ISSN 1725-2466

doi:10.3000/17252466.C_2009.175.ita

Gazzetta ufficiale

dell’Unione europea

C 175

European flag  

Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

52o anno
28 luglio 2009


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

I   Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

 

PARERI

 

449 a sessione plenaria del 3 e 4 dicembre 2008

2009/C 175/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Investimenti futuri nell'industria nucleare e loro ruolo nella politica energetica dell'UE

1

2009/C 175/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'accesso a banda larga per tutti: riflessioni sull’evoluzione del perimetro del servizio universale nel settore delle comunicazioni elettroniche

8

2009/C 175/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Governance efficace della strategia di Lisbona rinnovata

13

2009/C 175/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La democrazia economica nel mercato interno

20

2009/C 175/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'approccio proattivo al diritto: un altro passo verso una migliore regolamentazione a livello dell'UE

26

2009/C 175/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Affrontare le sfide legate alla gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) nell'UE

34

2009/C 175/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La necessità di un'azione concertata a livello dell'UE per rafforzare la società civile nelle zone rurali, con particolare attenzione ai nuovi Stati membri

37

2009/C 175/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le conseguenze sociali dell'evoluzione del binomio trasporti/energia

43

2009/C 175/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'industria aeronautica europea: situazione e prospettive

50

2009/C 175/10

Pareredel Comitato economico e sociale europeo sul tema Evoluzione della grande distribuzione e impatto sui fornitori e sui consumatori

57

2009/C 175/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Trasformazioni industriali, sviluppo del territorio e responsabilità delle imprese

63

 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

449 a sessione plenaria del 3 e 4 dicembre 2008

2009/C 175/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde — L'esecuzione effettiva delle decisioni giudiziarie nell'Unione europea: la trasparenza del patrimonio del debitore

73

2009/C 175/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 98/26/CE concernente il carattere definitivo del regolamento nei sistemi di pagamento e nei sistemi di regolamento titoli e la direttiva 2002/47/CE relativa ai contratti di garanzia finanziaria per quanto riguarda i sistemi connessi e i crediti

78

2009/C 175/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo — Migliori carriere e maggiore mobilità: una partnership europea per i ricercatori

81

2009/C 175/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la decisione 2001/470/CE del Consiglio relativa all'istituzione di una rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale

84

2009/C 175/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Affrontare la sfida dell'efficienza energetica con le tecnologie dell'informazione e della comunicazione

87

2009/C 175/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Far progredire Internet Piano d'azione per l'introduzione del protocollo Internet versione 6 (IPv6) in Europa

92

2009/C 175/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento (CE) n. …/… del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 219/2007 del Consiglio relativo alla costituzione di un'impresa comune per la realizzazione del sistema europeo di nuova generazione per la gestione del traffico aereo (SESAR)

97

2009/C 175/19

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sulla competitività delle industrie dei metalli — Un contributo alla strategia dell'Unione europea per la crescita e l'occupazione

100

2009/C 175/20

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo su industrie forestali innovative e sostenibili nell'UE — Un contributo alla strategia dell'UE per la crescita e l'occupazione

105

2009/C 175/21

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante l'istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura per l'informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie

109

2009/C 175/22

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l'applicazione dei diritti dei pazienti relativi all'assistenza sanitaria transfrontaliera

116

2009/C 175/23

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva …/…/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del […] intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società di cui all'articolo 48, secondo paragrafo, del Trattato, per tutelare gli interessi dei soci e dei terzi per quanto riguarda la costituzione della società per azioni, nonché la salvaguardia e le modificazioni del capitale sociale della stessa

122

2009/C 175/24

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva …/…/CE del consiglio del […] che determina il campo di applicazione dell'articolo 143, lettere b) e c) della direttiva 2006/112/CE per quanto concerne l'esenzione dall'imposta sul valore aggiunto di talune importazioni definitive di beni (versione codificata)

123

IT

 


I Risoluzioni, raccomandazioni e pareri

PARERI

449 a sessione plenaria del 3 e 4 dicembre 2008

28.7.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 175/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Investimenti futuri nell'industria nucleare e loro ruolo nella politica energetica dell'UE»

(2009/C 175/01)

Con lettera datata 27 maggio 2008, la Commissione europea ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di elaborare un parere esplorativo sul tema:

Investimenti futuri nell'industria nucleare e loro ruolo nella politica energetica dell'UE.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 novembre 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore IOZIA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 4 dicembre 2008, nel corso della 449a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 122 voti favorevoli, 15 voti contrari e 16 astensioni.

1.   Considerazioni e raccomandazioni

1.1   Sono necessari circa dieci anni tra pratiche amministrative e tempi di costruzione per produrre elettricità da una centrale nucleare, i cui costi di investimento possono variare da 2 a 4,5 miliardi di euro per una potenza installata di 1 000 MWe o di 1 600 MWe. È indispensabile avere garanzie di un quadro legislativo stabile, tenendo conto del periodo che intercorre tra gli investimenti e l'avvio della commercializzazione dell'energia. Sia la scelta del nucleare che la relativa legislazione dovrebbero essere appoggiate da una larga maggioranza dei cittadini e dalla politica.

1.2   Entro il 2030, sulla base dei programmi attuali, circa la metà delle centrali dovranno essere disattivate. Il CESE ritiene indispensabile che siano adottate misure stringenti che garantiscano adeguate risorse finanziarie destinate alla disattivazione, secondo il principio «chi inquina paga» e garantendo un livello alto di protezione dei lavoratori e dei cittadini; sostiene inoltre pienamente le proposte in merito della Commissione, chiedendo di trasformare rapidamente in direttiva la raccomandazione 2006/851/Euratom per la creazione di autorità indipendenti che dovranno gestire i fondi di disattivazione e smantellamento.

Il CESE:

1.3   evidenzia che i principali ostacoli sono costituiti dalle incertezze politiche e dalle procedure per ottenere una licenza, dalla mancanza di trasparenza, dall'assenza di un'informazione completa, chiara e veritiera sugli effettivi rischi, dalla mancanza di decisioni relative alla individuazione dei siti definitivi e sicuri di stoccaggio delle scorie. Il rischio per gli investitori privati è troppo elevato e la crisi finanziaria rende ancora più problematico reperire capitali a medio/lungo termine, quali quelli necessari all'industria nucleare. Escludendo aiuti di Stato al settore, i finanziamenti potrebbero essere agevolati da un quadro normativo stabile e sicuro per gli investitori, dalla possibilità di stipulare contratti di fornitura di lunga durata, che garantiscano il ritorno sull'investimento. Le difficoltà incontrate per incrementare modestamente le risorse Euratom destinate al finanziamento (Euratom loans) non lasciano prevedere rapidi cambiamenti nella politica dell'Unione.

1.4   È convinto che occorra un coinvolgimento democratico dei cittadini, cui va garantita la possibilità di conoscere approfonditamente i rischi e le opportunità del nucleare per poter partecipare consapevolmente alle scelte che li riguardano da vicino. Il CESE si fa portavoce di questa esigenza e chiede alla Commissione di sensibilizzare gli Stati membri ad avviare una campagna di trasparenza e di certezze sul fabbisogno energetico europeo, sull'efficienza energetica e sulle diverse possibilità, compreso il nucleare.

1.5   Considera allo stato attuale un'opzione economicamente giustificata la soluzione di allungare lo sfruttamento delle centrali, purché nel rigoroso rispetto delle norme di sicurezza, anche se in questo modo si rinuncia ad avere un significativo incremento di efficienza termodinamica (15-20 %).

1.6   Ritiene che siano da agevolare gli investimenti rivolti alla ricerca sulla sicurezza e sulla protezione dei lavoratori e dei cittadini, nonché al sostegno di programmi di formazione, di tirocinio e di sviluppo professionale dedicati al mantenimento costante di un alto livello di capacità tecniche e tecnologiche nell'industria di settore e nelle autorità nazionali di regolamentazione e controllo. Tali investimenti dovrebbero essere finanziati anche da programmi pubblici nazionali, oltre che dal 7° programma quadro Euratom (7PQ).

1.7   Ritiene insufficienti e ingiustificati, nel caso di incidenti, i diversi regimi di compensazione e di individuazione delle responsabilità. Auspica, come primo passo, l'unificazione delle condizioni delle Convenzioni di Parigi e di Vienna che non prevedono lo stesso tipo di quadro legale applicabile e le stesse misure di compensazione per danni collegati al nucleare. È opportuna l'adozione di una direttiva, conformemente alle previsioni dell'articolo 98 del Trattato Euratom in materia di assicurazioni dei rischi, che espliciti chiaramente che gli oneri, in caso di incidenti, sono integralmente a carico degli operatori del nucleare. Vista la caratteristica del rischio, andrebbe promossa una condivisione del rischio tra gli operatori europei del settore, sulla base degli esempi già esistenti.

1.8   Ritiene che l'industria europea per far fronte ad una ipotetica forte crescita della domanda di nuove centrali debba programmare ingenti investimenti in conoscenza e formazione, in ricerca e sviluppo, indispensabile per il futuro del settore in Europa. Percentuali di elettricità prodotta dal nucleare inferiori al 10-15 % della produzione annua non avrebbero molto senso, perché i costi amministrativi e la gestione delle scorie hanno bisogno di una massa critica per sviluppare economie di scala.

1.9   È consapevole che non è praticabile la soluzione di individuare un unico sito o più siti comuni europei di stoccaggio, come hanno fatto gli Stati Uniti, e sollecita gli Stati membri ad accelerare le procedure di scelta dei siti nazionali definitivi. Occorre definire requisiti armonizzati di sicurezza, per i quali una direttiva in materia è richiesta, come hanno già fatto l'Associazione dei regolatori (WENRA) e il Parlamento europeo.

1.10   Incoraggia la Commissione a sostenere i programmi di ricerca e sviluppo, in particolare sul nucleare di IV generazione.

1.11   Anche nel campo del trattamento delle scorie e della protezione da radiazioni ionizzanti, le risorse disponibili per la ricerca non sembrano adeguate. Il CESE invita la Commissione, il Consiglio e il Parlamento a dotare il 7PQ Euratom di altre risorse, sostenendo iniziative tecnologiche congiunte specificatamente dedicate, come si sta facendo ad esempio nel campo delle fuel cell e dei medicinali. Esorta inoltre gli Stati membri a fare decisamente di più anche nel loro ambito di competenza per risolvere questi problemi. Nel luglio 2008 la Nuclear Decommissioning Authority (NDA) ha rivisto al rialzo il fabbisogno di denaro pubblico necessario per la disattivazione del 30 % rispetto al 2003. Le stime della NDA ammontano a 73 miliardi di sterline britanniche, pari a 92 miliardi di euro con una tendenza a crescere (1). L'EDF, che ha un elevato livello di standardizzazione, dichiara che tali costi ammontano al 15-20 % dei costi iniziali di costruzione.

1.12   Secondo il CESE, vi sono diverse misure che l'Unione e gli Stati membri potrebbero prendere in considerazione per ridurre le suddette incertezze:

sul piano politico, cercare di costruire un consenso duraturo tra le diverse posizioni politiche sul ruolo che il nucleare potrebbe avere nella lotta ai cambiamenti climatici,

sul piano economico, indicare chiaramente quali requisiti intendano imporre in materia di disattivazione e di smaltimento delle scorie nucleari, nonché quali misure finanziarie debbano prevedere gli operatori per affrontare questi costi sul lungo periodo. Gli operatori e le autorità potrebbero inoltre chiarire quali potranno essere le modalità della fornitura dell'energia nucleare alla rete e quale natura dovranno avere i contratti di fornitura a lungo termine per essere considerati accettabili,

sul fronte della ricerca, l'Unione e gli Stati membri potrebbero sostenere ulteriori programmi di ricerca e sviluppo di tecnologie nucleari di terza e quarta generazione (ivi compresa la fusione) che garantiscano migliori livelli di efficienza, sicurezza e compatibilità con l'ambiente rispetto alle centrali attuali,

sul piano della pianificazione territoriale, si potrebbero snellire le complesse procedure per l'individuazione dei siti appropriati e la concessione delle autorizzazioni,

sul piano finanziario, le istituzioni finanziarie europee potrebbero mobilitare fonti di credito in grado di incoraggiare altri investitori a fare la loro parte.

2.   I finanziamenti al settore nucleare

2.1   Il fabbisogno energetico dell'Europa e l'ammontare dei costi prevedibili

2.1.1   Nei prossimi venti anni l'Europa dovrà affrontare investimenti per sostituire le attuali centrali di produzione di elettricità di circa 800-1 000 miliardi di euro, indipendentemente dal combustibile usato. Per quanto riguarda i reattori nucleari si può stimare che da 50 a 70 dovranno essere rimpiazzati su un totale di 146 (con eventuali costi tra i 100 e i 200 miliardi di euro).

2.1.2   I costi per aumentare l'estensione della vita delle centrali nucleari attualmente operative ammontano a circa il 25 % del costo di una nuova centrale e permettono un utilizzo supplementare per un periodo variabile tra i 10 e i 20 anni. In un recente studio (2), i costi riportati non sono omogenei, variano da 80 a 500 euro/kWe, a seconda delle tecnologie usate e si riferiscono a progetti di prolungamento operativo di circa 10 anni.

2.1.3   L'incertezza relativa alle scelte future in campo energetico e la possibilità di trarre ulteriore profitto dall'investimento spingono gli operatori a richiedere la proroga dell'utilizzo degli impianti attuali, piuttosto che ad investire ingenti somme in impianti nuovi e più efficienti. Il prolungamento della vita operativa, garantendo almeno lo stesso livello di sicurezza, è di sicuro interesse dal punto di vista economico e del cambiamento climatico, ma invece di risolvere il problema del fabbisogno energetico a lungo termine, semplicemente lo rinvia.

2.1.4   In caso di riduzione progressiva della produzione di elettricità dal nucleare, occorrerà sostituire la produzione elettrica con altre energie che garantiscano lo stesso livello di emissioni e lo stesso carico di base. In caso di sostituzione delle centrali dismesse, i costi da sostenere variano tra i 100 e i 200 miliardi di euro; in caso di mantenimento dell'attuale quota di produzione del nucleare, tra i 200 e i 400 miliardi, in relazione alla domanda di energia elettrica.

2.1.5   Il costo di una nuova centrale nucleare viene stimato tra i 2 e i 4,5 miliardi di euro. La BEI considera l'incertezza a lungo termine dello sviluppo del nucleare, prevedendo nell'UE una drastica riduzione del 40 % nel 2030 rispetto al 2004. Il Presidente della BEI in una recentissima audizione al CESE ha confermato questa previsione. L'Agenzia internazionale dell'energia atomica (AIEA) prevede che la capacità di energia elettrica da nucleare passi nello stesso periodo da 368 GW a 416 GW con un incremento del 13 % a livello mondiale, mentre in Europa viene comunque prevista una riduzione di 15 GW (3).

2.2   Il cambiamento climatico, le emissioni di CO2 e il nucleare

2.2.1   Per raggiungere gli obiettivi di Kyoto e quelli ancora più stringenti che dovrebbero essere fissati a Copenaghen, l'UE dovrebbe produrre il 60 % dell'elettricità senza emissioni di CO2. Attualmente, circa il 40 % della emissione di CO2 dell'Unione europea viene dalla produzione di energia. Il ruolo del nucleare non può essere trascurato. L'obiettivo del 20 % di rinnovabili per il 2020 dovrebbe, secondo la Commissione, essere auspicabilmente elevato al 30 % entro il 2030.

2.2.2   È prevedibile la crescita delle emissioni di CO2 legate alla produzione e al trattamento dell'uranio, dovute essenzialmente al progressivo esaurimento dei giacimenti di minerali a più alta concentrazione di uranio e all'incremento di gas a effetto serra con l'uso di fluoro e di cloro necessari per i processi di preparazione dell'esafluoruro di uranio e di purificazione dello zirconio necessario per i tubi ove viene inserito l'uranio arricchito.

2.2.3   L'impronta di CO2 emesso per la produzione di elettricità dal nucleare resterà comunque molto bassa e questo fatto dovrà essere tenuto nella debita considerazione.

2.2.4   La domanda di elettricità per il trasporto pubblico e privato crescerà, come anche le esigenze per la produzione di idrogeno, attualmente ricavato per il 95 % da idrocarburi. L'idrogeno aiuterà a risolvere il problema della conservazione dell'elettricità, purché prodotto da combustibili a bassissime emissioni.

2.3   Le difficoltà che incontra l'industria nucleare

2.3.1   La maggiore difficoltà consiste nella incertezza del quadro amministrativo e regolamentare. In ogni paese le procedure sono diverse e in alcuni casi possono raddoppiare o triplicare i tempi di costruzione. In Finlandia la Commissione stima necessari almeno 10 anni, ma a causa dei problemi incontrati nella costruzione si sono fermati i lavori e si stima che ci sarà un ritardo di almeno 18 mesi. Il percorso amministrativo è iniziato nel 2000 e l'allaccio con la rete avverrà probabilmente non prima del 2011.

2.3.2   Gli investimenti nel nucleare sono caratterizzati da una quota particolarmente elevata di capitale iniziale, intorno al 60 % dell'investimento totale, e solo dopo circa 10 anni inizia la vendita di elettricità. Occorrono circa 20 anni per ammortizzare il capitale investito e il suo costo finanziario. Questo dimostra l'importanza di tempi di utilizzo abbastanza lunghi ai fini della redditività di questa tecnica.

2.3.3   Essi sono di lunghissima durata e tra messa in opera, operatività e operazioni di decontaminazione e smantellamento possono superare i cento anni. È indispensabile che sia garantita la stabilità finanziaria degli operatori per un lungo periodo e l'impegno a lungo termine degli Stati sulle prospettive del nucleare.

2.3.4   I finanziamenti al settore nucleare risentono più di altri della scelta politica dei governi nazionali. Il primo fattore di incertezza è determinato proprio dalla necessità di avere un quadro legale certo e stabile. È indispensabile una politica di coinvolgimento e di sensibilizzazione dei cittadini, affinché questi possano contribuire alla scelta sulla base di informazioni complete e trasparenti, comprensibili e veritiere. Solo una procedura democratica può permettere quella scelta consapevole che è alla base del futuro dell'industria nucleare europea.

2.3.5   L'alta incidenza del costo finanziario comporta la necessità di «vendere» tutta l'energia prodotta, considerando che gli impianti nucleari devono funzionare come carico di base, distribuendo l'elettricità prodotta per un numero molto elevato di ore annue. Si pone un problema per quanto riguarda la certezza della redditività, che potrebbe essere superato con la possibilità di stipulare contratti di lunga durata, come nel caso finlandese.

2.3.6   Un altro fattore di incertezza è il regime delle compensazioni e l'individuazione delle responsabilità diverse tra gli Stati membri nel caso di incidenti. È auspicabile avere un sistema europeo uniforme di garanzia per migliorare gli attuali schemi e le attuali coperture assicurative, che sono assolutamente insufficienti nel caso di un incidente grave. Gli oneri e la responsabilità devono essere integralmente a carico dei produttori, come in qualsiasi altra attività. Data la natura del rischio (costi elevatissimi in caso di incidente serio e bassissima probabilità che questo avvenga), andrebbero incoraggiate forme di coassicurazione su base reciproca tra i diversi produttori di energia nucleare.

2.3.7   L'opinione pubblica. La più recente indagine sull'opinione pubblica (4) mostra una inversione di tendenza rispetto al nucleare, con una marcata valutazione positiva nei paesi che utilizzano questa tecnologia: nell'UE-27 tuttavia ancora prevale seppur di poco una valutazione negativa (45 % a 44 %). La mancanza di trasparenza e la necessità di una informazione chiara e completa sono state evidenziate anche dal Forum europeo.

2.4   Le risorse comunitarie

2.4.1   Il Trattato Euratom prevede nel Programma quadro della Comunità europea per l'energia atomica, finanziamenti specifici per le attività di ricerca, sviluppo e dimostrazione.

Il primo programma (azioni indirette) verte sui seguenti settori:

ricerca sull'energia da fusione (5),

fissione nucleare e radioprotezione.

Il secondo programma (azioni dirette) prevede investimenti per:

fusione (1 947 milioni di euro, di cui almeno 900 per le attività collegate al progetto ITER),

fissione nucleare e radioprotezione (287 milioni di euro),

attività nucleari del Centro comune di ricerca (517 milioni di euro).

2.4.2   Un altro strumento comunitario di finanziamento è costituito dalla BEI, che nel settore ha garantito finanziamenti per un totale di oltre 6 589 milioni di euro, finalizzati sia alla costruzione di centrali che allo smaltimento delle scorie: a questi si aggiungono, per gli stessi fini, 2 773 milioni di euro messi a disposizione dall'Euratom.

2.4.3   Nell'analisi degli investimenti la BEI considera, dopo il parere favorevole della Commissione, non solo la mobilitazione delle ingenti risorse finanziarie necessarie per la costruzione, ma anche i costi di gestione delle scorie e di dismissione. Ma l'internalizzazione dei costi che la BEI annuncia non prevede altri costi indiretti, come ad esempio quelli collegati alla difesa esterna delle centrali da parte delle forze di sicurezza o le opere di smantellamento accessorie, quali le dighe di magra che vengono costruite sui fiumi per garantire il flusso costante di acqua ai reattori anche nei periodi di siccità.

2.4.4   I diversi modi di calcolare i costi e l'esigenza di avere un sistema garantito di fondi dedicati ad hoc sono chiaramente descritti nella comunicazione della Commissione Seconda relazione sull'utilizzo delle risorse finanziarie destinate alla disattivazione delle installazioni nucleari e alla gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi  (6).

2.4.5   In questo rapporto vengono evidenziati anche gli usi «distorti» che in alcuni Stati membri vengono fatti dei fondi dedicati allo smantellamento e alla gestione delle scorie. In alcuni paesi tali fondi sono finanziati con risorse pubbliche, spesso utilizzati per altri scopi. Ciò altera in modo significativo la concorrenza perché questi costi dovrebbero essere internalizzati secondo il principio «chi inquina paga».

2.4.6   La proposta della Commissione del 2002 di riunire le decisioni 270 del 1977 e 179 del 1994 e di innalzare il livello di finanziamenti non ha potuto ottenere il sostegno unanime del Consiglio. Gli Euratom loans disponibili restano 600 milioni, che possono essere richiesti fino ad un massimo del 20 % del finanziamento totale, insufficienti per poter soddisfare alcune richieste che non sono state ancora formalizzate, ma sono oggetto di incontri preliminari con la Commissione.

2.4.7   I fondi Euratom e i titoli BEI, invece, dovrebbero essere utilizzati per favorire le ricerche e le applicazioni di uno sviluppo sicuro e sostenibile dell'industria nucleare. Le attuali misure non appaiono adeguate rispetto al fabbisogno finanziario crescente per garantire standard di sicurezza elevati e per ridurre i rischi al minimo livello possibile. Tali fondi dovrebbero essere specificatamente indirizzati verso quei paesi che dimostrano di avere politiche pubbliche nel campo del trattamento delle scorie.

2.5   I finanziamenti a livello nazionale

2.5.1   Il regime degli aiuti di Stato non prevede la possibilità di finanziare la costruzione di centrali nucleari, mentre appaiono possibili ed auspicabili finanziamenti pubblici per incrementare le misure di sicurezza, per sviluppare ed introdurre metodologie trasparenti e condivise per il rilascio delle licenze e la scelta dei siti, per sostenere programmi di formazione e di sviluppo professionale. Indipendentemente dal fatto che si costruiscano o meno nuove centrali nucleari, sarà indispensabile poter contare su ingegneri e tecnici altamente specializzati che possano garantire nel tempo la gestione in sicurezza delle centrali, sia quelle operative che quelle in fase di dismissione.

2.5.2   L'industria europea è impegnata nella costruzione di 4 reattori in corso di realizzazione (2 in Bulgaria, 1 in Finlandia, 1 in Francia). È problematico, allo stato attuale, prevedere un forte sviluppo di queste capacità produttive, in particolare per quanto riguarda la parte relativa alla fissione. La NIA britannica, in un suo recente studio ha confermato che potrebbe sostenere il 70-80 % di un nuovo programma nucleare, ad eccezione dei componenti core del reattore quali la caldaia a pressione, i turbogeneratori ed altri importanti componenti (7). La carenza di tecnici e ingegneri è il limite più alto alla possibilità di uno sviluppo impetuoso del settore. Questa carenza, che si osserva in particolare negli Stati membri che non hanno sviluppato il settore dell'energia nucleare, può essere superata, dato che la formazione di un ingegnere richiede mediamente cinque anni, mentre il tempo che intercorre tra la decisione di costruire un reattore nucleare e la sua entrata in servizio e di circa dieci anni.

2.5.3   Occorrono investimenti importanti nel campo della formazione tecnica e scientifica. Le giovani generazioni non sono state particolarmente spinte a sviluppare i propri studi nel campo nucleare, con l'evidente eccezione degli Stati membri che hanno messo a punto un coerente programma nucleare, creando cosi dei reali sbocchi professionali. Nel prossimo futuro saranno necessari scienziati, tecnici e ingegneri ed esperti di costruzioni industriali. È indispensabile che gli Stati membri che utilizzano tecnologie nucleari, e in particolare quelli che faranno la scelta di sviluppare tali tecnologie, si dotino di progetti specifici e mirati di investimento nella formazione.

2.5.4   Il Forum dell'energia nucleare ha sottolineato l'importanza di una armonizzazione dei requisiti di sicurezza. La CNS (convenzione sulla sicurezza nucleare) e gli standard di sicurezza AIEA sono riconosciuti come parametri di riferimento fondamentali. L'Associazione dei regolatori dell'Europa occidentale (WENRA) intende realizzare un programma armonizzato tra i paesi UE e la Svizzera entro il 2010. Sulla base di una analisi SWOT viene suggerita la emanazione di una direttiva europea sui principi fondamentali di sicurezza nelle installazioni nucleari.

3.   Le opportunità

3.1   Il problema dell'utilizzo dell'energia nucleare e del suo finanziamento va legato al problema del cambiamento climatico indotto dall'emissione di CO2. Circa un terzo della produzione di elettricità e il 15 % dell'energia consumata nell'Unione derivano dal nucleare con basso livello di emissioni di CO2. Anche considerando la possibile crescita del contributo fornito dalle fonti rinnovabili (l'altra sorgente carbon-free disponibile, su cui è necessario puntare con decisione, insieme al risparmio energetico), sembra estremamente difficile ottenere una diminuzione delle emissioni di CO2 nei prossimi decenni senza mantenere la produzione di energia nucleare ai livelli attuali.

3.2   Il nucleare è meno sensibile ai cambiamenti di prezzo, vista la bassa incidenza del costo dell'uranio sui costi totali.

3.3   La diversificazione del mix energetico aumenta le opportunità, in particolare per quei paesi che hanno una forte dipendenza dalle importazioni.

3.4   I costi del kWh prodotto dal nucleare sono, secondo i dati forniti dalla Commissione e da alcuni operatori, più alti di quelli delle centrali termiche classiche, ma inferiori a quelli delle fonti rinnovabili; le cifre non tengono conto del prevedibile costo dei certificati per l'emissione di CO2 e nemmeno della parziale internalizzazione delle spese prevedibili per decontaminazione e smantellamento al termine del ciclo operativo. Per ogni tipo di fonte energetica, occorrerebbe adottare il metodo della internalizzazione di tutti i costi esterni. Alcuni operatori e studi meno recenti (8) affermano che i costi del kWh generato dal nucleare siano inferiori.

3.5   Durata delle riserve di combustibile. Mantenendo l'attuale numero di centrali e la tecnologia dei reattori, le riserve conosciute potranno consentire un funzionamento economicamente conveniente e a bassa emissione di CO2 per un periodo che, a seconda delle stime, varia da pochi decenni a qualche secolo (9)  (10). Questa incertezza nasce dal fatto che, considerando l'esaurimento progressivo dei giacimenti di uranio più «puro», i costi di estrazione e raffinazione aumenteranno in termini energetici e in termini di uso di sostanze chimiche che producono gas serra. La futura generazione di centrali potrebbe però ridurre in modo assoluto il consumo attraverso lo sviluppo di reattori autofertilizzanti. Sarebbe interessante utilizzare come combustibile il torio che è più abbondante dell'uranio, ha migliore resa neutronica e migliore assorbimento neutronico, quindi necessita minore arricchimento del combustibile per unità di energia prodotta. Inoltre, potrebbe alimentare reattori autofertilizzanti non veloci e la produzione di scorie radiotossiche e di plutonio suscettibile di uso bellico sarebbe assai ridotta.

4.   Rischi

4.1   Possibilità di incidenti catastrofici e fall-out. Anche se l'evoluzione della tecnologia dei reattori ha reso i rischi oggettivamente minimi grazie all'adozione di misure di controllo ridondanti, non si può teoricamente escludere la possibilità di fusione del nocciolo. Sistemi di sicurezza passivi, come il core catcher, già introdotto nell'EPR attualmente in costruzione in Finlandia, garantiscono il confinamento della perdita radioattiva anche nella eventualità altamente improbabile di una fusione del nocciolo. I futuri reattori a «sicurezza intrinseca» potrebbero annullare questo rischio. Ad esempio, il progetto europeo VHTR Raphael garantirebbe, anche in caso di blocco dell'impianto di raffreddamento, una lenta evoluzione termica verso uno stato di equilibrio in cui la dissipazione di calore bilancia la produzione di energia, mentre nei reattori attuali è necessario un rapido intervento per arrestare l'aumento di temperatura del nocciolo.

4.2   Rischi per la salute connessi alla normale operazione delle centrali. In uno studio sull'incidenza delle leucemie sui bambini residenti vicino alle centrali nucleari tra il 1990 e il 1998 sono stati osservati 670 casi di leucemia, senza che si potesse evidenziare un'incidenza particolarmente forte nei bambini residenti entro 20 km dai siti nucleari. Un più recente studio epidemiologico (KIKK), svolto in Germania per iniziativa dell'Ufficio federale per la protezione dalle radiazioni (BfS) su un campione esteso (1 592 casi e 4 735 controlli) ha mostrato, invece, una correlazione inversa tra il numero di casi di cancro nei bambini al di sotto dei 5 anni e la distanza dell'abitazione da una centrale nucleare. Gli autori hanno concluso che il livello di radiazioni misurato è talmente basso che, alla luce delle conoscenze radiobiologiche, non si può affermare che la causa del cancro sia l'esposizione alle radiazioni ionizzanti. Un panel esterno di esperti (11) ha verificato i risultati dello studio KIKK. Essi sono attendibili e il basso livello di radiazioni misurate suggerisce di approfondire gli studi su una eventuale ipersuscettibilità dei bambini al rischio da radiazione e il monitoraggio costante delle popolazioni che vivono in prossimità degli impianti nucleari (12). Nel mese di settembre 2008 l'Ufficio federale della sanità del governo svizzero ha lanciato il programma Canupis (Childhood Cancer and Nuclear Power Plants in Switzerland), collegato ai risultati dello studio tedesco e all'analisi della letteratura in materia, commissionata dall'ASN, l'Autorità per la sicurezza nucleare francese, in seguito alle raccomandazioni del rapporto Vroussos.

4.3   Le scorie. Sono pochissimi gli Stati che hanno risolto la questione, individuando siti di stoccaggio definitivi. Gli Stati Uniti hanno dovuto declassificare il sito del Nuovo Messico (Waste Isolation Pilot Plant) attivo dal 1999, a causa delle infiltrazioni di fluidi che, combinate con il salgemma della miniera, producevano un elevato effetto di corrosione sui fusti, facendo considerare come geologicamente instabili i siti nelle formazioni saline. In Europa solo Finlandia e Svezia hanno annunciato l'identificazione del sito definitivo. Particolare attenzione dovrà essere prestata al ritrattamento delle scorie. Bisogna inoltre proseguire le ricerche sullo stoccaggio definitivo delle scorie dopo il ritrattamento dei combustibili irradiati. La qualità di tale stoccaggio e il condizionamento dei rifiuti sono componenti essenziali della sicurezza del ciclo del combustibile.

4.4   Trattamento e trasporto. Ulteriori problemi derivano dalla gestione degli impianti di trattamento e trasporto del combustibile irraggiato i cui responsabili nel passato hanno avuto un comportamento non irreprensibile e non paragonabile a quello dei tecnici delle centrali nucleari, utilizzando ad esempio per il trasporto navi inidonee (una è affondata, fortunatamente senza carico di materiale irraggiato) o immettendo nel mare materiale pericoloso.

4.5   Rischi geologici e idrogeologici. Un altro elemento critico è costituito dal fatto che molte centrali sono situate in zone sismiche. Il Giappone invece ha preferito chiudere il sito di Kashiwazaki-Kariwa, nella prefettura di Nigata, la centrale più grande del mondo, rinunciando a 8 000 MWe di capacità. La chiusura, in seguito al terremoto del 16 luglio 2007, ha ridotto la produzione di elettricità dal nucleare di 25 TWh. Sono attualmente in corso i lavori per ripristinare la funzionalità di due reattori.

4.6   La proliferazione nucleare e il terrorismo. Le preoccupazioni sono aumentate negli ultimi anni in seguito alla nuova minaccia derivante da gruppi terroristici. Impianti realmente sicuri dovrebbero essere in grado di sopportare l'impatto di un aeroplano senza fuoriuscita di materiale radioattivo.

4.7   L'acqua. Un altro aspetto di estrema importanza riguarda i cambiamenti climatici e la progressiva mancanza di acqua. Come per tutte le centrali termiche, comprese quelle a carbone, a petrolio o a energia solare, anche per le centrali nucleari il fabbisogno di acqua per i processi di raffreddamento è molto elevato, a meno di non utilizzare la tecnica meno efficace del raffreddamento ad aria. (In Francia le necessità idriche al servizio della produzione di elettricità, compresa la generazione idroelettrica, ammontano al 57 % del totale dei prelievi annuali, 19,3 miliardi di metri cubi su un totale di 33,7 miliardi di metri cubi; la maggior parte di questa acqua viene restituita (93 %) dopo il raffreddamento del processo di fissione e la produzione di elettricità (13)). Il riscaldamento di grandi quantità d'acqua da parte delle centrali nucleari e la preoccupante riduzione dei corsi d'acqua di superficie e delle falde acquifere pongono ulteriori problemi di scelta dei siti e interrogativi nell'opinione pubblica che richiedono risposte chiare dalle autorità. In alcuni casi si è dovuto ridurre o fermare la produzione di elettricità in caso di siccità.

4.8   L'UE non dispone di materia prima. Nel 2007, solo il 3 % del suo fabbisogno era disponibile all'interno delle sue frontiere. La Russia è il primo fornitore con circa il 25 %, (5 144 tU), seguito da Canada 18 %, Niger 17 % e Australia 15 %. Il nucleare, pertanto, non riduce la dipendenza da paesi terzi anche se gli altri fornitori sono in gran parte paesi politicamente stabili.

4.9   L'accesso al finanziamento e al capitale a lungo termine. Le risorse finanziarie necessarie sono certamente importanti, ma i tempi di progettazione e costruzione, che possono superare i 10 anni per l'entrata in produzione delle centrali, rendono gli investimenti significativamente rischiosi. I tempi di costruzione previsti all'origine non sono mai stati rispettati; la media di tempo effettivamente impiegata per la commercializzazione dell'elettricità prodotta è stata superiore alle previsioni, con evidenti costi aggiuntivi di finanziamento.

4.10   Recenti incidenti. Nel corso della stesura di questo parere si sono avuti numerosi incidenti, uno in Slovenia e quattro in Francia. Il divieto di utilizzare l'acqua e di cibarsi del pesce dei fiumi interessati dalla dispersione di acqua radioattiva in Francia ha colpito negativamente l'opinione pubblica europea. Questi eventi, e il loro impatto mediatico fortemente negativo, suggeriscono di curare particolarmente le procedure di manutenzione e la scelta delle imprese che operano in siti nucleari.

5.   Osservazioni del CESE

5.1   L'importanza che oggi ha l'energia elettrica prodotta dal nucleare è tale che non è immaginabile una sostituzione a breve del contributo indispensabile che essa offre al bilancio energetico dell'UE.

5.2   I finanziamenti al settore nucleare risentono più di altri della scelta politica dei governi nazionali. Il primo fattore di incertezza è determinato proprio dalla necessità di avere un quadro normativo certo e stabile. È indispensabile una politica di coinvolgimento e di sensibilizzazione dei cittadini, affinché essi possano contribuire alla scelta sulla base di informazioni complete e trasparenti, comprensibili e veritiere. Solo una procedura democratica può far assumere una scelta consapevole che è alla base del futuro dell'industria nucleare europea.

5.3   La mancanza di trasparenza, un'informazione scarsa e contraddittoria su temi quali l'allocazione di fondi dedicati allo smaltimento dei rifiuti e allo smantellamento delle centrali dismesse, come verificato dalla stessa Commissione, aumentano l'incertezza dei cittadini. Il CESE chiede alla Commissione di sensibilizzare gli Stati membri ad avviare una campagna di trasparenza e di certezze sul fabbisogno energetico europeo, sull'efficienza energetica e sulle diverse possibilità, compreso il nucleare.

5.4   Il Comitato constata che nei prossimi venti anni molte centrali sia termoelettriche che nucleari attualmente attive in Europa arriveranno alla conclusione del loro ciclo di vita e che quindi, in assenza di nuovi sostanziali investimenti, potranno verificarsi carenze nella fornitura di energia elettrica.

5.5   Il Comitato ha già fatto notare in diversi pareri che le priorità nell'ambito dell'energia sono una più vigorosa promozione dell'efficienza energetica e un maggiore utilizzo delle fonti rinnovabili.

5.6   Tuttavia, il CESE è cosciente del fatto che anche con il massimo sforzo possibile la crescita delle fonti rinnovabili e l'incremento dell'efficienza energetica difficilmente potranno colmare il vuoto lasciato dalle suddette possibili carenze nella fornitura di elettricità. Saranno necessari nuovi investimenti sia nella produzione termoelettrica (carbone) che nel nucleare.

5.7   In entrambi i casi il Comitato reputa di vitale importanza includere nella valutazione dei progetti d'investimento e dei costi operativi tutte le esternalità ambientali e di sicurezza.

5.8   Vista la minaccia sempre più grave rappresentata dai cambiamenti climatici, il progetto di ogni nuova centrale termoelettrica dovrebbe essere compatibile con l'adozione di sistemi per la cattura e lo stoccaggio del CO2, e tenere conto del relativo costo nella valutazione e nei piani d'attività. Analogamente, nella valutazione e nei piani d'attività per la costruzione di qualsiasi nuova centrale nucleare si deve tenere conto dei costi legati alla disattivazione e allo smaltimento delle scorie. Non vi devono inoltre essere sovvenzioni occulte per tutti i sistemi energetici pienamente sviluppati.

5.9   Attualmente gli investitori e altri finanziatori sono riluttanti a impegnare risorse significative nella costruzione di una nuova generazione di centrali nucleari in Europa. Ciò è dovuto alle molte incertezze che caratterizzano l'attuale panorama economico, politico e normativo, e ai tempi necessari prima che si possano raccogliere i frutti economici dei massicci investimenti richiesti.

5.10   L'approccio finlandese, che ha costituito un consorzio di grandi utilizzatori che hanno acquistato a fermo e a prezzi stabili la maggior parte dell'elettricità prodotta, dovrebbe essere incoraggiato e facilitato.

5.11   La Commissione è incoraggiata a sostenere i programmi di ricerca e sviluppo, in particolare sulla fusione e sul nucleare di IV generazione, pur nella consapevolezza che esso non sarà commercialmente utilizzabile prima del 2030 (14). La IV generazione si propone di realizzare un nucleare più «pulito», che elimini i problemi connessi alla gestione delle scorie, alla proliferazione, che abbassi ulteriormente il rischio di fall-out, con consumi ridotti di materiale fissile. La IV generazione può altresì contribuire in modo efficiente a produrre idrogeno. Occorre inoltre portare avanti con determinazione lo sviluppo dell'energia di fusione per poter sfruttare, nella seconda metà del nostro secolo, i particolari vantaggi che essa offre in termini di sicurezza e risorse.

5.12   Le risorse messe a disposizione dall'Euratom per sostenere con garanzie gli investimenti, e conseguentemente diminuire gli oneri finanziari delle imprese che possono avvalersi dell'altissimo rating delle istituzioni europee, sono bloccate: esse potrebbero venire adeguate ai maggiori costi e all'inflazione sviluppatasi nel periodo senza sacrificare altri programmi di sostegno, ad esempio all'efficienza energetica o alle fonti rinnovabili, magari con mezzi specifici e aggiuntivi dedicati.

5.13   Anche nel campo del trattamento delle scorie e della protezione da radiazioni ionizzanti, le risorse disponibili e i pertinenti programmi di ricerca non sembrano adeguati. Il CESE invita la Commissione, il Consiglio e il Parlamento a dotare il 7PQ Euratom di altre risorse a questo fine, anche attraverso iniziative tecnologiche congiunte dedicate, come si sta facendo ad esempio nel campo delle fuel cell e dei medicinali. Esorta inoltre gli Stati membri a fornire a loro volta un contributo al riguardo rafforzando i programmi di ricerca nazionali nel campo della radiobiologia, della radioprotezione, dell'epidemiologia e dello stoccaggio.

5.14   È auspicabile che il modello di finanziamento dedicato al nucleare, che è indipendente da altri programmi quadro, sia esteso ai programmi di efficienza energetica e di sviluppo delle energie rinnovabili.

5.15   Gli Stati membri dovrebbero programmare dei forum sull'energia nucleare a livello nazionale, sul modello di quello organizzato dalla Commissione a Praga-Bratislava sui tre temi: opportunità, rischi, trasparenza e informazione.

5.16   La razionalizzazione nel rilascio delle licenze e nell'individuazione dei siti attraverso una procedura unificata europea potrebbe essere sicuramente positiva per la certezza degli investimenti e dei tempi di messa in opera; tuttavia è certo che l'opinione pubblica non accetterebbe in alcun modo una regolamentazione europea meno stringente di quella nazionale. In materia di sicurezza occorre considerare l'interesse europeo alla definizione di norme severe ed armonizzate, visto il carattere transnazionale dei rischi connessi (ad es. centrali in prossimità dei confini nazionali). L'armonizzazione della progettazione e delle normative potrebbe essere rivolta alla prossima generazione di reattori.

5.17   I consumatori dovrebbero poter partecipare al beneficio di una generazione elettrica meno cara. Oggi i prezzi sulla borsa elettrica si attestano sul costo dell'elettricità più caro (ciclo combinato gas-carbone): si dovrebbero invece quotare le diverse fonti, con prezzi differenziati.

Bruxelles, 4 dicembre 2008.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI

Il Segretario generale del Comitato economico e sociale europeo

Martin WESTLAKE


(1)  House of Commons Committee of Public Accounts Nuclear Decommissioning Authority (Commissione dei conti pubblici della Camera dei Comuni), 38a relazione della sessione 2007-2008 sulla Nuclear Decommissioning Authority, Regno Unito.

(2)  Österreichisches Ökologie Institut (Istituto austriaco per l'ecologia), Vienna 2007.

(3)  Relazione DOE/EIA-0484(2008), giugno 2008.

(4)  Speciale Eurobarometro 297, Attitudes towards radioactive waste (L'atteggiamento dei cittadini nei confronti delle scorie radioattive), giugno 2008.

(5)  P. Vandenplas, G. H. Wolf, 50 years of controlled nuclear fusion in the European Union, Europhysics News, 39, 21 (2008).

(6)  COM(2007) 794 def. del 12 dicembre 2007.

(7)  NIA (Nuclear Industry Association), The UK capability to deliver a new nuclear build programme, 2008 (versione aggiornata).

(8)  DGEMP, Costi di riferimento della produzione elettrica, ministero francese dell'Economia, delle finanze e dell'industria, dicembre 2003.

(9)  Storm van Leeuwen, Nuclear power — the energy balance (2008), www.stormsmith.nl

(10)  World Nuclear Association, www.world-nuclear.org/info/info.html

(11)  Dr. Brüske-Hohlfeld, GSF, Neuherberg; Prof. Greiser BIPS, Bremen; Prof. Hoffmann, Uni Greifswald; Dr. Körblein, Umweltinstitut München; Prof. Jöckel, Uni Essen Duisburg; PD Dr. Küchenhoff, LMU München; Dr. Pflugbeil, Berlin; Dr. Scherb, GSF, Neuherberg; Dr. Straif IARC, Lyon; Prof. Walther; Uni München; Prof. Wirth, Wuppertal; Dr. Wurzbacher, Umweltinstituts München.

(12)  Mélanie White-Koning, Denis Hémon, Dominique Laurier, Margot Tirmarche, Eric Jougla, Aurélie Goubin, Jacqueline Clave.

(13)  Eaufrance e IFEN (Institut Français de l’Environnement — Istituto francese per l'ambiente) — dati riferiti al consumo 2004.

(14)  GIF Generation IV International Forum 2008.


28.7.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 175/8


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «L'accesso a banda larga per tutti: riflessioni sull’evoluzione del perimetro del servizio universale nel settore delle comunicazioni elettroniche»

(2009/C 175/02)

Con lettera del 3 luglio 2008, la presidenza francese dell’Unione europea ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di elaborare un parere esplorativo sul tema:

L'accesso a banda larga per tutti: riflessioni sull’evoluzione del perimetro del servizio universale nel settore delle comunicazioni elettroniche.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 novembre 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore HENCKS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 4 dicembre 2008, nel corso della 449a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 125 voti favorevoli e 3 voti contrari.

1.   Raccomandazioni

1.1   Al giorno d’oggi, le tecnologie dell’informazione e della comunicazione (TIC), che sono alla base di una società dell’informazione aperta a tutti, devono tenere conto delle necessità di tutti i membri della società.

1.2   Tuttavia, i nuovi mezzi di comunicazione elettronica restano inaccessibili per molti cittadini che o non hanno accesso alle reti e ai servizi o non dispongono delle necessarie competenze. Finora, infatti, il servizio universale nel settore delle comunicazioni elettroniche, che dovrebbe garantire a tutti gli utenti prestazioni minime prestabilite e qualità soddisfacente a un prezzo accessibile, non è riuscito a colmare il divario digitale.

1.3   Il campo d’applicazione del servizio universale, rimasto praticamente immutato dal momento della sua attuazione, continua a essere limitato a un collegamento alla rete telefonica pubblica a banda stretta.

1.4   L’accesso generalizzato alla banda larga, invece, non solo rappresenta una condizione indispensabile per lo sviluppo delle economie moderne e un aspetto importante dell’agenda di Lisbona, ma è anche divenuto un elemento fondamentale per il benessere e la e-inclusione.

1.5   Il CESE ritiene pertanto che il servizio universale vada adeguato all'evoluzione tecnologica e ai bisogni degli utenti, e propone quindi di:

estendere la portata del servizio universale e rendere obbligatoria la disponibilità a livello universale (entro termini ragionevoli da stabilire in base a un programma pluriennale) di un accesso DSL con una velocità di trasmissione minima compresa tra i 2Mbit/s e i 10Mbit/s, oppure di un accesso mobile o senza fili (WIMAX, satellite, ecc.) con velocità di trasmissione analoghe,

tener conto non solo dell’esclusione geografica, ma anche dell’esclusione sociale, che è legata alla scarsa capacità finanziaria o alle limitate competenze di determinati gruppi di utenti, cercando di ampliare il servizio universale in modo da garantire la disponibilità d’accesso a tutti gli utenti, indipendentemente dalla loro situazione geografica, finanziaria o sociale,

sostenere i progetti nazionali e locali di inclusione digitale, come pure i microprogetti di comunità e organizzazioni che aiutano i cittadini in difficoltà a impadronirsi degli strumenti tecnologici, in particolare prevedendo microfinanziamenti destinati a progetti di formazione a livello locale, centri pubblici di accesso collettivo a Internet e totem interattivi nei locali pubblici, utilizzabili come punti di accesso gratuiti a Internet,

invitare gli Stati membri a prevedere un'assistenza finanziaria per le famiglie e le persone singole per le quali il materiale di base (computer, software, modem), l'accesso e il servizio rappresentano un costo proibitivo,

favorire il finanziamento del servizio universale attraverso sovvenzioni pubbliche nazionali e fondi comunitari, ossia gli unici strumenti adeguati per quei paesi in cui gli obblighi del servizio universale comportano un onere finanziario eccessivo per gli operatori,

invitare la Commissione a pubblicare regolarmente esempi di buone pratiche in materia.

2.   Introduzione

2.1   Nel 1993 (1) la Commissione si è occupata per la prima volta in modo approfondito del concetto di servizio universale nel settore delle telecomunicazioni, allora inteso come rete di sicurezza per consentire a tutti «l'accesso a un servizio minimo definito di una determinata qualità, e la fornitura di tale servizio a tutti gli utenti, a prescindere dall'ubicazione geografica, alla luce delle condizioni specifiche nazionali, ad un prezzo ragionevole».

2.2   Successivamente, il concetto di servizio universale è stato consolidato nell'ambito di numerose direttive (2) e, data la convergenza continua fra telecomunicazioni, media e servizi delle tecnologie informatiche, esso è stato esteso ai servizi di comunicazione elettronica.

2.3   Con lo sviluppo della società dell’informazione si è accentuato il cosiddetto «divario digitale» fra, da un lato, quanti utilizzano le potenzialità offerte dalle reti di comunicazione elettronica per la propria crescita personale e professionale e, dall’altro, quanti non possono sfruttarle perché privi di accesso alle TIC oppure a causa di un deficit di competenze o di interesse.

2.4   Secondo un sondaggio di Eurobarometro (3), nell’inverno 2007 il 49 % delle famiglie dell’UE a 27 risultava connesso a Internet (52 % nell’UE a 15 e 33 % nei 12 nuovi Stati membri), mentre oltre la metà degli europei (57 %) aveva un computer in casa.

2.5   Sebbene il tasso di connessione a Internet sia in costante aumento in tutta l’UE, rimane pur sempre il fatto che in media una famiglia europea su due, e soltanto meno di un quarto delle famiglie bulgare, greche e rumene, dispone di un collegamento a Internet.

2.6   Ne consegue che numerosi cittadini non hanno ancora accesso ai mezzi di comunicazione elettronica, i quali sono ormai i soli vettori di una grande percentuale delle informazioni, e peraltro indispensabili per l'esistenza di una società dell'informazione.

2.7   Da anni il rischio del divario digitale è costantemente al centro delle preoccupazioni dell’UE, che adegua e completa periodicamente la regolamentazione in materia di comunicazioni elettroniche tramite disposizioni specifiche volte a tutelare il servizio universale e i diritti degli utenti nonché a proteggere i dati personali. Su tali iniziative comunitarie il CESE ha formulato numerosi pareri (4).

2.8   Nella dichiarazione di Riga (5) sull’inclusione digitale, adottata l’11 giugno 2006, gli Stati membri si sono impegnati, da un lato, a ridurre in modo significativo le disparità regionali nell'accesso a Internet in tutta l'UE, potenziando la copertura a banda larga nelle zone in cui questa non è ancora sufficientemente diffusa e, dall'altro, a dimezzare entro il 2010 il numero delle persone appartenenti ai gruppi a rischio di esclusione che non utilizzano ancora Internet.

2.9   Malgrado questa dichiarazione, il campo d’applicazione del servizio universale è rimasto invariato.

2.10   Nel 2007 la Commissione ha presentato un’ampia proposta di rifusione della regolamentazione europea in materia di comunicazioni elettroniche attualmente in vigore che comprende fra l’altro anche una modifica della direttiva sul servizio universale (6).

2.11   Le principali modifiche che si propone di apportare alla direttiva sul servizio universale riguardano il miglioramento delle informazioni destinate agli utenti finali, l'utilizzo e l'accesso alle comunicazioni elettroniche da parte dei disabili, le chiamate ai numeri d’emergenza nonché la garanzia della connettività e della qualità dei servizi di base (7).

2.12   Gli utenti disabili e con esigenze specifiche continuano a scontrarsi con numerose difficoltà nell’accesso a servizi essenziali per la vita sociale ed economica (8). Il CESE approva dunque senz’altro il fatto che, nella modifica della direttiva servizio universale proposta nel 2007 (9), la semplice facoltà concessa agli Stati membri di adottare misure specifiche a favore degli utenti disabili venga trasformata in obbligo esplicito in tal senso (10).

2.13   La succitata proposta, tuttavia, non modifica né la portata del servizio universale, né la sua fornitura ai consumatori e agli utenti finali.

3.   La portata attuale del servizio universale

3.1   Gli Stati membri devono assicurare che qualsiasi ragionevole richiesta di connessione alla rete telefonica pubblica da postazione fissa e di accesso ai servizi telefonici pubblici (servizio informazioni telefoniche, elenco abbonati, postazioni telefoniche pubbliche a pagamento o misure particolari a favore degli utenti disabili) sia soddisfatta da almeno un’impresa.

3.2   Poiché le licenze degli operatori nazionali della telefonia mobile prevedono l'obbligo di garantire una copertura completa, a livello di territorio e/o di popolazione, la telefonia vocale è ora divenuta universale, anche se spesso il sistema di tariffazione risulta poco trasparente.

3.3   L'obbligo, tuttavia, si limita a una connessione tradizionale alla rete (banda stretta). Non esiste, invece, alcun obbligo in termini di velocità di trasmissione dati o di flusso di bit, ma la connessione deve essere tale da consentire «un accesso efficace a Internet, tenendo conto delle tecnologie prevalenti usate dalla maggioranza degli abbonati e della fattibilità tecnologica» (11).

4.   Ampliare il perimetro del servizio universale

4.1   Osservazioni generali

4.1.1   Il concetto di servizio universale e la sua portata devono evolvere di pari passo con il progresso tecnico, gli sviluppi del mercato e il mutare dei bisogni degli utenti.

4.1.2   Durante il secondo riesame periodico del contenuto del servizio universale riguardante le reti e i servizi di comunicazione elettronica (12), realizzato di recente, la Commissione ha concluso che attualmente non sussistono le condizioni (definite dall'allegato V della direttiva servizio universale) per ampliarne il campo di applicazione. Si può «ragionevolmente supporre che, relativamente a breve termine, la banda stretta non risponderà più all'esigenza di consentire un accesso efficace a Internet».

4.1.3   A giudizio del CESE, è necessario fin d'ora procedere a un aggiornamento che dovrà riguardare gli elementi elencati qui di seguito:

4.2   L’accesso a un insieme di servizi di base

4.2.1   In alcuni casi l'esclusione digitale dipende da fattori comportamentali o culturali, che possono attenuarsi con il passare del tempo, mentre in altri è da ricondurre a disuguaglianze strutturali nell’organizzazione dell’economia e della società.

4.2.2   Essa porta con sé tutta una serie di altre disuguaglianze legate alla disparità di accesso all’occupazione, alla formazione e alle opportunità di apprendimento permanente, ai beni di consumo e ai servizi, ai servizi pubblici, all’inclusione sociale, all’espressione della cittadinanza e alla partecipazione democratica.

4.2.3   L’esclusione digitale interessa diversi aspetti che riguardano le apparecchiature vere e proprie, l’accesso, la formazione necessaria e l’assistenza agli utenti. Essa richiede un'azione simultanea e complementare sui seguenti fronti:

l’accesso alla formazione in materia di nuove tecnologie,

l’accesso al materiale,

la connessione.

4.3   La formazione degli utenti

4.3.1   È evidente che le maggiori competenze richieste dalla portata delle tecnologie digitali finiranno per accentuare le disparità nell'utilizzo o nell'accesso a tali tecnologie, anche quando venga data a tutti la possibilità materiale di usufruirne.

4.3.2   L’incapacità di servirsi di un computer o di Internet, che spesso si manifesta con un totale disinteresse per questi strumenti, è sempre più penalizzante e determina un divario sociale non solo per gli esclusi, ma anche per coloro che fanno fatica ad adattarsi alle nuove tecnologie.

4.3.3   In questo contesto particolare attenzione dovrà essere rivolta agli anziani restii a familiarizzarsi con l'ambiente digitale (divario generazionale), per i quali dovranno essere concepiti programmi di «alfabetizzazione digitale» adatti alle loro esigenze specifiche (13).

4.3.4   È quindi necessario sostenere i progetti nazionali e locali di inclusione digitale e i microprogetti di comunità e organizzazioni che aiutano i cittadini in difficoltà a impadronirsi degli strumenti tecnologici, in particolare prevedendo microfinanziamenti destinati a progetti di formazione a livello locale, centri pubblici di accesso collettivo a Internet e totem interattivi nei locali pubblici, utilizzabili come punti di accesso gratuiti a Internet. Il CESE ritiene che la Commissione dovrebbe pubblicare regolarmente esempi delle migliori pratiche in materia.

4.4   L’accesso al materiale

4.4.1   Molte famiglie e persone singole sono private dell’accesso alla rete e ai servizi di comunicazione elettronica a causa dei costi del materiale di base (computer, software, modem), che nel loro caso possono risultare proibitivi.

4.4.2   Il CESE invita gli Stati membri a prevedere, nel quadro del servizio universale, degli aiuti finanziari per facilitare l'accesso a Internet, agevolandone altresì l'uso.

4.5   La connessione

4.5.1   Al giorno d’oggi, è evidente che le TIC, che sono alla base di una società dell’informazione aperta a tutti, devono tenere conto delle esigenze di tutti i membri della società, e in particolare di quanti rischiano l'esclusione sociale, se si vuole ridurre il divario digitale e ovviare al pericolo di una società altrimenti condannata a due velocità diverse.

4.5.2   Gli effetti cumulati dell'integrazione dei vari ambienti applicativi nel mondo di Internet, dell'aumento dei collegamenti e della crescente digitalizzazione delle informazioni esigono sempre più una connessione a banda larga (alta velocità), specialmente quando si utilizzano delle nuove applicazioni.

4.5.3   La comunicazione Colmare il divario nella banda larga, del 20 marzo 2006 (14) ricorda che «l’accesso generalizzato alla banda larga è una condizione indispensabile per lo sviluppo delle economie moderne e costituisce un aspetto importante dell’agenda di Lisbona». La comunicazione sul riesame del contenuto del servizio universale del 29 settembre 2008 riconosce che «sussistono zone geografiche dove è poco probabile che il mercato fornisca il servizio entro tempi ragionevoli» e che «verrà il momento in cui “l'esclusione dalle informazioni” diverrà un tema cruciale».

4.5.4   Il CESE chiede da anni che l’accesso alla rete a banda larga diventi parte integrante del servizio universale.

4.5.5   La direttiva sul servizio universale è stata completata nel 2002 inserendo nel perimetro del servizio universale anche «l'accesso efficace a Internet», definito come l’instradamento delle comunicazioni di dati a velocità di trasmissione tale da consentire l’accesso a Internet.

4.5.6   Se questa aggiunta poteva sembrare un valido miglioramento in una fase in cui le comunicazioni on-line venivano instradate tramite la rete telefonica commutata, al giorno d’oggi applicazioni come, ad esempio, l’eHealth (la telesanità), l’eBusiness (il commercio elettronico), l’eGovernment (l’amministrazione elettronica) e l’eLearning (l’apprendimento elettronico), che costituiscono un elemento fondamentale per la crescita e la qualità della vita in Europa negli anni futuri, richiedono la «banda larga».

4.5.7   Il CESE ritiene dunque indispensabile precisare ciò che si intende per «accesso efficace a Internet» e propone d'imporre ai fornitori del servizio universale l'obbligo di offrire, entro termini ragionevoli da stabilire nell’ambito di un programma pluriennale, un accesso DSL con una velocità di trasmissione minima compresa tra i 2Mbit/s e i 10Mbit/s, oppure un accesso mobile o senza fili (WIMAX, satellite, ecc.) a velocità di trasmissione analoghe, fermo restando che si tratta di valori che devono progredire di pari passo con l'evoluzione delle tecnologie e delle esigenze dei consumatori.

4.6   Disponibilità d’accesso a tutti gli utenti, a prescindere dall'ubicazione geografica

4.6.1   Nelle aree periferiche e rurali, soprattutto di alcuni dei nuovi Stati membri, spesso il mercato non è in grado di garantire un accesso qualitativamente soddisfacente all’infrastruttura delle comunicazioni elettroniche a costi abbordabili.

4.6.2   Per quanto riguarda poi la disponibilità della banda larga, esistono differenze significative tra zone urbane e zone rurali (8). La copertura DSL nelle zone rurali è del 71,3 % contro il 94 % delle zone urbane. Velocità di trasmissione troppo basse nelle zone rurali frenano l’utilizzo della banda larga da parte delle imprese e delle famiglie, che non possono quindi beneficiare di un vero ambiente multimediale.

4.6.3   Diverse categorie sociali sono vittime dell’esclusione digitale, la quale è determinata da variabili demografiche (età, genere, situazione familiare), socio-professionali (istruzione, occupazione, posizione sociale, reddito) o geografiche (territorio, località di residenza, caratteristiche regionali o locali, fattori geopolitici).

4.6.4   Anziché concentrarsi unicamente sull’esclusione geografica, occorre quindi tenere conto anche dell’esclusione sociale, che coincide con la scarsa capacità finanziaria o con le limitate competenze di determinati gruppi di utenti.

4.6.5   Il CESE ritiene pertanto che il servizio universale dovrebbe essere esteso in modo da garantirne l'accessibilità a tutti gli utenti, indipendentemente dalla loro situazione geografica, finanziaria o sociale.

4.7   Qualità definita

4.7.1   Nella proposta di modifica della direttiva sul servizio universale, la Commissione propone di conferire alle autorità nazionali di regolamentazione la facoltà di impedire il degrado della qualità dei servizi, il blocco dell'accesso e il rallentamento del traffico sulle reti fissando livelli di qualità minimi per i servizi di trasmissione in rete destinati agli utenti finali.

4.7.2   Il CESE ritiene tuttavia che il livello qualitativo minimo dovrebbe essere lo stesso per tutti gli Stati membri: a priori, spetterebbe quindi al legislatore europeo, e non a un’autorità nazionale di regolamentazione, fissare le norme di qualità minime.

4.8   Prezzo abbordabile

4.8.1   Anziché parlare di prezzo abbordabile o di prezzo ragionevole, bisognerebbe parlare di «prezzo accessibile a tutti», definizione che esprime meglio le intenzioni perseguite.

4.8.2   L’abbordabilità dell’accesso e del servizio è compresa nella definizione del servizio universale, ma non rientra, a livello comunitario, nel suo campo d'applicazione, dal momento che il concetto di «abbordabile» dipende da condizioni nazionali specifiche, come, ad esempio, il reddito medio delle famiglie.

4.8.3   Il CESE propone di analizzare a livello comunitario la possibilità per gli Stati membri di introdurre nell'ambito del servizio universale delle tariffe sociali per l'accesso e l'utilizzo di Internet ad alta velocità.

5.   Finanziamento

5.1   Il CESE si rende conto che gli obblighi derivanti da un servizio universale a banda larga implicano per gli operatori un forte onere finanziario che spesso comporterà delle perdite.

5.2   Questi costi, tuttavia, dipenderanno soprattutto dalla tecnologia utilizzata. Se, da un lato, la sostituzione della telefonia fissa con quella mobile permetterà di ridurli, visto che aggiungere un nuovo utente alla rete di radiocomunicazione comune agli abbonati comporta un costo assai modesto, dall'altro lato, non bisogna invece dimenticare che la telefonia fissa ha costi di comunicazione inferiori a quelli della telefonia mobile.

5.3   Se è pur vero che l'obbligo di servizio universale rappresenta un onere eccessivo per un fornitore, la direttiva sul servizio universale del 2002 autorizza gli Stati membri a istituire meccanismi di finanziamento, quali:

l’imputazione ai fondi pubblici,

le tasse a carico degli utenti,

l'imposizione a carico di tutte le imprese o di alcune categorie specifiche di imprese.

5.4   A ciò si aggiungono i fondi strutturali e i fondi per lo sviluppo rurale che, a determinate condizioni, possono contribuire allo sviluppo delle regioni e delle zone rurali meno sviluppate.

5.5   Per quanto concerne l’accesso alle reti delle TIC nelle zone e nelle regioni europee con un problema di divario digitale, il CESE rinnova la richiesta (15) di prevedere delle voci di bilancio specifiche a favore dell'eInclusione nel quadro dei fondi strutturali, dei fondi per lo sviluppo rurale e dei fondi per la R&S.

5.6   Dati gli effetti cumulati dell'integrazione dei vari ambienti applicativi nel mondo di Internet e il numero elevato di operatori interessati (fornitori d’infrastrutture d’accesso, piattaforme Internet, contenuti), definire quali mercati debbano contribuire ai finanziamenti diventa sempre più difficile (e fonte di costanti conflitti e contestazioni).

5.7   Inoltre, le tasse imposte agli operatori generalmente si ripercuotono (almeno in parte) sul prezzo finale.

5.8   Il CESE non è d'accordo sull'idea di coprire i costi residui del servizio universale introducendo, in maniera diretta o indiretta, un canone o un aumento delle tariffe a carico degli utenti, perché ciò è incompatibile con il concetto di «prezzo abbordabile».

5.9   Il CESE ritiene che sovvenzioni pubbliche, combinate a investimenti finanziati con fondi comunitari, costituiscano il solo strumento adeguato per quei paesi dove l'adempimento degli obblighi del servizio universale comporta oneri finanziari nettamente superiori a quelli consentiti da una normale gestione commerciale.

5.10   Il finanziamento del servizio universale attraverso un sistema generale di tassazione (in modo da ripartire i costi su una base imponibile molto ampia) implica perdite in termini di benessere sociale ben più contenute rispetto a quelle che si verificherebbero se il servizio universale venisse finanziato unicamente da prelievi fiscali a carico degli operatori e dei consumatori.

Bruxelles, 4 dicembre 2008

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI

Il Segretario generale del Comitato economico e sociale europeo

Martin WESTLAKE


(1)  COM(93) 159 def.

(2)  Direttive 95/62/CE, 97/33/CE, 98/10/CE e 2002/22/CE.

(3)  Speciale Eurobarometro 293/giugno 2008: Sondage sur les communications électroniques auprès des ménages novembre –décembre 2007 (Sondaggio sulle comunicazioni elettroniche presso le famiglie nel periodo novembre-dicembre 2007).

(4)  Comunicazione della Commissione Comunicazioni elettroniche: verso l'economia della conoscenza, COM(2003) 65 def., dell'11.2.2003; parere del CESE sul tema L'Europa ad alta velocità, relatore: MCDONOGH, GU C 120 del 20.5.2005, pag. 22; parere del CESE sul tema Colmare il divario nella banda larga, relatore: MCDONOGH, GU C 318 del 23.12.2006, pag. 229; parere del CESE, i2010 — Una società europea dell'informazione per la crescita e l'occupazione, relatore: LAGERHOLM, GU C 110 del 9.5.2006, pag. 83; parere del CESE sul tema eAccessibilità, relatore: CABRA DE LUNA, GU C 110 del 9.5.2006, pag. 26.

(5)  Cfr. http://ec.europa.eu/information_society/events/ict_riga_2006/doc/declaration_riga.pdf.

(6)  Proposta di direttiva recante modifica della direttiva 2002/22/CE relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica, della direttiva 2002/58/CE relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche e del regolamento (CE) n. 2006/2004 sulla cooperazione per la tutela dei consumatori (COM(2007) 698 def.).

(7)  Parere del CESE sul tema Reti di comunicazione elettronica, GU C 224 del 30.8.2008, pag. 50, (CESE, relatore: HERNÁNDEZ BATALLER).

(8)  Comunicazione della Commissione al parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Relazione sui mercati europei delle comunicazioni elettroniche 2007 (Tredicesima relazione) COM(2008) 153 def.

(9)  COM(2007) 698 def.

(10)  Cfr. parere del CESE concernente l’eAccessibilità (GU C 110 del 9.5.2006, pag. 26), relatore: CABRA DE LUNA.

(11)  Cfr. COM(2007) 698 def.

(12)  COM(2008) 572 def.

(13)  Cfr. parere esplorativo del CESE sul tema La considerazione delle esigenze degli anziani (CESE 1524/2008), relatrice: HEINISCH.

(14)  COM(2006) 129 def.

(15)  Parere CESE sul tema La futura legislazione in materia di e-accessibilità (CESE, GU C 175 del 27.7.2007, pag. 91), relatore: HERNANDEZ BATALLER.


28.7.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 175/13


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Governance efficace della strategia di Lisbona rinnovata»

(2009/C 175/03)

Con lettera dell'11 giugno 2008 indirizzata al Presidente DIMITRIADIS, la Commissione europea ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo, conformemente all'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di elaborare un parere esplorativo sul tema:

Governance efficace della strategia di Lisbona rinnovata.

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 25 maggio 2008, ha incaricato la sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, in data 4 dicembre 2008, nel corso della 449a sessione plenaria, ha nominato relatrice generale FLORIO e ha adottato il seguente parere con 100 voti favorevoli, 5 voti contrari e 2 astensioni.

PREAMBOLO

In un'epoca contrassegnata da grande incertezza, c'è bisogno di una visione lungimirante, di politiche coerenti e della partecipazione di tutti i soggetti interessati. La strategia di Lisbona offre un quadro generale che consente all'Unione europea di parlare ancor più ad un'unica voce a livello mondiale.

Un coinvolgimento più attivo della società civile organizzata libererà un potenziale rimasto finora nascosto. Il modo in cui è stata concepita la strategia e la sua attuazione dimostrano che essa deve essere una combinazione di approcci ascendenti e discendenti. Una buona governance della strategia di Lisbona deve essere utilizzata per promuovere la convergenza delle politiche, la crescita economica e l'occupazione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   La strategia di Lisbona è un progetto destinato alla società europea nel suo insieme, che dovrebbe consentire a quest'ultima di fare fronte alle sfide poste da un mondo globalizzato. Il CESE ritiene che, alla luce dell'attuale crisi dei mercati finanziari, delle sue ripercussioni economiche e della crescente incertezza, la competitività europea, lo sviluppo sostenibile e la coesione sociale continuino a rivestire un'importanza fondamentale. Il Comitato sottolinea che i tre pilastri dell'agenda di Lisbona — crescita e occupazione, coesione sociale, sostenibilità — richiedono un approccio costante, interattivo ed equilibrato.

1.2   Il presente parere è prima di tutto una risposta alla richiesta formulata dalla Commissione europea (1). Esso riguarda la governance della strategia di Lisbona e rappresenta il proseguimento ideale dei precedenti contributi del CESE e delle organizzazioni della società civile dell'UE al processo di Lisbona.

1.3   Il CESE fa notare che la strategia di Lisbona necessita di un sostegno sufficiente da parte dei governi nazionali, e sottolinea pertanto che questi ultimi hanno l'obbligo politico e morale di concordare e mettere a punto le riforme previste con le organizzazioni della società civile. È essenziale che gli attori non governativi degli Stati membri possano partecipare pienamente alla definizione dell'agenda del processo di Lisbona. I consigli economici e sociali (CES) nazionali o le organizzazioni analoghe della società civile devono svolgere, rispetto alla strategia di Lisbona, il ruolo attribuito loro dalle legislazioni e dalle prassi nazionali (2).

1.4   Esistono differenze sostanziali tra gli Stati membri in materia di governance. In alcuni le procedure di consultazione e di informazione sono ben organizzate, in altri c'è bisogno di notevoli miglioramenti. Devono essere promossi gli scambi di buone pratiche. Per questo motivo il CESE esegue missioni esplorative negli Stati membri al fine di discutere dello scambio di buone pratiche e dell'attuazione delle riforme con i diversi attori della società civile (3).

1.5   Il CESE sottolinea che le riforme proposte dalla strategia apportano ai cittadini una stabilità economica e sociale notevole abbinata a obiettivi di sviluppo sostenibile. Ciascuno dei diversi attori del settore pubblico e privato dovrebbe individuare il suo ruolo e il contributo positivo che può apportare, riunendo efficacia economica e giustizia sociale per il benessere dei cittadini europei.

1.6   Secondo il CESE è fortemente auspicabile che tutte le parti interessate (a livello nazionale, regionale e locale) siano direttamente coinvolte nella definizione di una governance efficace al livello appropriato. I vari livelli di consultazione richiedono forme di partecipazione e metodi di lavoro differenziati.

1.7   Tenendo conto delle differenze tra gli Stati membri, il CESE raccomanda di aprire un dialogo permanente all'interno di ciascuno di essi che coinvolga, da un lato, i CES nazionali e, dall'altro, le parti sociali e che possa estendersi anche ad altre parti interessate della società (le PMI, l'economia sociale (4)) e ad ambienti universitari o centri di riflessione. In tale dialogo dovrebbero essere coinvolti anche organismi di promozione della coesione sociale e delle pari opportunità.

1.8   Il CESE propone che, al termine di ogni ciclo di Lisbona, in ogni Stato membro si tenga una conferenza (quale seguito del dialogo permanente nazionale) con la partecipazione delle parti interessate e delle organizzazioni della società civile per affrontare i punti di forza e di debolezza emersi. In generale, valorizzando e diffondendo i successi e i risultati positivi raggiunti, si fornirà alla società una base più solida per portare avanti il processo di riforma.

1.9   Il CESE evidenzia il bisogno di un sistema di monitoraggio più efficace e più puntuale (ruolo e azioni delle diverse parti interessate in relazione al processo di attuazione) e propone pertanto un uso più generalizzato del modello di benchmarking quantitativo e qualitativo (cfr. punto 2.8) che è in fase di sperimentazione in alcuni paesi e che consentirebbe alle organizzazioni della società civile di avere un ruolo più forte nei processi di attuazione e monitoraggio.

1.10   Il CESE reputa che vi sia il bisogno urgente di un dibattito pubblico più ampio sugli aspetti metodologici e attuativi della strategia. Invita pertanto tutti gli attori della società civile organizzata ad avviare e a condurre un dibattito più ampio sulle riforme di Lisbona ai diversi livelli. Il ruolo speciale dei CES nazionali, e delle organizzazioni analoghe della società civile negli Stati membri che non dispongono di un CES, va rafforzato nei casi in cui tale ruolo è ancora poco sviluppato. Devono essere coinvolti anche altri organi consultivi che si occupano di aspetti particolari della strategia di Lisbona (consigli nazionali per lo sviluppo sostenibile, le pari opportunità o la lotta alla povertà), nonché gli organismi preposti alla consultazione delle parti sociali.

1.11   Il CESE ritiene necessario che la Commissione europea e gli Stati membri compiano nuovi passi concreti per sostenere il processo di attuazione mediante diversi metodi di comunicazione, in particolare gli strumenti di comunicazione elettronica (individuazione di migliori pratiche, quadri di valutazione, ecc.). Si dovrebbero promuovere la cooperazione transfrontaliera e la condivisione delle pratiche migliori.

1.12   Il CESE può servire da piattaforma sia per lo scambio di informazioni tra i CES nazionali, le parti sociali, gli altri attori della società civile e le istituzioni europee, sia per lo scambio di opinioni ed esperienze tra gli attori nazionali non governativi interessati. Il CESE apprezza fortemente i contributi al dibattito apportati dai CES nazionali e da altre organizzazioni della società civile.

1.13   Il CESE sottolinea che in ogni caso i coordinatori nazionali della strategia di Lisbona dovrebbero collaborare regolarmente durante l'elaborazione, l'attuazione e la valutazione dei Programmi di riforma nazionali (PRN) con tutte le parti interessate chiaramente definite. Il CESE invita i governi degli Stati membri a rafforzare l'attività di informazione dei cittadini sui risultati del dialogo sociale e civile rispetto agli obiettivi di Lisbona.

2.   Il ruolo delle parti interessate nel processo di governance: forme e strumenti nuovi per una governance efficace

2.1   In un contesto in cui l'economia internazionale è confrontata a sfide e incertezze della massima gravità, anche in Europa la fiducia nell'economia sta sensibilmente calando. In questa situazione l'agenda di Lisbona e l'attuazione di riforme strutturali equilibrate assumono un'importanza ancora maggiore, e diventano necessarie soluzioni immediate.

2.2   Il CESE ritiene che una governance efficace della strategia sia estremamente importante ai fini di una sua attuazione coerente e sottolinea che la responsabilizzazione e il potenziamento della partecipazione dei diversi livelli (nazionale, regionale e locale) potrebbe incoraggiare proposte e soluzioni.

2.3   Il CESE osserva che in molti Stati membri la strategia è stata percepita inizialmente come un'interazione tra i governi nazionali e le istituzioni dell'UE. Unitamente ai CES nazionali e alle altre organizzazioni della società civile, il Comitato ha svolto un ruolo fondamentale nel miglioramento della governance rispetto alla situazione iniziale. Il CESE nota con rammarico che la partecipazione non è cresciuta di pari passo in tutti gli Stati membri.

2.4   I coordinatori nazionali di Lisbona dovrebbero coinvolgere più attivamente le organizzazioni della società civile e le parti sociali nelle attività e nelle riforme necessarie per sostenere la strategia di Lisbona (ad es. informazioni tempestive, programmazione congiunta degli eventi, ecc.) e dovrebbero comunicare in modo più efficace la strategia al grande pubblico.

2.5   Una stretta collaborazione tra i CES nazionali, le parti sociali e altre organizzazioni della società civile contribuirebbe alla creazione di esternalità positive nonché di nuove sinergie. Dovrebbe essere garantita la partecipazione di tutte le parti interessate, ivi compresi i rappresentanti dei gruppi svantaggiati (disabili, immigrati, ecc.).

2.6   Per un'attuazione riuscita sarà necessario utilizzare più efficacemente i finanziamenti comunitari disponibili a titolo dei diversi fondi (fondi strutturali, ecc.), coerentemente con gli obiettivi di Lisbona.

2.7   Governance multilivello efficace

2.7.1   Forme di governance nuove e innovative sono necessarie per rispondere in modo adeguato alle sfide globali. Il CESE raccomanda di istituire dialoghi permanenti (cui partecipino i CES nazionali, le parti sociali, le PMI, le università, altri attori della società civile tra cui le organizzazioni dell'economia sociale e coloro che operano per promuovere la coesione sociale e le pari opportunità per tutti). Questi dialoghi dovrebbero contribuire a individuare le strozzature nel processo di attuazione e a promuovere nuovi incentivi per i settori che presentano ritardi. In tal modo i CES nazionali e le organizzazioni analoghe possono contribuire a formulare proposte per dare risposta ai problemi sollevati.

2.7.2   Nei paesi in cui ciò sia reputato necessario, i dialoghi permanenti potrebbero diventare lo strumento di un'efficace governance multilivello, in collaborazione con l'ufficio del coordinatore nazionale della strategia di Lisbona. Potrebbero contribuire a valutare le azioni attuate in ciascun settore prioritario (in base alle raccomandazioni specifiche elaborate dalla Commissione per ciascun paese), eventualmente utilizzando un sistema di benchmarking quantitativo e qualitativo a livello nazionale, regionale e locale (cfr. punto 2.8). Ciò potrebbe essere utile anche per un benchmarking transfrontaliero.

2.7.3   Nelle riunioni tra la Commissione europea, le parti sociali, le ONG e le diverse organizzazioni della società civile andrebbe garantita la trasparenza (accesso ai dati, rispetto delle scadenze).

2.7.4   Uno strumento che potrebbe facilitare l'attuazione dell'agenda di Lisbona è il Metodo aperto di coordinamento (MAC). Il Comitato ha affermato in più occasioni che il MAC potrebbe essere utilizzato meglio e in modo più efficace. Ciò sarebbe possibile ricorrendo all'approccio dei «principi comuni» (5), introdotto di recente, e consentendo la partecipazione della società civile alla formulazione e perfino alla negoziazione degli obiettivi della strategia di Lisbona a livello europeo. Tuttavia, nell'attuale difficile situazione finanziaria ed economica, è necessario che tutti i governi e le parti interessate si impegnino a stabilire obiettivi migliori.

2.7.5   Le parti interessate dovrebbero mettere a punto nuovi metodi per la condivisione delle migliori pratiche: reti multilivello dovrebbero consentire lo scambio bidirezionale di informazioni tra i diversi livelli di governo, mentre la definizione di obiettivi transfrontalieri dovrebbe essere il risultato di una collaborazione più stretta tra aree confinanti di due o più Stati membri.

2.8   Benchmarking quantitativo e qualitativo

2.8.1   Uno dei punti di divergenza tra gli Stati membri riguarda la raccolta di dati pertinenti per gli indicatori strutturali. Si devono trovare modalità e strumenti per ottenere informazioni obiettive di alta qualità sugli indicatori nei diversi Stati membri. A tal fine è ancora più auspicabile rafforzare i collegamenti esistenti tra gli enti responsabili (per esempio, gli istituti nazionali di statistica), come si sforza di fare Eurostat, per migliorare la base statistica comune indispensabile. I dati in questione devono essere ampiamente accessibili e le discussioni sulla scelta dei criteri devono essere quanto più trasparenti possibile.

2.8.2   Un benchmarking quantitativo e qualitativo basato sugli obiettivi dei PNR e predisposto dalle parti interessate in collaborazione con i rappresentanti dei governi fornirebbe informazioni efficaci e concrete per misurare i progressi compiuti in ciascuno Stato membro sulla base di indicatori strutturali (6) come pure degli obiettivi generali della strategia di Lisbona. Ogni CES nazionale o organizzazione analoga dovrebbe analizzare e definire i propri criteri di priorità. I CES nazionali in paesi come il Belgio, la Bulgaria e la Francia hanno già iniziato l'esercizio di benchmarking con cadenza regolare (per es. ogni due anni) dei 14 indicatori approvati dai governi degli Stati membri e di alcuni indicatori strutturali aggiuntivi, avvalendosi di statistiche liberamente accessibili sul sito web di Eurostat. Altri CES nazionali, qualora lo desiderassero, potrebbero fare altrettanto.

2.8.3   I criteri nazionali potrebbero venire modificati in base alle esigenze di ciascun livello (nazionale, regionale, locale e settoriale (7)) e adattati di conseguenza. Gli indicatori comparativi (benchmarks) nazionali per ciascuna area prioritaria (definita dal Consiglio europeo di primavera del 2006), si concentrerebbero sulla rilevazione di dati nazionali e regionali per poter fornire indicatori e misuratori di performance concreti. La banca dati dovrebbe essere aperta ai CES nazionali come pure alle parti sociali e ad altre parti interessate della società civile. Sul piano concreto, si propongono i seguenti passi:

un benchmarking accessibile, basato su Internet, disponibile sul sito del CESE (sito CESlink (8)) per la raccolta e l'analisi efficaci e in tempo reale dei dati (9),

i dati potrebbero essere raccolti una o più volte per ogni ciclo triennale della strategia di Lisbona dai CES nazionali o da organizzazioni analoghe, oppure dovrebbero essere garantiti dai sistemi di partecipazione nazionale esistenti,

i risultati potrebbero essere altresì analizzati con cadenza periodica da apposite tavole rotonde e presentati nel corso di una conferenza annuale organizzata dal CESE.

2.8.4   In tal modo le parti interessate potrebbero definire obiettivi realistici e fornire informazioni coerenti per la revisione dei PNR. Inoltre, l'aggiornamento risulterebbe facile e sarebbe possibile effettuare una valutazione continua. Allo stesso tempo sarebbe più agevole individuare le pratiche migliori nei diversi Stati membri.

Bruxelles, 4 dicembre 2008

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI

Il segretario generale del Comitato economico e sociale europeo

Martin WESTLAKE


(1)  La commissaria Wallström, vicepresidente della Commissione europea, ha chiesto, nella sua lettera dell'11 giugno 2008 al Presidente del CESE Dimitriadis, che il Comitato elabori un parere esplorativo sulla strategia di Lisbona per la crescita e l'occupazione. La richiesta corrisponde a quanto stabilito dal mandato generale del vertice di primavera del 2008, che invitava «la Commissione e gli Stati membri a rafforzare il coinvolgimento delle pertinenti parti interessate nel processo di Lisbona».

(2)  Il CESE mette in rilievo che questo non costituisce in alcun modo un'interferenza con la procedura di consultazione, le competenze e la legittimità delle parti sociali degli Stati membri.

(3)  Rappresentanti di Francia, Spagna, Belgio e Paesi Bassi si sono detti soddisfatti della governance del processo nei rispettivi Stati membri. I risultati della prima missione esplorativa sono ripresi nell'allegato 2.

(4)  «Social economy is structured around three large families of organisations: co-operatives, mutual societies and associations, with the recent addition of foundations» (L'economia sociale è strutturata attorno a tre grandi famiglie di organizzazioni — cooperative, mutue, associazioni — con la recente aggiunta delle fondazioni) — The Social Economy in the EU, pag. 11, CESE/COMM/05/2005, non disponibile in lingua italiana.

(5)  Il metodo dei principi comuni si concentra su temi molto specifici per i quali gli Stati membri vogliono veder realizzati dei progressi anche se le competenze dell'UE sono limitate; cfr. il parere del CESE Un nuovo programma europeo di azione sociale, GU C 27 del 3.2.2009, pag. 99.

(6)  Nel dicembre 2003 14 indicatori strutturali sono stati definiti di comune accordo dai governi degli Stati membri. I 14 indicatori scelti sono: PIL pro capite in SPA, produttività per lavoratore, tasso di occupazione, tasso di occupazione dei lavoratori anziani, livello d'istruzione dei giovani, spesa nazionale lorda per la R&S, livelli comparativi dei prezzi, investimenti delle imprese, tasso di rischio di povertà dopo i trasferimenti sociali, tasso di disoccupazione di lunga durata, dispersione dei tassi regionali di occupazione, totale delle emissioni di gas a effetto serra, intensità energetica dell'economia e volume del trasporto di merci rispetto al PIL. Eurostat fornisce regolarmente informazioni sugli indicatori strutturali.

http://epp.eurostat.ec.europa.eu/portal/page?_pageid =1133,47800773,1133_47802588&_dad=portal&_schema=PORTAL.

(7)  Settoriale: ciascun settore di attività economica dovrebbe definire le tappe necessarie per raggiungere gli obiettivi di Lisbona (ad es.: innovazione e competitività).

(8)  http://www.eesc.europa.eu/ceslink/09-fr/presentation-ceslink-fr.html.

(9)  Il CESE può contribuire a questo processo rendendo disponibile spazio online per la condivisione dei risultati e lo scambio di informazioni.


ALLEGATO I

PRINCIPALI CONTRIBUTI SULLA STRATEGIA DI LISBONA PREPARATI DAL CESE IN COLLABORAZIONE CON LA SUA RETE DI CES NAZIONALI E ORGANIZZAZIONI ANALOGHE

Relazioni di sintesi presentate al Consiglio europeo di primavera:

L'attuazione della strategia di Lisbona — Contributi presentati in seguito al mandato del Consiglio europeo del 22 e 23 marzo 2005 — Relazione di sintesi elaborata in collaborazione con i CES nazionali dell'Unione europea — Contributi di due paesi candidati — Relazione del gruppo di collegamento

CESE 1468/2005 riv. (cfr. il sito web del CESE:

http://www.eesc.europa.eu/lisbon_strategy/events/09_03_06_improving/documents/ces1468-2005_rev_d_en.pdf)

La strategia di Lisbona rinnovata 2008-2010: il ruolo della società civile organizzata. Relazione di sintesi al Consiglio europeo (13 e 14 marzo 2008). L'attuazione della strategia di Lisbona: situazione presente e prospettive future.

CESE 40/2008

Risoluzione presentata al Consiglio europeo di primavera:

Risoluzione del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'attuazione della strategia di Lisbona rinnovata (Risoluzione per il Vertice di primavera 2007)

CESE 298/2007

Relatore: van IERSEL

Correlatore: BARABAS

PARERI SUI SETTORI PRIORITARI DELLA STRATEGIA DI LISBONA

Verso la società europea della conoscenza — Il contributo della società civile organizzata alla strategia di Lisbona (parere esplorativo)

GU C 65 del 17.3.2006, pag. 94

Relatore: OLSSON

Correlatori: BELABED, van IERSEL

Il potenziale delle imprese, specie quello delle PMI (strategia di Lisbona) (parere di iniziativa)

GU C 256 del 27.10.2007, pag. 8

Relatrice: FAES

Investire nella conoscenza e nell'innovazione (strategia di Lisbona) (parere di iniziativa)

GU C 256 del 27.10.2007, pag. 17

Relatore: WOLF

L'occupazione per le categorie prioritarie (strategia di Lisbona)

GU C 256 del 27.10.2007, pag. 93

Relatore: GREIF

Definizione di una politica energetica per l'Europa (strategia di Lisbona) (parere d'iniziativa)

GU C 256 del 27.10.2007, pag. 31

Relatrice: SIRKEINEN

ALTRI DOCUMENTI ELABORATI DALLE STRUTTURE OPERATIVE PER LA STRATEGIA DI LISBONA

Opuscolo dal titolo 58 misure concrete per garantire il successo della strategia di Lisbona

ALTRI PARERI ELABORATI DALLE SEZIONI INDIPENDENTEMENTE DALLE STRUTTURE OPERATIVE PER LA STRATEGIA DI LISBONA

Il cambiamento climatico e la strategia di Lisbona (parere d'iniziativa)

GU C 44 del 16.2.2008, pag. 69

Relatore: EHNMARK

Spirito imprenditoriale e agenda di Lisbona (parere di iniziativa)

GU C 44 del 16.2.2008, pag. 84

Relatrice: SHARMA

Correlatore: OLSSON


ALLEGATO II

Relazione di sintesi sulla visita a Bucarest del 13 ottobre 2008

La delegazione del CESE ha incontrato le organizzazioni della società civile romena presso la sede del CES nazionale. Le discussioni hanno coinvolto rappresentanti di 17 organizzazioni della società civile.

Datori di lavoro e sindacati sono d'accordo su numerose questioni, ma non riescono a farsi ascoltare dal governo. In particolare sono emersi i seguenti elementi:

Osservazioni generali:

Il governo consulta le parti sociali a proposito del PNR, ma i tempi sono spesso troppo stretti per attendersi realisticamente dei risultati utili. Solo raramente i suggerimenti formulati dalle parti sociali sono presi in considerazione o rispecchiati dal PNR.

Il PNR affronta in modo efficace le sfide poste al paese dai cambiamenti climatici e dall'approvvigionamento di energia.

Il dialogo sociale non funziona bene, e i cittadini dovrebbero essere informati meglio dei vantaggi che esso comporta. È quindi necessaria una migliore cooperazione tra tutte le parti sociali, che dovrebbero unire le forze per rappresentare gli interessi socioeconomici.

A causa di una politica dei salari squilibrata, oltre 3 milioni dei lavoratori più competitivi hanno lasciato il paese, che ora deve affrontare una grave carenza di manodopera. C'è bisogno di almeno 500 000 lavoratori per rispondere alle esigenze dei diversi settori.

Si dovrebbe riformare il quadro giuridico per la creazione e il funzionamento delle PMI.

C'è bisogno di più strumenti fiscali per sostenere la crescita e l'occupazione in Romania, con particolare attenzione per i 750 000 disabili.

Il sistema di apprendimento permanente è gravemente sottosviluppato.

La società civile romena nutre preoccupazioni per la sicurezza degli approvvigionamenti di materie prime, di energia, ecc.

La corruzione è ancora un grave ostacolo allo sviluppo di diversi settori.

Osservazioni specifiche:

L'applicazione del diritto del lavoro rimane problematica, e l'Ispettorato nazionale del lavoro non svolge adeguatamente le sue funzioni (lavoro nero).

L'attuazione della flessicurezza incontra difficoltà; l'interpretazione e l'attuazione da parte delle autorità crea incertezza.

Il sistema di formazione professionale, in parallelo al cosiddetto «sistema di certificazione», deve essere in grado di rispondere meglio alle esigenze dei diversi settori. La situazione attuale pregiudica gravemente la competitività dell'intera economia. C'è bisogno di assistenza nelle fasi di creazione, attuazione e valutazione.

Gli oneri parafiscali ostacolano la crescita delle PMI.

Le organizzazioni della società civile hanno problemi cronici di capacità e di finanziamento, e non sono adeguatamente sviluppate. Una coalizione di ONG è rappresentata nei comitati direttivi dei fondi strutturali, ma è necessario un maggiore coinvolgimento.

I programmi di istruzione (in generale è necessario un miglior coordinamento dei programmi scolastici) devono tenere conto delle sfide dell'energia, del clima e della sostenibilità.

Le parti sociali ricevono informazioni dalla Commissione europea. A livello nazionale, tutte le parti hanno invitato il governo a consultare altre organizzazioni della società civile e a sviluppare un dialogo sociale strutturato meglio. Questi progressi dovrebbero poi essere rispecchiati dalla riforma del CES nazionale romeno, visto che la base giuridica esiste ed è stata proposta originariamente dal governo, ma altre organizzazioni della società civile non sono ancora rappresentate.


28.7.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 175/20


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «La democrazia economica nel mercato interno»

(2009/C 175/04)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 settembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

La democrazia economica nel mercato interno.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 novembre 2008, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SÁNCHEZ MIGUEL.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 3 dicembre 2008, nel corso della 449a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 110 voti favorevoli, 29 voti contrari e 22 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1   Una delle condizioni fondamentali per l'esercizio effettivo dei diritti dei cittadini europei è il conseguimento di una vera democrazia nel mercato interno. Soltanto quando sarà diffusa questa percezione, vi saranno le condizioni affinché tutti gli attori del mercato comprendano e condividano l'importanza di quest'ultimo per l'integrazione europea.

1.2   La protezione dei consumatori è stata finora la via scelta per cercare un equilibrio tra gli attori del mercato, anche se è fuor di dubbio che la politica europea della concorrenza ha messo a disposizione gli strumenti legislativi che limitano le restrizioni alla concorrenza, fenomeno dannoso per i consumatori, i lavoratori e i cittadini in generale.

1.3   La democrazia economica nel mercato comporta non soltanto la realizzazione dell'uguaglianza tra tutti gli attori del mercato, ma anche un miglioramento della qualità di vita dei cittadini, da ottenere sulla base dei seguenti elementi:

lo sviluppo e l'applicazione degli strumenti legislativi della politica della concorrenza, nonché il necessario coinvolgimento dei consumatori e degli altri attori negli organismi competenti in materia, a livello sia comunitario che nazionale,

un approfondimento di questa politica, in modo da andare incontro agli interessi economici dei soggetti che subiscono direttamente gli effetti delle pratiche vietate dalle norme sulla concorrenza.

1.4   Per conseguire questo obiettivo, è necessario sviluppare azioni concrete che incrementino e garantiscano la fiducia di tutti gli attori del mercato interno. Tali azioni potrebbero incentrarsi su:

l'armonizzazione e l'equiparazione di tutte le legislazioni, almeno per quanto riguarda le questioni centrali di diritto materiale e procedurale,

la protezione degli attori del mercato deve essere collegata alla protezione dei diritti fondamentali riconosciuti nei trattati, senza che sia necessario istituire nuovi procedimenti e ciò per evitare di aumentare gli oneri amministrativi,

la partecipazione dei diversi attori del mercato agli organismi competenti è una delle proposte reiterate dal CESE in numerosi pareri, al pari della creazione di una rete fluida di informazione.

1.5   Il CESE è da sempre attivo nel promuovere, in tutte le politiche, l'esercizio dei diritti di uguaglianza e una forte partecipazione della società civile agli organismi comunitari, in particolare a quelli competenti per la politica della concorrenza. Il Comitato ritiene che il raggiungimento degli obiettivi dell'agenda di Lisbona, ossia la realizzazione di un'economia più competitiva e dinamica, passi attraverso la garanzia della democrazia economica nel mercato interno.

2.   Contesto

2.1   Il Trattato di Lisbona, nell'articolo 6 del TUE (1), stipula che l'Unione riconosce i diritti, le libertà ed i principi enunciati nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (2), che avrà lo stesso valore giuridico dei Trattati.

2.2   La carta definisce, tra l'altro, come diritti fondamentali dell'Unione, l'uguaglianza, il diritto di proprietà, la tutela dei consumatori e l'accesso ai servizi d'interesse generale, diritti che hanno un'incidenza sul funzionamento e sulla realizzazione del mercato interno.

2.3   Il principio d'uguaglianza dei cittadini, è uno dei valori fondatori dell'Unione (art. 2), è allo stesso tempo un principio democratico dell'Unione e costituisce un obbligo che l'Unione deve, ai sensi dell'articolo 9 del TUE, rispettare in tutte le sue attività, comprese quelle economiche che si svolgano nel mercato interno.

L'Unione dispone di una competenza esclusiva per la definizione delle norme della politica della concorrenza (3), che risultino necessarie per il funzionamento del mercato interno (art. 3, par. 1, lettera b)).

2.4.1   Concretamente, i comportamenti collusivi ed in particolare l'abuso di posizione dominante (norme antimonopolistiche) sono incompatibili con il mercato interno e quindi vietati, poiché hanno, tra gli altri, l'effetto di causare un danno ai consumatori, alle imprese ed agli altri soggetti del mercato come i lavoratori.

2.4.2   Inoltre un'applicazione inadeguata o la mancata applicazione delle norme sulla concentrazione delle imprese può comportare un grave pregiudizio per i consumatori, le imprese e gli altri agenti del mercato interno come i lavoratori.

2.4.3   Il riferimento pertinente per la valutazione degli elementi di efficienza vantati è che i consumatori non devono essere danneggiati dalla concentrazione. A tale scopo, questi guadagni d'efficienza devono essere sostanziali e realizzarsi rapidamente e devono andare a beneficio dei consumatori dei mercati di riferimento nei quali, altrimenti, sorgerebbero probabilmente problemi di concorrenza.

Per la tutela dei consumatori, l'Unione dispone di una competenza concorrente (art. 4, par. 2, lettera f)).

2.5.1   All'atto della definizione e dell'esecuzione di altre politiche dell'Unione, occorre prendere in considerazione le esigenze della tutela dei consumatori, a norma del nuovo articolo 12 del TFUE.

2.5.2   Si tratta di un approccio orizzontale della politica dei consumatori, espressamente riconosciuto a livello del diritto comunitario originario, sulla base del quale, per la realizzazione del mercato interno, è essenziale tenere conto dell'interesse dei consumatori in tutti i settori politici ed economici pertinenti, al fine di garantire loro un livello di tutela elevato nell'Unione europea.

2.5.3   Nelle proposte relative al ravvicinamento delle legislazioni in materia di tutela dei consumatori, la Commissione ha l'obbligo di basarsi su un livello di tutela elevato (art. 114, (3) del Tfue). Quest'obbligo si concretizza in un dovere dell'Unione di promozione degli interessi dei consumatori e di loro garanzia grazie ad un livello di tutela elevato (art. 169 del Tfue).

2.5.4   Fino ad oggi, generalmente (4), l'armonizzazione in materia di tutela dei consumatori era basata sul principio di «armonizzazione minima», secondo il quale gli Stati membri hanno la possibilità di adottare o mantenere le misure che garantiscono la tutela maggiore, cosa che ha a volte condotto a conflitti di norme tra la tutela del consumatore e la realizzazione del mercato interno.

Il CESE, nel suo parere sulla regolamentazione della concorrenza e consumatori (5) sottolineava che sebbene la libera concorrenza comporti un vantaggio per tutti gli attori del mercato, in particolare per i consumatori, nei settori liberalizzati più importanti si è verificata tuttavia una vera limitazione della libera concorrenza, con effetti di esclusione dei concorrenti ed una limitazione ovvia dei diritti economici dei consumatori.

2.6.1   È stata evidenziata la necessità di rafforzare i meccanismi d'informazione e di consultazione dei consumatori; a tal fine la rete europea della concorrenza dovrebbe adattare la sua attività per dare spazio alle informazioni ed alle osservazioni che le organizzazioni di consumatori nazionali o comunitari vogliano fornire per rendere più efficiente la politica della concorrenza sui mercati e fare sì che i loro diritti economici siano riconosciuti.

2.6.2   Quanto alla compensazione dei danni causati dal non rispetto delle norme di difesa della concorrenza, il CESE si è già pronunciato (6), a proposito del Libro verde elaborato dalla Commissione europea, a favore dell'elaborazione di orientamenti comunitari per la definizione delle condizioni di applicazione delle azioni di risarcimento per violazione delle norme antitrust (articoli 81 e 82 del Trattato).

2.6.3   Inoltre, il CESE si è anche pronunciato sull'istituzione di una regolamentazione, a livello comunitario, per le azioni collettive da intentare da parte degli organismi rappresentativi dei soggetti sociali ed economici che operano nel mercato interno, in particolare quelle esercitate dalle organizzazioni di consumatori (7).

2.6.4   Attualmente è in fase di elaborazione un parere sul Libro bianco in materia di azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie (8); in attesa della sua adozione si rinvia al suo contenuto per quanto riguarda questo argomento.

2.6.5   Il presente parere non intende quindi trattare delle questioni legate al risarcimento civile dei danni che derivano dall'inosservanza delle norme di difesa della concorrenza, né sull'esercizio delle azioni collettive da parte delle organizzazioni dei consumatori nel mercato interno, dal momento che si tratta di temi sui quali il CESE si è già pronunciato; esso vuole invece occuparsi della democrazia economica nel mercato interno.

3.   Approccio al concetto di democrazia economica nel mercato interno

3.1   La politica della concorrenza si prefigge di creare e mantenere le condizioni che permettono un funzionamento competitivo dei mercati, tanto a vantaggio dei consumatori che delle imprese. Ciò presuppone:

lottare sempre più efficacemente contro le pratiche che comportano distorsioni delle condizioni di concorrenza nel mercato,

creare le condizioni necessarie ad una partecipazione attiva dei consumatori e di tutti coloro che hanno diritti economici derivanti dalle loro attività economiche nel mercato, compresi i lavoratori, alla politica della concorrenza,

fare in modo che l'azione di informazione sia costante e che la consultazione possa realizzarsi facilmente e con risultati visibili,

creare gli strumenti giuridici o i canali necessari ad una tutela adeguata del principio d'uguaglianza degli attori del mercato — senza dimenticare le piccole e medie imprese, che beneficerebbero in grande misura di questa politica comunitaria -, del diritto di proprietà, dei consumatori e dell'accesso ai servizi d'interesse generale.

3.2   È in tale ottica che si parla da qualche tempo della necessità di garantire la «democrazia economica nel mercato interno». Raggiungerla è un'aspirazione implicita degli obiettivi dell'agenda di Lisbona che ha lo scopo di trasformare l'Unione nell'economia più competitiva e dinamica al mondo, capace di garantire una crescita economica rapida e sostenibile, più posti di lavoro e di migliore qualità e una maggiore coesione sociale (9).

Per garantire l'esistenza nel mercato interno di una democrazia economica che migliori la qualità della vita dei cittadini europei, è essenziale agire e progredire nelle tre direzioni seguenti:

in primo luogo, lo sviluppo e l'applicazione degli strumenti tradizionali della politica della concorrenza, cioè le norme antimonopolistiche e le norme sulle concentrazioni e gli aiuti di stato, prestando un'attenzione particolare a determinati settori, in priorità quelli liberalizzati.

3.3.1.1   Si tratta dei servizi d'interesse economico generale, nei quali si è passati da una gestione in regime di monopolio ad un regime da poco aperto al mercato con un'impresa in posizione dominante nel mercato di riferimento, con gli effetti limitativi per la concorrenza dovuti alla debole penetrazione sul mercato dei nuovi operatori.

3.3.1.2   In quest'ambito, si dovrebbe rafforzare l'intervento delle organizzazioni dei consumatori per permettere l'applicazione delle norme in materia di antitrust. In altre parole, dovrebbero essere i consumatori, legittimati in questo ruolo, ad avviare le procedure pertinenti qualora individuino una possibile violazione delle norme antitrust. I principali mezzi esistenti a questo scopo sono l'informazione, l'educazione e la sensibilizzazione dei consumatori stessi. Si deve inoltre consentire la legittimazione dei consumatori e delle loro organizzazioni e il loro accesso alle istituzioni e ai procedimenti pertinenti.

In secondo luogo, approfondire la politica di concorrenza che tocca i consumatori ed in generale le persone il cui reddito proviene dalla loro attività economica nel mercato, compresi i lavoratori.

3.3.2.1   Le pratiche che falsano la concorrenza, alle quali fanno ricorso le imprese che non rispettano le norme, sia in modo concertato sia con un abuso di posizione dominante, comportano in ultima analisi una diminuzione dei redditi o un aumento dei costi per le parti danneggiate, cosa che ha un'incidenza sul diritto di proprietà che queste hanno su tali redditi e fa di esse delle vittime di una violazione della legge.

3.3.2.2   Si possono quindi assimilare gli effetti delle violazioni delle norme della concorrenza ad un'appropriazione indebita della proprietà dei redditi dei consumatori, di tutti coloro che ricevono redditi che provengono dalle loro attività economiche e delle imprese che operano nel mercato rispettando le norme di concorrenza. Inoltre, questa nuova concezione della politica di difesa della concorrenza comporterebbe anche un rafforzamento della posizione delle piccole e medie imprese che, com'è noto, costituiscono la spina dorsale dell'economia europea.

In terzo luogo, occorrerebbe consolidare e sviluppare l'imprescindibile cooperazione tra i membri della rete europea della concorrenza e la Commissione, tra i tribunali nazionali e la Commissione e tra le autorità nazionali incaricate della difesa dei consumatori, le organizzazioni nazionali di consumatori e la Commissione.

3.3.3.1   La mutua assistenza permetterebbe di decidere più rapidamente chi è incaricato della preparazione del reclamo e di regolare al meglio e più efficacemente le questioni.

4.   Osservazioni sui temi inerenti al concetto di democrazia economica

4.1   Perché si realizzi un'autentica democrazia economica, l'UE deve adeguare la sua politica della concorrenza, e le misure di riavvicinamento delle legislazioni nazionali, alle necessità e alle aspettative dei consumatori europei e di tutti gli attori del mercato. È essenziale, a tal fine, realizzare azioni concrete sui temi che garantiscano e incrementino la fiducia di tutti gli attori del mercato interno.

4.2   L'armonizzazione delle legislazioni

Senza legislazioni equiparabili almeno in settori essenziali sia di diritto sostanziale che procedurale, si potrà molto difficilmente parlare di una vera democrazia economica nel quadro del mercato interno, come sancita agli articoli 114 del Tfue e seguenti, in particolare all'articolo 116.

4.2.1.1   Si potrà parlare di un vero mercato interno soltanto quando i consumatori avranno sufficiente sicurezza e fiducia per acquistare in qualsiasi parte dell'Unione europea ed essere sicuri di godere di una protezione equivalente ed effettiva contro possibili violazioni dei loro diritti economici da parte delle imprese. La circolazione transfrontaliera di beni e servizi permetterà ai consumatori di cercare offerte favorevoli e prodotti e servizi innovativi, e quindi di prendere le decisioni per loro più vantaggiose. È essenziale, di conseguenza, minimizzare le differenze tra le normative in materia di protezione dei consumatori nell'insieme dell'UE.

Benché gli Stati membri abbiano adottato disposizioni nazionali equivalenti agli articoli 101 e 102 (ex artt. 81 e 82), esistono ancora differenze importanti tra le legislazioni nazionali sulla concorrenza, differenze che si possono apprezzare tanto al livello delle definizioni materiali delle nozioni di posizione dominante, abuso, dipendenza economica quanto per ciò che riguarda i diritti procedurali dei consumatori, per il riconoscimento del ruolo delle loro organizzazioni o anche per le relazioni tra queste e le autorità nazionali di difesa della concorrenza.

4.2.2.1   Il principio di armonizzazione «minima» utilizzato come strumento di armonizzazione delle legislazioni nazionali è quello più appropriato per unire gli obiettivi del mercato interno e quelli della protezione dei consumatori. Al contrario, questo principio, se confrontato a quello del «paese d'origine» insieme ad altri tipi di «clausole del mercato interno» sul riconoscimento reciproco della normativa di protezione dei consumatori, è incompatibile con un «elevato livello di protezione dei consumatori».

4.2.2.2   Per ottenere il suddetto elevato livello di protezione dei consumatori, e in sintonia con le più recenti strategie comunitarie in materia di politica dei consumatori (2002-2006 e 2007-2013), avrebbe senso puntare alla piena armonizzazione su questioni specifiche considerate di importanza vitale, come i principi, le definizioni e determinati aspetti procedurali.

Le vittime di violazioni delle norme di concorrenza devono potere ottenere un risarcimento effettivo ed integrale, e deve essere possibile evitare l'arricchimento senza causa degli autori della violazione. A tal fine, si potrebbero adottare strumenti come:

procedimento di confisca da parte delle autorità pubbliche dei benefici indebitamente acquisiti. I fondi illegalmente ottenuti dovrebbero essere destinati, una volta recuperati, a fini d'interesse generale precedentemente definiti nelle legislazioni nazionali, in modo prioritario per finanziare misure pubbliche d'aiuto alle vittime. Nel caso di disposizioni nazionali, si dovrebbe ottemperare al principio d'equivalenza e d'efficacia nei termini stabiliti dalla Corte di giustizia,

misure coercitive, a carattere amministrativo o penale, che siano efficaci, dissuasive e proporzionali per le violazioni più gravi che influiscano sul funzionamento e la realizzazione del mercato interno. La definizione del carattere illecito dovrà riguardare materie che sono di competenza esclusiva dell'Unione, per garantire l'applicazione più efficace possibile del diritto comunitario grazie alla definizione di criteri minimi e comuni in materia di reati (10). Il Trattato di Lisbona prevede la possibilità di adottare disposizioni minime in relazione alla definizione dei reati e delle sanzioni penali attraverso una procedura di codecisione, stabilendo norme minime per i reati particolarmente gravi e con una dimensione transnazionale (art. 83, par. 1, del Tfue),

la pubblicità delle sanzioni, che può essere una misura efficace se si creano strumenti accessibili al pubblico, come basi di dati che riprendono gli autori di violazioni, ecc. Le sanzioni per condotte anticoncorrenziali sono un elemento dissuasivo per autori potenziali di violazioni. In caso di sanzione, la pubblicità che le viene data informerà le vittime della violazione dell'importanza dell'affare e contribuirà a sensibilizzare i cittadini sulle misure di protezione della concorrenza,

queste costituiscono comunque misure complementari al risarcimento del danno che, come indicato in precedenza, non sarà oggetto del presente parere ma del successivo parere sul Libro bianco in materia di azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie.

4.2.3.1   Affinché il risarcimento dei danni sia più efficace, ci si può interrogare sull'opportunità di un'abilitazione dei tribunali nazionali a decidere la destinazione finale delle ammende amministrative per incorporarle nel procedimento civile di valutazione della compensazione delle vittime della violazione.

4.2.4   Come combinare in modo adeguato la piena armonizzazione delle legislazioni in alcuni casi ed evitare la diminuzione della tutela del consumatore in alcuni Stati membri potrebbe essere un obiettivo di cui tenere conto nell'ambito delle riforme legislative che riguardino la regolamentazione del mercato interno.

4.3   Incidenza sui diritti fondamentali

4.3.1   La violazione delle norme del mercato interno interessa una serie di diritti fondamentali dell'Unione, come il principio d'uguaglianza (articolo 20 della Carta dei diritti fondamentali), il diritto di proprietà (articolo 17 di questa stessa carta), la tutela dei consumatori (articolo 38) e l'accesso ai servizi d'interesse generale (articolo 36) la cui difesa appartiene anche alle istituzioni ed organi dell'Unione. Alcuni di questi diritti, in particolare il principio d'uguaglianza o il divieto della disparità di trattamento, hanno così finito per acquisire una forma legislativa nel settore della concorrenza come principio che regge la condotta di tutti gli operatori economici, tanto in relazione con i loro concorrenti che con i consumatori (11).

4.3.2   Ciò solleva i seguenti interrogativi:

occorre prevedere una forma di protezione speciale per la violazione di questi diritti?

Quale potrebbe essere una forma di protezione nel diritto comunitario?

Sarebbe utile trasporre in diritto positivo, a norma degli articoli 17, 20 e 38 della Carta dei diritti fondamentali, questi diritti dei consumatori, delle imprese e di tutte le persone aventi diritti economici derivanti dalle loro attività nel mercato, compresi i lavoratori, in disposizioni specifiche del diritto comunitario in materia di concorrenza?

4.3.3   Il conseguimento di un «elevato livello di protezione» potrebbe essere considerato come una via per l'applicazione e la protezione dei diritti fondamentali nel mercato, in quanto istituire un iter apposito o un procedimento unico comporterebbe maggiori oneri amministrativi. Il CESE ritiene che sarebbe più appropriato utilizzare gli strumenti esistenti, rafforzando la legittimazione delle organizzazioni dei consumatori. Sarebbe auspicabile promuovere, attraverso le politiche e i canali adeguati, l'inclusione nelle normative specifiche dell'UE e degli Stati membri, specialmente in determinati settori (appalti per beni e servizi essenziali, difesa della concorrenza, pratiche sleali), di clausole esplicite che riconoscano i diritti dei consumatori o di qualsiasi altra persona con diritti economici, lavoratori compresi, e la loro legittimazione. Ciò contribuirebbe anche a informare e sensibilizzare gli stessi cittadini, elemento che, giova ripeterlo, il CESE considera essenziale.

4.4   La partecipazione dei vari attori del mercato

4.4.1   Il Trattato di Lisbona stipula all'articolo 15 del Tfue che per promuovere una buona gestione e garantire la partecipazione della società civile, le istituzioni, gli organi e gli organismi dell'Unione agiscano nel più grande rispetto possibile del principio d'apertura. La trasparenza è un requisito fondamentale affinché i cittadini accettino le politiche comunitarie.

La partecipazione deve esplicarsi attraverso meccanismi di comunicazione fluidi e effettivi tra la Commissione e le autorità per la concorrenza e le organizzazioni di consumatori, se si vuole agire preventivamente per affrontare le violazioni di carattere transfrontaliero nel loro momento iniziale, e a tal fine andrebbero risolte le seguenti questioni:

con quali misure si potrebbe migliorare la cooperazione?

Come potenziare l'aspetto preventivo?

Il Parlamento europeo propone (12) l'istituzione di un «mediatore europeo per i consumatori» e raccomanda di nominare consulenti incaricati delle relazioni con i consumatori in seno alla Commissione europea. A tal fine, sarebbe opportuno prendere in considerazione la creazione di un organo «ad hoc» come mediatore europeo per i consumatori o, meglio ancora, un'estensione delle competenze del mediatore europeo esistente. Al fine di introdurre un criterio di ragionevolezza in ordine ai mezzi impiegati per assicurare l'elevato livello di protezione dei consumatori nella politica della concorrenza e per ottimizzare le risorse disponibili, riteniamo che inizialmente sarebbe sufficiente la nomina di un consulente incaricato delle relazioni con i consumatori (13) nei servizi della Commissione che si occupano in modo particolare di politica dei consumatori.

4.4.3   Sarebbe probabilmente necessario riformare i procedimenti amministrativi della Commissione per la comparizione nei procedimenti di definizione delle sanzioni, nel pieno rispetto del principio di riservatezza. Il problema potrebbe essere risolto con i principi dell'articolo 41 della Carta europea dei diritti fondamentali che garantisce l'accesso alla pratica, il diritto di essere ascoltato, la motivazione delle decisioni ed il diritto di ricorso.

4.4.4   Occorrerebbe migliorare l'informazione sulle norme minime per la consultazione, con l'instaurazione di un obbligo per ogni direzione generale di procedere ad una valutazione dell'impatto della consultazione per tutte le proposte per cui questa si svolga e non soltanto per le proposte strategiche, come ha ricordato il CESE (14). Inoltre, la Commissione dovrebbe esaminare questioni di una grande importanza per tutti i cittadini europei, come le lingue utilizzate, la neutralità delle questioni ed i termini di tempo per la risposta.

4.4.5   Quella del ruolo che possono svolgere le associazioni di consumatori e altri organismi rappresentativi è una delle questioni da risolvere una volta accettata la loro legittimazione attiva nell'intero processo di reclamo. Ciò dovrà avvenire attraverso uno strumento legislativo adeguato, una volta determinato il dibattito sul già citato Libro bianco in materia di azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie.

4.4.6   Un aspetto fondamentale è la sensibilizzazione dei cittadini all'importanza della loro partecipazione alle questioni della politica di concorrenza. I comportamenti vietati, come i cartelli costituiti da alcune imprese, non devono essere considerati dai cittadini come questioni intoccabili o che si possono risolvere soltanto nelle alte sfere della politica o dell'economia, ma come pratiche che hanno gravi conseguenze sociali e che mettono in pericolo ed a volte pregiudicano i diritti di proprietà delle vittime. Si dovrà quindi discutere e decidere quali possano essere le misure più auspicabili per l'istruzione e la sensibilizzazione dei cittadini europei, affinché comprendano le incidenze di questo tipo di comportamento illecito. Ciò comporta in primo luogo continuare a promuovere, sotto ogni profilo, l'attività della rete dei centri europei dei consumatori. È essenziale continuare a investire nell'apertura di questi centri, affinché ve ne sia per lo meno uno in ciascuna delle principali città di tutti gli Stati membri. Servirebbero inoltre campagne pubblicitarie, sia generali che specifiche per determinati settori, che consentano, in modo rapido e semplice, di sensibilizzare il cittadino ai suoi diritti come consumatore e di fargli conoscere i centri od organismi cui rivolgersi in caso voglia sporgere reclamo o necessiti di consulenza.

4.5   I servizi d'interesse generale

4.5.1   Per l'intervento della Comunità nel settore dei servizi d'interesse generale esiste una base giuridica nell'articolo 14 del Tfue e nel protocollo 26. Per salvaguardare l'esistenza di un livello elevato di qualità, di sicurezza e d'accessibilità economica, la parità di trattamento, e promuovere l'accesso universale a questi servizi ed i diritti degli utenti in materia:

come si dovrebbero realizzare le valutazioni periodiche a livello comunitario?

Quali misure si dovrebbero adottare di fronte alle distorsioni della concorrenza nei settori recentemente liberalizzati?

Come fare perché i processi d'apertura dei mercati portino benefici ai consumatori?

4.5.2   In termini generali, la mancanza di trasparenza nella gestione di questi servizi, nonché le tariffe ingiustificate cui devono sottostare i clienti industriali e i consumatori, rende necessario trovare una soluzione alle questioni sopra illustrate.

4.6   Il ruolo della politica di concorrenza nel mercato interno

4.6.1   La definizione delle norme di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno è una competenza esclusiva dell'Unione.

4.6.2   La politica della concorrenza deve garantire ai consumatori le migliori scelte in termini di prezzo, di qualità e di varietà, in particolare per quanto riguarda i beni ed i servizi di base, come i prodotti alimentari, l'alloggio, l'istruzione, la sanità, l'energia, i trasporti e le telecomunicazioni, offrendo ai consumatori prezzi più bassi.

Ciononostante, all'efficienza del mercato deve affiancarsi, come obiettivo ultimo, il miglioramento della qualità della vita e del benessere dei consumatori. Per giungervi, occorre fornire un quadro istituzionale alla partecipazione attiva dei consumatori anziché farne soggetti passivi della nozione di benessere.

4.6.3.1   Di conseguenza, il quadro legislativo attuale deve evolvere verso un nuovo orientamento dell'interpretazione della legislazione, oppure verso nuovi istituti giuridici per la politica di concorrenza. Si dovrebbe infine prendere in considerazione l'adozione di nuove misure giuridiche che completino o sostituiscano le misure attuali.

Bruxelles, 3 dicembre 2008

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI

Il Segretario generale del Comitato economico e sociale europeo

Martin WESTLAKE


(1)  Si usa la numerazione dell'articolato della versione consolidata del Trattato sull'Unione europea e del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, pubblicata nella GU C 115 del 9.5.2008.

(2)  È fatto riferimento all'adattamento della Carta del 12 dicembre 2007, a Strasburgo, pubblicato nella GU C 303 del 14.12.2007. Questa seconda proclamazione della Carta si è resa necessaria poiché le spiegazioni con note a fondo pagina erano state aggiunte alla Carta dopo la sua prima proclamazione nel dicembre 2000 nel vertice di Nizza.

(3)  Cfr. Orientamenti relativi alla valutazione delle concentrazioni orizzontali a norma del regolamento del Consiglio relativo al controllo delle concentrazioni tra imprese (GU C 31 del 5.2.2004, pag. 5).

(4)  La direttiva 2005/27/CE sulle pratiche commerciali sleali può essere citata a titolo d'eccezione.

(5)  GU C 309 del 16.12.2006, pag. 1.

(6)  GU C 324 del 30.12.2006, pag. 1.

(7)  GU C 162 del 25.6.2008, pag. 1.

(8)  COM(2008) 165 def. GU C 309 del 16.12.2006, pag. 1.

(9)  Conclusioni della presidenza del. Consiglio europeo di Feira, 2000.

(10)  Cfr. la proposta della Commissione sulla tutela penale dell'ambiente COM(2007) 51 def., e la giurisprudenza della Corte di giustizia nelle cause C-176/03 e C-440/05.

(11)  Cfr. l'articolo 101, paragrafo 1, lettera d) e l'articolo 102, lettera c) del TFUE.

(12)  Relazione del deputato europeo Lasse LEHTINEN sul programma strategico per i consumatori 2007-2013.

(13)  «L'articolo 153, paragrafo 2, del Trattato dell'Unione stabilisce che “Nella definizione e nell'attuazione di altre politiche o attività comunitarie sono prese in considerazione le esigenze inerenti alla protezione dei consumatori”". Detto obbligo incombe a tutti i funzionari delle istituzioni europee. La funzione di consulente incaricato delle relazioni con i consumatori potrebbe contribuire a sensibilizzare gli altri funzionari, ricordando loro l'impegno nei confronti dei cittadini nel loro lavoro quotidiano».

(14)  Cfr. il parere del CESE in merito al Libro verde — Iniziativa europea a favore della trasparenza (GU C 324 del 30.12.2006).


28.7.2009   

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Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 175/26


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «L'approccio proattivo al diritto: un altro passo verso una migliore regolamentazione a livello dell'UE»

(2009/C 175/05)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 gennaio 2008, ha deciso, conformemente all'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

L'approccio proattivo al diritto: un altro passo verso una migliore regolamentazione a livello dell'UE.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 novembre 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore PEGADO LIZ.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 3 dicembre 2008, nel corso della 449a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 155 voti favorevoli e 5 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1   Il presente parere d'iniziativa parte dal presupposto che è il diritto, non la legislazione concepita dai giuristi, a rispecchiare la condotta che una data società accetta ed esige come condizione preliminare dell'ordine sociale; il diritto non è composto di concetti formali senza tempo e incisi nella pietra, ma di norme e principi — scritti e non scritti — che rispecchiano i legittimi interessi collettivi dei cittadini in un dato momento storico.

1.2   In tutti gli ordinamenti giuridici è tradizionalmente compito del legislatore interpretare gli interessi collettivi della società, definire, se necessario, per via legislativa ciò che si intende per comportamento lecito e sanzionare gli atti in violazione di tale comportamento. È da tempo assodato che le leggi promulgate in questo modo dovrebbero essere non solo giuste ed eque ma anche comprensibili, accessibili, accettabili e cogenti, ossia suscettibili di applicazione coattiva. Nella società attuale, però, tutto questo non basta più.

1.3   Da troppo tempo in ambito giuridico l'attenzione si concentra sul passato. Legislatori e magistrati agiscono in risposta a carenze, controversie, scadenze non rispettate e infrazioni, cercando di ovviare, di comporre e di rimediare. Le controversie, i procedimenti e i meccanismi volti a imporre il rispetto delle norme comportano un costo eccessivo, che non può essere misurato solo in termini pecuniari.

1.4   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) insiste quindi per un cambiamento di paradigma. È giunto il momento di abbandonare l'approccio reattivo al diritto, ormai vecchio di secoli, per passare a un approccio proattivo. È giunto il tempo di considerare il diritto in modo diverso: di guardare avanti e non più indietro, di concentrarsi sul modo in cui il diritto è utilizzato e opera nella vita quotidiana e sul modo in cui viene accolto nella comunità che aspira a disciplinare. Anche se reagire ai problemi e risolverli rimangono aspetti importanti, è vitale prevenirne le cause e insieme soddisfare i bisogni e agevolare l'interazione produttiva di cittadini e imprese.

1.5   Adottare un «approccio proattivo al diritto» significa conferire agli utenti del diritto capacità, poteri e responsabilità — un approccio realizzato da, con e per tali utenti, siano essi cittadini o imprese. L'idea è quella di una società in cui i cittadini e le imprese siano consapevoli dei propri diritti e doveri, possano accedere ai vantaggi che il diritto può offrire loro, conoscano i propri obblighi giuridici in modo da evitare i problemi laddove è possibile, e, laddove le controversie siano davvero inevitabili, possano risolverle tempestivamente e con i metodi più adatti.

1.6   L'approccio proattivo al diritto ricerca una combinazione di metodi che permettano di raggiungere gli obiettivi auspicati: l'accento non è solo sulle norme giuridiche e sulla loro applicazione coattiva. Per fissare gli obiettivi da raggiungere e procurarsi la combinazione di mezzi più adatta per conseguirli bisogna coinvolgere in tempo utile le parti direttamente interessate, dare un ordine agli obiettivi, creare una visione condivisa e, fin dalle prime fasi, fornire sostegno e orientamento per un'attuazione efficace. Il CESE è convinto che il nuovo modo di pensare rappresentato dall'approccio proattivo sia generalmente applicabile al diritto e alla normazione.

1.7   Per sua natura, il diritto comunitario è proprio il tipo di ordinamento giuridico in cui l'approccio proattivo dovrebbe essere adottato tanto nella programmazione che nella redazione e nell'attuazione delle norme. In tale contesto, il CESE è dell'avviso che la normazione eteronoma non sia l'unico strumento, né sempre quello migliore, per conseguire gli obiettivi auspicati: a volte, infatti, per il legislatore il modo migliore di promuovere obiettivi validi è astenersi dal legiferare e, laddove necessario, promuovere l'autoregolamentazione e la coregolamentazione. Quando ciò accade, i fondamentali principi di sussidiarietà, proporzionalità, precauzione e sostenibilità assumono un nuovo rilievo e una nuova dimensione.

1.8   Il CESE è convinto che il mercato unico potrebbe ricavare grandi benefici se il diritto europeo e i suoi autori — legislatori e amministratori in senso lato — rivolgessero la loro attenzione non più «all'interno», cioè all'ambito stesso del sistema giuridico, delle sue norme e delle sue istituzioni, bensì «all'esterno», cioè agli utenti del diritto: la società, i cittadini e le imprese che il sistema giuridico è inteso a servire.

1.9   Anche se il recepimento e l'attuazione della normativa comunitaria sono passi importanti verso una migliore regolamentazione a livello dell'UE, l'efficacia di tale normativa andrebbe misurata dal grado di conseguimento degli obiettivi a livello degli utenti del diritto, cioè le imprese e i cittadini europei. La normativa andrebbe fatta conoscere in modo chiaro e intelligibile per il pubblico cui essa si rivolge, e innanzitutto per coloro di cui è intesa a influenzare i comportamenti, e non solo per le istituzioni e gli amministratori competenti.

1.10   L'adozione dell'approccio proattivo al diritto andrebbe sistematicamente presa in considerazione in tutte le attività di produzione e attuazione normative dell'UE. Il CESE è fermamente convinto che, facendo rientrare tale approccio non solo nell'agenda per una migliore regolamentazione ma anche tra le priorità di legislatori e amministratori a livello europeo, nazionale e regionale, sarebbe possibile dare un solido fondamento giuridico alla prosperità di individui ed imprese.

2.   Raccomandazioni

2.1   La certezza del diritto è uno dei presupposti fondamentali di una società ben funzionante. E, perché il diritto sia certo, bisogna che gli utenti del diritto ne conoscano e comprendano le norme. È a questo proposito che il CESE richiama l'attenzione sull'approccio proattivo al diritto. Si tratta di un approccio lungimirante, il cui scopo è promuovere ex ante il conseguimento degli obiettivi auspicati, massimizzando le opportunità e riducendo al minimo problemi e rischi.

2.2   Con il presente parere d'iniziativa, il CESE mette l'accento sul fatto che, per «legiferare meglio», occorre orientare la produzione giuridica verso una combinazione ottimale di strumenti normativi che promuovano nel modo migliore possibile gli obiettivi della società, funzionino bene e siano facili da usare per i cittadini e le imprese.

2.3   Scopo del presente parere è dimostrare in che modo l'approccio proattivo al diritto può favorire una migliore regolamentazione proponendo un nuovo modo di pensare, che parta dalle esigenze reali e dalle aspirazioni concrete dei cittadini e delle imprese.

2.4   Ciò significa che, nel redigere gli atti normativi, il legislatore dovrebbe preoccuparsi di produrre norme operativamente efficienti che rispecchino esigenze reali e siano attuate in modo tale da conseguire i loro obiettivi ultimi.

2.5   Il ciclo di vita di un atto normativo non inizia con la redazione del relativo progetto né finisce con la sua adozione formale. Il fine non è l'atto normativo in sé bensì la sua effettiva applicazione, applicazione che non significa soltanto imposizione della sua osservanza da parte delle istituzioni competenti, ma anche adozione, accettazione e, se necessario, modifica del comportamento dei singoli e dei gruppi destinatari.

2.6   Si possono anticipare alcune conseguenze, anche pratiche, di questo approccio:

si avrebbe un'attiva ed effettiva partecipazione, piuttosto che una semplice consultazione, delle parti direttamente interessate, prima e durante la redazione di qualsiasi proposta e lungo l'intero corso del processo decisionale,

le valutazioni d'impatto prenderebbero in considerazione aspetti non solo economici, ma anche sociali ed etici; non solo il mondo delle imprese, ma anche i consumatori; non solo il parere della società civile organizzata, ma anche la voce dell'anonimo cittadino,

si anticiperebbero soluzioni invece di problemi e si userebbero le norme giuridiche per raggiungere e imporre obiettivi e per fare dei diritti e delle libertà una realtà in un dato contesto culturale,

si formulerebbero i testi normativi nel modo più chiaro possibile e più vicino possibile ai loro utenti, badando a impiegare un linguaggio semplice e facilmente comprensibile,

si abrogherebbero gli atti normativi ridondanti, incoerenti, obsoleti e inapplicabili, e si armonizzerebbe la comprensione di termini, definizioni, descrizioni, limitazioni e interpretazioni nell'ambito di quadri comuni di riferimento,

si farebbe pressione per introdurre nuovi spazi di autonomia contrattuale, di autoregolamentazione e di coregolamentazione, nonché spazi da coprire mediante norme tecniche o codici di condotta a livello nazionale ed europeo,

ci si concentrerebbe su un approccio alla legiferazione basato su «leggi modello» (il cosiddetto «28° regime») invece che su un'armonizzazione totale troppo dettagliata e superflua.

2.7   I modi per fare tutto ciò potrebbero essere sperimentati mediante progetti di ricerca e attraverso un dialogo con le parti interessate sullo specifico ruolo dell'approccio proattivo al diritto in tutte le fasi e a tutti i livelli del processo normativo.

2.8   Il CESE raccomanda quindi alla Commissione, al Consiglio e al Parlamento europeo di adottare l'approccio proattivo nel programmare, redigere, rivedere e attuare la normativa comunitaria, e incoraggia anche gli Stati membri a fare altrettanto laddove opportuno.

3.   Introduzione: qualche cenno di teoria del diritto

3.1   Nell'ambito delle regole o del «dover essere», ciò che caratterizza le norme «giuridiche», rispetto a quelle etiche o estetiche, è il loro carattere coattivo, la possibilità cioè che un giudice ne pretenda l'osservanza e ne sanzioni le infrazioni. Un tratto tipico dello jus cogens o «diritto cogente» è infatti la possibilità di ricorrere all'«applicazione coattiva» — di norma mediante una procedura giudiziale — per far sì che il diritto in questione sia applicato o, nel caso in cui non lo sia, che i contravventori siano sanzionati.

3.2   Proprio al centro del «dover essere», però, vi è il concetto che l'osservanza delle norme giuridiche, generalmente parlando, è volontaria, e che il ricorso a procedimenti legali non è la regola bensì l'eccezione, l'ultima ratio. Se la generalità dei consociati non fosse disposta a osservare volontariamente gli obblighi imposti dalle norme giuridiche, l'efficacia di queste ultime ne sarebbe irrimediabilmente compromessa.

3.3   Di qui la responsabilità del legislatore di dettare norme che, in via generale, incoraggino i loro destinatari a osservarle volontariamente e attuarle spontaneamente. Risposte di questo tipo sono in realtà presupposti del diritto di ognuno a essere rispettato e rappresentano un pilastro della vita sociale. In questo contesto, l'aspirazione a «legiferare bene» e a «legiferare meglio» (1) assume un particolare significato e ha notevoli implicazioni per l'interpretazione, l'integrazione e l'attuazione delle norme giuridiche.

3.4   Ciò significa che, oltre a essere equa o «giusta» (2), la produzione normativa deve essere:

comprensibile,

accessibile,

accettabile (3) e

cogente, ossia suscettibile di applicazione coattiva.

Se questi criteri non sono soddisfatti, le norme tendono ad essere rifiutate dai loro destinatari, non vengono attuate da chi è incaricato di garantirne l'osservanza e cadono in disuso, mentre la «forza» dell'apparato giudiziario non è da sola sufficiente per garantirne l'effettiva applicazione.

3.5   Pur avendo rilievo anche per gli ordinamenti giuridici nazionali, la questione assume un'importanza ancora maggiore in un ordinamento giuridico come quello comunitario, nel quale le due «componenti» dello Stato di diritto sono solitamente separate: «l'obbligatorietà» inerente alla produzione normativa è infatti di competenza comunitaria, mentre l'applicazione delle norme e l'irrogazione delle relative sanzioni sono di norma affidate al potere coercitivo degli ordinamenti giuridici interni.

3.6   Ciò spiega forse perché l'aspirazione a «legiferare meglio», presente in tutti gli Stati membri e niente affatto nuova, abbia di recente assunto una particolare importanza per le istituzioni comunitarie.

3.7   L'affidabilità, la sostenibilità e la prevedibilità sono presupposti fondamentali per un diritto ben funzionante e facile da usare per i cittadini e per le imprese. Le parti interessate hanno bisogno di un ragionevole grado di certezza giuridica per fissare obiettivi, attuare piani e ottenere risultati prevedibili. Il legislatore (in senso lato) dovrebbe preoccuparsi di conseguire tale certezza e di offrire un'infrastruttura giuridica stabile, realizzando al tempo stesso i fini previsti dalla legislazione.

3.8   È questo il contesto del presente parere d'iniziativa, che punta a mettere in evidenza un approccio innovativo al diritto, elaborato dalla «Scuola nordica del diritto proattivo» (Nordic School of Proactive Law — NSPL) e dai suoi predecessori (4), e a verificare in che misura ciò potrebbe rappresentare un passo avanti verso una migliore regolamentazione a livello dell'UE. Sono stati presi nella dovuta considerazione tutti i numerosi pareri formulati dal CESE in materia, che rappresentano già un notevole corpo dottrinale e cui si fa riferimento nel presente parere.

4.   Uno sguardo al miglioramento della produzione, dell'attuazione e dell'applicazione coattiva della normativa comunitaria

4.1   Il concetto di «miglioramento della normativa comunitaria», improntato al punto di vista degli utenti di quest'ultima (5), incorpora una serie di principi affermatisi pienamente negli ultimi anni: consultazione preliminare, lotta all'inflazione legislativa, soppressione degli atti e dei progetti normativi obsoleti, riduzione degli adempimenti e degli oneri amministrativi, semplificazione dell'acquis comunitario, miglioramento della redazione delle proposte legislative — comprese le valutazioni d'impatto ex ante ed ex post -, riduzione all'essenziale della normativa e priorità agli obiettivi e alla sostenibilità della normativa stessa, che nel contempo deve restare flessibile.

4.2   Da tempo la Commissione (6), il Parlamento europeo (7) e il CESE (8) promuovono e sostengono gli obiettivi della migliore regolamentazione, della semplificazione e della comunicazione, considerandoli gli obiettivi principali nel contesto del completamento del mercato unico. Tra i primi documenti sull'argomento non va dimenticato l'importante rapporto Molitor del 1995, le cui diciotto raccomandazioni sono ancora attuali (9).

4.3   Una migliore produzione normativa presuppone inoltre l'applicazione dei principi di proporzionalità e di sussidiarietà e può comportare la partecipazione alla redazione del testo normativo delle parti direttamente interessate (i metodi utilizzati a questo scopo sono l'autoregolamentazione e la coregolamentazione), sotto la stretta sorveglianza del legislatore, come previsto dall'Accordo interistituzionale Legiferare meglio concluso nel 2003 (10) e sviluppato nelle successive relazioni annuali della Commissione.

4.4   Legiferare meglio non significa necessariamente regolamentare di meno o deregolamentare (11): la certezza del diritto, infatti, è uno dei presupposti essenziali del buon funzionamento del mercato unico (12).

4.5   Dal 2000 l'Osservatorio del mercato unico (OMU) del CESE si concentra sulle iniziative delle parti interessate che fanno presagire una produzione normativa migliore nell'ottica della società civile. Il CESE, canale istituzionale di espressione della società civile organizzata, ha seguito da vicino il programma di lavoro della Commissione e, nel corso degli anni, le ha offerto il proprio parere in una serie di documenti sulle questioni riguardanti il miglioramento della regolamentazione (13).

4.6   In collaborazione con la Commissione, l'OMU ha sviluppato una banca dati dedicata all'autoregolamentazione e alla coregolamentazione (14). Sulla scorta dei dati raccolti sulle iniziative di autoregolamentazione, l'OMU intende ora lavorare su modelli (indicatori di efficienza, linee guida sul monitoraggio e sull'applicazione coattiva, ecc.) e costituire un cluster in materia di autoregolamentazione e coregolamentazione insieme a esponenti accademici, think tanks, parti direttamente interessate e istituzioni.

5.   Un minimo di prevenzione: l'approccio proattivo

5.1   Tradizionalmente, in ambito giuridico si concentra l'attenzione sul passato. La ricerca giuridica si occupa infatti principalmente di insuccessi: carenze, ritardi e violazioni della legge.

5.2   L'accento dell'approccio proattivo, invece, è posto sul futuro. Essere proattivi è il contrario dell'essere reattivi o passivi. L'approccio specificamente qualificato come diritto proattivo è emerso in Finlandia negli anni '90, e la necessità di sviluppare ulteriormente metodi pratici e teorie del diritto in questo settore emergente ha portato nel 2004 all'istituzione della Scuola nordica del diritto proattivo  (15).

5.3   Il termine proattivo presuppone la capacità di agire anticipando, di assumere il controllo e di prendere l'iniziativa (16). Tutti questi elementi fanno parte dell'approccio proattivo al diritto, che distingue altri due aspetti della proattività: uno è la dimensione promozionale (promuovere gli obiettivi auspicati, incoraggiare i comportamenti positivi) e l'altro è la dimensione preventiva (prevenire esiti indesiderati, evitare l'insorgere di rischi giuridici).

5.4   L'approccio proattivo al diritto pone l'accento sul successo e non sull'insuccesso. Significa prendere l'iniziativa di promuovere e rafforzare i fattori trainanti del successo. Le sue radici affondano nella contrattazione proattiva (Proactive Contracting)  (17). Lo scopo originario era quello di fornire un quadro di riferimento che permettesse di includere la capacità di previsione giuridica (legal foresight) nella prassi concreta dell'attività economica quotidiana e di combinare le buone pratiche in materia contrattuale, giuridica, progettuale, qualitativa e di gestione dei rischi.

5.5   Il diritto proattivo ha tratto notevole ispirazione dal diritto preventivo  (18), anche se quest'ultimo esamina i problemi soprattutto dal punto di vista dell'operatore del diritto, focalizzandosi sulla prevenzione dei rischi e delle controversie di natura giuridica. Nel diritto proattivo ci si preoccupa soprattutto di ottenere un esito positivo e di rendere possibile il conseguimento degli obiettivi auspicati nella situazione in cui ci si trova. Facendo un'analogia con le cure sanitarie e la medicina preventiva, si può dire che l'approccio proattivo al diritto combina gli aspetti legati alla promozione della salute con quelli legati alla prevenzione delle patologie: lo scopo è aiutare cittadini e imprese a rimanere in buona «salute giuridica» e a evitare le «patologie» dell'incertezza del diritto, delle controversie e dei procedimenti giudiziari.

6.   Come l'approccio proattivo può contribuire ulteriormente a migliorare sia la produzione che l'attuazione e l'applicazione coattiva della normativa comunitaria

6.1   Uno dei principali obiettivi dell'Unione europea è mettere a disposizione dei suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne; uno spazio basato sui principi di trasparenza e controllo democratico. Eppure la giustizia non discende automaticamente dalla possibilità di adire le vie legali o, successivamente, di ricorrere in appello. Ciò che serve perché i cittadini e le imprese possano prosperare è un solido fondamento giuridico.

6.2   Cittadini e imprese si aspettano infatti dal legislatore un ragionevole grado di certezza, chiarezza e coerenza, in modo da poter fissare obiettivi, attuare piani e ottenere risultati prevedibili.

6.3   Il legislatore avrebbe buoni motivi per preoccuparsi nel caso in cui i cittadini o le imprese non fossero sufficientemente informati da sapere quando la legge potrebbe applicarsi al loro caso, da poter approfondire la propria posizione giuridica se volessero farlo o da poter evitare controversie laddove è possibile oppure, in caso contrario, risolverle con le tecniche più adatte (19). L'esperienza e le indagini effettuate ci dicono che oggi i cittadini e le imprese, soprattutto se consumatori o PMI, non sono sempre sufficientemente informati.

6.4   Il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione, nell'Accordo interistituzionale Legiferare meglio, hanno definito impegni e obiettivi comuni per migliorare la qualità della produzione normativa promuovendo la semplicità, la chiarezza e la coerenza nella redazione delle norme e la trasparenza del processo legislativo.

6.5   È tuttavia chiaro che le istituzioni firmatarie dell'accordo non possono raggiungere l'obiettivo da sole (20). Vanno sviluppati e potenziati programmi di semplificazione e di altro tipo a livello nazionale e regionale. È necessario un impegno coordinato in cui siano coinvolte sia le autorità nazionali, regionali e locali competenti ad attuare la normativa europea che gli stessi utenti di quest'ultima (21).

6.6   L'Unione europea ha già fatto passi in direzione dell'approccio proattivo. A questo proposito, il CESE accoglie con favore:

la decisione di creare un mercato unico e, in seguito, una moneta unica,

la possibilità che il Trattato prevede per le parti sociali di avviare negoziati sulla normativa in campo sociale,

lo Small Business Act (SBA) — Una corsia preferenziale per la piccola impresa (COM(2008) 394 def., del 25 giugno 2008), con l'allegato «Scambio di pratiche esemplari nella politica delle PMI» (22),

gli esempi di buone pratiche provenienti dagli Stati membri, che fungono da ispirazione per l'attuazione dell'SBA (23), e quelle raccolte ai sensi della Carta europea delle piccole imprese, e

I Premi all'impresa europea, che onorano l'eccellenza nella promozione dello spirito d'impresa a livello regionale,

i «Nuovi orientamenti per la valutazione di impatto» pubblicati dalla Commissione (COM(2008) 32 def.),

la rete per la risoluzione di problemi online «Solvit»,

il servizio «IPR Helpdesk» (per i diritti di proprietà intellettuale),

il fatto che la Commissione incoraggi a sviluppare norme tecniche europee,

la banca dati e il sito del CESE sull'autoregolamentazione e la coregolamentazione.

6.7   Le iniziative prese finora paiono alquanto disparate e non sembra siano in corso molte attività di ricerca o di apprendimento trasversale dalle esperienze maturate. Varrebbe la pena di studiare i risultati delle iniziative prese e la loro pertinenza, le loro implicazioni e la loro validità nell'applicazione ad altri settori. Il CESE propone di seguire da vicino queste iniziative e di utilizzarle per il riconoscimento e la diffusione delle migliori prassi.

6.8   D'altra parte, alcuni esempi recenti di problemi e difficoltà evitabili dimostrano bene la necessità di un approccio proattivo:

la direttiva 2006/123/CE, del 12 dicembre 2006, relativa ai servizi nel mercato interno (nota come «direttiva Bolkestein») (24),

la direttiva 2005/29/CE, dell'11 maggio 2005, relativa alle pratiche commerciali sleali (25),

la direttiva relativa ai contratti di credito ai consumatori, adottata dal Consiglio il 9 aprile e pubblicata il 23 aprile 2008 (26), anche se già ampiamente contestata da quasi tutte le parti direttamente interessate (27),

«l'intero pacchetto dell»acquis dei consumatori (28), sul quale è opinione diffusa che non sia stato formulato, recepito e attuato correttamente (29),

l'iniziativa del «quadro comune di riferimento» (QCR), che è partita dal sano proposito di semplificare la legislazione contrattuale e ha finito per produrre un «mostro» di circa 800 pagine solo per la «parte generale»(!) (30),

la recente proposta di direttiva sull'immigrazione (31),

l'insuccesso constatato in materia di servizi finanziari al dettaglio e in particolare di sovraindebitamento (32),

la crescita del deficit di recepimento degli Stati membri, ammessa perfino dalla stessa Commissione (33).

6.9   Scopo del presente parere è dimostrare in che modo l'approccio proattivo al diritto può favorire una migliore regolamentazione proponendo un nuovo modo di pensare, che parta dalle esigenze reali e dalle aspirazioni concrete dei singoli e delle imprese più che dagli strumenti giuridici e dal modo in cui questi andrebbero usati.

6.10   Ciò significa che, nel redigere gli atti normativi, il legislatore dovrebbe preoccuparsi di produrre norme operativamente efficienti che rispecchino esigenze reali e siano attuate in modo tale da conseguire i loro obiettivi ultimi. La normativa andrebbe fatta conoscere in modo chiaro e intelligibile al pubblico cui essa si rivolge, così da poter essere compresa ed applicata dagli interessati.

6.11   Il ciclo di vita di un atto legislativo non inizia con la redazione del relativo progetto né finisce con la sua adozione formale. Il fine non è l'atto normativo in sé bensì la sua effettiva applicazione, applicazione che non significa soltanto imposizione della sua osservanza da parte delle istituzioni competenti, ma anche adozione, accettazione e, se necessario, modifica del comportamento dei singoli e dei gruppi destinatari. A questo proposito, diversi studi dimostrano che, quando le parti sociali sono state coinvolte nella negoziazione di accordi poi convertiti in normativa europea, l'attuazione di quest'ultima è stata più efficace.

Si possono anticipare alcune conseguenze, anche pratiche, di questo approccio per il processo decisionale relativo alla produzione, attuazione e applicazione coattiva della normativa europea.

6.12.1   In primo luogo, si avrebbe un'attiva ed effettiva partecipazione, piuttosto che una semplice consultazione, delle parti direttamente interessate, prima e durante la redazione di qualsiasi proposta e lungo l'intero corso del processo decisionale; in tal modo si prenderebbero come punto di partenza i problemi reali e la loro soluzione e il processo decisionale diventerebbe un dialogo continuo e un processo di apprendimento reciproco volto al conseguimento di determinati obiettivi (34).

6.12.2   In secondo luogo, le valutazioni d'impatto prenderebbero in considerazione aspetti non solo economici, ma anche sociali ed etici; non solo il mondo delle imprese, ma anche i consumatori come destinatari ultimi di provvedimenti e iniziative di natura giuridica; non solo il parere della società civile organizzata, ma anche la voce dell'anonimo cittadino (35).

6.12.3   In terzo luogo, si anticiperebbero soluzioni invece di problemi e si userebbero le norme giuridiche per raggiungere e imporre obiettivi e per fare dei diritti e delle libertà una realtà in un dato contesto culturale, invece di concentrarsi su una logica di formalismo giuridico (36).

6.12.4   Si formulerebbero i testi normativi nel modo più chiaro possibile e più vicino possibile ai loro utenti, badando a impiegare un linguaggio semplice e facilmente comprensibile e comunicandone il contenuto in modo adeguato, nonché accompagnando e guidando tali testi in tutte le fasi del loro ciclo di vita, comprese l'attuazione e l'applicazione coattiva.

6.12.5   Si abrogherebbero inoltre gli atti normativi ridondanti, incoerenti, obsoleti e inapplicabili e si armonizzerebbe la comprensione di termini, definizioni, descrizioni, limitazioni e interpretazioni nell'ambito di quadri comuni di riferimento (37). Inoltre, sarebbe molto importante porre fine alla creazione di nuovi termini di dubbia interpretazione o di gergo comunitario («eurocratese»), dei quali si fa ampio uso senza che la maggioranza dei cittadini ne conosca realmente il significato.

6.12.6   Si farebbe anche pressione per introdurre nuovi spazi di autonomia contrattuale, di autoregolamentazione e di coregolamentazione nonché spazi da coprire mediante norme tecniche o codici di condotta a livello nazionale ed europeo (38), e per identificare e rimuovere i fattori legislativi che siano di ostacolo.

6.12.7   Infine, ci si concentrerebbe su un approccio alla legiferazione basato su «leggi modello» (il cosiddetto «28° regime») invece che su un'armonizzazione totale troppo dettagliata e superflua, e si lascerebbe un margine ampio e adeguato all'autoregolamentazione e alla coregolamentazione ogni volta che queste risultino appropriate.

6.13   I modi per fare tutto ciò potrebbero essere sperimentati mediante progetti di ricerca e attraverso un dialogo con le parti interessate sullo specifico ruolo dell'approccio proattivo al diritto in tutte le fasi e a tutti i livelli del processo normativo. I primi passi potrebbero essere, tra l'altro, tavole rotonde o seminari che vedano la partecipazione di esponenti accademici, think tanks, parti direttamente interessate e istituzioni, al fine di costituire un quadro di riferimento e un piano d'azione per ulteriori iniziative volte a realizzare l'adozione dell'approccio proattivo a tutti i livelli, in modo simile a quanto già avviene con la sistematica presa in considerazione della sussidiarietà e della proporzionalità. La piattaforma per l'ulteriore discussione dell'approccio proattivo al diritto potrebbe essere l'OMU, considerata l'attenzione che esso dedica proprio ai problemi del miglioramento della regolamentazione.

Bruxelles, 3 dicembre 2008

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI

Il Segretario generale del Comitato economico e sociale europeo

Martin WESTLAKE


(1)  Il significato del concetto di «legiferare meglio», ad uso delle istituzioni europee, è spiegato nel parere del CESE, (GU C 24 del 31.1.2006, pag. 39, relatore: RETUREAU). Il contenuto «giuridico» di questo concetto è spiegato nell'Accordo interistituzionale del 2003 (GU C 321 del 31.12.2003).

(2)  Quale che sia il significato che ciò può avere alla luce dei valori predominanti di una data società in un dato momento storico. Diverse tragedie greche vertono proprio su questo conflitto tra legge «promulgata» e legge «giusta».

(3)  Le due condizioni principali perché una norma sia accettabile sono la sua pertinenza e la sua proporzionalità (cfr. il parere CESE GU C 48 del 21.2.2002, pag. 130 Semplificazione del 29 novembre 2001, punto 1.6, relatore: WALKER).

(4)  Per ulteriori informazioni si rinvia ai seguenti testi: Helena Haapio, An Ounce of Prevention — Proactive Legal Care for Corporate Contracting Success (articolo pubblicato nella rivista giuridica finlandese JFT, Tidskrift utgiven av Juridiska Föreningen i Finland, numero 1/2007), Helena Haapio (a cura di), A Proactive Approach to Contracting and Law, Turku 2008, e Peter Wahlgren e Cecilia Magnusson Sjöberg (a cura di), A Proactive Approach (volume 49 degli Scandinavian Studies in Law, Stoccolma 2006); cfr. http://www.cenneth.com/sisl/tom.php?choice=volumes&page=49.html

(5)  Come afferma molto giustamente il parere del CESE sul tema Legiferare meglio (GU C 24 del 31.1.2006, pag. 39, punto 1.1.2, relatore: RETUREAU), «Legiferare meglio significa innanzitutto porsi nella situazione dell'utente della norma giuridica. È dunque importante avvalersi in modo costruttivo delle risorse e delle competenze degli organismi consultivi per adottare un approccio partecipativo, che preveda la consultazione preliminare — e tenga conto della rappresentatività — delle organizzazioni della società civile, delle parti sociali (…)».

(6)  Principali documenti della Commissione sull'argomento:

Strategia dell'Unione europea per lo sviluppo sostenibile, COM(2001) 264 def.

Comunicazione in materia di valutazione d'impatto, COM(2002) 276 def.

Piano d'azione «Semplificare e migliorare la regolamentazione», COM(2002) 278 def.

Raccolta e utilizzazione dei pareri degli esperti, COM(2002) 713 def.

Aggiornare e semplificare l'acquis comunitario, COM(2003) 71 def.

Attuazione del programma comunitario di Lisbona — Una strategia per la semplificazione del contesto normativo, COM(2005) 535 def.

Esame strategico del programma per legiferare meglio nell'Unione europea, COM(2006) 689 def.

Prima relazione sullo stato d'avanzamento della strategia per la semplificazione del contesto normativo, COM(2006) 690 def.

Seconda relazione sullo stato d'avanzamento della strategia per la semplificazione del contesto normativo, COM(2008) 33 def.

Guida pratica comune del Parlamento europeo, del Consiglio e della Commissione destinata a coloro che partecipano alla redazione di testi legislativi delle istituzioni comunitarie.

(7)  Principali documenti del PE:

Relazione su Legiferare meglio 2004 — applicazione del principio di sussidiarietà (dodicesima relazione annuale), A6-0082/2006

Relazione: 21a e 22a relazione annuale della Commissione (2003 e 2004) sul controllo dell'applicazione del diritto comunitario, A6-0089/2006

Relazione sulle implicazioni istituzionali e giuridiche dell'impiego di strumenti normativi non vincolanti, A6-0259/2007

Relazione su Legiferare meglio nell'Unione europea, A6-0273/2007

Relazione sulla riduzione dei costi amministrativi imposti dalla legislazione, A6-0275/2007

Relazione su Legiferare meglio 2005: applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità — 13a relazione annuale, A6-0280/2007

Relazione sulla revisione del mercato unico: superare gli ostacoli e le inefficienze attraverso una migliore attuazione e applicazione, A6-0295/2007

Relazione sulla 23a relazione annuale della Commissione sul controllo dell'applicazione del diritto comunitario (2005), A6-0462/2007.

(8)  Principali documenti del CESE:

Parere di iniziativa in merito alla Semplificazione della legislazione in seno al mercato unico (GU C 14 del 16.1.2001, pag. 1).

Parere di iniziativa in merito alla Semplificazione, (GU C 48 del 21.2.2002, pag. 130).

Parere esplorativo sulla comunicazione Semplificare e migliorare la regolamentazione, COM(2001) 726 def., (GU C 125 del 27.5.2002, pag. 105).

Supplemento di parere d'iniziativa in merito alla Semplificazione, (GU C 133 del 6.6.2003, pag. 5).

Parere in merito alla comunicazione della Commissione Aggiornare e semplificare l'acquis comunitario (COM(2003) 71 def, (GU C 112 del 30.4.2004, pag. 4).

Brochure intitolata Qual è lo stato di avanzamento del Mercato unico allargato — 25 conclusioni dell'Osservatorio del mercato unico, EESCC-2004-07-EN

Relazione informativa sul tema La situazione attuale della coregolamentazione e della autoregolamentazione nel mercato unico, CESE 1182/2004 fin

Brochure intitolata Migliorare ad ogni livello il quadro normativo dell'Unione europea — Una vera priorità politica, EESC-2005-16-EN

Parere esplorativo elaborato su richiesta della presidenza britannica sul tema Legiferare meglio, CESE (GU C 24 del 31.1.2006, pag. 39)

Parere di iniziativa sul tema Migliorare l'applicazione e l'attuazione della legislazione dell'UE, (GU C 24 del 31.1.2006, pag. 52)

Parere sul tema Attuazione del programma comunitario di Lisbona — Una strategia per la semplificazione del contesto normativo, COM(2005) 535 def., (GU C 309 del 16.12.2006, pag. 18)

Parere esplorativo formulato su richiesta della Commissione europea Semplificazione del contesto normativo nel settore delle macchine (GU C 10 del 15.1.2008, pag. 8).

(9)  Rapporto del gruppo di esperti indipendenti sulla semplificazione legislativa e amministrativa (COM(95) 288 def. — C4-0255/95 — SEC(95) 1379). Una menzione particolare merita poi il Rapporto Mandelkern (novembre 2001), le cui raccomandazioni sono riassunte nel parere del CESE GU C 125 del 27.5.2002, pag. 105relatore: WALKER.

(10)  http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2003:321:0001:0005:IT:PDF

(11)  Già nel parere CES GU C 14 del 16.1.2001, pag. 1(relatore: VEVER), il CESE (all'epoca CES) ha ammesso che «non si tratta di sostenere una deregulation brutale e semplicistica, che andrebbe a scapito della qualità dei prodotti e dei servizi e degli interessi collettivi di tutti gli utenti: imprenditori, lavoratori o consumatori. L'economia e la società hanno bisogno di regole per funzionare bene» (punto 2.8). Nel suo parere sul tema Legiferare meglio (GU C 24 del 31.1.2006, pag. 39), il CESE afferma poi che «semplificare significa ridurre, per quanto possibile, la complessità dell'ordinamento giuridico, il che non vuol dire che si debba ridurre drasticamente la produzione legislativa comunitaria o delegificare, a meno che, così facendo, non si risponda alle aspettative di certezza del diritto espresse dalla società civile e alle esigenze di certezza giuridica e di stabilità manifestate dalle imprese, in particolare dalle PMI». Infine, nel suo parere sul tema Riesame del mercato unico (GU C 93 del 27.4.2007, pag. 25, relatore: CASSIDY), il CESE ricorda che «adottare un numero di norme inferiore non porterà automaticamente ad un quadro normativo migliore» (punto 1.1.7).

(12)  Less (legislation) is more («Meno (legislazione) è meglio»), http://bre.berr.gov.uk/regulation/news/2005/050720_bill.asp

(13)  Il CESE, inoltre, ha ripetutamente offerto il suo contributo alla presidenza di turno del Consiglio dell'UE, adottando pareri (GU C 175 del 27.7.2007).

(14)  http://eesc.europa.eu/self-and-coregulation/index.asp (in inglese).

(15)  Cfr. http://www.proactivelaw.org

(16)  Le definizioni lessicografiche dell'aggettivo inglese proactive evidenziano due elementi chiave: l'elemento dell«anticipazione, che implica il fatto di agire anticipando una situazione futura (per es.» acting in anticipation of future problems, needs, or changes«, come si legge nel Dizionario online Merriam-Webster), e l'elemento dell»assumere il controllo e provocare il cambiamento (per es. «controlling a situation by causing something to happen rather than waiting to respond to it after it happens“, come si legge nel proactive. Dictionary.com WordNet® 3.0. dell'Università di Princeton). Le ultime ricerche sul comportamento proattivo si basano su definizioni analoghe. Parker et al (2006) definiscono il” comportamento proattivo» come un'attività anticipatoria intrapresa di propria iniziativa al fine di cambiare e migliorare la situazione o se stessi. Cfr. il Programma di ricerca sulla proattività nelle organizzazioni, disponibile sul sito inglese http://proactivity.group.shef.ac.uk.

(17)  La prima opera riguardante la contrattazione proattiva è stata pubblicata in finlandese nel 2002: Soile Pohjonen (a cura di): Ennakoiva sopiminen, Helsinki, 2002.

(18)  Il primo a presentare l'approccio in esame con questo nome è stato Louis M. Brown nel suo trattato Manual of Preventive Law («Manuale di diritto preventivo»), New York, Prentice-Hall Inc., 1950.

(19)  Cfr. Civil justice 2000 — A Vision of the Civil Justice System in the Information Age. 2000.http://www.dca.gov.uk/consult/meta/cj2000fr.htm#section1

(20)  Nel parere d'iniziativa sul tema Semplificazione della legislazione in seno al mercato unico (GU C 14 del 16.1.2001, pag. 1), il relatore VEVER ha già richiamato l'attenzione sul fatto che «la quasi totalità delle normative europee emana esclusivamente dalla ristretta cerchia delle istituzioni europee dotate di poteri decisionali o di codecisione» e che «questa mancanza di una cultura di collaborazione con le categorie socioprofessionali in sede non solo consultiva ma anche, se necessario, codecisionale, a beneficio di un approccio decisionale prevalentemente politico e amministrativo, rende difficile coinvolgere e responsabilizzare gli attori della società civile in una politica di semplificazione» (punto 3.5).

(21)  I legami tra l'amministrazione dell'UE e le amministrazioni nazionali e regionali sono stati evidenziati nel parere CESE GU C 325 del 30.12.2006, pag. 3 (relatore: VAN IERSEL).

(22)  Parere CESE GU C 27 del 3.2.2009, pag. 7 relatore: CAPPELLINI, e parere CESE relatore: MALOSSE (in fase di elaborazione).

(23)  Cfr. Allegato 1 alla comunicazione summenzionata.

(24)  Parere CESE GU C 175 del 27.7.2007, pag. 14 relatrice: ALLEWELDT.

(25)  Parere CESE GU C 108 del 30.4.2004, pag. 81 relatore: HERNÁNDEZ BATALLER.

(26)  GU L 133 del 22.5.2008, pag. 66.

(27)  Parere CESE GU C 234 del 30.9.2003, pag. 1 relatore: PEGADO LIZ.

(28)  Almeno le otto direttive che seguono, scelte tra le ventidue considerate la «parte principale dell'acquis consumatori»: contratti negoziati fuori dei locali commerciali, (direttiva 85/577/CEE del 20 dicembre 1985), i viaggi, le vacanze ed i circuiti«tutto compreso» (direttiva 90/314/CEE del 13 giugno 1990), clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (direttiva 93/13/CEE del 5 aprile 1993), acquisizione di un diritto di godimento a tempo parziale di beni immobili (direttiva 94/47/CE del 26 ottobre 1994), contratti a distanza (direttiva 97/7/CE del 20 maggio 1997), indicazione dei prezzi (direttiva 98/6/CE del 16 febbraio 1998), provvedimenti inibitori (direttiva 98/27/CE del 19 maggio 1998) e aspetti della vendita e delle garanzie dei beni di consumo(direttiva 1999/44/CE del 25 maggio 1999).

(29)  Parere CESE GU C 256 del 27.10.2007, pag. 27 relatore: ADAMS.

(30)  Cfr. Hans Schulte-Nolke, Christian Twig-Felsener, Martin Ebers, EC Consumer Law Compendium — Comparative Analysis, Bielefeld University, 12 dicembre 2006.

(31)  Parere CESE GU C 44 del 16.2.2008, pag. 91 relatore: PARIZA CASTAÑOS.

(32)  Cfr. Single Market in Financial Services Progress Report 2006 del 21 febbraio 2007) e i seguenti pareri del Comitato: CESE GU C 151 del 17.6.2008, pag. 1 in merito al Libro verde sui servizi finanziari al dettaglio nel mercato unico, relatori: IOZIA e MADER SAUSSAYE; CESE GU C 44 del 16.2.2008, pag. 74sul tema Credito ed esclusione sociale in una società opulenta, relatore: PEGADO LIZ; GU C 65 del 17.3.2006, pag. 113 in merito al Libro verde: Il credito ipotecario nell'UE, relatore: BURANI; GU C 27 del 3.2.2009, pag. 18 in merito al Libro bianco sull'integrazione dei mercati UE del credito ipotecario, relatore: GRASSO.

(33)  Cfr. la comunicazione della Commissione Un'Europa dei risultati — applicazione del diritto comunitario (COM(2007) 502 def.), il relative parere del GU C 204 del 9.8.2008, pag. 9 relatore: RETUREAU, e l'ottimo articolo di Michael Kaeding sul recepimento attivo della legislazione europea (Active Transposition of EU Legislation, Eipascope 2007/03, pag. 27).

(34)  Nel suo parere sulla semplificazione, il CESE ha già rilevato che «il processo di consultazione formale non dovrebbe tuttavia limitarsi agli interlocutori scelti esclusivamente dalla Commissione, ma coinvolgere tutti i portatori di interessi» (…) e raccomandato «di estendere il processo consultivo invitando tutte le parti interessate a presentare il proprio contributo, in modo che la consultazione avvenga effettivamente per scelta del consultato» (GU C 133 del 6.6.2003, pag. 5, punti 4.1 e 4.1.1.1, relatore: SIMPSON).

(35)  Cfr. soprattutto i pareri del CESE sui temi Legiferare meglio (GU C 24 del 31.1.2006, pag. 39) e Norme di qualità relative ai contenuti, alle procedure e ai metodi delle valutazioni di impatto sociale dal punto di vista delle parti sociali e degli altri attori della società civile (GU C 175 del 27.7.2007, pag. 21), di cui è relatore: RETUREAU.

(36)  Come già sottolineato nel parere del CESE sul tema Migliorare l'applicazione e l'attuazione della legislazione dell'UE (GU C 24 del 31.1.2006, pag. 52 relatore: VAN IERSEL), «per poter essere applicabile, una norma giuridica deve essere sufficientemente chiara; per essere efficace, deve fornire una risposta adeguata a problemi specifici» e «una legislazione scadente è all'origine di una moltiplicazione degli atti legislativi, e quindi di un'ipertrofia normativa, che impone alle imprese adempimenti onerosi e inutili e crea incertezza e confusione tra i cittadini» (punto 1.6).

(37)  Un primo approccio a questo metodo è stato definito nella comunicazione della Commissione Aggiornare e semplificare l'acquis comunitario (COM(2003) 71 def.), oggetto del parere CESE GU C 112 del 30.4.2004, pag. 4, relatore: RETUREAU.

(38)  CESE sul tema Le priorità del mercato unico 2005-2010 (GU C 255 del 14.10.2005, pag. 22, punto 3), relatore: CASSIDY.


28.7.2009   

IT

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C 175/34


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Affrontare le sfide legate alla gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) nell'UE

(2009/C 175/06)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 gennaio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Affrontare le sfide legate alla gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (RAEE) nell'UE.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 30 ottobre 2008, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice GAUCI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 4 dicembre 2008, nel corso della 449a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 119 voti favorevoli, nessun voto contrario e una astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   La direttiva 2002/96/CE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (di seguito «direttiva RAEE») presenta un elevato potenziale di semplificazione in termini di riduzione degli oneri amministrativi che gravano sulle forze del mercato.

1.2   Nel rivedere la direttiva, l'Unione europea, insieme alle amministrazioni nazionali, dovrebbe garantire condizioni eque in tutti gli Stati membri, con conseguenti benefici per l'ambiente, le imprese e i cittadini europei.

1.3   Dato che adesso i materiali hanno maggiore valore rispetto a 5-10 anni fa, molti RAEE sfuggono ai circuiti di raccolta esistenti. La conseguenza è che non sempre essi vengono trattati adeguatamente. Componenti pericolose e senza valore di frigoriferi fuori uso, quali ad esempio i condensatori, vengono eliminate senza essere trattate. Oggi i produttori sono ritenuti responsabili della gestione dei RAEE, su cui hanno scarso controllo, o addirittura nessuno. Tutti gli attori della catena, inclusi quindi i rigattieri e i commercianti, dovrebbero assumersi le stesse responsabilità.

1.4   La scuola svolge un ruolo essenziale nell'insegnare ai giovani come contribuire alla buona gestione dei rifiuti. I giovani dovrebbero essere sensibilizzati ai rischi legati all'eliminazione delle apparecchiature elettriche ed elettroniche (AEE) giunte al termine del loro ciclo di vita, con l'obiettivo di promuovere la prevenzione, il riutilizzo, il recupero e il riciclaggio di tali rifiuti. L'istruzione è essenzialmente responsabilità degli Stati membri, ma anche le organizzazioni di produttori possono avere un ruolo importante, come dimostrano i fatti.

1.5   La revisione della direttiva dovrebbe consentire un miglior collegamento tra, da una parte, le disposizioni relative alla tutela della salute umana e dell'ambiente, e, dall'altra, le norme che garantiscono il buon funzionamento del mercato interno. La definizione di «produttore», in particolare, non dovrebbe comportare la creazione di nuovi ostacoli al mercato interno. Inoltre, la revisione avrà l'effetto di allineare la direttiva alla recente giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, la quale prescrive che la protezione ambientale non deve essere contraria ai principi del mercato interno.

1.6   Attualmente i sistemi di raccolta basati sulle quote di mercato si stanno dimostrando adeguati a gestire efficacemente i RAEE. La versione riveduta della direttiva non dovrebbe creare ostacoli alla pratica di ripartizione dei costi della gestione RAEE sulla base delle attuali quote di mercato. La strada da seguire, nel caso dell'allegato II, è quella di consentire alle parti interessate di continuare a sviluppare gli standard di trattamento.

1.7   Infine, una gestione economicamente efficace del flusso di rifiuti elettrici ed elettronici nell'UE dovrebbe contribuire a sradicare il problema del trasporto di questi rifiuti verso i paesi terzi in cui le norme ambientali sono meno rigorose e i rischi per i lavoratori che li maneggiano più alti. La direttiva dovrebbe in questo modo realizzare il proprio obiettivo sociale: proteggere l'ambiente e ridurre l'impatto di tali rifiuti sulla salute umana. Si dovrebbe poi promuovere l'applicazione degli standard di trattamento nei paesi terzi.

2.   Introduzione

2.1   La direttiva 2002/96/CE sui rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (di seguito «direttiva RAEE») (1), intesa a fronteggiare il problema della rapida crescita dei flussi di RAEE, integra le misure UE in materia di discariche e di incenerimento dei rifiuti.

2.2   Numerose fonti e diverse tecniche di valutazione consentono di stimare a 10,3 milioni di tonnellate la quantità di nuove AEE immesse ogni anno sul mercato dell'UE-27. Da più parti si prevede che entro il 2020 la quantità totale di RAEE subirà un aumento annuo pari al 2,5-2,7 %, e raggiungerà quindi circa 12,3 milioni di tonnellate. La quantità totale raccolta nel 2006 è stata di 2 milioni di tonnellate.

2.3   In questa fase è quindi importante valutare se la direttiva RAEE abbia prodotto i risultati attesi in termini di protezione ambientale. È inoltre opportuno appurare quali miglioramenti siano possibili e quali siano gli strumenti più appropriati per raggiungerli.

2.4   In particolare, la direttiva RAEE ha introdotto una serie di meccanismi di gestione dei rifiuti intesi a incrementare il riciclaggio delle AEE e a limitare la quantità totale dei rifiuti destinati allo smaltimento definitivo.

2.5   I produttori sono incoraggiati a progettare AEE che risultino più efficienti dal punto di vista ambientale, tenendo nel contempo pienamente conto degli aspetti legati alla gestione dei rifiuti. Per questo motivo la direttiva RAEE contempla il concetto di responsabilità estesa del produttore. Per conformarsi alla legislazione, i produttori di AEE dovranno tener conto di tutto il ciclo di vita di tali prodotti, inclusa la loro durabilità, la valorizzazione, la facilità di riparazione, lo smontaggio e l'utilizzo di materiali facilmente riciclabili. Essi sono inoltre responsabili del ritiro e della gestione delle AEE, a condizione che rientrino in una delle dieci categorie coperte dalla direttiva RAEE (2). Infine, essi devono fornire dati che dimostrino la conformità con le norme.

2.6   La responsabilità estesa del produttore subentra appena l'operatore di mercato si identifica attraverso il registro nazionale dei produttori elaborato dalle competenti autorità nazionali di ciascuno Stato membro. Il termine «produttore» copre diversi tipi di attività e include coloro che producono apparecchiature recanti il proprio marchio, gli importatori o i rivenditori. Questo termine ha un'accezione molto ampia, per consentire l'inclusione del massimo numero possibile di attività economiche e introdurre così un meccanismo di gestione RAEE economicamente efficiente. Il problema tuttavia è che un'accezione così ampia fa sì che un prodotto possa avere più produttori responsabili della sua gestione, cosa giuridicamente non accettabile.

2.7   La direttiva RAEE mira a incoraggiare la raccolta separata, per la quale definisce obiettivi quantitativi. Entro il 31 dicembre 2006 gli Stati membri avrebbero dovuto raggiungere un tasso medio annuo di raccolta separata di RAEE provenienti dai nuclei domestici pari ad almeno 4 kg per abitante. Un nuovo obiettivo obbligatorio dovrebbe essere stabilito entro dicembre 2008.

2.8   La direttiva RAEE promuove inoltre il reimpiego e il riciclaggio, stabilendo obiettivi al riguardo.

2.9   Un altro pilastro su cui si fonda la direttiva RAEE è il ruolo degli utenti finali, cioè i consumatori, i quali possono restituire le loro apparecchiature gratuitamente. Per prevenire la creazione di RAEE pericolosi, vengono introdotti divieti e restrizioni sulla base della direttiva 2002/95/CE (3).

3.   Osservazioni generali e problemi riscontrati

3.1   Stando a quanto precede, per allinearsi alla direttiva RAEE gli Stati membri avrebbero dovuto elaborare piani nazionali di gestione di tali rifiuti. Una prima valutazione dell'attuazione nazionale della legislazione RAEE può portare alle seguenti conclusioni:

il campo d'azione della direttiva ha dato origine a interpretazioni divergenti nell'UE: ne consegue che un determinato prodotto non sempre risulta coperto in tutti gli Stati membri dalla normativa vigente in materia e i produttori, da parte loro, sono soggetti a diversi requisiti di conformità a seconda dei paesi,

gli obiettivi di raccolta vengono facilmente rispettati dalla maggioranza dei paesi dell'UE-15, ma restano difficili da raggiungere per gran parte dei nuovi Stati membri,

i risultati per la raccolta di prodotti diversi da quelli appartenenti alla categoria 1 (4) sono insoddisfacenti,

le apparecchiature di piccole dimensioni tendono a non essere restituite ai punti di raccolta, e quindi sfuggono ai canali esistenti per i RAEE,

in diversi Stati membri i punti di raccolta di RAEE non sono frequenti come dovrebbero,

mancano le relazioni (5) sulla qualità del trattamento dei RAEE,

le due attività più onerose sotto il profilo amministrativo sono l'iscrizione nei registri dei produttori nazionali e la trasmissione di relazioni alla Commissione,

la direttiva RAEE è stata recepita nei sistemi nazionali solo dopo il 13 agosto 2004, e per alcuni paesi il recepimento risulta ancora incompleto; è quindi prematuro procedere a una valutazione e a un monitoraggio sociale approfonditi.

4.   Osservazioni particolari e prospettive per il futuro

4.1   La revisione della direttiva dovrebbe mirare a massimizzare i risultati ambientali (incrementare la raccolta) e a rafforzare l'efficienza economica della gestione RAEE.

4.2   Far fronte alle sfide della gestione dei RAEE nell'UE significa anche ridurre gli oneri amministrativi per le imprese, consentendo loro di rimanere economicamente competitive e di investire le risorse a vantaggio delle prestazioni ambientali delle loro attività (ad esempio nella progettazione del prodotto, nei meccanismi di raccolta, nei sistemi di ritiro o nella diffusione di informazioni al pubblico).

4.3   Le amministrazioni nazionali e le iniziative private possono finanziare programmi di istruzione nelle scuole, che consentano ai bambini di familiarizzare già in tenera età con le buone pratiche di eliminazione e riciclaggio delle AEE. Dato che questi programmi dovrebbero essere attuati a livello locale, sarebbe opportuno adattare il loro contenuto alle condizioni e ai modelli di consumo locali.

4.4   I progressi ambientali e l'efficienza economica possono essere ottimizzati nei seguenti modi:

convertire l'approccio orientato al prodotto (6) in un approccio orientato al trattamento per categorie,

differenziare gli obiettivi per quantità di rifiuti raccolte, percentuali di riciclaggio e requisiti di trattamento,

realizzare condizioni eque per i vari attori in tutta l'UE, prestando particolare attenzione a quanto segue:

la definizione di produttore dovrebbe comprendere gli stessi operatori in tutti gli Stati membri. A questo scopo, un operatore che immette un prodotto sul mercato comunitario dovrebbe esserne considerato il produttore in tutti i mercati nazionali UE,

i registri nazionali dei produttori dovrebbero funzionare in maniera più armonizzata: l'eterogeneità dei requisiti amministrativi nei diversi sistemi nazionali di registrazione e finanziamento comporta un aumento dei costi per i produttori che effettuano operazioni transfrontaliere nel mercato interno. I registri dei produttori differiscono in termini sia di raccolta di informazioni presso i produttori stessi sia di principi operativi. Tra l'altro, essi differiscono anche nella definizione del tipo di apparecchiature, nei criteri di peso, nella base di calcolo delle cifre riportate e nella possibilità di vendita ad altri Stati membri. Variano anche la frequenza e la periodicità con cui vanno comunicati i dati. Le istituzioni europee potrebbero emettere raccomandazioni e orientamenti per armonizzare i registri nazionali, attraverso un'adeguata consultazione degli interessati,

potrebbe essere creata una rete europea di registri nazionali, per favorire lo scambio di informazioni. I produttori potrebbero registrarsi in un unico Stato membro, rendendo disponibili in tutta l'UE i dati sulle loro attività. Ciò alleggerirebbe gli oneri amministrativi per chi si registra e nel contempo consentirebbe un'applicazione più efficace della direttiva. Una maggiore armonizzazione e una burocrazia meno pesante agevolerebbero i progressi e il conseguimento degli obiettivi in campo ambientale,

i requisiti di etichettatura per la commercializzazione delle AEE dovrebbero essere ulteriormente armonizzati. In caso contrario, la libera circolazione delle merci sul mercato interno sarà continuamente ostacolata,

chiarire l'approccio armonizzato in tutti gli Stati membri e applicarlo in maniera omogenea,

riflettere su come i governi nazionali possano incoraggiare la ricerca per realizzare progressi ambientali nella gestione dei RAEE,

approfondire ulteriormente l'analisi del ruolo dei consumatori nella politica RAEE; in ultima analisi, infatti, è il consumatore che deve restituire i propri rifiuti elettrici ed elettronici e pagare, indipendentemente dalle modalità di finanziamento.

Bruxelles, 4 dicembre 2008

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI

Il Segretario generale del Comitato economico e sociale europeo

Martin WESTLAKE


(1)  Cfr. parere del CESE del sui RAEE, GU C 116 del 20.4.2001, pag. 38-43.

(2)  La direttiva copre le seguenti dieci categorie di AEE:

1. Grandi elettrodomestici.

2. Piccoli elettrodomestici.

3. Apparecchiature informatiche e per telecomunicazioni.

4. Apparecchiature di consumo.

5. Apparecchiature di illuminazione.

6. Strumenti elettrici ed elettronici.

7. Giocattoli e apparecchiature per lo sport e per il tempo libero.

8. Dispositivi medicali.

9. Strumenti di monitoraggio e di controllo.

10. Distributori automatici.

(3)  La direttiva sulla restrizione dell'uso di determinate sostanze pericolose nelle AEE impone la sostituzione di diversi metalli pesanti (piombo, mercurio, cadmio e cromo esavalente) e ritardanti di fiamma bromurati (bifenili polibromurati (PBB) o eteri di difenile polibromurati (PBDE)) nelle nuove AEE immesse sul mercato dopo il 1o luglio 2006.

(4)  Cfr. nota 2.

(5)  In conformità con l'articolo 12 della direttiva RAEE («Informazione e relazioni»), «gli Stati membri redigono un registro dei produttori e raccolgono informazioni, su base annua, comprese stime circostanziate, sulle quantità e sulle categorie di apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul loro mercato, raccolte attraverso tutti i canali, reimpiegate, riciclate e recuperate negli Stati membri, nonché sui rifiuti raccolti esportati, per peso o, se non è possibile, per numero».

(6)  Cfr. le categorie di prodotti di cui alla nota 3.2.


28.7.2009   

IT

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C 175/37


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La necessità di un'azione concertata a livello dell'UE per rafforzare la società civile nelle zone rurali, con particolare attenzione ai nuovi Stati membri

(2009/C 175/07)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 gennaio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

La necessità di un'azione concertata a livello dell'UE per rafforzare la società civile nelle zone rurali, con particolare attenzione ai nuovi Stati membri.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 30 ottobre 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore KAMIENIECKI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 4 dicembre 2008, nel corso della 449a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 107 voti favorevoli, 6 voti contrari e 11 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Per molto tempo la politica rurale si è concentrata unicamente sulle questioni direttamente connesse con la produzione agricola. Solo da un ventennio a questa parte si è diffusa la convinzione che le zone rurali siano troppo diverse fra loro perché ad esse si possano applicare misure uniformi di politica elaborate a livello europeo o nazionale e che gli obiettivi di sviluppo e quello di assicurare pari opportunità non possano essere effettivamente raggiunti senza l'impegno e il coinvolgimento della stessa popolazione rurale.

1.2   L'attuale dibattito sulla politica agricola comune e sulla politica rurale sarà di cruciale importanza per il futuro delle zone rurali europee. In tale dibattito, accanto alle voci degli esperti e dei politici, bisognerebbe ascoltare anche quelle delle stesse comunità rurali.

1.3   L'iniziativa Leader costituisce un buon esempio al riguardo: i nuovi Stati membri vi scorgono un'opportunità per stimolare le attività e utilizzare in modo più efficace le risorse disponibili per lo sviluppo delle zone rurali. È dunque essenziale garantire il sostegno delle risorse comunitarie così come di quelle nazionali ai vari tipi di iniziative volte a rafforzare la società civile di quelle zone.

1.4   La società civile delle zone rurali dei diversi paesi d'Europa è plasmata dagli effetti dei cambiamenti economici (crescente competizione sui mercati), sociali (spopolamento delle campagne) ed ambientali (in particolare climatici) che, negli ultimi decenni, sono stati di grande intensità. I processi in corso si innestano su profondi fattori storici che condizionano lo sviluppo economico. Particolarmente drastici sono stati i cambiamenti intervenuti nelle zone rurali dei nuovi Stati membri.

1.5   Una delle opportunità di sviluppo della società civile è costituita dall'adeguamento degli strumenti di sviluppo alle capacità e ai bisogni di specifiche zone rurali, che richiedono un uso più ampio dell'approccio «dal basso» (bottom-up). Anche l'istruzione potrebbe svolgere un ruolo importante in questo senso.

1.6   Nei paesi dell'Europa centrale e orientale le prime organizzazioni non governative sono sorte già alla fine degli anni ottanta. Rispetto alle ONG attive nei paesi dell'UE-15, quelle che operano nei nuovi Stati membri si trovano ad affrontare ostacoli più ardui, dovuti al diverso livello di sviluppo economico e alla maggiore difficoltà di accesso alle nuove tecnologie e alle varie fonti (anche private) di finanziamento, nonché al quadro giuridico vigente e all'atteggiamento delle autorità pubbliche.

1.7   Occorre dedicare maggiore attenzione alla necessità di garantire alle organizzazioni rurali l'accesso ai finanziamenti. Questi ultimi, inoltre, dovrebbero essere stabili e flessibili, ma anche tali da consentire la copertura dei costi di esercizio effettivi delle organizzazioni («sovvenzioni istituzionali»).

1.8   È necessario adottare soluzioni istituzionali specifiche che rafforzino il potenziale delle organizzazioni rurali, in particolare nei paesi che si preparano ad aderire all'UE. Inoltre, bisogna utilizzare strumenti di vario tipo per facilitare l'accesso all'informazione da parte delle comunità rurali.

1.9   La popolazione rurale, di regola non altrettanto istruita di quella urbana e con un accesso più limitato all'informazione, incontra notevoli difficoltà nell'adattarsi a una realtà in rapida evoluzione.

1.10   Nell'UE lo sviluppo della società civile nelle zone rurali è ostacolato da una serie di fattori:

barriere all'accesso alla conoscenza e all'informazione,

mancanza di capacità imprenditoriali,

problemi demografici e disuguaglianza di genere (1),

infrastrutture sociali di livello inferiore rispetto alle zone urbane.

1.11   A livello di politica nazionale, è necessario un maggiore coordinamento tra le decisioni adottate per le zone rurali in materia di sanità, istruzione, assistenza sociale e la politica agricola o quella rurale in senso stretto. Inoltre, è necessario adottare misure per rafforzare i legami tra le zone urbane e quelle rurali.

1.12   Sono ancora troppo pochi gli strumenti che consentono agli abitanti delle zone rurali di trovare fonti alternative di reddito. Il ruolo dello Stato consiste anche nel creare le condizioni per il dialogo tra le sue istituzioni e la società.

1.13   Cruciale, poi, è il ruolo che sono chiamati a svolgere gli enti locali, i quali dovrebbero fungere da catalizzatori per lo sviluppo delle comunità rurali e stimolare le attività congiunte da esse intraprese.

1.14   Il problema della mancanza di fiducia tra i rappresentanti della società civile e gli enti locali è particolarmente grave nei nuovi Stati membri. Le organizzazioni della società civile percepiscono l'amministrazione locale come un intralcio alle iniziative delle comunità, mentre gli amministratori locali vedono nei leader di tali organizzazioni dei potenziali concorrenti.

1.15   Occorre infine prendere in considerazione la possibilità di introdurre su scala più ampia il cosiddetto rural proofing, un meccanismo per verificare in che modo determinate soluzioni giuridiche o di politica (ad esempio in materia di sistema d'istruzione o appalti pubblici) incidono sulla situazione delle zone rurali.

2.   Contesto

2.1   I cambiamenti in atto nelle zone rurali dell'UE rendono necessario interrogarsi sulla direzione in cui procede lo sviluppo delle comunità rurali, sulla loro capacità di decidere esse stesse del loro futuro, nonché sulla misura in cui le relazioni che si instaurano tra le persone e le esigenze di collaborazione che emergono sono sostenute dalla politica, dal quadro giuridico e dalle istituzioni pubbliche.

2.2   Alla società civile sono assegnate molteplici funzioni, che si potrebbero riassumere affermando che essa facilita la vita e colma gli spazi fra i singoli individui e le famiglie da un lato e lo Stato dall'altro.

2.3   L'integrazione europea influenza la dinamica della trasformazione in atto nelle zone rurali, e l'osservazione di questo processo, nell'ottica di gettare le basi della società civile, è un compito importante per il CESE.

2.4   La società civile delle zone rurali, nei diversi paesi d'Europa, è plasmata dagli effetti dei cambiamenti economici (la crescente competizione sui mercati), sociali (lo spopolamento delle campagne) e ambientali (in particolare climatici), che negli ultimi decenni sono stati di grande intensità. I processi in corso si innestano su profondi fattori storici che condizionano lo sviluppo economico.

2.5   Particolarmente drastici sono stati i cambiamenti intervenuti nelle zone rurali dei nuovi Stati membri, cambiamenti che investono simultaneamente tutti gli ambiti della vita — non solo la sfera economica (ad esempio il settore bancario), ma anche quella sociale (la riforma dei sistemi sanitario e di protezione sociale) e quella giuridica (il mutato ruolo degli enti locali, la disciplina delle organizzazioni non governative (ONG), la normativa finanziario-tributaria, ecc.).

2.6   Un retaggio del passato sono poi gli ex lavoratori delle grandi aziende agricole, nelle quali le caratteristiche tradizionali della comunità rurale vennero stravolte.

2.7   La popolazione rurale, di solito meno istruita e con minore facilità di accesso alle informazioni, incontra notevoli difficoltà nell'adeguarsi a una realtà in rapida trasformazione.

2.8   Nei paesi dell'UE-15 alcuni di quei processi sono già avvenuti in passato e meno rapidamente. Ciò nonostante, neanche questi paesi sono riusciti a evitare le conseguenze negative associate ad esempio alla concentrazione della produzione agricola.

2.9   Inoltre, nei paesi dell'UE-15 vi è una consapevolezza del valore delle zone rurali assai maggiore che nei nuovi Stati membri. In questi ultimi, infatti, l'attenzione dell'opinione pubblica e dei media si concentra soprattutto sulle questioni riguardanti l'agricoltura.

Nei paesi dell'Europa centrale e orientale le prime ONG a sostenere istituzionalmente lo sviluppo rurale sono nate già alla fine degli anni ottanta. Tali ONG, se confrontate a quelle attive nei paesi dell'UE-15, si trovano ancora ad affrontare ostacoli più ardui, dovuti al diverso livello di sviluppo economico e alla maggiore difficoltà di accesso alle nuove tecnologie e alle varie fonti (anche private) di finanziamento, nonché al quadro giuridico vigente e all'atteggiamento delle autorità pubbliche, che hanno poca esperienza e non molta fiducia nella cooperazione con il terzo settore.

2.10.1   I dati ufficiali, relativi ad esempio al rapporto tra ONG e residenti, indicano che nelle zone rurali vi è un basso livello di partecipazione sociale. Se, tuttavia, teniamo conto dei gruppi a carattere informale e delle reti di vicinato, nonché del livello di partecipazione della popolazione rurale nelle questioni che interessano le zone in cui essa vive o del grado di conoscenza delle iniziative intraprese dall'autorità locale, risulta che il capitale sociale di questo tipo è spesso maggiore nelle zone rurali che nelle grandi città.

2.11   Dall'inizio del XXI secolo, lo sviluppo delle organizzazioni rurali nei paesi dell'UE ha fatto registrare una forte accelerazione. Tali organizzazioni hanno anche iniziato a cooperare tra loro e a creare strutture a livello regionale e nazionale. In alcuni paesi le organizzazioni di questo tipo si sono ispirate al modello scandinavo, che prevede associazioni locali in ogni centro rurale, mentre in altri le ONG attive in ambito rurale hanno concluso intese nazionali e creato «forum» per la cooperazione, lo scambio di esperienze e la rappresentanza delle comunità rurali nei contatti con le autorità. Nei nuovi Stati membri organizzazioni di questo tipo hanno realizzato, con il sostegno delle organizzazioni scandinave, l'iniziativa Prepare (Partnership for Rural Europe — Partenariato per l'Europa rurale), che le aiuta a sostenersi a vicenda e a perfezionare il proprio funzionamento.

3.   L'Unione europea e la società civile nelle zone rurali

3.1   La politica a favore delle zone rurali si è a lungo concentrata esclusivamente sulle questioni direttamente connesse con la produzione agricola, ed è stata uniforme per tutto il territorio dell'UE. La politica in materia per esempio di investimenti infrastrutturali nelle zone rurali è stata invece di regola plasmata a livello nazionale. Solo alla fine degli anni ottanta si è sempre più diffusa la convinzione che le zone rurali fossero troppo diverse fra loro per potervi applicare strumenti di politica uniformi elaborati a livello europeo o nazionale, e che gli obiettivi di sviluppo, le pari opportunità e gli altri obiettivi politici non potessero essere realizzati efficacemente senza l'impegno e la partecipazione delle popolazioni stesse di tali zone.

3.2   I programmi di sviluppo rurale recentemente predisposti comprendono strumenti e soluzioni che, in certo qual modo, rispondono alle esigenze della società civile delle zone rurali. In particolare uno di tali strumenti è il programma Leader, che assegna un ruolo di rilievo alle ONG impegnate nei gruppi di azione locali (nel nuovo periodo di programmazione, il programma Leader coprirà il 40 % delle zone rurali dell'UE).

3.3   Le ONG possono inoltre beneficiare di altre misure previste dai programmi di sviluppo rurale riguardanti i servizi rurali; è importante tuttavia elaborare in ciascun paese soluzioni che consentano alle organizzazioni di fornire servizi e creare partenariati pubblico-sociali o pubblico-privati aperti alla partecipazione di ONG. È prevista anche la possibilità di sostenere le ONG nell'ambito delle reti nazionali delle zone rurali.

3.4   L'approccio proposto dall'iniziativa Leader può ben essere modulato in funzione delle condizioni e delle esigenze dei singoli Stati membri. In molti paesi (ad esempio in Irlanda, in Spagna o in Germania) esso è stato applicato in maniera molto più ampia che nella stessa iniziativa Leader, impegnando risorse nazionali e regionali per offrire un sostegno efficace alle iniziative locali.

I nuovi Stati membri ravvisano nell'iniziativa Leader un'opportunità per stimolare l'azione e utilizzare in modo più efficace le risorse disponibili per lo sviluppo delle zone rurali. È dunque essenziale garantire — con risorse sia nazionali che comunitarie — un sostegno ai vari tipi di iniziative volti a rafforzare la società civile nelle zone rurali.

3.5.1   Il sostegno all'attività sociale volta a soddisfare a livello locale le esigenze comuni degli abitanti delle zone rurali è una tendenza estremamente positiva della politica dell'UE. La costruzione di una società civile, preferibilmente secondo il modello bottom-up, si scontra con una serie di problemi, dovuti anche alla necessità di superare gli ostacoli amministrativi.

4.   Le politiche nazionali e la società civile nelle zone rurali

4.1   Attualmente la PAC e la politica rurale dell'UE sono oggetto di un dibattito, il cui esito si ripercuoterà non solo su eventuali cambiamenti riguardo ai fondi destinati alle zone rurali nell'attuale periodo di programmazione, ma anche sugli orientamenti della politica futura per il periodo 2013-2020 e oltre. È estremamente importante che in questo dibattito si dia ascolto, oltre che alla voce degli esperti e dei politici, anche a quella degli stessi abitanti delle zone rurali.

4.2   I nuovi Stati membri non hanno una grande tradizione in materia di cooperazione non solo tra il governo e la società civile, ma anche tra i singoli ministeri e dipartimenti nell'ambito dello stesso governo. Non vi è quindi praticamente alcun coordinamento tra le decisioni concernenti le zone rurali adottate in materia di assistenza sanitaria, educazione e servizi sociali e la politica agricola o quella rurale in senso stretto.

4.3   Per i nuovi Stati membri la pianificazione di spesa dei fondi comunitari nel periodo di programmazione 2007-2013 è solo il secondo «esercizio» di questo tipo, e ciò, sommato alla scarsa esperienza dei funzionari e ai frequenti cambi di governo, fa sì che alcune delle opportunità di sviluppo rurale offerte dalla politica dell'UE non vengano pienamente sfruttate.

4.4   Non va dimenticato neppure che una delle condizioni principali per garantire la coesione economica e sociale nell'Unione allargata è il rafforzamento dei legami tra le zone rurali e quelle urbane. Creare divisioni formali, spesso artificiose, legate ad esempio all'esigenza di mantenere una «linea di demarcazione» fra le risorse provenienti da diversi fondi europei (quali il FESR e il FEASR), e ciò in una situazione caratterizzata da condizioni diverse di accesso ai fondi e procedure decisionali tra loro indipendenti, può rendere più difficile attuare misure di carattere complementare e aggravare il divario tra zone rurali e zone urbane.

4.5   Alle zone rurali sono principalmente destinate le misure legate alla produzione agricola tradizionale o a strumenti di carattere tipicamente «sociale» (sussidi di disoccupazione o aiuti alle aziende agricole di semisussistenza). Tali misure sono sì assolutamente necessarie (specie nei paesi, quali la Romania e la Polonia, in cui la povertà si concentra principalmente nelle campagne), ma finiscono per perpetuare la situazione esistente e non creano i presupposti per cambiarla. Sono ancora troppo pochi gli strumenti che consentono agli abitanti delle zone rurali di trovare fonti di reddito alternative all'agricoltura. La creazione di posti di lavoro nelle zone rurali è tuttora promossa da istituzioni legate allo sviluppo agricolo e proposta da programmi che non sostengono in misura sufficiente le professioni non agricole.

4.6   Un ruolo significativo potrebbe esser svolto dalla strategia di Lisbona, dato che innovazione e competitività, intese in senso ampio, sono possibili anche nelle zone rurali. Purtroppo, però, questi due concetti vengono troppo spesso associati soltanto alle nuove tecnologie e ai centri di ricerca delle grandi città. In questo modo un vasto ambito per l'innovazione in campo sociale, o per quella legata al patrimonio, ai valori ambientali o alla tradizione locale, rimane inutilizzato.

4.7   In molti Stati membri, e in particolare nei nuovi, le politiche nazionali concepiscono l'innovazione e la competitività solo in modo angusto (ne sono un esempio, fra l'altro, le norme sui requisiti per ottenere aiuti comunitari, che fissano soglie eccessivamente elevate — fino a diversi milioni di euro — per le imprese richiedenti, con il risultato di escludere di fatto potenziali beneficiari provenienti dalle zone rurali o dai piccoli centri urbani).

4.8   L'atteggiamento conservatore e opportunistico dei responsabili politici nazionali riguardo alle comunità rurali deriva dalla scarsa determinazione delle autorità a creare le condizioni per lo sviluppo di tali comunità, dalla mancanza di politiche lungimiranti per le zone rurali e dal timore di attribuire alla società civile un ruolo che potrebbe ridimensionare il peso dei partiti politici. Di fronte a una siffatta politica da parte delle autorità nazionali, molte comunità rurali si attendono che la spinta per il cambiamento provenga dall'Unione europea.

4.9   Ciò nonostante, spetta alle autorità nazionali creare le condizioni per il dialogo tra le loro istituzioni e la società, sviluppando nel contempo una cultura di apertura e di trasparenza. Ciò è tanto più importante se si considera che solo una percentuale relativamente esigua degli abitanti delle zone rurali (in Polonia, ad esempio, il 17 %) è convinta dell'importanza della democrazia nella vita della propria comunità.

5.   Gli enti locali e la società civile nelle zone rurali

5.1   Il ruolo degli enti locali nel sostegno alle iniziative della società civile e nella cooperazione con i suoi rappresentanti nelle zone rurali è una questione di cruciale importanza. Tali enti dovrebbero fungere da catalizzatori per lo sviluppo delle comunità rurali e stimolare le attività congiunte da esse intraprese.

5.2   La cooperazione tra le organizzazioni attive nelle zone rurali e gli enti locali spesso non si svolge come dovrebbe. Il problema rappresentato dalle reciproche difficoltà nelle relazioni tra questi enti e le organizzazioni della società civile o i loro leader nelle zone rurali è comune a tutti gli Stati membri, benché l'entità di questo fenomeno vari da un paese all'altro. In molti casi, peraltro, si registrano esempi di buone prassi, fonte di ispirazione di atteggiamenti positivi, sintomo dei cambiamenti in atto e spia di nuove opportunità.

5.3   Nei nuovi Stati membri il problema della mancanza di fiducia tra i rappresentanti della società civile e gli enti locali è particolarmente marcato. Gli enti locali, infatti, sono percepiti come un intralcio alle iniziative della società civile, mentre le istituzioni locali vedono nell'intensificarsi dell'azione dei leader della società civile nel proprio territorio una forma di competizione che minaccia le posizioni da esse acquisite. Le organizzazioni della società civile che cercano il sostegno o la collaborazione delle autorità locali per le proprie iniziative sono viste con sospetto e considerate un fastidio.

5.4   Le barriere dovute alla mancanza di fiducia scompaiono quando si realizzano dei progetti e si toccano con mano i vantaggi che ottengono i comuni (e le comunità) dove la cooperazione tra gli enti locali e i leader delle organizzazioni della società civile si svolge in modo corretto.

5.5   Nelle zone rurali ci si sforza di sviluppare delle relazioni e una comunicazione positive tra gli enti locali e le organizzazioni della società civile, ad esempio nel campo dell'istruzione; tuttavia, per risolvere il problema in maniera duratura, sono necessarie ulteriori misure educative.

6.   Ostacoli allo sviluppo della società civile nelle zone rurali

6.1   Accanto ai problemi che caratterizzano soprattutto i paesi dell'Europa centrale e orientale, ne esistono molti altri che interessano le zone rurali di tutta l'Unione europea, quali:

la presenza di barriere all'accesso alla conoscenza e l'esigenza di dotare le comunità rurali di varie forme di istruzione e formazione,

un accesso più limitato alle informazioni e una minore capacità di utilizzarle,

la scarsità di capacità imprenditoriali e le difficoltà di passare dalle attività agricole a quelle rurali,

la disuguaglianza di genere (1),

i problemi demografici regionali, che si manifestano nella sproporzione numerica fra i due sessi e quindi, in alcune regioni, nella difficoltà di gestire imprese rurali familiari e nello spopolamento delle campagne,

infrastrutture sociali di livello inferiore rispetto alle zone urbane,

vincoli burocratici e mancanza di sostegno da parte dell'amministrazione pubblica.

7.   Opportunità di sviluppo per la società civile nelle zone rurali

7.1   L'incremento delle attività della società civile nelle zone rurali può essere ottenuto con il miglioramento dei metodi decisionali in materia di governo in senso ampio (governance), sia a livello nazionale (grazie alla partecipazione della società civile organizzata alla definizione comune della politica rurale, e non solo alla consultazione su soluzioni preconfezionate già predisposte dai funzionari) che a livello regionale e locale (grazie alla partecipazione della società civile alle decisioni sull'allocazione delle risorse per lo sviluppo a progetti specifici).

7.2   L'adeguamento degli strumenti di sviluppo ai bisogni e alle capacità delle singole zone rurali richiede un'applicazione ancor più ampia dell'approccio bottom-up. Ciò significa che tale approccio va applicato non solo alle singole azioni del programma di sviluppo delle zone rurali, ma anche nel campo dei fondi strutturali e della politica nazionale.

7.3   Una soluzione ai problemi fondamentali delle zone rurali è possibile grazie al partenariato tra il settore pubblico, il settore privato (le imprese) e il terzo settore. Consentire a una comunità locale che costituisce un partenariato locale di decidere — o almeno partecipare alle decisioni — sull'utilizzo delle risorse per creare posti di lavoro, rendere attivi i disoccupati e prevenire l'esclusione, può contribuire ad accrescere il senso di responsabilità degli abitanti per la situazione della zona in cui vivono e la loro disponibilità a impegnarsi per il bene della loro comunità locale.

7.4   Si dovrebbe inoltre prestare una maggiore attenzione alla creazione di legami fra il settore dell'istruzione e della ricerca e le organizzazioni rurali. Varrebbe anche la pena di individuare e diffondere le buone prassi sviluppate in questo campo in numerosi paesi.

7.5   Un impatto enorme sullo sviluppo della società civile nelle zone rurali lo ha l'istruzione. Una trasformazione dei sistemi scolastici in queste zone dovrebbe contemplare agevolazioni più efficaci alle iniziative assunte dai loro abitanti che decidono di organizzare una scuola locale: un segno di attenzione alle esigenze educative delle generazioni future e una forma di azione della società civile che esige un partenariato con le autorità. Varrebbe inoltre la pena di diffondere le buone prassi in materia di educazione degli adulti (quali ad esempio le «università popolari») invalse in alcuni Stati dell'Unione europea.

7.6   È l'impegno per il bene comune che rafforza la comunità. Studi condotti negli ultimi anni mostrano che le comunità che sono riuscite — grazie al coinvolgimento dei cittadini — a sfuggire alla paralisi e a vincere l'inerzia, sono ben disposte a condividere le loro esperienze con altre comunità meno attive (2).

7.7   Bisognerebbe inoltre prestare maggiore attenzione di quanto sia stato fatto finora a garantire alle organizzazioni rurali l'accesso alle risorse finanziarie. In teoria, opportunità in tal senso sono offerte sia nel quadro dei fondi comunitari che in quello dei fondi nazionali e internazionali. Tuttavia, studi recenti mostrano che le piccole ONG (e sono soprattutto organizzazioni di piccole dimensioni a operare nelle zone rurali) fanno un uso molto limitato delle fonti di finanziamento attualmente disponibili.

7.8   Occorre quindi creare condizioni che garantiscano alle ONG un finanziamento stabile e flessibile, assicurandone anche lo stesso funzionamento (tramite aiuti «istituzionali» — distinti dai finanziamenti «per progetti»), nonché individuare e creare meccanismi che garantiscano alle organizzazioni rurali un accesso più agevole alle fonti di finanziamento, ad esempio meccanismi di regranting (riassegnazione di fondi) da parte di organizzazioni intermediarie, (seguendo l'approccio adottato fra l'altro nell'iniziativa Leader, ma su scala più ampia).

7.9   Soluzioni di questo tipo consentono anche di abbreviare il processo decisionale relativo all'allocazione delle risorse, che è una questione cruciale nel caso di piccoli progetti di portata locale.

7.10   Una maggiore attività della società civile rurale può condurre a un migliore coordinamento dei vari tipi di politiche «settoriali» (educazione, sanità, politica sociale, protezione dell'ambiente, ecc.), se non altro perché, in fatto di creazione di reti di cooperazione, le ONG hanno una maggiore esperienza e una più lunga tradizione delle agenzie del settore pubblico.

7.11   Tuttavia, bisognerebbe considerare la possibilità di introdurre su scala più ampia un meccanismo di rural proofing, già applicato in alcuni Stati membri. Tale meccanismo consisterebbe nel verificare in che modo date soluzioni giuridiche (non direttamente connesse con le zone rurali, ma concernenti ad esempio l'educazione o gli appalti pubblici) incidono sulla situazione delle zone rurali. Sarebbe inoltre estremamente importante far sì che tale valutazione fosse effettuata con la partecipazione della società civile organizzata.

7.12   Si dovrebbe considerare la possibilità di adottare particolari soluzioni istituzionali che garantiscano un rafforzamento del potenziale delle organizzazioni rurali. Con ogni probabilità soluzioni di questo tipo (sostegno istituzionale, aiuto alla costruzione di capacità organizzativa — capacity building — e diffusione del concetto di partenariato pubblico-privato) risulterebbero utili nei paesi che si preparano ad aderire all'Unione europea.

7.13   È necessario iniziare a utilizzare strumenti di vario tipo che agevolino l'accesso all'informazione da parte delle comunità rurali — strumenti adeguati alla situazione specifica di un dato paese (ad esempio coinvolgendo i media e l'amministrazione locale, creando punti di informazione) — e prestare attenzione al grado di accessibilità ad Internet. Accanto alle ONG, un ruolo importante in questo processo informativo potrebbero svolgerlo la scuola, ma anche le organizzazioni agricole e sindacali.

7.14   Nel contempo, si dovrebbe agevolare il trasferimento di esperienze tra i nuovi Stati membri e i paesi candidati per l'adesione.

7.15   Inoltre, sarebbe opportuno individuare meccanismi che incoraggino una più stretta cooperazione tra le organizzazioni urbane e quelle rurali — anche attraverso la definizione di regole appropriate per l'utilizzo dei fondi dell UE. Tuttavia, ciò presupporrebbe una rottura con la concezione «settoriale» e una limitazione della tendenza a stabilire precise linee di demarcazione tra i vari fondi.

7.16   Il dibattito attualmente in corso sul futuro delle zone rurali può costituire un'opportunità per sensibilizzare alla problematica di tali zone anche coloro che abitano in città. In questo campo negli ultimi anni sono stati realizzati alcuni interessanti progetti di carattere sperimentale — ad esempio nel quadro dell'iniziativa European Citizens' Panel (3) -, che hanno coinvolto nel dibattito sulle zone rurali una cerchia più ampia di persone, prima non interessate a questa problematica. Nelle iniziative di sensibilizzazione potrebbero impegnarsi insieme le organizzazioni rurali e quelle urbane.

Bruxelles, 4 dicembre 2008

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI

Il Segretario generale del Comitato economico e sociale europeo

Martin WESTLAKE


(1)  Il CESE ha affrontato i problemi delle donne nelle zone rurali nel parere GU C 204 del 18.7.2000, pag. 29.

(2)  Tale fenomeno si osserva non solo all'interno di singoli paesi (ad esempio in Polonia, dove, nell'ambito della Krajowa sieć grup partnerskich («Rete nazionale di gruppi di partner»), i gruppi più sviluppati prestano assistenza e sostegno a quelli meno esperti), ma anche tra un paese e l'altro (ad esempio nell'attività svolta dalle organizzazioni rurali polacche in Ucraina, slovacche in Serbia e ungheresi in Albania). Le attività di questo tipo dovrebbero però godere di un sostegno istituzionale e di una più ampia diffusione in quanto buone pratiche.

(3)  www.citizenspanel.eu


28.7.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 175/43


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Le conseguenze sociali dell'evoluzione del binomio trasporti/energia»

(2009/C 175/08)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 gennaio 2008, ha deciso conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Le conseguenze sociali dell'evoluzione del binomio trasporti/energia.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 novembre 2008, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice BATUT.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 4 dicembre 2008, nel corso della 449a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 107 voti favorevoli, 29 voti contrari e 15 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Conclusioni

1.1.1   I trasporti e l'energia, binomio indissociabile ed essenziale per la competitività e lo sviluppo, nonché per il benessere e la coesione, risentono delle pressioni esercitate da tre poli — economia, settore sociale e ambiente -, in un contesto caratterizzato dalla scarsità dell'offerta energetica europea e dall'instabilità dell'offerta esterna, che fanno fluttuare i prezzi in questi due settori e possono farli continuare a crescere per diversi anni.

Il CESE reputa utile promuovere una riflessione trasversale e prospettica sulla necessità ineludibile di questo binomio per i cittadini europei e sulle conseguenze che essa ha sul loro stile di vita, specie in caso di circostanze sfavorevoli, nonché sulle piste d'azione che l'UE potrebbe individuare a proposito di questo binomio per una migliore salvaguardia del benessere dei suoi cittadini.

1.1.2   Il mantenimento del modello sociale europeo dipende in parte da questo binomio trasporti/energia, i cui rincari a lungo termine si ripercuotono sul tenore di vita dei cittadini, sulle imprese e sui lavoratori, nonché sulla mobilità e l'occupazione in generale. Il binomio trasporti/energia è divenuto il quarto fattore di esclusione, dopo gli alloggi, l'occupazione e i salari. Non potendo accedere ai trasporti e all'energia, alcuni cittadini restano altresì esclusi dalla e-society. È in gioco il successo della strategia di Lisbona, sotto il triplice profilo economico, sociale e ambientale.

1.1.3   Per quanto concerne il rapporto tra mercato e prezzi, sui prezzi al consumatore incidono vari fattori, quali le liberalizzazioni, la quotazione dell'euro, lo stato del mercato finanziario, la fiscalità, il costo delle energie rinnovabili, la lotta contro i cambiamenti climatici ed elementi esterni. Il mercato non può regolare tutto da solo. Occorre quindi mettere a punto strumenti capaci di garantire una maggiore inclusione dei cittadini e una più equa ripartizione dei costi e dei prezzi.

1.2   Raccomandazioni

1.2.1   Il CESE ritiene che, nei periodi di rialzo dei prezzi, potrebbe essere socialmente utile, per talune categorie di destinatari, introdurre, su impulso europeo, una distinzione nei consumi relativi ai trasporti e all'energia tra la quota di consumi essenziali, che potrebbe beneficiare di agevolazioni, e quella di consumi facoltativi, da definire mediante il dialogo.

1.2.2   Ai fondi strutturali, potrebbe essere affidato un ruolo in termini di solidarietà energetica e tutela della mobilità dei cittadini.

1.2.3   La ripartizione dei fondi pubblici tra le diverse azioni di R&S dovrebbe essere equilibrata a livello UE, allo scopo di ottimizzare gli interventi di tutela del clima e l'indipendenza energetica dell'Unione.

Il CESE auspica un'azione continua a favore di un livello di ricerca che generi rapidi e significativi progressi nel campo delle nuove fonti energetiche e del loro utilizzo, attraverso un impegno costante che non faccia marcia indietro come all'epoca del primo shock petrolifero non appena diminuiscono i prezzi.

1.2.4   Il regime giuridico degli aiuti di Stato dovrebbe sistematicamente prevedere per i fondi degli aiuti nazionali una deroga alle norme sulla concorrenza che riguardano specificamente la ricerca, offrendo agli investitori le garanzie necessarie per favorire l'impiego delle nuove tecnologie, unitamente alla creazione e al mantenimento di posti di lavoro.

1.2.5   L'estensione del meccanismo di finanziamento con ripartizione dei rischi (RSFF) (1) alle PMI innovatrici consentirebbe di svilupparne la competitività, favorendo al tempo stesso la promozione di interventi concreti di miglioramento del binomio trasporti/energia.

1.2.6   L'ampliamento del FEG  (2) e dei relativi criteri di accesso consentirebbe di attenuare l'impatto negativo sui lavoratori delle misure di lotta contro i cambiamenti climatici.

1.2.7   Per consentire all'economia europea di mantenere allo stesso tempo la propria competitività e la coesione sociale, il Comitato sollecita l'adozione delle misure indicate in appresso:

un piano generale per l'adozione di una politica industriale comune, basata sulla promozione di uno sviluppo sostenibile e di un'efficace co-modalità (3) dei trasporti,

una politica energetica fondata sul principio della solidarietà tra Stati membri e abbinata alla protezione del clima,

la realizzazione di studi sull'opportunità e la fattibilità di un SIG europeo dell'energia al servizio dei cittadini, che preveda una strategia comune in materia di prezzi, tassazione alla pompa, norme finanziarie di sicurezza, sviluppo economico e tutela del clima; ne conseguirebbe un miglioramento del ruolo dei servizi resi al pubblico negli Stati membri nel settore dell'energia e dei trasporti  (4), all'incrocio tra normative, territori, rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini e occupazione,

obiettivi numerici e strumenti di misurazione, sia quantitativi che qualitativi, riguardanti l'efficienza della separazione tra attività di rete e di distribuzione, nonché il relativo impatto sui prezzi,

indagini tra i consumatori in merito all'armonizzazione, a livello europeo, delle imposizioni fiscali per quanto riguarda i prezzi alla pompa, con ampia divulgazione dei risultati, nonché elaborazione di indicatori utili sull'impatto ambientale dei trasporti obbligati,

avvio di un autentico dialogo sui futuri piani climatici, per evitare distorsioni della concorrenza e fenomeni di dumping sociale.

1.2.8   A livello di imprese, il CESE giudica inoltre necessario che, nelle imprese e nei servizi dell'Unione europea:

si favorisca l'avvio di un dialogo sociale e di negoziazioni sulle spese incomprimibili in materia di energia e trasporti, come elemento del salario minimo,

si preveda la negoziazione di un piano di mobilità sostenibile per le imprese o i servizi,

nonché l'introduzione di certificazioni d'impresa, tipo EMAS (sistema comunitario di ecogestione e audit),

si effettui poi la valutazione dei benefici derivanti dalla riduzione certificata dei consumi nel settore dell'energia e dei trasporti, a livello di imprese e servizi, in base a criteri da definire, sempre attraverso il dialogo, per giungere alla condivisione di tali benefici, secondo modalità negoziate tra l'impresa e i suoi dipendenti,

vengano realizzati studi qualitativi sullo stato di salute dei lavoratori, in relazione all'utilizzo dei trasporti e alle fonti di energia alle quali sono esposti, allo scopo di stabilire misure precauzionali.

1.2.9   A livello comunitario, il CESE ritiene che sia necessario avviare un dialogo civile in merito ai seguenti aspetti:

la dimensione culturale e la sfida umana che devono essere affrontate sul territorio dell'Unione, affinché i trasporti e le fonti di energia, accessibili a tutti e a prezzi abbordabili, possano contribuire al benessere dei cittadini, favorendo altresì la comprensione di tutta la diversità dell'Unione,

la promozione di un'educazione civica sull'uso consapevole dei mezzi di trasporto e delle risorse energetiche fin dal primo ciclo della scuola primaria,

lo stato di salute dei cittadini in generale, mediante ampie indagini sull'utilizzo dei trasporti e le fonti di energia alle quali sono esposti, allo scopo di stabilire misure precauzionali,

il CESE ritiene che l'Unione potrebbe introdurre un sistema di etichettatura standardizzato, paragonabile a quello dell'IVA (non un marchio), al fine di sensibilizzare tutti i cittadini alle tematiche in materia di trasporti/energia/ambiente, in modo che sull'etichetta di ciascun bene di consumo figuri una voce denominata APCO2 — Added Production of CO2 («produzione aggiunta di CO2»),

il CESE è dell'avviso che i negoziati mondiali sul commercio potrebbero successivamente utilizzare questo sistema standardizzato adottato a livello europeo e i risultati potrebbero essere inseriti nei documenti commerciali esistenti, sul modello di Edifact (5), sotto il controllo annuo della società civile, come avviene con la Commissione economica per l'Europa (UNECE), nel sistema ONU, che presenta un rendiconto annuo al Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (UN-Ecosoc) sullo stato di Edifact (6). L'UE potrebbe trarne vantaggio a livello mondiale.

2.   I possibili ambiti di intervento per l'Unione

2.1   La diplomazia

2.1.1   L'indipendenza energetica dell'Unione, lo sviluppo dell'economia, il mantenimento del tenore di vita dei cittadini europei, la sostenibilità a livello socioambientale, sono tutti fattori legati alla capacità di approvvigionamento degli Stati membri.

2.2   I mercati

2.2.1   Attualmente si assiste a un'accelerazione della domanda di trasporti e di energia e della produzione di gas a effetto serra (GES). Per quanto riguarda l'energia e le industrie di rete, i mercati europei restano frammentati, benché sia in atto una tendenza all'integrazione (market coupling, nel 2006, tra Francia, Belgio e Paesi Bassi, con probabile estensione alla Germania nel 2009; creazione di un mercato spot europeo (7); ricerca di fusioni). La strada scelta della liberalizzazione con separazione delle reti (gas, elettricità) può comportare comunque dei pericoli, quali ad esempio l'acquisto da parte di fondi esterni all'Unione (fondi sovrani), crisi senza capacità di riserva gestita in comune e politiche dei prezzi fuori controllo, con effetti disastrosi per i consumatori. Il nucleare, quindi, torna a rappresentare, per l'Unione, una questione imprescindibile, che sarebbe irresponsabile non affrontare sul piano comunitario.

2.2.2   La possibilità di spostarsi permette di lavorare, praticare il turismo e conoscere gli altri popoli europei e l'Europa. Ma tali possibilità si riducono quando i prezzi dell'energia sono troppo elevati e incidono pesantemente sulla vita dei cittadini e su quella delle imprese, nonché sull'occupazione e sulle attività economiche.

2.2.3   Per evitare nuove frammentazioni del mercato, è necessario ricorrere a un mix energetico e a forme di solidarietà a livello intraeuropeo. Una società mobile e al tempo stesso inclusiva ha bisogno di norme coerenti e di autorità di regolamentazione capaci di farle rispettare, e la società civile può esserne l'ispiratrice.

2.3   La formazione dei prezzi

2.3.1   I seguenti fattori influiscono sulla formazione dei prezzi al consumatore:

la liberalizzazione: i consumatori non hanno percepito tutte le riduzioni dei prezzi annunciate,

l'interazione tra i prezzi: i prezzi si ripercuotono gli uni sugli altri, quelli dell'energia su quelli dei trasporti e quello del petrolio su quello del gas e interagiscono per formare la politica di vendita;le pratiche dei produttori e dei distributori che alimentano il rialzo dei prezzi traendone i massimi profitti e poi dimezzano i prezzi se c'è carenza di liquidità,

i tassi di cambio: il valore dell'euro rispetto al dollaro dovrebbe rappresentare un fattore di attenuazione dell'impatto degli aumenti; tuttavia, prima della crisi la domanda particolarmente elevata e i prezzi si riflettono sui paesi dell'Eurogruppo, in maniera tanto più pesante quanto più alta è la relativa tassazione nazionale sui prezzi alla pompa (8); e durante la crisi la riduzione del valore di scambio dell'euro rispetto al dollaro attenua l'effetto della riduzione del prezzo alla produzione,

lo stato dei mercati finanziari: la carenza di liquidità originata dalla crisi di fine 2008 ha provocato una caduta nei prezzi del petrolio greggio, essendosi i venditori adeguati alle possibilità dei compratori per evitare perdite eccessive; tuttavia, il prezzo della benzina alla pompa all'inizio della crisi ha beneficiato in misura ridotta della diminuzione dei prezzi, mentre cominciavano a farsi sentire le prime ripercussioni economiche e sociali della crisi,

la fiscalità pesante sull'energia e differenziata nei diversi Stati membri dovrebbe essere riveduta e realmente armonizzata a livello europeo,

il settore delle fonti rinnovabili: ha beneficiato del rialzo globale dei prezzi dell'energia, che ne ha annullato i costi iniziali, ma il vantaggio per il consumatore medio è ancora poco visibile; al contrario, il calo dei prezzi può indebolire la posizione di tali fonti,

alcuni fattori esterni, come il costo del principio «chi inquina paga», o altri potenziali fattori come l'apertura a una vera concorrenza tra i fornitori di prodotti petroliferi, o un gasolio «europeo» a prezzi armonizzati.

2.3.2   Il CESE ritiene che il ruolo dell'Unione debba essere quello di favorire le solidarietà, promuovere un piano generale per una politica industriale comune, fondata sulla ricerca di uno sviluppo sostenibile e di una co-modalità dei trasporti perfettamente funzionante, e valorizzare la stabilità politica europea mediante l'attività di regolamentazione. Per l'elaborazione di tali politiche potrebbe rivelarsi utile un'analisi accurata del ruolo svolto dalla separazione tra attività di rete e di distribuzione o di gestione, in termini di impatto sui prezzi.

2.4   Il finanziamento

2.4.1   A livello pubblico

Nel presente parere si intendono evidenziare soltanto taluni aspetti relativi alle conseguenze sociali (9). Per quanto riguarda l'utilizzo dei fondi pubblici, la ripartizione tra interventi che producono risultati a breve termine e impegni di ricerca dovrebbe essere scrupolosamente equilibrata a livello europeo tra tutela del clima, indipendenza energetica dell'Unione e benessere dei cittadini. Gli importi residui stanziati dai bilanci comunitari e non utilizzati dovrebbero essere sistematicamente trasferiti in un fondo a sostegno della ricerca e dell'innovazione. Il regime giuridico degli aiuti di Stato potrebbe prevedere per i fondi degli aiuti nazionali una deroga alle norme della concorrenza, che offrirebbe agli investitori la certezza giuridica necessaria per favorire l'impiego delle nuove tecnologie e la creazione e il mantenimento di posti di lavoro. Occorrerebbe poi sostenere le PMI, per consentire loro di raggiungere il livello di crescita utile definito a Lisbona nel 2000, mantenere e ampliare l'occupazione e conservare la capacità d'innovazione.

2.4.2   A livello di consumatori

L'Unione possiede strumenti potenti (quali i fondi strutturali e la politica regionale). Gli esperti mondiali prima della crisi ritenevano che la tendenza al rialzo delle materie prime energetiche fosse destinata a perdurare. La Commissione europea potrebbe condurre una riflessione sulla solidarietà comunitaria da attivare in caso di ripresa dei prezzi, per contenere il fenomeno dell'esclusione dovuta alla povertà energetica, evitando in tal modo ripercussioni sul PIL dell'UE e, in caso di depressione (calo dei prezzi accompagnato da una diminuzione dei consumi indotta tra l'altro dal minor potere d'acquisto) per sostenere la domanda.

Una delle conseguenze sociali delle evoluzioni del binomio trasporti/energia è quella di rendere tutti prigionieri dell'aumento dei prezzi, quando questo si verifica, in un momento in cui le pressioni esterne derivanti dalla globalizzazione e dalla finanziarizzazione dell'economia, che hanno provocato la crisi, incidono sui salari e sul potere d'acquisto delle famiglie e l'UE si trova in una fase di sottoccupazione. I prezzi peraltro dipendono in larga misura da una fiscalità indiretta, senza progressività.

Il CESE ritiene che potrebbe essere socialmente utile introdurre, su impulso europeo, una differenziazione di prezzo fra la quota di consumi essenziali e quella di consumi facoltativi, dai primi chilometri percorsi, dai primi litri di benzina consumati, o dai primi kilowatt di energia utilizzati, partendo da una stima dei consumi e in base a categorie di destinatari, da definire attraverso il dialogo. In tal modo, potrebbero essere introdotti meccanismi di aiuto per i più svantaggiati per la quota di consumi essenziali incomprimibili.

Secondo il CESE dovrebbero essere realizzati degli studi per valutare la fattibilità di un SIG europeo dell'energia che potrebbe essere messo al servizio della politica comune dell'energia. Con una strategia comune dei prezzi, infatti, questo parametro potrebbe essere utilizzato come strumento di lotta per il mantenimento dello sviluppo economico e, al tempo stesso, per la tutela del clima e degli interessi dei consumatori, attraverso una più equa ripartizione dei costi.

2.5   La fiscalità

2.5.1   La fiscalità incide sulla formazione dei prezzi (la vignetta ecologica ne è l'esempio più recente). Qui gli Stati membri hanno mantenuto un certo margine di manovra. Una politica di mercato più integrata, invece, porterebbe l'UE a rivedere la situazione in materia di fiscalità e aumenterebbe la trasparenza per il cittadino consumatore.

2.5.2   La TIPP (tassa interna sui prodotti petroliferi), accisa definita dall'Unione, si basa sul volume e l'IVA invece è calcolata sul valore. L'IVA, come qualsiasi imposta indiretta, è iniqua, poiché viene richiesta senza tenere conto delle capacità contributive e penalizza quindi maggiormente le categorie socioeconomiche più svantaggiate. I cittadini degli Stati membri però non sono trattati allo stesso modo per quanto riguarda la tassazione dei prezzi alla pompa, che dovrebbe quindi formare oggetto di indagini pubblicizzate tra i consumatori, allo scopo di individuare il sistema migliore nel senso della convergenza. Un gasolio «europeo» avrebbe un effetto immediato in termini di trasparenza (10).

2.6   La ricerca

2.6.1   Il rilancio degli investimenti produttivi deve avvenire a un livello tale da garantire progressi rapidi e significativi, senza i quali non potrebbero essere salvaguardati né l'indipendenza energetica, né il mantenimento della leadership dell'Unione in materia di lotta contro il cambiamento climatico, né il tenore di vita dei cittadini europei, né il futuro dell'Europa. A questo proposito, l'introduzione di una procedura gratuita per la concessione di un brevetto europeo in materia di energie rinnovabili e di trasporti puliti e a basso consumo di energia ridurrebbe i tempi di latenza tra scoperta e immissione sul mercato. Una simile politica, peraltro, non sarebbe in contrasto con l'articolo 194, paragrafo 1, lettera c) del Trattato di Lisbona. Tuttavia, è indispensabile assumersi rischi ponderati. La BEI, ad esempio, richiede ormai, per gli investimenti, un tasso di aumento dell'efficienza energetico pari al 20 %. Questo dispositivo potrebbe riguardare le innovazioni (11) ed essere offerto a molte imprese.

La possibilità per le imprese di beneficiare dell'RSFF (cfr. punto 1.2.5) potrebbe incrementare l'attuazione di misure innovatrici in tutto il tessuto territoriale. Si stanno sviluppando ad esempio iniziative di car sharing che però, come nel caso dei comuni di Saint-Brieuc o di Rennes (12), dipendono ancora dalla disponibilità di sovvenzioni locali. Eppure si tratta di iniziative che apportano vantaggi in termini di mobilità, riduzione delle emissioni di CO2, risparmio di tempo e anche a livello sociale, dato che il costo limitato del servizio permette anche ai cittadini più svantaggiati di usufruirne.

2.7   I territori

2.7.1   I trasporti e l'energia sono una linfa vitale per le regioni, nonché un'opportunità di sviluppo locale (si pensi, ad esempio, all'impatto che l'attivazione dei collegamenti TGV ha avuto sulle regioni in Francia). Tuttavia, gli spostamenti, tradizionalmente un motore dell'economia e della gestione del territorio, divengono un freno quando i prezzi dell'energia sono elevati.

2.7.2   L'Unione si sta dotando di una politica energetica e climatica, con obiettivi quantitativi e avrà bisogno di strumenti di misurazione. Sarebbe interessante valutare gli aspetti qualitativi secondo metodi armonizzati nell'Unione e, per valutare l'espressione dei bisogni, la dimensione territoriale dell'energia e dei trasporti sembra tra le più idonee. A livello locale una conoscenza approfondita delle tendenze permette di gestire le risorse in maniera più efficace.

2.7.3   Attraverso la politica regionale dell'Unione, i territori ricevono una serie di aiuti, la cui ripartizione può essere un indicatore della ricerca di un maggior benessere dei cittadini in materia di trasporti ed energia. Le evoluzioni del binomio energia/trasporti possono influenzare interi comparti dell'economia, con pesanti ripercussioni sociali quando gli effetti negativi si sommano e colpiscono duramente un settore come la pesca, i cui profitti si sono già assottigliati a causa dell'aumento dei costi dell'energia e dei trasporti.

2.7.4   La ripartizione delle attività economiche e la gestione della mobilità residenziale nelle città  (13) condizionano il pendolarismo quotidiano. Attraverso l'adeguamento di alcuni fondi strutturali si potrebbe sostenere l'introduzione di una clausola vincolante in materia di assunzioni locali (percentuale di posti di lavoro riservati a coloro che abitano nella zona ed esenzioni fiscali concesse alle imprese che s'impegnano in tale direzione). L'occupazione, gli alloggi e le pari opportunità e quindi il salario, nonché il quarto fattore, ossia i trasporti, possono giocare a favore o contro l'inclusione sociale.

Le soluzioni che consentono di evitare un adeguamento dei costi collettivi con conseguenti ripercussioni negative a livello sociale, possono risiedere, in particolare, nella definizione di nuove priorità e strategie di coordinamento delle politiche urbane pubbliche in materia di alloggi, occupazione e mobilità.

Un quadro nazionale ed europeo giuridicamente sicuro potrebbe quindi consentire un'efficace condivisione delle azioni tra enti regionali e locali, imprese e famiglie.

2.8   I servizi pubblici

2.8.1   Per quanto riguarda l'energia, la situazione appare più oligopolistica che totalmente concorrenziale. Le conseguenze sull'accesso alla rete e sulle politiche dei prezzi sono male accettate dai cittadini (per es. soppressione delle stazioni minori e delle reti di autobus dichiarate non redditizie, aumento dei prezzi al consumo, costo dell'energia, ecc.). Il ruolo svolto dai servizi pubblici nazionali è all'incrocio tra normativa, intervento dei territori, rispetto dei diritti fondamentali dei cittadini e occupazione.

La collettività ha il compito di attenuare l'impatto delle evoluzioni e delle relative incertezze per i propri cittadini. Gli enti locali dovrebbero poter svolgere il ruolo di animatori del proprio territorio, per attutire questi shock economici e finanziari. Dovendo confrontarsi direttamente con le evoluzioni del binomio trasporti/energia, essi sono alla ricerca di possibili soluzioni.

Sono necessari nuovi strumenti di governance tra i diversi livelli di intervento: locale, regionale, nazionale e comunitario. E i programmi comunitari potrebbero essere più efficacemente divulgati e più aperti alla sperimentazione.

2.8.2   La distribuzione dei posti di lavoro nei bacini d'occupazione potrebbe migliorare, se fosse collegata all'organizzazione dei trasporti urbani. Il ruolo svolto dai servizi pubblici locali competenti in materia di occupazione è molto importante: dovrebbero tenere conto dei nuovi vincoli che gravano sul settore dell'energia e dei trasporti.

2.8.3   La rete di collegamento tra i territori è la risultante delle scelte politiche e degli investimenti. Intervenire sulla formazione dei prezzi significa facilitare l'accesso ai servizi a costi ragionevoli, consentendo l'inclusione dei cittadini più svantaggiati. I trasporti, infatti, in quanto servizi irrinunciabili, dal prezzo elevato e talvolta scarsamente disponibili, sono divenuti il quarto fattore di esclusione, dopo gli alloggi, l'occupazione e i salari. Occorre inoltre avviare un'azione di vigilanza sociale sulle conseguenze dei nuovi obblighi che verranno introdotti nel settore dei trasporti (pacchetto su energia e clima). L'efficacia economica può essere ricercata in un approccio sistemico alle politiche in materia di spostamenti e alle iperconnessioni intermodali, in una redditività competitiva di tutte le nicchie geografiche e temporali (14) e nella ricerca tecnica e sociale, al fine di ottimizzare le risorse riducendo i costi. Tutto questo dipende dalla volontà politica e dalla mobilitazione degli attori.

2.9   La salute

Le conseguenze dell'evoluzione del binomio trasporti/energia si ripercuotono anche sulla salute dei cittadini. E ciò giustifica l'adozione di misure intese a riequilibrare le scelte adottate precedentemente, nel rispetto del pacchetto energia e clima, già in gestazione nel Libro bianco della Commissione sui trasporti.

2.9.1   Le cause di alterazione della salute, a seguito dell'utilizzo quotidiano ripetuto dei trasporti per coprire lunghi tragitti casa-lavoro, hanno ripercussioni sui sistemi sociali: difficoltà di conservazione del posto di lavoro, stress e astenia, derivanti dalle malattie che colpiscono sia gli adulti (ad es. allergie e disturbi muscolo-scheletrici) che i bambini (ad es. allergie e bronchioliti).

L'utilizzo delle energie non sostenibili provoca invece alterazioni a livello di aria, acque (dolci e salate), suoli e alimenti prodotti a partire da tali risorse, ecc. Vanno altresì riconsiderati il ritorno al nucleare, con i potenziali pericoli che esso comporta, nonché l'educazione dei cittadini all'energia nucleare, che sta ormai divenendo una necessità, per via della crescita della domanda di tale fonte energetica negli Stati membri produttori e dell'invecchiamento del loro parco.

2.10   L'occupazione

2.10.1   Crescita, occupazione (strategia di Lisbona) e sviluppo sostenibile devono confrontarsi con il prezzo elevato dell'energia e dei trasporti e poi con gli effetti della crisi finanziaria. Bisogna inoltre tener conto delle tematiche sociali e degli aspetti connessi con l'occupazione, che rientrano nel capitolo sociale della strategia di Lisbona. La liberalizzazione ha già provocato conseguenze significative per i lavoratori che operano nei settori del gas e dell'elettricità.

2.10.2   La crescente comunitarizzazione della politica climatica dell'Unione, comporta, a livello macroeconomico, l'avvio di un autentico dialogo sociale che conduca a un negoziato sui futuri piani climatici dell'Europa, allo scopo di evitare distorsioni della concorrenza e pratiche di dumping sociale. La Commissione europea potrebbe aiutare le parti sociali, introducendo un meccanismo che consenta loro di «anticipare, prevenire e, se del caso, accompagnare» le trasformazioni economiche e sociali derivanti dall'attuazione delle nuove politiche climatiche che hanno un impatto sul binomio trasporti/energia.

2.10.3   Il CESE ritiene che i mezzi dedicati alla ricerca applicata debbano essere concretamente rafforzati, affinché lo sviluppo delle tecnologie innovatrici consenta di accrescere il numero di posti di lavoro, in particolare nelle PMI e nelle microimprese.

2.10.4   Il CESE è favorevole a un ampliamento del FEG (Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione) allo scopo di attenuare l'impatto negativo sui lavoratori delle misure di lotta contro i cambiamenti climatici. Ritiene che tutte le popolazioni in difficoltà, a rischio di povertà o escluse dovrebbero poterne beneficiare e che pertanto i meccanismi di funzionamento di tale fondo debbano essere riveduti, a cominciare dall'ampliamento dei criteri di accesso al FEG.

2.10.5   Per il CESE, le spese obbligate hanno un impatto sempre più rilevante sui soggetti più svantaggiati e pregiudicano la loro integrazione digitale, il che rappresenta un ulteriore fattore di esclusione occupazionale e sociale. L'Unione deve quindi sviluppare le capacità necessarie a garantire ai cittadini un'evoluzione sostenibile dei prezzi, rafforzando al tempo stesso la propria sicurezza energetica.

2.11   Il dialogo sociale nelle imprese

2.11.1   L'evoluzione del binomio trasporti/energia comporta per le imprese una serie di conseguenze a livello microeconomico, di cui il dialogo sociale deve tenere conto. In particolare:

il dialogo sociale potrebbe interessarsi alla formazione del personale e dei dirigenti in materia di comportamenti sostenibili poco energivori e di utilizzo di mezzi di trasporto non inquinanti,

le trattative potrebbero comprendere l'obbligo di negoziare un piano di mobilità sostenibile per le imprese o i servizi,

i datori di lavoro potrebbero essere indotti a considerare che, sulla base di criteri da stabilire attraverso il dialogo sociale, le spese sostenute dai dipendenti per i trasporti potrebbero essere riconosciute come componente del salario minimo,

attraverso il dialogo sociale, si potrebbe stabilire l'introduzione di certificazioni d'impresa  (15),

si dovrebbe allora negoziare la condivisione dei benefici ottenuti con la riduzione, nelle attività professionali, dei consumi di energia e trasporti, e valutati in base a criteri da definire anch'essi con il dialogo.

Ecco quindi che il campo d'azione da riservare al dialogo sociale nelle imprese è decisamente ampio.

2.12   La cultura e l'istruzione

2.12.1   I trasporti e l'energia hanno acquisito ormai da tempo una dimensione culturale che la loro democratizzazione ha messo alla portata di un gran numero di cittadini. Questa dimensione, divenuta oggi intrinseca all'integrazione europea, dev'essere salvaguardata e costituisce inoltre una sfida umana da cogliere per favorire la comprensione e la pratica della diversità europea.

2.12.2   Secondo il CESE le evoluzioni in atto possono costituire un'occasione utile per promuovere l'educazione civica fin dalla scuola, a favore di una migliore conoscenza degli altri cittadini europei e di un corretto utilizzo dei trasporti e dell'energia. L'educazione civica comprenderebbe anche l'insegnamento di comportamenti civici quotidiani, con particolare attenzione alle popolazioni più svantaggiate, a causa delle disabilità, della vecchiaia, o dell'esclusione. Essa potrebbe essere abbinata all'educazione alla salute, che ne risulterebbe rafforzata (16).

2.13   L'azione della società civile organizzata

2.13.1   A livello individuale

Ciascun cittadino ha l'obbligo di informarsi e il diritto di pretendere trasparenza nelle decisioni che provengono sia dalle istituzioni che da strutture come le agenzie di regolamentazione. A questo proposito, il CESE ritiene che vi sia bisogno di un'ampia azione di divulgazione.

Il CESE ribadisce il proprio sostegno alla proposta della Commissione del 5 luglio 2007 (17), a favore di una Carta europea dei diritti dei consumatori d'energia che garantisca i loro diritti il cui «rispetto non può essere lasciato ai soli meccanismi del mercato» (punti 1.2 e 1.8 della Carta).

2.13.2   A livello globale

Per affrontare le sfide della politica energetica occorre una mobilitazione sociale che richiede l'adesione dei cittadini e il loro intervento proattivo.

A questo proposito, il CESE presenta una proposta che potrebbe favorire una presa di coscienza da parte di cittadini e consumatori, ovvero l'indicazione, mediante etichettatura, e su tutti i prodotti di consumo, della produzione aggiunta di CO2 .

I cittadini, quando hanno la possibilità di compiere scelte responsabili, non dispongono di alcuna visibilità. Due livelli di azione complementari consentirebbero all'Unione di intervenire salvaguardando la competitività delle sue imprese:

il livello macroeconomico, come indicato nel parere del CESE del 20 febbraio 2008 (18),

il livello microeconomico, dove la scelta dei consumatori verrebbe resa possibile se le imprese, basandosi su una certificazione di tipo EMAS, standardizzata, facessero figurare, in ciascuna fase della catena di valore, e sull'etichetta di ogni prodotto, bene o servizio, la relativa quantità di CO2 prodotta. Alcune esperienze parziali in tale direzione sono già in atto in Gran Bretagna e al di fuori dell'UE, ad esempio a Vancouver, in Canada.

Questo sistema di indicazione, paragonabile a quello dell'IVA, contribuirebbe a sensibilizzare tutti i cittadini al momento dell'acquisto di ciascun bene o servizio, in quanto la voce denominata APCO2 — Added Production of CO2 figurerebbe su ogni documento contabile, dallo scontrino del supermercato alla busta paga, per ciascun bene o servizio, e consentirebbe a chiunque nell'Unione di far propria la sfida in modo obiettivo.

Il pagamento dei costi della produzione di CO2 non sarebbe tuttavia collegato a questo sistema. L'urgenza sta infatti nella presa di coscienza da parte di tutti e attraverso un metodo semplice, in tutti i settori.

Il CESE è dell'avviso che i negoziati mondiali sul commercio potrebbero successivamente adottare questa pratica europea e i risultati potrebbero essere inseriti nei documenti commerciali già standardizzati, sul modello di Edifact, sotto il controllo annuo della società civile, come avviene con la Commissione economica per l'Europa, che presenta un rendiconto annuo al Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (UNECE) sullo stato di Edifact.

L'Unione europea è in netto vantaggio nella presa di coscienza dell'obbligo di trattare assieme i tre capitoli trasporti, energia e ambiente, come aspetti di una stessa politica. E potrebbe approfittarne a livello mondiale.

Bruxelles, 4 dicembre 2008.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI

Il Segretario generale del Comitato economico e sociale europeo

Martin WESTLAKE


(1)  Istituito dalla BEI il 5 giugno 2007, l'RSFF è un accordo di cooperazione destinato alla R&S e innovazione in Europa, che prevede una dotazione di 10 miliardi di euro.

(2)  FEG: Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione.

(3)  Definizione di comodalità: «La comodalità, vale a dire l'uso efficiente dei diversi modi di trasporto singolarmente o in combinazione tra loro» — Riesame intermedio del Libro bianco sui trasporti pubblicato nel 2010 dalla Commissione europea, giugno 2006.

(4)  Art. 73 TCE: «Sono compatibili con il presente trattato gli aiuti richiesti dalle necessità del coordinamento dei trasporti ovvero corrispondenti al rimborso di talune servitù inerenti alla nozione di pubblico servizio». Cfr anche il regolamento (CEE) n. 1107/70 del Consiglio, del 4 giugno 1970, relativo agli aiuti accordati nel settore dei trasporti per ferrovia, su strada e per via navigabile, GU L 130 del 15.6.1970, pag. 1-3 e il regolamento (CE) n. 1370/2007 del 23 ottobre 2007, relativo ai servizi pubblici di trasporto di passeggeri su strada e per ferrovia e che abroga i regolamenti del Consiglio (CEE) n. 1191/69 e (CEE) n. 1107/70.

(5)  L'Edifact (per esteso: scambio elettronico di dati per amministrazione, commercio e trasporti) è uno standard proposto dalle Nazioni Unite, che prevede la definizione di un set di regole sintattiche per lo scambio di dati. È stato adattato dagli organismi di standardizzazione nazionali e settoriali, per tenere conto delle esigenze di ciascun settore di attività.

(6)  Formata da 56 membri, la Commissione economica per l'Europa è una delle cinque commissioni regionali del Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite (UN-Ecosoc). Oltre agli Stati europei, essa comprende Stati Uniti, Canada, Israele e le repubbliche centroasiatiche.

(7)  Il mercato spot riguarda le valute, i tassi o le materie prime e prevede consegne in tempi rapidissimi (il giorno successivo o con scadenze inferiori a un giorno).

(8)  Secondo Destatis (l'Ufficio di statistica federale tedesco) i prezzi dell'energia spingono verso l'alto i prezzi alla produzione aumentati del 3,8 % in un anno. Nello stesso periodo, i prezzi sono aumentati del 7 %, i derivati del petrolio del 19 % e l'elettricità del 10 % circa. Calcolato al netto dell'energia, l'aumento annuo dei prezzi sarebbe stato solo del 2,7 % (fonte: rivista Les ECHOS, Francia, 21-22 marzo 2008).

(9)  Cfr., in particolare, parere CESE 93/2004 del 28 gennaio 2004 sul tema Le infrastrutture di trasporto del futuro, relatrice: ALLEWELDT; parere GU C 204 del 9.8.2008, pag. 25 del 28 marzo 2008 sul tema Reti transeuropee: verso un approccio integrato, relatore: KRZAKLEWSKI.

(10)  «La fiscalità dei carburanti integra la tariffazione delle infrastrutture di trasporto commisurata all'uso, in modo che il prezzo pagato dall'utente comprenda tutti i costi esterni. La fiscalità permette in particolare di tenere conto della componente dei costi esterni legata alle emissioni dei gas a effetto serra. A fronte della totale apertura alla concorrenza del settore dei trasporti stradali, l'assenza di tasse armonizzate sui carburanti appare sempre più come un ostacolo al buon funzionamento del mercato interno». Libro bianco — La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte, Commissione europea, 2001.

(11)  Cfr. parere GU C 162 del 25.6.2008, pag. 72 del 20 febbraio 2008 sul tema Eventuali effetti positivi o negativi dei maggiori vincoli ambientali ed energetici sulla competitività dell'industria europea, relatore: WOLF.

(12)  Comuni della Bretagna (22) Francia; la città di Saint-Brieuc ha formato oggetto di un'audizione organizzata dal gruppo di studio del presente parere.

(13)  Parere CESE GU C 168 del 20.7.2007, pag. 77 del sul tema Trasporti nelle aree urbane e metropolitane, relatore: RIBBE.

(14)  Comune di Saint-Brieuc, Bretagna (22), Francia, audizione del 6 ottobre: creazione di linee «virtuali» di trasporto locale, attivate su richiesta, su itinerari precisi, grazie a una «centrale di mobilità» informatizzata, dedicata alla gestione integrata dei modi di trasporto da parte degli utenti locali e alle informazioni sulle altre reti (sistema di trasporto intelligente, ITS).

(15)  Certificazioni tipo EMAS (sistema comunitario di ecogestione e audit), regolamento del 1995 riveduto nel 2002 e nel 2004, e regolamento (CE) n. 761/2001 sulla partecipazione volontaria.

(16)  Parere CESE GU C 24 del 31.1.2006, pag. 63 del sul tema L'obesità in Europa — Ruolo e responsabilità degli interlocutori della società civile, relatrice: SHARMA.

(17)  Parere GU C 151 del 17.6.2008, pag. 27 del 16 gennaio 2008 in merito alla Carta europea dei diritti dei consumatori d'energia, relatore: IOZIA.

(18)  Cfr. succitato parere di WOLF.


28.7.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 175/50


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «L'industria aeronautica europea: situazione e prospettive»

(2009/C 175/09)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 settembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

L'industria aeronautica europea: situazione e prospettive.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 18 novembre 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore OPRAN e dal correlatore BAUDOUIN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 3 dicembre 2008, nel corso della 449a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 110 voti favorevoli, 9 voti contrari e 5 astensioni.

PREMESSA

Oggetto del presente parere è il settore dell'industria aeronautica civile europea che opera sul mercato del trasporto di passeggeri e merci con velivoli ad ala fissa. Tutti gli altri settori dell'industria (aeronautica militare, elicotteri, manutenzione ecc.) sono espressamente esclusi dal parere.

Prima parte: Conclusioni e raccomandazioni

Obiettivo: Mantenere la leadership mondiale dell'industria aeronautica civile europea nel segmento degli aeromobili ad ala fissa: individuare i rischi e definire le priorità e le proposte per una strategia vincente per il periodo 2008-2012

Secondo la relazione STAR 21, l'industria ha svolto un ruolo maggiore nello sviluppo di partenariati con il mondo della ricerca (università e altri istituti di istruzione superiore, laboratori pubblici ecc.). Il settore aeronautico è un crogiolo di competenze e di tecnologie fondamentali e anche un motore essenziale per l'innovazione. Il settore è fondato sui segmenti civile e militare, ciascuno dei quali dipende dall'altro e si basa sull'applicazione di tecnologie avanzate.

1.1   L'industria aeronautica, tanto civile quanto militare, è un elemento decisivo per una solida base industriale, lo sviluppo tecnologico e la crescita economica. Inoltre, essa è un punto d'appoggio per potere pesare sulla scena mondiale e influenzare le decisioni economiche o politiche.

1.2   Infine, essa contribuisce allo sviluppo del lavoro qualificato in Europa e offre retribuzioni relativamente elevate rispetto ad altri settori.

1.3   In relazione ad essa, insomma, la strategia di Lisbona (2000) e le conclusioni del Consiglio europeo di Barcellona (2002) (1), risultano più che mai attuali.

Per il Comitato economico e sociale europeo i cinque fattori essenziali indicati di seguito, se non saranno anticipati dai responsabili politici e industriali, rischiano di danneggiare gravemente l'industria aeronautica europea.

2.1   La crescita esponenziale dei costi di sviluppo degli aeromobili, che rende impossibile per i costruttori, nel contesto delle rispettive strategie industriali europee, finanziare autonomamente l'intero sviluppo dei nuovi modelli, comporta il trasferimento dei finanziamenti e del rischio finanziario ai fornitori di componenti e ai subappaltatori, l'ulteriore allungamento dei tempi di rientro degli investimenti, la crescita dell'indebitamento e l'aumento dell'insicurezza dei fornitori di componenti e dei subappaltatori.

2.2   La debolezza del dollaro USA, osservata a partire dal 2005 fino all'insorgere dell'attuale crisi mondiale e sfociata attualmente nell'andamento fluttuante e volatile di questa moneta (una fluttuazione caratterizzata da un apprezzamento tendenziale nei confronti dell'euro, senza alcun tipo di giustificazione economica), comporta:

una perdita di competitività dell'industria europea (2),

la tendenza costante a minimizzare i costi fissi (massa salariale),

un incentivo alla delocalizzazione verso l'area del dollaro,

una riduzione del numero di subappaltatori in Europa,

uno stimolo allo sviluppo di «partenariati» in altre aree extraeuropee.

2.3   La massimizzazione entro il 2015 del fenomeno che i francesi chiamano papy boom  (3) provocherà la scomparsa di molti posti di lavoro altamente qualificati (in Europa, metà degli addetti del settore del trasporto aereo andrà in pensione entro il 2015); questo comporta il rischio di perdere irrimediabilmente delle competenze strategiche.

2.4   La crescente concorrenza, con l'emergere di nuovi paesi estremamente competitivi nel settore degli aerei regionali (India, Brasile), spinge gli industriali a ridurre i costi per accrescere la propria competitività e redditività e a creare partenariati con paesi emergenti come la Cina, nonostante i rischi legati ai trasferimenti di tecnologie e all'insediamento di impianti per conquistare questi nuovi mercati. Tale concorrenza induce altresì le imprese committenti a focalizzarsi nuovamente sulla loro attività principale.

2.5   Il livello vantaggioso dell'attuale prezzo del petrolio non può nascondere la persistente incertezza sulla sua evoluzione a breve e medio termine nel contesto di una crisi economica mondiale di cui non è ancora possibile misurare tutta la profondità e la durata. Questi fattori pesano sulla domanda, indeboliscono le compagnie aeree e obbligano i costruttori a riflettere su come ridurre i costi di utilizzazione degli aerei, in particolare attraverso il ricorso a carburanti alternativi e alle tecnologie corrispondenti.

3.   Il Comitato ritiene che gli obiettivi fondamentali del settore debbano vertere sul mantenimento della competitività, sulla sua utilità per i cittadini e sulla sua proiezione internazionale.

In tale contesto, propone una serie di raccomandazioni e chiede alla Commissione e agli Stati membri di sottolineare l'importanza del ruolo svolto dall'industria aeronautica nell'UE e la sua rilevanza per i cittadini, per via delle ricadute che ha su svariati altri settori nell'intero territorio europeo.

Nel campo dello sviluppo tecnologico, della crescita e della cooperazione, sarebbe necessario prevedere l'instaurazione di un nuovo contesto che autorizzi e incoraggi le imprese dei vari Stati membri a lavorare insieme in maniera più efficace per definire e realizzare le rispettive priorità industriali. Ciò rafforzerà la competitività e migliorerà la capacità di rispondere alle fluttuazioni del mercato. È inoltre urgente elaborare nuovi standard di qualità e di efficacia, massimizzando l'efficacia del finanziamento delle attività di ricerca e sviluppo.

4.1.1   È opportuno rafforzare il coordinamento tra la Commissione europea e l'Agenzia europea per la difesa (AED), in modo da promuovere lo sviluppo di nuove tecnologie ibride con applicazioni sia nel segmento militare che in quello civile dell'industria aeronautica. Nel contempo, occorre assicurarsi che la Commissione europea e l'AED controllino ogni ulteriore diffusione delle tecnologie utilizzabili sia dal segmento militare che da quello civile in tale industria.

4.1.2   Un sostegno deve essere offerto agli industriali — tenendo conto in modo particolare dello sviluppo delle PMI del settore della componentistica nella catena di fornitura — per attuare rapidamente e a fondo l'iniziativa tecnologica congiunta (ITC) Clean Sky («Cielo pulito»); ciò non solo per conseguire gli obiettivi fissati dall'Europa in campo ambientale, ma anche per consentire al settore di svolgere un ruolo di rilievo nella creazione di un sistema di gestione del traffico aereo di nuova generazione (SESAR-ATM) che supporti l'iniziativa SES (Single European Sky — Cielo unico europeo) (4).

4.2   Il Comitato propone di promuovere la partecipazione attiva e diretta degli Stati membri a vocazione aeronautica riconosciuta alla creazione di una rete dei subappaltatori europei in grado di aiutare concretamente costruttori di aeromobili come Airbus, SAAB, Alenia, ATR ecc. È importante mantenere e accrescere le loro competenze, prestando una particolare attenzione alle nuove tecnologie.

4.3   Il settore europeo dell'aeronautica regionale è oggetto di un importante rilancio, trainato dagli aeromobili ATR (5) e dai risparmi di carburante che questi consentono. Il mercato aeronautico evolve inoltre verso la produzione di aerei di tipo RJ (Regional Jet) (6). Il Comitato sottolinea l'importanza di sostenere le imprese che hanno elaborato strategie industriali innovative del tipo Open Innovation, il cui migliore esempio, oggi, è probabilmente SuperJet International.

4.4   Per il Comitato è essenziale che gli Stati membri favoriscano la riduzione del grado di dipendenza dei subappaltatori dagli attuali committenti (aiuti alla diversificazione dei mercati e alla globalizzazione) e l'introduzione di un documento di intesa tra committenti e subappaltatori che preveda impegni reciproci a lungo termine.

4.5   Il Comitato è convinto dell'urgenza di sostenere la definizione, da parte dei subappaltatori, di strategie d'innovazione che consentano loro di offrire in modo sostenibile prodotti e servizi nuovi e a più elevato valore aggiunto, facilitandone al tempo stesso la collaborazione per il raggiungimento di una massa critica.

4.6   Malgrado le controversie insorte tra l'UE e gli Stati Uniti in sede OMC, il Comitato suggerisce alla Commissione e agli Stati membri di valutare una procedura di finanziamento in grado di garantire la continuità del processo di fabbricazione. Tale procedura potrebbe assumere la forma di una condivisione dei prestiti contratti dai subappaltatori del settore oppure, eventualmente, la forma di una garanzia di credito basata su anticipi rimborsabili o di prestiti a tassi agevolati decisi dalla Banca europea per gli investimenti (BEI). Sarebbe altresì opportuno prevedere sistemi di copertura contro i rischi finanziari, ad esempio quelli derivanti dalle fluttuazioni monetarie.

4.7   Al di là dell'aspetto industriale, il Comitato ritiene opportuno anticipare l'evoluzione e i cambiamenti professionali del settore istituendo una gestione previsionale degli impieghi e delle competenze ai diversi livelli (categoria professionale, organi europei, nazionali o territoriali). La creazione di osservatori delle professioni aeronautiche deve permettere di individuare, in collegamento con le autorità accademiche, le professioni e i bisogni di formazione del futuro.

4.8   Il Comitato sottolinea l'importanza di apprestare strumenti di monitoraggio economico al fine di seguire l'evoluzione dei risultati delle imprese e di individuare il più precocemente possibile i rischi. Tali strumenti devono, da un lato, essere innovativi in materia di formazione e, dall'altro, stringere i legami tra ricerca, università e industria per preparare meglio i lavoratori di oggi e di domani sia alle professioni future che ai cambiamenti tecnologici che si delineano.

4.9   Lo sviluppo degli scambi tra i diversi poli di competitività per il conseguimento degli obiettivi fissati dall'UE in materia di ambiente e tecnologia deve consentire una messa in rete in grado di produrre una migliore ripartizione dei ruoli e dei fondi europei, il che eviterebbe la concorrenza tra le regioni europee accrescendo al tempo stesso le sinergie.

4.10   Il coinvolgimento finanziario dell'UE deve inserirsi nell'ambito dei poli di competitività, che sono stati creati affinché l'UE mantenesse la sua leadership nelle tecnologie di punta e disponesse di un'industria aeronautica competitiva, innovativa e conforme a elevati standard ambientali (high environmental qualities HEQ). Ad esempio, nel considerare il possibile utilizzo di materiali compositi per le loro doti di resistenza e leggerezza, non va trascurata la loro capacità o incapacità di essere riciclati o distrutti.

4.11   Il Comitato sottolinea l'importanza di adottare rapidamente una serie di misure con l'obiettivo di:

rendere il trasporto aereo più ecologico,

assicurare la soddisfazione e la sicurezza dei passeggeri,

ridurre le emissioni di CO2 nel settore del trasporto aereo (conformemente alla politica europea di riduzione generale delle emissioni di CO2 in Europa), l'inquinamento acustico e il consumo di carburante,

sviluppare concetti che facilitino lo smantellamento dei vecchi materiali (uso di materiali riciclabili ecc.).

4.12   Il Comitato ritiene che la Commissione e gli Stati membri debbano urgentemente soddisfare la necessità di una politica strategica nel settore aeronautico. Una tale politica comprenderebbe l'attuazione di misure concrete a livello dell'UE e dei territori di tradizione aeronautica, al fine di anticipare meglio i cambiamenti futuri e ridurne al minimo l'impatto sociale. Sarebbe opportuno che, come raccomandato dalle parti sociali, la Commissione e gli Stati membri favorissero la creazione di un comitato per il dialogo sociale nel settore dell'aeronautica europea.

Seconda parte: Motivazione

5.   Contesto e antecedenti

5.1   Nel 2007 gli analisti hanno previsto che di qui a vent'anni il traffico aereo dovrebbe più che raddoppiare, con una crescita media pari al 6 % l'anno (5 miliardi di passeggeri previsti nel 2025, rispetto ai 2 miliardi circa registrati nel 2006). Data l'esigenza di rispondere all'aumento del traffico atteso, le previsioni di commesse di velivoli nuovi (con più di 90 posti) per i prossimi vent'anni sono ottimistiche e variano tra 22 600 (fonte Airbus) e 23 600 aeromobili (fonte Boeing).

5.2   La crescente liberalizzazione del trasporto aereo, l'aumento vertiginoso della domanda nei paesi emergenti (Asia-Pacifico e Medio Oriente) e la buona salute finanziaria ritrovata dalle compagnie aeree nel 2007 dovrebbero poter sostenere questo processo.

Il 27 settembre 2007 l'Assemblea del CESE ha autorizzato la CCMI a elaborare un parere d'iniziativa sul futuro dell'industria aeronautica europea (ad esclusione dei settori difesa, elicotteri, manutenzione ecc.).

5.3.1   Ciò che spinge il Comitato a elaborare il presente parere è l'importanza fondamentale del settore aeronautico per l'intera industria europea, in ragione del suo peso in termini di produzione, esportazioni, occupazione e investimenti in R&S. Inoltre, esso agisce come motore di una serie di industrie (subappaltatori e settori a valle, come la manutenzione degli aeromobili) e come elemento trainante di intere regioni. Non meno importante, il settore è un simbolo del valore aggiunto europeo e costituisce una prova del fatto che, unendo gli sforzi, l'Europa può fronteggiare alla pari altri concorrenti mondiali, nella fattispecie gli Stati Uniti.

5.3.2   L'esperienza acquisita dalla CCMI con l'elaborazione del parere sul tema Sviluppo della catena del valore e della catena di fornitura nel contesto europeo e mondiale  (7) è utile per condurre un'analisi del settore aeronautico, molto complesso da questo punto di vista.

Inoltre una nuova serie di rischi, elencati di seguito, grava sulla crescita e potrebbe generare nuovi problemi.

5.4.1   Una forte dipendenza dei costruttori dai mercati emergenti può far sì che un imprevisto rallentamento della crescita in Asia (non solo in Cina e in India) abbia un impatto immediato ed estremamente negativo sull'intero settore.

5.4.2   Il profondo cambiamento dei rapporti tra i committenti e i fornitori di componenti e le continue ristrutturazioni intraprese dai committenti hanno alterato l'equilibrio del settore. Oggi è difficile misurare le conseguenze dell'aumento dei rischi finanziari assunti dai fornitori di componenti di primo livello, sottoposti alle pressioni dei committenti nell'ambito di accordi per la ripartizione dei rischi.

5.4.3   Sia a livello nazionale che europeo, i finanziamenti per lo sviluppo di nuove tecnologie sono insufficienti. Sarebbe utile allocare risorse finanziarie anche alla ricerca di base nell'ambito della strategia d'impresa e della strategia d'innovazione.

5.4.4   L'orientamento verso i materiali compositi rende necessaria una completa riorganizzazione della filiera (cessione dei siti Airbus ecc.), anche prima della definitiva convalida della relativa tecnologia (cfr. ad esempio l'uso massiccio del materiale composito nel B787, le cui commesse superano le 800 unità, prima ancora che l'aeromobile abbia ricevuto la necessaria qualifica).

5.4.5   Fra il 2000 e il 2007 l'euro si è apprezzato del 48 % (del 66 %, se si considera la media dei corsi del cambio nei primi otto mesi del 2008) rispetto al dollaro USA. Se tale andamento, adesso interrotto, dovesse ricominciare o addirittura intensificarsi, potrebbe costringere Airbus a lanciare un nuovo piano di misure di risparmio (un deprezzamento del dollaro di 10 cent costa al costruttore europeo 1 miliardo di euro, come ha più volte affermato il presidente di Airbus) e avrebbe conseguenze drammatiche sulla rete dei subappaltatori, molti dei quali non si possono permettere una copertura, moltiplicando così le delocalizzazioni con un impatto disastroso sul piano sociale e politico.

5.4.6   I problemi tecnici dell'A380, dell'A400M e del B787, e le loro conseguenze immediate provano in modo abbastanza eloquente le difficoltà che incontrano i costruttori a dominare la sempre crescente complessità dei nuovi aeromobili.

5.4.7   Gli effetti dell'attuale crisi internazionale sono, al momento, di difficile previsione. Almeno nel breve periodo, la diminuzione del prezzo del greggio può arrecare un beneficio alle compagnie aeree. Al contrario, la crisi si ripercuote negativamente sul turismo internazionale e, di conseguenza, sulla domanda di trasporto passeggeri.

5.5   Comunque si configuri l'evoluzione futura del trasporto aereo e malgrado la forte crescita che si registra attualmente, la riorganizzazione attuale e futura del settore in Europa ha ripercussioni reali sul piano economico e sociale e vi è il serio pericolo che cresca la deindustrializzazione del settore del trasporto aereo europeo.

5.6   Questa deindustrializzazione può comportare gravi rischi, ad esempio il venir meno di competenze fondamentali, la perdita della leadership mondiale da parte dell'Europa dovuta alla sua incapacità di effettuare gli investimenti necessari per sviluppare nuove tecnologie chiave, la scomparsa di un gran numero di subappaltatori europei dalla catena di fornitura e infine una massiccia perdita di posti di lavoro.

6.   Principali obiettivi e sfide del settore aeronautico dell'UE

6.1   Il CESE ritiene che i problemi fondamentali del settore siano il mantenimento della competitività e il miglioramento della considerazione da parte dell'opinione pubblica.

6.2   Per un nuovo operatore, entrare nell'industria aeronautica è difficile e raggiungere i primi posti è ormai impossibile. A livello mondiale, nel mercato degli aeromobili con più di 100 posti restano solo due produttori: Airbus e Boeing. Le tecnologie, le competenze o le infrastrutture che si deteriorano in modo irreversibile o scompaiono del tutto sono estremamente difficili da ricreare.

L'Europa deve quindi far sì che gli Stati membri di provata vocazione aeronautica:

6.3.1   mantengano e rafforzino le loro competenze, prestando una particolare attenzione all'alta tecnologia, e partecipino alla realizzazione di una rete europea di subappaltatori che possa spalleggiare efficacemente i grandi committenti come Airbus, SAAB, ATR ecc.;

6.3.2   svolgano un ruolo più attivo nello sviluppo di partenariati con il mondo della ricerca (università e altri istituti di istruzione superiore, laboratori pubblici ecc.) nel campo della ricerca di base.

6.4   L'Europa non può ignorare gli stretti legami esistenti, negli Stati Uniti, tra la ricerca militare e quella civile. Nonostante un certo ritardo nel programma B787, Boeing ha beneficiato di un sostegno finanziario della NASA e della DARPA (Defense Advanced Research Projects Agency) al fine di operare il salto tecnologico rappresentato dal passaggio alle strutture composite. È per tale motivo che il Comitato giudica necessario rafforzare il coordinamento tra la Commissione europea e l'Agenzia europea per la difesa (AED), in modo da promuovere lo sviluppo di nuove tecnologie duali (con applicazioni sia nel segmento militare che in quello civile) nell'industria aeronautica.

6.5   Il settore aeronautico non può ignorare il regolamento REACH, (CE) 1907/2006, adottato dal Parlamento europeo e dal Consiglio il 18 dicembre 2006 e in vigore dal 1o giugno 2007. Inizialmente si prevedeva che la sua entrata in vigore avrebbe richiesto la valutazione, autorizzazione ed eventualmente restrizione di circa 30 000 sostanze presenti sul mercato europeo in quantità considerevoli. Nelle ultime settimane, tuttavia, tutte le 100 000«sostanze esistenti» risultano essere state preregistrate. Ciò aumenterà il rischio di interruzioni dell'approvvigionamento, soprattutto quando si valutano sostanze usate in materiali complessi o compositi. È pertanto indispensabile che l'UE sostenga le imprese che si collocano nei poli di competitività molto attivi con i materiali compositi quando valutano i rischi delle singole sostanze che compongono questi materiali. È questo il contesto nel quale la Commissione e gli Stati membri possono aiutare il settore aeronautico europeo a conseguire gli obiettivi ambientali.

6.6   L'UE si è assunta l'impegno di ridurre le emissioni di CO2, l'inquinamento acustico e il consumo di carburante (anche promovendo i biocarburanti). È dunque necessario che la Commissione doti le imprese del settore, incluse le PMI, del quadro di riferimento necessario per attuare in modo rapido e armonioso l'iniziativa tecnologica congiunta (ITC) Clean Sky (Cielo pulito).

Per quanto concerne il mercato degli aerei a corto raggio, l'Europa deve predisporre in tempi rapidi un programma di ricerca e sviluppo incentrato su questo tipo di aerei, in modo da facilitare la sostituzione dell’A320 con l’NSR (8), aiutando così l'industria europea a non ripetere l’errore dell’A350. La cosa risulta quanto mai urgente in quanto si sta profilando un radicale mutamento del paesaggio industriale nel comparto degli aerei a corridoio unico con più di 100 posti.

6.7.1   Infatti, nei prossimi dieci anni questo comparto strategico dovrebbe vedere la fine del duopolio Boeing-Airbus, che rappresenterebbe circa il 65 % dei nuovi aerei da costruire da qui al 2027 (ossia circa 19 160 su 29 400) (9), ma solo il 40 % del loro valore, segno di un aumento della concorrenza e di una pressione elevata sul livello dei prezzi per questo tipo di velivolo.

6.7.2   Probabilmente nel 2015-2020 saranno operative imprese entrate da poco nel mercato, come la cinese Avic 1+2 (una recente fusione), la russa Sukhoi o persino la canadese Bombardier o la brasiliana Embraer. In questo segmento l’Europa potrà anche non vincere la battaglia dei prezzi, ma potrà comunque uscirne bene mantenendo il proprio vantaggio tecnologico grazie all'innovazione.

Il traffico aereo regionale registra un incremento annuo dell'8 %. Le commesse hanno raggiunto un picco nel 2007, sia nel comparto dei jet regionali (Regional Jets, RJ) che in quello degli aerei a turboelica (per i quali le commesse sono raddoppiate). Tenuto conto del contesto (aumento dei prezzi del carburante e crisi finanziaria), il successo degli aerei a turboelica dovrebbe continuare, con il risultato di un probabile spostamento del mercato dal comparto degli RJ a quello degli aerei a turboelica. Malgrado tutto, peraltro, anche il mercato degli RJ dovrebbe continuare a crescere, dato che la domanda di questo tipo di aerei rimane elevata, mentre le quote di mercato di Boeing ed Airbus sono probabilmente destinate a ridursi — con l'avvento di nuove gamme di aerei come la «C series» della Bombardier e il recente ingresso su questo mercato di operatori come Sukhoi o Avic.

6.8.1   Il settore europeo dell'aeronautica regionale è oggetto di un importante rilancio, trainato dagli aeromobili ATR e dai risparmi di carburante che questi consentono. Il mercato aeronautico evolve inoltre verso la produzione di aerei di tipo RJ, un segmento che, contrariamente a quello degli aerei civili a fusoliera larga (Large Civil Aircrafts, LCA) in cui si assiste al duopolio Airbus-Boeing, fa registrare un'accesa concorrenza tra costruttori quali Bombardier (Canada) e Embraer (Brasile), seguiti a distanza dall'ATR e da altri operatori nazionali (ad esempio giapponesi, russi o cinesi).

6.8.2   Nel campo dei jet regionali, l'Europa potrebbe riconquistare la leadership quasi del tutto persa con l'apparizione di SuperJet International. Questa joint venture (51/49 %) fra Alenia Aeronautica (Italia) e Sukhoi Civil Aircraft (Russia), che prevede un programma industriale per la costruzione di jet regionali con capacità di 75-100 posti, è un esempio concreto di buona prassi in grado di rilanciare la produzione europea di jet regionali, molto adatta a un contesto economico caratterizzato dalle oscillazioni del prezzo del greggio.

6.8.3   Tale programma si basa sulle migliori competenze europee e mondiali, soprattutto attraverso partenariati non solo con importanti fornitori francesi (Thales e Safran forniscono più del 30 % del valore dell'aeromobile), ma anche con altri fornitori europei quali Liebherr (Germania) e Intertechnique (anch'esso francese), con fornitori extraeuropei come Honeywell (Stati Uniti) e infine con centri d'eccellenza internazionali come quelli con sede in India.

6.9   L’industria aeronautica è terreno di controversie tra l’Europa e gli Stati Uniti. Tuttavia, il finanziamento delle attività civili dell’industria aeronautica statunitense per mezzo di commesse militari può essere considerato un sussidio pubblico mascherato che provoca di fatto una distorsione della concorrenza, un effetto che fino a qualche mese fa era ulteriormente amplificato dalla debolezza del dollaro. La concessione di aiuti da parte delle istituzioni europee e nazionali, sotto forma di anticipi rimborsabili o di strumenti analoghi, è non solo conforme all'accordo UE-Stati Uniti relativo agli LCA, ma costituisce anche un meccanismo trasparente — oltre che compatibile con le regole del mercato — per finanziare lo sviluppo di nuovi programmi.

Considerate le oscillazioni del cambio euro-dollaro, è un'anomalia il fatto che i grandi committenti (come Airbus) trasferiscano il rischio di cambio sui loro subappaltatori pagandoli in dollari, mentre l'EADS (casa madre di Airbus) possiede capacità di copertura del cambio incommensurabili rispetto a quelle dei suoi subappaltatori. Questi stessi committenti tentano di trasferire i rischi finanziari e tecnologici dei nuovi programmi ai subappaltatori di primo e secondo livello.

6.10.1   È possibile, in tale contesto, prevedere la creazione di strumenti di partecipazione attiva tra committenti e subappaltatori? Tali strumenti possono assumere una serie di forme diverse. Va condotta una riflessione sulla condivisione dei rischi (Risk Sharing) e sul Work Package. La partecipazione deve riguardare anche il settore della ricerca e sviluppo. Il committente deve sostenere l'intero costo della ricerca applicata di più alto livello, mentre le PMI contribuirebbero a quello della ricerca nell'ambito del processo industriale.

6.10.2   Un'altra forma di partecipazione attiva può riguardare la fornitura di materie prime alle imprese. Si sa che Airbus acquista titanio rivendendolo ai suoi subappaltatori a prezzo di costo. Sarebbe forse opportuno che i committenti partecipassero alla condivisione degli acquisti di materie prime. È utopistico immaginare che le PMI subappaltatrici e i committenti mettano a punto un sistema che consenta di raggruppare le forniture di materie prime? Ciò avrebbe per effetto la diminuzione dei costi di approvvigionamento.

Attualmente si constata che le PMI dipendono in misura notevole dalle commesse di un singolo costruttore (Airbus per esempio). In diversi casi di rilievo, questa dipendenza è pari a circa il 70 % nei settori della meccanica generale, della metallurgia e dei componenti elettronici e sfiora il 67 % nel settore dei servizi (10).

6.11.1   È dunque essenziale, specialmente per ovviare alle oscillazioni del ciclo economico nel settore aeronautico, che le PMI europee diversifichino le loro attività allargandole ad altri settori, sfruttando le caratteristiche migliori dell'Europa. D’altra parte, però, tali imprese devono essere estremamente adattabili per imporsi in campi d'attività diversi dalle loro attività principali. Dovranno inoltre essere in grado di gestire vari tipi di attività destinandovi risorse umane e finanziarie. Ciò presuppone, da un lato, che le PMI abbiano accesso a fondi regionali, nazionali e/o europei per sviluppare, gestire e strutturare come settore tale attività di diversificazione, dall'altro che i committenti contribuiscano al loro sforzo di diversificazione e forniscano le competenze necessarie in vari campi.

6.11.2   Questo solleva naturalmente il problema dello spin-out, in qualsiasi forma esso avvenga. Un esempio è dato dalla regione Aquitania, dove uno stabilimento dell'ex Aérospatiale ha messo a punto una tecnologia di torcia al plasma che è commercializzata dalla società Europlasma.

Tutte le trasformazioni industriali rendono necessaria una notevole mobilitazione finanziaria. È per questo motivo che le imprese hanno bisogno di sostegno da parte dei poteri pubblici, siano essi nazionali o europei. In quest'ottica, e nel rispetto delle regole stabilite dall'OMC, l'UE deve portare avanti la riflessione sul fenomeno delle oscillazioni del dollaro. In che modo l'UE può contribuire a ridurre il rischio finanziario per l'industria aeronautica legato al tasso di cambio tra le due monete? Trasferire il rischio di cambio ai subappaltatori non può considerarsi una soluzione globalmente soddisfacente, poiché non toglie che il cambio euro-dollaro rimanga comunque uno svantaggio nei confronti della concorrenza, in particolare degli Stati Uniti.

6.12.1   Un esperimento interessante è condotto nella regione Midi-Pyrenées. Dal 2000, infatti, dopo il lancio dell'A380, la regione sta attuando il programma ADER a favore delle PMI subappaltatrici del settore aeronautico. L'esperimento ha prodotto validi risultati ed è destinato a proseguire al fine di aiutare le PMI ad adeguarsi al programma POWER8 deciso da Airbus.

6.12.2   Il nuovo strumento, denominato ADER II, è destinato a sostenere, caso per caso, i cluster d'imprese, ad aumentare le capacità tecnologiche, ad affiancare le imprese sui nuovi mercati, a mettere in comune le risorse per l'acquisto di materie prime ecc.

La globalizzazione dell'attività aeronautica ha un impatto estremamente forte sui lavoratori dipendenti e l'occupazione. Per farvi fronte, è necessario potenziare e sostenere gli strumenti di ricerca e di formazione, creando in tal modo un serbatoio di posti di lavoro. Una possibile soluzione è la c.d. gestione previsionale degli impieghi e delle competenze (Gestion prévisionnelle des emplois et des compétences — GPEC).

6.13.1   La GPEC deve anticipare i cambiamenti futuri. Essa deve mettere i lavoratori in condizione di fronteggiare meglio le incertezze riguardo al futuro, di elaborare progetti a lungo termine, di dare un senso al loro lavoro, di sviluppare carriera e impegno nell'impresa tenendo conto al tempo stesso dei loro bisogni e delle loro aspirazioni. Essa deve consentire all’impresa di adattarsi ai cambiamenti e alla concorrenza.

6.13.2   La GEPC deve rientrare in una vera e propria prospettiva delle professioni e delle qualifiche, fissando obiettivi molto a lungo termine (30 anni). L'obiettivo da raggiungere deve essere definire i bisogni di formazione e di sviluppo delle competenze che sarebbe bene soddisfare nel medio periodo nell’offerta di formazione iniziale e permanente, dal punto di vista sia degli industriali, sia dei formatori e dei rappresentanti dei lavoratori. La GEPC può inoltre inquadrarsi in una riflessione sul bacino occupazionale.

La sopravvivenza di un settore aeronautico tecnicamente avanzato e dotato del necessario know-how implica per il settore la necessità di assumere personale con una formazione iniziale di buon livello in filiere in via di sviluppo quali i materiali compositi o l'ambiente. Analogamente vanno sviluppate altre filiere, ad esempio la gestione dei rischi industriali, i nuovi materiali, la propulsione ecologica ecc.

6.14.1   I sistemi di formazione non devono essere rivolti solo ai «colletti bianchi“, ma anche creare o potenziare le filiere dei” colletti blu», che per molto tempo hanno sofferto di un'immagine negativa e di una mancanza di considerazione nella maggior parte dei sistemi scolastici europei. La filiera dei «colletti blu» svolge invece un ruolo importante per la competitività dell'industria aeronautica europea.

6.14.2   La formazione iniziale deve inoltre basarsi sull'apprendistato, con accordi tra scuole, università o istituti di formazione ai lavori manuali, e imprese. La formazione permanente deve, dal canto suo, consentire i processi di profonda riqualificazione professionale, compresa quella dei gruppi di lavoratori scarsamente specializzati. Ma essa è innanzi tutto uno strumento essenziale e concreto, nell'ambito dell'elaborazione di un programma strategico, per ridurre l'eventuale divario tra risorse disponibili e bisogni futuri. In linea di massima, ciascun dipendente europeo deve poter godere di una base minima di formazione permanente.

6.15   Tutti i meccanismi, di qualsiasi tipo essi siano, rendono necessaria la più ampia concertazione possibile tra la dirigenza aziendale e i rappresentanti dei lavoratori. Tale concertazione esiste sovente a livello nazionale, ma deve essere estesa a livello europeo. Un primo risultato è stato raggiunto con l'attuazione della direttiva europea 94/45/CE relativa ai comitati aziendali europei. Poiché le dirigenze aziendali stabiliscono la loro strategia a livello europeo, i comitati aziendali europei sono l'unica sede adeguata per raccogliere informazioni economiche al livello pertinente e fare il punto della situazione prima di qualsiasi trattativa. È necessario che la Commissione e gli Stati membri favoriscano la creazione di un comitato per il dialogo sociale nel settore aeronautico europeo.

7.   Proposte per pareri futuri

7.1   Il settore aeronautico presenta un tale grado di complessità che è impossibile trattare tutte le sue componenti nel presente parere. La CCMI dovrebbe quindi considerare immediatamente l’opportunità di tornare sull’argomento in altri pareri.

7.2   Questi futuri pareri potrebbero vertere sui seguenti temi:

aeronautica militare,

elicotteri militari e civili,

manutenzione aeronautica,

avionica militare e civile, compresi i sistemi di armamento avanzati

nuove procedure, standard ed attrezzature d'avanguardia per l'atterraggio degli aeromobili in situazioni di emergenza.

Bruxelles, 3 dicembre 2008

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI

Il Segretario generale del Comitato economico e sociale europeo

Martin WESTLAKE


(1)  «Per colmare il divario tra l'UE e i suoi principali concorrenti, si dovrà aumentare in modo significativo lo sforzo globale di R&S e di innovazione nell'Unione, ponendo un accento particolare sulle tecnologie di punta».

(2)  Fra il 2000 e il 2007 l'euro si è apprezzato del 48 % (del 66 %, se si considera la media dei corsi del cambio nei primi otto mesi del 2008) rispetto al dollaro USA. Se tale andamento, adesso interrotto, dovesse ricominciare o addirittura intensificarsi, Airbus potrebbe essere costretta ad abbandonare il piano di ristrutturazione «Power 8» (elaborato tenendo conto di una parità euro/dollaro non superiore a 1,37) e a introdurre ulteriori misure di risparmio, con conseguenze disastrose sul piano sociale e politico.

(3)  «Per papy boom si intende in francese il gran numero di pensionamenti previsti tra il 2000 e il 2020 nei paesi sviluppati. Tale fenomeno, che è la logica e prevedibile conseguenza del baby boom del dopoguerra e dell'invecchiamento della popolazione dovuto alla diminuzione del tasso di natalità, avrà notevoli ripercussioni sull'economia, determinando un aumento delle spese sanitarie e dei costi pensionistici e una contrazione della popolazione attiva».

(4)  Un'iniziativa comunitaria che struttura lo spazio aereo e i servizi di navigazione aerea a livello paneuropeo per gestire meglio il traffico aereo e garantire un livello di sicurezza elevato e uniforme nei cieli europei.

(5)  L'ATR, che nel 2004 aveva registrato 12 commesse, nel 2007 ha registrato 113 commesse chiuse (fonte: ATR).

(6)  Aerei per il trasporto civile di passeggeri con meno di 100 posti, il cui mercato è destinato ad ampliarsi progressivamente a spese di quello degli aerei a fusoliera stretta (ovvero a corridoio unico) per i collegamenti «a corto raggio».

(7)  Parere, CESE GU C 168 del 20.7.2007, pag. 1.

(8)  New Short Range.

(9)  Fonte: Boeing Forecast 2008-2027 (Previsioni della Boeing per il 2008-2027).

(10)  Fonte: Insee, dossier n. 138, marzo 2007.


28.7.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 175/57


Pareredel Comitato economico e sociale europeo sul tema «Evoluzione della grande distribuzione e impatto sui fornitori e sui consumatori»

(2009/C 175/10)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 settembre 2007, ha deciso, conformemente all'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Evoluzione della grande distribuzione e impatto sui fornitori e sui consumatori.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 18 novembre 2008, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SHARMA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 3 dicembre 2008, nel corso della 449a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 136 voti favorevoli, 21 voti contrari e 20 astensioni.

1.   Conclusioni, raccomandazioni e proposte

1.1   La grande distribuzione svolge in Europa un ruolo molto importante, in ragione del suo contributo finanziario all'economia, della creazione di posti di lavoro e della diversificazione dell'offerta ai consumatori. Più recentemente, sull'impatto di tale espansione si sono presentati dati concreti e ipotesi. Nel quadro della strategia di Lisbona, che promuove la competitività, la crescita e la creazione di posti di lavoro più numerosi e di migliore qualità, il presente parere individua aree specifiche del settore per le quali si dovrebbe migliorare la trasparenza e la dovuta diligenza (due diligence), proteggendo al tempo stesso i distributori, i fornitori, gli addetti e i consumatori.

1.2   La Commissione europea (più precisamente la DG Mercato interno e servizi e la DG Imprese e industria) sta svolgendo degli studi sullo sviluppo della grande distribuzione, soprattutto per quanto riguarda i margini, la lunghezza della catena di approvvigionamento, gli elementi che la compongono e l'industria della distribuzione nel suo insieme. La DG Occupazione, affari sociali e pari opportunità analizzerà quali sono i requisiti cui la grande distribuzione dovrà far fronte da qui al 2020. Il Comitato si dichiara disponibile, per quanto possibile, a coadiuvare la Commissione.

1.3   Il Comitato formula le seguenti raccomandazioni proponendo misure che sostengano la crescita e garantiscano una sana concorrenza per distributori e fornitori, proteggano i lavoratori e si traducano inoltre in benefici a lungo termine per i consumatori, il tutto nel rispetto della sostenibilità.

1.4   Il CESE continuerà a seguire lo sviluppo della grande distribuzione, esaminando in particolare l'evoluzione dei principali dettaglianti nei paesi europei più piccoli e prestando una attenzione particolare ai settori esclusi dallo studio attualmente in corso, come ad esempio il settore degli elettrodomestici.

1.5   Dallo studio commissionato dal CESE (1) emerge chiaramente che in Europa occidentale si osserva un fenomeno di concentrazione della grande distribuzione sia nel settore alimentare che in quello dell'abbigliamento, nonché in altri comparti quali il fai-da-te, lo sport, il tempo libero e la cultura. In linea generale, tuttavia, tale fenomeno non è una conseguenza delle fusioni, assunzioni di controllo e acquisizioni intervenute in questi settori. Nonostante l'emergere di grandi imprese di distribuzione internazionale osservato negli ultimi anni, la distribuzione rimane ancora un settore a carattere prevalentemente nazionale.

1.6   Per l'economia europea, la crescita e il successo della distribuzione rappresentano un fattore molto positivo. Per affermarsi, molti distributori, in origine PMI, sono diventati più efficienti, competitivi, produttivi e attenti ai bisogni dei consumatori. Imprese private, cooperative e imprese dell'economia sociale hanno conosciuto una forte crescita. Molte imprese europee sono ormai imprese «globali» di successo, presenti in Cina, negli Stati Uniti, in estremo Oriente e in Russia. La loro solidità nazionale ha consentito alle imprese di maggior successo di esportare il proprio modello commerciale verso alcuni dei mercati della distribuzione più esigenti a livello mondiale. Ciò si è rivelato molto positivo per i dipendenti, gli azionisti e in fin dei conti per i consumatori europei, che beneficiano di una più ampia scelta di prodotti e di prezzi competitivi.

1.7   Come dimostrato dagli studi effettuati dalle autorità nazionali della concorrenza, la distribuzione è un settore dinamico, innovativo e competitivo (2). È importante che il successo commerciale non sia penalizzato, a meno che non vi siano pratiche incompatibili con la realizzazione del mercato interno, e in particolare chiare prove di abuso di posizione dominante sul mercato o di danno ai consumatori, in violazione dell'articolo 81 del Trattato CE. Un mercato competitivo è un modo efficace di proteggere i consumatori e l'efficienza operativa può apportare ulteriori benefici. In un mercato libero ed equo, i distributori sono in concorrenza tra loro sulla base dei servizi prestati, della qualità dei prodotti e del miglior rapporto qualità-prezzo.

1.8   Anche se in un'unione economica di 27 Stati esistono differenze e disparità ben comprensibili, il Comitato ravvisa la necessità di una concertazione, anzi, di un coordinamento a livello europeo per consentire al commercio di svolgere la sua funzione di servizio universale. Questa impostazione di lavoro potrebbe concretizzarsi nella creazione di un dispositivo europeo più armonizzato per la misurazione e tracciabilità dell'attività commerciale, inteso ad agevolarne maggiormente lo sviluppo.

1.9   Per garantire la trasparenza delle procedure che regolano i rapporti fra i fornitori e la grande distribuzione, il CESE raccomanda di approfondire il dibattito sul valore aggiunto e sulla legittimità, in base alla normativa comunitaria sulla concorrenza, di un eventuale codice di condotta volontario che disciplini le relazioni tra i distributori e i fornitori a livello nazionale, nonché di procedere ad un'analisi chiara e trasparente della catena di approvvigionamento, che, al di là dei fornitori primari e della grande distribuzione, coinvolge numerosi altri attori.

1.10   Il codice di condotta proposto, volontario e autonomo, potrebbe essere introdotto a livello nazionale. Esso dovrebbe poggiare su contratti scritti tra il distributore e i fornitori, e coprire tutta la catena di approvvigionamento, «dai campi alla tavola».

1.11   Questo codice dovrebbe anche consentire a un maggior numero di imprese di dimensioni medie — o addirittura piccole — e di imprese artigianali che operano nel campo della produzione e dei servizi di accedere alla grande distribuzione con un minimo di garanzie.

1.12   Il codice consentirebbe e manterrebbe l'attuale flessibilità degli acquisti e delle trattative e permetterebbe di far fronte a cambiamenti improvvisi della situazione (per es. l'inflazione o l'evoluzione del prezzo del petrolio), a beneficio sia dei fornitori che dei distributori, impedendo tuttavia ai grandi distributori o ai fornitori di esercitare pressioni o di ricorrere a pratiche abusive.

1.13   Il codice potrebbe comprendere i seguenti elementi:

condizioni standard per la disciplina dei rapporti commerciali tra distributore e fornitore, con fissazione di un termine di preavviso per l'entrata in vigore di qualsiasi cambiamento di tali condizioni, compresa la risoluzione del contratto,

nessuna riduzione retroattiva dei prezzi concordati ottenuta esercitando pressioni,

nessun obbligo, attraverso l'esercizio di pressioni, di contribuire ai costi di marketing o di distribuzione al di là di quelli concordati nel contratto originale relativo ai prezzi,

nessun pagamento compensativo a carico dei fornitori per la perdita di profitti dei distributori, tranne precedenti accordi in tal senso, oppure nei casi in cui il fornitore abbia omesso di consegnare le quantità richieste,

nessuna restituzione di merci invendute, eccezion fatta per ragioni specifiche e concordate ai termini del contratto,

nessun rimborso per scarti, negligenze o difetti oltre a quanto previsto nel contratto originario, dove le specifiche sono inequivocabili,

nessun pagamento forfettario per assicurarsi ordini o posizioni. Per quanto concerne le promozioni, tutti i pagamenti devono essere chiari e trasparenti,

tutte le promozioni devono essere concordate da entrambe le parti anticipatamente con un periodo preciso di preavviso e condizioni scritte trasparenti in merito,

gli errori di previsione del distributore non possono essere scaricati sul fornitore, nemmeno nei periodi di promozione. Nei casi in cui le previsioni sono effettuate insieme al fornitore, le condizioni devono essere documentate,

per rispondere alle aspettative dei consumatori, i produttori e i distributori devono fornire le caratteristiche e le condizioni di produzione dei prodotti venduti, e in particolare di quelli importati,

una procedura scritta per i reclami dei clienti deve essere fornita al fornitore e costituire parte integrante delle condizioni del contratto.

1.14   Questo codice dovrebbe essere comunicato a tutto il personale dei distributori responsabile degli acquisti e della gestione. Inoltre, i distributori dovrebbero essere tenuti a nominare un responsabile interno del rispetto del codice, che conservi copia dei contratti con i fornitori e notifichi automaticamente ai fornitori i cambiamenti dei termini contrattuali.

1.15   Il CESE raccomanda inoltre di nominare a livello nazionale un mediatore incaricato di comporre le controversie e di valutare e monitorare l'attuazione del codice: il mediatore dovrebbe altresì avere la facoltà di raccogliere le informazioni da tutte le parti interessate e di indagare in modo proattivo sulle infrazioni al codice. Questa proposta sarebbe in linea con le raccomandazioni formulate dal CESE in merito allo Small Business Act for Europe (SBAE — legge sulle piccole imprese).

1.16   La legislazione europea in materia di commercio deve essere applicata efficacemente. Si deve tuttavia modificare in particolare la definizione dei termini di pagamento in modo da stabilire un termine di pagamento massimo. Infatti, benché una normativa esista, essa è stata recepita negli ordinamenti nazionali ad un livello minimo di armonizzazione oppure con clausole di opt-out.

1.17   Quanto alle richieste di insediamento da parte delle grandi imprese di distribuzione, i servizi dell'amministrazione pubblica competenti dovrebbero mettere a punto un «test di concorrenza» in grado di stabilire, ad esempio, la reale necessità di nuovi punti vendita o di una politica che privilegi i centri delle città. Gli enti locali e regionali potranno così valutare le reali condizioni di concorrenza tra le diverse forme di distribuzione a livello locale, il rispetto degli accordi sull'uso del territorio, le infrastrutture esistenti e i benefici per la comunità: l'obiettivo è quello di garantire che le preoccupazioni circa la diversità attuale e futura dell'offerta commerciale e l'indispensabile coesistenza, negli agglomerati urbani, tra commercio di prossimità, grande distribuzione e centri commerciali siano tenute nella dovuta considerazione.

1.18   La vendita al dettaglio avviene per lo più a livello nazionale. Per questo motivo, allo scopo di garantire un'efficace attuazione del codice, dovrebbe essere un'autorità pubblica (autorità nazionali responsabili della concorrenza) a verificare, ad intervalli regolari, le relazioni dell'ombudsman sulle pratiche problematiche. Tale prassi consentirebbe all'autorità in questione di chiedere informazioni direttamente ai distributori/fornitori, e di disporre di un'analisi di riferimento e di un registro dei progressi compiuti dal settore interessato. In caso di problemi ricorrenti, si potrebbero mettere a punto misure legislative. Questa autorità pubblica dovrebbe anche essere incoraggiata a pubblicizzare a tutti i soggetti della catena l'uso e i vantaggi del codice di condotta, e a farlo rispettare.

1.19   Infine, gli Stati membri, pur assicurando il necessario equilibrio tra i vari settori e salvaguardando l'assetto urbano, dovrebbero garantire un ambiente favorevole ad una forte concorrenza tra i distributori, creando in tal modo vantaggi per i consumatori grazie a prezzi più bassi e ad una scelta più ampia.

2.   Motivazione

2.1   La commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI) promuove il coordinamento e la coerenza dell'azione comunitaria in relazione ai principali mutamenti industriali nel contesto di un'Europa allargata e assicura un equilibrio tra la necessità di cambiamenti socialmente accettabili e il mantenimento del vantaggio competitivo da parte dell'industria UE.

2.2   Recentemente diversi dati hanno dimostrato a crescita del settore della grande distribuzione e il suo impatto sulla società. Nel contesto della strategia di Lisbona e della riflessione sulla competitività, la crescita e la creazione di posti di lavoro più numerosi e di migliore qualità, il presente parere intende individuare lungo tutta la catena del valore, fino ai consumatori, i punti specifici che possono richiedere interventi o meccanismi comunitari.

2.3   Ai fini del presente parere, il CESE ha commissionato uno studio inteso a dare una definizione di «grande distribuzione» (cfr. allegato 1 allo studio effettuato dalla London Economics). Tuttavia, come osservato nello studio, i parametri applicati a ciascuna definizione esaminata hanno prodotto risultati diversi. Visto il gran numero di distributori che non rientrano nella definizione di PMI e considerando la mancanza di dati statistici, soprattutto nei nuovi Stati membri, nel presente parere sono state utilizzate definizioni cumulative. Per grandi distributori (HVR, high-volume retailers) si intendono dunque le società che detengono una quota di mercato superiore al 5 % o un volume d'affari superiore a 200 milioni di euro e che hanno almeno 250 addetti. È inoltre utile analizzare le aziende che si collocano ai primi 5 posti della classifica in ogni singolo mercato, oltre che la natura privata o sociale del modello aziendale.

2.4   Lo studio è incentrato su otto paesi europei, cioè Regno Unito, Francia, Germania, Spagna, Italia, Romania, Polonia e Repubblica ceca, ed ha esaminato il settore dell'alimentazione e quello dell'abbigliamento. La concentrazione della grande distribuzione risulta evidente anche in altri settori, tra cui il fai-da-te, l'elettronica, il tempo libero e la cultura, ma questi non rientrano però nei temi trattati in questa sede. L'analisi effettuata nel parere si basa su dati statistici (3). Numerosi studi supplementari sono stati condotti per diversi settori in tutta la catena di approvvigionamento, compresi il personale e i consumatori, e lo studio vi fa riferimento per evidenziare la difficoltà di raccogliere dei dati di fatto e l'ampiezza della ricerca svolta finora sul settore (4).

2.5   Grazie alla forza della propria offerta, la grande distribuzione attira sempre più clienti in tutta Europa. Le cifre relative al 2005 indicano che Carrefour (Francia), il gruppo Metro (Germania), Tesco (UK) e Rewe (Germania) detengono le maggiori quote di mercato nell'Europa occidentale, centrale e orientale. Nel 2005, in Germania, Francia, Irlanda e Svezia i 5 principali distributori rappresentavano oltre il 70 % del mercato del grocery (prodotti alimentari e prodotti per la pulizia e la casa).

2.6   Molti grandi distributori, comprese le cooperative e le imprese di distribuzione dell'economia sociale, hanno cominciato le proprie attività commerciali come PMI: dalla loro spettacolare crescita si possono trarre numerosi insegnamenti. Tutti i grandi distributori hanno dato un contributo importante agli obiettivi di Lisbona in materia di competitività, occupazione e crescita. La grande distribuzione è sostenuta da un settore all'ingrosso e manifatturiero forte e spesso oggetto di concentrazione. La pressione esercitata dai fornitori dominanti si ripercuote sui margini dei distributori e sulla competitività delle PMI che li riforniscono. È auspicabile che le conclusioni degli studi sul mercato della distribuzione che la Commissione europea (DG Mercato interno e servizi, DG Imprese e industria) prevede di realizzare nei prossimi anni si concentrino sulla lunghezza e sul numero di soggetti della catena di approvvigionamento, nonché sulla ripartizione dei margini in tutto il settore della distribuzione.

2.7   La crescita e i nuovi sviluppi della grande distribuzione, tra cui l'affermarsi di negozi specializzati nel settore dell'abbigliamento, hanno conseguenze importanti per le società, comprese le PMI e i lavoratori autonomi, nonché per i lavoratori dipendenti, i fornitori e i consumatori. Il presente parere d'iniziativa della CCMI passa in rassegna dati obiettivi sull'evoluzione della grande distribuzione negli ultimi cinque anni, concentrandosi sui grandi distributori europei, in particolare del settore grocery e dell'abbigliamento.

2.8   Panoramica della situazione attuale nel settore grocery e abbigliamento:

nel 2006 le vendite al dettaglio nel settore alimentare hanno raggiunto i 754 miliardi di euro (5), con un aumento in termini reali del 3,4 % rispetto al 2003. Si osserva che la Francia, il Regno Unito e la Germania rappresentano oltre il 65 % del totale delle vendite, mentre l'Italia, la Spagna e la Polonia contribuiscono con un ulteriore 30 %. Meno invece del 5 % della spesa totale riguarda Romania, Ungheria e Repubblica ceca considerate insieme,

i dati relativi alle vendite al dettaglio nel settore dell'abbigliamento sono più difficili da ottenere. Nel 2006 le vendite al dettaglio erano pari a 120 miliardi di euro, con un aumento in termini reali del 2,5 % rispetto al 2003. Quasi tutte le vendite al dettaglio sono state realizzate nel Regno Unito, in Germania, in Francia e in Italia. È tuttavia vero che su questo risultato può avere influito l'incompletezza dei dati relativi ai nuovi Stati membri,

i distributori con il più grande volume d'affari a livello nazionale operano nel settore alimentare. Il principale operatore, Tesco, è ampiamente in testa rispetto ai suoi rivali: le sue vendite del 2006 superano di 10 miliardi di euro quelle del secondo operatore che è Carrefour,

se si considerano in un'unica classifica i maggiori distributori del settore alimentare e dell'abbigliamento, la più grande società per l'abbigliamento (Marks and Spencers) figura soltanto al venticinquesimo posto,

numerosi grandi distributori classificati nel settore grocery vendono anche articoli di abbigliamento, tessili ed elettronici: non è pertanto corretto calcolare il loro fatturato soltanto sui generi alimentari,

dal 2003 vi è stato un aumento di oltre il 25 % nelle vendite della grande distribuzione nel settore alimentare sia in Italia che in Spagna. La grande distribuzione ha conosciuto una notevole crescita anche nella Repubblica ceca e in Romania (anche se quest'ultimo paese partiva da una base estremamente bassa),

nel settore dell'abbigliamento, la grande distribuzione è presente solo in tre dei nove mercati analizzati nello studio. I grandi distributori sia in Germania che nel Regno Unito hanno registrato una crescita costante delle vendite (del 5 % e del 3 % rispettivamente). L'unico grande distributore in Italia (il gruppo Benetton) ha registrato invece una diminuzione delle vendite in termini reali tra il 2003 e il 2006 (6).

2.9   Nell'insieme, il settore dei prodotti alimentari e delle bevande (grocery) sta oggi registrando l'aumento più rapido dei costi di base (materie prime) mai osservato da generazioni. A causa della maggiore prosperità globale, dei cattivi raccolti e dell'impatto che gli obiettivi stabiliti dai governi per gli agrocarburanti hanno sull'offerta, saranno soprattutto i prezzi dei cereali — che influiscono sulle diete di base e sull'alimentazione animale — a spingere i prezzi verso livelli finora sconosciuti, con tutte le conseguenze che ne derivano per i consumatori.

2.10   Oggi un paniere rappresentativo di prodotti è notevolmente più costoso rispetto agli anni scorsi, con grandi variazioni da uno Stato membro all'altro. I recenti aumenti dei prezzi delle materie prime potrebbero erodere tutti i profitti dei fornitori. Dato che i distributori operano con margini di profitto ancora più ridotti, gli aumenti dei prezzi alla cassa hanno un impatto sulle cifre dell'inflazione elaborate a livello istituzionale (dal Tesoro), che si riflettono rapidamente — attraverso le contrattazioni collettive — sulle retribuzioni dei lavoratori. L'inflazione dei prezzi allo scaffale, insieme agli attuali aumenti del prezzo del petrolio, si ripercuote su tutta la catena di approvvigionamento, compresi i consumatori, e contribuisce a creare uno scenario preoccupante per tutti.

2.11   Grazie alla forte concorrenza, i consumatori godono della libertà di scegliere fra diversi rivenditori al dettaglio. La distribuzione fa quindi tutto il possibile per ottimizzare l'efficienza e le economie di scala. L'espansione di molti fornitori è stata parallela allo sviluppo dei rivenditori, e dalle loro strategie possiamo trarre lezioni molto preziose.

La catena di approvvigionamento può essere lunga e tutti i suoi attori prelevano il loro margine: distribuzione, condizionamento dei prodotti, produzione secondaria, trasformazione e distribuzione all'ingrosso sia per il settore alimentare che per l'abbigliamento.

2.12   Il settore dell'abbigliamento in tutta Europa mostra una relativa stabilità dei prezzi, in particolare a causa della crescita lenta dell'economia dell'UE dovuta ai nuovi modelli di consumo, alla liberalizzazione del commercio internazionale, all'affermarsi della Cina come produttore leader dell'abbigliamento, e al crescente apprezzamento delle valute europee. Inoltre, la dinamica di mercato sta cambiando, in quanto i tradizionali supermercati di generi alimentari espandono le loro linee non alimentari — in particolare le linee di abbigliamento — e i negozi specializzati di piccole dimensioni e indipendenti cedono il posto a catene quali Zara ed H&M (7).

2.13   L'evoluzione della differenza tra gli indici di prezzo non riflette necessariamente l'evoluzione della forbice dei prezzi, cioè la differenza tra i livelli di prezzo (8). Si deve poi usare una certa cautela quanto alle conclusioni che si possono trarre da questa analisi. Le differenze nell'evoluzione dei prezzi non riflettono necessariamente quelle dei margini di profitto dei produttori e dei distributori. Ciò è dovuto al fatto che i prezzi dipendono da numerose altre variabili: variazioni dell'IVA (9), dei salari, dei prezzi delle importazioni, ovvero miglioramenti tecnici potrebbero essere all'origine della diminuzione o dell'aumento dei prezzi al consumo, a prescindere dal prezzo pagato ai produttori.

2.14   I distributori europei sono concordi nel ritenere che il consumo e la produzione sostenibili siano una sfida decisiva per il futuro. I distributori constatano quotidianamente l'evoluzione delle richieste dei loro clienti, il bisogno crescente di informazioni adeguate e accurate, la rapida introduzione di nuovi prodotti ecologici e l'affermarsi di processi della catena di approvvigionamento sempre più rispettosi dell'ambiente. In questo contesto, i distributori europei stanno proponendo volontariamente un Programma d'azione per lo sviluppo sostenibile (Sustainable Consumpion Action Programme) e un Programma di azione ambientale della distribuzione (Retailer Environmental Action Programme — REAP), collaborando strettamente nel contempo con la Commissione europea a favore degli obiettivi climatici previsti per il 2020.

3.   Ambiti da monitorare

3.1   In futuro, per dare una risposta alle preoccupazioni della società civile illustrate ai punti che seguono, il dibattito sui possibili meccanismi da applicare dovrebbe basarsi su procedure chiare e trasparenti per la denuncia delle cattive pratiche, fermo restando che in tutti i casi si devono produrre prove a sostegno dei reclami. Questo vale per tutte le parti interessate.

3.2   Gli Stati membri devono garantire livelli di concorrenza tali da assicurare uno sviluppo adeguato di tutte le forme di commercio, in maniera da recare benefici ai consumatori in termini di prezzi ridotti e varietà di scelta.

3.3   Nella loro applicazione a livello nazionale, le normative che promuovono le pratiche commerciali eque possono tener conto delle preferenze sociali locali, quali ad esempio gli orari di apertura o le questioni relative al lavoro. Le raccomandazioni del CESE su un codice volontario di buona condotta devono quindi essere concepite e applicate a livello di Stati membri, soprattutto perché la distribuzione è un mercato prevalentemente locale.

3.4   In vista dell'obiettivo «legiferare meglio» (10), l'UE ha adottato diverse riforme a favore della concorrenza, intese ad eliminare la legislazione restrittiva e in questa linea si inseriscono le raccomandazioni del CESE sull'autoregolamentazione da parte dell'industria. L'introduzione di un codice di condotta stabilito dai distributori a livello nazionale potrebbe essere interpretato come una collusione tra i distributori, cosa che in effetti sarebbe anticoncorrenziale. L'obiettivo dei poteri pubblici deve quindi essere quello di rivedere tali codici di condotta, in modo da migliorare la trasparenza e la due diligence sia dei distributori che dei fornitori, creando nel lungo termine maggiori benefici ai consumatori.

3.5   Le pratiche della distribuzione sono spesso messe in discussione. Per questo motivo il CESE raccomanda la conclusione di contratti tra distributori e fornitori e l'introduzione di un codice di buona condotta a livello nazionale (cfr. conclusioni e raccomandazioni): ciò consentirebbe di gestire i reclami in maniera più trasparente pur proteggendo gli interessi dei distributori e dei fornitori, prevedendo anche l'intervento, se necessario, di un mediatore.

3.6   La politica di concorrenza e le altre politiche di regolamentazione che riguardano il settore della distribuzione sono complementari alla politica commerciale. Sembra che una delle principali sfide consista nel trovare un equilibrio che consenta ai distributori di beneficiare delle economie di scala per l'approvvigionamento e il funzionamento, impedendo però loro di abusare del loro potere di mercato.

3.7   Un altro importante settore dove potrebbe essere applicato il codice di buona condotta sono le importazioni. Le importazioni di generi alimentari e di abbigliamento svolgono oggi un ruolo fondamentale nel contesto delle forze di mercato. La quota di generi alimentari importati è generalmente più elevata nei paesi occidentali, ma è in forte aumento anche in quelli dell'Europa orientale.

3.8   Nei paesi occidentali si osserva una penetrazione molto forte delle importazioni nel settore dell'abbigliamento (11). La percentuale è spesso superiore a 100 perché il valore totale delle esportazioni è superiore al valore totale della produzione, cosa che significa che alcuni beni sono importati e poi riesportati verso altri mercati.

4.   Addetti del settore della distribuzione

4.1   Visto il numero di persone che impiega, il settore al dettaglio è di vitale importanza per la strategia di Lisbona. La DG Occupazione, affari sociali e pari opportunità sta attualmente conducendo una ricerca che si propone di individuare le competenze emergenti e di studiare l'evoluzione delle qualifiche necessarie da qui al 2020 nel settore della distribuzione e, più in generale, del commercio. Uno studio analogo viene svolto sul settore tessile, dell'abbigliamento e degli articoli di pelletteria. Questi due studi fanno parte di un progetto che comprende 16 settori economici, accomunati dall'applicazione della stessa metodologia di previsione per individuare le qualifiche necessarie in futuro e studiare l'evoluzione dell'occupazione sulla base di diversi scenari possibili.

4.2   Dallo studio effettuato dalla London Economics risulta che il settore della grande distribuzione alimentare nel Regno Unito impiega circa 1,2 milioni di persone. Negli altri paesi il numero di addetti della grande distribuzione è nettamente più basso. In generale questo settore impiega più persone nell'Europa occidentale che in quella orientale. Dal 2003 il numero di addetti del settore è aumentato in tutti i paesi ad eccezione della Francia e della Repubblica ceca, dove è rimasto costante.

4.3   Nel settore della grande distribuzione l'occupazione è ripartita in maniera molto diversa nei vari paesi europei., La grande distribuzione impiega nel settore dell'alimentazione e dei grandi magazzini oltre il 75 % dei propri dipendenti nel Regno Unito, oltre il 60 % in Germania, il 20 % in Polonia e meno del 5 % in Romania.

4.4   In genere, la presenza delle donne nel settore della distribuzione, all'ingrosso e al dettaglio, è più elevata della loro percentuale rispetto al totale della forza lavoro europea. Tale differenza è però molto più marcata nei 10 nuovi Stati membri che in quelli dell'UE-15. L'unica eccezione è rappresentata dalla Francia, dove la percentuale di donne che lavorano nel settore della distribuzione è inferiore al dato per l'intero sistema economico.

4.5   Tra gli Stati membri si osservano alcune differenze interessanti per quanto riguarda la distribuzione per età. Il Regno Unito, ad esempio, ha una quota molto più elevata di lavoratori giovani (sotto i 25 anni) rispetto a tutti gli altri paesi, ma anche la quota più elevata di lavoratori di età superiore ai 65 anni (anche se si tratta comunque di un numero limitato di persone). L'Italia, la Repubblica ceca e l'Ungheria hanno meno lavoratori giovani ma più lavoratori di età compresa tra i 25 e i 49 anni.

4.6   Nel settore delle vendite all'ingrosso e della distribuzione il lavoro a tempo parziale è più frequente rispetto al dato globale dell'economia europea, ma anche qui esistono forti differenze tra i paesi e tra l'UE-15 e i 10 nuovi Stati membri.

Bruxelles, 3 dicembre 2008

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI

Il Segretario generale del Comitato economico e sociale europeo

Martin WESTLAKE


(1)  The evolution of the high-volume retail sector in Europe over the past 5 years (L'evoluzione della grande distribuzione in Europa negli ultimi 5 anni), CESE-CCMI, studio elaborato da London Economics.

(2)  Studio della commissione sulla concorrenza del Regno Unito sul mercato grocery (generi alimentari e di drogheria):

http://www.competition-commission.org.uk/inquiries/ref2006/grocery/index.htm. La pubblicazione della versione definitiva è prevista per il secondo semestre 2008.

Studio dell'autorità federale austriaca responsabile della concorrenza sul potere d'acquisto dei supermercati: http://www.bwb.gv.at/BWB/English/groceries_sector_inquiry.htm.

(3)  Cfr. nota 1.

(4)  I) Impact of Textiles and Clothing Sectors Liberalisation on Prices (Impatto della liberalizzazione del settore tessile e dell'abbigliamento sui prezzi), Istituto di economia mondiale dell'Università di Kiel, Germania, e Commissione europea, DG Commercio. Relazione finale: 18 aprile 2007, http://trade.ec.europa.eu/doclib/docs/2007/june/tradoc_134778.pdf;

II) Business relations in the EU Clothing Chain: from industry to retail and distribution (Relazioni commerciali nella filiera dell'abbigliamento dell'UE: dall'industria alla vendita e alla distribuzione) Università Bocconi, e ESSEC Business School, Baker McKenzie. Relazione finale: ottobre 2007, http://ec.europa.eu/enterprise/textile/documents/clothing_study_oct_2007.pdf.

(5)  Le vendite che i distributori hanno realizzato via Internet sono incluse nelle cifre relative alle vendite totali e non sono state trattate separatamente in questo documento, in quanto i dati indicano che le vendite di questo tipo si stanno diffondendo, ma costituiscono solo l'1-2 % delle vendite di grocery nel Regno Unito.

(6)  London Economics, relazione intermedia: The Evolution of the High Volume Retail Sector in Europe over the past 5 years (L'evoluzione della grande distribuzione in Europa negli ultimi cinque anni), febbraio 2008.

(7)  Università Bocconi: Business Relations in the EU clothing chain (Relazioni di mercato nel settore dell'abbigliamento in Europa), ottobre 2007 http://ec.europa.eu/enterprise/textile/documents/clothing_study_oct_2007.pdf.

(8)  Ad esempio, se il prezzo al produttore è 100 e il prezzo al consumo è 200, un aumento del 10 % su entrambi i prezzi non significa che il margine resti costante. A causa della forbice, il margine passerebbe da 100 (200-100) a 110 (220-110).

(9)  «I prezzi misurati sono quelli effettivamente sostenuti dai consumatori: ad esempio, comprendono le imposte sui prodotti come l’imposta sul valore aggiunto e rispecchiano i prezzi pagati in occasione dei saldi di fine stagione». In Indici dei prezzi al consumo armonizzati — Breve guida per gli utenti, Eurostat, marzo 2004.

(10)  http://ec.europa.eu/governance/better_regulation/index_en.htm.

(11)  Il settore dell'abbigliamento viene definito come «Confezione di articoli di vestiario; preparazione e tintura di pellicce».


28.7.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 175/63


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema «Trasformazioni industriali, sviluppo del territorio e responsabilità delle imprese»

(2009/C 175/11)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 gennaio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Trasformazioni industriali, sviluppo del territorio e responsabilità delle imprese.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 18 novembre 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore PEZZINI e dal correlatore GAY.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 3 dicembre 2008, nel corso della 449a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 168 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato ritiene fondamentale, nel quadro delle strategie di Lisbona e di Göteborg, il rilancio dei sistemi territoriali locali, intesi come insiemi organici di strutture, infrastrutture e soggetti pubblici e privati tesi a coniugare in una visione comune di sviluppo ancorato al territorio livelli avanzati di benessere e di competitività, con responsabilità sociali ed ambientali diffuse. In sostanza si tratta di un processo che individua, in ogni luogo, il risultato di una serie di interazioni.

1.2   Il CESE chiede, con convinzione, un'iniziativa comunitaria sullo sviluppo del«territorio socialmente responsabile» (TSR). Il TSR può essere definito come l'unione tra gli obiettivi della democrazia di prossimità e quelli della responsabilizzazione delle amministrazioni e di tutti i soggetti pubblici e privati verso un approccio strategico integrato di valorizzazione competitiva delle specificità territoriali.

1.3   Il Comitato chiede che all'iniziativa TSR si accompagni il varo di un programma d'azione europeo volto a:

promuovere l'inserimento della dimensione territoriale nelle politiche comunitarie, specie nell'ambito delle strategie di Lisbona e di Göteborg,

sostenere l'integrazione nelle politiche nazionali, regionali e locali delle priorità definite nell'agenda territoriale e nella Carta di Lipsia,

incoraggiare e cofinanziare esercizi di foresight territoriale partecipato, per avviare visioni comuni di sviluppo territoriale socialmente responsabile,

avviare reti d'eccellenza territoriale e gruppi europei di cooperazione su questo tema.

1.4   Il CESE auspica che, nel dar seguito all'iniziativa comunitaria TSR (1) ed al relativo programma d'azione:

la Comunità europea diminuisca sensibilmente i carichi amministrativi e burocratici sugli attori economici e sociali territoriali, semplificando contenuti e procedure dell'Unione e applicando il «metodo di coordinamento aperto»,

gli Stati membri applichino in maniera omogenea le disposizioni comunitarie, in modo da preservare l'unicità del mercato interno europeo,

le autorità regionali/locali sappiano coinvolgere pienamente gli attori economici e sociali e sviluppino strategie di compatibilità tra cooperazione, innovazione e concorrenza,

il settore privato sviluppi un dialogo sociale, costruttivo e allargato alla società civile, intorno a visioni comuni, anticipatrici delle trasformazioni industriali.

1.5   Il Comitato sostiene con forza lo sviluppo di una democrazia di prossimità, che sappia coinvolgere i responsabili politici, economici e sociali presenti sul territorio nelle azioni volte al miglioramento della qualità della vita e intese a stimolare lo sviluppo economico e sociale competitivo e sostenibile dei territori dell'Unione.

1.6   Secondo il Comitato, occorre investire massicciamente nello sviluppo di una cultura condivisa innovativo-partecipativa: la domanda di valori democratici deve venire dall'insieme della società territoriale interessata e da un gran numero di attori e di istituzioni che rappresentino gli interessi dei vari settori di attività. In questo quadro l'impresa assume la connotazione di una comunità che genera ricchezza per lo sviluppo di una società migliore, nel territorio.

1.7   A tale proposito, il Comitato auspica che si attuino rapidamente le dichiarazioni del Consiglio europeo del 13 e 14 marzo 2008 sull'importanza, da un lato, del ruolo del livello locale e regionale nel creare crescita e occupazione e, dall'altro, dello sviluppo di capacità di governo del territorio tra tutte le componenti politiche, economiche e sociali a livello locale o regionale.

1.8   Il Comitato è altresì convinto che occorra fare dell'Europa un polo d'eccellenza in materia di sviluppo del TSR  (2): mutuando dalle positive esperienze di EMAS e della responsabilità sociale delle imprese (RSI) ed allargando allo stesso tempo il quadro di riferimento alla dimensione territoriale, ci si prefigge di assicurare che il patrimonio comune di responsabilità sia un elemento stabile della componente imprenditoriale. Questa deve beneficiare dei sistemi di rete e di cluster e deve essere pienamente coinvolta nel processo macroeconomico di sviluppo strategico territoriale.

1.9   Il Comitato ritiene, in particolare, che la componente della micro- e piccola impresa e la vasta e significativa esperienza dell'economia sociale dovrebbero poter beneficiare di assistenza e di expertise e di un migliore accesso al credito e al microcredito, con l'obiettivo di sviluppare una gestione aziendale rispettosa dell'ambiente, del territorio e dei suoi abitanti.

1.10   A parere del CESE, l'iniziativa comunitaria TSR ed il suo piano d'azione dovrebbero, allo stesso tempo, promuovere un dialogo sociale strutturato sul territorio e incoraggiare dei gemellaggi tra istituzionali locali, in particolare a livello transfrontaliero. L'obiettivo è quello di ottenere, grazie a partenariati più forti, un rafforzamento globale del capacity building, delle conoscenze e dei risultati da parte di collettività territoriali che si esprimono a livelli di competenze differenti e si trovano spesso in condizioni di concorrenza reciproca.

1.11   Il Comitato sottolinea infine l’importanza che sistemi di governance multilivello assicurino livelli avanzati di coordinamento per non dividere a livello locale quello che il mercato unico ha unito, evitando una frammentazione e discriminazione territoriale che renderebbe ancora più fragile l’economia europea sui mercati globali.

2.   Introduzione

2.1   In occasione della conferenza del 4 marzo 2008, organizzata della presidenza del Consiglio UE sul dialogo territoriale, è stato indicato come priorità, nell'ambito della politica di coesione, il ruolo delle comunità locali e regionali nel raggiungimento degli obiettivi della strategia di Lisbona riveduta.

2.2   Con il presente parere il Comitato intende individuare le interrelazioni tra territorio e attori politici, economici e sociali, nell'ottica dell'attuazione della strategia di Lisbona e dello sviluppo di un'economia della conoscenza competitiva, sul mercato interno e su quello globale.

2.3   Il punto di partenza si focalizza sul miglioramento delle visioni anticipatrici dei cambiamenti economici, sociali e ambientali, sul rafforzamento dell'organizzazione di quanti concorrono alla realizzazione di un «territorio socialmente responsabile» (TSR) (3) e sull'individuazione delle responsabilità delle imprese, delle amministrazioni, delle parti sociali e di tutti i soggetti coinvolti nella valorizzazione della competitività del territorio, orientato verso un modello sociale europeo dinamico, solidale e coeso (4).

L'economia territoriale, a seconda della sua composizione, può essere più o meno esposta alla concorrenza economica internazionale. D'altronde, l'indicatore del PIL (o del suo valore aggiunto) non riflette più il livello di ricchezza di un territorio, e questo per i due motivi indicati in appresso. In questo contesto il Comitato accoglie con favore la recente pubblicazione da parte della Commissione europea del Libro verde sulla coesione territoriale — Fare della diversità territoriale un punto di forza  (5), che sarà oggetto di un parere a sé stante.

2.4.1   I due motivi sono i seguenti: Innanzitutto, i redditi da lavoro e i redditi da capitale distribuiti e il gettito fiscale generato dalle forze produttive rivolte al mercato non sono allocati unicamente al territorio in cui sono creati, ma si verifica l'«esportazione» di alcune risorse.

2.4.2   In secondo luogo, e soprattutto, i territori dipendono da risorse diverse da quelle provenienti dalle forze produttive (salari del pubblico impiego, vitalizi, pensioni, introiti generati dal turismo, redditi di persone che lavorano altrove, prestazioni sociali diverse dalle pensioni, ecc.).

La gamma di strumenti gestionali, di supporto a politiche e programmi di sviluppo sostenibile da parte di enti di governo e di imprese, è sempre più ampia e circostanziata e si basa su:

2.5.1   norme

direttive e regolamenti in materia ambientale,

sistemi di gestione ambientale,

la certificazione ISO 14000 e gli orientamenti ISO 26000,

le BS OHSAS 18001/2007, ossia le norme sulla sicurezza nei luoghi di lavoro,

il regolamento EMAS,

l'audit sociale (SA8000),

i green purchasing e gli appalti «verdi»,

le analisi del ciclo di vita dei prodotti,

le politiche integrate di prodotto;

2.5.2   strutture

i cluster, i distretti industriali, i poli di competitività o di eccellenza e i parchi tecnologici,

i piani di azione di Agenda 21 locale,

osservatori regionali/locali sugli impatti territoriali dello sviluppo,

i club imprenditoriali locali,

il sostegno alla governance territoriale del Fondo sociale europeo,

i Gruppi europei di cooperazione territoriale — GECT, nuovi strumenti previsti dal regolamento (CE) n. 1082/2006 del 5 luglio 2006 (6);

le piattaforme di analisi e di prospettiva — foresight,

il partenariato pubblico privato (PPP);

2.5.3   accordi

le iniziative di «flessicurezza» (7),

la responsabilità sociale dell'impresa — RSI,

il dialogo sociale territoriale strutturato,

il bilancio/contabilità ambientale,

il reporting sulla sostenibilità,

gli strumenti di pianificazione e di programmazione territoriale,

i bilanci ambientali territoriali,

gli accordi socio-economici territoriali (patti territoriali, accordi di programma…),

le zone economiche speciali, nei limiti ammessi dalla politica della concorrenza (8).

2.6   Il Comitato ritiene indispensabile rafforzare il consolidamento, l’integrazione ed il coordinamento dell'applicazione di questi strumenti normativi, regolamentari e volontari, al fine di coordinare i vari obiettivi e i diversi livelli di partecipazione per raggiungere risultati efficaci, efficienti e partecipati.

2.7   La coesione territoriale, alla luce della Carta di Lipsia (9) e dell'agenda territoriale dell'Unione europea del 2007, sulla quale il Comitato ha avuto modo di pronunciarsi (10), ha acquisito sempre maggior peso, con l'obiettivo di:

coinvolgere maggiormente gli attori rappresentativi delle realtà locali,

coniugare lo sviluppo equilibrato e sostenibile con l'esigenza di innalzare il livello di competitività dell'Europa, attraverso investimenti nelle aree a più elevato potenziale di crescita,

raggiungere sinergie e complementarietà tra le politiche comunitarie,

elaborare migliori meccanismi di governance  (11).

2.8   L'agenda territoriale costituisce un inquadramento strategico per orientare le politiche di sviluppo territoriale, attraverso l'attuazione delle strategie di Lisbona e di Göteborg.

2.9   Il Comitato, nel suo parere sulla governance territoriale delle trasformazioni industriali (12), ha evidenziato come «la valorizzazione dell'identità territoriale si basi su di un amalgama di adesione, riconoscimento ed empatia verso un insieme di valori comuni, in un quadro di visione prospettica condivisa». Ha inoltre insistito su un approccio territoriale integrato (ATI) e su una strategia di governance a favore dello sviluppo di un «territorio socialmente responsabile» (TSR). Secondo il CESE, tale strategia dovrà agire in particolare tramite:

miglioramenti costanti delle qualità e capacità per quanto riguarda le conoscenze, le competenze e l'innovazione del sistema produttivo territoriale,

lo sviluppo di strutture territoriali a rete per il settore pubblico e privato,

livelli elevati di sostenibilità ambientale e sociale dello sviluppo,

circuiti efficienti e consolidati di creazione, diffusione e circolazione della conoscenza, dell'informazione e della formazione permanente,

elaborazione di «bilanci sociali territoriali»,

analisi comparate dei sistemi territoriali sostenibili, da parte degli stessi attori sociali.

Tali iniziative, oltre a richiedere un elevato grado di coordinamento per assicurare sinergie ed evitare sovrapposizioni o incongruenze, esigono da parte delle autorità locali, regionali e nazionali ed europee:

strutture educative e formative avanzate, orientate a rispondere funzionalmente alle esigenze dello sviluppo economico basato sulla conoscenza e sulla competitività,

azioni di capacity building istituzionale e associativo e di dialogo sociale,

una politica integrata del territorio che sappia valorizzare la potenzialità dello sviluppo locale, rafforzando le facoltà di adattamento all'innovazione e di anticipazione,

un dialogo sociale consolidato a livello regionale/locale (13), quale strumento chiave per massimizzare i benefici che si possono trarre dalle visioni anticipative delle trasformazioni industriali e di mercato, nonché dai flussi di istruzione e formazione delle risorse umane,

la promozione dell'impegno sociale delle imprese, con l'adozione volontaria della RSI come contributo delle imprese allo sviluppo sostenibile,

il miglioramento del sistema di governance integrata multilivello del «territorio socialmente responsabile» (14), definito come territorio che riesce a coniugare sufficienti livelli di benessere con i doveri che fanno parte della responsabilità sociale.

2.10.1   In tale processo si rafforzano inoltre le competenze e le capacità dei decisori politici/amministrativi, per assicurare le condizioni di certezza necessarie per attirare gli investimenti sostenibili sul loro territorio e per far nascere le micro- e le piccole imprese, in un quadro di sviluppo duraturo.

Il Comitato ha dato molta importanza al processo che può portare un territorio a definirsi come «territorio socialmente responsabile» (TSR) (15).

2.11.1   Questo avviene se il territorio riesce ad integrare in una logica di democrazia partecipativa le considerazioni sociali e ambientali nelle decisioni economiche, i modelli e i valori per il rilancio della competitività, le buone pratiche e il confronto continuo tra i portatori di interesse, per aumentare l'innovazione e la competitività.

3.   La «democrazia di prossimità» per uno sviluppo competitivo e sostenibile

3.1   Per migliorare la qualità della vita e lo sviluppo economico e sociale competitivo e sostenibile dei territori dell'Unione, il CESE ritiene necessario sviluppare una democrazia di prossimità, che sappia coinvolgere i responsabili politici, economici e sociali presenti sul territorio. Questa democrazia va costruita in maniera concertata dai diversi attori pubblici e privati sulla base dei punti di forza e di debolezza dei territori dell'UE e delle prospettive di crescita delle imprese e dell'occupazione.

3.2   La democrazia di prossimità, quale pilastro fondamentale della governance europea, riveste forme e modalità che variano molto nei diversi contesti nazionali, ma i cui elementi fondanti dovrebbero essere:

un processo di coordinamento di attori, di gruppi sociali, di istituzioni, per raggiungere obiettivi convenuti all'interno di contesti di dialogo strutturato e di responsabilità individuali e congiunte tra le parti sociali e, in particolare, con le rappresentanze dei lavoratori e con i club delle imprese,

applicazione dei principi di sussidiarietà, di coesione territoriale e di democrazia partecipativa, come stabilito dal Trattato di Lisbona,

articolazione armonica della struttura di governance multilivello , per garantire, da un lato, la coerenza tra i livelli decisionali più prossimi al cittadino e, dall'altro, quella delle responsabilità politiche, economiche, sociali e ambientali più rappresentative delle competenze e delle identità territoriali, nel rispetto dei quadri di coerenza nazionali ed europei, con un approccio aperto, cooperativo e coordinato e l'obiettivo dell'interazione sinergica dei vari livelli,

sviluppo di una learning community territoriale, basato sulla capacità di autovalutazione e di correzione continua degli obiettivi e delle strategie di sviluppo locale e sul rafforzamento di una cultura dell'innovazione diffusa e pervasiva,

sviluppo di una visione anticipatoria, congiunta e condivisa, sul posizionamento relativo dell'economia e della società locale per:

individuare le «risorse specifiche» del territorio,

valutare le sfide e le minacce della competizione di altri territori,

prendere in esame le opportunità di inserimento sui mercati nazionali e internazionali,

cercare i metodi e i mezzi atti a risolvere problemi specifici del territorio a partire dalle capacità professionali locali,

proiettare scelte volte a valorizzare azioni di economia competitiva,

promozione della creazione e valorizzazione di consigli economici e sociali territoriali o di strumenti analoghi (16) — già operanti in alcuni Stati membri — quali interlocutori istituzionali del processo decisionale e di intervento a livello di territorio, con diritto d'iniziativa e di verifica delle azioni realizzate,

adozione di strumenti avanzati di gestione territoriale partecipata, quali l'e-government, le analisi SWOT (17) partecipate, gli esercizi di foresight partecipativi (18), la generalizzazione dei meccanismi EMAS (19) applicati al pubblico e al privato, l'adozione di standard di responsabilità sociale d'impresa, tecniche di benchmarking, scoreboard di coordinamento aperto, sistemi a rete distrettuali e interdistrettuali (20), sistemi distribuiti d'apprendimento su base web,

ruolo attivo delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura, delle federazioni professionali e delle organizzazioni dei consumatori,

stimolo culturale delle eccellenze formative universitarie e ottimizzazione del rapporto industria/accademia.

3.3   Lo sviluppo territoriale implica una piena applicazione della democrazia di prossimità ma altresì una governance locale strutturata per gestire lo sviluppo (21).

3.4   Una buona governance territoriale deve innanzitutto impegnarsi per favorire e sviluppare ogni forma di cooperazione e ogni processo di partenariato decisamente vincente al livello sia delle relazioni tra le imprese sia delle singole imprese e degli altri soggetti collettivi.

3.5   La governance democratica territoriale é un processo decisionale inclusivo decentralizzato, che deve basarsi, a parere del CESE, su principi di trasparenza e di responsabilità e su un approccio partecipativo teso all'analisi, all'elaborazione, all'applicazione e alla gestione di una visione strategica comune di sviluppo a medio-lungo termine.

3.6   In un sistema di partenariato multilivello è indispensabile, a parere del Comitato, una coniugazione ottimale dei processi bottom-up e di quelli top-down: il trade-off tra i due processi è infatti condizione indispensabile per il successo.

3.7   Secondo il Comitato occorre investire grandemente nello sviluppo di una cultura innovativo-partecipativa, perché la domanda di valori democratici deve venire dall'insieme della società territoriale interessata e da un gran numero di attori e istituzioni rappresentanti gli interessi dei vari settori.

Il Comitato é convinto che la valorizzazione dei territori dell'Unione passi attraverso l'ottimizzazione del loro potenziale specifico, grazie a strategie di sviluppo efficaci e sostenibili, basate sul concetto di «territorio socialmente responsabile».

3.8.1   Il Comitato ribadisce quanto espresso in un suo recente parere in proposito (22).

4.   L’impegno a livello comunitario verso la realizzazione di un «territorio socialmente responsabile»

Il CESE chiede con convinzione un'iniziativa comunitaria sullo sviluppo del«territorio socialmente responsabile» (TSR), che riunisca gli obiettivi della democrazia di prossimità, del rafforzamento di una cultura partecipativa e innovativa diffusa, di una governance territoriale efficiente e coerente con il quadro nazionale e comunitario dell'agenda di Lisbona, di un partenariato multi-attori e multi-settori in grado di rafforzare l'attrattività e la competitività del proprio territorio sul mercato globale, anticipando le mutazioni industriali e valorizzando il capitale sociale locale.

4.1.1   Compito primario dell'iniziativa TSR è quello di assicurare coordinamento e coerenza tra le azioni ai vari livelli: europeo, nazionale, regionale e locale.

4.2   Secondo il Comitato, all'iniziativa TSR, dovrebbe accompagnarsi il varo di un vero e proprio programma d'azione europeo volto a:

promuovere l'inserimento della dimensione territoriale nelle politiche comunitarie,

sostenere l'integrazione delle priorità definite nell'agenda territoriale e nella Carta di Lipsia,

incoraggiare e cofinanziare il ricorso ad esercizi di foresight territoriale partecipato,

introdurre progressivamente il metodo di coordinamento aperto e sostegni alla realizzazione di strumenti di democrazia di prossimità,

monitorare unitariamente e coordinare l'attuazione coerente dei vari strumenti comunitari di cooperazione territoriale, in particolare del GECT (23),

costituire presso la Commissione una unità di coordinamento interservizi per lo sviluppo territoriale, con il compito di formulare ed attuare una strategia della informazione e comunicazione sul TSR,

sviluppare l'uso degli strumenti di valutazione d'impatto territoriale prima e dopo l'adozione di misure applicate sul territorio, specie per le PMI,

cofinanziare azioni di formazione e di capacity building degli attori pubblici e privati sul territorio per lo sviluppo delle azioni di TSR,

promuovere un dialogo sociale strutturato sul territorio, un «marchio di qualità TSR 21»

promuovere e sostenere la costituzione e lo sviluppo di Euroregioni (24),

sostenere lo sviluppo dei distretti (e «meta-distretti» (25)) e delle reti dei distretti per la valorizzazione delle piccole e medie imprese sul mercato europeo e su quello globale.

4.3   L'impegno europeo per un’iniziativa TSRaccompagnata dal programma d'azione — deve, secondo il CESE, riunire e coordinare gli strumenti volontari e regolamentari di cui al punto 2.7 in un sistema coerente, dove la responsabilità delle imprese di tutti i settori — incluso quello finanziario e la componente pubblica locale — è essenziale per raggiungere gli obiettivi della strategia locale della crescita e dell'occupazione nell’ambito delle strategie nazionali ed europea.

La RSI  (26) deve, a parere del Comitato, essere collocata in tale contesto, come componente volontaria di coordinamento aperto facilitata e stimolata, specie per le micro- e le piccole imprese, che costituiscono il tessuto portante dello sviluppo locale, dal contesto partecipativo e di visione comune e condivisa.

4.4.1   L'iniziativa TSR deve saper sviluppare valori etici e personali diffusi di una cultura partecipativa pro-innovazione intorno ad un'identità comune, che non deve essere patrimonio esclusivo dell'imprenditore ma presente ed attiva in tutte le componenti pubbliche e private del sistema territoriale e delle reti e cluster/distretti regionali e interregionali di riferimento.

4.5   La learning community territoriale deve potersi avvalere di strutture e infrastrutture telematiche interattive ed interoperative, a partire dall'e-government e dalla piattaforma IDABC (27) che mira a fornire servizi amministrativi paneuropei on line alle amministrazioni pubbliche, alle imprese e ai cittadini con l'obiettivo di migliorare l'efficienza delle amministrazioni pubbliche europee e la collaborazione fra di loro e con la società civile organizzata.

Il Comitato è convinto che occorra fare dell'Europa un polo d'eccellenza in materia di sviluppo del TSR, mutuando anche dalle positive esperienze di EMAS e RSI, ma allargando il quadro di riferimento alla dimensione territoriale.

4.6.1   Il processo di sviluppo strategico territoriale, per essere efficace, dovrebbe prescindere dai fattori politici di rinnovo elettorale delle collettività territoriali ma interagire con tutte le componenti politiche di governo e di opposizione del territorio e costituire un patrimonio di continuità nella responsabilità comune del cittadino elettore e/o eletto.

La componente della micro- e piccola impresa dovrebbe poter beneficiare di assistenza e di expertise per favorire, con linguaggi e procedure semplici, ma anche con un migliore accesso al credito e al microcredito, una gestione aziendale rispettosa dell'ambiente, del territorio e del suo capitale sociale.

4.7.1   Le imprese dell'economia sociale sono chiamate, altresì, a contribuire allo sviluppo del territorio socialmente responsabile, poiché favoriscono la coesione sociale e la sostenibilità, ripartiscono i benefici tra i propri membri e si ispirano a una gestione partecipativa e democratica.

4.8   Il sistema educativo, universitario e della ricerca locale dovrebbe essere messo in reti di eccellenza e di competenze regionali ed interregionali europee — come previsto anche nel programma Capacità del 7PQ per realizzare azioni di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione (RST&D) e dal programma Istruzione 2010 — così da poter assicurare al sistema locale gli opportuni talenti e le qualifiche necessarie al successo della strategia di sviluppo territoriale, elementi questi che sono difficilmente reperibili da parte dell'impresa minore.

4.9   Secondo il CESE, l'iniziativa comunitaria TSR dovrebbe promuovere altresì un dialogo sociale strutturato sul territorio, così come dei gemellaggi istituzionali locali, per promuovere partenariati più forti di capacity building tra collettività territoriali a livelli di performance differenti, e favorire il lancio di una nuova Carta TSR 21, quale strumento di rafforzamento dell'armonizzazione e dell'efficacia TSR.

4.10   Infine, il CESE chiede che, nell'iniziativa comunitaria TSR, venga compresa un'azione di valutazione, benchmarking e monitoraggio oltre alla creazione di una banca dati sui redditi pro capite a livello territoriale e l'elaborazione di una relazione biennale da presentare al Parlamento, al Consiglio e al Comitato.

5.   L’impegno delle autorità pubbliche nazionali

5.1   Gli Stati membri dovrebbero applicare in maniera omogenea le disposizioni, in modo da preservare l'unicità del mercato interno europeo, con meccanismi di sostegno e di disincentivazione. Le autorità pubbliche nazionali dovrebbero tra l'altro:

operare per eliminare carichi burocratici inutili e semplificare strutture e meccanismi procedurali, per liberare risorse per l’occupazione e lo sviluppo sostenibile e competitivo,

concordare in modo partecipato e consensuale e con l'apporto diretto delle parti sociali e dei rappresentanti della società civile organizzata, un quadro strategico generale di riferimento per lo sviluppo nazionale delle politiche del territorio socialmente responsabile,

rafforzare i quadri di coordinamento e di decentralizzazione del settore pubblico che individuino ruoli e responsabilità di governance a livello centrale, regionale e locale,

definire le linee di politica di decentramento fiscale che comprendano le modalità di trasferimento tra i vali livelli di governance, come già in precedenza indicato dal Comitato (28),

migliorare e rafforzare l’azione degli organismi di gestione e coordinamento del processo di decentralizzazione e di governance a livello locale,

stabilire linee di bilancio per lo sviluppo di risorse umane dedicate e per il cofinanziamento di programmi di formazione, creazioni di reti, supporti telematici interoperabili su scala nazionale ed europea,

assicurare coerenza nell'applicazione nazionale degli strumenti di Interreg IV e del regolamento GECT, come organismo a carattere transfrontaliero, consentendo la partecipazione degli Stati, a fianco delle autorità locali e regionali, a tali entità di cooperazione territoriale dotate di personalità giuridica di diritto comunitario,

sviluppare un nuovo partenariato tra città e campagna favorendo approcci integrati su scala regionale promuovendo una parità d'accesso alle infrastrutture ed alla conoscenza,

promuovere cluster regionali transnazionali competitivi e innovativi, il rafforzamento delle reti tecnologiche transeuropee, la gestione transeuropea dei rischi, il rafforzamento dello sviluppo urbano policentrico, lo sviluppo delle strutture ecologiche e delle risorse culturali,

assicurare coerenza e coordinamento nella dimensione territoriale delle politiche settoriali, evitando misure settoriali conflittuali che possono generare inefficienze e rivelarsi totalmente inefficaci ed ostative sul territorio; sviluppare strumenti di valutazione d'impatto territoriale (Territorial Impact Assessment — TIA ) con un uso appropriato dell'Environmental Impact Assessment (EIA)  (29) e dello Strategic Environmental Assessment (SEA)  (30).

5.2   Le autorità pubbliche regionali dovrebbero:

associare le forze economiche e sociali a monte dell'elaborazione dei progetti strategici di sviluppo territoriale,

sviluppare sistemi educativi, università e scuole d’eccellenza, essenziali per lo sviluppo economico e sociale del TSR,

introdurre sempre più nella scelta degli investimenti pubblici e nella gestione dei servizi di interesse generale (SIG) criteri di costo-efficacia, qualità, sviluppo sostenibile,

procedere a valutazioni periodiche dei piani di investimenti pubblici,

assicurarsi prima del lancio dei progetti di investimenti pubblici che il piano di finanziamento sia garantito nella sua totalità, per quanto riguarda sia gli importi che le scadenze,

assicurare che gli aiuti esterni per il finanziamento del progetto di investimenti pubblici siano effettivamente utilizzati entro i termini previsti,

assicurarsi altresì che sul territorio esista un tessuto vitale di PMI, un tipo di imprese capaci di garantire il collegamento tra zone urbane, periurbane e rurali, preservando in queste ultime occupazione, reddito, popolazione e risorse fiscali,

favorire il reinvestimento dei capitali e dei profitti al livello locale per la creazione di borse di progetti, l'acquisizione di imprese locali e di strumenti finanziari regionali per lo sviluppo di capitali e di capitale di rischio, senza pregiudicare il mercato unico,

non allontanare troppo dal territorio che lo genera (trasferendolo a livelli sovraterritoriali) il gettito fiscale prodotto dalle imprese, senza nuocere alle necessità ridistributive del sistema di solidarietà impositiva,

aggiornare i rappresentanti politici locali in merito ai meccanismi attuali della pianificazione territoriale, rivolti ai servizi di interesse generale e alle infrastrutture di sostegno all'economia, per una gestione moderna dello sviluppo sostenibile delle imprese.

5.3   Lo scambio di buone pratiche e le reti interregionali dovrebbero essere oggetto di azioni prioritarie da parte delle autorità regionali/locali, unitamente all'attuazione di meccanismi di foresight appropriati per definire una visione comune e condivisa.

6.   L’impegno delle imprese: per un'impresa responsabile verso il suo territorio

6.1   Secondo il CESE occorre, che le imprese, evitando ulteriori gravami burocratici e procedurali, contribuiscano al rilancio del sistema territoriale, di cui sono motore e parte integrante:

fare attività di reporting delle buone pratiche dell'impresa in materia sociale, ambientale, territoriale (o societale), e mettere in opera strumenti atti a identificare i livelli di responsabilità sociale d'impresa.

incoraggiare le competenze umane all'interno dell'impresa e attorno ad essa, creando posti di lavoro e formando il personale o i futuri dipendenti,

comunicare con i propri dipendenti per informarli adeguatamente in merito alla strategia dell'impresa e ai suoi progetti, in particolare in materia di occupazione e di formazione,

cooperare con il mondo economico locale per creare sul territorio un potenziale di crescita sostenibile fondata su relazioni commerciali interaziendali sane e all'insegna della fiducia,

garantire, se possibile, il trasferimento di tecnologie verso le imprese locali, in particolare verso le PMI, al fine di assicurare il rinnovamento del territorio in termini di progresso tecnologico e di qualificazione di alto livello del personale,

impegnarsi in modo proattivo nelle attività di sviluppo scientifico e tecnologico del territorio per integrarvi conoscenze e competenze, in cooperazione con gli istituti di ricerca e le università, nonché con le altre imprese e gli organismi professionali locali,

incoraggiare i fornitori e i subappaltatori ad adottare gli stessi principi di cooperazione con le autorità locali e a rispettare le stesse regole di gestione sociale, ambientale e territoriale nelle loro imprese,

instaurare (e questo vale in particolare per le imprese di maggiori dimensioni) dei legami con le parti interessate (gli enti locali e il pubblico) per discutere e progredire nella soluzione delle sfide e dei problemi incontrati dalle imprese, sotto il profilo sia tecnologico che commerciale e sociale.

7.   Realizzazioni sul terreno: esempi virtuosi

7.1   Varie iniziative e politiche europee sono state poste in essere per affrontare la sfida di uno sviluppo socialmente responsabile del territorio nell'Unione europea e per aumentare la visibilità positiva della dimensione territoriale nelle politiche comunitarie. Alcuni esempi di tali iniziative sono consultabili sul sito web della CCMI ((http://www.eesc.europa.eu/sections/ccmi/index_fr.asp) che contiene anche informazioni su un'audizione svoltasi a Lille il 25 settembre in preparazione del presente parere (cfr. la relativa rubrica).

Bruxelles, 3 dicembre 2008

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI

Il Segretario generale del Comitato economico e sociale europeo

Martin WESTLAKE


(1)  Cfr. punto 1.2.

(2)  Ibidem.

(3)  Cfr. punto 1.2.

(4)  «Il modello sociale europeo deve trasmettere l'idea di una zona di benessere democratica, rispettosa dell'ambiente, competitiva e solidale, e in grado di assicurare l'integrazione sociale a tutti i cittadini europei» (parere del CESE sul tema Coesione sociale: dare un contenuto al modello sociale europeo, GU C 309 del 16.12.2006, pag. 119).

(5)  COM(2008) 616 def.

(6)  La lista degli Stati membri che hanno adeguato la propria legislazione per consentire la realizzazione di GECT è disponibile nel sito del Comitato delle regioni (rubrica «Attività/Manifestazioni»).

(7)  Per individuare e rendere concreti, con il supporto delle parti sociali, i nuovi giacimenti occupazionali.

(8)  Cfr. regolamento (CE) n. 450/2008 del 23 aprile 2008 (GU L 145 del 4.6.2008).

(9)  Cfr. Carta di Lipsia sulle città europee sostenibili del 25 maggio 2007.

(10)  Cfr. parere sul tema L'agenda territoriale, GU C 168 del 20.7.2007, pag. 16-21.

(11)  Cfr. parere su La governance territoriale delle trasformazioni industriali: il ruolo delle parti sociali e il contributo del programma quadro per l'innovazione e la competitività, GU C 318 del 23.12.2006, pag. 12-19.

(12)  Ibidem.

(13)  Cfr. parere su Ristrutturazioni e occupazione — Anticipare e accompagnare le ristrutturazioni per ampliare l'occupazione: il ruolo dell'Unione europea, COM(2005) 120 def., GU C 65 del 17.3.2006, pag. 58-62.

(14)  Cfr. parere sul tema Una Strategia tematica sull'ambiente urbano, COM(2005) 718 def. — SEC(2006) 16, GU C 318 del 23.12.2006, pag. 86-92.

(15)  Cfr. la nuova strategia del Consiglio (doc. 10117/06 del 9 giugno 2006, punti 29 e 30). Si veda inoltre il punto 1.2 del presente parere.

(16)  Cfr. ad es. Le commissioni regionali di dialogo sociale in Polonia.

(17)  SWOT = Strengths, Weaknesses, Opportunities and Threats analysis (analisi dei punti di forza e di debolezza, delle opportunità e dei rischi).

(18)  Foresight è un processo sistematico e partecipativo per la raccolta di analisi prospettiche e l'elaborazione di piani a medio-lungo termine. Cfr. Foren: Foresight for regional development (analisi prospettiche per lo sviluppo regionale).

(19)  EMAS = Eco-Management and Audit Scheme (Sistema comunitario di ecogestione e audit).

(20)  Cfr. parere CESE sul tema I distretti industriali europei verso le nuove reti del sapere, GU C 255 del 14.10.2005, pag. 1-13.

(21)  Cfr. OCSE Territorial Outlook — Edizione 2001.

(22)  Cfr. nota 11.

(23)  GECT: strumento di cooperazione a livello comunitario che consente a gruppi cooperativi di attuare progetti di cooperazione territoriale cofinanziati dalla Comunità ovvero di realizzare azioni di cooperazione territoriale su iniziativa degli Stati membri.- regolamento CE n. 1082/2006. [GU L 210 del 31.7.2006].

(24)  Euroregioni: strutture di cooperazione transnazionale fra due o più territori collocati in diversi paesi dell'Unione europea e/o di prossimità, per promuovere interessi comuni che travalicano i confini e per cooperare per il bene comune delle popolazioni di confine.

(25)  Cfr. il parere del CESE sul tema I distretti industriali europei verso le nuove reti del sapere, GU C 255 del 14.10.2005.

(26)  Cfr. pareri CESE sul tema Il partenariato per la crescita e l'occupazione: fare dell'Europa un polo di eccellenza in materia di responsabilità sociale delle imprese (COM(2006) 136 def.), GU C 325 del 30.12.2006, pag. 53-60, e in merito al Libro verde — Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese (COM(2001) 366 def.), GU C 125 del 27.5.2002, pag. 44-55.

(27)  IDABC = Interoperable Delivery of Pan-European e-Government Services to Public Administrations, Business and Citizens (erogazione interoperabile di servizi paneuropei di e-government alle pubbliche amministrazioni, alle imprese e ai cittadini); cfr. il parere del CESE pubblicato sulla GU C 80 del 30.3.2004, pag. 83.

(28)  Parere sul tema L'impatto della territorialità delle norme fiscali sulle trasformazioni industriali, GU C 120 del 16.5.2008, pag. 51-57.

(29)  Direttiva 85/337/CEE, modificata con la direttiva del Consiglio 97/11/CE del 3 marzo 1997 ed emendata con la direttiva 2003/35/CE del 26 maggio 2003.

(30)  Direttiva SEA 2001/42/CE. Scopo della direttiva SEA è assicurare che gli effetti ambientali di determinati piani e programmi — in relazione soprattutto alla dimensione territoriale — siano individuati e valutati sin dalla fase di preparazione, e comunque prima della loro attuazione.


Allegato I

al parere sul tema «Trasformazioni industriali, sviluppo del territorio e responsabilità delle imprese»

(CCMI/055)

25 settembre 2008 Sintesi dell'audizione tenutasi presso la sede del Consiglio della regione Nord-Pas de Calais (Francia)

Nel quadro della presidenza francese dell'Unione europea, la commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI) del Comitato economico e sociale europeo (CESE) ha organizzato, insieme al Consiglio della regione Nord-Pas de Calais (NPdC), un'audizione sul tema Le trasformazioni industriali, sviluppo del territorio e responsabilità delle imprese (tema del parere al quale appartiene il presente allegato). L'audizione si è svolta presso l'emiciclo della assemblea consiliare del Consiglio regionale e vi hanno preso parte oltre 90 personalità di 12 paesi europei e di organismi pubblici e privati territoriali ai massimi livelli, insieme ai rappresentanti di tre direzioni generali della Commissione europea.

Alla presenza del presidente del Consiglio regionale, Daniel PERCHERON, del presidente della commissione consultiva per le trasformazioni industriali del CESE (CCMI), Joost VAN IERSEL, del presidente del gruppo di studio, Martin SIECKER, del relatore Antonello PEZZINI e del correlatore Bernard GAY, promotore dell'importante iniziativa, ha avuto luogo un ampio ed animato dibattito sui seguenti temi: sviluppo regionale e locale, governance, rilancio produttivo, necessità di visioni anticipatrici condivise, prospettive settoriali e intersettoriali di crescita occupazionale competitiva, come pure meccanismi di democrazia attiva attraverso lo sviluppo di una cultura partecipativa, diffusa in un territorio capace di coniugare sufficienti livelli di benessere con i doveri che fanno parte della responsabilità sociale.

In un'economia globalizzata quale l'attuale, lo sviluppo territoriale e le mutazioni industriali sono strettamente collegate ed interdipendenti. Il parere vuole soprattutto valutar le prospettive di mutamento socio-economico nell'ottica di un approccio territoriale, mutamento che si fonda essenzialmente sulle strategie di sviluppo poste in essere dagli enti locali e regionali e sui centri di competenza avviati dagli attori pubblici e privati. Il parere analizza quindi la capacità delle regioni di fare fronte e di adattarsi ai mutamenti irreversibili attraverso sistemi collettivi di condivisione delle responsabilità, prendendo in considerazione innanzitutto la responsabilità sociale delle imprese.

Al riguardo la regione NPdC è stata individuata come un territorio ricco di esperienze in questo campo. La CCMI ne ha quindi sollecitato la collaborazione per organizzare un'audizione a Lilla. Le due istituzioni, regione NPdC e CCMI, hanno così unito i loro mezzi per offrire agli attori dello sviluppo della regione l'opportunità di farsi ascoltare, ma anche per raccogliere le loro proposte per uno sviluppo armonioso dei territori.

L'ascolto delle problematiche, delle soluzioni e delle esperienze prospettate dai più qualificati rappresentanti del «mondo reale» della regione NPdC — imprenditori, presidenti di club di imprese e dei poli di competitività, sindacati, rappresentanti dell'economia sociale, dell'università e delle professioni liberali, delle amministrazioni pubbliche ai vari livelli -, come pure l'intensità dello scambio di idee che ne è scaturito, ha permesso di far emergere strategie innovative e priorità d'azione di successo che, insieme alla squisita ospitalità offerta dal Consiglio regionale NPdC ed al calore dei rapporti umani, sono state generatrici di empatie, con un profondo riscontro nei lavori della CCMI.


ALLEGATO II

al parere sul tema «Trasformazioni industriali, sviluppo del territorio e responsabilità delle imprese»

(CCMI/055)

Varie iniziative e politiche europee sono state poste in essere per affrontare la sfida di uno sviluppo socialmente responsabile del territorio nell'Unione europea e per aumentare la visibilità positiva della dimensione territoriale nelle politiche comunitarie

Lilla-Kortrijk/Courtrai-Tournai/Doornik — Eurometropolis (Francia-Belgio). Eurometropolis rappresenta il primo significativo esempio di Gruppo europeo di cooperazione territoriale — GECT, che è stato varato il 28 gennaio 2008. Composto da 14 partner — 4 in Francia (Stato, regione, dipartimenti Nord-Pas de Calais e comunità urbana di Lilla Métropole) e 10 in Belgio (Stato, regione fiamminga e Comunità francese, province e intermunicipalità). Ugualmente rilevante è stata la costituzione, già dagli anni '90, dell’ «Euroregione Transmanica» che raggruppa la contea inglese di Kent, la regione francese Nord Pas-de-Calais e il Belgio in una rete utile per individuare le strade di cooperazione, massimizzando le possibilità d’intervento nell’ambito della programmazione 2007 e 2013 dell’Unione europea.

Bilbao Metropoli 30. Il processo di rivitalizzazione dell'area metropolitana di Bilbao è partito dai primi anni '90 attraverso un progetto di partenariato pubblico-privato di oltre 80 organismi pubblici e privati, insieme a 30 enti associati e a 17 network internazionali, basato su un piano strategico comune e su una visione condivisa dello sviluppo territoriale economico, sociale, ambientale e culturale in grado di trasformare l'area metropolitana, e per estensione gli interi Paesi Baschi, in una delle aree più avanzate e competitive d'Europa.

ALSO — Regione Marche. La regione Marche insieme con numerose partnership, comprese autorità regionali e locali, agenzie di sviluppo e università di vari paesi europei, ha sviluppato — nell'ambito del programma Interact — il progetto ALSO (Achievement of Lisbon and Gothenburg Strategy Objectives), il cui obiettivo finale è la ricerca dei contributi che la cooperazione territoriale può offrire al raggiungimento degli obiettivi delle strategie di Lisbona e di Göteborg.

Metropolis Hamburg Interregional Cooperation. Partenariato tra la città di Amburgo e le regioni Bassa Sassonia (Niedersachsen) e Schleswig-Holstein. Cooperazione su base volontaria di 3 Stati federati su entrambi i lati del fiume Elba.

Alpi-Mediterraneo (Francia- Italia): 3 regioni italiane (Liguria, Piemonte e Valle d'Aosta) e due regioni francesi (Provenza-Alpi-Costa Azzurra e Rodano-Alpi) si sono raggruppate in una euroregione per cooperare strettamente e intensificare gli scambi nei comuni settori di competenza, al fine di rafforzare i legami politici, economici, sociali e culturali tra le loro rispettive popolazioni.

Ister-Granum. Questa euroregione rappresenta il primo esempio di Gruppo europeo di cooperazione territoriale nell'Europa centrale. Di recente formazione, anche se basata su precedenti schemi di cooperazione, l'Euroregione ISTER-GRANUM comprende il territorio di 47 enti locali in Ungheria e di 39 in Slovacchia. Il nuovo GECT ha in cantiere circa 20 progetti comuni, in particolare nei campi dei sistemi sanitari e delle cure mediche, dei sistemi d'informazione e dei media, dei servizi turistici e dei sistemi integrati di infrastrutture di trasporti, specie per quanto riguarda il Danubio. Ha sede a Esztergom, in Ungheria, e prevede unicamente la partecipazione di enti regionali e locali (infatti, i due Stati d'appartenenza non vi partecipano).

Euroregione baltica. Si tratta di un partenariato fra le regioni che si affacciano sul Mar Baltico istituito nel 1998 con l'obiettivo di rafforzare lo sviluppo sostenibile e la competitività economica delle regioni che vi aderiscono (appartenenti a Polonia, Svezia, Germania, Danimarca e Lituania). Per il periodo di programmazione 2007-2013 la Commissione europea ha approvato un finanziamento di 75 milioni di euro destinato a questa Euroregione.


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

449 a sessione plenaria del 3 e 4 dicembre 2008

28.7.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 175/73


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al «Libro verde — L'esecuzione effettiva delle decisioni giudiziarie nell'Unione europea: la trasparenza del patrimonio del debitore»

COM(2008) 128 def.

(2009/C 175/12)

La Commissione europea, in data 6 marzo 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato CE, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al:

Libro verde — L'esecuzione effettiva delle decisioni giudiziarie nell'Unione europea: la trasparenza del patrimonio del debitore

COM(2008) 128 def.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 novembre 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore PEGADO LIZ.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data3 dicembre 2008 nel corso della 449a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 161 voti favorevoli, 2 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1   Il Libro verde L'esecuzione effettiva delle decisioni giudiziarie nell'Unione europea: la trasparenza del patrimonio del debitore (COM(2008) 128 def. del 6 marzo 2008) fa seguito al Libro verde relativo al sequestro conservativo dei depositi bancari (COM(2006) 618 def.) e si inquadra in un vasto complesso di misure che la Commissione ha cominciato a prendere con l'obiettivo di creare uno spazio giudiziario europeo che serva di sostegno, per quanto riguarda gli aspetti giudiziari, alla realizzazione del mercato interno.

1.2   Il CESE in generale ha dato il suo appoggio a tali iniziative, richiamando però l'attenzione sulla necessità che le stesse siano debitamente giustificate sotto il profilo della sussidiarietà e della proporzionalità, da un lato, e della compatibilità con i principi fondamentali del diritto procedurale civile comuni agli Stati membri e di totale rispetto dei diritti fondamentali, dall'altro.

1.3   Ora, sia nel suo parere sul precedente Libro verde sul sequestro conservativo sia nel caso presente, il CESE ritiene che le iniziative non solo non siano debitamente fondate sulla definizione e caratterizzazione concreta delle situazioni cui si cerca di trovare una soluzione, ma alcune delle misure proposte superano largamente, in termini di proporzionalità, ciò che sarà necessario e che non può essere raggiunto con gli strumenti nazionali esistenti e in alcuni casi possono addirittura configurare attentati ad alcuni diritti fondamentali dei cittadini, come la difesa della vita privata o l'equilibrio dei mezzi di difesa.

1.4   Il CESE reputa che, nei settori qui analizzati, si può e si deve progredire molto in termini di migliore cooperazione tra le autorità nazionali, di maggiore efficacia e di maggiore celerità nel funzionamento degli strumenti nazionali esistenti, di migliore accesso alle informazioni e ai registri esistenti e di un migliore scambio di informazioni e in termini di una maggiore conoscenza reciproca delle modalità e della rapidità di funzionamento dei sistemi nazionali.

1.5   Il CESE si dichiara così esplicitamente contrario all'idea di creare un registro centrale dell'anagrafe della popolazione europea, di permettere un accesso generale e indiscriminato da parte di qualsiasi creditore ai registri dell'amministrazione fiscale e della sicurezza sociale, di adottare a livello comunitario una formula standard di dichiarazione della totalità del patrimonio dei debitori.

1.6   Il CESE ritiene che una migliore conoscenza dei sistemi nazionali di esecuzione e del loro modo di funzionamento nella pratica dei tribunali possa appoggiarsi su una base di dati di diritto comparato elaborata da professionisti competenti e costantemente aggiornata.

1.7   Infine, il CESE propone, nelle osservazioni specifiche (punto 5.8), la considerazione di alcune iniziative alternative che vanno nel senso dell'obiettivo raccomandato dal Libro verde, senza che vi sia necessità di legiferare ulteriormente a livello comunitario.

2.   Sintesi del Libro verde

2.1   Con questo Libro verde la Commissione lancia una seconda consultazione (1) delle parti interessate riguardante le modalità con cui si possono migliorare le decisioni giudiziarie, consultazione questa relativa alle modalità atte a superare le difficoltà derivanti dai problemi di accesso ad informazioni degne di fede sulla residenza dei debitori e sul loro patrimonio.

2.2   La Commissione ritiene che la conoscenza dell'indirizzo corretto del debitore e l'accesso ad informazioni esatte sui suoi beni costituiscano la base per procedimenti di esecuzione più efficaci, ma riconosce che i sistemi nazionali dei registri e delle dichiarazioni dei debitori sui loro patrimoni, sebbene comparabili, contengono differenze significative per quanto riguarda le condizioni di accesso, le procedure per l'ottenimento delle informazioni e il loro contenuto, differenze che mettono in discussione la loro affidabilità e la loro immediata disponibilità.

2.3   Considerato che il recupero transfrontaliero dei crediti in un altro Stato membro incontra serie difficoltà anche a causa dei diversi ordinamenti giuridici nazionali e della conoscenza insufficiente, da parte dei creditori, delle strutture informative degli altri Stati membri, con questo Libro verde la Commissione persegue l'obiettivo finale dell'eventuale adozione, a livello europeo, di una serie di misure volte a migliorare la trasparenza della situazione patrimoniale del debitore e a rafforzare il diritto dei creditori e delle autorità nazionali preposte all'esecuzione di ottenere informazioni che garantiscano un'esecuzione efficace delle sentenze di esecuzione per il pagamento dei debiti di natura civile e commerciale, rispettando, nel contempo, i principi inerenti alla tutela dei dati personali, stabiliti dalla direttiva 95/46/CE.

2.4   Nel perseguimento di tale obiettivo, la Commissione esamina, in dettaglio, i lineamenti delle eventuali misure, di cui articola i parametri in 10 domande.

3.   Inquadramento dell'iniziativa

3.1   Questa iniziativa si inquadra, giustamente, in un ampio complesso di misure che la Commissione sta prendendo con l'intenzione, lodevole, di creare uno spazio giudiziario europeo unico (2) che sostenga, sotto il profilo degli aspetti giudiziari, la realizzazione del mercato unico, in particolare mirando a facilitare l'esecuzione delle decisioni giudiziarie nell'Unione europea attraverso provvedimenti che consentano l'individuazione della residenza o della sede del debitore dove possa essergli notificata l'esecuzione e l'informazione precisa sugli elementi del patrimonio del debitore atti a rispondere del debito da eseguire, in qualunque parte del territorio di qualsiasi Stato membro essi si trovino.

3.2   In questa occasione, lodevolmente la Commissione ha avuto cura di sollecitare risposte non solo ai 15 Stati membri, la cui situazione è stata analizzata nello studio che è servito di base per il Libro verde (3), ma anche a tutti gli altri 12 Stati che fanno parte oggi dell'Unione europea. Tuttavia, l'esattezza dei dati o la loro interpretazione lasciano a volte a desiderare.

3.3   Va anche messo in evidenza che questa iniziativa ha evidentemente tenuto conto della raccomandazione formulata dal CESE nel suo parere sul Libro verde sul sequestro conservativo dei conti bancari, in merito alla assoluta necessità della «(…) considerazione adeguata di misure per rendere più trasparente il patrimonio dei debitori (…)».

3.4   Purtroppo, la Commissione non fornisce nessun dato, in particolare di ordine statistico, sulla dimensione del problema che vuole affrontare, né definisce con esattezza quale sia la natura del problema o a che cosa servano precisamente le misure che propone ipoteticamente di prendere.

4.   Osservazioni generali

4.1   Il Libro verde in esame costituisce il seguito e il complemento del Libro verde sul sequestro conservativo dei depositi bancari (COM(2006) 618 def.), sul quale il CESE ha adottato il suo parere in data 31 luglio 2007 (4) e alle cui osservazioni si rinvia.

4.2   Come si affermava nel parere summenzionato, la questione oggetto di questo Libro verde precede logicamente quella relativa al sequestro conservativo dei conti bancari e traduce correttamente la necessità di una conoscenza del patrimonio del debitore sufficiente a costituire una garanzia comune effettiva per i creditori, principio fondamentale e paradigmatico del diritto di procedura civile; essa non può, tuttavia, esser compresa senza mettere in discussione a livello comunitario tutta una serie di campi del diritto civile materiale, che logicamente la precedono.

4.3   Il CESE riconosce così la necessità che le autorità preposte all'esecuzione di qualsiasi Stato membro abbiano accesso all'informazione precisa sul luogo dove il debitore si trova, a cominciare dalla sua sede o residenza, e sui beni mobili e immobili che costituiscono il suo patrimonio, indipendentemente dalla sua ubicazione.

4.4   Come affermato nel parere succitato, il CESE ha delle serie riserve e dei dubbi fondati, tuttavia, per quanto riguarda l'effettiva necessità di misure specifiche di armonizzazione legislativa a livello comunitario nel settore in questione, benché riconosca la competenza dell'Unione europea nella materia e l'esistenza di una base giuridica per procedere in questo senso.

4.5   In effetti, dall'insieme delle esigenze di migliore informazione, migliori dati e miglior accesso, individuate nel Libro verde non si deduce la necessità della creazione di nuovi registri a livello comunitario o di nuovi obblighi di dichiarazione patrimoniale. Si teme inoltre che tali misure non superino l'esame del criterio di proporzionalità e che possano configurare violazioni inaccettabili di diritti fondamentali.

4.6   In realtà, si ritiene che, più che la creazione di registri dell'anagrafe, di registri delle imprese e dei consumatori, dei beni mobili e immobili, di registri fiscali e di sicurezza sociale centralizzati a Bruxelles, un migliore scambio di informazioni tra le autorità nazionali e un accesso più facile e veloce ai dati esistenti saranno sufficienti a garantire una parità di opportunità e di trattamento nell'individuazione dei beni dei debitori, quale che sia la natura o la nazionalità del debitore.

4.7   Ciò non osta alla creazione di incentivi e alla definizione di orientamenti a livello comunitario per i miglioramenti da inserire nel contenuto, nel funzionamento e nell'accesso ai menzionati registri pubblici e ad altre basi di dati private, sempre che sia debitamente garantita la tutela che tali dati meritano, a norma delle direttive comunitarie applicabili e con la riserva che tale conoscenza debba essere limitata esclusivamente all'obiettivo di soddisfare i crediti da eseguire e nella misura di quanto necessario a tal fine.

4.8   Non dovrà neanche esservi discriminazione nell'accesso ai dati tra creditori privati e creditori pubblici e questi ultimi, in ragione della loro situazione privilegiata, non dovranno essere avvantaggiati dal fatto di avere un accesso più rapido e più efficace ai registri pubblici, sia che questi facciano capo alla struttura tributaria, a quella della sicurezza sociale oppure che si tratti di registri patrimoniali pubblici.

4.9   Occorrerà inoltre garantire la cooperazione con i paesi terzi, in particolare Andorra, Svizzera, Liechtenstein e tutti gli altri paesi con collegamenti consolidati con paradisi fiscali o piazze finanziarie in Europa.

5.   Osservazioni particolari: le 8 domande

5.1   Un'iniziativa a livello comunitario?

5.1.1   Le dieci domande presentate nel Libro verde sono in realtà otto; qui di seguito vengono analizzate in dettaglio.

5.1.2   In relazione alla questione se si debbano prendere misure a livello comunitario per migliorare la trasparenza dei debitori, il CESE ritiene che, in linea con le riserve precedentemente espresse nelle osservazioni generali, debbano essere realizzate iniziative comunitarie riguardanti il miglior coordinamento e una più intensa cooperazione tra le autorità nazionali e il perfezionamento del contenuto e dell'accesso ai registri nazionali esistenti, in modo da rendere possibile l'identificazione e la localizzazione dei debitori e del patrimonio necessario a soddisfare i crediti da eseguire.

5.2   Un manuale relativo ai sistemi di esecuzione?

5.2.1   A parere del CESE, tutto ciò che sia in grado di contribuire a una migliore conoscenza e ad una migliore informazione relative alle leggi e alle prassi nazionali va appoggiato e incentivato. Tuttavia il CESE non crede che la migliore conoscenza e migliori informazioni passino per l'elaborazione di un semplice manuale, tenuto conto della complessità della materia che, a rischio di perdere in qualità e certezza, non può essere oggetto di semplificazione ad uso del «grande pubblico».

5.2.2   In questo senso, il CESE propone piuttosto che la Commissione consideri la possibilità di organizzare una base di dati di diritto comparato in materia di processo esecutivo dei 27 Stati membri — di cui siano garantiti un aggiornamento e un commento costanti — accessibile per via elettronica in tutte le lingue comunitarie, da realizzare da parte di professionisti competenti e abilitati dei rispettivi Stati membri.

5.3   Maggiori informazioni nei registri delle imprese e un migliore accesso a tali informazioni?

5.3.1   Il grado di armonizzazione già esistente in questo campo sembra sufficiente per gli obiettivi perseguiti e non si considera necessario od opportuno procedere nel senso della creazione di registri delle imprese centrali a livello comunitario, senza pregiudizio, tuttavia, della possibilità di armonizzare gli elementi comuni dei rispettivi registri.

5.3.2   Inoltre, nulla osta all'adozione di iniziative volte a migliorare il contenuto delle informazioni riportate in tali registri, compresi, in particolare, quelli degli imprenditori individuali, aggiornandoli e facilitandone la consultazione, segnatamente per via elettronica.

5.3.3   Lo stesso dovrà avvenire con i registri immobiliari, alla stregua di quanto accade con EULIS (European Land Information Service), un consorzio europeo delle autorità preposte ai registri immobiliari (5).

5.4   Migliore accesso ai registri dell'anagrafe?

5.4.1   Allo stesso modo non è concepibile un registro centrale dell'anagrafe della popolazione europea, in quanto incombe agli Stati membri gestire i registri civili centrali o locali della loro popolazione e definire le condizioni per avervi accesso, garantendo che non vi siano discriminazioni ingiustificate.

5.4.2   Ciò non vuol dire che non si debba garantire alle autorità preposte all'esecuzione dei singoli paesi un facile accesso a tali registri per ottenere informazioni relative alla residenza dei debitori privati, segnatamente attraverso mezzi elettronici.

5.5   Migliore accesso ai registri dell'amministrazione fiscale e della sicurezza sociale?

5.5.1   Il CESE respinge espressamente l'idea di un accesso generalizzato e indiscriminato ai registri delle amministrazioni fiscali e della sicurezza sociale.

5.5.2   Il CESE ritiene che solo le autorità giudiziarie dovrebbero avere accesso ai dati riportati in tali registri, sempre in casi ben definiti e con garanzie di protezione efficace dei dati personali in essi contenuti.

5.5.3   Ad ogni modo, un tale accesso in un paese diverso da quello dell'autorità preposta all'esecuzione dovrà necessariamente passare per la cooperazione con un'autorità giudiziaria del paese in cui si trova il registro.

5.6   Un migliore scambio di informazioni tra le autorità nazionali preposte all'esecuzione?

5.6.1   Come affermato in precedenza nelle osservazioni generali, il CESE ritiene che il campo in cui si debbano realizzare iniziative comunitarie è precisamente quello riguardante l'intensificazione della cooperazione in materia di scambio di informazioni tra le autorità nazionali preposte all'esecuzione, creando in particolare un sistema di scambio diretto di informazioni per via elettronica con l'obiettivo d'identificare e localizzare i debitori e di determinarne il patrimonio.

5.6.2   Sarà comunque sempre necessario garantire che negli Stati membri in cui le autorità preposte all'esecuzione non siano organismi pubblici, le informazioni ottenute siano controllate dalle autorità giudiziarie competenti a sorvegliare il processo di esecuzione.

5.6.3   Apportandovi i necessari adattamenti, i sistemi come quelli previsti nel regolamento (CE) n. 1206/2001 (6), relativo alla cooperazione fra le autorità giudiziarie degli Stati membri nel settore dell'assunzione delle prove in materia civile o commerciale o nella direttiva 76/308/CEE, possono costituire modelli da seguire (7).

5.6.4   Deve essere considerato fondamentale l'impiego di mezzi elettronici o anche la creazione di un sistema di intranet in cui tutte le autorità nazionali sarebbero collegate tra loro.

5.6.5   Le informazioni fatte circolare attraverso questa rete di cooperazione dovrebbero essere accessibili soltanto alle autorità incaricate delle esecuzioni, quali organi competenti per l'esecuzione, ufficiali giudiziari, tribunali, curatori fallimentari, e i risultati dovrebbero essere sempre portati a conoscenza dei debitori.

5.6.6   Non andrà esclusa la possibilità di utilizzare il Sistema di informazione per il mercato interno (IMI) ai fini dello scambio di informazioni tra le autorità nazionali preposte all'esecuzione.

5.7   Una dichiarazione patrimoniale europea?

5.7.1   Il CESE respinge in modo assoluto l'adozione a livello comunitario di una formula standard di dichiarazione da parte del debitore della totalità del suo patrimonio a fini di esecuzione ed esclude a priori la possibilità di ammettere che il debitore che ottemperi in maniera lacunosa a tale obbligo sia sanzionato, in certi casi, con l'arresto.

5.7.2   Questo ovviamente perché non tutto il patrimonio del debitore risponde dei debiti contratti e spetta agli stati membri la definizione dei beni che non possono essere sottoposti a sequestro in modo assoluto, relativo o parziale.

5.7.3   Si aggiunga che l'obbligo di rivelare il patrimonio deve essere circoscritto ai beni necessari ad assicurare il pagamento del debito, spettando ai sistemi giudiziari nazionali garantire che tale indicazione di beni del debitore sia veritiera, a pena di sanzioni pecuniarie.

5.7.4   D'altro canto il CESE ritiene che l'istituzione a livello comunitario di un formulario standard per una dichiarazione patrimoniale uniforme superi largamente gli obiettivi corrispondenti a una misura del genere. Reputa, al contrario, che questo sia un campo privilegiato per una maggiore cooperazione e collaborazione tra gli organi preposti all'esecuzione, nel senso che essi stessi potrebbero occuparsi, con i mezzi legittimi a loro disposizione, dell'individuazione dei beni del debitore necessari al pagamento del debito, concedendo, segnatamente, ai giudici dell'esecuzione i poteri per indagare in modo ufficioso sui beni del debitore.

5.7.5   Ad ogni modo, si dovrà sempre garantire al debitore la possibilità di evitare di rendere noti i beni che possono essere oggetto di sequestro, posto che paghi precedentemente il debito da eseguire o indichi beni sufficienti al suo pagamento o presti una cauzione o garanzie di pagamento idonee, quali garanzie bancarie o simili; gli si dovrà altresì garantire il diritto di opporsi a un provvedimento di sequestro di beni il cui valore superi quanto necessario al pagamento del debito da eseguire e degli interessi legali.

5.7.6   Sarà completamente da escludere perché costituisce una violazione dei principi fondamentali di rispetto della sfera privata del debitore, anche la pubblicazione della dichiarazione patrimoniale del debitore in un registro aperto alla consultazione (una sorta di «lista dei debitori»).

5.8   Altre misure a favore della trasparenza

5.8.1   Si avanzano le seguenti proposte, a titolo di meri elementi di riflessione:

a)

creazione di un accesso al registro delle azioni e partecipazioni sociali detenute da un debitore in qualsiasi società commerciale;

b)

un accesso con le debite cautele ai registri dei dati sui consumatori per il credito al consumo o per il credito per la casa;

c)

istituzione di un registro automobilistico unico a livello europeo (8);

d)

creazione di un registro di tutti i procedimenti di esecuzione pendenti che possa essere consultato on line in qualsiasi Stato membro;

e)

accesso ai registri di investimento in Borsa, a partire da un certo limite minimo;

f)

accesso ai registri immobiliari contenenti informazioni relative ai proprietari dei beni immobili.

Bruxelles, 3 dicembre 2008

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI

Il Segretario generale del Comitato economico e sociale europeo

Martin WESTLAKE


(1)  La prima consultazione è stata condotta sul Libro verde sul sequestro conservativo dei depositi bancari, (COM(2006) 618 def.), parere del CESE: GU C 10 del 15.1.2008, pag. 2.

(2)  Un elenco abbastanza completo di tali misure si può trovare nel parere CESE (GU C 10 del 15.1.2008, pag. 2) sul summenzionato Libro verde sul sequestro conservativo dei depositi bancari, cui si rinvia.

(3)  Per una compiuta comprensione del Libro verde in esame è essenziale tener conto non solo del documento di lavoro della Commissione SEC(2006) 1341 del 24 ottobre 2006, ma anche della versione aggiornata (18 febbraio 2004) dello studio JAI/A3/2002/02 del Prof. Dr. Burkhard Hess, direttore dell'istituto di diritto internazionale privato comparato dell'Università di Heidelberg, che si può consultare all'indirizzo seguente: http://europa.eu.int.comm/justice_home/doc_centr/civil/studies/doc_civil_studies_en.htm

(4)  GU C 10 del 15.1.2008, pag. 2.

(5)  Detto consorzio, creato nel 2006, è un'associazione di autorità responsabili dei registri immobiliari e rappresenta un primo passo verso la garanzia di accesso ai registri immobiliari degli Stati membri che ne fanno parte (Inghilterra, Irlanda, Galles, Lituania, Norvegia, Paesi Bassi e Svezia). Sito web: www.eulis.org

(6)  Regolamento (CE) n. 1206/2001 del Consiglio, del 28 maggio 2001, GU L 174 del 27.6.2001. In questo ambito, risulta particolarmente importante la questione della comunicazione tra le varie autorità per via delle differenze linguistiche, per le quali il disposto dell'articolo 5 di tale regolamento si rivela insufficiente.

(7)  Direttiva 76/308/CEE del Consiglio, del 15 marzo 1976, GU L 73 del 19.3.1976.

(8)  Come si propone nel parere d'iniziativa del CESE sul tema Codice della strada e registro automobilistico europeo, relatore: PEGADO LIZ (GU C 157 del 28.6.2005, pag. 34).


28.7.2009   

IT

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C 175/78


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 98/26/CE concernente il carattere definitivo del regolamento nei sistemi di pagamento e nei sistemi di regolamento titoli e la direttiva 2002/47/CE relativa ai contratti di garanzia finanziaria per quanto riguarda i sistemi connessi e i crediti»

COM(2008) 213 def. — 2008/0082 (COD)

(2009/C 175/13)

Il Consiglio, in data 22 maggio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 98/26/CE concernente il carattere definitivo del regolamento nei sistemi di pagamento e nei sistemi di regolamento titoli e la direttiva 2002/47/CE relativa ai contratti di garanzia finanziaria per quanto riguarda i sistemi connessi e i crediti

COM(2008) 213 def. — 2008/0082 (COD).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 novembre 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore BURANI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 3 dicembre 2008, nel corso della 449a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 172 voti favorevoli, 1 voti contrario e 5 astensioni.

1.   Riassunto e conclusioni

1.1   L'iniziativa della Commissione nel campo dei sistemi di pagamento, sollecitata dal Consiglio e vista con favore dal mercato, mira a rendere più attuali e più certe le norme sul carattere definitivo dei regolamenti e sui contratti di garanzia finanziaria. In quanto tale, essa merita anche l'appoggio del CESE. In una materia altamente specializzata quale quella in esame è inevitabile che sorgano dubbi o perplessità sugli aspetti tecnici delle proposte, dei quali si sono fatti interpreti gli specialisti e gli organi decisori nelle varie fasi di esame delle proposte della Commissione. Il CESE entra solo marginalmente in queste questioni, e preferisce tentare di dare un contributo in termini di riflessioni sulla politica comunitaria in materia di sistemi di pagamento.

1.2   L'iniziativa è nata oltre un anno fa, quando non era ancora insorta la crisi americana dei subprime, poi estesasi con le note conseguenze alla comunità finanziaria globale. I primi sintomi di crisi, a livello di singoli istituti, si sono manifestati con problemi di liquidità, presto tramutatisi in problemi di solvibilità: una situazione talmente seria da provocare l'inevitabile intervento dei poteri pubblici, negli Stati Uniti ma anche in Europa. La presente situazione mette in evidenza la necessità che il mercato sia garantito da un collaterale adeguato; nuovi tipi di collaterale sono benvenuti, ma a condizione che essi non diminuiscano la qualità delle garanzie.

1.3   Ci si può chiedere se la norma che prevede l'inclusione dei crediti bancari fra quelli idonei ad essere considerati come collaterale nei contratti di garanzia finanziaria sarebbe stata inclusa nella proposta della Commissione se la questione si fosse posta oggi e non un anno fa. I crediti bancari sono già accettati in diversi paesi e danno un valido contributo alla liquidità; come tali, sono da considerare con ogni favore. Tuttavia, nell'attuale stato di fragilità e volatilità dei mercati la loro estensione ad ogni Stato membro, e senza una preventiva armonizzazione delle norme che li governano, potrebbe consigliare una maggiore prudenza, lasciando che ogni banca centrale continui a «controllare» il proprio mercato secondo le proprie percezioni e necessità.

1.4   Un'altra riflessione è da fare, non tanto sulla certezza del diritto, che la proposta lodevolmente tenta di stabilire, ma sulla durata nel tempo delle norme contenute nella proposta: il Legal Certainty Group non ha ancora terminato i suoi lavori, l'iniziativa di Unidroit è appena in fase di completamento, ma non è stata firmata e ancor meno ratificata, l'armonizzazione delle norme in materia di netting fa parte dei programmi futuri, l'armonizzazione delle procedure fallimentari è un traguardo a lungo termine. Il CESE non vuol dire con questo che il tentativo della Commissione non sia valido e da sostenere, ma mette in evidenza che il mercato ha bisogno di regole che non siano soltanto certe, ma anche durature. Di qui la necessità di imprimere maggiore speditezza ai lavori di carattere legislativo e regolamentare.

1.5   Infine, ma non certo ultime per importanza, le implicazioni di carattere prudenziale: il CESE si chiede se i vari aspetti del rischio sistemico insiti nei sistemi interoperabili, nella partecipazione di un sistema in un altro sistema, nella qualità dei controlli su tutta l'estesa gamma di partecipanti, siano stati attentamente vagliati dalle autorità di vigilanza, e se sia stato richiesto il loro diretto coinvolgimento nella formulazione delle proposte. Come evidenziato nel parere del CESE, la solidità dei mercati è preminente rispetto ad ogni altra considerazione.

1.6   Il parere del CESE fa astrazione dalla situazione contingente. In tempi «normali» le regole sull'operatività dei partecipanti e dei sistemi, così come la qualità del collaterale, devono essere rigorosi, ma in emergenza devono diventare flessibili senza per questo perdere di rigore. La direttiva dovrebbe contenere una norma che permetta ai sistemi, sotto la responsabilità delle autorità di controllo, di adottare misure eccezionali per fronteggiare le emergenze.

2.   Introduzione

2.1   L'iniziativa della Commissione mira ad adeguare la direttiva sul carattere definitivo nei sistemi di pagamento e di regolamento titoli, oltre a quella sui contratti di garanzia finanziaria, ai più recenti sviluppi dei mercati. Le regole esistenti, ed altre di nuova introduzione, vengono estese al regolamento notturno ed al regolamento fra sistemi connessi.

2.2   L'interconnessione dei mercati, iniziata da tempo, è ora sempre più estesa: con l'attuazione della direttiva 2004/39/CE e del Codice di condotta europeo per la compensazione e il regolamento («il Codice di condotta»), essa fruisce di regole chiare e precise che ne facilitano la diffusione. La proposta della Commissione, oltre ad introdurre nuovi tipi di regolamento, estende anche la lista delle tipologie di valori utilizzabili come garanzia finanziaria: i crediti accettati come garanzia delle operazioni di credito delle banche centrali («crediti bancari»). A partire dal gennaio 2007, la BCE include i crediti bancari fra le garanzie idonee per le operazioni di credito nell'Eurosistema; l'iniziativa è già stata adottata in via autonoma da alcune banche centrali, ma mancava un quadro giuridico che ne consentisse la circolazione transfrontaliera.

2.3   Riassumendo, il quadro giuridico esistente, che la proposta di direttiva intende modificare, è contenuto nelle due direttive CE, una, 98/26/CE, riguardante il carattere definitivo del regolamento (SFD, Settlement Finality Directive), e l'altra, 2002/47/CE, relativa ai contratti di garanzia finanziaria (FCD, Financial Collateral Directive).

2.4   Inoltre, come di norma nel caso di direttive di adeguamento, la Commissione approfitta dell'occasione per introdurre un certo numero di semplificazioni e chiarimenti. In definitiva, si intende adeguare la regolamentazione alle evoluzioni del mercato, una misura tanto più necessaria se si tiene conto delle recenti turbolenze dei mercati, i cui effetti possono divenire di estrema rilevanza come conseguenza della globalizzazione.

2.5   L'iniziativa della Commissione è stata preceduta da una fase di preparazione durata oltre un anno. La sua relazione di valutazione della messa in opera della direttiva sul carattere definitivo del regolamento ha concluso che «il sistema sta funzionando correttamente», pur accennando all'opportunità di ulteriori analisi. La proposta è stata redatta sulla base di una serie di consultazioni con la BCE, le banche centrali nazionali, ed un'ampia gamma di operatori e organizzazioni del settore. Ci si è soffermati in particolare sui diritti dei consumatori, concludendo che «le disposizioni relative ai crediti [bancari, ndr] non mirano a limitare i diritti dei consumatori, in particolare i diritti sul credito al consumo», in quanto i crediti in questione sono quelli idonei come garanzia per le operazioni di credito delle banche centrali, «il che in linea di principio esclude i crediti dei singoli consumatori».

2.6   In una situazione normale, le nuove regole europee sembrano correttamente mirate a fronteggiare le emergenze: la robustezza del mercato dovrebbe essere assicurata dal crescente numero di interconnessioni tra i sistemi di regolamento titoli e di pagamento già operanti, tutti solidi, sufficientemente liquidi, e apparentemente ben controllati. Inoltre, il Codice di condotta (adottato a fine 2006), ha introdotto un elemento di competitività — e quindi di migliore efficienza — nei sistemi di compensazione e di regolamento, a tutto beneficio degli utenti.

3.   Considerazioni di carattere generale

3.1   Gli operatori considerano l'iniziativa come un decisivo passo avanti nella realizzazione di uno spazio finanziario europeo con regole armonizzate: la nuova direttiva consentirebbe, infatti, di supportare le future misure che dovessero essere adottate in seguito alle raccomandazioni del gruppo di esperti creato dalla Commissione (il Legal Certainty Group ) per eliminare le barriere di carattere giuridico all'integrazione dei mercati dell'Unione. Inoltre la medesima direttiva permetterebbe di concorrere in modo significativo alla realizzazione dell'iniziativa Unidroit tendente a stabilire sul piano internazionale norme uniformi di diritto materiale per i titoli intermediati, tra cui anche le norme sui contratti di garanzia finanziaria.

3.2   D'altra parte, un'armonizzazione tanto a livello europeo che internazionale non può considerarsi come raggiunta senza una serie di misure aggiuntive o complementari, che presumibilmente dovrebbero rientrare nei programmi futuri della Commissione. Una misura aggiuntiva dovrebbe prevedere l'armonizzazione delle norme che regolano gli accordi di netting , cioè di compensazione fra le parti a saldo netto, includendo gli accordi di compensazione che rendono immediatamente esigibili le rispettive obbligazioni delle parti (close out netting).

3.3   Fra le misure complementari, e certamente di più largo respiro, un'integrazione ottimale dei mercati finanziari dovrebbe tendere ad una maggiore coerenza dei regimi nazionali in materia di procedure fallimentari: l'attuale situazione di difformità a livello nazionale può influenzare negativamente i contratti di garanzia finanziaria e le operazioni di compensazione e regolamento, con un conseguente incremento del rischio sistemico di instabilità.

4.   Considerazioni sulle proposte riguardanti la direttiva 98/26/CE (SFD)

L'articolo 2 introduce una serie di precisazioni e di chiarimenti, alcuni dei quali di ordinaria amministrazione, altri di maggior rilievo. In particolare, la lettera b) chiarisce la posizione degli istituti di moneta elettronica, stabilendo in modo inequivocabile che, ai fini della direttiva, essi devono essere considerati a tutti gli effetti al pari degli enti creditizi.

4.1.1   Il CESE, pur riconoscendo che sotto il profilo di partecipanti ai sistemi di pagamento essi sono assimilabili agli enti creditizi veri e propri, attira l'attenzione sul fatto che le norme di vigilanza non sono le stesse, o lo sono solo in parte. Resta da vedere se questo possa avere un'influenza sull'affidabilità degli istituti di moneta elettronica in caso di gravi perturbazioni dei mercati: il CESE aveva a suo tempo espresso qualche riserva circa la loro ammissibilità in qualità di membri di sistemi di pagamento. Comunque, il Comitato vorrebbe riaffermare una raccomandazione già espressa in passato: che le politiche ispirate alla parità di condizioni di concorrenza siano subordinate a quelle — di valore preminente — che assicurano in primo luogo la solidità dei mercati, e di conseguenza la protezione dei consumatori (investitori finali).

4.1.2   Le considerazioni di cui sopra assumono maggiore rilevanza se si tiene conto del fatto che i sistemi interoperabili (la cui definizione è stabilita dalla nuova lettera n) dell'articolo 2) facilitano l'accesso di partecipanti ai sistemi di compensazione e regolamento grazie alle connessioni create fra questi, il che porta inevitabilmente ad un potenziale aumento del rischio sistemico. Questo accade in particolare nei sistemi di regolamento dei valori mobiliari a seguito dei legami stabiliti fra depositari centrali di titoli (CSD), responsabili della detenzione accentrata e dematerializzata (1) degli strumenti finanziari scambiati, e controparti centrali (CCP) aventi il ruolo di controparte esclusiva degli enti partecipanti di un sistema riguardo ai loro rispettivi ordini di trasferimento di strumenti finanziari scambiati. Sarebbe inoltre opportuno chiarire nel testo della direttiva che lo scopo dell'introduzione di una definizione di «sistemi interoperabili» non mira a consentire la creazione giuridicamente rilevante di un «super-sistema» ma di consentire piuttosto l'estensione della tutela giuridica tipica del carattere finale del regolamento, anche alle operazioni regolate fra sistemi.

4.2   Ulteriore preoccupazione è che la proposta prevede di consentire ad un sistema di diventare partecipante di un altro sistema. Occorre un chiarimento: un sistema, come definito dalla direttiva 98/26/CE, è un accordo o un insieme di regole, privo della personalità giuridica che è invece riconosciuta ai vari partecipanti. Sembra opportuno chiarire tale distinzione, ai fini di una maggior certezza giuridica, per stabilire le responsabilità delle varie parti, in particolare con riferimento alla normativa fallimentare.

4.3   L'articolo 3 introduce una modifica, «necessaria per eliminare ogni incertezza sullo status dei servizi di regolamento notturno»: aggiunge alla parola «giorno» correntemente in uso, la precisazione «giorno lavorativo », per tener conto del fatto che la maggior parte dei mercati lavora in modo continuativo anche nelle ore notturne. La misura adottata è necessaria, ma dovrebbe essere completata con l'armonizzazione degli accordi di netting . Oltre a questo, occorrerebbe porre riparo alla già ricordata differenziazione dei regimi fallimentari, che può riflettersi sulle disposizioni in materia di contratti di garanzia finanziaria e di compensazione: l'armonizzazione di questa materia, augurabile ma di difficile soluzione, ha un carattere globale e va al di là delle considerazioni legate ai soli sistemi di pagamento.

5.   Considerazioni sulle proposte riguardanti la direttiva 2002/47/CE (FCD)

5.1   L'estensione della direttiva 2002/47/CE ai crediti bancari (modifica dell'articolo 1, paragrafo 4, lettera a)) è da considerare con favore, dato che consente una maggiore disponibilità di collaterale e quindi suscettibile di migliorare la liquidità del mercato. Tuttavia, la definizione di «crediti idonei come garanzia delle operazioni di credito delle banche centrali» dà adito a qualche dubbio: la definizione di «idoneità» lascia un eccessivo margine di discrezione a ciascuna banca centrale e lascia nell'incertezza su chi sia qualificato o no. Una soluzione al problema potrebbe consistere nel sopprimere nel testo del punto 4, lettera a) dell'articolo 2, la dizione «o crediti idonei come garanzia delle operazioni di credito di banche centrali».

Bruxelles, 3 dicembre 2008

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI

Il Segretario generale del Comitato economico e sociale europeo

Martin WESTLAKE


(1)  La quasi totalità dei titoli accentrati è oggi gestita in forma dematerializzata; i titoli ancora rappresentati in forma cartolare sono raggruppati in certificati di grosso taglio (certificati globali o maxi certificati) presso i depositari centrali nei vari Stati membri.


28.7.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 175/81


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo — Migliori carriere e maggiore mobilità: una partnership europea per i ricercatori»

COM(2008) 317 def.

(2009/C 175/14)

La Commissione europea, in data 23 maggio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo — Migliori carriere e maggiore mobilità: una partnership europea per i ricercatori

COM(2008) 317 def.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 novembre 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore SALVATORE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 3 dicembre 2008, nel corso della 449a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 176 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo è in piena sintonia con la comunicazione della Commissione, i cui principi evidenziano il ruolo strategico di un efficace spazio europeo della ricerca sulla competitività economica e sullo sviluppo delle conoscenze. Tale obiettivo può realizzarsi attraverso l’attivazione di una partnership europea per migliori carriere dei ricercatori e maggiori incentivi alla loro mobilità. In questo modo sarà possibile limitare la «fuga dei cervelli», per poi attrarre i migliori ricercatori nell’area UE.

Si condivide l'importanza di muovere passi decisi verso l'adozione da parte degli Stati membri di procedure di assunzione aperte, trasparenti e basate sul merito e di rimuovere ogni ostacolo alla libera circolazione dei ricercatori nell’UE. In tale ottica il sistema informativo Euraxess, in grado di mostrare in rete le offerte di lavoro per i ricercatori in ambito UE e le opportunità di finanziamento per la ricerca, costituisce un valido strumento. Per implementare detto sistema occorre sollecitare gli enti interessati ad utilizzarlo in modo efficace.

1.2.1   Il merito, dal reclutamento alla fine della carriera di ricercatore, dovrebbe essere valutato non esclusivamente in base al numero e alla qualità delle pubblicazioni, ma anche in virtù dei risultati scientifici. Vanno considerate le capacità innovative, soprattutto nella fase iniziale, e, in relazione alle funzioni affidate, le capacità organizzative e gestionali nel corso della carriera. Vanno sempre e comunque premiate le esperienze di partnership internazionali.

1.3   È indispensabile, infatti, per la crescita professionale dei ricercatori il ricorso a tutte le occasioni di mobilità, attualmente difficile da realizzarsi, per problemi giuridici e amministrativi. La mobilità, intesa come soggiorno in un paese o regione diversi o in un altro istituto di ricerca (pubblico o privato), o un cambiamento di disciplina o settore, dovrebbe essere considerata contributo prezioso allo sviluppo professionale del ricercatore e, pertanto, incentivata sotto il profilo economico-previdenziale e della conciliazione coi bisogni familiari.

1.4   In particolare andrebbe annullata la condizione di precarietà spesso legata al ruolo dei ricercatori. Va, quindi, sostenuta fortemente la possibilità di adottare misure tendenti ad assicurare la continuità contrattuale, promuovere la sicurezza sociale, il diritto alle varie forme di previdenza e al loro trasferimento in caso di mobilità. Tale ultimo aspetto risulta particolarmente penalizzante per le ricercatrici, le cui carriere difficilmente raggiungono posizioni apicali.

1.5   Si auspica la partecipazione attiva nelle sedi competenti delle parti sociali, per facilitare il completo e sollecito raggiungimento degli obiettivi delineati.

2.   Introduzione

2.1   La comunicazione COM(2008) 317 def., ispirandosi ai principi della strategia di Lisbona, mira a costituire una partnership europea per migliorare le carriere dei ricercatori, considerati snodo fondamentale e primario nel cammino verso un'economia e una società della conoscenza.

2.2   I mutamenti epocali che interessano la società appaiono sempre più complessi, repentini e decisamente innovativi, per cui richiedono policy più attente alla produzione di conoscenza e quindi alla trasmissione del sapere.

2.3   Tali cambiamenti sono connessi allo sviluppo delle forme di produzione della conoscenza, passate dai confini del proprio territorio ad una dimensione del sapere proiettata al di fuori delle frontiere. Lo scambio del sapere, insieme a quello economico, cerca forme di regolamentazione nuove capaci di governare il cambiamento, dentro una base culturale comune: l'humus europeo.

3.   Osservazioni generali

3.1   L’obiettivo di rendere l’Europa più attrattiva per svolgere le attività di ricerca deve realizzarsi in un quadro integrato di politiche di sostegno ai ricercatori. Tale processo deve prevedere la partecipazione consapevole e armonizzata degli Stati membri e non essere fondata, come imposto dal vigente quadro normativo, su base esclusivamente volontaristica.

3.2   Il Comitato accoglie questo nuovo approccio che, nel tentativo di fotografare l'esistente, rimuove ogni passo troppo audace e su una strada già tracciata chiede agli Stati membri iniziative rapide e misurabili, in modo tale da:

istituire procedure di assunzioni aperte,

soddisfare le esigenze in materia di previdenza sociale e pensioni complementari per i ricercatori in mobilità,

offrire condizioni di lavoro attrattive,

rafforzare la formazione, le competenze e l'esperienza dei ricercatori.

Tali attività dovranno realizzarsi col coinvolgimento delle parti sociali.

3.3   Nel corso degli anni, gli sforzi compiuti dalle istituzioni europee sono stati enormi, basti pensare: alla genesi dello spazio europeo della ricerca nel documento COM(2000) 6 def. del 18 gennaio 2000, all'obiettivo fissato nel Consiglio europeo di Lisbona per cui l'economia basata sulla conoscenza diventi la più competitiva e dinamica del mondo entro il 2010, alle prime misure sui ricercatori, fino alla Carta europea dei ricercatori e al codice di condotta per l'assunzione dei ricercatori. Tali sforzi mettono in luce la centralità del sistema ricerca nel promuovere innovazione, attribuendo ai ricercatori un ruolo di primaria importanza.

3.4   Rebus sic stantibus, lo spazio europeo della ricerca deve essere messo nelle migliori condizioni per organizzare un ambiente fortemente competitivo e dinamico dove le risorse umane possano trovare prospettive di carriera migliori e sostenibili durante l'intero percorso lavorativo.

4.   Osservazioni specifiche

4.1   La definizione della Carta europea dei ricercatori (già delineata nel 2004 dal CESE), quali: «Professionisti impegnati nella concezione o nella creazione di nuove conoscenze, prodotti, processi, metodi e sistemi nuovi e nella gestione dei progetti interessati», è integrata dalla Commissione con la funzione di trasmissione delle nuove conoscenze. In tale ambito però il ricercatore deve essere incoraggiato dalle istituzioni per la divulgazione dei risultati della ricerca quale fonte autorevole per gli specialisti della comunicazione, in modo da consentire anche ai cittadini «non specialisti» di poter meglio comprendere gli argomenti scientifici, soprattutto quando questi possono avere un forte impatto sull’opinione pubblica (salute, rischi alimentari, emergenze ambientali…).

4.2   Si aderisce quindi alla tesi di individuare particolari priorità per organizzare un contesto europeo favorevole e attrattivo per coloro che lavorano nel mondo della ricerca.

4.3   In primis, si sottolinea l'importanza di muovere passi decisi verso l'adozione da parte degli Stati membri di procedure di assunzione aperte, trasparenti e basate sul merito. Non garantire la più completa informazione nel reclutamento e nella selezione del personale significherebbe prestare il fianco ad un sistema poco aperto; occorre che tali informazioni siano pienamente disponibili e accessibili. A tal fine il Comitato sostiene completamente ed auspica lo sviluppo del sistema informativo Euraxess, in grado di mettere in rete e, dunque, di favorire l’incontro di domanda e offerta dei ricercatori nei diversi enti e nell’ambito dei vari progetti europei. Per completare detto sistema informativo occorre la piena adesione degli Stati membri e delle varie organizzazioni di ricerca e l’impegno degli stessi a mettere in rete tutti i bandi relativi a posti di ricercatori e a progetti di ricerca.

4.4   Bisogna poi saper premiare il merito e promuovere condizioni migliori di lavoro e di formazione nella fase iniziale della carriera dei ricercatori: si deve cambiare passo. Rimanere a lungo in uno stato di precarietà, dopo uno studio faticoso e rigoroso nell'addestramento alla ricerca, spinge ad abbandonare questo percorso creando le condizioni per non trattenere e valorizzare i talenti migliori. La valorizzazione deve realizzarsi attraverso percorsi formativi di tipo innovativo, per assicurare qualità alla ricerca e per consentire ai ricercatori di maturare le competenze necessarie ad assumere posizioni dirigenziali.

4.5   Il merito dovrebbe essere valutato non esclusivamente in base al numero e alla qualità delle pubblicazioni, ma ponderato, in relazione alle funzioni affidate, insieme alle seguenti capacità:

gestione della ricerca,

grado di innovazione,

attività di insegnamento e supervisione,

lavoro in equipe,

partnership internazionale,

trasferimento delle conoscenze,

attrazione di risorse finanziarie per la ricerca,

attività di divulgazione e comunicazione di argomenti scientifici,

esperienze aziendali e applicabilità in campo economico dei risultati della ricerca,

brevetti, attività di sviluppo o invenzioni,

creatività e indipendenza.

Infine considerando l'atipicità dei contratti di lavoro dei ricercatori, non vanno penalizzati eventuali interruzioni delle attività lavorative.

4.6   La atipicità del ruolo di ricercatore, sintetizzabile nella precarietà del rapporto di lavoro, non deve condizionare in negativo la qualità della vita lavorativa e familiare del ricercatore. In particolare, deve essere agevolata ogni forma di mobilità, soprattutto geografica, auspicabile per la crescita professionale. La mobilità, infatti, rappresenta un forte fattore di sviluppo del sistema della libertà della conoscenza; comporta, inoltre, una tensione verso la formazione e la crescita culturale del lavoratore e del sistema della ricerca.

4.7   Si suggeriscono, pertanto, misure volte a facilitare le relazioni tra ricercatori di diverse realtà: solo così si moltiplicheranno gli interessi, le esperienze di confronto, facendo diventare la mobilità fattore di conoscenza. Sarebbe utile a tal fine confrontare le differenze più evidenti tra il sistema di ricerca europeo e quello americano, in grado di attirare e trattenere i talenti, per cogliere gli aspetti positivi di questo modello e mutuarne i profili adattabili alla nostra realtà; ad esempio, partendo dalle procedure di assunzione, ai sistemi di valutazione e di incentivazione della carriera di un ricercatore.

4.8   Per costruire lo spazio europeo della ricerca occorre, dunque, non solo sostenere la portabilità da uno Stato (o ente di ricerca) all'altro dei finanziamenti avuti dal singolo ricercatore, ma attivare un processo virtuoso in base al quale gli enti troverebbero convenienza nel reclutamento delle persone più qualificate scientificamente. I ricercatori, come del resto le altre categorie in cui è richiesta la mobilità, andrebbero sostenuti in ambito europeo, offrendo loro incentivi concreti (remunerazione e facilities) negli spostamenti in sedi diverse, e non ostacolati, come oggi spesso accade (causa della perdita dei cervelli). In questa direzione, un meccanismo ampiamente utilizzato nelle università angloamericane è l’assegnazione da parte dell’ente finanziatore di un bonus (overhead), proporzionale all’entità del finanziamento stesso, all’istituzione che ospita il ricercatore finanziato.

4.9   Di contro il ricercatore interessato alla mobilità è, spesso, al contempo in condizioni contrattuali precarie: tale concomitanza (mobilità più precariato), comporta ulteriori disagi sul piano previdenziale. Si accoglie dunque positivamente l'assunto dettato dalla Commissione secondo cui i ricercatori e i loro datori di lavoro devono avere un agevole e completo accesso alle informazioni specifiche in materia di sicurezza sociale nei diversi Stati membri. Deve essere garantita la protezione sociale e vanno agevolate l’acquisizione e il trasferimento dei diritti ad ogni forma di tutela previdenziale, compresa quella a pensioni complementari. Va, inoltre, sostenuta fortemente la possibilità di adottare misure tendenti ad assicurare una continuità contrattuale ai ricercatori, per i quali se può considerarsi fisiologico un percorso di carriera precario per qualche anno a inizio carriera, diviene mortificante fino a oltre la soglia dei 40 anni, con ridotte possibilità di autonomia e con scarse possibilità di accesso a posizioni dirigenziali.

4.10   Va anche promossa una differenziazione dei percorsi lavorativi del personale impegnato nel mondo della ricerca attraverso la costruzione di canali non tradizionali in uscita, che consentano al singolo ricercatore di impiegare il patrimonio delle proprie conoscenze in modo più gratificante. Non va in senso opposto l'idea di costruire un rapporto più forte tra altri settori della pubblica amministrazione e il mondo della ricerca; attivare ad esempio ponti di collegamento tra il mondo dell'istruzione e della ricerca consentirebbe alle istituzioni scolastiche di sfruttare risorse eccellenti come il personale della ricerca in percorsi didattici di qualità e diversificati. Analogamente i docenti dell'istruzione secondaria, particolarmente sensibili alle tematiche della ricerca, potrebbero collaborare in tale settore strategico, offrendo un contributo di tipo culturale, arricchendo, nel contempo, il patrimonio delle conoscenze da trasferire ai discenti.

4.11   Se è vero che la ricerca rappresenta il motore dello sviluppo, diventa sempre più forte il nesso tra quest'ultima e il mondo dell'impresa. La ricerca industriale e d’impresa tecnologicamente avanzata e innovativa deve spronare lo sviluppo economico. Occorre al riguardo sostenere la costruzione di un sistema integrato tra ricerca, innovazione e impresa; è necessario allora favorire uno scambio proficuo tra le realtà lavorative del settore pubblico e di quello privato. Scambio spesso rallentato dalle diverse politiche di gestione delle risorse umane. Si auspica che le leggi dei singoli Stati e i contratti nazionali di lavoro riescano presto a ridurre il gap descritto attraverso misure specifiche (incentivi fiscali, stage, mobilità, programmi comunitari…).

4.12   Vanno altresì incoraggiate forme d'impresa (start-up, spin-off) in cui le competenze maturate dai ricercatori possano essere impiegate in attività economiche innovative. Il sostegno può prevedere condizioni favorevoli dal mondo bancario e non solo (finanza pubblica agevolata), agevolazioni previdenziali e fiscali.

4.13   Da ultimo si sottolinea positivamente il piano di lavoro adottato dalla Commissione nel documento COM(2008) 317 def.: il piano nazionale del 2009 redatto dagli Stati membri dovrà immediatamente, ascoltati gli attori in causa, puntare agli obiettivi dichiarati tenendo conto del quadro giuridico comunitario esistente, delle buone pratiche presenti e anche di quelle comuni agli Stati membri.

4.14   Infine si reputa decisiva la conferenza del 2009, con il coinvolgimento delle parti sociali, per valutare lo stato dell'arte e maturare un'opinione comune su eventuali interventi modificativi ovvero migliorativi.

Bruxelles, 3 dicembre 2008.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI

Il Segretario generale del Comitato economico e sociale europeo

Martin WESTLAKE


28.7.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 175/84


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la decisione 2001/470/CE del Consiglio relativa all'istituzione di una rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale»

COM(2008) 380 def. — 2008/0122 (COD)

(2009/C 175/15)

Il Consiglio, in data 12 novembre 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 61, lettera c) e 67, paragrafo 5 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la decisione 2001/470/CE del Consiglio relativa all'istituzione di una rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale

COM(2008) 380 def. — 2008/0122 (COD).

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 8 luglio 2008, ha incaricato la sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, il 3 dicembre 2008, nel corso della 449a sessione plenaria, ha nominato relatrice generale SÁNCHEZ MIGUEL e ha adottato il seguente parere con 124 voti favorevoli, 2 voti contrari e 1 astensione.

1.   Conclusioni

1.1   Il CESE accoglie favorevolmente la proposta di modifica della decisione 2001/470/CE relativa all'istituzione di una rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale, non solo perché rispetta il mandato di revisione imposto dalla stessa decisione, ma anche perché si basa sulle informazioni raccolte durante il periodo appena trascorso, sul funzionamento della rete, e cerca di ottenere risultati migliori nell'ambito dell'obiettivo di informazione dei cittadini europei.

1.2   Va messo in evidenza il migliore coordinamento che si istituisce tra le autorità che compongono la rete giudiziaria europea e i punti di contatto nazionali, elementi chiave per garantire l'istituzione e il funzionamento della rete stessa, e la semplificazione della diffusione dell'informazione, grazie all'uso di tecnologie idonee. Tutto questo permetterà di facilitare l'accesso all'informazione da parte degli operatori del diritto e dei cittadini interessati a conoscere le loro possibilità di risoluzione delle controversie transfrontaliere in materia civile e commerciale.

1.3   Grazie alla partecipazione tanto delle autorità giudiziarie quanto degli operatori del diritto sarà possibile conoscere gli strumenti giuridici adeguati per garantire i diritti e i doveri dei cittadini europei nelle loro diverse attività professionali e civili. In questo modo si perseguirà con maggiore efficacia l'obiettivo di armonizzazione dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia dell'UE. Il CESE è favorevole alla massima apertura della rete e al suo accesso da parte di tutti gli interessati, in modo da potenziare la trasparenza e il processo d'integrazione europeo.

2.   Introduzione

2.1   A partire dal Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, la Commissione europea ha intrapreso un processo di armonizzazione e di creazione degli strumenti giuridici che consentissero lo sviluppo di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, garantendo la libertà di circolazione delle persone entro i confini dell'UE. Tra tali strumenti figura in particolare il regolamento concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (1), che stabilisce, tra le altre misure, una semplificazione del procedimento di delibazione, un adeguamento dei provvedimenti cautelari per l'esecuzione delle decisioni e il riconoscimento di un titolo esecutivo europeo.

2.2   Sulla stessa linea, la Commissione ha presentato la decisione 2001/470/CE (2) relativa all'istituzione della Rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale, il cui obiettivo principale è di creare uno strumento europeo di cooperazione in campo giudiziario incaricato di informare gli operatori del diritto, le istituzioni, le amministrazioni e i cittadini in generale sui diritti applicabili nei diversi Stati membri nonché sulle procedure esistenti per risolvere le controversie transfrontaliere che sorgono in campo giuridico.

2.3   Compito della rete è anche quello di favorire l'accesso dei cittadini alla giustizia, soprattutto, come già precisato, nelle controversie di carattere transfrontaliero nelle quali non sempre c'è equivalenza a livello di contenuto e di procedure. Questo spiega la particolare attenzione attribuita ai punti di contatto, ai quali tutte le persone interessate, siano esse operatori del diritto o comuni cittadini, potranno accedere facilmente. All'inizio del 2008, la Commissione ha fatto il punto della situazione, segnalando che esistono 102 punti di contatto, 140 autorità centrali, 12 magistrati di collegamento e 181 altre autorità giudiziarie competenti in materia di cooperazione giudiziaria.

2.4   È opportuno aggiungere che nella direttiva 2008/52/CE (3) relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale, la rete veniva già citata nell'ambito della procedura giudiziaria come uno strumento necessario per una effettiva mediazione nei conflitti giuridici transfrontalieri.

3.   Osservazioni generali

3.1   Conformemente al disposto dell'articolo 19 della decisione 2001/470/CE, la Commissione è tenuta a presentare ogni cinque anni una relazione sull'applicazione della decisione stessa, stilata in base alle informazioni fornite dai punti di contatto degli Stati membri. Sulla base di tali informazioni, è possibile presentare eventuali proposte di modifica. Questo è l'oggetto della nuova decisione all'esame, con la quale si intende raggiungere gli obiettivi prefissati sulla base dell'articolo 61, lettera c) del Trattato, nel rispetto dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità.

3.2   Finora, la rete è riuscita a rafforzare la cooperazione e l'informazione tra i giudici e gli operatori del diritto all'interno dell'UE. Il CESE ritiene che i punti di contatto dovrebbero costituire veri e propri uffici informazione sulle norme e le procedure nazionali applicabili ai casi di conflitto a livello transfrontaliero. Sarebbe auspicabile un accesso dei cittadini alle informazioni della rete.

3.3   Nel suo complesso, grazie alla riforma proposta si intende solo perfezionare un meccanismo, quello della rete, che permetterà di conseguire meglio gli obiettivi prefissati, specie per quanto concerne la sua dotazione di risorse materiali e umane.

Il CESE giudica positivamente la modifica proposta, non solo perché migliora il funzionamento della rete ma anche perché apporta precisazioni terminologiche che consentono di servirsi della rete stessa con una maggiore accuratezza giuridica.

3.4.1   Ad esempio, la modifica all'articolo 2 della decisione prevede di precisare maggiormente la materia oggetto della rete. L'espressione generica «cooperazione in materia civile e commerciale», utilizzata finora, viene sostituita da «cooperazione giudiziaria in materia civile e commerciale».

3.4.2   Si risolve anche il problema del coordinamento tra i diversi punti di contatto, nel caso ne esista più di uno in uno stesso Stato membro, imponendo la nomina di un punto di contatto principale.

3.4.3   Il punto di contatto principale dovrà contare sull'assistenza di un giudice, che non solo sarà membro a pieno titolo della rete, ma che fungerà di collegamento con le autorità giudiziarie locali.

3.5   In linea con l'obiettivo principale di questa revisione, l'articolo 5 viene modificato per ampliare la cooperazione in materia d'informazione all'interno della rete e con le autorità giudiziarie, in modo da facilitare l'applicazione dei diritto a ciascun caso specifico, anche se si tratta del diritto di un altro Stato membro oppure di uno strumento giuridico internazionale. Il CESE ritiene che l'assolvimento da parte della rete del compito di informare i cittadini circa la cooperazione giudiziaria esistente e i diversi sistemi giudiziari rappresenterebbe un valore aggiunto della rete stessa. L'obiettivo di questa funzione aggiuntiva sarebbe quello di avvicinare i cittadini e garantire loro i diritti acquisiti nei loro rapporti civili e commerciali, all'interno dell'UE.

3.6   È importante sottolineare che la nuova formulazione dell'articolo 8 introduce una modifica nella procedura di informazione. Il nuovo articolo prevede un registro elettronico dei dati che dovrà essere tenuto dalla Commissione europea. Il CESE desidera solo far osservare che il registro dovrà contare con mezzi tecnici e economici tali che esso possa operare efficacemente e con la massima rapidità.

4.   Osservazioni particolari

4.1   Il CESE è d'accordo con il contenuto delle modifiche proposte e con il metodo utilizzato per realizzarle. La rete può addirittura essere considerata un successo della cooperazione tra le autorità giudiziarie e professionali degli Stati membri.

4.2   Pur riconoscendone il valore, il CESE sottolinea che la posizione della Danimarca come osservatore della rete lascia una parte dello spazio comune europeo priva di coordinamento in materia giudiziaria, benché tale paese applichi la stessa legislazione comunitaria. Il nuovo articolo 11 bis prevede tuttavia la partecipazione alla rete di osservatori così come dei nuovi Stati membri e dei paesi terzi che aderiscano alla nuova Convenzione di Lugano (4), che potranno assistere a determinate riunioni della rete.

4.3   Un punto che, a giudizio del CESE, dovrebbe presentare una maggiore flessibilità è quello concernente la brevità del termine per rispondere alle richieste di cooperazione giudiziaria. Pur riconoscendo l'efficacia del sistema attuale, bisogna contare sul fatto che un miglioramento dell'informazione e un aumento del numero di paesi che lo utilizzano ne renderebbe impossibile l'osservanza. Bisogna inoltre considerare che dal punto di vista sia organizzativo sia degli strumenti tecnici la situazione varia tra i diversi Stati membri, o addirittura tra le diverse regioni. Si dovrebbero attendere i risultati della nuova revisione, specie per quanto riguarda gli strumenti tecnici messi a disposizione dei punti di contatto e della rete e in particolare il funzionamento del registro.

Bruxelles, 3 dicembre 2008.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI

Il Segretario generale del Comitato economico e sociale europeo

Martin WESTLAKE


(1)  Regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio del 22 dicembre 2000 — GU L 12 del 16.1.2001.

Parere del CESE — GU C 117 del 26.4.2000, pag. 6.

(2)  Parere del CESE — GU C 139 dell’11.5.2001, pag. 6.

(3)  Direttiva 2008/52/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 maggio 2008 — GU L 136 del 24.5.2008.

Parere del CESE — GU C 286 del 17.11.2005, pag. 1.

(4)  Firmata il 30 ottobre 2007.


28.7.2009   

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C 175/87


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Affrontare la sfida dell'efficienza energetica con le tecnologie dell'informazione e della comunicazione»

COM(2008) 241 def.

(2009/C 175/16)

La Commissione europea, in data 13 maggio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Affrontare la sfida dell'efficienza energetica con le tecnologie dell'informazione e della comunicazione

COM(2008) 241 def.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 novembre 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore HERNÁNDEZ BATALLER.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 4 dicembre 2008, nel corso della 449a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 123 voti favorevoli, 3 voti contrari e 21 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo ritiene che lo sviluppo sostenibile debba essere un obiettivo prioritario delle politiche comunitarie. Esso va perseguito, tra l'altro, attraverso l'efficienza energetica, lo sviluppo di nuove fonti alternative di energia («rinnovabili», «pulite» o «verdi»), e in ultima analisi, mediante l'adozione di misure che, tenuto conto dei cambiamenti climatici, riducano le emissioni di CO2.

1.2   La comunicazione presentata dalla Commissione rappresenta un passo avanti in questa direzione, proponendo la promozione di programmi nazionali e regionali di ricerca e sviluppo tecnologico (RST) e considerando le tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) un motore dell'efficienza energetica.

1.3   Il Comitato è d'accordo con la Commissione quando afferma che le TIC forniscono un duplice contributo agli obiettivi di sviluppo sostenibile. Da un lato, la ricerca, lo sviluppo e l'innovazione di componenti, apparecchiature e servizi consentiranno un risparmio energetico nel quadro della loro utilizzazione. Dall'altro, l'applicazione delle TIC nei diversi settori dell'economia, dal punto di vista sia della produzione che del consumo, consente di «smaterializzare» numerosi processi e di sostituire scambi fisici e materiali con la prestazione di servizi «on line», con un corrispondente risparmio di energia. Oltre a ciò, il Comitato ritiene però essenziale incorporare il risparmio energetico in tutto il processo di fabbricazione e di uso dei dispositivi tecnologici, e non preoccuparsi soltanto dell'efficienza del consumo energetico nel corso della vita utile dei dispositivi stessi.

1.4   La comunicazione della Commissione intende promuovere, sulla base di tali obiettivi, una fase iniziale di raccolta e di analisi dell'informazione, che sarà preliminare ad una seconda comunicazione in cui verranno definite le principali linee d'azione (1). Il Comitato ritiene, ad ogni modo, fondamentale promuovere azioni volte a favorire l'efficienza energetica a breve e a medio termine.

1.5   Un fattore importante per conseguire l'efficienza energetica, dal punto di vista dell'offerta, è la sostituzione degli apparecchi che, in quanto tecnologicamente obsoleti o deteriorati perché oramai giunti al termine della loro vita utile, comportano un elevato consumo di energia. Più del 50 % degli elettrodomestici presenti nelle case europee ha oltre 10 anni di vita e potrebbe essere considerato inefficiente sul piano energetico. Come passo preliminare o alternativo alla elaborazione di direttive in questo senso, la Commissione potrebbe promuovere lo sviluppo di criteri destinati all'industria affinché, con il sostegno dei governi nazionali e con il contributo delle organizzazioni di consumatori e utenti, si favoriscano piani per sostituire tali apparecchi.

1.6   Il Comitato giudica, per esempio, necessario approfittare dell'introduzione della televisione digitale terrestre nei diversi Stati membri per rinnovare il parco televisori, sostituendo quelli tradizionali basati sul tubo catodico (CRT) con televisori dotati di schermo a cristalli liquidi (LCD). Questo presuppone, ad esempio, promuovere la fabbricazione e l'acquisto, attraverso accordi con i produttori e le organizzazioni di utenti, di impianti integrati che garantiscano l'interattività, piuttosto che l'acquisto di decodificatori periferici da collegare ai televisori analogici. Gli studi tecnici mostrano che i televisori CRT hanno un consumo di energia tre volte superiore a quello dei televisori LCD, arrivando a consumi più elevati del 60 % circa quando sono in posizione di stand by.

1.7   Una strategia analoga può essere adottata, secondo la Commissione, in relazione ad altri settori, ad esempio la rete elettrica (produzione e distribuzione), gli edifici intelligenti o l'illuminazione intelligente. È dunque importante sviluppare il commercio elettronico di elettricità e le innovazioni tecnologiche relative alla produzione e alla distribuzione di energia elettrica, i sistemi di gestione, contabilizzazione e visualizzazione del risparmio energetico negli edifici, l'illuminazione intelligente sia interna che esterna o nelle strade, attraverso fonti di luce in grado di interagire con l'ambiente adeguandosi elettronicamente alle esigenze d'illuminazione.

È noto, per esempio, che l'energia utilizzata per la fabbricazione e lo sviluppo dei computer è tre volte superiore a quella consumata dai computer stessi nel corso della loro vita utile. È inoltre importante pensare all'elevato consumo energetico dei server e dei motori di ricerca Internet, sviluppando soluzioni specifiche nel settore e tenendo conto in modo particolare dell'uso di Internet che cresce in maniera esponenziale e dell'aumento del consumo energetico legato alla convergenza tecnologica. Inoltre, è molto importante valutare il risparmio di energia ottenibile con l'utilizzazione di impianti interoperabili che rispondono a norme tecnologiche standard, fatto che si traduce in un numero inferiore di impianti e in un loro maggiore uso, conformemente a quanto indica la direttiva 2005/32/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 luglio 2005 relativa all'istituzione di un quadro per l'elaborazione di specifiche per la progettazione ecocompatibile dei prodotti che consumano energia (2).

I consumatori possono dare un notevole contributo a tale risparmio, utilizzando le nuove tecnologie in modo appropriato. Anche in questo caso, lo sviluppo di programmi informatici e di dispositivi tecnologici consente ai consumatori di visualizzare in modo rapido e semplice le informazioni necessarie ad un uso adeguato degli apparecchi e di quantificare il possibile risparmio energetico. Si può ad esempio limitare il tempo di accensione dei computer e delle unità periferiche a quello del loro effettivo utilizzo, evitare i salvaschermi o la fase di accensione a basso consumo, oppure ottimizzare l'uso delle stampanti, ecc. In linea di massima, si calcola che il «consumo fantasma» degli apparecchi nella succitata posizione di stand by può rappresentare per un nucleo familiare quasi il 12 % della bolletta annuale dell'elettricità, un consumo che sale alle stelle quando al cattivo uso della tecnologia si aggiunge l'obsolescenza degli apparecchi. È evidente che la necessità di sostituire gli impianti comporta notevoli costi per i consumatori, che in determinati casi dovrebbero essere compensati da aiuti sociali.

1.8   A tutte queste iniziative dovrebbero affiancarsi la certificazione della qualità e la fornitura, sulle etichette, di informazioni chiare e precise agli utenti relative all'efficienza energetica dei diversi apparecchi, all'«impronta ecologica o di carbonio», ecc., sensibilizzando i cittadini, orientando la loro domanda e garantendo al tempo stesso l'uso efficiente e sostenibile degli apparecchi dal punto di vista energetico. L'esperienza eventualmente maturata in materia di TIC in settori quali l'audiovisivo, le comunicazioni elettroniche, l'elettricità, gli edifici intelligenti o l'illuminazione potrebbe servire per adottare misure di risparmio energetico in altri settori fondamentali nei quali la Commissione ha iniziato ad agire, ad esempio il settore automobilistico, l'industria manifatturiera o i trasporti.

Il Comitato esorta la Commissione ad informare attivamente i consumatori, le imprese, le amministrazioni, ecc., attraverso campagne di sensibilizzazione mediante mezzi di comunicazione e supporti diversi.

1.9   La Commissione dovrebbe anche promuovere l'elaborazione di indicatori standardizzati e affidabili, in grado di quantificare e ponderare il risparmio energetico che può comportare l'uso delle TIC. Questo contribuirebbe a ridurre il crescente ricorso, ingannevole o confuso, ai concetti di energia «verde» o «pulita», come mera strategia di marketing e senza una giustificazione reale, dimostrabile e quantificabile in termini di risparmio energetico e di riduzione delle emissioni. La definizione di tali indicatori permetterebbe di sapere con esattezza se si è dinanzi ad una pratica commerciale sleale oppure no, soprattutto nelle comunicazioni commerciali che utilizzano gli argomenti del cosiddetto ecomarketing.

In un quadro di privatizzazione e di liberalizzazione del mercato energetico, è importante promuovere investimenti nel risparmio e nella sostenibilità energetica da parte delle imprese, aiutandole a considerare tali investimenti un'opportunità commerciale e una possibilità di creare posti di lavoro stabili e qualificati.

1.10   Il CESE ritiene necessario intensificare nel quadro dell'UE l'azione politica volta a garantire le risorse necessarie al raggiungimento degli obiettivi di risparmio energetico fissati, adottando misure vincolanti in materia di impianti, atte a colmare le lacune esistenti in questo settore nei piani nazionali. Un intervento comunitario in questo ambito, attraverso l'adozione di una direttiva, apporterebbe un valore aggiunto all'azione degli Stati membri, e non pregiudicherebbe il sostegno della Commissione europea all'introduzione di codici nazionali di buone pratiche e alla realizzazione di studi comparati sull'ottimizzazione energetica, che potrebbe servire da incentivo all'interno dell'UE e incoraggiare le imprese ad elaborare relazioni sul risparmio energetico.

2.   Motivazione

2.1   Antecedenti

2.1.1   La comunicazione della Commissione si basa sui seguenti elementi:

le priorità stabilite dal Consiglio europeo di primavera del 2007, in cui i capi di Stato e di governo hanno sottolineato la necessità di combattere i cambiamenti climatici, garantire un approvvigionamento energetico sicuro, sufficiente e concorrenziale e assicurare un modello di sviluppo sostenibile nel XXI secolo. Il Consiglio ha raggiunto in quella sede un consenso sulla necessità di collocare la politica combinata del clima e dell'energia al centro del programma dell'UE, definendo obiettivi precisi e giuridicamente vincolanti a testimonianza della sua determinazione in questo campo. La Commissione considera necessario in futuro svincolare la continuazione della crescita economica europea, essenziale per mantenere la piena occupazione e garantire l'inclusione sociale, dal consumo di energia. Le tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) (3) devono svolgere un ruolo importante nella riduzione dell'intensità energetica e nell'aumento dell'efficienza energetica dell'economia,

il pacchetto di misure adottate dalla Commissione europea il 23 gennaio 2008, a dimostrazione che gli obiettivi sopraccitati sono realizzabili sotto il profilo sia tecnico che economico e offrono opportunità commerciali a migliaia di imprese europee,

il Piano strategico europeo per le tecnologie energetiche e altre numerose iniziative avviate dalla Commissione europea in vari campi, tutte destinate a rispondere alle sfide rappresentate dai cambiamenti climatici.

2.2   Osservazioni generali

2.2.1   Tenendo conto di quanto precede, la comunicazione è finalizzata a stimolare un dibattito aperto tra le parti interessate in alcuni settori ben definiti, ad esempio le TIC in quanto tali, l'elettricità, gli edifici intelligenti, i sistemi di illuminazione intelligente. Questo presuppone la realizzazione di un processo di raccolta e di analisi delle informazioni, ma anche di consultazione e di coinvolgimento del maggior numero possibile di soggetti: le istituzioni europee (Parlamento, Comitato delle regioni, Comitato economico e sociale europeo), gli Stati membri, l'industria, i centri di ricerca e i consumatori. Questi ultimi possono svolgere un ruolo importante nell'uso sperimentale dei nuovi componenti e delle nuove apparecchiature.

La Commissione dovrebbe potenziare maggiormente la partecipazione dei consumatori e degli utenti al conseguimento degli obiettivi di risparmio energetico attraverso le TIC, affinché risultino intelligenti non solo i sistemi di risparmio energetico in quanto tali ma anche l'uso che ne fanno i cittadini. Esistono diverse procedure per garantire tale partecipazione ai processi di ricerca, sviluppo e innovazione. È ad esempio il caso della rete europea dei living labs che, attraverso l'osservazione meccanica permessa dalle stesse TIC, consentono di conoscere direttamente le opinioni, gli atteggiamenti e i comportamenti degli utenti.

2.2.2   Le sinergie e gli accordi di buone pratiche che possono eventualmente svilupparsi in tale processo permetteranno di potenziare iniziative pilota, rafforzando la ricerca e lo sviluppo tecnologico (RST). Nel settore specifico delle TIC, la ricerca relativa alla loro efficienza energetica rientrerebbe nei programmi nazionali e regionali, nel programma dell'UE sulla competitività e l'innovazione e nei programmi operativi finanziati dalla politica di coesione. Questo permetterebbe di favorire la valutazione, da parte delle imprese, della loro «impronta ecologica» e consentirebbe alle imprese stesse di adottare, a partire da tale diagnosi, decisioni basate sulla combinazione di reti avanzate di comunicazione e di energie rinnovabili per realizzare il risparmio energetico (negawatt).

2.2.3   Il CESE si è espresso più volte sull'importanza delle TIC per il conseguimento di un cambiamento strutturale e sul loro contributo significativo all'innovazione. Si vedano in particolare i pareri sulle nanotecnologie (4), sulla biotecnologia (5), sulla ricerca in campo sanitario e soprattutto il parere sulle tecnologie dell'informazione (6). Le TIC vengono trattate in maniera prettamente orizzontale nel Settimo programma quadro. Per quanto concerne le misure di ricerca e sviluppo, da un punto di vista economico e ambientale è estremamente importante utilizzare le più moderne tecnologie e assegnare maggiori risorse di bilancio alla promozione della ricerca e dell'innovazione (7).

2.3   Osservazioni specifiche

La Commissione analizza soprattutto il settore dell'elettricità, attualmente in una fase di profonda trasformazione caratterizzata dalla liberalizzazione del mercato, dal moltiplicarsi delle reti locali di energia, dall'integrazione delle fonti di energia rinnovabili, dall'aumento della cogenerazione e della microgenerazione (microreti, centrali virtuali), dall'accorciamento della catena tra generazione e consumo, dalle compensazioni energetiche tra gli utenti e infine dalle nuove domande dei cittadini.

2.3.1.1   Il miglioramento della rete elettrica, dalla fase di generazione a quella di distribuzione, miglioramento che include anche una maggiore efficienza della rete stessa al fine di evitare perdite di energia, figura nella valutazione del Piano d'azione sull'efficienza energetica, sul quale il CESE ha emesso un parere cui si rimanda (8).

2.3.1.2   La Commissione si sofferma anche sulle possibilità di risparmio energetico offerte dagli edifici intelligenti, sia ad uso abitativo che commerciale. In questo ambito si fa speciale riferimento allo sviluppo di sistemi di gestione, contabilizzazione e visualizzazione del consumo di energia, sviluppo che avrà il vantaggio di promuovere una maggiore sensibilizzazione degli utenti in materia di consumo energetico. Bisogna tenere conto del fatto che più del 40 % del consumo di energia in Europa è collegato agli edifici.

2.3.1.3   Secondo il Comitato (9) occorre che siano individuati nuovi stimoli culturali e nuovi incentivi, da un lato per compensare i maggiori costi e, dall'altro, per aumentare l'interesse verso:

la ricerca di progetto,

la revisione dei metodi costruttivi,

l'utilizzo di migliori materiali da introdurre nel processo di costruzione e

nuove soluzioni strutturali.

2.3.1.4   Il Comitato ribadisce (10) che dal punto di vista del consumatore finale è necessario tenere in debita considerazione gli ostacoli che si frappongono alla promozione e alla realizzazione dell'efficienza energetica degli edifici in Europa: barriere tecniche, economiche, finanziarie, giuridiche, amministrative e burocratiche, istituzionali e gestionali, socio-comportamentali e quelle derivanti dall'assenza di un'impostazione integrata (squilibri riscaldamento/raffreddamento, non considerazione delle fasce climatiche, ecc.).

Gli edifici intelligenti contribuiscono sia alla qualità della vita, al comfort e alla sicurezza di chi li abita sia al risparmio di denaro e di energia. La connettività offre l'accesso tanto ai servizi di comunicazione (possibilità di captare, adattare e distribuire i segnali di radiodiffusione sonora e televisiva mediante onde terrestri e satellitari, ADSL, cavo, rete elettrica) quanto ad altri servizi di grande utilità per il risparmio energetico: individuazione di fughe di gas e acqua, di un consumo eccessivo di elettricità dovuto ad un cattivo funzionamento, controllo automatizzato dell'irrigazione, climatizzazione.

L'introduzione di procedure attive o passive per migliorare le condizioni ambientali delle abitazioni può ridurre i consumi delle famiglie fino al 50 % e, secondo alcuni studi, la combinazione di energie pulite e di sistemi meccanici di controllo ambientale consente una riduzione fino al 70 %.

I progressi in materia di illuminazione intelligente, sia per interni che per esterni e per le strade, permettono di contare su fonti di luce in grado di interagire con l'ambiente adeguandosi elettronicamente alle esigenze di illuminazione. Nel mercato già esistono tecnologie quali i diodi ad emissione di luce (LED) o i più moderni diodi organici ad emissione di luce (OLED), che presentano grandi potenzialità di risparmio energetico. A livello mondiale circa un quinto dell'elettricità viene consumata per l'illuminazione.

2.3.2.1   Il CESE è favorevole a promuovere e a incentivare la conclusione di accordi volontari per l'adozione di sistemi di illuminazione progressivamente più intelligenti, ai fini di una maggiore efficienza energetica in tutti gli spazi pubblici interni ed esterni.

2.3.2.2   Favorire gli «appalti verdi» all'interno del settore delle TIC, al fine di conseguire una industria neutrale rispetto alle emissioni di carbonio, definendo accordi volontari su progetti pilota, può essere un modo per orientare ed esaminare il cambiamento strutturale.

La Commissione deve far sì che le imprese che investono nella riduzione della loro «impronta ecologica», oltre a beneficiare di una riduzione dei costi determinata dal risparmio energetico, godano anche di un'immagine più favorevole presso i consumatori. Naturalmente, la gestione ambientale delle imprese comporta anche un adeguato riciclaggio di componenti elettronici, rifiuti e residui. Il riciclaggio dovrebbe essere previsto a partire dalla fase di fabbricazione degli impianti, in modo da poter riutilizzare una percentuale elevata di materiali e componenti. Data l'importanza del tema, il CESE sta elaborando un parere d'iniziativa in materia, nel quale si esprimerà sui sistemi di gestione dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche.

2.3.2.3   Il CESE ha già raccomandato (11) la promozione di appalti pubblici «verdi» tramite l'individuazione delle specifiche tecniche dei prodotti «verdi», a cominciare da quelli a più elevato impatto ambientale, l'inclusione nel capitolato dei costi del ciclo di vita del prodotto o servizio, la disponibilità on-line di un'apposita banca dati, l'adeguamento delle direttive CE sugli appalti pubblici tramite l'inserimento di un riferimento a standard, sistemi di gestione ambientale (EMS), Ecolabel e eco-progettazione e, infine, la pubblicazione dei piani d'azione nazionali per l'adozione di appalti verdi. Il sostegno dovrebbe concentrarsi in modo particolare sulle piccole e medie imprese, data la loro importanza in termini di volume di produzione e numero di posti di lavoro, in linea con la posizione espressa della Commissione a favore delle PMI.

Le TIC si trovano in una posizione privilegiata per contribuire alla riduzione delle conseguenze del cambiamento climatico (12), nella misura in cui i loro prodotti e servizi possono contribuire alla sostituzione di beni e ad una limitazione degli spostamenti (promovendo ad esempio i sistemi di videoconferenza). È inoltre possibile diminuire in modo sensibile il consumo di energie primarie e dunque le emissioni di CO2, introducendo ad esempio nuove forme di lavoro (telelavoro), o ricorrendo alla fatturazione on line, alla teleformazione o all'utilizzo di formulari on line.

2.3.3.1   Le imprese possono trovare nuove fonti di reddito offrendo soluzioni basate sulle TIC relative a servizi in grado di aiutare altri settori ad essere più efficienti, ad esempio:

promovendo la ricerca e la concretizzazione di opportunità per ridurre le emissioni di gas a effetto serra,

elaborando, a favore di imprese o di settori di imprese, elenchi di possibili misure per ridurre le emissioni di gas a effetto serra,

potenziando, all'interno delle imprese, lo sviluppo di progetti di efficienza energetica,

individuando opportunità di riduzione del consumo energetico nei servizi,

prendendo in considerazione le emissioni di gas a effetto serra come indicatori di costi e benefici al momento di valutare nuovi progetti.

2.3.3.2   Può rivelarsi positiva la creazione di «Uffici dei cambiamenti climatici» nelle imprese legate alle TIC. Tali uffici potrebbero, tra l'altro occuparsi di:

aumentare lo sfruttamento delle fonti di energia rinnovabili o eccedenti,

assicurare la conformità dei processi con la politica energetica dell'impresa, migliorando l'efficienza energetica dei processi stessi,

individuare le migliori azioni già messe in atto nelle diverse operazioni realizzate e promuoverle in futuro,

fissare obiettivi di riduzione delle emissioni di CO2,

ottenere, da parte di un organismo esterno, la certificazione del proprio sistema di gestione delle risorse energetiche,

realizzare una diagnosi energetica, individuando le voci di maggior consumo.

Bruxelles, 4 dicembre 2008

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI

Il Segretario generale del Comitato economico e sociale europeo

Martin WESTLAKE


(1)  Un esempio di questo lavoro preliminare di raccolta e di analisi dell'informazione è il recente studio della Commissione intitolato «The implications of ICT for Energy Consumption» (e-Business Watch, Study report no 09/2008, http://www.ebusiness-watch.org/studies/special_topics/2007/documents/Study_09-2008_Energy.pdf).

(2)  GU L 191 del 22.7.2005, pag. 29-58.

(3)  Con la sigla TIC s’intendono i componenti e i sistemi di micro e nanoelettronica, oltre che le tecnologie del futuro come la fotonica, che promettono di fornire una potenza di elaborazione molto più elevata per una frazione del consumo energetico attuale e applicazioni per l’illuminazione ad alta luminosità, facilmente controllabili e a basso consumo energetico.

(4)  GU C 157 del 28.6.2005, pag. 22.

(5)  GU C 234 del 30.9.2003, pag. 13; GU C 61 del 14.3.2003, pag. 22 e GU C 94 del 18.4.2002, pag. 23.

(6)  GU C 302 del 7.12.2004, pag. 44.

(7)  Parere CESE (relatore: WOLF, correlatore: PEZZINI), in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio concernente il Settimo programma quadro di attività comunitarie di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione (2007-2013) e alla Proposta di decisione del Consiglio concernente il Settimo programma quadro della Comunità europea dell'energia atomica (Euratom) per le attività di ricerca e formazione nel settore nucleare (2007-2011). GU C 65 del 17.3.2006, pag. 9.

(8)  Parere (CESE 1513/2008, relatore: IOZIA) sul tema Efficienza energetica — Valutazione dei piani nazionali d'azione.

(9)  Parere (relatore: PEZZINI), sul tema Efficienza energetica degli edifici — contributo degli utilizzatori finali (parere esplorativo) (GU C 162 del 25.6.2008, pag. 62).

(10)  GU C 162 del 25.6.2008, pag. 62, punto 1.11.

(11)  GU C 224 del 30.8.2008, pag. 1 Per una produzione rispettosa dell'ambiente, relatrice: DARMANIN.

(12)  I dati dell'Unione internazionale delle telecomunicazioni (UIT) indicano che le TIC potrebbero contribuire a ridurre per più di 48,4 milioni di tonnellate le emissioni di CO2 in altri settori (sanità, mobilità urbana, pubblica amministrazione, ecc.), se venissero applicate, in modo adeguato, soluzioni basate sulle telecomunicazioni.


28.7.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 175/92


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Far progredire Internet Piano d'azione per l'introduzione del protocollo Internet versione 6 (IPv6) in Europa»

COM(2008) 313 def.

(2009/C 175/17)

La Commissione, in data 27 maggio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Far progredire Internet — Piano d'azione per l'introduzione del protocollo Internet versione 6 (IPv6) in Europa

COM(2008) 313 def.

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 8 luglio 2008, ha incaricato la sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 449a sessione plenaria del 3 dicembre 2008, ha nominato relatore generale McDONOGH e ha adottato il seguente parere all'unanimità.

1.   Conclusioni

1.1   Il Comitato accoglie favorevolmente la comunicazione della Commissione sul piano d'azione per l'introduzione del protocollo Internet versione 6 (IPv6) in Europa. Al pari della Commissione, il Comitato nutre preoccupazione per i lenti progressi nell'adozione dell'IPv6 in Europa, e ritiene che sia necessario agire con urgenza per promuovere l'introduzione generalizzata della prossima versione del protocollo Internet.

1.2   I lenti progressi nell'introduzione dell'IPv6 mettono a repentaglio l'attuazione della strategia di Lisbona nel quadro dell'iniziativa i2010  (1). L'effetto moltiplicatore economico dell'uso di Internet e dell'innovazione è di grandissima importanza per la competitività europea. Analogamente a quanto avviene con la banda larga, la disponibilità dell'IPv6 sarà uno dei principali fattori propulsivi dell'economia basata su Internet e da questo punto di vista siamo già in ritardo rispetto ad altre regioni (basti pensare che l'uso dell'IPv6 ha consentito di realizzare il progetto CNGI, Chinese Next Generation Internet) (2). Non possiamo permetterci di accumulare ulteriori ritardi rispetto ai nostri partner commerciali in termini di transizione al nuovo protocollo.

1.3   Il Comitato è favorevole a molte delle azioni raccomandate nella comunicazione, ma incoraggia la Commissione a promuovere con maggiore convinzione il ruolo guida che l'Unione europea dovrebbe assumersi per favorire una più rapida adozione dell'IPv6. In caso contrario, l'obiettivo indicato dalla Commissione (il 25 % degli utenti europei in grado di collegarsi all'Internet IPv6 entro il 2010) si rivelerà eccessivamente ottimistico.

1.4   Il Comitato è dell'avviso che la comunicazione non attribuisca sufficiente attenzione alle questioni di riservatezza e di sicurezza sollevate dall'adozione dell'IPv6 per far funzionare la cosiddetta «Internet degli oggetti» (3). Tali questioni, che per i cittadini dell'Unione hanno grande importanza, devono essere affrontate in modo adeguato per tutelare i diritti dei cittadini stessi e per agevolare l'accettazione dello standard IPv6.

1.5   Se la Commissione non intraprenderà azioni specifiche, garantendo un'attenzione particolare alle regioni più svantaggiate, la transizione all'IPv6 acuirà il problema, già grave, del divario digitale geografico in Europa. È necessario agire a livello di UE per garantire che in tutti gli Stati membri vi sia quanto prima parità di condizioni per l'accesso all'IPv6.

1.6   L'IPv6 aprirà la strada a una vasta gamma di nuove tecnologie e nuovi servizi via Internet, che contribuiranno a migliorare la vita di tutti i cittadini, ma in particolare dei più svantaggiati: anziani, disabili, persone con un basso livello d'istruzione. Secondo il Comitato, l'introduzione dell'IPv6 in tutta l'Unione comporta necessariamente un forte intervento dei governi, e non può essere affidata al minimo comune denominatore del puro interesse commerciale.

1.7   Il Comitato richiama l'attenzione della Commissione sui propri pareri già emessi in merito alla promozione dell'uso di Internet, alla protezione dei dati personali, alla sicurezza di Internet e al divario digitale geografico (4).

1.8   Nel presente parere il Comitato intende formulare osservazioni su alcuni ambiti di particolare interesse e avanzare una serie di raccomandazioni.

2.   Raccomandazioni

2.1   La Commissione deve svolgere un deciso ruolo guida a livello UE e appoggiare pienamente la rapida introduzione dell'IPv6 in tutta Europa.

2.2   Questo ruolo guida deve fondarsi su una visione convincente del futuro che il protocollo IPv6 renderà possibile per la rete, nonché dei molti benefici che ne deriveranno per tutte le parti interessate.

2.3   La Commissione deve collaborare più strettamente con le organizzazioni Internet per garantire un approccio integrato in grado di offrire all'industria una guida a livello europeo ai fini della rapida introduzione dell'IPv6.

2.4   In tutta l'UE devono essere realizzati appositi programmi d'istruzione e di formazione per assicurare la massima comprensione della tecnologia IPv6 e la capacità di adottarla con successo.

2.5   Il Programma quadro per la competitività e l'innovazione (CIP) (5) deve essere utilizzato per aiutare i fornitori di accesso a Internet (ISP, Internet Service Providers) più piccoli a sostenere le spese di transizione dall'IPv4 all'IPv6.

2.6   Il CIP va altresì utilizzato per incoraggiare lo sviluppo di applicazioni e servizi che favoriscano l'introduzione del nuovo standard.

2.7   Per rimediare allo squilibrio tra gli interessi degli azionisti delle società fornitrici di accesso a Internet e quelli dei cittadini, gli ISP più grandi dovrebbero essere obbligati ad assumersi un ruolo guida a livello di UE ai fini dell'adozione dell'IPv6 in tutta l'Unione. Il rinnovo delle autorizzazioni agli operatori ISP dovrebbe essere condizionato all'offerta di piena connettività IPv6, senza limiti, entro il 2010 e di una formazione completa per i clienti su come applicare il nuovo standard.

2.8   La Commissione deve guidare uno sforzo concentrato a livello UE e in tutto il mondo per affrontare i seri problemi di sicurezza e protezione della vita privata sollevati dall'adozione dell'IPv6.

2.9   Il Comitato raccomanda di risolvere il potenziale problema di un divario digitale geografico tra chi ha accesso all'IPv6 e chi ne è escluso attraverso il meccanismo delle strategie nazionali in materia di banda larga (6) o mediante uno strumento analogo. Si potrebbe inoltre utilizzare il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) per appoggiare, ove appropriato, l'introduzione dell'IPv6.

3.   Contesto

3.1   Panoramica del piano d'azione

Il piano d'azione, finalizzato a favorire l'adozione generalizzata della nuova versione del protocollo Internet (IPv6) entro il 2010, mette in evidenza i seguenti aspetti:

è necessaria un'attuazione tempestiva dell'IPv6 poiché lo stock di indirizzi IP che il protocollo attuale (IPv4) permette di creare è quasi esaurito;

il protocollo IPv6 offre una piattaforma per l'innovazione nel settore dei servizi e delle applicazioni basati su IP ed è essenziale affinché l'Europa mantenga la sua posizione all'avanguardia nella crescita basata sulla tecnologia.

3.2   Il protocollo Internet

Il protocollo Internet (IP) fornisce un numero, o indirizzo, a qualsiasi dispositivo che si colleghi a Internet per permettergli di comunicare con altri dispositivi. La versione attuale (IPv4) offre la possibilità di creare oltre 4 miliardi di indirizzi di questo tipo (7). Anche questo numero, tuttavia, non sarà sufficiente a tenere il passo della continua crescita di Internet.

A partire dalla fine degli anni '90 (8) è stata introdotta gradualmente una versione aggiornata del protocollo, l'IPv6, ma la sua adozione è avvenuta molto lentamente: il traffico IPv6 rappresenta ancora una percentuale ridottissima (poco più dell'1 %) del traffico Internet complessivo (9).

Si prevede che lo stock di indirizzi IPv4 si esaurirà tra il 2010 e il 2012 (10). In mancanza di una soluzione adeguata a questo problema, risulteranno ostacolate sia la crescita di Internet che la capacità d'innovazione delle reti IP.

3.3   Perché è necessario l'IPv6

L'IPv6 offre una soluzione di lungo periodo al problema dello spazio per nuovi indirizzi: il numero di indirizzi definito dal nuovo protocollo è infatti enorme (3,4 x 1038).

L'IPv6 permetterà a tutti i cittadini, a tutti gli operatori di rete e a tutte le organizzazioni del mondo di disporre di tutti gli indirizzi IP di cui necessitano per collegare direttamente a Internet ogni apparecchio o dispositivo immaginabile. Come ha dichiarato la commissaria Reding, «se i cittadini europei vorranno utilizzare i dispositivi Internet più recenti, come le etichette intelligenti nei negozi, nelle fabbriche e negli aeroporti, i sistemi di riscaldamento e di illuminazione intelligenti che assicurano un risparmio energetico, nonché i sistemi di rete e di navigazione installati a bordo delle automobili, saremo di fronte ad un aumento esponenziale della domanda di indirizzi IP (11)».

Uno studio finanziato dalla Commissione (12) ha mostrato l'interesse per l'IPv6 di numerosi settori di mercato, in particolare le reti domestiche, la gestione degli edifici, le comunicazioni mobili, i settori della difesa e della sicurezza e l'industria automobilistica.

3.4   L'IPv6 e la competitività internazionale

Altre regioni, in particolare l'Asia, hanno già manifestato un forte interesse per l'IPv6.

3.5   La transizione all'IPv6

È prevista una fase di transizione (di una durata stimata di 20 anni o più) durante la quale l'IPv4 e l'IPv6 coesisteranno sulle stesse macchine e useranno le stesse reti fisiche. Durante questo periodo saranno utilizzati costosi meccanismi di adeguamento (coping mechanisms) per gestire la dipendenza residua dall'IPv4: tecnologie di sovrapposizione (overlay), come le interfacce di protocollo a doppio stack e il tunneling, e tattiche di aggiramento, come il sottoindirizzamento NAT e la messa all'asta degli indirizzi IPv4.

3.6   Le parti interessate

L'introduzione dell'IPv6 richiede la partecipazione di numerosi attori in tutto il mondo:

le organizzazioni Internet (in particolare ICANN — Internet Corporation for Assigned Names and Numbers — l'organismo responsabile della gestione dei nomi di dominio, i registri Internet regionali (RIR) e la IETF, Internet Engineering Task Force), che devono gestire le risorse e i servizi IPv6 comuni,

i fornitori di accesso a Internet (ISP), che col passare del tempo dovranno proporre ai loro clienti la connettività IPv6 e servizi basati sull'IPv6,

i fornitori di infrastrutture, che devono integrare la funzionalità IPv6 nei loro prodotti,

i fornitori di contenuti e di servizi (in particolare, i siti Internet, la messaggeria istantanea, la posta elettronica, ecc.), che devono attivare l'IPv6 sui loro server,

i fornitori di applicazioni destinate alle imprese e ai consumatori, che devono fare in modo che le loro soluzioni siano compatibili con l'IPv6 e sviluppare prodotti e servizi che traggano vantaggio dalle funzionalità dell'IPv6,

gli utenti finali (consumatori, imprese, mondo accademico e amministrazioni pubbliche), che devono acquistare prodotti e servizi compatibili con l'IPv6 e attivare tale protocollo sulle loro reti.

3.7   I costi dell'introduzione dell'IPv6

È impossibile fornire una valutazione affidabile del costo complessivo dell'introduzione dell'IPv6 a livello mondiale. Un'adozione progressiva da parte delle varie parti interessate contribuirà a tenere sotto controllo i costi.

3.8   Necessità di misure a livello europeo

Oggi, i vantaggi dell'adozione dell'IPv6 non sono immediatamente visibili per la maggior parte delle parti interessate. I benefici si faranno sentire sul lungo periodo, e molte parti interessate hanno adottato nei riguardi dell'IPv6 una posizione attendista.

La conseguenza di quanto sopra è la lentezza del ritmo di adozione su ampia scala dell'IPv6. Se non si agisce subito «l'Europa sarà privata dell'opportunità di trarre vantaggio dalle più recenti tecnologie Internet e potrebbe trovarsi ad affrontare una vera e propria crisi nel momento in cui gli indirizzi del vecchio sistema si esauriranno» (13).. Opportuni provvedimenti strategici a livello europeo potrebbero dare i giusti stimoli al mercato e incoraggiare le persone e le organizzazioni a compiere passi nella giusta direzione.

3.9   Azioni proposte dalla Commissione

3.9.1   Introdurre in modo generalizzato il protocollo IPv6 in Europa entro il 2010

3.9.2   Favorire l'accessibilità IPv6 ai contenuti, ai servizi e alle applicazioni

Gli Stati membri devono attivare l'IPv6 nei siti Internet delle autorità pubbliche e dei servizi d'amministrazione in linea,

le imprese del settore privato devono valutare la possibilità di adottare l'IPv6 come piattaforma principale per lo sviluppo di applicazioni e dispositivi,

sarà offerta assistenza finanziaria, attraverso azioni di sostegno alla standardizzazione, per migliorare l'interoperabilità delle reti,

i progetti di ricerca finanziati a titolo del Settimo programma quadro saranno incoraggiati a utilizzare l'IPv6 per quanto possibile.

3.9.3   Rafforzare la domanda di connettività e di prodotti IPv6 attraverso gli appalti pubblici:

gli Stati membri devono preparare le loro reti all'IPv6.

3.9.4   Preparare tempestivamente l'introduzione dell'IPv6

Lanciare campagne di sensibilizzazione mirate per vari gruppi di utenti,

appoggiare «azioni di sostegno specifico» (nell'ambito del Settimo programma quadro) per diffondere conoscenze pratiche in materia di introduzione del protocollo IPv6,

incoraggiare gli ISP a fornire ai loro clienti la piena connettività IPv6 entro il 2010.

3.9.5   Rispondere ai problemi di sicurezza e di riservatezza:

La Commissione sorveglierà le conseguenze dell'introduzione generalizzata dell'IPv6 sulla protezione della vita privata e sulla sicurezza, in particolare mediante consultazioni con le parti interessate, ad esempio le autorità responsabili in materia di protezione dei dati e quelle incaricate di fare applicare la legislazione.

Sono state inoltre espresse preoccupazioni per quanto riguarda l'IPv6 e il rispetto della vita privata, in particolare dal gruppo di lavoro «articolo 29» sulla protezione dei dati (14).

3.10   Esecuzione del piano d'azione

Si prevede che il piano d'azione sia attuato nel corso dei prossimi tre anni.

La Commissione continuerà a seguire le attività delle organizzazioni Internet e se necessario apporterà il proprio contributo ai dibattiti.

La Commissione informerà regolarmente il gruppo di esperti di alto livello i2010 dei progressi realizzati.

4.   Osservazioni generali

4.1   La transizione all'IPv6 è cruciale perché l'attuale standard di protocollo Internet (IPv4) sta rapidamente esaurendo gli indirizzi disponibili: secondo le stime, l'attuale stock di indirizzi IPv4 si esaurirà entro il 2012. Se non si accelererà notevolmente l'adozione dell'IPv6, la crescita di Internet subirà un forte rallentamento e i costi di utilizzo aumenteranno come conseguenza dell'eredità IPv4 sulle reti UE. Gli effetti di questo ritardo saranno costi più alti in tutti i settori del commercio via Internet, un'innovazione più lenta dei servizi basati su IP e quindi una minore crescita economica.

4.2   La comunicazione osserva che i progressi sono stati lenti perché non esiste un'autorità unica incaricata di organizzare l'adozione dell'IPv6. Il Comitato constata che singoli paesi e alcune parti interessate hanno lanciato programmi a livello nazionale per l'introduzione del nuovo protocollo, ma esprime insoddisfazione per l'appoggio che questa ha finora ricevuto a livello europeo.

Secondo il CESE si è fatto troppo affidamento sugli interessi commerciali, in particolare quelli degli ISP, perché questi promuovessero l'adozione dell'IPv6. Il fallimento è stato totale. Le conseguenze economiche e sociali del ritardo sono troppo gravi per lasciare la questione in balia di ristretti interessi commerciali: l'introduzione dell'IPv6 è di competenza dei governi. La Commissione dovrebbe assumersi ed esercitare con urgenza un ruolo guida nel contesto UE, avvalendosi di strumenti strategici e di sostegno appropriati.

4.3   L'assenza di un'azione efficace per l'introduzione dell'IPv6 mette a repentaglio l'attuazione della strategia di Lisbona nel quadro dell'iniziativa i2010  (1). L'effetto moltiplicatore economico dell'uso di Internet e dell'innovazione è di grandissima importanza per la competitività europea; non possiamo permetterci di accumulare ulteriori ritardi rispetto ai nostri partner commerciali nella transizione all'IPv6. Sebbene alcuni paesi dell'Unione si siano impegnati in modo specifico per essere pronti all'adozione del nuovo protocollo, l'Europa è tuttora in ritardo rispetto ad altre regioni del mondo.

4.4   In nome della «governance di Internet», la Commissione deve guidare uno sforzo concentrato a livello UE e in tutto il mondo per affrontare i seri problemi di sicurezza e protezione della vita privata sollevati dall'adozione dell'IPv6. In questo senso, gravi e complesse questioni sorgeranno dalla combinazione del nuovo protocollo con tecnologie quali le etichette per l'identificazione a radiofrequenza (RFID), che consentirà a miliardi di oggetti di collegarsi tra loro nell«Internet degli oggetti».

Il CESE prende atto del fatto che nei primi mesi del 2009 la Commissione presenterà proposte in materia di protezione delle infrastrutture di informazione critiche per rafforzare la capacità di affrontare i problemi di sicurezza di Internet (15). Il CESE raccomanda di inserire in queste proposte meccanismi robusti per affrontare le nuove sfide poste dall'introduzione dell'IPv6.

4.5   Il Comitato attende di conoscere la raccomandazione della Commissione sugli aspetti dell'RFID legati alla difesa della vita privata e sulla governance dell'Internet degli oggetti (16). Il nuovo protocollo IPv6 faciliterà una espansione massiccia della connettività, e miliardi di oggetti di uso quotidiano (automobili, abiti, attrezzi, ecc.) potranno collegarsi a Internet, ciascuno con il proprio indirizzo IP. Per citare la commissaria Reding, «dobbiamo affrontare questi rischi se vogliamo che l'Internet degli oggetti sviluppi appieno le sue potenzialità di crescita economica. In particolare, dobbiamo dare risposta alle preoccupazioni dei cittadini, se vogliamo che queste nuove tecnologie siano accolte positivamente» (15).

4.6   La Commissione deve esercitare un deciso ruolo guida a livello europeo ai fini della rapida introduzione dell'IPv6 in tutta Europa. Questo ruolo guida deve fondarsi su una visione convincente del futuro che il protocollo IPv6 renderà possibile — l'Internet degli oggetti, l«intelligenza ambiente» (17) — e dei molti benefici che ne deriveranno per tutte le parti interessate.

4.7   Questa visione deve essere comunicata attraverso canali multipli e messaggi adeguati, mirati ai diversi tipi di pubblico (ISP, fornitori di contenuti e di applicazioni, utenti finali), nell'ambito di una campagna di informazione su scala europea.

4.8   L'adozione dell'IPv6 trarrebbe grande beneficio dall'attuazione di programmi di istruzione e formazione. La nuova tecnologia è molto superiore all'IPv4, ma per poter essere utilizzata correttamente richiede una buona formazione degli utenti. La Commissione, i governi degli Stati membri, gli ISP e altri soggetti in grado di assumersi un ruolo guida devono far sì che i programmi di istruzione e formazione siano facilmente accessibili a tutti i gruppi di utenti potenziali.

4.9   La Commissione deve collaborare più strettamente con le organizzazioni Internet — ICANN, RIPE (Reti IP europee), RIR, IETF e altre — perché vi sia un approccio integrato in grado offrire all'industria una guida a livello europeo ai fini della rapida introduzione dell'IPv6.

4.10   Nell'ottica dell'introduzione e dell'adozione dell'IPv6, sarà fondamentale il ruolo dei fornitori di accesso a Internet. Purtroppo, a causa della minaccia rappresentata dal sistema VoIP (Voice over Internet Protocol) per i loro attuali modelli di reddito, gli ISP che operano anche nel settore della telefonia mobile e fissa sono riluttanti all'introduzione dell'IPv6 e alla rivoluzione che essa comporterà per le comunicazioni nell'UE. I ristretti interessi commerciali degli azionisti delle società di ISP non devono però essere difesi a scapito dell'interesse generale di tutti i cittadini UE. Gli ISP più grandi dovrebbero essere obbligati — attraverso le sanzioni, le penalità e le norme relative alla concessione delle autorizzazioni — ad assumersi un ruolo guida a livello europeo per l'adozione dell'IPv6 in tutta l'Unione. Il potere e le risorse di cui dispongono questi operatori consentono loro di avere un impatto importante in quest'ambito.

4.11   Il Programma quadro per la competitività e l'innovazione (CIP) (5) dovrebbe essere utilizzato per aiutare gli ISP più piccoli e i fornitori di contenuti a sostenere le spese di transizione dall'IPv4 all'IPv6. Il CIP andrebbe altresì utilizzato per incoraggiare lo sviluppo di applicazioni e servizi che favoriscano l'introduzione del nuovo standard.

4.12   Il Comitato è dell'avviso che la comunicazione non attribuisca sufficiente attenzione alle questioni di riservatezza e di sicurezza sollevate dall'adozione dell'IPv6. Tali questioni, che per i cittadini dell'Unione hanno grande importanza, devono essere affrontate in modo adeguato per tutelare i diritti dei cittadini stessi, contribuire a creare fiducia e agevolare l'accettazione dello standard IPv6.

4.13   Se la Commissione non intraprenderà azioni specifiche in proposito, la transizione all'IPv6 acuirà il problema, già grave, del divario digitale geografico in Europa (18). Alcuni paesi dell'Unione hanno avviato programmi a livello nazionale per dare a tutti i loro utenti Internet la possibilità di collegarsi all'IPv6 entro il 2010. È necessario agire a livello di UE per garantire che in tutti gli Stati membri vi sia quanto prima parità di condizioni per l'accesso al nuovo protocollo.

4.14   Il Comitato raccomanda di risolvere il potenziale problema del divario digitale geografico tra chi ha accesso all'IPv6 e chi ne è escluso attraverso il meccanismo delle strategie nazionali in materia di banda larga (6) o mediante uno strumento analogo. Si potrebbe inoltre utilizzare il Fondo europeo di sviluppo regionale (FESR) per appoggiare, ove appropriato, l'introduzione dell'IPv6.

Bruxelles, 3 dicembre 2008.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI

Il Segretario generale del Comitato economico e sociale europeo

Martin WESTLAKE


(1)  COM(2005) 229 def. i2010 — Una società europea dell'informazione per la crescita e l'occupazione.

(2)  http://www.ipv6.com/articles/general/IPv6-Olympics-2008.htm

(3)  Cfr. i pareri CESE Identificazione a radiofrequenza (RFID), GU C 256 del 27.10.2007, e CESE L'Internet degli oggetti, GU C 77 del 31.3.2009, pag. 60.

(4)  Cfr. per esempio i pareri CESE Società dell'informazione/criminalità informatica, GU C 311 del 7.11.2001, pag. 12, Sicurezza delle reti e dell'informazione, GU C 48 del 21.2.2002, pag. 33, Programma: uso più sicuro di Internet, GU C 157 del 28.6.2005, pag. 136, E-business/Go Digital, GU C 108 del 30.4.2004, pag. 23, Società dell'informazione sicura, GU C 97 del 28.4.2007, pag. 21, ecc.

(5)  Decisione n. 1639/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 2006, che istituisce un programma quadro per la competitività e l'innovazione (2007-2013).

(6)  Connessioni ad alta velocità in Europa: le strategie nazionali in materia di banda larga, COM(2004) 369 def..

(7)  L'IPv4 è specificato nella RFC 791, 1981. RFC significa «Request for Comments» (richiesta di commenti). Si veda l'Internet Engineering Task Force (IETF); http://www.ietf.org

(8)  RFC 2460, 1998. http://www.ietf.org/html.charters/OLD/ipv6-charter.html e http://www.ietf.org/html.charters/6man-charter.html

(9)  Tracking the Ipv6 Migration (Monitoraggio della migrazione verso IPv6), agosto 2008, relazione di ricerca di Arbor Networks, http://www.arbornetworks.com/it/ipv6-report.html.

(10)  http://www.potaroo.net/tools/ipv4/index.html, http://www.tndh.net/~tony/ietf/ipv4-pool-combined-view.pdf.

Per una stima precedente provvista di descrizione del contesto analitico si rimanda al seguente indirizzo: http://www.cisco.com/web/about/ac123/ac147/archived_issues/ipj_8-3/ipv4.html.

(11)  Comunicato stampa IP/08/803 del 27.5.2008.

(12)  Impact of IPv6 on Vertical Markets (Impatto dell'IPv6 sui mercati verticali), ottobre 2007. http://ec.europa.eu/information_society/policy/ipv6/docs/short-report_en.pdf

(13)  Comunicato stampa IP/08/803 del 27.5.2008.

(14)  Parere 2/2002 sull'uso di identificativi esclusivi negli apparecchi terminali di telecomunicazione: l'esempio dell'IPv6, http://ec.europa.eu/justice_home/fsj/privacy/docs/wpdocs/2002/wp58_it.pdf.

(15)  Intervento /08/336 del 17.6.2008, Seizing the Opportunities of the Global Internet Economy (Cogliere le opportunità dell'economia globale di Internet), Riunione ministeriale OCSE — Il futuro dell'economia di Internet, Seul, Corea del Sud, 17-18 giugno 2008.

(16)  http://en.wikipedia.org/wiki/Internet_of_Things e http://www.itu.int/osg/spu/publications/internetofthings/InternetofThings_summary.pdf.

(17)  http://en.wikipedia.org/wiki/Ambient_intelligence

(18)  COM(2003) 65 def., COM(2003) 673 def., COM(2004) 61 def., COM(2004) 369 def., COM(2004) 380 def.


28.7.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 175/97


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di regolamento (CE) n. …/… del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 219/2007 del Consiglio relativo alla costituzione di un'impresa comune per la realizzazione del sistema europeo di nuova generazione per la gestione del traffico aereo (SESAR)»

COM(2008) 483 def. — 2008/0159 (CNS)

(2009/C 175/18)

Il Consiglio, in data 4 settembre 2008, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 171 e 172 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento (CE) n. …/… del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 219/2007 del Consiglio relativo alla costituzione di un'impresa comune per la realizzazione del sistema europeo di nuova generazione per la gestione del traffico aereo (SESAR)

COM(2008) 483 def. — -2008/0159 (CNS).

L'Ufficio di presidenza del Comitato, in data 16 settembre 2008, ha incaricato la sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, in data 3 dicembre 2008, nel corso della 449a sessione plenaria, ha nominato relatrice generale LE NOUAIL MARLIÈRE e ha adottato il seguente parere con 99 voti favorevoli, 16 voti contrari e 10 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) appoggia la proposta di armonizzare il regolamento e lo statuto dell'impresa comune per la realizzazione del sistema europeo di nuova generazione per la gestione del traffico aereo (SESAR).

1.2   Raccomanda che la Commissione si adoperi per dare un migliore esempio in materia di parità di trattamento tra il personale distaccato presso l'impresa comune ai fini della realizzazione del progetto SESAR e il personale assunto allo stesso scopo, per quanto riguarda sia la durata dei contratti che la riclassificazione al termine del programma di realizzazione del sistema.

2.   La proposta della Commissione

2.1   Il CESE è stato consultato sulla proposta di armonizzare il regolamento e lo statuto dell'impresa comune SESAR (1) con il nuovo approccio adottato dall'UE per la creazione delle altre imprese comuni previste nell'ambito del Settimo programma quadro di ricerca e sviluppo (7PQ): CLEAN SKY (2), ENIAC (3), IMI (4), Artemis (5) e FCH (6). Il CESE ha formulato il proprio parere su tutte queste proposte eccetto una.

Status dell'impresa comune SESAR

2.2.1   L'impresa comune SESAR esiste giuridicamente dal 3 marzo 2007 e ha sede a Bruxelles. Essa conta due membri fondatori: la Comunità, rappresentata dalla Commissione europea, ed Eurocontrol, rappresentato dalla sua Agenzia.

2.2.2   La costituzione dell'impresa comune è stata avviata immediatamente dopo l'entrata in vigore del regolamento (CE) n. 219/2007. Nel 2007 sono stati creati gli organi di governo (costituiti dal consiglio di amministrazione e dal direttore esecutivo) e una struttura amministrativa iniziale.

2.2.3   Nel giugno 2007 l'impresa comune SESAR ha pubblicato un invito a manifestazione di interesse che ha portato alla preselezione di 15 candidati ai fini della costituzione di un solido nucleo iniziale di membri per l'avvio della fase di sviluppo di SESAR. Questi 15 candidati rappresentano i principali attori del settore della gestione del traffico aereo (imprese del settore): fornitori di servizi di navigazione aerea, aeroporti e produttori di attrezzature. I contributi offerti in questa prima fase ammontavano a 1,4 miliardi di EUR.

2.2.4   Il settore ha confermato l'impegno già dimostrato nella fase di definizione del programma. Esso ha cooperato al raggiungimento di un'intesa comune circa i metodi del lavoro in partenariato all'interno dell'impresa comune SESAR. L'allineamento con quest'ultima delle sue attività di ricerca e sviluppo in materia di gestione del traffico aereo (ATM) e lo stanziamento delle risorse necessarie costituiscono un risultato importante. La conclusione del processo di adesione è prevista per la fine del 2008 in vista del lancio delle attività di sviluppo all'inizio del 2009.

2.2.5   Pur prevedendo che «Gli Stati membri adottano tutte le misure utili ad accordare all'impresa comune la più ampia esenzione fiscale possibile per quanto concerne l'IVA ed altre imposte e accise» (art. 2, par. 2), il regolamento originario non fornisce una base giuridica che accordi all'impresa comune l'esenzione dall'IVA e dalle accise, o i benefici derivanti dal Protocollo sui privilegi e sulle immunità concessi alle istituzioni e agli organi dell'UE. Né prevede che al personale si applichino le condizioni dello Statuto dei funzionari delle Comunità europee o il Regime applicabile agli altri agenti di dette Comunità. L'impresa comune e il suo personale sono quindi soggetti al diritto fiscale e del lavoro dello Stato belga.

2.2.6   È stato stimato che i costi amministrativi derivanti dal particolare status dell'impresa comune saranno pari a 300 milioni di EUR sul suo intero arco di vita. 290 milioni rappresentano da soli l'importo dell'IVA e altre tasse che l'impresa comune SESAR dovrà versare. I rimanenti 10 milioni sono costi legati al personale.

2.2.7   L'importo sarà versato tramite i contributi dei membri all'impresa comune SESAR e in particolare tramite i fondi comunitari per le attività di ricerca e sviluppo e dovrà quindi essere sottratto al finanziamento delle attività di sviluppo.

Carattere della modifica proposta

2.3.1   Le modifiche proposte tengono conto del fatto che l'impresa comune SESAR ha già iniziato l'attività con un diverso status giuridico. Esse si possono riassumere come segue:

riconoscimento dell'impresa comune SESAR come organismo comunitario (art. 2 del regolamento),

applicazione al personale dell'impresa comune SESAR dello Statuto dei funzionari delle Comunità europee, del Regime applicabile agli altri agenti delle Comunità europee e delle norme adottate di comune accordo dalle istituzioni delle Comunità europee in previsione della loro applicazione (art. 2 bis del regolamento),

applicazione del Protocollo sui privilegi e sulle immunità delle Comunità europee all'impresa comune SESAR, al suo personale e al suo direttore esecutivo (art. 2 ter del regolamento),

modifica delle disposizioni in materia di responsabilità (art. 2 quater del regolamento),

modifica delle disposizioni sulla competenza della Corte di giustizia e sul diritto applicabile (art. 2 quinquies del regolamento),

quantificazione del contributo comunitario e modalità pratiche del suo trasferimento all'impresa comune SESAR (art. 4 par. 2, del regolamento),

modifica delle disposizioni relative alla modifica dello statuto dell'impresa comune (art. 3 par. 2, e art. 5 par. 4, del regolamento; art. 24 par. 2, dello statuto). La modifica non è legata all'armonizzazione dello statuto dell'impresa comune SESAR. Si tratta di una rettifica della procedura per l'adozione delle modifiche dello statuto dell'impresa comune SESAR. Nelle intenzioni iniziali la disposizione doveva consentire l'adozione di modifiche dello statuto mediante la procedura di comitato di regolamentazione, la quale prevede l'intervento del Comitato per il cielo unico europeo. Tuttavia, dato che detta intenzione non è espressa chiaramente, la formulazione della disposizione deve essere modificata,

applicazione dell'art. 185 del regolamento finanziario, in particolare per quanto riguarda l'adozione di un regolamento finanziario conforme al regolamento finanziario quadro degli organismi di cui all'art. 185 del regolamento finanziario (art. 4 bis del regolamento) nonché il discarico (art. 4 ter del regolamento) e la presentazione del bilancio (art. 15, parr. 2 e 4, dello statuto),

procedura di nomina del direttore esecutivo (art. 7, par. 5, dello statuto),

disposizioni relative alla tutela degli interessi finanziari della Comunità (art. 17, par. 3, dello statuto),

disposizioni transitorie per il passaggio del personale dell'impresa comune allo Statuto dei funzionari delle Comunità europee (art. 2 della proposta).

3.   Osservazioni generali

3.1   Il CESE approva l'obiettivo generale della Commissione di trarre insegnamento dalle esperienze della gestione dell'impresa comune Galileo e della creazione dell'impresa comune SESAR (7) e di incitare il Consiglio a chiarire lo statuto dell'impresa comune SESAR. Inoltre, dato il crescente numero di iniziative tecnologiche congiunte (ITC) avviate nell'ambito del 7PQ, sostiene l'obiettivo di garantire la coerenza con l'approccio generale adottato nei confronti delle imprese comuni.

3.2   Approva gli sforzi compiuti per ripartire le risorse finanziarie dell'impresa comune SESAR in modo da dare priorità alle attività di ricerca e sviluppo in vista dell'adozione di un approccio coerente alla sicurezza dell'aviazione civile. La Commissione si attende un risparmio di circa 290 milioni di EUR dalla modifica dello status dell'impresa comune SESAR, grazie all'esenzione dall'IVA e da altre tasse e accise. Il passaggio dei membri del personale allo Statuto di funzionari dell'UE apporterà un miglioramento ed essi potranno optare per tale statuto senza tuttavia esservi obbligati. Anche questo passaggio avrà un impatto positivo (10 milioni di EUR) sulle spese amministrative senza intaccare i livelli delle retribuzioni, i benefici e i diritti a pensione complementare, dato che, fin dalla creazione dell'impresa comune SESAR, la Commissione aveva fatto in modo di garantire che il suo statuto in materia di condizioni di lavoro si ispirasse al Regime applicabile agli agenti delle Comunità europee.

3.3   Il CESE accoglie con soddisfazione il rafforzamento del controllo comunitario su SESAR risultante dall'applicazione delle norme finanziarie comunitarie, del discarico di bilancio, della gestione strategica e della gestione delle risorse umane. Questa proposta è in linea con il suggerimento avanzato dal CESE nel suo precedente parere sull'impresa comune SESAR, nel quale si affermava che «è fondamentale istituire un ente dotato di personalità giuridica che sia in grado di assicurare una gestione coordinata dei fondi assegnati al progetto SESAR durante la fase di attuazione.» Essa dovrebbe consentire una migliore supervisione del progetto. Il CESE rileva il rafforzamento della responsabilità della Commissione che ne consegue, in un programma cui l'UE, Eurocontrol e l'industria aeronautica concorrono ciascuna con 700 milioni di EUR. Poiché queste ultime apporteranno essenzialmente un contributo in natura, i fondi derivanti dall'esenzione IVA applicabile all'impresa comune saranno destinati alle attività di ricerca e sviluppo.

3.4   La fase di sviluppo dell'impresa comune SESAR deve essere avviata all'inizio del 2009 per assicurarsi l'impegno degli industriali e consentire loro di pianificare le loro attività sulla base dei suoi obiettivi. Il CESE sostiene pertanto la rapida adozione del regolamento in esame, come raccomanda la Commissione, affinché gli accordi con i membri dell'impresa comune SESAR possano essere allineati alle nuove disposizioni. Data l'esistenza di un'iniziativa concorrente (NextGen) negli Stati Uniti, sarà bene evitare di accumulare ritardi nella realizzazione.

4.   Osservazioni specifiche

4.1   Poiché la durata dell'impresa comune SESAR è già stata fissata a 8 anni, al termine della realizzazione del programma il personale distaccato tornerà a Eurocontrol e ai servizi della Commissione da cui proviene. I contratti dei membri del personale proveniente dall'esterno si estingueranno in base alle condizioni applicabili definite al momento dell'assunzione. Il CESE evidenzia il precedente che in questo modo viene a crearsi (creazione di un'impresa a tempo determinato) e le conseguenze che ne deriveranno in termini di relativa precarietà di taluni dei posti di lavoro creati. Il CESE raccomanda che la Commissione si adoperi per dare un migliore esempio in materia di parità di trattamento tra il personale distaccato presso l'impresa comune ai fini della realizzazione del programma SESAR e quello assunto allo stesso scopo.

4.2   Il CESE tiene conto della particolarità del settore (sovranità degli Stati membri nei rispettivi spazi aerei, partenariato pubblico-privato, servizi che rientrano nell'ambito della sovranità statale) e raccomanda che l'obiettivo di armonizzazione e ricerca perseguito dall'impresa comune SESAR al fine di realizzare una sicurezza aerea ottimale in Europa non sia concepito unicamente in termini tecnici (attrezzature) o commerciali (rotte), ma sia coerente con il fatto che la sua realizzazione è affidata a esseri umani — uomini e donne che vi contribuiscono e che sicuramente dovrebbero esservi associati e considerati maggiormente.

4.3   Il Comitato prende atto della decisione del consiglio di amministrazione dell'impresa comune SESAR, del 24 aprile 2008, con cui sono stati «approvati i principi della modifica dello statuto e le relative conseguenze» (endorses the principles for the contemplated modification of the Statutes and the related process). Vi hanno partecipato i rappresentanti della Commissione, di Eurocontrol, militari, utenti dello spazio aereo, fornitori di servizi di navigazione aerea, fornitori di apparecchiature, gli aeroporti, i rappresentanti del personale addetto al controllo del traffico aereo, la comunità scientifica, il direttore esecutivo, il direttore ad interim dell'amministrazione e delle finanze e il segretariato.

Bruxelles, 3 dicembre 2008

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI

Il Segretario generale del Comitato economico e sociale europeo

Martin WESTLAKE


(1)  Istituita dal regolamento (CE) n. 219/2007 del Consiglio del 27 febbraio 2007; CESE GU C 309 del 16.12.2006, pag. 133.

(2)  Regolamento (CE) n. 71/2008 del Consiglio, del 20 dicembre 2007, GU L 30 del 4.2.2008, pag. 1.

(3)  Regolamento (CE) n. 72/2008 del Consiglio, del 20 dicembre 2007, GU L 30 del 4.2.2008, pag. 21.

(4)  Regolamento (CE) n. 73/2008 del Consiglio, del 20 dicembre 2007, GU L 30 del 4.2.2008, pag. 38.

(5)  Regolamento (CE) n. 74/2008 del Consiglio, del 20 dicembre 2007, GU L 30 del 4.2.2008, pag. 52.

(6)  Regolamento (CE) n. 521/2008 del Consiglio, del 30 maggio 2008, GU L 153 del 12.6.2008, pag. 1.

(7)  L'impresa comune SESAR è solo la seconda entità di questo tipo — dopo l'impresa comune Galileo — a essere istituita ai sensi dell'articolo 171 del Trattato.


28.7.2009   

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C 175/100


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sulla competitività delle industrie dei metalli — Un contributo alla strategia dell'Unione europea per la crescita e l'occupazione»

COM(2008) 108 def. — SEC(2008) 246

(2009/C 175/19)

La Commissione europea, in data 22 febbraio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sulla competitività delle industrie dei metalli — Un contributo alla strategia dell'Unione europea per la crescita e l'occupazione

COM(2008) 108 def.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 18 novembre 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore ZÖHRER e dal correlatore CHRUSZCZOW.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 3 dicembre 2008, nel corso della 449a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 160 voti favorevoli, 6 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   L'enorme valore aggiunto reale generato dall'industria dei metalli e dai suoi settori di produzione a valle rappresenta un contributo essenziale per lo sviluppo dell'economia europea nel suo insieme. L'industria dei metalli deve far fronte a una concorrenza globale e, negli scorsi anni, ha subito continuamente mutamenti e ristrutturazioni radicali.

1.2   Le ristrutturazioni future saranno strettamente connesse con la crescente globalizzazione cui sono soggette le catene del valore dell'industria dei metalli (dalle materie prime alla loro trasformazione). Ciò richiede un nuovo approccio alla politica industriale che punti all'innovazione, alla qualificazione e a condizioni di concorrenza eque a livello globale.

Il Comitato è sostanzialmente d'accordo con l'analisi delle caratteristiche del settore effettuata nella comunicazione della Commissione. Occorre tuttavia tener presente che l'industria dei metalli non è un settore omogeneo è che è difficile fare considerazioni di ordine generale. Molte misure proposte dalla Commissione sono un po' troppo generiche. Il Comitato esorta la Commissione a definire, come seguito alla comunicazione in esame, un calendario con un catalogo di misure concrete anche in relazione ai singoli sottosettori.

1.3.1   Il Comitato propone di realizzare studi specifici sui singoli settori che, fondandosi sulle esperienze raccolte nel contesto della CECA, siano accompagnati da un'azione di monitoraggio e dal dialogo sociale.

1.4   Per quanto riguarda la politica energetica, il Comitato invita a mettere a punto misure che, attraverso la trasparenza del mercato e dei prezzi, consentano un approvvigionamento sicuro, basato su contratti a lungo termine. Le lacune nelle reti di approvvigionamento vanno colmate. Si evidenzia inoltre l'importanza delle energie rinnovabili e il contributo della stessa industria alla produzione di energia elettrica e di calore.

Scopo della politica ambientale è innanzitutto trovare soluzioni capaci di coniugare gli obiettivi della protezione climatica con l'occupazione, la crescita e la competitività a livello globale. Al fine di evitare eventuali svantaggi competitivi per l'industria europea dei metalli, il Comitato invita a:

dare priorità agli accordi internazionali,

promuovere la diffusione delle tecnologie migliori e più efficienti sotto il profilo energetico,

prendere in considerazione gli investimenti già attivati,

tener conto della capacità dei singoli settori di ridurre le emissioni, nel rispetto degli standard tecnici,

prendere decisioni rapide per il riconoscimento dei pericoli legati alla rilocalizzazione delle emissioni di CO2 (carbon leakage).

1.5.1   Il Comitato sostiene i progetti della Commissione riguardanti la direttiva sulla prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento (PRII), la normativa in materia di rifiuti, REACH e la normalizzazione, ma auspica che le singole proposte vengano concretizzate ulteriormente.

1.6   In futuro, il riciclaggio delle materie prime, la riduzione dell'intensità di materiali e la ricerca di «materiali sostitutivi» saranno sempre più importanti (sia per la difesa dell'ambiente sia per motivi commerciali).

1.7   Il Comitato sostiene l'impegno della Commissione per rafforzare l'innovazione, la ricerca e lo sviluppo nonché per il miglioramento delle qualifiche. Ne è un esempio il progetto ULCOS (Ultra Low CO2 Steelmaking, cioè produzione dell'acciaio a emissioni ultrabasse di CO2) nel quadro della Piattaforma tecnologica europea dell'acciaio (ESTEP). Nella seconda parte del Settimo programma quadro, il Comitato propone un controllo dell'efficienza dei programmi già esistenti e auspica un coordinamento e un sostegno maggiori. Per quanto riguarda il campo della formazione iniziale e continua, sono necessari investimenti importanti nella qualificazione di base.

1.8   Le questioni commerciali rivestono un'importanza determinante per l'industria dei metalli, che deve affrontare una concorrenza a livello globale. Il Comitato concorda con la Commissione sulla necessità di un dialogo intenso con i paesi terzi sulle questioni di politica commerciale. È tuttavia necessario che continuino ad essere disponibili strumenti di politica commerciale conformi alle norme OMC per contrastare le pratiche svantaggiose o discriminatorie per l'industria dei metalli europea.

1.9   L'industria dei metalli è di fronte a sfide sociali di ampia portata, quali ad esempio:

ulteriori ristrutturazioni,

invecchiamento della manodopera,

crescenti esigenze di qualificazione,

sicurezza e protezione della salute.

Il Comitato è leggermente meravigliato del fatto che la comunicazione della Commissione non proponga alcuna misura concreta o raccomandazione in merito agli aspetti sociali. Il Comitato esorta la Commissione a promuovere (ulteriormente) il dialogo sociale nei settori colpiti, dato che questo è il modo giusto per dibattere tali questioni.

2.   Motivazione/Contenuto della comunicazione della Commissione

2.1   La comunicazione della Commissione valuta la competitività delle industrie dei metalli e formula raccomandazioni per il futuro. Il documento segue la comunicazione della Commissione del 2005 sulla politica industriale dell'UE, che annuncia varie iniziative settoriali, compresa una comunicazione in cui si valuta l'impatto delle forniture di materie prime ed energia sulla competitività dell'industria dei metalli europea (1), e tiene conto anche dell'esame intermedio della politica industriale del 2007 (2).

2.2   Essendo un settore intrinsecamente ad alta intensità energetica, l'industria dei metalli è direttamente esposta agli effetti della politica energetica della Comunità e dei cambiamenti climatici. Il Consiglio europeo del marzo 2007 ha sottolineato la grande importanza dei settori ad alta intensità energetica ed ha evidenziato la necessità di «misure efficienti in termini di costi per migliorare sia la competitività che l'impatto ambientale di tali industrie europee». In questo contesto il pacchetto della Commissione sull'iniziativa climatica e l'energia rinnovabile del 23 gennaio 2008 riconosce la situazione specifica delle industrie ad alta intensità energetica, direttamente esposte alla competitività globale.

2.3   La Commissione propone un pacchetto comprendente 16 azioni nei seguenti settori: energia, ambiente, normalizzazione, innovazione, ricerca e sviluppo, capacità, relazioni esterne e politica commerciale.

3.   Osservazioni generali

3.1   Il Comitato, come già nel suo parere in merito alla comunicazione della Commissione Attuare il programma comunitario di Lisbona: un quadro politico per rafforzare l'industria manifatturiera dell'UE — verso un'impostazione più integrata della politica industriale (COM(2005) 474 def.) del 20 aprile 2006, si compiace, in generale, delle attività settoriali della Commissione per migliorare la competitività e la sicurezza dell'occupazione.

L'industria dei metalli è uno dei comparti più importanti della catena del valore di molti settori economici. Secondo stime dell'industria, il settore a valle dell'industria siderurgica, ad esempio, ha una cifra d'affari di 3 157 miliardi di euro e occupa 23 milioni di lavoratori (cfr. allegato 1). Purtroppo non disponiamo di stime relative agli altri comparti dell'industria dei metalli. I prodotti siderurgici sono molto utilizzati come materiali da costruzione e rivestono una grande importanza soprattutto per le infrastrutture ad alta efficienza energetica. Pertanto, la capacità dell'UE di svilupparsi ulteriormente e di adattarsi ai cambiamenti climatici dipende in larga misura dalla stabilità dei rifornimenti di acciaio sul mercato europeo.

3.2.1   Alla luce dell'attuale crisi dei mercati finanziari, il Comitato ritiene particolarmente importante sottolineare che l'enorme valore aggiunto reale generato dall'industria dei metalli e dai suoi settori di produzione a valle rappresenta un contributo indispensabile per lo sviluppo dell'economia europea. Il ruolo guida che l'industria europea dei metalli ha in molti settori è inoltre alla base della competitività di altri comparti industriali. Bisogna che queste competenze restino in Europa e vengano ulteriormente sviluppate.

L'industria dei metalli deve far fronte a una concorrenza globale e, negli scorsi anni, ha subito continuamente profondi cambiamenti e ristrutturazioni che hanno contribuito a migliorarne la competitività, ma hanno anche comportato enormi perdite di posti di lavoro. Alla base di queste ristrutturazioni, però, non vi sono solo le tecnologie o l'aumento della produttività: in parte esse sono dovute anche al fatto che determinate produzioni (come ad esempio quella di alluminio grezzo) sono state delocalizzate fuori dall'Europa. In tale contesto sono determinanti anche il costo dell'energia, le norme ambientali e la vicinanza alle materie prime. Questo processo non è giunto al termine e bisogna aspettarsi ulteriori ristrutturazioni, che saranno però strettamente connesse con la crescente globalizzazione della catene del valore dell'industria dei metalli (dalle materie prime alla loro trasformazione).

3.3   Questi comparti industriali, a causa della loro alta intensità energetica, sono particolarmente toccati dall'attuale dibattito sulla protezione del clima. Non si tratta solo di mantenere la competitività, ma anche di salvaguardare l'occupazione nelle industrie in questione. Per questo motivo anche il Consiglio Competitività, nelle sue conclusioni del 3 giugno 2008, ha esortato la Commissione e gli Stati membri «a proseguire attivamente le discussioni intavolate con l'industria e con i paesi terzi sulla questione degli approcci settoriali, in modo da incoraggiare l'adozione di misure efficaci per ridurre le emissioni di gas ad effetto serra, trattando in tal modo anche la rilocalizzazione delle emissioni di carbonio».

Il Comitato è inoltre d'accordo con l'analisi delle caratteristiche del settore effettuata dalla Commissione. Al riguardo bisogna tenere presente che la comunicazione si fonda su lavori preparatori avviati già nel 2004 e che l'industria dei metalli non è un settore omogeneo.

3.4.1   Non c'è ancora chiarezza, però, sulla delimitazione dei settori oggetto di discussione. La definizione fornita dalla Commissione fa riferimento al codice NACE 27, mentre i dati contenuti nei documenti (comunicazione e allegato) si riferiscono solo a una parte dei sottosettori (industria primaria e semilavorati). La Commissione dovrebbe fornire una descrizione più precisa in merito, tanto più che è difficile fare affermazioni di carattere generale, data la diversità dei sottosettori (il codice NACE 27 ne individua 26, suddivisi in 5 gruppi) e delle strutture (nell'industria delle materie prime prevalgono le grandi imprese, mentre nell'industria di trasformazione ci sono molte PMI).

La Commissione, nella propria comunicazione, propone una serie di misure intese a migliorare il contesto in cui operano le industrie in questione. Tali misure devono essere poste in relazione anche con altri obiettivi politici, apparentemente contrastanti trattati contestualmente. Il Comitato si duole quindi che molte delle proposte siano un po' troppo generiche ed esorta la Commissione a definire, come seguito alla comunicazione in esame, un calendario con un catalogo di misure più concrete anche in relazione ai singoli sottosettori. Ciò è necessario soprattutto perché nell'industria dei metalli le decisioni relative agli investimenti sono prese a medio-lungo termine e sono influenzate dalle misure adottate.

3.5.1   Il Comitato propone di realizzare, in collaborazione con i diretti interessati, alcuni studi in merito all'evoluzione della domanda, della produzione e delle tecnologie nei singoli settori, studi che, basandosi sulle esperienze raccolte nell'ambito della CECA, siano accompagnati da un'azione costante di monitoraggio e dal dialogo sociale. L'industria siderurgica può servire da esempio: per il comparto ferro e acciaio, il Trattato CECA prevedeva raccolte di dati che andavano ben oltre il quadro delle statistiche generali dell'industria. Dopo la scadenza del Trattato CECA nel 2002 l'industria siderurgica europea si è adoperata con successo per continuare, almeno in via transitoria, ad effettuare alcune rilevazioni statistiche fondamentali particolari non coperte dalle statistiche generali dell'industria. Tale impegno è stato attuato a livello europeo con il regolamento (CE) n. 48/2004. Il Comitato è a favore di una proroga di tale regolamento, che ha durata limitata, e propone che anche per altri comparti dell'industria siderurgica siano compiute rilevazioni di dati altrettanto dettagliate, poiché è sempre più evidente che le statistiche generali dell'industria non forniscono indicazioni sufficienti per poterne dedurre la necessità concreta di un intervento a livello politico.

4.   Osservazioni specifiche in merito alle proposte della Commissione

4.1   Politica energetica

4.1.1   Come osserva giustamente la Commissione, le fluttuazioni come i recenti rapidi aumenti del prezzo del gas e dell'energia elettrica e le limitazioni della garanzia di approvvigionamento energetico mediante contratti a lungo termine hanno un impatto negativo sulla concorrenzialità delle industrie dei metalli dell'UE.

4.1.2   È necessario quindi adottare misure che consentano di prevedere meglio l'andamento dei prezzi, garantiscano una maggiore trasparenza del mercato e permettano di scegliere liberamente il fornitore di energia. Un contributo al riguardo dovrà venire sia dalla legislazione sia dal riconoscimento della compatibilità delle attuali pratiche con il diritto comunitario.

4.1.3   La valutazione delle possibilità di contratti di fornitura a lungo termine è una delle misure più importanti per migliorare la prevedibilità delle condizioni di approvvigionamento. In tale contesto bisogna considerare anche fino a che punto i fornitori di energia in questione potranno poi partecipare o meno al sistema di vendita all'asta dei diritti di emissione previsto dal sistema europeo di scambio delle quote (ETS).

4.1.4   Sono necessarie delle soluzioni per colmare le lacune dell'infrastruttura di trasporto dell'energia (reti transeuropee), al fine di garantire il libero accesso al mercato dell'energia a tutte le imprese interessate.

4.1.5   A lungo termine, l'ulteriore sviluppo delle energie rinnovabili è un fattore essenziale per garantire un approvvigionamento del tutto indipendente delle industrie europee. Le industrie dei metalli contribuiscono al successo della politica comunitaria relativa all'incremento della produzione di energia (elettricità e calore) da fonti rinnovabili. Il processo di produzione dell'acciaio e i forni da coke sono una fonte di gas nobili quali i gas di altoforno, i gas di convertitore o BOS (Basic Oxygen Steelmaking) e i gas di cokeria. Si tratta di gas che contengono percentuali diverse di ossido di carbonio (fino al 65 % nei gas BOS), biossido di carbonio, azoto e idrogeno (fino al 60 % nei gasi di cokeria) e che, invece di venir dispersi o bruciati in torcia, dovrebbero essere usati in modo efficace per produrre elettricità e/o calore. Questo in gran parte avviene già, ma sono necessari sforzi per sviluppare ulteriormente queste tecnologie.

4.1.6   Il Comitato fa inoltre notare di essersi già espresso sul tema della politica energetica in una serie di pareri (da ultimo nel parere CCMI/052 e in alcuni pareri della sezione TEN).

4.2   Politica dell'ambiente

4.2.1   L'industria dei metalli forma già oggetto di un gran numero di disposizioni comunitarie relative alla politica ambientale la cui attuazione e osservanza pongono permanentemente all'industria la sfida di conciliare obiettivi diversi (così, ad esempio, la limitazione delle emissioni nocive può richiedere consumi energetici più elevati, il che, a sua volta, va a discapito dell'efficienza energetica). Senza dubbio, alcuni comparti dell'industria dei metalli figurano tra i settori ad alta intensità di energia esposti a una forte concorrenza internazionale sul piano dei costi. I comparti in questione producono grandi quantità di CO2. Se le misure previste dalla Commissione in materia di cambiamento climatico, e in particolare l'estensione del sistema ETS, venissero applicate in modo incondizionato all'industria dei metalli, potrebbero esserci dei trasferimenti di investimenti (peraltro già riscontrabili), nonché una perdita di posti di lavoro (rischio di «rilocalizzazione delle emissioni di carbonio»). L'effetto sperato in termini di cambiamenti climatici, invece, non si verificherà fintantoché tutti i paesi non perseguiranno gli obiettivi previsti.

4.2.2   La priorità principale deve pertanto essere la conclusione di accordi internazionali vincolanti, con criteri chiari per la loro efficacia e verifica, al fine di evitare svantaggi competitivi per l'industria europea e per contrastare i cambiamenti climatici a livello globale.

Le industrie dei metalli hanno in gran parte già effettuato ingenti investimenti in tecnologie efficienti sul piano energetico. L'industria siderurgica, ad esempio, è all'avanguardia per quanto riguarda la riduzione delle emissioni di CO2 e molte aziende del settore hanno raggiunto il massimo livello di riduzione delle emissioni tecnicamente possibile nella produzione. Pertanto, l'obiettivo di ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 21 % entro il 2020 rispetto al livello del 2005 dovrebbe riguardare i settori che partecipano al sistema ETS nel loro complesso (settore della produzione di energia elettrica e industrie ad alta intensità energetica); inoltre, la ripartizione degli sforzi tra i singoli comparti dovrebbe tenere conto della capacità dell'industria di ridurre le emissioni nei limiti imposti dalla tecnologia senza compromettere le capacità di produzione.

4.2.3.1   Il Consiglio ha rilevato che, grazie agli accordi internazionali previsti, sarà possibile raggiungere obiettivi ben più ambiziosi, arrivando fino al 30 % di riduzione di CO2. In questo contesto il Comitato sottolinea che occorre chiarire in quali settori si dovranno realizzare queste riduzioni. È fuori di dubbio che ciò non potrà verificarsi solo nei settori che partecipano al sistema ETS. In particolare, il Comitato ritiene che vada posto un accento particolare anche sull'attuazione di misure in settori quali l'isolamento degli edifici, l'organizzazione dei trasporti e del traffico, l'efficienza energetica in generale, ecc.

4.2.4   Il Comitato reputa pertanto che, nel quadro delle misure previste, andrebbe data la priorità dapprima alla diffusione delle tecnologie migliori e più efficienti sul piano energetico e, in seguito, alle attività di ricerca e sviluppo finalizzate al miglioramento di tali tecnologie e alla messa a punto di nuovi materiali. Lo standard tecnico va tenuto presente sia nelle misure a livello comunitario sia nei negoziati relativi a un accordo internazionale per la protezione del clima.

La Commissione dovrebbe elaborare quanto prima un piano che comprenda tutte le azioni e le singole misure progettate per evitare ulteriori incertezze per l'industria. Al riguardo il Comitato rimanda all'articolo 10 ter della proposta della Commissione relativa al sistema comunitario di scambio delle quote di emissione (ETS) (3).

4.2.5   Quanto alla direttiva sulla prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento (PRII), il Comitato appoggia i progetti di armonizzazione della Commissione, che, non da ultimo, contribuirebbero alla semplificazione e al miglioramento della normativa. Come base per la certificazione e il funzionamento dei siti industriali, la direttiva codificata deve però tener conto del livello di sviluppo tecnologico delle singole industrie. La competitività delle industrie dei metalli dell'UE non dev'essere compromessa da requisiti che non sono in linea con le possibilità tecniche.

4.2.6   Per quanto riguarda le proposte relative alla normativa sui rifiuti, a REACH e alla normalizzazione, il Comitato, in linea di principio, è d'accordo con la Commissione, ma auspica che le singole proposte vengano concretizzate ulteriormente.

4.3   Innovazione, ricerca e sviluppo e capacità

4.3.1   Il Comitato sostiene la Commissione nel suo impegno ad incrementare l'innovazione, la ricerca e sviluppo e a migliorare le competenze.

4.3.2   La Piattaforma tecnologica europea dell'acciaio (ESTEP) contribuisce a progettare il futuro proponendo ambiziose misure di R&S per una competitività sostenibile, note come programma di ricerca strategico (PRS). Il PRS mira innanzitutto a ridurre l'impatto ambientale dei processi di produzione e a sviluppare prodotti moderni con un elevato valore aggiunto che siano più efficienti durante l'intero ciclo di vita. Il progetto ULCOS (Ultra Low CO2 Steelmaking), ad esempio, è il primo grande progetto dell'ESTEP che punta a ridurre drasticamente le emissioni di CO2. Si tratta della più ambiziosa iniziativa di questo genere finora concepita al mondo e ha già dato ottimi risultati, dato che sono state selezionate quattro promettenti tecnologie che saranno testate su scala industriale e combinate con tecnologie per la cattura e l'immagazzinamento del carbonio (CCS). Inoltre l'ESTEP influisce in modo indiretto sia sulle questioni legate ai cambiamenti climatici che su quelle energetiche, progettando soluzioni per acciai leggeri completamente riciclabili (per il settore automobilistico e delle costruzioni, ad esempio) e nuove soluzioni efficienti per lo sviluppo di fonti di energia del futuro (come l'energia eolica).

4.3.3   D'altra parte, però, dato che l'istruzione e la formazione del personale sono essenziali per creare un'industria sostenibile in Europa, occorrono investimenti importanti per migliorare le competenze di base; ciò può essere realizzato, ad esempio, mediante l'assunzione di personale altamente qualificato proveniente dalle università o sviluppando la formazione permanente, in particolare l'e-learning. Il sostegno dell'UE e del mondo accademico è necessario per raggiungere questo obiettivo sociale (4).

4.3.4   Il Comitato propone tuttavia anche di verificare l'efficienza dei programmi già esistenti. I primi bandi del Settimo programma quadro relativi al programma di ricerca strategico varato nell'ambito della ESTEP, ad esempio, hanno dato risultati deludenti (tasso di successo inferiore al 10 %) in quanto, evidentemente, non coprono le priorità del PRS. Il Comitato auspica quindi un coordinamento e un sostegno maggiori nella seconda parte del Settimo programma quadro.

4.4   Relazioni esterne e politica commerciale

4.4.1   Il Comitato approva l'approccio della Commissione inteso ad accordare un'alta priorità al rifornimento di materie prime per l'industria. In questo contesto va però tenuto presente che, come il Comitato ha già osservato nel proprio parere CCMI/056 L'industria estrattiva non energetica in Europa, non è esclusivamente una questione di relazioni esterne e di commercio estero. Va infatti evidenziato che, in futuro, il riciclaggio delle materie prime, la riduzione dell'intensità di materiali e la ricerca di «materiali sostitutivi» saranno sempre più importanti (non solo per motivi commerciali, ma anche per la loro rilevanza ai fini della tutela ambientale).

4.4.2   Occorre prestare un'attenzione particolare alla concentrazione, in molti settori delle materie prime, di poche imprese che operano a livello mondiale e portano a un'imposizione dei prezzi.

4.4.3   Il Comitato concorda con la Commissione sulla necessità di un dialogo industriale intenso con i paesi terzi sulle questioni di politica commerciale. È però necessario che continuino ad essere disponibili strumenti di politica commerciale conformi alle norme OMC per contrastare le pratiche svantaggiose o discriminatorie per l'industria dei metalli dell'UE, e occorre lanciare dei segnali chiari per dimostrare che tali strumenti vengono effettivamente utilizzati se non si compiono dei progressi con il dialogo.

4.5   Aspetti sociali

4.5.1   Di fronte a sfide quali l'invecchiamento della manodopera (soprattutto nell'industria siderurgica), i requisiti in materia di qualifiche e il progressivo cambiamento strutturale, il Comitato si meraviglia che la Commissione non presenti all'industria proposte o misure relative agli aspetti sociali menzionati nella comunicazione.

4.5.2   Occorre dedicare particolare attenzione alla questione della sicurezza e della tutela della salute, in quanto l'industria dei metalli fa parte delle industrie esposte a rischi più elevati.

4.5.3   In questo contesto il Comitato ribadisce l'importanza del dialogo sociale.

Bruxelles, 3 dicembre 2008.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI

Il Segretario generale del Comitato economico e sociale europeo

Martin WESTLAKE


(1)  COM(2005) 474 def. del 5 ottobre 2005, Allegato II.

(2)  COM(2007) 374 def. del 4 luglio 2007.

(3)  COM(2008) 16 def. del 23 gennaio 2008.

(4)  Al riguardo va segnalato che nelle industrie dei metalli esistono già iniziative per promuovere/incrementare la mobilità della manodopera di questo settore in Europa, come ad esempio l'«EMU-pass» (www.emu-pass.com).


28.7.2009   

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C 175/105


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo su industrie forestali innovative e sostenibili nell'UE — Un contributo alla strategia dell'UE per la crescita e l'occupazione»

COM(2008) 113 def.

(2009/C 175/20)

La Commissione, in data 27 febbraio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo su industrie forestali innovative e sostenibili nell'UE — Un contributo alla strategia dell'UE per la crescita e l'occupazione

COM(2008) 113 def.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 18 novembre 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore BURNS e dal correlatore STUDENT.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 3 dicembre, nel corso della 449a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 167 voti favorevoli, 2 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Raccomandazioni

Per i motivi indicati all'interno del parere, il CESE raccomanda di:

1.1   ampliare il concetto di industrie forestali includendovi anche i proprietari delle foreste e altri operatori economici, come le imprese boschive, per individuare problemi e opportunità già a monte della catena del valore;

1.2   migliorare ulteriormente, anche attraverso la realizzazione di studi, le banche dati europee esistenti registrando con esattezza il volume e la qualità potenziale di tutto il legname raccoglibile nonché l'uso del legno (sia europeo che d'importazione) da parte delle industrie forestali, in modo da disporre di dati completi, aggiornati e comparabili;

1.3   sostenere l'aumento della produzione e dell'accesso al legno proveniente dai boschi europei e quello del suo utilizzo equo in svariati campi a livello nazionale;

1.4   promuovere un maggior impiego del legno e dei materiali derivati dal legno;

1.5   sostenere misure intese a migliorare l'immagine delle industrie forestali;

1.6   adoperarsi attivamente affinché venga riconosciuto il ruolo del legno e dei prodotti in legno nell'attenuare i cambiamenti climatici, ad esempio in quanto riserve di carbonio;

1.7   salvaguardare il comparto dagli effetti negativi del sistema di scambio delle quote di emissione;

1.8   eliminare le barriere al commercio del legno e dei prodotti in legno; garantire un commercio equo, oltre che libero;

1.9   affrontare le esigenze delle industrie in termini di ricerca, quali definite nel contesto della Piattaforma tecnologica nel settore del legno, attraverso il Settimo programma quadro e i programmi collegati;

1.10   incoraggiare sia le istituzioni competenti dell'UE che le industrie a prestare particolare attenzione al rafforzamento dell'applicazione delle politiche, delle regolamentazioni e dei programmi comunitari in materia di salute e di sicurezza sul luogo di lavoro che interessano le industrie forestali, in modo da portare tutti gli Stati dell'UE allo stesso standard;

1.11   sviluppare per l'intero sistema legno una formazione e delle qualifiche professionali europee basate sulle esigenze del settore;

1.12   incoraggiare le autorità nazionali e subnazionali a riconoscere e realizzare il potenziale della silvicoltura commerciale e delle industrie forestali, dedicando la debita attenzione all'aumento degli investimenti a favore delle infrastrutture stradali o di altro tipo delle aree rurali;

1.13   sviluppare, in collegamento con il piano d'azione per le foreste, sistemi che consentano di valutare il valore economico e sociale delle foreste in quanto entità multifunzionali e dei servizi non specificatamente legati al legname, garantendo che in futuro questi siano considerati parti costitutive di un'unica industria, che comprende i proprietari delle foreste, le imprese boschive, ecc.

2.   Introduzione

2.1   La comunicazione oggetto del presente parere (COM(2008) 113 def., in appresso «la comunicazione») trae origine dalla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniLa competitività delle industrie dei prodotti forestali e delle industrie connesse (IPF) dell'UE (COM(1999) 457 def.) e dalla Comunicazione della CommissioneAttuare il programma comunitario di Lisbona: un quadro politico per rafforzare l’industria manifatturiera dell’UE — verso un’impostazione più integrata della politica industriale (COM(2005) 474 def.). Essa si ricollega inoltre al piano d'azione quinquennale per le foreste per il periodo 2007-2011 (Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo — Un piano d'azione dell'UE per le foreste, COM(2006) 302 def., del 15 giugno 2006) elaborato dalla Commissione europea per sostenere e potenziare la gestione sostenibile del patrimonio forestale e la multifunzionalità delle foreste tramite 18 azioni chiave, di cui una (n. 17) intesa a «stimolare l'impiego del legno e degli altri prodotti della foresta provenienti da foreste gestite secondo i principi della sostenibilità».

2.2   La comunicazione verte innanzitutto sulle sfide affrontate dalle «industrie forestali», settore in cui sono comprese le industrie produttrici di pasta di cellulosa, di carta e di imballaggi di carta, le industrie della lavorazione del legno quali segherie e aziende produttrici di pannelli a base di legno e le industrie del sughero e della stampa. Essa non riguarda quindi direttamente la silvicoltura, che fornisce a queste industrie la materia prima fondamentale — il legno -, né gli altri gruppi che svolgono attività forestali o vivono del lavoro svolto nelle foreste.

3.   Sintesi della proposta della Commissione

3.1   Nella comunicazione in esame, la Commissione evidenzia i problemi a cui si trovano confrontate le industrie forestali, e cioè la concorrenza mondiale, i cambiamenti climatici, l'energia, l'approvvigionamento di legname, ecc., nonché il modo in cui questi fattori e fenomeni possono incidere sulla futura redditività e competitività del settore.

3.2   Le industrie forestali sono una componente importante dell'economia europea: esse contribuiscono in misura notevole al mantenimento dell'occupazione nelle aree rurali.

3.3   Questi problemi vengono affrontati tramite 19 azioni raggruppate nel modo seguente:

a)

accesso alle materie prime (8 azioni);

b)

politiche in materia di cambiamenti climatici e legislazione ambientale (4 azioni);

c)

innovazione e R&S (4 azioni);

d)

scambi e cooperazione con i paesi terzi (2 azioni);

e)

comunicazione e informazione (1 azione).

4.   Osservazioni generali

4.1   Il CESE apprezza il fatto che la Commissione richiami l'attenzione sulle sfide cui sono confrontate le industrie forestali e accoglie con favore l'elenco delle azioni proposte. Raccomanda vivamente che queste non rimangano mere proposte, ma siano realizzate quanto prima.

4.2   Pur comprendendo il quadro generale e i presupposti da cui muove la Commissione, il CESE si rammarica tuttavia che siano stati trascurati o ignorati gli operatori attivi a monte della catena del valore, quali ad esempio i proprietari delle foreste e le imprese boschive, come del resto le altre funzioni svolte dalle foreste e le altre attività esercitate al loro interno (si parla a volte di polo forestale).

4.3   Il CESE esorta a concentrare maggiormente l'attenzione sulla necessità di garantire la redditività dell'industria forestale come presupposto per la competitività dell'intera catena del valore. Una silvicoltura redditizia contribuirà a rafforzare la gestione sostenibile delle foreste, incentivare gli investimenti nel settore e assicurare l'approvvigionamento di legname.

5.   Osservazioni specifiche

5.1   Accesso alle materie prime

5.1.1   Il CESE teme che le decisioni che interessano la silvicoltura e le industrie forestali non siano sempre basate su dati statistici completi, aggiornati e comparabili circa la disponibilità e l'uso del legno proveniente dai boschi europei, con conseguente squilibrio tra domanda e offerta e incapacità di conseguire gli obiettivi stabiliti. Analogamente, sarebbe importante conoscere ed essere in grado di prevedere il volume del legno utilizzato dalle industrie forestali, sia che si tratti di legno europeo che di legno d'importazione.

5.1.2   Le iniziative politiche europee, in particolare quelle destinate a promuovere l'uso della biomassa e delle fonti di energia rinnovabile, hanno aggravato la pressione sulla materia prima (legno) a disposizione delle industrie forestali, in parte a causa dell'emergere di sovvenzioni che perturbano il mercato. Il CESE nutre preoccupazione per l'impatto di queste ultime sulle industrie forestali. In vista della concorrenza crescente che interessa la materia prima legno in quanto fonte di energia, il CESE ritiene necessario fare un uso equo delle risorse forestali destinate ad altri scopi ed esorta la Commissione ad approfondire ulteriormente il concetto di «foreste energetiche» (coltivazione di alberi da legno con rotazioni brevi) per l'approvvigionamento del mercato della biomassa energetica.

5.1.3   Il mercato dovrebbe essere regolato dai normali meccanismi di mercato, senza le distorsioni provocate da sistemi di sovvenzionamento intesi a promuovere un tipo di impiego rispetto a un altro.

5.1.4   Benché l'aumento delle importazioni di legno non sia una valida soluzione a questo problema emergente, tali importazioni non dovrebbero essere ostacolate da vincoli quantitativi, legislativi o di altro tipo.

5.1.5   Il CESE ritiene che l'unica soluzione sostenibile a lungo termine sia incrementare la quantità di legno prodotto dai boschi europei attraverso:

un potenziamento della gestione sostenibile delle aree forestali esistenti che consenta di produrre quantitativi maggiori di legname commercialmente redditizio e

l'aumento della superficie delle foreste per meglio adeguare l'offerta di legno alla domanda.

5.1.6   Il CESE è dell'avviso che, data l'importanza fondamentale della materia prima per le industrie forestali, la Commissione avrebbe dovuto cogliere l'occasione per affrontare le questioni relative alla sussidiarietà, definendo le azioni da intraprendere a livello nazionale e subnazionale per garantire l'approvvigionamento di legname a lungo termine.

È un dato di fatto che in numerosi paesi europei l'«incoraggiamento» ad aumentare gli impianti forestali commerciali non sta sortendo alcun effetto. Le ragioni sembrano andare dall'indifferenza di alcuni paesi all'idea errata di altri che ci sia già legno a sufficienza, mentre numerosi studi evidenziano una carenza di legno a livello europeo (1).

5.1.7   Per portare il legno ai consumatori occorrono buone infrastrutture stradali e di altro tipo. La scarsità degli investimenti nelle infrastrutture stradali delle aree rurali e periferiche fa lievitare i costi del trasporto. Ad esempio, il trasporto di un carico in camion su una strada rurale richiede 75 % di tempo e carburante in più rispetto allo stesso trasporto su strade rettilinee, a parità di distanza percorsa. Il CESE nutre preoccupazione per la scarsa attenzione dedicata a questo aspetto dalle autorità nazionali e subnazionali. Inoltre, le restrizioni in termini di dimensioni e peso per i trasporti su strada rappresentano un costo aggiuntivo.

5.2   Politiche in materia di cambiamenti climatici e legislazione ambientale

5.2.1   I prodotti in legno assorbono carbonio lungo tutta la durata della loro vita utile e, se sostituiti ad altri materiali, possono contribuire a ridurre notevolmente i livelli di CO2. Secondo il CESE, l'UE dovrebbe promuovere più attivamente lo stoccaggio del carbonio tramite i prodotti in legno e il contributo positivo che questi possono arrecare all'attenuazione dei cambiamenti climatici.

Occorre riconoscere pienamente il ruolo positivo che può svolgere il legno nel processo di Kyoto post-2010 e il CESE invita la Commissione e gli Stati membri ad agire in tal senso alle prossime conferenze delle parti firmatarie del protocollo di Kyoto (COP 14 e COP 15, che si svolgeranno rispettivamente a Poznan nel 2008 e a Copenaghen nel 2009).

La Commissione ha sottovalutato la duplice minaccia che il sistema di scambio delle quote di emissione pone alle industrie europee della pasta di cellulosa e della carta e, in parte, al settore della lavorazione del legno — quella diretta dovuta alla loro partecipazione al sistema e quella indiretta derivante dal forte aumento dei prezzi dell'elettricità che esso determina (2). La modifica della direttiva in materia secondo i piani previsti attualmente inciderà molto pesantemente sulla redditività del settore e potrebbe effettivamente provocare la chiusura di stabilimenti o mettere in moto processi di delocalizzazione. Quest'ultima opzione può essere praticabile soltanto per le grandi aziende, ma per le imprese europee più piccole non costituisce sicuramente una soluzione.

5.2.2.1   La nuova direttiva sullo scambio delle quote di emissione, così come proposta attualmente, comporterebbe una notevole distorsione del mercato e un forte svantaggio competitivo per l'industria europea della carta e altri settori ad uso intensivo di energia. A lungo andare, essa condurrebbe a una rilocalizzazione delle emissioni di carbonio verso i principali paesi terzi concorrenti non gravati da oneri e costi equivalenti. Il CESE ritiene essenziale che le industrie della pasta di cellulosa e della carta e quelle produttrici di pannelli a base di legno siano riconosciute come industrie a uso intensivo di energia esposte al rischio di una rilocalizzazione delle emissioni di carbonio. Ciò va fatto immediatamente: a giudizio del CESE, non si può aspettare, come proposto, di decidere soltanto nel 2010 a quali settori verranno assegnate quote di emissione parzialmente gratuite.

5.3   Innovazione, R&S, istruzione e formazione

5.3.1   L'innovazione e la R&S contribuiranno certamente ad assicurare un futuro alle industrie forestali. Il CESE accoglie con favore la creazione della Piattaforma tecnologica nel settore del legno da parte del comparto stesso e chiede che venga dedicata la debita attenzione alle future esigenze di tutti i sottosettori. I finanziamenti per la R&S all'interno del comparto vanno potenziati, in particolare nel Settimo programma quadro e altri programmi ad esso collegati, e mirati a un uso innovativo sia della materia prima che dei prodotti.

5.3.2   I processi intesi a incoraggiare la flessibilità in Europa non hanno portato all'istituzione di misure sicure e accessibili per consentire agli studenti e ai lavoratori del settore di acquisire qualifiche comparabili e ampiamente accettate, o di sviluppare competenze tramite programmi di formazione continua. Neanche le varie iniziative pilota adottate nel quadro dei programmi comunitari di istruzione e formazione professionale sono riuscite a produrre uno strumento che consenta un monitoraggio collettivo dei cambiamenti che intervengono nelle pratiche in uso sul posto di lavoro e la loro simultanea integrazione nei sistemi nazionali. Queste carenze non fanno che ostacolare la mobilità transnazionale, frustrare le ambizioni di chi intende perseguire una carriera internazionale e limitare l'accesso dei datori di lavoro al ricco patrimonio di talenti di cui dispongono le industrie forestali europee; esse potrebbero persino contribuire a diffondere la percezione che le qualifiche disponibili per gli impieghi nelle attività forestali e nelle industrie della carta e del legno siano generalmente di scarso valore.

5.4   Salute e sicurezza

5.4.1   Come in ogni altra attività industriale, il lavoro nell'industria forestale comporta un determinato livello di rischio per la salute e la sicurezza degli operatori del settore. Benché negli ultimi decenni l'industria abbia compiuto sforzi considerevoli in quest'ambito, molto lavoro resta ancora da compiere. Inoltre, dal momento che non tutti gli Stati membri sono afflitti dagli stessi problemi, occorrerà tenere in debita considerazione la necessità di adattare le soluzioni alle condizioni particolari che i singoli Stati membri ritrovano sul campo.

5.4.2   Gli ultimi allargamenti dell'UE hanno visto l'adesione di Stati membri in cui la necessità di migliorare l'applicazione delle politiche per la salute e la sicurezza è relativamente maggiore di quanto non lo sia in generale nel resto dell'UE. In questo contesto, il Comitato desidera sottolineare l'importanza sia degli strumenti finanziari dell'UE che dell'adeguato livello di impegno delle industrie forestali attive in questi Stati membri.

5.5   Scambi e cooperazione con i paesi terzi

5.5.1   Le industrie forestali sono attive nel commercio mondiale e le esportazioni sono essenziali per il pieno mantenimento della competitività. Il CESE teme che le esportazioni europee siano inutilmente ostacolate da barriere tariffarie e non tariffarie. A suo giudizio, la Commissione dovrebbe assegnare un'importanza prioritaria all'eliminazione di tali barriere.

5.5.2   Il CESE teme inoltre che le misure adottate dai grandi partner commerciali, come la Russia, abbiano un forte impatto sull'approvvigionamento europeo di legno in quanto materia prima e conducano a tagli della produzione.

5.6   Comunicazione e informazione

5.6.1   Malgrado l'importante contributo positivo arrecato alla società e all'economia, le industrie forestali non godono di una buona immagine. Manca in generale la consapevolezza del valore delle foreste europee per la società e i cittadini (3). Nelle scuole infatti si insegna ai ragazzi che è male tagliare gli alberi e che il mondo ha bisogno di più alberi possibile. L'immagine generale dell'industria del legno è inoltre offuscata dal disboscamento illegale e da altri esempi di gestione non sostenibile delle risorse forestali nell'America del Sud, nel Sud-est asiatico e in altre regioni del mondo.

5.6.2   Le discussioni in corso sui cambiamenti climatici e la bioenergia offrono un'occasione senza precedenti per promuovere un maggiore uso del legno e dei ricavati del legno. Le foreste assorbono CO2 e il carbonio può essere poi immagazzinato nei prodotti a base di legno. Queste argomentazioni climatiche dovrebbero essere utilizzate per migliorare l'immagine dell'intero settore e dei suoi prodotti: si tratta infatti di una qualità unica che va promossa presso il pubblico, fornendo inoltre maggiori informazioni sul valore commerciale dei boschi europei.

5.6.3   I vari programmi di promozione esistenti sostenuti dal settore hanno contribuito solo in parte a migliorare l'immagine della filiera forestale: bisogna svilupparli e farli arrivare nelle scuole e alla società in generale, in modo che tutte le sue componenti comprendano e apprezzino l'importanza della coltivazione di alberi da legno e dello sfruttamento del legname (europeo).

5.7   Incoraggiare l'uso del legno

La comunicazione attira fortemente l'attenzione sulla fornitura della materia prima alle industrie (si veda il punto 5.1 del presente parere), ma non affronta la questione dell'uso del legno e dei prodotti ricavati dal legno. Nella ricerca di modelli più sostenibili di produzione e consumo, sarebbe opportuno sottolineare maggiormente la necessità di rimuovere le barriere e di eliminare gli oneri legislativi, amministrativi, finanziari e di altro tipo non strettamente necessari, in modo da consentire un maggiore utilizzo del legname, ad esempio nel settore delle costruzioni. In generale, il CESE ritiene che si debba tener conto della natura e del ruolo specifico del legno e dei suoi prodotti in diversi settori d'intervento.

5.8   Il ruolo multifunzionale della foresta

Una delle principali raccomandazioni contenute nel piano d'azione per le foreste del 2006 è quella di rendere la silvicoltura europea multifunzionale e di fare in modo che essa apporti alla società altri benefici, oltre a fornirle legname. Data la mancanza di dati e informazioni, non è stato possibile determinare l'esatto valore dei servizi non specificatamente legati al legname (raccolta di frutti di bosco, funghi e piante officinali, caccia e turismo). Comunque sia, queste attività generano profitti, occupazione e opportunità e possono quindi a buon diritto rivendicare la loro appartenenza alla silvicoltura.

Pur riconoscendo il ruolo multifunzionale delle foreste, il CESE ritiene che vari governi nazionali pongano eccessivamente l'accento sui servizi non legati al legname, a svantaggio del ruolo commerciale delle foreste nella produzione di legno.

Bruxelles, 3 dicembre 2008.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI

Il Segretario generale del Comitato economico e sociale europeo

Martin WESTLAKE


(1)  Si veda in particolare lo studio Wood Resources Availability and Demands (Disponibilità e domanda delle risorse di legname) realizzato dalla Commissione economica per l'Europa dell'ONU (UNECE) nel 2007 sulla base della Joint Wood Energy Enquiry, un'inchiesta condotta congiuntamente ad altre organizzazioni nel 2006.

(2)  Ibidem.

(3)  Cfr. Perception of the Wood-Based Industries — Qualitative — Study of the Image of Wood-Based Industries amongst the Public in the Member States of the European Union (Percezione delle industrie forestali — Studio qualitativo dell'immagine delle industrie forestali nell'opinione pubblica degli Stati membri dell'UE) http://ec.europa.eu/enterprise/forest_based/perceptionstudy_en.pdf.


28.7.2009   

IT

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C 175/109


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante l'istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura per l'informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie»

COM(2008) 419 def. — 2008/0141 (COD)

(2009/C 175/21)

Il Consiglio, in data 22 luglio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante l'istituzione di un comitato aziendale europeo o di una procedura per l'informazione e la consultazione dei lavoratori nelle imprese e nei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie

COM(2008) 419 def. — 2008/0141 (COD).

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 novembre 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore GREIF.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 4 dicembre 2008, nel corso della 449a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 108 voti favorevoli, 31 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Conclusioni: per un aumento del numero di comitati aziendali europei e un migliore dialogo sociale transfrontaliero

1.1   Il Comitato economico e sociale europeo si compiace espressamente per il fatto che la Commissione sia intervenuta per via legislativa dopo la mancata ripresa dei negoziati tra le parti sociali europee a norma dell'articolo 138, paragrafo 4, del Trattato. La proposta in esame è intesa ad adeguare i diritti dei comitati aziendali europei (CAE) alle realtà del mercato interno. Il CESE ravvisa nella proposta alcuni sostanziali miglioramenti, intesi ad adeguare alla realtà europea le basi giuridiche del CAE nel diritto comunitario, garantendo una maggiore certezza giuridica e una maggiore coerenza tra le disposizioni comunitarie sull'informazione e la consultazione dei lavoratori.

1.2   Il CESE si attende che i chiarimenti e le modifiche che il documento in esame vuole apportare al testo e alle definizioni della direttiva renderanno più efficace il CAE e contribuiranno a una maggiore certezza giuridica e quindi alla creazione di nuovi CAE. Sottolinea inoltre l'importanza di soluzioni pragmatiche, che accrescano l'efficacia e l'efficienza del lavoro del CAE e costituiscano per l'impresa non già un peso, quanto piuttosto un contributo alla sua competitività. In tale contesto occorre segnalare in particolare quanto segue:

la direzione aziendale è adesso obbligata a fornire tutte le informazioni necessarie per istituire un CAE.

Le parti sociali europee saranno coinvolte direttamente nella costituzione dei comitati aziendali europei, poiché devono essere obbligatoriamente informate in merito all'avvio dei relativi negoziati.

Il lavoro quotidiano del CAE potrà divenire più efficace grazie alla possibilità di costituire un comitato più ristretto, alla riqualificazione dei delegati attraverso misure di formazione senza contropartite in termini di retribuzione e al riconoscimento del CAE come organo di rappresentanza di interessi collettivi.

Un CAE già insediato può adesso adeguarsi più facilmente al mutare delle circostanze, perché ha la possibilità di chiedere una rinegoziazione degli accordi, in particolare in caso di cambiamenti rilevanti della struttura aziendale a causa dei quali l'informazione e la consultazione di tutti i lavoratori del gruppo di imprese non risultano più praticabili e corrispondenti allo standard concordato.

1.3   Il Comitato si rammarica tuttavia del fatto che la proposta di direttiva non persegua con sufficiente coerenza gli obiettivi che essa stessa si è prefissa e che sono annunciati nella relazione e nei considerando, e constata che permangono dei punti poco chiari. Ciò vale in particolare nei casi seguenti:

mentre la proposta delle parti sociali renderebbe più precise le disposizioni sull'informazione e la consultazione, la proposta della Commissione non chiarisce le norme per un'articolazione logica e praticabile della rappresentanza tra il livello nazionale e quello europeo,

con la definizione delle responsabilità transnazionali del CAE le competenze di quest'ultimo vengono limitate, e non già, come si intendeva fare, precisate. Saranno considerate «transfrontaliere» anche le decisioni che riguardano una sola azienda di uno Stato membro, ma che vengono prese al di fuori di tale Stato membro,

saranno mantenute, o addirittura inserite ex novo, determinate limitazioni dell'attuazione e del campo di applicazione della direttiva.

1.4   Il Comitato ritiene essenziale che la direttiva venga migliorata, in modo da renderne più attraente l'attuazione e da far crescere il numero dei CAE. Apprezza pertanto, anche per ragioni di efficienza, la volontà di continuare a dare la priorità alle soluzioni negoziali per gli accordi relativi ai CAE. Ciò consentirà infatti di strutturare il dialogo sociale transfrontaliero in maniera flessibile e adeguata alle specifiche esigenze.

1.5   Per far sì che nella pratica, con le nuove disposizioni, l'attività del CAE migliori nella sostanza e divenga più efficiente, il CESE propone di eliminare, nel seguito del processo legislativo, un certo numero di punti oscuri e di incoerenze che permangono nel documento, in particolare mediante i seguenti interventi:

rivedere la prevista limitazione delle competenze transfrontaliere, la quale può limitare i diritti e la potenziale efficacia del CAE. Evitare che una regolamentazione troppo restrittiva consenta di escludere le competenti rappresentanze dei lavoratori dalle informazioni che transitano presso il vertice transfrontaliero dell'impresa,

ridurre a 18 mesi la durata dei negoziati, perché l'esperienza pratica ha mostrato che l'istituzione di un CAE richiede un lasso di tempo più breve e non si vede pertanto l'esigenza di una sua estensione. Prevedere misure efficaci intese ad evitare che una delle parti coinvolte nel negoziato possa sottrarsi alle responsabilità che riveste nella costituzione di una rappresentanza di interessi europea,

definire più esattamente i concetti di «informazione» e «consultazione»; ciò contribuirebbe ad accrescere l'efficacia e il riconoscimento del CAE, una volta che si sia chiarito che questo dev'essere consultato già in merito alle misure proposte e non solo alla loro applicazione,

chiarire la responsabilità della direzione aziendale per un'adeguata informazione dei rappresentanti dei lavoratori, tanto a livello transfrontaliero quanto a livello nazionale. Tale obbligo di informazione non dev'essere reso incerto o limitato dalla ricerca di una migliore articolazione delle disposizioni tra i vari livelli,

il mantenimento o l'introduzione di soglie per la costituzione di un comitato aziendale europeo sono in contraddizione con il fondamentale diritto europeo dei lavoratori ad un'informazione e a una consultazione tempestive,

ai fini della certezza giuridica per tutte le parti in causa chiarire che eventuali nuove disposizioni sul CAE adottate durante il periodo di trasposizione nel diritto nazionale dovranno quanto meno corrispondere al livello sostanziale già raggiunto con l'attuale direttiva sul CAE (art. 6 della direttiva 94/45/CE e art. 3, paragrafo 1, della direttiva 97/74/CE),

per rendere più efficiente il lavoro del CAE e permettergli di svolgere meglio la sua funzione nell'azienda, la nuova direttiva dovrebbe quanto meno favorire un aumento delle possibilità di riunione; in linea generale essa dovrebbe indicare espressamente che le norme di legge in materia sono norme minime, e che quindi gli Stati membri possono in ogni caso migliorarle sotto tutti i profili nel quadro della trasposizione.

1.6   A giudizio del CESE tale miglioramento dell'acquis comunitario in materia di partecipazione dei lavoratori non soltanto contribuirebbe a garantire in Europa una conduzione aziendale di qualità e, in quanto tale, socialmente responsabile, ma consoliderebbe anche il vantaggio concorrenziale dell'economia europea e contribuirebbe all'affermazione del modello sociale europeo.

2.   Introduzione: criteri di esame della proposta della Commissione per la rifusione della direttiva sul comitato aziendale europeo

2.1   Il 2 luglio 2008 la Commissione ha presentato una proposta di rifusione della direttiva riguardante l'istituzione di un comitato aziendale europeo (1).

Il Comitato esprime compiacimento per questa iniziativa legislativa della Commissione, volta ad adeguare le prerogative dei CAE alla situazione attuale del mercato interno. Il presente parere intende anzitutto valutare in che misura la proposta in esame consenta di realizzare gli obiettivi che essa stessa si prefigge; in quest'ottica il CESE si permette di proporre alcune integrazioni e modifiche.

2.2   Il CESE fa riferimento ai propri precedenti lavori sul tema della partecipazione dei lavoratori, e in particolare sul CAE (2). Sottolinea inoltre nuovamente la funzione positiva della partecipazione dei lavoratori a livello nazionale e sovranazionale ai fini dell'integrazione sociale, economica ed ecologica dell'Europa (obiettivi di Lisbona) e lo specifico ruolo del CAE.

Il ruolo delle imprese transfrontaliere è molto importante per il successo dell'Europa. Quest'ultima si potrà affermare nella concorrenza globale solo mediante una strategia della qualità, che prenda in considerazione non soltanto i costi dell'impresa, ma anche la sua responsabilità sociale e il coinvolgimento dei lavoratori al suo interno. Proprio per questo il CESE vede il CAE come uno strumento importante della politica europea, in grado di dare un fondamento più solido alla sinergia dei principali soggetti economici nel contesto di una strategia europea della sostenibilità. Ciò consente alle imprese di contribuire attraverso le loro prestazioni alla società europea. Poiché l'impegno e la competenza dei lavoratori sono necessari per la strategia europea della qualità come risorsa di fronte alla concorrenza globale, la loro effettiva partecipazione costituisce un elemento decisivo di una gestione aziendale di successo.

2.3   Il CESE considera la proposta di direttiva presentata dalla Commissione come il risultato coerente di un dibattito politico in corso da tempo. Il presente parere fa riferimento alle risoluzioni del Parlamento europeo del 2001 (3), 2006 e 2007 (4) e alla dichiarazione congiunta delle parti sociali del 2005 (5).

I punti messi in evidenza in questi documenti figurano anche nella posizione comune delle parti sociali europee sul miglioramento della proposta della Commissione: una definizione più adeguata del diritto all'informazione e alla consultazione per dare ai lavoratori un'effettiva possibilità di influire sulle scelte dell'azienda, il rafforzamento dei diritti di partecipazione dei sindacati e il miglioramento del lavoro del CAE, ad esempio attraverso le opportunità di formazione e lo stanziamento dei relativi fondi. Un'altra finalità indicata per la rifusione della direttiva è quella di costituire un quadro giuridico coerente ed efficiente, nonché di eliminare i punti deboli emersi nell'applicazione della direttiva CAE a livello nazionale.

2.4   Il Comitato apprezza che le parti sociali europee, in tale contesto, accettino l'attuale proposta della Commissione come base per la revisione della direttiva e riconoscano che su questioni sostanziali esistono posizioni comuni, di cui si dovrà tener conto nella revisione. Il CESE è del tutto favorevole a tale consenso e ne tiene conto nel formulare le proprie proposte, perché ciò favorisce la realizzazione degli obiettivi della direttiva.

2.5   Il CESE fa propri gli obiettivi della rifusione della direttiva sul CAE, di cui la Commissione ha sottolineato l'importanza nella proposta del 2 luglio 2008 (6):

accrescere la certezza giuridica per tutte le parti coinvolte, cioè datori di lavoro e lavoratori,

garantire l'attuazione del diritto dei lavoratori all'informazione e alla consultazione a livello transnazionale nell'area UE-SEE, e quindi accrescere l'efficienza del CAE,

migliorare l'applicabilità della direttiva sul CAE, facendo così aumentare il numero di nuovi CAE,

migliorare la coerenza delle direttive comunitarie in materia di informazione e di consultazione dei lavoratori.

3.   Accrescere la certezza giuridica — Garantire la coerenza della legislazione comunitaria in materia di informazione e di consultazione dei lavoratori

3.1   La revisione della direttiva 94/45/CE servirà tra l'altro ad uniformare la definizione di informazione e consultazione dei lavoratori con quelle contenute in altri strumenti giuridici comunitari, semplificando in tal modo il quadro legislativo.

Il CESE accoglie con favore questo proposito, enunciato più volte nella relazione della proposta, ma da un'attenta analisi del testo constata che esso viene realizzato solo in parte.

Lo dimostra l'esempio della nuova delimitazione della sfera di competenza del CAE alle questioni transfrontaliere:

3.2.1   con il passaggio dalle prescrizioni accessorie dell'attuale direttiva, concernenti il carattere transfrontaliero delle decisioni aziendali, a quelle dell'articolo 1.4 della nuova proposta, la competenza del CAE verrebbe limitata alle sole decisioni che riguardano l'intera impresa o almeno due suoi stabilimenti ubicati in due Stati membri diversi.

3.2.2   Il Comitato non comprende e non ritiene opportuno l'inserimento nel testo della direttiva di una tale limitazione della competenza transnazionale. Ne conseguirebbe per esempio che una multinazionale con sede in uno Stato membro potrebbe adottare decisioni che incidono profondamente sulle condizioni di impiego dei lavoratori attivi in un altro Stato membro senza che questi ultimi possano intervenire al livello decisionale più elevato. Infatti in una simile circostanza la nuova definizione esenterebbe l'impresa dall'obbligo di informare e consultare il CAE.

3.2.3   A giudizio del CESE occorre invece garantire il regolare coinvolgimento del CAE anche nei casi in cui una decisione aziendale, che ad un primo esame sembra avere conseguenze in un solo Stato membro, sia in realtà parte di una decisione con implicazioni transnazionali. Il Comitato chiede quindi che l'articolo 1.4 venga modificato per garantire, come prevede opportunamente il considerando 12 della nuova proposta, che «i lavoratori delle imprese di dimensioni comunitarie o dei gruppi di imprese di dimensioni comunitarie siano adeguatamente informati e consultati in casi in cui le decisioni che influiscono sulle loro condizioni siano prese in uno Stato membro diverso da quello in cui lavorano» oppure riguardino l'intera impresa. La rifusione della direttiva non deve in alcun caso restringere il campo di azione del CAE.

Anche le nuove definizioni di informazione e consultazione contenute nell'articolo 2, pur costituendo in linea di principio un passo in avanti, non corrispondono al proposito espresso dalla Commissione, di adeguare la base giuridica comunitaria in questo campo.

3.3.1   Se è vero che le prescrizioni accessorie allegate alla direttiva stabiliscono, conformemente alla legge, che la consultazione deve avvenire in modo tale da consentire ai rappresentanti dei lavoratori di riunirsi con la direzione centrale e ottenere, prima che venga presa una decisione, una risposta a un loro eventuale parere, è anche vero che ciò non basta a fare di tale disposizione una norma generale valida per tutti i CAE.

3.3.2   La chiarezza e la certezza giuridica vengono garantite solo dalla proposta comune delle parti sociali europee, di inserire nelle definizioni di cui all'articolo 2 la seguente, precisa formulazione:

l'informazione deve avere una forma e un contenuto tali da consentire ai rappresentanti dei lavoratori di verificare accuratamente, in preparazione di una possibile consultazione con rappresentanti competenti della direzione aziendale, le possibili ripercussioni di una decisione programmata,

la consultazione va intesa come la procedura che consente al CAE di predisporre le proprie proposte in tempo utile perché siano prese in considerazione dalla direzione aziendale prima della conclusione del processo decisionale.

3.3.3   In questo contesto il CESE fa osservare che nel punto 3 delle prescrizioni accessorie (allegato I), concernente i diritti dei lavoratori nel caso in cui si verifichino circostanze straordinarie, è presente una discordanza testuale:

la nuova proposta della Commissione prevede che i diritti all'informazione e alla consultazione valgono anche qualora «intervengano decisioni» che incidono notevolmente sugli interessi dei lavoratori. Il Comitato ritiene che la formulazione giusta sia «vengano programmate misure», altrimenti questo punto sarebbe in contraddizione con il proposito, manifestato altrove nel testo della Commissione, di garantire un'informazione e una consultazione tempestive dei lavoratori; il CESE chiede pertanto che venga apportato al testo il suddetto chiarimento.

3.4   Il CESE accoglie con favore l'intento della Commissione di articolare meglio e distinguere più chiaramente, nell'articolo 12, le competenze e quindi la ripartizione dei compiti tra organi transfrontalieri e organi di rappresentanza nazionali. Anche in questo caso, tuttavia, dubita che tale proposito sia adeguatamente messo in pratica.

È da evitare, nell'interesse di tutte le parti in causa, che i rappresentanti dei lavoratori ai differenti livelli ricevano in tempi diversi informazioni differenti su una medesima circostanza. Bisogna pertanto che il testo della direttiva specifichi che il CAE e gli organi di rappresentanza nazionali vengono informati in merito alle decisioni previste che possono comportare modifiche sostanziali delle condizioni di lavoro e di impiego. Tale esigenza è stata tra l'altro segnalata espressamente anche dalle parti sociali europee nella posizione comune.

3.5   Il CESE apprezza la disposizione dell'articolo 12, paragrafo 5, secondo cui il miglioramento delle norme realizzato attraverso la revisione della direttiva non può essere utilizzato, nel contesto dell'armonizzazione tra il diritto nazionale e quello europeo, per abbassare il livello eventualmente più elevato delle norme in vigore a livello nazionale.

Osserva tuttavia che la formulazione ambigua impiegata «non costituisce una ragione sufficiente per giustificare un regresso» non garantisce che venga raggiunto l'obiettivo perseguito. Desidererebbe che anche il testo della direttiva precisasse che qui si fa riferimento alla «clausola di non regresso per quanto attiene al livello generale di tutela dei lavoratori» a livello nazionale, clausola che viene menzionata anche nel punto 36 della relazione introduttiva.

3.6   Il CESE constata con soddisfazione che sono state proposte modifiche delle disposizioni in base alle quali un accordo può essere rinegoziato quando, a causa di modifiche significative della struttura di un'impresa, non è più garantito che l'informazione e la consultazione dei lavoratori siano praticabili e corrispondenti allo standard concordato (articolo 6, paragrafo 2, lettera g) e 13, paragrafi 2 e 3).

Suscita particolare compiacimento la puntualizzazione di cui all'articolo 13, paragrafo 3, ossia che durante i nuovi negoziati continuano a valere gli accordi esistenti.

Tuttavia a giudizio del CESE bisognerebbe specificare che, in caso di fallimento dei negoziati, si applicano con carattere obbligatorio le prescrizioni accessorie, come previsto all'articolo 7 per il caso in cui non venga concluso un accordo. La legislazione deve garantire che in caso di riapertura dei negoziati non si abbiano vuoti di rappresentanza a livello transfrontaliero.

3.7   Il CESE apprezza anche che la Commissione si sforzi di introdurre nella proposta un mandato di rappresentanza collettivo del CAE. Le parti sociali europee accolgono con favore anche questo punto, sottolineando nella loro dichiarazione che i CAE devono disporre dei fondi necessari per potere esercitare il mandato che la direttiva conferisce loro.

4.   Garantire l'efficacia del CAE — Migliorare la sua efficienza nell'attività aziendale quotidiana

4.1   Già in un precedente parere il CESE aveva sottolineato il ruolo essenziale dei CAE e definito i delegati CAE come «attori diretti e motivati della costruzione di una nuova società (europea)» (7).

Pertanto la legislazione comunitaria deve dotare il CAE dell'occorrente per svolgere efficacemente la sua funzione a un tempo democratica ed economica, in particolare creando i presupposti affinché il CAE abbia ciò che gli è necessario in termini di strumenti di lavoro e di opportunità di comunicazione e di qualificazione. Anche le parti sociali europee hanno sottolineato questo punto.

4.2   La proposta della Commissione risponde a questa richiesta prevedendo per la prima volta esplicitamente che i delegati del CAE, in forza del loro mandato, abbiano diritto ad usufruire di misure di formazione senza perdita di retribuzione.

Questa possibilità di ampliamento delle competenze contribuirà certamente ad aumentare l'efficienza e le capacità operative dei delegati. Tuttavia per ragioni di coerenza si sarebbe dovuto specificare che i costi relativi a tali misure di formazione vengono coperti dall'impresa, secondo la prassi corrente.

4.3   La capacità operativa di un CAE dipende anche dall'intensità e dalla frequenza della comunicazione tra i suoi membri; il CESE si compiace pertanto del fatto che la proposta preveda dei miglioramenti a questo proposito:

per rendere più efficace la conduzione e il coordinamento del proprio lavoro il CAE può istituire un «comitato ristretto» (art. 6, lettera e)) che, in base alle nuove disposizioni contenute nell'allegato I, paragrafo 1, lettera d), può essere composto da un massimo di cinque membri e si riunisce regolarmente,

ciò fa sì che i lavoratori e la direzione dell'impresa dispongano, specie in circostanze eccezionali, di un punto di contatto affidabile e stabile a livello transfrontaliero.

4.4   Il CESE ritiene tuttavia che il proposito di rendere più efficace il lavoro pratico del CAE non sia stato perseguito in maniera coerente:

l'esperienza mostra che il CAE lavora in modo efficiente quando l'impresa offre adeguate opportunità di comunicazione. Per il CESE ciò avviene in particolare nel caso di imprese in cui di regola si svolge più di una riunione all'anno, preceduta e seguita a breve distanza di tempo da altre riunioni che hanno luogo senza la presenza della direzione dell'impresa e sono dedicate al lavoro preparatorio e all'elaborazione dei risultati, come è stato spesso concordato su base volontaria e al di là degli standard di legge. Il CESE giudica pertanto opportuno che la nuova direttiva abbia quanto meno l'effetto di stimolare un aumento delle opportunità di riunione, stabilendo chiaramente che le attuali disposizioni di legge in materia costituiscono delle norme minime.

4.5   In linea generale, il CESE desidera ricordare in questo punto che gli Stati membri, nel trasporre la nuova direttiva nel diritto nazionale, possono definire requisiti minimi per il funzionamento dei CAE più elevati di quelli previsti dalla stessa direttiva.

Ciò vale per l'art. 10, paragrafo 2, che mantiene opportunamente l'obbligo, per i membri del CAE, di informare i rappresentanti dei lavoratori degli stabilimenti o, in assenza di rappresentanti, direttamente i lavoratori riguardo alla sostanza e ai risultati dell'informazione e della consultazione nel CAE.

Il CESE ritiene che nel trasporre la direttiva gli Stati membri debbano prevedere misure atte a garantire un adeguato flusso di informazioni tra il livello europeo e quello nazionale o locale della rappresentanza di interessi. In tale contesto sarebbe opportuno introdurre disposizioni che garantiscano l'accesso diretto alle imprese, se non altro da parte del rappresentante nazionale e dei membri del comitato direttivo di un CAE. Bisognerebbe prevedere inoltre la possibilità di organizzare a livello nazionale incontri di rappresentanti dei lavoratori per la diffusione di informazioni, nel caso in cui in uno Stato membro siano presenti più aziende che delegati nel CAE e manchi una rappresentanza di interessi a livello interaziendale.

4.6   Sulla base dell'esperienza pratica in merito ai lavori del CAE non appare opportuno limitare la sua consultazione ai soli argomenti indicati nelle prescrizioni accessorie (allegato I, par. 1, lettera a)). La prassi mostra che il CAE viene consultato in merito a molti altri temi che non riguardano solo le trasformazioni strutturali.

Il dialogo con numerose direzioni aziendali verte su una più ampia gamma di temi, tra cui per esempio la formazione professionale o la protezione del lavoro, della salute e dei dati. A giudizio del CESE questa circostanza avrebbe dovuto essere considerata nella revisione della base giuridica del CAE e a quest'ultimo si sarebbe dovuto concedere anche il diritto di proporre i temi.

4.7   Il CESE approva l’iniziativa della Commissione di promuovere la partecipazione ai CAE di tutte le categorie di lavoratori. A questo proposito, ricorda la proposta di includere anche le alte professionalità, già formulata in precedenti pareri.

5.   Migliorare l'applicabilità della direttiva e accrescere il numero di CAE

5.1   Gli oltre 12 000 delegati attivi nei CAE di circa 850 imprese operanti a livello transfrontaliero contribuiscono alla vitalità del tessuto democratico europeo. Si riconosce unanimemente che essi contribuiscono al dialogo sociale nelle imprese interessate, nonché al processo di adozione e di applicazione delle decisioni. La Commissione ha riconosciuto il proprio interesse a far aumentare il numero di CAE compresi nel campo di applicazione della direttiva. Il CESE condivide tale posizione.

Al fine di accrescere il potenziale di creazione di nuovi CAE, la direttiva dovrebbe prevedere, all'art. 11, par. 2, disposizioni e misure efficaci che rendano più attraente ricorrere ai CAE e scoraggino comportamenti volti a eluderli o a non utilizzarli, violando la legge, come peraltro annunciava il documento della Commissione in merito alla consultazione delle parti sociali (8).

5.2   Dalla proposta in esame si desume che la Commissione riconosce alle parti sociali europee un ruolo e una responsabilità considerevoli nell'attuazione pratica della direttiva.

Ad esempio l'art. 5, par. 2, lettera c) prevede che le parti sociali europee siano informate dell'avvio dei negoziati e della composizione della delegazione speciale di negoziazione, che dev'essere istituita obbligatoriamente.

Anche il contributo positivo delle organizzazioni (europee) dei lavoratori e dei datori di lavoro alla (ri)negoziazione per la costituzione di un CAE, già sperimentato nella prassi, viene espressamente riconosciuto (articolo 5, par. 4 / punto 36 della relazione introduttiva).

5.3   In tale contesto il CESE si compiace anche del fatto che la proposta migliori in maniera decisiva il contesto in cui viene costituito un CAE.

È infatti previsto che la direzione dell'impresa metta a disposizione delle parti interessate le informazioni indispensabili all'avvio dei negoziati, in particolare quelle concernenti la struttura dell'impresa e il suo personale (articolo 4, paragrafo 4).

È prevedibile che questo necessario chiarimento contribuirà in futuro a prevenire possibili divergenze. In passato è stato più volte necessario ricorrere alla Corte di giustizia europea per dirimere delle controversie (9).

5.4   A giudizio del CESE ridurre nettamente i tempi di negoziazione previsti per la costituzione di un CAE contribuirebbe ad accelerare la nascita di tali comitati.

La durata attualmente prevista, pari a tre anni, si è dimostrata nella prassi poco adeguata alla realtà. Infatti la maggior parte delle negoziazioni si è conclusa in un lasso di tempo sensibilmente più breve.

In alcuni casi difficili la durata eccessiva ha comportato interruzioni e ritardi dei negoziati. Per tale ragione alcuni accordi a norma dell'articolo 6 della direttiva sui CAE non hanno potuto essere conclusi.

Il CESE chiede pertanto che nella nuova direttiva il periodo a disposizione per la negoziazione venga ridotto, per esempio a 18 mesi, come d'altronde aveva proposto, già nel 2001, il Parlamento europeo.

5.5   In conclusione il CESE esprime l'auspicio che siano costituiti nuovi CAE anche durante il periodo in cui la direttiva riveduta verrà recepita nelle legislazioni nazionali. Parte dal principio che durante tale periodo le negoziazioni relative a nuovi organi saranno effettuate a norma dell'articolo 6 dell'attuale direttiva 94/45/CE ovvero delle rispettive disposizioni nazionali di attuazione, e che i relativi accordi saranno validi anche con la nuova direttiva.

5.6   Soglie e limitazioni esistenti: il CESE constata che anche la proposta in esame mantiene le soglie riferite all'impresa per la costituzione di un CAE, l'esclusione dei gruppi di lavoratori di determinati settori (marina mercantile) e la limitazione dell'informazione e della consultazione relative a questioni economiche (Tendenzschutz — tutela della tendenza). Viene persino introdotta una nuova soglia (almeno 50 lavoratori per Stato) per la rappresentanza a livello transfrontaliero. Non si tiene però conto del fatto che in diversi Stati membri si devono costituire rappresentanze di lavoratori anche al di sotto di queste soglie. Perciò nella formulazione dell'articolo 5, paragrafo 2, lettera b) (composizione della delegazione speciale di negoziazione) e del paragrafo 1, lettera c) dell'allegato I — Prescrizioni accessorie (composizione del CAE) della proposta della Commissione si dovrebbe tener conto dell'esistenza di una rappresentanza nazionale dei lavoratori.

Il Comitato ritiene che ciò sia in contrasto con il diritto fondamentale di ogni lavoratore europeo all'informazione e alla consultazione tempestive in merito alle decisioni che lo interessano. Anche in questo caso il Comitato si sarebbe atteso che la rifusione della direttiva affrontasse tali aspetti.

Bruxelles, 4 dicembre 2008

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI

Il Segretario generale del Comitato economico e sociale europeo

Martin WESTLAKE


(1)  COM(2008) 419 def.

(2)  Cfr. i parere del CESE sul tema Applicazione concreta della direttiva sull'istituzione del comitato aziendale europeo (94/45/CE) e aspetti da sottoporre a eventuale revisione, relatore: PIETTE (GU C 10 del 14.1.2004); Il dialogo sociale e il coinvolgimento dei lavoratori: fattori essenziali per anticipare e gestire le trasformazioni industriali, relatore: ZÖHRER (GU C 24 del 31.1.2006); I comitati aziendali europei: un nuovo ruolo per promuovere l'integrazione europea, relatore: IOZIA (GU C 318 del 23.12.2006).

(3)  Basata sulla relazione del Parlamento europeo del 16 luglio 2001, relatore: MENRAD (A5-0282/2001-def.).

(4)  P6-TA (2007)0185.

(5)  Programma di lavoro comune delle parti sociali europee 2003-2005. Vedere anche la dichiarazione congiunta del 7 aprile 2005Lessons learned on European Work Councils (Lezioni apprese sui CAE), in cui le parti sociali europee descrivono lo sviluppo positivo del dialogo sociale grazie ai CAE nel quadro di ampie ricerche sul loro funzionamento, nelle quali viene sottolineata fra l'altro anche l'importanza del dialogo sociale.

(6)  Cfr. il documento della Commissione relativo alla consultazione delle parti sociali europee C(2008)660 del 20 febbraio 2008.

(7)  Cfr. il parere del CESE, sul tema I comitati aziendali europei: un nuovo ruolo per promuovere l'integrazione europea, relatore: IOZIA (GU C 318 del 23.12.2006).

(8)  Tale documento menziona la possibilità di invitare gli Stati membri, nel quadro della nuova direttiva, a introdurre sanzioni efficaci, proporzionali e dissuasive. Cfr. C(2008)660, punto 1.5.

(9)  Cfr. le sentenze relative ai casi Bofrost (C-62/99), Kühne & Nagel (C-440/00) e ADS Anker GmbH (C-349/01).


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

I seguenti emendamenti sono stati respinti nel corso del dibattito, ma hanno ottenuto più di un quarto dei voti espressi:

Punto 1.5, quarto trattino

Modificare come segue:

«—

chiarire la responsabilità della dirigenza dell'azienda ai fini di un'adeguata informazione dei rappresentanti dei lavoratori, tanto a livello transfrontaliero quanto a livello nazionale. Tale obbligo di informazione non dev'essere reso incerto o limitato dalla La ricerca di una migliore articolazione delle disposizioni tra i vari livelli, non deve né rendere incerto o limitare tale obbligo di informazione, né rallentare il processo decisionale

Esito della votazione

Voti favorevoli 43

Voti contrari 91

Astensioni 5

Punti 3.2 fino a 3.2.3

Sopprimere i punti.

Esito della votazione

Voti favorevoli 35

Voti contrari 100

Astensioni 5

Punto 3.3.2, primo trattino

Modificare come segue:

«—

l'informazione deve avere una forma e un contenuto tali da consentire ai rappresentanti dei lavoratori di verificare accuratamente, in preparazione di una possibile consultazione con rappresentanti competenti della direzione aziendale, le possibili ripercussioni di una decisione programmata, senza tuttavia che ne risulti rallentato il processo decisionale dell'impresa

Esito della votazione

Voti favorevoli: 43

Voti contrari: 91

Astensioni: 5

Punto 4.2, secondo paragrafo

Sopprimere quanto segue:

«—

Questa possibilità di ampliamento delle competenze contribuirà certamente ad aumentare l'efficienza e le capacità operative dei delegati. Tuttavia per ragioni di coerenza si sarebbe dovuto specificare che i costi relativi a tali misure di formazione vengono coperti dall'impresa, secondo la prassi corrente

Esito della votazione

Voti favorevoli 37

Voti contrari 98

Astensioni 9


28.7.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 175/116


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l'applicazione dei diritti dei pazienti relativi all'assistenza sanitaria transfrontaliera»

COM(2008) 414 def. — 2008/0142 (COD)

(2009/C 175/22)

Il Consiglio, in data 23 luglio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l'applicazione dei diritti dei pazienti relativi all'assistenza sanitaria transfrontaliera

COM(2008) 414 def. — 2008/0142 (COD).

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 novembre 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore BOUIS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 4 dicembre 2008, nel corso della 449a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 80 voti favorevoli e 3 voti contrari.

1.   Osservazioni e raccomandazioni

1.1   Il CESE, avendo già trattato le problematiche legate alla salute e ai diritti dei pazienti in diversi pareri, prende ora in esame questa proposta di direttiva soprattutto in virtù del fatto che il testo, oltre a rappresentare una risposta alla giurisprudenza della Corte di giustizia europea, trova il proprio fondamento nei diritti del paziente e nella costruzione di un coordinamento delle politiche sanitarie degli Stati membri.

1.2   La proposta ribadisce che i sistemi sanitari rientrano nella sfera di responsabilità degli Stati membri e non modifica le pratiche di rimborso delle prestazioni. Tuttavia, i dispositivi proposti avranno nel tempo delle ripercussioni sui sistemi sanitari basati sulla solidarietà, e incideranno sulla loro sostenibilità finanziaria. Il CESE si interroga quindi sulle modalità di applicazione concrete in relazione al principio di sussidiarietà nella politica sanitaria e formula alcune osservazioni e raccomandazioni.

1.3   Preoccupato per il rischio di un aumento delle disuguaglianze tra i vari gruppi sociali in termini di assistenza sanitaria, il CESE chiede che la direttiva includa un riferimento alla necessità di fornire le cure sanitarie nel rispetto del principio della pari dignità delle persone e di garantire un accesso prioritario alle persone con maggiori necessità e/o con minori coperture sociali.

1.4   Il diritto fondamentale di qualsiasi fruitore di assistenza di ottenere le necessarie garanzie di qualità e sicurezza crea obblighi di normalizzazione, certificazione e valutazione delle capacità materiali e umane, nonché di organizzazione dell'assistenza.

1.5   L'accesso all'assistenza sanitaria transfrontaliera presuppone che le capacità delle organizzazioni sanitarie dei diversi paesi siano complementari ed equilibrate, in termini di prestazioni tecniche e umane, di apparecchiature mediche, di responsabilità dei prestatori. Questo comporta una politica europea di sostegno in materia di formazione dei professionisti della sanità e di attrezzature sanitarie. Un'attenzione particolare andrebbe riservata a certi rischi medici determinati da una maggiore mobilità dei pazienti.

1.6   Il CESE ritiene che la proposta non debba sancire la volontà di generalizzare la mobilità dei pazienti, ma suggerire piuttosto un quadro che consenta l'esercizio del diritto alla mobilità, senza omettere la necessità di disporre di un'assistenza sanitaria di qualità il più vicino possibile al proprio luogo di residenza. I meccanismi introdotti non dovranno essere sproporzionati rispetto all'entità delle cure transfrontaliere.

1.7   Preoccupato per la distinzione tra cure ospedaliere e cure non ospedaliere introdotta dalla proposta di direttiva e per il fatto che questa distinzione si riferisce più agli aspetti finanziari che non alle realtà dell'organizzazione sanitaria di ciascun paese, il Comitato raccomanda che ciascuno Stato membro definisca ciò che intende per cure ospedaliere o non ospedaliere, in virtù del principio di sussidiarietà e dell'articolo 86, paragrafo 2, del Trattato.

1.8   L'accesso all'assistenza sanitaria prestata in un altro Stato membro deve essere offerto in maniera non discriminatoria a tutti i cittadini in virtù del disposto dell'articolo 13 del Trattato e nel rispetto dei diritti del paziente già enunciati dal CESE (1), in particolare attraverso una tessera sanitaria e una cartella clinica europea debitamente aggiornata e accessibile ai professionisti della sanità e allo stesso paziente.

1.9   Un'effettiva politica di informazione in materia di assistenza transfrontaliera è indispensabile in quanto costituisce l'unico mezzo per mettere in pratica il principio della parità di accesso alle cure sanitarie e consentire ad un fruitore di assistenza di compiere scelte libere e consapevoli. Spetta a ciascuno Stato membro impegnarsi ad elaborare la propria politica di informazione.

1.10   L'informazione comprende anche i sistemi di ricorso in caso di danno e le modalità di trattamento delle controversie; a questo riguardo sarebbe utile istituire uno sportello unico ed è necessario che l'eventuale ricorso sia inoltrato presso la giurisdizione del luogo di residenza del paziente. Il CESE raccomanda inoltre che il sistema di assicurazione obbligatoria sia esteso a tutti i professionisti della sanità.

1.11   Al fine di limitare le disparità di accesso all'assistenza sanitaria, nei meccanismi relativi alle modalità di rimborso successivo al pagamento della prestazione si dovrà dedicare particolare attenzione ai tempi di rimborso e alle differenze di pratiche terapeutiche e di modalità di fornitura di medicinali o di apparecchiature tra lo Stato di cura e lo Stato di affiliazione.

1.12   Analogamente, nel sistema di rimborso va tenuto conto del rischio di disuguaglianze e di eventuali contenziosi dovuti al fatto che i regimi di assicurazione malattia non sono omogenei e presentano delle specificità nazionali quali la partecipazione finanziaria di terzi, il ticket, gli onorari differenziati, il medico curante, la codificazione delle prestazioni, ecc.

1.13   Le modalità di informazione, nella loro totalità, non soltanto devono soddisfare le esigenze di sicurezza e di qualità dei messaggi trasmessi, ma soprattutto devono essere un elemento che consente la libera scelta individuale e facilita la conciliazione tra competitività economica, coesione, giustizia sociale e solidarietà collettiva.

1.14   i punti di contatto nazionali devono operare in collegamento con le varie associazioni di lavoratori, di famiglie e fruitori del servizio sanitario e nel quadro di una stretta cooperazione con gli enti dell'assicurazione malattia affinché essi divulghino queste informazioni. I punti di contatto devono inoltre realizzare attività di informazione e formazione destinate ai professionisti della sanità, al personale paramedico e agli assistenti sociali riguardanti le possibilità di assistenza sanitaria transfrontaliera.

1.15   Una particolare attenzione va rivolta alla continuità dell'assistenza sanitaria, al follow-up dei pazienti, all'adeguamento dei dispositivi medici e al consumo di medicinali. A tal fine è necessario che i professionisti della sanità e le strutture sanitarie si coordinino per ciò che riguarda le procedure e i protocolli terapeutici di lunga durata per i pazienti.

1.16   L'istituzione delle reti europee di riferimento deve procedere di pari passo con lo sviluppo delle tecnologie dell'informazione, in perfetta interoperabilità, per garantire che qualsiasi paziente possa beneficiarne indipendentemente da dove risiede. Lo scambio di conoscenze dovrebbe permettere di migliorare la qualità dei sistemi degli Stati membri a vantaggio di tutti i soggetti interessati, che si tratti di istituzioni, professionisti della sanità, pazienti, ecc.

1.17   L'aggregazione dei dati statistici raccolti dagli Stati membri deve consentire un bilancio dell'applicazione della direttiva. Essa deve inoltre contribuire a definire indicatori che permettano di individuare sia i punti di forza e di debolezza dei sistemi sanitari sia i bisogni e le preferenze delle popolazioni. La relazione sul funzionamento della direttiva dovrebbe essere presentata anche al Comitato, che s'impegna, a sua volta, a monitorare la situazione e a emettere, eventualmente, nuovi pareri d'iniziativa.

1.18   L'applicazione di un vero e proprio diritto dei pazienti nell'ambito dell'assistenza transfrontaliera richiede un certo periodo di adattamento per poter modificare le pratiche sanitarie in profondità e consentire un'evoluzione delle mentalità e della formazione degli operatori del settore sanitario. Essa comporta l'integrazione, nei regolamenti nazionali, dei principi di una carta europea dei diritti e dei doveri reciproci dei diversi attori della sanità.

1.19   A giudizio del CESE è evidente che l'approccio adottato non riesce a conciliare pienamente la questione della sussidiarietà in materia di assistenza sanitaria e la necessità di un modus operandi coerente per i trattamenti transfrontalieri. In questo modo si dà spazio ad interpretazioni divergenti e di conseguenza a difficoltà di carattere giudiziario sia per i pazienti che per gli operatori della sanità.

2.   Sintesi della comunicazione

2.1   Contesto giuridico e politico della richiesta

2.1.1   Conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia, già dal 2003 la Commissione è stata invitata a studiare come rafforzare la certezza del diritto nel settore dell'assistenza sanitaria transfrontaliera.

2.1.2   La direttiva relativa ai servizi nel mercato interno presentata nel 2004 comprendeva disposizioni riguardanti i servizi sanitari. Il Parlamento e il Consiglio non le hanno accolte in quanto hanno ritenuto che non fossero prese sufficientemente in considerazione le specificità delle politiche sanitarie, che differiscono considerevolmente da un paese all'altro, le loro complessità tecniche e le questioni concernenti il finanziamento. È inoltre opportuno rilevare la delicatezza del tema per l'opinione pubblica.

La Commissione ha deciso di presentare nel 2008 una comunicazione e una direttiva intese ad istituire un quadro chiaro e trasparente per la prestazione di assistenza sanitaria transfrontaliera all'interno dell'Unione, vale a dire l'assistenza sanitaria ricevuta all'estero da un paziente che vada a farsi curare da un prestatore stabilito in un altro Stato membro. A tal fine la Commissione propone una definizione dei concetti di cure ospedaliere e cure non ospedaliere.

2.2   Quadro proposto

2.2.1   La base giuridica della proposta presentata è costituita dall'articolo 95 del Trattato CE relativo all'instaurazione e al funzionamento del mercato interno, dall'articolo 152 sulla sanità pubblica e dai principi generali riconosciuti dalla Carta dei diritti fondamentali, così come sono stati ripresi nelle disposizioni del Trattato di riforma.

2.2.2   Per raggiungere gli obiettivi stabiliti, le definizioni giuridiche e le disposizioni generali si articolano in tre settori principali: i principi comuni a tutti i sistemi sanitari dell'UE, un quadro specifico per l'assistenza sanitaria transfrontaliera, una cooperazione europea in materia di assistenza sanitaria. La direttiva precisa i principi applicabili al rimborso delle cure sanitarie prestate in un altro Stato membro e le modalità secondo le quali saranno esercitati in concreto i diritti dei pazienti, distinguendo tra cure ospedaliere e cure non ospedaliere.

2.2.3   Questa proposta non modifica il quadro normativo per il coordinamento dei regimi di sicurezza sociale, che resterà in vigore.

2.2.4   La proposta di direttiva precisa le procedure da seguire e prevede inoltre l'introduzione di meccanismi adatti per informare e assistere i pazienti attraverso punti di contatto nazionali. Qualsiasi paziente che non possa accedere in tempi ragionevoli alle cure sanitarie nel proprio paese è autorizzato a beneficiarne in un altro Stato membro.

2.2.5   La proposta promuove una maggiore cooperazione europea attraverso la creazione di reti di riferimento europee, la valutazione delle tecnologie sanitarie e lo sviluppo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione elettroniche.

3.   Osservazioni generali

3.1   Il CESE, avendo già trattato le problematiche legate alla salute e ai diritti dei pazienti in diversi pareri, prende ora atto della volontà della Commissione europea di affrontare il tema dell'assistenza sanitaria transfrontaliera.

3.2   Il Comitato ritiene che questa iniziativa non debba sancire la volontà di generalizzare la mobilità dei pazienti, bensì proporre un quadro che consenta l'esercizio del diritto alla mobilità. I meccanismi introdotti non dovranno essere sproporzionati, per entità o costi, rispetto alla portata dell'attività di assistenza transfrontaliera.

3.3   La proposta rispecchia i valori dell'Unione europea e quelli della carta di Tallinn (2). L'obiettivo di questi testi è proporre in tutta l'Europa un'assistenza sanitaria di qualità elevata e accessibile a tutti.

Attualmente la proposta di direttiva tende piuttosto ad ignorare il carattere complesso, variegato e divergente dei sistemi sanitari dei 27 Stati membri. È quasi certo che la direttiva non sarà interpretata in maniera univoca dai diversi sistemi sanitari dei vari Stati membri. Per questo motivo il Comitato si interroga sulle modalità di applicazione concrete e auspica che le cure ospedaliere e non ospedaliere siano chiaramente definite al fine di rafforzare la certezza giuridica dei pazienti e dei servizi sanitari.

3.4.1   La proposta ribadisce che i sistemi sanitari rientrano nella sfera di responsabilità degli Stati membri e rispetta appieno le competenze di questi ultimi in materia di organizzazione dei servizi sanitari, di fornitura dell'assistenza medica e di rimborso delle prestazioni. Tuttavia, le disposizioni proposte avranno prima o poi delle ripercussioni sui sistemi sanitari, sulla loro sostenibilità finanziaria e sull'entità dei diritti da essi previsti.

3.4.2   Alla luce delle considerevoli differenze che esistono in termini di cure prestate e di relativi costi, il sistema di rimborso successivo al pagamento della prestazione da parte del paziente rischia di creare disuguaglianze ed eventualmente di fare sorgere controversie a causa della non omogeneità dei regimi di assicurazione malattia, che presentano specifiche caratteristiche nazionali. Il CESE teme che la direttiva costituisca un'opportunità per aprire il mercato della sanità alla concorrenza e, in effetti, dopo l'entrata in vigore della direttiva servizi, per compromettere la qualità della protezione sanitaria in Europa nel suo complesso.

3.4.3   L'efficacia e il corretto utilizzo dell'assistenza sanitaria in un contesto transfrontaliero presuppongono che le capacità delle organizzazioni sanitarie nei diversi paesi siano complementari ed equilibrate, in termini di prestazioni tecniche e umane, apparecchiature mediche e definizione delle responsabilità dei fornitori di assistenza sanitaria.

3.4.4   In ogni caso, anche quando sono erogate cure sanitarie transfrontaliere, i pazienti hanno diritto ad attendersi determinate garanzie riguardo alla qualità e alla sicurezza dell'assistenza prestata. L'attuazione di questo fondamentale diritto presuppone che vengano armonizzate le procedure di certificazione e di valutazione delle pratiche professionali e delle prestazioni delle apparecchiature mediche, come pure l'organizzazione del sistema di risarcimento in caso di danno.

3.4.5   Per quanto concerne l'assistenza sanitaria transfrontaliera, un corretto trattamento dei pazienti presuppone il rispetto di un certo numero di condizioni per assicurare la continuità delle prestazioni, tra cui:

la diffusione di una tessera sanitaria personale di cui ciascun individuo sia in possesso fin dalla nascita,

l'esistenza di una cartella clinica europea debitamente aggiornata e accessibile sia ai professionisti della sanità che al paziente,

una formulazione comune dei protocolli terapeutici,

pratiche di prescrizione coordinate, e in particolare l'indicazione del nome della molecola piuttosto che del nome commerciale del medicinale, nonostante il fatto che i medicinali siano soggetti alle norme che regolano il commercio internazionale,

una normalizzazione e una certificazione delle protesi, delle apparecchiature e dei dispositivi medici,

l'introduzione di un meccanismo di accreditamento ed eventualmente anche di certificazione europea delle attrezzature ospedaliere mediche e paramediche,

una procedura comunitaria di autorizzazione per l'immissione in commercio dei medicinali.

Tutte queste condizioni richiedono lo sviluppo di nuove tecnologie insieme all'interoperabilità dei sistemi informatici.

3.4.6   Siffatte modifiche dell'organizzazione del sistema e delle pratiche professionali presuppongono un cambiamento delle mentalità e delle attività di formazione dei professionisti della sanità, ma anche un'evoluzione giuridica della definizione delle competenze, del ruolo e delle responsabilità delle autorità sanitarie di ciascun paese, e tutto questo richiede sicuramente un periodo di adattamento.

La possibilità offerta a qualsiasi paziente di fruire dell'assistenza sanitaria transfrontaliera deve rientrare nel principio di parità di accesso a tutti i servizi e a tutti i professionisti della sanità, e non deve essere oggetto di discriminazioni fondate sul sesso, la razza e l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali. Tale principio richiede pertanto l'attuazione di un'efficace politica di informazione articolata attorno a due assi:

3.4.7.1   un'informazione sull'offerta di cure sanitarie rivolta a tutti i cittadini affinché possano decidere se ricorrere all'assistenza transfrontaliera. Tali informazioni devono essere pubblicate sotto la responsabilità delle autorità di controllo sanitario, le quali devono garantire che possano accedervi anche i gruppi più deboli, come le persone che vivono in condizioni di emarginazione sociale e di precarietà;

3.4.7.2   un'informazione sulla malattia, sui trattamenti possibili con i loro vantaggi e i loro rischi, le caratteristiche delle strutture o dei professionisti che li erogano.

3.4.7.3   Poiché queste informazioni sono fornite nel quadro di un'interazione con i professionisti della sanità, si presuppone che le loro conoscenze sulle possibilità offerte in Europa siano costantemente aggiornate. È quindi fondamentale che si stabilisca un legame tra i prestatori di assistenza sanitaria e i punti di contatto nazionali, fatto che comporta lo stanziamento di risorse finanziarie destinate a tale scopo. Va inoltre superata la barriera linguistica.

3.4.8   L'informazione deve essere completa e pertinente per consentire al paziente di compiere scelte libere e informate, evitandogli di essere vittima di azioni di accaparramento di clientela e di derive commerciali.

3.4.9   Siffatti obblighi di informazione sono gli unici a poter dare un contenuto al principio di parità di accesso alle cure sanitarie enunciato dalla proposta di direttiva, quale che sia il bisogno di fruizione dell'assistenza sanitaria in un altro Stato membro.

4.   Osservazioni specifiche

4.1   Articolo 3

4.1.1   Il CESE reputa che la proposta di direttiva debba essere applicata lasciando impregiudicate le prescrizioni comunitarie precedentemente definite e, in particolare, le disposizioni di cui ai regolamenti (CEE) n. 1408/71 e (CE) n. 883/2004.

4.2   Articolo 4, lettera d)

4.2.1   Il CESE ritiene che l'elenco dei professionisti della sanità sia incompleto e chiede che vi siano aggiunte le professioni paramediche quali ortofonisti, ortottisti, ecc.

4.3   Articolo 5

4.3.1   Il Comitato accoglie con particolare favore questo articolo e fa notare che la sfida consisterà nel garantire un'assistenza in grado di rispondere alle esigenze e alle aspirazioni dei cittadini, ai quali devono essere riconosciuti diritti ma anche responsabilità al fine di promuovere il benessere attraverso un giusto equilibrio tra competitività economica, coesione, giustizia sociale e solidarietà collettiva. Il CESE vigilerà affinché le definizioni delle norme di qualità e di sicurezza non minaccino in nessun modo la diversità dei sistemi sanitari degli Stati membri (articolo 152, paragrafo 5, del TCE).

4.3.2   Il CESE insiste sull'importanza che assumono i sistemi sanitari per tutte le fasce della popolazione, in particolare per quelle meno abbienti, ma anche sulle conseguenze di un accesso migliore all'assistenza sanitaria per la crescita economica. A tal fine, il Comitato sottolinea che un maggiore coordinamento tra tutti gli investimenti intesi a migliorare l'accesso all'assistenza sanitaria servirà a renderli più efficaci.

4.4   Articolo 6

4.4.1   Il CESE ritiene necessario che nel meccanismo istituito in materia di rimborsi successivi al pagamento della prestazione si faccia molta attenzione al fatto che le pratiche terapeutiche e le pratiche di fornitura di medicinali o di apparecchiature saranno di competenza dello Stato di cura e non dello Stato di affiliazione, che è responsabile dell'attuazione dei criteri di copertura. Pertanto, sarebbe necessario redigere elenchi di concordanza sia per i tassi di rimborso che per gli obblighi in materia di continuità dell'assistenza sanitaria.

4.4.2   Il CESE è preoccupato per il costo supplementare che il paziente dovrà sostenere in caso di mancato rimborso non previsto. Nel medio periodo, per assicurare la continuità dell'assistenza sanitaria, sarà necessario prevedere una copertura finanziaria dei trattamenti da parte del paese di affiliazione, il che potrebbe ripercuotersi in maniera rilevante sui sistemi di finanziamento.

4.4.3   Il CESE, per evitare qualsiasi incoraggiamento ad una medicina a due velocità dal punto di vista sia dei pazienti che degli Stati, giudica necessario che venga chiarita la questione delle modalità di fatturazione dei costi delle prestazioni fornite in un altro Stato membro e delle condizioni di pagamento. Il CESE sottolinea che in materia di fatturazione occorre tener conto delle strutture e delle pratiche esistenti.

4.5   Articoli 7 e 8

4.5.1   Il CESE è particolarmente preoccupato per la distinzione tra cure ospedaliere e non ospedaliere introdotta dalla direttiva. Fa notare che questa distinzione si basa più sugli aspetti finanziari che sulle realtà dell'organizzazione sanitaria di ciascun paese.

4.5.2   Sebbene la Commissione proponga l'elaborazione di un elenco complementare, il CESE raccomanda, conformemente al principio di sussidiarietà e al disposto dell'articolo 86, paragrafo 2, del Trattato, che siano gli Stati membri a definire che cosa intendono per cure ospedaliere, eccetto nei casi di abuso manifesto. I paragrafi 1 e 2 dovrebbero quindi essere modificati di conseguenza.

4.6   Articolo 9

4.6.1   Il CESE fa presente che i sistemi di autorizzazione preventiva possono rivelarsi utili quando offrono l'occasione per avviare un processo di riflessione e di informazione del paziente, grazie al dialogo che può instaurarsi tra il paziente e il suo organismo di copertura finanziaria. Questi sistemi possono inoltre garantire la copertura di prestazioni specifiche, come il rimborso delle spese di trasporto.

4.6.2   Il Comitato considera che, indipendentemente dalla pubblicazione a priori dei criteri relativi all'autorizzazione preventiva, è necessario che qualsiasi motivo di rifiuto sia debitamente giustificato e chiaramente spiegato al paziente.

4.7   Articolo 10

4.7.1   Il CESE ritiene importante istituire i dispositivi adeguati per informare i pazienti e consentire loro di optare per l'assistenza transfrontaliera. Queste informazioni devono segnalare in particolare sia gli obblighi e i limiti della prestazione sia le modalità di rimborso e la parte restante a carico del paziente.

4.7.2   Il CESE raccomanda che il sistema di assicurazione obbligatoria (3) sia esteso a tutti i professionisti della sanità e che i pazienti siano informati riguardo ai sistemi di ricorso in caso di danno causato da un incidente medico con o senza colpa (rischio terapeutico).

4.7.3   Il Comitato ritiene che sia pertinente optare per il principio di uno sportello unico nel quadro delle procedure di denuncia da parte dei pazienti e che qualsiasi contenzioso debba rientrare nella competenza della giurisdizione del luogo di residenza del paziente.

4.7.4   Il CESE considera che i servizi e i siti di informazione online sono un elemento di informazione dei pazienti che merita di essere sviluppato. Le fonti e le modalità di informazione non possono limitarsi tuttavia a quest'unico strumento, dato che molti dei nostri concittadini non hanno accesso ad Internet o dispongono di un accesso limitato. Si rischierebbe di promuovere un sistema sanitario a due velocità in cui solo le fasce sociali più abbienti e meglio informate potrebbero beneficiare dell'accesso all'assistenza transfrontaliera.

4.8   Articolo 12

4.8.1   I punti di contatto nazionali devono essere collegati alle diverse associazioni dei lavoratori, delle famiglie e dei fruitori dell'assistenza sanitaria e devono intrattenere una stretta cooperazione con gli enti di assicurazione malattia e le organizzazioni autonome dei fornitori di servizi sanitari, in quanto rappresentano il canale di informazione pertinente. Inoltre è necessario che questi punti di contatto nazionali, essendo designati sotto la responsabilità dei rispettivi Stati membri, sviluppino azioni di informazione e di formazione rivolte ai professionisti della sanità, al personale paramedico e agli assistenti sociali per aggiornarli in merito alle possibilità offerte nell'ambito dell'assistenza sanitaria transfrontaliera.

4.9   Articolo 14

4.9.1   Il CESE accoglie con favore questo articolo che consente di garantire la continuità dell'assistenza sanitaria in materia di consumo di medicinali, ma ne sollecita al contempo un'applicazione rigorosa, tenuto conto dei possibili rischi di consumo eccessivo o anche, eventualmente, di traffico di medicinali. Il CESE osserva che la proposta di direttiva non tiene conto della somministrazione di medicinali soggetti a prescrizione medica limitativa.

4.10   Articolo 15

4.10.1   Il CESE ritiene che questo articolo risponda in parte alla sua preoccupazione per la diversa qualità delle prestazioni sanitarie a seconda degli Stati membri. Ribadisce comunque che l'istituzione di queste reti di riferimento europee deve essere accompagnata da uno sviluppo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione che permettano a qualsiasi paziente di beneficiarne, indipendentemente dal luogo in cui risiede.

4.10.2   Tra gli obiettivi delle reti europee, dovrebbero altresì figurare:

in aggiunta al punto 2, lettera a) «la valutazione e la registrazione delle pratiche terapeutiche»,

in aggiunta al punto 2, lettera d) «il riconoscimento dei diplomi e il controllo dei codici etici».

4.10.3   Inoltre, anche se è prevista una procedura per l'adesione di nuovi membri alla rete, il CESE ribadisce l'importanza di una valutazione o eventualmente dell'introduzione di una procedura di certificazione.

4.10.4   Nell'elenco di condizioni e criteri specifici che le reti devono soddisfare, il CESE auspica che:

il punto 3, lettera a) capoverso ix) sia completato come segue: «una tale collaborazione si rivela assolutamente indispensabile, soprattutto ai fini del coinvolgimento dei fruitori di assistenza nella definizione di tempi di attesa giustificabili»,

al punto 3, lettera a) sia aggiunto il seguente capoverso x): «promuovano il riconoscimento e il rispetto di una carta comune dei diritti del paziente che garantisca l'applicazione effettiva di questi diritti sia nel paese di origine che nel caso di assistenza transfrontaliera».

4.11   Articolo 18

4.11.1   L'aggregazione dei dati statistici raccolti dagli Stati membri deve consentire un bilancio dell'applicazione della direttiva in esame. Sarebbe auspicabile che la raccolta dei dati conducesse inoltre alla definizione di indicatori che permettano di individuare con maggiore precisione i punti forti e i punti deboli dei sistemi sanitari e di conoscere le esigenze e le preferenze delle popolazioni.

4.12   Articolo 20

4.12.1   Le modalità di autorizzazione preventiva dovrebbero essere esplicitate e comunicate alla Commissione come un dato da analizzare.

4.12.2   La relazione sul funzionamento della direttiva dovrebbe essere presentata anche al Comitato economico e sociale europeo.

Bruxelles, 4 dicembre 2008.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI

Il Segretario generale del Comitato economico e sociale europeo

Martin WESTLAKE


(1)  Cfr. parere di iniziativa del CESE, sul tema I diritti del paziente, relatore: BOUIS (GU C 10 del 15.1.2008).

(2)  Carta firmata il 27 giugno 2008 a Tallinn dai ministri della Sanità dei paesi della regione europea dell'OMS.

(3)  Assicurazione responsabilità civile.


28.7.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 175/122


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di direttiva …/…/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del […] intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società di cui all'articolo 48, secondo paragrafo, del Trattato, per tutelare gli interessi dei soci e dei terzi per quanto riguarda la costituzione della società per azioni, nonché la salvaguardia e le modificazioni del capitale sociale della stessa»

COM(2008) 544 def. — 2008/0173 (COD)

(2009/C 175/23)

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 8 ottobre 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 44 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva …/…/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del […] intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società di cui all'articolo 48, secondo paragrafo, del Trattato, per tutelare gli interessi dei soci e dei terzi per quanto riguarda la costituzione della società per azioni, nonché la salvaguardia e le modificazioni del capitale sociale della stessa (Versione codificata)

COM(2008) 544 def. — 2008/0173 (COD).

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, in data 3 dicembre 2008, nel corso della 449a sessione plenaria, ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 169 voti favorevoli, 2 voti contrari e 4 astensioni.

Bruxelles, 3 dicembre 2008

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI

Il Segretario generale del Comitato economico e sociale europeo

Martin WESTLAKE


28.7.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell’Unione europea

C 175/123


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla «Proposta di direttiva …/…/CE del consiglio del […] che determina il campo di applicazione dell'articolo 143, lettere b) e c) della direttiva 2006/112/CE per quanto concerne l'esenzione dall'imposta sul valore aggiunto di talune importazioni definitive di beni (versione codificata)»

COM(2008) 575 def. — 2008/0181 (CNS)

(2009/C 175/24)

Il Consiglio, in data 8 ottobre 2008, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 93 e 94 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva …/…/CE del consiglio del […] che determina il campo di applicazione dell'articolo 143, lettere b) e c) della direttiva 2006/112/CE per quanto concerne l'esenzione dall'imposta sul valore aggiunto di talune importazioni definitive di beni (versione codificata)

COM(2008) 575 def. — 2008/0181 (CNS).

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, in data 3 dicembre 2008, nel corso della 449a sessione plenaria, ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 167 voti favorevoli, 3 voti contrari e 3 astensioni.

Bruxelles, 3 dicembre 2008.

Il Presidente del Comitato economico e sociale europeo

Mario SEPI

Il Segretario generale del Comitato economico e sociale europeo

Martin WESTLAKE