è un pragmatismo necessario in presenza di opinioni discordanti; ritiene peraltro che in ogni direttiva le disposizioni dovrebbero essere nettamente proposte come obbligo o divieto, lasciando poi alla discussione parlamentare e al Consiglio di trasformarle in opzione. I dibattiti permetterebbero alle parti sociali di conoscere, in nome della trasparenza, le ragioni pro o contro una certa misura.

4.5.3

Rientrerebbe nella predetta facoltà l'esenzione dei fidi di un ente nei confronti dell'impresa madre o di altre aziende del gruppo, a condizione (art. 80, paragrafo 7, lettera d)) che le controparti siano stabilite nello stesso SM. Questa limitazione danneggia i gruppi multinazionali senza incrementare la sicurezza dei mercati. I rischi intragruppo con gestione centralizzata, assunti da entità soggette ad un'unica supervisione consolidata, dovrebbero essere inclusi nelle esenzioni. Questa soluzione è osteggiata con la considerazione che le leggi nazionali sulla liquidazione e il fallimento vietano il trasferimento di risorse da un'entità all'altra qualora si verificassero situazioni critiche o prefallimentari; il fine della direttiva è peraltro quello di valutare la rischiosità globale del gruppo facendo astrazione dalle misure per far fronte ad eventuali situazioni di emergenza.

4.5.4

Una soluzione ragionevole potrebbe essere quella di esentare i fidi nei confronti dell'impresa madre o di altre aziende del gruppo residenti in altri SM con un'autorizzazione caso per caso, e cioè quando il gruppo nel suo insieme non desta preoccupazioni circa la sua solidità nell'immediato futuro. L'autorizzazione potrebbe essere sospesa con effetto immediato qualora, a giudizio delle autorità di vigilanza, l'azienda o il gruppo dessero segnali di difficoltà.

4.6

Un'attenzione particolare meritano i «fidi che derivano da aperture di credito non utilizzate classificate fra le voci fuori bilancio a rischio basso» (art. 113). L'ammontare complessivo dei limiti di spesa delle carte di credito è elevato, particolarmente per taluni tipi di istituzioni; nei periodi di stretta creditizia il margine non utilizzato può rapidamente restringersi. Il CESE ritiene che l'esposizione potenziale di credito non utilizzato sulle carte dovrebbe essere oggetto di attenta e prudente valutazione.

5.   La cartolarizzazione

5.1   Il nuovo articolo 122 bis impone agli emittenti, agli intermediari e ai gestori di impegnarsi nei confronti dell'ente creditizio investitore che non abbia preso parte alla conclusione dell'accordo iniziale da cui nascono le obbligazioni a mantenere un interesse economico rilevante e comunque non inferiore al 5 %.

5.2   La norma è evidentemente ispirata dalla pessima esperienza maturata in America con i CDO (collateralized-debt obligations) e come tale apparirebbe giustificata. Occorre tuttavia notare che il caso è nato in via primaria non tanto dall'insolvenza degli emittenti quanto dalla pessima qualità del credito ipotecario sul quale erano fondati i CDO, che un'autorità americana aveva qualificato di risultato di un «sloppy morthage-lending and lax regulation»: un caso isolato anche se di portata planetaria, come i fatti hanno dimostrato. Ma il caso dei CDO non può essere esteso a tutta, o quasi, la tecnica di cartolarizzazione, strumento che contribuisce alla liquidità del mercato.

5.2.1   L'introduzione del rischio di credito di cartolarizzazione restringe l'operatività delle istituzioni creditizie; il CESE chiede che la portata di questa norma venga ben soppesata.

6.   I meccanismi di vigilanza

6.1

La crisi che ha investito i mercati finanziari mondiali ha messo in evidenza la necessità di rivedere le strutture e i metodi di sorveglianza, rendendoli atti a prevenire crisi sistemiche e a permettere reazioni in casi di emergenza.

6.2

Le regole riguardanti lo scambio di informazioni e la cooperazione sono state rivedute: è stato introdotto con l'art. 42 bis il concetto di «succursale rilevante dal punto di vista dei rischi sistemici», riconoscendo in casi particolari la prevalenza dell'interesse del paese ospitante sul principio del paese d'origine. Il CESE manifesta il suo pieno accordo su questo approccio di fondamentale importanza.

6.3

In sostanza, le nuove regole prevedono che le autorità del paese ospitante possano chiedere a quelle del paese d'origine, o a quelle di vigilanza consolidata quando ne sia il caso, che la succursale nel loro territorio sia dichiarata «rilevante»se ha una quota di mercato superiore al 2 % o comunque se ha una presenza significativa sul mercato nazionale. La richiesta deve contenere una sorta di «valutazione d'impatto» in previsione di una possibile sospensione o chiusura delle operazioni nei sistemi di pagamento, clearing e regolamento, nonché delle conseguenze sul mercato nazionale di misure del genere.

6.4

La procedura per la dichiarazione di «rilevanza» prevede tempi tecnici di una certa durata; sembra peraltro utile che vengano stabilite regole da far valere nei casi di reale emergenza (art. 130), tali da permettere l'adozione di misure urgenti. I collegi delle autorità di vigilanza di nuova istituzione (art. 131 bis - v. punto 6.5), e comunque il già esistente Comitato europeo delle autorità di vigilanza bancaria dovrebbero consentire procedure semplificate con le necessarie garanzie.

6.5

Particolarmente utile è l'istituzione (art. 131 bis) dei collegi delle autorità di vigilanza, istituiti dall'autorità di vigilanza consolidata e dei quali fanno parte le autorità degli SM interessati. I loro compiti sono essenzialmente rivolti a garantire un costante ed efficace controllo dei gruppi transnazionali (e, sperabilmente, l'adozione di misure tempestive in condizioni di emergenza) attraverso lo scambio d'informazioni e la definizione in comune delle metodologie di vigilanza appropriate. Il CESE si compiace di questa decisione e per l'insieme delle norme di controllo proposte, in linea con i programmi di maggiore efficienza annunciati in precedenza e con gli auspici del Financial Services Forum.

Bruxelles, 24 marzo 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


22.9.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 228/66


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai pagamenti transfrontalieri nella Comunità

COM(2008) 640 def. — 2008/0194 (COD)

2009/C 228/11

Il Consiglio, in data 30 ottobre 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai pagamenti transfrontalieri nella Comunità»

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 marzo 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore BURANI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 24 marzo 2009, nel corso della 452a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 178 voti favorevoli, 3 voti contrari e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato accoglie con favore le linee generali della proposta della Commissione, che intende in primo estendere agli addebiti diretti la gamma di operazioni contemplate dal regolamento sui sistemi di pagamento transfrontalieri. In linea di principio questa iniziativa è coerente con la linea di condotta della Commissione, tendente a fare in modo che i pagamenti transfrontalieri nell'area dell'euro siano considerati e trattati come pagamenti nazionali.

1.2

Qualche motivo di riflessione viene dal fatto che il trattamento degli addebiti diretti transfrontalieri è più costoso del trattamento delle analoghe operazioni a livello nazionale; il CESE pertanto chiede che la Commissioni si ispiri a trasparenza e comunichi i dettagli, la metodologia e le fonti degli studi in base ai quali essa giunge a differenti conclusioni. Una presa di decisioni equilibrata dipende dalla conoscenza dei fatti.

1.3

In ogni caso, è da ricordare che qualora il regolamento dovesse entrare in vigore il 1o novembre 2009, come proposto, i tempi sono piuttosto ridotti per permettere la redazione di piani economici, che comunque non sarebbero possibili in assenza di una certezza giuridica sulla Multilateral Interchange Fee MIF.

1.4

La proposta contiene anche due prescrizioni per gli Stati membri: la prima di costituire, laddove non esista, un'autorità responsabile dei sistemi di pagamento, la seconda di mettere in opera adeguate strutture per il trattamento dei reclami. Il CESE ritiene che nella maggior parte dei paesi queste strutture esistano già da tempo; ma, ove ne fosse il caso, mette in guardia contro la nascita di nuove strutture che duplichino le funzioni di strutture preesistenti o vi si sovrappongano in tutto o in parte.

1.5

Un'ulteriore richiesta agli Stati membri riguarda l'adozione di sanzioni «efficaci, proporzionate e dissuasive» nei confronti di chi non osserva o trasgredisce le norme del regolamento; il CESE è d'accordo, ma osserva che la comunicazione dell'esame comparato delle misure prese nei vari paesi darebbe la misura dell'importanza che ciascuno Stato membro attribuisce al regolamento.

1.6

Il regolamento vale nei confronti dei soli paesi che aderiscono all'unione monetaria; gli altri fuori dall'eurozona hanno la facoltà di estenderne l'applicazione nei confronti della propria moneta. Il fatto che nessun paese abbia fatto uso di questa facoltà dovrebbe far riflettere sul grado di interesse attribuito nei vari paesi all'utilità di talune iniziative.

2.   Introduzione

2.1

Il regolamento (CE) n. 2560/2001 sui sistemi di pagamento transfrontalieri nella Comunità è in vigore dal 31 dicembre 2001. Esso prevede che il costo di un'operazione di pagamento transfrontaliera sia, in ciascuno Stato membro, uguale al costo di un'analoga transazione interna. Il regolamento si applica ai bonifici, ai pagamenti elettronici, alle carte di pagamento di qualsiasi natura e ai prelievi da distributori automatici di banconote. La proposta della Commissione estende il campo di applicazione del regolamento, a partire dal 1o novembre 2009, agli addebiti diretti, migliora il sistema di regolamento dei reclami e introduce semplificazioni nei sistemi di segnalazioni statistiche.

2.2

Il fine della Commissione è di migliorare il funzionamento di un mercato interno dei sistemi di pagamento in euro nel quale le operazioni domestiche o internazionali siano soggette alle stesse regole, con risparmi e vantaggi sia per i consumatori che per l'economia in generale. La composizione dei litigi merita particolare attenzione per venire incontro ai rilievi sollevati dalle associazioni di consumatori, mentre le segnalazioni statistiche comportano elevati oneri amministrativi e costi per le istituzioni creditizie.

2.3

Il CESE manifesta il suo apprezzamento per l'iniziativa della Commissione e ne condivide le linee generali, formulando alcune osservazioni e suggerimenti nell'intento di fornire un utile contributo alle discussioni in corso.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1

A seguito delle pressioni esercitate negli anni dalla Commissione, il settore bancario ha creato un'infrastruttura di pagamenti a livello europeo (SEPA) che ormai funziona in modo soddisfacente, sia dal punto di vista tecnico-organizzativo che da quello del livellamento delle commissioni internazionali e nazionali. La Commissione dice che «il presente regolamento può essere considerato come l'inizio del SEPA».

3.2

Non si può che essere soddisfatti delle realizzazioni raggiunte; permangono tuttavia delle perplessità di fondo sulla loro rispondenza ai principi generali del mercato unico. In primo luogo, il SEPA è mirato a risolvere il problema dei pagamenti in euro; i paesi che non fanno parte dell'eurozona non ne traggono vantaggi, se non per la parte di pagamenti che essi effettuano nella moneta unica. A seguito dell'allargamento, si può dire che oggi il SEPA copre la maggior parte dei movimenti intracomunitari: un mercato interno a multiple velocità.

3.3

In secondo luogo, la parità di condizioni nazionali e internazionali vale solo all'interno di ogni singolo paese; le differenze fra paese e paese permangono e in diversi casi sono di non lieve entità; ma le differenze fra l'insieme dei paesi dell'eurozona e quelli che ne sono fuori sono ancor più rilevanti. Il regolamento in vigore prevede che esso possa essere adottato volontariamente anche dai paesi fuori dall'eurozona: una clausola che sinora non ha ricevuto molte adesioni. Il risultato complessivo è che si è ancora lontani da una ragionevole convergenza dei prezzi all'interno dell'UE.

3.4

Parlando di convergenza dei prezzi non si vuole concludere che si possa giungere a una loro uniformità; tuttavia un passo avanti in termini di trasparenza e di risposta alle attese dei consumatori potrebbe essere fatto qualora in ogni paese si procedesse ad un attento esame comparato dei costi: esistono profonde differenze in materia di oneri di infrastrutture, di incidenza degli oneri fiscali e sociali, di organizzazione e di peso relativo fra volumi nazionali e internazionali. Un'analisi del genere potrebbe anche fornire utili indicazioni sulla validità della decisione di includere nel regolamento tutti gli strumenti transfrontalieri di pagamento elettronico.

4.   Osservazioni specifiche

4.1   L'articolo 1.3 esclude dal regolamento i pagamenti effettuati dai prestatori di servizi di pagamento per proprio conto; tale esclusione dovrebbe essere estesa anche ai servizi prestati per conto di altri prestatori di servizi di pagamento. La Commissione assicura che le disposizioni devono essere intese in tal senso; in tal caso, il CESE suggerendo una formulazione più esplicita, commenta che sarebbe infatti un controsenso se la libertà di trattamento nei servizi prestati direttamente fra professionisti non si estendesse ad altri professionisti che si servono di intermediari ugualmente professionisti.

4.2   L'articolo 2.1 chiarisce che il regolamento si riferisce esclusivamente ai mezzi di pagamento elettronici: ne rimangono quindi esclusi i mezzi di pagamento cartacei quali gli assegni e le cambiali. Il CESE non può che essere d'accordo, ma rileva che le differenze di commissioni praticate nei diversi paesi nei confronti di questi mezzi di pagamento - ormai in via di sparizione - sono troppo elevate per essere giustificabili solo dalla considerazione dei costi. Si potrebbe pensare che in taluni paesi le commissioni elevate siano usate, non solo per coprire i costi, ma anche come argomento dissuasivo dall'usare ancora, nell'era dell'elettronica, mezzi di pagamento cartacei: una misura che raccoglie il consenso del CESE.

4.2.1   L'articolo 2 dovrebbe inoltre chiarire con un apposito paragrafo il concetto di «pagamento elettronico» citato nel paragrafo 1. Tenuto conto del costo di tecniche promiscue e in conformità alla pratica consolidata il nuovo paragrafo dovrebbe esplicitamente stabilire che il pagamento elettronico non deve implicare procedure cartacee.

4.3   L'articolo 1.2 introduce un'innovazione: nell'applicazione del regolamento ai pagamenti transfrontalieri fino a un importo di 50 000 euro vengono compresi tutti gli strumenti di pagamento elettronici, inclusi gli addebiti diretti. Su quest'ultimo tipo di strumenti il CESE ritiene sia il caso di esprimere qualche riserva.

4.3.1   Il sistema SEPA di addebito diretto differisce dai singoli sistemi nazionali ed è più complesso, e sofisticato; il livellamento del prezzo di un addebito diretto internazionale sul prezzo nazionale rischia di introdurre un'oggettiva distorsione del principio secondo il quale un prodotto o un servizio non può essere venduto sotto costo. Inoltre, il sistema di addebito diretto - utilizzato dalle aziende ma non dai singoli consumatori - è spesso offerto dalle istituzioni creditizie ai propri clienti a condizioni di favore per motivi promozionali: le condizioni per operazioni nazionali sono calcolate per coprire i costi con margini ridotti ma non potrebbero essere estese alle più costose transazioni internazionali. Il CESE suggerisce che gli addebiti diretti siano temporaneamente esclusi dal regolamento, con riserva di introdurli qualora una perizia indipendente accerti l'inesistenza del pericolo di distorsione dei prezzi e della concorrenza.

4.3.2   In ogni caso, in omaggio ad elementare principio di trasparenza la Commissione dovrebbe rendere pubblica la sua indagine, particolarmente in materia di costi nazionali ed internazionali e con la chiara indicazione di come, da quali fonti e con quale metodologia le informazioni sono raccolte ed elaborate. In mancanza di tali elementi di conoscenza qualunque presa di posizione rischia di apparire preconcetta e non equilibrata.

4.3.3   Come ulteriore considerazione, il CESE attira l'attenzione sul fatto che il nuovo regolamento dovrebbe entrare in vigore il 1o novembre 2009: un termine forse troppo vicino per redigere piani economici a medio - lungo termine. Fondamentale per la formulazione di tali piani è la certezza giuridica sulla MIF.

4.4   L'articolo 3 conferma il principio stabilito dal regolamento in vigore: le commissioni sui pagamenti transfrontalieri devono essere uguali a quelle che ogni prestatore pratica per le operazioni domestiche di tipo corrispondente. La norma stabilita nel 2001 sembra sia stata osservata in modo soddisfacente, ma un'indagine sul campo porterebbe ad accertare il grave divario che esiste in molti paesi fra le commissioni per i trasferimenti in euro e per quelli in monete diverse: una discriminazione a danno dei cittadini risiedenti fuori dall'eurozona.

4.5   Un'importante innovazione è introdotta dall'articolo 5: la soppressione dal 1o gennaio 2010 della segnalazione dei trasferimenti fino a 50 000 euro, e la sua soppressione totale dal 1o gennaio 2012. Questo adempimento, inteso a raccogliere i dati necessari alla contabilità della bilancia dei pagamenti, era fonte di complicazioni e di costi; gli Stati membri potranno raccogliere i dati con altri sistemi. Il CESE esprime la sua piena approvazione a questo provvedimento.

4.6   L'articolo 6 prescrive che gli Stati membri nominino le autorità responsabili dell'osservanza del regolamento: un adempimento preesistente che sembra sia normalmente osservato. Di maggior rilievo la norma dell'articolo 7, che prevede l'obbligo per gli Stati membri di istituire procedure per il trattamento dei reclami e la composizione extragiudiziale dei litigi, con adeguata informazione del pubblico. Tali funzioni possono essere assunte da nuovi organi creati ad hoc o da altri già esistenti. Il CESE è d'accordo, ma limitatamente ai paesi ove ancora non esistono strutture, ma mette in guardia contro il pericolo di far nascere nuove strutture con compiti che si sovrappongono a quelli delle strutture esistenti. Osserva che in ogni caso poco si sa del funzionamento di questi organismi, ma soprattutto del numero, della natura e dell'esito dei casi trattati. La mancanza di informazioni complete e trasparenti nuoce alla condotta di un serio esame sulla natura e sulle reali dimensioni delle inadempienze.

4.7   L'articolo 10 prescrive che gli Stati membri adottino sanzioni «efficaci, proporzionate e dissuasive» nei confronti di chi non osserva gli obblighi stabiliti dal regolamento, comunicando alla Commissione le misure adottate. Anche in questo caso, come in quello di cui al punto precedente, le parti interessate dovrebbero ricevere un'adeguata informazione, se non altro per valutare l'importanza che ciascuno SM attribuisce all'osservanza del regolamento.

4.8   L'articolo 11 estende agli Stati membri fuori dall'eurozona la facoltà di estendere l'applicazione del regolamento alla propria moneta. L'adesione metterebbe fine agli inconvenienti e alle discriminazioni che il CESE ha rilevato al punto 4.6; sembra tuttavia che al momento la reazione di diversi Stati membri a questa proposta sia piuttosto tiepida, per non dire nulla. Il CESE evita di commentare questo aspetto, ma invita la Commissione a fare una seria riflessione sulla supposta popolarità di certe soluzioni.

4.9   Il regolamento dovrebbe entrare in vigore il 1o novembre 2009; la Commissione dovrebbe presentare un rapporto sul funzionamento dei codici IBAN e BIC entro il 31 dicembre 2012 e una relazione sull'applicazione del regolamento entro il 31 dicembre 2015. Il CESE non ha nulla da osservare in proposito, se non ripetere le richieste di cui ai punti 4.6 e 4.7 circa una più compiuta informazione delle parti interessate.

Bruxelles, 24 marzo 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


22.9.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 228/69


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio sulla partecipazione della Comunità ad un programma europeo di ricerca e sviluppo in metrologia realizzato da alcuni Stati membri

COM(2008) 814 def. - 2008/0230 (COD)

2009/C 228/12

Il Consiglio, in data 21 gennaio 2009, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 169 e 172, 2o comma del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio sulla partecipazione della Comunità ad un programma europeo di ricerca e sviluppo in metrologia realizzato da alcuni Stati membri»

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo ha incaricato, in data 13 gennaio 2009, la sezione specializzata Mercato unico produzione e consumo di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 452a sessione plenaria del 25 marzo 2009, ha nominato relatore generale PEZZINI e ha adottato il seguente parere all'unanimità.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene fondamentali gli obiettivi della proposta e incoraggia la Commissione a perseguire un sistema comune di misurazione che superi le ricerche e i successi nazionali per ottenere un valore aggiunto europeo, da tutti condiviso.

1.2

Il punto di arrivo, a giudizio del CESE, è quello di raggiungere a livello mondiale una posizione unica, all'interno della quale la voce dell'UE non sia subalterna ma promuova standard corrispondenti a materiali, prodotti e processi sviluppati in Europa e corrispondenti agli interessi industriali e commerciali dell'UE.

1.3

In un contesto economico e sociale ormai globalizzato, una struttura metrologica europea che raggiunga posizioni di eccellenza può solo, a parere del Comitato, dare ricadute positive all'economia dell'UE.

1.4

Il CESE ritiene che la comunità dei ricercatori europei debba essere sempre più coinvolta nei processi di elaborazione di sistemi moderni, che consentano di applicare la metrologia alle nuove frontiere della fisica, della chimica, della biologia, delle discipline dell'ambiente, dell'impronta ecologica, delle nanotecnologie, dell'alimentazione, dell'igiene e della sicurezza nei luoghi di lavoro.

1.5

Secondo il Comitato, per ottenere i successi auspicati e auspicabili appare necessario ricercare con grande determinazione una maggiore integrazione dell'industria, del commercio e del settore pubblico, nello sviluppo della ricerca metrologica europea (EMR) per indicare i nuovi standard nel consesso internazionale.

1.6

Secondo il CESE è di particolare importanza che il mondo della ricerca metrologica non appaia come un mondo a se stante ed autoreferenziale.

1.7

La regolamentazione e la normalizzazione si esprimono attraverso sistemi misurabili, basati quindi su una metrologia applicata e condivisa a livello internazionale. Per questo il CESE suggerisce di coinvolgere fin dall'inizio, nella stesura dei nuovi schemi, gli enti europei di standardizzazione (CEN, Cenelec, ETSI) e gli enti nazionali, oltre agli enti di accreditamento.

1.8

Il CESE ritiene che si debbano fare tutti gli sforzi possibili perché si arrivi a una stretta integrazione nella ricerca metrologica europea tra:

mondo della ricerca,

industria,

università, enti scientifici e di formazione superiore,

risultati delle piattaforme tecnologiche,

società civile organizzata,

perché solo in questo modo, escludendo ogni forma di closed shop, si potranno, a parere del Comitato, ottenere risultati di livello europeo, condivisibili a livello internazionale.

1.9

Il Comitato riconosce il merito delle proposte della Commissione, tese al sostegno dell'iniziativa EMRP (1) (Programma europeo di ricerca metrologica), attraverso forme che prevedono un livello di «comunitarizzazione» elevato, sia in termini di:

programmazione congiunta, e di accettazione delle regole comunitarie di partecipazione, stabilite dal Settimo programma quadro (7PQ),

livello di allocazione stimata delle risorse, al di là della pura logica di intervento nazionale.

1.10

A parere del Comitato, il sistema di governance dovrebbe essere meglio definito. È evidente che un sistema incerto di governance può condizionare gli sviluppi della ricerca e i risultati sperati.

1.11

Il CESE ribadisce, in proposito, la necessità di un maggiore coinvolgimento dei soggetti direttamente interessati ai risultati metrologici della ricerca, sia nelle priorità, sia nell'elaborazione e nella valutazione dei bandi - da pubblicare su Cordis e sulla Gazzetta ufficiale (GU) - per proposte che integrino la partecipazione di imprese, università e centri di ricerca e di formazione, sia nel monitoraggio e nel controllo dei programmi e dei progetti finanziati.

1.12

Secondo il CESE sarebbe opportuno che il Consiglio scientifico della ricerca EMRP fosse investito della possibilità di controllare, con pareri vincolanti rivolti al Comitato EMRP, le tipologie di ricerca da finanziare, il programma di lavoro annuale, e la scelta del pool di valutatori indipendenti delle proposte, e che un osservatore della Commissione seguisse i panel di valutazione, come nel 7PQ.

1.13

Secondo il CESE sarebbe opportuno prevedere, nelle proposte di preparazione del prossimo PQ di RSTD 2014-2020, un vero e proprio programma comunitario permanente, coordinato e gestito dalla Commissione, che si basi su un processo continuo di coinvolgimento degli stakeholder interessati e tenga conto soprattutto delle esigenze del mondo dell'industria, dell'università, della ricerca, della standardizzazione, nonché degli aspetti internazionali della ricerca metrologica, specie nei rapporti con gli organismi internazionali quali ISO, OCSE ed altri enti di riferimento quali l'IUAP (2).

2.   Introduzione

2.1   La mondializzazione crescente della produzione industriale, della prestazione dei servizi e del commercio impone di ridurre al minimo gli ostacoli tecnici che possono frapporsi all'interscambio. Alla base di tale processo vi è un sistema di misura affidabile e condiviso.

2.2   Un numero crescente di regolamentazioni, specie in campi quali:

la sicurezza,

l'etichettatura alimentare,

i sistemi sanitari,

l'ambiente,

la biotecnologia,

le nanotecnologie ed i materiali avanzati,

l'energia,

i trasporti e telecomunicazioni ed i sistemi di sicurezza,

richiedono una tracciabilità e una comparabilità, che vengano riconosciute a livello internazionale.

2.3   La ricerca metrologica è fortemente caratterizzata come bene pubblico, ed è una delle principali attività di supporto per la regolamentazione e la normalizzazione.

2.3.1   Le infrastrutture europee di misurazione sono sostenute da organizzazioni europee quali, l'Organismo europeo di accreditamento (EA), il Comitato europeo di normalizzazione (CEN), la Rete europea di metrologia Euromet (3) ora incorporata da Euramet, e l'Istituto per materiali di riferimento e misure (IRMM) di Geel, del Centro comune di ricerca, in collaborazione con l'Ufficio internazionale dei pesi e delle misure (BIPM, Bureau International des Poids et Mesures).

2.4   Secondo il BIPM, «Lo sviluppo di campi interdisciplinari quali la nanotecnologia, i materiali avanzati e le proprietà dei materiali necessiterà presto di un certo numero di norme, per le nuove misure di riferimento, nei settori della fisica e della chimica» (4).

2.5   In Europa, competitività e innovazione sostenibili richiedono, in tutti i campi, misure e prove precise, con risultati tracciabili, per stabilire norme a lungo termine sulle misure di riferimento, come definite dal Sistema internazionale di unità: SI.

2.6   La ricerca europea sulla metrologia è portata avanti dai programmi nazionali di ricerca metrologica e da progetti nell'ambito di ERA-NET, contenuto nel Sesto programma quadro? e di ERA-NET-Plus contenuto nel Settimo programma quadro (7PQ). Sempre all'interno dei programmi quadro si sono sviluppati: i progetti IMERA (Implementing Metrology in the European Research Area  (5)); IMERA Plus (6), che ha rappresentato la prima fase dell'EMRP; le attività del Centro comune di ricerca CCR (7); e l'attuale proposta «a geometria variabile» EMRP.

2.7   Negli USA, per l'anno fiscale 2009 è stata stanziata la cifra di 634 milioni di USD di dotazione federale per i programmi di ricerca dell'Istituto nazionale di standard e tecnologia (NIST, National Institute of Standards and Technology).

2.8   In questo scenario, il Comitato ritiene importante aumentare le risorse a disposizione per la ricerca metrologica europea, riunendo le capacità di ricerca esistenti negli Stati membri e quelle del Centro comune di ricerca, per attivare una massa critica rilevante a livello internazionale, evitando doppioni e sprechi di risorse, con risultati ben superiori a quelli conseguibili con il coordinamento ERA-NET-Plus, del 7PQ 2007-2013.

2.9   Il Comitato sostiene che, data la rilevanza delle ricerche metrologiche nel futuro prossimo, come testimoniato da vari studi (8), sarà opportuno inserire tali ricerche tra le priorità tematiche del prossimo PQ 2014-2020, dando ad esse uno status ed una struttura di ricerca comunitaria permanente e assicurando una integrazione coordinata e continua degli sforzi nazionali.

3.   La proposta di programma ex articolo 169

3.1

La proposta, basata sull'articolo 169, intende istituire un programma europeo di ricerca metrologica (EMRP), che coinvolga e associ 22 programmi nazionali, con lo scopo di migliorare l'efficienza e l'efficacia della ricerca metrologica pubblica.

3.2

Tra gli obiettivi indicati vi è quello di contribuire alla strutturazione dello spazio europeo della ricerca tramite un miglior coordinamento dei programmi nazionali, per meglio affrontare alcune sfide comuni europee, eliminando le barriere tra i programmi nazionali.

3.3

L'EMRP mira, secondo la Commissione, ad integrare i programmi nazionali di ventidue Stati, riunendoli in un unico programma comune, per:

sostenere, in particolare, gli obiettivi dei sistemi di misura europei,

accelerare lo sviluppo, la convalida e l'utilizzo di nuove tecniche di misurazione,

dare sostegno allo sviluppo e all'applicazione di direttive e regolamenti.

3.4

Il modello di governance proposto si basa sull'esperienza acquisita, con la prima iniziativa nell'ambito dell'articolo 169 del Trattato, avviata nel corso del Sesto programma quadro, vale a dire con l'iniziativa EDCTP (9).

3.5

L'iniziativa EMRP prevede una dotazione di 400 milioni di euro, di cui 200 milioni come contributo dei paesi partecipanti per il periodo 2009-2016, ed altri 200 milioni previsti a titolo di contributo comunitario.

3.6

Il coordinamento dell'iniziativa viene affidato all'Associazione europea degli istituti nazionali di metrologia (Euramet), istituita nel 2007 in base alla legislazione tedesca e riconosciuta come associazione di utilità pubblica, con segretariato a Braunschweig, in Bassa Sassonia, che agisce quale organizzazione metrologica regionale europea e Agenzia esecutiva EMRP.

4.   Osservazioni del Comitato

4.1   Il Comitato approva gli obiettivi fondamentali della proposta, appoggia i metodi in essa contenuti e ribadisce che è importante che gli obiettivi si concretizzino:

nell'eccellenza della struttura metrologica,

in progetti di ricerca, comuni e competitivi, ed aperti,

in un aumento della partecipazione della comunità dei ricercatori, attraverso lo sviluppo delle competenze,

in una reale cooperazione internazionale, che valorizzi il sistema europeo,

in una voce univoca, a livello globale,

soprattutto in una maggiore integrazione dell'industria (associazioni degli imprenditori e dei lavoratori) del commercio e del settore pubblico, nello sviluppo della ricerca metrologica europea.

4.2   Secondo il CESE, è di fondamentale importanza che il mondo della ricerca metrologica non appaia come un mondo a sé stante, ma sia in grado di coinvolgere, nella definizione delle priorità del programma, nel sistema di valutazione e selezione dei progetti, nella partecipazione alle proposte e nel monitoraggio dei risultati dei progetti, il mondo dell'utenza, e questo in stretta cooperazione con gli organismi di standardizzazione e di accreditamento. Il CESE si esprime contro ogni forma di closed shop.

4.2.1   In particolare, secondo il CESE, le regole di partecipazione al programma EMRP devono rispettare pienamente, in tutti gli aspetti, il regolamento (CE) n. 1906/2006, che stabilisce le regole per la partecipazione al Settimo programma quadro ed il suo regolamento finanziario d'attuazione.

4.2.2   Le regole di partecipazione all'EMRP devono offrire un quadro coerente e trasparente, per garantire la più efficace attuazione possibile, tenendo conto della necessità di rendere agevole l'accesso a tutti i partecipanti mediante procedure semplificate. Tali regole devono facilitare lo sfruttamento della proprietà intellettuale sviluppata da ogni partecipante, proteggendo, al contempo, gli interessi legittimi degli altri partecipanti e della Comunità.

4.2.3   Il CESE sottolinea che, il varo di un sistema di ricerca metrologica europeo integrato, in una programmazione congiunta degli organismi nazionali partecipanti, darebbe risultati insufficienti se non prevedesse una stretta integrazione tra il mondo della ricerca, l'industria, l'università e gli organismi di standardizzazione e di accreditamento, oltre a un dialogo strutturato con le piattaforme tecnologiche europee (10) e con la società civile organizzata.

4.3   Il CESE fa notare che l'articolo 169 del Trattato CE dà la facoltà alla Comunità di partecipare a programmi di ricerca, avviati congiuntamente da più Stati membri, a condizione che gli obiettivi siano ben definiti e rilevanti per la Comunità e per il programma quadro, abbiano un valor aggiunto europeo e una massa critica rilevanti, e che vengano definiti con chiarezza il programma congiunto di attività e la struttura di governance e d'attuazione.

4.4   A parere del CESE, gli obiettivi dovrebbero essere meglio definiti, non solo in termini di sostegno ai sistemi nazionali di misura, di potenziamento delle reti degli istituti nazionali e degli istituti designati, e di integrazione delle attività nazionali in corso.

4.5   Manca, secondo il CESE, una chiara indicazione delle priorità d'azione e dei risultati attesi, che giustifichino pienamente:

il valore aggiunto europeo della proposta,

una evidenziazione chiara ed esaustiva del programma congiunto delle attività integrate,

una struttura di governance.

4.6   Lo stesso rilievo è mosso dal CESE per quanto riguarda la definizione di borse di eccellenza, destinate ai ricercatori o alle organizzazioni, agli istituti nazionali di metrologia o istituti designati.

4.7   Quanto al sistema di governance proposto, esso dovrebbe essere meglio definito. Oltre a rilevare che, in aggiunta a Euramet, agiscono a livello europeo anche altre associazioni, come ad esempio Eurachem (11), il Comitato sottolinea che, mentre Euramet è stata indicata come struttura specifica d'esecuzione dell'EMRP, gran parte del programma stesso dovrebbe essere gestito dal National Physical Laboratory, quindi con un responsabile britannico, «come soluzione temporanea».

4.8   Infine il CESE rileva con preoccupazione che, né nella normativa proposta né negli allegati è previsto un coinvolgimento effettivo dei soggetti direttamente interessati ai risultati metrologici della ricerca: l'industria nel suo complesso, il commercio, gli organismi di standardizzazione e di accreditamento, il settore pubblico.

4.9   In conclusione, il CESE ritiene preferibile orientarsi verso un'azione pilota di ricerca metrologica europea (ERM) di durata limitata al 2013, sulla scia di IMERA Plus, nonché mettere allo studio, nelle proposte di preparazione dell'Ottavo programma quadro di RSTD 2014-2020, un vero e proprio programma comunitario permanente, con meccanismi più chiari e comprovati. Detto programma, gestito dalla Commissione per tutti gli Stati membri e i paesi associati, dovrebbe prevedere un comitato di gestione e un comitato consultivo, e permettere un robusto processo di consultazione, di orientamento e di monitoraggio da parte degli stakeholder interessati, in primis, alle esigenze del mondo dell'industria.

5.   Osservazioni particolari

5.1

Il Comitato riconosce il merito delle proposte della Commissione di sostegno all'iniziativa EMRP (12) in forme che prevedono un alto livello di «comunitarizzazione», nella programmazione congiunta, nell'allocazione stimata delle risorse, in una logica di mutual learning e nelle regole di partecipazione di imprese, università ed enti di ricerca, nonché nella valutazione delle proposte cui deve partecipare, come nel 7PQ, un osservatore della Commissione.

5.2

Il CESE rileva, peraltro, quanto alla governance proposta per l'EMRP, che:

a)

Il Comitato dell'EMRP, composto dai soli rappresentanti degli enti nazionali di metrologia, e con l'Istituto IRMM (13) solo come osservatore, sarebbe il responsabile dell'esecuzione del programma e in particolare di:

decisioni su sviluppo e aggiornamento dell'EMRP,

creazione e chiusura di comitati necessari per i sub-programmi,

preparazione e decisione delle condizioni di esecuzione dell'EMRP, inclusi i criteri di selezione dei valutatori,

approvazione della composizione del pool di valutatori,

decisioni sul finanziamento di programmi e progetti di ricerca, sulla base delle condizioni di finanziamento, nella misura in cui Euramet è autorizzato dalla Commissione europea,

approvazione della parte del bilancio dell'EMRP, per il prossimo anno finanziario,

preparazione e annuncio del bandi per manifestazione d'interesse e per le proposte concernenti l'EMRP,

supervisione di una contabilità adeguata e ordinata dei compiti del segretariato di EMRP,

monitoraggio e controllo dei progressi dei programmi e dei progetti finanziati e delle decisioni sulle misure correttive (14).

b)

Il Consiglio della ricerca di EMRP, composto da 16 membri di cui:

1 per il BIPM,

1 per la Commissione europea,

1 per il Consiglio europeo della ricerca,

1 per il Parlamento europeo,

1 per Eurolab,

1 per gli Organismi di standardizzazione europei,

1 per l'Organizzazione europea di cooperazione in metrologia legale Welmec (15),

9 per l'industria, la ricerca e l'accademia,

è puramente consultivo sugli aspetti strategici di EMRP e sul processo decisionale per i programmi finalizzati  (16).

5.3

Il CESE ribadisce, in proposito, la necessità di coinvolgere, con parere vincolante, il Consiglio della ricerca EMRP, con il compito di collaborare con il Comitato dell'EMRP in via non subalterna, specie per quanto attiene a: sviluppo e aggiornamento dell'EMRP, i comitati di sub-programma, la selezione e la composizione del pool di valutatori, le decisioni di finanziamento di programmi e progetti di ricerca, la preparazione e l'annuncio dei bandi per manifestazione d'interesse e per le proposte da pubblicare su Cordis e su la GU dell'UE, il monitoraggio e controllo dei progressi dei programmi e dei progetti finanziati.

Bruxelles, 25 marzo 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Ex articolo 169 del Trattato.

(2)  International Union of Pure and Applied Physic.

(3)  Composta dagli istituti nazionali di metrologia di 32 paesi e dall’Istituto per materiali di riferimento e misure (IRMM) di Geel, del Centro comune di ricerca CE.

(4)  BIPM. Évolution des besoins dans le domaine de la métrologie pour le commerce, l’industrie et la société et le rôle du BIPM («Evoluzione dei bisogni nel settore della metrologia per quanto riguarda il commercio, l'industria e la società, e ruolo del BIPM»), rapporto 2007. Parigi, 2008.

(5)  Il progetto IMERA comprende 20 partner di 14 paesi, oltre al progetto IRMM del CCR-CE.

(6)  Il progetto IMERA Plus comprende 45 partner di 20 paesi, oltre alla CE.

(7)  Questa l’attività di metrologia del CCR: «Il sostegno alla competitività, alla trasparenza del mercato interno e agli scambi avverrà mediante la produzione e la diffusione di riferimenti riconosciuti a livello internazionale e la promozione di un sistema di misurazione comune europeo».

(8)  Cfr. U.S. National Science and Technology Council. Instrumentation and metrology in nanotechnology. 2006; e BIPM. Rapporto 2007.

(9)  Si tratta dello European-Developing Countries Clinical Trials Program («Programma di sperimentazioni cliniche Europa-paesi in via di sviluppo»).

(10)  Si pensi ad esempio ai microarrays o alla spettrometria di massa avanzata.

(11)  Eurachem è una rete di organizzazioni europee che ha come obiettivo la definizione di un sistema di tracciabilità internazionale per le misurazioni nel settore chimico e la promozione di pratiche di buona qualità. Eurachem Europa raggruppa 35 Stati membri.

(12)  Ex articolo169 del Trattato.

(13)  IRMM - Institute for Reference Materials and Measurements - CCCR - Commissione europea.

(14)  Cfr. Euramet E.V. Byelaws 11.1.2007, articolo 14, punto 5.

(15)  WELMEC: Western European Legal Metrology Cooperation.

(16)  Cfr. Euramet E.V. Byelaws 11.1.2007, Rules and procedures parte B, punto III.


22.9.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 228/75


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio del […] che istituisce un programma comunitario a sostegno di attività specifiche nel campo dei servizi finanziari, dell'informativa finanziaria e della revisione contabile

COM(2009) 14 def. — 2009/0001 (COD)

2009/C 228/13

Il Consiglio, in data 3 Febbraio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio del […] che istituisce un programma comunitario a sostegno di attività specifiche nel campo dei servizi finanziari, dell'informativa finanziaria e della revisione contabile»

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 24 febbraio 2009, ha incaricato la sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 452a sessione plenaria del 24 marzo 2009, ha nominato relatore generale BURANI e ha adottato il seguente parere con 95 voti favorevoli, 3 voti contrari e 14 astensioni.

1.   Riassunto e conclusioni

1.1

La crisi in atto impone un riesame del complesso delle norme che regolano l'attività finanziaria; per quello che riguarda la vigilanza, il rapporto del gruppo de Larosière fornisce una serie di raccomandazioni, che costituiscono nel contempo anche un'attenta analisi delle debolezze insite nelle norme e nei comportamenti del passato.

1.2

Con la proposta in esame la Commissione è in linea con tali raccomandazioni ed in un certo senso le anticipa: destina infatti dei fondi comunitari all'erogazione di sovvenzioni per le tre strutture che forniscono strumenti tecnici e giuridici alle autorità di vigilanza: lo EFRAG, lo IASCF e il PIOB. Tali sovvenzioni sono intese a garantire l'indipendenza di questi organi da influenze esterne. Il CESE è d'accordo sul principio, ma attira l'attenzione sul fatto che i tre organismi sono stati creati dalle professioni e per le professioni, e non perdono il loro carattere privatistico anche quando i loro standard sono incorporati nella normativa comunitaria o globale. Diventa difficile separare l'interesse pubblico dall'attività svolta per conto delle professioni.

1.3

Sono ugualmente previsti contributi finanziari per azioni specifiche svolte dai comitati di vigilanza, vale a dire degli organismi consultivi e di supporto creati dalla Commissione e composti da rappresentanti delle autorità di vigilanza degli Stati membri. Le azioni specifiche vengono individuate nella formazione del personale delle autorità stesse e nella gestione di progetti di tecnologia dell'informazione. Il CESE manifesta perplessità su questo punto: dato che i beneficiari della formazione e dei progetti sono gli Stati membri, non si vede per quale motivo debbano essere utilizzati i fondi comunitari.

2.   Introduzione

2.1

La crisi finanziaria che il mondo sta attraversando ha provocato, e tuttora provoca, disastri la cui entità non è ancora pienamente valutabile, ma che sono certamente di grandissima portata. Accanto alle gravi conseguenze sul piano economico e sociale, essa ha avuto un solo effetto benefico: quello di imporre un severo riesame dei principi sui quali la finanza mondiale si era finora fondata, e delle certezze che avevano attutito la percezione del rischio insito in tutte le attività finanziarie.

2.2

Un tale riesame implica una sincera autocritica, per tutte le parti coinvolte nella bufera, dei propri comportamenti, valutazioni ed azioni: gli attori della finanza, i legislatori, le autorità di controllo, le agenzie di rating, gli economisti, ciascuno ha avuto una parte di responsabilità. D'altra parte, nessuno ha avuto la responsabilità individuale e totale: gli avvenimenti del presente e il ricordo dei comportamenti del passato dimostrano che la crisi è frutto di una serie di concause e di interdipendenze.

2.3

Fra le tante cause della crisi si è manifestata con particolare rilievo quella delle carenze in materia di vigilanza: le regole erano in apparenza ben disegnate, ma si sono dimostrate inadeguate per fronteggiare, e ancora meno per prevedere, gli avvenimenti ormai ben noti; anzi, in taluni casi ne sono state la causa. L'esame di questa materia e le raccomandazioni per porre riparo alle carenze costituiscono l'oggetto del rapporto del gruppo de Larosière. In linea con le raccomandazioni, ed anticipandole con lodevole tempestività, la Commissione ha presentato una proposta volta ad istituire un programma comunitario a sostegno di attività che forniscono strumenti atti a migliorare l'efficacia della vigilanza sulle attività finanziarie.

2.4

Il programma prevede sovvenzioni per tre strutture giuridiche che forniscono strumenti tecnici e giuridici alle autorità di vigilanza preposte rispettivamente alla vigilanza sui mercati mobiliari, sulle attività bancarie e sulle assicurazioni e pensioni aziendali o professionali. Le tre strutture giuridiche sono, per l'informativa finanziaria, lo European Financial Reporting Advisory Group (EFRAG) e la International Accounting Standards Committee Foundation (IASCF); per la revisione contabile, il Public Interest Oversight Board (PIOB).

2.5

Sono ugualmente previsti contributi finanziari a azioni specifiche dei comitati per le autorità di vigilanza, vale a dire organi consultivi indipendenti senza personalità giuridica, istituiti dalla Commissione nei tre settori di competenza e costituiti dalle autorità di vigilanza nazionali. Tali organismi sono sede di dibattito, riflessione e consulenza nei confronti della Commissione e danno «un contributo all'attuazione coerente e tempestiva della normativa comunitaria negli Stati membri». I tre comitati non hanno personalità giuridica: perché potessero stipulare contratti con terzi è stato quindi necessario creare, per ciascuno di essi, una struttura di sostegno dotata di personalità giuridica in ciascun paese ove la struttura ha sede: il Regno Unito per la vigilanza bancaria (CEBS), la Francia per i valori mobiliari (CESR), la Germania per le assicurazioni e pensioni (Ceiops).

3.   Osservazioni e commenti

3.1   Il Comitato approva l'iniziativa della Commissione, intesa a creare strumenti sempre più affinati per la vigilanza del settore finanziario, nello spirito delle raccomandazioni del gruppo de Larosière; osserva peraltro che nulla viene innovato, né nella missione e nelle funzioni delle tre strutture giuridiche destinatarie delle sovvenzioni, né in quelle dei comitati ai quali vengono offerti contributi finanziari. I contributi finanziari servono quindi a migliorare la situazione esistente: cosa che è segno da un lato di una soddisfazione nei confronti delle strutture in quanto tali, ma dall'altro anche di una percepita necessità di migliorare o potenziare le loro prestazioni.

3.2   I due organismi attivi nel campo dell'informativa finanziaria, lo IASCF e l'EFRAG, sono la fonte di principi contabili internazionali di elevata qualità, in parte recepiti nell'ordinamento comunitario; secondo la Commissione, essi garantiscono «a investitori, creditori e altri soggetti interessati l'accesso a informazioni puntuali, affidabili e pertinenti sulle condizioni finanziarie delle imprese». Queste affermazioni, però, sono state smentite dai fatti: prima di mettere in opera qualsiasi riforma occorre che i responsabili rispondano al quesito, se il fallimento sia stato determinato da principi contabili carenti o da malaccorte applicazioni delle norme contabili.

3.2.1   Nel settore più delicato che ha manifestato le maggiori carenze, quello dei mercati mobiliari ove trovano applicazione le norme IASCF e EFRAG, la Commissione sottolinea esplicitamente l'importanza cruciale dell'indipendenza da «indebite ingerenze da parte di soggetti interessati» e da un «finanziamento non diversificato e volontario da parte di soggetti interessati» e indica tale indipendenza come una delle ragioni che giustificano la sovvenzione. La questione è stata sollevata in passato dal Consiglio Ecofin e dal Parlamento europeo, ma ora si pone un altro quesito: dato che questi enti hanno bisogno di risorse per assolvere la loro delicata funzione, è sufficiente una«sovvenzione»per garantirne l'indipendenza? Il CESE ritiene che la questione meriti un ulteriore approfondimento.

3.3   Le stesse considerazioni valgono nel campo della revisione contabile in relazione alla sovvenzione accordata al PIOB, organo che vigila sul processo di adozione degli ISA (International Standards for Auditing) e su altre attività di interesse pubblico svolte dall'IFAC (International Federation of Accountants). La possibile introduzione dei principi ISA nel diritto comunitario (direttiva 2006/43/CE) giustifica l'interesse nella neutralità delle norme e la presenza della Commissione, con due membri su dieci, negli organi direttivi del PIOB.

3.4   A conclusione del capitolo «sovvenzioni» il CESE ritiene di dover concordare con la Commissione sulla necessità di dotare i diversi enti responsabili degli standard internazionali di mezzi sufficienti a garantire la loro funzionalità e indipendenza. Questo aspetto è ripetutamente evocato in modo più o meno esplicito, segno evidente dell'esistenza di un problema di fondo: questi enti sono stati creati dalle professioni per fornire norme e standard validi per le professioni stesse; il loro carattere privatistico non cambia anche quando tali norme e standard vengano incorporati nella normativa pubblica. Diventa a questo punto difficile separare, all'interno dello stesso ente, l'interesse pubblico dall'attività svolta per conto delle professioni che legalmente ne hanno il controllo.

3.5   I contributi finanziari per i comitati delle autorità di vigilanza sono destinati in particolare alla formazione del personale delle autorità nazionali e alla gestione di progetti di tecnologia dell'informazione. Tali comitati sono, come già si è detto, organi consultivi indipendenti istituiti dalla Commissione e costituiti dalle autorità nazionali. La formazione del personale (raccomandazione 19 del gruppo de Larosière) e la gestione di progetti costituiscono certamente una missione importante, ma che peraltro va integralmente a favore degli Stati membri: il CESE non vede perché queste azioni non debbano essere finanziate dagli Stati membri stessi anziché dalle risorse comunitarie.

3.6   A conclusione della sua proposta, la Commissione ritiene di dover introdurre un criterio di flessibilità nella determinazione dei destinatari delle sovvenzioni: l'approfondimento delle modalità per fronteggiare la crisi potrebbe far sorgere la necessità di creare nuovi enti o di dare nuove attribuzioni a quelli esistenti, così come potrebbe essere necessario far subentrare un nuovo beneficiario ad uno già designato. Il CESE non ha nulla da obbiettare, ma richiama l'attenzione sulla necessità di non aumentare al di là del necessario il numero degli organismi implicati nel programma: è meglio estendere, quando possibile, le funzioni di quelli esistenti.

Bruxelles, 24 marzo 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


22.9.2009   

IT

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C 228/78


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2002/15/CE concernente l'organizzazione dell'orario di lavoro delle persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto

COM(2008) 650 def. — 2008/0195 (COD)

2009/C 228/14

Il Consiglio, in data 6 novembre 2008, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 71 e 137, paragrafo 2, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2002/15/CE concernente l'organizzazione dell'orario di lavoro delle persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto»

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 2 dicembre 2008, ha incaricato la sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 marzo 2009, nel corso della 452a sessione plenaria, ha nominato relatore generale MORDANT e ha adottato il seguente parere con 93 voti favorevoli, 7 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

A parere del Comitato economico e sociale europeo, la proposta della Commissione è difficilmente applicabile e comporterà, accanto a costi supplementari enormi, un aumento degli oneri amministrativi. Inoltre, essa non risponde a uno degli obiettivi fondamentali della direttiva 2002/15/CE, che stabilisce prescrizioni minime in materia di organizzazione dell'orario di lavoro per migliorare la tutela della salute e della sicurezza delle persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto, per aumentare la sicurezza stradale e armonizzare le condizioni di concorrenza. In effetti, in ottemperanza al regolamento (CE) n. 561/2006 sui tempi di guida e di riposo, un lavoratore mobile non può lavorare (in media) più di 48 ore la settimana, mentre un autotrasportatore autonomo, sempre in ottemperanza al medesimo regolamento, potrà lavorare 86 ore la settimana.

1.2

L'aumento previsto del trasporto su strada in Europa per i prossimi 20 anni è dell'ordine del 50 %, indipendentemente dalla crescita degli altri modi trasporto (su rotaia e per via navigabile). Il CESE ritiene che il fattore determinante per il raggiungimento degli obiettivi della direttiva non sarà lo status del conducente, bensì le condizioni in cui quest'ultimo effettuerà operazioni mobili di autotrasporto.

1.3

Nel presente parere il CESE ribadisce le indicazioni generali contenute nelle conclusioni cui era giunto in un parere precedente sul tema Trasporti su strada — orario di lavoro degli autotrasportatori autonomi  (1).

Si ricorda che in quel parere il Comitato aveva sottolineato:

la necessità di includere tutti gli autotrasportatori autonomi nel campo di applicazione della direttiva 2002/15/CE, come previsto all'articolo 2 di quest'ultima (che si applica alla suddetta categoria di lavoratori a partire dal marzo 2009), al fine di promuovere la sicurezza stradale, contribuire a creare una situazione di concorrenza leale e migliorare le condizioni di lavoro dei lavoratori mobili e degli autotrasportatori autonomi, in particolare tutelando la loro salute fisica e mentale,

l'importanza di un corretto recepimento della suddetta direttiva da parte degli Stati membri, in particolare per quanto riguarda la definizione di autotrasportatore autonomo, e l'applicazione del principio della corresponsabilità dei diversi attori della catena dei trasporti, come avviene per il regolamento sui tempi di guida e di riposo.

1.4

Il CESE reputa che gli obiettivi della direttiva nel settore del trasporto su strada si possano realizzare soltanto con una chiara applicazione delle norme minime di protezione sociale a tutte le persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto, senza distinzioni di sorta e a prescindere dallo status del conducente.

1.5

Secondo il Comitato, l'inclusione degli autotrasportatori autonomi nel campo di applicazione della direttiva deve essere realizzata semplificando al massimo le loro incombenze amministrative. La definizione di orario di lavoro per gli autotrasportatori autonomi presuppone che le incombenze amministrative generali non facciano parte dell'orario di lavoro.

1.6

L'inclusione degli autotrasportatori autonomi richiede l'adozione di alcune misure volte a controllare l'applicazione e il rispetto della direttiva 2002/15/CE.

2.   Introduzione

2.1

La direttiva 2002/15/CE del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 marzo 2002, concernente l'organizzazione dell'orario di lavoro delle persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto, è entrata in vigore il 23 marzo 2005. Le nuove disposizioni comuni stabilite dalla direttiva garantiscono norme minime di protezione sociale per i lavoratori compresi nel campo di applicazione. Tali disposizioni minime sono considerate un importante passo avanti per, da un lato, migliorare la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori che effettuano operazioni mobili di autotrasporto e, dall'altro, rafforzare la sicurezza stradale e garantire condizioni eque di concorrenza.

2.2

Questa direttiva, il cui scopo è proteggere i lavoratori mobili dagli effetti negativi derivanti da orari di lavoro eccessivamente lunghi, da riposi di durata insufficiente o da ritmi di lavoro irregolari, rappresenta una lex specialis nell'ambito della direttiva generale sull'organizzazione dell'orario di lavoro (direttiva 2003/88/CE) e integra il regolamento (CE) n. 561/2006 del 15 marzo 2006, che fissa le norme comuni in materia di tempi di guida e di riposo dei conducenti.

2.3

Al momento dell'adozione della direttiva al termine di una procedura di conciliazione, il Consiglio e il Parlamento europeo avevano deciso che a partire dal 23 marzo 2009 essa si sarebbe applicata, in linea di principio, anche agli autotrasportatori autonomi. Due anni prima di questa data, la Commissione avrebbe dovuto presentare una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio e avanzare una proposta legislativa, basata su detta relazione, che stabilisse le modalità per includere, oppure escludere, gli autotrasportatori autonomi dal campo di applicazione della direttiva.

3.   La proposta della Commissione

3.1

La Commissione propone di modificare la direttiva 2002/15/CE escludendo gli autotrasportatori autonomi dal campo di applicazione, campo che viene chiarito in modo da comprendere tutti i lavoratori mobili, inclusi i cosiddetti «falsi» trasportatori autonomi, ossia gli autotrasportatori che risultano ufficialmente autonomi ma che in realtà non sono liberi di organizzare le proprie attività professionali.

3.2

È intenzione della Commissione dare una definizione di «falso» autotrasportatore autonomo: «per “lavoratore mobile” si intende inoltre ogni persona che non è legata a un datore di lavoro da un contratto di lavoro o da un altro rapporto di lavoro di tipo gerarchico ma:

i)

che non è libera di organizzare le proprie attività professionali;

ii)

il cui reddito non dipende direttamente dagli utili realizzati;

iii)

che non è libera di intrattenere, individualmente o attraverso una cooperazione tra autotrasportatori autonomi, relazioni commerciali con più clienti».

3.3

La Commissione propone anche di aggiungere una condizione per il lavoro svolto durante le ore notturne. In effetti, ai sensi della direttiva 2002/15/CE, ogni prestazione espletata durante la notte è considerata lavoro notturno. Secondo la proposta di modifica avanzata dalla Commissione, le prestazioni espletate durante la notte sono considerate lavoro notturno se hanno una durata di almeno due ore.

3.4

La proposta di modifica comprende anche un nuovo articolo relativo ai controlli, inteso a garantire l'applicazione corretta e omogenea delle norme previste dalla direttiva 2002/15/CE. Tale articolo prevede che gli enti nazionali responsabili del controllo dell'applicazione della direttiva dispongano di un numero adeguato di ispettori qualificati e adottino tutte le misure eventualmente necessarie.

3.5

Al fine di garantire un'attuazione efficace, efficiente e uniforme della direttiva in tutta la Comunità, la Commissione sostiene il dialogo tra gli Stati membri, con i seguenti obiettivi:

a)

rafforzare la cooperazione amministrativa fra le autorità competenti;

b)

promuovere un'impostazione comune;

c)

agevolare il dialogo tra il settore dei trasporti e le autorità di controllo.

4.   Osservazioni generali

4.1

In merito ai problemi individuati nella valutazione d'impatto, la Commissione reputa che «per prevenire i problemi di sicurezza stradale dovuti alla stanchezza del conducente occorre garantire la rigorosa applicazione delle disposizioni in materia di periodi di guida e di riposo, disposizioni che si applicano a tutti i conducenti, indipendentemente dal loro rapporto di lavoro con l'impresa. La direttiva sull'orario di lavoro non produce pertanto alcun effetto supplementare di rilievo per la sicurezza stradale». Nelle conclusioni del suddetto documento la Commissione esprime la sua preferenza per l'opzione che prevede l'esclusione dei «veri» autotrasportatori autonomi e l'inclusione di quelli «falsi», introducendo maggiori garanzie di applicazione. L'effetto di queste disposizioni sarà una riduzione delle distorsioni della concorrenza e una migliore protezione sociale dei conducenti e delle categorie professionali assimilate.

4.2

L'esclusione degli autotrasportatori autonomi dal campo d'applicazione ha generato, secondo molti esponenti delle parti sociali, una distorsione della concorrenza nel settore del trasporto stradale. Ciò ha indotto il Comitato, nel recentissimo parere sull'esame intermedio del Libro bianco sui trasporti (TEN/257, relatore: BARBADILLO LÓPEZ) (2), a far propria la seguente richiesta:

«Per quanto riguarda la normativa sociale dei trasporti su strada, occorre salvaguardare la parità di trattamento tra i lavoratori sia dipendenti che autonomi: per questo motivo, la direttiva 2002/15/CE, dell'11 marzo 2002, concernente l'organizzazione dell'orario di lavoro delle persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto, deve essere applicata immediatamente ai lavoratori autonomi, senza attendere la fine del periodo transitorio previsto, dato che l'obiettivo perseguito dalla direttiva è quello di assicurare la sicurezza stradale, evitare distorsioni della concorrenza e promuovere migliori condizioni di lavoro» (punto 4.3.1.2).

4.3

Tenuto conto che per i prossimi 20 anni si prevede un aumento del 50 % del trasporto su strada in Europa, a prescindere dagli altri modi di trasporto (su rotaia e per via navigabile), le condizioni che migliorano la tutela della salute fisica e mentale dei conducenti di veicoli con massa a pieno carico compresa tra 3,5 e 60 tonnellate, aumentano la sicurezza stradale e garantiscono condizioni di concorrenza eque potranno essere concretizzate soltanto fissando con chiarezza norme sociali minime riguardanti tutti i lavoratori che effettuano operazioni mobili di autotrasporto, senza distinzioni di sorta e a prescindere dallo status del conducente. Ad avviso del CESE, infatti, il fattore determinante non deve essere lo status del conducente, ma il fatto che il lavoratore esegue operazioni mobili di autotrasporto.

4.4

Nel parere TEN/326 sul tema Trasporti su strada - orario di lavoro degli autotrasportatori autonomi, il CESE ha espresso seri dubbi sulle conclusioni cui giungono lo studio e la valutazione d'impatto a partire dai risultati riguardanti la sicurezza stradale, le condizioni di concorrenza e gli aspetti sociali.

Nel suddetto parere il CESE ha altresì messo in evidenza che «un orario di lavoro eccessivamente prolungato è un fattore importante di stanchezza e concorre, quindi, al rischio che il conducente si addormenti al volante».

Inoltre, il CESE ha ivi dichiarato che «la concorrenza può dirsi equa quando i prezzi accordati ai subappaltatori dalle grandi imprese che organizzano tutti gli aspetti legati alla distribuzione e al trasporto di merci rispettano l'applicazione della norme sociali nel settore, sia per i lavoratori mobili che per quelli autonomi».

4.5

Non è esatto affermare, come si legge nella relazione sulla valutazione d'impatto, che la direttiva sull'orario di lavoro non produce «alcun effetto supplementare di rilievo per la sicurezza stradale». In effetti, in ottemperanza al regolamento (CE) n. 561/2006 sui tempi di guida e di riposo, un lavoratore mobile non può lavorare (in media) più di 48 ore la settimana, mentre un autotrasportatore autonomo, in ottemperanza al medesimo regolamento, potrà lavorare tutte le settimane 86 ore.

4.6

Nella proposta della Commissione, il conducente sottoposto a controlli che venga identificato come «falso» autotrasportatore autonomo deve obbligatoriamente conformarsi alla direttiva sull'orario di lavoro. Nella proposta però non si fornisce una risposta a nessuna delle seguenti domande: se il conducente, così identificato, diventa un lavoratore mobile e quindi soggetto all'obbligo di avere un contratto di lavoro, qual è il datore di lavoro che lo deve assumere? Se il veicolo che utilizza è di sua proprietà, cosa ne deve fare? Se ha fatto degli investimenti in infrastrutture o in altro, chi se ne deve assumere le conseguenze? Inoltre, cosa devono fare gli Stati membri che hanno già incluso gli autotrasportatori autonomi nel campo di applicazione della direttiva?

4.7

A parere del Comitato, sussiste il rischio che questa proposta comporti non solo costi supplementari enormi, ma anche un aumento degli oneri amministrativi.

4.8

Per il CESE, tuttavia, l'inclusione degli autotrasportatori autonomi nel campo di applicazione della direttiva 2002/15/CE presuppone un corretto recepimento della medesima, in particolare per quanto riguarda la definizione di autotrasportatore autonomo. La direttiva dovrebbe stabilire che le incombenze amministrative generali non fanno parte dell'orario di lavoro degli autotrasportatori autonomi.

Bruxelles, 25 marzo 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  GU C 27 del 3.2.2009, pagg. 49-51.

(2)  GU C 161 del 13.7.2007, pag. 89.


22.9.2009   

IT

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C 228/81


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'etichettatura degli pneumatici in relazione al consumo di carburante e ad altri parametri fondamentali

COM(2008) 779 def. — 2008/0221 (COD)

2009/C 228/15

Il Consiglio, in data 17 dicembre 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'etichettatura degli pneumatici in relazione al consumo di carburante e ad altri parametri fondamentali»

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 12 marzo 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore RANOCCHIARI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 marzo 2009, nel corso della 452a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 130 voti favorevoli e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE condivide la scelta della Commissione europea che, dopo aver proposto un regolamento sulla sicurezza generale dei veicoli, in via di approvazione, prevede già un sistema di certificazione dei valori che saranno stabiliti in quel regolamento per quanto attiene a tre parametri fondamentali degli pneumatici e cioè il consumo dei carburanti, la sicurezza e la rumorosità.

1.2

Il CESE apprezza altresì che attraverso la certificazione si intenda fornire direttamente al consumatore strumenti di conoscenza in grado di orientarlo verso acquisti più consapevoli degli pneumatici di ricambio che saranno fabbricati dopo l'approvazione della presente proposta, pneumatici, che coprono il 78 % del mercato europeo.

1.3

Per quanto riguarda invece gli pneumatici di primo impianto, montati cioè dai costruttori di autoveicoli, il CESE ritiene l'iniziativa superflua in quanto la normativa vigente impone già ai costruttori di fornire i dati in questione al momento della omologazione della vettura e poi con la documentazione tecnica promozionale e i manuali d'uso delle vetture.

1.4

Sul mezzo proposto dalla Commissione per informare i consumatori, e cioè una etichetta autoadesiva da apporre sullo pneumatico, il CESE suggerisce di prevedere anche un'alternativa per il caso, non infrequente, di smarrimento o danneggiamento dell'etichetta.

1.5

Infine il CESE auspica che, sulla scorta di quanto previsto per la sicurezza generale degli autoveicoli, anche in questo caso si adotti la forma legislativa del regolamento anziché della direttiva, assicurando tempi e modalità di controllo uniformi presso tutti gli Stati membri.

2.   Introduzione

2.1

Il piano d'azione per l'efficienza energetica si propone, come noto, un risparmio del 20 % entro il 2020 attraverso una serie di misure che riducendo l'intensità energetica contribuiscono alla diminuzione dei consumi e quindi dell'inquinamento ambientale.

2.2

In questo quadro, particolare e costante attenzione è rivolta al sistema dei trasporti su strada, responsabili di oltre il 20 % delle emissioni di CO2.

2.3

Oltre ai numerosi interventi già operativi o in corso di approvazione riguardanti l'autoveicolo, il legislatore europeo ha inteso intervenire anche sulle prestazioni degli pneumatici che, rappresentando l'unico elemento di connessione tra il veicolo e la strada, sono chiamati a contribuire anzitutto alla sicurezza degli automobilisti ma anche al contenimento del consumo di carburante.

2.4

A questo scopo la proposta di regolamento della Commissione europea sulla sicurezza generale dei veicoli, attualmente in discussione al Parlamento europeo (1), intende, tra l'altro, stabilire nuovi, più stringenti parametri in merito alla omologazione degli pneumatici, sia in termini di consumo di carburante che di sicurezza che infine di rumorosità.

2.5

In tema di risparmio energetico va infatti ricordato che gli pneumatici possono incidere fino al 20 % sul consumo di carburante del veicolo a causa della resistenza al rotolamento (RR), cioè la perdita di energia dovuta alla resistenza al moto, causata a sua volta dal riscaldamento e deformazione delle ruote durante il rotolamento. Va anche aggiunto che la RR come pure il rumore degli pneumatici sono influenzati in maniera determinante dalle condizioni del fondo stradale, condizioni che in certi casi possono vanificare i miglioramenti tecnologici degli pneumatici.

3.   La proposta della Commissione europea

3.1

La proposta di direttiva in esame si prefigge lo scopo di garantire informazioni standardizzate agli utenti anzitutto sul consumo di carburante originato da una diversa resistenza al rotolamento, ma anche sulla diversa aderenza sul bagnato e sulla rumorosità del rotolamento, tre dei parametri che sono oggetto della già citata proposta di regolamento COM(2008) 316 def.

3.2

Nelle intenzioni della Commissione il consumatore potrà non solo conoscere gli obblighi minimi che saranno previsti in materia di RR ma soprattutto scegliere pneumatici con RR ancora minore, con conseguente riduzione dei consumi. Per le autovetture, infatti, la differenza di consumo tra set di pneumatici con diversa RR, potrà arrivare, grazie alle nuove tecnologie, fino al 10 %.

3.3

Quanto sopra è particolarmente importante per il mercato dei ricambi che rappresenta il 78 % del totale. Infatti per gli pneumatici montati dai costruttori sui veicoli nuovi (22 % del mercato) informazioni e dati relativi al consumo sono opportunamente pubblicizzati dalle case costruttrici di automobili al momento dell'acquisto e riportati sui manuali d'uso dei veicoli. Per contro sul mercato dei ricambi i consumatori non dispongono di informazioni in grado di raffrontare la differenza di prezzo degli pneumatici in rapporto alla loro incidenza sui consumi di carburante.

3.4

Poiché inoltre le prestazioni degli pneumatici sono correlate ma anche in conflitto fra di loro (RR nei confronti dell'aderenza sul bagnato e quest'ultima con la rumorosità da rotolamento), l'informazione potrà dar conto dell'ottimizzazione raggiungibile tra i tre parametri principali, consentendo al consumatore una scelta consapevole.

3.5

La proposta della Commissione prevede quindi una «etichetta energetica autoadesiva» da applicare sugli pneumatici, con una scala di classificazione dalla A alla G, per RR e aderenza sul bagnato, sulla falsariga di quanto già realizzato per l'etichettatura degli apparecchi elettrodomestici, con l'aggiunta dell'indicazione della rumorosità espressa in decibel.

3.6

La proposta affida agli Stati membri il controllo delle disposizioni che riguarderanno l'etichettatura, come pure la determinazione delle sanzioni in caso di violazione della normativa.

4.   Osservazioni generali

4.1   Il CESE appoggia l'iniziativa della Commissione intesa da una parte ad assicurare un modello di consumo più sostenibile e dall'altra a dotare i consumatori di maggiori conoscenze che consentiranno un acquisto più consapevole degli pneumatici di ricambio, non solo per quanto riguarda i consumi ma anche per altri parametri quali l'aderenza sul bagnato e la rumorosità. Il consumatore sarà quindi in grado di valutare se il maggior costo di uno pneumatico rispetto ad un altro è compensato dai vantaggi offerti da migliori prestazioni. Un consumatore più informato contribuirà ad elevare la concorrenza tra i costruttori indotti a perfezionare i loro prodotti.

4.2   In effetti, il proposito iniziale della Commissione europea era quello di limitare l'informazione al dato relativo al consumo di carburante; l'aggiunta degli altri due parametri è scaturita dagli esiti della consultazione pubblica lanciata sull'argomento. Pur approvando la scelta finale, il CESE teme tuttavia che tale scelta renderà più difficile la gestione dei dati e i relativi controlli.

4.3   Il CESE esprime invece qualche perplessità sul mezzo suggerito per informare i consumatori dei dati in questione. Prevedendo solo ed esclusivamente una etichetta autoadesiva si rischia infatti di non raggiungere sempre il risultato atteso.

4.3.1   L'acquirente normalmente non vede gli pneumatici di ricambio prima che vengano prelevati dal magazzino del punto di vendita e montati sulla vettura. Inoltre può accadere che nello stesso magazzino o nel punto di vendita l'etichetta si stacchi e si perda o venga riapplicata per errore ad uno pneumatico diverso. Ancora più probabile il caso in cui le etichette vengano smarrite durante il trasporto o il magazzinaggio, specie per gli pneumatici con rivestimento in silicone che rende più difficile l'incollaggio. L'esperienza per quanto riguarda le etichette dei produttori che già accompagnano gli pneumatici insegna che una percentuale certamente non trascurabile si perde o è gravemente danneggiata durante il trasporto e la movimentazione degli pneumatici che - si ricorda - non sono imballati individualmente, per evidenti motivi di costo (2).

4.3.2   A parere del CESE è pertanto necessario prevedere anche una soluzione alternativa nel caso di indisponibilità della etichetta autoadesiva. In tale caso si dovrebbe consentire al venditore di rilasciare insieme alla fattura una etichetta/documento che riporti esattamente i dati previsti nell'etichetta autoadesiva, dati che ha comunque ricevuto dal produttore.

4.4   Per quanto poi riguarda gli pneumatici montati sui veicoli nuovi l'etichettatura sembra invece un costo superfluo. La legislazione esistente definisce già come i costruttori di auto devono informare l'acquirente circa i consumi e le emissioni di CO2 a seguito dell'omologazione del veicolo. Situazione analoga si riscontra per quanto riguarda l'aderenza sul bagnato e il rumore, anch'essi già regolati in sede di omologazione delle autovetture come riconosce la stessa Commissione nella relazione che accompagna la proposta.

È inoltre interesse dei costruttori stessi utilizzare sempre pneumatici di «ultima generazione tecnologica» al fine di ridurre le emissioni di CO2 dai 130 g/km previsti ai 120 g/km ottenibili con tecnologie alternative al motore, ivi compresi gli pneumatici.

4.4.1   Si potrebbe in questo caso richiedere al commerciante, che spesso è anche venditore di pneumatici, di fornire al cliente un documento integrativo riportante i parametri richiesti dalla legge ai quali si conformano gli pneumatici della vettura che sta vendendo, proponendo anche, laddove possibile, una scelta alternativa. Un'iniziativa del genere avrebbe anche una funzione di supporto alle campagne di informazione e sensibilizzazione che gli Stati membri saranno chiamati a fare sull'argomento.

4.5   Il CESE è a conoscenza della richiesta avanzata dalle industrie del settore (3) che vorrebbero trasformare la presente proposta da direttiva in regolamento. Le ragioni addotte appaiono condivisibili in quanto il regolamento assicurerebbe tempi di applicazione e standard di controllo uniformi in tutti gli Stati membri come è già previsto per la già citata sicurezza generale degli autoveicoli dalla quale discende la presente proposta.

4.5.1   Il CESE si augura pertanto che in sede di discussione tra Commissione, Parlamento e Consiglio si possa pervenire ad un accordo in merito, come accaduto già in altre occasioni riguardanti materie sensibili quali la sicurezza e l'ambiente.

4.5.2   In effetti, il CESE ritiene fondamentale dotare gli Stati membri di regole certe ed uniformi per un accurato controllo della rispondenza degli pneumatici ai requisiti richiesti, controllo particolarmente importante in un mercato che registra una significativa presenza di prodotti di provenienza extraeuropea.

5.   Osservazioni particolari

5.1

Il CESE apprezza che la Commissione abbia escluso dalla normativa proposta gli pneumatici ricostruiti e fuoristrada professionali, che il CESE stesso nel già citato parere sulla sicurezza generale dei veicoli aveva consigliato di escludere dalla nuova normativa, fatti salvi ovviamente i requisiti di sicurezza previsti.

5.2

Sempre in linea con il suo parere sulla sicurezza generale dei veicoli, il CESE raccomanda infine che:

a)

siano esentati dalla legislazione gli pneumatici la cui data di fabbricazione sia antecedente alla entrata in vigore della legislazione stessa. La catena distributiva del settore ha costantemente sul mercato europeo una media di 80 milioni di pneumatici. L'applicazione delle etichette autoadesive su questi pneumatici già distribuiti risulterebbe impraticabile;

b)

l'industria ha necessità di almeno 18 mesi di lead time per realizzare le misure che saranno adottate.

Bruxelles, 25 marzo 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  COM(2008) 316 def. su cui il CESE ha già espresso il proprio parere nel corso della sessione plenaria del 14 gennaio 2009 (cfr. parere CESE 37/2009).

(2)  L’Associazione europea del settore ETRMA (European Tyre and Rubber Manufacturer Association) indica una percentuale tra il 10 e il 15 % di etichette perse durante il trasporto e la movimentazione degli pneumatici.

(3)  ETRMA: European Tyre and Rubber Manufacturer Association.


22.9.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 228/84


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Secondo riesame strategico della politica energetica — Piano d'azione dell'UE per la sicurezza e la solidarietà nel settore energetico

COM(2008) 781 def./2

2009/C 228/16

La Commissione, in data 13 novembre 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Secondo riesame strategico della politica energetica - Piano d'azione dell'UE per la sicurezza e la solidarietà nel settore energetico»

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 12 marzo 2009, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SIRKEINEN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 marzo 2009, nel corso della 452a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 130 voti favorevoli, 3 voti contrari e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE accoglie con favore la comunicazione della Commissione e in particolare il fatto che essa ponga l'accento, com'era assolutamente necessario, sul tema della sicurezza dell'approvvigionamento energetico. In proposito, il CESE è giunto alle seguenti conclusioni:

la necessità di una strategia comune tra gli Stati membri in materia di politica energetica, interna ed esterna, è stata riconfermata con forza dalle recenti crisi del gas,

il fatto che il terzo pacchetto sul mercato dell'energia rimanga un problema irrisolto è in contraddizione con i tre obiettivi fondamentali di politica energetica: sicurezza dell'approvvigionamento, competitività e sostenibilità,

le sfide rappresentate dal petrolio e dai trasporti non hanno ricevuto la dovuta attenzione da parte della Commissione,

gli aspetti sociali delle politiche energetiche, in questo contesto, sono stati trascurati dalla Commissione,

dalla comunicazione non emerge il senso dell'urgenza,

risulta urgente presentare la comunicazione Superare le barriere all'energia rinnovabile nell'UE, che contempla l'utilizzo delle fonti energetiche rinnovabili come parte integrante dell'intero sistema energetico,

l'intenzione della Commissione di tracciare un'agenda politica fino al 2030 e una prospettiva che vada fino all'orizzonte 2050 è un requisito indispensabile, tenuto conto dei tempi necessari per la realizzazione di cambiamenti di ampia portata a livello di tecnologie e di sistemi,

l'aggiornamento del Programma indicativo nucleare ha tenuto conto delle osservazioni formulate dal CESE in materia.

1.2

Il CESE esprime le seguenti raccomandazioni:

tutti gli strumenti che possono attenuare i rischi in termini di sicurezza dell'approvvigionamento devono essere utilizzati in maniera efficace e tempestiva,

dopo le decisioni sulle recenti proposte legislative, occorre mettere l'accento sulla loro attuazione ed evitare l'introduzione di nuove proposte, in modo da garantire la massima stabilità e prevedibilità del quadro normativo,

dei cinque ambiti del piano d'azione, quello del risparmio energetico, che vede l'efficienza energetica come uno strumento centrale, dovrebbe costituire la prima priorità, in quanto presenta notevoli potenzialità in termini di azioni efficaci sotto il profilo dei costi,

la Commissione dovrebbe stabilire un ordine di priorità tra le numerose azioni che intende intraprendere,

devono essere affrontati con particolare urgenza i problemi dei mercati energetici isolati e devono essere completate le TEN-E,

oltre agli investimenti infrastrutturali, occorre prestare maggiore attenzione al notevole fabbisogno di investimenti per la produzione di energia elettrica e per la ricerca di base fino all'orizzonte 2050,

in materia di relazioni esterne, parallelamente alle politiche per la propria sicurezza energetica, l'UE ha bisogno di sviluppare una strategia energetica globale improntata a criteri di responsabilità e di sostenibilità,

malgrado l'altissimo numero di misure necessarie per potenziare il risparmio energetico, occorre evitare una sovraregolamentazione a livello UE,

l'UE deve svolgere un ruolo di pioniere nell'utilizzo delle tecnologie energetiche ad alta efficienza,

la Commissione dovrebbe valutare, laddove possibile, la fattibilità degli obiettivi individuali per i diversi utilizzi dell'energia, come misura efficace per aumentare l'efficienza energetica, in particolare per i prodotti e i servizi che hanno una certa importanza nel mercato interno,

le decisioni sul futuro dell'energia nucleare dovranno essere adottate con urgenza, in considerazione del notevole fabbisogno di investimenti in materia di produzione di elettricità,

la prospettiva fino all'orizzonte 2050 dovrà tener conto della situazione mondiale, in base alla quale verranno definite le condizioni quadro per le ambizioni dell'UE.

2.   Introduzione

2.1

La politica energetica dell'UE persegue tre obiettivi fondamentali: sostenibilità, competitività e sicurezza dell'approvvigionamento. Negli ultimi tempi, però, la sicurezza dell'approvvigionamento non è stata sufficientemente al centro dell'attenzione, con conseguenze decisamente negative a seguito della controversia tra Ucraina e Russia sul trasferimento di gas, della contrazione dell'economia e dell'instabilità dei prezzi energetici. La dipendenza dagli approvvigionamenti esterni di energia non costituisce di per sé un problema; tuttavia, la crescente concentrazione di tale dipendenza su fornitori che non osservano le stesse regole in vigore in Europa, nonché l'aumento costante della domanda di gas aumentano i rischi che si verifichino problemi di approvvigionamento.

2.2

Le principali proposte legislative formulate dall'UE negli ultimi due anni consistono nel terzo pacchetto legislativo sui mercati del gas e dell'energia e nel pacchetto energia e clima. Quest'ultimo è stato approvato a tempi di record in prima lettura nel dicembre 2008, lasciando alla comitologia la definizione di molti dettagli fondamentali. Il pacchetto sul mercato dell'energia, invece, resta un problema irrisolto a distanza di quasi due anni, il che è in netto contrasto con la necessità di disporre di un mercato interno ben funzionante, per soddisfare i tre obiettivi fondamentali della politica energetica.

2.3

I diversi obiettivi della politica energetica sono interdipendenti e le politiche messe in atto per la loro realizzazione tendono per lo più a rafforzarsi a vicenda, anche se ciò non riguarda tutti gli aspetti. Alla sicurezza dell'approvvigionamento dev'essere attribuita la massima priorità. Data infatti la gravità degli effetti delle interruzioni nelle forniture o della povertà energetica, sia i cittadini che le imprese devono in ogni caso poter contare su un approvvigionamento sicuro di energia.

3.   Il documento della Commissione

3.1

Nel novembre 2008, la Commissione ha pubblicato il Secondo riesame strategico della politica energetica (SER), in cui propone un Piano d'azione per la sicurezza e la solidarietà nel settore energetico in cinque punti, imperniato sulle seguenti priorità:

fabbisogno di infrastrutture e diversificazione degli approvvigionamenti energetici,

relazioni esterne nel settore energetico,

scorte di gas e petrolio e meccanismi anticrisi,

efficienza energetica,

uso ottimale delle risorse energetiche endogene dell'UE.

3.2

Il SER è corredato da un aggiornamento del Programma indicativo nucleare 2007, incentrato sui seguenti aspetti: sicurezza dell'approvvigionamento, investimenti necessari e condizioni per la loro realizzazione.

3.3

Unitamente al riesame strategico, la Commissione presenta:

il pacchetto «efficienza energetica» 2008,

la proposta di revisione della direttiva sulle scorte petrolifere, nonché

la proposta riveduta di direttiva recante un quadro comunitario per la sicurezza nucleare.

3.4

Nel SER, la Commissione afferma la propria intenzione di:

proporre ritocchi alla direttiva sulla sicurezza dell'approvvigionamento di gas nel 2010,

promuovere lo sfruttamento ecocompatibile delle risorse interne di combustibili fossili dell'UE,

presentare una comunicazione intitolata Superare le barriere all'energia rinnovabile nell'UE,

proporre l'Iniziativa per il finanziamento dell'energia sostenibile, un progetto congiunto Commissione/BEI.

3.5

La Commissione intende infine proporre un rinnovamento della politica energetica per l'Europa nel 2010, con l'intento di tracciare un'agenda politica fino al 2030 e una prospettiva che vada fino all'orizzonte 2050, nonché un nuovo piano d'azione.

4.   Osservazioni generali

4.1

Il CESE accoglie con favore la comunicazione della Commissione, e in particolare il fatto che questa mette l'accento, com'era assolutamente necessario, sul tema della sicurezza dell'approvvigionamento di energia e cerca di definire una strategia complessiva in risposta alle sfide che si trova attualmente ad affrontare la politica energetica. L'UE dispone di strumenti propri in grado di attenuare i rischi relativi alla sicurezza dell'approvvigionamento. Tali strumenti sono già stati identificati dalla Commissione e devono ora essere utilizzati in maniera efficace.

4.2

L'azione dell'UE in materia di approvvigionamento energetico non deve tuttavia tradursi in ulteriori proposte legislative. Dopo l'adozione dei presenti pacchetti, l'accento dovrebbe essere posto piuttosto sull'attuazione. Il quadro normativo dev'essere mantenuto stabile in modo da garantire la massima prevedibilità del contesto in cui dovranno essere realizzate le azioni necessarie.

4.3

È stata ribadita la necessità di una strategia comune degli Stati membri in materia di politica energetica. Essi sono stati ripetutamente invitati, anche dal CESE, a esprimersi ad una sola voce. Tuttavia, fintantoché alcuni Stati membri, in particolare quelli più grandi, continueranno a preoccuparsi soprattutto dei propri interessi, la posizione dell'Europa sulla scena energetica mondiale risulterà indebolita, più vulnerabile e decisamente meno efficiente di quello che le consentirebbero le sue potenzialità.

4.4

Il Comitato condivide i cinque punti del piano d'azione ma preferirebbe vedere al primo posto l'efficienza energetica, o meglio il risparmio energetico: dato che infatti l'obiettivo sarebbe quello di ridurre l'uso di energia, l'efficienza energetica rappresenta uno strumento fondamentale. È vero che nemmeno i migliori risultati in questo ambito possono sostituirsi alla necessità di intervenire con urgenza negli altri ambiti. Tuttavia esistono molte possibilità di interventi efficaci sotto il profilo dei costi e in grado di migliorare l'efficienza energetica, che, se debitamente sfruttate consentirebbero di evitare il ricorso ad altre misure più costose. L'esempio più eclatante è quello del grande potenziale dell'efficienza energetica degli edifici.

4.5

Il CESE si sarebbe aspettato che la Commissione dedicasse maggiore attenzione ai problemi del petrolio e quindi dei trasporti. Il petrolio infatti, che rappresenta il 36 % dei consumi energetici dell'UE, è utilizzato principalmente per i trasporti. Inoltre, poiché i trasporti stradali sono in aumento, stanno aumentando di pari passo anche le emissioni di CO2. Per di più si prevede per i prezzi del petrolio una grande volatilità, con una netta tendenza al rialzo. Nel mese di gennaio, il CESE, consultato dal Parlamento europeo, ha emesso un parere sul tema Far fronte alle sfide petrolifere  (1).

4.6

La comunicazione della Commissione trascura altresì gli aspetti sociali della politica energetica, vale a dire la perdita di posti di lavoro e la creazione di nuovi posti in un'economia più verde, l'istruzione e la formazione, nonché la povertà energetica. Il Comitato fa osservare che l'energia non è una merce come le altre e che la sua distribuzione ai consumatori costituisce un servizio di interesse generale e deve quindi soddisfare i principi dell'accesso universale e dei costi ragionevoli.

4.7

Il Comitato deplora l'assenza, nel documento della Commissione, del senso dell'urgenza, che invece si impone tenuto conto dei problemi che si sono verificati, sia recentemente che in passato, in materia di sicurezza dell'approvvigionamento energetico. Esso rileva inoltre che nella comunicazione sono citate numerose intenzioni di azione (oltre 45), soprattutto sotto forma di comunicazioni, della Commissione. Per evitare che il processo in atto finisca per perdere vigore, quest'ultima dovrebbe stabilire tra tali azioni un ordine di priorità,

4.8

Il Comitato accoglie con favore l'intenzione della Commissione di tracciare un'agenda politica fino al 2030 e una prospettiva che vada fino all'orizzonte 2050, che dovranno essere sostenute da un nuovo piano d'azione. Il Comitato ha già fatto riferimento a tale prospettiva nel parere sul Mix energetico adottato nel 2006 (2). Per la realizzazione di cambiamenti di ampia portata a livello di tecnologie e di cambiamenti concreti a livello di sistemi energetici occorre tempo, a causa della lunghezza dei cicli di vita degli investimenti infrastrutturali. Pertanto una prospettiva per il futuro che vada al di là del potenziale attualmente limitato degli adeguamenti tecnologici e infrastrutturali è un requisito indispensabile.

5.   Osservazioni particolari

5.1   Creare l'infrastruttura necessaria al fabbisogno energetico dell'UE

5.1.1

Il CESE sostiene l'attività svolta dalla Commissione nel settore in esame, soprattutto in considerazione dei timori circa il prolungarsi della dipendenza dalle fonti energetiche esterne. A tale proposito desidera formulare le seguenti osservazioni.

5.1.2

Le sei priorità individuate dalla Commissione appaiono decisamente pertinenti: solo se le priorità vengono selezionate può essere garantita una loro efficace attuazione. Successivamente però, alla fine del gennaio 2009, nell'ambito di tali priorità, la Commissione ha presentato alcuni progetti specifici destinati a beneficiare di finanziamenti nel quadro del piano di rilancio dell'UE. Non è facile adottare una posizione su questi progetti prioritari in assenza di informazioni trasparenti su di essi e su altri progetti che hanno maggiori potenzialità di successo, comprese le informazioni relative ai finanziamenti privati e pubblici previsti.

5.1.3

Suscita rammarico il fatto che non siano ancora stati affrontati i problemi dei mercati energetici isolati degli Stati baltici. Ora occorre farlo con la massima urgenza. E al tempo stesso, si dovrà provvedere al fabbisogno energetico dei piccoli Stati membri isolati, attraverso progetti di interconnessione con il continente europeo.

5.1.4

Per quanto riguarda i corridoi di trasporto del gas, il CESE, nel recente parere sulla dimensione esterna della politica energetica europea, osserva che occorreranno diversi progetti per soddisfare le future necessità relative al trasporto di gas. Sotto il profilo politico, i progetti non devono essere intesi come opzioni in reciproca concorrenza. Ciò che conta ora è agire tempestivamente per assicurare l'approvvigionamento di gas e ciò richiede un'azione congiunta di Stati membri e Commissione.

5.1.5

La possibilità di istituire un meccanismo di acquisto in blocco necessita di ulteriori chiarimenti. Inoltre, perché limitarsi alla sola regione del Caspio?

5.1.6

Le sfide concernenti la sicurezza dell'approvvigionamento non possono essere affrontate ricorrendo esclusivamente all'infrastruttura di trasporto dell'energia. La produzione di energia richiede una serie di trasformazioni per le quali occorrono investimenti per quasi 1.000 miliardi di euro. Il problema è già stato in parte affrontato dalla Commissione nella sezione dedicata alle risorse energetiche endogene, ma merita di essere analizzato anche sotto il profilo degli investimenti necessari e dei relativi finanziamenti.

5.1.7

Per quanto riguarda gli investimenti, è essenziale definire il ruolo che svolgono i diversi attori: l'UE, le sue istituzioni finanziarie, gli Stati membri e le imprese. Quest'ultime sono disponibili a investire quando sussistono le condizioni idonee. Anche se la turbolenza del mercato energetico può indurre a commettere errori, le imprese si trovano nelle condizioni più adatte per valutare il mercato e assumere rischi. Il settore pubblico e i responsabili politici possono intervenire per creare le condizioni quadro adeguate e, entro determinati limiti, offrire incentivi e sostegno politico. Per questo motivo il CESE sostiene fermamente l'intenzione della Commissione di collaborare in maniera più stretta ed efficace con il settore privato e le istituzioni finanziarie.

5.2   Maggiore attenzione all'energia nelle relazioni internazionali dell'UE

5.2.1

Nel gennaio 2009, il CESE ha adottato il parere sulla dimensione esterna della politica energetica europea. Le osservazioni, conclusioni e raccomandazioni contenute in tale parere sono ancora pertinenti e in accordo con le proposte descritte nella comunicazione della Commissione. Il Comitato insiste in particolare su due aspetti: da un lato, sulla necessità di intervenire affinché i paesi fornitori applichino le stesse condizioni dell'UE nel mercato dell'energia, ad esempio in materia di accesso alle infrastrutture, tutela degli investimenti, ecc.; e dall'altro sul fatto che gli Stati membri elaborino un quadro comune di tali condizioni che serva da prerequisito per il sostegno ai negoziati sui contratti commerciali.

5.2.2

Il CESE ha inoltre presentato una strategia basata su due pilastri da applicare alle relazioni esterne nel settore energetico; detti pilastri corrispondono rispettivamente all'approvvigionamento energetico dell'Europa e ad un approccio energetico globale responsabile e sostenibile. Quest'ultimo pilastro, che riguarda la responsabilità globale dell'Europa, viene soltanto brevemente citato nel documento della Commissione. Il tema della responsabilità merita invece di essere esaminato con estrema attenzione e non solo attraverso una posizione di leadership dell'UE nel quadro dei negoziati internazionali sul cambiamento climatico.

5.3   Migliore gestione delle scorte di gas e petrolio e meccanismi anticrisi

5.3.1

Il Comitato condivide la posizione attuale della Commissione in materia di sicurezza dell'approvvigionamento di gas. Come misure di emergenza necessarie devono e possono essere adottate soluzioni alternative all'imposizione di costose scorte strategiche obbligatorie di gas, ad esempio: la diversificazione delle fonti e dei canali di approvvigionamento, il ricorso a rifornimenti di GNL, la cooperazione con i paesi vicini, l'introduzione di contratti interrompibili e il passaggio ad altri combustibili.

5.4   Nuovo slancio all'efficienza energetica

5.4.1

Sul tema dell'efficienza energetica il CESE ha espresso diversi pareri, che comprendono un'analisi dettagliata delle misure concrete da adottare. Il Comitato condivide l'approccio della Commissione, tuttavia desidera aggiungere qualche osservazione.

5.4.2

Esiste una gamma molto ampia e quasi illimitata di misure in grado di assicurare una maggiore efficienza nell'utilizzo e nella produzione di energia. La Commissione ha presentato una serie di disposizioni normative, ad esempio in materia di rendimento energetico nell'edilizia, etichettatura energetica e progettazione ecocompatibili; e sembrerebbero essere in cantiere altre misure. In proposito il CESE invita a prestare una particolare attenzione a far sì che l'adozione di tali misure non si risolva in una sovraregolamentazione, ma offra invece la possibilità di sfruttare nel miglior modo possibile le potenzialità di innovazione. Occorrono provvedimenti politici (regolamentazione, sostegno pubblico, ecc.) intesi a potenziare il risparmio energetico che siano però attentamente studiati per garantire la massima efficacia sotto il profilo dei costi e la minima distorsione nei mercati di ciascun settore interessato. Le disposizioni comunitarie dovrebbero riguardare soltanto i prodotti e i servizi che hanno una certa importanza nel mercato interno. Il CESE auspica che venga posta maggiore attenzione alla possibilità di azioni volontarie e di auto e co-regolamentazione, compresa la normalizzazione.

5.4.3

Per quanto riguarda l'efficienza energetica l'Europa è certamente all'avanguardia ma deve esserlo anche nel campo delle tecnologie energetiche ad alta efficienza. Inoltre i vantaggi derivanti da questa sua posizione pionieristica devono essere sfruttati appieno. Tra le misure che possono svolgere un ruolo positivo in tal senso figurano il finanziamento della R&S, il sostegno all'innovazione e al finanziamento del rischio, un'adeguata normalizzazione, l'apertura dei mercati su scala europea e mondiale, un accordo internazionale efficace sul cambiamento climatico e la cooperazione internazionale in materia di efficienza energetica.

5.4.4

Il Comitato pur condividendo fermamente l'obiettivo del 20 % inteso a garantire una maggiore efficienza energetica, ha qualche esitazione ad accettare che questo divenga un obiettivo generale obbligatorio. L'efficienza energetica riguarda infatti l'insieme delle attività umane ed economiche e le misure che possono contribuire al suo potenziamento sono praticamente illimitate. In tale contesto, inoltre, come si potrebbe definire un sistema fondato su un'equa condivisione dello sforzo? Il Comitato raccomanda invece alla Commissione di valutare, laddove possibile, la fattibilità degli obiettivi individuali per i diversi utilizzi dell'energia, come misura efficace per aumentare l'efficienza energetica, in particolare per i prodotti e i servizi che hanno una certa importanza nel mercato interno.

5.5   Uso ottimale delle risorse energetiche endogene dell'UE

5.5.1

Il CESE condivide pienamente i messaggi della Commissione sull'utilizzo delle risorse energetiche proprie dell'UE. È importante adottare una visione realistica circa l'evoluzione della domanda di energia, le potenzialità, i limiti e le condizioni per lo sviluppo e l'utilizzo delle diverse fonti energetiche.

5.5.2

Il Comitato accoglie con particolare favore l'intenzione della Commissione di presentare una comunicazione intitolata Superare le barriere all'energia rinnovabile nell'UE e la invita a intervenire tempestivamente in questo senso. L'aumento dell'impiego di fonti di energia rinnovabili, che in futuro saranno le fonti di energia domestica più importanti e più rispettose dell'ambiente, è una questione importante che avrebbe già dovuto essere analizzata e considerata come parte integrante dell'insieme del sistema energetico. Come osserva la Commissione, a questo proposito, le principali problematiche riguardano i vincoli della rete di trasmissione ma anche la questione delle riserve di energia. Negli studi da elaborare in materia si dovrebbe esaminare in maniera approfondita anche la questione se la creazione di eventuali «riserve di energia» possa, in determinate circostanze, pregiudicare gli sforzi intrapresi con le energie rinnovabili, dal punto di vista delle emissioni o della sicurezza dell'approvvigionamento. Altri aspetti da prendere in considerazione sono i problemi in materia di programmazione e autorizzazione.

5.5.3

Il Comitato concorda altresì sul fatto che prima di introdurre norme obbligatorie sulle emissioni di CO2 per le centrali elettriche, si dovrebbero valutare i risultati delle dimostrazioni industriali del sistema di cattura e stoccaggio del carbonio (CCS).

5.5.4

Per quanto riguarda l'energia nucleare, il CESE sostiene da molto tempo che per conseguire gli obiettivi della politica energetica devono rimanere aperte tutte le opzioni possibili per la produzione di energia. Tenuto conto degli investimenti su ampia scala che risulteranno necessari nel prossimo futuro per la produzione di elettricità, gli Stati membri che hanno optato, o hanno intenzione di farlo, per il nucleare, devono adottare decisioni urgenti sul futuro di tale energia. Secondo le proiezioni della Commissione, la capacità di produzione di energia nucleare nell'UE dovrebbe diminuire di un quarto entro il 2020; le centrali esistenti, se non sostituite da impianti di nuova generazione, verranno in parte rimpiazzate da centrali a gas o a carbone, con conseguenti ripercussioni a livello di emissioni e sicurezza dell'approvvigionamento. La sicurezza degli impianti nucleari esige un'attenzione costante, oltre che il coinvolgimento delle autorità pubbliche e la gestione delle scorie radioattive deve formare oggetto di specifiche decisioni. Un parere specifico del CESE è previsto sulla proposta riveduta di direttiva recante un quadro comunitario per la sicurezza nucleare.

5.5.5

Il Comitato approva l'intenzione della Commissione di presentare documenti sulle necessità relative alla capacità di produzione di energia, sia che si tratti di raffinazione di petrolio che di elettricità. Va tuttavia osservato che l'UE non si trova nella posizione di determinare gli investimenti da riservare alla capacità di produzione, né di formulare raccomandazioni, in quanto non può assumere alcuna responsabilità contro i rischi potenziali. La raccolta e l'analisi delle informazioni pertinenti, anche attraverso modellizzazioni, può risultare estremamente utile, così come la cooperazione in materia con l'Agenzia internazionale dell'energia (AIE), che viene pertanto raccomandata.

5.6   Guardando al 2050

5.6.1

Il CESE appoggia l'intenzione della Commissione di proporre un rinnovamento della politica energetica per l'Europa nel 2010, con l'intento di tracciare un'agenda politica fino al 2030 e una prospettiva che vada fino all'orizzonte 2050. Parimenti condivide l'idea che questo lavoro debba essere il frutto di ampie consultazioni volte a esaminare possibili obiettivi a lungo termine.

5.6.2

Il Comitato inoltre ritiene, da una prima analisi, che gli obiettivi presentati dalla Commissione (decarbonizzazione dell'elettricità, dipendenza dal petrolio nel settore dei trasporti, edilizia, rete elettrica e sistema energetico ad alta efficienza e a bassa emissione di carbonio) siano vere sfide cruciali a lungo termine. Per affrontare tali sfide dovranno essere lasciate aperte tutte le opzioni tecnologiche, compresa la fusione nucleare e l'idrogeno.

5.6.3

La prospettiva dovrà tener conto della situazione mondiale e della sua evoluzione, in base alla quale verranno definite le condizioni quadro per le ambizioni dell'UE. La rapida crescita della domanda di energia nei paesi in via di sviluppo, il cambiamento climatico e (si spera) gli accordi internazionali in materia di attenuazione e adeguamento, la disponibilità di risorse fossili, ecc. si ripercuotono in varia misura sulla nostra situazione e sulle nostre scelte. Un esempio calzante è rappresentato dall'evoluzione delle preoccupazioni relative al petrolio: ieri i prezzi raggiungevano massimi storici mentre oggi si teme addirittura il rischio di una produzione insufficiente per via dei prezzi troppo bassi.

5.7   Aggiornamento del programma indicativo nucleare

5.7.1

Il CESE constata con soddisfazione che le osservazioni contenute nel parere sul progetto di Programma indicativo per il settore nucleare 2007 (3), nonché in un parere esplorativo sugli investimenti nell'industria nucleare (4) siano state fatte proprie dalla Commissione. Il punto di partenza è il ruolo sempre importante dell'UE nello sviluppare ulteriormente un quadro il più possibile all'avanguardia per l'energia nucleare, in conformità con i più elevati standard di protezione, sicurezza e non proliferazione. Il Comitato è d'accordo con la Commissione anche in merito agli altri aspetti quali la gestione delle scorie radioattive, la garanzia di risorse finanziarie a lungo termine per la disattivazione degli impianti in funzione, la minaccia del terrorismo e la necessità di un regime armonizzato di responsabilità. Al riguardo il CESE sottolinea che tutti i relativi costi dovrebbero essere sostenuti dai gestori degli impianti nucleari.

5.7.2

Il Comitato ancora una volta concorda sull'importanza del ruolo che verrà svolto dal nucleare nel futuro mix energetico dell'UE per attenuare il cambiamento climatico e assicurare l'approvvigionamento di elettricità. Conviene altresì sulla necessità di adottare misure in grado di rispondere alle preoccupazioni dei cittadini. Inoltre approva le raccomandazioni sui livelli di sicurezza comuni applicabili ai reattori, nonché l'obbligo per i nuovi impianti di soddisfare gli standard di protezione e sicurezza previsti per i modelli di III generazione. Alcune misure destinate a incentivare il finanziamento di nuove costruzioni sono giustificate, soprattutto nell'attuale contesto economico, tuttavia per questo scopo non è ammesso il ricorso agli aiuti di Stato o alle sovvenzioni comunitarie. Anche se alcuni Stati membri hanno manifestato una maggiore apertura nei confronti della realizzazione di nuove centrali nucleari, la costruzione, il finanziamento e l'esercizio delle centrali e lo smaltimento delle scorie saranno a carico di imprese private. Lo Stato si limita a definire il quadro generale. Le informazioni sugli impianti previsti, compresi i costi, dovrebbero essere presentate il prima possibile, in maniera aperta ed dettagliata, in modo da consentire l'avvio di un dibattito e il coinvolgimento dell'opinione pubblica.

Bruxelles, 25 marzo 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Cfr. parere CESE 46/2009 del 14.1.2009 sul tema Far fronte alle sfide petrolifere, relatore: OSBORN.

(2)  Cfr. parere CESE sul tema L'approvvigionamento energetico dell'UE: strategia per un mix energetico ottimale, relatrice: Sirkeinen (GU C 318 del 23.12.2006, pag. 185).

(3)  Cfr. parere CESE sul Programma indicativo per il settore nucleare, relatrice: Sirkeinen (GU C 256 del 27.10.2007, pag. 51).

(4)  Cfr. parere CESE 1912/2008 del 4.12.2008 sul tema Investimenti futuri nell'industria nucleare e loro ruolo nella politica energetica dell'UE, relatore: IOZIA.


22.9.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 228/90


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l'indicazione del consumo di energia e di altre risorse dei prodotti connessi al consumo energetico, mediante l'etichettatura ed informazioni uniformi relative ai prodotti (rifusione)

COM(2008) 778 def. - 2008/0222 (COD)

2009/C 228/17

Il Consiglio, in data 30 gennaio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l'indicazione del consumo di energia e di altre risorse dei prodotti connessi al consumo energetico, mediante l'etichettatura ed informazioni uniformi relative ai prodotti (rifusione)»

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 12 marzo 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore PEZZINI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 24 marzo 2009, nel corso della 452a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 180 voti favorevoli e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato accoglie favorevolmente l'iniziativa della Commissione di aggiornare la direttiva 92/75/CEE sull'etichettatura energetica obbligatoria dei prodotti domestici, direttiva che è ormai divenuta familiare, non solo a milioni di consumatori, ma anche all'industria ed alla distribuzione.

1.2

Secondo il Comitato, il sistema ha permesso:

ai fabbricanti di posizionare meglio i propri prodotti sul mercato, su fasce di qualità e di efficienza più elevata,

ai consumatori di operare scelte informate, di modificare le proprie abitudini e di mettere i fabbricanti in competizione,

alla società di migliorare l'ambiente e perseguire un uso sostenibile delle risorse, garantendo la sorveglianza del mercato interno.

1.3

Il Comitato ritiene importante sottolineare gli elementi chiave per perseguire una politica di successo:

criteri semplici, chiari e comprensibili,

informazioni accurate, pertinenti e comparabili sul consumo specifico di energia,

analisi costi/benefici efficaci, condivise da tutti gli interessati,

risultanze scientifiche comprovate,

contenimento al minimo degli oneri burocratici e amministrativi e dei costi operativi,

compatibilità e coerenza tra normative vincolanti e strumenti volontari,

sistemi dinamici, flessibili, con spazi per l'innovazione ed il progresso tecnologico,

comunicazioni semplici e facilmente comprensibili per tutti,

promozione della sostenibilità sul mercato globale, senza creare barriere surrettizie al commercio internazionale.

1.4

Secondo il Comitato, un'iniziativa di revisione dello schema di etichettatura deve salvaguardarne le caratteristiche di successo: la semplicità, la trasparenza, l'affidabilità e la comparabilità; garantirne l'aggiornamento, attraverso meccanismi flessibili e dinamici di classificazione delle performance di prodotto, e assicurare una scelta avveduta del consumatore su prodotti più efficienti e durevoli e su standard accurati.

1.5

Il Comitato consiglia, prima dell’estensione della direttiva a nuovi gruppi di prodotti «connessi al consumo energetico», una valutazione d'impatto ed un'analisi sui costi-benefici, settore per settore, che sia: chiara, trasparente, condivisa da tutte le parti interessate e basata su evidenze scientifiche.

1.6

Inoltre, il Comitato ritiene utile preservare il buon funzionamento della direttiva 92/75/CEE (1), migliorandone e perfezionandone meccanismi dinamici di riclassificazione (2).

1.7

Il Comitato è favorevole all'estensione dello schema Energy Label ad altri prodotti che consumano energia perchè il messaggio è chiaro e trasparente, può essere facilmente confrontato sul mercato e può diventare uno strumento di marketing di successo.

1.8

Il CESE ritiene che, per altri prodotti o servizi che non consumano energia, ma che sono connessi al consumo energetico, possano rivelarsi più appropriati altri strumenti informativi e ambientali.

1.9

Occorre evitare, secondo il Comitato, ogni sovrapposizione di regolamentazioni spesso concorrenti e/o conflittuali, con aggravi di costi e di burocrazia e va rispettato un approccio integrato, per settore, che combini i tre pilastri della sostenibilità.

1.10

Il Comitato concorda sull'importanza di garantire la possibilità di concessione di incentivi, senza violare il regime comunitario degli aiuti pubblici.

1.11

Per quanto riguarda le prescrizioni proposte in materia di appalti pubblici, il Comitato raccomanda cautela nell'imposizione di misure vincolanti, ritenendo importante assicurare flessibilità all'azione degli Stati membri e un giusto mix, con azioni volontarie di Green Public Procurement.

2.   Introduzione

2.1

La direttiva 92/75/CEE del Consiglio, del 22 settembre 1992, concernente l'indicazione del consumo di energia e di altre risorse degli apparecchi domestici, mediante l'etichettatura, è una direttiva quadro finalizzata ad orientare il mercato degli elettrodomestici verso prodotti più efficienti, sotto il profilo energetico, grazie alle informazioni utili e comparabili fornite ai consumatori e al mercato.

2.2

I principali elementi positivi dell'etichetta energetica (Energy-LABEL) sono:

la sua natura obbligatoria,

la sua visibilità,

la semplicità del messaggio,

la comparabilità immediata tra prodotti della stessa famiglia.

2.3

Secondo il Comitato, il sistema, pur circoscritto a taluni settori e sottoposto ad analisi e studi settoriali accurati, ha permesso:

ai fabbricanti, di posizionare meglio i propri prodotti sul mercato, su fasce di qualità e di efficienza, ottenendo un ritorno sugli investimenti, fatti per introdurre prodotti domestici migliori e più innovativi,

ai consumatori, di operare scelte informate e di modificare le proprie abitudini di consumo,

alla società, di migliorare l'ambiente, di perseguire un uso sostenibile delle risorse e di ridurne i consumi.

2.4

Il Comitato ritiene importante sottolineare che, l'attuale direttiva sull'etichettatura energetica rappresenta uno degli strumenti comunitari di maggiore successo, perché si basa su:

criteri semplici, chiari e comprensibili,

informazioni accurate, pertinenti e comparabili, sul consumo specifico di energia,

analisi costi/benefici efficaci, condivise da tutti gli interessati,

risultanze scientifiche comprovate,

contenimento al minimo degli oneri burocratici e amministrativi e dei costi operativi; compatibilità, coerenza e non sovrapposizione con normative comunitarie e con strumenti volontari concorrenti,

dinamicità della norma, flessibilità e opportunità per l'innovazione ed il progresso tecnologico,

comunicazioni semplici, facilmente percettibili e comprensibili per tutti i soggetti, in particolare per il consumatore,

diffusione dei principi di sostenibilità sul mercato globale.

2.5

I settori interessati, che presentano impatti ambientali significativi, hanno riguardato: i frigoriferi, i congelatori e loro combinazioni; le lavatrici, gli essiccatori e loro combinazioni; le lavastoviglie; i forni; gli scaldaacqua e i serbatoi di acqua calda; le fonti di illuminazione e i condizionatori d'aria. Per tali settori è previsto un aggiornamento delle etichette energetiche, nel corso del 2009 e del 2010.

2.6

Gli studi preliminari, promossi dalla Commissione sui prodotti che consumano energia, hanno mostrato che la fase di utilizzo di detti prodotti è responsabile di oltre l'80 % dell'impatto ambientale.

2.7

Estendere il campo d'applicazione della direttiva 92/75/CEE ad ulteriori apparecchiature domestiche e a tutti i «prodotti connessi al consumo energetico», esclusi i trasporti che hanno già una regolamentazione propria, rappresenta un cambiamento di grande portata ed impegno. Un analogo impegno è in atto nella revisione della direttiva 2005/32/CE, sulla progettazione ecocompatibile.

2.8

Prevedere l'applicazione del risparmio energetico per «qualsiasi bene che ha un impatto sul consumo di energia durante l'uso, immesso in commercio e/o messo in servizio nella Comunità, comprese le parti destinate ad essere integrate in prodotti connessi al consumo energetico», significa non limitarsi ai prodotti che direttamente consumano energia, ma ricomprendere anche quelli che,quando utilizzati, incidono in modo diretto o indiretto sui consumi energetici, come per esempio le porte e le finestre, i materiali da costruzione e i rivestimenti.

2.9

L'inserimento di questi nuovi prodotti e settori, nel campo d'applicazione di una direttiva modificata, potrebbe comportare una modifica dei parametri da prendere in considerazione per l'etichettatura «energetica», insieme con una modifica dell'etichetta stessa, aggiungendovi differenti parametri, a seconda del settore e del prodotto.

2.10

La rifusione della direttiva sull'etichettatura energetica rientra tra le priorità annunciate nel piano d'azione sull'efficienza energetica (3) e nel piano d'azione sulla produzione e sul consumo sostenibili e sulla politica industriale (SCP/SIP) (4) sul quale il Comitato ha avuto modo di esprimere il proprio parere (5). Rientrano in tale quadro, non solo l'Energy Label, ma anche l'Eco-Label, il marchio Energy-Star, le specifiche tecniche di ecoprogettazione, i Building Efficiency Standards, lo standard d'eccellenza EMAS ed altre informazioni ambientali, come l'EDP - Environmental Product Declarations, nonché numerose etichette a carattere settoriale, specie nel settore alimentare (6).

2.11

Parimenti il Comitato ha avuto modo di raccomandare in tema di appalti pubblici «verdi» (Green public procurement - GPP) «un loro forte sviluppo, tramite l'individuazione delle specifiche tecniche dei prodotti «verdi», a cominciare da quelli a più elevato impatto ambientale» e ha consigliato:

l'inclusione nel capitolato dei costi del ciclo di vita del prodotto o servizio,

la disponibilità on-line di un'apposita banca dati,

l'adeguamento delle direttive CE sugli appalti pubblici, tramite l'inserimento di un riferimento a standard condivisi,

l'estensione della certificazione Emas,

l'Ecolabel,

l'ecoprogettazione (7).

3.   Sintesi della proposta della Commissione

3.1

La proposta è finalizzata ad estenderne l'ambito di applicazione della normativa comunitaria in vigore (8), attualmente limitato agli apparecchi domestici, per permettere l'etichettatura di tutti i prodotti che incidono sul consumo energetico, compresi i prodotti di uso domestico, commerciale e industriale, e alcuni prodotti che non consumano energia, come gli infissi, che hanno però un notevole potenziale di risparmio energetico, se utilizzati o installati.

3.2

L'obiettivo generale della proposta è di garantire la libera circolazione dei prodotti e il miglioramento dell'efficienza energetica degli stessi.

3.3

La proposta di direttiva quadro sull'etichettatura energetica è il frutto della rifusione della direttiva 92/75/CEE e comprende anche disposizioni in materia di appalti pubblici e di incentivi, rappresentando - secondo la Commissione - il fulcro di una politica ambientale di prodotto, integrata e sostenibile, in grado di incentivare e stimolare la domanda di prodotti migliori e di aiutare i consumatori nelle loro scelte.

3.4

La Commissione ritiene che la proposta di questa direttiva quadro sia complementare ad altri strumenti comunitari vigenti, come la direttiva sulla progettazione ecocompatibile (9), il regolamento «Energy Star» (10) e il regolamento sul marchio di qualità ecologica (11).

4.   Osservazioni di carattere generale

4.1   Il Comitato accoglie favorevolmente l'iniziativa della Commissione tesa ad aggiornare la direttiva 92/75/CEE sull'etichettatura energetica obbligatoria dei prodotti domestici, che è ormai divenuta familiare ai consumatori, all'industria e alla distribuzione.

4.2   Un'iniziativa sullo schema di etichettatura deve, a parere del Comitato, salvaguardarne le caratteristiche di base che ne hanno assicurato il successo, vale a dire: la semplicità, la trasparenza, l'affidabilità e la comparabilità, ma deve, al contempo, garantire l'aggiornamento, attraverso meccanismi flessibili e dinamici, che riclassifichino, nel tempo, i prodotti, per assicurare all'industria il loro adeguamento ai progressi tecnico-scientifici e al consumatore la scelta dei prodotti più efficienti e durevoli, sotto il profilo del consumo di energia e delle loro prestazioni, in base a standard sempre più accurati.

4.3   Il Comitato consiglierebbe, prima di estendere la direttiva a nuovi gruppi di prodotti «connessi al consumo energetico», una valutazione d'impatto ed una analisi costi-benefici, settore per settore, che sia: chiara, trasparente, condivisa da tutte le parti interessate, e basata su evidenze scientifiche.

4.4   Sarebbe, forse, opportuno evitare una sovrapposizione di regolamentazioni spesso concorrenti, con aggravi di costi e di burocrazia e tener pienamente in conto «un approccio integrato per settore: tale approccio dovrebbe combinare i tre pilastri della sostenibilità, inserendo i requisiti ambientali sin dalla fase di concezione del prodotto, secondo l'ottica del «ciclo di vita», e prevedere obiettivi di qualità, di innovazione e di customer satisfaction, sempre più elevati» (12).

4.5   Tali riflessioni sui costi/benefici e sulle valutazioni d'impatto devono, secondo il Comitato, essere accompagnate da analisi sulle capacità dell'economia europea e delle imprese di sostenere costi aggiuntivi, senza dover ridurre le unità produttive e comprimere i livelli occupazionali o riallocare la produzione fuori dall'Europa. Il Comitato ha, a più riprese, sottolineato la necessità di assicurare la piena sostenibilità settoriale delle mutazioni industriali.

4.6   Il Comitato sottolinea, inoltre, la necessità di chiarezza e trasparenza sulla natura dell'Energy Label:

si tratta di un'etichetta che identifica con chiarezza e semplicità il consumo energetico dei prodotti in uso, secondo parametri univoci, che ne garantiscono la piena comparabilità e la riclassificazione dinamica, come dovrebbe essere l'Energy Label aggiornato (rolling standards /open-ended labelling scale + phasing out dei prodotti meno performanti),

si tratta di un'etichetta che, insieme al consumo d'energia, valuta le soglie di performance di efficienza energetica, di consumo idrico, di rumorosità, di aderenza ecc. che difficilmente permette una comparabilità di scelta obiettiva tra un prodotto etichettato e un altro, come pure la dinamica di riqualificazione. Tale etichetta potrebbe essere meglio ricompresa in un Label Ecoprogettazione dei prodotti, nell'ambito della revisione della direttiva 2005/32/CE,

oppure si vara una direttiva di settore ad hoc, come ha fatto la Commissione, che ha emanato una proposta di direttiva per l'etichettatura dei pneumatici, in relazione al consumo del carburante (13).

4.7   Secondo il Comitato, sarebbe più utile preservare il buon funzionamento della direttiva 92/75/CEE, migliorandone e perfezionandone meccanismi dinamici di riclassificazione, anche sotto il profilo degli standard di prova più affinati, ma mantenendone intatte le caratteristiche di base.

4.8   Il Comitato è favorevole all'estensione dello schema Energy Label ad altri prodotti che consumano energia, dove il messaggio chiaro e trasparente può essere facilmente confrontato sul mercato e diventare uno strumento di marketing di successo. Per altri prodotti o servizi che non consumano energia, ma sono connessi al consumo energetico, altri strumenti informativi appaiono appropriati, come gli schemi volontari già applicati a livello comunitario per taluni prodotti.

4.9   Sulle previsioni, concernenti la possibilità di concessione di incentivi senza violare il regime degli aiuti pubblici, il Comitato ha già avuto modo di esprimersi favorevolmente (14).

4.10   Per quanto riguarda le prescrizioni proposte, in materia di appalti pubblici, secondo il Comitato, le normative vincolanti, che sono state suggerite, devono essere più attentamente valutate, per evitare di generare costi di applicazione troppo elevati.

4.10.1   Il Comitato ritiene che, in proposito, sia opportuno assicurare un adeguato spazio di flessibilità agli Stati membri, attraverso l'introduzione di soglie indicative di performance di prodotto, nonché un giusto equilibrio tra azioni volontarie - conformi alle raccomandazioni Green public procurement - GP - e disposizioni vincolanti, sfruttando appieno le possibilità già offerte dalla direttiva 2004/18/CE, per quanto attiene l'inserimento di specifiche ambientali negli appalti pubblici.

Bruxelles, 24 marzo 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Oggetto della presente revisione.

(2)  Cfr. Piano d'azione efficienza energetica, COM(2006) 545 def.

(3)  COM(2006) 545 def.

(4)  COM(2008) 397 def.

(5)  Parere del CESE 337/2009 del 25.2.2009, sul tema Produzione e consumo sostenibili, relatore: ESPUNY MOYANO.

(6)  Cfr. la ricerca del National Consumer Council (UK, 2003) Green Choice: What Choice? che ha rilevato che il consumatore può essere confuso dall'attuale sistema di informazioni ambientali.

(7)  Cfr. parere del CESE sul tema Eco-friendly production, relatore: DARMANIN, GU C 224 del 30.8.2008, pag. 1.

(8)  Direttiva 92/75/CEE del Consiglio, del 22 settembre 1992, concernente l'indicazione del consumo di energia e di altre risorse degli apparecchi domestici, mediante l'etichettatura ed informazioni uniformi relative ai prodotti. GU L 297 del 13.10.1992, pag. 16.

(9)  Direttiva 2005/32/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 6 luglio 2005, relativa all'istituzione di un quadro per l'elaborazione di specifiche per la progettazione ecocompatibile dei prodotti che consumano energia e recante modifica della direttiva 92/42/CEE del Consiglio e delle direttive 96/57/CE e 2000/55/CE del Parlamento europeo e del Consiglio. GU L 191 del 22.7.2005, pag. 29.

(10)  Regolamento (CE) n. 106/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 gennaio 2008, concernente un programma comunitario di etichettatura relativa ad un uso efficiente dell’energia per le apparecchiature per ufficio (rifusione). GU L 39 del 13.2.2008, pag. 1.

(11)  Regolamento (CE) n. 1980/2000 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 luglio 2000, relativo al sistema comunitario, riesaminato, di assegnazione di un marchio di qualità ecologica. GU L 237 del 21.9.2000, pag. 1.

(12)  Cfr. punto 1.3 del parere CESE sul tema Eco-friendly production, relatore: DARMANIN, GU C 224 del 30.8.2008, pag. 1.

(13)  Cfr. COM(2008) 779 def. e parere del CESE 620/2009 del 25.3.2009, sul tema Etichettatura degli pneumatici in relazione al consumo di carburante, relatore: RANOCCHIARI.

(14)  Cfr. parere del CESE 337/2009, sul tema Produzione e consumo sostenibili, relatore: ESPUNY MOYANO - punto 3.5: «Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione …»


22.9.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 228/95


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento (CE) n. …/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del … recante modifica del regolamento (CE) n. 1692/2006 che istituisce il secondo programma «Marco Polo» relativo alla concessione di contributi finanziari comunitari per migliorare le prestazioni ambientali del sistema di trasporto merci («Marco Polo II»)

COM(2008) 847 def. — 2008/0239 (COD)

2009/C 228/18

Il Consiglio, in data 12 febbraio 2009, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 71, paragrafo 1, e 80, paragrafo 2, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Proposta di regolamento (CE) n. …/2008 del Parlamento europeo e del Consiglio del … recante modifica del regolamento (CE) n. 1692/2006 che istituisce il secondo programmaMarco Polorelativo alla concessione di contributi finanziari comunitari per migliorare le prestazioni ambientali del sistema di trasporto merci (Marco Polo II)»

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 13 gennaio 2009, ha incaricato la sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, alla sua 452a sessione plenaria, dei giorni 24 e 25 marzo 2009 (seduta del 24 marzo), il Comitato economico e sociale europeo, ha nominato relatore generale LIOLIOS e ha adottato il seguente parere con 97 voti favorevoli e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) esprime il proprio sostegno nei confronti della politica elaborata dalla Commissione europea per trasferire l'incremento inevitabile e prevedibile del trasporto merci dalla rete stradale verso altri modi, sottolineando al tempo stesso la mancanza, in alcune occasioni, di programmi ambiziosi e la scarsità di risorse disponibili.

1.2

Il CESE si dichiara d'accordo con le misure correttive proposte nel regolamento, vale a dire:

1.2.1

affidamento della gestione del programma all'Agenzia esecutiva per la competitività e l'innovazione (EACI);

1.2.2

riduzione e semplificazione delle soglie di ammissibilità dei progetti;

1.2.3

raddoppiamento dell'intensità del finanziamento, che passerà da 1 EUR a 2 EUR per ogni riduzione o trasferimento ad altri modi di trasporto di 500 tonnellate/chilometro (tkm);

1.2.4

definizione di soglie eccezionalmente basse per i progetti riguardanti le vie d'acqua interne;

1.2.5

possibilità di presentare domanda di finanziamento anche per le singole imprese;

1.2.6

soppressione della soglia del 10 % per le azioni di riduzione del traffico;

1.2.7

inclusione dell'elemento del trasporto nel calcolo del trasferimento modale;

1.2.8

semplificazione delle condizioni di finanziamento delle infrastrutture ausiliarie.

1.3

A giudizio del CESE, il programma Marco Polo non raggiunge pienamente gli obiettivi fissati inizialmente e quindi non funziona a pieno regime. In particolare, il CESE ritiene che il bilancio messo a sua disposizione (60 milioni di EUR) potrebbe non essere sufficiente per trasferire 25 miliardi di tkm dalla rete stradale ad altri modi di trasporto. Dato l'elevato beneficio (9,15 EUR) che verrebbe realizzato su questo fronte grazie alla riduzione dei costi esterni, il CESE reputa che occorra adoperarsi con maggiore attenzione per ricercare le risorse necessarie a trasferire quante più tkm possibile verso altri modi di trasporto e conseguire gli obiettivi fissati inizialmente. In ogni caso è facile rendersi conto che il costo-opportunità per la collettività è di gran lunga superiore all'importo del finanziamento diretto accordato alle imprese. Come già sottolineato nei pareri CES 842/2002 e CESE 247/2005, il Comitato è dell'avviso che nel corso del programma la Commissione dovrà proporre una revisione verso l'alto della dotazione finanziaria, in modo da disporre di ulteriori finanziamenti qualora i progetti ammissibili siano più numerosi del previsto.

1.4

Il CESE constata con sorpresa che, sebbene la Commissione proponga e preveda nella valutazione d'impatto di sostenere e rimborsare le piccole imprese che presentano progetti, il nuovo regolamento non contiene tuttavia disposizioni in merito. Si rammarica che non si sia tenuto conto di questa raccomandazione e propone al contempo l'estensione di tale misura anche alle piccole imprese, in quanto ritiene che valgano per loro le stesse considerazioni e che anche per loro la preparazione dei progetti costituisca una spesa notevole.

1.5

Il CESE è lieto di constatare che la Commissione sembra disposta a diminuire il tempo necessario per approvare e finanziare le proposte. Ritiene comunque che in un ambiente imprenditoriale in rapida evoluzione, in cui il tempo di reazione agli sviluppi del mercato ha un'importanza determinante, occorra adoperarsi in modo particolare per un'ulteriore accelerazione della valutazione e dell'approvazione di ciascun progetto, nonché dell'erogazione dei contributi, prendendo iniziative come la pre-valutazione delle proposte e la modellizzazione parziale del processo di valutazione.

1.6

Il CESE ritiene che la distribuzione geografica non ottimale dei progetti presentati e finanziati non abbia contribuito né alla realizzazione degli obiettivi dell'UE né alla necessaria promozione del trasporto intermodale in modo da garantire l'equilibrio tra gli Stati membri dell'UE. Propone pertanto di promuovere ulteriormente i progetti che prendono in considerazione i problemi dei paesi meridionali e delle zone che si affacciano sul Mediterraneo. Ritiene altresì che si debba tener conto delle debolezze strutturali di determinati paesi (come la mancanza di una rete ferroviaria capillare, la grande estensione costiera, l'insularità, ecc.), in modo da dare alle imprese stabilite in tali territori la possibilità di presentare proposte.

1.7

Il CESE ribadisce la posizione espressa in precedenza e reputa che occorra procedere a uno studio delle prassi delle «scorte zero» e delle «scorte viaggianti» al fine di analizzare le conseguenze di tali prassi sulla promozione o meno di modi di trasporto sostenibili. La prassi delle «scorte zero» favorisce il trasporto merci su strada, con relative conseguenze sul consumo di energia e sulla protezione ambientale. In questo contesto, va esaminata l'intera catena d'approvvigionamento.

1.8

Il CESE è del parere che si debbano sfruttare le conoscenze accumulate dalle imprese di autotrasporto merci, coinvolgendole attivamente nei corrispondenti programmi per il trasferimento delle merci dalla strada ad altri modi di trasporto. A questo fine, propone di tenere tali operatori costantemente aggiornati e di aiutarli a modificare i modelli da loro adottati e utilizzati nel processo produttivo.

1.9

Nella misura in cui non sono state sfruttate tutte le risorse disponibili, il CESE ritiene che la Commissione dovrà esaminare se aumentare la soglia massima di finanziamento, portandola dagli attuali 35 % (azioni di trasferimento modale, trasporto per vie d'acqua interne, azioni catalizzatrici, autostrade del mare e riduzione del traffico) e 50 % (azioni comuni di apprendimento) rispettivamente al 50 % e 75 %. Tale aumento viene considerato necessario per le piccole imprese, i cui costi fissi sono maggiori dei costi variabili rispetto alle grandi imprese. Per quanto riguarda in particolare le azioni catalizzatrici, il CESE propone di portare l'aiuto da 2 a 3 EUR per tkm, in quanto si tratta di soluzioni innovative che incideranno positivamente sul trasferimento delle merci dalla strada verso altri modi di trasporto e avranno un impatto sull'opinione pubblica.

1.10

Il CESE raccomanda alla Commissione di compilare per tutti gli utenti una «Guida europea» delle piattaforme intermodali nella loro totalità, con relative caratteristiche, in tutte le lingue dell'UE. Deve inoltre prendere tutti i provvedimenti necessari per far conoscere meglio tanto il meccanismo di finanziamento quanto i risultati dei progetti e i benefici arrecati agli utenti intermedi e finali. Inoltre, il CESE ritiene che la Commissione debba elaborare precisi progetti per promuovere e aumentare la visibilità del programma. A questo fine, propone di organizzare di concerto con la Commissione convegni, giornate di sensibilizzazione e campagne d'informazione itineranti.

1.11

Il CESE raccomanda di studiare la possibilità di far rientrare nei progetti ammessi a beneficiare del programma Marco Polo II anche le azioni volte a integrare il trasporto dei fluidi via pipeline o gasdotto con un terminale di smistamento o di trasporto combinato.

1.12

Il CESE sottolinea che occorre analizzare approfonditamente la situazione esistente nel settore dei trasporti marittimi (vie navigabili e interne), poiché l'adozione di sistemi intermodali viene giudicata difficile a causa della frammentazione del mercato. È sintomatico di questa situazione lo scarso interesse per le azioni riguardanti i corridoi marittimi, che hanno riguardato il 9 % delle proposte presentate nel 2007 e il 4 % di quelle presentate nel 2008. La conseguenza è che le proposte approvate sono state poche o addirittura nessuna (come nel 2008).

1.13

Il CESE rimane dell'idea che la scadenza dei 36 mesi sia troppo breve per i progetti di spostamento verso altri mezzi di trasporto e propone di portarla a 48 mesi.

1.14

Il CESE è dell'avviso che vada esplorata la possibilità di concedere contributi ai progetti di portata nazionale finalizzati a rendere l'intermodalità meglio accolta e a migliorare lo spostamento delle merci dalla strada ad altre vie di comunicazione. Ritiene infatti che possano esistere azioni localizzate in un unico Stato, il cui impatto andrebbe però a favore di tutti gli utenti dei modi di trasporto interessati che transitino sul suo territorio.

1.15

Il CESE ribadisce il suo sostegno all'estensione del campo di applicazione del programma a paesi terzi (siano essi paesi candidati o non candidati all'adesione) e osserva che le spese per le azioni realizzate su tali territori non devono essere coperte dal programma, salvo nel caso in cui inducano benefici diretti e misurabili in uno Stato membro dell'UE.

1.16

Il CESE ritiene che debba essere pubblicato al più presto un bilancio dei progetti realizzati con successo e delle risorse effettivamente economizzate tra le opere che hanno ottenuto i contributi. Tale azione consentirà di promuovere il programma e di diffondere i risultati ottenuti fino a quel momento.

1.17

Il CESE ribadisce che la Commissione deve invitare gli Stati membri a censire tutte le possibilità di ripristino delle reti esistenti, abbandonate o a traffico ridotto, per valorizzarle ai fini del trasporto merci. Tale richiesta riguarda in particolare il patrimonio ferroviario, ma anche quello relativo alle vie navigabili marittime e fluviali, in modo che, laddove sia fattibile, si possano adottare soluzioni più rapide e vantaggiose in termini di sviluppo sostenibile rispetto al trasporto su strada.

2.   Osservazioni generali

2.1   Sintesi delle posizioni espresse dal CESE riguardo ai programmi Marco Polo I e Marco Polo II.

2.1.1

Nei suoi pareri CES 842/2002 del 17 luglio 2002 e CESE 247/2005 del 9 marzo 2005 relativi ai regolamenti Marco Polo I e Marco Polo II, il Comitato aveva evidenziato i punti deboli del programma, dichiarando che, a suo giudizio, esso non sarebbe riuscito a realizzare l'obiettivo stabilito dalla Commissione di trasferire il trasporto merci verso altri modi, e proponeva pertanto di arricchirlo di altre misure. Nei pareri appena citati il CESE formulava in particolare le seguenti proposte:

2.1.1.1

finanziare con risorse pubbliche le infrastrutture di trasferimento modale (ad es. i terminali e i loro accessi, ecc.);

2.1.1.2

affidare a un comitato di gestione il monitoraggio costante delle azioni intraprese, in modo da poter apportare i necessari adeguamenti al programma Marco Polo a metà del periodo di attuazione;

2.1.1.3

autorizzare il finanziamento di progetti che prevedano azioni localizzate anche sul territorio di un unico Stato membro, a condizione che possano beneficiarne tutti gli utenti dei trasporti internazionali che transitano su quel territorio;

2.1.1.4

prevedere la possibilità di comprendere, tra i progetti ammessi a beneficiare del programma Marco Polo, anche azioni volte ad integrare, in via accessoria, il trasporto aereo e quello via pipeline, purché associati ad altri modi;

2.1.1.5

abbassare le soglie minime d'intervento per azione;

2.1.1.6

aumentare le scadenze massime per la realizzazione delle diverse azioni di trasferimento modale;

2.1.1.7

compilare, all'indirizzo di tutti gli utenti, una Guida europea di tutte le piattaforme intermodali dell'UE e delle loro caratteristiche;

2.1.1.8

prevedere una categoria particolare per il trasporto per vie d'acqua interne con una soglia minima di 500 000 EUR, in quanto la navigazione interna non è paragonabile a quella marittima, che richiede investimenti proporzionali alle dimensioni delle navi.

2.1.2

Il CESE aveva inoltre espresso il desiderio di condurre, di concerto con la Commissione, uno studio sull'eventualità di passare progressivamente dalla prassi delle «scorte zero» al concetto di valorizzazione delle «scorte viaggianti», quando la fornitura non sia assolutamente urgente.

2.2   Relazione di valutazione

Il CESE ha accolto con soddisfazione la valutazione realizzata, per conto della Commissione, da esperti indipendenti (1) e desidera commentare alcuni punti che sono stati solo accennati nella relazione:

i progetti presentati sono in continua diminuzione (da 92 nel 2003 a 63 nel 2004, da 62 nel 2005 a 48 nel 2006), mentre i progetti selezionati e finanziati si mantengono intorno ai 12-15.

È interessante notare che, in media, le opere finanziate realizzano alla fine il 75 % del trasferimento modale originariamente stimato: il tasso di successo è del 99 % per le opere che interessano le infrastrutture ferroviarie, ma scende al 45 % appena nel caso di quelle destinate alla navigazione interna.

La realizzazione del 64 % dei progetti di trasferimento del trasporto merci dalla strada ad altri modi grazie al programma Marco Polo I riguarda soltanto il 5,8 % delle merci trasportate complessivamente su strada a livello internazionale nell'UE, il che rappresenta complessivamente un cambiamento piuttosto esiguo.

La procedura di valutazione dei progetti, fino alla firma del contratto compresa, viene giudicata complessa, non trasparente e piuttosto lunga (soprattutto l'intervallo tra la trattativa e la firma del contratto). Si nota che sono in molti a giudicare chiari e trasparenti i criteri di scelta dei progetti, al contrario del processo che porta all'attribuzione del punteggio in base ai criteri e alla proposta finale delle opere selezionate.

Le soglie minime sono particolarmente elevate per le PMI e non favoriscono la nascita di nuovi trasporti intermodali. Di conseguenza, tale situazione favorisce un numero ristretto di opere effettuate da imprese di grandi dimensioni piuttosto che un numero elevato di progetti portati avanti da PMI. Un approccio mirato alle PMI può pertanto contribuire alla lotta contro la congestione stradale a livello locale e regionale.

Data la scarsità di progetti presentati in risposta al bando per le autostrade del mare, si propone di seguire da vicino questo tipo di progetti e di incentivare la partecipazione a tali opere.

Si propone di mettere maggiormente in evidenza il contributo alla riduzione della congestione stradale.

3.   Osservazioni

Il CESE si rammarica del fatto che la Commissione non ha tenuto conto delle proposte contenute nei due suoi pareri precedenti sull'argomento, le quali avrebbero contribuito ad accrescere l'efficacia del programma, come si evince anche dalla valutazione esterna, e plaude all'adozione, per quanto tardiva, delle sue proposte. Il CESE sottolinea in particolare quanto segue:

3.1   dal 1o marzo 2008 la gestione di Marco Polo e di altri programmi comunitari è stata affidata all'Agenzia esecutiva per la competitività e l'innovazione (EACI). Il CESE concorda con questa azione, che però va associata a tutte le attività e iniziative destinate a ridurre la burocrazia e ad attrarre potenziali interessati all'aiuto.

3.2   In conformità della procedura prevista all'allegato I, punto 2, lettera d), del regolamento (CE) n. 1692/2006 la Commissione porterà da 1 a 2 EUR l'importo massimo del finanziamento per ogni riduzione o trasferimento di 500 tkm di merci trasportate su strada. Il CESE ritiene che il raddoppiamento del contributo sia necessario per promuovere ulteriormente il programma, nella misura in cui i benefici per la collettività derivanti dalla riduzione dei costi esterni e dall'attenuazione delle conseguenze sociali e ambientali sono di gran lunga superiori all'entità di tale finanziamento.

3.3   Possibilità di presentare domanda di finanziamento anche per le singole imprese. Consentendo a un'impresa di presentare un progetto da sola, si chiariscono e semplificano le condizioni di ammissibilità dei beneficiari. Il CESE approva questa iniziativa e ribadisce la necessità di far partecipare al programma anche i progetti che coprono un unico Stato membro, nella misura in cui comportano una riduzione del trasporto stradale.

3.4   Definizione di soglie eccezionalmente basse per i progetti relativi al trasporto per vie d'acqua interne. Viene fissata una soglia specifica inferiore per i progetti finalizzati allo spostamento delle merci dalla rete stradale alle vie d'acqua interne secondo lo schema seguente:

Tipo di progetto

Soglie esistenti

Soglie proposte

Trasporto per vie d'acqua interne

_

_

17 milioni di tkm

Il CESE si rallegra che venga finalmente accolta la sua proposta di ridurre le soglie di ammissibilità, soprattutto nel caso del trasporto per vie d'acqua interne, e ritiene che ciò contribuirà ad attrarre un maggior numero di progetti.

3.5   Rimborso delle spese sostenute dalle microimprese per la preparazione delle proposte. Per incentivare le microimprese, che caratterizzano i settori del trasporto stradale e per vie d'acqua interne, a far domanda, viene attribuito loro un rimborso forfettario delle spese sostenute per la preparazione delle proposte. Il CESE constata con sorpresa che, sebbene la Commissione proponga e preveda nella valutazione d'impatto di sostenere e rimborsare le piccole imprese che presentano progetti, il nuovo regolamento non contiene tuttavia disposizioni in merito.

3.6   Riduzione e semplificazione delle soglie di ammissibilità dei progetti. La semplificazione e la riduzione di determinate soglie consentirà di attrarre nuovi progetti più piccoli e contribuirà al conseguimento degli obiettivi del programma. Le nuove soglie di ammissibilità sono le seguenti:

Tipo di progetto

Soglie esistenti

Soglie proposte

Trasferimento modale

250 milioni di tkm

500 000 EUR

80 milioni di tkm

Trasporto per vie d'acqua interne

_

_

17 milioni di tkm

Azione catalizzatrice

_

2 milioni di EUR

30 milioni di tkm

Azioni comuni di apprendimento

_

250 000 EUR

250 000 EUR

Autostrade del mare

1,25 miliardi di tkm

2,5 milioni di EUR

250 milioni di tkm

Azioni di riduzione del traffico

500 milioni di tkm

1 milione di EUR

80 milioni di tkm

Il CESE, che aveva già proposto tale misura, approva la riduzione delle soglie di ammissibilità dei progetti presentati e l'adozione del criterio delle tkm come base per il confronto dei diversi progetti.

3.7   Soppressione della soglia del 10 % per le azioni di riduzione del traffico. Il CESE concorda con l'eliminazione di tale soglia e ritiene che questa misura contribuirà ad attrarre un numero maggiore di proposte in questo campo.

3.8   Inclusione dell'elemento del trasporto nel calcolo del trasferimento modale. Il CESE ritiene utile la proposta di tener conto delle distanze percorse dal mezzo di trasporto. Occorre tuttavia esaminare come privilegiare i progetti che valorizzano il trasporto intermodale, ad esempio la spedizione di carichi non accompagnati con modalità roll on/roll off.

3.9   Concessione di una proroga eccezionale di 6 mesi della durata del progetto in caso di ritardi debitamente giustificati dal beneficiario. Il CESE concorda con la suddetta proposta: ritiene infatti che tale misura possa rassicurare i beneficiari garantendo che il contributo comunitario andrà a risarcire le perdite subite nella fase di avvio.

3.10   Semplificazione delle condizioni di finanziamento delle infrastrutture ausiliarie. Il CESE condivide la proposta di sopprimere le soglie per la realizzazione dei progetti relativi ad infrastrutture ausiliarie e ritiene che tale semplificazione eliminerà le inutili e ingiustificate restrizioni esistenti.

3.11   Semplificazione delle procedure amministrative del programma. Il CESE plaude a tutte le iniziative che contribuiscono a migliorare le procedure e ad abbreviare i tempi di evasione delle pratiche amministrative per ciascun aiuto concesso, viste le esperienze negative registrate finora. Attende tuttavia un ritorno di esperienza dai partecipanti prima di esprimere una posizione più decisa in merito.

3.12   All'articolo 5, paragrafo 2, è soppressa la seconda frase:«Le condizioni per l'erogazione dei contributi per le infrastrutture ausiliarie ai sensi dell'articolo 2, lettera h), sono riportate nell'allegato II.» Il CESE concorda con tale proposta, ritenendo che questo specifico punto abbia causato difficoltà ai fini della buona realizzazione dei progetti, in particolare quelli che puntavano all'utilizzo del trasporto marittimo.

3.13   Il contributo totale erogabile sotto forma di aiuto statale e di contributo finanziario comunitario per le infrastrutture ausiliarie non supera il 50 % dei costi ammissibili. Il CESE ritiene giusta questa misura specifica e reputa che i governi nazionali parteciperanno più attivamente ai progetti in questo campo.

3.14   All'articolo 14, il paragrafo 2, è sostituito dal testo seguente:«Entro il 30 giugno 2011 la Commissione presenta al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni una relazione di valutazione dei risultati ottenuti dal programma Marco Polo nel periodo 2003-2009.» Il CESE esprime riserve sul termine proposto per la presentazione della relazione di valutazione; dal momento infatti che tale relazione non servirà ad adottare misure correttive, ritiene che sarebbe maggiormente opportuno disporre di più tempo per una valutazione per quanto possibile accurata del regolamento modificato.

Bruxelles, 24 marzo 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Evaluation of the Marco Polo Programme (2003-2006), Ecorys, Fonte: http://ec.europa.eu/transport/evaluations/annual_en.htm (solo in EN).


22.9.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 228/100


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma di cooperazione nel settore audiovisivo con i paesi terzi denominato MEDIA Mundus

COM(2008) 892 def. — 2008/0258 (COD)

2009/C 228/19

Il Consiglio, in data 2 febbraio 2009, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 150, par. 4 e 157, par. 3 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma di cooperazione nel settore audiovisivo con i paesi terzi denominato MEDIA Mundus»

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 24 febbraio 2009, ha incaricato la sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 452a sessione plenaria del 25 marzo 2009, ha nominato relatore generale Bernardo HERNÁNDEZ BATALLER e ha adottato il seguente parere con 79 voti favorevoli, 5 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1   Il CESE approva la proposta di decisione e riconosce la necessità di diffondere i valori e i principi della società democratica e dello Stato di diritto. L'Unione europea si basa infatti sui principi di libertà, democrazia, rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali.

1.2   Per il CESE è giusto dare alla Commissione, ai fini dell'esecuzione del programma, la facoltà di definire gli orientamenti generali di applicazione e i criteri di selezione, in quanto si tratta di elementi che non apportano modifiche essenziali alla proposta di decisione e che rientrano nell'ambito di applicazione della decisione 1999/468/CE.

1.3   Il Comitato condivide gli obiettivi generali del programma (competitività del settore audiovisivo europeo, possibilità di scelta dei consumatori e diversità culturale). Ritiene tuttavia necessario precisare maggiormente la portata degli obiettivi specifici del programma, che risultano eccessivamente generici, insistendo sull'ambito transfrontaliero e transnazionale.

1.3.1   Un particolare sostegno va attribuito all'introduzione delle nuove tecnologie nella produzione e nella distribuzione, alla commercializzazione delle opere audiovisive in tutte le applicazioni digitali e alla loro circolazione (incluse le nuove piattaforme come il Video On Demand o la televisione via Internet).

1.4   Il bilancio previsto di 15 milioni di euro risulta eccessivamente limitato per il conseguimento degli ambiziosi obiettivi generali stabiliti dal programma. Per tale motivo, la dotazione finanziaria dovrebbe essere incrementata sostanzialmente, onde poter sostenere l'industria audiovisiva europea in modo più efficace, senza con questo pregiudicare l'applicazione rigorosa della disciplina di bilancio e dei principi di una corretta gestione finanziaria.

1.5   La Commissione dovrà garantire, in stretta collaborazione con gli Stati membri, la coerenza e la complementarità tra l'attuazione del programma e altre politiche, programmi e azioni comunitarie pertinenti.

2.   Contesto

2.1

Lo scorso 9 gennaio, la Commissione ha presentato la proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma di cooperazione nel settore audiovisivo con i paesi terzi denominato MEDIA Mundus.

2.2

La proposta prende in considerazione il ruolo fondamentale del settore audiovisivo europeo nel raggiungimento degli obiettivi dell'Agenda di Lisbona e nell'ambito dell'iniziativa i2010, iniziativa anch'essa che rientra nel quadro dell'Agenda di Lisbona. La proposta di decisione fa anche riferimento alla Convenzione dell'Unesco sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali, ratificata dalla Comunità europea e da 13 Stati membri il 18 dicembre 2006. È importante tener presente che il settore audiovisivo dà lavoro almeno a 5,8 milioni di persone, vale a dire al 3,1 % della popolazione totale dell'UE a 25.

2.3

Il documento sottolinea le carenze strutturali che continuano ad intralciare la circolazione delle opere audiovisive europee nei mercati dei paesi terzi, nonostante gli sforzi condotti per potenziare il settore (sviluppo tecnologico, affermazione di nuovi soggetti e piattaforme, sostegno della produzione di contenuti).

2.4

Il programma MEDIA Mundus intende dunque essere complementare alle azioni realizzate nel quadro di altre iniziative, maggiormente centrate sulla cooperazione all'interno della stessa UE (Media 2007, Euromed Audiovisual II, Programma UE-ACP) e rimediare alle attuali carenze di fondi internazionali per la cinematografia.

3.   La proposta di decisione

3.1   La proposta di decisione, che istituisce un programma di cooperazione con professionisti del settore audiovisivo dei paesi terzi denominato MEDIA Mundus, presenta le seguenti caratteristiche:

3.1.1

Il programma è volto a finanziare progetti di cooperazione internazionale con paesi terzi per il periodo che va dal 1o gennaio 2011 al 31 dicembre 2013. Il bilancio previsto per realizzare il programma nel periodo in questione ammonta a 15 milioni di euro.

3.1.2

L'obiettivo fondamentale del programma è di promuovere la creazione di reti a livello internazionale, al fine di rafforzare il ruolo dell'Europa dal punto di vista industriale, culturale e politico nel settore audiovisivo, migliorando la competitività, la circolazione e la presentazione al pubblico delle opere audiovisive.

3.1.3

Ciascun progetto prevede la partecipazione di almeno 3 partner e sarà coordinato da un professionista europeo responsabile della presentazione della proposta, della gestione del progetto, dell'amministrazione finanziaria e dell'attuazione.

3.1.4

Un aspetto importante del programma è quello della formazione continua e della qualificazione dei professionisti europei e degli altri paesi che partecipano al programma stesso. Una particolare attenzione sarà attribuita alla produzione, alla distribuzione, alla presentazione al pubblico, alla diffusione, alla commercializzazione e all'archiviazione delle opere audiovisive, nonché a tutto quanto fa riferimento al quadro giuridico e al sistema finanziario.

3.1.5

È inoltre prevista l'organizzazione di eventi e di iniziative di promozione delle conoscenze audiovisive, destinati soprattutto ad un pubblico giovane, miranti in particolare a rafforzare la domanda di contenuti audiovisivi culturalmente diversificati da parte del pubblico.

3.1.6

Dal punto di vista della circolazione delle opere, uno degli aspetti più importanti del programma riguarda la promozione della programmazione e della proiezione sia di opere audiovisive europee nei paesi terzi sia di quelle dei paesi terzi negli Stati membri. In tale contesto è contemplata la conclusione di accordi con reti di gestori di sale cinematografiche nell'UE e nei paesi terzi, i quali saranno incoraggiati ad intensificare la programmazione e la presentazione al pubblico, in termini non solo di numero di proiezioni ma anche di durata e di visione delle opere.

3.1.7

La proposta prevede anche di promuovere i partenariati tra le emittenti (o piattaforme di Video On Demand) e i titolari dei diritti allo scopo di costituire un catalogo di opere perché venga diffuso sulle piattaforme di Video On Demand.

3.1.8

Tra le azioni del programma figura anche il sostegno al doppiaggio e alla sottotitolazione per la distribuzione e diffusione, attraverso tutti i canali disponibili, delle opere audiovisive europee e dei paesi terzi, a favore di produttori, distributori ed emittenti.

3.2   Il finanziamento concesso a titolo del programma non può di regola superare il 50 % delle spese finali del progetto da finanziare, salvo casi eccezionali, espressamente previsti, in cui il finanziamento può essere erogato fino all'80 %.

3.2.1   Il cofinanziamento può essere fornito integralmente o parzialmente in natura a condizione che il suo valore non superi le spese realmente sostenute e debitamente giustificate. I locali resi disponibili a fini di formazione o promozione possono essere inclusi nel cofinanziamento.

3.2.2   La Commissione presenta al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni una comunicazione sul proseguimento del programma entro il 30 giugno 2012 e una relazione di valutazione ex post entro il 31 dicembre 2015.

3.2.3   La proposta di decisione fa espressamente riferimento ad una serie di politiche trasversali dell'UE al cui rafforzamento contribuisce il programma MEDIA Mundus:

il dibattito e l'informazione sull'Unione europea come spazio di pace, prosperità e sicurezza,

la promozione della libertà di espressione come principio fondamentale,

la promozione della presa di coscienza circa l'importanza della diversità culturale e della multiculturalità nel mondo,

il rafforzamento della base di conoscenza dell'economia europea e il potenziamento della competitività globale dell'Unione europea,

il contributo alla lotta contro tutte le forme di discriminazione basata sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale.

Bruxelles, 25 marzo 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


22.9.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 228/103


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1927/2006, che istituisce un Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione

COM(2008) 867 def. - 2008/0267 (COD)

2009/C 228/20

Il Consiglio, in data 20 gennaio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 159, 3o comma, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1927/2006, che istituisce un Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione»

L’Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 13 gennaio 2009, ha incaricato la commissione consultiva per le trasformazioni industriali di preparare i lavori in materia.

Vista l’urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, in data 24 marzo 2009, nel corso della 452a sessione plenaria, ha nominato relatore generale PARIZA CASTAÑOS e adottato il seguente parere con 152 voti favorevoli, 5 voti contrari e 12 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) appoggia la proposta della Commissione europea volta ad estendere temporaneamente l’ambito di applicazione del Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (in appresso denominato FEG), per aiutare i lavoratori in esubero in conseguenza dell’attuale crisi economica internazionale.

1.2

Il Parlamento, il Consiglio e la Commissione devono accelerare quanto prima i negoziati, affinché il nuovo regolamento possa essere adottato nell’ambito dell’attuale legislatura.

1.3

Il CESE propone di effettuare una valutazione del FEG dodici mesi dopo la pubblicazione del regolamento sulla Gazzetta ufficiale, al fine di analizzare le procedure del regolamento e la gestione del Fondo considerando la situazione economica e quella dei mercati del lavoro. Il CESE intende collaborare con la Commissione europea nella realizzazione di detta valutazione.

1.4

Il CESE giudica insufficiente la riserva di bilancio di 500 milioni di euro e propone di assegnare al Fondo la somma di un miliardo di euro, cifra che potrebbe subire un incremento negli anni successivi, tenendo conto dell’evoluzione della crisi economica.

1.5

Attualmente trascorrono sette mesi tra la presentazione della domanda e l’erogazione dei fondi da parte della Commissione. È un lasso di tempo troppo lungo per un sostegno rapido ai lavoratori licenziati e pertanto il Comitato propone di assegnare al Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione una dotazione iniziale di bilancio propria.

1.6

Il Comitato appoggia la riduzione della soglia degli esuberi fino a 500 per l’utilizzo del Fondo, la possibilità di utilizzare il finanziamento per 24 mesi e l’aumento al 75 % del contributo finanziario dell’UE.

1.7

Il CESE propone di attribuire un ruolo più attivo alle parti sociali durante tutto l’iter delle procedure di richiesta di aiuti al FEG, a livello aziendale, regionale, nazionale e comunitario.

2.   Antecedenti

2.1

Nel marzo 2006 la Commissione ha presentato una proposta relativa alla creazione di un Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (1), al fine di fornire un aiuto specifico, una tantum, per facilitare il reinserimento dei lavoratori di regioni o settori colpiti da gravi perturbazioni economiche risultante dalle delocalizzazioni in paesi terzi, da un aumento sostanziale delle importazioni o da un calo graduale della quota di mercato dell’UE in un determinato settore. La Commissione ha elaborato una proposta di regolamento e il Consiglio ha richiesto il parere del CESE.

2.2

Il 13 dicembre 2006 il CESE ha approvato il parere della CCMI/036 (2) (relatore: VAN IERSEL; correlatore: GIBELLIERI), nel quale accoglieva con favore la proposta della Commissione ed esprimeva il proprio accordo con gli obiettivi del FEG. Il Comitato ha altresì formulato varie osservazioni e proposte per un efficace funzionamento del regolamento del Fondo (3).

2.3

Il regolamento (CE) n. 1927/2006 (4) che istituisce un Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione è in vigore dal 1o gennaio 2007 fino al 2013. Gli aiuti a valere sul Fondo possono raggiungere un importo globale di 500 milioni di euro l’anno, ed esso è complementare ai fondi strutturali, in particolare al Fondo sociale europeo (FSE). La gestione del FEG spetta alla direzione generale Occupazione, affari sociali e pari opportunità della Commissione europea.

2.4

Le domande devono essere presentate dagli Stati membri, e non dalle imprese o dai lavoratori interessati.

2.5

Nel luglio 2008, la Commissione ha elaborato una comunicazione (5) di valutazione del FEG nei primi mesi di funzionamento (6), analizzando le prospettive e le proposte di modifica per il futuro.

2.6

La Commissione dà una valutazione positiva, sebbene il Fondo sia stato utilizzato meno del previsto, e annuncia la semplificazione delle procedure, la promozione dello scambio di buone pratiche e l’intensificazione delle attività di sensibilizzazione destinate a dare maggiore visibilità al FEG; si impegna inoltre a presentare proposte di modifica del regolamento prima della pubblicazione della prossima relazione annuale prevista per la metà del 2009.

2.7

D’altro canto, a causa della crisi economica e finanziaria internazionale, molti lavoratori vengono licenziati e numerose imprese cessano in modo la temporaneo o definitivo l’attività.

2.8

La Commissione europea, nel Piano europeo di ripresa economica (7), ha annunciato la propria intenzione di convertire il FEG in uno strumento di intervento tempestivo più efficace, come elemento della risposta dell’Unione europea alla crisi. È pertanto necessario modificare il regolamento affinché si possa intervenire più rapidamente in alcuni settori, in particolare al fine di cofinanziare la formazione e il reinserimento dei lavoratori che perdono il proprio posto di lavoro in conseguenza della crisi economica.

3.   Proposta di modifica del regolamento del FEG

3.1

La proposta in esame mira a fare in modo che il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione intervenga in modo più efficace a sostegno dei lavoratori che perdono il posto di lavoro a causa della globalizzazione, ad ampliarne temporaneamente l’ambito di applicazione mediante l’inclusione dei licenziamenti causati dall’impatto della crisi economica e finanziaria globale e ad assicurare che il funzionamento del Fondo sia maggiormente adeguato al suo obiettivo di solidarietà. A tal fine, occorre modificare alcune disposizioni del regolamento (CE) n. 1927/2006, che istituisce un Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione.

3.2

Prima di elaborare la proposta, la Commissione ha consultato gli Stati membri e le parti sociali e, il 4 settembre 2008, ha organizzato una conferenza a Bruxelles.

3.3

La modifica del regolamento dovrà garantire che il FEG rispetti l’obiettivo di solidarietà con i lavoratori in esubero a seguito di trasformazioni rilevanti a causa della globalizzazione, inserendo nella proposta una deroga temporanea al fine di prestare sostegno ai lavoratori licenziati a causa della crisi economica e finanziaria globale.

3.4

La Commissione europea propone inoltre alcune modifiche del regolamento, al fine di semplificare e rendere maggiormente flessibili le procedure e le condizioni per la presentazione delle domande, nonché di ampliare l’ambito di applicazione del FEG.

4.   Osservazioni generali

4.1

Negli ultimi mesi, migliaia di lavoratori europei sono stati licenziati a causa della crisi economica e finanziaria internazionale. Il CESE ritiene che, oltre alle politiche economiche e monetarie in corso di adozione nel quadro del Piano europeo di ripresa economica (8), l’Unione europea debba anche promuovere politiche specifiche di aiuto ai lavoratori in esubero.

4.2

In questi momenti di crisi e di incertezza, l’Unione europea deve dire con chiarezza ai suoi cittadini che è pronta ad aiutare i lavoratori rimasti disoccupati.

4.3

Pertanto, il Comitato appoggia la proposta della Commissione europea volta a far sì che il FEG estenda temporaneamente il proprio ambito di applicazione, al fine di aiutare i lavoratori licenziati a causa dell’attuale crisi economica internazionale.

4.4

La riserva di bilancio per il FEG, di cui all’articolo 28 dell’Accordo interistituzionale tra il Parlamento, il Consiglio e la Commissione, prevede un massimo di 500 milioni di euro l’anno.

4.5

Nelle attuali circostanze, il CESE giudica tale riserva insufficiente per il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Propone pertanto di aumentare temporaneamente tale riserva fino a quando l’intensità della crisi non sarà diminuita e finché perdurerà la soppressione di posti di lavoro e il licenziamento di lavoratori. Il Comitato suggerisce di assegnare al Fondo la somma di un miliardo di euro per il 2009 e di prevedere un incremento per il 2010 in caso di aumento delle richieste di aiuti.

4.6

Attualmente trascorrono sette mesi tra la presentazione della domanda e l’erogazione dei fondi da parte della Commissione. È un lasso di tempo troppo lungo per un sostegno rapido ai lavoratori licenziati e pertanto il Comitato propone di assegnare al Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione una dotazione iniziale di bilancio propria.

4.7

Il Comitato considera inoltre appropriata la proposta della Commissione intesa a ridurre da 1 000 a 500 la soglia dei licenziamenti necessari per ricorrere al FEG, giacché rispecchia meglio le dimensioni delle imprese europee.

4.8

Considerando gli effetti della globalizzazione, il Comitato concorda con la Commissione (9) sulla necessità di tener conto non solo degli esuberi dovuti ai mutamenti strutturali del commercio mondiale, ma anche di altri tipi di trasformazioni strutturali legate alle tecnologie, ai prodotti, ai cambiamenti nell’organizzazione della produzione e nell’accesso alle materie prime e al prezzo di queste ultime.

4.9

Dal momento che il periodo iniziale di dodici mesi previsto dal regolamento spesso è insufficiente per garantire il reinserimento professionale dei lavoratori in esubero, il Comitato appoggia la proposta della Commissione volta a prorogare il periodo di finanziamento del Fondo fino a 24 mesi.

4.10

Il Comitato approva la proposta della Commissione di portare il tasso d’intervento dal 50 % al 75 %, in quanto nell’attuale situazione di crisi l’UE deve mostrare maggiore solidarietà nei confronti dei lavoratori licenziati e degli Stati membri.

4.11

Il CESE è d’accordo che ai fini del calcolo del numero di licenziamenti si possa tener conto tanto della data in cui il datore di lavoro notifica il preavviso di recesso dal contratto di lavoro al lavoratore quanto di quella del recesso di fatto da un contratto di lavoro prima della sua scadenza.

4.12

Secondo il CESE, l’articolo 2 deve essere interpretato in modo tale da includere anche il licenziamento di lavoratori, in qualsiasi impresa o regione dell’UE, conseguente ad una delocalizzazione in altre regioni comunitarie. Effettivamente, nonostante tutte le regioni dell’UE costituiscano un mercato unico, le pressioni esercitate dalla globalizzazione sulle imprese affinché siano competitive a livello mondiale si traducono spesso in una delocalizzazione in regioni in cui i costi di produzione sono inferiori, all’interno oppure all’esterno dell’UE.

4.13

Già nel parere precedente (10) il CESE aveva proposto un’adeguata partecipazione alle procedure delle parti sociali dei vari settori (impresa o regione). L’articolo 5 del regolamento prevede che, nelle domande, gli Stati membri forniscano informazioni sulle procedure seguite per la consultazione delle parti sociali. Il Comitato ritiene che la partecipazione delle parti sociali alle procedure, sia essa a livello di impresa, regionale o nazionale, debba essere una condizione essenziale per l’accoglimento della domanda.

4.14

Il Comitato raccomanda di rafforzare il ruolo della Commissione europea nell’assistenza amministrativa e tecnica agli Stati membri, al fine di assicurare loro un sostegno nell’elaborazione delle domande e migliorare in tal modo la coerenza europea delle stesse, svolgendo anche un ruolo proattivo nei confronti degli Stati membri e delle parti sociali.

4.15

Il FEG deve essere complementare ai fondi strutturali, in particolare il FSE, ed è dunque necessario evitare duplicazioni. Il Comitato ritiene che gli enti locali, le parti sociali e le organizzazioni della società civile possano, mediante le procedure di partecipazione al FSE, collaborare per assicurare un corretto utilizzo dei due fondi.

4.16

Il Comitato economico e sociale propone che si proceda ad una valutazione del Fondo dopo dodici mesi dalla pubblicazione del regolamento sulla Gazzetta Ufficiale, al fine di analizzare le procedure del regolamento, la gestione del Fondo, la situazione economica e i mercati del lavoro. In occasione di tale valutazione, occorrerà esaminare le seguenti questioni:

4.16.1

Qualora persista la situazione di crisi economica e di soppressione di posti di lavoro, si dovrebbe prorogare l’applicazione del FEG oltre il 2011.

4.16.2

In funzione della evoluzione delle domande presentate e della crisi, occorre analizzare l’opportunità di un ulteriore incremento della riserva di bilancio, al di là del miliardo di euro.

4.16.3

È necessario verificare l’opportunità di ridurre il numero minimo di 500 licenziamenti necessari per ricorrere al FEG, tenendo conto dei problemi delle imprese più piccole in alcuni settori e regioni.

4.16.4

Analogamente, sulla base dell’analisi delle domande gestite, si dovrà valutare il tasso di intervento fino al 75 % previsto nella modifica del regolamento, nonché i 24 mesi stabiliti per la durata degli interventi.

5.   Osservazioni specifiche sui singoli articoli del regolamento

5.1

Articolo 1, paragrafo 1 - considerando gli effetti della globalizzazione, il Comitato propone di tener conto degli esuberi dovuti non solo ai mutamenti strutturali del commercio mondiale, ma anche ad altri tipi di trasformazioni strutturali legate alle tecnologie, ai prodotti, all’organizzazione della produzione e all’accesso alle materie prime (cfr. punti 4.7 e 4.11).

5.2

Articolo 2 - Criteri di intervento: il Comitato è d’accordo con la proposta di ridurre a 500 il numero dei lavoratori licenziati ai fini della richiesta d’intervento del FEG, ma ritiene che nella prossima valutazione occorrerà esaminare la possibilità di ridurre ulteriormente la soglia dei 500 licenziamenti, in funzione del settore e della regione interessata (cfr. punto 4.6).

5.3

Articolo 2 - Licenziamenti: il Comitato approva la proposta della Commissione (cfr. punto 4.10).

5.4

Articolo 5, paragrafo 2, lettera a) - Il Comitato concorda con la modifica introdotta dalla Commissione e propone di aggiungere la proposta formulata in merito all’articolo 1, paragrafo 1. Propone anche di modificare la lettera f) come segue: «Dal momento che la partecipazione delle parti sociali è imprescindibile per l’efficace utilizzo del Fondo, le domande includono le procedure seguite per la consultazione e la partecipazione delle parti sociali» (cfr. punto 4.12).

5.5

Articolo 8 - Il Comitato concorda con le modifiche riguardanti i paragrafi 1, 2 e 3, ma propone di inserire un nuovo paragrafo 4: «L’assistenza tecnica della Commissione deve avere un carattere proattivo, coinvolgendo gli Stati membri e le parti sociali europee e nazionali nell’utilizzo, follow-up e valutazione del FEG» (cfr. punto 4.13).

5.6

Articolo 10, paragrafo 1 - Il Comitato concorda sul fatto che l’importo del contributo finanziario del FEG possa raggiungere il 75 % dei costi stimati (cfr. punto 4.9).

5.7

Articolo 13, paragrafo 2 - Il Comitato concorda sul fatto che il contributo finanziario possa essere utilizzato nell’arco di 24 mesi (cfr. punto 4.8).

5.8

Articolo 17 - Il Comitato propone di modificare il paragrafo a) come segue: «La Commissione, in collaborazione con gli Stati membri e le parti sociali, realizzerà, dodici mesi dopo la pubblicazione del presente regolamento sulla Gazzetta ufficiale, una valutazione intermedia dell’efficacia e del funzionamento del Fondo» (cfr. punto 4.14).

5.9

Articolo 20 - Il Comitato propone di modificare la proposta della Commissione come segue (nuovo paragrafo 2): «Tenuto conto della valutazione di cui all’articolo 17, il Parlamento europeo e il Consiglio possono rivedere il regolamento FEG, ivi inclusa la deroga temporanea prevista all’articolo 1, paragrafo 1 bis, sulla base di una proposta della Commissione».

Bruxelles, 24 marzo 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  COM(2006) 91 def. - 2006/0033 (COD).

(2)  GU C 318 del 23.12.2006, pagg. 38-41.

(3)  Il Parlamento europeo ha presentato la propria risoluzione il 13 dicembre 2006 (PE A6-0385/2006) GU L 406 del 30.12.2006, pag. 1; rettifiche GU L 48 del 22.2.2008, pag. 82. Il Comitato delle regioni è stato consultato (parere del CdR 137/2006 fin, relatrice: OLDFATHER) GU C 51 del 6.3.2007.

(4)  GU L 406 del 30.12.2006, pag. 1. Rettifica del regolamento nella GU L 48 del 22.2.2008, pag. 82 e, per la versione inglese, nella GU L 202 del 31.7.2008, pag. 74.

(5)  COM(2008) 421 def.

(6)  Nel 2007 sono state presentate dieci domande e nel 2008 soltanto cinque.

(7)  COM(2008) 800 def. del 26 novembre 2008.

(8)  COM(2008) 800 def.

(9)  La solidarietà di fronte al cambiamento: il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG) nel 2007 - bilancio e prospettive - COM(2008) 421 def.

(10)  GU C 318 del 23.12.2006, pagg. 38-41.


22.9.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 228/107


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'applicazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un'attività autonoma, che abroga la direttiva 86/613/CEE

COM(2008) 636 def. — 2008/0192 (COD)

2009/C 228/21

Il Consiglio, in data 24 novembre 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'applicazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un'attività autonoma, che abroga la direttiva 86/613/CEE»

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 marzo 2009, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SHARMA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 24 marzo 2009, nel corso della 452a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 101 voti favorevoli, 29 voti contrari e 26 astensioni.

1.   Raccomandazioni

1.1   Raccomandazioni di carattere generale

1.1.1

Merita apprezzamento il tentativo della Commissione di migliorare la situazione delle donne nel mercato del lavoro e di creare opportunità per quelle che vogliono svolgere un'attività, sia essa subordinata, autonoma o come imprenditrici. Tuttavia per la società civile il titolo di questa direttiva (1) è fuorviante, perché essa non tratta il tema della parità fra gli uomini e le donne che esercitano un'attività autonoma, ma affronta in particolare il trattamento di maternità delle lavoratrici autonome, i benefici previdenziali destinati ai coniugi coadiuvanti e il congedo per assistenza. Il tema della parità va inquadrato in un approccio generale, che tenga conto delle ripercussioni su altri campi, come quello dei diritti sociali, quello della parità di opportunità, quello dei diritti dei minori e quello del diritto di famiglia.

1.1.2

La Commissione dovrebbe esaminare separatamente le tre aree affrontate nella proposta in esame, per garantire che esse vengano tutte considerate adeguatamente nel contesto della parità. Il Comitato comprende che la DG Occupazione debba affrontare il tema della previdenza sociale, ma sottolinea che lo status dei lavoratori autonomi non andrebbe discusso nello stesso contesto di quello dei lavoratori dipendenti.

1.1.3

Per affrontare concretamente la questione dei diritti occorre proporre misure e strumenti pratici e applicabili. Indubbiamente le modifiche alla direttiva che vengono proposte nel documento in esame costituiscono, sul piano del diritto comunitario, un miglioramento della situazione delle lavoratrici autonome e delle coniugi coadiuvanti che hanno un figlio, e di conseguenza avranno un effetto benefico sui figli di tali donne. Il CESE ritiene che la rifusione dalla direttiva sia necessaria.

1.1.4

Al fine di eliminare le disuguaglianze, sarebbe più produttivo applicare meglio, e in un numero maggiore di casi, la legislazione vigente in materia di parità tra i sessi. Dunque la Commissione dovrebbe appurare quali siano le cause dell'insufficiente applicazione della legislazione.

1.1.5

Nel quadro degli sforzi rivolti ad accrescere il numero di imprenditori, e in particolare di imprenditrici, l'UE deve tenere conto dei valori che contano realmente per chi aspira ad un'attività autonoma. Questa valutazione, insieme a un più generale cambiamento culturale in favore dell'imprenditorialità in Europa, servirebbe a individuare i campi nei quali le DG della Commissione dovrebbero concentrare i loro sforzi.

1.1.6

È necessario valutare attentamente qualsiasi aumento dei contributi previdenziali o degli oneri amministrativi a carico non solo dello Stato ma anche delle imprese.

1.1.7

Bisogna chiedersi quanto costi all'Europa la revisione della direttiva. La valutazione di impatto presentata dalla Commissione mostra chiaramente che i vantaggi per gli Stati membri sono marginali.

1.2   Raccomandazioni in merito ai lavoratori autonomi e agli imprenditori

1.2.1

Il lavoro autonomo è per sua natura un'attività molto specifica e chi lo svolge non può essere considerato alla stessa stregua di un lavoratore dipendente. Analogamente il termine lavoratore autonomo non può essere visto come una denominazione generica applicabile anche agli imprenditori.

1.2.2

Il Comitato comprende che è difficile immaginare come possano funzionare delle disposizioni sulla maternità destinate alle donne che esercitano un'attività autonoma. L'attività e le responsabilità che si accompagnano al lavoro autonomo rendono impossibile assentarsi per un lungo periodo senza una accurata pianificazione, una posizione finanziaria sicura o la disponibilità di personale in grado di gestire il lavoro. In mancanza di una gestione appropriata tale assenza provocherebbe, specie nel caso delle imprese più piccole, l'annullamento di contratti o la perdita di affari.

1.2.3

In tutte le misure proposte occorre tenere conto del tempo necessario per una gravidanza regolare, per il recupero fisico della puerpera, per l'instaurazione di un legame tra madre e neonato e per il benessere di quest'ultimo.

1.2.4

Purtroppo però la Commissione non offre soluzioni a nessuno dei dilemmi di cui sopra, e lascia ai singoli Stati membri il compito di trarre le proprie conclusioni. La maggior parte delle lavoratrici autonome dovrebbero occuparsi della formazione di personale sostitutivo, oppure chiudere l'impresa o continuare a lavorare per l'intero periodo della maternità, proprio come avviene con la legislazione attualmente in vigore.

1.3   Raccomandazioni relative ai coniugi coadiuvanti

1.3.1

In generale la direttiva non affronta la questione del mancato riconoscimento dei «coniugi coadiuvanti», della quantità e della qualità del loro contributo a un'impresa, e degli interventi necessari per sostenere queste donne. La direttiva non propone alcuna misura atta a migliorare la posizione sociale o finanziaria dei coniugi coadiuvanti.

1.3.2

In questo campo bisogna rispettare la competenza degli Stati membri e lasciare che siano essi a trovare il modo di integrare questi «lavoratori» nei rispettivi regimi occupazionali e previdenziali, e quindi nel sistema di protezione sociale. Il miglior contributo che l'UE possa dare sarebbe quello di favorire lo scambio di informazioni e di buone prassi nel quadro del metodo aperto (2).

1.3.3

La Commissione dovrebbe eseguire delle ricerche sui motivi per cui i coniugi coadiuvanti non partecipano all'economia formale e non beneficiano su base volontaria della previdenza sociale, e investigare sulle difficoltà che insorgono quando i coniugi coadiuvanti si separano ma rimangono soci in affari.

2.   Il contesto

2.1

Le donne svolgono, spesso senza un riconoscimento, una ricompensa o uno status giuridico, un ruolo socialmente ed economicamente attivo nella società. L'UE deve concentrarsi in modo specifico sull'attuazione della strategia di Lisbona, e uno dei modi indicati per farlo consiste appunto nell'accrescere la partecipazione femminile al mercato del lavoro e far aumentare il numero di imprenditori, e specialmente di imprenditrici.

2.2

La nuova direttiva proposta per sostituire la direttiva 86/613/CEE è intesa a rimediare a talune lacune concernenti il lavoro autonomo e i coniugi coadiuvanti nelle imprese familiari:

fornendo una maggiore tutela della maternità mediante una serie di benefici di maternità offerti alle donne che esercitano un'attività autonoma,

prevedendo la concessione di congedi per assistere i familiari,

riconoscendo l'apporto dei coniugi coadiuvanti attraverso la loro inclusione nel regime previdenziale alle stesse condizioni del coniuge che esercita un'attività autonoma,

attribuendo agli organismi nazionali per le pari opportunità la competenza per agire nel settore.

3.   Osservazioni generali

3.1

Merita apprezzamento il tentativo della Commissione di migliorare la situazione delle donne nel mercato del lavoro e di creare opportunità per quelle che vogliono svolgere un'attività, sia essa subordinata, autonoma o come imprenditrici. Tuttavia, allorché si introducono dei cambiamenti bisognerebbe misurarne l'impatto per tutte le parti interessate in termini finanziari, di tempo e di risorse.

3.2

Per intervenire incisivamente in merito ai diritti di qualsiasi tipo, le misure proposte devono essere chiare, pratiche e applicabili. Purtroppo però la proposta di direttiva non sembra offrire benefici sostanziali, applicabili o realizzabili, per rimediare alle disuguaglianze esistenti. Inoltre la proposta ingenera confusione, perché vengono discusse tre tematiche distinte nel medesimo documento, soffermandosi per giunta sugli organismi per le pari opportunità.

3.3

L'Europa dispone di un quadro giuridico che vieta la discriminazione di genere attraverso una serie di provvedimenti legislativi. Nondimeno tutte le statistiche europee indicano che le donne continuano ad essere pagate meno degli uomini e sono sottorappresentate nel mondo politico, nella forza lavoro, a livello dirigenziale e tra gli imprenditori. È necessaria una migliore applicazione della legislazione in vigore in tutti questi campi, e la Commissione dovrebbe anzitutto esaminare il deficit di applicazione della vigente legislazione sulla parità.

3.4

Nel quadro degli sforzi rivolti ad accrescere il numero di imprenditori, e in particolare di imprenditrici, l'UE deve tenere conto dei valori che contano realmente per chi aspira ad un'attività autonoma (3). L'offerta di misure di sostegno alla maternità potrebbe non avere alcun effetto sulle cifre relative all'imprenditoria femminile. I dati forniti dalla stessa Commissione evidenziano un declino del numero di nuovi imprenditori, uomini e donne, a causa dell'atteggiamento negativo prevalente in Europa nei confronti del lavoro autonomo. Affinché la situazione cambi in maniera significativa occorre un cambiamento culturale. Per fare un esempio, il nuovo Small Business Act per l'Europa (4) potrebbe offrire misure più concrete per favorire l'imprenditoria femminile.

3.5

Poiché la previdenza sociale rientra fra le competenze nazionali, la nuova direttiva proposta, che al momento non è sostenuta da tutti gli Stati membri, rischia di essere inefficace a livello europeo e di ridursi a un esercizio senza costrutto. Per essere realmente efficace essa deve essere migliorata sostanzialmente, grazie all'adozione di norme di protezione minime e all'applicazione in tutti gli Stati membri. Le misure proposte dalla Commissione sono in generale di tipo normativo e ignorano quindi le differenze che intercorrono tra i regimi previdenziali degli Stati membri, come pure i principi di una migliore regolamentazione.

3.6

In generale le piccole imprese e i lavoratori autonomi, specie nel settore agricolo, dell'artigianato e delle PMI, devono far fronte a ristrettezze finanziarie e valuterebbero pertanto sfavorevolmente qualsiasi onere aggiuntivo, anche se la previdenza sociale potrebbe offrire una rete di protezione alle potenziali madri o ai coniugi coadiuvanti. Gli eventuali aumenti dei contributi sociali o degli oneri amministrativi a carico non solo dello Stato, ma anche delle imprese, vanno valutati con attenzione.

3.7

La nuova direttiva intende affrontare la questione della parità nel quadro delle modifiche proposte; tuttavia essa dedica poco spazio al congedo parentale o al congedo di paternità per gli uomini che esercitano un'attività autonoma.

3.8

In linea con la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dei minori (5), la Commissione dovrebbe condurre una procedura parallela per tenere conto dell'impatto delle misure proposte sull'infanzia. I bambini devono essere accuditi adeguatamente e il loro benessere deve essere garantito.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

La Commissione ha realizzato per la direttiva in esame un'ampia valutazione di impatto e, a tal fine, ha consultato numerose parti interessate. Dopo aver passato in rassegna la valutazione d'impatto il Comitato reputa che troppe domande siano rimaste senza risposta, in particolare per quanto riguarda la reale efficacia, la chiarezza e l'attuazione della direttiva proposta.

4.2

Il lavoro autonomo può essere suddiviso in varie categorie: imprenditori, titolari di imprese, liberi professionisti, persone che svolgono il proprio lavoro a casa e i cosiddetti lavoratori pseudoautonomi, ossia persone che hanno perso il posto e lavorano adesso in subappalto per il proprio ex datore di lavoro. Tuttavia bisogna lasciare che le persone impegnate in un'attività autonoma e i coniugi coadiuvanti scelgano liberamente il tipo di trattamento di maternità di cui intendono beneficiare, perché solo così facendo si rispetta la scelta di autonomia e di indipendenza che per definizione è tipica dei lavoratori autonomi. Obbligare le lavoratrici autonome ad usufruire di un lungo congedo di maternità non è compatibile col buon andamento della loro attività e spesso rischia di compromettere la vitalità della loro impresa. Pertanto la direttiva in esame dovrebbe evitare di fare riferimento alla direttiva 92/85/CE sul congedo di maternità. Sarebbe infatti inappropriato provare ad allineare il regime di congedi di maternità delle lavoratrici autonome e dei coniugi coadiuvanti a quello in vigore per le lavoratrici dipendenti.

4.3

Occorre fare chiarezza su come gli Stati membri gestirebbero il congedo di maternità descritto nell'articolo 7, paragrafo 1, nel caso delle donne che non svolgono un lavoro subordinato. Tali lavoratrici decidono autonomamente e possono scegliere quando assentarsi dal lavoro. Esse non hanno bisogno di un diritto al «congedo».

4.4

Inoltre gli Stati membri non dovrebbero limitarsi a considerare il pagamento di un'indennità, ma anche la fornitura di un'assistenza sotto forma di una sostituzione temporanea. Per le lavoratrici autonome e i coniugi coadiuvanti i regimi di sostituzione sono altrettanto importanti quanto i benefici finanziari. La direttiva dovrebbe evitare di introdurre un ordine di priorità per queste prestazioni. Inoltre l'ammontare dell'indennità adeguata dovrebbe essere stabilito a livello nazionale, tenendo conto della differenza oggettiva che intercorre tra lavoratori autonomi e coniugi coadiuvanti.

4.5

Occorre valutare le implicazioni dell'articolo 7, paragrafo 4, che prevede per le coniugi coadiuvanti un'assistenza specifica nella ricerca di una sostituzione durante il congedo di maternità. Un simile diritto non è previsto per le lavoratrici dipendenti, e garantirlo alle coniugi coadiuvanti comporterebbe oneri amministrativi e finanziari che risulterebbero gravosi specialmente per le piccole imprese, oltre che per gli Stati.

4.6

Bisognerebbe risolvere la divergenza che intercorre tra l'articolo 7, paragrafo 2, che dispone la concessione incondizionata di un'indennità adeguata durante il congedo di maternità, l'articolo 6, il quale prevede che i benefici siano concessi ai coniugi coadiuvanti «alle stesse condizioni che si applicano» ai lavoratori autonomi, e l'articolo 11, paragrafo 4, della direttiva sulla maternità delle lavoratrici, che consente agli Stati membri di subordinare la concessione dei benefici di maternità a determinate condizioni.

4.7

I lavoratori autonomi praticano in genere un orario di lavoro più prolungato di quello dei lavoratori dipendenti, cosa che rende la cura dei bambini una preoccupazione in più per le lavoratrici autonome. Nondimeno anche in questo contesto la Commissione non formula raccomandazioni sulle strutture per la custodia dei bambini, né sulle responsabilità delle lavoratrici autonome in materia di assistenza. Tutti gli Stati membri dovrebbero sviluppare strutture di custodia economicamente accessibili e di elevata qualità, per favorire la conciliazione tra vita professionale e privata dei lavoratori autonomi e dei coniugi coadiuvanti, al pari di quanto avviene per i lavoratori dipendenti.

4.8

L'obiettivo generale della direttiva è quello di accrescere il grado di parità di genere per i lavoratori autonomi e i coniugi coadiuvanti. La Commissione spera inoltre che questa direttiva farà aumentare il numero di donne che svolgono un'attività autonoma, darà uno status giuridico ai coniugi coadiuvanti, accrescerà il numero di coniugi coadiuvanti coperti dalla previdenza sociale, e fornirà alle persone che svolgono un'attività autonoma e ai coniugi coadiuvanti efficaci mezzi di ricorso. Va tuttavia osservato quanto segue:

l'eguaglianza tra i sessi è attualmente disciplinata dal quadro giuridico comunitario in materia di parità,

è improbabile che misure di protezione sociale di minore entità possano fare aumentare il numero di lavoratrici autonome quando in quasi tutti gli Stati membri le donne possono già adesso beneficiare di una protezione versando dei contributi su base volontaria,

i coniugi coadiuvanti, anche versando volontariamente i contributi sociali non otterrebbero comunque uno status giuridico, né efficaci mezzi di ricorso.

4.9

In 18 Stati membri su 27 le coniugi coadiuvanti e le lavoratrici autonome hanno già la possibilità di versare su base volontaria i contributi per l'indennità di maternità. Questa misura va estesa a tutti gli Stati membri, garantendo che vengano fornite le prestazioni di sicurezza sociale se la donna desidera beneficiare di questo regime. È inaccettabile che uno Stato membro possa attuare delle discriminazioni nei confronti di chi versa dei contributi per beneficiare del regime previdenziale nazionale, che si tratti di lavoratori dipendenti, autonomi o «non occupati», come sono classificati attualmente i coniugi coadiuvanti.

4.10

L'articolo 6 della direttiva in esame introdurrebbe una categoria del tutto nuova di beneficiari della protezione sociale (né lavoratori dipendenti, né lavoratori autonomi, né assicurati su base volontaria). Il Comitato non vede tuttavia l'esigenza di creare questo nuovo tipo di previdenza o di benefici di maternità.

4.11

I coniugi coadiuvanti fanno parte di un'economia «invisibile» che fornisce un contributo all'Europa ma rimane nascosta. È necessario discutere il loro status giuridico, in quanto lavoratori autonomi o dipendenti. La direttiva attualmente in vigore, che non è stata modificata dal 1986, dispone che gli Stati membri «si impegnano ad esaminare a quali condizioni il riconoscimento del lavoro svolto dai coniugi di cui all'articolo 2, lettera b), possa essere favorito e a prendere in considerazione, sulla base di detto esame, tutte le iniziative atte a favorire tale riconoscimento». Solo pochi Stati (6) hanno rispettato tale obbligo, a causa dell'ambiguità dello status giuridico, e pertanto non si dovrebbe procedere alla rifusione della direttiva fintantoché non si sia definito uno status riconosciuto. Una volta stabilito lo status giuridico occorre predisporre un meccanismo di divulgazione delle informazioni per far conoscere ai coniugi coadiuvanti i loro diritti giuridici.

4.12

Il Comitato rileva che vari Stati membri hanno messo in discussione la base giuridica prescelta, in particolare il campo d'azione e l'adeguatezza dell'articolo 141 del Trattato CE considerato separatamente, specie per quanto riguarda l'articolo 6 della proposta di direttiva. Esso invita la Commissione a considerare attentamente il parere dei servizi giuridici del Consiglio prima di attuare la direttiva proposta.

4.13

In caso contrario si riprodurrà sicuramente la situazione del 1994, allorché la Commissione, nella relazione (7) sull'attuazione della direttiva 86/613/CEE, concludeva che «da un punto di vista giuridico la direttiva 86/613/CEE è stata attuata negli Stati membri. Tuttavia i risultati pratici di tale attuazione non sono stati pienamente soddisfacenti in relazione al primo obiettivo della direttiva, vale a dire quello di produrre un miglioramento generale del quadro giuridico che tuteli i coniugi coadiuvanti». La relazione sottolineava inoltre la mancanza di una strategia generale riguardo alla situazione dei coniugi coadiuvanti e rilevava che «ai fini del riconoscimento del lavoro del coniuge, l'unico modo in cui tale obiettivo potrebbe essere raggiunto sarebbe il riconoscimento del diritto alla sicurezza sociale a titolo personale.»

4.14

La proposta in esame contiene, all'articolo 2, tutte le definizioni dei termini utilizzati nella direttiva. Le definizioni di «lavoratori autonomi» e di «coniugi coadiuvanti» sono ricavate dall'articolo 2 della direttiva 86/613/CEE. Alla definizione di «coniugi coadiuvanti» sono aggiunte le parole «o conviventi» per includere tutte le persone riconosciute come «conviventi» dal diritto nazionale che partecipino abitualmente alle attività dell'impresa familiare, indipendentemente dallo stato coniugale. Al fine di evitare qualsiasi ambiguità, nella versione inglese il termine partner è stato sostituito con «business partner» (8). Tuttavia, se i coniugi coadiuvanti continuano a non avere uno status giudico a titolo personale rimarrà difficile dimostrare in giudizio la loro effettiva partecipazione all'impresa e continuerà a non essere garantita la loro tutela in caso di morte, separazione o controversia.

4.15

La proposta menziona il congedo per assistenza ai membri della famiglia, senza tuttavia specificare alcuna misura concreta di attuazione. Ciò è inaccettabile in un'Europa in pieno invecchiamento demografico. Occorre prevedere delle misure che consentano a persone di entrambi i sessi di assistere familiari anziani e minori dipendenti, in particolare se disabili.

4.16

La Commissione deve prendere in esame quest'ultimo tema al di fuori della rifusione della direttiva; si tratta infatti di una questione che acquista sempre maggiore importanza nell'attuale situazione demografica dell'Europa. Se non vi sarà un dibattito serio sull'assistenza agli anziani e sull'accudimento dei bambini, il numero di giornate lavorative perse da lavoratori sia dipendenti che autonomi non farà che aumentare per la prossima generazione.

4.17

Nel contesto della consultazione della società civile da parte del Comitato è stato messo in evidenza il concetto di «lavoro pseudoautonomo». In considerazione delle sempre più numerose perplessità che circondano tale questione, occorre che gli organi competenti dell'UE approfondiscano la materia. Il Comitato si offre di assistere la Commissione nel lavoro in questo campo.

Bruxelles, 24 marzo 2009.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'applicazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un'attività autonoma, che abroga la direttiva 86/613/CEE (COM(2008) 636 def. - 2008/0192 (COD)).

(2)  Il Belgio, il Lussemburgo e la Francia applicano dei buoni modelli di integrazione dei coniugi coadiuvanti.

(3)  Cfr. i pareri del CESE sul tema dell'educazione all'imprenditorialità, tra cui per esempio:

parere sul tema Occupabilità e imprenditorialità - La società civile, le parti sociali e gli enti regionali e locali in una prospettiva di genere, relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 256 del 27.10.2007),

parere sul tema Spirito imprenditoriale e agenda di Lisbona, relatrice: SHARMA correlatore: OLSSON (GU C 44 del 15.1.2008),

parere sul tema Promozione dell'imprenditorialità femminile nella regione euromediterranea, relatrice: ATTARD (GU C 256 del 27.10.2007),

parere sul tema Stimolare lo spirito imprenditoriale attraverso l’istruzione e l’apprendimento, relatrice: JERNECK (GU C 309 del 16.12.2006).

(4)  Uno «Small Business Act» per l'Europa, COM(2008) 394 def./2 del 30 settembre 2008.

(5)  Convenzione sui diritti dell'infanzia, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite con la risoluzione 44/25 del 20 novembre 1989 ed entrata in vigore il 2 settembre 1990, conformemente al disposto dell'articolo 49: http://www.pariopportunita.gov.it/Pari_Opportunita/UserFiles/Convenzione_ONU.pdf.

(6)  Tra essi in particolare il Belgio, il Lussemburgo e la Francia.

(7)  Relazione della Commissione sull'attuazione della direttiva del Consiglio dell'11 dicembre 1986 relativa all'applicazione del principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne che esercitano un'attività autonoma, ivi comprese le attività nel settore agricolo, e relativa altresì alla tutela della maternità COM(94) 163 def. (parte II: Conclusioni, punti. 1 e 4).

(8)  COM(2008) 636 def., relazione, punto 5.


ALLEGATO

Al parere del Comitato economico e sociale europeo

I seguenti emendamenti, che hanno ottenuto più di un quarto dei voti espressi, sono stati respinti nel corso del dibattito (art. 54, paragrafo 3, del Regolamento interno):

Punto 1.1.2

Modificare come segue:

«La Commissione dovrebbe esaminare separatamente le tre aree affrontate nella proposta in esame, per garantire che vengano considerate adeguatamente nel contesto della parità. Il Comitato comprende che la DG Occupazione debba affrontare il tema della previdenza sociale, ma sottolinea che lo status dei lavoratori autonomi non andrebbe discusso nello stesso contesto di quello dei lavoratori dipendenti. La proposta della Commissione tiene conto anche di questa differenza: è solo su richiesta, infatti, che le lavoratrici autonome beneficiano dello stesso periodo di congedo di maternità di cui alla direttiva 92/85/CEE sulla tutela della maternità; non esiste quindi un divieto generale di lavorare e il gruppo di persone in questione deve avere il diritto di scegliere tra la sostituzione e un’indennità. »

Esito della votazione:

Voti favorevoli: 72 Voti contrari: 73 Astensioni: 8

Punto 4.11

Sopprimere una parte del punto:

«I coniugi coadiuvanti fanno parte di un’economia “invisibile” che fornisce un contributo all’Europa ma rimane nascosta. È necessario discutere il loro status giuridico, in quanto lavoratori autonomi o dipendenti. La direttiva attualmente in vigore, che non è stata modificata dal 1986, dispone che gli Stati membri “si impegnano ad esaminare a quali condizioni il riconoscimento del lavoro svolto dai coniugi di cui all’articolo 2, lettera b), possa essere favorito e a prendere in considerazione, sulla base di detto esame, tutte le iniziative atte a favorire tale riconoscimento”. Solo pochi Stati hanno rispettato tale obbligo, a causa dell’ambiguità dello status giuridico, e pertanto non si dovrebbe procedere alla rifusione della direttiva fintantoché non si sia definito uno status riconosciuto. Una volta stabilito lo status giuridico occorre predisporre un meccanismo di divulgazione delle informazioni per far conoscere ai coniugi coadiuvanti i loro diritti giuridici.»

Esito della votazione:

Voti favorevoli: 68 Voti contrari: 73 Astensioni: 11


22.9.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 228/113


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di raccomandazione del Consiglio sulla sicurezza dei pazienti, comprese la prevenzione e la lotta contro le infezioni nosocomiali

COM(2008) 837 def./2 — 2009/0003 (CNS)

2009/C 228/22

Il Consiglio, in data 21 gennaio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla

«Proposta di raccomandazione del Consiglio sulla sicurezza dei pazienti, comprese la prevenzione e la lotta contro le infezioni nosocomiali»

L’Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo ha incaricato, in data 24 febbraio 2009, la sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza di preparare i lavori in materia.

Vista l’urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 marzo 2009, nel corso della 452a sessione plenaria, ha nominato relatore generale Lucien BOUIS e ha adottato il seguente parere con 135 voti favorevoli e 4 astensioni.

1.   Osservazioni e raccomandazioni

1.1

Si stima che negli Stati membri dell’UE una quota compresa tra l’8 % e il 12 % dei pazienti ricoverati presso ospedali, mentre riceve cure sanitarie (1) sia vittima di eventi sfavorevoli che portano a infezioni di cui i pazienti non erano portatori al momento del ricovero.

1.2

Malgrado la scarsità di studi in materia, sembra che le infezioni nosocomiali triplichino il rischio di decesso, se si confronta il tasso di mortalità dei pazienti che hanno contratto queste infezioni con quello dei pazienti affetti dalla stessa patologia che non le hanno contratte.

1.3

Le infezioni nosocomiali comportano una lievitazione dei costi, dovuta essenzialmente all’allungamento della durata del ricovero, ai trattamenti antinfettivi, agli esami di laboratorio e alla sorveglianza dell’infezione, alla copertura sanitaria delle conseguenze e perfino al risarcimento della famiglia in caso di decesso.

1.4

Una diminuzione del 10 % del numero di infezioni nosocomiali porterebbe a un risparmio di oltre 5 volte superiore al costo dello sforzo di prevenzione compiuto dalle strutture ospedaliere (2).

1.5

La proposta di raccomandazione del Consiglio sulla sicurezza dei pazienti, comprese la prevenzione e la lotta contro le infezioni nosocomiali, si configura quindi come un intervento di natura etica, sociale ed economica. L’importanza della lotta alle infezioni nosocomiali avrebbe richiesto una proposta di direttiva.

1.6

Il CESE si compiace di questa proposta che è in linea con l’articolo 152, secondo cui l’azione della Comunità completa le politiche nazionali in materia di sanità pubblica e prevenzione delle malattie.

1.7

Il CESE riconosce l’interesse delle azioni di sostegno proposte e formula una serie di osservazioni e proposte miranti a definire e rafforzare la sicurezza dei pazienti per mezzo della prevenzione e della lotta contro le infezioni nosocomiali.

1.8

Il CESE ritiene in particolare necessario sviluppare l’analisi delle condizioni in cui sopravvengono le infezioni nosocomiali e gli altri eventi sfavorevoli. In questa prospettiva, il Comitato ritiene auspicabile, nell’eventualità di ricorsi contenziosi, che si chiarisca la natura dei dati raccolti, al fine di rispettare i diritti dei pazienti favorendo al tempo stesso le pratiche di analisi degli operatori e delle strutture che si occupano della gestione dei rischi.

1.9

Il CESE sottolinea in particolare la necessaria attuazione ed estensione delle politiche e dei programmi nazionali, i bisogni di informazione dei cittadini e dei pazienti, il coordinamento dei sistemi di segnalazione e la formazione del personale a livello sia degli Stati che degli ospedali.

1.10

Il CESE, rilevando che lo sviluppo delle infezioni nosocomiali interessa sia i pazienti ricoverati che i malati curati ambulatorialmente, auspica che sia rivolta la stessa attenzione alle cure e alla lotta contro gli eventi sfavorevoli in tutti i tipi di strutture sanitarie.

2.   Sintesi della raccomandazione della Commissione

2.1   Contesto

2.1.1

L’articolo 152 del Trattato prevede che l’azione della Comunità, che completa le politiche nazionali, si indirizzi al miglioramento della sanità pubblica, alla prevenzione delle malattie e affezioni e all’eliminazione delle fonti di pericolo per la salute umana.

2.1.2

Si stima che negli Stati membri dell’UE una quota compresa tra l’8 % e il 12 % dei pazienti ricoverati presso ospedali sia vittima di eventi sfavorevoli mentre riceve cure sanitarie (3).

2.1.3

Gli Stati membri dell’UE non hanno raggiunto tutti lo stesso livello di elaborazione e applicazione di strategie efficaci e globali in materia di sicurezza dei pazienti.

2.2   L’approccio della raccomandazione

2.2.1

È opportuno che gli Stati membri creino o perfezionino sistemi di segnalazione e di apprendimento volti a registrare l’estensione e le cause degli eventi sfavorevoli, con l’obiettivo di sviluppare soluzioni ed interventi efficaci.

2.2.2

È necessario raccogliere dati comparabili e aggregati a livello comunitario e diffondere le buone pratiche fra gli Stati membri.

2.2.3

La prevenzione e la lotta contro le infezioni nosocomiali dovrebbero fare parte delle priorità strategiche a lungo termine delle istituzioni sanitarie. Tutti i livelli gerarchici e tutte le funzioni dovrebbero cooperare a tal fine.

2.2.4

È opportuno informare i pazienti e metterli in grado di agire attivamente, coinvolgendoli nel processo volto a garantirne la sicurezza.

3.   Considerazioni generali

3.1   Il CESE ricorda che le infezioni nosocomiali sono quelle che il paziente contrae all’interno di un istituto di cura e di cui non era portatore al momento del ricovero, e che tali infezioni possono essere collegate alle cure ricevute o semplicemente sopravvenire nel corso della degenza ospedaliera indipendentemente da qualsiasi atto medico.

3.1.1   Il CESE sottolinea che, per garantire standard elevati di igiene per il personale, devono sussistere le condizioni necessarie. Ciò riguarda in particolare le condizioni di lavoro di tali addetti, ossia l’orario in cui essi sono a disposizione dei pazienti, le necessarie azioni di formazione continua e il loro grado di soddisfazione relativamente alle condizioni in cui operano. Si invitano pertanto i responsabili dei servizi sanitari a mettere a disposizione i mezzi necessari a tale fine.

3.2   Il CESE osserva che le modalità di trasmissione dell’infezione possono essere di origine endogena ma anche esogena, come ad esempio la trasmissione da malato a malato tramite la manipolazione da parte di un operatore sanitario o tramite gli strumenti di lavoro del personale medico o paramedico, ma che l’infezione può essere anche legata a una contaminazione dell’ambiente (acqua, aria, materiali o attrezzature, cibo …).

3.2.1   Quale che sia la modalità di trasmissione, l’insorgenza di un’infezione può essere favorita dallo stato del paziente, ovverosia dai seguenti fattori:

età e patologia,

determinati trattamenti (in particolare l’uso eccessivo di antibiotici),

l’esecuzione di certi atti necessari al trattamento.

3.3   Tenuto conto del fatto che i progressi della medicina permettono di curare pazienti sempre più fragili, che accumulano pertanto numerosi fattori di rischio, la qualità delle cure, ma anche la sicurezza di tutti gli atti e quella della struttura di accoglienza devono formare oggetto, nel quadro di una rigorosa organizzazione, di una pratica definita e controllata, di una vigilanza rafforzata e di azioni di formazione e informazione.

3.4   La riduzione della quota evitabile delle infezioni associate alle cure come le malattie nosocomiali è un elemento fondamentale per la sicurezza dei pazienti; dato che il ricovero presenta anche altri rischi quali le cadute, gli effetti secondari dei farmaci ecc., la prevenzione delle infezioni deve inserirsi in un intervento più globale che comprenda tutti gli eventi sfavorevoli.

3.5   Èper questi motivi che il CESE accoglie con favore la proposta di raccomandazione presentata dalla Commissione.

4.   Osservazioni specifiche

4.1   Temi generali attinenti alla sicurezza dei pazienti

4.1.1

Il CESE tiene particolarmente a sottolineare la necessità di istituire in ogni Stato un Comitato di lotta contro le infezioni nosocomiali che sia incaricato, in collaborazione con équipe operative in materia di igiene, di elaborare un programma strategico nazionale che possa tradursi sul piano regionale e a livello di ogni struttura sanitario. Tale programma dovrebbe essere sottoposto a una valutazione periodica.

4.1.2

Il CESE ritiene che rafforzare gli strumenti di lotta contro le infezioni nosocomiali e incoraggiare le strutture sanitarie ad adottare una politica di prevenzione e gestione delle infezioni sia una questione della massima urgenza. La stessa vigilanza deve valere per le cure ambulatoriali.

4.1.3

Il CESE accoglie con favore la volontà di coinvolgere a tutti i livelli le organizzazioni e i rappresentanti dei pazienti nell’elaborazione delle politiche e dei programmi in materia di sicurezza dei pazienti; ciò richiede un’effettiva trasparenza nei lavori di osservazione in situ e nella successiva e necessaria divulgazione dei dati.

4.1.4

Il CESE ritiene che sia necessario definire lo statuto giuridico dei dati qualitativi e quantitativi raccolti sulle infezioni nosocomiali e altri eventi sfavorevoli, dal momento che alcuni di tali dati possono essere usati in tribunale in caso di ricorso contenzioso; bisogna trovare un equilibrio fra il rispetto dei diritti dei pazienti e l’incoraggiamento ad approfondire l’analisi degli eventi sfavorevoli da parte degli operatori e delle strutture che si occupano di gestione dei rischi.

4.1.5

Il CESE, desideroso che le pratiche di valutazione si svolgano in un clima di fiducia, tiene a sottolineare che qualsiasi sistema di segnalazione deve necessariamente essere distinto dai sistemi e dalle procedure disciplinari applicabili al personale sia medico che paramedico, amministrativo o dei servizi.

4.1.6

Il CESE, consapevole dell’importanza di informare adeguatamente i pazienti sui rischi e sui livelli di sicurezza, ritiene opportuno che vengano elaborati degli opuscoli che illustrino le buone pratiche d’igiene raccomandate e le misure adottate.

4.1.7

Il CESE, osservando che la base di ogni strategia di prevenzione passa per la promozione dell’educazione e formazione del personale interessato dalla sicurezza dei pazienti, ritiene che la formazione del personale specializzato in igiene sarà resa più solida da una migliore definizione dei contenuti formativi per i medici, gli infermieri e tutto il personale ospedaliero.

4.1.8

Il CESE tiene a sottolineare che è indispensabile che gli operatori medici e sanitari siano ricettivi rispetto alle osservazioni formulate dai pazienti o dai loro familiari su eventuali mancanze in materia di igiene. La sensibilizzazione dei pazienti sulle norme igieniche deve accompagnarsi a una pari sensibilizzazione del personale medico e sanitario all’ascolto e all’accettazione delle osservazioni e dei desideri espressi dai pazienti e dai loro familiari.

4.2   Prevenzione e lotta contro le infezioni nosocomiali

4.2.1

Secondo il CESE, per contenere le infezioni nosocomiali sono necessari anche:

un monitoraggio dell’ambiente da parte di un tecnico addetto all’igiene ospedaliera per il trattamento dell’aria, il controllo dell’acqua, la disinfezione dei materiali sanitari e la qualità microbiologica delle superfici,

un rigoroso rispetto dei protocolli in materia di igiene delle mani del personale sanitario, dei pazienti e dei loro familiari,

una sorveglianza del settore alimentare, con controlli microbiologici che verifichino la conformità delle materie prime e dei prodotti finiti, le catene del freddo e del caldo, i circuiti di trattamento delle merci e dei rifiuti e le pratiche igieniche del personale di cucina e di servizio,

una vigilanza sulla pulizia dei locali di ricovero, di intervento e di cura che possono necessitare un regolare ricambio dei prodotti di pulizia,

una particolare attenzione al controllo dell’acqua corrente calda e fredda e delle acque trattate per uso medico.

4.2.2

Il CESE si rammarica che la raccomandazione della Commissione non faccia sufficiente riferimento all’obbligo di analisi degli eventi sfavorevoli. Alcuni metodi, quali la rassegna di mortalità e morbilità, applicati regolarmente nei servizi, possono contribuire a migliorare la sicurezza delle cure.

4.2.3

Il CESE ritiene che lo scambio di informazioni, a partire dalle osservazioni e dalle buone pratiche messe in atto nel quadro di un coordinamento tra la Commissione e gli Stati membri, costituisca una misura adeguata che permette di classificare, codificare e perfino standardizzare determinate pratiche e inoltre consente di costituire parametri di riferimento molto utili per la riabilitazione o la costruzione di strutture sanitarie.

4.2.4

Il CESE prende nota del fatto che la Commissione invita gli Stati membri a creare entro un anno un meccanismo intersettoriale in materia, e veglierà affinché tale invito venga accolto.

Bruxelles, 25 marzo 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Relazione tecnica Improving Patient Safety in the EU preparata per la Commissione europea, pubblicata nel 2008 dalla RAND Corporation.

(2)  Relazione su La politique de lutte contre les infections nosocomiales dell’Office parlementaire d’évaluation des politiques de santé, 2006.

(3)  Cfr. nota 1.


22.9.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 228/116


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca centrale europea — UEM@10: successi e sfide di un decennio di Unione economica e monetaria

COM(2008) 238 def. — SEC(2008) 553

2009/C 228/23

La Commissione, in data 7 maggio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo, al Comitato delle regioni e alla Banca centrale europea — UEM@10: successi e sfide di un decennio di Unione economica e monetaria»

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 marzo 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore BURANI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 24 marzo 2009, nel corso della 452a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 79 voti favorevoli, 1 voto contrario e 17 astensioni.

1.   Riassunto e conclusioni

1.1

Con il presente documento il CESE offre alcuni commenti sulla comunicazione della Commissione che espone i successi dell'Unione economica e monetaria (UEM) a dieci anni dal suo lancio e mette in luce le sfide che ci attendono nel futuro. La comunicazione è stata redatta prima che l'attuale crisi si manifestasse in tutta la sua gravità e il Comitato evita per quanto possibile di prendere spunto dagli eventi attuali per formulare commenti su argomenti estranei al testo della Commissione. Il tema di attualità viene trattato da altri pareri.

1.2

Le aspettative iniziali non sono state del tutto realizzate: l'ottimismo che ha caratterizzato la fase di lancio dell'UEM ha dovuto essere temperato da una congiuntura economica con tendenze sfavorevoli: condizioni obbiettive e in gran parte indipendenti dalla moneta unica. Un'opinione pubblica non sempre bene informata, e in parte influenzata da una persistente diffidenza nei riguardi dell'Unione europea, ha attribuito all'euro la responsabilità di fenomeni recessivi di fatto estranei alle vicende monetarie.

1.3

Un indubbio successo dell'Unione monetaria è stato quello di aver ancorato le aspettative a lungo termine sull'inflazione a livelli prossimi alla definizione della stabilità dei prezzi; l'abbassamento generale dei tassi d'interesse ha inoltre contribuito alla crescita economica. L'integrazione dei mercati finanziari ha poi contribuito ad importare in Europa una crisi economica che ha avuto origine altrove.

1.4

Pur essendo l'euro la seconda moneta internazionale, l'Eurogruppo e la BCE non hanno una presenza istituzionale nelle organizzazioni economiche e finanziarie internazionali: le ragioni di questa situazione sono diverse, ma non vi è estranea la partecipazione a tali organizzazioni di Stati membri appartenenti all'area euro e di altri che non lo sono. Una migliore governance economica sarebbe teoricamente realizzabile se queste due istituzioni avessero una voce nelle istanze internazionali.

1.5

Sul fronte interno le sfide del futuro consistono principalmente nelle incomplete realizzazioni degli ultimi dieci anni: le differenze fra i paesi dell'UEM in termini di inflazione e costi del lavoro, nonché l'integrazione ancora parziale del mercato dei beni e dei servizi. Il primo obbiettivo dovrebbe far parte di una serie di programmi nazionali che, nel rispetto del patto di stabilità e di crescita, tendano ad una convergenza concordata fra i governi e le parti sociali. Il secondo dovrebbe essere oggetto di uno studio che stabilisca i limiti fisiologici all'integrazione, al di là dei quali l'integrazione stessa diventa impossibile o troppo onerosa.

1.6

A livello mondiale, l'UEM si trova di fronte a sfide politiche e a sfide competitive, che dovrà affrontare con programmi di politica interna di bilancio e di migliore integrazione delle riforme strutturali, con il rafforzamento del ruolo internazionale dell'euro, e infine con una governance economica efficace. In merito a quest'ultimo punto si attira l'attenzione sulla spesa pubblica, sulla competitività e sui sistemi sociali, tre aree nelle quali interventi univoci sono resi difficili dalla diversità di situazioni negli Stati membri.

1.7

Per quanto riguarda la governance finanziaria, il CESE auspica che venga fatta una revisione globale delle politiche che hanno sin qui ispirato la condotta dei mercati: la crisi finanziaria causata dai subprime, a sua volta influenzata dalla crisi economica, trae le sue lontane origini dalla messa in circolazione di prodotti per loro natura malsani. Questo avvenne a causa di un'economia di mercato male interpretata, della quale non si auspica l'abbandono ma che ha certamente bisogno di regole che la governino.

2.   Introduzione

2.1

Nel maggio 2008 la Commissione ha pubblicato una Comunicazione in cui traccia un bilancio del primo decennio di operatività dell'Unione economica e monetaria (UEM), esponendo le linee generali di un programma politico per il secondo decennio (1). Il documento è pubblicato nel secondo fascicolo di «European Economy» (2), accompagnato da uno studio analitico (oltre 300 pagine) delle materie trattate. Il CESE figura tra i destinatari della comunicazione e ringrazia la Commissione per avergli offerto l'opportunità di esprimere il proprio punto di vista; si augura che i suoi commenti verranno accolti per quello che sono: un tentativo di apporto costruttivo alle riflessioni in corso.

2.2

Lo studio analitico costituisce un prezioso ausilio alla comprensione dei fenomeni descritti nella comunicazione e fornisce la chiave di lettura delle dichiarazioni della Commissione; si tratta peraltro di un documento di analisi econometrica e finanziaria destinato ad una ristretta cerchia di specialisti. Il CESE ne ha preso conoscenza e vi fa riferimento in relazione ad alcuni argomenti per i quali un approfondimento si rende necessario.

2.3

Nel formulare le sue osservazioni in merito ad alcuni elementi della comunicazione il CESE segue l'ordine nel quale questi sono esposti dalla Commissione, con l'augurio che essi possano rivelarsi utili e considerati come un volonteroso apporto delle parti sociali che il Comitato rappresenta.

3.   La comunicazione: un passo storico

3.1   Il documento esordisce affermando che l'UEM «ha inviato un potente segnale politico, dimostrando ai cittadini europei e al resto del mondo che l'Europa è in grado di prendere decisioni lungimiranti…» e che l'euro è, «dopo dieci anni di esistenza, un successo eclatante». Tali affermazioni sembrano inopportune dal punto di vista della comunicazione: il compiacimento è convincente come conclusione di una dimostrazione ma è controproducente se appare come un teorema già predisposto. Il CESE è sostanzialmente d'accordo sul contenuto delle affermazioni, ma avrebbe preferito vederle come considerazione finale piuttosto che come premessa.

3.2   A moderare il tono, la Commissione osserva che «l'euro non ha ancora realizzato alcune delle aspettative iniziali», e cita come cause un'insoddisfacente crescita della produttività, la globalizzazione e la scarsità di risorse naturali, i cambiamenti climatici e l'invecchiamento della popolazione, tutti problemi che «mettono ancora di più a dura prova la capacità di crescita delle nostre economie». Ad una prima lettura queste affermazioni sembrano stabilire — anche se questa non è certo l'intenzione della Commissione — un legame fra le evoluzioni socio-economiche globali e le mancate realizzazioni dell'euro.

3.2.1   Più avanti (pag. 7) la Commissione lamenta il fatto che «l'euro viene spesso utilizzato [dai cittadini, ndr] come capro espiatorio di deludenti risultati economici, dovuti in realtà a politiche inadeguate a livello nazionale», stabilendo così una giusta distinzione fra l'andamento dell'economia e le vicende dell'euro. Sarebbe stato più utile per la causa dell'euro se essa avesse chiarito che la moneta unica soffre — così come in maggiore o minor misura la maggior parte delle altre monete — di una congiuntura a livello globale che ha un riflesso sulle politiche monetarie.

3.2.2   Le politiche monetarie, in particolare quella dell'UEM, non possono risolvere da sole problemi di mercati globali ed integrati nei quali i problemi dell'uno si trasmettono agli altri, a cascata e in tempo reale. Per troppo tempo i mercati extraeuropei hanno operato ispirandosi ad un'interpretazione troppo liberista dell'economia di mercato, tanto in campo economico che finanziario. Un mercato libero ha bisogno di regole che stabiliscano dei limiti invalicabili, e di controlli efficienti che ne assicurino l'osservanza: queste due condizioni l'Europa le ha in gran parte rispettate, ma lo stesso non può purtroppo dirsi di altri.

4.   I principali successi dei primi dieci anni

4.1   La Commissione a giusto titolo sottolinea come la politica monetaria abbia «ancorato le aspettative a lungo termine sull'inflazione a livelli prossimi alla definizione di stabilità dei prezzi della BCE». Essa riconosce che l'inflazione ha preso vigore negli ultimi tempi, «principalmente a causa dell'impennata dei prezzi del petrolio e delle materie prime» ma prevede un «ritorno a bassi tassi di inflazione… una volta allentate le pressioni esterne», il che è avvenuto negli ultimi tempi. Per quanto riguarda i tassi d'interesse, la stretta delle condizioni del credito alle famiglie e alle imprese è attribuibile alle turbolenze dei mercati finanziari, e anche sotto questo profilo si prevede «un ritorno… a condizioni del credito più normali… anche se i prezzi del petrolio continuassero a salire».

4.1.1   La grande maggioranza degli osservatori prevede una crisi di lunga durata e si astiene dal fare pronostici sui tempi di ripresa delle economie, in particolare di quelle dei paesi occidentali; la fluidità del panorama geopolitico mondiale riduce purtroppo le proiezioni econometriche al livello di un confronto di opinioni. Su un punto preciso della comunicazione il CESE vuole in particolare attirare l'attenzione: si depreca che l'inflazione abbia peggiorato le condizioni del credito alle famiglie e alle imprese; ma non ci si sofferma sul fatto che le famiglie non sono soltanto utenti del credito ma anche risparmiatrici, contribuendo i loro investimenti alla crescita economica e, in ultima analisi, al finanziamento del debito pubblico e delle imprese.

4.1.2   I tassi di remunerazione del risparmio, sia bancario che sotto forma di investimenti mobiliari, sono aumentati in misura inferiore al tasso d'inflazione: una volta decurtati dai prelievi fiscali, essi si traducono in una forte erosione del potere d'acquisto delle rendite, unitamente alla perdita di valore del capitale investito. Le ingenti perdite subite dalle borse hanno però incoraggiato le famiglie a ricercare investimenti più sicuri nei tradizionali depositi a risparmio, nonostante la bassa remunerazione e l'erosione del capitale.

4.2   Il CESE concorda con la Commissione quando essa sottolinea i vantaggi apportati dall'euro: il patto di stabilità e di crescita riformato nel 2005 ha indotto gli Stati membri ad adottare politiche fiscali coerenti con un obiettivo di stabilità macroeconomica dell'UEM, favorendo l'integrazione economica e dei mercati e un «effetto catalizzatore dell'integrazione dei mercati finanziari». Questa integrazione, che «ha accresciuto la resistenza dell'area dell'euro agli sviluppi esterni sfavorevoli», merita tuttavia una riflessione.

4.2.1   È vero che l'UEM ha permesso di costruire un mercato finanziario integrato forte, certamente più capace di resistere ad eventi esterni sfavorevoli di una serie di singoli mercati nazionali, ma si deve considerare che l'integrazione interna all'UEM è anche complementare ad una stretta interconnessione con i mercati mondiali. La Commissione rileva che «l'area dell'euro sembra essere al riparo dal peggio delle attuali turbolenze sui mercati finanziari mondiali»: ma queste turbolenze, in primis quella dei subprime, sono state importate da mercati esterni e causate da situazioni alle quali l'UEM era estranea.

4.2.2   Posta questa premessa, emerge la questione che la Commissione menziona più avanti nella sua comunicazione: l'influenza esterna dell'Eurogruppo, non solo nella governance economica ma anche nelle istituzioni che regolano i mercati finanziari. La crisi dei subprime è stata innescata da tecniche creditizie improprie e da sistemi discutibili di cartolarizzazione, in parte estranei alla pratica europea: sembra quindi lecito chiedersi se il danno non avrebbe potuto essere evitato, o attenuato, con una presenza istituzionale dell'Eurogruppo (e della BCE) nelle organizzazioni economiche e finanziarie mondiali.

4.2.3   A rafforzare questa convinzione giungono gli interventi pubblici di sostegno ed i fallimenti di grandi gruppi finanziari americani con filiali europee, che sollevano delicati problemi di concorrenza e di controllo. Il CESE non è peraltro l'unico ad affermarlo: la Commissione stessa lamenta l'assenza di una «voce forte nelle sedi internazionali», ma non dice, né tanto meno commenta, quanto — o quanto poco — abbia fatto il Consiglio per dare all'Europa, in concreto, questa «voce forte».

4.3   Per quanto concerne i «benefìci significativi per i paesi membri impegnati nel processo di recupero» non è il caso di soffermarvisi: la Commissione ha trattato l'argomento in una sua precedente comunicazione (3), che è stata commentata dal CESE con un suo parere (4).

4.4   L'euro «si è imposto…come seconda moneta internazionale» e rappresenta un quarto delle riserve mondiali; i prestiti bancari delle banche dell'area euro a favore di beneficiari esterni costituiscono il 36 % del totale, contro il 45 % in dollari USA. Non basta tuttavia compiacersi di questi successi: occorre che il peso dell'euro, che secondo ogni previsione è destinato ad aumentare, si traduca in risultati e benefici concreti, in primo luogo in relazione alle quotazioni del petrolio. La dipendenza da questa fonte energetica è uno dei freni che pesano sull'economia dei paesi dell'area euro, e per alcuni di essi in modo particolarmente acuto. Le fluttuazioni dei prezzi non sono soltanto dovute alle politiche monopolistiche dei paesi produttori: dipendono anche dalla speculazione e dalle fluttuazioni del dollaro, divenuto una moneta inaffidabile sotto il profilo della stabilità. Sarebbe il caso di cominciare a riflettere su una strategia tendente a quotare il petrolio in euro, per lo meno nelle transazioni con i paesi dell'UEM: si riconosce tuttavia che si tratta di una mossa non scevra da inconvenienti, e comunque da valutare con prudenza. In ogni caso, la possibilità di riuscita non dipenderebbe dalla sola posizione dell'euro ma anche dalla forza negoziale dell'Europa nel suo insieme.

4.5   La Commissione si sofferma quindi sulla governance economica, resa oggi possibile grazie all'azione dell'Eurogruppo, la cui efficacia è stata potenziata dal fatto di poter contare su una presidenza permanente. La governance interna sulla moneta non basta tuttavia ad assicurare stabilità e prestigio all'euro: le considerazioni fatte in precedenza mettono in evidenza la necessità di una «governance esterna», che sarà realizzabile (v. sopra, 4.2.2 e 4.4) solo se l'Eurogruppo e la BCE avranno un ruolo istituzionale nelle organizzazioni internazionali, in particolare nel Fondo monetario internazionale. Non è più accettabile che siano escluse dal diritto di voto le autorità che globalmente rappresentano la moneta unica.

5.   Le sfide che l'UEM deve ancora affrontare

5.1   L'economia dell'area UEM è in fase di recessione, al pari di quella americana e di altri paesi europei fuori dall'area: è una situazione comune al mondo occidentale e sarebbe fuorviante attribuirla ad un'influenza, diretta o indiretta, dell'euro. Da un'analisi più dettagliata emerge tuttavia che esistono «differenze sostanziali e persistenti tra i paesi in termini di inflazione e di costi unitari del lavoro». Per spiegarle, la Commissione evoca ragioni ormai ben note: l'assenza di reattività dei prezzi e delle retribuzioni, le scarse realizzazioni in materia di riforme strutturali, la ridotta integrazione dei mercati e l'insufficiente sviluppo della fornitura transfrontaliera dei servizi.

5.1.1   Il CESE ritiene che le prospettive di intervento in ciascuna delle aree citate siano in gran parte dipendenti dagli SM e dalle loro parti sociali. Nel contempo, rivolge un invito alla Commissione affinché avvii uno studio sulla misura in cui sarà possibile, a termine, realizzare l'integrazione dei mercati dei beni e dei servizi, tanto nell'eurozona che a livello dell'intera Comunità. Al di fuori delle affermazioni di principio, esiste un limite fisiologico all'integrazione, che non potrà mai essere superato: nonostante la necessaria opera di armonizzazione e di abbattimento degli ostacoli di tipo concorrenziale e legislativo, esisteranno infatti sempre differenze ineliminabili di contesti sociali, di fiscalità, di mercati del lavoro, di lingua.

5.1.2   Lo studio di cui sopra dovrebbe avere il compito di indirizzare il lavoro della Commissione e degli SM verso la definizione di una politica ispirata alla valutazione costante dei costi/benefici dell'armonizzazione: la realizzazione del mercato interno e la competitività non possono essere il solo obiettivo. Occorre tener conto dei riflessi sociali ed economici nei singoli paesi e delle loro capacità di adeguamento.

5.2   Al di fuori dell'inflazione, le altre componenti che concorrono alla scarsa crescita dell'economia sono solo indirettamente influenzate dalla politica monetaria, e comunque sottratte ai poteri d'intervento dell'Eurogruppo. Sarebbe quindi ingiusto, secondo il CESE, attribuire all'euro le cause di una situazione economica che accomuna i paesi della zona euro e gli altri: in nessuno di questi ultimi, d'altronde, l'opinione pubblica ha attribuito alla moneta nazionale le colpe che una parte consistente dell'opinione pubblica dell'eurozona addossa invece alla moneta unica.

5.3   Una nota preoccupante, in un quadro generalmente positivo ed ottimistico, si trova in una frase della Commissione (5): «al di là del conseguimento degli obiettivi iniziali, il programma politico dell'UEM per il prossimo decennio sarà caratterizzato da nuove sfide a livello mondiale che amplificheranno le debolezze dell'UEM descritte in precedenza». Sembrerebbe che, anziché di «debolezze dell'UEM» si debba parlare di sfide competitive dei paesi dell'eurozona: sostituzione dei settori in declino, ricerca, innovazione, capitale umano, alle quali si aggiungono gli aumenti dei prezzi dei generi alimentari, dell'energia e di alcune materie prime. Sullo sfondo, i cambiamenti climatici, l'invecchiamento della popolazione e l'immigrazione. Il problema è quindi, in primis, di carattere economico e sociale.

5.3.1   Tutti questi aspetti si traducono in quelle che, per usare i termini della Commissione, sono «sfide politiche particolarmente difficili per l'area dell'euro». Pur concordando con l'analisi della Commissione, il CESE ritiene di potere interpretare questa affermazione nel senso che i problemi sopra citati incidono sì sulle politiche dell'UEM, ma che essi sono da risolvere a livello comunitario piuttosto che di Eurogruppo. In altri termini, le politiche da sviluppare sono di carattere «europeo», mentre la missione dell'Eurogruppo deve essere limitata ad interventi diretti (e coordinati) solo in relazione alle questioni monetarie riguardanti l'euro.

6.   Un programma politico per il secondo decennio

6.1   Il documento della Commissione presenta il programma affermando che «sebbene nel complesso positiva, l'esperienza del primo decennio dell'UEM rivela un certo numero di carenze, alle quali occorre porre rimedio». Oltre a garantire il consolidamento della stabilità macroeconomica occorrerà «aumentare la crescita potenziale» e il benessere dei cittadini, proteggere gli interessi dell'area euro nell'economia mondiale e assicurare un «adeguamento morbido» delle nuove adesioni all'UEM.

6.2   Per raggiungere questi obiettivi la Commissione propone un programma basato su tre pilastri:

un programma di politica interna: fra l'altro, un accresciuto coordinamento e vigilanza delle politiche di bilancio e una migliore integrazione delle riforme strutturali nel coordinamento politico generale dell'UEM,

un programma di politica esterna: rafforzamento del ruolo dell'euro nella governance economica mondiale,

una governance economica, presupposto per l'attuazione dei due programmi suddetti.

6.3   In materia di politica interna non vengono evocati principi sostanzialmente nuovi ma si ribadiscono gli indirizzi di sana governance più volte enunciati in passato, come sostenibilità delle finanze pubbliche e loro miglioramento in termini di razionale utilizzo della spesa e dei sistemi tributari, orientandoli verso attività che favoriscano la crescita e la competitività. Oltre a questo, si evoca la «necessità di ampliare la vigilanza per correggere gli squilibri macroeconomici», quali la crescita dei disavanzi delle partite correnti e le differenze nel tasso d'inflazione. La Commissione sottolinea che l'integrazione, in particolare quella dei mercati finanziari, ha giocato in favore della solidità dell'UEM, ma che nel contempo essa può avere l'effetto di accentuare le divergenze fra i paesi partecipanti ove non sia accompagnata da politiche adeguate.

6.3.1   Il CESE non può che concordare con questa analisi, ma attira l'attenzione sulla opportunità di una cauta valutazione della realtà, o in altri termini sulla necessità di considerare quanto sia difficile conciliare l'enunciazione dei principi con la loro possibilità di pratica attuazione.

6.3.2   La spesa pubblica è uno degli elementi cruciali: la Commissione raccomanda di «prevedere norme ben concepite che permettano agli stabilizzatori automatici di funzionare nei limiti del patto di stabilità e di crescita, adeguando allo stesso tempo la composizione della spesa pubblica alle necessità strutturali e congiunturali dell'economia»: una raccomandazione difficile da tradurre in pratica in periodi caratterizzati da una turbolenza la cui durata non è al momento prevedibile. Le spinte inflazionistiche si sono ripercosse pesantemente sulla distribuzione dei redditi, sui salari e sugli investimenti, e in definitiva sulla competitività e sui sistemi sociali, ma in misura profondamente diversa nei diversi paesi dell'UEM. La composizione del disavanzo primario varia infatti da paese a paese, la bilancia commerciale è sempre più influenzata dal maggiore o minore peso della fattura energetica e i sistemi pensionistici presentano differenze strutturali notevoli, difficili da correggere in tempi normali ed ancora di più in periodi anomali.

6.3.3   Tenendo conto della realtà, la convergenza auspicata dovrebbe essere considerata come un traguardo a medio-lungo termine; il CESE concorda con la «chiara necessità di ampliare la vigilanza per correggere gli squilibri macroeconomici» basandosi sugli strumenti esistenti, ma mette in guardia contro facili ottimismi circa la loro efficacia a breve termine.

6.3.4   Per quanto riguarda i paesi candidati all'adesione all'area dell'euro, la Commissione si propone di esercitare una più ampia vigilanza sui loro sviluppi economici, in particolare per quelli che partecipano al meccanismo di cambio II (ERM II): anche qui, non si tratta di innovare ma semplicemente di migliorare l'efficienza di meccanismi esistenti. Un punto deve essere chiaro: una volta che un paese abbia raggiunto i parametri richiesti per l'ammissione all'UEM, l'adesione non è un'opzione: è prevista dal Trattato di adesione. L'attuale crisi potrebbe peraltro far procrastinare per diverso tempo il raggiungimento dei parametri; l'obiettivo prioritario di dare all'Europa una moneta unica potrebbe consigliare una certa flessibilità nella valutazione dei parametri o una loro attualizzazione.

6.3.5   In materia di integrazione dei mercati dei prodotti, dei servizi e del lavoro, la Commissione rileva il persistere di ostacoli regolamentari e di progressi difformi a seconda dei paesi. Questi aspetti non sono peraltro specifici dell'area dell'UEM e vanno quindi considerati come parte del più ampio panorama dell'Unione nel suo complesso. Come già rilevato al punto 5.1.1, esistono dei limiti fisiologici all'integrazione e anche altri costituiti dalle caratteristiche economiche o sociali dei diversi paesi: tali limiti devono essere considerati caso per caso e, se necessario, rispettati.

6.3.6   Circa i mercati finanziari, si afferma che «l'area dell'euro può trarre vantaggi comparativamente grandi dalla promozione dell'integrazione finanziaria dell'UE», e che «occorre compiere ulteriori sforzi per accrescere l'efficienza e la liquidità dei mercati finanziari dell'area dell'euro». Il CESE rileva che la politica della BCE in questo campo è esemplare e dà buone speranze di poter resistere — come finora ha resistito — anche a crisi parossistiche. Il contagio della crisi americana avrebbe potuto avere conseguenze ben più gravi, se a contenerle non avesse contribuito una politica ispirata alla difesa della solidità e liquidità dei mercati. Circa le strutture di controllo, che sembrano non aver preveduto, e tanto meno prevenuto, il tracollo di diversi grandi istituti, il CESE si astiene per il momento dal formulare giudizi, in attesa di maggiori informazioni che il mercato e l'opinione pubblica sono in diritto di richiedere.

6.3.6.1   Il CESE osserva a questo proposito, richiamandosi a quanto detto al punto precedente …, che la crisi americana è nata da un mercato carente sotto il profilo delle regole e dei controlli. Il risultato paradossale è che proprio l'economia liberista per antonomasia ha dovuto ricorrere all'aiuto dei poteri pubblici per far fronte al disastro, con aiuti di Stato e ingenti iniezioni di liquidità. Una perdita per l'economia, per il bilancio dello Stato e per i cittadini USA, ma soprattutto per la credibilità di un sistema.

6.4   In materia di politica esterna la Commissione enuncia un programma secondo cui l'area dell'euro dovrebbe accrescere il suo ruolo internazionale, attuando una strategia «all'altezza dello status internazionale della sua moneta». Si ripete inoltre l'auspicio, già espresso in passato in molteplici occasioni, che essa «si esprima con una sola voce» in tutte le istanze monetarie internazionali. Il CESE ribadisce ancora una volta il suo pieno appoggio al programma: l'assenza delle autorità di governo dell'euro nelle istituzioni monetarie mondiali costituisce un'anomalia inaccettabile, sul piano operativo ma soprattutto sul piano politico.

6.4.1   La Commissione accenna ad una resistenza da parte di «altri paesi», che riterrebbero che «l'UE e l'area dell'euro siano sovrarappresentate nelle organizzazioni internazionali (in termini sia di seggi che di diritto di voto)»: dalle scarse e reticenti informazioni disponibili si ha l'impressione che in effetti questa resistenza esista, e che le pressioni a favore di una maggiore rappresentazione, da parte dei paesi UE sia membri che non membri dell'UEM, non siano né convinte né coordinate. L'Eurogruppo dovrebbe far sentire una sua voce robusta, in primis all'interno del Consiglio.

6.4.2   Per attenuare le resistenze dei paesi non UE, il CESE ritiene che i paesi dell'UEM potrebbero fare un passo, che avrebbe un elevato significato simbolico, rinunciando non ai loro seggi ma al diritto di voto individuale: secondo la logica, dato che l'euro come moneta è governato da una sola autorità, ad essa sola dovrebbe essere riservato il diritto di voto. Anche su questo aspetto le parti sociali hanno il diritto di essere informate; la reticenza è certamente dovuta a delicati problemi politici, ma i silenzi e la mancanza di trasparenza non rafforzano l'accettazione dell'Europa, e tanto meno quella dell'euro.

6.5   Il documento della Commissione termina con il capitolo forse più denso di contenuti e di implicazioni: la governance dell'UEM. Si parla di «un forte impegno di tutti gli SM dell'UE in seno al Consiglio Ecofin» in materia di politica economica, di «una maggiore integrazione delle questioni legate all'UEM» e di un «approccio più coerente» nei settori di competenza dell'Ecofin: politica macroeconomica, mercati finanziari e fiscalità.

6.5.1   Questo approccio non avrebbe bisogno di alcun commento se non per assentire; il CESE rileva però che nelle decisioni del Consiglio Ecofin ben raramente si fa riferimento all'UEM come parte direttamente o indirettamente interessata nelle decisioni. La politica economica ha un rapporto di interdipendenza reciproca con la politica monetaria: all'interno dell'UE l'euro non è la sola moneta ma è la più importante, non solo perché rappresenta un gruppo consistente di paesi ma anche a ragione delle prospettive di adesione di altri SM.

6.5.2   Il ruolo della Commissione nella governance dell'UEM è fondamentale, non solo come sostegno per assicurarne il corretto funzionamento ma anche nelle sue funzioni di vigilanza di bilancio e macroeconomica. La Commissione si propone di rafforzare e rendere più efficace la sua opera, così come si adopererà per rendere più incisivo il suo ruolo nelle sedi internazionali. Queste funzioni diventeranno più estese e più incisive con il nuovo Trattato, che permette alla Commissione di «adottare misure» riguardanti gli SM dell'UEM in materia di disciplina di bilancio e di orientamenti di politica economica, oltre ad affidarle compiti di vigilanza e di sorveglianza. Il nuovo Trattato, inoltre, stabilisce all'art. 121 che la Commissione ha il potere di rivolgere «avvertimenti» agli SM che deviano dagli indirizzi di massima.

6.5.3   Il CESE si felicita dell'impegno della Commissione e auspica che con il nuovo Trattato essa possa svolgere le sue funzioni, sia quelle tradizionali che quelle nuove, con la massima efficienza e con il prestigio che le spetta. Ma in particolare auspica che tutte le autorità economiche e monetarie traggano insegnamenti dalla crisi americana dei subprime e concludano per una approfondita revisione delle politiche che sin qui hanno ispirato la condotta dei mercati finanziari.

6.5.4   Gli eventi americani hanno creato una crisi sistemica in tutto il mondo; l'Europa ne ha sinora risentito in misura considerevole, e non si possono escludere ulteriori scosse. Nel procedere all'esame della crisi l'approccio macroeconomico trarrebbe grande giovamento dal fatto di essere affiancato da una analisi storica con un approccio microeconomico: da un tale doppio approccio potrebbero emergere le ragioni profonde del fenomeno, che maturavano da tempo.

6.5.5   Da sempre negli USA il credito ipotecario viene erogato al 100 % del valore dell'immobile, valore che sale sensibilmente con le spese connesse. In Europa, invece,sino a un paio di decenni fa la maggior parte dei paesi si atteneva ai criteri imposti dalla prudenza, e in taluni casi dalle leggi bancarie: il credito era concesso per un valore massimo del 70-80 %. La ragione era evidente: una possibile discesa dei prezzi del mercato immobiliare avrebbe diminuito il valore delle garanzie.

6.5.6   Sotto la spinta della liberalizzazione dei mercati, e soprattutto della concorrenza scatenata dalla loro integrazione, la «regola del 70 %» è stata abbandonata anche in Europa, senza peraltro, finora, provocare e gravi inconvenienti. Resta tuttavia il fatto che la«regola del 100 %»è malsana dal punto di vista prudenziale e dell'etica del mercato. Il sistema di «credito facile» induce chiunque ad acquistare un immobile: se poi si profila una crisi, i pagamenti dei debitori «deboli» cessano e da questo nasce una situazione di generale sovraindebitamento. Da parte sua, il finanziatore viene in possesso di un bene ipotecato il cui valore spesso non copre l'importo finanziato e decide quindi di vendere; ma la messa sul mercato del bene in questione contribuisce ulteriormente alla spinta al ribasso del mercato.

6.5.7   L'interazione fra crisi economica e crisi del mercato immobiliare è evidente: ma quando la tecnica della cartolarizzazione, dei «pacchetti» e dei subprime diviene una pratica generalizzata essa si trasmette all'intero mercato finanziario, generando una crisi intersistemica di proporzioni senza precedenti. Ed esiste il legittimo timore che questa non sia la fine della storia: l'elevato livello di indebitamento delle famiglie, con crediti al consumo e carte di credito, fa temere l'esplosione di un'altra «bolla» di proporzioni imprevedibili.

6.5.8   In Europa il potere politico e le autorità monetarie si sono adoperate per evitare disastri peggiori, agendo con iniezioni di liquidità ed acquisizioni di istituzioni finanziarie: si tratta di un'emergenza che implica aiuti di Stato, e che quindi contraddice la dottrina del liberismo senza regole e con pochi controlli.

6.5.9   Oltre a far fronte alla situazione contingente, è urgente ora esaminare le radici lontane della crisi: occorrono regole precise per la concessione di prestiti ipotecari e di carte di credito, sistemi di vigilanza più efficaci estesi anche a tutto il comparto multiforme e poco trasparente delle «non banche», un riesame dell'ammissibilità al mercato mobiliare di una quantità di prodotti poco trasparenti sulla cui natura ed affidabilità gli esperti stessi non riescono a pronunciarsi. Non si tratta di abbandonare l'economia di mercato: è piuttosto il caso di darle delle regole.

Bruxelles, 24 marzo 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  COM(2008) 238 def.

(2)  European Economy 2/2008, EMU@10, Successes and Challenges after 10 Years of Economic and Monetary Union, Economic and Financial Affairs Directorate General.

(3)  Cfr. la Comunicazione della Commissione L'economia dell'UE: rassegna 2006 — Rafforzare l'area dell'euro: le principali priorità politiche, COM(2006) 714 def.

(4)  Cfr. il parere del CESE sul tema L'economia dell'UE: rassegna 2006 — Rafforzare l'area dell'euro: le principali priorità politiche G U C 10 del 15.1.2008, pag. 88.

(5)  COM(2008) 238 def., UEM@10: successi e sfide di un decennio di Unione economica e monetaria, capitolo Le sfide che l'UEM deve ancora affrontare amplificate dalle nuove tendenze a livello mondiale, fine del 5° paragrafo.


22.9.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 228/123


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato delle regioni e al Comitato economico e sociale europeo — Libro verde sulla coesione territoriale — Fare della diversità territoriale un punto di forza

COM(2008) 616 def.

2009/C 228/24

La Commissione europea, in data 6 ottobre 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell’articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato delle regioni e al Comitato economico e sociale europeo — Libro verde sulla coesione territoriale — Fare della diversità territoriale un punto di forza»

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 marzo 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore OLSSON.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 marzo 2009, nel corso della 452a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 88 voti favorevoli, nessun voto contrario e 11 astensioni.

1.   Contesto

1.1   Fin dalla sua creazione, l’Unione europea è stata investita del compito di assicurare lo sviluppo armonioso delle economie degli Stati membri, riducendo le disparità fra le differenti regioni (1).

1.2   Tale compito, rimasto nell’ombra nei primi decenni della costruzione europea, ha assunto una notevole importanza con la riforma varata nel 1988 da Jacques Delors in seguito all’adozione dell’Atto unico, che ha espressamente istituito la politica di coesione economica e sociale.

1.3   Il Trattato di Amsterdam, firmato nel 1997, associa la coesione sociale e territoriale ai servizi di interesse economico generale nell’ambito dei valori comuni dell’Unione (2).

1.3.1   Lo stesso Trattato di Amsterdam precisa che «la Comunità mira a ridurre il divario tra i livelli di sviluppo delle varie regioni e il ritardo delle regioni meno favorite o insulari, comprese le zone rurali».

1.4   Se la procedura di ratifica del Trattato di Lisbona andrà a buon fine, l’Unione europea si vedrà assegnare un nuovo obiettivo: promuovere la coesione economica, sociale e territoriale (3).

1.5   Tra le regioni interessate, un’attenzione particolare sarà rivolta «alle zone rurali, alle zone interessate da transizione industriale e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, quali le regioni più settentrionali con bassissima densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna» (4).

1.6   Nel maggio 2007, nella riunione informale del Consiglio dei ministri per lo Sviluppo urbano e la coesione territoriale è stata adottata l’Agenda territoriale, in cui i 27 Stati membri si impegnano a cooperare tra loro, con la Commissione e con le altre istituzioni europee per promuovere uno sviluppo territoriale policentrico dell’UE e un utilizzo migliore delle risorse disponibili nelle regioni (5), e si dotano di un programma di lavoro fino al 2011.

2.   Osservazioni generali

2.1   Il 6 ottobre 2008 la Commissione ha pubblicato il Libro verde sulla coesione territoriale - Fare della diversità territoriale un punto di forza  (6). Questo breve documento esordisce con una presentazione della coesione economica e sociale dal punto di vista territoriale, per poi individuare i punti di forza e le sfide della diversità territoriale europea in relazione alle tre principali risposte politiche: concentrazione, collegamento e cooperazione. Esso prosegue analizzando le regioni con caratteristiche geografiche specifiche, quali le regioni di montagna, insulari e scarsamente popolate, e suggerisce che l’approccio ottimale per conseguire l’obiettivo della coesione territoriale consiste nel coniugare un migliore coordinamento delle politiche settoriali con un ampliamento del partenariato fra i diversi livelli di governo.

2.1.1   La consultazione si conclude con un elenco di 15 domande raggruppate in 6 tematiche. Il CESE analizzerà tali domande secondo il loro ordine di presentazione nel Libro verde, soffermandosi in alcuni casi a discutere la frase introduttiva che nel Libro verde precede sistematicamente ciascuna di esse.

2.1.2   Il Libro verde offre al CESE l’opportunità di precisare le sue riflessioni sulla coesione territoriale facendo leva sullo specifico ruolo attribuitogli dai Trattati, sulla sua composizione e sulla competenza specifica dei suoi membri.

2.1.3   Per arricchire il dibattito, il CESE cercherà di integrare, più che di avvalorare, le riflessioni formulate dagli altri organi comunitari.

2.1.4   Val la pena di notare che la dimensione territoriale dell’azione comunitaria e delle politiche settoriali, nonché l’approccio territoriale della politica di coesione economica e sociale, hanno formato oggetto di diversi pareri del CESE, i quali rappresentano una fonte inestimabile di ispirazione.

2.1.5   Per il CESE, dunque, la coesione territoriale deve costituire un obiettivo comune, che tutti i livelli territoriali sono chiamati a perseguire, nel rispetto della sussidiarietà, ma che può essere effettivamente conseguito solo se tutti questi livelli si assumono le loro responsabilità in maniera coordinata e complementare.

2.2   Il CESE svolge un ruolo essenziale nel favorire una maggiore adesione e partecipazione della società civile organizzata al progetto europeo e, nella fattispecie, nel contribuire all’attuazione delle politiche e delle azioni volte a promuovere la coesione territoriale. Esso sottolinea che, per realizzare tale coesione, la democrazia partecipativa, riconosciuta come una componente dei principi democratici del funzionamento dell’Unione (7), rappresenta una condizione imprescindibile.

2.2.1   Infatti, il tendenziale aumento delle disparità economiche e sociali, fenomeni spesso concomitanti in determinati territori, è un fattore di rischio politico non trascurabile, poiché può aggravare la sfiducia dei cittadini nei confronti dei loro governanti in generale e della costruzione europea in particolare.

2.2.2   Viceversa, la coesione territoriale può consentire di preservare o sviluppare il capitale sociale. Infatti, la ricchezza delle relazioni tra i membri di un gruppo o di una comunità a livello locale - garanzia di dinamismo e di innovazione sul piano sociale, economico, politico e culturale - dipende fortemente da condizioni di vita armoniose e dalle possibilità di scambio con gli altri territori.

2.3   Il CESE accorda una particolare importanza ad un approccio che parta dai cittadini, dai loro bisogni e dalle loro attese. Le condizioni di vita delle persone, segnatamente di quelle più svantaggiate, devono essere al centro delle riflessioni e costituire un obiettivo primario della coesione territoriale. Il progresso sociale sostenuto dallo sviluppo economico è il presupposto fondamentale per ridurre le disparità esistenti tra i cittadini o tra i territori.

2.4   Il CESE ritiene che l’essere umano e la cittadinanza debbano essere al centro delle politiche e delle azioni comunitarie, e insiste sull’attuazione della Carta dei diritti fondamentali quale strumento indispensabile per la coesione territoriale.

2.4.1   Il CESE ritiene che la coesione territoriale debba fondarsi su un nuovo contratto con i cittadini e con la società civile organizzata, che consenta un’interazione tra le procedure partecipative «dal basso» - compreso il dialogo civile - e le iniziative dell’Unione europea.

2.4.2   Il CESE raccomanda pertanto di applicare il principio «pensare anzitutto in piccolo» (Think Small First), in modo da definire le politiche settoriali a partire dalle esigenze dei cittadini e degli attori socioeconomici al più basso livello territoriale.

2.5   Il CESE promuove un modello sociale fondato su valori e obiettivi comuni europei che integrino sviluppo economico e progresso sociale. La politica sociale e quella economica sono interdipendenti: esse si rafforzano a vicenda, trovando perlopiù espressione concreta nel territorio.

2.5.1   Il CESE rammenta che il concetto di coesione territoriale è iscritto nel Trattato sull’Unione europea da oltre dieci anni, associato ai servizi di interesse economico generale. Esso chiede dunque alla Commissione di provvedere quanto prima a stilare un bilancio normativo, giurisprudenziale ed economico dell’attuazione pratica di tale concetto dall’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam.

2.5.2   Il CESE richiama l’attenzione sul fatto che il territorio non è soltanto un concetto geografico, ma racchiude in sé anche una dimensione identitaria. È per questo che la coesione territoriale evoca un senso di appartenenza, includendo tutte le componenti della vita individuale e collettiva.

2.5.3   In alcune persone, il territorio suscita un sentimento positivo ed è motivo di orgoglio, ad esempio nel caso di paesi, città o regioni che vantano un passato glorioso o un patrimonio naturale di notevole pregio o godono di grande reputazione per il loro dinamismo culturale o economico. In altri, invece, il territorio suscita un sentimento negativo, poiché viene associato a una serie di svantaggi, a un luogo di disagi economici, privazioni e violenze sociali, come nel caso dei quartieri urbani degradati.

2.5.4   L’azione a favore della coesione territoriale, pertanto, deve essere al tempo stesso multidimensionale e multidirezionale, e mirare sia a favorire e valorizzare gli aspetti positivi sia a correggere o prevenire quelli negativi.

2.6   Il CESE ritiene che sia necessario dar forma concreta all’obiettivo della coesione territoriale e renderlo operativo, definendo con chiarezza una tabella di marcia. In passato, infatti, il metodo della «tabella di marcia» si è sempre rivelato straordinariamente efficace: basti pensare all’«Obiettivo 92» per il mercato unico, alle tappe dell’Unione economica e monetaria, oppure ancora ai negoziati per l’adesione con i paesi dell’Europa centrale e orientale. Il CESE raccomanda quindi che, al termine della consultazione, sia stabilito un calendario di attuazione e siano formulate proposte relative agli strumenti e ai metodi di intervento.

2.6.1   In proposito, il CESE tiene a rammentare che l’attuale bilancio comunitario non permette di garantire in modo appropriato la coesione economica, sociale e territoriale in Europa (8). Inoltre, esso deplora che la lentezza e la complessità delle procedure rendano difficile l’accesso ai finanziamenti da parte dei destinatari finali, ossia i cittadini e le imprese.

2.6.2   Il CESE accoglie con favore il Libro verde sulla coesione territoriale, giudicandolo un ulteriore progresso sulla strada dell’integrazione europea, e plaude all’apertura di un dibattito su questo tema. Riconosce che questo nuovo obiettivo rischia di generare ostacoli sul piano pratico e suscitare riserve su quello politico. Tuttavia, esso deplora che il Libro verde non fornisca informazioni sufficienti sulle azioni di coordinamento e di cooperazione già in corso e non si dimostri sufficientemente ambizioso nelle linee d’azione proposte.

3.   Risposte alle domande formulate nel Libro verde

3.1   Qual è la definizione più appropriata di coesione territoriale?

3.1.1

Il CESE nota con rammarico che la Commissione non ha incluso nel Libro verde le riflessioni già formulate su tale argomento, mentre nelle sue relazioni sulla coesione aveva già proposto delle definizioni.

3.1.2

Il CESE condivide l’analisi sviluppata dalla Commissione nella sua Terza relazione sulla coesione economica e sociale, in cui essa osserva che «in termini di misure politiche, l’obiettivo è raggiungere uno sviluppo maggiormente equilibrato riducendo le disparità esistenti, prevenendo gli squilibri territoriali e rendendo più coerenti le politiche settoriali, che hanno un impatto territoriale, e la politica regionale. Altra finalità è il miglioramento dell’integrazione territoriale e la promozione della cooperazione tra regioni» e che «nonostante le difficoltà di alcune regioni, la parità di accesso all’infrastruttura di base, ai servizi essenziali e alla conoscenza - a quelli, cioè, che sono definiti servizi d’interesse economico generale - per tutti, ovunque vivano, è una condizione fondamentale per la coesione territoriale».

3.1.3

Sulla base dei suoi pareri precedenti, il CESE ritiene inoltre che la coesione territoriale debba rendere possibile adottare una «visione d’insieme del territorio europeo» (9). A suo avviso, lo sviluppo equilibrato e sostenibile dei territori dell’Unione europea (10) deve servire a conciliare la competitività, la coesione economica e sociale e i risultati economici basati sulla conoscenza (11) con gli obiettivi di solidarietà e di equità sociale (12).

3.1.4

Il CESE ritiene che i cittadini faranno propria la coesione territoriale soltanto quando essa comincerà ad assumere per loro un significato concreto e quando essi parteciperanno alla sua definizione e alla sua attuazione. In conclusione, il CESE privilegia una definizione della coesione territoriale incentrata sui «vantaggi» che ne derivano per i cittadini e gli attori socioeconomici sul campo: la coesione territoriale deve garantire pari opportunità e condizioni di vita eque per tutti gli europei, ovunque.

3.2   Quali elementi ulteriori apporterebbe all’approccio alla coesione economica e sociale attualmente seguito dall’Unione europea?

3.2.1

Il CESE ritiene che la coesione territoriale ponga nuovamente l’accento sulla necessità di garantire sinergicamente la coesione economica e quella sociale. Nel contesto attuale, contraddistinto da un susseguirsi di crisi - finanziaria, economica, alimentare, immobiliare, climatica, ecc. -, la coesione territoriale evidenzia la non sostenibilità del modello di sviluppo da noi adottato negli ultimi 50 anni.

3.2.2

Il CESE è dell’avviso che le tre dimensioni della coesione - sociale, economica e territoriale - debbano essere promosse simultaneamente, incoraggiando l’avvento di un modello di sviluppo maggiormente sostenibile.

3.2.3

Il Comitato rammenta che, nella Terza relazione sulla coesione, la Commissione delineava tre funzioni della politica di coesione territoriale, nessuna delle quali preminente rispetto alle altre: la funzione correttiva, volta alla «riduzione delle disparità esistenti», la funzione preventiva, che mira a rendere «più coerenti le politiche settoriali, che hanno un impatto territoriale», e la funzione incitativa, volta al «miglioramento dell’integrazione territoriale» e alla «promozione della cooperazione tra regioni».

3.2.4

Questa triplice funzione appare sensata al Comitato, che sottolinea tuttavia come la coesione territoriale non possa in alcun caso essere ridotta a un capitolo da aggiungere all’attuale politica di coesione economica e sociale. Tutte le politiche, infatti, devono essere inserite nel quadro di una strategia territoriale, da definire a livello europeo, nazionale, regionale e perfino locale (13).

3.2.5

Per quanto concerne le politiche strutturali dell’Unione europea (quali definite nel Libro verde), il CESE chiede una migliore integrazione tra i fondi, che vada ben oltre il necessario coordinamento.

3.3   Dimensioni e portata dell’azione territoriale

3.3.1

Il CESE è sorpreso che la Commissione presenti la governance multilivello solo come un’eventualità o una possibilità, mentre si tratta di uno strumento necessario, che ha dimostrato tutta la sua efficacia e va affermandosi gradualmente come un principio di governo nell’Unione europea.

3.3.2

Il CESE appoggia la proposta di un approccio integrato, ma, come precedentemente osservato, ritiene che ciò debba tradursi in misure concrete e precise, quali l’integrazione dei fondi legati alle politiche strutturali dell’UE. Il Comitato sottolinea inoltre con rammarico che la prassi attuale rappresenta un forte arretramento rispetto ai periodi di programmazione precedenti. Infatti, il proliferare delle regole contabili, finanziarie e di audit ha determinato un aumento dei controlli amministrativi, situazione che comporta procedure più complesse per i beneficiari finali.

3.4   L’UE ha un ruolo nel promuovere la coesione territoriale? Come si potrebbe definire tale ruolo nel contesto del principio della sussidiarietà?

3.4.1

Secondo il CESE, la chiave di volta di una strategia efficace di sviluppo urbano è in primo luogo l’individuazione di opportuni sistemi di governance, per passare poi all’azione con una gestione integrata di situazioni complesse, che prevedono la compresenza di:

pluralità di livelli territoriali di intervento e di decisione, e

molteplicità di centri decisionali, con specificità e obiettivi prioritari propri.

3.4.2

Un approccio bottom-up basato su una cittadinanza impegnata favorisce l’integrazione delle politiche comunitarie e nazionali, soprattutto perché la società civile organizzata dovrebbe normalmente adottare un approccio olistico nei confronti delle politiche e delle azioni, a differenza delle autorità responsabili delle politiche settoriali a livello nazionale ed europeo. Tale approccio è assolutamente coerente con la sussidiarietà in tutte le sue forme.

3.4.3

Il CESE rinnova la sua richiesta di stabilire un calendario preciso che indichi in dettaglio obiettivi ed azioni a breve, medio e lungo termine (14), e includa le scadenze e le azioni già avviate o progettate dalle istituzioni e dalle parti interessate, segnatamente ai livelli europeo e nazionale.

3.5   In che misura la dimensione territoriale dell’intervento politico dovrebbe variare in funzione della natura dei problemi considerati?

3.5.1

Per il CESE, una delle principali concretizzazioni della coesione territoriale è la garanzia dell’accesso ai SIEG e ai SSIG  (15) per tutti i cittadini europei, ovunque essi vivano o lavorino. Si tratta, più precisamente, di un ambito che richiede una forte coerenza tra le politiche e una governance multilivello efficace. La situazione attuale è tutt’altro che soddisfacente, in particolare per i territori più vulnerabili e per i loro abitanti o attori economici e sociali.

3.5.2

Il CESE ribadisce la propria richiesta di «definire a livello comunitario riferimenti e norme che valgano per tutti i servizi di interesse generale (siano essi di tipo economico o non economico), compresi quelli sociali, e inserirli in una direttiva quadro, da adottarsi in codecisione, che introduca una disciplina comunitaria adatta alle loro specificità» (16).

3.6   Zone con caratteristiche geografiche particolari richiedono misure particolari? Se sì, quali?

3.6.1

Al fine di creare delle vere «pari opportunità» tra i territori, il CESE raccomanda l’adozione di una politica specifica per le regioni gravate da svantaggi permanenti, comprese quelle ultraperiferiche, basata sui principi di permanenza (prevedibilità a lungo termine delle misure), di discriminazione positiva (per quanto attiene alle risorse di bilancio e, sul piano giuridico, a determinate deroghe ai principi comuni) e di proporzionalità (adeguatezza della portata e degli effetti delle singole misure ai casi concreti), per tenere conto della diversità delle situazioni (17).

3.6.2

In queste regioni, che necessitano di sforzi supplementari per la pianificazione del loro sviluppo e la definizione degli appropriati progetti finanziari, il ruolo dell’UE non deve essere quello di sostituirsi agli enti territoriali e ai partner socioeconomici locali e regionali, bensì quello di incoraggiare con forza questi soggetti ad agire in maniera concertata e a cooperare.

3.7   Migliore cooperazione

3.7.1

Il CESE ritiene che la cooperazione costituisca uno dei pilastri del modello sociale europeo, nonché uno strumento indispensabile per l’integrazione.

3.7.2

A suo avviso, la cooperazione territoriale incontra degli ostacoli per via della riluttanza dei diversi livelli dell’amministrazione pubblica a cooperare e a condividere le rispettive competenze. L’UE deve promuovere una cultura della cooperazione nelle regioni, agevolando e semplificando l’uso degli strumenti esistenti, come ad esempio il partenariato.

3.7.3

Il CESE riconosce senz’altro la portata dei primi due aspetti dell’obiettivo della cooperazione territoriale, ossia la cooperazione transfrontaliera e quella transnazionale. Insiste tuttavia sull’importanza della cooperazione interregionale - dimenticata nel Libro verde dalla Commissione europea -, che costituisce di per sé uno strumento notevole di scambio di esperienze e di buone prassi tra territori non contigui che condividono gli stessi scopi.

3.8   Quale ruolo dovrebbe svolgere la Commissione nell’incoraggiare e sostenere la cooperazione territoriale?

3.8.1

Il CESE è dell’avviso che la coesione territoriale debba offrire agli attori e agli abitanti dei territori meno favoriti l’opportunità di attuare la loro strategia di sviluppo e non solo di porsi in una situazione di dipendenza e di attesa riguardo a un eventuale contributo finanziario. Per essere incoraggiati a valorizzare i loro punti di forza e a realizzare i loro progetti, tali soggetti devono poter accedere a reti specifiche di innovazione e di scambio di buone prassi con altri attori provenienti da territori accomunati dalle stesse sfide geografiche, climatiche o demografiche.

3.8.2

Il CESE chiede dunque alla Commissione di porre maggiormente l’accento sull’innovazione territoriale, sociale e politica nel capitolo della cooperazione interregionale Interreg IV C, di rafforzare la cooperazione nell’ambito dell’asse 4 del FEASR dedicato al programma Leader, e di introdurre modifiche che agevolino l’utilizzo delle risorse finanziarie disponibili.

3.9   Sono necessarie nuove forme di cooperazione territoriale?

3.9.1

Il CESE invoca l’attuazione o il ripristino dei programmi di iniziativa comunitaria a partire dalla revisione intermedia delle politiche strutturali. Infatti, la soppressione di programmi come URBAN, EQUAL, Interprise o altri ancora, i quali si erano rivelati realmente efficaci, ha costituito una perdita per la cooperazione territoriale tematica così come per l’innovazione sociale, in quanto il loro ruolo non è stato ripreso né nel mainstreaming dei fondi né altrove.

3.9.2

Il CESE sottolinea infine che è necessario adeguare le forme consuete di cooperazione territoriale alla situazione delle regioni dell’UE che, per la loro prossimità con altre grandi regioni del mondo, presentano caratteristiche geografiche specifiche, quali le regioni ultraperiferiche dei Caraibi o dell’Oceano indiano oppure quelle situate alla frontiera orientale dell’Unione.

3.10   Ènecessario elaborare nuovi strumenti legislativi e di gestione per facilitare la cooperazione, anche lungo le frontiere esterne?

3.10.1

Il CESE appoggia con grande vigore la creazione di gruppi europei di cooperazione territoriale (GECT) e invoca l’adeguamento dei quadri giuridici nazionali per consentire l’utilizzo di tali strumenti in tutta l’Unione europea. Poiché l’istituzione dei GECT è appena iniziata, il CESE ritiene che sia troppo presto per stilare un bilancio e ipotizzare la creazione di altri nuovi strumenti. Tale azione potrebbe essere intrapresa nell’ambito della tabella di marcia proposta al punto 2.6.

3.11   Migliore coordinamento

3.11.1

Il CESE ritiene che il miglioramento della coesione territoriale non possa prescindere da un approccio strategico nei confronti dello sviluppo dei territori grazie a una maggiore coerenza degli interventi, poiché nessuna politica, da sola, può rimediare a tutte le disparità territoriali prodotte dalle politiche settoriali e dall’evoluzione autonoma delle diverse tendenze dell’attuale modello di sviluppo.

3.12   Come si può migliorare il coordinamento fra politiche territoriali e settoriali?

3.12.1

Il CESE sottolinea che «tutte le politiche europee devono promuovere l’obiettivo della coesione sociale», nonché «uno sviluppo economico più equilibrato» nei territori (18).

3.12.2

La coesione territoriale richiede il raggiungimento di serie di compromessi preventivi tra l’insieme delle politiche settoriali e i diversi livelli di governance, da quello locale a quello comunitario.

3.13   Quali politiche settoriali dovrebbero tener maggiormente conto dell’impatto territoriale nella fase di elaborazione? Quali strumenti potrebbero essere messi a punto a tale fine?

3.13.1

Il Comitato ritiene, in linea con il Parlamento europeo, che sia indispensabile adottare un approccio integrato alle politiche comunitarie, integrando la dimensione territoriale soprattutto nelle politiche in materia di trasporti, ambiente, agricoltura, concorrenza e ricerca.

3.13.2

Il CESE raccomanda che, considerato il notevolissimo rilievo della politica agricola comune per il territorio europeo nelle sue dimensioni economica, sociale, ambientale e paesaggistica, la riflessione sul futuro di tale politica tenga conto delle sfide della coesione territoriale.

3.13.3

La legislazione, le politiche e i programmi dell’Unione europea dovrebbero essere analizzati in base alle loro ripercussioni sulla coesione territoriale. La Commissione ha una responsabilità particolare in questa valutazione di impatto, che dovrebbe coinvolgere da vicino tutti i soggetti interessati. Si dovrebbero definire criteri qualitativi a sostegno dell’analisi e della valutazione necessarie (19).

3.14   Come si può rafforzare la coerenza delle politiche territoriali?

3.14.1

Il CESE raccomanda di rafforzare la coerenza delle politiche territoriali e propone al Consiglio dei ministri di ricorrere al metodo di coordinamento aperto  (20) per la coesione territoriale, con dei precisi orientamenti, seguiti da esercizi di benchmarking, revisioni fra pari e condivisioni di buone prassi, coinvolgendo tutti i soggetti interessati. Il CESE raccomanda che la governance multilivello e il coordinamento intersettoriale siano riconosciuti fra gli orientamenti da seguire nell’applicazione di tale metodo.

3.14.2

Il ricorso al metodo di coordinamento aperto potrebbe anche essere previsto nella tabella di marcia proposta al punto 2.6.

3.15   Come si possono combinare più efficacemente le politiche comunitarie e nazionali ai fini della coesione territoriale?

3.15.1

Il CESE sottolinea i progressi compiuti dagli Stati membri in occasione delle riunioni informali dei ministri per lo Sviluppo urbano e la coesione territoriale svoltesi a Lipsia, nelle Azzorre e a Marsiglia, e raccomanda di procedere al coordinamento volontario delle politiche nazionali e all’integrazione delle politiche settoriali, conformemente agli impegni dell’Agenda territoriale, nonché di incoraggiare gli enti regionali e locali a calare tali pratiche nei rispettivi livelli di governo. Il CESE rammenta che, per il territorio europeo, il patrimonio culturale e naturale costituisce una risorsa essenziale che, anche in assenza di un’attribuzione espressa di competenze, necessita comunque di un approccio coordinato.

3.16   Nuovi partenariati territoriali

3.16.1

Il CESE ritiene che una più ampia partecipazione dei soggetti interessati - nell’elaborazione e nell’attuazione delle politiche - sia una condizione indispensabile per la coesione territoriale.

3.16.2

Il dialogo sociale deve costituire uno dei pilastri principali della governance territoriale. In proposito il CESE raccomanda che, per rafforzare la partecipazione delle parti sociali, la Commissione valorizzi e promuova il dialogo sociale territoriale.

3.16.3

Il CESE accoglie favorevolmente la posizione dei ministri competenti che, nel Primo programma d’azione (21), hanno insistito sul fatto che la governance multilivello è uno strumento fondamentale per garantire una gestione equilibrata del territorio dell’UE e si sono proposti di riunirsi con un gruppo di attori interessati e di rappresentanti degli enti locali e regionali per discutere l’attuazione delle priorità indicate nell’Agenda territoriale.

3.17   È necessario per la coesione territoriale che al processo decisionale partecipino nuovi soggetti, quali rappresentanti dell’economia sociale, portatori di interesse, organizzazioni di volontariato e ONG?

3.17.1

I patti territoriali per lo sviluppo propongono un approccio interessante, in quanto la diversità delle situazioni e delle sfide concrete impone la mobilitazione di strumenti e di competenze diverse, e segnatamente di tutti i soggetti coinvolti, ossia in primo luogo le parti sociali, gli attori dell’economia sociale e le ONG che operano in ambito sociale e ambientale nonché nei campi dello sviluppo locale, della parità uomo-donna e della formazione lungo tutto l’arco della vita.

3.17.2

Di fronte alle ristrutturazioni indotte dalla crisi finanziaria ed economica, è ancora più importante, se non addirittura urgente, stipulare patti di questo tipo nei territori interessati.

3.17.3

Il CESE appoggia l’idea, espressa dal CdR, secondo cui i partenariati fra gli enti locali e regionali, da un lato e le organizzazioni dell’economia sociale dall’altro possono rappresentare un importante strumento per un efficace sviluppo socioeconomico di paesi, città, regioni o altri livelli territoriali, nonché per la promozione della coesione territoriale. Questo approccio di partenariato va esteso a tutti i nuovi attori della società civile interessati.

3.17.4

Il CESE richiama l’attenzione sull’importanza dell’economia sociale, in cui opererebbe il 10 % delle imprese europee, e insiste sul ruolo che tale economia è chiamata a svolgere anche ai fini della coesione e dello sviluppo sostenibile, poiché essa àncora l’occupazione al territorio, dinamizza le zone rurali, crea capitale sociale e partecipa ai processi di ristrutturazione settoriale e territoriale (22).

3.18   Come si può raggiungere il livello di partecipazione auspicato?

3.18.1

Il CESE è dell’avviso che consultazioni ben strutturate possano portare a partenariati efficaci con soggetti non governativi e con le parti sociali in tutti gli anelli della catena della coesione territoriale (definizione, monitoraggio e valutazione) (23).

3.18.2

A giudizio del CESE, una buona governance multilivello presuppone l’instaurazione di partenariati con le organizzazioni rappresentative della società civile a livello regionale e locale. Attraverso il loro operato, tali organizzazioni potrebbero contribuire allo sviluppo di un modello partecipativo della società civile nell’ottica di una definizione e attuazione delle politiche funzionali al rafforzamento della coesione territoriale (24).

3.18.3

Di conseguenza, sarebbe opportuno consentire alla società civile organizzata rappresentativa a livello regionale e locale di partecipare in modo responsabile e trasparente alla definizione e all’attuazione delle politiche e azioni della coesione territoriale (25).

3.19   Approfondire la comprensione della coesione territoriale

3.19.1

Il CESE sottolinea l’importanza di organizzare, ai fini di una migliore comprensione della coesione territoriale da parte dei cittadini, un dibattito permanente a tutti i livelli sulle sfide da raccogliere e sulle scelte strategiche da operare in futuro nell’ambito della coesione territoriale. L’obiettivo di tale dibattito dovrebbe essere segnatamente quello di contribuire alla creazione di un rinnovato consenso su una coesione territoriale basata sull’impegno comune di tutti i soggetti interessati, e in particolare delle organizzazioni della società civile.

3.20   Quali indicatori quantitativi/qualitativi dovrebbero essere messi a punto a livello UE per monitorare le caratteristiche e le tendenze della coesione territoriale?

3.20.1

Il CESE è dell’avviso che occorra definire nuovi indicatori del «benessere», non basati esclusivamente sul PIL/PNL, ma in grado di evidenziare i progressi realizzati in fatto di qualità della vita secondo il livello territoriale (26).

3.20.2

Esso ritiene urgente elaborare una nuova serie di criteri di valutazione delle regioni, al fine di stilare una nuova carta della coesione europea che determini l’ammissibilità delle regioni comunitarie agli aiuti, poiché il solo criterio del PIL pro capite è fonte di discriminazioni relative nell’attuazione delle politiche strutturali. I livelli delle qualifiche delle risorse umane, la disuguaglianza dei redditi, i deficit infrastrutturali, inclusi il grado di accesso ai servizi di interesse generale e la portata della protezione sociale, la distanza rispetto al centro propulsore dell’economia europea, la struttura demografica, ecc., sono altrettanti fattori di rilievo di cui si deve tener conto (27). Eurostat, ESPON e i loro omologhi nazionali dovrebbero lavorare per consolidare uno strumentario statistico più completo e preciso. Questi criteri di valutazione e lo strumentario statistico fungeranno da base per gli indicatori nell’ambito del metodo di coordinamento aperto proposto al punto 3.14.1.

3.20.3

Infine, bisogna altresì tener conto dei metodi adottati dalle regioni stesse e diffondere le buone prassi da loro sviluppate (28).

Bruxelles, 25 marzo 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

MarioSEPI


(1)  Preambolo del Trattato di Roma.

(2)  Futuro articolo 14 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

(3)  Futuro articolo 3, paragrafo 3, del Trattato sull’Unione europea.

(4)  Futuro articolo 174 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

(5)  Verso un’Europa più competitiva e sostenibile composta di regioni diverse - Agenda territoriale dell’Unione europea, riunione informale del Consiglio dei ministri per lo Sviluppo urbano e la coesione territoriale, Lipsia, 25 maggio 2007.

(6)  COM(2008) 616 def.

(7)  Futuro articolo 11 del Trattato sull’Unione europea.

(8)  Parere CESE in merito alla Quarta relazione sulla coesione economica e sociale, GU C 120 del 16.5.2008, pag. 73, punto 2.1.

(9)  Parere CESE sul tema L’agenda territoriale, GU C 168 del 20.7.2007, pag. 16.

(10)  Parere CESE sul tema Il 2° pilastro della PAC: le prospettive di adattamento della politica di sviluppo delle zone rurali (Il seguito della conferenza di Salisburgo), GU C 302 del 7.12.2004, pag. 53, punto 2.4.

(11)  Parere CESE sul tema Le trasformazioni industriali e la coesione economica, sociale e territoriale, GU C 302 del 7.12.2004, pag. 41, punto 1.3.

(12)  Parere del CESE tema Schema di sviluppo dello spazio europeo (SSSE) — Prima bozza ufficiale, GU C 407 del 28.12.1998, pag. 85, punto 4.6.

(13)  Parere CESE sul tema L’agenda territoriale, GU C 168 del 20.7.2007, pag. 16.

(14)  Parere CESE in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo relativa ad una Strategia tematica sull’ambiente urbano, GU C 318 del 23.12.2006, pag. 86, punto 2.3.7.

(15)  Rispettivamente, servizi di interesse economico generale e servizi sociali di interesse generale.

(16)  Parere CESE in merito alla Quarta relazione sulla coesione economica e sociale, GU C 120 del 16.5.2008, pag. 73, punto 3.4.

(17)  Parere CESE sul tema Verso una maggiore integrazione delle regioni gravate da svantaggi naturali e strutturali permanenti, GU C 221 del 8.9.2005, pag. 141.

(18)  Parere CESE sul tema L’agenda territoriale, GU C 168 del 20.7.2007, pag. 16, punto 7.2.

(19)  Parere CESE sul tema Un nuovo programma europeo di azione sociale (SOC/295), GU C 27 del 3.2.2009, pag. 99.

(20)  Parere CESE sul tema L’agenda territoriale, GU C 168 del 20.7.2007, pag. 16.

(21)  Primo programma d’azione per l’attuazione dell’Agenda territoriale dell’Unione europea, 23 novembre 2007.

(22)  Cfr. la relazione del Parlamento europeo sull’economia sociale (relatrice: Patrizia TOIA, 2008/2250 (INI)) e la sintesi della relazione del Ciriec intitolata L’economia sociale nell’Unione europea, pubblicata dal CESE nel 2007.

(23)  Parere CESE sul tema Partenariato quale strumento di attuazione dei fondi strutturali, GU C 10 del 14.1.2004, pag. 21. Parere CESE sul tema Governance e partenariato a livello nazionale e regionale e per progetti di politica regionale, GU C … del …, pag. …, punti 1.9 e 1.10 (ECO/228).

(24)  Parere CESE sul tema Governance e partenariato a livello nazionale e regionale e per progetti di politica regionale, GU C … del …, pag. …, punto 1.2 (ECO/228).

(25)  Il concetto di RST (responsabilità territoriale sociale), elaborato dalla Rete europea degli enti locali e regionali per l’economia sociale (Réseau Européen des Villes et régions pour l’Economie Sociale - REVES), rappresenta un modello di questa partecipazione attiva.

(26)  Parere CESE sul tema Un nuovo programma europeo di azione sociale (GU C 27 del 3.2.2009, pag. 99, punto 7.11.1).

(27)  Parere CESE sul tema L’impatto e le conseguenze delle politiche strutturali sulla coesione dell’Unione europea, GU C 93 del 27.4.2007, pag. 6, punto 1.3.

(28)  Ad esempio, il metodo TSR (Territori socialmente responsabili) adottato dalla Rete europea degli enti locali e regionali per l’economia sociale (Réseau Européen des Villes et régions pour l’Economie Sociale - REVES).


22.9.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 228/130


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica delle direttive 92/79/CEE, 92/80/CEE e 95/59/CE per quanto concerne la struttura e le aliquote delle accise che gravano sui tabacchi lavorati

COM(2008) 459 def. — 2008/0150 (CNS)

2009/C 228/25

Il Consiglio europeo, in data 11 settembre 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 93 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica delle direttive 92/79/CEE, 92/80/CEE e 95/59/CE per quanto concerne la struttura e le aliquote delle accise che gravano sui tabacchi lavorati»

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 marzo 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore CHREN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 marzo 2009, nel corso della 452a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 32 voti favorevoli e 2 voti contrari.

1.   Considerazioni conclusive

1.1

La funzione delle accise sta cambiando e, se in passato l'obiettivo principale di queste imposte sul consumo di tabacco era esclusivamente fiscale, esse stanno diventando sempre più uno strumento della politica sanitaria e di quella sociale. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) approva lo sforzo della Commissione europea di prendere in considerazione, nella sua politica sulle accise, altri effetti oltre a quelli puramente fiscali dei tabacchi lavorati. Questa nuova impostazione politica riserva una particolare attenzione agli obiettivi di politica sanitaria indicati nella convenzione quadro dell'Organizzazione mondiale della sanità sulla lotta al tabagismo, che con la sua adozione ufficiale da parte dell'Unione europea nel 2005 è diventata vincolante per la definizione della politica futura.

1.2

Occorre tuttavia rilevare che non si dovrebbero dimenticare né tralasciare altri obiettivi politici della revisione delle accise sui tabacchi, tra cui quello fondamentale di un corretto funzionamento del mercato interno, menzionato nell'articolo 4 della direttiva sulle accise sui tabacchi. Pertanto, a giudizio del CESE, il compito più difficile per i responsabili politici in questo campo è quello di trovare l'equilibrio ottimale fra le differenti finalità perseguite dalla politica economica, sociale, di sicurezza e fiscale. Occorre quindi tener presenti aspetti e valori diversi.

1.3

La proposta della Commissione europea di allineare gradualmente le aliquote minime per il tabacco trinciato a taglio fino a quelle applicabili alle sigarette e di dare una definizione più rigorosa di sigaretta, sigaro e tabacco da pipa, in modo da evitare manipolazioni delle denominazioni dei tabacchi lavorati volte a far applicare l'accisa più bassa, riscuotono l'approvazione del Comitato.

1.4

Il Comitato sottoscrive l'impostazione scelta dalla Commissione europea, che offre una maggiore libertà agli Stati membri di adottare decisioni in sintonia con i loro obiettivi politici, per esempio una forbice più ampia per la componente specifica dell'accisa applicata alle sigarette oppure regole meno rigide per la fissazione della base fiscale minima per le sigarette.

1.5

Il CESE raccomanda di ridurre l'accisa minima di 90 EUR proposta o di estendere il periodo da quattro a otto anni (1o gennaio 2018).Tenuto conto della diversità delle tradizioni e delle condizioni sociali fra gli Stati membri, va notato che in taluni paesi, specie quelli che hanno aderito all'UE da poco, l'innalzamento dell'accisa minima da 64 EUR a 90 EUR per 1 000 sigarette potrebbe comportare molte conseguenze negative. Alcuni di questi Stati membri non hanno neanche raggiunto il livello minimo dell'accisa previsto dalle direttive in vigore. Un livello minimo di accisa a 90 EUR per tutti i prezzi di vendita al minuto rappresenta un incremento del 41 % su un periodo di 4 anni e risulta almeno del 300 % superiore all'aumento previsto dei prezzi al consumo nell'UE. C'è il rischio che un provvedimento così radicale abbia un effetto trascurabile di diminuzione del consumo di tabacco, abbassi il gettito potenziale, riduca il potere d'acquisto dei consumatori, rafforzi il contrabbando e le attività illegali, oltre a far salire l'inflazione.

1.6

Va notato che poche fra le azioni proposte porteranno a una maggiore armonizzazione delle aliquote all'interno dell'Unione europea. Molto probabilmente, viste le misure proposte, le differenze di tassazione in termini assoluti e relativi fra gli Stati membri non scompariranno.

1.7

Ad esempio, il requisito minimo percentuale trova la sua motivazione storica nel perseguire l'armonizzazione delle accise nell'UE, eppure non ha raggiunto questo obiettivo e può anche produrre il risultato opposto. L'incremento proposto dell'incidenza minima dell'accisa dal 57 % al 63 % accrescerebbe ulteriormente la differenza in termini assoluti tra le accise applicate e potrebbe avere gravi effetti inflazionistici, come segnalato dalla relazione sulla valutazione d'impatto della Commissione. In considerazione dei dubbi effetti di questo requisito minimo percentuale, sarebbe opportuno studiare nuovamente a fondo e riconsiderare non solo l'incremento proposto, ma anche la stessa ragion d'essere di tale requisito.

1.8

È pressoché certo che l'impiego dei prezzi medi ponderati (PMP) al posto della classe di prezzo più richiesta (MPPC) come parametro di riferimento per il requisito minimo percentuale non condurrà a una maggiore trasparenza nel mercato, né a una migliore capacità di previsione delle entrate dello Stato, né a una maggiore armonizzazione nel mercato delle sigarette. Ci si chiede pertanto se non sia possibile un'ulteriore semplificazione della proposta della Commissione.

1.9

La questione di quale sia il tipo di prelievo fiscale da applicare ai tabacchi lavorati rimane aperta. Dare preferenza all'aliquota proporzionale può avere conseguenze positive per quanto riguarda l'eliminazione del mercato nero, ma questo effetto dipende da vari fattori e non è quindi certo. Preferire un'aliquota esclusivamente specifica può contribuire all'incremento del gettito fiscale e innalzare la base fiscale minima e favorire così il raggiungimento degli obiettivi di politica sanitaria e il ravvicinamento fiscale nel mercato interno.

1.10

Il requisito di un'incidenza minima obbligatoria dell'accisa (del 38 % per le sigarette e del 42 % per il trinciato a taglio fino) per tutti i tabacchi a taglio fino, invece dell'attuale accisa minima fissata in percentuale del prezzo di vendita al minuto oppure calcolata come importo fisso per chilogrammo, determinerebbe una struttura obbligatoria dell'accisa ad valorem ed eliminerebbe l'attuale libertà di scelta nella struttura dell'accisa sui tabacchi a taglio fino. Pertanto, il Comitato non concorda con la proposta di un'incidenza minima obbligatoria dell'accisa.

1.11

Il rapporto fra politica fiscale e politica sanitaria è funzione in larga misura dell'assegnazione del gettito fiscale delle accise sui tabacchi ad attività volte ad eliminare le conseguenze negative del consumo di tabacco. Tuttavia, se si considera il finanziamento complessivo destinato attualmente a queste attività, è del tutto evidente che la maggior parte del gettito delle accise sui tabacchi è spesa per attività e politiche che non hanno nessuna relazione con tali obiettivi di politica sanitaria. Non vi è quindi alcun dubbio sul fatto che gli obiettivi fiscali continuano ad essere gli obiettivi principali delle accise sui tabacchi lavorati.

2.   Introduzione

2.1

Le direttive riguardanti le accise che gravano sui tabacchi prevedono l'obbligo per la Commissione europea di esaminare ogni quattro anni il corretto funzionamento del mercato interno, il valore reale delle aliquote di accisa e il quadro più ampio degli obiettivi del Trattato. Le disposizioni dell'Unione europea sui tabacchi devono garantire il corretto funzionamento del mercato interno e al tempo stesso essere conformi all'obiettivo della stessa UE di scoraggiare il consumo di tabacco.

2.2

Il riesame attuale, il quarto in ordine di tempo, propone una serie di modifiche significative alla normativa comunitaria vigente per aggiornare le norme attuali e garantire condizioni uniformi agli operatori. La riforma comprende varie proposte:

2.3

sebbene le accise rappresentino essenzialmente uno strumento per generare entrate a livello nazionale, la definizione di una politica in questo ambito deve tener conto del quadro più ampio costituito dagli obiettivi del Trattato (1). Inoltre, un aspetto sostanziale di tale riesame è la tutela della salute pubblica, tenuto conto del fatto che, il 30 giugno 2005, la Commissione è diventata parte della convenzione quadro dell'OMS per la lotta al tabagismo e che diversi Stati membri esigono un livello più alto di tutela della salute umana e, di conseguenza, l'introduzione di importi minimi più elevati a livello europeo per le accise sul tabacco.

2.4

La proposta della Commissione prevede la fissazione di un'accisa minima in termini monetari e di una base fiscale applicabile a tutte le sigarette vendute nell'UE, al fine di tenere conto delle preoccupazioni di salute pubblica per tutte le categorie di sigarette. Aumenta i requisiti minimi per contribuire a una riduzione del consumo di tabacco nei prossimi cinque anni, in particolare evitando che le politiche di controllo del consumo di tabacco di taluni Stati membri siano vanificate da livelli di tassazione notevolmente inferiori in altri Stati membri. Lascia, inoltre, agli Stati membri maggiore flessibilità nell'applicazione di accise specifiche e nel prelievo di accise minime sulle sigarette, al fine di conseguire gli obiettivi in materia di salute pubblica. Infine, per scoraggiare la sostituzione delle sigarette con tabacco trinciato a taglio fino, allinea le aliquote minime e la struttura applicabili al tabacco trinciato a taglio fino da usarsi per arrotolare sigarette alle aliquote e alla struttura previste per le sigarette.

3.   Sintesi dell'azione proposta dalla Commissione

3.1

Utilizzare i prezzi medi ponderati (PMP) al posto della classe di prezzo più richiesta (MPPC) come parametro di riferimento per il requisito minimo percentuale. La Commissione sostiene che l'MPPC, come valore di riferimento per le aliquote minime, non è coerente con gli obiettivi del mercato interno in quanto prevede una compartimentazione dei mercati del tabacco degli Stati membri;

3.2

aumentare gradualmente l'accisa minima per le sigarette in linea con l'obiettivo dell'armonizzazione dei prezzi nel mercato interno e con le considerazioni relative alla salute. Viene proposto di aumentare l'accisa minima da 64 EUR a 90 EUR per 1 000 sigarette e il requisito minimo percentuale dal 57 % al 63 % del prezzo medio ponderato a partire dal 1o gennaio 2014. Tuttavia, gli Stati membri che applicano un'accisa di almeno 122 EUR per 1 000 sigarette sulla base del prezzo medio ponderato di vendita al minuto non sono tenuti a rispettare la regola del 63 %. Inoltre, gli Stati membri cui è stato concesso un periodo transitorio per raggiungere il livello minimo di tassazione sulle sigarette potrebbero trarre vantaggio da un periodo transitorio di 1 o 2 anni per soddisfare questi nuovi obblighi più elevati;

3.3

applicare l'obbligo relativo all'aliquota minima dell'accisa fissato nella direttiva dell'Unione europea non solo alle sigarette appartenenti alla classe di prezzo più richiesta (MPPC) (come avviene attualmente), bensì a tutti i tipi di sigarette venduti in uno Stato membro. Secondo la Commissione, ciò consentirebbe anche di creare una base fiscale per le sigarette vendute nell'UE, permettendo di prendere in considerazione le questioni connesse al mercato interno e alla tutela della salute per tutte le categorie di sigarette;

3.4

consentire agli Stati membri di ampliare la fascia dell'accisa specifica, dal 5-55 % al 10-75 % dell'onere fiscale globale, allo scopo di accrescere la flessibilità della struttura delle accise;

3.5

allineare gradualmente le aliquote minime applicabili al tabacco trinciato a taglio fino da usarsi per arrotolare sigarette a quelle delle sigarette. Il rapporto prescelto in termini fiscali tra tabacco trinciato a taglio fino e sigarette è di 2:3. L'accisa minima per il tabacco trinciato a taglio fino dovrebbe quindi essere di 43 EUR/kg e il requisito minimo percentuale dovrebbe essere pari al 38 % del prezzo medio ponderato. L'applicazione del suddetto rapporto agli aumenti proposti per le accise sulle sigarette (a decorrere dal 1o gennaio 2014) farebbe salire l'accisa sul trinciato a taglio fino rispettivamente a 60 EUR e al 42 %. Inoltre, con questa proposta l'attuale facoltà di scelta tra un requisito minimo percentuale e un'accisa specifica minima per il trinciato a taglio fino verrebbe eliminata, il che comporterebbe una struttura obbligatoria ad valorem per l'accisa su questo tipo di tabacco lavorato;

3.6

adeguare in funzione dell'inflazione i requisiti minimi per sigari, sigaretti e tabacco da fumo. Questo adeguamento si rende necessario per tener conto dell'inflazione nel periodo 2003-2007 che, stando ai dati Eurostat sul tasso di variazione annuo dell'indice armonizzato dei prezzi al consumo, è stata pari all'8 %. Si propone quindi di aumentare tali requisiti minimi, portandoli a 12 EUR per sigari e sigaretti e a 22 EUR per gli altri tabacchi da fumo;

3.7

modificare, rendendola più rigorosa, la definizione esistente di sigarette, sigari e tabacco da pipa, in modo da evitare manipolazioni delle denominazioni dei tabacchi lavorati volte a far applicare l'accisa più bassa.

3.8

La Commissione sostiene che, dal punto di vista del mercato interno, del bilancio e della salute, l'applicazione di accise specifiche e minime presenta vantaggi evidenti. Per questo motivo, propone di offrire una maggiore flessibilità agli Stati membri che si affidano maggiormente alle accise specifiche o a quelle minime.

3.9

La Commissione europea esamina periodicamente la struttura e l'aliquota delle accise applicate negli Stati membri e utilizza le informazioni sui quantitativi e i prezzi dei tabacchi lavorati offerti al consumo. Per garantire una raccolta efficiente ed efficace di tali informazioni presso tutti gli Stati membri, si propongono nuove norme relative alla comunicazione di informazioni e alla definizione dei dati statistici necessari.

4.   I diversi approcci all'aliquota delle accise

4.1   Nel secolo e mezzo trascorso da quando, nel 1861, a Londra venne messa in vendita la prima sigaretta, il tabacco e i suoi prodotti sono stati oggetto di estese regolamentazioni e di un'ampia tassazione. L'introduzione delle accise ha rappresentano una pietra miliare in questo campo. Mentre l'obiettivo principale delle prime accise sul tabacco era di ordine puramente fiscale, la loro funzione nel mondo odierno sta cambiando ed esse diventano sempre più uno strumento della politica sanitaria e di quella sociale.

4.2   È una situazione che presenta numerosi problemi di ordine etico, economico e di altro tipo; tra questi il tema delle forme di tassazione più adeguate, in particolare nel contesto del mercato unico europeo, è quello più comune. Si presentano poi le questioni di come utilizzare il gettito proveniente dalla tassazione del tabacco e di stabilire se la politica fiscale sia il modo migliore per conseguire gli obiettivi sanitari e sociali.

4.3   Oltre 30 anni fa l'Europa ha avviato un lungo processo per cercare di armonizzare le accise sul tabacco. L'obiettivo di questo processo era l'armonizzazione della struttura impositiva e anche, quindi, delle aliquote fiscali. Il CESE, pur appoggiando senza esitazioni l'armonizzazione in questo settore, si rammarica per il fatto che una reale convergenza non si è mai realizzata. Le tradizioni nazionali e le consolidate differenze storiche nei regimi fiscali nazionali sono la ragione principale delle divergenze fra i singoli Stati membri.

4.4   Attualmente per il tabacco e i tabacchi lavorati si possono utilizzare tre tipi di struttura dell'accisa: specifica, ad valorem e mista. Gli Stati membri sono obbligati attualmente ad usare la struttura mista per le accise sulle sigarette e sono liberi di scegliere quali di questi tre tipi di accise applicare agli altri prodotti del tabacco.

4.4.1   L'aliquota ad valorem è fissata in percentuale del prezzo di vendita al minuto del tipo di tabacco lavorato. Ai fini fiscali, in un periodo di inflazione elevata, l'aliquota ad valorem è la più efficiente per il governo, in quanto il gettito fiscale aumenta automaticamente ad ogni aumento del prezzo di vendita del prodotto considerato. Essa tuttavia può anche dissuadere i produttori dal migliorare la qualità del prodotto se ciò comporta prezzi più alti e quindi anche il pagamento di tasse più elevate.

4.4.2   L'aliquota specifica è calcolata come importo fisso per chilogrammo o per pezzo (nel caso dei sigari e dei sigaretti). Essa costituisce lo strumento più efficace per ridurre il consumo dei prodotti del tabacco, però presenta anche degli svantaggi. I produttori di tabacco non possono influire sulle accise basate sull'aliquota specifica e né la qualità né il prezzo dei prodotti del tabacco incidono sul gettito fiscale statale.

4.4.3   La struttura mista è una combinazione tra l'aliquota specifica e quella ad valorem e gli Stati membri sono tenuti ad applicarla alle sigarette. È tuttavia possibile anche fissare un'accisa minima, la cui entità aumenta al crescere della componente ad valorem dell'aliquota combinata totale.

4.4.4   Oltre alle accise, nell'UE i tabacchi lavorati sono assoggettati anche all'imposta sul valore aggiunto e, secondo la legislazione vigente, tutti gli Stati membri devono applicare l'aliquota IVA di base a tutti i prodotti del tabacco.

4.5   Nel decidere la struttura dell'accisa sul tabacco si dovrebbe tener conto di tutti i fattori collegati. Analogamente, al momento di scegliere se dare la preferenza all'uno o all'altro tipo di tassazione, si dovrebbero tener presenti gli effetti dal punto di vista del consumatore, del governo e dei produttori. Non esiste una struttura fiscale ottimale per tutti, visto che la combinazione ideale fra aliquota specifica e ad valorem dipende dagli obiettivi politici di ciascun singolo Stato o governo.

Table 1:   Comparison of Specific and Ad Valorem Taxes on Tobacco Market Participants

Participant/Concern

Impact

Specific Tax

Ad Valorem Tax

Consumer: Quality and Variety

Provide an incentive for higher quality and greater variety of products

Yes (upgrading effect).

No.

Effect of tax increase on price.

Higher prices (overshifting).

Lower prices (undershifting).

Government: Revenue and Administration

Maintain revenue value under high inflation.

No (should be adjusted by CPI).

Yes.

Minimize evasion/avoidance and realize expected revenues.

Manufacturer can manipulate cigarette length or pack size to reduce tax payment.

May need to set minimum price to counter abusive transfer pricing.

Administration and Enforcement.

Easy.

Must define the base for ad valorem in a way that minimizes the industry's ability to avoid taxes.

Domestic Producer: Profits and Marketshare

Protect domestic brands against international brands.

No.

Yes (the higher the price, the higher the absolute amount of tax paid per unit since tax is a percentage of price).

Source: The World Bank, http://www1.worldbank.org/tobacco/pdf/Taxes.pdf.

5.   I diversi approcci alla base fiscale delle accise

5.1

Nel tentativo di armonizzare le politiche di tassazione degli Stati membri dell'UE, si era scelto il criterio della «classe di prezzo più richiesta» (MPPC) come meccanismo di calcolo dei requisiti minimi fiscali per i tabacchi lavorati.

5.2

L'efficienza dell'MPPC come strumento di politica fiscale è tuttavia discutibile e le più frequenti riserve espresse riguardo all'uso dell'MPPC includono i seguenti aspetti:

non esistono regole omogenee o armonizzate per definire l'MPPC e ciò provoca notevoli differenze fra gli Stati membri (cfr. Figura 1 e Grafico 1),

la situazione sul mercato si è modificata rispetto a quella in cui l'MPPC venne introdotta 30 anni fa ed è notevolmente cresciuta la diversificazione dei prodotti,

i produttori che vantano una posizione di mercato dominante sono in grado di accrescere l'onere fiscale che grava sui loro concorrenti modificando il prezzo dei loro prodotti allo scopo di far cambiare l'MPPC,

i prezzi dell'MPPC possono variare da un anno all'altro, il che complica la stima del gettito da accise futuro, ecc.

5.3

Per tutti i motivi esposti sopra, la Commissione europea propone di utilizzare i prezzi medi ponderati (PMP), al posto della classe di prezzo più richiesta (MPPC), come parametro di riferimento per il requisito minimo percentuale. Inoltre, per effetto di questa modifica il requisito relativo all'aliquota dell'accisa minima previsto nella direttiva dell'Unione europea si applicherà non solo alle sigarette appartenenti alla classe di prezzo più richiesta (MPPC) (come avviene attualmente), bensì a tutti i tipi di sigarette venduti in uno Stato membro. Il prezzo medio ponderato viene calcolato moltiplicando il numero e il prezzo delle sigarette vendute e dividendo il prodotto per il numero totale delle sigarette vendute. L'effetto sull'entità dell'accisa può essere duplice. Se in un determinato Stato membro le sigarette più richieste sono quelle relativamente costose, l'accisa minima calcolata utilizzando come parametro di riferimento il prezzo medio ponderato risulterebbe inferiore a quella calcolata in base all'MPPC. Inversamente, se le sigarette più richieste sono quelle relativamente più economiche, l'accisa calcolata sulla base dei prezzi medi ponderati sarà superiore a quella calcolata utilizzando come valore di riferimento l'MPPC. Nel caso in cui le sigarette più richieste appartengano alla classe di prezzo intermedia, si otterrebbe la stessa accisa sia con un metodo che con l'altro.

5.4

Dal punto di vista della programmazione fiscale dei governi, l'MPPC e i PMP sono entrambi assai complicati in quanto variano di anno in anno e non sono di agevole previsione. In assenza di una metodologia chiara e uniforme per il calcolo dei PMP, c'è il rischio che questo parametro di riferimento si trasformi in un altro meccanismo complesso e non trasparente. Ci si chiede pertanto se non sia possibile un'ulteriore semplificazione delle proposte della Commissione.

Picture 1:

Different prices of the MPPC across Europe (as of January 1, 2008)

Image

6.   Possibili ripercussioni e politiche da considerare

6.1   Obiettivi di politica sanitaria

6.1.1

Dopo la riunione tenutasi fra i suoi paesi membri nel 2003, l'Organizzazione mondiale della sanità ha pubblicato la convenzione quadro per la lotta al tabagismo (FCTC), che descrive le possibili maniere per ridurre il consumo dei prodotti del tabacco. La FCTC è stata adottata ufficialmente dall'UE il 30 giugno 2005 e la Commissione europea l'ha quindi integrata nella legislazione applicabile in tutti gli Stati membri.

6.1.2

La strategia dell'UE per la lotta contro il tabagismo è illustrata nel documento, redatto per la Commissione da un gruppo di esperti, intitolato Tabacco o salute nell'Unione europea. Questo documento considera le accise sul tabacco come il principale strumento di lotta contro il tabagismo e indica esplicitamente che, in relazione a queste accise, gli obiettivi di politica sanitaria dovrebbero prevalere su quelli della politica fiscale. Il documento propone altresì di escludere il tabacco dall'indice dei prezzi al consumo.

6.1.3

La Commissione europea propone un rialzo graduale, ma deciso, delle aliquote delle accise sui tabacchi, mettendo l'accento sull'armonizzazione delle aliquote fra gli Stati membri. Per quanto riguarda il tabacco trinciato a taglio fino, si propone un forte aumento della tassazione, visto che le sigarette arrotolate a mano stanno conquistando una quota di mercato considerevole. La Commissione mette in evidenza che gli Stati membri dovrebbero mettere l'accento sul controllo del contrabbando e sulle altre attività illegali connesse ai prodotti del tabacco.

6.1.4

Il costo complessivo della produzione di tabacchi nell'UE è stimato attorno ai 100 miliardi di euro. Si calcola che all'incirca 650 000 cittadini europei muoiano ogni anno per gli effetti del consumo di tabacco e circa 13 milioni di cittadini europei soffrano di malattie croniche legate al fumo.

6.1.5

In tema di tassazione del tabacco è opportuno fare inoltre presente la differenza fra la tassazione sulle sigarette e quella sul tabacco da fumo, che esercita una notevole influenza sul comportamento dei consumatori. Secondo studi dell'OMS in materia (2), fintantoché non si applicherà la stessa tassazione a tutti i tabacchi, i fumatori continueranno a sostituire un tipo di prodotto del tabacco con un altro. L'OMS raccomanda pertanto di tassare tutti i tabacchi lavorati (sigarette, tabacco da fumo, sigari, ecc.) con aliquote equivalenti.

6.1.6

Oltre ad aumentare l'onere fiscale, alcuni Stati membri hanno anche introdotto un prezzo minimo per le sigarette, in quanto il solo aumento delle tasse non sempre portava all'aumento di prezzo auspicato volto a ridurre il consumo di tabacco. Attualmente quattro Stati membri (vale a dire, Italia, Irlanda, Austria e Francia, ma anche la legislazione portoghese contempla questa opzione) hanno varato tali misure sul livello minimo di prezzo e per questo motivo la Commissione li ha citati in giudizio innanzi la Corte di giustizia delle Comunità europee, in quanto ritiene che questa disposizione violi la libera formazione dei prezzi garantita dalle direttive dell'UE in materia di fiscalità e dal Trattato. Un'altra prassi corrente dei governi degli Stati membri consiste nel cercare di regolamentare il numero di sigarette contenute in un pacchetto e, infatti, dal 1o maggio 2006 normative sul numero minimo di sigarette per pacchetto esistono in 17 Stati dell'UE. Nella maggior parte di essi la normativa è stata adottata nel corso degli ultimi cinque anni. Pertanto, si osserva che gli Stati membri stanno integrando la propria normativa fiscale con disposizioni sul prezzo di vendita e sul numero minimo di sigarette per pacchetto, intese quali strumenti supplementari per trovare il giusto equilibrio tra gli obiettivi fiscali e quelli di politica sanitaria pubblica. Questo riesame delle accise sui tabacchi offre quindi l'opportunità per regolare tali disposizioni nazionali a livello comunitario, allo scopo di far progredire l'armonizzazione nell'UE.

Chart 1:

Comparison of excise duty on cigarettes (min. EUR 64 per 1 000) and hand rolled cigarettes (fine cut, min. EUR 24 per 1 000 hand rolled cigarettes) as of 1 January 2007 (3)

Image

6.2   Obiettivi di politica sociale

6.2.1

Considerata l'esperienza degli anni precedenti, la Commissione europea ha stimato che occorre un aumento del 25 % della tassazione delle sigarette per farne diminuire il consumo del 10 % in 22 Stati membri. Gli effetti previsti potrebbero tuttavia variare in ragione delle differenze esistenti tra i livelli di tassazione degli Stati membri; l'impatto può essere diverso in determinati paesi, soprattutto nei nuovi Stati membri.

6.2.2

Il rincaro delle sigarette dovuto ad accise più elevate farebbe diminuire il potere di acquisto dei consumatori. Questo effetto potrebbe essere più marcato nei paesi più poveri, specialmente in alcuni dei nuovi Stati membri. Rispetto ai vecchi Stati membri, in alcuni Stati dell'Europa centrale e orientale il tenore di vita è ancora basso e i cittadini spendono una quota maggiore del loro reddito per acquistare beni di prima necessità. Nonostante i prezzi delle sigarette in questi paesi siano molto inferiori a quelli dei vecchi Stati membri dell'UE, quando si considera il potere d'acquisto, le sigarette e anche altri prodotti non risultano più così abbordabili. Inoltre, è più frequente che nei paesi con un tenore di vita inferiore i cittadini destinino una quota maggiore del loro reddito all'acquisto di bevande alcoliche e di tabacchi lavorati. Di conseguenza, il rincaro dei prezzi avrebbe un impatto maggiore sui consumatori dei nuovi Stati membri che non sui consumatori degli Stati membri con un più alto tenore di vita.

6.2.3

La domanda di sigarette è relativamente anelastica, vale a dire che un aumento del prezzo di vendita non causa un forte calo del loro consumo. Ne consegue che di fronte a un incremento dei prezzi delle sigarette i consumatori possono reagire in due maniere diverse. Alcuni potrebbero essere costretti a spendere meno per altri beni, con conseguente diminuzione del loro potere d'acquisto, mentre altri inizierebbero ad acquistare sigarette e tabacchi di prezzo inferiore (la cosiddetta «scelta al ribasso») oppure sigarette di contrabbando.

6.2.4

Secondo una ricerca medica, anche se il consumo di tabacco può in generale calare per effetto di prezzi più alti delle sigarette, le differenze nelle abitudini di fumo legate al livello di reddito possono non scomparire. In effetti, la ricerca, pubblicata sull'American Journal of Public Health, prova che le differenze nelle abitudini di fumo tra i diversi gruppi di reddito si sono amplificate con l'aumento del prezzo di vendita del pacchetto di sigarette, al crescere della quota dei fumatori a più basso reddito. La ricerca giunge alla conclusione che il rincaro delle sigarette può imporre un onere sproporzionato per i fumatori con basso livello di reddito (4).

6.2.5

La proposta di un'accisa minima di 90 EUR per tutte le sigarette vendute al minuto rappresenta un incremento del 41 % in un quadriennio ed è un aumento almeno del 300 % più alto rispetto all'ascesa prevista dei prezzi al consumo nell'UE. Questo inasprimento fiscale spingerebbe l'inflazione verso l'alto. Un forte aumento delle accise sulle sigarette potrebbe farne lievitare i prezzi, contribuendo al rialzo dell'indice dei prezzi al consumo. La proposta di escludere il prezzo delle sigarette dal calcolo dell'indice armonizzato dei prezzi al consumo (avanzata nel documento di studio Tabacco o salute nell'Unione europea) eliminerebbe de iure l'effetto inflativo, ma in pratica si potrebbero ancora avere conseguenze sul piano sociale, perché comporterebbe un calcolo non corretto dell'indice dell'aumento dei prezzi che potrebbe avere effetti negativi sugli adeguamenti salariali.

6.3   Obiettivi di politica fiscale

6.3.1

Se si considera il gettito fiscale prodotto dalle accise sul tabacco e come queste entrate vengono spese, è chiaro che in realtà l'obiettivo principale dell'accisa è reperire fondi per la spesa generale dei governi nazionali.

6.3.2

Il rapporto fra politica fiscale e politica sanitaria è in larga misura funzione dell'assegnazione del gettito fiscale delle accise sui tabacchi ad attività volte ad eliminare le conseguenze negative del tabagismo. Tuttavia, se si considera l'attuale finanziamento complessivo di queste attività, è del tutto evidente che la maggior parte delle entrate generate dalle accise sui tabacchi è spesa in attività e politiche senza alcun rapporto con tali obiettivi di politica sanitaria.

6.3.3

Non vi è quindi alcun dubbio che gli obiettivi fiscali continuano ad essere gli obiettivi principali delle accise. Tuttavia, il raggiungimento degli obiettivi fiscali è reso più complicato in questo caso dall'esistenza dell'assicurazione sanitaria pubblica. Se i regimi di assicurazione sanitaria, e in particolare i relativi premi, riflettessero i rischi legati al fumo, i fumatori sarebbero costretti a sostenere i costi derivanti dalle loro abitudini. Ciò fondamentalmente rispetterebbe i dettami della maggior parte delle strategie antitabacco e antifumo delle organizzazioni internazionali e dei governi nazionali.

6.3.4

Va notato, quando si considerano gli aspetti fiscali della tassazione dei tabacchi, che aumentare le accise non fa crescere automaticamente le entrate di bilancio. Per effetto del possibile intensificarsi delle attività di contrabbando e del commercio illegale e anche a causa dell'eventuale maggiore richiesta di sigarette più economiche, il rialzo delle accise, invece di aumentare le entrate di bilancio, potrebbe sortire l'effetto contrario. Se vi è un aumento delle accise seguito da un'espansione del mercato nero, il calo delle entrate di bilancio dovuto a quest'espansione può essere superiore nella realtà all'incremento di tali entrate derivante da un livello di accise più alto.

6.4   Obiettivi di politica di sicurezza (commercio illegale)

6.4.1

Le autorità tributarie sono sempre alle prese con il problema della frode fiscale e in relazione alle accise sui tabacchi le due principali attività illegali sono la contraffazione e il contrabbando.

6.4.2

Nell'ottica di un economista, l'aumento delle accise incrementa gli incentivi ad esercitare il contrabbando e il mercato nero delle sigarette. Il contrabbando è un'attività economica soggetta alla legge della domanda e dell'offerta. Il rialzo delle accise accresce la differenza di prezzo tra le sigarette vendute legalmente e quelle di contrabbando e, di conseguenza, sale la domanda per le seconde. Con il crescere della domanda aumenta il prezzo delle sigarette di contrabbando, così questa attività illegale diventa più redditizia e si espande. Ciò è vero per il commercio illegale di sigarette intra UE come anche per il contrabbando di sigarette provenienti da paesi terzi. Soprattutto nei nuovi Stati membri il prezzo di vendita e altri fattori favoriscono l'espansione del contrabbando in provenienza da paesi che non fanno parte del mercato interno dell'UE: i prezzi dei paesi ai confini orientali dell'UE stanno diventando relativamente più bassi, i nuovi Stati membri dispongono di poche risorse per controllare le frontiere e talvolta l'estensione di queste attività economiche sommerse è notevole. Ad esempio, stando a un sondaggio condotto in Lituania nel 2008 (5), ben il 38,9 % degli intervistati giustifica o tende a giustificare il contrabbando. Inoltre, nell'esaminare le condizioni che favoriscono lo sviluppo di un mercato illegale è importante considerare il peso dell'economia sommersa non solo nell'UE, ma anche nelle potenziali fonti di approvvigionamento del contrabbando, ossia i paesi confinanti.

6.4.3

La situazione sopradescritta corrisponde ad esempio al caso della Lituania, dove nel periodo 2002-2004, per armonizzare il regime fiscale nazionale con quello dell'UE, le accise sul tabacco hanno subito un brusco rialzo (con un aumento dell'onere fiscale pari al 121 % fra il 2001 e il 2004) e questo forte incremento delle accise ha portato a un'impennata dei prezzi delle sigarette. Il rialzo delle accise ha di conseguenza modificato profondamente il mercato nazionale del tabacco. Si è registrata una flessione delle sigarette vendute legalmente, parallelamente alla diffusione del contrabbando e del mercato nero. La quantità dei prodotti di contrabbando sequestrati è aumentata di quasi 13 volte fra il 2001 e il 2004, anno in cui la quota del mercato legale e quella del mercato nero (in base alle unità di prodotto vendute) erano quasi equivalenti.

6.4.4

Nel valutare l'efficacia delle accise è fondamentale tener presente l'evoluzione del consumo lordo di sigarette (ossia comprendente sia le sigarette vendute legalmente che quelle di contrabbando). L'esperienza raccolta a livello internazionale indica che l'inasprimento fiscale e i conseguenti aumenti dei prezzi tendono a far diminuire la vendita legale anziché modificare il consumo lordo e questo andamento è dovuto all'espansione del mercato nero. È esattamente quanto avvenuto in Lituania: quando nel 2002-2004 le accise sono state aumentate, il consumo lordo è calato, ma non così nettamente come il consumo di sigarette vendute legalmente.

6.4.5

Lo stesso commissario europeo László KOVÁCS ha riconosciuto davanti al Parlamento europeo nel settembre 2008 che i prezzi elevati e i differenziali di tassazione sono in effetti una delle cause principali della quantità rilevante di merci di contrabbando, soprattutto sigarette, che entrano nell'Unione europea a partire da alcuni paesi confinanti dell'Unione europea. Sarebbe pertanto imprudente adottare una decisione di aumento dei requisiti minimi comunitari sulle accise tale da aggravare il problema.

6.5   Obiettivi di mercato interno (armonizzazione)

6.5.1

Malgrado il lavoro trentennale di armonizzazione delle accise sui tabacchi nell'Unione europea, tra gli Stati membri le differenze di tassazione dei tabacchi lavorati - per quanto concerne sia la struttura dell'imposta che l'onere fiscale totale - permangono marcate.

6.5.2

Se da un lato alcuni Stati membri hanno scelto di dare la priorità assoluta alla politica sanitaria, dall'altro le tradizioni e le condizioni sociali continuano ad essere la causa di profonde divergenze nella tassazione complessiva del tabacco. Nell'UE le differenze del gettito da accise vanno da un massimo di 242 EUR per 1 000 sigarette nel Regno Unito a 19 EUR per 1 000 sigarette in Lettonia (dati relativi al 1o gennaio 2007). È principalmente a queste differenze che potrebbe imputarsi il fatto che il commercio illegale all'interno dell'UE (in termini di volumi di sigarette) è stimato collocarsi a un livello pari al doppio del contrabbando proveniente da paesi terzi.

6.5.3

Va notato che poche fra le azioni proposte daranno luogo a una maggiore armonizzazione delle aliquote all'interno dell'Unione europea. Molto probabilmente, esse non cancelleranno le differenze di tassazione in termini assoluti e relativi fra gli Stati membri.

6.5.4

Ad esempio, il requisito minimo percentuale trova storicamente la sua origine nell'obiettivo dell'armonizzazione delle accise nell'UE, eppure non ha raggiunto questo obiettivo e potrebbe anche portare a risultati opposti. Si prenda il caso della Slovenia e dell'Italia, in cui l'incidenza dell'accisa sull'MPPC è simile (all'incirca 58 %), ma in Italia il gettito da accise sull'MPPC è dell'80 % superiore a quello dello Slovenia (per 1 000 sigarette, 102,38 EUR contro 57,6 EUR). L'incremento proposto dell'incidenza dell'accisa dal 57 % al 63 % accrescerebbe ulteriormente la differenza in termini assoluti tra le accise applicate e potrebbe avere un grave impatto inflazionistico, come segnalato dalla relazione sulla valutazione d'impatto della Commissione. In considerazione dei possibili effetti controproducenti, sarebbe opportuno studiare nuovamente a fondo e riconsiderare non solo l'incremento proposto, ma anche l'esistenza del requisito minimo percentuale.

6.5.5

Anche la proposta di aumentare l'accisa minima da 64 EUR a 90 EUR per 1 000 sigarette potrà contribuire all'armonizzazione soltanto se gli Stati membri con livello più alto di tassazione non aumenteranno ulteriormente il carico fiscale. In questa prospettiva, potrebbe essere interessante considerare un livello massimo di tassazione che integri l'attuale aliquota minima.

6.5.6

In considerazione del fatto che vari Stati membri non sono finora riusciti ad adeguare l'aliquota minima di 64 EUR per 1 000 sigarette neanche in relazione all'MPPC, la proposta dell'aumento a 90 EUR dovrebbe essere riesaminata e, per varie ragioni, ridotta, oppure si dovrebbe concedere un periodo più lungo per conformarsi all'aumento proposto, vale a dire fino al 1o gennaio 2018.

Chart 2:

Excise tax yield in EU countries as of January 1, 2008 (EUR per 1 000 cigarettes)

Image

Chart 3:

Minimum Excise Tax in EU countries as of January 1, 2008 (EUR per 1 000 cigarettes)

Image

Chart 4:

Total excise tax in EU countries as of January 1, 2008 (percentage of the MPPC, minimum set to 57 %)

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Chart 5:

Specific ratio in EU countries as of January 1, 2008 (percentage specific to total tax on MPPC; set to 5-55 %)

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Bruxelles, 25 marzo 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  L'articolo 152 del Trattato CE stabilisce che nella definizione e nell'attuazione di tutte le politiche e attività della Comunità sia garantito un livello elevato di protezione della salute umana.

(2)  Organizzazione mondiale della sanità, Guidelines for Controlling and Monitoring The Tobacco Epidemic (Linee direttive per il controllo e il monitoraggio dell'epidemia di tabacco), 1998.

(3)  1 piece of hand rolled cigarette = 0,75 g.

(4)  Franks et al.: Cigarette Prices, Smoking, and the Poor: Implications of Recent Trends, American Journal of Public Health, ottobre 2007, vol. 97, n. 10.

(5)  http://www.freema.org/index.php/research/opinion_poll_public_perceptions_of_smuggling/4656.


22.9.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 228/141


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sui risultati dei negoziati relativi alle strategie e ai programmi della politica di coesione per il periodo di programmazione 2007-2013

COM(2008) 301 def.

2009/C 228/26

La Commissione europea, in data 14 maggio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 93 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sui risultati dei negoziati relativi alle strategie e ai programmi della politica di coesione per il periodo di programmazione 2007-2013»

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 marzo 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore CEDRONE.

Alla sua 452a sessione plenaria, dei giorni 24 e 25 marzo 2009 (seduta del 25 marzo 2009), il Comitato economico e sociale europeo a adottato il seguente parere con 40 voti favorevoli, nessun voto contrario e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Strategia di Lisbona: il Comitato economico e sociale europeo (CESE) valuta positivamente il collegamento tra fondi strutturali e strategia di Lisbona, ivi compreso il finanziamento di alcune politiche da questa previste, ma alle condizioni indicate nel punto 5.1.2. Bisogna evitare però che Lisbona alla fine continui a restare priva di finanziamenti autonomi.

1.2

Tempi: occorre fare di tutto per rispettare i tempi di attuazione dei programmi evitando accavallamenti e ritardi che alla fine impediscono il raggiungimento degli obiettivi prefissati. Bisogna tener conto inoltre delle diverse scadenze dei programmi comunitari.

1.3

Scadenze e strumenti: occorre valutare se non convenga unificare le scadenze, portandole a 10 anni. A questo proposito il CESE ribadisce ancora una volta le difficoltà e gli ostacoli indicati per un uso congiunto e coordinato degli strumenti attivabili ai vari livelli da parte dei singoli operatori, per cui questi vanno meglio precisati (base giuridica, specializzazione tematica, aree geografiche, modalità di attuazione), in particolare: transnazionalità o meno dei progetti, sincronia dei tempi di attivazione, di attuazione e di erogazione del sostegno finanziario, possibilità di scomporre un progetto globale in sottoprogetti.

1.4

Parametri: prevederne altri, insieme al PIL, per avere un quadro più oggettivo di valutazione rispetto ai bisogni dei territori (punto 5.9).

1.5

Approccio integrato: il CESE ritiene necessario valutare le prospettive finanziarie dell'UE - in un'ottica di aumento dei fondi - e prestare più attenzione al co-finanziamento dei singoli Stati, unitamente a quelli di altri istituti europei. Oggi le somme stanziate appaiono irrisorie rispetto ai miliardi di euro destinati al salvataggio delle banche. Il CESE ritiene necessario rafforzare l'approccio integrato che va reso obbligatorio e recuperare l'approccio strategico alla politica di coesione.

1.6

Coordinamento: il CESE raccomanda un miglior coordinamento tra le strategie ed i programmi della politica di coesione ed i programmi quadro comunitari per la ricerca e lo sviluppo (7PQ), per l'innovazione e la competitività (PIC) oltre il rafforzamento dei loro meccanismi a rete transnazionale ed internazionale, per favorire la competitività, l'innovazione e l'occupazione. È indispensabile creare interfacce permanenti tra obiettivi e procedure della politica di coesione e quelli della politica di ricerca e innovazione.

1.7

Risultati: il CESE ritiene che una maggiore attenzione vada prestata non solo al controllo finanziario, ma anche alla qualità dei risultati raggiunti, in particolare per quanto riguarda la crescita e l'occupazione generata dall'attuazione dei programmi, a partire da quelli del 2000-2006.

1.8

Valutazione: per migliorare ancora l'efficacia e il funzionamento della politica di coesione, il CESE ritiene opportuno perseguire una maggiore selettività degli interventi per ottenere risultati migliori sul territorio a favore dello sviluppo e potenziare il processo di monitoraggio e di valutazione, anche attraverso l'istituzione di appositi comitati indipendenti e sovranazionali dove ancora non esistono. I meccanismi di controllo e di valutazione delle varie fasi che contraddistinguono la politica di coesione devono essere più trasparenti ed accessibili agli attori economici e sociali interessati.

1.9

Trasparenza e comunicazione: il CESE ritiene fondamentale la questione della trasparenza dei fondi, dell'informazione, della condivisione delle scelte e dei risultati da parte dell'opinione pubblica locale. È il miglior modo per dare visibilità e avvicinare i cittadini all'UE. La trasparenza deve essere un obiettivo prioritario dell'UE e deve essere applicata in tutte le fasi che riguardano la politica di coesione.

1.10

Unicità: è indispensabile mantenere un rapporto ed una visione unica tra le diverse fasi che contraddistinguono i fondi: la preparazione, l'attuazione, l'utilizzo, la sorveglianza, il monitoraggio e la valutazione.

1.11

Semplificazione: bisogna prendere in seria considerazione la possibilità di semplificare le procedure, spesso causa dei ritardi o della mancata attuazione dei programmi, spostando l'attenzione sulla valutazione dei risultati attraverso sistemi chiari ed efficaci, valutando la possibilità di introdurre sanzioni per chi non rispetta metodo, contenuti e tempi, a cominciare, ad esempio, dalla mancata restituzione agli Stati membri degli stanziamenti non utilizzati, vista l'esiguità del bilancio comunitario.

1.12

Moltiplicatore: la politica di coesione, insieme alla politica economica dell'Unione e degli Stati membri, non può limitarsi a ridistribuire solo risorse, ma deve essere mirata a produrre un effetto moltiplicatore sul territorio; attrarre altri investimenti al fine di produrre sviluppo, competitività ed occupazione, promuovendo ricerca ed innovazione e mirando in primo luogo al miglioramento dei cosiddetti «beni pubblici» (acqua, rifiuti, servizi alle persone anziane, formazione, asili, ecc.), come politiche dell'eccellenza, per rendere più attrattive le regioni interessate.

1.13

A seguito della crisi finanziaria internazionale e delle conseguenze in atto; alla luce del piano approvato dal Consiglio europeo dell'11 e 12 dicembre 2008 per fronteggiare la recessione economica, comprese le proposte di modifica ai vari regolamenti dei fondi comunitari, il CESE ritiene che sia arrivato il momento di procedere, finalmente, ad una profonda revisione dei meccanismi che regolano l'utilizzo delle risorse destinate alla politica di coesione, per renderle più consone alla crescita ed al rilancio della politica economica europea.

1.14

Ingegneria finanziaria: bisogna evitare la concessione a pioggia delle sovvenzioni. Sarebbe necessario apportare modifiche profonde all'ingegneria finanziaria dei fondi, in particolare garantendo la ripresa delle linee di credito soprattutto verso le PMI (1) e gli enti locali, con la scelta di politiche più appropriate, con l'aggiunta dei contributi del Fondo europeo per gli investimenti (FEI), della BEI.

1.15

Clientelismo: la Commissione deve adottare strumenti atti ad eliminare le forme di clientelismo che gravano attorno alla politica di coesione. In particolare vanno eliminate o quantomeno ridotte le varie forme di subappalto, per evitare sprechi o abusi.

1.16

Politica sociale e di coesione: è necessario inoltre rimettere la politica sociale al centro della politica di coesione come uno dei suoi obiettivi principali. Ciò è reso tanto più necessario in una fase in cui la crisi economica e sociale seguita a quella finanziaria sta producendo gravi conseguenze sulle fasce più deboli della popolazione.

1.17

Mercato del lavoro: la politica di coesione deve favorire una maggiore integrazione del mercato del lavoro europeo, con particolare riferimento alle donne, anche attraverso la sperimentazione di nuove forme di rapporto di lavoro che facilitino la crescita e l'occupazione.

1.18

Buone pratiche: la Commissione deve favorire la diffusione dei programmi che hanno raggiunto i migliori risultati nelle varie regioni europee. Non sarebbe inutile portare a conoscenza anche i programmi che non hanno raggiunto gli effetti auspicati, al fine di evitare che vengano reiterati.

1.19

Piccole e medie imprese: le PMI devono essere sempre al centro, come principali destinatari, della politica di coesione in un'ottica di evoluzione e di crescita della competitività, ivi comprese quelle di economia sociale. Le PMI, infatti, costituiscono il nucleo della crescita e dell'occupazione; è perciò fondamentale facilitare loro l'accesso al credito in questa fase di recessione.

1.20

Partenariato: la Commissione deve rivolgere maggiore attenzione alla questione del partenariato sociale. Non si può limitare all'interpretazione formale dell'art. 11 del regolamento, ma deve recuperare l'essenza della concezione di partenariato, il cuore della cultura sociale europea. Il partenariato non deve perciò essere praticato come una concessione, come una semplice formalità, ma va svolto come una vera e propria concertazione sulle procedure, sui contenuti, sulla realizzazione e sulla valutazione dei programmi, nonché sulla trasparenza degli stessi.

1.21

L'Europa politica: resta una raccomandazione, rispetto a quelle già fatte, ma è la più importante: la Commissione, gli Stati membri, le regioni, le parti sociali possono e debbono fare ancora molto per migliorare la politica di coesione; si stanno adoperando per farlo.

1.22

Il CESE deve aiutare l'Unione europea a decidere il suo futuro, ad individuare gli strumenti giuridici e politici per dotarsi di potere decisionale su alcune politiche, per dare più efficacia alla sua azione, ponendo fine ad una illusione, quella di poter restare immune da tutto, rimanendo a guardare dalla finestra.

2.   Proposte

2.1

Emanare regole per migliorare la governance istituzionale elaborando procedure che facilitino la realizzazione di partenariati efficaci per la concertazione con le parti sociali e civili, stabilendo degli indicatori per le procedure di concertazione, anche sulla base dell'esperienza esistente al fine di discutere e negoziare programmi, contenuti, procedure, ecc.;

2.2

introdurre nuovi criteri di valutazione per aiutare gli operatori del settore, tali da consentire una valutazione più oggettiva, attraverso appositi comitati, dei risultati e della qualità degli interventi, da valere per tutti i paesi, facendo dell'efficacia uno strumento per la misurazione degli effetti della politica di coesione;

2.3

promuovere perciò una formazione comune, europea, per la creazione di operatori della coesione, in grado di intervenire con lo stesso metodo, in tutte le fasi delle operazioni previste per l'utilizzo dei fondi. È opportuno inoltre generalizzare i meccanismi di assistenza tecnica, come Jaspers, a tutte le regioni della convergenza e per tutti i soggetti interessati;

2.4

semplificare e snellire le procedure in tutte le fasi che coinvolgono i fondi, come il CESE ha più volte chiesto, ma quasi sempre inutilmente;

2.5

prevedere sanzioni in caso di inadempienza e/o di mancato raggiungimento dei risultati, al fine di evitare gli sprechi, la ripetizione degli errori e le varie pratiche di clientelismo;

2.6

attivare una clausola di salvaguardia per le regioni più povere e meno strutturate al fine di utilizzare al meglio le risorse a loro destinate;

2.7

favorire una cittadinanza più inclusiva ed una maggiore coesione economica e sociale per tutti, mediante la politica di coesione con il contributo delle politiche nazionali.

2.8

Il CESE chiede che venga distinto il partenariato istituzionale tra Commissione europea, Stati membri e regioni da quello con le parti sociali e civili. Quest'ultimo va praticato in maniera attiva a tutti i livelli: europeo, nazionale e regionale con un coinvolgimento reale e non formale delle parti.

2.9

Costituire una commissione (gruppo di lavoro) composto da rappresentanti delle varie istituzioni comunitarie (CE, PE, CESE, CdR) per studiare e proporre una radicale revisione degli attuali meccanismi che regolano la politica di coesione.

3.   Introduzione

3.1

Il principio della coesione sociale è uno dei pilastri delle politiche dell'UE, art. 158 del Trattato, che Lisbona ha esteso anche alle politiche territoriali. Esso coniuga coesione economica e coesione sociale in una sintesi che rappresenta l'essenza dei fondamenti sui cui è basata l'UE. Un principio, spesso dimenticato, che dovrebbe valere in tutte le occasioni, in tutte le sedi e per tutte le politiche. Coesione e solidarietà politica dovrebbero contraddistinguere ogni azione dell'UE: cosa che spesso non è, come dimostrano anche i fatti recenti di questi giorni legati alla crisi finanziaria.

3.2

La politica di coesione, così come viene presentata, appare ancora come una semplice politica ridistributiva, e non come un valore aggiunto alla politica economica, alla politica monetaria e al mercato unico, affinché si riducano le distanze tra regioni e paesi e non si alimentino competizioni distruttive.

3.3

I limiti della politica di coesione, che emergono chiaramente dalla comunicazione, dipendono, oltre che dai limiti di bilancio, dalla mancata integrazione tra le politiche di coesione e le altre politiche economiche ancora in mano agli Stati membri, per cui spesso non si va al di là di un'azione di coordinamento tra politiche europee e politiche nazionali. La comunicazione risente di tali debolezze, che purtroppo sono intrinseche al sistema decisionale e quindi alla capacità di azione della stessa Commissione europea.

3.4

La Commissione ora si limita a fare da «guardiano» e a far funzionare i meccanismi procedurali, a rappresentare gli aspetti formali (una semplice compliance), quando invece ci sarebbe bisogno di un ruolo guida più pertinente e più finalizzato al raggiungimento di risultati concreti ed efficaci. Un ruolo capace di reinterpretare lo spirito originale della politica di coesione, quando invece la Commissione svolgeva un ruolo guida al fine di migliorare la professionalità di coloro che dovevano utilizzare i fondi.

3.5

La comunicazione, insieme al V rapporto sulla coesione, ne rappresenta un emblema. Perciò il CESE deve compiere uno sforzo per ridare alla coesione un approccio strategico, formulando suggerimenti e proposte concrete; ma ancor più deve adoperarsi affinché esse vengano accolte.

3.6

Questo parere vuole evitare di prendere in considerazione tutti gli aspetti della coesione, come è già stato fatto in tante occasioni precedenti. Si vuol limitare ad alcune osservazioni di fondo ed alla formulazione di alcune proposte operative.

4.   Comunicazione della Commissione: sintesi

4.1

A conclusione del processo di consultazione e di negoziato svoltosi ai vari livelli sui programmi relativi al piano 2007-2013, la Commissione ha presentato un rapporto che sottolinea «i successi» conseguiti dal negoziato e nessun punto di criticità.

4.2

La relazione mette in risalto gli aspetti quantitativi (347 miliardi di investimento), e «qualitativi» delle scelte fatte, sempre in maniera molto formale, con schemi e diagrammi «perfetti». Sono quattro gli assi su cui si basa la politica di coesione 2007-2013 per raggiungere gli obiettivi prefissati:

politica di coesione e agenda di Lisbona,

globalizzazione e cambiamenti strutturali,

cambiamenti demografici, mercato del lavoro, società ed economie più inclusive,

sviluppo sostenibile, cambiamenti climatici ed energia.

In più si parla della governance e del negoziato fatto (il metodo).

4.3

Vengono citati gli obiettivi specifici dei programmi, i dati numerici, la ripartizione dei fondi (2), ecc. Per sommi capi:

la priorità viene assegnata alla ricerca ed innovazione (86 miliardi), pari al 25 % delle risorse stanziate,

servizi ed infrastrutture con 15 miliardi,

sostegno alle PMI con 27 miliardi (l'8 %),

istruzione e formazione con 26 miliardi,

le politiche a sostegno della occupazione, in particolari per giovani, donne, migranti, ecc.,

aiuti alle persone sotto la soglia di povertà che non riescono a rientrare nel circuito lavorativo,

ambiente e sviluppo sostenibile con una destinazione di 102 miliardi di spesa.

5.   Osservazioni

5.1   Le politiche

5.1.1   La prima parte della comunicazione della Commissione si riferisce alla strategia di Lisbona considerata quale elemento centrale della politica di coesione. Il CESE ritiene che sarebbe difficile trovare oggi un'istituzione nazionale o internazionale che non condivida in pieno una strategia di politica economica incentrata sulla realizzazione di un livello soddisfacente di crescita economica unitamente ad una elevata occupazione della forza lavoro. Il documento in questione, tuttavia, non entra mai nel merito di come assicurare, in una realtà europea rappresentata da 27 paesi tra loro molto diversi quanto a disponibilità di risorse economiche, finanziarie e sociali e soprattutto molto divergenti nello sviluppo territoriale, il perseguimento di tale strategia anche se ciò non era previsto.

5.1.2   La strategia di Lisbona per essere condivisa deve essere necessariamente adattata alle diverse realtà territoriali prese a riferimento dalla politica di coesione e per ciascuna di esse devono essere individuate azioni di politica economica che, a partire dalle risorse disponibili (umane, infrastrutturali, ecc.) presenti nell'area, sappiano promuovere la crescita del reddito e dell'occupazione. Il che significa avere non solo una visione dello sviluppo di questi territori nel breve e medio periodo (per la diversificazione e riqualificazione produttiva, per il rafforzamento delle istituzioni locali, per il reperimento e la formazione del capitale umano necessario a gestire il cambiamento, per l'attrazione di nuovi investimenti ecc.), ma anche la capacità di fare ricorso a strumenti di politica economica, sia normativi che operativi, in grado di produrre gli effetti attesi sui sistemi economici territoriali.

5.1.3   Inoltre la comunicazione parla, ed in modo molto generico, dei successi, limitandosi ad elencare le risorse finanziarie stanziate dalla politica di coesione per ciascun settore di attività (accessibilità del mercato europeo, spese in R&S e nell'innovazione, imprenditorialità, mercato del lavoro, ambiente, ecc.). Sarebbe stato opportuno fare riferimento, partendo da quanto avvenuto nel passato o negli anni più recenti per i 12 nuovi paesi membri, all'effettiva capacità di spesa dimostrata dai singoli territori e sull'impatto determinato dall'impiego delle risorse comunitarie sulle principali macrovariabili (crescita del reddito e degli investimenti, aumento dell'occupazione, riduzione dell'inflazione).

5.1.3.1   La disponibilità di risorse destinate ad uno specifico obiettivo è la condizione necessaria per assicurare il cambiamento, ma non è sufficiente a garantirne la realizzazione. Inoltre, sarebbe stato opportuno menzionare anche le criticità emerse nella gestione della politica di coesione a partire dalla complessità delle procedure impiegate per la gestione dei programmi comunitari ma anche far riferimento al peggioramento del quadro macroeconomico internazionale che non ha certamente favorito lo sviluppo delle regioni europee più deboli.

5.1.4   Un semplice dato serve, inoltre, ad attenuare l'enfasi posta sui successi della politica di coesione. Negli ultimi anni, nonostante le rilevanti risorse investite dai fondi strutturali nel periodo 2000-2006 (260 miliardi di euro), il tasso di sviluppo dei paesi europei è stato di gran lunga inferiore a quello dei principali paesi concorrenti (Stati Uniti, Canada ed in parte Giappone) e questo fenomeno è risultato particolarmente marcato nelle regioni più divergenti dalla media comunitaria. I primi due anni del nuovo ciclo programmatorio (2007-2013), a causa dell'ulteriore peggioramento della crisi economica e finanziaria, confermano il permanere di situazioni di forte rallentamento della crescita, se non addirittura di stagnazione, in molte economie regionali europee.

5.1.5   Partendo da queste osservazioni, il CESE ritiene che la politica di coesione per il periodo 2007-2013 avrebbe dovuto proporre non un'unica strategia articolata indistintamente per tutti i paesi membri nei tre obiettivi indicati dalla programmazione comunitaria (convergenza, competitività regionale e cooperazione territoriale europea), ma una duplice strategia, la prima diretta principalmente verso le regioni europee più distanti dalla media comunitaria (le regioni dei 12 paesi del nuovo allargamento, per intenderci) la seconda rivolta alle regioni che, se pure ancora distanti dalla media, hanno fatto registrare negli ultimi anni successi significativi in direzione di una maggiore convergenza verso le regioni più evolute dell'UE.

5.1.5.1   Il motivo della proposta di una strategia diversificata rispetto alle condizioni di sviluppo prevalenti nelle regioni dei 27 paesi membri risiede nella considerazione che le regioni che si trovano ben al di sotto della soglia del 75 % richiedono linee di intervento ed azioni molto diverse da quelle che al contrario si sono avvicinate di più al livello medio comunitario, ed il fatto di essere tutte considerate «regioni dell'obiettivo convergenza» non facilità la comprensione della diversa intensità, direzione e flessibilità che deve essere assicurata alle politiche di intervento proposte.

5.1.5.2   Stessa considerazione può essere avanzata per le regioni interessate all'obiettivo «competitività» e «cooperazione territoriale». Un'analisi differenziata per regioni, supportata da indicatori di sviluppo più rappresentativi di quelli considerati dalla politica di coesione (come già fatto presente nel parere del CESE relativo alla quarta relazione sulla coesione economica e sociale) potrebbe portare a rivedere sostanzialmente la distribuzione delle risorse operate per ciascun obiettivo, e quindi a dare una diversa caratterizzazione alle politiche di sviluppo individuate per ciascuna regione. Si ritiene che questa considerazione debba ricevere maggiore attenzione nel dibattito aperto dalla Commissione sulle priorità, l'organizzazione e la governance della politica di coesione.

5.1.6   Nell'ottica di assicurare la migliore funzionalità ed efficacia nell'impiego delle risorse comunitarie sarebbe stato opportuno prevedere, specie per le regioni che non hanno saputo utilizzare al meglio le risorse messe a disposizione dalla politica di coesione o che sono ancora in fase di transizione, una qualche forma di «intervento sostitutivo e/o integrativo» da parte della Commissione stessa nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà.

5.1.6.1   Il riferimento in questo caso è ai rischi che le regioni più povere e meno strutturate (istituzionalmente, politicamente, culturalmente) per «amministrare» le risorse comunitarie possono correre, sia in termini di impieghi non efficienti delle risorse o restituzione delle risorse impegnate ma non spese, con grave danno economico e sociale per le popolazioni interessate da tali fondi.

5.1.6.2   Per le regioni che si trovano in tali condizioni una «clausola di salvaguardia» da attivare con il concorso della Commissione per assicurare una gestione più efficiente delle risorse comunitarie sarebbe socialmente ed economicamente molto più utile che non rischiare di vederle sprecate perché gestite male o addirittura restituite.

5.1.7   Un'ulteriore considerazione riguarda gli investimenti previsti dal FSE per il miglioramento della qualità e dell'offerta di istruzione e formazione. Il CESE è del parere che occorra un aumento delle competenze, una maggiore integrazione dei vari strumenti comunitari e l'accrescimento della partecipazione al mercato del lavoro, per assicurare la crescita della competitività e della produttività dei sistemi economici e territoriali locali.

5.1.7.1   I risultati ottenuti in quest'area sono stati inferiori alle attese come più volte si è letto nei documenti comunitari. Anche in questo settore vanno ripensati gli schemi formativi e di accrescimento delle competenze attuati in molte regioni europee.

5.1.7.2   Le risorse destinate a tale settore dalla nuova programmazione sono molte ed i rischi derivanti da un loro impiego non ottimale inducono a prevedere misure correttive in grado di salvare l'autonomia delle amministrazioni locali laddove siano presenti livelli di professionalità ed organizzazione amministrativa capaci. Inoltre si rende necessario valorizzare le risorse disponibili, ma anche intervenire con proposte alternative (minore formazione locale e più formazione «al centro» presso le istituzioni comunitarie, creare migliori e più estesi collegamenti con le accademie nazionali ed estere, effettuare iniziative congiunte con partner qualificati per la diffusione di best practices, ecc.) là dove non sono presenti le condizioni di base necessarie ad assicurare una gestione efficiente dei programmi di formazione.

5.2   Il piano inoltre persegue un cambiamento di rotta rispetto ai principi originali della coesione definiti nel Trattato, una linea guida che andrebbe invece mantenuta. Sotto la spinta dei governi nazionali stiamo assistendo ad una sorta di delegittimazione di tali principi, con il pretesto di inseguire il «nuovo», le «sfide» contingenti.

5.3   Si rischia così di derubricare la coesione a salvadanaio di altre agende o politiche europee senza fondi, come un menu che varia a seconda delle esigenze del momento. La coesione sta diventando così una politica ridistributiva dei fondi, depotenziando qualunque approccio strategico.

5.4   È passata perciò la filosofia della concessione a pioggia delle sovvenzioni, quando invece sarebbe stato e sarebbe necessario apportare modifiche profonde all'ingegneria finanziaria dei fondi, per facilitarne l'effetto moltiplicatore con la scelta di politiche più appropriate, con l'aggiunta dei contributi del Fondo europeo per gli investimenti (FEI), della BEI, per garantire il credito alle imprese.

5.5   Occorre mettere la politica di coesione in condizioni di contribuire all'aumento della crescita, della competitività delle regioni interessate, intervenendo sì su ricerca ed innovazione, ma mirando in primo luogo al miglioramento dei cosiddetti «beni pubblici» (acqua, rifiuti, servizi alle persone anziane, formazione, asili, ecc.), come politiche dell'eccellenza, per rendere più attrattive le regioni interessate.

5.6   L'identificazione delle scelte evidenziate a livello nazionale e regionale non può calare dall'alto con meccanismi top-down, prescindendo dai bisogni e dalle realtà territoriali, ricorrendo spesso a semplificazioni che rischiano di essere preclusive per molte realtà regionali, portando all'allargamento del gap di sviluppo e a vanificare lo sforzo finanziario comunitario. La politica di coesione ha come caratteristica, invece, proprio quella di adattarsi ai bisogni reali dei territori, senza dimenticare le azioni innovative ed il coordinamento con altri programmi comunitari.

5.7   La Commissione ha avuto un ruolo importante nella fase iniziale della politica di coesione. Ha aiutato gli Stati e le regioni a migliorare il loro approccio e gli interventi nel merito delle scelte e degli obiettivi. Oggi questo approccio sembra rovesciato: la forma prevale sulla sostanza con un dispendio di energie e di spesa sproporzionato che viene sottratto agli investimenti.

5.8   Il CESE ritiene che il controllo è importante, ma non a discapito dei contenuti, distinguendo tra irregolarità e frodi (dovrebbe farlo anche la Corte dei conti), ed evitando che questo appaia come l'unica preoccupazione della CE, vista spesso, insieme ad altre istituzioni, come agente indagatore. Inoltre non si possono adoperare due pesi e due misure, a seconda della politica di cui l'UE si occupa.

5.9   Il PIL non può essere l'unico criterio per stabilire se una regione è in ritardo di sviluppo o meno; in particolare ciò e più valido a seguito dell'allargamento a Est; occorrerebbe tener conto di altri parametri, quali la propensione alla crescita, la competitività, il tasso di occupazione, le condizioni dei servizi pubblici, dell'università e della scuola, il tasso di invecchiamento, la condizione dei giovani e della popolazione femminile, i tassi di attività e inattività, le condizioni generali degli Stati membri, ecc.

6.   Il metodo: governance e partenariato

6.1

Il CESE ritiene che sarebbe più opportuno distinguere in maniera chiara il partenariato istituzionale o governance che rimane ancora debole, dal negoziato vero e proprio con le parti sociali e la società civile. Così come descritto nella comunicazione si ha l'impressione che sia la stessa cosa.

6.2

Altrettanta confusione viene fatta a proposito della partecipazione dei partner, dei soggetti interessati alla politica di coesione: è come se la «democrazia» partecipativa dipendesse dal numero delle sigle coinvolte nelle riunioni, spesso ridotte ad una sorta di generico «assemblearismo». In sintesi la procedura attuale della governance e del partenariato è del tutto insufficiente. Ha bisogno di una profonda revisione. È essenziale applicare efficacemente il requisito della partecipazione di un ampio partenariato alla preparazione, all'attuazione e alla valutazione dei programmi dei fondi strutturali, ai sensi dell'articolo 11 del regolamento (CE) n. 1083/2006. La procedura della governance e del partenariato dovrebbe quindi essere soggetta a una valutazione, cosa che consentirebbe di modificarla in vista di una partecipazione più estesa e concreta della società civile organizzata.

6.3

Il partenariato socioeconomico è «un valore», un'opportunità, una necessità, non è una concessione o un favore che viene fatto alle parti. Se il partenariato, e anche il negoziato, vengono rispettati e praticati in maniera attiva, a tutti livelli, nelle varie fasi che contraddistinguono il piano, si ottiene quasi sempre un miglioramento delle scelte, dei programmi, dei progetti e dei risultati. Inoltre ciò contribuisce ad una maggiore informazione dei cittadini, e ad un maggior sostegno delle comunità locali e nazionali alle politiche di coesione.

6.4

Purtroppo finora, al di là delle formalità, non è stato così, come invece si evince dalla comunicazione, fatte salve poche eccezioni. Spesso si è trattato solo di un'audizione, di incontri informativi e non di una vera e propria concertazione per sviluppare un negoziato; molte volte le parti sociali e civili non sono state nemmeno coinvolte; perché si è preferito «rinviare» alle prassi nazionali, spesso inesistenti o non praticate. Si potrebbe ricorrere, ad esempio, come avvenuto in Francia e Portogallo, anche al coinvolgimento dei CES nazionali, per garantire e rafforzare il processo negoziale. Buoni esempi di partecipazione delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile si riscontrano anche in altri paesi, ad esempio in Svezia, ecc.

6.5

Occorre rilevare inoltre le grandi disparità esistenti o emerse tra i diversi paesi, in particolare in quelli dell'allargamento dove i sindacati e gli imprenditori non sono stati praticamente coinvolti. Il CESE ritiene che il meccanismo negoziale vada adattato alle diverse realtà nazionali, reso più flessibile, a patto però che sia reale, concreto e fatto da organizzazioni rappresentative. Non ci si può limitare quindi al solo «dialogo», alla semplice consultazione, anche in presenza di difficoltà oggettive o ai cosiddetti «forum» dei partner. L'UE «deve» promuovere il partenariato, fare un vero e proprio negoziato con le parti sociali e civili in tutte le sedi, a partire da quella europea, per le ragioni ben note.

6.6

La preparazione dei piani operativi poteva rappresentare l'occasione per misurare la validità di una concertazione con le parti, invece è proprio in questa sede che i problemi si sono rilevati acuti:

mancanza di coerenza tra i tempi ridotti di consultazione delle parti e tempi lunghi per l'implementazione dei programmi,

assenza di riscontri del processo di consultazione senza indicazione dei motivi dei cambiamenti attuati,

assenza di accordi formalizzati di partenariato, specie a livello regionale,

sistema di consultazione (negoziato?) farraginoso e sensazione diffusa che i punti avanzati siano stati scarsamente presi in considerazione; insufficiente coinvolgimento nell'implementazione dei programmi specie a livello regionale,

necessità di capacity building di maggiore expertise delle parti sociali (in diversi paesi), adeguata al confronto con le istituzioni.

6.7

Anche in questo caso riemerge la questione della partecipazione al negoziato di parti e soggetti rappresentativi. Il CESE ritiene che bisogna tener conto delle parti sociali (associazioni imprenditoriali e sindacati) e civili, che vanno coinvolte a seconda della specificità dei loro interessi e della loro rappresentatività, come sostiene la relazione del Parlamento europeo. Gli Stati membri invece devono essere obbligati a praticare un corretto e reale partenariato tra tutte le parti interessate.

6.8

Il partenariato, inoltre, va praticato ai vari livelli, sia europeo che nazionale e regionale; a livello orizzontale e verticale ed in tutte le fasi che riguardano il piano (preparazione, realizzazione, verifica dei programmi, dei progetti e dei risultati). Il metodo adottato per il FSE potrebbe essere preso ad esempio, con gli opportuni adattamenti, anche per le politiche regionali e gli altri fondi.

6.9

La Commissione, come avveniva nel passato, deve promuovere un'attività di formazione anche per i partner sociali ed ONG interessati, per rendere produttivo il loro intervento, in particolare nelle regioni e nei nuovi Stati membri.

Bruxelles, 25 marzo 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Vedi programma della Commissione Jeremie.

(2)  Vedi allegato.


22.9.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 228/148


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CEE) n. 95/93 relativo a norme comuni per l'assegnazione di bande orarie negli aeroporti della Comunità

COM(2009) 121 def. — 2009/0042 (COD)

2009/C 228/27

Il Consiglio, in data 19 marzo 2009, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 156 e 175 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

«Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CEE) n. 95/93 relativo a norme comuni per l'assegnazione di bande orarie negli aeroporti della Comunità»

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, in data 24 marzo 2009, nel corso della 452a sessione plenaria, ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 140 voti favorevoli, 8 voti contrari e 14 astensioni.

Bruxelles, 24 marzo 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


22.9.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 228/149


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema un piano europeo di ripresa economica (supplemento di parere)

2009/C 228/28

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 15 gennaio 2009, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, lettera A), delle Modalità d'applicazione del proprio Regolamento interno, di elaborare un supplemento di parere sul tema:

«Un piano europeo di ripresa economica

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 marzo 2009, sulla base del progetto predisposto dal relatore DELAPINA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 24 marzo 2009, nel corso della 452a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 138 voti favorevoli, 8 voti contrari e 13 astensioni.

1.   Sintesi

1.1

I rappresentanti delle organizzazioni rappresentative della società civile, e in particolare le parti sociali hanno un ruolo centrale da svolgere nella gestione della crisi in corso. È necessario un dialogo sociale rafforzato, da un lato per definire e attuare una politica in grado di condurci quanto prima fuori dalla crisi e, dall'altro, per attenuare il più possibile le ripercussioni economiche e sociali della crisi sui cittadini. L'UE, con il modello sociale europeo, dispone di una base migliore, rispetto ad altre regioni del mondo, per contenere le conseguenze della crisi. Anche all'interno dell'UE si evidenzia che gli Stati il cui sistema è maggiormente basato sul consenso agiscono in questo contesto in maniera più efficace.

1.2

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ha dato dimostrazione in vari modi del fatto che nell'attuale crisi finanziaria, economica e sociale esso assolve pienamente il suo compito istituzionale di sostegno alle altre istituzioni europee. Così, il Comitato in un convegno tenutosi il 22 e 23 gennaio 2009 ha costituito il quadro istituzionale per un dialogo tra i diversi soggetti interessati dalla crisi: banche, imprese, sindacati, istituzioni e altri attori della società civile. Vi sono stati discussi da un punto di vista istituzionale, giuridico, politico-economico, sociale e scientifico gli strumenti per superare la crisi.

1.3

Inoltre, Il CESE ha adottato, nel corso della sessione plenaria del 15 gennaio 2009, un parere sul piano europeo di ripresa economica (1). Le posizioni fondamentali espresse nel parere sono riportate al punto 2, mentre in allegato figura la versione integrale del parere.

1.4

Una valutazione definitiva non è stata possibile in quel contesto non essendo ancora disponibili informazioni in merito al punto più importante, ossia l'attuazione concreta del piano negli Stati membri, che devono costituire la forza trainante a tal fine. Occorre quindi sottoporre ancora a un esame attento l'attuazione del piano e stabilire anche quali tra le misure e risorse finanziarie proposte nel piano europeo di ripresa economica siano del tutto nuove e quali invece fossero già previste o decise, indipendentemente dal varo di un piano europeo di questo genere.

1.5

Il Comitato esorta tutte le parti direttamente interessate, e in particolare gli Stati membri e la Commissione europea, a procedere senza ulteriore indugio all'attuazione dei programmi di rilancio dell'economia. La Commissione viene invitata anche a: (a) fornire rapidamente una panoramica dello stato di attuazione dei programmi nazionali di ripresa economica, (b) illustrare quali strumenti siano disponibili per accelerare i progressi nell'applicazione di tali misure e (c) indicare fino a che punto funzioni il necessario coordinamento delle politiche nazionali o se invece vi siano sotto questo aspetto sviluppi indesiderati.

1.6

Il 17 marzo 2009 il Comitato ha organizzato un convegno in cui è proseguita la discussione sui possibili percorsi di uscita dalla crisi con rappresentanti dei consigli economici e sociali nazionali, delle istituzioni europee, delle parti sociali e di altre organizzazioni rappresentative della società civile. Si è proceduto ad uno scambio di esperienze sull'attuazione del piano europeo di ripresa economica a livello nazionale e sul contributo che la società civile organizzata può dare alla ripresa economica.

1.7

Con l'elaborazione del presente supplemento di parere sul piano europeo di ripresa economica si mira ad approfondire i punti fondamentali del precedente parere, ad integrare o, se del caso, ad aggiornare alcuni aspetti e a sollevare questioni che potrebbero essere discusse con i consigli economici e sociali nazionali.

1.8

Nel CESE la discussione verrà portata avanti nel quadro dell'elaborazione del Programma per l'Europa con l'obiettivo di presentare alle istituzioni europee un pacchetto di proposte coerente ed incisivo.

2.   Sintesi del precedente parere del Comitato sul piano europeo di ripresa economica

2.1   Il Comitato appoggia senza riserve il piano europeo di ripresa economica della Commissione e del Consiglio. Ritiene che esso costituisca fondamentalmente l'approccio giusto della politica economica per reagire alle sfide da affrontare. Essa infatti deve agire in modo rapido, deciso, ambizioso, mirato e coordinato per stabilizzare la fiducia dei consumatori e degli investitori e rafforzare nuovamente la domanda.

2.2   Aspetti che il Comitato considera particolarmente positivi:

2.2.1

I responsabili della politica economica sembrano aver tratto i giusti insegnamenti dall'esperienza. Mentre infatti nelle precedenti recessioni la politica economica era rimasta prevalentemente passiva, questa volta si è riconosciuta la necessità di integrare il tradizionale approccio basato sul lato dell'offerta con una politica macroeconomica anticiclica attiva per stimolare la domanda interna.

2.2.2

Il Comitato ritiene importante il riferimento alla necessità di sfruttare tutta la flessibilità offerta dal Patto di stabilità e di crescita dopo la sua riforma. In una situazione eccezionale come quella attuale ciò significa che è tollerato un superamento temporaneo del limite massimo del 3 % del PIL per il disavanzo pubblico. Il Comitato considera significativi anche l'accento posto sulla responsabilità della politica monetaria della BCE per lo sviluppo dell'economia reale e il riferimento ad ulteriori margini di manovra per la riduzione dei tassi d'interesse.

2.2.3

Il Comitato si compiace della volontà dichiarata di adottare un approccio coordinato. Una crisi internazionale richiede infatti risposte coordinate. È necessario, inoltre, prevenire il problema posto da chi approfitta degli sforzi degli altri ed evitare la politica protezionistica del passato.

2.2.4

Va valutato anche in modo positivo il ruolo fondamentale attribuito agli obiettivi della strategia di Lisbona nel quadro delle attuali misure anticrisi a breve termine:

conformemente al principio della coesione sociale, si devono contenere gli effetti della crisi sulle persone. Bisogna sostenere il mercato del lavoro e tutelare meglio soprattutto i membri più deboli della società.

Occorre rafforzare la competitività delle imprese affinché queste ultime siano in grado di contribuire alla ripresa economica mediante gli investimenti, la produzione e le esportazioni, e possano uscire dalla crisi rafforzate. Parimenti, gli investimenti pubblici per il futuro nell'innovazione, nell'istruzione e nella ricerca devono servire anche a miglioramenti strutturali oltre che a potenziare la domanda.

Per l'uscita dalla crisi le PMI possono costituire una forza trainante determinante. Per tale ragione sono indispensabili provvedimenti di sostegno per garantire di nuovo alle PMI un accesso senza ostacoli alle risorse finanziarie e per rafforzarne la competitività e la capacità d'innovazione.

È altresì importante che le misure pubbliche e private a favore della ripresa economica sostengano anche gli obiettivi dell'Unione in materia di tutela ambientale, risparmio energetico e di lotta contro il cambiamento climatico, contribuendo al passaggio a un'economia a basse emissioni di carbonio.

2.3   Il parere del Comitato formula tuttavia anche alcune osservazioni critiche:

2.3.1

L'importo del piano di ripresa economica, pari all'1,5 % del PIL in due anni (pari in media all'anno allo 0,75 % del PIL), appare relativamente modesto, soprattutto se lo si paragona ai pacchetti decisi in altre regioni del mondo. Inoltre, va tenuto presente che l'apporto di «denaro fresco» è decisamente inferiore ai 200 miliardi di euro indicati. Sia le misure a livello europeo che quelle a livello nazionale, infatti, in molti casi sono solo un elenco o un'anticipazione di misure comunque già previste a prescindere dal piano europeo di ripresa economica.

2.3.2

Per quanto riguarda le misure strutturali, si deve aver cura che esse non siano incompatibili con l'obiettivo di rilancio della domanda e dell'occupazione. Devono essere concepite in modo tale da risultare socialmente accettabili e da promuovere la crescita e l'occupazione.

2.3.3

Il successo dell'ampia gamma di misure per gli Stati membri si potrà giudicare solo quando sarà chiaro se questi ultimi abbiano adottato il mix di politiche più adatto alla loro situazione particolare. Non da ultimo anche per motivi psicologici, è particolarmente importante in ogni caso che tutte le parti interessate realizzino rapidamente i loro interventi concreti poiché, altrimenti, vi è il pericolo di un rafforzamento delle aspettative negative.

2.3.4

Dopo i primi interventi realizzati a livello politico sotto forma di vari pacchetti di salvataggio per ripristinare la funzionalità del settore finanziario, è ora necessario un nuovo ordine sui mercati finanziari concordato a livello globale e tale da ispirare la fiducia. In tale contesto occorre sfruttare la «massa critica» della zona dell'euro, cresciuta con gli allargamenti dell'UE, per far valere maggiormente le concezioni, i punti di forza e le esperienze europee. Il piano europeo di ripresa economica non contiene proposte precise in materia.

3.   Ulteriori osservazioni di carattere generale

3.1

La principale sfida immediata per la politica economica consiste nel rafforzare rapidamente la fiducia dei consumatori e degli investitori con un'effettiva spinta alla domanda. Occorre creare la domanda per sostenere la crescita e mantenere basso il tasso di disoccupazione ed evitare così la spirale negativa degli anni Trenta del secolo scorso. In tale contesto bisogna evitare gli errori del passato che hanno contribuito a causare la crisi attuale.

3.2

È evidente che il complesso degli strumenti di politica economica dell'Unione europea, e in particolare l'unione monetaria, sono stati creati con l'obiettivo di uno sviluppo economico senza scosse e per evitare le crisi. Per le operazioni di salvataggio in caso di crisi in atto, invece, questi strumenti non sono sufficienti. Si chiedono quindi un nuovo orientamento della politica economica, l'esplorazione di nuove possibilità, vale a dire una governance a livello europeo in grado di offrire risposte adeguate a crisi come quella attuale.

3.3

Si è avuta la dimostrazione dolorosa del fatto che il mercato non è in grado di risolvere tutti i problemi (2). L'eccessiva fede nei meccanismi di mercato quale rimedio universale, l'orizzonte a breve termine della riflessione e della pianificazione, come pure la corsa a tassi di rendimento sempre più alti devono lasciare il posto a una politica realistica e meno condizionata ideologicamente.

3.4

Il fatto che il mercato finanziario abbia fallito non permette di pensare a un fallimento generale del mercato, ma dimostra la necessità di evitare o di correggere le disfunzioni del mercato stesso attraverso una normativa ed un controllo ben mirati. La nuova politica deve quindi fondarsi su un'economia di mercato che promuove e ricompensa l'iniziativa personale e l'assunzione di rischi. L'onnipotenza del mercato va però sottoposta nuovamente a regole più severe per garantirne un funzionamento per quanto possibile senza attriti. I liberi mercati hanno bisogno di barriere di sicurezza entro le quali muoversi, anche solo per il fatto che nella realtà economica non esistono le condizioni per mercati perfetti. Nell'Unione europea si aggiunge il fatto che il modello economico e sociale europeo si basa su principi che rendono necessario correggere i risultati dell'azione del mercato. Anche il fatto di concentrarsi nuovamente sull'orientamento ad obiettivi e valori a lungo termine fa parte di questo modello.

3.5

La politica economica, sia a livello europeo che nazionale, ha già compiuto, con ritardo, ma lo ha fatto, importanti passi nella giusta direzione. I tassi d'interesse sono stati abbassati, anche se esiste ancora un margine di manovra per ulteriori riduzioni. Interventi dello Stato come gli aiuti, le garanzie e l'assunzione a carico dello Stato stesso dei rischi vengono nuovamente riconosciuti opportuni e necessari. In casi particolari non sono state neanche escluse le nazionalizzazioni come misura estrema di salvataggio. I bilanci pubblici, mediante sgravi fiscali e una maggiore spesa pubblica, provvedono a sostenere la domanda. Il mix di politiche macroeconomiche è quindi diventato più equilibrato.

3.6

Il Comitato ribadisce il suo timore che il piano europeo di ripresa economica potrebbe rivelarsi troppo modesto (cfr. punto 2.3.1). In parte questo può anche essere dovuto al fatto che al momento dell'elaborazione di questo pacchetto le previsioni ufficiali di crescita avevano sottovalutato ampiamente la gravità della crisi. Le previsioni d'autunno pubblicate dalla Commissione europea il 3 novembre 2008, ad esempio, partivano ancora dal presupposto di una crescita economica minima nel 2009, pari allo 0,1 %, nell'area dell'euro, mentre le previsioni intermedie del 19 gennaio 2009 parlavano di una diminuzione pari a -1,9 % ed erano quindi già inferiori di ben 2 punti percentuali. Le previsioni attuali, alla fine del primo trimestre, annunciano una contrazione di circa il 4 %. L'impatto negativo sulla crescita e l'occupazione è quindi di gran lunga più grave di quanto si presumesse fino a poco tempo fa. È evidente che occorre innanzi tutto applicare quanto più rapidamente possibile le misure già adottate. Ma nelle ultime settimane la situazione economica e le previsioni sono peggiorate a un punto tale da far emergere un'esigenza decisamente maggiore di misure a diversi livelli dirette a contrastare questa tendenza, come illustrato al punto 4.

3.7

Le misure a favore della ripresa economica costeranno molto e la maggior parte degli Stati membri supereranno il tetto del 3 % fissato per il disavanzo pubblico. Nel quadro della maggiore flessibilità ottenuta dal Patto di stabilità e di crescita in seguito alla riforma, questo, nelle attuali circostanze straordinarie, è opportuno e necessario e va quindi tollerato senza sanzioni. Naturalmente per i paesi candidati ad entrare nell'area dell'euro deve essere applicata la stessa flessibilità prevista per gli Stati membri dell'Unione monetaria. Le condizioni del Patto non devono costituire un ostacolo quando si tratta ad esempio di creare il potenziale per una crescita futura mediante investimenti pubblici orientati al futuro nel campo della ricerca e sviluppo e dell'istruzione. Tale crescita, infatti, è la base per poter tornare rapidamente ad avere un andamento sostenibile delle finanze pubbliche una volta superata la crisi.

3.8

Occorre però pensare fin da ora come riuscire, dopo la crisi, a ritornare nuovamente su un sentiero sostenibile a lungo termine. In ogni caso per tale ritorno sono necessarie strategie credibili degli Stati membri. L'urgenza di tale compito è evidente già adesso nel pericoloso aumento della differenza di rendimento dei titoli di Stato della zona euro, da cui si può concludere che gli investitori hanno crescenti timori circa la solvibilità di singoli governi nazionali. Per stabilizzare le finanze pubbliche occorrono soluzioni intelligenti che evitino un risanamento radicale a spese dei lavoratori e dei gruppi socialmente più deboli come avvenuto negli anni Trenta. All'epoca un mix di dumping salariale e sociale accompagnato da misure protezionistiche contribuì a portare alla catastrofe.

3.9

Sarà inevitabile trovare nuove fonti d'entrata per lo Stato. È necessario un rafforzamento della base imponibile, tra l'altro attraverso la chiusura dei paradisi fiscali, la cessazione della corsa alle riduzioni fiscali e misure di lotta all'evasione e alla frode fiscale. È opportuno ripensare in generale l'intero sistema fiscale, e in questo esercizio si dovranno prendere in considerazione le questioni di giustizia redistributiva tra diversi tipi di reddito e patrimonio. A questo proposito si deve esigere soprattutto il contributo di coloro che hanno approfittato in misura particolare di quegli sviluppi sbagliati dei mercati finanziari che devono ora essere corretti con risorse pubbliche a spese dei contribuenti.

3.10

È evidente che gli incentivi fiscali alla ripresa non possono essere neutrali nel breve termine sotto il profilo degli effetti sul bilancio, ma devono essere finanziati con ricorso al credito per non entrare in conflitto con l'obiettivo del rilancio della domanda. In tale contesto va considerata una serie di conseguenze diverse, positive e negative, a breve e a lungo termine, di un aumento dell'indebitamento pubblico. Tra quelle negative vi è, nel caso di un aumento dell'utilizzazione delle capacità produttive, il possibile incremento dei costi del capitale per le imprese a causa dell'effetto di spiazzamento (crowding out); dato poi che i patrimoni presentano una concentrazione ancora più elevata dei redditi, una crescita del finanziamento con ricorso al credito contribuirà anche a una maggiore disuguaglianza nei redditi.

3.11

D'altro canto il finanziamento con ricorso al credito non comporta necessariamente un innalzamento del disavanzo di bilancio della stessa misura, perché gli stimoli alle attività economiche fanno crescere anche le entrate dello Stato. Un nuovo indebitamento non deve neanche essere considerato un onere per le future generazioni, che su di esso devono pagare gli interessi. Le generazioni successive infatti approfittano degli investimenti «intelligenti», per esempio nel settore dell'istruzione e nelle infrastrutture e poi sono anche quelle che erediteranno i titoli di Stato emessi oggi. Inoltre bisogna tener presente che un minore stanziamento di risorse per la lotta alla crisi comporta al tempo stesso costi elevati, dal momento che provoca un'ulteriore riduzione delle prestazioni economiche e dell'occupazione. In questo caso, ai costi monetari si aggiungerebbero costi sociali ancora più elevati e sofferenze umane determinate dalla disoccupazione, dalla dequalificazione e da un incremento delle tensioni sociali.

4.   Altre osservazioni sugli strumenti da utilizzare per le misure nazionali

4.1

In una prima fase nel settore finanziario sono stati attuati imponenti piani di salvataggio, il cui grado di efficacia però è stato diverso. Il processo di ricapitalizzazione non è ancora ultimato e la fiducia non è ancora tornata e questo comporta il persistere di gravi problemi di liquidità. Occorrono quindi ulteriori sforzi per garantire nuovamente alle imprese e ai privati un apporto sufficiente di risorse finanziarie. Tuttavia, gli aiuti pubblici (non solo nel caso degli istituti finanziari) devono essere subordinati a una serie di criteri e requisiti che assicurino la loro utilità per l'economia generale e un'adeguata gestione societaria (corporate governance).

4.2

A tal fine sono necessari aiuti rapidi ed efficaci per i cittadini maggiormente colpiti, vale a dire per quelli socialmente più deboli, e per il mercato del lavoro. Di solito, infatti, la crisi del mercato del lavoro colpisce dapprima coloro che hanno rapporti di lavoro precari come i lavoratori interinali o quelli con contratti a tempo determinato. In un secondo tempo il personale in pianta stabile lavora, almeno temporaneamente con orario ridotto e, se la crisi si protrae, viene licenziato. Anche alla luce dell'andamento demografico previsto, una ristrutturazione intelligente dell'economia deve quindi cercare di trattenere i dipendenti in azienda, invece di licenziarli, e migliorare le loro qualifiche per disporre di una manodopera sufficientemente qualificata quando l'economia ricomincerà a crescere. Il sostegno per i disoccupati dovrebbe essere collegato a programmi di riqualificazione professionale e di miglioramento del livello delle qualifiche dei lavoratori. In tale contesto si deve anche tener conto del fatto che le statistiche ufficiali sulla disoccupazione non rispecchiano tutta l'ampiezza del problema e la sua reale portata. Nei periodi di crisi, infatti, molte persone scompaiono dalle statistiche sulla disoccupazione, ad esempio poiché non hanno diritto alle prestazioni assicurative o sono scoraggiate dalla mancanza di opportunità e non cercano più un posto di lavoro. In modo particolare l'integrazione dei giovani nel mercato del lavoro ha la massima priorità in tempo di crisi.

4.3

Le misure di sostegno per il settore aziendale devono puntare anche a garantire nuovamente a tale settore, e specialmente alle PMI, un accesso senza ostacoli ai finanziamenti e ad assicurare il buon funzionamento dei mercati dei prodotti. Nel quadro delle misure di sostegno all'economia, vanno già poste le basi per poter uscire dalla crisi rafforzati. Bisogna puntare ad ottenere un «doppio dividendo» facendo in modo che, tramite investimenti intelligenti destinati a miglioramenti strutturali non solo venga fornita una boccata d'ossigeno a breve termine all'economia, ma, al medesimo tempo, in linea con la strategia di Lisbona, vengano anche migliorati la competitività e il futuro potenziale di crescita. Questo richiede investimenti nell'innovazione e nella modernizzazione delle infrastrutture (ad esempio reti transeuropee dell'energia e infrastrutture a banda larga), nella ricerca e nell'istruzione. La competitività e la capacità di innovazione delle PMI devono essere rafforzate attraverso misure di sostegno, per esempio in materia di imposizione fiscale o attraverso la concessione di garanzie statali, per utilizzare il potenziale di cui dispongono per aiutare la ripresa economica.

4.4

Il CESE fa inoltre presente che, oltre al sostegno della domanda, anche varie altre misure possono contribuire a rafforzare la fiducia degli operatori economici. Anche una semplificazione della legislazione, uno snellimento delle procedure e una riduzione degli obblighi amministrativi possono servire a stimolare l'attività economica.

4.5

Dato che «ripresa economica» non vuol dire che dopo la crisi tutto torna ad essere esattamente come prima, occorre porre l'accento sui progetti di risparmio energetico e rispettosi dell'ambiente per accelerare il passaggio ad un'economia «verde» a basse emissioni di carbonio.

4.6

Le misure per i miglioramenti strutturali devono essere progettate in modo da essere socialmente compatibili e da promuovere la crescita e l'occupazione per non compromettere gli sforzi diretti a potenziare la domanda e ad attutire le ripercussioni negative sul piano sociale. Spetta un ruolo speciale alla politica salariale, che deve tenere nel debito conto la doppia funzione svolta dai salari nell'economia. Mentre i salari dal punto di vista microeconomico costituiscono un fattore di costo per le imprese e quindi influenzano la competitività dei prezzi, dal punto di vista macroeconomico essi rappresentano il fattore essenziale per la determinazione della domanda interna. Poiché le imprese investono e creano posti di lavoro solo se vi sono buone aspettative di domanda, una strategia di medio termine volta a tenere l'incremento dei salari in linea con l'aumento della produttività dell'economia nel suo complesso assicura, in una prospettiva economica generale, che si raggiunga un equilibrio tra un'evoluzione sufficiente della domanda e la garanzia della competitività dei prezzi.

4.7

L'impatto delle singole misure di bilancio sulla produttività dipende anche da un effetto moltiplicatore nel quale confluiscono la propensione al consumo e la quota delle importazioni. Nel caso di una riduzione generale delle imposte, ad esempio, vi è il rischio che tale misura, a causa dell'incertezza, faccia aumentare la quota dei risparmi. Un impatto più forte sulla domanda si ottiene con misure dirette alle fasce di reddito modeste, a causa della loro maggiore propensione al consumo. Tuttavia, le fasce di reddito più basse in assoluto non risentono di tali misure in quanto non pagano le imposte. Per questo motivo sarebbe opportuno trovare per questo gruppo delle soluzioni speciali. La limitazione temporale di determinati sgravi fiscali, a sua volta, potrebbe costituire un incentivo ad anticipare gli acquisti. Anche trasferimenti diretti mirati come l'aumento temporaneo delle indennità di disoccupazione proposto dalla Commissione avranno probabilmente un forte impatto. Inoltre, il fatto che gli aiuti finanziari siano subordinati a una destinazione specifica aumenta l'impatto sulla domanda, come nel caso degli assegni formativi o dell'idea dei buoni ambientali. Questi ultimi possono essere utilizzati per l'acquisto di beni a basso consumo energetico, impianti solari o abbonamenti ai mezzi pubblici.

4.8

Nell'assegnazione delle risorse dei vari fondi (fondi strutturali, di coesione, Fondo per lo sviluppo regionale, Fondo sociale europeo, Fondo di adeguamento alla globalizzazione), oltre a un impiego efficiente, occorrono anche flessibilità e un approccio pragmatico per accelerare l'ottenimento di risultati.

5.   Rafforzare la dimensione europea

5.1

L'attuale crisi ha anche conseguenze diverse sui singoli Stati membri, in funzione della diversità delle loro strutture economiche. Questa differenza d'impatto fa sorgere la necessità di mettere a punto pacchetti nazionali di misure diversi. Vi è quindi il rischio di crescenti disparità in Europa e all'interno della zona dell'euro. In questo senso le politiche nazionali incontrano i loro limiti e vi è quindi l'esigenza di una politica europea, di un coordinamento e di una governance migliori a livello europeo, livello che dovrà inoltre disporre di adeguati strumenti per un'efficace applicazione della sua politica.

5.2

L'attuazione dei pacchetti di misure, che deve avvenire urgentemente, richiede un coordinamento, un'armonizzazione e una concertazione, in quanto, senza un approccio coerente, vi è il rischio che singoli paesi adottino misure a favore delle imprese nazionali che violano i principi di condizioni uguali per tutti e che inducono una corsa alle sovvenzioni. Anche nel settore fiscale è necessaria un'armonizzazione generale che vada oltre le misure di rilancio dell'economia e riguardi l'intero sistema delle imposte. Anche il tentativo di migliorare la competitività internazionale di un paese mediante misure che incidono sui costi comporta il pericolo di tendenze protezionistiche quando il paese cerca di sottrarsi alla recessione con l'ausilio della domanda estera. Questo vale sia all'interno dei singoli Stati membri dell'UE che tra i grandi blocchi dell'economia mondiale (come dimostra minacciosamente lo slogan a favore dell'acquisto di prodotti americani (buy american) del programma statunitense di ripresa economica).

5.3

Il CESE, in questo contesto, esorta la Commissione a fornire rapidamente una panoramica dell'attuazione dei programmi nazionali di ripresa economica e ad illustrare gli strumenti disponibili per accelerare l'avanzamento di tali misure. Questo è necessario per poter quantificare le misure attuate realmente, per potere imparare dalle esperienze degli altri e per stabilire se vi siano sviluppi indesiderati. Tali sviluppi indesiderati, che si dirigono verso il protezionismo, sarebbero costituiti per esempio da distorsioni della concorrenza, dal dumping (anche fiscale), dall'ottenimento di vantaggi grazie agli sforzi altrui e – al di fuori della zona dell'euro – dalle svalutazioni. Il Comitato chiede al Consiglio e alla Commissione di vietare ed, eventualmente, ritirare quelle misure che vanno in direzione di una politica volta a scaricare le difficoltà sugli altri (beggar thy neighbour).

5.4

Rafforzare la dimensione europea significa anche che occorre prestare sempre più attenzione ai progetti comuni europei, ad esempio nel settore delle infrastrutture per l'approvvigionamento energetico. Un contributo al finanziamento di tali progetti potrebbe essere dato dall'impiego di risorse non completamente utilizzate, grazie a una maggiore flessibilità tra le linee del bilancio UE. In questo contesto andrebbe valutata anche l'ipotesi di un prestito obbligazionario europeo di un fondo di investimento sovrano europeo.

5.5

L'aiuto solidale dell'Unione è necessario anche per i paesi non appartenenti alla zona dell'euro che incontrano difficoltà nella bilancia dei pagamenti (p. es. Ungheria e Lettonia), nonché per le banche e gli istituti finanziari a rischio di paesi non appartenenti alla zona dell'euro e in questo quadro occorre tenere presente la situazione particolare di questi paesi nel processo di recupero del loro ritardo.

6.   Riforma dei mercati finanziari

6.1

Come con altre questioni di importanza globale, l'UE, in particolare, è chiamata inoltre a intervenire in modo unitario e coeso e a parlare con una sola voce sulla nuova regolamentazione dell'architettura finanziaria internazionale. Nell'interesse di tutte le parti e come contributo alla stabilità, l'Europa deve gettare le fondamenta e mettere il sigillo europeo a questo nuovo ordine. In ogni caso, è necessario un cambiamento di paradigma verso un approccio a lungo termine e la sostenibilità, sulla base di sistemi di incentivi e di premi adeguati. Un nuovo ordine del sistema finanziario globale deve permettere lo sviluppo di innovazioni finanziarie solide che non facciano concorrenza agli investimenti dell'economia reale, ma la sostengano.

6.2

Il nuovo sistema deve essere caratterizzato dai principi come la trasparenza, la limitazione dei rischi, una rappresentazione realistica dei rischi nei bilanci, e la regolamentazione anche dei fondi speculativi (hedge funds) e dei fondi comuni di investimento chiusi (private equity). Una nuova regolamentazione deve anche contribuire ad impedire gli effetti prociclici e eccessivi effetti leva. Le proposte di riforma non devono essere un insieme frammentario, composto di singole misure non collegate tra loro, ma devono presentare un pacchetto esauriente e coerente di misure che coprano tutti i settori pertinenti. Non deve esservi alcuna concorrenza in materia di (de)regolamentazione tra paesi o blocchi economici. Ciò richiede inoltre per lo meno una vigilanza e un controllo coordinati e transfrontalieri e agenzie europee di rating indipendenti.

6.3

Particolare attenzione deve essere prestata nuovamente anche alle modalità di finanziamento dei regimi pensionistici (3). In effetti, negli ultimi anni, sulla spinta della fede nell'infallibilità dei mercati, le pensioni sono state finanziate sempre più via i mercati dei capitali e ciò per la gran parte di coloro che sono già in pensione o la saranno in futuro si è tradotto in notevoli perdite finanziarie, contrariamente a quanto si era detto originariamente.

7.   Il ruolo della società civile organizzata

7.1

Saranno essenzialmente i cittadini a dover sostenere l'urto della crisi. Da qui la necessità di coinvolgere in modo speciale gli attori economici e sociali nell'impostazione della futura politica. Il Comitato economico e sociale europeo ha mostrato in diversi modi di poter assolvere nell'attuale crisi finanziaria, economica e sociale il suo ruolo istituzionale di sostegno delle altre istituzioni europee. Così, in un convegno tenutosi nel mese di gennaio 2009, il Comitato ha costituito la cornice istituzionale per un dialogo tra le diverse parti interessate: banche, imprese, sindacati, istituzioni ed altri attori della società civile.

7.2

I dipendenti e le imprese hanno un ruolo chiave nella gestione di una crisi che non è stata originata da loro e di cui non sono responsabili. Un dialogo sociale rafforzato è necessario, da un lato per elaborare ed attuare una politica che porti il più rapidamente possibile fuori dalla crisi e, d'altra parte, per attenuare il più possibile per i cittadini le ripercussioni economiche e sociali della crisi.

7.3

Negli Stati membri, dovrebbero essere sviluppate, in collaborazione con le parti sociali, misure appropriate, onde evitare una dinamica salariale troppo modesta che non sosterrebbe in misura sufficiente la domanda e la crescita. Anche lo sviluppo del dialogo macroeconomico è utile per un miglior coordinamento in quanto si può così allineare meglio l'andamento dei salari con la politica macroeconomica.

7.4

Nell'attuale crisi è vitale che non si acuiscano l'ingiustizia e le disuguaglianze. È necessario, specialmente in vista delle elezioni del Parlamento europeo, mostrare attraverso un nuovo patto sociale (new social deal) ai cittadini e, in particolare, ai membri più deboli della società che la politica non li ha abbandonati. Le misure legali e finanziarie devono impedire che la crisi diventi una crisi del modello sociale europeo.

7.5

Il dialogo sociale è inoltre d'importanza fondamentale per gestire l'impatto economico e sociale della crisi (4). La storia mostra che le crisi economiche possono determinare un'intensificazione del dialogo sociale ovvero ostacolarlo. Il primo caso si dà quando è riconosciuta la necessità di una più stretta collaborazione. Peraltro, in un'economia in crescita è più facile raggiungere compromessi, mentre la ricerca di compromessi, in tempo di crisi, può condurre al rafforzamento di comportamenti intransigenti e tesi alla difesa egoistica di interessi di gruppo. Quest'ultimo atteggiamento renderebbe il percorso di uscita dalla crisi notevolmente più doloroso di quanto non sarà già per conto suo.

7.6

Nel quadro delle misure di stimolo della domanda si mira ad un impiego intelligente delle risorse supplementari in modo da assicurare che, una volta superata la crisi, la competitività dell'economia risulti più alta. Analogamente, la gestione della crisi deve essere utilizzata anche per potenziare le strutture del dialogo sociale a tutti i livelli. L'ultima relazione congiunta dalle parti sociali europee relativa alle sfide sul mercato del lavoro è una buona base dalla quale partire per sondare le possibilità dei progetti di flessicurezza. Invece delle riforme strutturali che cercano di rendere meno rigorosa la protezione contro i licenziamenti e di allungare l'orario di lavoro, nel quadro della flessicurezza interna dovrebbero essere sviluppate misure per promuovere la creazione di posti di lavoro sostenibili. Questo deve consentire che i dipendenti durante i periodi di recessione siano mantenuti in azienda con un orario più breve, facendo loro seguire corsi di perfezionamento professionale nelle ore rimanenti, per avere, al momento della ripresa successiva, a disposizione manodopera riqualificata. L'ultimo progetto sviluppato a tal fine nei Paesi Bassi può essere considerato a questo proposito come un esempio di buone pratiche. Bisogna aumentare la sicurezza anche per la manodopera più flessibile, per dare a questi lavoratori l'opportunità di restare sul mercato del lavoro e migliorare le loro qualificazioni.

7.7

L'economia sociale, espressione autentica della società civile organizzata attraverso i suoi diversi modelli societari e organizzativi, tende ad offrire risposte innovative alle esigenze sociali, unendo redditività e solidarietà, creando posti di lavoro di qualità, rafforzando la coesione sociale e territoriale, collegando la produzione allo sviluppo sostenibile e potenziando, in definitiva, l'esercizio di una cittadinanza attiva e della responsabilità sociale delle imprese. Tutte queste caratteristiche, considerate oggi elementi indispensabili per sormontare l'attuale crisi di sistema, rendono necessario attribuire agli operatori dell'economia sociale un ruolo determinante nella gestione della crisi stessa e, d'altro canto, impongono alla Commissione di integrare nelle sue politiche e nei suoi programmi il concreto impulso di questo modello sociale di imprenditorialità dei cittadini (5).

Bruxelles, 24 marzo 2009

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI


(1)  Cfr. parere del CESE, del 15 gennaio 2009, sul tema Un piano europeo di ripresa economica (relatore: DELAPINA), ECO/244 - CESE 50/2009.

(2)  Lo stesso presidente della Deutsche Bank ha dichiarato nel frattempo: «Non credo nelle capacità di autocorrezione del mercato» (http://www.faz.net - 17.3.2008).

(3)  In questo contesto si rimanda al parere CESE in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'accesso alle attività di assicurazione e di riassicurazione e al loro esercizio - Solvibilità II (COM(2007) 361 def. - 2007/0143 (COD)), GU del 30.8.2008, pag. 4.

(4)  Il documento Industrial Relations in Europe (Le relazione industriali in Europa) pubblicato dalla Commissione europea nel mese di febbraio 2009 mette in evidenza il ruolo centrale delle parti sociali.

(5)  Sullo stesso argomento cfr. anche il parere CESE 50/2009 adottato dal CESE il 15 gennaio 2009, non ancora pubblicato sulla GU.