ISSN 1725-2466 |
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Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 77 |
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Edizione in lingua italiana |
Comunicazioni e informazioni |
52o anno |
Numero d'informazione |
Sommario |
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III Atti preparatori |
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COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO |
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447a sessione plenaria del 17 e del 18 settembre 2008 |
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2009/C 077/01 |
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2009/C 077/02 |
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2009/C 077/03 |
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2009/C 077/04 |
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2009/C 077/05 |
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2009/C 077/06 |
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2009/C 077/07 |
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2009/C 077/08 |
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2009/C 077/09 |
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2009/C 077/10 |
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2009/C 077/11 |
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2009/C 077/12 |
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2009/C 077/13 |
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2009/C 077/14 |
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2009/C 077/15 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo L'Internet degli oggetti |
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2009/C 077/16 |
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2009/C 077/17 |
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2009/C 077/18 |
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2009/C 077/19 |
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2009/C 077/20 |
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2009/C 077/21 |
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2009/C 077/22 |
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2009/C 077/23 |
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2009/C 077/24 |
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2009/C 077/25 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il multilinguismo |
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2009/C 077/26 |
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2009/C 077/27 |
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2009/C 077/28 |
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2009/C 077/29 |
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2009/C 077/30 |
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2009/C 077/31 |
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2009/C 077/32 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La strategia UE-Africa |
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2009/C 077/33 |
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IT |
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III Atti preparatori
COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO
447a sessione plenaria del 17 e del 18 settembre 2008
31.3.2009 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 77/1 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che definisce i livelli di prestazione in materia di emissioni delle autovetture nuove nell'ambito dell'approccio comunitario integrato finalizzato a ridurre le emissioni di CO2 dei veicoli leggeri
COM(2007) 856 def. — 2007/0297 (COD)
(2009/C 77/01)
Il Consiglio dell'Unione europea, in data 22 febbraio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:
Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che definisce i livelli di prestazione in materia di emissioni delle autovetture nuove nell'ambito dell'approccio comunitario integrato finalizzato a ridurre le emissioni di CO2 dei veicoli leggeri
La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 15 luglio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore IOZIA.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 140 voti favorevoli e 4 voti contrari.
1. Conclusioni e raccomandazioni
1.1 |
Il CESE, nei suoi pareri in merito alla riduzione delle emissioni di CO2, ha sempre sostenuto con forza tutte le iniziative legislative della Commissione che perseguano l'obiettivo di raggiungere traguardi concreti e visibili nella riduzione dei gas a effetto serra, come contributo fondamentale nella lotta ai cambiamenti climatici. |
1.2 |
Il CESE condivide gli obiettivi del presente regolamento che persegue progressive e concrete riduzioni delle emissioni di CO2 con la proposta di raggiungere il traguardo dei 130 g/km entro il 2012, attraverso il ricorso ai miglioramenti tecnologici dei motori. |
1.3 |
Esso inoltre auspica un impegno di tutte le parti interessate affinché, attraverso un approccio integrato, si possa raggiungere il traguardo dei 120 g/km entro il 2012 secondo quanto previsto dalle comunicazioni della Commissione del febbraio 2007, e sollecita il Consiglio e il Parlamento europeo a una rapida approvazione di tutta la legislazione che possa positivamente incidere sulla lotta al cambiamento climatico. |
1.3.1 |
Il CESE raccomanda alla Commissione di fissare obiettivi di lungo periodo, analogamente a quanto indicato dal Parlamento europeo: sarà necessario individuare soluzioni più coraggiose per il 2020. |
1.4 |
In particolare, auspica una rapida approvazione della proposta di direttiva COM(2005) 261 def. sulla fiscalità delle vetture private, il miglioramento della direttiva 1999/94/CEE sull'etichettatura delle emissioni di CO2 e invita la Commissione a coordinare e proporre iniziative in merito alla pubblicità e al marketing del settore automobilistico per promuovere le vetture più economiche in termini di consumo. |
1.5 |
La scelta di un intervento legislativo specifico per il settore automobilistico appare necessaria allo scopo di chiudere il periodo degli impegni volontari assunti dalle imprese, poiché tali impegni, pur apprezzabili per gli importanti avanzamenti conseguiti sul fronte del miglioramento delle prestazioni delle autovetture in termini di riduzione delle emissioni di CO2, sono risultati però insufficienti per il raggiungimento degli obiettivi prefissati. |
1.6 |
Nell'approvare la strategia ed il percorso previsto, il CESE, richiede che i provvedimenti siano realisticamente realizzabili, in un corretto equilibrio fra gli indispensabili miglioramenti ambientali, la salvaguardia occupazionale di un industria dove operano 13 milioni di lavoratori e il pieno mantenimento della competitività delle imprese europee in un settore certamente strategico per l'economia europea. |
1.7 |
Esso considera positivamente la scelta legislativa del regolamento in quanto strumento adatto a garantire l'immediato rispetto delle decisioni che verranno adottate evitando quindi possibili distorsioni della concorrenza. È fondamentale un'attenta valutazione e una più generale condivisione dei tempi e delle basi concrete degli interventi proposti per mantenere e rafforzare in un mercato globale la competitività delle imprese europee e per impedire all'interno la formazione di artificiosi vantaggi fra i diversi segmenti delle produzione del settore. |
1.8 |
A tal fine, il CESE propone alla Commissione di prendere in considerazione la possibilità di superare l'attuale schema di definizione per quanto riguarda il sistema di valori sui limiti di emissione basato esclusivamente sulla massa dei veicoli (operativo in Giappone), con un approfondimento di parametri alternativi quali, ad esempio, quello dell'impronta (passo della vettura per la sua carreggiata), già operativo per gli autoveicoli da trasporto negli USA. |
1.9 |
Il CESE sollecita una più approfondita attenzione alla inclinazione della funzione lineare (percentuale di inclinazione) per la sua diretta influenza sugli oneri da suddividere tra i costruttori. La stessa Commissione nel documento di sintesi della valutazione di impatto, [SEC(2007) 1724], dichiara: «Da una prima analisi pare emergere che, per avere un'applicazione equilibrata di questi criteri, andrebbero studiate in modo più approfondito le pendenze che si situano tra il 50° e l'80°», ammettendo implicitamente che lo studio di impatto su un tema così sensibile debba essere fortemente migliorato. La scelta di un'inclinazione di 60° lascia aperti i problemi e potrebbe ingenerare un contenzioso con alcuni costruttori che ritengono tale scelta né equa, né equilibrata. Il CESE raccomanda che la scelta definitiva, dopo tutti gli approfondimenti necessari, non determini nessun vantaggio, né nessun danno. |
1.10 |
Ulteriore aspetto che richiede un'attenta valutazione è costituito dalla messa in atto delle penalità previste dall'articolo 7 del regolamento in esame. Il CESE ne condivide l'introduzione per l'evidente scopo persuasivo che esprimono e ritiene che la forte progressività che esse presentano non consenta all'industria europea di adeguare nei tempi previsti la propria filiera a questi valori. Le misure appaiono squilibrate rispetto a quelle previste per altri settori e intrinsecamente squilibrate tra costruttori di autoveicoli piccoli e medi e costruttori di autoveicoli grandi, incidendo relativamente molto di più sui primi. |
1.11 |
Il CESE ritiene che tali misure siano progressivamente molto elevate e che esse si riversino alla fine sul regime dei prezzi finali e quindi a carico dell'acquirente con possibile distorsione della concorrenza rallentando il rinnovamento del parco auto. Invita la Commissione ad operare perché le eventuali risorse derivanti da questa misura restino all'interno del circuito automobilistico e possano rappresentare un incentivo per la sostituzione delle vetture più inquinanti, per programmi informativi che sensibilizzino verso una maggiore attenzione ai valori delle emissioni di CO2 nella fase di acquisto, oltre che contribuire, in termini aggiuntivi, alle ingenti risorse necessarie nel campo della ricerca e sviluppo. |
1.12 |
Per l'importanza dei risultati potenziali il CESE considera infatti fondamentale per i progressi attesi del settore il ruolo della ricerca scientifica partendo dalla considerazione che ad una prima fase dove i risultati possono essere ottenuti con l'utilizzo della tecnologia esistente, si può ragionevolmente ritenere che il futuro richiederà «la rottura tecnologica dell'esistente» con la messa in atto di un livello di tecnologia più avanzata. |
1.13 |
La scelta della ricerca richiede secondo il CESE, ingenti risorse e un consistente impegno di indirizzo, a partire dall'esigenza di operare un coordinamento delle iniziative già in corso nei singoli Stati membri, nelle università e in tutti i centri tecnologici di eccellenza operanti ai diversi livelli, prevedendo e favorendo una diretta partecipazione delle imprese produttrici. |
1.14 |
A questo scopo il CESE ritiene che una mobilitazione dell'insieme del mondo scientifico possa essere conseguita attraverso la creazione, specifica per il settore automobilistico, di un'iniziativa tecnologica congiunta (ITC). |
1.15 |
Il CESE ritiene che l'analisi di impatto non appare sufficientemente approfondita, come evidenziato dallo stesso Comitato di valutazione dell'analisi di impatto. Nel documento SEC(2007) 1725 viene infatti richiesto di chiarire gli effetti che si potrebbero avere sul raggiungimento degli obiettivi, spiegando i possibili scostamenti dai risultati ex-ante del modello Tremore. Ulteriori analisi devono essere prodotte su altre variabili sensibili quali il prezzo dei carburanti, l'incremento autonomo della massa (AMI). Va rafforzata l'analisi e la valutazione degli impatti regionali, in particolare sull'occupazione, sull'industria dei fornitori del settore auto e sulla competitività internazionale. |
1.16 |
Per il successo di una strategia così approfondita a parere del CESE appare necessario mettere in campo adeguate misure di accompagnamento e di difesa della struttura industriale operante in Europa, per difendere e possibilmente rafforzare gli attuali livelli di competitività e la salvaguardia di una occupazione di qualità operante nel settore. Il CESE ritiene auspicabile l'adozione di un «phasing in» che ponga l'obiettivo da raggiungere nel 2012 non inferiore all'80 % degli obiettivi finali, aumentando tale limite progressivamente, per incontrare definitivamente l'obiettivo finale entro il 2015. |
1.17 |
Un elemento importante per il raggiungimento degli obiettivi ambientali e per la salvaguardia della competitività è costituito dall'applicazione tassativa dei limiti di emissione a tutte le autovetture commercializzate in Europa ma prodotte all'esterno del territorio comunitario. Tali limiti si applicheranno sulle autovetture importate. |
1.18 |
Nel considerare questa proposta l'inizio di un percorso che affronti in termini globali le problematiche ambientali legate al trasporto, il CESE sollecita la Commissione a predisporre rapidamente norme legislative adeguate che affrontino la problematica della riduzione della CO2 per quanto riguarda i veicoli leggeri da trasporto, i veicoli pesanti e il comparto delle due ruote, raccogliendo tutti i dati relativi alle emissioni di questi veicoli. |
1.19 |
Il CESE rileva che la pur importante politica settoriale del comparto automobilistico non esaurisce l'impegno più complessivo sulla politica generale dei trasporti ma ne costituisce una indicazione decisiva per guidare l'intero settore verso i traguardi ambientali già perseguiti da altri comparti della struttura industriale europea. |
1.20 |
Il CESE sottolinea e auspica che parallelamente alle misure previste, specifiche per il settore, si persegua il raggiungimento dei risultati attesi agendo sul lato della domanda di trasporto. Secondo il CESE è indispensabile favorire una rigida politica di trasferimento di quote sempre più elevate e consistenti del trasporto gomma verso modalità che generino meno gas ad effetto serra, quali il trasporto ferroviario, la navigazione fluviale, il trasporto collettivo, possibilmente su mezzi a emissioni molto basse. |
1.21 |
Il CESE non condivide la proposta di deroga temporanea inserita all'articolo 9 del regolamento, nei termini in cui viene proposta, per una evidente disparità di trattamento tra costruttori. È indispensabile a parere del CESE che non si concretizzi nessun vantaggio regolamentare che alteri la concorrenza. |
1.22 |
Il CESE raccomanda di elaborare un modello di internalizzazione nel calcolo del CO2 di tutte le emissioni connesse alla produzione delle automobili. L'impronta di CO2 dovrebbe essere tenuta in considerazione per quanto riguarda l'intero ciclo di vita degli autoveicoli. |
1.23 |
Perché questo traguardo sia raggiunto è necessario aprire un dibattito sugli stili di vita sul cui argomento il CESE ha espresso recentemente pareri specifici. È infatti convinzione condivisa che proseguendo in questa tendenza di crescita del numero degli autoveicoli privati, di incremento della loro dimensione e privilegiando i veicoli di trasporto che producono elevati livelli di emissioni di gas a effetto serra e di NOx, il traguardo della riduzione del 20 % della CO2 non sarà raggiunto, e questo non può e non deve essere accettato. |
2. Introduzione: contesto della proposta
2.1 |
La convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici approvata a nome della Comunità europea con decisione 94/69/CE del 15 dicembre 1993 impone a tutte le parti l'obbligo di elaborare ed attuare programmi volti ad attenuare i cambiamenti climatici. |
2.2 |
La Commissione, raccogliendo tale indicazione ha progressivamente sviluppato una serie di interventi legislativi che hanno consentito nel gennaio 2007 all'Unione europea di proporre nei negoziati internazionali una riduzione globale del 30 % di emissioni di gas a effetto serra rispetto ai valori del 1990, con riduzione del 20 % entro il 2020. Tali obiettivi sono stati in seguito approvati dal Consiglio e dal Parlamento europeo. |
2.3 |
Nell'esame dei singoli settori si è constatato che rispetto al dato complessivo che ha visto nel periodo 1990-2004 una diminuzione di circa il 5 % delle emissioni di gas a effetto serra, nel settore dei trasporti tali emissioni nello stesso periodo sono risultate in aumento del 26 %. |
2.4 |
Questa considerazione ha posto l'esigenza di interventi legislativi specifici allo scopo di ricondurre il settore delle auto all'interno di una tendenza globale di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, con particolare riferimento al settore delle autovetture che presentano una situazione critica in quanto responsabili del 12 % delle emissioni complessive di biossido di carbonio (CO2) che costituisce, come è noto, il principale gas a effetto serra. |
2.5 |
Il settore auto registra da una parte un significativo progresso tecnologico, che ha consentito nel periodo 1995-2004 di diminuire del 12,4 % le emissioni di CO2, risparmiando carburante e dall'altra un costante incremento della domanda di trasporto e un continuo aumento della dimensione dei veicoli che ha di fatto annullato totalmente tale vantaggio, anzi ha visto incrementare le emissioni totali del trasporto di gas a effetto serra. |
2.6 |
Tale andamento rende assai poco probabile, in assenza di specifiche iniziative, il raggiungimento del traguardo prefissato dei 120 g di CO2/km per le emissioni medie del nuovo parco macchine. |
3. Passi fondamentali della strategia della Commissione
3.1 |
La strategia comunitaria per la riduzione delle emissioni di CO2 ha preso corpo a partire dal 1995. Essa si è basata su:
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3.2 |
Nel 1998 l'Associazione europea dei costruttori di automobili (ACEA) si è impegnata a ridurre le emissioni medie per le autovetture nuove a 140 g CO2/km entro il 2008, a cui ha fatto seguito un impegno dei costruttori giapponesi (JAMA) e coreani (KAMA) per un identico impegno entro il 2009. |
3.3 |
La Commissione su questo argomento ha riconosciuto tali impegni, emanando le raccomandazioni 1999/125/CE (relativa all'accordo volontario ACEA), 2000/303/CE (relativa all'accordo volontario KAMA), e 2000/304/CE (relativa all'accordo volontario JAMA). E per quanto riguarda il controllo delle emissioni, ha approvato la decisione n. 1753/2000/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un sistema di controllo della media delle emissioni specifiche di CO2 prodotte dalle autovetture nuove. |
3.4 |
Il 7 febbraio 2007 la Commissione ha adottato per il settore specifico due comunicazioni parallele:
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3.5 |
In esse si mettevano in evidenza i progressi ottenuti per la realizzazione dell'obiettivo dei 140 g CO2/km entro il 2008-2009, ma si affermava che in assenza di altri provvedimenti l'obiettivo del raggiungimento dei 120 g CO2/km per auto di nuova produzione non sarebbe stato raggiunto. |
3.6 |
Entrambe queste comunicazioni proponevano l'adozione di un approccio integrato orientato in due direttrici:
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3.7 |
Nelle stesse comunicazioni la Commissione indicava che l'obiettivo medio relativo al parco auto nuovo dovesse tenere conto dei seguenti elementi:
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3.8 |
Il quadro proposto e riconfermato sia dal Consiglio Competitività sia dal Consiglio Trasporti poggia sulla garanzia che tutti i produttori automobilistici intensifichino i loro sforzi per la produzione di autovetture più ecologiche ma nel rispetto di massima efficienza in termine di costi. |
3.9 |
Ciò significa che la riduzione delle emissioni di CO2 deve attuarsi in un approccio integrato che coinvolga tutti gli attori sottolineando l'opportunità di una proposta legislativa che raggiunga gli obiettivi preposti dentro un quadro di mantenimento della competitività globale dell'industria automobilistica. |
4. La proposta della Commissione
4.1 |
La proposta di regolamento in esame, COM(2007) 856 def., ha come obiettivo di «ridurre le emissioni di CO2 dei veicoli leggeri» e di perseguire il raggiungimento dei 130 g/km entro il 2012. Essa si applica ai veicoli a motore di categoria M1 di cui all'allegato II della direttiva 2007/46/CE ed ai veicoli a norma dell'articolo 2, paragrafo 2, del regolamento (CE) che siano immatricolati per la prima volta nella Comunità e che non siano stati precedentemente immatricolati al di fuori del territorio comunitario. |
4.2 |
La proposta, rientrando in un approccio integrato, sarà completata da altri provvedimenti in grado di ridurre le emissioni di ulteriori 10 g CO2/km per arrivare quindi all'obiettivo finale dei 120 g CO2/km, come previsto nella comunicazione COM(2007) 19 def. |
4.3 |
Per definire i livelli di emissione di CO2 il regolamento tiene conto:
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4.4 |
Il regolamento in esame mira inoltre a:
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4.5 |
Secondo la Commissione il presente regolamento è coerente con gli altri obiettivi e le politiche dell'Unione e ha visto la luce dopo un'ampia consultazione e con il contributo diretto di un gruppo di lavoro opportunamente costituito nell'ambito del programma europeo per il cambiamento climatico (gruppo CARS 21) con la diretta partecipazione di tutte le parti interessate. |
4.6 |
Base giuridica. La base giuridica è l'articolo 95 del Trattato CEE che appare appropriata per garantire la parità di trattamento a tutti i soggetti e presenta un elevato grado di protezione della salute e dell'ambiente. |
4.7 |
Principio di sussidiarietà e di proporzionalità. La proposta rispetta tali principi in quanto, pur non rientrando nelle competenze esclusive della Comunità, evita l'insorgenza di ostacoli al mercato unico e, adottando misure legislative a livello comunitario, semplifica gli interventi per ridurre in modo armonizzato l'impatto delle autovetture in termini di cambiamento climatico. |
4.8 |
Scelta dello strumento legislativo. La proposta di un regolamento, secondo la Commissione, appare la scelta più adatta per garantire l'immediato rispetto delle disposizioni che saranno assunte, evitando distorsioni della concorrenza con possibili ricadute sul mercato interno. |
4.9 |
Monitoraggio. Le emissioni di biossido di carbonio delle autovetture nuove, misurate in modo armonizzato in base alla metodologia stabilita dal regolamento (CE) n. 715/2007, devono essere rilevate dai singoli Stati membri e successivamente comunicate alla Commissione, attraverso la procedura prevista all'articolo 6. |
4.10 |
Certificato di conformità. I costruttori hanno l'obbligo secondo la direttiva 2007/46/CE di rilasciare un certificato di conformità che deve accompagnare ogni vettura e che costituirà lo strumento indispensabile sulla cui base gli Stati membri concedono l'immatricolazione e la messa in circolazione di una nuova autovettura, con la sola esclusione delle deroghe previste dall'articolo 9 del regolamento stesso. |
4.11 |
Indennità per emissioni in eccesso. L'articolo 7 del regolamento in esame propone che a partire dal 2012 in presenza di emissioni che superino l'obiettivo prefissato venga imposto al costruttore o al responsabile del raggruppamento di versare un'indennità per le emissioni in eccesso. Tali indennità, che assumono un andamento fortemente crescente negli anni successivi a tale data come previsto dallo stesso articolo, sono da considerarsi entrate del bilancio dell'Unione europea. |
5. La proposta strategica del Parlamento europeo
5.1 |
Nella sua risoluzione adottata il 24 ottobre 2007 il Parlamento europeo ha accolto favorevolmente la strategia della Commissione ma ha proposto che gli obiettivi di emissione siano applicati dal 2011 per raggiungere con la sola evoluzione della tecnologia automobilistica i 125 g CO2/km entro il 2015. Il Parlamento europeo ha insistito sulla seconda fase con un obiettivo a lungo termine attraverso il raggiungimento di 95 g entro il 2025 auspicando il raggiungimento di prospettiva di 70 g entro il 2025, con verifica dell'andamento dei risultati raggiunti entro il 2016. |
6. Importanza del comportamento dei consumatori
6.1 |
Il comportamento dei consumatori assume una notevole importanza nel raggiungimento di positivi risultati sulla riduzione delle emissioni di CO2 per le autovetture. Per tale ragione la Commissione ha avviato lavori preparatori di modifica della direttiva 1999/94/CE relativa alla informazione dei consumatori sulla conformità delle nuove autovetture agli obiettivi di emissione, che comportano un risparmio di carburante con lo scopo di incrementare il contributo degli utilizzatori verso il raggiungimento degli obiettivi attesi. |
7. Osservazioni generali
7.1 |
Il CESE, come già in precedenti pareri sulle proposte legislative relative alla riduzione delle emissioni di CO2 proposte dalla Commissione, conferma il suo sostegno a tutte le iniziative comunitarie che abbiano come scopo il raggiungimento di concreti traguardi nella riduzione dei gas ad effetto serra, quale aspetto fondamentale nella lotta ai cambiamenti climatici. |
7.2 |
Il CESE concorda sugli obiettivi della presente proposta di regolamento con le osservazioni di seguito riportate e sollecita il Consiglio ed il Parlamento europeo ad una rapida approvazione di tutta la legislazione che possa incidere positivamente sul cambiamento climatico, attualmente in itinere. |
7.3 |
Il CESE invita le istituzioni europee ad una sollecita approvazione della proposta di direttiva COM(2005) 261 def. sulla fiscalità delle vetture private, che contribuirà ad accelerare il raggiungimento dell'obiettivo, stimolando le imprese ad un impegno maggiore e a impegnarsi per un rapido miglioramento della direttiva 1999/94/CEE sull'informazione attraverso specifiche etichette delle emissioni di CO2 e a coordinare e proporre iniziative in merito alla pubblicità e al marketing del settore automobilistico, che prevedano misure di promozione delle vetture più economiche in termini di consumo e di interdizione alla pubblicità per i veicoli più inquinanti. |
7.4 |
Nello specifico del presente regolamento, il CESE sostiene la scelta dell'articolo 95 del Trattato poiché appare adatto a garantire la parità di trattamento di tutti i soggetti e presenta un elevato grado di protezione della salute e dell'ambiente. |
7.5 |
Esso considera positivamente la scelta legislativa del regolamento in quanto strumento adatto a garantire l'immediato rispetto delle disposizioni che saranno adottate, evitando le possibili distorsioni della concorrenza. Tale scelta appare necessaria a seguito di un periodo nel quale gli impegni volontari assunti dall'industria automobilistica, pur apprezzabili per i risultati conseguiti sul fronte del miglioramento delle prestazioni delle autovetture in termine di emissione di CO2, sono risultati insufficienti per raggiungere gli obiettivi prefissati. |
7.6 |
Il CESE approva la proposta di riduzione a 130 g/km delle emissioni di CO2 attraverso il ricorso dei miglioramenti tecnologici dei motori, ma deplora il fatto che ormai non appaia più perseguibile il traguardo più stringente originariamente previsto per il 2012, cioè 120 g/km. Esso è consapevole che la Commissione propone ora di raggiungere tale traguardo per vie diverse, attraverso un approccio integrato comprendente il miglioramento delle norme tecniche per i pneumatici, la sensibilizzazione dei consumatori, incentivi alla guida ecologica (1) e, soprattutto, un maggiore ricorso ai biocarburanti. Dati però i sempre maggiori dubbi sulla fattibilità e sull'auspicabilità del traguardo relativo all'impiego di biocarburanti nel settore dei trasporti, il CESE non ritiene che si tratti di un'alternativa soddisfacente. |
7.7 |
Il CESE raccomanda quindi alla Commissione di indicare ora ulteriori traguardi perché l'industria automobilistica, nei prossimi anni, migliori le prestazioni dei veicoli prodotti sotto il profilo delle emissioni di carbonio. Il CESE è convinto che stabilendo adesso una sequenza di traguardi più stringenti per gli anni futuri si darà all'industria europea una chiara indicazione degli standard da applicare, permettendole così di adattare di conseguenza i suoi piani di produzione. |
7.8 |
Esso considera il raggiungimento di questo traguardo un contributo importante da parte del settore automobilistico nella lotta ai gas ad effetto serra nel settore dei trasporti, poiché porterebbe a ridurre in tale periodo le emissioni di CO2 di 400 milioni di tonnellate. |
7.9 |
Per gli ambiziosi traguardi da raggiungere e per quelli auspicati per un futuro più lontano, a parere del CESE appare necessario il contributo fondamentale di consistenti investimenti nel campo della ricerca e sviluppo, capace di coinvolgere e coordinare le iniziative in corso nei singoli Stati membri, nelle università, in tutti i centri tecnologici di eccellenza del settore, prevedendo inoltre una diretta partecipazione delle imprese produttrici. |
7.9.1 |
Il CESE segnala l'esigenza alla Commissione e agli Stati membri che vengano assunte misure di sostegno al reddito, anche sotto forma di incentivi fiscali, per le famiglie numerose che sono costrette ad utilizzare automobili grandi. Andrebbero studiate anche le situazioni dei mercati dell'Est, dove la vita media del parco auto è molto elevata e dove vengono vendute le auto di seconda o terza mano più inquinanti. Occorrerebbe trovare la possibilità in questi paesi di incentivare il ricambio, attraverso specifici provvedimenti. È evidente che i paesi a più baso reddito pro-capite non potranno godere dei benefici di una riduzione generalizzata delle emissioni, non potendo acquistare le nuove auto più efficienti, ma anche con ogni probabilità più care. |
7.10 |
Appare chiaro che, se i risultati per i prossimi anni possono ragionevolmente essere conseguiti con l'utilizzo della tecnologia esistente, sarà invece necessario pensare nel futuro a processi di «rottura tecnologica dell'esistente» con la messa in atto di un livello di tecnologia più avanzata. |
7.11 |
A questo scopo il CESE ritiene che un elevato livello di mobilitazione dell'insieme del mondo scientifico possa essere conseguito attraverso la creazione di una iniziativa tecnologica congiunta (ITC) sulla base dello schema di co-finanziamento fra un consistente budget europeo e un analogo contributo da parte delle imprese, come recentemente proposto per settori importanti quali le celle a idrogeno e a combustibile, l'aeronautica ed il trasporto aereo, i medicinali innovativi, i sistemi informatici e la nanoelettronica. |
7.12 |
Il CESE è favorevole alla politica della messa in atto di penalità nel mancato raggiungimento degli obiettivi proposti a partire dal 2012 come previsto dall'articolo 7 del regolamento in esame poiché ne condivide lo scopo persuasivo, ma ritiene che le stesse debbano essere stanziate per attività che interessano l'industria automobilistica come:
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7.13 |
Il CESE ritiene se queste misure e la loro forte progressività non siano adeguate alla capacità dell'industria europea di adeguare la propria filiera produttiva ai nuovi limiti. Le misure delle penalità, che quasi sicuramente si riverseranno sul regime dei prezzi finali, appaiono particolarmente elevate, potendo costituire un fattore di distorsione della concorrenza e determinando una situazione di penalizzazione per il settore, rispetto ad altri settori. Occorrerà trovare una soluzione che armonizzi tali oneri, tenendo conto dei costi medi che vengono sopportati dagli altri comparti produttivi interessati al contenimento delle emissioni di CO2. |
7.14 |
Il CESE propone alla Commissione di prendere in considerazione la possibilità di superare l'attuale schema di definizione per quanto riguarda il sistema di valori sui limiti di emissione basati sulla massa dei veicoli, con parametri alternativi quali ad esempio quello dell'impronta (l'impronta di un'autovettura è calcolata moltiplicando il passo dell'autovettura per la sua carreggiata). |
7.15 |
L'inclinazione della funzione lineare (cioè la percentuale di inclinazione) influenzerà gli oneri da suddividere tra i costruttori e i risultati ambientali. Più tale inclinazione è vicina a 100, meno oneri sopporteranno i costruttori di auto con massa elevata, viceversa, più l'inclinazione è vicina a zero maggiore sarà l'impegno per raggiungere gli obiettivi (un'inclinazione di 80° consente un surplus di emissioni di 6 g, un'inclinazione di 20° un surplus di emissioni di solo 1,5 g). La Commissione ha indicato un'inclinazione di 60° (4,6 g di surplus consentiti). Il Comitato sollecita la Commissione a riflettere ulteriormente su tale proposta, per evitare nel modo più assoluto di emanare un regolamento che possa favorire o sfavorire una qualsiasi impresa europea. |
7.16 |
Se la Commissione dovesse mantenere questa impostazione, relativamente alla scelta della massa, non avrebbe molto senso rivedere nel 2010 la pendenza e l'incremento della massa dovrebbe essere considerato a partire dal 2013. |
7.17 |
Il CESE sollecita la Commissione a predisporre rapidamente nuove norme legislative adeguate che siano in grado di limitare le emissioni di CO2, per quanto riguarda i veicoli leggeri da trasporto, i veicoli pesanti e le due ruote, per i quali occorre avere dati attendibili e verificati sulle emissioni effettive. |
7.18 |
Il CESE invita la Commissione a tenere nella giusta considerazione, insieme agli irrinunciabili aspetti della difesa dell'ambiente, un'attenta valutazione degli effetti che lo sviluppo di tale complesso processo può produrre sull'occupazione di 13 milioni di lavoratori che oggi operano nell'insieme della filiera del settore automobilistico. Con l'aumento del prezzo del petrolio e la richiesta dei consumatori di risparmiare sul prezzo dei carburanti, i produttori europei di auto, producendo auto più efficienti, potrebbero avere un vantaggio competitivo che potrebbe favorire l'impiego nell'UE. |
7.19 |
È necessario, ad avviso del CESE, mettere in campo adeguate e concrete misure di ricerca in tecnologie nuove, innovative ed efficienti, allo scopo di mantenere, e possibilmente rafforzare, gli attuali livelli di competitività dell'industria automobilistica europea ed un'occupazione di qualità. |
7.20 |
Elemento importante di tale processo è costituito a parere del CESE dall'applicazione puntuale e tassativa dei limiti d'emissione a tutte le autovetture commercializzate in Europa ma prodotte all'esterno del territorio comunitario. Tali limiti saranno calcolati sulla base delle importazioni. |
7.21 |
Il CESE ritiene che le previste relazioni sui progressi raggiunti, previste nel 2010, costituiscano un importante momento di verifica dell'insieme della strategia e pertanto chiede di essere associato a tali valutazioni periodiche con conseguente possibilità di esprimere il proprio parere. |
7.22 |
Il CESE ritiene che l'analisi d'impatto non appare sufficientemente approfondita. Lo stesso parere del Comitato di valutazione delle analisi d'impatto ha suggerito, vista l'importanza dell'argomento, di considerare più approfonditamente alcuni punti cruciali. |
7.23 |
Nel documento SEC(2007) 1725 viene infatti richiesto di chiarire l'impatto sulla composizione della flotta e gli effetti che esso potrebbe avere sul raggiungimento degli obiettivi, spiegando i possibili scostamenti dai risultati ex ante del modello Tremove (2); una ulteriore analisi della sensibilità di alcune variabili quali il prezzo del carburante, l'incremento autonomo della massa (AMI); dovrebbero essere valutati gli impatti regionali, in particolare sull'occupazione; viene infine suggerita una ulteriore valutazione sull'industria dei fornitori del settore auto, sulla competitività internazionale. Il CESE concorda con questi suggerimenti e auspica che l'analisi di impatto sia approfondita e completa. |
7.24 |
Il CESE sottolinea l'esigenza di affiancare alle misure predisposte un rafforzamento della politica di riduzione della domanda di trasporto attraverso il trasferimento di quote sempre più consistente del trasporto su gomma verso modalità che generino meno gas ad effetto serra, quali il trasporto ferroviario, la navigazione fluviale, il trasporto collettivo, ecc. |
7.25 |
Il CESE non condivide la proposta di deroga temporanea inserita all'articolo 9 del regolamento. Così come è scritta, contraddice la parità di trattamento tra imprese, creando di fatto una distorsione alla concorrenza su questo specifico segmento di mercato con prodotti simili, dalle caratteristiche simili. Il CESE ritiene infatti che la deroga vada accordata a tutti i costruttori (collegati o non ad altri) che competono sullo stesso segmento di mercato che per altro è lo 0,2 %. |
7.26 |
Il CESE raccomanda alla Commissione di fissare obiettivi di lungo periodo, analogamente a quanto indicato dal Parlamento europeo: a partire dal 2020 sarà necessario individuare soluzioni più coraggiose, ponendo particolare attenzione alla loro realizzabilità. È indispensabile continuare a ridurre le emissioni, dando segnali univoci di volontà di perseverare su questa strada. |
7.27 |
Il CESE raccomanda di elaborare un modello di internalizzazione nel calcolo del CO2 di tutte le emissioni connesse alla produzione delle automobili. In alcuni paesi, ad esempio, molti componenti giungono da molto lontano, contribuendo ad innalzare le emissioni per auto prodotta, prima della messa in strada. L'impronta di CO2 dovrebbe essere tenuta in considerazione per quanto riguarda l'intero ciclo di vita degli autoveicoli, compreso il CO2 necessario per la demolizione. |
7.28 |
Il CESE, in alcuni recenti pareri, ha esortato la Commissione ad aprire un dibattito sugli stili di vita. Condividendo gli obiettivi proposti, fa notare che se il trend di crescita del numero degli autoveicoli privati, dei veicoli da trasporto merci su strada e degli altri modi di trasporto che producono elevate emissioni di gas effetto serra e di NOx continuerà nelle attuali percentuali e si realizzeranno le previsioni di incremento previste dalla Commissione, sarà impossibile realizzare l'obiettivo di riduzione del CO2 del 20 % previsto dalle recenti proposte della Commissione. |
Bruxelles, 17 settembre 2008.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(1) Parere CESE (relatore: RANOCCHIARI), GU C 44 del 16.2.2008.
(2) Tremove è un modello di analisi di valutazione di effettività di costo di misure tecniche e non tecniche che hanno l'obiettivo di ridurre le emissioni dall'intero settore dei trasporti e di migliorare la qualità dell'aria di 21 paesi: UE 15, Svizzera, Norvegia, Repubblica ceca, Ungheria, Polonia e Slovenia (i quattro nuovi paesi sono stati scelti sulla base della disponibilità di dati).
31.3.2009 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 77/8 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla sicurezza dei giocattoli
COM(2008) 9 def. — 2008/0018 (COD)
(2009/C 77/02)
Il Consiglio, in data 17 marzo 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato, di consultare il Comitato economico e sociale in merito alla:
Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla sicurezza dei giocattoli
La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 15 luglio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore PEGADO LIZ.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 49 voti favorevoli, 1 voto contrario e 8 astensioni.
1. Conclusioni e raccomandazioni
1.1 |
Il CESE approva l'iniziativa della Commissione di rivedere la direttiva sulla «Sicurezza dei giocattoli», iniziativa i cui unici difetti sono di essersi fatta attendere e di non essere abbastanza ambiziosa. |
1.2 |
Il Comitato osserva che la valutazione d'impatto su cui si basa la proposta risale al 2004 e non ha preso in considerazione tutti gli Stati che attualmente formano l'UE. |
1.3 |
Considerando il numero sempre più elevato di allarmi causati da giocattoli, evidenziato dal RAPEX nella sua ultima relazione, il CESE trova singolare che tale valutazione d'impatto non abbia tratto conclusioni sulla relazione esistente tra la direttiva e gli incidenti subiti dai bambini per causa dei giocattoli. È ancor più sorpreso del fatto che non si sappia quale potrebbe essere l'incidenza della proposta all'esame sul numero e sulla gravità dei futuri incidenti causati dai giocattoli, il che dovrebbe essere la preoccupazione e la motivazione principale dell'iniziativa oggetto del presente parere. |
1.4 |
La Commissione riconosce la mancanza o la scarsa disponibilità di dati statistici affidabili e oggettivi sugli incidenti causati dai giocattoli nell'Unione europea. Il CESE suggerisce pertanto alla Commissione di creare, con la collaborazione delle autorità competenti degli Stati membri, un sistema adeguato di informazione statistica relativa a tali incidenti, analogo quanto meno a quello che già esiste in alcuni ordinamenti giuridici e che è accessibile a tutti coloro che intervengono nella catena di produzione e commercializzazione, al fine di scongiurare eventualità del genere (1). |
1.5 |
Dal punto di vista giuridico, il CESE ritiene che la proposta dovrebbe basarsi non solo sull'articolo 95 del Trattato ma sopratutto sull'articolo 153. Considera infatti che una protezione efficace dei bambini sia ben più importante del semplice obiettivo di agevolare il commercio internazionale dei giocattoli. |
1.6 |
Tenendo conto dell'ambito di applicazione e del carattere della nuova proposta, alla luce dell'esperienza acquisita nell'applicazione della direttiva attuale nei diversi Stati membri, e considerando che l'approccio adottato è quello di un'armonizzazione totale, giudica inoltre il regolamento uno strumento giuridicamente più adeguato della direttiva. |
1.7 |
Il CESE è lieto che dal punto di vista tecnico-giuridico la proposta sia stata formulata in modo coerente e ben strutturato ed è in linea di massima d'accordo con le misure innovative, in particolare per quanto concerne:
|
1.8 |
Il CESE si rammarica tuttavia che la proposta non abbia tenuto conto (o abbia tenuto conto in maniera insufficiente) di alcuni aspetti di estrema importanza, quali:
|
1.9 |
Il Comitato invita pertanto la Commissione a rivedere la sua proposta di direttiva tenendo conto delle osservazioni formulate nel presente parere e a trasformarla in uno strumento più credibile ed efficace di protezione e di sicurezza dei bambini in contatto con i giocattoli. |
1.10 |
Il CESE chiede al PE e al Consiglio di accogliere i suoi suggerimenti e le sue raccomandazioni, inserendoli nel processo legislativo che porterà all'adozione della nuova direttiva. |
2. Introduzione: sintesi della proposta
2.1 |
È stato negli anni '70 che la Commissione ha reso pubblica, per la prima volta, la sua intenzione di legiferare nel settore della sicurezza dei giocattoli con diverse proposte, poi ritirate per mancanza di consenso politico. Per dar seguito alla risoluzione del Consiglio del 23 giugno 1986 (2) concernente la tutela e la sicurezza dei consumatori, la Commissione ha infine presentato una nuova proposta in cui ha individuato, in termini maggiormente consensuali, la necessità di armonizzare a livello europeo la definizione di «giocattolo», le norme per la sua fabbricazione, i principali requisiti di sicurezza, le condizioni di commercializzazione e le garanzie di non pericolosità nell'uso da parte dei bambini. |
2.2 |
La direttiva 88/378/CEE del 3 maggio 1988, pubblicata all'epoca (3), è una delle prime iniziative legislative dettate dal «nuovo approccio» nel settore dell'armonizzazione tecnica e della standardizzazione, basata sulla risoluzione del Consiglio del 7 maggio 1985 (4). |
2.3 |
In merito alla proposta di direttiva presentata all'epoca (5), il CES aveva formulato un parere favorevole in cui tuttavia deplorava «i lunghi ritardi registrati nel suo processo di elaborazione» e, partendo dalla premessa secondo cui «tutti i giocattoli devono essere sicuri e che i bambini — per la loro età ed inesperienza — sono vulnerabili ai possibili pericoli e debbono avere diritto ad una particolare protezione», sottolineava la necessità di «vedere il problema della sicurezza dei giocattoli nel contesto della direttiva sui prodotti difettosi, il cui campo di applicazione è più vasto» (6). |
2.4 |
La direttiva del 1988 ha nel frattempo subito una serie di rettifiche (7), è stata ampiamente modificata dalla direttiva 93/68/CEE del 22 luglio 1993 (8), ed è stata infine oggetto di una comunicazione della Commissione relativa alla sua applicazione (9). |
2.5 |
Nel 1992 e nel 2001 sono state adottate e pubblicate due direttive sulla sicurezza generale dei prodotti che trattano in modo generico la sicurezza dei giocattoli (10), la seconda delle quali sottolinea in modo particolare le «modifiche introdotte nel Trattato, in particolare nell'articolo 152 relativo alla sanità pubblica e nell'articolo 153 riguardante la protezione dei consumatori, e alla luce del principio di precauzione». |
2.6 |
Vent'anni dopo la pubblicazione della direttiva del 1988, la Commissione propone una nuova direttiva in materia, affermando che nel frattempo le norme in vigore sono diventate obsolete, che il loro ambito di applicazione e i concetti utilizzati devono essere riformulati ai fini di una maggiore chiarezza e adeguati alle nuove realtà esistenti, che è necessario garantire la coerenza tra le sue disposizioni e il quadro normativo generale, recentemente proposto (11), relativo alla commercializzazione dei prodotti, e soprattutto che il recepimento e l'attuazione della direttiva nei vari Stati membri hanno messo in evidenza gravi lacune e disparità alle quali è opportuno rimediare. |
2.7 |
La proposta ora all'esame si basa su tre importanti studi tecnici che costituiscono parte integrante del documento stesso; i primi due studi riguardano i requisiti e l'uso di talune sostanze chimiche considerate pericolose e impiegate nella fabbricazione di giocattoli, mentre il terzo studio è una valutazione di impatto generale, la cui relazione finale risale al 2004. |
2.8 |
Mediante la proposta all'esame, la Commissione intende realizzare i seguenti obiettivi:
|
3. Osservazioni generali
3.1 |
Il CESE si congratula con la Commissione per la sua iniziativa, che se ha un difetto è quello di essersi fatta attendere, visto che la direttiva oggetto di revisione ha più di 20 anni e che i parametri e i metodi di produzione dei giocattoli hanno subito nel frattempo profondi cambiamenti, così come sono cambiati i gusti e le abitudini dei loro naturali destinatari. Il CESE ritiene, inoltre, che la proposta potrebbe porsi degli obiettivi più ambiziosi, integrando nelle sue disposizioni le preoccupazioni derivanti dai fatti recentemente verificatisi e pubblicamente denunciati e rispecchiati, del resto, non solo in dichiarazioni e prese di posizioni ripetute del commissario incaricato della protezione dei consumatori, ma anche nella risoluzione del PE del settembre 2007, di cui il CESE condivide il contenuto (12). Per tale motivo si rammarica per il fatto che la sua discussione con il CESE non sarà seguita anche dalla DG SANCO, che non è stata direttamente coinvolta nella sua elaborazione |
3.2 |
Il CESE continua a trovare motivi di perplessità nel fatto che la valutazione d'impatto, su cui si basa la presente proposta, è stata elaborata più di quattro anni fa e non prende in considerazione la situazione in tutti gli Stati membri. Aggiunge che non è chiaro quanto si sia tenuto conto, nella sua elaborazione, dei rappresentanti dei consumatori e delle famiglie e quale ne sia stato l'effettivo grado di partecipazione e in che misura siano stati consultati. |
3.3 |
Alla luce della denuncia da parte della Commissione di supposte carenze nell'applicazione della direttiva, il CESE si meraviglia che la proposta non sia accompagnata dalle iniziative adottate dalla Commissione per imporre la corretta applicazione della menzionata norma comunitaria. |
3.4 |
Il CESE trova difficile capire come in presenza della mancanza o dell'insufficienza riconosciute dei dati statistici, che la Commissione ammette, sia possibile trarre conclusioni adeguate in merito sia alla situazione su cui intervenire sia all'efficacia delle misure proposte. Si sa tuttavia che il mercato europeo dei giocattoli, stimato a 17,3 miliardi di euro a prezzi al dettaglio 2002 e con un volume di importazioni che ammonta a più di 9 miliardi di euro, è un settore florido al quale prendono parte circa 2 000 imprese, in maggioranza PMI, che danno lavoro direttamente a più di 100 000 persone (13). |
3.5 |
Il CESE ritiene che la natura stessa della proposta in causa costringerebbe a considerare come base giuridica non solo l'articolo 95, ma anche necessariamente l'articolo 153, nella misura in cui il contenuto della proposta non riguarda esclusivamente la realizzazione del mercato interno, ma concerne una categoria particolarmente vulnerabile di consumatori, che in nessun modo può considerarsi assimilabile a quella di «consumatore medio». |
3.6 |
Inoltre, il fatto che i bambini siano consumatori indiretti di giocattoli, in quanto non sono essi ad acquistarli, ma i loro genitori e altri adulti che li mettono a loro disposizione perché li utilizzino, dovrebbe indurre la Commissione ad essere più rigorosa nel rispecchiare, in debita misura, nella formulazione dell'articolato della proposta, la necessità di informazione e educazione di questa classe di consumatori. |
3.7 |
Il CESE, comprendendo la scelta della Commissione, in questo caso, di optare per l'armonizzazione totale, riafferma la sua ferma convinzione che, in casi come questo, si avrebbe tutto da guadagnare dall'uso dello strumento «regolamento» al posto di una direttiva per gli evidenti miglioramenti in termini di certezza e sicurezza giuridica che dal primo derivano, nella misura in cui si evitano le situazioni di recepimento ritardato e manchevole e le conseguenti disparità di applicazione, come la Commissione riconosce essere avvenuto con la direttiva in vigore (14). |
3.8 |
Data la natura della materia, lo sviluppo costante dello «stato dell'arte», la possibilità di incidenti di percorso, chiaramente evidenziati con i casi Mattel e Fisher Price, e infine il preoccupante aumento del numero di allarmi collegati ai giocattoli, messo in risalto dal RAPEX nella sua ultima relazione annuale (2007), il che rende quello dei giocattoli di gran lunga il settore con il maggior numero di segnalazioni (31 %) (15), si sarebbe potuto sperare che la presente proposta avesse tratto tutti gli insegnamenti da quanto successo (soprattutto dal fallimento del sistema «Post-market Surveillance») e avesse reso il testo più attuabile e applicabile, in grado di contribuire ad una maggiore sicurezza del mercato dei giocattoli, nel dubbio proibendo tutto ciò che, anche se in assenza di un sufficiente grado di certezza, possa legittimamente far nascere il sospetto di pericolosità, sebbene ridotta, nel quadro dell'utilizzazione dei giocattoli da parte dei bambini, tenendo anche conto dei loro comportamenti imprevedibili; tuttavia non è così. |
3.9 |
Per quanto riguarda il marchio CE, il CESE si limita a ricordare e riprodurre nel presente parere quanto già detto nel suo precedente parere in merito al Quadro comune per la commercializzazione dei prodotti, vale a dire: «… Una mancanza di credibilità del marchio CE rappresenta la mancanza di credibilità dell'intero sistema… e, in ultima istanza, l'adeguatezza stessa della legislazione impostata sul nuovo approccio» (16). Il CESE invita la Commissione a rendere conforme il testo definitivo della presente proposta a quello adottato per l'insieme delle proposte relative al Quadro comune summenzionato (17). |
3.10 |
Il CESE condivide per intero la proposta del PE di creare un marchio europeo di sicurezza (per il consumatore) per i giocattoli, attribuito da organismi terzi indipendenti e si rammarica che la proposta non abbia accolto tutti i suggerimenti contenuti nella risoluzione del Parlamento europeo del settembre 2007. Condivide tuttavia le preoccupazioni espresse dalle PMI, relative non tanto al minor grado di sicurezza dei giocattoli da esse prodotti e commercializzati quanto, come riferito nel parere già citato, alla proporzionalità dei mezzi usati ai fini della certificazione della conformità, soprattutto per i prodotti non di serie o a serie limitata (18). |
3.11 |
A parere del CESE dai giocattoli deve essere completamente eliminata qualsiasi sostanza debitamente riconosciuta come potenzialmente pericolosa, in un quadro che sia proporzionale, equilibrato e attuabile per i fabbricanti responsabili e applicabile da parte delle autorità. |
3.12 |
Il CESE approva la recente decisione della Commissione sui «giocattoli magnetici» ma resta comunque sorpreso dal fatto che la proposta di direttiva oggetto del presente parere non abbia nemmeno affrontato la questione. Di fronte alla gravità dei pericoli e degli incidenti già verificatisi con questo tipo di giocattoli, appare poco incisiva la reazione della Commissione, la quale si è limitata a lanciare un semplice «appello» agli Stati membri affinché appongano, ciascuno a modo suo, una «avvertenza». |
3.13 |
Per quanto concerne le sanzioni, il CESE reputa che sarebbe giustificata una definizione più precisa del loro livello e della loro natura, analogamente a quanto la Commissione ha già fatto in campi in cui la nocività dei comportamenti censurabili è ben inferiore dal punto di vista sociale. |
3.14 |
In linea di massima, il CESE deplora che si perda l'occasione di mettere la protezione dei bambini europei, per lo meno sullo stesso livello di quanto accade, anche su iniziativa degli stessi produttori, in alcuni Stati membri o in altri paesi in cui determinati tipi di giocattoli sono semplicemente proibiti, come segnala un recentissimo studio commissionato dal PE (19). |
3.15 |
Il CESE è consapevole dell'accanita concorrenza internazionale che caratterizza l'industria dei giocattoli. Invita pertanto la Commissione, il Parlamento europeo e il Consiglio a tenere conto della competitività del settore quando apporteranno eventuali modifiche alla direttiva nel corso del suo iter di adozione. L'obiettivo non è quello di abbassare gli standard di sicurezza dei giocattoli a detrimento della protezione del consumatore, e in particolare dei minori, ma di perseguire un rigoroso rispetto delle regole del commercio internazionale, affinché le imprese europee possano competere in condizioni di parità. |
3.16 |
Il CESE sollecita, infine, la Commissione a mostrarsi sensibile alle preoccupazioni sociali collegate alla fabbricazione dei giocattoli, soprattutto nei paesi terzi in cui i bambini di tenera età vengono impiegati per la loro fabbricazione in condizioni umanamente inaccettabili sotto il profilo degli orari e dei luoghi di lavoro e con la manipolazione diretta ogni giorno di prodotti tossici e altamente pericolosi, e ad assumere una posizione chiara di difesa del giocattolo ecologico e di quello etico. |
4. Osservazioni particolari
4.1 Articolo 1 e Allegato I — Elenco dei prodotti espressamente non considerati giocattoli
Il CESE prende atto dell'intenzione della Commissione di procedere all'aggiornamento della definizione di giocattolo, permettendo che essa si applichi a tutti i prodotti che non siano concepiti unicamente per fini di gioco.
Il CESE sottolinea nondimeno che la definizione attuale di giocattolo è insufficiente per conseguire gli obiettivi proposti in quanto non solo non consente l'aggiornamento necessario allo sviluppo del mercato tecnologico, ma sancisce anche un elenco di prodotti non inseriti nell'ambito di applicazione della direttiva, di cui si contesta la pertinenza, segnatamente gli oggetti decorativi per le feste e le festività, la bigiotteria, i giochi che utilizzano proiettili appuntiti, i prodotti concepiti per essere utilizzati a scopo educativo nelle scuole o in altri contesti pedagogici e le attrezzature sportive.
In effetti, la base per creare un regime speciale di protezione degli utilizzatori di prodotti fa riferimento alla natura dell'utilizzatore, in particolare alla sua vulnerabilità. L'utilizzatore non distingue la finalità di ciascun oggetto che gli viene presentato e molte volte i prodotti sono considerati giocattoli dai bambini, dai genitori e dagli stessi commercianti che li catalogano e li vendono come giocattoli. Per quanto detto, il CESE non capisce come i giocattoli utilizzati a scopo educativo nelle scuole, per esempio, non rientrino nell'ambito di applicazione della direttiva, posto che non esiste alcuna differenza per quanto riguarda la natura dell'utilizzatore.
Il CESE sottolinea la necessità di includere, conformemente al principio di precauzione, tutte le attrezzature e i prodotti accessibili e potenzialmente utilizzabili come giocattoli per minori di 14 anni nel quadro di protezione offerto dalla direttiva.
Il CESE invita così la Commissione a rivedere la definizione di cui all'articolo 1 e l'elenco allegato, rendendoli compatibili l'una con l'altro.
4.2 Articoli da 2 a 5
Il CESE esprime il suo totale disaccordo sulla distinzione tra fabbricante e importatore, posto che la direttiva 2001/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla sicurezza generale dei prodotti equipara l'importatore al produttore, se nello Stato membro quest'ultimo non ha rappresentanti. Il mantenimento della distinzione non solo non salvaguarda, come dovuto, il diritto al risarcimento dei danni subiti dagli utilizzatori (dato che la responsabilità riguarda solo ed esclusivamente il fabbricante), ma non armonizza, come dovrebbe, le norme comunitarie e ciò metterà necessariamente in causa i principi di certezza e sicurezza delle relazioni giuridiche.
Il CESE ritiene quindi che, ai fini dell'applicazione della presente direttiva, i rappresentanti/mandatari e gli importatori (quando non esistono rappresentanti ufficiali del fabbricante) debbano essere considerati fabbricanti, al contrario di ciò che vuole la presente proposta che li equipara solo nel caso in cui gli importatori immettano nel mercato giocattoli con il loro nome o marchio o se apportano modifiche al prodotto, sebbene essi non influenzino il processo di produzione.
Il CESE respinge la distinzione, sotto il profilo della responsabilità, tra mandatario e fabbricante. In effetti il CESE teme che il mantenimento della norma possa impedire la salvaguardia dei diritti dei consumatori, in particolare il diritto al risarcimento dei danni, nelle situazioni in cui nello Stato membro sia stabilito soltanto il mandatario.
In generale, il CESE favorisce il mantenimento delle disposizioni della direttiva in vigore che rendono corresponsabili per la sicurezza del giocattolo tutti coloro che intervengono nella catena di commercializzazione.
Il Comitato ritiene che la definizione di danno debba comprendere le situazioni che potrebbero verificarsi a lungo termine come conseguenza diretta degli incidenti avvenuti.
4.3 Articolo 9
Il CESE apprezza la modifica al paragrafo 2, quando precisa che per stabilire la pericolosità del giocattolo si terrà conto dell'uso prevedibile dello stesso, in considerazione del comportamento abituale dei bambini (evidenzia, tuttavia, che il considerando n. 16 potrà permettere l'interpretazione contraria).
Il CESE ritiene, tuttavia, che il fabbricante dovrà avere l'obbligo di prevedere possibili usi meno adeguati del suo prodotto, ma ragionevolmente attribuibili ai bambini. Si rivela inoltre incongruente il mantenimento di un criterio di prevedibilità quando la relazione della stessa proposta sottolinea la necessità di prendere in considerazione il comportamento spesso imprevedibile dei bambini al momento della progettazione del giocattolo.
Il CESE non è d'accordo con la redazione del paragrafo 3, dal momento che stabilisce, non solo una presunzione ineliminabile, ma anche criteri vaghi e indeterminati, come quelli risultanti dai concetti di prevedibilità e normalità; ciò escluderà, in fin dei conti, l'obbligo del fabbricante di mantenersi aggiornato, al livello dei risultati scientifici e tecnici del settore, mentre il suo prodotto è distribuito nel mercato, obbligo che è il corollario della salvaguardia della sicurezza generale dei prodotti (20).
Di fatto, il dovere di evitare che vi siano difetti nei prodotti non si esaurisce con la loro immissione nel mercato. Il fabbricante o il suo eventuale rappresentante locale hanno il dovere di accompagnare, osservare e vigilare continuamente i giocattoli, permettendo di scoprire imperfezioni non conosciute, né conoscibili al momento della loro immissione nel mercato o difetti provenienti dall'usura, logoramento o invecchiamento prematuro del giocattolo.
4.4 Articolo 10
Il CESE si congratula con la Commissione per la sua intenzione di esigere che le avvertenze siano apposte in modo chiaro, visibile e leggibile nei punti vendita, in maniera da garantire una conoscenza effettiva del consumatore prima dell'acquisto. Ritiene tuttavia che esse debbano apparire non solo sull'imballaggio ma anche sugli stessi prodotti.
Il Comitato ritiene comunque che, nei punti vendita le avvertenze dovranno contenere non solo informazioni sull'età minima e massima degli utilizzatori, ma anche un'indicazione sul peso che i minori devono avere per utilizzare certi giocattoli, come pure indicazioni sull'eventuale necessità che gli utilizzatori siano sotto la vigilanza di chi li sorveglia mentre usano il prodotto.
Il CESE invita inoltre a redigere le avvertenze in modo adeguato alle esigenze degli utilizzatori, tenendo conto della loro particolare sensibilità.
Il CESE rinnova il suo appello in favore della promozione di azioni di formazione dirette ai genitori e a coloro che si occupano di minori per sensibilizzarli alle precauzioni da tenere e ai rischi derivanti dall'uso dei giocattoli. Tuttavia, il fatto che la sicurezza dei bambini sia in definitiva responsabilità di genitori, tutori, insegnanti, professori, sorveglianti, ecc., non può essere una scusa per ridurre la responsabilità dei produttori, degli importatori e dei venditori al dettaglio per quanto attiene alla sicurezza globale dei giocattoli.
In considerazione del fatto che molte volte l'etichetta è redatta in lingue diverse da quelle nazionali, il CESE ritiene che il paragrafo 3 non dovrebbe prevedere soltanto la facoltà degli Stati membri di esigere la redazione delle avvertenze e delle istruzioni di sicurezza nella lingua ufficiale o nelle lingue ufficiali dello Stato membro in cui i prodotti sono commercializzati, ma renderla obbligatoria.
4.5 Articoli 12 e 26
Pur ammettendo la necessità del mantenimento delle presunzioni di conformità, il CESE ritiene che sia più adeguata allo «stato dell'arte» l'istituzione di un regime di inversione dell'onere della prova in caso di incidente che provoca un danno.
4.6 Articolo 17
Il CESE mette in rilievo la scelta della Commissione di imporre ai fabbricanti un'analisi dei pericoli intrinseci derivanti dall'utilizzazione del giocattolo, invece di permettere che tale analisi si incentri soltanto sui rischi inerenti alla sua utilizzazione. Il Comitato ritiene tuttavia che tale analisi vada condotta per tutta la durata di vita del giocattolo, indipendentemente dal verificarsi del danno, così da evitare casi analoghi a quello che ha coinvolto la Mattel.
4.7 Articolo 18
Il CESE reputa che la valutazione di conformità andrebbe applicata a tutte le categorie di giocattoli, non circoscrivendola ai casi elencati al paragrafo 3, garantendo uniformità di criteri e creando un marchio europeo di sicurezza come proposto dal PE (21).
Tenendo conto del fatto che si sta parlando di un settore tecnico in cui non esistono conoscenze concrete specifiche o statistiche su incidenti verificatisi a causa dell'utilizzazione del prodotto, il CESE sottolinea la necessità che la Commissione applichi nella presente proposta il principio di precauzione, in termini identici a quelli definiti nel Libro bianco sulla sicurezza alimentare del gennaio 2000 (22).
4.8 Allegato II — Requisiti particolari di sicurezza
I — Proprietà fisico-meccaniche
Il CESE ritiene appropriato estendere l'ambito di applicazione del terzo paragrafo del punto 4 a bambini di età inferiore ai 60 mesi, dato che fino a questa età esiste ancora la possibilità che il bambino usi il giocattolo senza la debita precauzione e prudenza, portandolo alla bocca, anche se non era questa l'intenzione del fabbricante al momento di progettare il prodotto.
D'altro canto il CESE ritiene che non si siano presi in considerazione:
— |
gli imballaggi dei prodotti, ma in particolare gli imballaggi costituiti da sacchetti di plastica, |
— |
la possibilità che certe parti del giocattolo si stacchino e siano ingerite dai bambini, |
— |
le proprietà dei giocattoli nel caso in cui si rompano. |
III — Proprietà chimiche
Pur approvando le modifiche proposte, il CESE sottolinea la necessità di applicare immediatamente il principio di precauzione per quanto concerne le proprietà chimiche. Studi condotti dall'Organizzazione Mondiale della Sanità hanno infatti dimostrato che l'esposizione a tali prodotti potrebbe causare alcune malattie croniche, che continuano a colpire i bambini dopo l'età di 3 anni.
Il Comitato sottolinea quindi la necessità non solo di proibire tutte le sostanze CMR, comprese quelle della categoria 3, purché siano state debitamente riconosciute come potenzialmente pericolose, nella fase di progettazione dei prodotti, ma anche di vietarne la presenza nei materiali che li compongono, conformemente alla direttiva concernente i prodotti cosmetici. Il CESE mette inoltre in guardia la Commissione sull'eccesso di permissività esistente per quanto riguarda non solo i limiti di migrazione autorizzati, ma anche i cosiddetti interferenti endocrini che possono limitare il normale sviluppo dei bambini.
Per quanto concerne l'uso di sostanze allergeniche, il CESE raccomanda alla Commissione di vietare il ricorso a qualsiasi fragranza o agente sensibilizzante che possa contenere non soltanto sostanze allergeniche in quanto tali (le quali andrebbero assolutamente vietate), ma anche altre sostanze che hanno conseguenze dirette sul sistema immunitario dei bambini.
In base a una visione realistica dell'attuabilità delle misure, considerando inoltre la struttura dell'industria del giocattolo, in cui operano in grande maggioranza PMI, e le modifiche sostanziali introdotte dalla direttiva, soprattutto nel campo delle proprietà chimiche, il CESE raccomanda un periodo di transizione di 5 anni.
Il CESE sottolinea infine la necessità di promuovere la compatibilità tra la proposta all'esame e le norme relative alla sicurezza alimentare, soprattutto per quanto attiene ai materiali utilizzati nei giocattoli destinati ai bambini di età inferiore ai 36 mesi. Invita pertanto la Commissione ad autorizzare, al momento della progettazione del giocattolo, unicamente le sostanze consentite nei materiali a contatto diretto con i prodotti alimentari.
IV — Proprietà elettriche
Secondo il CESE l'allegato dovrebbe prevedere norme specifiche per i prodotti che richiedano l'uso di pile, in particolare di quelle a base di mercurio.
4.9 Allegato V — Avvertenze
A parere del CESE dovranno esservi avvertenze speciali, destinate a bambini con disabilità fisiche e mentali, relative alle loro specifiche condizioni, in modo che i genitori o coloro che se ne occupano possano conoscere preventivamente i rischi inerenti all'uso del giocattolo.
Per quanto riguarda l'utilizzazione dei giocattoli negli alimenti, il CESE ritiene che dovrà esistere un'indicazione specifica apposta in modo visibile e indelebile che segnali il fatto che l'alimento contiene un giocattolo, consentendo che questo sia visibile indipendentemente dalla forma in cui è imballato.
Bruxelles, 18 settembre 2008.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(1) National Electronic Injury Surveillance System (NEISS), gestito dalla Consumer Product Safety Commission (CPSC) negli USA.
(2) GU C 167 del 5.7.1986, pag. 1.
(3) GU L 187 del 16.7.1988, pag. 1. Parere CES GU C 232 del 31.8.1987, pag. 22.
(4) GU C 136 del 4.6.1985, pag. 1.
(5) COM(1986) 541 def., GU C 282 dell'8.11.1986, pag. 4.
(6) Parere CES 639/87, relatrice: Alma WILLIAMS (GU C 232 del 31.8.1987, pag. 22).
(7) GU L 281 del 14.10.1988, pag. 55; GU L 37 del 9.2.1991, pag. 42.
(8) GU L 220 del 30.8.1993, pag. 1; pareri CES GU C 14 del 20.1.1992, pag. 15 e GU C 129 del 10.5.1993, pag. 3.
(9) GU C 297 del 9.12.2003, pag. 18.
(10) Direttiva 92/59/CEE del 29 giugno 1992 (GU L 228 dell'11.8.1992, pag. 24) — parere CES (GU C 75 del 26.3.1990, pag. 1) e direttiva 2001/95/CE del 3 dicembre 2001 (GU L 11 del 15.1.2002, pag. 4); in merito alla proposta di quest'ultima direttiva (COM(2000) 139 def.) il CES ha adottato il parere CES 1008/2000 del 20 settembre 2000, relatrice: Alma WILLIAMS (GU C 367 del 20.12.2000, pag. 34). WILLIAMS era stata relatrice di un precedente parere d'iniziativa in materia, adottato dal CES l'8 dicembre 1999 (CES 1131/1999 — GU C 51 del 23.2.2000, pag. 67).
(11) Pacchetto di proposte COM(2007) 36, 37 e 53 def. del 14 febbraio 2007, oggetto del parere INT/352-353-354 del CESE (CESE 1693/2007 del 13 dicembre 2007, relatore: PEZZINI).
(12) Cfr. per tutti il discorso del commissario Meglena KUNEVA del 12 settembre 2007 dinanzi al Parlamento europeo, i suoi interventi nelle riunioni con il vicepresidente esecutivo di Mattel International il 20 settembre 2007 e con una delegazione di fabbricanti di giocattoli che comprendeva la Hornby, la Lego e la Mattel il 9 aprile 2008 e la conferenza stampa del 22 novembre 2007. Cfr. anche la risoluzione del Parlamento europeo Doc. P6-TA (2007) 0412 del 26 settembre 2007.
(13) Dati ripresi pubblicati nel sito della Commissione.
(14) Direttiva 88/378/CEE del Consiglio del 3 maggio 1988 (GU L 187 del 16.7.1988, pag. 1). È importante notare che, contrariamente alla proposta all'esame, per quanto riguarda i prodotti cosmetici (COM(2008) 49 def./2 del 14 aprile 2008), la Commissione ha voluto giustamente sostituire lo strumento giuridico della direttiva con il regolamento. È inoltre opportuno aggiungere che la modifica del protocollo relativo alla sussidiarietà nel Trattato di riforma, con l'eliminazione della preferenza per le direttive sarà un altro argomento ancora a favore di questa soluzione in futuro.
(15) Stando a tale relazione, nella sola estate 2007, sono stati ritirati dal mercato più di 18 milioni di giocattoli perché contenevano calamite e circa 2 milioni di giocattoli in quanto pitturati con tinte contenenti piombo.
(16) Parere CESE 1693/2007 del 13 dicembre 2007, relatore: PEZZINI (INT/352/353/354), punto 5.2.11. Al successivo punto 5.2.12, il Comitato aggiunge, con manifesto interesse, quanto segue:
«Il modo migliore per rafforzare lo status ed il significato del marchio CE, come definito nella decisione del Consiglio 93/465/CEE, dovrebbe essere ricercato attraverso una riforma radicale del marchio stesso:
— |
chiarire che non deve essere usato e considerato come un sistema di marcaggio o di etichettatura per il consumo, né una garanzia di qualità o di certificazione o di approvazione da parte di terzi indipendenti, ma solo come una dichiarazione di conformità e di documentazione tecnica, che il fabbricante o l'importatore sono tenuti a produrre, in conformità ai requisiti del prodotto, sotto la loro piena responsabilità, di fronte alle autorità ed al consumatore, |
— |
razionalizzare le diverse procedure di valutazione della conformità, |
— |
rafforzare la tutela giuridica del marchio CE, attraverso la sua registrazione come marchio collettivo, che permetta alle autorità pubbliche di intervenire rapidamente e di reprimere gli abusi, ma mantenere la possibilità di marchi nazionali aggiuntivi, |
— |
rafforzare i meccanismi di sorveglianza del mercato ed i controlli doganali di frontiera, |
— |
avviare, da parte dei produttori e dei consumatori, uno studio che esamini gli aspetti positivi e negativi di un eventuale codice di condotta volontario sull'efficacia delle proliferazioni dei marchi di qualità e di etichette europei e nazionali — volontari e non — ed i loro rapporti con il marchio CE». |
(17) COM(2007) 36, 37 e 53 def. del 14 febbraio 2007.
(18) Parere citato alla nota 16, punti 5.2.7.1 e 5.2.9. Cfr. anche i pareri del CESE sulle misure politiche a favore delle PMI (INT/390), relatore: CAPPELLINI, e sui prodotti cosmetici (INT/424), relatore: KRAWCZYK.
(19) Study on Safety and Liability Issues Relating to Toys (PE 393.523), a cura di AA Frank Alleweldt — Project Director; Anna Fielder — Lead Author; Geraint Howells — Legal Analist; Senda Kara, Kristen Schubert e Stephen Locke.
(20) Cfr. a tale proposito, la sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 29 maggio 1997 (causa C-300/95), Raccolta della giurisprudenza 1997, pagina I-02649.
(21) Risoluzione del Parlamento europeo del 19 settembre 2007 sui giocattoli pericolosi (Doc P6-TA (2007) 0412 del 26.9.2007).
(22) COM(1999) 719 def. del 12 gennaio 2000.
31.3.2009 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 77/15 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Un mercato unico per l'Europa del XXI secolo
COM(2007) 724 def.
(2009/C 77/03)
La Commissione, in data 20 novembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Un mercato unico per l'Europa del XXI secolo
La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 15 luglio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore CASSIDY e dai correlatori HENCKS e CAPPELLINI.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 51 voti favorevoli, 2 voti contrari e 4 astensioni.
1. Sintesi — conclusioni e raccomandazioni
1.1 |
Il CESE sottolinea l'importanza della strategia di Lisbona per mantenere i benefici del mercato unico e garantire il suo sviluppo e il suo consolidamento. |
1.2 |
Un mercato unico efficiente, concorrenziale e favorevole all'innovazione è essenziale affinché l'Europa possa trarre i massimi benefici dalla globalizzazione salvaguardando nel contempo i suoi standard di protezione sociale. In tale contesto il CESE esprime preoccupazione per le recenti sentenze della Corte europea di giustizia in merito al distacco di lavoratori, e ne sta esaminando le ripercussioni sull'acquis comunitario in materia di politica sociale (1). |
1.3 |
Il CESE sottolinea che per sviluppare il mercato unico è importante promuovere e mettere a frutto i risultati della ricerca scientifica e dell'innovazione, assistere i fornitori nazionali di tecnologia nella diffusione a livello europeo dei prodotti e delle tecnologie d'avanguardia e promuovere, diffondere e sfruttare a livello transnazionale i risultati della ricerca. Il mercato unico rappresenta uno strumento essenziale per la realizzazione dell'Agenda di Lisbona: esso ha l'obiettivo di favorire i consumatori e di stimolare la crescita economica e l'occupazione, sopprimendo progressivamente le barriere alla libera circolazione delle persone, delle merci, dei servizi e dei capitali. Malgrado sussistano ancora numerose barriere, il fatto che la maggiore integrazione abbia portato benefici è innegabile. |
1.4 |
Il pacchetto di misure proposto dalla Commissione nel quadro del riesame del mercato unico rappresenta una buona base per il rilancio di quest'ultimo. Il suo successo, tuttavia, dipenderà in larga misura dalla capacità e dalla volontà di governi e parti sociali dei singoli paesi di assumersi le proprie responsabilità e di mettere a disposizione le risorse necessarie per trasformare i discorsi teorici in realtà. |
1.5 |
Una delle sfide maggiori è l'applicazione corretta e uniforme della legislazione e delle norme in vigore: per migliorare la comprensione delle finalità della legislazione e per individuare soluzioni non normative è essenziale realizzare valutazioni di impatto, ridurre gli adempimenti amministrativi e i costi di adeguamento alla legislazione derivante dalla frammentazione fiscale del mercato interno e consultare in maniera più efficace le parti sociali e i soggetti interessati, in particolare le PMI. |
1.6 |
Le piccole e medie imprese danno un contributo essenziale al funzionamento efficace del mercato unico. Nelle loro diverse forme, svolgono un ruolo importante soprattutto nel settore dei servizi e sono cruciali per il raggiungimento dei compromessi sociali su cui si fonda l'economia dell'UE. Sia lo Small Business Act che la Carta delle piccole e medie imprese ne riconoscono l'importanza nell'ambito dei processi di formazione delle politiche e delle istituzioni dell'Unione europea e degli Stati membri. Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene però che vada prestata maggiore attenzione al ruolo delle PMI nella fase di attuazione delle politiche, con particolare riferimento al contributo da loro prestato alla realizzazione degli obiettivi delle politiche economiche, ambientali e sociali. |
1.7 |
Il CESE sottolinea che il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione è un importante strumento di solidarietà, il quale fornirà un aiuto mirato per trovare un altro impiego ai lavoratori che perdono il posto a causa di mutamenti nell'andamento degli scambi mondiali. Il CESE si compiace del fatto che i dipendenti delle PMI saranno ammessi a beneficiare di tale strumento, ma si rammarica dell'esclusione dei lavoratori autonomi, i quali saranno esposti agli stessi mutamenti. |
1.8 |
Il CESE invita la Commissione e gli Stati membri a garantire che siano stanziate risorse adeguate per migliorare l'applicazione delle norme del mercato unico. Bisogna inoltre sviluppare iniziative che consentano di realizzare sinergie tra la politica del mercato unico e le altre politiche che sono importanti per il buon funzionamento di quest'ultimo, in particolare la politica della concorrenza, quella sociale e quella ambientale. |
1.9 |
La Commissione europea e gli Stati membri devono fare in modo che le nuove iniziative normative che dovrebbero contribuire al buon funzionamento del mercato unico prendano in considerazione sia l'impatto sulla competitività delle imprese europee che le ripercussioni sociali e ambientali. Per garantire alle imprese e ai consumatori coerenza e certezza giuridica e per evitare che le nuove iniziative si contraddicano a vicenda, bisognerebbe che tutte le nuove proposte, a livello sia europeo che nazionale, fossero sottoposte ad un «test di compatibilità con il mercato unico» (2) e valutate in base al loro impatto sociale. |
1.10 |
Ai cittadini e alle imprese andrebbe garantito un accesso alla giustizia facile e a prezzi contenuti, che comprenda mezzi di ricorso e meccanismi di risoluzione delle controversie adeguati. A questo proposito, andrebbe migliorato lo sviluppo di strumenti extragiudiziali di risoluzione delle controversie. |
1.11 |
Il CESE non può che approvare l'obiettivo della comunicazione sui SIG, del 20 novembre 2007, di «consolidare il quadro normativo UE applicabile ai servizi di interesse generale, compresi i servizi sociali e sanitari, fornendo soluzioni concrete per problemi concreti ove esistano» e combinando azioni settoriali e azioni incentrate su questioni precise. |
1.12 |
Poiché il diritto primario dell'UE, cioè i Trattati, riconosce che i SIEG fanno complessivamente parte dei «valori comuni» dell'UE e che essi contribuiscono alla sua «coesione sociale e territoriale», è indispensabile coniugare iniziative settoriali (che tengano conto della specificità di ciascun settore) e problematiche trasversali. |
1.13 |
Iscrivendo nel diritto primario la distinzione tra SIEG e SIG non economici, così come la necessità di far rispettare i principi comuni di funzionamento dei SIEG, il Protocollo dimostra quanto sia più che mai necessario procedere a un chiarimento dei concetti e dei regimi esistenti per non dipendere più da un approccio basato solo sui singoli casi legislativi o contenziosi. |
1.14 |
Sebbene il Parlamento europeo abbia ripetutamente chiesto di garantire ai servizi sociali di interesse generale (SSIG) un'effettiva certezza giuridica, le proposte contenute nella comunicazione si limitano a fornire una serie di risposte alle «domande frequenti», certamente utili ma senza valore giuridico vincolante. |
1.15 |
Il CESE propone quindi un approccio plurimo e progressivo che coniughi la dimensione settoriale a quella tematica, portando all'adozione di iniziative legislative quando risultino necessarie e/o ad adeguare tali principi e condizioni ai diversi settori interessati (approccio orizzontale a orientamento settoriale). |
2. Principali elementi delle comunicazioni della Commissione
2.1 |
Il pacchetto in esame propone un insieme di iniziative basate su cinque documenti di lavoro e due comunicazioni, dedicate rispettivamente ai SIG e alla dimensione sociale del mercato unico (3). |
2.2 |
Il CESE ha elaborato pareri su tutti questi temi (4). Di recente ha adottato un parere d'iniziativa sulla dimensione esterna del mercato unico e attualmente ne ha in preparazione uno sulla sua dimensione sociale e ambientale (5). |
3. Osservazioni generali — Un'applicazione più efficace
3.1 |
Il CESE apprezza il fatto che il documento della Commissione in esame (COM(2007) 724 def.) insista sulla necessità di conferire maggiore potere ai consumatori e alle PMI per aiutarli a trarre vantaggio dal mercato unico e rispondere meglio alle loro aspettative e preoccupazioni. Giudica quindi positivo che la politica del mercato unico presti particolare attenzione ai settori collegati al consumo, come l'energia, le telecomunicazioni, i servizi finanziari al dettaglio e il commercio all'ingrosso e al dettaglio. |
3.2 |
Il successo della futura politica del mercato unico dipende dalla capacità congiunta degli Stati membri e della Commissione di migliorarne il funzionamento. Il mercato unico è non solo opus in fieri, ma anche un settore in cui l'UE e gli Stati membri esercitano competenze concorrenti. Occorre una maggiore adesione da parte degli Stati membri, che spesso non si fanno carico delle loro responsabilità nella gestione del mercato unico e creano così nuovi ostacoli che vanno a intaccare la fiducia che i cittadini dovrebbero avere nei suoi confronti. Andrebbe inoltre riconosciuto maggiormente l'importante ruolo di sostegno al mercato unico svolto dalle parti sociali. |
3.2.1 |
La Commissione intende dare maggiore priorità a una corretta applicazione delle norme: occorre infatti predisporre strumenti che garantiscano una maggiore efficacia pratica della legislazione. Per facilitare l'applicazione delle norme sono fondamentali un recepimento corretto e puntuale della legislazione comunitaria e la semplificazione amministrativa. Il corretto recepimento della direttiva sui servizi è particolarmente importante per conseguire gli obiettivi di crescita e occupazione che questa si prefigge. |
3.3 |
Fornire soluzioni semplici e rapide ai problemi incontrati dai cittadini e dalle imprese nel mercato unico dovrebbe rimanere una priorità. Uno strumento particolarmente utile è la rete Solvit, ma purtroppo è poco usata per scarsa conoscenza del suo funzionamento e della sua utilità e per mancanza di risorse adeguate, soprattutto a livello nazionale. Il CESE raccomanda quindi vivamente di adottare ogni iniziativa che possa porre rimedio alla situazione, comprese quelle volte a garantire che i centri Solvit siano dotati di risorse sufficienti — sia umane che finanziarie — e ad ampliarne il campo d'azione. |
3.4 |
Il CESE appoggia l'intenzione della Commissione di semplificare e accelerare i procedimenti per infrazione, dando priorità ai casi che presentano maggiori rischi e assumono un rilievo economico senza tuttavia compromettere l'efficacia dei deterrenti attuali. |
3.5 |
Molto rimane ancora da fare nel settore della sorveglianza del mercato dei prodotti locali e importati: dovranno intervenire non solo la Commissione ma anche le autorità degli Stati membri. |
3.6 |
Il CESE auspica che la Commissione dia maggiore risalto all'assistenza alle PMI, collegando la politica in materia agli obiettivi sociali ed ambientali dell'UE, e che essa giunga ad abolire tutte le barriere nazionali non tariffarie, comprese le barriere alla libera circolazione dei capitali e dei lavoratori (6). |
3.7 |
Più in generale, è tuttora essenziale che la Commissione continui a svolgere un ruolo di primo piano in quanto custode dei Trattati ed eserciti il suo diritto di iniziativa per consentire il buon funzionamento del mercato unico. |
3.8 |
Il CESE ritiene importante proseguire gli sforzi volti a ridurre ulteriormente i costi dovuti alla frammentazione fiscale del mercato unico mediante l'adozione di disposizioni comunitarie in materia, che favoriranno lo sviluppo di attività transfrontaliere e consolideranno il mercato interno. |
4. Il miglioramento normativo
4.1 |
Il CESE condivide l'obiettivo di garantire un più largo coinvolgimento nella formazione delle politiche e l'intenzione di ampliare la partecipazione delle parti interessate. A questo fine, è fondamentale realizzare sistematicamente valutazioni di impatto. |
4.2 |
Nella preparazione di tali valutazioni è essenziale consultare le parti interessate rappresentative. Le valutazioni dovrebbero essere attentamente esaminate da un corpo di esperti esterni e indipendenti comprendente anche gruppi di utenti finali della legislazione. |
4.3 |
Bisogna inoltre garantire la riduzione degli adempimenti amministrativi a carico delle imprese senza tuttavia compromettere il conseguimento di risultati per la società. |
4.4 |
Per assicurare coerenza e certezza giuridica alle imprese e ai consumatori ed evitare che le nuove iniziative generino nuove barriere, occorrerebbe sottoporre le nuove proposte, a livello sia europeo che nazionale, a un «test di compatibilità con il mercato unico» integrato da una valutazione delle conseguenze sociali e ambientali (7). L'esistenza di testi giuridici poco chiari, spesso attuati e interpretati in modo diverso, genera contraddizioni nell'ambito del diritto comunitario. |
4.5 |
È di fondamentale importanza disporre di informazioni e dati migliori sull'applicazione pratica delle norme del mercato unico. La Commissione dovrebbe dimostrare maggiore apertura nel rivelare i dati relativi agli Stati membri che non adempiono i loro obblighi e nell'aiutare le parti sociali degli Stati membri rendendo l'elaborazione delle relazioni nazionali più coerente e trasparente. |
5. La dimensione esterna del mercato unico (8)
5.1 |
Il CESE conviene con la Commissione nel ritenere che la globalizzazione sia una potente fonte di dinamismo e competitività e che il mercato unico sia una carta vincente da sfruttare per superare le sfide della globalizzazione. |
5.2 |
La liberalizzazione degli scambi commerciali è giustamente considerata il primo pilastro della strategia comunitaria in questo settore: il successo dell'UE verrà valutato in base all'esito finale del ciclo di Doha e al completamento degli ampi negoziati in corso, avviati nel quadro della strategia per un'Europa globale, per la conclusione di accordi di libero scambio. |
5.3 |
Le questioni legate alle norme giuridiche e tecniche svolgono un ruolo sempre più determinante ai fini della capacità delle imprese di svolgere attività internazionale. Gli organismi europei di normazione, quali il CEN, il Cenelec e l'ETSI, in collaborazione con organismi consultivi come la Normapme (9), dovrebbero garantire che le norme tecniche siano accessibili a tutte le imprese, e specialmente alle piccole imprese, in tutta l'UE e anche nei paesi in via di sviluppo. |
5.4 |
La Commissione sottolinea a ragione la necessità di migliorare la cooperazione, l'equivalenza e la convergenza internazionale sul piano normativo. L'obiettivo a lungo termine dovrebbe essere l'accettazione generalizzata di un'unica norma sottoposta a un unico esame. |
5.5 |
Le normative comunitarie devono contribuire a mantenere la competitività. L'imposizione di adempimenti troppo gravosi alle imprese europee non sarà compensata da un'accettazione internazionale delle norme UE. La cooperazione normativa con i paesi partner non porterà frutti senza uno spirito di innovazione e di apertura verso altri approcci. |
5.6 |
Il CESE giudica incoraggiante l'impegno alla valutazione comparativa delle normative comunitarie rispetto alle migliori pratiche internazionali, in particolare quelle dei maggiori partner commerciali dell'UE. La valutazione comparativa dovrebbe essere inserita sistematicamente nelle valutazioni d'impatto comunitarie e l'UE dovrebbe essere aperta alla cooperazione normativa con i suoi maggiori partner. Dovrebbe inoltre accettare ufficialmente le norme internazionalmente riconosciute per la valutazione di conformità. |
5.7 |
Andrebbero incoraggiate le iniziative dell'UE per assumere la leadership a livello mondiale nella definizione delle regole e nello sviluppo di norme tecniche internazionali di qualità basate su dati scientifici per i prodotti industriali e alimentari. Le norme tecniche comuni dovrebbero essere accompagnate da obiettivi normativi comuni. Il CESE raccomanda pertanto alle autorità di regolamentazione internazionali di privilegiare accordi bilaterali e la formazione di reti. |
5.8 |
L'UE dovrebbe continuare a sostenere il libero scambio, assicurando nel contempo un adeguato grado di sorveglianza del mercato per prevenire l'importazione di prodotti non conformi alle norme di sicurezza. La Commissione dovrebbe tuttavia garantire che non vi sia abuso protezionistico di queste misure e dei sistemi emergenti di norme tecniche private (10). |
6. La dimensione sociale del mercato unico
6.1 |
Il CESE concorda nel ritenere che la dimensione sociale contribuirà a migliorare il funzionamento del mercato unico, in linea con la strategia per la crescita e l'occupazione e grazie alla grande importanza che questa attribuisce alla salute economica delle PMI. |
6.2 |
Dato che l'integrazione nel mercato del lavoro rappresenta la migliore garanzia contro l'esclusione sociale, la Commissione deve incentrare il suo piano a favore delle opportunità, dell'accesso e della solidarietà su un migliore sfruttamento del potenziale europeo di forza lavoro nell'ambito di società in rapida trasformazione. Essa deve operare di concerto con le parti sociali per fare in modo che ciò si applichi particolarmente alle categorie vulnerabili, ai gruppi di immigrati e alle minoranze. |
6.3 |
Per rispondere alle sfide della globalizzazione, cioè sviluppo tecnologico e trasformazione delle realtà sociali e ambientali, occorre orientare le politiche verso il conseguimento di obiettivi sociali tramite l'incremento dei tassi d'occupazione e la creazione delle condizioni quadro per un netto aumento della produttività. |
6.4 |
Il CESE ha sottolineato in un suo parere (11) l'importanza di integrare la «flessicurezza» in tutte le politiche dell'UE (12). Le PMI e, in particolare, i lavoratori autonomi rivestono un ruolo essenziale per il funzionamento efficace di mercati del lavoro flessibili. A questo fine, è necessaria una migliore comprensione del ruolo delle PMI nell'attuazione della politica sociale. |
7. Un mercato unico trainato dall'innovazione
7.1 |
Il CESE sottolinea che per sviluppare il mercato unico è importante promuovere e mettere a frutto i risultati della ricerca scientifica e dell'innovazione, assistere i fornitori nazionali di tecnologia nella diffusione a livello europeo dei prodotti e delle tecnologie d'avanguardia e promuovere, diffondere e sfruttare a livello transnazionale i risultati della ricerca. La qualità del mercato unico può incidere fortemente sulla capacità di innovazione dell'Europa. Occorre coordinare gli sforzi in materia di R&S a livello europeo tra i cluster di PMI, le grandi imprese, gli istituti di ricerca, le università e il nuovo Istituto europeo di innovazione e tecnologia. |
7.2 |
Ai fini della capacità di innovazione dell'Europa è fondamentale progredire verso un sistema brevettuale più competitivo in termini di costi e certezza giuridica. A tal fine occorre tra l'altro proseguire lo sviluppo di una giurisdizione brevettuale comune europea, in grado di garantire a tutte le imprese un massimo di qualità, efficacia rispetto ai costi ed affidabilità, nonché un brevetto comunitario che risponda anch'esso a tali requisiti, a beneficio in particolare delle PMI. Occorre inoltre tutelare attivamente i diritti di proprietà intellettuale mediante misure europee e internazionali volte a contrastare efficacemente la piaga sempre più grave della contraffazione e della pirateria. |
7.3 |
L'innovazione nella gestione della politica sociale dovrebbe investire tutta la gamma delle organizzazioni dell'economia sociale (ad esempio, le cooperative) che, data un'adeguata vigilanza delle autorità di regolamentazione, sono in grado di avvicinare la fornitura dei servizi alle comunità di utenti. |
7.4 |
La nuova politica del mercato unico dovrà svolgere un ruolo chiave nella costruzione di un'economia mondiale sostenibile sotto il profilo dell'ambiente. |
8. Politica di tutela dei consumatori
8.1 |
Per un mercato unico efficace è importante una politica dei consumatori equilibrata. Il CESE ritiene che i consumatori siano cruciali per la nuova visione della Commissione di un mercato unico realmente includente. Si dovrebbe quindi prestare maggiore attenzione alle esperienze dei consumatori sul mercato, per esempio realizzando valutazioni d'impatto o includendo gli interessi dei consumatori nell'Agenda di Lisbona. |
8.2 |
L'accento va posto su un mercato comune che sia vantaggioso sia per le imprese che per i consumatori e sul ruolo che può svolgere il settore dei servizi nel sistema economico accrescendo la qualità e la fiducia dei consumatori. Questi ultimi dovrebbero effettivamente poter accedere ai beni e ai servizi offerti in tutta l'UE, mentre le imprese dovrebbero essere in grado di offrire i loro beni e servizi in tutta l'UE con la stessa facilità che sul mercato nazionale. L'armonizzazione, abbinata al riconoscimento reciproco, fornisce una base idonea per creare tale situazione vantaggiosa per tutti (13). |
9. Comunicazione Un mercato unico per l'Europa del XXI secolo — I servizi di interesse generale, compresi i servizi sociali di interesse generale: un nuovo impegno europeo (14)
9.1 |
In molti dei suoi pareri (15), il CESE ha espresso preoccupazione per la persistente mancanza di certezza giuridica in merito ai SIG. |
9.2 |
La comunicazione sui SIG sottolinea il ruolo dello speciale Protocollo sui servizi di interesse generale allegato al Trattato di Lisbona (protocollo SIG), che secondo la Commissione ha lo scopo di creare un quadro di riferimento coerente per l'azione comunitaria fornendo al tempo stesso una solida base per la definizione dei servizi di interesse generale (16). |
9.3 |
La comunicazione, invece, accenna solo brevemente al nuovo articolo 16 del Trattato di Lisbona, senza svilupparne le implicazioni. Tale articolo introduce in realtà una nuova base giuridica per i SIEG, affidando al Consiglio e al Parlamento il compito di stabilire, mediante regolamenti e secondo la procedura legislativa ordinaria, i principi e le condizioni, in particolare economiche e finanziarie, che permetteranno ai SIEG di assolvere i loro compiti. |
9.4 |
L'effettiva attuazione del principio per cui deve prevalere il corretto assolvimento dei compiti dei SIEG, che sarà resa possibile dal nuovo articolo 16 del Trattato di Lisbona, permetterà di ricorrere con meno frequenza all'arbitraggio della Corte di giustizia. |
9.5 |
Il Trattato di Lisbona contiene numerose innovazioni, nella fattispecie l'articolo 16 di cui sopra e un riferimento ai SIG in genere e ai SIG di carattere non economico. Esso contribuisce a riportare la questione dei servizi di interesse generale nel campo d'azione dell'UE, in linea con il principio di sussidiarietà. |
9.6 |
Per il CESE, il nuovo Trattato di Lisbona (in particolare l'articolo 16 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea e il Protocollo SIG) è solo il punto di partenza di un nuovo approccio tendente a una maggiore certezza giuridica e a una regolamentazione più coerente dei regimi nazionali e comunitari in materia di SIG. |
9.7 |
Il Protocollo SIG costituisce un manuale per l'applicazione delle norme in materia di SIG, che siano di tipo economico o non economico. Esso non risolve tuttavia il problema della distinzione tra queste due categorie. |
9.8 |
Iscrivendo nel diritto primario la distinzione tra SIEG e SIG non economici, così come la necessità di far rispettare i principi comuni di funzionamento dei SIEG, il Protocollo dimostra quanto sia più che mai necessario procedere a un chiarimento dei concetti e dei regimi esistenti per offrire certezza giuridica sia alle imprese e agli organismi incaricati della gestione dei servizi, sia ai loro principali beneficiari. |
9.9 |
La comunicazione sui SIG propone di «consolidare il quadro normativo UE applicabile ai servizi di interesse generale, compresi i servizi sociali e sanitari, fornendo soluzioni concrete per problemi concreti ove esistano» e combinando azioni settoriali e azioni incentrate su questioni precise. |
9.10 |
Nel far ciò bisognerà evidentemente tener conto delle specificità di ciascuno dei settori interessati. Dato però che il diritto primario riconosce che i SIEG fanno complessivamente parte dei «valori comuni» dell'UE e che essi contribuiscono alla sua «coesione sociale e territoriale», è indispensabile coniugare iniziative settoriali (che tengano conto della specificità di ciascun settore) e problematiche trasversali. |
9.11 |
Il CESE propone quindi un approccio plurimo e progressivo che coniughi la dimensione settoriale a quella tematica, portando all'adozione di iniziative legislative quando risultino necessarie e/o ad adeguare i principi e le condizioni in oggetto ai diversi settori interessati (approccio orizzontale a orientamento settoriale). |
10. La situazione specifica dei servizi sociali di interesse generale
10.1 |
Il CESE sottolinea l'importanza della strategia di Lisbona per mantenere i benefici del mercato unico e garantire il suo sviluppo e il suo consolidamento. |
10.2 |
La Commissione ha introdotto il concetto di servizi sociali di interesse generale (SSIG) e lo ha sviluppato nel Libro bianco sui servizi di interesse generale, in due comunicazioni (17) e in un documento di lavoro interno (18). |
10.3 |
La comunicazione non propone una definizione dei SSIG e li distingue in due grandi gruppi: da un lato, i regimi legali e complementari di sicurezza sociale e, dall'altro, «altri servizi prestati direttamente alla persona». |
10.4 |
La prudenza della Commissione dimostra chiaramente quanto sia difficile definire i SSIG a causa dell'estrema specificità e varietà dei loro compiti, profondamente ancorati nelle preferenze collettive nazionali se non locali. |
10.5 |
Nel 2003, nel corso della consultazione relativa al Libro verde sui servizi di interesse generale, i soggetti del settore dei SSIG (enti pubblici locali, operatori, rappresentanti degli utenti) hanno abbondantemente segnalato un sentimento di crescente incertezza giuridica rispetto alle normative comunitarie a loro applicabili, date le loro specificità in particolare per quanto riguarda l'affidamento. Hanno sottolineato che si trovavano in una «zona grigia» pregiudizievole all'assolvimento dei loro compiti. Ciò, allo stesso tempo, ha spinto:
|
10.6 |
La Commissione, tuttavia, non adotta questo approccio, che è in evidente contraddizione con l'approccio settoriale da essa privilegiato, e conta di limitare le sue proposte a una serie di risposte alle «domande frequenti» e a un servizio di informazione interattivo, certamente utili ma senza valore giuridico vincolante. |
10.7 |
Per rispondere alla domanda di certezza giuridica, ai sensi tra l'altro dell'articolo 16 del Trattato sul funzionamento dell'UE, che dischiude nuove prospettive per quanto riguarda il posto e il ruolo dei SIEG nell'Unione europea, SSIG compresi, occorre portare avanti il lavoro di chiarimento dei concetti e dei regimi comunitari applicabili alle attività di servizio pubblico. |
11. La comunicazione Opportunità, accesso e solidarietà: verso una nuova visione sociale per l'Europa del XXI secolo
11.1 |
Il CESE accoglie con favore gli obiettivi enunciati nella comunicazione Opportunità, accesso e solidarietà: verso una nuova visione sociale per l'Europa del XXI secolo (21), una comunicazione che è rivolta ai cittadini, alla società civile e alle imprese dell'UE, comprese le PMI, e si fonda su strumenti europei fondamentali come il mercato unico, la strategia di Lisbona per la crescita e l'occupazione e la strategia in materia di sviluppo sostenibile. |
11.2 |
Le trasformazioni attualmente in corso nelle società europee (tra queste: il passaggio all'Europa a 27 con 500 milioni di cittadini, i cambiamenti demografici, la globalizzazione, i progressi tecnologici e lo sviluppo economico) possono portare nuove opportunità di lavoro e nuove abilità, ma l'adattamento ai cambiamenti comporta sempre un rischio di disoccupazione e di esclusione. |
11.3 |
Il CESE sostiene l'idea che l'UE debba svolgere un ruolo più incisivo nel facilitare, anticipare e incoraggiare tali trasformazioni strutturali promovendo nel contempo i valori europei a livello mondiale. La comunicazione delinea una nuova visione sociale per l'Europa del XXI secolo, imperniata sulle «opportunità di successo», ed è intesa a completare il processo di consultazione che aveva come scadenza il 15 febbraio 2008. Nel dibattito sulle trasformazioni sociali e sul concetto di realtà sociale europea è stato coinvolto, tra gli altri, anche l'Ufficio dei consiglieri per le politiche europee (BEPA), insieme agli Stati membri e alle istituzioni europee. Il CESE accoglie positivamente l'obiettivo che consiste nel garantire che le conclusioni finali di tale dibattito contribuiscano alla preparazione dell'agenda sociale rinnovata, che dovrà essere presentata nel 2008 e tener conto del nuovo quadro istituzionale definito dal Trattato di Lisbona. |
11.4 Ipotesi e osservazioni generali
11.4.1 Realtà sociali in trasformazione
Tutti gli Stati membri stanno vivendo trasformazioni rapide e profonde. In particolare, gli europei manifestano ansia e preoccupazione per le generazioni future (cfr. anche i precedenti pareri e iniziative del CESE, il documento del BEPA, contenente una panoramica dettagliata delle tendenze sociali in atto, e la relazione della Commissione sulla situazione sociale per il 2007).
11.4.2 Una visione sociale per l'Europa imperniata sulle «opportunità di successo»: promuovere il benessere attraverso le opportunità, l'accesso e la solidarietà
— |
«Opportunità — per avviarsi nella vita con buone premesse, realizzare il proprio potenziale e sfruttare al meglio le possibilità offerte da un'Europa innovativa, aperta e moderna. |
— |
Accesso — metodi nuovi e più efficaci per accedere all'istruzione, avanzare nel mercato dell'occupazione, beneficiare di un'assistenza sanitaria e di una protezione sociale di qualità e partecipare alla vita culturale e sociale. |
— |
Solidarietà — promuovere la coesione sociale e la sostenibilità del modello sociale e garantire che nessuno venga escluso.» |
11.4.2.1 |
Il CESE concorda con la Commissione nel ritenere che non vi sia una soluzione unica valida per tutta l'Europa e che le sfide comuni richiedano un'azione congiunta sostenuta da una cittadinanza attiva. |
11.4.2.2 |
Per conseguire una crescita sostenuta e ridurre il rischio di défaillance del sistema di protezione sociale, è fondamentale combattere l'esclusione sociale e migliorare le condizioni di vita creando opportunità per i singoli cittadini. La fiducia e la speranza sono fondamentali per il progresso, la modernizzazione e la disponibilità al cambiamento. |
11.4.3 Principali aree di intervento
Per conseguire gli obiettivi di «opportunità, accesso e solidarietà», l'UE deve investire:
1) |
nei giovani: le nuove trasformazioni sociali e la nuova economia basata sull'innovazione e la tecnologia richiedono maggiore impegno in termini di istruzione e di competenze; investire nei giovani significa esercitare un impatto positivo sia sullo sviluppo economico che sulla coesione sociale. L'agenda di Lisbona ha posto l'istruzione al centro del sistema sociale ed economico europeo, trasformando la conoscenza in un fattore di competitività per l'Europa nel contesto globale; |
2) |
nell'obiettivo di rendere i percorsi professionali gratificanti: per un'economia e un mercato del lavoro dinamici occorrono norme flessibili e standard sociali elevati (cfr. «flessicurezza»); |
3) |
nella longevità e nella salute: l'allungamento dell'aspettativa di vita costituisce un peso per i sistemi di previdenza sociale, ma crea anche nuove opportunità economiche in termini di nuovi servizi, beni e tecnologie. L'UE dovrebbe promuovere nuove politiche sociali che consentano di sfruttare queste opportunità e di rimediare alle carenze degli attuali sistemi di protezione sociale; |
4) |
nella parità tra i sessi: i nuovi modelli economici inducono nuovi schemi sociali. Ad esempio, le politiche del lavoro dovrebbero adeguarsi coerentemente ai nuovi requisiti della parità tra i sessi. Alcune delle proposte della Commissione affrontano le questioni del divario retributivo, del regime fiscale e delle pratiche favorevoli alla famiglia sul luogo di lavoro; |
5) |
nel coinvolgimento attivo e nella non discriminazione: le recenti tornate di allargamento hanno rivelato profonde disparità economiche e sociali tra Stati membri e tra regioni. La Commissione mira a promuovere una nuova politica di coesione basata sull'accettazione della diversità, sull'inclusione attiva, sulla promozione dell'uguaglianza e sull'eliminazione delle discriminazioni; |
6) |
nella mobilità e nel successo dell'integrazione: il mercato unico ha portato ad un aumento della mobilità dei cittadini che ha avuto ripercussioni anche per le PMI. Ciò rende quindi necessari nuovi approcci su scala europea basati sull'integrazione; |
7) |
nella partecipazione civica, nella cultura e nel dialogo: questi aspetti svolgono un ruolo importante nella coesione sociale, coinvolgendo nel contempo risorse economiche collegate all'innovazione e allo sviluppo tecnologico. |
11.4.4 Il ruolo dell'UE
11.4.4.1 |
Il CESE sottolinea il fatto che, benché le politiche elencate siano principalmente di competenza degli Stati membri, l'UE e le parti sociali svolgono un ruolo importante nel guidare e sostenere le azioni e le riforme correlate. L'acquis comunitario è uno strumento essenziale in particolare per quanto riguarda l'allargamento e le politiche di coesione, il Trattato di Lisbona e la Carta dei diritti fondamentali. |
11.4.4.2 |
Il CESE è favorevole alle cinque strategie seguenti, enunciate nella comunicazione:
|
Bruxelles, 18 settembre 2008.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(1) INT/416, R/CESE 1120/2008.
(2) Come richiesto dal Parlamento europeo nella risoluzione del 4 settembre 2007 sulla revisione del mercato unico: superare gli ostacoli e le inefficienze attraverso una migliore attuazione e applicazione (2007/2024 INI).
(3) Il «pacchetto» della Commissione del 20 novembre 2007 è composto dalla comunicazione Un mercato unico per l'Europa del XXI secolo (COM(2007) 734 def.), che stabilisce una serie di iniziative destinate a riposizionare il mercato unico, e da cinque documenti di lavoro intitolati:
— |
The single market: review of achievements (SEC(2007) 1521) |
— |
Instruments for a modernised single market policy (SEC(2007) 1518) |
— |
Implementing the new methodology for product, market and sector monitoring: Results of a first sector screening (SEC(2007) 1517) |
— |
The external dimension of the single market review (SEC(2007) 1519) |
— |
Initiatives in the area of retail financial services (SEC(2007) 1520). |
Esistono altre due comunicazioni intitolate:
— |
Servizi d'interesse generale, compresi i servizi sociali d'interesse generale: un nuovo impegno europeo (COM(2007) 725 def.) accompagnata da diversi documenti di lavoro (SEC(2007) 1514, SEC(2007) 1515 e SEC(2007) 1516), |
— |
Opportunità, accesso e solidarietà: verso una nuova visione sociale per l'Europa del XXI secolo (COM(2007) 726 def.). |
(4) CESE 267/2008 (GU C 162 del 25.6.2008); CESE 1262/2007 (GU C 10 del 15.2.2008), CESE 62/2008 (GU C 151 del 17.6.2008).
(5) CESE 481/2008 (GU C 204 del 9.8.2008) e INT/416, R/CESE 1120/2008.
(6) Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Piccole e medie imprese, essenziali per conseguire una maggiore crescita e rafforzare l'occupazione — Valutazione intermedia della politica moderna a favore delle PMI, COM(2007) 592 def., accessibile alla pagina
http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=CELEX:52007DC0592:IT:NOT
(7) Cfr. il parere CESE 794/2007.
(8) CESE 481/2008 (GU C 204 del 9.8.2008).
(9) Organizzazione europea dell'artigianato e delle piccole e medie imprese per la standardizzazione.
(10) Relazione dell'OMC sul commercio mondiale 2005 Exploring the Links between Trade, Standards and the WTO, consultabile alla pagina
http://www.wto.org/english/res_e/booksp_e/anrep_e/world_trade_report05_e.pdf
(11) CESE 767/2008 (SOC/283), COM(2007) 359 def.: Verso principi comuni di flessicurezza: Posti di lavoro più numerosi e migliori grazie alla flessibilità e alla sicurezza.
(12) CESE 999/2007 (GU C 256 del 27.10.2007).
(13) Cfr. conclusioni del Consiglio europeo del 13-14 marzo 2008.
(14) COM(2007) 725 def.
(15) CESE 427/2007 (GU C 161 del 13.7.2007), CESE 976/2006 (GU C 309 del 16.12.2006), CESE 121/2005 (GU C 221 dell'8.9.2005) e CESE 1125/2003 (GU C 80 del 30.3.2004).
(16) COM(2007) 725 def. del 20 novembre 2007, riquadro 3, pag. 10.
(17) Comunicazione della Commissione Attuazione del programma comunitario di Lisbona:i servizi sociali d'interesse generale nell'Unione europea (COM(2006) 177 def. del 26 aprile 2006) e I servizi di interesse generale, compresi i servizi sociali di interesse generale: un nuovo impegno europeo (COM(2007) 725 def. del 20 novembre 2007).
(18) Frequently Asked Questions concerning the Application of Public Procurement Rules to Social Services of General Interest (SEC(2007) 1514 del 20 novembre 2007).
(19) Cfr. l'articolo 2, paragrafo 1 e paragrafo 2, lettera j) della direttiva sui servizi.
(20) Relazione Rapkay del 14 settembre 2006 e relazioni Hasse Ferreira e Toubon del 2007.
(21) COM(2007) 726 def.
31.3.2009 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 77/23 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Iniziativa europea per lo sviluppo del microcredito a sostegno della crescita e dell'occupazione
COM(2007) 708 def./2
(2009/C 77/04)
La Commissione europea, in data 13 novembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:
Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Iniziativa europea per lo sviluppo del microcredito a sostegno della crescita e dell'occupazione
La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 15 luglio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore PEZZINI.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere all'unanimità.
1. Conclusioni e raccomandazioni
1.1 |
Il Comitato accoglie con favore le iniziative della Commissione volte a dare un più forte sostegno alla creazione e alla crescita della microimpresa, nonché al rafforzamento e allo stimolo dello spirito imprenditoriale per allargare la base produttiva e occupazionale della Comunità, in un'ottica di maggiore competitività, di maggiore coesione e di migliore qualificazione dell'economia della conoscenza, secondo gli obiettivi della rinnovata agenda della strategia di Lisbona. |
1.2 |
Il Comitato mentre plaude all'iniziativa tesa a creare una nuova struttura comunitaria di sostegno al microcredito, ritiene però insufficiente una semplice azione di stimolo rivolta agli Stati membri, dato che il settore non bancario, escluso dalle direttive bancarie CE, presenta un'insufficiente base normativa in molti Stati membri e una difformità di disposizioni di base. |
1.3 |
Un'azione pilota per microinvestimenti, socialmente responsabili, che accomuni istituti di microcredito bancari e non bancari in un sistema a rete europeo — attraverso la realizzazione di Memorandum of Understanding for Socially Responsible Investments, con i singoli istituti ed il supporto delle associazioni di categoria, — dovrebbe mirare prioritariamente, a parere del Comitato, ai soggetti «con deboli possibilità di credito bancario»:
|
1.4 |
Il Comitato è convinto che l'applicazione delle nuove tecnologie in modo innovativo al microcredito sia in grado di incrementare, con un sistema a rete, il raggio di azione della microfinanza, aumentare la concorrenza, e ridurre così i costi per gli utenti. |
1.5 |
Il Comitato ritiene, altresì, che un'azione di sostegno al microcredito debba essere accompagnata da un'azione di crediti formativi, per facilitarne lo sviluppo e il successo sul mercato, per evitare esclusioni sociali e per realizzare sempre meglio gli obiettivi indicati dalla strategia di Lisbona. |
1.6 |
Pur condividendo che i cambiamenti per quanto riguarda il quadro istituzionale e giuridico a sostegno del microcredito rivestano prevalentemente il livello degli Stati membri e che siano attuati attraverso i meccanismi del ciclo annuale di governance del processo di Lisbona, il Comitato ritiene che sia indispensabile potenziare il sistema di riferimento europeo, in particolare per:
|
1.7 |
Per quanto concerne la proposta di un'apposita struttura comunitaria di sostegno presso il dipartimento Jeremie del Fondo europeo per gli investimenti, il Comitato ritiene che tale soluzione non permetterebbe di dare una visibilità ottimale all'iniziativa mentre, d'altro canto, sarebbe limitativa del ruolo di coordinamento che essa dovrebbe avere nei confronti delle varie iniziative già in essere, né di affiancare alle attività di assistenza tecnica le altre attività. Il Comitato ritiene quindi che debba essere costituito un dipartimento a sé stante, che possa agire da Fondo per il microcredito. |
1.8 |
Il finanziamento e l'assistenza tecnica da parte della nuova struttura non dovrebbe peraltro riguardare i soli istituti MCI nuovi e non bancari, ma ricomprenderli tutti per non incappare in distorsioni di concorrenza. |
1.9 |
L'iniziativa comunitaria MFI dovrebbe includere anche il rafforzamento del dialogo sociale e del dialogo tra i vari soggetti della società civile, e la valorizzazione delle reti europee di scambio di buone prassi, quali l'European Microfinance Network, il Microfinance Center e la Piattaforma europea di microfinanza. |
1.10 |
Secondo il Comitato, l'iniziativa MFI deve valorizzare il ruolo delle associazioni imprenditoriali, nella verifica dell'affidabilità e della competenza dei proponenti, nello sviluppo di un forte potenziale relazionale e fiduciario, nel sostegno e accompagnamento, anche formativo e di consulenza, per far emergere le capacità autonome dei beneficiari e per ridurre e semplificare gli oneri amministrativi, in particolare nella preparazione dei business plan. |
1.11 |
L'istituzione di un fondo per il microcredito, razionalmente collegato con le istituzioni finanziarie, con le amministrazioni dello Stato (2), con le organizzazioni di categoria e con i consorzi e cooperative di garanzia (Confidi), può rappresentare un'esperienza importante, per orientare l'ingegneria finanziaria verso forme di «gestione sociale» del credito. |
1.12 |
Una visione sociale del credito, che può essere anche alla base della creazione di un fondo per il microcredito, è strettamente legata ai principi della responsabilità sociale delle imprese e ai valori di una migliore e più diffusa occupazione. |
1.13 |
Il sostegno alla certificazione ambientale EMAS può, meglio di altri strumenti, favorire una crescita sociale delle imprese e agevolare la diffusione, consapevole, di un fondo per il microcredito. |
2. Introduzione
2.1 |
L'Osservatorio PMI ha rilevato, nell'aprile del 2007, che l'ostacolo maggiore all'innovazione di prodotto e di processo, per le PMI europee, risiede nell'accesso al credito, seguito dalla difficoltà nel reperire risorse umane qualificate. Mentre per le imprese di maggiori dimensioni i problemi si incentrano nelle risorse umane. |
2.2 |
I principali gap che si constatano sul mercato, sono rappresentati da carenze di capitali d'avviamento, da un'insufficiente offerta di fondi e da un'inadeguatezza della domanda. Tali questioni sono state affrontate dalla Commissione nella sua comunicazione Attuare il programma comunitario di Lisbona: Finanziare la crescita delle PMI — Promuovere il valore aggiunto europeo (3), sulla quale il Comitato ha avuto modo, a più riprese, di pronunciarsi (4). |
2.3 |
In particolare, il CESE ha rilevato che «occorre potenziare le politiche di aiuto all'avvio e allo sviluppo delle imprese, anche consentendo loro di iniziare in modo più rapido e meno costoso la propria attività, adottando misure per migliorare l'accesso al capitale di rischio, aumentando i programmi di formazione d'impresa — misure intese a facilitare il loro accesso alle reti e ai servizi di pubblica utilità — e creando una rete più fitta di servizi di sostegno per le piccole imprese» (5). |
2.3.1 |
Il Comitato ribadisce, come già sottolineato in precedenti pareri (6), che «anche le società cooperative, le imprese consociate e le cooperative mutualistiche, oltre alle imprese in fase di avvio e alle microimprese innovative, possono contribuire al rafforzamento della competitività e della capacità innovativa nell'UE». |
2.4 |
D'altra parte il Comitato ha sottolineato che «un problema fondamentale è facilitare l'accesso ai mercati finanziari» e che «gli istituti di credito e altri attori finanziari interessati, come i fondi di capitale di rischio (venture capital), dovrebbero essere incoraggiati ad adottare un atteggiamento più favorevole all'assunzione del rischio» (7). |
2.5 |
La Commissione europea ha annunciato, nell'autunno del 2007, l'esame di una serie di iniziative per le PMI, tra le quali un'iniziativa europea per l'istituzione di una nuova struttura di sostegno al microcredito (8). |
2.6 |
Il microcredito è generalmente riconosciuto da tutti come uno strumento finanziario avente un grande impatto sulla imprenditorialità, sullo sviluppo economico e sull'inclusione sociale produttiva, ma che presenta ancora molte carenze e imperfezioni dovute alle difficoltà nell'ottenimento di investimenti nel capitale iniziale d'impresa, specie quando il richiedente è inoccupato, di recente immigrazione, appartenente a una minoranza etnica o risiede in una regione della Convergenza. |
2.7 |
Un altro problema nasce dal fatto che, per l'istituzione finanziaria, vi sono delle economie di scala legate ai costi fissi della transazione come la raccolta di informazioni, la valutazione, il seguito dato al prestito. Ciò è particolarmente vero per l'erogazione di microprestiti specie ad attività autonome e a PMI insufficientemente trasparenti e con limitate capacità di fornire una adeguata informazione all'istituzione finanziaria. |
2.8 |
La definizione internazionale di microcredito è: «un prestito di dimensioni ridotte — al di sotto di 25 000 euro in Europa (9) e di 100 000 USD negli Stati Uniti — a percettori di basso reddito, che generalmente non hanno accesso al credito bancario o perché sono insufficientemente solventi e/o perché il costo di transazione è considerato troppo elevato» (10). Dalla definizione di microcredito è escluso il credito al consumo. |
2.9 |
Il Comitato concorda con la Commissione sul ruolo importante svolto dal microcredito nella realizzazione della strategia di Lisbona per la crescita e l'occupazione e nella promozione dell'integrazione sociale, e ritiene essenziale che venga preservata la sua funzione principale di promozione della crescita del lavoro autonomo e dello sviluppo di microimprese, senza trasformarlo in mero aiuto sociale. |
2.10 |
Secondo il Comitato, il microcredito nell'UE deve rispondere ai problemi evidenziati dai fallimenti del mercato nell'assicurare l'accesso al credito per imprenditorialità necessario per iniziare o ampliare attività economicamente produttive, anche nell'ambito della politica di assistenza e di cooperazione allo sviluppo (11). |
2.11 |
A livello comunitario, il CIP — Micro-credit Guarantee, sostenuto dal FEI (12), assicura un sistema di garanzie per il microcredito, erogato da istituzioni locali a microimprese (13); attualmente però non vi è una normativa specifica comunitaria sul microcredito, a parte quella per il settore del microcredito bancario, che è sottoposto alla regolamentazione bancaria europea (14), oltre a riferimenti al microcredito che si trovano in vari programmi e iniziative comunitarie (15). |
2.12 |
D'altra parte, negli Stati membri il settore del microcredito è regolato e gestito in modi differenti. Solo due Stati membri prevedono legislazioni specifiche, che disciplinano il settore non bancario della microfinanza (16), anche se esistono normative antiusura in altri quattro Stati membri (17). |
2.13 |
Il Consiglio europeo di primavera ha indicato, tra l'altro, un interesse prioritario immediato, per una «ulteriore agevolazione dell'accesso ai finanziamenti anche attraverso gli strumenti finanziari dell'UE esistenti» (18) e per «promuovere una maggiore partecipazione complessiva della forza lavoro per combattere la segmentazione e per garantire l'inclusione sociale attiva». |
2.14 |
Il Comitato ritiene che un quadro giuridico e di sostegno più ampio potrebbe contribuire a una maggiore promozione della creazione di nuove imprese produttive ed al loro consolidamento, evitando rischi di emarginazione ed esclusione dal sistema produttivo, che possono alimentare piaghe sociali e criminali, come il ricorso all'usura. |
3. La proposta della Commissione
3.1 |
La Commissione formula due line d'azione:
|
4. Quadro di sviluppo del microcredito, a sostegno della crescita e dell'occupazione
4.1 |
Il microcredito costituisce una leva di inserimento sociale e permette alle persone e alle imprese economicamente deboli ed escluse dal sistema bancario classico, di accedere a risorse finanziarie, indispensabili alla creazione e allo sviluppo di attività generatrici di reddito. |
4.2 |
A livello comunitario, il Small Business Act per l'Europa (19), il cui obiettivo dichiarato è di definire principi e misure concrete per migliorare l'ambiente delle PMI europee, dovrebbe permettere di identificare ed abbattere gli ostacoli che impediscono di liberare le potenzialità della minore impresa, con maggiori sforzi di semplificazione, migliore accesso al credito, regole appropriate per l'energia e l'ambiente. |
4.3 |
A parere del Comitato, dovrebbe essere realizzato anche un migliore coordinamento dei numerosi strumenti attivati al riguardo, facendo tesoro dell'esperienza di quelli già in passato realizzati e degli strumenti tuttora operanti, per quanto riguarda il microcredito, come ricordato nella comunicazione della Commissione stessa (20), e cioè:
|
4.3.1 |
Il Comitato ritiene che, nella definizione della nuova azione comunitaria per il microcredito, sia opportuno tener in debito conto le esperienze positive che sono state realizzate nella messa a punto e nell'applicazione pluriennale concreta dall'EU/ACP — Microfinance Framework Programme della DG Europaid. |
4.4 L'ingegneria finanziaria e il «Fondo europeo per il microcredito»
4.4.1 |
Le istituzioni finanziarie europee, a partire dall'inizio degli anni Ottanta (24), e soprattutto grazie alle riflessioni e ai suggerimenti nati nei dibattiti che si sono tenuti nelle «Conferenze europee dell'artigianato e della piccola impresa» (25), hanno diffuso e sostenuto, negli Stati membri, la cultura dell'ingegneria finanziaria (26). |
4.4.2 |
La necessità di dare concreta attuazione a linee operative, che riducessero le difficoltà di accesso al credito, e contribuissero a organizzare l'ingegneria finanziaria, spinse la Commissione e la BEI, anche sotto la pressione delle Organizzazioni europee delle piccole imprese, a far nascere il FEI (27), il quale, dopo una prima breve parentesi, nella quale si occupò anche di sostenere le reti di comunicazione (28), ha rivolto il suo impegno a sostenere, con diverse forme di garanzia, e soprattutto con azioni di ingegneria finanziaria, gli interventi di sostegno rivolti alle micro, alle piccole e alle medie imprese (PMI). |
4.4.3 |
Grazie ai programmi pluriennali della Commissione, rivolti alle micro, piccole e medie imprese ed alla cooperazione, e ultimamente attraverso l'Asse uno del CIP (29), le azioni di ingegneria finanziaria si sono sviluppate attraverso:
|
4.4.4 |
Il CESE, in più occasioni, ha avuto modo di esprimere il proprio apprezzamento per gli interventi attuati, soprattutto negli ultimi quindici anni, dalla Commissione, dalla BEI e dal FEI, per il sostegno della piccola impresa. Esso ha riconosciuto l'ampliamento e la modernizzazione del sostegno finanziario della BEI alle PMI (32), ma ritiene che si potrebbero aumentare gli sforzi, anche attraverso programmi concordati con:
|
4.4.5 |
A livello dei singoli Stati, potrebbe essere costituita una rete di microcreditfondi , dotata di fondi a rotazione, alimentati dalla BEI, e con garanzie aggiuntive del FEI, che dovrebbe articolarsi a diversi livelli. A livello regionale (NUTS II) e a livello provinciale (NUTS III), l'erogazione dei prestiti potrebbe avvenire attraverso l'organizzazione dei confidi, ove esistano (33). I confidi hanno già una notevole esperienza nel campo del seed capital e, con un opportuno fondo rischi, controgarantito dal FEI, potrebbero concedere, a loro volta, una garanzia fideiussori. |
4.4.5.1 |
Questa nuova proposta dovrebbe essere chiarita per quanto attiene alla creazione del microcreditfondo da parte della BEI e della Commissione europea. L'obiettivo di questa iniziativa è quello di appoggiare le istituzioni di microfinanza in Europa attraverso il reperimento di fondi (sovvenzioni, prestiti, crediti mezzanini o strumenti rappresentativi del capitale) e l'assistenza tecnica. Il FEI sta istituendo questo microfondo con un capitale iniziale di circa 40 milioni di euro (di cui 20 milioni di euro provenienti dalla BEI) per queste attività di sostegno e, a parere del CESE, dovrebbe, in futuro, gestire il fondo. |
4.4.6 |
Il microprestito potrebbe essere sufficiente per l'acquisto di materiali e di semplici attrezzature, necessari per l'inizio di un'attività imprenditoriale, o per il rinnovo di attrezzature, sempre necessarie, in una microimpresa (34). |
4.4.6.1 |
Particolare attenzione dovrebbe essere riservata, a parere del Comitato, al microcredito rivolto alle donne imprenditrici. In questi casi dovrebbe essere posta una maggiore attenzione alla flessibilità, alla modalità e ai criteri di erogazione del credito, per venire incontro a obiettive condizioni di disagio sociale e psicologico, che possono acuirsi in casi di:
|
4.4.6.2 |
Le modalità e la gestione del microcredito, rivolto allo sviluppo dell'attività femminile, dovrebbero tener conto, in modo prevalente, delle priorità di inserimento e di reinserimento sociale ed economico delle donne nel tessuto produttivo della società, tenuto conto della necessità di impegnarsi contro il pericolo della disistima, e rafforzare lo sviluppo della cultura imprenditoriale e la capacità di assumere maggiori responsabilità e rischi. |
4.4.7 |
Il microprestito dovrebbe rivolgersi, anche, come opportunità per il giovane che, animato dal desiderio di essere imprenditore di se stesso, con una sufficiente preparazione professionale, ma privo di possibilità economiche, desideri iniziare un'attività autonoma. |
4.4.7.1 |
La prima garanzia sul prestito, che comunque deve essere erogato da un'istituzione finanziaria, bancaria o non bancaria, è costituita dalle attrezzature acquistate. Ma ciò che induce le istituzioni finanziarie a essere meno fiscali nella concessione del prestito (35), è il fatto che esista un «Fondo europeo per il microcredito», dotato di risorse finanziarie e di expertise, in grado di intervenire, periodicamente, attraverso il FEI, i confidi, e le organizzazioni di categoria per sanare eventuali insolvenze accumulate, ma che abbia anche la capacità e la volontà di promuovere standard ottimali di solidità, diversificazione e miglioramento della produzione, trasparenza e lotta all'usura (36). |
4.4.8 |
Le indagini effettuate sulle insolvenze delle micro e delle piccole imprese, negli ultimi dieci anni, nei principali paesi europei, ci dicono che le insolvenze non superano il 4 % dei prestiti erogati (37). Ciò significa che, trattandosi di una percentuale inferiore al 5 %, il moltiplicatore che può essere utilizzato, per garantire il credito concesso dalle istituzione finanziarie, equivale a 20. |
4.4.9 |
Con un moltiplicatore equivalente a 20 e con una garanzia fideiussoria che copra il 50 % della insolvenza di ogni singolo debitore, un confidi, con un fondo rischi di un milione di euro, potrebbe garantire prestiti, fino a 40 milioni di euro, a un gran numero di imprenditori (38). |
4.4.9.1 |
Il sistema dei «Consorzi fidi», attraverso la concessione di garanzie, ha consentito, nel 2007, finanziamenti alle imprese artigiane italiane per circa 6 miliardi di euro. |
4.4.10 |
Ogni anno nascono, nell'UE a 27, circa 500 000 nuove imprese. Un numero leggermente inferiore è rappresentato dalle imprese che muoiono (39). Il 99 % delle imprese che nascono annualmente è rappresentato da PMI e, fra queste, almeno 240 000 sono imprese formate dal solo titolare (40). |
4.4.11 |
Se riprendessimo l'esempio riportato al punto 4.4.9 potremmo, con un milione di euro a fondo rischi, e con l'ingegneria finanziaria, garantire, attraverso un microcreditfondo, un prestito di 25 000 euro a 1 600 piccoli imprenditori. |
4.5 La gestione sociale del credito
4.5.1 |
Come è stato già osservato, il credito rappresenta uno degli strumenti fondamentali nello sviluppo economico e sociale e nella realizzazione di una «economia sociale di mercato». |
4.5.2 |
Per questo motivo, sono emerse man mano, e hanno acquistato spazio, nuove sensibilità verso una visione del credito, non più concepito come semplice rapporto tra il cliente e l'istituto finanziario, ma come uno strumento di alto valore sociale, per i suoi legami con una migliore e più sicura occupazione e con lo sviluppo economico. |
4.5.3 |
Da questa nuova e più ampia visione, discende la necessità di ripartire, tra più soggetti, i rischi legati all'erogazione del credito. |
4.5.4 |
La ripartizione dei rischi del credito tra più enti:
|
4.5.5 |
In virtù del valore sociale, la concessione di un credito deve sempre più e sempre meglio essere subordinata al principio della responsabilità sociale dell'impresa e richiede, da parte dell'imprenditore, la preparazione e l'adesione ai valori dello sviluppo sostenibile. |
4.5.6 |
La certificazione ambientale EMAS (41), meglio di altre certificazioni, potrebbe essere messa come condizione, all'interno di un processo di ingegneria finanziaria, legata alla funzione sociale del credito. |
4.5.7 |
In questi ultimi anni, solo poche decine di migliaia di imprese hanno potuto utilizzare gli strumenti finanziari comunitari (42). Vi è, quindi, un grosso divario tra la fenomenologia del problema e i risultati ottenuti. Ciò induce a riflettere sulle possibilità concrete di intervenire con sistemi in grado di coinvolgere maggiormente le istituzioni finanziarie e di moltiplicare i risultati. |
4.5.8 |
Il 20 e 21 novembre 1997 il Consiglio europeo straordinario di Lussemburgo, indetto con un solo punto all'ordine del giorno — vale a dire l'occupazione — varò, fra l'altro, tre iniziative concrete per aiutare le aziende a mantenersi competitive sui mercati, e chiese alla Commissione di fare delle proposte che consentissero al mondo economico di rafforzarsi e di aumentare l'occupazione. Le tre iniziative suddette erano: MET-avviamento, JEV (Impresa comune europea) e PMI-garanzia. Di queste iniziative, ben due: MET-avviamento e PMI-garanzia, erano rivolte ad agevolare l'accesso al credito. |
4.5.8.1 |
Alla fine del 2005, oltre 277 000 PMI avevano beneficiato delle facilities (43) del programma Crescita e occupazione e del MAP (programma pluriennale). |
4.5.8.2 |
Il SME Guarantee Facility è uno dei più importanti programmi europei, rivolti alle PMI (44). |
4.5.9 |
Quando si parla di capitale di rischio nelle micro (23 milioni di imprese in Europa) e piccole imprese (1,1 milioni di imprese in Europa), di cui circa il 90 % sono ditte individuali o società di persone, ci riferiamo al solo 5-6 % di questo universo. |
4.5.10 |
Quindi, il Comitato ritiene che occorra necessariamente ipotizzare forme di sostegno al credito che si rivolgano anche a società di persone, come ipotizzato con gli strumenti dell'ingegneria finanziaria, altrimenti la sua applicazione rimane residuale, impedendo in tal modo alla micro e piccola impresa di crescere in termini di cultura finanziaria. |
Bruxelles, 18 settembre 2008.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(1) Cfr. gli studi del Premio Nobel Harry Markovitz sulle correlazioni tra diversificazione del portafoglio, la riduzione del rischio e le compensazioni nelle fluttuazioni dei ritorni d'investimento (efficiency curve) con effetti di stabilizzazione del ciclo economico.
(2) In molti Stati le amministrazioni regionali e locali sostengono, con finanziamenti rivolti ai Confidi, lo sviluppo delle PMI.
(3) COM(2006) 349 def. del 29 giugno 2006.
(4) Parere CESE 599/2007, GU C 168 del 20.7.2007, pag. 1 — relatori: VAN IERSEL e GIBELLIERI.
(5) Parere CESE 982/2007, GU C 256 del 27.10.2007, pag. 8 — relatrice: FAES.
(6) Parere CESE 1485/2005 sul Programma Competitività e Innovazione 2007-2013, relatori: WELSCHKE e FUSCO.
(7) Cfr. nota 4 e 5.
(8) Già dal 1997, con PMI-garanzia, la Commissione organizzò, con il FEI, il sostegno al microcredito.
(9) SEC(2004)1156; programma competitività e innovazione, decisione n. 1639/2006/CE.
(10) Cfr. il sito web Eurofi Francia: www.eurofi.net
(11) Cfr. regolamento (CE) n. 1905/2006 del Parlamento e del Consiglio che istituisce uno strumento per il finanziamento della cooperazione allo sviluppo.
(12) FEI, Fondo europeo per gli investimenti.
(13) Per la definizione di microimprese cfr. la raccomandazione 2003/361/CE.
(14) Direttiva 2006/48/CE — CRD (Capital Requirement Directive).
(15) Cfr. l'iniziativa Jeremie; l'iniziativa crescita e occupazione (decisione 98/347/CE); il programma pluriennale per le PMI; il programma competitività e innovazione (decisione n. 1639/2006/CE); il FEASR (regolamento (CE) n. 1698/2005); il Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (regolamento (CE) n. 1927/2006).
(16) Francia e Romania. Inoltre il Regno Unito e la Finlandia, pur non avendo una legislazione specifica, prevedono, nei loro ordinamenti, alcune esenzioni in materia.
(17) Belgio, Germania, Italia e Polonia.
(18) 13-14 marzo 2008, punto 11.
(19) Cfr. in proposito anche il parere CESE 977/2008, relatore: CAPPELLINI.
(20) Cfr. COM(2007) 708 def., allegato 3.
(21) CIP, Competitiveness and Innovation Program 2007-2013.
(22) EMN, European Microfinance Network; MFC, Microfinance Center per l'Europa centrale e orientale.
(23) FEASR, Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale.
(24) 1982: Anno europeo dell'artigianato e della piccola impresa.
(25) 1990: Avignone; 1994: Berlino; 1997: Milano.
(26) L'ingegneria finanziaria si basa sul principio che, il sostegno finanziario al piccolo imprenditore, che vuole dar vita a una nuova attività, o che vuole investire in nuovi prodotti o in nuovi processi, non può essere circoscritto al rapporto tra il piccolo imprenditore e l'istituzione finanziaria, ma, data la funzione sociale dell'impresa, deve vedere coinvolti altri soggetti, che si assumano responsabilità a livelli diversi e possano ripartirsi parte dei rischi e dei costi.
(27) FEI, Fondo europeo per gli investimenti. Nacque nel 1994, grazie all'impulso dell'allora DG XXIII (Si trattava della direzione generale nata per sostenere la piccola impresa e l'artigianato, grazie alla quale erano state organizzate le «Conferenze europee»), e della DG II (Economia e finanza). Il FEI nacque con una dotazione finanziaria di un miliardo di ECU, da parte della BEI, di ottocento milioni di ECU, da parte della Commissione, e di duecento milioni di ECU, lasciati, come quote di partecipazione, in frazioni da due milioni ciascuna, alle istituzioni finanziarie europee. Oltre cinquanta istituzioni finanziarie europee aderirono subito all'iniziativa.
(28) Cfr. metropolitana di Lilla.
(29) CIP, Asse 1: Sostegno all'imprenditorialità. Asse 2: Sostegno alle TIC. Asse 3: Sostegno all'energia intelligente per l'Europa.
(30) La cartolarizzazione si attua mediante la cessione di una parte o di tutto il monte debiti di un consorzio fidi (o di una banca) a istituzioni finanziarie specializzate, per consentire, soprattutto ai consorzi fidi, di aumentare la loro possibilità di garanzia di credito nei confronti delle imprese.
(31) Il mezzanine finance si basa più sui flussi di cassa attesi dalle imprese finanziate che sulle garanzie reali. Esso si può attuare in due forme: 1) Debito subordinato (prestito a tasso fisso o indicizzato); 2) Equity kicker (il creditore/investitore ha diritto a una quota percentuale dell'incremento di valore della proprietà alla quale si riferisce il prestito). La scadenza del mezzanine finance va dai 4 agli 8 anni.
(32) http://www.eib.org/projects/publications/sme-consultation-2007-2008.htm
(33) Il sistema dei confidi è ben radicato in molti paesi europei ed è presente e attivo a livello di Federazione europea.
(34) Le microimprese rappresentano il 94 % di tutte le imprese private, non agricole, europee.
(35) L'ingegneria finanziaria, togliendo alle istituzioni finanziarie una buona percentuale di rischio, consente loro di erogare, con più facilità e a minori costi, i prestiti, soprattutto ai nuovi e poco conosciuti imprenditori.
(36) Azioni congiunte, tra banche e associazioni di categoria, rivolte ad una migliore gestione finanziaria delle microimprese, vennero già indicate nei documenti della prima conferenza europea dell'artigianato di Avignone, del 1990 e della seconda conferenza di Berlino del 1994 e vennero sviluppate, in particolare, dal sistema delle «Banche popolari tedesche» con le Organizzazioni di categoria (ZDH).
(37) Cfr. FedartFidi UE, Federazione europea dei confidi artigiani, degli Stati che hanno sistemi di confidi operativi.
(38) Il 5 % di 40 milioni di euro corrisponde a 2 milioni, ma il confidi risponde solo per il 50 % del debito non onorato, quindi con 1 milione di euro che ha a disposizione nel proprio fondo rischi. La cartolarizzazione di questo fondo rischi può permettere al Confidi di erogare nuovi prestiti fino a un nuovo plafond di 40 milioni di euro.
(39) Fonte: Osservatorio europeo delle imprese.
(40) Nell'UE, il 49 % delle microimprese non ha dipendenti. Si tratta di un'impresa individuale.
(41) Cfr. il regolamento (CEE) n. 1836/93 e il regolamento (CE) n. 761/2001.
(42) Documento di consultazione sul programma comunitario in favore dell'imprenditorialità e della competitività, 2006-2010 DG Imprese e industria, 2004, punto 118.
(43) Fonte: COM(2007) 235 def. — Relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sugli strumenti finanziari previsti dal programma pluriennale a favore dell'impresa e dell'imprenditorialità, in particolare delle piccole e medie imprese (PMI) (2001-2006)
(44) Al 31 dicembre 2005, l'utilizzazione media ha raggiunto il 67 % dello sportello garanzia sui prestiti, il 66 % per lo sportello microcredito e il 65 % per la partecipazione al capitale dell'impresa.
31.3.2009 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 77/29 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 76/769/CEE del Consiglio per quanto riguarda restrizioni dell'immissione sul mercato e dell'uso di talune sostanze e preparati pericolosi (diclorometano)
COM(2008) 80 def. — 2008/0033 (COD)
(2009/C 77/05)
Il Consiglio, in data 10 marzo 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:
Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 76/769/CEE del Consiglio per quanto riguarda restrizioni dell'immissione sul mercato e dell'uso di talune sostanze e preparati pericolosi (diclorometano)
La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 15 luglio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore SEARS.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato all'unanimità il seguente parere.
1. Sintesi e raccomandazioni
1.1 |
La proposta in esame mira a modificare la direttiva del Consiglio 76/769/CEE aggiungendo restrizioni all'immissione sul mercato e all'uso del diclorometano (DCM) quando è usato come componente principale degli svernicianti per usi industriali, professionali e domestici. |
1.2 |
Si tratta dell'ultima modifica di questo tipo della direttiva del Consiglio 76/769/CEE, che verrà sostituita il 1o giugno 2009 dal regolamento (CE) n. 1907/2006 (REACH). |
1.3 |
Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) riconosce le notevoli difficoltà scientifiche e politiche che la Commissione ha dovuto affrontare nel proporre e raggiungere un accordo su una modifica proporzionata ed efficace sotto il profilo costi-benefici che, come richiesto dalla direttiva 76/769/CEE, salvaguardi il mercato interno e al tempo stesso garantisca un elevato livello di protezione per la salute umana e per l'ambiente. |
1.4 |
Il CESE concorda sull'esistenza di prove convincenti del fatto che, in caso di elevate concentrazioni di vapore dovute alla notevole volatilità del DCM, si possono verificare casi di perdita di coscienza o di morte. Tali casi sono dovuti a cattive pratiche industriali, compresa una ventilazione insufficiente. Le prove a sostegno di un rischio grave e costante per gli utenti domestici occasionali sono meno convincenti. La proposta di vietare le vendite di DCM risulta quindi sproporzionata e, dati i rischi noti, seppur non ancora quantificati, dei prodotti e dei processi alternativi, è improbabile che possa portare ad una riduzione complessiva del tasso di infortuni registrato attualmente, che è piuttosto modesto. |
1.5 |
Il CESE osserva anche che, come rilevato dai consulenti esterni che hanno lavorato per la Commissione, i rischi specifici del DCM non sono pienamente coperti dai pittogrammi o dalle frasi di rischio e sicurezza attualmente in uso. Lo stesso vale per i rischi per i bambini, più comuni in ambiente domestico. Si tratta però di una carenza imputabile al sistema di etichettatura, non ai prodotti o alle persone interessate. Per correggere questa situazione il CESE avanza quindi raccomandazioni sull'imballaggio e sull'etichettatura. |
1.6 |
Il CESE individua anche altri problemi, soprattutto l'assenza di limiti di esposizione occupazionale (OEL) concordati e di orientamenti o regolamenti sulle buone pratiche industriali. Il TRGS 612 tedesco è considerato un ottimo modello a tale proposito. |
1.7 |
Il CESE sottopone una serie di altri punti di ordine generale all'attenzione della Commissione, del Parlamento europeo e degli Stati membri, nella speranza che si possa raggiungere un accordo. Se ciò non sarà possibile si creerà una frattura nel mercato interno. Gli utilizzatori, sul luogo di lavoro e al di fuori, resteranno esposti ai rischi. |
2. Base giuridica
2.1 |
Come osservato in precedenza, il regolamento (CE) n. 1907/2006 del 18 dicembre 2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, concernente la registrazione, la valutazione, l'autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH), entrerà in vigore il 1o giugno 2009 e abrogherà e sostituirà una serie di regolamenti e direttive vigenti della Commissione e del Consiglio, fra cui la direttiva del Consiglio 76/769/CEE del 27 luglio 1976 sulle restrizioni in materia di immissione sul mercato e di uso di talune sostanze e preparati pericolosi. |
2.2 |
L'allegato I della direttiva del Consiglio 76/769/CEE stabilisce le restrizioni specifiche che sono state decise e introdotte negli ultimi 30 anni in materia di immissione sul mercato e di uso di talune sostanze e preparati pericolosi. Il 1o giugno 2009 queste diverranno la pietra miliare dell'allegato XVII del regolamento (CE) n. 1907/2006 (REACH). |
2.3 |
Le precedenti modifiche alla direttiva del Consiglio 76/769/CEE (apportate per aggiungere ulteriori misure restrittive) hanno assunto la forma di direttive che richiedevano il recepimento da parte degli Stati membri. Questa volta invece la Commissione presenta una proposta di decisione, che avrà quindi effetto immediato, e non una proposta di direttiva. Non necessiterà quindi di un recepimento mediante norme nazionali che in ogni caso sarebbero state anch'esse abrogate il 1o giugno 2009, con l'entrata in vigore del regolamento (CE) n. 1907/2006 (REACH). |
2.4 |
Tutte le successive proposte di restringere l'immissione sul mercato e l'uso di talune sostanze e preparati pericolosi saranno disciplinate dal regolamento (CE) n. 1907/2006 (REACH). |
2.5 |
Le sostanze (e i preparati che le contengono) per le quali si è ritenuto necessario introdurre restrizioni all'immissione sul mercato e all'uso sono emerse in linea generale da valutazioni di talune «sostanze prioritarie» individuate dagli Stati membri e pubblicate, ai sensi del regolamento (CEE) n. 793/93 del Consiglio, in quattro elenchi prioritari fra il 1994 e il 2000. |
2.6 |
Anche una serie di sostanze non inserite in questi elenchi è stata valutata per verificarne l'impatto sulla salute umana e sull'ambiente e/o sono state avanzate proposte per restringerne l'immissione sul mercato e l'uso, man mano che nuovi problemi sono stati affrontati su richiesta degli Stati membri. Il DCM rientra in questo gruppo di sostanze. Alcuni Stati membri, per una serie di motivi, hanno già imposto o cercato di imporre restrizioni al suo uso, in particolare come componente di svernicianti. Altri Stati membri ritengono che tali misure siano sproporzionate, costose e rischino di portare a risultati meno soddisfacenti per gli utilizzatori. Vi sono prove (o mancano prove sufficienti) per sostenere o respingere l'una e l'altra posizione. |
2.7 |
Il primo esame completo della proposta in sede di Consiglio ha avuto luogo all'inizio di giugno. Se si riuscirà a trovare un compromesso entro i prossimi mesi, è probabile che la proposta andrà avanti come previsto, altrimenti essa verrà a cadere. In quest'ultimo caso continuerà ad esistere, e forse si aggraverà, una frattura nel mercato interno degli svernicianti a base di DCM. A tempo debito il DCM sarà poi valutato nel quadro del regolamento (CE) n. 1907/2006 (REACH), dato che il suo uso nelle attività di sverniciatura è una delle principali vie di esposizione da considerare. Ovviamente non si può sapere quale sarà l'esito di tale processo né quando si potrebbero formulare eventuali raccomandazioni definitive. |
3. Contesto
3.1 |
Il DCM è un composto idrocarburico alifatico alogenato a basso punto di ebollizione, incolore e di odore dolciastro. Da molti anni è ampiamente utilizzato come solvente ad alta efficacia e bassa infiammabilità, nella produzione di prodotti farmaceutici, aerosol e adesivi e in altri processi quali la sverniciatura e lo sgrassaggio dei metalli, e come solvente di estrazione per gli alimenti. |
3.2 |
Anche se viene considerato uno dei più sicuri composti idrocarburici alogenati a basso peso molecolare, il DCM deve comunque essere utilizzato con attenzione. In Europa è classificato come agente cancerogeno di categoria 3, ovvero è una delle «sostanze da considerarsi con sospetto per i possibili effetti cancerogeni sull'uomo per le quali tuttavia le informazioni disponibili sono insufficienti per procedere ad una valutazione soddisfacente». Deve pertanto essere accompagnato dalla frase R40 («Sospetto effetto cancerogeno. Prove insufficienti»). È considerato anche una sostanza prioritaria ai sensi della direttiva quadro sulle acque. |
3.3 |
Fonte di maggiore preoccupazione, tuttavia, è il fatto che si tratta anche di un potente narcotico, che deprime il sistema nervoso centrale e può portare a perdita di coscienza e morte. Ciò ha determinato una serie di infortuni anche mortali, in genere associati a pratiche di lavoro poco sicure e ad esposizione prolungata ed eccessiva, di norma per usi industriali o professionali su larga scala in vasche di sverniciatura aperte. L'utilizzo in sistemi chiusi, laddove è fattibile, elimina tali rischi. |
3.4 |
I livelli di produzione di DCM in Europa (dai siti presenti in Germania, Francia, Italia, Spagna, Paesi Bassi, Regno Unito e Romania) stanno lentamente calando man mano che si rendono disponibili altri prodotti. Delle circa 240 000 tonnellate prodotte attualmente in Europa se ne esportano circa 100 000. Il 30-50 % della quantità restante va all'industria farmaceutica e il 10-20 % è destinato a essere venduto come DCM «puro» negli svernicianti. Il DCM riciclato proveniente dall'industria farmaceutica rappresenta una quantità analoga. La proposta in esame riguarda esclusivamente l'uso di DCM nella sverniciatura. |
3.5 |
La sverniciatura è un processo noto alla maggior parte delle famiglie come processo essenziale per conservare e trattare oggetti e superfici di legno, metallo, pietra e gesso in ambienti interni ed esterni. Vi è anche una serie di mercati più specialistici, fra cui il restauro artistico, la rimozione di graffiti e la riverniciatura di grandi oggetti mobili quali treni o aerei. |
3.6 |
Gli svernicianti sono suddivisi in modo piuttosto arbitrario in tre categorie: «usi industriali» (ovvero per uso intenso e continuo su un unico sito); «usi professionali» (specialisti che lavorano su più siti, operai edili e imbianchini) e «usi domestici» (singoli che effettuano occasionalmente lavori di manutenzione della casa). |
3.7 |
Il numero effettivo di infortuni per ogni categoria è difficile da determinare. Dato che i sintomi di una dose eccessiva di DCM richiamano quelli di un infarto, vi può essere (ma non è detto) il rischio che venga dichiarato un numero di casi inferiori a quello effettivo. I dati presentati alla Commissione dai consulenti dell'RPA indicano che in Europa, negli ultimi 20 anni, vi sono stati 3-4 infortuni all'anno dovuti all'uso di svernicianti a base di DCM, dei quali uno all'anno mortale. Gli infortuni mortali sono concentrati in Francia (6), Germania (6) e Regno Unito (5), quelli non mortali concentrati nel Regno Unito (36), in Svezia (12) e in Francia (6). Nell'Europa meridionale è stato registrato un solo infortunio nel periodo analizzato dall'RPA (1930-2007): un infortunio mortale avvenuto in Spagna nel 2000 in ambito industriale. Può ben darsi che le condizioni climatiche locali e le pratiche di lavoro siano fattori rilevanti. Nei paesi caldi si tengono sempre le finestre aperte, si ha pertanto una buona ventilazione e i rischi sono trascurabili; nei climi più freddi può verificarsi il contrario. |
3.8 |
Gli infortuni mortali sono equamente suddivisi fra utilizzatori professionali e industriali, mentre il grosso degli infortuni non mortali è stato fatto registrare da operatori classificati come «professionali». Le cause di decesso registrate sono in grande maggioranza un'insufficiente aerazione e l'impiego inadeguato di dispositivi di protezione individuale, specie in presenza di grandi vasche di sverniciatura aperte. |
3.9 |
Un infortunio mortale forse conseguente a uso domestico (o professionale) è stato riportato in Francia nel 1993 e non può più essere verificato, quindi questo dato particolarmente importante è stato contestato. L'unico altro caso riportato di infortunio mortale per un consumatore si è avuto nei Paesi Bassi nel 1960. Possono essere rilevanti anche altri fattori. |
3.10 |
Ovviamente esistono prodotti alternativi agli sverniciatori chimici a base di DCM. Sono generalmente suddivisi in tre gruppi: «sverniciatura fisica/meccanica» (sabbiatura, raschiatura e granigliatura); «sverniciatura termico-pirolitica» (nei forni, su letti fluidi termici o con utilizzo di cannelli ossidrici o pistole termiche) e «sverniciatura chimica» (che può utilizzare solventi ad alta efficacia, compreso il DCM, liquidi o paste corrosivi e in genere fortemente alcalini, acido formico oppure miscele a base di perossido di idrogeno). Ognuno dei processi può funzionare, ed essere preferito agli altri, in determinate circostanze. Tutti pongono rischi di un qualche tipo, dovuti all'impatto delle particelle, al calore, alla possibilità di incendi o esplosioni, a irritazione degli occhi o della pelle o alla composizione dei rivestimenti da rimuovere, in particolare il piombo contenuto nelle vernici utilizzate prima del 1960. In presenza di strati sovrapposti risalenti anche a oltre 100 anni fa in edifici vecchi ma ancora utilizzabili, o addirittura particolarmente ricercati, o in caso di superfici sensibili che non devono essere danneggiate, sarà necessario più di un approccio e un certo grado di sperimentazione. |
3.11 |
Non sono disponibili dati sulla quota complessiva di mercato delle diverse alternative di tutti e tre i gruppi o sui diversi costi per metro quadro sverniciato. Si ritiene che il DCM sia ancora il solvente più ampiamente usato, in particolare per gli usi domestici, dove sono diffuse anche le applicazioni a base di soda caustica. Anche all'interno del gruppo delle sostanze chimiche è difficile confrontare i costi. Vi è un generale consenso sul fatto che gli svernicianti a base di DCM risultano più economici dei prodotti concorrenti su base volumetrica. È probabile che tale vantaggio scompaia se si prende in considerazione l'intero costo dei dispositivi di protezione (se utilizzati) e dello smaltimento dei rifiuti (se rilevante). |
3.12 |
I costi totali sono determinati anche dai tempi di lavorazione. Prodotti e processi che richiedono tempi più lunghi, ma sono meno dannosi, aumentano il costo del lavoro in atto e riducono gli utili. I solventi con punto di ebollizione più elevato consentono di sverniciare un'area più estesa in una sola volta ma richiedono tempi di lavorazione più lunghi. Per un consumatore, esposizioni brevi sono sostituite da esposizioni più lunghe che comportano problemi domestici potenzialmente maggiori (l'assunto dell'RPA secondo cui i consumatori sarebbero meno sensibili al fattore tempo, in quanto svolgono l'attività di sverniciatura nel loro tempo libero, andrebbe senz'altro contestata). Per tutti gli utilizzatori diverranno essenziali nuovi metodi di lavoro e adattamenti del workflow. Per gli utilizzatori industriali qualsiasi passaggio a prodotti a base di acqua diminuisce i costi di ventilazione ma aumenta notevolmente il costo dei lavori da eseguire su vasche di sverniciatura e tubature per ridurre al minimo la corrosione. Considerate tutte queste variabili, diventa estremamente difficile prevedere l'effetto di una data restrizione su un singolo percorso. In queste condizioni i consumatori sono particolarmente a rischio e non è sufficientemente dimostrato, considerati i punti di vista contrastanti a livello governativo, che il fatto di scegliere prodotti e processi alternativi sia nel loro interesse. |
3.13 |
Un solvente comunemente usato in alternativa al DCM, ovverosia il metilpirrolidone (NMP), è stato recentemente classificato come «tossico alla riproduzione di categoria 2», il che comporterà alla fine il divieto di vendere ai consumatori (ma non agli utilizzatori industriali o professionali) formulazioni che lo contengano. Altri solventi, quali l'1,3-diossolano, sono altamente infiammabili. |
3.14 |
I sistemi basati su esteri dibasici (DBE) — miscele di dimetiladipato, succinato e glutarrato — sembrano attualmente le alternative più promettenti, con poche indicazioni che possano far pensare a minacce significative per la salute umana o l'ambiente. Anche il dimetilsulfossido e l'alcool di benzile sembrano relativamente «sicuri». Il fatto che queste sostanze vengano considerate dagli utilizzatori più o meno convenienti sotto il profilo dei costi dipende però da molti fattori e non vi è alcuna garanzia che alla fine vengano scelte come alternative «sicure» di ampio utilizzo. |
3.15 |
In generale è chiaro che non esiste un unico approccio totalmente accettabile e che interventi inadeguati possono anche determinare un aumento dell'attuale tasso di infortuni registrati, che è relativamente basso. La difficoltà sta nell'individuare una soluzione che soddisfi tutte le parti in causa, in particolare Stati membri che hanno esperienze diverse e, con piena ragione, difendono strenuamente le loro posizioni. |
4. Sintesi della proposta della Commissione
4.1 |
La proposta della Commissione ha l'obiettivo di proteggere la salute umana e l'ambiente, salvaguardando nel contempo il mercato interno del diclorometano, in particolare quando esso è utilizzato come componente principale degli svernicianti per gli usi industriali, professionali e domestici. |
4.2 |
La Commissione propone di vietare tutte le vendite di svernicianti a base di DCM sia ai consumatori che ai professionisti, ad eccezione di quelli appositamente formati e abilitati dalle autorità competenti degli Stati membri. Le vendite agli impianti industriali saranno consentite soltanto laddove siano state adottate misure di protezione, in particolare un'efficace ventilazione e la disponibilità e l'effettivo uso di adeguati dispositivi di protezione individuale. Tutte le formulazioni contenenti DCM dovranno recare la seguente dicitura indelebile: «Solo per usi industriali e professionali» (e presumibilmente soltanto da parte di personale debitamente abilitato). |
4.3 |
Nessun nuovo sverniciante a base di DCM potrà essere immesso sul mercato per essere venduto ai consumatori o agli operatori professionali entro 12 mesi dall'entrata in vigore della decisione. Passati altri 12 mesi, tutte le vendite ai suddetti due gruppi saranno vietate. |
4.4 |
La decisione entrerà in vigore il terzo giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea. |
4.5 |
La proposta è accompagnata da una relazione e da un documento di lavoro dei servizi della Commissione (relazione sulla valutazione d'impatto). Ulteriori informazioni possono essere reperite nelle valutazioni d'impatto preparate per la Commissione da consulenti esterni (RPA, TNO) o nelle relazioni su temi specifici (Etvaread, sull'efficacia dei ritardatori dell'evaporazione). Questi documenti sono stati a loro volta esaminati dal competente comitato scientifico (SCHER). Non esiste una relazione UE di valutazione dei rischi (Risk Assessment Report o RAR) in quanto, nonostante le preoccupazioni già constatate, nessuna delle parti interessate ha indicato il DCM come sostanza prioritaria. |
4.6 |
Anche alcuni Stati membri UE (e altri paesi economicamente importanti che sono partner commerciali, come la Svizzera e gli Stati Uniti) hanno realizzato degli studi a sostegno di particolari posizioni normative e politiche, spesso in forte conflitto tra loro. Le industrie interessate hanno prodotto una grande quantità di dati sui possibili rischi e sui vantaggi relativi di diversi prodotti e processi. Non sorprende sapere che anche in questo caso i risultati sono discordi. Altre parti interessate hanno potuto esporre le loro considerazioni nel corso della Settimana europea della sicurezza e della salute sul lavoro Building in Safety del 2004, dopo un convegno di esperti ospitato dal sindacato danese degli imbianchini. Secondo l'RPA, consultato nell'aprile 2007, l'Ufficio europeo delle unioni di consumatori (BEUC), la Federazione europea dei lavoratori delle miniere, della chimica e dell'energia (EMCEF) e la Confederazione europea dei sindacati (CES) non avevano ancora espresso pareri formali. |
5. Osservazioni generali
5.1 |
Il CESE riconosce le difficoltà incontrate dalla Commissione nell'elaborazione di una proposta per una modifica proporzionata ed economicamente vantaggiosa della direttiva 76/769/CEE per quanto riguarda l'uso del DCM come solvente per svernicianti. Sono relativamente pochi gli infortuni notificati e verificati, sebbene sia possibile che alcuni non siano stati comunicati. La legislazione vigente non viene sempre osservata e appare inadeguata sotto il profilo dell'etichettatura. Prodotti e processi alternativi esistono, ma non sono stati valutati sufficientemente e presentano tutti qualche rischio. Ci sono buoni motivi per cui i pareri degli Stati membri non coincidono, e non ci sono garanzie che il risultato complessivo sarà favorevole all'uno o a all'altro dei gruppi che più probabilmente ne saranno interessati. |
5.2 |
Il CESE riconosce anche che, visti gli ovvi limiti di tempo, questa è l'ultima occasione di introdurre nuove misure ai sensi della suddetta direttiva. Se gli Stati membri e il Parlamento europeo non riusciranno a trovare una posizione comune e la proposta di decisione (o una sua variante) non sarà adottata e attuata, non sarà più possibile intervenire finché il DCM non sarà stato valutato sotto il profilo di tutti i suoi impieghi a norma del regolamento (CE) n. 1907/2006 (REACH). |
5.3 |
Il CESE è fermamente convinto che un tale ritardo possa e debba essere evitato, nell'interesse della protezione dell'ambiente e della salute di tutti i consumatori, sul luogo di lavoro come altrove. Il CESE, inoltre, deplorerebbe profondamente qualsiasi frattura che dovesse dividere il mercato interno, su questa questione o su qualunque altra. Dovrebbe essere ovvia a tutti gli interessati la necessità di trovare la base per un accordo che abbia l'obiettivo di gestire i rischi e non di sostituire un pericolo con un altro. |
5.4 |
A questo proposito, il CESE constata che il DCM può essere prodotto, stoccato, trasportato e utilizzato con sicurezza in sistemi chiusi. Il DCM non è infiammabile e non contribuisce alla formazione di ozono a livello del suolo. Nei sistemi aperti, invece, come nel caso della sverniciatura, esso presenta evidenti problemi legati alla volatilità (ossia alla tendenza a evaporare rapidamente), alla densità dei vapori risultanti (si accumula nel punto più basso o dove la ventilazione è inadeguata) e al suo effetto narcotico (provoca perdita di conoscenza e morte). Tutto ciò contribuisce ad aumentare i rischi per i bambini. Il DCM è anche classificato come agente cancerogeno di categoria 3 ed è questo il rischio potenziale che prevale sulle etichette dei prodotti che contengono questa sostanza. |
5.5 |
Come hanno fatto notare l'RPA e altri enti, tale indicazione è al contempo fuorviante e insufficiente a proteggere adeguatamente gli utilizzatori sul luogo di lavoro o altrove. Né la normativa attuale né il Sistema mondiale armonizzato di classificazione e di etichettatura dell'ONU prevedono frasi R (Rischio) o S (Sicurezza) che mettano adeguatamente in guardia dal pericolo di narcosi (e conseguente rischio di morte) o, cosa ancora più sorprendente, dal grave rischio per i bambini (che naturalmente si applicherebbe a molti prodotti e processi utilizzati in ambiente domestico). |
5.6 |
Anche concentrare l'attenzione sul possibile, ma non ancora dimostrato, rischio di cancro è fuorviante. Lo SCHER, nel suo parere sulla relazione Etvaread sui ritardatori dell'evaporazione, ha constatato che nei topi il meccanismo metabolico per il punto finale testato non è lo stesso che nell'uomo e che quindi è improbabile, sulla base delle prove addotte, che il DCM sia cancerogeno. Esistono scarse prove derivanti dall'uso effettivo della sostanza. Non sono ancora stati pubblicati i risultati di due importanti studi epidemiologici su coorti esposte al DCM in altre industrie degli Stati Uniti. Le coorti nell'UE potrebbero essere state esposte ad altri agenti cancerogeni come lo stirene. L'RPA non ha presentato prove di rischi reali a questo titolo derivanti da esposizione al DCM usato nella sverniciatura. La dicitura obbligatoria R68 («possibilità di effetti irreversibili»), date le circostanze, non è certo la più utile. |
5.7 |
È opportuno notare, inoltre, che le statistiche presentate dall'RPA sugli incidenti verificatisi nel periodo 1930-2007 dimostrano chiaramente i pericoli derivanti da sovraesposizione grave al DCM, dovuta in genere a pratiche di lavoro poco sicure. Non sono stati raccolti dati corrispondenti per processi e prodotti alternativi. È tuttavia dubbio che si possano estendere questi dati all'uso da parte di «professionisti» o «consumatori» in ambiente domestico. La segnalazione di effetti sulla salute cronici (che si manifestano nel tempo) in contesto industriale può far pensare a problemi in caso di esposizione acuta (di breve durata) da parte di consumatori, ma non è detto. Le statistiche riguardanti eventi fortuiti, e forse qui di questi si tratta, non sono altrettanto facili da estrapolare. |
5.8 |
Gli studi hanno evidenziato anche la mancanza di limiti di esposizione occupazionale per i luoghi di lavoro validi in tutta l'UE. I limiti per una stessa sostanza (il DCM) variano notevolmente da uno Stato membro all'altro, e vi sono variazioni tra sostanze diverse (DCM e DBE o DMSO, per esempio). I produttori devono riconoscere che è loro dovere occuparsi della salute dei loro dipendenti, e perché ciò sia possibile le autorità di regolamentazione devono mettere a punto un quadro normativo coerente e basato sui dati. |
5.9 |
A questo proposito il CESE ha preso atto in particolare delle Regole tecniche per le sostanze pericolose TRGS 612 (per alternative agli svernicianti a base di DCM) approvate dal ministero federale tedesco per il Lavoro e gli affari sociali (BMAS), versione del febbraio 2006. Queste regole, nettamente più particolareggiate dell'attuale proposta della Commissione, potrebbero rappresentare un modello da seguire per chi voglia contribuire a garantire la sicurezza sul luogo di lavoro. |
5.10 |
Nella maggioranza dei casi è opportuno trovare risposta, nell'ordine, ai seguenti interrogativi: (a) è possibile rendere i processi più sicuri mediante sostituzione? (b) se no, perché? e (c) sono state attuate tutte le misure appropriate per rendere sicuro il luogo di lavoro? È importante riconoscere appieno non solo i benefici, ma anche i possibili rischi derivanti dall'impiego di processi e prodotti alternativi. Ci deve essere, soprattutto, una stima dei probabili risultati di qualsiasi decisione di rimuovere da un mercato una quantità significativa di un qualsivoglia materiale. Che cosa faranno realmente gli utilizzatori? Le loro scelte si tradurranno in miglioramenti della loro sicurezza personale? |
5.11 |
A titolo di esempio, si può citare il caso di uno Stato membro che ha già vietato i prodotti a base di DCM a tutti gli utilizzatori industriali e professionali. Il divieto riguarda la vendita di prodotti contenenti DCM, non il DCM stesso. È quindi tuttora possibile realizzare un potente sverniciante mescolando il DCM con il metanolo sul luogo di utilizzo. Il prodotto che ne risulta è più economico, ma è privo degli agenti tensioattivi e dei ritardatori dell'evaporazione, che aumentano sia l'efficacia che la sicurezza dei prodotti formulati correttamente. E questo è un risultato non auspicabile. |
5.12 |
Come hanno fatto presente l'RPA e la Commissione, le distinzioni tra le diverse categorie di utilizzatori sono difficili da giustificare o da mantenere nella pratica. L'unica differenza reale è che le operazioni intensive e continue di sverniciatura realizzate in un sito singolo richiedono grandi vasche aperte di sverniciatura con agenti chimici nei quali vengono immersi i prodotti. Le operazioni fuori sito di norma non richiedono immersione e quindi non comportano l'uso di grandi vasche aperte. I siti singoli sono disciplinati da altre direttive, come la direttiva sulle emissioni da solventi o quella sulle acque reflue, che devono essere rigorosamente applicate. Le operazioni fuori sito dipendono in maggior misura dall'attenzione e dal buon senso delle persone. Quando esiste un datore di lavoro, spetta naturalmente a quest'ultimo assicurare ai dipendenti impegnati nelle operazioni in questione il miglior ambiente di lavoro possibile. |
5.13 |
La categoria «professionisti» dovrebbe inoltre essere divisa, separando chi sia impegnato a tempo pieno in operazioni specializzate di pulizia (eliminazione di scritte sui muri, restauro di facciate, pulizia di treni e aeroplani) da chi debba eseguire operazioni di sverniciatura solo saltuariamente, come preludio — necessario ma dispendioso in termini di tempo — a un'attività più redditizia (operai edili, imbianchini e «consumatori»). Le esigenze, le capacità e le vulnerabilità dei membri di quest'ultimo gruppo sembrano identiche e come tali dovrebbero essere trattate. |
5.14 |
È stata infine presentata la proposta di formare e abilitare determinati operatori, quale possibile deroga che permetterebbe di trovare un compromesso tra i diversi punti di vista. È tuttavia difficile equiparare l'uso di svernicianti a base di DCM a operazioni quali la rimozione dell'amianto o lo smaltimento delle scorie nucleari, per le quali è ovviamente necessaria un'abilitazione. Visti gli elevati costi che comporta l'introduzione e il monitoraggio di questi sistemi, è difficile immaginare come questa proposta possa soddisfare le esigenze di qualcuno. |
6. Osservazioni specifiche
6.1 |
In considerazione di quanto fin qui osservato, il CESE non ritiene che l'attuale proposta sia proporzionata o che, di per sé, possa contribuire a ridurre il numero degli incidenti sul luogo di lavoro o altrove. Viste le divergenze di natura pratica e politica che esistono tra gli Stati membri, è opportuno prendere in considerazione e applicare quanto prima altre possibili soluzioni. |
6.2 |
Ciò comporterebbe modifiche degli imballaggi e delle etichette degli svernicianti a base di DCM, per ridurre al minimo il rischio di infortuni e per mettere in evidenza i pericoli reali. Le vendite a chi, «professionista» o «consumatore» che sia, non esegua a tempo pieno operazioni di sverniciatura, nei siti o fuori dagli stessi, dovrebbero essere limitate a 1 litro per contenitore e per acquisto. I contenitori utilizzati dovrebbero essere dotati di chiusura a prova di bambino conforme alle definizioni dei regolamenti o delle direttive UE esistenti o nuove e/o delle norme EN-ISO 8317:2004 e 862:2005. Sarebbe utile anche un'imboccatura stretta per evitare perdite, anche se la conseguente necessità di far decantare il prodotto prima di poterlo usare con una spazzola ne limita gli effetti. Se vogliono salvaguardare questi prodotti sul lungo periodo, i produttori devono darsi da fare perché siano introdotti sistemi di applicazione nuovi e più sicuri. La vendita all'ingrosso a tutti gli altri utilizzatori per usi «industriali» o «professionali» dovrebbe riguardare quantità non inferiori ai 20 l. Produttori e fornitori devono riconoscere di avere il dovere, in questi casi, di tutelare la salute dei consumatori e di assicurarsi che siano disponibili informazioni e istruzioni sufficienti per garantire che la manipolazione e lo smaltimento avvengano sempre in condizioni di sicurezza. |
6.3 |
Si dovrebbero sviluppare con urgenza nuovi pittogrammi e frasi «R» (rischio) ed «S» (sicurezza) per i narcotici e per mettere in guardia contro i pericoli per i bambini, a complemento di quelli già in uso. Per gli svernicianti a base di DCM (e altri prodotti con effetti simili), l'avvertenza corretta per tutti gli utilizzatori potrebbe essere: «Narcotico: alte concentrazioni provocano la perdita di conoscenza e la morte»; «Non usare in presenza di bambini o di adulti vulnerabili»; «Non usare in ambienti chiusi: i vapori pesanti possono causare asfissia». Queste indicazioni appaiono giustificate dalle prove disponibili e sono conformi alle esigenze reali. È importante che non si perdano in mezzo a molte altre avvertenze meno importanti. Un'avvertenza efficace e un pittogramma inconfondibile circa la necessità di proteggere i bambini sarebbe probabilmente più efficace di molti altri consigli complicati. L'attuale dicitura S2 («Tenere lontano dalla portata dei bambini») è, a questo fine, inadeguata. |
6.4 |
È inoltre evidente la necessità di disporre di limiti di esposizione occupazionale validi in tutta l'UE per aumentare il livello di sicurezza sul luogo di lavoro. Potrebbe essere un utile risultato del programma REACH nei prossimi anni. |
6.5 |
Buone pratiche di lavoro, e la rigorosa esecuzione di tutti i controlli esistenti, sono ovviamente essenziali per la gestione del rischio, sul luogo di lavoro come altrove. I produttori e i commercianti hanno la responsabilità comune di fornire consigli utili e di garantire che le raccomandazioni possano essere seguite dai consumatori e da chiunque utilizzi materiali o processi pericolosi in modo saltuario. I consigli e le attrezzature di sicurezza devono essere promossi con lo stesso entusiasmo e gli stessi incentivi dei materiali per i quali essi sono necessari. |
6.6 |
La soluzione adottata in Germania con le regole TRGS 612 dovrebbe essere la base dei controlli a livello UE. Se necessario, si possono introdurre anche consigli tecnici aggiuntivi sulla ventilazione o sullo smaltimento dei rifiuti. Le migliori pratiche devono essere rese pubbliche e condivise. |
6.7 |
Gli studi in corso negli Stati Uniti sugli effetti a lungo termine dell'esposizione prolungata al DCM dovrebbero concludersi quanto prima, e i relativi risultati dovrebbero essere presentati allo SCHER per valutazione. Si devono esaminare le possibilità di individuare in Europa coorti adatte a essere studiate. |
6.8 |
Sarebbe anche opportuno realizzare una valutazione sistematica dei rischi derivanti dalla sverniciatura, per poter valutare tutti i prodotti e i processi in base agli stessi parametri. Ciò permetterebbe di avere una migliore comprensione delle loro caratteristiche relative e dei loro rischi e, alla fine, consentirebbe agli utilizzatori di fare scelte più informate sul luogo di lavoro e altrove. Nessuna di queste proposte deve però portare a ritardi nell'adozione delle misure di controllo di cui sopra. |
Bruxelles, 17 settembre 2008.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
31.3.2009 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 77/35 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica delle direttive 68/151/CEE e 89/666/CEE del Consiglio per quanto riguarda gli obblighi di pubblicazione e di traduzione di taluni tipi di società
COM(2008) 194 def. — 2008/0083 (COD)
(2009/C 77/06)
Il Consiglio dell'Unione europea, in data 23 maggio 2008, ha deciso di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:
Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica delle direttive 68/151/CEE e 89/666/CEE del Consiglio per quanto riguarda gli obblighi di pubblicazione e di traduzione di taluni tipi di società
L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 21 aprile 2008, ha incaricato la sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, di preparare i lavori in materia.
Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 447a sessione plenaria del 18 settembre 2008, ha nominato relatore generale IOZIA e ha adottato il seguente parere con 72 voti favorevoli e 1 astensione.
1. Conclusioni e raccomandazioni
1.1 |
Il CESE approva i contenuti di questa direttiva e considera questo intervento un ulteriore passo di una strategia di semplificazione amministrativa come previsto dalla comunicazione Esame strategico del programma per legiferare meglio nell'Unione europea. |
1.2 |
Questo fa seguito ai giudizi positivi espressi dall'Osservatorio del mercato unico del CESE che in numerosi pareri ha sempre appoggiato le iniziative di semplificazione amministrativa assunte nel campo del diritto societario. Esso ritiene che le stesse, riducendo i costi per le imprese, contribuiscono in maniera importante alla competitività delle imprese europee, quando non mettono in discussione la protezione degli interessi di altre parti interessate. |
1.3 |
Il CESE sottolinea che la proposta in esame che riguarda modifiche alle direttive 68/151/CEE (prima direttiva sul diritto societario) e 89/666/CEE (undicesima direttiva sul diritto societario) interviene in termini di semplificazione e di riduzione degli oneri amministrativi su aspetti delicati quali quelli degli obblighi di pubblicazione e di traduzione di taluni tipi di società che spesso sono caricati di oneri sproporzionati e a volte ingiustificati. |
1.4 |
Il CESE sostiene questi interventi proposti ed ottenuti attraverso modeste modifiche dell'acquis comunitario i quali, oltre a ridurre gli oneri amministrativi per le imprese come dimostrato nella valutazione di impatto presentata, eliminano le possibilità di costruire all'interno dell'Unione ostacoli ingiustificati alla libera circolazione di beni e servizi. |
1.5 |
Il CESE considera quindi positivamente questi interventi e si associa al Consiglio nel sollecitare la Commissione a futuri ulteriori interventi per ridurre gli oneri ingiustificati ancora presenti in diversi settori che, senza fornire nessun valore aggiunto agli utilizzatori, gravano sulle imprese e ne riducono la capacità di risposta alle sfide poste oggi da una concorrenza globale. |
1.6 |
Il CESE raccomanda alla Commissione di stimolare gli Stati membri a proseguire nella semplificazione degli atti amministrativi delle imprese, trasferendo su Internet tutti i dati che necessitano di pubblicizzazione ai sensi delle leggi e regolamenti vigenti. |
2. Contesto
2.1 |
La Commissione, dopo una serie di verifiche iniziate nel 2005, ha lanciato un programma di semplificazione legislativa per ridurre i costi ed i carichi amministrativi delle imprese derivanti dalle vigenti disposizioni legislative, partendo dalla considerazione che i costi inutili costituiscono un freno alle attività economiche della Comunità ed un danno alla competitività delle imprese. |
2.2 |
Il 14 novembre 2006, la Commissione ha presentato una comunicazione dal titolo significativo: Legiferare meglio nell'Unione europea (1) e un documento di lavoro: Misurazione dei costi amministrativi e riduzione degli oneri amministrativi nell'Unione europea (2). Entrambe le iniziative mettevano in evidenza l'esigenza di perseguire concreti vantaggi economici per le imprese, quando tale semplificazione sia possibile senza effetti negativi sulle parti utilizzatrici di queste informazioni. |
2.3 |
Tale orientamento strategico è stato successivamente rafforzato da un programma di azione del marzo 2007 per la riduzione degli oneri amministrativi (3), non ancora pubblicato sulla Gazzetta ufficiale, che fissa l'obiettivo della riduzione del 25 % di tali costi entro il 2012. |
2.4 |
Nel marzo del 2007 sono state adottate con procedura accelerata un certo numero di proposte che perseguono una riduzione dei carichi amministrativi ed il 10 luglio 2007 la Commissione ha presentato una comunicazione contenente le proprie proposte di semplificazione in materia di diritto societario, contabilità e revisione contabile (4). |
2.5 |
Nel corso della riunione del 13-14 marzo 2008, il Consiglio europeo ha successivamente invitato la Commissione a proseguire sulla stessa strada individuando nuove proposte di riduzione (5). |
2.6 |
In questo quadro si colloca la proposta di direttiva in esame che riguarda gli obblighi di pubblicazione e di traduzione nell'ambito del diritto societario, prevedendo la riduzione e/o l'eliminazione dell'obbligo di quelle informazioni che non offrono un valore aggiunto per gli utilizzatori. |
3. La proposta della Commissione
3.1 |
La direttiva in esame, secondo la Commissione, persegue l'obiettivo di rafforzare la competitività delle società europee attraverso la riduzione e/o l'eliminazione degli obblighi amministrativi presenti nelle vigenti disposizioni che non rispondono alle esigenze degli utilizzatori di tali informazioni e che invece costituiscono un elemento di inutili costi supplementari per le imprese. |
3.2 |
Essa interviene in materia attraverso una modifica delle direttive 68/151/CEE (prima direttiva) e della direttiva 89/666/CEE (undicesima direttiva), per quanto riguarda l'obbligo di pubblicazione e di traduzione nella costituzione di alcune forme di società. |
3.3 |
Per quanto riguarda la prima direttiva, essa fissa una nuovo obbligo minimo rispetto a quanto previsto oggi dall'articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 68/151/CEE sul diritto di società. L'articolo modificato tende all'eliminazione di alcuni degli attuali obblighi di pubblicazione sui bollettini nazionali di informazioni relative alla costituzione di società e alla pubblicazione dei conti annuali che, secondo la vigente legislazione, devono essere pubblicate ogni anno. |
3.4 |
Tale semplificazione non presenta alcuna riduzione del valore aggiunto per gli utilizzatori soprattutto in un'epoca nella quale le informazioni di registro del commercio, per le quali gli Stati membri devono garantire l'accesso alle informazioni necessarie, sono accessibili in rete attraverso un uso sempre più generalizzato dei mezzi elettronici. |
3.5 |
Gli Stati membri sono tenuti a prevedere un accesso elettronico alle informazioni in ordine cronologico e conservano la facoltà di prescrivere modalità aggiuntive solo quando esse non comportino alcun costo aggiuntivo a carico delle società. |
3.6 |
Per quanto riguarda la direttiva 89/666/CEE (undicesima direttiva) sui diritti di società, viene modificata la prassi in atto che impone la traduzione di tutti i documenti che figurano nel proprio dossier anche quando una società registra una nuova succursale. |
3.7 |
L'articolo 4 della nuova direttiva ritiene necessaria la pubblicazione dei documenti in una lingua ufficiale della Comunità e considera sufficiente che tale traduzione sia certificata secondo una procedura riconosciuta dalle autorità di qualsiasi Stato membro. Tale attestazione deve essere accettata da tutti gli Stati membri che non possono imporre altre obbligazioni formali al di fuori di quanto previsto ai paragrafi 1 e 2, raggiungendo l'obiettivo di ridurre al minimo necessario i costi della traduzione e della certificazione. |
3.8 |
La base giuridica della nuova direttiva non viene modificata rispetto alle precedenti e rimane quindi l'articolo 44, paragrafo 2, lettera g) del Trattato, e inoltre la Commissione ritiene che i principi di sussidiarietà e di proporzionalità sono rispettati e giustificati. |
3.9 |
La Commissione indica che le modifiche previste e l'analisi d'impatto hanno superato con consenso il vaglio di una larghissima rappresentanza delle parti interessate (110 parti provenienti da 22 Stati membri). Tali risultati positivi sono pubblicati sul sito web della direzione generale Mercato interno e servizi (DG MARKT). |
3.10 |
I risparmi calcolati dalla Commissione nello studio di impatto dovrebbero ammontare a circa 410 Mio EUR all'anno per la pubblicazione dei conti annuali e circa 200 Mio EUR all'anno per la pubblicazione delle modifiche inserite nei registri. I costi che si dovrebbero risparmiare per le traduzioni e le certificazioni ammontano a circa 22 Mio EUR. |
4. Osservazioni generali
4.1 |
Il CESE, in numerosi pareri nell'ambito dell'Osservatorio del mercato unico, ha espresso il proprio positivo sostegno alla semplificazione amministrativa nel quadro dell'iniziativa Esame strategico del programma per legiferare meglio nell'Unione europea. |
4.2 |
I pareri del Comitato sostengono pienamente tale programma che contribuisce in maniera concreta all'aumento della competitività delle imprese europee riducendo i costi per le imprese che, nel settore del diritto societario, in larga misura appaiono superati ed eccessivi, senza che gli interventi proposti mettano in discussione la protezione degli interessi delle altre parti interessate. |
4.3 |
Il CESE sottolinea che questo programma, intervenendo in settori delicati come quelli degli obblighi di pubblicazione e di traduzione, non solo diminuisce in maniera consistente i costi come dimostrato nella valutazione di impatto, ma aumenta la credibilità della dimensione europea eliminando, là dove possano nascere, ogni tentazione di costruire al proprio interno ostacoli artificiosi ed ingiustificati alle regole della libera circolazione di beni e servizi. |
4.4 |
Esso prende atto che le iniziative finora avviate vengono assunte dopo un'attenta valutazione degli obiettivi perseguiti, dedicando un'attenta valutazione ai principi fondamentali della sussidiarietà e della proporzionalità, e dopo approfondita consultazione di tutte le parti interessate. |
4.5 |
Il CESE quindi approva i contenuti di questa direttiva che considera un passo apprezzabile di una strategia generale e si associa pienamente al Consiglio nel sollecitare la Commissione a intervenire in ulteriori settori e in altre materie nelle quali la prassi della semplificazione appare essere un passo necessario per ridurre i numerosi obblighi ancora gravanti sulle società. |
Bruxelles, 18 settembre 2008.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(1) Esame strategico del programma per legiferare meglio nell'Unione europea (COM(2006) 689 def., GU C 78 dell'11.4.2007, pag. 9).
(2) Misurazione dei costi amministrativi e riduzione degli oneri amministrativi nell'Unione europea (COM(2006) 691 def.).
(3) Programma d'azione per la riduzione degli oneri amministrativi nell'Unione europea (COM(2007) 23 def.).
(4) Semplificazione del contesto in cui operano le imprese in materia di diritto societario, contabilità e revisione contabile (COM(2007) 394 def.).
(5) Presidenza del Consiglio europeo di Bruxelles del 13 e 14 marzo 2008 (doc. 7652/08, concl. 1.).
31.3.2009 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 77/37 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE per quanto riguarda taluni obblighi di comunicazione a carico delle medie imprese e l'obbligo di redigere conti consolidati
COM(2008) 195 def. — 2008/0084 (COD)
(2009/C 77/07)
Il Consiglio, in data 23 maggio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 44, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:
Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE per quanto riguarda taluni obblighi di comunicazione a carico delle medie imprese e l'obbligo di redigere conti consolidati
L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 21 aprile 2008, ha incaricato la sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo di preparare i lavori del Comitato in materia.
Vista l'urgenza dei lavori, conformemente all'articolo 20 e all'articolo 57, paragrafo 1, del Regolamento interno, il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha nominato relatore generale CAPPELLINI e adottato il seguente parere con 59 voti favorevoli, e 1 voto contrario.
1. Conclusioni e raccomandazioni
1.1 |
Il Comitato accoglie con favore la proposta di estendere alle imprese di medie dimensioni le esenzioni previste per le piccole imprese dalla quarta direttiva sul diritto societario: tale estensione, infatti, consentirebbe di ridurre gli oneri di informativa finanziaria a carico delle medie imprese. |
1.2 |
Il Comitato accoglie inoltre con favore le modifiche proposte alla settima direttiva sul diritto societario: queste, infatti, si limitano a chiarire l'interazione tra le norme sul consolidamento previste in tale direttiva e i principi internazionali di informativa finanziaria (International Financial Reporting Standards — IFRS). |
1.3 |
Il Comitato manifesta poi un particolare apprezzamento per il fatto che l'obiettivo della semplificazione degli obblighi di informativa finanziaria sia stato rispettato senza alcuna perdita significativa di informazioni per quanti utilizzano i conti delle imprese, e sostanzialmente senza alcuna conseguenza per le altre parti interessate. La semplificazione proposta, infatti, si basa sulle esigenze delle piccole e medie imprese (PMI) e degli utilizzatori di informazioni finanziarie. |
1.4 |
Ad oggi, peraltro, gli studi effettuati e le prove disponibili non sono ancora sufficienti per determinare le esigenze degli utilizzatori, le quali possono variare da uno Stato membro all'altro. Prima di apportare ulteriori modifiche agli obblighi finanziari a carico delle PMI, occorrerebbe infatti esaminare le posizioni attuali degli Stati membri in termini di ricorso alle opzioni previste dalla quarta e dalla settima direttiva. Una siffatta indagine dovrebbe prendere in esame (a) l'effettivo ricorso alle opzioni oggi disponibili da parte degli Stati membri, (b) i motivi addotti da questi ultimi per spiegare tale scelta e (c) i risultati così ottenuti dagli Stati membri in termini di conseguimento dei loro obiettivi. |
1.5 |
Il Comitato raccomanda quindi di intraprendere degli studi in tal senso: questi dovrebbero poi servire da base per formulare proposte razionali ai fini della politica futura in questo campo. |
1.6 |
Gli obblighi contabili hanno formato oggetto di una delle prime armonizzazioni legislative a livello europeo. Il Comitato rammenta che essi costituiscono uno strumento fondamentale per il completamento del mercato interno e sottolinea l'importanza dell'armonizzazione per garantire condizioni eque di concorrenza nell'Unione europea. |
1.7 |
All'interno dell'UE si registra un aumento degli scambi transfrontalieri delle PMI. Vi sono forti argomenti, dunque, a favore di una maggiore armonizzazione dei quadri normativi in materia di informative finanziarie che (a) sostenga la crescita di tali scambi e (b) crei condizioni eque di concorrenza. |
2. Contesto
2.1 |
Nelle sue conclusioni il Consiglio europeo dell'8 e 9 marzo 2007 ha evidenziato l'importanza della riduzione degli oneri amministrativi per stimolare l'economia europea, specialmente in considerazione dei benefici per le PMI. |
2.2 |
Esso ha evidenziato la necessità di un forte sforzo congiunto dell'Unione europea e degli Stati membri per ridurre gli oneri amministrativi all'interno dell'UE semplificando le regole contabili cui sono soggette le PMI. La base giuridica di tali misure sarebbe l'articolo 44, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea (1). |
2.3 |
La contabilità e la revisione contabile sono state individuate come settori in cui ridurre gli oneri amministrativi che gravano sulle imprese nella Comunità (2). |
2.4 |
Un'attenzione speciale è stata dedicata alla ricerca di soluzioni per alleviare ulteriormente gli oneri in materia di informativa finanziaria a carico delle PMI. |
2.5 |
In passato è stato introdotto un certo numero di modifiche per permettere alle imprese che rientrano nell'ambito di applicazione delle direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE di utilizzare metodologie contabili conformi agli IFRS. |
2.6 |
Conformemente al regolamento (CE) n. 1606/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 luglio 2002, relativo all'applicazione di principi contabili internazionali (3), le società i cui titoli sono ammessi alla negoziazione su un mercato regolamentato di uno Stato membro sono tenute a redigere i loro conti consolidati secondo gli IFRS e sono pertanto esentate dalla maggior parte degli obblighi di cui alle direttive 78/660/CEE e 83/349/CEE. Dette direttive, tuttavia, costituiscono ancora la base della contabilità delle PMI della Comunità. |
2.7 |
Le PMI sono spesso soggette alle stesse norme che si applicano alle imprese più grandi, ma le loro specifiche esigenze in materia contabile sono state raramente analizzate. In particolare, le PMI sono preoccupate del crescente numero di obblighi di comunicazione. La moltiplicazione delle norme in materia di informativa finanziaria crea oneri finanziari e può ostacolare l'utilizzo efficiente dei capitali a fini produttivi. |
2.8 |
L'applicazione del regolamento (CE) n. 1606/2002 ha anche messo in rilievo la necessità di chiarire il legame tra le norme contabili enunciate dalla direttiva 83/349/CEE e gli IFRS. |
2.9 |
Quando le spese di impianto e di ampliamento possono essere iscritte all'attivo, l'articolo 34, paragrafo 2, della direttiva 78/660/CEE prescrive che siano commentate nell'allegato. |
2.10 |
Le piccole imprese possono essere esonerate dall'obbligo di comunicazione conformemente all'articolo 44, paragrafo 2, della stessa direttiva. Per ridurre gli oneri amministrativi inutili, dovrebbe essere possibile esentare dall'obbligo di comunicazione anche le medie imprese. |
2.11 |
La direttiva 78/660/CEE impone la pubblicazione del fatturato ripartito per categorie di attività e per mercati geografici. Sebbene tutte le imprese siano soggette all'obbligo, le piccole imprese possono esserne esentate a norma dell'articolo 44, paragrafo 2, della direttiva. Per ridurre gli oneri amministrativi inutili, dovrebbe essere possibile esentare dall'obbligo di comunicazione anche le medie imprese. |
2.12 |
La direttiva 83/349/CEE impone alle imprese madri di redigere conti consolidati anche se l'unica impresa figlia o tutte le imprese figlie nel loro insieme presentano un interesse irrilevante ai fini dell'articolo 16, paragrafo 3, della stessa direttiva. Pertanto dette imprese rientrano nell'ambito di applicazione del regolamento (CE) n. 1606/2002 e sono tenute a redigere bilanci consolidati secondo gli IFRS. Questo obbligo è considerato oneroso nel caso delle imprese madri che abbiano solo imprese figlie che presentano un interesse irrilevante. |
2.13 |
Pertanto, deve essere possibile esentare un'impresa madre dall'obbligo di redigere conti consolidati e la relazione consolidata sulla gestione qualora essa abbia solo imprese figlie che presentino un interesse irrilevante, sia individualmente che nel loro insieme. |
2.14 |
Poiché gli obiettivi della presente direttiva, vale a dire ridurre gli oneri amministrativi dovuti al rispetto, da parte delle medie imprese, di taluni obblighi di comunicazione e al rispetto, da parte di talune società della Comunità, dell'obbligo di redigere conti consolidati, non possono essere realizzati in misura sufficiente dagli Stati membri e possono dunque, viste le dimensioni e gli effetti dell'azione, essere realizzati meglio a livello comunitario, la Comunità può intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall'articolo 5 del Trattato. |
2.15 |
La presente direttiva si limita a quanto necessario per raggiungere tali obiettivi, in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo. |
2.16 |
Occorre pertanto modificare di conseguenza la direttiva 78/660/CEE e la direttiva 83/349/CEE. |
3. Osservazioni generali
3.1 |
Le modifiche alla direttiva 78/660/CEE (quarta direttiva sul diritto societario) (4) mirano a semplificare l'informativa finanziaria per le medie imprese (5) e a liberare queste ultime dall'onere dell'informativa finanziaria nel breve periodo. Esse dovrebbero consentire una riduzione degli oneri amministrativi senza perdita delle informazioni pertinenti. |
3.2 |
Le modifiche alla direttiva 83/349/CEE (settima direttiva sul diritto societario) (6) intendono chiarire l'interazione tra le norme sul consolidamento della direttiva stessa e gli IFRS. |
3.3 Consultazione e valutazione d'impatto
3.3.1 |
Il dibattito in merito a una riduzione significativa degli oneri normativi a carico delle PMI nel quadro della quarta e della settima direttiva sul diritto societario è stato lanciato con buon anticipo dalla Commissione contestualmente al processo di consultazione, tenendo conto dell'obiettivo di far prosperare le PMI nel mercato unico europeo. Il problema degli oneri normativi a carico delle PMI deriva sistematicamente dal fatto che si tratta di norme originariamente concepite per le grandi imprese. Queste norme, oltre a non essere necessariamente pertinenti per le PMI, spesso impongono loro considerevoli gravami amministrativi e finanziari. |
3.4 Semplificazione in base alle esigenze delle PMI e degli utilizzatori delle informazioni finanziarie
3.4.1 |
È importante che le discussioni si concentrino non solo sulla «semplificazione» degli obblighi di informativa finanziaria, ma anche sulla «pertinenza» di questi ultimi per le PMI — rispetto alle grandi società quotate in borsa. Il dibattito sulla semplificazione è infatti tendenzialmente incentrato sui costi, mentre il dibattito sulla pertinenza verte sui benefici dell'informativa finanziaria e sulle esigenze di specifici utilizzatori. |
3.4.2 |
La semplificazione della direttiva contabile deve partire dalle esigenze reali delle PMI e di quanti utilizzano i loro conti. Affinché le relazioni finanziarie siano utili e pertinenti, lo studio delle esigenze dei molteplici utilizzatori (istituzioni finanziarie, ai fini del rating; autorità pubbliche, ai fini dell'imposizione fiscale e della lotta al riciclaggio, ecc.) è determinante per l'elaborazione di un quadro europeo dell'informativa finanziaria per le PMI. |
3.4.3 |
È inoltre importante ricordare che le PMI stesse sono grandi utilizzatrici delle informazioni finanziarie, ad esempio in quanto fornitori e parti contraenti nei confronti di altre PMI, in situazioni in cui è importante valutare la capacità creditizia. |
3.4.4 |
Nel contesto della «semplificazione» delle norme contabili a carico delle PMI, è importante eseguire valutazioni di impatto rigorose, che comprendano anche un'analisi dei benefici dell'informativa finanziaria nonché dei costi/oneri amministrativi. Tali valutazioni d'impatto dovrebbero tener conto delle ragioni che hanno portato inizialmente ad imporre gli obblighi di informativa finanziaria nonché degli interessi (ad esempio alla trasparenza) delle parti interessate che si volevano tutelare. |
3.5 Armonizzazione in vista della creazione di condizioni di concorrenza eque nell'UE
3.5.1 |
Le attività commerciali transfrontaliere svolte dalle PMI all'interno dell'UE sono in aumento (7). Ci sono perciò validi motivi per procedere verso l'armonizzazione dei quadri relativi all'informativa finanziaria ed elaborare norme che (a) promuovano l'espansione di questo settore e (b) creino condizioni di concorrenza eque. A questo fine potrebbe essere necessario ridurre le opzioni disponibili e procedere verso la massima armonizzazione, ad esempio nel settore della pubblicazione delle informazioni finanziarie e dell'accesso pubblico a tali informazioni. |
3.6 I principi contabili internazionali non devono essere obbligatori per le PMI
3.6.1 |
Il progetto dell'Organismo internazionale di normalizzazione contabile (International Accounting Standards Board — IASB) per le PMI è la risposta alla richiesta, avanzata da organismi di normazione, esperti contabili e altre parti interessate, di un'alternativa all'applicazione integrale degli IFRS. Benché inizialmente restio a farsi carico del progetto, lo IASB si è persuaso che la maggioranza delle parti interessate voleva portarlo avanti. Si è inoltre persuaso di essere il solo organismo dotato della credibilità e dell'autorità necessaria per stabilire principi contabili di qualità effettivamente applicabili. Il punto di partenza di questo progetto è stato tuttavia l'insieme completo degli IFRS messi a punto per le società quotate in borsa. |
3.6.2 |
Tale insieme di principi è stato sviluppato in funzione dell'uso che viene fatto della normativa finanziaria da parte delle società quotate in borsa e dalle parti interessate. Come già detto sopra, l'uso dell'informativa finanziaria da parte delle PMI è più spesso di tipo interno e informale (rispetto a fornitori, parti contraenti, istituzioni finanziarie, ecc.), anziché determinato da un obbligo giuridico o di altro tipo di rendere conto a una vasta gamma di utilizzatori. |
3.6.3 |
L'applicazione obbligatoria degli IFRS, o di un diverso insieme di nuove norme basate su quelle messe a punto per le società quotate in borsa, imporrebbe alle PMI oneri amministrativi consistenti e costi finanziari probabilmente superiori agli eventuali effetti positivi. Lo stretto legame tra conti annuali e dichiarazioni fiscali costringerebbe inoltre le PMI che operano in Stati membri a tenere due tipi di relazioni finanziarie, cosa che andrebbe ad aggravare l'onere amministrativo. |
3.7 Semplificazione delle direttive
3.7.1 |
Per quanto riguarda le opzioni di semplificazione delle direttive contabili a favore delle PMI basate essenzialmente sull'ampliamento delle opzioni già previste per le PMI nel quadro delle direttive attuali, è importante esaminare il funzionamento di tali opzioni negli Stati membri prima di introdurre nuove direttive. Il Comitato raccomanda inoltre di applicare sistematicamente e a tutti i livelli il principio dell'only once (8). |
3.7.2 |
Prima di modificare ulteriormente gli obblighi di informativa finanziaria a carico delle PMI, andrebbe considerata la situazione attuale in termini di applicazione delle opzioni previste dalla quarta e dalla settima direttiva sul diritto societario. L'indagine dovrebbe esaminare (a) l'uso delle opzioni esistenti, (b) i motivi addotti dagli Stati membri per giustificare le opzioni scelte e (c) i successi da loro ottenuti nel conseguimento dei loro obiettivi. |
3.7.3 |
Uno dei grandi problemi della situazione attuale deriva dall'adozione di un approccio «dall'alto verso il basso» che (a) si traduce in oneri amministrativi a carico delle PMI e (b) riduce la pertinenza del quadro e dei principi contabili finanziari per tali organismi. In un futuro riesame dell'informativa finanziaria nell'UE sarà opportuno affrontare questo problema con un approccio «dal basso verso l'alto», incentrato sulle esigenze delle PMI e delle altre parti interessate e basato sull'esame dei bisogni degli utilizzatori, come proposto sopra. |
Bruxelles, 18 settembre 2008.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(1) GU C 325 del 24.12.2002, pag. 35.
(2) Progetto UE relativo alla misurazione di riferimento e alla riduzione dei costi amministrativi, seconda relazione intermedia, 15 gennaio 2008, pag. 37. Ad oggi la relazione finale non è ancora stata pubblicata (cfr. la nota 6 al documento COM(2008) 195 def.).
(3) GU L 243 dell'11.9.2002, pag. 1.
(4) GU L 222 del 14.8.1978, pag. 11. Direttiva modificata da ultimo dalla direttiva 2006/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (GU L 224 del 16.8.2006, pag. 1).
(5) Quali definite dall'articolo 27 della quarta direttiva sul diritto societario.
(6) GU L 193 del 18.7.1983, pag. 1. Direttiva modificata da ultimo dalla direttiva 2006/99/CE del Consiglio (GU L 363 del 20.12.2006, pag. 137).
(7) Cfr. i pareri del CESE sull'importanza del mercato interno:
— |
parere CESE 952/2006 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Attuazione del programma comunitario di Lisbona: Una strategia per la semplificazione del contesto normativo (INT/296) (GU C 309 del 16.12.2006, pag. 18), |
— |
parere esplorativo CESE 89/2007 sul tema Riesame del mercato unico (INT/332) (GU C 93 del 27.4.2007, pag. 25), |
— |
parere esplorativo CESE 1187/2008 sul tema Le diverse misure politiche, al di là di finanziamenti adeguati, atte a contribuire alla crescita e allo sviluppo delle piccole e medie imprese (INT/390) (non ancora pubblicato nella GU), |
— |
parere esplorativo CESE 979/2008 sul tema Gli appalti pubblici internazionali (INT/394) (non ancora pubblicato nella GU). |
(8) Parere esplorativo CESE 1187/2008 (INT/390), cit. Il principio dell'only once significa che le imprese non dovrebbero essere tenuta a fornire nuovamente le informazioni già ottenute dalle autorità attraverso altri canali a qualsiasi livello (europeo, nazionale, regionale e locale).
31.3.2009 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 77/41 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle iscrizioni regolamentari dei veicoli a motore a due o tre ruote (versione codificata)
COM(2008) 318 def. — 2008/0099 (COD)
(2009/C 77/08)
Il Consiglio, in data 18 giugno 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:
Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle iscrizioni regolamentari dei veicoli a motore a due o tre ruote (versione codificata)
Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede commenti da parte sua, il Comitato, in data 17 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha deciso all'unanimità di esprimere parere favorevole al testo proposto.
Bruxelles, 17 settembre 2008.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
31.3.2009 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 77/41 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al sedile del conducente dei trattori agricoli o forestali a ruote (versione codificata)
COM(2008) 351 def. — 2008/0115 (COD)
(2009/C 77/09)
Il Consiglio, in data 7 luglio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:
Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al sedile del conducente dei trattori agricoli o forestali a ruote (versione codificata)
Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede commenti da parte sua, il Comitato, in data 17 settembre 2008 nel corso della 447a sessione plenaria, ha deciso all'unanimità di esprimere parere favorevole al testo proposto.
Bruxelles, 17 settembre 2008.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
31.3.2009 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 77/42 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di diritto delle società relativa alle società a responsabilità limitata con un unico socio (versione codificata)
COM(2008) 344 def. — 2008/0109 (COD)
(2009/C 77/10)
Il Consiglio, in data 7 luglio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 44 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:
Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio in materia di diritto delle società relativa alle società a responsabilità limitata con un unico socio (versione codificata)
Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede commenti da parte sua, il Comitato, in data 17 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha deciso all'unanimità di esprimere parere favorevole al testo proposto.
Bruxelles, 17 settembre 2008.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
31.3.2009 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 77/42 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento (CE) n. …/… del Parlamento europeo e del Consiglio sul certificato protettivo complementare per i medicinali (versione codificata)
COM(2008) 369 def. — 2008/0126 (COD)
(2009/C 77/11)
Il Consiglio, in data 7 luglio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:
Proposta di regolamento (CE) n. …/…. del Parlamento europeo e del Consiglio sul certificato protettivo complementare per i medicinali (versione codificata)
Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede commenti da parte sua, il Comitato, in data 17 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha deciso all'unanimità di esprimere parere favorevole al testo proposto.
Bruxelles, 17 settembre 2008.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
31.3.2009 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 77/43 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili
COM(2008) 19 def. — 2008/0016 (COD)
(2009/C 77/12)
Il Consiglio, in data 3 marzo 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 175, paragrafo 1, e dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:
Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili
La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 16 luglio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore RIBBE.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 105 voti favorevoli, 38 voti contrari e 10 astensioni.
1. Conclusioni e raccomandazioni
1.1 |
Il CESE ha accolto favorevolmente i piani per il clima 2007 del Consiglio europeo, che saranno attuati anche attraverso la direttiva all'esame. |
1.2 |
Il Comitato approva espressamente l'affermazione della Commissione secondo cui l'auspicato sviluppo delle energie rinnovabili (in appresso abbreviate «ER») non è solo opportuno dal punto di vista della politica climatica ma ha/può avere altresì un chiaro impatto positivo sull'approvvigionamento energetico, sulle possibilità di sviluppo a livello regionale e locale, sullo sviluppo rurale, sul potenziale di esportazione, sulla coesione sociale e sulla creazione di posti di lavoro specialmente per quanto riguarda le piccole e medie imprese e i produttori indipendenti di elettricità. |
1.3 |
Pertanto, il CESE approva la proposta di direttiva e l'obiettivo di una quota del 20 % di energie rinnovabili. In tali energie esso ravvisa non solo un contributo alla protezione del clima, ma anche un giusto obiettivo strategico di politica energetica, che porterà a una maggiore autosufficienza energetica e quindi a una maggiore sicurezza di approvvigionamento. |
1.4 |
L'obiettivo del «20 % di CO2 in meno entro il 2020», che andrà realizzato mediante altre direttive (1), e quello del «20 % di energia finale prodotta a partire da fonti rinnovabili» su cui verte il presente parere sono strettamente correlati e si integrano a vicenda. Vanno però considerati indipendentemente l'uno dall'altro, tanto più che alcune delle ER non hanno sempre necessariamente effetti decisamente positivi sul clima (cfr. il punto 6 relativo agli agrocarburanti). |
1.5 |
Dato che l'adeguamento del nostro sistema energetico, ritenuto necessario, comporterà costi di investimento elevati, è opportuno garantire agli Stati membri un alto grado di flessibilità in modo che possano agire sempre nei casi in cui, con il minimo costo, si può ottenere il massimo vantaggio in termini di protezione climatica e creazione di posti di lavoro. |
1.6 |
Il CESE precisa di essere decisamente favorevole allo sviluppo delle ER e di essere consapevole del fatto che, per raggiungere gli ambiziosi obiettivi del Consiglio (riduzione delle emissioni di CO2 del 60-80 % e maggiore autosufficienza energetica), a medio e lungo termine sarà necessaria una quota molto più elevata di quella del 20 % prevista per il 2020. |
1.7 |
Il Comitato osserva che la scelta strategica di sostituire in parte il gasolio per autotrazione o la benzina con agrocarburanti costituisce inoltre una delle misure meno efficaci e più costose per la prevenzione dei cambiamenti climatici, e comporta un'allocazione estremamente erronea delle risorse. Il Comitato non comprende perché proprio le misure più dispendiose debbano essere anche quelle che ricevono il massimo sostegno politico, tanto più che una lunga serie di domande di natura non solo economica, ma anche ecologica e sociale rimane senza alcuna risposta (cfr. punto 6). Respinge pertanto l'obiettivo specifico del 10 % per gli agrocarburanti. |
1.8 |
Il Comitato approva l'iniziativa dell'UE di introdurre criteri di sostenibilità per gli agrocarburanti. Tuttavia, i criteri ecologici formulati nella proposta non sono abbastanza ambiziosi e le questioni sociali vengono totalmente ignorate. Su questo aspetto, dunque, la proposta di direttiva si rivela totalmente inadeguata (2). |
2. Introduzione
2.1 |
La proposta definisce gli obiettivi vincolanti di sviluppo delle ER. Per il 2020 sono programmati una quota complessiva di energie rinnovabili del 20 % sul consumo energetico finale nell'UE e un obiettivo minimo obbligatorio del 10 % per la quota di biocarburanti (3) nei trasporti, che ogni Stato membro dovrà conseguire (4). |
2.2 |
Per realizzare l'obiettivo europeo del 20 % andranno attuati gli obiettivi nazionali obbligatori che figurano nell'allegato I, parte A. Nel quadro di appositi piani di azione nazionali, gli Stati membri dovranno stabilire obiettivi per la quota di energia da fonti rinnovabili nel settore dei trasporti/degli agrocarburanti, dell'elettricità e del riscaldamento e raffreddamento, e le misure da adottare per raggiungere detti obiettivi. |
2.3 |
La proposta in esame si basa sulle decisioni del Consiglio europeo di primavera del 2007. Essa viene motivata con l'argomento che l'impiego di energie rinnovabili permette di contrastare il cambiamento climatico. Nella proposta, però, si afferma anche che «il settore delle energie rinnovabili si contraddistingue per la sua capacità di […] utilizzare le fonti energetiche locali e decentrate e di stimolare le imprese ad alta tecnologia di livello mondiale». |
2.4 |
A giudizio della Commissione «le fonti energetiche rinnovabili sono in gran parte fonti interne, non dipendono dalla disponibilità futura di fonti energetiche convenzionali e la loro natura per lo più decentralizzata diminuisce la vulnerabilità delle nostre economie alla volatilità dell'approvvigionamento energetico». Quindi la Commissione vede nella sicurezza di approvvigionamento un ulteriore, importante argomento a favore delle energie rinnovabili, accanto alla prevenzione del cambiamento climatico e al progresso dell'innovazione e dell'economia. |
2.5 |
La Commissione afferma quanto segue: «lo sviluppo del mercato delle fonti energetiche rinnovabili e delle relative tecnologie ha altresì un chiaro impatto positivo sull'approvvigionamento energetico, sulle possibilità di sviluppo a livello regionale e locale, sullo sviluppo rurale, sul potenziale di esportazione, sulla coesione sociale e sulla creazione di posti di lavoro specialmente per quanto riguarda le piccole e medie imprese e i produttori indipendenti di elettricità». |
2.6 |
Il documento non si limita a definire gli obiettivi quantitativi di cui sopra, ma disciplina tra l'altro anche:
|
2.7 |
Una volta approvata, la nuova direttiva abrogherà la direttiva 2001/77/CE sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità, che fissa l'attuale obiettivo di portare al 21 % entro il 2010 la quota di elettricità da fonti rinnovabili sul consumo totale di elettricità, e la direttiva 2003/30/CE sulla promozione dell'uso dei biocarburanti o di altri carburanti rinnovabili nei trasporti, che stabilisce che la quota di tali carburanti dovrà raggiungere il 5,75 % entro il 2010. |
3. Osservazioni generali sugli obiettivi principali e sugli obiettivi di protezione climatica fissati dalla direttiva
3.1 |
Nel 2007, il Consiglio europeo ha ribadito «che gli impegni in materia di riduzione delle emissioni assolute sono la spina dorsale di un mercato globale del carbonio. I paesi sviluppati dovrebbero mantenere un ruolo guida impegnandosi a ridurre collettivamente le loro emissioni di gas ad effetto serra dell'ordine del 30 % entro il 2020 rispetto al 1990, anche nella prospettiva di ridurre collettivamente le emissioni del 60 %-80 % entro il 2050 rispetto al 1990». |
3.2 |
La proposta di direttiva in oggetto è un elemento dell'attuazione di detto proposito. Il CESE ha accolto con compiacimento le decisioni del Consiglio europeo in materia di cambiamento climatico e ha sottolineato che il risparmio e l'efficienza energetica devono avere la massima priorità. Non esistono alternative ad un forte sviluppo delle ER, opportuno non solo sul piano della protezione climatica ma anche in vista della prevedibile penuria di combustibili fossili a medio e lungo termine. Il rapido aumento dei prezzi registrato attualmente per le energie fossili contribuirà a far sì che molte ER raggiungano più rapidamente la convenienza economica. |
3.3 |
Il Comitato apprezza esplicitamente che nella relazione la Commissione, invece di limitarsi a considerare gli aspetti legati al clima, annetta grande importanza anche alle questioni attinenti alla sicurezza di approvvigionamento e all'occupazione. Sottolinea infatti in più occasioni l'importanza che le strutture decentrate di approvvigionamento possono avere, ad esempio, per la forza dell'economia regionale e per le aree rurali (punti 2.4 e 2.5). Pur condividendo pienamente questa concezione, il Comitato considera indispensabile differenziare in misura ben maggiore le varie strategie dell'UE proprio sotto tali aspetti. |
3.4 |
Il CESE condivide l'opinione della Commissione secondo cui un ruolo di leader nell'ambito dello sviluppo e dell'applicazione delle ER avrà effetti positivi per l'Europa non solo sotto il profilo della politica climatica ma anche perché potrebbe in futuro procurare al sistema produttivo europeo vantaggi concorrenziali. La proposta di direttiva è un chiaro segnale di politica energetica, ambientale e industriale che, in vista degli imminenti negoziati mondiali sul clima, viene lanciato anche a tutta la comunità internazionale. |
3.5 |
La cosiddetta «ripartizione degli oneri», vale a dire i contributi nazionali all'obiettivo europeo di riduzione complessiva del CO2 del 20 %, è fissata nella Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio concernente gli sforzi degli Stati membri per ridurre le emissioni dei gas ad effetto serra al fine di adempiere agli impegni della Comunità in materia di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra entro il 2020 (COM(2008) 17 def.) e nella Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2003/87/CE al fine di perfezionare ed estendere il sistema comunitario di scambio delle quote di emissione dei gas a effetto serra (COM(2008) 16 def.). |
3.6 |
Il CESE giudica l'obiettivo di una quota di energie rinnovabili pari al 20 % entro il 2020 politicamente e strategicamente opportuno nonché tecnicamente ed economicamente realizzabile. Si delinea quindi il passaggio a una politica energetica «post-fossile». Il Comitato ritiene che anche gli specifici obiettivi nazionali siano attuabili, tanto più che agli Stati membri verranno sicuramente offerte possibilità flessibili (acquisto supplementare, partecipazione a progetti ecc.). È ovvio che l'adeguamento del sistema energetico avrà necessariamente un costo e non potrà essere realizzato senza mutamenti strutturali. Occorre investire non solo negli impianti di generazione elettrica da fonti rinnovabili, ma anche nelle tecnologie e nelle capacità di stoccaggio dell'energia per compensare le variazioni della produzione dovute all'insufficienza della forza del vento o dell'insolazione, nonché nell'espansione delle linee di trasmissione dell'energia tra Stati membri dell'UE. Se si mette l'accento esclusivamente sulla generazione di energia, non si otterranno i risultati voluti. |
3.7 |
La Germania, ad esempio, promuove la produzione di energia da fonti rinnovabili attraverso una legge concernente l'alimentazione delle reti di energia. La quota di elettricità prodotta in maniera ecologica è attualmente del 15 % mentre i costi aggiuntivi, sostenuti dagli utenti mediante tariffe di alimentazione più elevate, ammontano a circa 3,5 miliardi di euro l'anno. Questo però non tiene conto dei vantaggi economici sotto forma di nuovi posti di lavoro, danni ambientali evitati e aumento del gettito fiscale. |
3.8 |
Per contenere al massimo i costi di realizzazione degli obiettivi, la direttiva prevede che gli obiettivi specifici nazionali possano essere conseguiti anche sostenendo misure per lo sviluppo delle ER in altri paesi. È anche possibile importare elettricità da fonti rinnovabili con garanzia di origine. Il CESE reputa che in linea di principio si tratti di una lodevole iniziativa. Tuttavia è anche d'accordo con gli Stati membri che chiedono che questo commercio sia soggetto ad autorizzazione preliminare per poter evitare che la promozione di energia da fonti rinnovabili finanziata da un paese (5) venga usata per conseguire un risparmio di costi in un altro Stato. |
4. Limitazione della flessibilità nello sviluppo delle ER
4.1 |
Il CESE ritiene corretta l'impostazione scelta dalla Commissione: definire un obiettivo comune per i tre settori in cui le energie rinnovabili svolgeranno un ruolo importante, cioè: elettricità, riscaldamento e raffreddamento, trasporti, e non tre obiettivi separati. Questa impostazione lascia gli Stati membri liberi di scegliere come dosare gli interventi nei tre settori per raggiungere i rispettivi obiettivi nazionali previsti. |
4.2 |
Tale tendenza alla flessibilità risulta tuttavia sensibilmente compromessa dall'introduzione di un apposito obiettivo vincolante per un'unica parte di uno dei tre settori: la sostituzione del gasolio e della benzina nei trasporti. |
5. Il ruolo specifico degli agrocarburanti nella proposta di direttiva
5.1 |
La Commissione assegna un ruolo particolare anche agli agrocarburanti. |
5.2 |
Numerosi studi recenti su questo argomento indicano che la biomassa, a differenza dell'energia solare, costituisce una risorsa limitata e che quindi il suo uso condurrà necessariamente a situazioni di concorrenza, nell'uso dei suoli, con le produzioni alimentari o con la tutela della biodiversità. L'intensità di tale concorrenza futura è ancora oggetto di dibattito. Pertanto, prima che la politica formuli indirizzi in materia, occorre procedere ad un'attenta valutazione strategica su quale forma di energia rinnovabile sia la più adeguata in un determinato campo di applicazione. In tale contesto si dovranno effettuare valutazioni di impatto molto attente. |
5.3 |
Nel novembre 2007 il comitato scientifico del ministero federale tedesco dell'Agricoltura ha pubblicato una raccomandazione sull'uso energetico della biomassa, in cui osserva che a lungo termine saranno l'energia solare e quella eolica ad assumere il ruolo principale tra le fonti rinnovabili, anche grazie a un potenziale sensibilmente maggiore a quello della biomassa. Il documento menziona tre argomenti a sostegno di questa tesi:
|
5.4 |
Dato che le risorse naturali sono limitate e che il passaggio a strutture di approvvigionamento energetico nuove, basate su fonti rinnovabili e quanto più possibile decentrate richiede investimenti relativamente cospicui, è opportuno osservare in modo particolare il principio secondo cui le limitate risorse disponibili devono essere concentrate sulle strategie più efficienti per la prevenzione dei cambiamenti climatici. |
5.5 |
Si constata invece che a livello comunitario alcune tra le produzioni bioenergetiche ben individuate e talvolta sovvenzionate dallo Stato, più precisamente gli agrocarburanti e la produzione di biogas dal mais, comportano elevati costi di contenimento delle emissioni di CO2 (6), che vanno da 150 a oltre 300 euro per tonnellata di CO2. |
5.6 |
Esistono tuttavia produzioni di bioenergie, ad es. la produzione di biogas dal letame (meglio ancora in combinazione con un impianto di cogenerazione calore/energia), la produzione combinata di elettricità e di calore da legno sminuzzato (proveniente dai residui della silvicoltura o dalle colture silvicole a ciclo breve) e l'aggiunta di legno sminuzzato al combustibile in centrali elettriche di grandi dimensioni, per le quali i costi di contenimento si limitano a 50 euro per tonnellata di CO2 (7). |
5.7 |
Anche il Centro comune di ricerca della Commissione europea è giunto alla conclusione che, in termini di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra per ettaro, è molto più efficiente usare la biomassa per generare elettricità che convertirla in agrocarburanti liquidi (8). I moderni impianti di combustione a biomassa sono quasi altrettanto efficienti di quelli che bruciano combustibili fossili: 1 megajoule (MJ) di biomassa sostituisce circa 0,95 MJ di energia di origine fossile. La conversione della biomassa in carburante liquido per autotrazione ha invece un rendimento energetico che generalmente non supera il 30-40 %. Vale a dire che, nel caso dell'impiego nei trasporti, 1 MJ di biomassa sostituisce appena da 0,35 a 0,45 MJ di petrolio greggio. |
5.8 |
La produzione di agrocarburanti comporta una riduzione delle emissioni di CO2 di circa 3 tonnellate per ettaro, mentre le altre produzioni bioenergetiche descritte al punto 5.6 consentono una riduzione di oltre 12 tonnellate per ettaro. |
5.9 |
In considerazione degli aspetti sin qui menzionati, il Comitato si chiede perché la Commissione voglia espressamente stabilire l'obiettivo di una quota del 10 % per gli agrocarburanti. A questo proposito ricorda che il Consiglio europeo di primavera ha affermato che tale obiettivo dev'essere realizzato in maniera efficace sotto il profilo dei costi e rispettando tre condizioni:
|
5.10 |
Per quanto riguarda la sostenibilità di tale produzione sussistono più dubbi che certezze (cfr. anche il capitolo 8) e gli agrocarburanti di seconda generazione non sono ancora disponibili. Non sono quindi soddisfatte almeno due delle tre condizioni indicate dal Consiglio europeo, ma ciò non impedisce alla Commissione di indicare un obiettivo del 10 %. |
5.11 |
La Commissione, per motivare tale scelta, asserisce che quello dei trasporti è il settore dell'economia che registra l'aumento più rapido delle emissioni di gas a effetto serra e che la produzione di agrocarburanti «è attualmente più costosa di altre forme di energie rinnovabili, il che implica che senza una prescrizione specifica non vi sarebbe un loro sviluppo». |
5.12 |
Il CESE non può concordare con questa motivazione. |
5.12.1 |
È indubbio che le emissioni di gas ad effetto serra generate dai trasporti siano fuori controllo, Tuttavia introdurre limiti di emissione più restrittivi e sostituire con agrocarburanti il 10 % del carburante diesel e della benzina non risolverà il problema; anzi non basterà nemmeno a compensare l'aumento delle emissioni del settore trasporti previsto per i prossimi anni. |
5.12.2 |
Il CESE ha più volte indicato come si possa limitare questo problema: applicando politiche di prevenzione del traffico, nonché orientando la scelta tra i vari modi di trasporto in favore di quelli a basso impatto sul clima, quali la ferrovia, i trasporti pubblici locali e le vie navigabili. |
5.12.3 |
Il CESE ritiene che, sul piano tecnico, il futuro del trasporto automobilistico privato non stia nei motori a combustione ma in quelli elettrici alimentati con elettricità prodotta a partire da fonti rinnovabili. L'istituto di ricerca svizzero EMPA (9) ha calcolato che, per far percorrere a un'automobile tipo VW Golf la distanza di 10 000 km, occorre il prodotto annuo di una coltivazione di colza della superficie di 2 062 m2. Utilizzando invece cellule solari si potrebbe produrre la stessa quantità di energia in un anno con una superficie di 37 m2, pari a circa un sessantesimo di quella del campo di colza. |
5.12.4 |
La scelta strategica di sostituire i carburanti convenzionali con agrocarburanti costituisce anche una delle misure di prevenzione del cambiamento climatico meno efficaci e più costose, e comporta un'allocazione estremamente erronea delle risorse. Il Comitato non comprende perché proprio le misure più dispendiose debbano essere anche quelle che ricevono il massimo sostegno politico, tanto più che una lunga serie di domande di natura non solo economica, ma anche ecologica e sociale rimane senza alcuna risposta. |
5.12.5 |
Di conseguenza il Comitato non può condividere l'affermazione della Commissione secondo cui «il maggiore ricorso ai biocarburanti per autotrazione è uno degli strumenti più efficaci» per fare fronte alle sfide in campo. |
5.13 |
Se si pensa che la Commissione si ripropone di autorizzare gli agrocarburanti a condizione che garantiscano una riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra pari almeno al 35 % rispetto ai carburanti fossili, ne risulta che la prevista quota del 10 % comporterà una riduzione delle emissioni del traffico motorizzato, a parità di volume di traffico, pari solo al 3,5 %. Dato che il traffico contribuisce per circa un quarto all'effetto serra complessivo, si può parlare di un potenziale complessivo di riduzione delle emissioni pari all'1 % delle emissioni di gas a effetto serra. Si tratta di un valore del tutto sproporzionato allo sforzo finanziario e ai pericoli connessi. |
5.14 |
Se anche si pensasse che gli agrocarburanti per il settore dei trasporti costituiscano un'utilizzazione ottimale della biomassa, bisognerebbe puntare anche qui all'efficienza assoluta. L'Allegato VII della proposta in esame fa però chiaramente capire che convertire la biomassa in etere o in etanolo non costituisce l'approccio giusto. Infatti qualsiasi trasformazione molecolare (industriale) comporta un impiego, e quindi una perdita, di energia. Sarebbe più appropriato utilizzare direttamente la biomassa prodotta, senza assoggettarla a una trasformazione chimica industriale. |
5.15 |
La cosa è tecnicamente possibile, come mostrano alcuni produttori di trattori che offrono ormai motori alimentati esclusivamente con oli vegetali. |
5.16 |
Il menzionato Allegato VII mostra che le maggiori riduzioni delle emissioni si possono realizzare appunto con la suddetta tecnologia: rispetto ai carburanti fossili l'olio di colza puro consente una riduzione standard delle emissioni pari al 55 %, mentre l'agrodiesel da semi di colza comporta una riduzione di appena il 36 % e l'etanolo da cereali addirittura dello 0 %. Il CESE non capisce quindi perché la Commissione non riconosca esplicitamente l'opportunità di tale metodo, tanto più che esso è il più adatto a far nascere quanto prima strutture decentrate di approvvigionamento energetico, e dunque anche posti di lavoro nell'agricoltura e nelle aree rurali. |
5.17 |
Il CESE ritiene per esempio che sarebbe una buona strategia l'uso — nell'agricoltura stessa oppure negli automezzi comunali o nelle imbarcazioni — di oli vegetali ottenuti in coltivazioni miste ecocompatibili (10). In tal modo gli agricoltori potrebbero essere direttamente coinvolti nello sviluppo di circuiti energetici regionali traendone un profitto diretto. Nel quadro della strategia basata sugli agrocarburanti invece, i produttori agricoli diventerebbero solo produttori di materie prime quanto meno costose possibile per l'industria degli oli minerali, sempre che vengano utilizzate materie prime di produzione europea. |
6. Osservazioni sul tema della sicurezza di approvvigionamento
6.1 |
La Commissione presume che una gran parte della biomassa richiesta per gli agrocarburanti verrà prodotta al di fuori dell'UE, in regioni più favorite sotto il profilo climatico. Sostituendo le importazioni di petrolio con importazioni di biomassa, però, non si riduce la dipendenza dalle esportazioni ma ci si limita a diversificarla. |
6.2 |
La nuova politica energetica dell'UE non può perseguire seriamente l'obiettivo di sostituire una dipendenza con un'altra. |
6.3 |
Occorrerebbe semmai impostare la nuova strategia di ER principalmente sulle fonti energetiche realmente decentrate, disponibili a livello locale o regionale. In tal modo le bioenergie possono e devono avere un ruolo da svolgere, anche se non quello previsto nella strategia relativa agli agrocarburanti. |
7. Occupazione
7.1 |
Secondo la Commissione «le energie rinnovabili sono una valida alternativa alle energie convenzionali e vengono fornite tramite le stesse infrastrutture e gli stessi sistemi logistici». Il Comitato considera tale affermazione gravemente fuorviante: le ER provenienti da strutture decentrate a volte si differenziano diametralmente dalle energie «convenzionali» provenienti da grandi strutture centralizzate. |
7.2 |
Una strategia degli agrocarburanti basata su prodotti d'importazione miscelati al carburante diesel e alla benzina si avvale delle strutture «tradizionali», cioè centralizzate, delle compagnie petrolifere globali. Tale strategia consolida le strutture centralizzate di produzione e di distribuzione dell'industria petrolifera, favorendone decisamente gli interessi, ma difficilmente creando nuovi posti di lavoro in Europa (11). |
7.3 |
Puntando invece su soluzioni caratterizzate da maggiore efficienza energetica, come l'uso di legno sminuzzato per generare calore o elettricità, il ricorso a oli vegetali puri di produzione locale, la fornitura di biogas a veicoli o distretti privi di una rete di distribuzione del gas naturale o ancora le tecnologie solari decentrate ecc., si creerebbero nuove possibilità di produzione e di distribuzione, che possono essere organizzate a livello regionale e hanno un forte potenziale occupazionale. |
7.4 |
Con gli impianti solari termici e quelli fotovoltaici decentrati i consumatori (di energia) producono da soli gran parte del loro fabbisogno, il che dimostra anche che un approvvigionamento basato sulle energie rinnovabili è strutturato in maniera sostanzialmente diversa rispetto all'attuale sistema di approvvigionamento. |
7.5 |
Anche altre misure, come quelle volte ad accrescere l'efficienza e il risparmio, possono creare centinaia di migliaia di posti di lavoro in piccole e medie imprese già nella fase di costruzione. Si pensi per esempio all'isolamento di immobili, all'installazione di impianti solari o eolici e alla costruzione di impianti per l'estrazione di biogas. I responsabili politici devono fare in modo che proprio questi potenziali si realizzino. La strategia sugli agrocarburanti prevista dalla direttiva non costituisce la soluzione più efficiente. |
7.6 |
Ciò significa che bisogna assolutamente valutare bene e distinguere con maggiore attenzione le varie fonti rinnovabili anche ai fini delle ricadute occupazionali. Le energie rinnovabili possono davvero promuovere e sostenere le strutture economiche regionali, ma possono anche contribuire a consolidare le grandi strutture centralizzate. |
7.7 |
Ciò vale d'altronde anche per i paesi dove si coltiva la biomassa per gli agrocarburanti. In un documento del marzo 2008 sulla posizione della politica di aiuto allo sviluppo nei confronti degli agrocarburanti, il ministero tedesco competente per gli aiuti allo sviluppo giunge alla conclusione che, ai fini del progresso economico, ecologico e sociale dei paesi in via di sviluppo, una produzione su vasta scala di biomassa destinata all'esportazione, in risposta alla domanda accresciuta dei paesi industrializzati, è altamente rischiosa e non crea posti di lavoro. Nello stesso documento si valuta invece favorevolmente il ricorso alla biomassa, compresa quella prodotta in piccole aziende agricole, ai fini dell'approvvigionamento energetico decentrato. |
8. Osservazioni sui criteri di sostenibilità
8.1 |
Il CESE si compiace che la Commissione preveda di introdurre criteri di sostenibilità anche per la produzione di agrocarburanti, giudicandolo un importante passo in avanti. Al tempo stesso reputa assolutamente insufficiente la proposta presentata. |
8.2 |
La stessa Commissione sottolinea ripetutamente l'importanza di equilibrare, nell'ambito di una politica di sostenibilità, il pilastro economico, quello ecologico e quello sociale. Tuttavia, questa mancanza totale di considerazione delle questioni sociali nei criteri citati induce già il Comitato a ritenere che la proposta di direttiva in esame non costituisca l'attuazione di una strategia ben ponderata per la sostenibilità o di criteri sostenibili in materia di agrocarburanti, anzi, sotto questo profilo il documento deve essere rielaborato a fondo. |
8.3 |
A causa di modifiche indirette nella destinazione dei terreni, il CESE ritiene pertanto importante che vengano definiti criteri ecologici e sociali efficaci non solo per gli agrocarburanti, ma per tutte le importazioni agricole, compresi i mangimi. |
8.4 |
È un'illusione anche ritenere che stabilendo una data di riferimento (nella fattispecie gennaio 2008) per lo status ambientale di aree quali le foreste primarie o le torbiere se ne possa prevenire la conversione in coltivazioni dedicate alla produzione di agrocarburanti. A tal fine sarebbero necessari un catasto e un sistema di amministrazione e di controllo efficienti ma, come l'esperienza ha mostrato, la maggior parte dei paesi emergenti e in via di sviluppo non ne dispongono. |
8.5 |
Il CESE considera insufficienti i criteri per il mantenimento della biodiversità e la prevenzione dell'uso di terreni con un elevato stock di carbonio, di cui all'articolo 15, paragrafi 3 e 4, della proposta di direttiva. I terreni rilevanti per preservare la biodiversità sono molto più numerosi di quelli citati al paragrafo 3, dalla lettera a) alla lettera c). Lo stesso vale per il paragrafo 4, lettere a) e b) per quanto concerne le riserve di carbonio. |
8.6 |
Nella parte B dell'Allegato VII la Commissione presenta una «stima dei valori tipici e standard dei futuri biocarburanti non presenti sul mercato al gennaio 2008 o presenti in quantità trascurabili». Il CESE ritiene che si dovrebbero prendere a riferimento non già valori stimati, ma solo valori documentabili. |
Bruxelles, 17 settembre 2008.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(1) Cfr. il punto 3.5.
(2) Il CESE ha già sottolineato la necessità di criteri di sostenibilità economica e ambientale per gli agrocarburanti nel parere in merito alla relazione sui progressi compiuti nell'uso dei biocarburanti (TEN/286 — CESE 1449/2007, GU C 44 del 16.2.2008, pag. 34) e nel parere Riduzione delle emissioni di gas a effetto serra — trasporti stradali (NAT/354 — CESE 1454/2007).
(3) Nella proposta di direttiva viene usato ufficialmente il termine «biocarburanti». Il Comitato ha segnalato in numerosi pareri i problemi ecologici causati da questi «bio»carburanti e, dato che il prefisso «bio» induce a pensare che si tratti di prodotti ineccepibili sotto il profilo ecologico (si pensi all'agricoltura «bio»logica), nel proprio parere preferisce usare il termine neutro «agrocarburanti».
(4) Nella direttiva all'esame «viene proposto che ogni Stato membro consegua una quota del 10 % di energie rinnovabili (principalmente biocarburanti) nel settore dei trasporti entro il 2020».
(5) O dai suoi consumatori.
(6) Il concetto di costo di contenimento delle emissioni di CO2 si estende anche agli altri gas a effetto serra, misurati in termini di equivalente CO2.
(7) Fonte: Nutzung von Biomasse zur Energiegewinnung — Empfehlungen an die Politik (Energia dalla biomassa — Raccomandazioni per i responsabili politici) a cura del comitato consultivo per le politiche agricole presso il ministero tedesco dell'Alimentazione, agricoltura e protezione dei consumatori, novembre 2007.
(8) Centro comune di ricerca della Commissione europea: Biofuels in the European Context: Facts, Uncertainties and Recommendations, 2008,
http://ec.europa.eu/dgs/jrc/downloads/jrc_biofuels_report.pdf (disponibile solo in inglese).
(9) L'EMPA è un istituto di ricerca sulla scienza e la tecnologia dei materiali; fa parte del Politecnico federale di Zurigo. Fonte: R. Zah, H. Böni, M. Gauch, R. Hischier, M. Lehmann, P. Wäger (Dipartimento Tecnologia e società dell'EMPA, San Gallo): «Ökobilanz von Energieprodukten: Ökologische Bewertung von Biotreibstoffen. Schlussbericht» (Ecobilancio dei prodotti energetici: valutazione ecologica dei biocarburanti. Relazione finale), aprile 2007. Relazione commissionata dall'Ufficio federale elvetico dell'energia, dall'Ufficio federale dell'ambiente e dall'Ufficio federale dell'agricoltura, e consultabile al seguente indirizzo:
http://www.news-service.admin.ch/NSBSubscriber/message/attachments/8514.pdf
(10) Cfr. anche il parere sul tema Le fonti energetiche rinnovabili (TEN/211 — CESE 1502/2005 del 15 dicembre 2005, relatrice: SIRKEINEN), punto 3.3.1.
(11) Cfr. in proposito il già menzionato studio del Centro comune di ricerca della Commissione europea: Biofuels in the European Context: Facts, Uncertainties and Recommendations, 2008,
http://ec.europa.eu/dgs/jrc/downloads/jrc_biofuels_report.pdf (disponibile solo in inglese).
31.3.2009 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 77/49 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Promuovere la dimostrazione in tempi brevi della produzione sostenibile di energia da combustibili fossili
COM(2008) 13 def.
(2009/C 77/13)
La Commissione europea, in data 23 gennaio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Promuovere la dimostrazione in tempi brevi della produzione sostenibile di energia da combustibili fossili
La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 16 luglio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore SIMONS.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 143 voti favorevoli, 3 voti contrari e 5 astensioni.
1. Conclusioni
1.1 |
Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore il dispositivo proposto nella comunicazione in esame per promuovere i progetti di dimostrazione relativi alle tecnologie di cattura e stoccaggio del CO2 (CCS) nelle centrali elettriche, ma esprime preoccupazione per la mancanza di capacità finanziarie e di opzioni di finanziamento chiaramente definite per il medio (2010-2020) e il lungo periodo (2020 e oltre). |
1.2 |
Occorre assicurare che i proventi generati dal sistema europeo di scambio delle quote di emissioni (emission trading system — ETS-UE), ad esempio con la vendita all'asta, dopo il 2013, delle quote di emissioni da parte del settore produttore di elettricità, suppliscano in parte all'insufficiente capacità di finanziamento della Commissione. È importante notare che sinora a livello UE non è stato proposto alcun sistema finanziario specifico, né le necessarie garanzie. |
1.3 |
È importante che le condizioni finanziarie siano chiare e consolidate al più tardi entro la fine del 2009. Solo così si assicurerà una base finanziaria per avviare la preparazione dei grandi progetti di dimostrazione delle CCS che dovranno essere operativi nel 2015. |
1.4 |
A partire dal 2013 le entrate prodotte dall'ETS-UE andrebbero riscosse a livello nazionale nel quadro dell'applicazione della direttiva ETS-UE riveduta. |
1.5 |
La proposta della Commissione relativa alla destinazione del 20 % dei proventi complessivi delle aste nazionali ETS-UE a misure per la riduzione delle emissioni di CO2 è del tutto inadeguata e costituisce un'opportunità finanziaria mancata. Gli Stati membri dovrebbero essere vivamente esortati a modificare radicalmente la loro posizione sui proventi da ETS-UE, per destinarli invece interamente a tecnologie a bassa emissione di CO2 e ad emissioni zero di CO2 prevedendo un'apposita dotazione per le CCS. In questo modo potrebbero essere reperiti i miliardi di euro necessari per promuovere la dimostrazione in tempi brevi delle tecnologie CCS su vasta scala, ma che attualmente mancano alla Commissione. |
1.6 |
La Commissione dovrebbe predisporre un piano che definisca l'organizzazione e il ruolo della proposta «iniziativa industriale europea», assicurando che essa sia complementare ad altre iniziative senza sovrapporsi ad esse: ad esempio i progetti nel quadro del Settimo programma quadro (7PQ), la piattaforma tecnologica europea per le centrali elettriche a combustibili fossili a emissioni zero (European Technology Platform for Zero Emission Fossil Fuel Power Plants — ETP-ZEP) e il suo programma «ammiraglio» europeo. |
1.7 |
Il CESE conviene sulla necessità di un'infrastruttura europea comune per il trasporto e lo stoccaggio del CO2. In effetti un sistema di trasporto su scala europea è indispensabile per collegare gli Stati membri che potrebbero non essere in grado di creare strutture di stoccaggio a livello nazionale. |
1.8 |
Dato che il trasporto è un elemento essenziale ai fini della creazione di una vasta infrastruttura di CCS, il Comitato propone di adottare l'abbreviazione CCTS (Carbon Capture Transport and Storage, ovvero «cattura, trasporto e stoccaggio del carbonio»), in modo da includere i trasporti. |
2. Antecedenti del parere (1)
2.1 |
Lo sviluppo dell'intera catena del valore delle tecnologie CCS è tuttora in una fase iniziale e in parte ancora esplorativa. Aumenta invece progressivamente l'efficienza delle centrali che utilizzano tecnologie tradizionali. Visto che nel prossimo decennio l'Europa dovrà far fronte alla forte e urgente necessità di sostituire le capacità di produzione delle centrali, il Comitato raccomanda di adottare un approccio pragmatico che consiste nello sviluppo e nell'uso parallelo di entrambe le tecnologie. Se da un lato il miglioramento del rendimento utile può avvenire per lo più sotto la spinta del mercato, d'altro lato le tecnologie CCS (sia per le centrali che per le infrastrutture) necessitano di un ulteriore sostegno nelle fasi di dimostrazione e di immissione sul mercato. |
2.2 |
Per lo sviluppo delle tecnologie CCS vengono seguiti due approcci: la tecnologia integrata nella centrale, che prevede la separazione del CO2 prima del processo di combustione, e la cosiddetta «tecnologia post-combustione», che prevede il filtraggio del CO2 dai fumi dopo la combustione (CO2 washing, ossia depurazione del CO2). Se sviluppato adeguatamente, questo secondo metodo si presterà ad essere applicato nelle nuove centrali elettriche ad alta efficienza già in costruzione, a condizione che vengano progettate tenendone previamente conto (cioè siano predisposte per integrare le tecnologie di cattura del carbonio, captureready). Queste due opzioni tecnologiche hanno in comune il fatto che il CO2 separato dev'essere trasportato dal sito della centrale in un luogo di stoccaggio adeguato. |
2.3 |
Il nodo centrale per rendere tali processi accettabili alla società e al mondo politico è la garanzia di uno stoccaggio sicuro e a lungo termine del CO2, che in fin dei conti è proprio il problema fondamentale che questa tecnologia comporta per l'ambiente (2). |
2.4 |
Durante una riunione svoltasi ad Aomori (Giappone) il 9 giugno 2008, il Gruppo degli otto paesi più industrializzati (G8) ha convenuto di varare, entro il 2010, 20 grandi progetti in materia di CCS onde favorire lo sviluppo tecnologico e l'abbattimento dei costi ai fini di un'ampia utilizzazione delle tecnologie CCS a partire dal 2020. |
2.5 |
Alla riunione del G8 hanno partecipato rappresentanti dei seguenti paesi: Canada, Cina, Corea del Sud, Francia, Germania, Giappone, India, Italia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti. |
2.6 |
A sostegno dell'impegno assunto in materia di CCS al G8 il ministero dell'Energia degli Stati Uniti (DOE) ha promesso formalmente finanziamenti per l'utilizzo delle tecnologie CCS nella gassificazione integrata a ciclo combinato (Integrated Gasification Combined Cycle — IGCC) o in altri impianti che utilizzino tecnologie avanzate del «carbone pulito» nel quadro del programma statunitense FutureGen. Gli Stati Uniti finanziano anche sette partenariati regionali per il sequestro del carbonio allo scopo di dimostrare l'efficacia dello stoccaggio geologico del CO2. |
2.7 |
L'annuncio del G8 in merito alle CCS è in sintonia con la raccomandazione dell'Agenzia internazionale dell'energia (AIE) di utilizzare le tecnologie CCS nel quadro di un pacchetto di misure per dimezzare le emissioni di gas a effetto serra entro il 2050. |
3. Sintesi della comunicazione della Commissione
3.1 |
Le tecnologie CCS costituiscono uno strumento fondamentale nel panorama delle tecnologie già disponibili ed emergenti in grado di realizzare le riduzioni di CO2 occorrenti per conseguire gli obiettivi stabiliti per il dopo 2020 (3). |
3.2 |
L'applicazione su ampia scala delle tecnologie CCS nelle centrali elettriche potrà essere praticabile sotto il profilo commerciale tra 10-15 anni, consentendo una valorizzazione autonoma di questa tecnologia entro il 2020, o poco dopo, nell'ambito di un dispositivo basato sul sistema ETS, strumento fondamentale per azzerare le emissioni di CO2 nella produzione di energia a partire da combustibili fossili. |
3.3 |
A tal fine è indispensabile avviare immediatamente le fasi preparatorie: arrivare in tempi brevi allo stadio della dimostrazione è particolarmente necessario per le tecnologie CCS, già sviluppate e utilizzate a livello mondiale in altre applicazioni, in modo che possano essere adattate per il loro utilizzo su ampia scala nel settore della produzione di energia. |
3.4 |
Nel marzo 2007 il Consiglio europeo ha dato il proprio sostegno, ribadito poi nel marzo 2008, all'intenzione della Commissione di incentivare la costruzione e la messa in funzione, entro il 2015, di un massimo di 12 impianti di dimostrazione delle tecnologie sostenibili dei combustibili fossili per la produzione commerciale di elettricità. |
3.5 |
La comunicazione in oggetto, che integra la proposta di direttiva della Commissione sullo stoccaggio geologico del CO2 che istituisce il quadro giuridico comunitario per le CCS, porta avanti questa idea mirando a istituire una struttura che coordini e sostenga in modo efficace le attività di dimostrazione su ampia scala delle tecnologie CCS e a creare le condizioni perché l'industria proceda a investimenti audaci in una serie di impianti. |
3.6 |
È indispensabile che l'Europa avvii non appena possibile un'azione di dimostrazione delle CCS nell'ambito di un quadro strategico integrato che preveda interventi mirati di R&S e misure di informazione e di sensibilizzazione del pubblico. Stando alla Commissione europea, un ritardo di sette anni nel processo di dimostrazione, tale da comportare un ritardo analogo nell'introduzione delle tecnologie CCS a livello mondiale, potrebbe determinare il rilascio su scala mondiale di quantità di emissioni evitabili pari ad oltre 90 Gt di CO2 entro il 2050 (4), corrispondenti a oltre 20 anni delle emissioni totali di CO2 prodotte attualmente nell'UE. |
3.7 |
Per attrarre finanziamenti pubblici sono essenziali impegni chiari e decisi da parte dell'industria europea, supportati da incentivi e garanzie della Commissione. In particolare, gli Stati membri che intendono utilizzare il carbone nel loro futuro mix energetico dovrebbero adottare misure di sostegno a favore della dimostrazione in tempi brevi delle CCS. |
3.8 |
La comunicazione menziona due tipi di ostacoli:
Il documento della Commissione precisa che l'UE avrà la possibilità di svolgere un ruolo di primo piano nella messa a punto di una regolamentazione internazionale sulle tecnologie CCS. |
3.9 |
L'iniziativa industriale europea che la Commissione propone di avviare dovrebbe far convergere gli sforzi di quelli che essa definisce i «pionieri» impegnati a creare una rete di progetti dimostrativi. Questo dovrebbe favorire gli scambi di esperienze e d'informazione, sensibilizzare il pubblico e fornire elementi utili per politiche che consentano una catena del valore completa per le tecnologie CCS. Inoltre, si può prevedere che la suddetta iniziativa industriale europea aiuti ad attrarre fondi nazionali e internazionali. |
3.10 |
La Commissione dichiara di poter apportare solo una parte minima dei fondi necessari e punta quindi sia sulla capacità dei «pionieri» di generare finanziamenti, sia sui fondi pubblici dei governi nazionali e delle ONG internazionali. |
3.11 |
La Commissione definisce tre azioni:
Si fa inoltre presente che quanto più l'industria tarderà a cominciare ad adottare le CCS, tanto maggiore sarà il rischio che i decisori politici si vedano costretti a contemplare misure obbligatorie. |
3.12 |
La Commissione tiene conto della necessità d'infrastrutture europee comuni per il trasporto e lo stoccaggio del CO2 e prevede una revisione della disciplina comunitaria in materia di reti transeuropee dell'energia (RTE-E), incluse le tecnologie CCS. |
4. Antecedenti della consultazione della Commissione
4.1 |
La Commissione europea, facendo seguito alle decisioni del Consiglio europeo del marzo 2007 in materia di protezione del clima e sicurezza dell'approvvigionamento energetico, ha proposto un intero pacchetto di misure, presentate in documenti separati, per realizzare gli obiettivi previsti nelle decisioni del Consiglio. Tali misure riguardano in particolare l'efficienza energetica, il potenziamento delle fonti rinnovabili, nonché lo sviluppo e l'applicazione di tecnologie innovative adeguate. Il Comitato ha elaborato pareri specifici su ognuno di tali argomenti (5). |
4.2 |
In questo contesto assumono un ruolo importante anche i procedimenti finalizzati a una riduzione stabile delle emissioni di gas a effetto serra generate dall'uso delle fonti energetiche fossili. Il presente parere verte proprio su questo aspetto. |
4.3 |
Il presente parere si ricollega a un altro parere predisposto dal Comitato (6) su questa tecnologia, riguardante proprio la proposta di direttiva della Commissione relativa allo stoccaggio geologico del biossido di carbonio testé citata. |
5. Osservazioni di carattere generale
5.1 |
La comunicazione in esame ribadisce più volte quanto sia vitale per il successo dei suoi programmi dimostrare rapidamente che (a) l'ETS-UE svolgerà un ruolo chiave, e (b) che è possibile un «vero vantaggio commerciale». Manifestamente, l'ETS-UE promette un effettivo vantaggio commerciale ai pionieri, ma questo verrà troppo tardi se entro la fine del 2009 la Commissione non offrirà un quadro normativo chiaro e definitivo per l'ETS-UE dopo il 2012. Entro la fine del 2009 il settore energetico dovrà disporre di una base solida per prendere decisioni in materia d'investimenti onde avviare la fase di progettazione e costruzione in tempo per l'entrata in funzione dei primi siti CCS nel 2015. Questo aspetto non è stato evidenziato a sufficienza, specie se si considerano la scarsa chiarezza attuale circa l'ETS-UE e le vaghe richieste rivolte dalla Commissione al settore dell'energia e ai governi nazionali, le quali mantengono irrisolta la questione dei finanziamenti. |
5.2 |
Il sistema ETS dell'UE costituisce effettivamente un mercato importante per il carbonio, il quale però potrà rivelarsi molto efficace solo se verrà decisamente orientato alla definizione di un prezzo per le quote di emissione che sia superiore ai costi supplementari sostenuti per le misure intese a ridurre il CO2. Se la Commissione non farà chiarezza circa le regole e la portata delle aste e l'adeguata riscossione dei proventi da esse generati, e se non svolgerà un ruolo guida in tal senso, le eccessive incertezze indurranno i potenziali investitori a propendere per un atteggiamento di attendismo. |
5.3 |
È certo che un'infrastruttura europea comune per il trasporto e lo stoccaggio di CO2 faciliterebbe la realizzazione su vasta scala delle CCS in tutta Europa. Alcuni Stati membri potrebbero non essere in grado di creare, da soli, strutture di stoccaggio a livello nazionale (7). Ove possibile si dovrebbero utilizzare infrastrutture dismesse o nuovi impianti integrati ad altre infrastrutture. Data l'importanza del trasporto, il Comitato proporrebbe persino di adottare esplicitamente l'abbreviazione CCTS (Carbon Capture Transport and Storage — cattura, trasporto e stoccaggio del carbonio) in modo da includere i trasporti, pur riconoscendo che l'abbreviazione CCS è ormai nota e accreditata a livello internazionale. |
5.4 |
Dato che attualmente il suo bilancio non le permette di offrire un congruo contributo, la Commissione accolla alle autorità nazionali un notevole onere per il finanziamento delle tecnologie CCS. Visti l'interesse che le tecnologie in parola presentano per l'Unione europea e la necessità che questa svolga un ruolo di «regia» e supervisione per la riuscita dei progetti di dimostrazione, per i progetti di CCS la Commissione dovrebbe farsi carico di finanziamenti ben maggiori di quanto non preveda attualmente, integrati se del caso da contributi degli Stati membri (8). |
5.4.1 |
Grazie alle aste relative alle quote di emissioni nel quadro dell'ETS-UE è stato possibile supplire alla carenza di finanziamenti da parte della Commissione. Attualmente solo il 20 % è stato allocato a favore delle tecnologie a bassa emissione di carbonio e ad emissione zero di carbonio. Occorre sollecitare gli Stati membri a rivedere radicalmente la loro posizione circa le entrate da ETS-UE, destinandole integralmente alle tecnologie a bassa emissione di carbonio e riservandone un'apposita quota alle CCS (9). In questo modo potrebbero essere reperiti i miliardi di euro necessari per promuovere la dimostrazione in tempi brevi delle tecnologie CCS su vasta scala, ma che attualmente mancano alla Commissione. |
5.4.2 |
Inoltre, come già proposto dal Comitato, la dotazione prevista dal 7PQ potrebbe beneficiare di un congruo incremento del 15 %, corrispondente a un aumento dal 2 % al 3 % del PIL investito in R&S. In tal modo tramite il 7PQ si potrebbe dare un contributo reale alla promozione dei progetti di dimostrazione delle CCS. |
5.4.3 |
Il 7PQ favorisce anche tutta un'altra serie di misure che contribuiscono anch'esse alla preparazione di progetti di dimostrazione su vasta scala. Occorre che le diverse misure siano chiaramente collegate al dispositivo proposto per promuovere i progetti di dimostrazione. |
5.5 |
La Commissione non precisa in che modo la prevista iniziativa industriale europea si ricolleghi alle altre misure e iniziative cui la stessa Commissione partecipa (10). Per assicurare una strategia integrata è indispensabile precisare i provvedimenti che vanno adottati. |
5.6 |
Si prevede che lo sviluppo e l'applicazione delle tecnologie CCS produrranno un notevole impatto positivo sull'occupazione in Europa. Alcuni importanti fornitori di attrezzature e d'infrastrutture di trasporto in relazione alle CCS hanno sede proprio in Europa. Essi mettono a punto, ad esempio, attrezzature e condotte, che inoltre venderebbero e installerebbero ai fini dell'utilizzo delle tecnologie di CCS a livello mondiale. In materia di CCS l'Europa gode di una solida posizione a livello internazionale, che si rafforzerebbe ulteriormente se per queste tecnologie l'UE riuscisse a realizzare rapidamente dimostrazioni su larga scala all'interno dell'Europa (11). |
5.7 |
Con riferimento ai combustibili fossili il Comitato propone di utilizzare l'aggettivo «puliti», anziché «sostenibili». Quest'ultimo termine si presta meglio, ad esempio, per l'energia solare e la bioenergia e meno per le tecnologie CCS: queste rappresentano una soluzione transitoria in quanto permettono di utilizzare i combustibili fossili in maniera pulita fino a quando non si riuscirà a realizzare appieno il passaggio all'approvvigionamento di energia sostenibile. |
5.8 |
Che il confinamento sicuro del CO2 mediante stoccaggio sia fattibile lo dimostra un'ampia casistica, come si illustra in breve qui di seguito:
|
6. Osservazioni specifiche
6.1 |
Il Comitato accoglie con favore il dispositivo della proposta intesa a promuovere i progetti di dimostrazione relativi alle tecnologie CCS nelle centrali elettriche, illustrato nella comunicazione in esame, ferme restando alcune osservazioni di carattere generale. |
6.1.1 |
La Commissione dovrebbe disporre di una strategia che eviti il sovrapporsi della proposta d'iniziativa industriale europea al programma «ammiraglio» europeo dell'ETP-ZEP. Queste d'iniziative dovrebbero essere opportunamente coordinate e rafforzarsi reciprocamente. |
6.1.2 |
La comunicazione della Commissione accenna alla possibilità di «ampliare l'ambito dell'iniziativa industriale europea al di là della rete di progetti». Non è chiaro però che cosa ciò significhi esattamente. Per di più si precisa che al riguardo resterebbero da determinare le «opzioni di finanziamento per questo ampliamento». Qual è il valore aggiunto di tale ampliamento, e quale il nesso con le altre iniziative menzionate in precedenza in relazione alle tecnologie CCS? |
6.2 |
Il Comitato non approva la proposta di concentrare i mezzi finanziari per lo sviluppo delle dimostrazioni nelle tecnologie CCS perché non la giudica sufficiente. |
6.2.1 |
La comunicazione prospetta un approccio caso per caso, in base al quale le iniziative nazionali verrebbero sottoposte alla Commissione, e quest'ultima deciderebbe quali forme di aiuti di Stato e altri provvedimenti nazionali siano ammissibili. Per il successo dei progetti di dimostrazione nel quadro del programma «ammiraglio» europeo è opportuno che la Commissione abbia un ruolo centrale di coordinamento e di supervisione. Essa è responsabile del finanziamento globale. Questo apporto della Commissione potrebbe essere poi integrato da contributi ad hoc degli Stati membri interessati, i quali dovrebbero quindi ottenere un benestare come aiuti di Stato autorizzati. Al tempo stesso il settore interessato dovrebbe assumere impegni relativi al finanziamento e alla realizzazione. |
6.2.2 |
Qualora la Commissione garantisca, a determinate condizioni, un cofinanziamento europeo proporzionale ad un contributo nazionale ad hoc, ciò costituirebbe un incentivo per le autorità nazionali. Il fatto di prevedere in partenza un cofinanziamento potrebbe evitare buona parte delle incertezze circa il finanziamento dei progetti e accelerarne l'iter. |
6.2.3 |
Facilitare il finanziamento dei progetti di dimostrazione mediante nuovi strumenti di finanziamento è di per sé un'idea interessante. Ma in fin dei conti idee di questo tipo funzioneranno bene solo se comportano un rischio accettabile e se è chiaro in che modo i costi supplementari sostenuti a lungo termine possano essere comunque recuperati nei vari casi. |
6.3 |
Il Comitato può tuttavia convenire sul fatto che l'inserimento delle tecnologie CCS nel sistema ETS-UE costituisce un incentivo importante per lo sviluppo e l'attuazione di grandi progetti di dimostrazione in un contesto europeo. La comunicazione indica anche che i «pionieri» devono poter trarre un «vero vantaggio commerciale». |
6.4 |
La Commissione precisa però anche che l'ETS-UE potrebbe comunque compensare (o più che compensare) i costi supplementari sostenuti nei vari casi. Allo stato attuale questo non può però essere garantito per i seguenti motivi:
|
6.5 |
Il sistema ETS-UE può effettivamente offrire ai «pionieri» un vero vantaggio commerciale nei confronti di altre parti. Occorre però studiare meglio come attraverso questo sistema sia possibile creare un fattore economico affidabile e sostenibile, capace di offrire ai «pionieri» un vantaggio competitivo rispetto a chi entra in un secondo momento nel mercato. Occorrerà poi prestare maggiore attenzione agli altri possibili fattori economici. |
Bruxelles, 17 settembre 2008.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(1) Parere del CESE in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa allo stoccaggio geologico del biossido di carbonio — CESE 1203/2008 (NAT/401), punto 4.
(2) Cfr. in particolare il rapporto dell'AIE Energy Systems Analysis of CCS Technology; PRIMES Model Scenarios («Analisi dei sistemi energetici delle tecnologie CCS: scenari relativi al modello Primes») e il parere del CESE sullo stoccaggio geologico del biossido di carbonio (CESE 1203/2008) (NAT/401), e più specificamente i punti 5.3.2, 5.15.1 e 5.15.2.
(3) Sarà indispensabile migliorare l'efficienza del processo di combustione del carbone, ma ciò non basterà per ottenere le riduzioni delle emissioni di CO2 necessarie.
(4) Fonte: Accademia internazionale di scienze ambientali (IAES).
(5) NAT/399, NAT/400, NAT/401, TEN/334, TEN/338 e TEN/341.
(6) Parere della sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente (NAT/401 — CESE 1203/2008) in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa allo stoccaggio geologico del biossido di carbonio e recante modifica delle direttive 85/337/CEE e 96/61/CE del Consiglio e delle direttive 2000/60/CE, 2001/80/CE, 2004/35/CE, 2006/12/CE e del regolamento (CE) n. 1013/2006 [COM(2008) 18 def. — 2008/0015 (COD)].
(7) Cfr. in particolare il rapporto AIE Energy Systems Analysis of CCS Technology; PRIMES Model Scenarios e relative cartine allegate.
(8) Sono state tuttavia formulate altre proposte sui modi per sormontare l'impasse in materia di finanziamenti, cfr. l'articolo «Financing woes plague EU Climate technologies» («I problemi finanziari affliggono le tecnologie UE in materia di clima»), pubblicato su EurActive.com del 27 febbraio 2008.
(9) Sono all'esame del Parlamento europeo proposte per destinare una quota dei proventi da ETS compresa fra i 60 e i 500 milioni di euro a progetti di dimostrazione su vasta scala (si tratta di proposte di modifica alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2003/87/CE al fine di perfezionare ed estendere il sistema comunitario di scambio delle quote di emissione dei gas a effetto serra (COM(2008) 16 def.)).
(10) Cfr., ad es., il programma «ammiraglio» europeo e l'ETP-ZEP.
(11) Cfr. rapporto AIE.
31.3.2009 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 77/54 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sulla prima valutazione dei piani nazionali d'azione per l'efficienza energetica ai sensi della direttiva 2006/32/CE concernente l'efficienza degli usi finali dell'energia e i servizi energetici — Procedere insieme nel campo dell'efficienza energetica
COM(2008) 11 def.
(2009/C 77/14)
La Commissione, in data 23 gennaio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:
Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sulla prima valutazione dei piani nazionali d'azione per l'efficienza energetica ai sensi della direttiva 2006/32/CE concernente l'efficienza degli usi finali dell'energia e i servizi energetici — Procedere insieme nel campo dell'efficienza energetica
La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 16 luglio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore IOZIA.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 142 voti favorevoli, 6 voti contrari e 3 astensioni.
1. Conclusioni e raccomandazioni
1.1 |
In alcuni recenti pareri in materia di efficienza energetica in generale (1) e di efficienza energetica degli immobili in particolare (2), il Comitato economico e sociale europeo (CESE) si è espresso con forte e praticamente unanime convinzione a favore di una seria politica in materia di efficienza energetica. |
1.2 |
Il CESE deplora che gli Stati membri (SM) non abbiano preparato tempestivamente i piani nazionali di azione per l'efficienza energetica (PNAEE). Il CESE deplora altresì che, salvo poche eccezioni, dai documenti analizzati non si evince un impegno forte e serio degli SM nel realizzare gli obiettivi. In particolare per quello che riguarda gli ambiti di consumo più significativi, cioè il trasporto e le abitazioni. |
1.3 |
Solo due SM hanno rispettato le scadenze, altri quindici hanno ritardato da due a sei mesi, due si sono presentati quando il documento di valutazione della Commissione era terminato ed altri otto con ulteriore ritardo. Solo ai primi di aprile 2008 si sono avuti a disposizione tutti i piani con un ritardo di dieci mesi sulla data prevista. |
1.4 |
Il CESE osserva che il risparmio derivante dai piani di efficienza energetica, nei programmi della Commissione, dovrebbe costituire il primo contributo alla riduzione dei gas a effetto serra (GES). L'obiettivo di riduzione del 20 % al 2020 di consumi energetici comporta una riduzione di emissioni di CO2 di 780 Mteq. A fronte di emissioni nell'UE di 5 294 Mteq al 2006 per l'UE-25 (rapporto Agenzia europea dell'ambiente — AEA — 2006), è evidente il contributo indispensabile che l'efficienza energetica è in condizione di dare. |
1.5 |
Il CESE ricorda che per ottenere il risultato di rispettare un incremento di 2 °C, la concentrazione di GES (attualmente intorno a 425 ppm (3) di CO2 eq. in volume) dovrà attestarsi ben al di sotto del limite di 550 ppm. Tenendo conto che ogni anno la concentrazione aumenta di 2-3 ppm, la stabilizzazione a 450 ppm potrà dare una probabilità del 50 % di raggiungere l'obiettivo di contenere l'aumento della temperatura media entro i 2 °C. |
1.6 |
Gli SM hanno interpretato la redazione dei piani con differenze macroscopiche. Sono stati presentati PNAEE composti di 13 pagine e altri di 221, rendendo praticamente impossibile ogni comparabilità. Molti sono stati redatti solo nella lingua nazionale, accrescendo ulteriormente le difficoltà per la loro comprensione. Il CESE raccomanda l'adozione di un modello come quello definito nell'ambito del progetto Emeees (Evaluation and Monitoring for the EU Directive on Energy End-Use Efficiency and Energy Services) in collaborazione con il Wuppertal Institute for Climate Environment and Energy. |
1.7 |
Gli SM, ad esempio, hanno concordato con l'AEA un modello per le rilevazioni annuali chiamato NIR (National Inventory report). Il CESE ritiene che sia possibile adottare lo stesso procedimento, fermo restando che il modello potrà essere reso più flessibile con appendici specifiche per campi di intervento (abitazioni, trasporto, ecc.). |
1.8 |
Il CESE ritiene che lo strumento degli accordi volontari da stipulare con gli operatori nazionali sia utile, ma nelle convenzioni che vengono riconosciute idonee deve emergere con chiarezza che, in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi, si interverrà con normative obbligatorie. |
1.9 |
La Commissione, peraltro, sta già emanando alcune misure, preannunciate già nel 2006, che renderanno obbligatori risparmi energetici e si appresta, sull'esempio dell'Australia, a eliminare le lampade a incandescenza dal mercato, che consumano il 90 % dell'energia per produrre calore e il 10 % per produrre luce! Il CESE spera che i fabbricanti troveranno modo di ridurre il costo delle lampade fluorescenti, le istituzioni degli Stati membri incentiveranno l'espansione della produzione, le lampade a risparmio energetico diventeranno più resistenti e compatte e si risolveranno i problemi del loro smaltimento. |
1.10 |
Il prossimo rapporto dell'AEA, che sarà pubblicato entro il mese di giugno 2008, dimostra che c'è stata una riduzione dei GES tra il 2005 e il 2006 di 35,8 Mteq di CO2: è interessante notare che il contributo maggiore sia venuto da case private e uffici, con un risparmio di 15,1 Mteq. La produzione di elettricità e calore ha comportato però un incremento di 14 Mteq. Nonostante la diminuzione, il rapporto dimostra che l'UE-27 ha registrato un progresso inferiore dello 0,5 % rispetto al 1990 e alcuni SM devono comunque intensificare i loro sforzi. |
1.11 |
La liberalizzazione del mercato dell'energia potrebbe comportare un'accelerazione del risparmio energetico, in quanto sul mercato si confronteranno sistemi produttivi e distributivi di diversa efficienza, che possono stimolare la ricerca e gli investimenti per ridurre la dispersione. Solo in fase di generazione si perde oltre il 30 % di energia. Il CESE in un recente parere (4) ha sostenuto le proposte della Commissione sul terzo pacchetto energetico, orientate a rendere effettivo il mercato europeo dell'energia. |
1.12 |
Il CESE è convinto che si debba fare meglio e di più di quanto finora realizzato e chiede di conoscere più in dettaglio le valutazioni della Commissione al termine della valutazione dei piani di azione e di essere associato a esprimere il proprio parere su quanto emergerà da questa valutazione. |
1.13 |
Il CESE più volte ha ribadito l'esigenza di coinvolgere la società civile sia in Europa che negli SM, considerando essenziale la piena consapevolezza e il pieno sostegno dei cittadini europei nel realizzare gli obiettivi di efficienza energetica. Vanno prese in seria considerazione le raccomandazioni che provengono dalla società civile. Le misure che saranno adottate dovranno tenere sempre in conto le difficoltà di molti milioni di cittadini nell'affrontare quotidianamente i problemi della vita. Programmi di risparmio energetico che comportano necessariamente oneri devono prevedere un'accurata selezione delle misure e adeguati sostegni ai meno abbienti, che si ritroverebbero a dover fronteggiare oneri crescenti derivanti dagli aumenti dei costi energetici senza poterli ridurre a causa dei costi da affrontare, come nel caso del risparmio energetico nelle abitazioni. |
1.14 |
Il CESE sottolinea l'esigenza che le iniziative nel campo dell'efficienza energetica siano concrete e fattibili e si domanda se non si debba prendere in seria considerazione la necessità di rendere obbligatorie almeno alcune misure, verificando lo scostamento tra piani e risultati concreti, come è avvenuto per le emissioni di autoveicoli per la riduzione in generale di CO2, le emissioni di GES e le energie rinnovabili. |
1.15 |
I PNAEE non dicono con chiarezza quali misure e quali risorse saranno impegnate per coinvolgere gli utenti finali in un grande progetto europeo di efficienza e risparmio energetico. Il CESE in più occasioni ha sottolineato il ruolo essenziale che la società civile organizzata potrebbe giocare nella identificazione di percorsi virtuosi di informazione e diffusione di buone pratiche. Il CESE auspica uno specifico confronto con le istituzioni europee che non appaiono particolarmente impegnate e sensibili. |
1.16 |
Il CESE propone alla Commissione europea e agli Stati membri di mettere in atto uno specifico sistema di monitoraggio integrato, come avviene ad esempio nelle politiche per l'acqua. La carenza di informazione e di valutazione d'impatto delle politiche di efficienza energetica dell'Unione europea verso gli utilizzatori finali (in particolare delle PMI), l'assenza di una metodologia capace di verificare la consistenza tra gli obiettivi internazionali ed europei, e di un processo di monitoraggio relativo ai risultati ottenuti dai suddetti utilizzatori, rendono indispensabile tale sistema. |
1.17 |
In alcuni settori, come il Social Housing, vale a dire l'edilizia sociale, il patrimonio edilizio è costituito da abitazioni molto vecchie ed inefficienti. Oltre 25 milioni di unità abitative richiedono interventi urgenti e complessi. Il CESE auspica che vengano lanciati piani di ristrutturazione degli alloggi pubblici, finanziati con fondi BEI. Di tali interventi non c'è traccia nei PNAEE. |
1.18 |
Il CESE ritiene che strumenti di mercato, simili a quelli già operanti, possano dare un contributo serio. Aprire anche ai consumatori finali un mercato di negawatts, cioè di efficienza energetica elettrica, potrebbe essere un utile incentivo per i cittadini ad adottare comportamenti virtuosi. Se si considera che solo dalla sostituzione delle lampade a incandescenza si potrebbe generare un risparmio equivalente ad almeno 80 centrali da 1 000 MW (pari quasi alla potenza lorda installata in Italia), è evidente l'interesse delle aziende produttrici a sostenere l'efficienza energetica: potranno soddisfare più clienti a parità di generazione elettrica. |
1.19 |
Il CESE auspica che si riprenda un percorso positivo e che gli SM assumano seriamente la politica dell'efficienza e del risparmio energetico e che ciò si traduca in piani nazionali seri, credibili, realistici e con obiettivi misurabili. Dovranno essere anche indicate le risorse che gli SM metteranno a disposizione per sostenere adeguatamente i necessari investimenti dei cittadini e delle imprese. |
2. Introduzione
2.1 |
Nella comunicazione sulla prima valutazione dei piani nazionali d'azione sull'efficienza energetica (PNAEE), intitolata Procedere insieme nel campo dell'efficienza energetica, la Commissione assolve un dovere derivante dall'applicazione della direttiva 2006/32/CE, che prevede all'articolo 14, paragrafo 5, la stesura di una relazione di valutazione dei 27 piani di azione nazionali, da presentare il 1o gennaio 2008. La seconda relazione sarà presentata entro il 1o gennaio 2012 e la terza entro il 1o gennaio 2015. |
2.2 |
Gli obiettivi cui si riferisce la comunicazione sono fissati nella medesima direttiva all'articolo 4, paragrafo 1, nel quale è richiamato che: «Gli Stati membri adottano e mirano a conseguire un obiettivo nazionale indicativo globale di risparmio energetico, pari al 9 % per il nono anno di applicazione della presente direttiva da conseguire tramite servizi energetici e ad altre misure di miglioramento dell'efficienza energetica». |
2.3 |
La Commissione evidenzia che solo due Stati membri hanno rispettato la scadenza prevista (Finlandia e Regno Unito), altri quindici lo hanno fatto in ritardo (Austria, Bulgaria, Cipro, Danimarca, Estonia, Germania, Irlanda, Italia, Lituania, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Repubblica ceca, Romania e Spagna). Belgio e Slovacchia hanno trasmesso i loro PNAEE alla fine del 2007, in ritardo per essere inseriti nel documento. |
3. La comunicazione della Commissione
3.1 |
Nei piani esaminati risulta che cinque Stati membri si sono posti obiettivi più ambiziosi di quelli indicati dalla direttiva, altri addirittura molto superiori, ma non hanno indicato impegni ufficiali. Dei 17 piani valutati, 6 non coprono l'intero arco temporale previsto dalla direttiva, cioè fino al 2016. Per quanto riguarda il ruolo esemplare del settore pubblico, si segnalano l'obiettivo dell'Irlanda di riduzione del 33 % dei suoi consumi energetici entro il 2020, la Germania di ridurre le emissioni di CO2 del 30 % entro il 2012, mentre il Regno Unito punta a emissioni zero entro il 2012 per gli edifici dell'amministrazione centrale. |
3.2 |
La relazione cita alcune campagne nazionali, come quella decisa dall'Irlanda con il suo Power of One, allestita sul web per lo scambio di buone pratiche pubblico-privato; la diagnosi energetica dei propri edifici, come in Danimarca, con obbligo di applicazione delle raccomandazioni; la messa a norma in Germania degli edifici federali, per il quale è stato stanziato un importo di 120 milioni di euro; la nomina dei Green Leaders a Malta, funzionari che in ogni ministero si occuperanno di efficienza energetica e promuoveranno le energie rinnovabili. |
3.3 |
Il Regno Unito si affiderà al Code for Sustainable Homes (Codice per abitazioni sostenibili), applicando il livello 3 del codice che comporta un risparmio energetico del 25 % rispetto al codice edilizio del 2006. L'Austria s'impegna a rendere gli edifici pubblici più efficienti di quanto prescriva la legge, mentre la Spagna sostituirà i sistemi di illuminazione pubblica con materiale più efficace e migliorerà sensibilmente l'efficienza energetica nel trattamento e nella distribuzione dell'acqua potabile. |
3.4 |
Polonia e Finlandia imporranno al settore pubblico di realizzare risparmi energetici almeno pari all'obiettivo nazionale, come già realizzato nei confronti delle municipalità, mentre i Paesi Bassi si sono candidati ad un ruolo di leadership ipotizzando che entro il 2010 il 100 % degli appalti pubblici nazionali e il 50 % di quelli regionali e locali dovranno includere criteri di sostenibilità. |
3.5 |
Le politiche d'incentivazione fiscale sono ritenute molto importanti. Germania ed Austria puntano all'efficienza energetica degli immobili, che consumano il 40 % dell'energia; la Lituania prevede l'introduzione di un'aliquota IVA ridotta dal 18 al 9 % per le abitazioni finanziate con fondi pubblici; i Paesi Bassi puntano alla «detrazione per investimenti energetici», destinata alle imprese private; mentre l'Italia ha istituito un regime di abbattimento fiscale lordo fino al 55 % per l'acquisto di elettrodomestici ad alta efficienza energetica (frigoriferi di classe A+, scaldabagni), per materiale di illuminazione e per l'ammodernamento energetico degli edifici. |
3.6 |
Gli accordi volontari sono considerati un valido strumento, in particolare in Finlandia (in questo periodo riguardano il 60 % del consumo finale di energia, con l'obiettivo di arrivare al 90 % entro il 2016), nei Paesi Bassi, ove riguardano essenzialmente le imprese e in Danimarca che invece li riserva al campo degli appalti pubblici. Spagna, Polonia, Regno Unito, Romania e Irlanda dichiarano di volerli introdurre come strumento essenziale per conseguire il risparmio energetico. |
3.7 |
Si affermano nei piani nazionali gli strumenti di mercato (certificati bianchi), ancora presenti in pochi Paesi. L'Italia prevede di prorogare il sistema fino al 2014, la Polonia di introdurli, mentre nel Regno Unito l'Energy Efficiency Commitment (EEC), sarà esteso al 2020: rinominato Carbon Emission Reduction Target, ha obiettivi di risparmio pari al doppio nel periodo 2008-2011. Grande importanza viene data agli ESCO, società di servizi energetici che ancora non hanno avuto lo sviluppo atteso. Questo interessa in particolare Austria, Germania, Irlanda, Italia, Polonia e Spagna. |
3.8 |
Bulgaria, Romania e Regno Unito prevedono l'istituzione di fondi e di meccanismi di finanziamento, rivolti essenzialmente al settore commerciale e residenziale. Le politiche di formazione e d'informazione non sono svolte omogeneamente dalle agenzie per l'energia nazionali, che hanno compiti diversi tra loro; alcuni paesi, come Danimarca e Italia, hanno deciso di decentrare queste funzioni ad agenzie regionali e locali. |
3.9 |
Il trasporto, che assorbe oltre un terzo del consumo d'energia, è considerato in modo particolarmente critico da molti, ma in pratica solo Austria e Irlanda propongono misure concrete per trasferire il traffico verso il trasporto pubblico. |
3.10 |
La maggior parte dei piani presentati punta al mantenimento della situazione esistente e per alcuni Stati membri si registra uno scarto «notevole» tra impegno politico e misure adottate e risorse destinate. |
3.11 |
La Commissione, oltre a seguire da vicino e a monitorare il recepimento della direttiva, cercherà di facilitare l'applicazione utilizzando il programma Energia intelligente per l'Europa. La Commissione creerà una piattaforma web per raccogliere e presentare i contributi delle parti interessate, che saranno coinvolte per sostenere l'applicazione della direttiva e di cui si auspica un coinvolgimento per l'adozione delle misure nazionali e per la redazione dei prossimi PNAEE. Nell'ambito del progetto Energy Efficiency Watch si valuteranno i piani nazionali. |
3.12 |
Nelle conclusioni la Commissione ricorda l'importanza della cooperazione internazionale e la sua iniziativa di creazione di una piattaforma internazionale sull'efficienza energetica per elaborare norme tecniche, scambi e trasferimento di tecnologia. I grandi impegni che l'Europa ha di fronte e la responsabilità che vuole assumere nel campo dei cambiamenti climatici, dell'approvvigionamento energetico sicuro e sostenibile, della riduzione delle emissioni di GES, rendono indispensabili programmi efficaci e certi di miglioramento dell'efficienza energetica. |
4. Osservazioni specifiche
4.1 |
Il primo, evidente, elemento negativo di questa comunicazione è che la scadenza prevista dalla direttiva per la presentazione dei piani nazionali d'azione di efficienza energetica è stata rispettata solo da due paesi su 27, mentre altri 15 si sono affannati a presentare le loro conclusioni, due si sono presentati fuori tempo massimo, ma degli altri 8 si è perso traccia. Dopo un anno dalla scadenza del 30 giugno 2007 manca ancora uno Stato membro all'appello. |
4.2 |
Il secondo elemento negativo che risalta dalle conclusioni della Commissione è che, salvo poche eccezioni, dai documenti analizzati non si evince un impegno forte e serio come la situazione richiederebbe. Accade sempre più spesso che i capi di Stato e di governo, in rappresentanza degli Stati membri, con molta leggerezza, approvino direttive a Bruxelles che non possono/vogliono rispettare una volta che rientrano a casa. L'agenda di Lisbona ne è stata il più chiaro esempio, ma i libri sono pieni di questi comportamenti dicotomici. E ancora lo saranno. |
4.3 |
Leggendo i piani d'azione nazionali, si evidenzia come manchi uno schema di riferimento, come i piani siano stati redatti in modi e forme completamente diversi, che ne rendono difficile la lettura e quasi impossibile la comparabilità. Nell'ambito del progetto Emeees (Evaluation and Monitoring for the EU Directive on Energy End-Use Efficiency and Energy Services) in collaborazione con il Wuppertal Institute for Climate Environment and Energy, è stato redatto un modello, proprio per favorire la redazione dei piani d'azione nazionali. In una lettera il Belgio lamenta il fatto che questo importante modello sia stato realizzato solo l'11 maggio, pochi giorni prima della scadenza della presentazione dei piani nazionali. |
4.4 |
Si passa dalle 13 pagine di Repubblica ceca e Lituania alle 41 della Romania, alle 89 di Malta, tra i paesi di recente adesione; dalle 37 della Francia, le 102 della Germania, le 211 della Spagna e le 214 del Regno Unito tra i paesi più grandi, fino ad arrivare al fenomeno del Belgio, che per la natura federale dello Stato, produce 4 documenti per un totale di 221 pagine. Il totale delle pagine presentate da 25 Stati membri (Svezia e Portogallo non appaiono ad oggi sul sito della Commissione) assomma a 2 161, con dati, tabelle e misure difformi tra loro. Ognuno ha scelto i suoi parametri di riferimento, le sue metodologie e il suo modello di comunicazione: il risultato è sconfortante, perché non si riesce a capire la direzione di marcia. |
4.5 |
Il materiale pubblicato da Francia, Slovenia, Grecia (solo la bozza), Paesi Bassi e Lussemburgo è nella lingua nazionale (ostacolo insormontabile per il relatore). È molto difficile che lo scambio delle buone pratiche possa passare attraverso la lettura dei documenti in versione originale, ma non è previsto nessun invito né tanto meno obbligo a utilizzare una sola lingua. La Commissione ha provveduto a tradurre tutti i documenti in un'unica lingua, purtroppo i ritardi accumulati nella presentazione dei PNAEE si sono riverberati sui tempi di traduzione. |
4.6 |
Il CESE sottolinea l'incongruenza tra gli obiettivi dei piani nazionali e questi due elementi qui riportati. Piani enciclopedia e piani riassunto: né l'uno né l'altro aiutano a comprendere esattamente verso dove si sta andando. L'eccesso di dettaglio e l'eccesso di sintesi producono lo stesso risultato di difficile lettura e comprensibilità. Il modello Emeees può rappresentare una buona sintesi tra i due opposti. Il CESE raccomanda vivamente di provvedere, per la prossima edizione dei piani nazionali, ad adottare un modello comune, di facile lettura e comparabilità. |
4.7 |
Il CESE valuta negativamente, a parte alcune lodevoli eccezioni, segnalate in questo parere, la sostanziale mancanza di iniziative nel settore pubblico e nell'agricoltura. I PNAEE sono silenziosi e reticenti su questi importantissimi settori. |
5. Osservazioni generali
5.1 |
Nel gennaio 2007 il Consiglio richiese alla Commissione di emanare dei provvedimenti in campo energetico e del cambiamento climatico, per realizzare degli obiettivi ambiziosi. Questi obiettivi si sono concretizzati nell'emanazione del terzo pacchetto energetico, nel pacchetto sulle energie rinnovabili e il cambiamento climatico, nella direttiva sulla riduzione delle emissioni di CO2 nelle nuove autovetture, nella nuova regolamentazione Energy Star, nel Libro verde sulla mobilità urbana, che prevede, tra l'altro, incentivazioni per automezzi efficienti, nel piano strategico sulle tecnologie riferite all'energia. |
5.2 |
Che cosa caratterizza questi provvedimenti? Alcune indicazioni e molte regole. Purtroppo i governi, dopo aver formalmente approvato i provvedimenti, non sono capaci di sostenere le pressioni delle imprese nazionali e mantenere le scelte effettuate, come nel caso delle emissioni di CO2, e chiedono di modificare quanto hanno collegialmente approvato. |
5.3 |
Il motivo per il quale gli Stati membri non paiono preoccuparsi più di tanto risiede proprio nella direttiva. Al considerando 12, infatti, è sottolineato che: «Pertanto, anche se gli Stati membri si impegnano a compiere uno sforzo per raggiungere l'obiettivo del 9 %, l'obiettivo nazionale in materia di risparmio energetico ha carattere indicativo e non comporta obblighi giuridicamente vincolanti per gli Stati membri quanto al suo conseguimento». |
5.4 |
Questa pratica regolamentare (direttive con obiettivi non obbligatori e senza prevedere sanzioni in caso di inadempienza) ha caratterizzato le iniziative legislative emesse in alcuni anni specifici e in alcune materie specifiche. Gli Stati membri, fino a pochi anni fa, hanno rivendicato la loro sovranità in materia di scelte energetiche, dall'approvvigionamento, alla produzione, alla trasmissione. Ciò ha comportato una sorta di soft law che ha caratterizzato quel periodo. La stessa direttiva sui biocarburanti, la 2003/30/CE, fissava degli obiettivi quantitativi, ma nessun obbligo particolare a realizzarli. |
5.5 |
In queste condizioni e con queste premesse, l'obiettivo di realizzare una riduzione del consumo, attraverso l'efficienza energetica del 20 % entro il 2020, è molto difficile da raggiungere se non verranno adottate misure e/o obiettivi complementari stringenti. |
5.6 |
Il CESE ha sostenuto e sosterrà tutte le iniziative che si porranno nell'ottica di realizzare un sempre più significativo livello di efficienza energetica, considerando che sia le emissioni di CO2, sia la dipendenza energetica dell'UE costituiscono due problemi di primaria grandezza. |
5.7 |
Il CESE sottolinea al contempo la contraddittorietà tra misure generali non obbligatorie e misure specifiche, orientate al raggiungimento del risultato, obbligatorie. Non è obbligatorio il tutto, ma le singole parti lo sono? La Commissione stessa dovrebbe dare il buon esempio dichiarando i risultati di efficienza e risparmio energetico ottenuti nell'ambito dei propri immobili, le iniziative intraprese, i fondi stanziati. Un'appendice di tipo «federale» aiuterebbe a comprendere meglio l'importanza di tali politiche. |
5.8 |
Il CESE pone l'accento sul grande divario tra le aspettative diffuse verso l'adozione di misure idonee ad ottenere significativi incrementi dell'efficienza energetica e i progetti nel complesso deludenti e poco ambiziosi presentati dagli Stati membri e insiste sulla necessità di adottare misure concrete a breve, medio e lungo termine, che diano sostanza agli obiettivi indicati. |
5.9 |
Il CESE raccomanda che, se si dovesse arrivare a questa opportuna conclusione, vengano adottate misure idonee a realizzare gli obiettivi e non venga fatta, come in altre occasioni, una pura azione di cosmesi. |
5.10 |
Il CESE aveva salutato con favore sia l'emanazione della direttiva 2006/32/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 5 aprile 2006 concernente l'efficienza degli usi finali dell'energia e i servizi energetici (1), sia il successivo piano d'azione per l'efficienza energetica: sviluppare le potenzialità del 19 ottobre 2006 (2), ma questi atti regolamentari e di indirizzo erano ancora condizionati da prezzi relativamente bassi del petrolio. Quando fu presentata la direttiva, il prezzo oscillava intorno ai 42 USD per barile, nel 2004, mentre il prezzo medio del 2006 era di poco inferiore ai 62 USD. |
5.11 |
In quel contesto, era anche comprensibile che gli obiettivi fossero indicativi e che la Commissione nella direttiva non avesse previsto un obbligo cogente per gli Stati membri a realizzare gli obiettivi proposti. Il CESE scrisse: «la migliore energia è quella risparmiata», ma se il risparmio è lasciato alla buona volontà degli Stati membri, senza nessun ulteriore stimolo che quello del senso di responsabilità, allora l'obiettivo diventa veramente aleatorio, o meglio irraggiungibile. |
5.12 |
Ma può l'Unione permettersi di non raggiungere gli obiettivi di riduzione dell'intensità energetica dell'1,5 % all'anno? Di rinunciare a risparmiare 390 Mteq che producono 780 Mt di CO2? Da una parte si confermano obiettivi ambiziosi e cogenti di riduzione del 20 % delle emissioni di GES, di raggiungere il 20 % di energie derivanti da fonti rinnovabili, mentre dall'altra l'obiettivo più immediatamente raggiungibile, che comporta un risparmio immediato, viene lasciato sullo sfondo come una speranza da ipotizzare. |
5.13 |
Il CESE sottolinea come in alcuni paesi l'applicazione dei piani è responsabilità dei governi regionali, senza che vi sia un adeguato livello di coordinamento, il che comporta di fatto una mancanza di armonizzazione e di coerenza territoriale. |
5.14 |
Il CESE deplora la mancanza di effettive opportunità di scelta sul lato dell'offerta e ritiene che debbano essere incrementate tali opportunità, accompagnate da incentivazioni rivolte alle fasce più deboli innanzitutto, al complesso dei consumatori, alle piccole e medie imprese per ottenere rapidamente i risultati attesi. In alcuni paesi le incentivazioni hanno prodotto risultati molto incoraggianti, come nel caso degli elettrodomestici bianchi. |
5.15 |
Il CESE valuta positivamente l'esperienza dell'ESCO e ritiene che vada sostenuta la diffusione di tali servizi ai cittadini e alle imprese. Nuove professioni, nuove opportunità di lavoro qualificato, risultati positivi nel campo dell'efficienza energetica e della riduzione dei GES, sono solo alcune delle componenti positive di tali servizi. |
5.16 |
Il CESE sottolinea che gli SM non stiano facendo abbastanza per raggiungere gli obiettivi fissati ed è convinto che, come nel caso delle emissioni nei trasporti, sia necessario appoggiare le iniziative della Commissione se orientate a rafforzare gli obblighi per gli Stati membri. Lo scorso anno la Commissione ha assunto delle iniziative positive, quali la nuova regolamentazione Energy Star, i cui standard sono ormai diventati obbligatori per gli appalti pubblici per materiali da ufficio; il Libro verde sulla mobilità urbana, che tra l'altro propone di finanziare veicoli più efficienti; il terzo pacchetto energia, che rafforza i poteri dei regolatori nazionali in merito all'efficienza energetica; il piano strategico sulle tecnologie energetiche e la regolamentazione delle emissioni per le nuove auto. |
5.17 |
Altre iniziative sono in programma nei prossimi mesi. Dalle nuove direttive sui requisiti di efficienza energetica o di etichette verdi in molteplici prodotti (ad es. illuminazione pubblica e degli uffici, modi standby e off con consumi minimi) alla nuova regolamentazione, prevista per il 2009, su televisori, frigoriferi e refrigeratori domestici, lavatrici e lavastoviglie, scaldabagni e scaldacqua, personal computer, materiale per la riproduzione di immagini, motori elettrici, pompe di calore e condizionatori. Sempre nel 2009 la Commissione prevede di adottare un'iniziativa concernente le lampadine domestiche a incandescenza, per promuovere in tempi brevi la loro sostituzione. La revisione della direttiva sull'etichettatura delle auto, sull'efficienza dei pneumatici e dei sistemi che monitorano costantemente la pressione e la qualità dei pneumatici, costituiranno l'asse delle nuove strategie nel campo dei trasporti. |
5.18 |
Il CESE giudica indispensabile realizzare un mercato interno dell'energia nel quale, conformemente alle direttive sull'elettricità e il gas, i prezzi siano il risultato di una sana concorrenza. |
5.19 |
Il CESE richiama l'attenzione sulla necessità di prevedere negli Stati membri dell'UE piani di formazione destinati alle scuole (che dovranno conseguentemente impegnarsi attivamente in programmi di efficienza energetica) e programmi di comunicazione volti a sensibilizzare i cittadini circa l'importanza e l'esigenza di un consumo responsabile ed efficiente dell'energia. |
5.20 |
Per quanto riguarda le scuole, di particolare interesse sono alcune gare tra istituti tecnici, con il coinvolgimento attivo degli alunni, nel conseguire il miglior risparmio energetico. Ad esempio in Italia il progetto «datti una scossa», dotato di un premio per realizzare quanto proposto fino a un importo di 25 000 euro ha avuto un grande successo; un altro buon esempio è la eco-maratona internazionale, nella quale un istituto francese ha presentato un prototipo che con un litro di benzina ha percorso 3 039 km! Un team della Danimarca è riuscito a produrre un motore a combustione con l'emissione di 9 g/km, vincendo il Climate Friendly Award. |
5.21 |
Gli strumenti economici che saranno disponibili devono essere efficaci e sostenibili nel tempo. Il CESE ritiene che debba esser data particolare attenzione alla distribuzione degli incentivi, che devono essere diretti ai consumatori finali. Occorre tenere in considerazione anche l'opportunità di riservare una quota di incentivi anche al fornitore di servizi energetici, creando un interesse comune e convergente su politiche di efficienza energetica. |
5.22 |
Al fine di dare ai clienti i segnali di prezzo adeguati, che favoriscano un uso più razionale ed efficiente dell'energia, il CESE chiede alla Commissione europea che vigili sull'eliminazione di tariffe offerte sottocosto, tenendo conto di quanto la legislazione europea ammette nel campo della adeguata promozione delle energie rinnovabili e preservando quanto previsto dalle direttive gas ed elettricità per i consumatori vulnerabili. |
Bruxelles, 17 settembre 2008.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(1) CESE 242/2006, relatore: BUFFETAUT e CESE 1243/2007, relatore: IOZIA.
(2) CESE 270/2008, relatore: PEZZINI.
(3) Parti per milione.
(4) CESE 758/2008, relatore: CEDRONE.
31.3.2009 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 77/60 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo L'Internet degli oggetti
(2009/C 77/15)
La Commissione, in data 7 febbraio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema:
L'Internet degli oggetti.
La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 16 luglio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore RETUREAU.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 settembre, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 118 voti favorevoli e 1 astensione.
1. Conclusioni e raccomandazioni
Il CESE invita la Commissione a:
1.1 |
investire nella ricerca e sostenere attività di diffusione (come le iniziative organizzate dalla presidenza precedente) e di normazione, in quanto considera l'Internet degli oggetti un settore importante; |
1.2 |
prendere misure per rimuovere le barriere che ostacolano l'adozione di questa tecnologia; |
1.3 |
valutare se i sistemi centralizzati saranno in grado di gestire la quantità di traffico prevedibile per le applicazioni di Internet degli oggetti o se sia preferibile ricorrere a una governance locale (di nomi e servizi) per gestire un'utilizzazione di massa; |
1.4 |
esaminare se le direttive attualmente in vigore garantiscano un'adeguata protezione dei dati e offrano adeguati requisiti di sicurezza o se occorra invece adottare nuove misure legislative; |
1.5 |
considerare la questione delle necessità per alcuni laboratori europei di coniugare finanziamenti universitari e privati per garantire che i risultati della ricerca trovino applicazione in Europa e che i ricercatori non migrino verso centri di ricerca e imprese di altre regioni del mondo (USA); |
1.6 |
per quanto riguarda gli eventuali rischi elettromagnetici, a questi nuovi ambienti, che presentano un'elevata densità di lettori radiofrequenza, e in particolare ai lavoratori che vi operano, andrebbe applicato il principio di precauzione. Questi ultimi dovrebbero essere informati degli eventuali rischi e dotati di strumenti di protezione, previa però una seria valutazione della questione sulla base di studi scientifici; |
1.7 |
va ricordato che lo sviluppo tecnologico deve realizzarsi nell'interesse degli esseri umani e che occorre valutare i rischi etici ad esso correlati; |
1.8 |
per quanto riguarda i servizi transeuropei, la Commissione o l'autorità amministrativa indipendente cui potrebbe essere affidata in futuro la regolamentazione dello spettro dovrebbero considerare le esigenze dell'Internet degli oggetti in termini di spettro; |
1.9 |
la ricerca sarà determinante per vincere la sfida consistente nel riuscire a fornire la capacità di elaborazione necessaria per gestire le future applicazioni in tempo reale dell'Internet degli oggetti. |
2. Proposte della Commissione
2.1 |
Dopo la comunicazione del 2007 sulle etichette RFID (1) e il convegno su questo tema svoltosi a Lisbona nel novembre scorso, con la presente comunicazione la Commissione passa alla tappa successiva, quella dell'Internet degli oggetti (2). |
2.2 |
A questo proposito, va citata anche la vasta serie di testi e iniziative elaborate dal CESE nel corso degli ultimi anni (3). Il programma i2010 è stato oggetto di una relazione intermedia (4). |
3. Osservazioni e analisi
3.1 Introduzione
3.1.1 |
Lo sviluppo delle tecnologie informatiche rappresenta una sfida cruciale per le nostre società, tanto più in quanto l'Europa, con il suo mercato unificato, può diventare una regione chiave dell'economia digitale se si dota degli strumenti necessari sia sul piano della ricerca di base e della R&S che su quello politico della governance dell'Internet del futuro. |
3.1.2 |
La crescita e la competitività europea dipendono in larga misura dalle tecnologie informatiche, ed è tempo ormai che l'Europa si affermi al livello della governance politica di Internet, sviluppando nel contempo le indispensabili tecnologie, investimenti, conoscenze e know-how. |
3.1.3 |
Ancor oggi, nell'epoca del Web 2.0 interattivo e mobile, Internet si fonda su una rete mondiale di centinaia di migliaia di server e router, vale a dire computer fissi collegati tramite cavi o fibre ottiche. Ma le connessioni ai terminali mobili, come i telefoni cellulari o gli Internet tablet, utilizzano onde elettromagnetiche. Esse fanno registrare un'espansione molto rapida basata su una serie di standard di connessione diversi (3G, 3G+, HSPDA, Edge, WiFi, WiMax). |
3.1.4 |
Il Web 2.0 è interattivo: l'utente è anche, a titolo individuale oppure in cooperazione con altri, creatore o fornitore di contenuti (enciclopedia Wikipedia, software open source, ecc.). Un elevato numero di PMI opera nella fornitura di programmi informatici, contenuti creativi e soprattutto servizi altamente diversificati (installazione e manutenzione di reti, sicurezza informatica, formazioni, ecc.). |
3.1.5 |
I chip informatici sono sempre più miniaturizzati e, al tempo stesso, più complessi e meno consumatori di energia. Si inseriscono in terminali mobili sempre più leggeri in cui i software incorporati e la potenza di calcolo vengono utilizzati in una prospettiva di integrazione tra telefono, accesso a Internet e geolocalizzazione (chip Sirf 3). |
3.2 Verso l'Internet degli oggetti
3.2.1 |
L'Internet degli oggetti comincia ad affermarsi in un contesto tecnologico complesso a partire dal Web 2.0 e altre tecnologie associate, per lo più già esistenti, la cui fusione segna una tappa fondamentale in questa direzione:
|
3.2.2 |
Nel potenziamento degli elementi delle reti del futuro svolgerà un ruolo crescente l'informatica massicciamente parallela: centinaia o anche migliaia di processori possono funzionare in parallelo (8), e non tramite operazioni successive: ciò consente di accelerare drasticamente i calcoli e di concepire più universi virtuali complessi simultaneamente; inoltre, la virtualizzazione permette già di utilizzare in modo molto più completo la potenza dei computer facendo funzionare virtualmente più macchine in una sola, anche con sistemi operativi diversi. Questa tecnica conosce una rapida diffusione. |
3.2.3 |
Senza dubbio l'Europa deve intensificare le ricerche e formare competenze di alto livello teorico e pratico in questo settore, per trattenere i ricercatori che le vengono «sottratti», ora dai grandi laboratori universitari e privati americani e presto da quelli cinesi o indiani. In assenza di iniziative di ampio respiro per garantire la padronanza dell'Internet del futuro, il rischio di un ritardo tecnologico notevole diventa evidente. |
3.2.4 |
Le tecnologie della memoria di massa si evolvono rapidamente: esse sono indispensabili per le banche dati che conterranno la descrizione degli oggetti identificati tramite l'indirizzo Internet. Queste capacità, coniugate alle capacità di elaborazione dei dati, aprono la strada a un'Internet intelligente, che accumulerà nuove conoscenze in banche dati più complete tramite la combinazione e l'elaborazione dei dati ricevuti dagli oggetti e dalle banche dati identificative. Al tempo stesso, la rete diviene essa stessa un computer e memorizza programmi che consentono l'utilizzo di banche dati e interventi umani: richieste complesse, relazioni, ecc. |
3.3 Prime applicazioni
3.3.1 |
Un certo numero di realizzazioni è in via di sperimentazione e alcune applicazioni sono già operative con gli strumenti odierni. Esse vengono utilizzate in settori economici come:
|
3.3.2 |
Le etichette RFID incorporate negli oggetti, nei tesserini d'accesso, sui prodotti in vendita nei supermercati, ad esempio, consentono a un lettore situato a distanza relativamente breve (distanza in funzione della frequenza utilizzata) di accedere simultaneamente all'indirizzo e alle caratteristiche di tutti gli oggetti letti in contemporanea (carrello, container) e di trarne le conseguenze (prezzo da pagare, dichiarazione doganale dettagliata). In Giappone questo sistema può già essere utilizzato per effettuare acquisti, che vengono pagati tramite un altro chip contenuto nel cellulare (si tratta in realtà di un terminale multifunzionale). |
3.3.3 |
Per quanto riguarda la logistica dei trasporti, i dispositivi in questione, in collegamento con la geolocalizzazione, consentono di avere informazioni complete su un ordine in corso di evasione, compresa la sua ubicazione geografica, in tempo reale. |
3.3.4 |
L'Internet degli oggetti è ubiquista: si parla infatti anche di Ubiquitous Internet (Internet ovunque), in cui le informazioni trasmesse dai lettori in diverse tappe dei processi di elaborazione possono essere trattate in modo automatico. |
3.3.5 |
In un certo numero di applicazioni, gli oggetti comunicano, la rete acquisisce informazioni e può prendere decisioni appropriate, ad esempio in applicazioni domotiche come il riconoscimento biometrico delle persone, l'apertura di porte, l'esecuzione di decisioni riguardanti la casa e il suo approvvigionamento, la gestione del riscaldamento, dell'aerazione, delle avvertenze di sicurezza per i bambini, ecc. |
3.3.6 |
L'accesso a determinate macchine o a talune informazioni può essere determinato da lettori di impronte o dispositivi per il riconoscimento morfologico. |
3.4 Ubiquità delle reti, privacy e sicurezza
3.4.1 |
Ma questi trattamenti possono intensificare notevolmente i rischi di violazione della privacy, della riservatezza delle informazioni e delle relazioni tra clienti e fornitori di beni o servizi, in quanto il buon funzionamento dell'Ubiquitous Internet presuppone che le reti contengano una grande quantità di dati personali o addirittura riservati e strettamente privati, come nelle applicazioni mediche. |
3.4.2 |
Occorre chiedersi se gli strumenti giuridici comunitari attuali per la protezione dei dati siano adeguati per le reti del prossimo futuro. |
3.4.3 |
Senza un rafforzamento della protezione e della riservatezza dei dati sensibili, l'Ubiquitous Internet potrebbe diventare uno strumento di trasparenza totale per le persone (come lo è già per gli animali da compagnia nel sistema di identificazione europeo). |
3.4.4 |
Bisognerà soprattutto sorvegliare gli incroci di dati sparsi regolando quelli riguardanti gli oggetti e vietando quelli riguardanti le persone. La diffusione di dati presuppone che questi vengano preventivamente resi anonimi: ciò smentisce gli argomenti di quanti rifiutano di comunicare dati sociologici adducendo come pretesto la protezione della privacy. Non occorre autorizzazione preventiva se i dati sono resi anonimi e poi sottoposti a elaborazione statistica prima della pubblicazione dei risultati. |
3.4.5 |
I dati riservati, da definirsi giuridicamente, dovranno essere protetti tramite forti criptaggi, concedendo l'accesso soltanto alle persone (o macchine) autorizzate. |
3.4.6 |
Rimane aperta, come riconosce la Commissione, la questione dell'innocuità o del rischio associato alle più potenti frequenze ultraelevate (UHF), che troveranno presto largo impiego. |
3.4.7 |
La legislazione sulla protezione dei lavoratori dalle onde elettromagnetiche rischia di risultare gravemente carente per un'esposizione permanente alle alte frequenze e alle frequenze ultraelevate. Gli studi in materia, principalmente incentrati sui possibili effetti dei telefoni cellulari sulla salute degli utenti, non hanno portato a conclusioni certe. Bisognerebbe accelerare e ampliare quanto prima le ricerche sugli eventuali rischi e rimedi prima che taluni tipi di etichette elettroniche di nuova generazione si sviluppino in modo «selvaggio» (9). |
3.4.8 |
Occorre stabilire regole possibilmente universali, o perlomeno europee, per l'uso delle etichette elettroniche RFID, privilegiando il diritto alla protezione della privacy in una prospettiva che vada forse al di là delle persone fisiche, in quanto la legislazione attuale viene applicata in modo disomogeneo e non copre tutte le situazioni legate agli usi attuali e futuri delle etichette RFID e dell'Internet degli oggetti. |
3.5 L'Internet del futuro
3.5.1 |
L'Internet del futuro — nella misura in cui è concepibile formulare previsioni a medio termine in un settore in costante evoluzione — sarà probabilmente una combinazione del Web 3.0 e dell'Internet degli oggetti. |
3.5.2 |
Le diverse componenti dell'Internet del futuro esistono già per la maggior parte: esse vengono ora perfezionate o realizzate, in modo tale che questa nuova Internet possa presto «uscire allo scoperto», rivelarsi come un nuovo paradigma, che modificherà il posto e il ruolo delle reti ubiquiste nella vita dei cittadini e nella crescita economica in una misura ancora difficile da immaginare, ma tale tuttavia da poter provocare una profonda trasformazione sociale e costituire una fonte di sviluppo senza precedenti per le imprese e i paesi che ne padroneggeranno tutti gli aspetti, quelli, cioè, che avranno effettuato in tempo utile gli investimenti necessari per la ricerca, la formazione, la creazione di norme e di nuovi servizi. Ciò potrebbe comportare cambiamenti nei rapporti di forza economici e scientifici su scala mondiale. Si tratta di una sfida ineludibile per l'Europa. |
3.5.3 |
In ultima analisi, l'Internet degli oggetti realizza una fusione tra mondo fisico e mondo digitale, tra reale e virtuale. Gli oggetti intelligenti (smart object) si inseriscono nella rete presente ovunque (ubiquitous network) cui partecipano a pieno titolo. In essa occuperanno un posto molto maggiore di quanto non avessero nella rete partecipativa e umanista costituita dal Web 2.0, che confluirà nella rete allargata a un livello superiore. |
3.5.4 |
Infine, la nuova rete pone problemi di governance per la sua dimensione e i suoi contenuti nuovi, i requisiti in materia di assegnazione dei nomi di dominio che riguardano centinaia di miliardi di nomi, e le norme universali da seguire. Attualmente le RFID sono oggetto di norme private, rapporti commerciali con la EPC global, ma è questa una via praticabile per il pieno sviluppo dell'Internet del futuro? |
Bruxelles, 18 settembre 2008.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(1) Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — L'identificazione a radiofrequenza (RFID) in Europa: verso un quadro politico (COM(2007) 96 def.).
(2) Cfr. gli atti del seminario Towards an RFID Policy for Europe (Verso una politica dell'identificazione a radiofrequenza per l'Europa), pubblicati da Maarten Van de Voort e Andreas Ligtvoet, 31 agosto 2006.
(3) Ad esempio, il parere del CESE Identificazione a radiofrequenza (RFID), relatore: MORGAN, (GU C 256 del 27.10.2007, pag. 66).
(4) Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Preparare il futuro digitale dell'Europa — Riesame intermedio dell'iniziativa i2010 (COM(2008) 199 def.).
(5) Internet protocol version 6 (Protocollo Internet versione 6).
(6) Hypertext Transfer Protocol (HTTP — Protocollo per il trasferimento di informazioni ipertestuali) è un protocollo di comunicazione per il trasferimento delle informazioni nelle intranet e nella rete Web. Originariamente, esso era stato concepito per pubblicare e reperire pagine di ipertesto in Internet.
(7) Radio Frequency IDentification (identificazione a radiofrequenza).
(8) L'Università di Stanford lancia un nuovo laboratorio, il Pervasive Parallelism Lab, finanziato dalle più grandi società dell'industria informatica statunitense, tra cui la HP, l'IBM e la Intel.
(9) Uno studio scientifico britannico, consultabile al sito
http://www.mthr.org.uk, dimostra l'innocuità dei telefoni cellulari su un periodo di più anni.
31.3.2009 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 77/63 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sui contenuti creativi online nel mercato unico
COM(2007) 836 def.
(2009/C 77/16)
La Commissione europea, in data 3 gennaio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:
Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sui contenuti creativi online nel mercato unico
La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 16 luglio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore RETUREAU.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 115 voti favorevoli, 1 voto contrario e 5 astensioni.
1. Conclusioni e raccomandazioni
1.1 Diritti dei consumatori
1.1.1 |
Il CESE è sostenitore di una tutela dei consumatori di alto livello e, in questo contesto, attende con interesse l'elaborazione della guida per consumatori ed utilizzatori dei servizi della società dell'informazione. |
1.1.2 |
A parere del CESE in questa guida dovrebbero figurare almeno i punti seguenti:
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1.2 Interoperabilità
1.2.1 |
Il CESE sottolinea che l'interoperabilità costituisce un fattore economico centrale e constata che per facilitarla sono di importanza fondamentale gli standard aperti, che contribuiscono inoltre alla sicurezza e all'affidabilità. |
1.2.2 |
La non interoperabilità limita i cittadini europei nel loro accesso ad attrezzature, servizi e contenuti, li obbliga a pagare prezzi più elevati per le attrezzature, riducendone allo stesso tempo la gamma, e li costringe a utilizzare «passerelle digitali», dato che certe parti interessate approfittano di differenze tecniche non necessarie per creare mercati monopolistici. |
1.2.3 |
L'idea dei sistemi di gestione dei diritti digitali (DRM (1)) eurocompatibili sembra al Comitato una falsa buona idea, che pone più problemi di quanti non ne risolva e che potrebbe escludere certi creatori di contenuti dalla diffusione online; inoltre il mercato dei contenuti è mondiale, come dimostrano i blocchi di zona che limitano la libertà degli utilizzatori. |
1.3 |
Il CESE ritiene che l'imposizione fiscale più o meno anarchica di tutti i tipi di supporti digitali o di supporti di memoria, oltretutto fortemente variabile da paese a paese, conduca a distorsioni importanti del mercato. |
1.4 |
Le misure penali e le procedure d'eccezione previste nel progetto di legge «Olivennes» in Francia vanno ben oltre le domande dell'OMC contenute nell'accordo firmato nel 1994 a Marrakech. Come segnalato dalla Corte di giustizia nella sentenza Pro Musicae, nella scelta dei mezzi da utilizzare per far rispettare il diritto d'autore si deve ottemperare al principio di proporzionalità e si tratta di trovare un equilibrio soddisfacente tra i diritti di libertà e gli interessi in questione. |
1.5 |
Per tale ragione il CESE attende con interesse la raccomandazione che la Commissione ha in programma di elaborare sui contenuti creativi online, in modo da pronunciarsi concretamente sulla trasparenza (etichettatura) e su nuove forme di istituzione e di gestione dei diritti digitali su scala europea, sull'incentivazione e sul contributo a regimi innovativi per la diffusione dei contenuti creativi online e sulla ricerca degli strumenti efficaci per porre termine alla copia illegale a fini commerciali e a qualsiasi altra forma di pirateria a danno dei creatori di contenuti. |
2. Proposta della Commissione
2.1 |
Gli aspetti più rilevanti della comunicazione e delle domande della Commissione riguardano:
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2.2 |
Secondo il documento di lavoro di 41 pagine dei servizi della Commissione, pubblicato separatamente dalla comunicazione e solo in inglese (2), visti il carattere transfrontaliero delle comunicazioni online e i nuovi modelli commerciali richiesti dalle nuove tecnologie, le politiche dell'Unione dovrebbero puntare alla promozione e alla diffusione rapida di questi nuovi modelli per diffondere online i contenuti e i saperi. I contenuti creativi distribuiti online sono dei contenuti e dei servizi come i media audiovisivi online (film, televisione, musica, radio), i giochi online, le pubblicazioni online, i contenuti didattici online, i contenuti generati dagli utilizzatori (reti sociali, blog, ecc.) |
2.3 |
Il primo obiettivo, già dichiarato in i2010 (3), è quello di istituire uno spazio unico europeo dell'informazione. I problemi riscontrati persistono, mentre le piattaforme tecnologiche di diffusione si diversificano e si estendono. |
2.4 |
Per quanto concerne il problema della fiducia nell'economia digitale, una questione ricorrente è quella dell'interoperabilità tra i materiali, i servizi e le piattaforme. Taluni ritengono che la criminalizzazione della condivisione di file peer to peer (P2P) o bit torrent e i regimi draconiani dei diritti di proprietà intellettuale non creino un clima di fiducia, tanto più che con l'esplosione dei contenuti creati dagli utilizzatori, che aggiunge una nuova dimensione al loro ruolo nell'economia digitale, sorge una serie di sfide nei confronti delle politiche pubbliche, in molti campi, quali la fiducia e la sicurezza. |
2.5 |
L'uso dei sistemi di DRM è aspramente criticato dalle organizzazioni dei consumatori. Essi comportano anche rischi per la protezione dei dati e non sono facili da gestire per gli utilizzatori. Taluni rappresentanti dell'industria però li difendono e sostengono che i problemi di interoperabilità provengono dai fabbricanti dei materiali e dagli sviluppatori di software. |
2.6 |
Sul mercato mondiale, gli operatori dei mercati nazionali devono far fronte alla diversità delle lingue e alla dimensione ridotta di certi mercati oltre che alla diversità delle regole nazionali riguardanti le licenze. Gli ISP (Internet service provider — fornitori d'accesso Internet) sono favorevoli alle licenze e ai regolamenti multiterritoriali, ma questo non è un approccio favorito in altri settori dell'industria. Le licenze nazionali permetterebbero una migliore remunerazione degli autori; nondimeno un numero elevato di istituzioni di riscossione dei diritti opera in più paesi. Inoltre, le organizzazioni musicali e gli operatori mobili vogliono una semplificazione delle procedure per la riscossione dei diritti. |
2.7 |
Gli ISP criticano anche la diversità dei regimi di riscossione e degli importi dei diritti per la copia privata, sempre più pesanti e complessi e contestano la loro utilità rispetto all'uso dei sistemi di DRM. |
2.8 |
L'assenza di disponibilità di contenuti per la distribuzione online e la frammentazione del mercato, nonché la diversità dei contratti conclusi per diverse forme di sfruttamento rendono marginale la messa online rapida delle creazioni e costituiscono un grave freno allo sviluppo dei servizi. |
2.9 |
Il documento di lavoro della Commissione rispecchia i risultati di due consultazioni e mostra la varietà di posizioni dei diversi interessi in causa. La Commissione vorrebbe comunque avanzare sul terreno (contestato) delle licenze multiterritoriali e di un diritto d'autore europeo, della generalizzazione di sistemi di DRM interoperabili in particolare, e assistere alla creazione di un vero mercato europeo che integri la diversità delle culture. |
2.10 |
L'obiettivo è quello di fare in modo che il mercato europeo dei contenuti online (musica film, giochi ecc.) si quadruplichi da qui al 2010, passando dagli 1,8 miliardi di euro di fatturato nel 2005 a 8,3 miliardi. |
3. Osservazioni
3.1 |
Il CESE è pienamente cosciente del fatto che Internet permette di raccogliere o distribuire sotto forma digitale beni e servizi secondo metodi che violano il diritto di proprietà immateriale degli autori e dei distributori di contenuti creativi online, consente violazioni della sfera privata oppure nuove forme di frode contro le imprese e i privati. |
3.2 |
Le creazioni più soggette alla messa in circolazione illegale sono i brani musicali contemporanei e, sempre di più, le opere audiovisive, oltre ai software di ogni genere. Il fenomeno ha assunto enormi dimensioni durante il periodo in cui non è stato presentato dai distributori nessun modello commerciale che tenesse conto delle nuove possibilità di violazione dei diritti di proprietà immateriali. Sarebbe stata inoltre necessaria un'iniziativa educativa sull'uso da parte degli adolescenti di Internet, iniziativa che, però, nessuna istituzione ha preso e i progressi in questo campo sono assolutamente insufficienti. |
3.3 |
Le prime reazioni sono state talvolta estreme, ma alcune volte lassiste, anche se più raramente. I distributori hanno istituito dei dispositivi contro la copia (i cosiddetti sistemi di DRM) insieme con la richiesta di compensazioni finanziarie per i titolari dei diritti e di misure penali estremamente dissuasive, ma in pratica inapplicabili, tenuto conto delle dimensioni della frode, salvo nei casi di contraffazioni massicce provenienti in massima parte dall'Est europeo e dall'Asia. Alcune persone sono state colte in flagrante per servire d'esempio dissuasivo, senza però poter misurare la portata reale dell'effetto dissuasivo in mancanza di inchieste indipendenti e di cifre realistiche sugli importi delle perdite causate dalle contraffazioni. |
3.4 |
Il CESE dichiara tuttavia una certa sorpresa dinanzi alla proposta della Commissione di creare dei sistemi di DRM europei e interoperabili sui contenuti diffusi online. Per quanto riguarda la musica, infatti, sono già accessibili milioni di titoli su siti commerciali senza sistemi di DRM; la tendenza è alla loro scomparsa progressiva. Le aziende di distribuzione sono sul punto di sviluppare possibilità d'ascolto diretto senza registrazione o abbonamento speciale che permettono di scaricare un certo numero di brani e prevedono la gratuità ma con pubblicità «obbligatoria», ecc. |
3.5 |
Le protezioni materiali su supporti mobili, ovvero terminali, sono ormai viste più come ostacoli all'uso corretto (fair use) che come protezioni efficaci contro i pirati; esse possono condurre anche a un'integrazione verticale (siti, codifica proprietaria con una perdita di qualità più o meno grande, lettori dedicati: sistemi di distribuzione Apple con codice AAC e lettore iPod o iPhone) che costituisce un sistema anticoncorrenziale. Una protezione frequente, in particolare per i software o i giochi, ovvero certe pubblicazioni online, è fondata su una chiave digitale di sblocco dell'accesso, inviata all'acquirente dopo che questi ha regolato il suo acquisto unitario o il suo abbonamento per una certa durata: si tratta di un sistema abbastanza efficace e già molto diffuso. |
3.6 |
I sistemi di DRM digitali integrati interoperabili appaiono al CESE sistemi superati nella pratica; sarebbe forse preferibile osservare bene gli sviluppi nei diversi settori del mercato dei contenuti online, che sembrano andare in una direzione favorevole alla protezione dei diritti d'autore e dei diritti connessi, sulla base in particolare di codici di condotta appropriati e di modelli commerciali realistici (4), piuttosto che cristallizzare con un'iniziativa europea una situazione transitoria e in rapida evoluzione. |
3.7 |
In ordine al diritto d'autore e ai diritti connessi, gli accordi e le convenzioni internazionali esistenti costituiscono una base giuridica in linea di principio comune sia per gli Stati membri che nelle relazioni con i paesi terzi. In pratica, però, sussistono delle differenze, malgrado il diritto comunitario. Inoltre, la proposta di un diritto d'autore europeo per il mercato interno renderebbe automatica la protezione in tutti i paesi membri nel momento in cui tali diritti sono riconosciuti in uno di essi e garantirebbe una protezione uniforme. |
3.8 |
Nell'era di Internet e della società della conoscenza è indispensabile trovare un equilibrio effettivo tra l'interesse generale e gli interessi privati. Gli autori e i distributori devono avere una remunerazione equa. I lettori o ascoltatori e utilizzatori devono poter usare ragionevolmente i contenuti legalmente acquisiti, in una cornice privata, in quadro pubblico o nell'insegnamento impartito ai diversi livelli degli istituti d'istruzione. |
3.9 |
È giocoforza prendere atto dell'esistenza di un diritto penale rigoroso, a tutela del diritto d'autore, che prevede nei confronti dei privati che non ne fanno commercio delle sanzioni esorbitanti in diversi paesi, mentre d'altro canto i diritti d'uso e di copia privati sono stati ridotti; per contro i metodi polizieschi imposti ai fornitori dell'accesso Internet, che possono rivelarsi utili per la lotta antiterroristica, sembrano sproporzionati e capaci di violare il diritto all'intimità in un quadro giudiziario unilateralmente favorevole ai distributori. È possibile che tale tipo di legislazione sia alla fine rimessa in questione davanti alla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, che si occupa del rispetto della vita privata. La Corte di Lussemburgo, per parte sua, si appella al rispetto dei principi di proporzionalità e alla ricerca di un equilibrio tra i diversi diritti contrapposti (sentenza Pro Musicae). |
3.10 |
Inoltre, alcuni paesi, spesso gli stessi, impongono una tassa su tutti i tipi di supporto digitale, considerandoli come strumenti di pirateria a prescindere dall'uso cui sono destinati. Sebbene tale imposta sia spesso qualificata come «tassa per copia privata» essa genera in effetti redditi considerevoli la cui ripartizione è talvolta lungi dall'essere trasparente. Questo approccio che assimila le copie private di ogni tipo o di «uso corretto» a una violazione dei diritti d'autore e connessi è particolarmente insopportabile per gli utilizzatori onesti delle TIC, vale a dire la grande maggioranza, e per le imprese che li utilizzano ad altri fini che la copia dei brani musicali o di giochi. Per lo meno tali prelievi dovrebbero essere moderati e proporzionali al costo effettivo dello stoccaggio delle unità digitali (percentuale del prezzo di vendita del supporto diviso per la capacità in numero totale di GB, per esempio, perché si constatano distorsioni considerevoli a seconda dei supporti). |
3.11 |
I diritti delle diverse parti devono essere rispettati, ma rispettando anche le direttive in vigore e il principio di proporzionalità, come la Corte di giustizia ha chiaramente affermato nella sua sentenza Pro Musicae (5). |
4. Osservazioni complementari del CESE
4.1 |
Il Comitato condivide la posizione secondo cui l'interoperabilità, indispensabile alla libera concorrenza, può essere raggiunta solo quando il consumatore può utilizzare il dispositivo di sua scelta per leggere le sue opere. L'unica soluzione a questo problema è che le opere siano codificate in standard aperti, accessibili a tutti. Ebbene, qualsiasi sistema di DRM proibisce in modo prestabilito la lettura di un'opera a qualsiasi dispositivo, materiale o software che non sia stato esplicitamente autorizzato dall'editore del sistema di DRM. Per definizione i sistemi di DRM si basano sulla segretezza dei loro formati chiusi, le cui specifiche tecniche non sono accessibili al pubblico. Per i sistemi non autorizzati e non certificati dall'editore del DRM non vi è alcuna possibilità di entrare in concorrenza. D'altronde a tutt'oggi non esiste alcun sistema di DRM che si basi su standard aperti. Questa soluzione comporterebbe l'istituzione di sistemi di licenze incrociate e certi creatori di contenuti potrebbero ritrovarsi esclusi dal mercato perché, per esempio, non utilizzano i sistemi di DRM. Tutto un settore della creazione digitale, che comprende gli istituti scientifici e i centri di ricerca, le università, il software libero, le creazioni sotto licenze alternative, potrebbe essere escluso dal mercato, che non ammetterebbe che contenuti commerciali, fatto che è incompatibile con la società dell'informazione e della conoscenza alla cui testa l'Europa si vuole collocare. |
4.2 |
Nessuna di queste ipotesi è soddisfacente, per esempio per l'importazione delle opere e dei contenuti provenienti da paesi terzi verso l'Europa e per l'esportazione al di fuori del nostro continente. Il software o i software DRM europei dovrebbero allora essere compatibili con quelli dei mercati esterni, spesso molto più dinamici in materia audiovisiva. I sistemi di DRM costituiscono una porta aperta agli atteggiamenti anticoncorrenziali e ai tentativi d'integrazione verticale nel settore multimediale. Il caso di iTunes di Apple che utilizza un sistema di DRM e una codifica proprietaria, che obbliga in pratica a utilizzare un lettore di tipo iPod o iPhone, illustra tale problema. |
4.3 |
Svelando solo le interfacce applicative di programmazione (API — application programmer's interface) d'un software DRM e non l'intero programma sorgente, cosa che potrebbe rappresentare una tentazione molto forte per taluni fornitori, si correrà sempre il rischio di non permettere una reale interoperabilità. |
4.4 |
I pirati riescono ad aggirare o riprodurre molto rapidamente l'equivalente di qualsiasi sistema di protezione, al punto che i fornitori di contenuti non hanno più fiducia nei sistemi di DRM e sono alla ricerca di nuovi modelli commerciali di diffusione, come l'abbonamento forfettario, l'ascolto libero, ma subordinando la possibilità di scaricare l'opera al pagamento, l'inclusione della pubblicità, ecc. Bisognerebbe dar fiducia al mercato piuttosto che legiferare nella fretta e nella confusione, come nel caso francese, in cui i testi normativi si susseguono e danno luogo a una giurisprudenza contraddittoria. La pressione delle lobby delle major (cinque grandi case dominano il settore dei brani musicali, sei o sette quello dell'audiovisivo) fino ad ora è stata determinante per indurre certi paesi all'abbandono del diritto alla copia privata ed alla criminalizzazione dello scambio di file tra privati. L'ultimo progetto di legge francese si incammina su questa strada senza uscita della repressione esagerata. |
4.5 |
Come il Comitato ha sostenuto in pareri anteriori, il diritto penale dovrebbe applicarsi solo alle contraffazioni a scopo commerciale (produzione e distribuzione, talvolta da parte di organizzazioni criminali); in taluni paesi membri è molto facile, anche su mercati aperti, ottenere software o registrazioni musicali e audiovisive contraffatte; esiste una produzione europea di prodotti contraffatti, ma il grosso delle copie viene dall'Asia. È questo fenomeno massiccio di contraffazione a scopi commerciali che bisognerebbe prendere di mira e sanzionare in via prioritaria, oltre a sviluppare una cooperazione di polizia e giudiziaria per smantellare le reti criminali internazionali. |
4.6 |
Rispetto agli scambi, soprattutto tra adolescenti, vanno sviluppate l'informazione sul fatto che gli autori e produttori devono avere una remunerazione equa per il loro lavoro (soprattutto gli autori che spesso ricevono solo una porzione infima dei diritti percepiti) e l'educazione civica. |
4.7 |
Non tutti gli scambi di file massicci sono necessariamente scambi di file protetti da diritti immateriali pecuniari. Si può trattare di scambi e pubblicazioni gratuite di contenuti diversi (risultati di esperimenti e lavori scientifici, opere soggette a licenze non restrittive in materia di copia o diffusione). |
4.8 |
Tuttavia, è tutta la rete che, secondo il progetto di legge all'esame in Francia, deve essere oggetto di una sorveglianza e prevedere la conservazione nel lungo periodo dei dati personali degli utilizzatori di Internet. I dati dovrebbero essere accessibili ai rappresentanti delle major, mentre, se un tale sistema fosse istituito, sole autorità pubbliche munite di un mandato giudiziario dovrebbero potere accedere a tali dati. |
4.9 |
Il diritto di copia privata diventa un'eccezione, sottoposta a forti restrizioni, nei «contratti» elaborati dai fornitori dei contenuti, in termini di difficile comprensione e che sono in contraddizione con acquisti decisi sul momento, che costituiscono la forma più frequente di acquisto da parte dei consumatori. |
4.10 |
Se gli autori e i distributori professionali sono in pratica i soli a beneficiare di una tale protezione eccessiva da parte della legge, i produttori individuali di contenuti, oppure gli artisti ancora sconosciuti al grande pubblico, gli utilizzatori di licenze alternative (GPl — General Public license — licenza pubblica generica e LPGL Lesser general public license — licenza pubblica generica attenuata, le licenze creative commons, ecc. — una cinquantina di tipi, all'incirca) per parte loro non sono oggetto di alcuna protezione specifica, benché tali licenze siano rette dal diritto d'autore e non siano obbligatoriamente gratuite. Essi dovranno passare preliminarmente davanti a un giudice per depositare una denuncia per contraffazione, fatto che creerebbe una profonda disuguaglianza davanti alla legge tra grandi diffusori transnazionali e piccole imprese o privati. |
4.11 |
In effetti, il Comitato reputa che la legislazione debba assicurare l'elemento fondamentale della protezione dei consumatori in buona fede e la giusta remunerazione degli autori per il loro lavoro. |
4.12 |
Le disposizioni restrittive dell'uso di una licenza legalmente acquisita e l'accesso ai dati personali da parte dei rappresentanti delle major sono in contrasto con gli obiettivi perseguiti, perché i contraffattori commerciali saranno capaci di superare tutti gli ostacoli tecnici e nascondere le loro tracce sulla rete e di fatto saranno accessibili al controllo soltanto gli scambi legali o illegali di dati effettuati da utilizzatori senza scopi commerciali, anche se un numero elevato di questi scambi sono illegali e devono essere combattuti con mezzi appropriati al loro carattere di massa. Alcune condanne «esemplari» e la pubblicità che se ne fa per scoraggiare certi utilizzatori non basteranno a risolvere il problema, perché le probabilità di essere presi sono minime e non preoccuperanno, per esempio, degli adolescenti che non sono consapevoli dei pregiudizi che arrecano ai loro autori preferiti. |
4.13 |
La conservazione dei dati personali di tutti gli utilizzatori di Internet da parte degli ISP per un lungo periodo costituisce di per sé una grave intrusione nella vita privata; è assolutamente necessaria per far rispettare il diritto d'autore e i diritti connessi, o non sarà piuttosto sproporzionata rispetto allo scopo da raggiungere? Si tratta di diritti così assoluti da esigere un'offesa permanente alla vita privata di tutti gli utilizzatori di Internet? |
4.14 |
La conservazione di questi dati può eventualmente servire alla lotta contro il terrorismo, ma in ogni caso gli utilizzatori della rete devono beneficiare delle garanzie legali per la riservatezza delle loro connessioni, che possono tuttavia essere rimosse per un interesse generale predominante, da parte di un'autorità pubblica munita di un mandato regolare e con un obiettivo limitato dai termini del mandato giudiziario. |
4.15 |
Taluni impieghi dei dati possono essere autorizzati in modo generale, a fini di conoscenza e d'analisi, a certe condizioni, in particolare di anonimizzazione dei dati. Per contro bisognerebbe proibire l'incrocio dei file nominativi, la raccolta dei dati nominativi al fine di costruire dei profili per scopi di efficacia pubblicitaria e la loro conservazione e il loro incrocio con l'elenco delle parole-chiave utilizzate nei motori di ricerca e altre pratiche già in uso, a vantaggio segnatamente delle major e di altre grandi società, pratiche che ledono anche il diritto all'intimità dei cittadini. |
4.16 |
In molti paesi si prelevano tasse su tutti i supporti informatici, fissi o mobili, a beneficio esclusivo dei titolari di diritti (soprattutto sui contenuti audiovisivi), anche su supporti non destinati a questo impiego; questo sistema considera tutti gli utilizzatori di un qualunque supporto digitale come potenziali pirati. Talune categorie di utilizzatori dovrebbero essere esentate da tale tassazione, in particolare le imprese. Per contro, i fornitori d'accesso Internet a banda larga che hanno sviluppato le loro reti sulla base dell'uso illegale che se ne poteva fare in certi casi, potrebbero essere tassati ad un aliquota abbastanza bassa, ma legata all'intensità del traffico tra privati, in modo da contribuire agli organismi di riscossione dei diritti d'autore e alla promozione dei nuovi contenuti, ma gli stati non dovrebbero incamerare tutte o una parte di tali tasse, al di là delle spese di riscossione e di ridistribuzione. |
4.17 |
Dovrebbero essere seguiti gli esempi di gestione dei diritti offerti dai paesi scandinavi, in particolare dalla Svezia, piuttosto che le normative e i progetti successivi francesi che sono squilibrati e poco convincenti per quanto riguarda gli aiuti ai giovani creatori di contenuti e alle piccole e medie imprese. |
4.18 |
Dopo un periodo di garanzia di diritti esclusivi per una durata ragionevole, potrebbe subentrare un sistema globale come in Svezia. |
4.19 |
Nel corso dell'esame della proposta di direttiva sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale (PI-PLA proprietà industriale, proprietà letteraria e artistica e altri diritti connessi, diritti ad hoc riconosciuti e protetti nell'Unione), il CESE invocava già un'impostazione ferma ma misurata della lotta contro la contraffazione a fini commerciali. |
4.20 |
L'OMC dal canto suo metteva in guardia, nell'Accordo sugli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale (ADPIC), contro eventuali abusi da parte dei titolari di diritti, che potrebbero limitare la concorrenza o non essere conformi all'interesse generale. |
4.21 |
«Obiettivi: La protezione e il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale dovrebbero contribuire alla promozione dell'innovazione tecnologica nonché al trasferimento e alla diffusione di tecnologia, a reciproco vantaggio dei produttori e degli utilizzatori di conoscenze tecnologiche e in modo da favorire il benessere sociale ed economico, nonché l'equilibrio tra diritti e obblighi» (Accordo ADPIC, articolo 7). |
4.22 |
«Principi: […] 2. Misure appropriate, purché siano compatibili con le disposizioni del presente accordo, possono essere necessarie per impedire l'abuso dei diritti di proprietà intellettuale da parte dei titolari o il ricorso a pratiche che comportino un'ingiustificata restrizione del commercio o pregiudichino il trasferimento internazionale di tecnologia» (Accordo ADPIC, articolo 8, paragrafo 2). |
4.23 |
Le osservazioni del CESE che precedono, già espresse nel suo parere del 29 ottobre 2003 (6) in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle misure e alle procedure finalizzate ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, «sono in particolare conformi agli obiettivi dell'accordo ADPIC dell'OMC (cfr. articolo 7) e ai suoi principi (cfr. articolo 8, paragrafo 2) che dovrebbero figurare nei considerando della direttiva, in quanto le sanzioni eventuali non possono essere del tutto separate dal diritto materiale, né ignorare i possibili abusi di diritto da parte dei titolari di diritti di PI-PLA» (7). |
Bruxelles, 18 settembre 2008.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(1) Digital Rights Management — Gestione dei diritti digitali (espressione «politicamente corretta» per designare: dispositivi di software o tecniche che impediscono la copia).
(2) COM(2007) 836 def., Bruxelles 3 gennaio 2008, SEC(2007) 1710 Commission Staff working Document.
(3) i2010 — Una società europea dell'informazione per la crescita e l'occupazione (COM(2005) 229 def.).
(4) Vendere la musica in Internet allo stesso prezzo dei CD venduti nei negozi costituisce una rendita eccessiva per i distributori e ciò non incoraggia la ricerca di modelli realistici che tengano conto del prezzo di costo reale e di un utile commerciale non sproporzionato.
(5) Sentenza della Corte (Grande Sezione) 29 gennaio 2008.
Causa C-275/06
Domanda di pronuncia pregiudiziale
… la Corte (Grande Sezione) dichiara:
«La direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 8 giugno 2000, 2000/31/CE, relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell'informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno (“direttiva sul commercio elettronico”), la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 22 maggio 2001, 2001/29/CE, sull'armonizzazione di taluni aspetti del diritto d'autore e dei diritti connessi nella società dell'informazione, la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 29 aprile 2004, 2004/48/CE, sul rispetto dei diritti di proprietà intellettuale, e la direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio 12 luglio 2002, 2002/58/CE, relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche (direttiva relativa alla vita privata e alle comunicazioni elettroniche), non impongono agli Stati membri, in una situazione come quella oggetto della causa principale, di istituire un obbligo di comunicare dati personali per garantire l'effettiva tutela del diritto d'autore nel contesto di un procedimento civile. Tuttavia, il diritto comunitario richiede che i detti Stati, in occasione della trasposizione di tali direttive, abbiano cura di fondarsi su un'interpretazione delle medesime tale da garantire un giusto equilibrio tra i diversi diritti fondamentali tutelati dall'ordinamento giuridico comunitario. Inoltre, in sede di attuazione delle misure di recepimento delle dette direttive, le autorità e i giudici degli Stati membri devono non solo interpretare il loro diritto nazionale in modo conforme a tali direttive, ma anche evitare di fondarsi su un'interpretazione di esse che entri in conflitto con i detti diritti fondamentali o con gli altri principi generali del diritto comunitario, come, ad esempio, il principio di proporzionalità».
(6) GU C 32 del 5.2.2004, pag. 15.
(7) L'«accordo ADPIC», che costituisce l'allegato 1 C dell'accordo che istituisce l'Organizzazione mondiale del commercio (OMC), firmato a Marrakech il 15 aprile 1994 e approvato con la decisione 94/800/CE del Consiglio, del 22 dicembre 1994, relativa alla conclusione a nome della Comunità europea, per le materie di sua competenza, degli accordi dei negoziati multilaterali dell'Uruguay Round (1986-1994) (GU L 336 del 23.12.1994, pag. 1), è intitolato Accordo sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio. Nella parte III Tutela dei diritti di proprietà intellettuale figura l'articolo 41, paragrafo 1, che disone: «I membri fanno in modo che le loro legislazioni prevedano le procedure di tutela di cui alla presente parte in modo da consentire un'azione efficace contro qualsiasi violazione dei diritti di proprietà intellettuale contemplati dal presente accordo, ivi compresi rapidi mezzi per impedire violazioni e mezzi che costituiscano un deterrente contro ulteriori violazioni. Le procedure in questione si applicano in modo da evitare la creazione di ostacoli ai legittimi scambi e fornire salvaguardie contro il loro abuso».
31.3.2009 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 77/69 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2005/35/CE relativa all'inquinamento provocato dalle navi e all'introduzione di sanzioni per violazioni
COM(2008) 134 def. — 2008/0055 (COD)
(2009/C 77/17)
Il Consiglio, in data 4 aprile 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 80, paragrafo 2, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:
Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2005/35/CE relativa all'inquinamento provocato dalle navi e all'introduzione di sanzioni per violazioni
La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 16 luglio 2008 sulla base del progetto predisposto dal relatore RETUREAU.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato all'unanimità il seguente parere.
1. Proposte della Commissione
1.1 |
Il parere del Comitato viene richiesto in merito alle modifiche che la Commissione propone di apportare alla direttiva 2005/35/CE, relativa all'inquinamento provocato dalle navi, per conformarsi alla giurisprudenza della Corte di giustizia in materia di criminalità ambientale, per quanto attiene alle competenze delle singole istituzioni europee, all'effettività del diritto comunitario e alla prevalenza del TCE sul TUE riguardo alle politiche e agli obiettivi comunitari definiti nei Trattati. |
2. Osservazioni generali
2.1 |
Il Comitato ribadisce che, in materia penale, la Comunità europea non dispone in linea di principio di alcuna competenza attribuitale dai Trattati. |
2.2 |
Ciò nonostante, la Commissione deve preoccuparsi dell'effettività della legislazione comunitaria, di cui ha l'iniziativa, per garantire l'attuazione delle politiche definite nel TCE che rientrano nelle sue competenze. A tal fine, essa può proporre, nelle sue iniziative legislative, che il diritto degli Stati membri commini sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive, anche penali, alle persone fisiche o giuridiche che istigano a commettere o commettono, con dolo o colpa grave, anche a titolo di concorso o favoreggiamento, violazioni contro l'ambiente di gravità tale da giustificare siffatte sanzioni penali. |
2.3 |
Già nel precedente parere in materia (1) il Comitato aveva criticato le posizioni radicali assunte dalla Commissione riguardo alla portata delle competenze comunitarie in materia penale, e sostenuto un'interpretazione più moderata, alla fine rivelatasi perfettamente conforme alla giurisprudenza della Corte di giustizia (2). Dal 2000 in poi si è perso molto tempo in questo conflitto interistituzionale, che è ormai stato risolto in maniera chiara. In futuro, quindi, si potrà garantire meglio il rispetto delle norme poste a tutela dell'ambiente. |
2.4 |
Il timore talvolta espresso che la futura modifica dei Trattati possa determinare nuovi cambiamenti delle competenze e quindi anche della legislazione, pregiudicandone così la stabilità e la certezza, non appare giustificato né dalla situazione istituzionale attuale né dalla prospettiva dell'applicazione del Trattato di Lisbona. Ad ogni modo, non sembra che gli Stati membri siano disposti a rinunciare alle loro competenze in materia penale, considerate «sovrane», ossia rientranti nel «nocciolo duro» delle attribuzioni dello Stato. Persino un'evoluzione delle competenze delle istituzioni legislative — che comunque, come si può ben immaginare, non sarebbe radicale — non giustificherebbe ipso facto una modifica di fondo del diritto. |
2.5 |
Inoltre, nella causa C-308/06 la Corte di giustizia delle Comunità europee ha statuito di non poter valutare la validità della direttiva 2005/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005, alla luce del diritto internazionale pubblico, mettendo così fine alla contestazione sollevata. Del resto, anche se fosse portata dinanzi ad altri giudici internazionali, una siffatta contestazione non potrebbe comunque avere successo per una serie di motivi giuridici e politici che esulano dall'oggetto di questo parere; e in ogni caso, anche se un'altra istanza accettasse di pronunciarsi — con parere consultivo — sulla validità di un progetto di atto normativo comunitario, ciò non sarebbe sufficiente per contestare l'operato del legislatore europeo, forte della prevalenza interna del suo diritto rispetto al diritto nazionale e a quello internazionale e per di più non soggetto a quest'ultimo. |
2.6 |
La proposta di direttiva riguardante l'inquinamento provocato dalle navi, in perfetto accordo con la giurisprudenza comunitaria, impone dunque agli Stati di definire e introdurre sanzioni penali nelle loro legislazioni penali per un ristretto numero di gravi violazioni del diritto comunitario, che essa precisa e chiede loro di sanzionare penalmente, di definire e introdurre nelle loro legislazioni penali sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive, allo scopo di combattere queste violazioni ben definite del diritto comunitario. |
2.7 |
Anche se non si tratta di un'armonizzazione del diritto penale vigente in materia, visto che si tratta semplicemente di invitare gli Stati membri a qualificare e sanzionare penalmente delle violazioni che il legislatore comunitario si limita a individuare, la giurisprudenza della Corte permette tuttavia di introdurre degli obblighi in materia penale per gli Stati membri. Ciò costituisce un modo più efficace di rafforzare le norme europee e di farle rispettare quando riguardino questioni di particolare rilievo. |
2.8 |
Per questi motivi, il Comitato accoglie con favore e appoggia la proposta di modifica della direttiva del 2005, nella convinzione che i nuovi strumenti di individuazione e monitoraggio delle navi che verranno gradualmente introdotti consentiranno di garantirne la piena osservanza, sanzionando le pratiche illegali in maniera efficace e sistematica. |
Bruxelles, 17 settembre 2008.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(1) GU C 220 del 16.9.2003, pag. 72.
(2) Cfr. la sentenza della Corte, del 23 ottobre 2007, nella causa C-440/05, Commissione delle Comunità europee (sostenuta dal Parlamento europeo)/Consiglio dell'Unione europea.
31.3.2009 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 77/70 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio per agevolare l'applicazione transfrontaliera della normativa in materia di sicurezza stradale
COM(2008) 151 def. — 2008/0062 (COD)
(2009/C 77/18)
Il Consiglio, in data 13 maggio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 71, paragrafo 1, lettera c) del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:
Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio per agevolare l'applicazione transfrontaliera della normativa in materia di sicurezza stradale.
La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 16 luglio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore Jan SIMONS.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere all'unanimità.
1. Conclusioni
1.1 |
La proposta di direttiva della Commissione mira a realizzare una gestione e un controllo più efficaci ed efficienti delle infrazioni al codice della strada commesse in un altro Stato membro. |
1.2 |
La proposta viene presentata per poter realizzare l'obiettivo che la Commissione si era prefissato nel 2001, ossia dimezzare il numero dei decessi causati da incidenti stradali durante il periodo 2001-2010. |
1.3 |
Quest'obiettivo non potrà essere conseguito se non verranno adottate misure integrative. La proposta in esame rientra in queste misure integrative e si concentra sulle infrazioni al codice della strada commesse in un altro Stato membro. |
1.4 |
Il Comitato ritiene che la proposta di direttiva in esame offra uno strumento idoneo ad affrontare il problema delle infrazioni commesse in un altro Stato membro. Occorre però anche affiancargli controlli e sanzioni reali ed efficaci. Il Comitato invita pertanto il Consiglio dell'Unione europea e gli Stati membri a prevedere con urgenza dei miglioramenti in proposito. |
1.5 |
Il Comitato fa presente che, per accrescere l'efficacia della direttiva proposta dalla Commissione, occorre aggiungere alle infrazioni ivi elencate anche quelle connesse al miglioramento della sicurezza dei trasporti su strada. |
1.6 |
Ai fini dell'efficacia e dell'efficienza il Comitato ritiene che per lo scambio d'informazioni vada utilizzata una rete telematica esistente, ad esempio il sistema Eucaris, perché comporta costi contenuti. Il Comitato consiglia alla Commissione di (far) compiere almeno uno studio di fattibilità per esaminare se sia possibile ampliare i sistemi attuali includendovi lo scambio di dati proposto. |
1.7 |
Circa le sanzioni per le infrazioni, il Comitato auspica che si contemplino anche soluzioni come la patente a punti, il sequestro del veicolo e il ritiro temporaneo della patente, eventualmente combinate a sanzioni pecuniarie. |
1.8 |
Sotto il profilo dell'efficienza il Comitato giudica positivo che la proposta di direttiva preveda, per ogni Stato membro, la designazione di un'autorità centrale competente per l'applicazione delle misure previste. |
1.9 |
Il Comitato non vede il vantaggio supplementare del «Modulo per la notifica dell'infrazione» proposto dalla Commissione nell'allegato. Ritiene che l'importante sia il contenuto, e non già la forma, per cui la Commissione dovrebbe limitarsi a precisare con cura i dati necessari per conseguire l'obiettivo della direttiva. |
1.10 |
Il Comitato approva la proposta della Commissione di prevedere la procedura di comitato per l'applicazione delle misure proposte. |
2. Introduzione
2.1.1 |
Il Libro bianco La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte (COM(2001) 370 def.) aveva previsto l'obiettivo di dimezzare entro il 2010 il numero dei decessi causati da incidenti stradali. Concretamente ciò significa che, nei 27 Stati membri dell'UE, tale numero dovrà passare dai 54 000 del 2001 a 27 000 nel 2010. |
2.1.2 |
Ebbene, fra il 2001 e il 2007 il numero dei morti è sceso del 20 %, mentre per poter dimezzare il numero dei decessi entro il 2010 questa percentuale avrebbe dovuto essere del 37 %. Ne consegue la necessità d'impegnarsi più a fondo. |
2.2 Contenuto della proposta della Commissione
2.2.1 |
Per preparare la proposta di direttiva la Commissione ha organizzato una seduta d'informazione pubblica e tenuto una riunione con le parti rappresentative interessate. Le conclusioni di entrambi gli incontri sono state tenute presenti nel testo della proposta di direttiva in esame. |
2.2.2 |
La Commissione ritiene che la proposta di direttiva costituisca uno strumento efficace per conseguire in ogni caso l'obiettivo prefissato e assicurare che tutti i cittadini dell'UE vengano messi su un piede di parità. |
2.2.3 |
La proposta mira a migliorare l'applicazione delle sanzioni in vigore per le infrazioni commesse in uno Stato membro diverso da quello in cui è immatricolato il veicolo. |
2.2.4 |
Al momento infrazioni del genere restano spesso impunite. Ad esempio, è noto che nel caso delle infrazioni per eccesso di velocità la percentuale dei conducenti non residenti è compresa fra il 2,5 % e il 30 %. |
2.2.5 |
Visto che, stando alle statistiche disponibili, questo tipo d'infrazioni è all'origine del 30 % degli incidenti mortali, interventi efficaci su questo fronte potrebbero ridurne drasticamente il numero. |
2.2.6 |
Notevoli sono anche le conseguenze di altri tipi d'infrazioni elencate nella proposta di direttiva: la guida in stato di ebbrezza (25 %), il mancato uso della cintura di sicurezza (17 %) e il transito con semaforo rosso. |
2.2.7 |
La Commissione non si propone di armonizzare i codici della strada o le sanzioni pecuniarie, che rimangono di competenza dei singoli Stati membri. La proposta contempla unicamente disposizioni di carattere amministrativo per applicare in maniera efficace ed efficiente al di là delle frontiere le sanzioni previste per le principali infrazioni al codice della strada, in modo da conseguire entro il 2010 l'obiettivo previsto: ossia dimezzare il numero dei decessi causati da incidenti stradali. |
3. Osservazioni di carattere generale
3.1 |
Nel proprio parere sulla comunicazione della Commissione Programma d'azione europeo per la sicurezza stradale — Dimezzare il numero di vittime della strada nell'Unione europea entro il 2010: una responsabilità condivisa, CESE 1608/2003 (TEN/152) [COM(2003) 311 def.], adottato l'11 dicembre 2003, il Comitato aveva espresso perplessità circa gli obiettivi, a suo avviso ambiziosi, della Commissione. E in effetti risultano ora necessarie misure integrative per conseguire gli obiettivi previsti. |
3.2 |
Il Comitato ritiene che l'intervento dell'Unione europea per l'applicazione transfrontaliera delle sanzioni previste in caso d'infrazione al codice della strada presenti evidenti vantaggi. Conviene con la Commissione sul fatto che occorre fare tutto il possibile per realizzare comunque l'obiettivo, stabilito nel 2001, consistente nel dimezzare entro il 2010 il numero dei decessi causati dagli incidenti stradali, e considera che la proposta di direttiva in esame offra una possibilità per compiere un notevole progresso nella direzione voluta, a condizione però che sia anche accompagnata da controlli e sanzioni effettivi ed efficaci. Il Comitato fa pertanto appello anche al Consiglio e agli Stati membri affinché potenzino questi controlli e sanzioni, ciascuno in funzione delle competenze e della situazione rispettive. |
3.3 |
Il metodo proposto dalla Commissione appare semplice: una rete per lo scambio telematico dei dati, le cui modalità dovranno essere precisate, consentirà agli Stati membri di applicare sanzioni agli automobilisti di altri Stati membri che abbiano commesso infrazioni sul loro territorio. Non è ancora chiaro quale tipo di rete e quali metodi la Commissione si proponga di adottare. |
3.4 |
Nell'articolo 4 della proposta di direttiva la Commissione precisa che lo scambio delle informazioni dovrà avvenire sollecitamente, tramite una rete telematica europea da istituire entro 12 mesi. In un altro punto del documento, sempre riguardo allo scambio d'informazioni, è detto che verrà utilizzato un sistema d'informazione comunitario già esistente, il che permetterà anche di contenere i costi. La Commissione non chiarisce però quale sistema verrà utilizzato per lo scambio dei dati. Il Comitato conviene con la Commissione sul fatto che per risparmiare tempo e denaro la soluzione migliore sta nell'utilizzare un sistema informativo preesistente dell'Unione europea. |
3.5 |
In pratica il Comitato si riferisce ad un metodo come quello adottato nel contesto della decisione del Consiglio sul rafforzamento della cooperazione transfrontaliera, soprattutto nella lotta al terrorismo e alla criminalità transfrontaliera, che prevede l'uso della tecnologia Eucaris (sistema europeo d'informazione sui veicoli e le patenti di guida). È il sistema attualmente utilizzato da 18 Stati membri, che verrà adottato da tutti e 27 gli Stati membri quando la decisione del Consiglio entrerà in vigore. Esso comporta costi decisamente contenuti rispetto a quelli di altre reti. |
3.6 |
Il Comitato consiglia alla Commissione di far compiere almeno uno studio di fattibilità per tutti i sistemi esistenti, incluso l'Eucaris, allo scopo di esaminare se sia possibile ampliarli, includendovi lo scambio di dati proposto. |
3.7 |
Il Comitato giudica positivamente la proposta della Commissione di limitarsi a decidere una base giuridica per lo scambio di dati sull'immatricolazione dei veicoli, in modo da compiere la scelta più appropriata, lasciando che siano poi gli Stati membri a determinare l'iter da seguire. Ciò è in linea con il principio di sussidiarietà. |
3.8 |
Il Comitato fa tuttavia presente che l'applicazione delle normative sarebbe più efficace se nell'Unione europea venissero conclusi accordi per introdurre, a livello nazionale, disposizioni e controlli armonizzati, ad esempio in materia di limiti di velocità, tassi di alcolemia consentiti, politica sanzionatoria, ecc. Sarebbe in effetti opportuno che il Consiglio arrivi infine a dei risultati su questo fronte. |
4. Osservazioni specifiche
4.1 |
Alla luce dell'obiettivo ricercato, ossia dimezzare il numero di decessi provocati da incidenti stradali tra il 2001 e il 2010, e tenuto conto delle statistiche intermedie, riferite alla fine del 2007, che evidenziano l'impossibilità di realizzare il suddetto obiettivo senza misure integrative, il Comitato ritiene che la cooperazione transfrontaliera proposta dalla Commissione per i seguenti tipi d'infrazione:
costituisca un passo nella buona direzione, visto che, stando ai dati a disposizione della Commissione, ciò permetterebbe di risparmiare ogni anno 200-250 vite umane. |
4.2 |
Il Comitato giudica necessario che all'articolo 1 della proposta di direttiva la Commissione aggiunga altri tipi d'infrazioni da perseguire al di là delle frontiere: ad esempio uso del telefono cellulare senza auricolare durante la guida, gli stili di guida aggressivi, la violazione del divieto di sorpasso, la guida nei sensi vietati e la guida sotto l'effetto di stupefacenti. Come già aveva osservato nel parere in merito alla comunicazione della Commissione Programma d'azione europeo per la sicurezza stradale — Dimezzare il numero di vittime della strada nell'Unione europea entro il 2010: una responsabilità condivisa, il Comitato giudica necessario fare tutto il possibile per realizzare questo obiettivo. |
4.3 |
Circa le sanzioni per le infrazioni, il Comitato auspica che si contemplino anche soluzioni come la patente a punti, il sequestro del veicolo e il ritiro temporaneo della patente, eventualmente combinate a sanzioni pecuniarie. |
4.4 |
Il Comitato approva la proposta, contenuta all'articolo 6 del documento della Commissione, secondo cui ciascuno Stato membro nomina un'autorità centrale incaricata di coordinare l'applicazione della direttiva. |
4.5 |
Sotto il profilo del principio di sussidiarietà il Comitato non ritiene tuttavia opportuno che all'articolo 5 della proposta della direttiva la Commissione prescriva un modello per la notifica delle infrazioni. Ciò che conta, infatti, è il contenuto, e non già la forma. A giudizio del Comitato la Commissione deve limitarsi a definire accuratamente i dati da fornire. |
4.6 |
Nell'articolo 8 della proposta di direttiva la Commissione prevede di farsi assistere da un comitato per l'applicazione della normativa in materia di sicurezza stradale, e il Comitato approva la procedura di comitato proposta. |
Bruxelles, 17 settembre 2008.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
31.3.2009 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 77/73 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema I negoziati internazionali sul cambiamento climatico
(2009/C 77/19)
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 e 17 gennaio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:
I negoziati internazionali sul cambiamento climatico.
La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente (Osservatorio dello sviluppo sostenibile), incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 settembre 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore OSBORN.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 130 voti favorevoli, 3 voti contrari e 3 astensioni.
1. Sintesi e raccomandazioni
1.1 |
Il cambiamento climatico rappresenta una delle sfide maggiori che il mondo si trova ad affrontare nel XXI secolo. Per evitare cambiamenti catastrofici, bisognerà che entro la metà del secolo le emissioni mondiali complessive di gas a effetto serra diminuiscano in misura sostanziale e che le emissioni dei paesi industrializzati siano ridotte del 60-80 % rispetto ai livelli del 1990. |
1.2 |
I negoziati internazionali sul cambiamento climatico avviati a Bali nel dicembre 2007 rivestono un'importanza cruciale, in quanto influiranno in maniera decisiva sulla portata dell'azione globale da intraprendere da qui al 2020. È fondamentale che alla conferenza di Copenaghen, che si svolgerà nel 2009, questi negoziati abbiano un esito positivo. |
1.3 |
L'Unione europea si è prefissa un obiettivo vincolante, impegnandosi a ridurre entro il 2020 le emissioni di gas a effetto serra del 20 % rispetto ai livelli del 1990. Inoltre ha posto sul tavolo dei negoziati l'offerta di realizzare una riduzione maggiore, pari al 30 % rispetto ai livelli del 1990, se altri paesi sottoscriveranno un impegno analogo. La Commissione poi, nel quadro del pacchetto energia del 23 gennaio 2008, ha formulato proposte su come si potranno raggiungere i suddetti obiettivi di riduzione del 20-30 %. |
1.4 |
Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) appoggia vigorosamente l'iniziativa assunta dall'UE nei negoziati, e in particolare l'impegno unilaterale a ridurre le emissioni del 20 % entro il 2020 per far avanzare i negoziati. |
1.5 |
Ritiene tuttavia che la sfida posta dal cambiamento climatico sia tanto grave da richiedere che si faccia tutto il possibile per andare oltre. L'UE dovrebbe puntare alla riduzione del 30 % che ha offerto di realizzare, a determinate condizioni, entro il 2020, cercando, nel quadro dei negoziati, di indurre altri paesi industrializzati a sottoscrivere impegni analoghi e di ottenere impegni significativi da parte delle economie emergenti, le cui emissioni sono in rapido aumento. |
1.6 |
Per esercitare la massima influenza sui negoziati, l'UE deve essere in grado di dimostrare la sua credibilità tenendo fede agli impegni assunti. A questo fine, essa dovrà dotarsi entro la fine del 2008 di un pacchetto di misure concrete per conseguire la riduzione del 20 %. |
1.7 |
Il CESE ritiene che, per conseguire una riduzione del 30 % entro il 2020 — cosa che, a suo giudizio, è il vero obiettivo — occorrerà probabilmente adottare un ulteriore insieme di provvedimenti a livello nazionale ed europeo. Esorta quindi a intervenire quanto prima per adottare una seconda tranche di misure che consenta di ottenere quest'ulteriore riduzione. |
1.8 |
Il CESE attende con impazienza le prossime proposte della Commissione sull'adeguamento al cambiamento climatico e raccomanda l'adozione di strategie nazionali di adeguamento complementari per ciascuno Stato membro. |
1.9 |
Raccomanda inoltre di sviluppare nuove iniziative per sostenere il rafforzamento delle capacità e il trasferimento di tecnologia nel settore della mitigazione e dell'adeguamento ai cambiamenti climatici. |
1.10 |
Per rispondere adeguatamente ai cambiamenti climatici saranno necessarie profonde trasformazioni nell'economia mondiale e nei flussi degli investimenti e di altre risorse. Il CESE raccomanda di esaminare più approfonditamente quale sia l'entità delle risorse richieste e quale complesso di strumenti, pubblici e privati, sia necessario per gestire tali flussi. È dell'avviso che l'entità dello sforzo e la leadership richiesta siano paragonabili alle risorse mobilitate per la creazione del Piano Marshall per la ricostruzione dell'Europa al termine della Seconda guerra mondiale. In questo contesto, l'UE dovrebbe svolgere un ruolo centrale nella promozione del piano necessario. |
1.11 |
Più specificamente, occorreranno finanziamenti per assistere i paesi in via di sviluppo nell'adozione delle misure di mitigazione e di adeguamento. Una fonte di finanziamenti poterebbe essere l'estensione del meccanismo di sviluppo pulito (Clean Development Mechanism — CDM), ma occorre precisarne i criteri e l'attuazione. L'Europa potrebbe fornire parte delle risorse aggiuntive necessarie tramite la vendita all'asta dei permessi di scambio delle quote di emissione. |
1.12 |
È necessaria la mobilitazione degli organismi pubblici di ogni tipo e livello, dei consumatori e dei cittadini in generale. |
1.13 |
L'UE stessa ha un ruolo centrale da svolgere nel guidare e orchestrare questa grande trasformazione. Il CESE esorta tutte le istituzioni comunitarie a svolgere pienamente il ruolo che compete loro nel conseguimento degli obiettivi dell'UE in materia di cambiamento climatico. Dal canto suo, esso farà quanto in suo potere per contribuire a mobilitare la società civile in questa grande impresa comune. |
1.14 |
I parametri dell'accordo mondiale che scaturirà dai negoziati internazionali dei prossimi diciotto mesi devono essere stabiliti al più presto possibile, in modo che lo sforzo politico possa poi concentrarsi sulla comunicazione della sfida e sull'ottenimento di sostegno, fiducia e impegno da parte di tutti i settori della società a livello globale: solo così sarà possibile realizzare i grandi cambiamenti che si renderanno necessari. Un siffatto accordo non può essere negoziato a porte chiuse: tutti i settori della società devono essere coinvolti. Le misure di abbattimento devono dimostrarsi realistiche, economicamente e socialmente sane e realizzabili nei termini proposti. |
2. Contesto
2.1 |
Il cambiamento climatico rappresenta una delle sfide maggiori cui è confrontato il mondo nel XXI secolo. Il quarto rapporto di valutazione del gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC), pubblicato nel dicembre 2007, documenta i cambiamenti già intervenuti a seguito dell'enorme incremento delle emissioni di gas a effetto serra prodotte dall'uomo negli ultimi due secoli, nonché gli ulteriori, allarmanti cambiamenti che si verificheranno se non si interverrà con urgenza nei prossimi anni per limitare le emissioni mondiali. L'IPCC ha sottolineato la necessità di contenere l'aumento della temperatura media mondiale entro i 2 °C rispetto ai livelli preindustriali, se si vogliono evitare conseguenze catastrofiche. Per conseguire questo obiettivo, bisognerà che entro la metà del secolo le emissioni mondiali di gas a effetto serra diminuiscano in misura sostanziale e che le emissioni dei paesi industrializzati siano ridotte del 60-80 % rispetto ai livelli del 1990. |
2.2 |
Negli ultimi vent'anni, la comunità internazionale ha cercato di concordare un intervento collettivo per limitare le emissioni dei gas a effetto serra. Nel 1992 è stata adottata a Rio la Convenzione quadro sui cambiamenti climatici, successivamente rafforzata con l'adozione, nel 1997, del Protocollo di Kyoto, con cui i paesi firmatari si impegnano a compiere sforzi specifici per ridurre le emissioni entro il 2012. Tuttavia, viene generalmente riconosciuto che questi accordi e azioni sono soltanto il punto di partenza e che negli anni a venire occorrerà adottare azioni molto più incisive e complete per conseguire l'obiettivo fissato per la metà del secolo. I negoziati internazionali sul cambiamento climatico avviati a Bali nel dicembre 2007 rivestono quindi un'importanza cruciale, in quanto influiranno in maniera decisiva sulla portata dell'azione globale da intraprendere da qui al 2020. È fondamentale che alla conferenza di Copenaghen, che si svolgerà nel 2009, questi negoziati abbiano un esito positivo. |
2.3 |
Obiettivi per il 2020. La Road Map di Bali fa riferimento a un capitolo del quarto rapporto di valutazione dell'IPCC, nel quale si dimostra che, per conseguire l'obiettivo a lungo termine di limitare il riscaldamento globale a 2 gradi al di sopra dei livelli preindustriali, sarà necessario ridurre le emissioni dei paesi industrializzati del 25-40 % rispetto al 1990 entro il 2020. |
2.4 |
Chiaramente saranno i paesi sviluppati a dover procedere alla riduzione più drastica, in termini assoluti, delle loro emissioni, visto che, a livello pro capite, essi sono stati e sono tuttora i primi artefici del cambiamento climatico. L'Europa deve fare la sua parte. Gli USA dal canto loro devono riallinearsi alla strategia internazionale e sottoscrivere seri impegni di riduzione. Anche la Russia dovrà contribuire, accettando obiettivi più realistici rispetto a quelli di Kyoto. |
2.5 |
L'UE sta svolgendo un ruolo di primo piano in tali negoziati. Il Consiglio ha adottato una prospettiva a lungo termine che prevede una riduzione delle emissioni dei paesi industrializzati del 60-80 % entro il 2050. Come misura transitoria verso il conseguimento di tale obiettivo a lungo termine, l'UE si è data l'obiettivo vincolante di ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 20 % rispetto ai livelli del 1990 entro il 2020 e ha messo sul tavolo dei negoziati un'offerta di riduzione del 30 % se altri paesi sottoscriveranno un impegno analogo. Nel quadro del pacchetto energetico del 23 gennaio 2008, la Commissione ha poi varato una serie di proposte che indicano come conseguire gli obiettivi di riduzione del 20-30 %. |
2.6 |
Diventa inoltre importante che i paesi in via di sviluppo sottoscrivano da parte loro seri impegni per contribuire a limitare i cambiamenti climatici. Le grandi economie emergenti di Cina, India, Brasile e alcuni altri paesi sono già o stanno rapidamente diventando a loro volta importanti fonti di emissioni di gas a effetto serra e sarà importante che gestiscano le loro economie in modo tale da ridimensionare drasticamente il tasso di incremento delle loro emissioni, portandolo a livelli molto inferiori a quelli che raggiungerebbe in uno scenario che non tenesse conto della grave situazione esistente. |
2.7 |
L'accordo mondiale cui puntano i negoziatori prevede sostanzialmente che i paesi industrializzati si impegnino ad adottare obiettivi e misure impegnative di riduzione delle proprie emissioni e che essi offrano ai paesi in via di sviluppo assistenza finanziaria e tecnologica in cambio dell'impegno, da parte di questi ultimi, a gestire la loro crescita e il loro sviluppo in modo tale da limitare per quanto possibile l'aumento delle emissioni di gas a effetto serra. |
3. Osservazioni generali
3.1 |
Da parte sua il CESE ha seguito fin dall'inizio sia l'andamento generale dei negoziati che il pacchetto di misure proposto dalla Commissione per consentire all'UE di tenere fede agli impegni assunti. Per seguire direttamente i negoziati, esso ha inviato piccole delegazioni, in rappresentanza della società civile europea, nell'ambito delle delegazioni UE, prima alla Conferenza dei firmatari della Convenzione a Bali e successivamente all'incontro intersessionale svoltosi a Bonn. Il CESE si avvale inoltre dei suoi contatti con le organizzazioni e raggruppamenti della società civile in paesi importanti per esaminare più in profondità le posizioni che questi assumono e il ruolo che può svolgere la società civile nel promuovere il raggiungimento di un accordo e la sua attuazione. |
3.2 |
Il CESE ha all'esame i diversi elementi del pacchetto della Commissione sul clima e l'energia in una serie di pareri distinti che vengono sintetizzati e citati come riferimento nel presente parere d'iniziativa. In questo parere, che intende tracciare una panoramica globale, il CESE esamina lo stato di avanzamento e le prospettive dei negoziati in generale e il ruolo che vi svolge l'Europa. Dopo la sua adozione il CESE intende organizzare una serie di eventi parallelamente alle riunioni negoziali in programma a Poznan nel dicembre 2008 e a Copenaghen nel dicembre 2009 per aiutare la società civile a rispondere e a rapportarsi ai negoziati in corso. |
3.3 |
La Road Map dei negoziati concordata a Bali individua quattro pilastri principali per lo svolgimento dei negoziati:
|
3.4 |
Le osservazioni contenute nel presente parere sono strutturate intorno a questi quattro pilastri. |
4. Migliore mitigazione dei cambiamenti climatici attraverso la limitazione o la riduzione delle emissioni (pilastro 1)
4.1 |
Obiettivi. Il CESE concorda con l'IPCC nel ritenere che una riduzione delle emissioni dei paesi industrializzati dell'ordine del 25-40 % rispetto ai livelli del 1990 sia un obiettivo adeguato da stabilire per il 2020. Oggi sarebbe probabilmente impossibile realizzare riduzioni maggiori entro tale termine. |
4.2 |
Il CESE sostiene vigorosamente l'iniziativa assunta dall'UE nei negoziati. Apprezza la leadership dimostrata dall'UE nell'impegnarsi unilateralmente a ridurre le proprie emissioni del 20 % entro il 2020 per far avanzare i negoziati. Ritiene tuttavia che la gravità della sfida dei cambiamenti climatici sia tale da richiedere che si faccia il possibile per realizzare la riduzione del 30 % proposta dall'UE, a determinate condizioni, per il 2020, cercando nei negoziati di indurre altri paesi industrializzati a sottoscrivere impegni analoghi e di ottenere impegni significativi da parte delle economie emergenti, le cui emissioni sono in rapido aumento. |
4.3 |
Se l'unico frutto dei negoziati sarà l'impegno ad una riduzione del 20 % da parte dell'UE e un impegno altrettanto modesto da parte degli altri paesi, a giudizio del CESE essi saranno da considerarsi un grave fallimento. |
4.4 |
Attuazione. Per l'UE, gli interventi proposti dalla Commissione nel pacchetto sul clima e l'energia costituiscono un piano di attuazione molto positivo e costruttivo per consentire all'Europa di tenere fede al suo impegno di ridurre le emissioni del 20 % entro il 2020. Il CESE ha elaborato pareri distinti per ciascun elemento del piano. In sintesi, esso li appoggia ferme restando le osservazioni seguenti:
|
4.5 |
L'Unione europea ha riposto grande fiducia nel sistema di tetti e scambio delle quote di emissione, investendo un grande capitale politico nel fare di tale sistema uno strumento essenziale per garantire le necessarie riduzioni. Il sistema europeo di scambio delle quote di emissione (ETS) è già diventato il più grande al mondo, ed è destinato a svilupparsi ulteriormente dopo il 2012. In un primo tempo esso ha avuto un impatto limitato sulle emissioni in Europa, in quanto la generosità dei tetti e delle assegnazioni iniziali ha fatto sì che il prezzo del carbonio fosse molto basso. L'adozione di limiti più severi ha fatto aumentare il prezzo del carbonio: tale limitazione, unita ad altri fattori che determinano il rincaro dei combustibili fossili, eserciterà probabilmente un maggiore impatto sulla produzione energetica europea e sulle altre industrie. |
4.6 |
In generale il CESE ritiene che il rafforzamento del sistema di scambio delle quote di emissione influirà positivamente sulle imprese e l'occupazione europea, incoraggiando il rapido sviluppo di processi e prodotti energeticamente più efficienti e a basso tenore di carbonio che domineranno il mercato futuro. In questo modo non solo si creeranno nuovi posti di lavoro, ma si ridurrà anche la dipendenza dell'UE dalle importazioni, rafforzandone la sicurezza energetica. |
4.7 |
Se fin qui l'UE è stata la prima a mobilitarsi in questo settore, ora l'obiettivo fondamentale è incoraggiare lo sviluppo di sistemi di scambio negli USA e in altri paesi, e collegare tutti questi sistemi in un mercato globale comune del carbonio. Lo sviluppo di un mercato del carbonio veramente mondiale potrebbe svolgere un ruolo di primo piano nel garantire una riduzione delle emissioni in tutto il mondo nel modo più efficiente ed economicamente razionale. Il CESE appoggia vivamente l'iniziativa Partenariato di azione internazionale sul carbonio (International Carbon Action Partnership — ICAP), intesa a consentire che i vari sistemi di scambio delle quote di emissione che vanno emergendo in diverse parti del mondo possano evolversi in maniera armonica per confluire verso un mercato unico mondiale. Lo sviluppo di un mercato internazionale del carbonio all'interno di un sistema mondiale di limitazione delle emissioni dovrebbe rappresentare un rischio minore, per la posizione competitiva dell'Europa, rispetto a un sistema limitato alla sola UE. |
4.8 |
Potrebbe inoltre essere utile stabilire accordi internazionali di tipo settoriale, che definiscano piani e strategie più dettagliati per garantire la progressiva riduzione delle emissioni dei principali settori interessati e dei loro prodotti. Questo tipo di accordi va visto tuttavia come una forma di supporto all'attuazione di obiettivi nazionali rigorosi concordati a livello internazionale, non come un'alternativa all'adozione di obiettivi nazionali vincolanti. La storia degli ultimi vent'anni dimostra infatti che in questo campo gli accordi settoriali di tipo volontario producono scarsi risultati, che i loro effetti sono tardivi e che è impossibile applicarli in maniera efficace. |
4.9 |
Per quanto riguarda i trasporti, il CESE ribadisce la convinzione che una strategia di sviluppo sostenibile di lungo periodo debba partire da una rivalutazione fondamentale dei fattori trainanti della domanda di trasporto e riesaminare come le politiche in materia di pianificazione territoriale, infrastrutture e trasporti pubblici possano, nel corso del tempo, arrestare la crescita sfrenata della domanda di trasporto e alla lunga anche ridurla. La pianificazione non deve basarsi sul presupposto che l'aumento del traffico sia inevitabile e che il solo modo di limitare le emissioni dei trasporti sia migliorare le caratteristiche tecniche del carburante e la progettazione dei motori, per quanto importanti siano questi aspetti. |
4.10 |
Quanto alle misure tecniche, il CESE ritiene necessario introdurre obiettivi rigorosi in materia di emissioni degli autoveicoli non solo a breve termine (120 grammi di CO2 al chilometro entro il 2012-2015), ma anche a medio termine, in modo da procedere ad una riduzione molto più drastica entro il 2020 (6). Nel contempo sarebbe opportuno dare maggiore impulso allo sviluppo e alla rapida introduzione di veicoli alimentati elettricamente o a idrogeno, che non producono emissioni di carbonio. |
4.11 |
Il CESE è meno ottimista della Commissione quanto alla possibilità di raggiungere l'obiettivo del 10 % per i biocarburanti nel settore dei trasporti. Visti i problemi legati alla produzione della maggior parte dei biocarburanti (potenziale di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra), e visto l'impatto ambientale e sociale di questa produzione, sarà necessario adottare criteri di sostenibilità più rigorosi rispetto a quelli proposti dalla Commissione, in modo da garantire che i biocarburanti siano introdotti soltanto laddove esercitano un impatto reale e significativo nel ridurre le emissioni nette di carbonio e che non si traducano in pressioni inaccettabili sui terreni agricoli e la produzione alimentare. Inoltre, allo stato attuale, le considerazioni economiche indicano chiaramente che è molto più conveniente (perlomeno per ora e nel prossimo futuro) usare la biomassa per produrre elettricità o calore che usarla sotto forma di combustibile. |
4.12 |
Misure aggiuntive per conseguire l'obiettivo del 30 %. Il CESE ritiene che se il pacchetto sarà adottato entro la fine del 2008 e l'attuazione avviata tempestivamente nel 2009, l'UE avrà buone possibilità di raggiungere l'obiettivo di riduzione del 20 % entro il 2020. |
4.13 |
Dubita, tuttavia, che sia possibile realizzare l'obiettivo di riduzione del 30 % entro il 2020 semplicemente adottando traguardi più ambiziosi per i singoli elementi del pacchetto e aumentando il ricorso ai crediti del CDM, come suggerito dalla Commissione. Esso ritiene che per conseguire questi obiettivi più ambiziosi sarà probabilmente necessaria una gamma più ampia e completa di misure sia a livello dell'UE che degli Stati membri. |
4.14 |
A livello europeo, il CESE ritiene che, fra gli elementi aggiuntivi di un secondo pacchetto di misure, andrebbero considerati i seguenti:
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4.15 |
A livello nazionale, il CESE reputa che, per conseguire obiettivi individuali più ambiziosi nel quadro di un accordo di condivisione degli oneri, gli Stati membri e i loro leader politici dovranno adoperarsi molto più attivamente per far sì che il pubblico, le imprese, i sindacati e altre organizzazioni della società civile si uniscano in partenariato e partecipino al necessario sforzo comune.
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4.16 |
Per migliorare la credibilità dell'UE a livello internazionale, è estremamente importante che ogni singolo Stato membro faccia tutto il possibile per garantire non solo che sarà rispettato l'obiettivo generale di Kyoto per l'UE-15, ma che entro il 2012 saranno raggiunti anche gli obiettivi individuali di Kyoto. La comunicazione della Commissione Progressi verso il conseguimento degli obiettivi di Kyoto (7) afferma che soltanto tre Stati membri dell'UE-15 «sono sulla buona strada per conseguire il loro obiettivo nel 2010 ricorrendo unicamente alle politiche e alle misure nazionali già in vigore», e che soltanto altri otto «dovrebbero raggiungere i rispettivi obiettivi se si terrà conto degli effetti dei meccanismi di Kyoto, dei pozzi di assorbimento del carbonio e delle politiche e misure supplementari, che sono già in corso di discussione al loro interno». Per tre Stati membri raggiungere gli obiettivi di Kyoto sembra impossibile. Inoltre, l'ampio ricorso ai crediti dei meccanismi flessibili previsti dal protocollo di Kyoto, soprattutto il CDM, dimostra che in molti Stati membri rimane ancora molta strada da fare per operare la necessaria trasformazione verso una società a basse emissioni di carbonio. |
5. Adattamento ai cambiamenti climatici (pilastro 2)
5.1 |
Anche adottando un'azione efficace per ridurre le emissioni globali in futuro, con ogni probabilità il riscaldamento globale aumenterà ulteriormente nei prossimi decenni a causa delle emissioni già prodotte. Il CESE ha già adottato un parere in risposta al Libro verde della Commissione sull'adattamento ai cambiamenti climatici (8). In sintesi, esso ritiene che l'UE debba stabilire una strategia globale per gestire l'adeguamento al cambiamento climatico nell'UE, all'interno della quale ciascuno Stato membro dovrebbe elaborare piani nazionali di adeguamento più precisi. All'adattamento andrebbe inoltre data maggiore priorità nella ricerca, nelle analisi, nei bilanci, nei programmi di investimento e in altre misure. Il CESE si augura che nel Libro bianco sull'adattamento al cambiamento climatico, previsto per l'autunno del 2008, la Commissione proponga misure dettagliate per progredire su questo fronte. |
5.2 |
Al di fuori dell'UE, molte regioni del mondo in via di sviluppo, già fortemente colpite dal cambiamento climatico e destinate a esserlo ancor più in futuro, dispongono di meno risorse per fronteggiarlo. L'UE e gli altri paesi OCSE dovranno quindi porsi come priorità l'incremento dell'assistenza finanziaria e di altro tipo alle regioni del mondo particolarmente vulnerabili, e aiutarle a far fronte a questo problema. Le considerazioni legate al cambiamento climatico devono essere integrate in tutte le politiche di sviluppo. |
5.3 |
Sarà poi necessario un forte impegno per sostenere la gestione sostenibile delle foreste nel mondo in via di sviluppo e limitare le pressioni commerciali, che continuano a provocare una deforestazione su vasta scala in molte parti dei sistemi climatici mondiali. Il CESE ha in preparazione un parere specifico sul cambiamento climatico e la gestione delle risorse forestali. |
6. Azione in ambito di sviluppo e trasferimento di tecnologie (pilastro 3)
6.1 |
Affinché la transizione verso un'economia con minori emissioni di carbonio abbia successo, il mondo dovrà operare una nuova rivoluzione industriale. Sarà necessario un passaggio netto a forme più pulite di produzione energetica e a nuove tecnologie per catturare le emissioni di carbonio e altri gas a effetto serra, nonché una spinta continua per far sì che i modelli di produzione e di consumo diventino più efficienti e meno dispendiosi di energia. Ciò richiederà una forte intensificazione dei programmi di ricerca in materia da parte del settore pubblico e di quello privato, nonché la creazione di programmi di investimento di ampia portata intesi a riattrezzare l'industria e a trasformare i prodotti e i servizi. Molte delle tecnologie necessarie esistono già, ma occorre diffonderne maggiormente l'applicazione. |
6.2 |
Nell'UE ciò richiederà spostamenti radicali nei programmi di spesa comunitari e nazionali per sostenere la ricerca, lo sviluppo e gli investimenti nel settore. Bisognerà inoltre fornire incentivi fiscali e di altro tipo alle imprese e ad altri attori affinché realizzino gli investimenti richiesti. |
6.3 |
Sarà necessario individuare i tipi di tecnologia e di servizi più adatti ad aiutare le economie emergenti e i paesi in via di sviluppo a gestire il loro sviluppo nel modo più sostenibile e con le minori emissioni di carbonio possibili, nonché a realizzare la transizione in maniera adeguata. Una volta individuate nuove tecnologie che possono rivelarsi particolarmente utili per questi paesi, aiutandoli ad adattarsi al cambiamento climatico o ad attenuare l'impatto ambientale del loro futuro sviluppo, sarà opportuno trovare il modo di introdurle rapidamente, diffusamente e a costi accessibili. Si deve sottolineare che talvolta sono proprio le economie emergenti a lanciare o promuovere alcune delle nuove tecnologie necessarie. Il trasferimento di tecnologie non dovrebbe essere considerato esclusivamente come un percorso a senso unico dal Nord verso il Sud, ma anche come uno strumento inteso ad agevolare la rapida diffusione delle tecnologie più importanti in tutto il mondo, a prescindere dalla loro provenienza. |
6.4 |
Il CESE esorta l'UE a esaminare con urgenza, insieme ai suoi partner, come mettere rapidamente a disposizione dei paesi in via di sviluppo le tecnologie più avanzate ed efficaci in termini di emissioni di carbonio a prezzi accessibili, in particolare le tecnologie riguardanti la produzione di energia elettrica, le industrie ad alta intensità energetica, i trasporti e, quando questa tecnologia sarà disponibile, il sequestro del carbonio. I paesi che verosimilmente continueranno a dipendere fortemente dal carbone per la produzione di energia elettrica dovranno essere messi in condizione di utilizzare le più recenti tecnologie del carbone pulito e di introdurre la tecnologia di sequestro del carbonio non appena sarà disponibile. |
6.5 |
Tale assistenza nel trasferimento tecnologico dovrebbe consentire ai paesi in via di sviluppo interessati di gestire il proprio sviluppo in modo tale da produrre meno emissioni di carbonio di quanto avverrebbe altrimenti e potrebbe essere ragionevole subordinarne in parte la concessione a un adeguato impegno, da parte di questi paesi, ad attivarsi anche autonomamente per limitare il potenziale aumento delle loro emissioni. |
6.6 |
Parallelamente ai negoziati sul clima, l'UE e gli USA dovrebbero intraprendere una nuova iniziativa per liberalizzare gli scambi di beni e servizi rispettosi del clima nel quadro dell'OMC. Questa iniziativa dovrebbe essere strutturata in modo tale da consentire a tutti — paesi sviluppati, paesi in via di sviluppo ed economie emergenti — di trarre vantaggi dalla liberalizzazione, ad esempio promuovendo (l'ulteriore) sviluppo delle tecnologie e dei servizi ambientali nei paesi in via di sviluppo. |
7. Aumento dei finanziamenti e degli investimenti per sostenere la mitigazione e l'adeguamento (pilastro 4)
7.1 |
I paesi in via di sviluppo necessiteranno di aiuti su vasta scala da parte del mondo sviluppato per essere in grado di fare la propria parte nel fronteggiare le sfide del cambiamento climatico, senza compromettere i loro obiettivi di sviluppo. Sarà particolarmente importante garantire che in futuro il loro progresso sia quanto più possibile a bassa intensità di carbonio e non riproduca lo schema di un'eccessiva dipendenza dalla produzione ad alta intensità di carbonio che ha caratterizzato (negativamente) lo sviluppo del Nord. |
7.2 |
I paesi in via di sviluppo più colpiti dal cambiamento climatico e meno dotati di risorse per gestire l'adeguamento necessiteranno inoltre di un'assistenza supplementare. Avranno bisogno di programmi più avanzati per la protezione delle coste, la prevenzione delle inondazioni, l'alleviamento delle siccità, la riconversione dei terreni agricoli, le misure in materia di salute pubblica e di altro tipo. |
7.3 |
Il CESE si compiace del fatto che a Bali tutti i paesi abbiano riconosciuto che per gestire questo trasferimento saranno necessarie nuove risorse, investimenti e meccanismi. Tuttavia, salvo qualche onorevole eccezione, in passato il mondo sviluppato non ha dimostrato di saper tenere fede alla promessa di fornire risorse aggiuntive per gli obiettivi dello sviluppo sostenibile. Questa volta è essenziale per l'intero pianeta che tali risorse aggiuntive vengano veramente mobilitate e impegnate. |
7.4 |
Il CESE ha preso atto delle stime della convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) e di altre organizzazioni, secondo le quali quando i programmi saranno pienamente operativi, ogni anno dovranno essere erogate dal settore pubblico e privato insieme risorse pari a centinaia di miliardi di dollari. In ogni caso, raccomanda che l'UNFCCC, la Commissione e/o l'OCSE e le istituzioni finanziarie internazionali intervengano con urgenza per quantificare con maggiore precisione il fabbisogno, garantire che vengano assunti gli impegni necessari per ottenere un finanziamento adeguato e fare in modo che i programmi intrapresi esercitino un impatto decisivo sul problema mondiale del cambiamento climatico. Una nuova fonte di finanziamento potrebbero essere i proventi della messa all'asta delle assegnazioni, nelle fasi future del meccanismo di scambio delle quote di carbonio, proventi che rischiano tuttavia di essere insufficienti, da soli, rispetto ai compiti da realizzare. |
7.5 |
Il CDM ha avuto un discreto successo nel convogliare nuove risorse verso opportuni investimenti nei paesi che non figurano nell'allegato I. La distribuzione dei progetti però è stata fortemente deviata verso la Cina e altre economie emergenti, e sono stati manifestati forti dubbi circa l'addizionalità e la qualità di molti dei progetti. Affinché il meccanismo possa contribuire adeguatamente a garantire una reale riduzione delle emissioni di carbonio nel modo più efficiente possibile, è essenziale che i criteri di accettazione dei progetti vengano adeguatamente applicati e monitorati. |
7.6 |
Il CESE raccomanda che l'UE e gli altri soggetti interessati studino quanto prima come eliminare le lacune di questo meccanismo per il prossimo periodo, e come rendere pienamente operativo il programma. In futuro il CDM dovrebbe dare priorità ai progetti che contribuiscono in maniera significativa non soltanto a ridurre le emissioni, ma anche a favorire la transizione verso economie con bassi livelli di emissioni di carbonio. Nelle economie emergenti in particolare non sembra utile continuare a finanziare semplici progetti di efficienza energetica («low hanging fruits»), che verrebbero comunque realizzati dai paesi in questione. Per questi ultimi un'opzione valida potrebbe essere l'adozione di «CDM settoriali», eventualmente uniti a obiettivi di tipo «no-lose» (9). |
7.7 |
In tutto il mondo sarà essenziale che il settore privato investa massicciamente in una produzione a più bassa intensità di carbonio. Le misure prese dall'UE e dai governi nazionali dovranno soprattutto essere intese a incentivare il settore privato a realizzare tali investimenti. |
7.8 |
I costi e gli investimenti necessari saranno dell'ordine di migliaia di miliardi di dollari nei prossimi cinquant'anni: si tratta di grandi somme. Tali investimenti stanno tuttavia già diventando necessari con il diminuire degli approvvigionamenti mondiali di combustibili fossili e il conseguente aumento dei prezzi di questi ultimi. Al di là dei cambiamenti climatici diventa quindi sempre più importante, da un punto di vista economico, diversificare l'approvvigionamento energetico riducendo il ricorso ai combustibili fossili e utilizzare le risorse rimanenti in modo più efficiente. Queste considerazioni valgono anche dal punto di vista della sicurezza, in quanto sia la scarsità dei combustibili fossili che i cambiamenti climatici già in atto costituiscono una potente fonte di instabilità e di conflitto in molte regioni del mondo. |
7.9 |
In questa prospettiva, la necessità di rispondere rapidamente alla minaccia dei cambiamenti climatici non rappresenta un onere aggiuntivo per l'economia mondiale, ma semplicemente un forte motivo in più per procedere tempestivamente a trasformazioni economiche e industriali comunque necessarie. Nel periodo in cui il prezzo del petrolio era di 60 dollari al barile, il rapporto Stern stimava che il costo delle misure necessarie nei cinquant'anni successivi per affrontare il cambiamento climatico avrebbe potuto essere pari all'1 % del PIL mondiale. Ora che il prezzo del barile ha superato i 100 dollari, investire nelle energie rinnovabili e nelle misure a favore dell'efficienza energetica appare economicamente molto più interessante. Analogamente, i costi netti aggiuntivi delle misure per affrontare i cambiamenti climatici saranno probabilmente molto più contenuti e per alcune applicazioni potrebbero anche essere negativi: ciò dimostra che un'azione efficace contro il cambiamento climatico rappresenterà di fatto un beneficio netto per l'economia mondiale negli anni a venire. |
7.10 |
Perciò, non bisogna pensare che rispondere in maniera adeguata ai cambiamenti climatici sia un oneroso obbligo che frenerà la crescita economica: si tratta piuttosto di un'opportunità per essere all'avanguardia nella prossima rivoluzione economica e industriale. L'UE ha svolto un ruolo guida nel dibattito politico sui cambiamenti climatici. Ma deve fare ancora di più per trasformare questa posizione politica d'avanguardia in un ambiente economico altrettanto attivo e vigoroso, in grado di incitare le imprese e le società europee a effettuare gli investimenti necessari per diventare leader mondiali e a vincere la sfida della competitività nell'economia a basse emissioni di carbonio del futuro. |
7.11 |
Alcuni osservatori hanno parlato della necessità di un nuovo Piano Marshall: il CESE condivide questa analogia, che dà un'idea della dimensione della sfida e degli sforzi che saranno necessari. Effettivamente, è necessaria una prospettiva della portata del Piano Marshall per unire i paesi di tutto il mondo di fronte a una minaccia mondiale comune, affidando ai paesi più ricchi e potenti il duplice compito di fungere da esempio e di aiutare gli altri quanto più generosamente possibile. |
7.12 |
È necessaria la mobilitazione degli organismi nazionali e pubblici di ogni tipo e livello, delle imprese di ogni genere, dei consumatori e dei cittadini in generale. |
8. Conclusioni
8.1 |
Il cambiamento climatico è già in atto, con gravi conseguenze in tutto il mondo. Nei prossimi anni, con l'aumentare delle concentrazioni di gas a effetto serra e il più rapido incremento delle temperature, è previsto un aggravamento dei problemi ad esso dovuti. La comunità internazionale deve intervenire urgentemente per stabilire e attuare obiettivi ambiziosi di riduzione delle emissioni entro il 2020, per poi passare a riduzioni più drastiche negli anni successivi. Quanto prima si potranno effettuare le riduzioni, tanto più esse saranno efficaci nel rallentare il tasso di aumento della temperatura mondiale. |
8.2 |
I paesi industrializzati hanno emissioni pro capite molto più elevate del resto del mondo: essi devono quindi adottare obiettivi più rigorosi e intraprendere azioni più severe per ridurle. L'Europa deve fare in modo di onorare gli impegni assunti per il 2012 e successivamente impegnarsi a effettuare una riduzione del 30 % entro il 2020 — il limite più alto del suo spettro. Per essere credibile in queste sue ambizioni, essa deve adottare un ulteriore pacchetto di misure solide e realistiche che le consentano di conseguire questi obiettivi, Deve inoltre pianificare fin d'ora le ulteriori riduzioni che si renderanno necessarie dopo il 2020. |
8.3 |
Anche i paesi in via di sviluppo devono essere coinvolti. Sarà necessario fare uno sforzo particolare per garantire che i settori delle economie emergenti a più elevato consumo energetico si dotino di metodi di produzione in grado di assicurare la massima efficienza energetica e di ridurre al minimo le emissioni di carbonio. Questi paesi avranno bisogno di un aiuto significativo e mirato da parte dei paesi sviluppati. |
8.4 |
I parametri dell'accordo mondiale che scaturirà dai negoziati internazionali dei prossimi diciotto mesi devono essere stabiliti al più presto possibile, in modo che lo sforzo politico possa poi concentrarsi sulla comunicazione della sfida e sull'ottenimento di sostegno, fiducia e impegno da parte di tutti i settori della società a livello globale: solo così sarà possibile realizzare i grandi cambiamenti che si renderanno necessari. Un siffatto accordo non può essere negoziato a porte chiuse: tutti i settori della società devono essere coinvolti. Le misure di abbattimento devono dimostrarsi realistiche, economicamente e socialmente sane e realizzabili nei termini proposti. |
8.5 |
La trasformazione globale necessaria è comparabile, come dimensione, alla rivoluzione industriale degli ultimi due secoli, grazie alla quale è stato possibile utilizzare l'energia contenuta nei combustibili fossili per aumentare fortemente la capacità produttiva e la produzione della società. Il mondo adesso ha bisogno di una seconda rivoluzione industriale, che sostituisca i combustibili fossili con altre forme di energia e ottimizzi l'efficienza energetica in modo da raggiungere livelli di produzione e crescita paragonabili, senza però gravare l'atmosfera con emissioni non sostenibili di gas a effetto serra. Ciò richiede investimenti massicci, adattamenti normativi appropriati e mirati, strumenti fiscali e altri strumenti economici, nonché significativi cambiamenti nel comportamento economico e nello stile di vita individuale. Ciascuno di noi dovrà comprendere la sfida ed impegnarsi nei cambiamenti che si imporranno. |
Bruxelles, 17 settembre 2008.
Il Presidente
del Comitato economico e sociale europeo
Dimitris DIMITRIADIS
(1) Si veda il parere del CESE 1201/2008, adottato il 9 luglio 2008.
(2) Si veda il parere del CESE 1202/2008, adottato il 9 luglio 2008.
(3) Si veda il parere del CESE 1511/08, adottato il 17 settembre 2008.
(4) Si veda il parere del CESE 1513/08, adottato il 17 settembre 2008.
(5) Si veda il parere del CESE 1203/2008, adottato il 9 luglio 2008.
(6) Si veda il parere del CESE 1500/08, adottato il 17 settembre 2008.
(7) COM(2007) 757 def.
(8) GU C 120 del 16.5.2008, pag. 38.
(9) Obiettivi «no-lose»: si tratta dell'impegno a ridurre le emissioni di un certo quantitativo, senza penalizzazioni nel caso in cui l'obiettivo non venga raggiunto, ma con la possibilità di vendere crediti se le riduzioni superano l'impegno assunto.
31.3.2009 |
IT |
Gazzetta ufficiale dell'Unione europea |
C 77/81 |
Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla fornitura di informazioni alimentari ai consumatori
COM(2008) 40 def. — 2008/0028 (COD)
(2009/C 77/20)
Il Consiglio, in data 10 marzo 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:
Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla fornitura di informazioni alimentari ai consumatori
La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 2 settembre 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore José María ESPUNY MOYANO.
Il Comitato economico e sociale europeo, in data 18 settembre 2008, nel corso della 447a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 77 voti favorevoli, 3 voti contrari e nessuna astensione.
1. Conclusioni e raccomandazioni
1.1 |
il CESE si rallegra per quest'iniziativa della Commissione, che servirà a facilitare la comprensione da parte del consumatore e comporterà una semplificazione legislativa. |
1.2 |
Il CESE fa tuttavia osservare che l'informazione di cui al punto 3.4.1, se non è prima accompagnata da debite azioni di formazione del consumatore finale, perde una grande parte del suo valore e dei suoi obiettivi. In questo senso, il CESE si rammarica che la proposta non sia affiancata da misure di sostegno alla formazione dei consumatori, tanto a livello nazionale che comunitario. Un primo passo molto utile potrebbe essere costituito, almeno, da una guida delle azioni prioritarie a questo fine, allegata al regolamento. |
1.3 |
Per quanto riguarda la menzione dell'origine, rimangono in vigore le disposizioni della regolamentazione attuale. A tale proposito il CESE, considerato l'interesse dimostrato dai consumatori nei riguardi dell'origine dei prodotti alimentari, si rammarica che la nuova proposta di regolamento non ne preveda la menzione obbligatoria in etichetta. Il Comitato ritiene tuttavia che sarebbe opportuno differenziare tra prodotti di prima e di seconda trasformazione, e di determinare caso per caso l'obbligatorietà di menzionare i principali ingredienti agricoli di questi ultimi. |
1.4 |
il CESE esprime la sua profonda preoccupazione in relazione allo sviluppo dei «sistemi nazionali» supplementari descritti nel capitolo VII della proposta, che non portano elementi positivi complementari, ma diventano pretesti per interferire con la libertà di circolazione nel mercato interno. Questo rischio è particolarmente significativo per le PMI in quanto, come fa notare nella sua proposta la stessa Commissione, oltre il 65 % delle imprese alimentari commercializza i suoi prodotti in altri Stati membri. Per le PMI ne deriveranno maggiori difficoltà a inviare i loro prodotti in altri Stati membri, un aumento dei costi e una riduzione della competitività. Tali effetti negativi potrebbero essere evitati soltanto se questi «sistemi nazionali» fornissero informazioni complementari, non obbligatorie sulle etichette, ma disponibili tramite altri mezzi (Internet, linee telefoniche gratuite …). |
1.5 |
il CESE comprende che, per ragioni di coerenza, la Commissione intenda applicare un regime di esenzioni per i prodotti alcolici, regime che potrà essere riesaminato entro cinque anni dall'entrata in vigore del regolamento, in seguito ai risultati della relazione obbligatoria corrispondente. |
1.6 |
il CESE suggerisce che gli Stati membri si dotino del necessario elenco di infrazioni e sanzioni, al fine di evitare la mancata applicazione di queste disposizioni comuni. Esse dovrebbero essere armonizzate, cosicché in tutti gli Stati membri a comportamenti uguali corrispondano sanzioni di analoga gravità. |
1.7 |
Nello stesso spirito, il CESE chiede alla Commissione e agli Stati membri di compiere uno sforzo per articolare gli strumenti di informazione e, in particolare, una base di dati aperta alla consultazione pubblica, che contenga le informazioni che devono essere obbligatoriamente riportate sulle etichette dei diversi alimenti. Ciò farebbe sì che le imprese, i consumatori e le autorità utilizzassero gli stessi orientamenti al momento di applicare la normativa. |
1.8 |
Per quanto riguarda la leggibilità, l'attuazione pratica del requisito dei 3 mm proposto dalla Commissione non sembra realizzabile. Sarebbe opportuno considerare diversi aspetti, quali la quantità di informazioni, le dimensioni e la forma dell'imballaggio, ecc. Un valore di riferimento accettabile potrebbe essere quello del carattere utilizzato nella Gazzetta ufficiale UE. |
1.9 |
infine, in nome della chiarezza e della semplificazione che si dichiara di perseguire, il CESE ritiene che i riferimenti alle norme abrogate avrebbero dovuto essere più espliciti, facilitando così la lettura e l'applicazione del regolamento. |
2. Sintesi della proposta della Commissione
2.1 |
La proposta intende consolidare in un regolamento la legislazione attuale sull'etichettatura, la presentazione e la pubblicità dei prodotti alimentari (compresa l'etichettatura nutrizionale), ai fini della loro modernizzazione, semplificazione e chiarificazione. |
2.2 |
La proposta abrogherà le disposizioni precedentemente in vigore in materia d'etichettatura dei prodotti alimentari, cioè le direttive 2000/13/CE, 90/496/CEE (entro cinque anni), 87/250/CEE, 94/54/CE, 1999/10/CE, 2002/67/CE, 2004/77/CE e il regolamento (CE) n. 608/2004. |
2.3 |
Gli obiettivi principali della proposta sono il conseguimento di un livello elevato di tutela dei consumatori e il corretto funzionamento del mercato interno. |
2.4 |
Il campo d'applicazione è ampliato per tenere conto di tutti gli aspetti legati all'informazione sui prodotti alimentari messa a disposizione del consumatore finale dagli operatori economici, e per coprire anche i prodotti alimentari serviti dalle collettività e quelli destinati al loro approvvigionamento. |
2.5 |
I principi generali e gli obblighi d'etichettatura della legislazione precedente sono mantenuti, rafforzando alcuni aspetti, come le responsabilità di ogni anello della catena alimentare o i casi in cui è obbligatoria l'indicazione del paese d'origine. |
2.6 |
Per quanto riguarda l'etichettatura nutrizionale (dichiarazione nutrizionale), vi è una modifica importante rispetto alla normativa precedente, con l'introduzione dell'obbligo di indicare sei sostanze nutritive, sia in quantità che in percentuale delle razioni giornaliere raccomandate. |
2.7 |
Altro cambiamento importante: la coabitazione con i «sistemi nazionali» d'etichettatura nutrizionale, aggiuntivi rispetto al regolamento, che espandono le modalità di presentazione delle informazioni nutrizionali presenti sulle etichette con requisiti volontari definiti a livello nazionale. |
2.8 |
È previsto che molte delle eventuali modifiche alla proposta siano effettuate attraverso la procedura di comitatologia. sono contemplati diversi periodi transitori per facilitare la sua entrata in vigore. |
2.9 |
Gli allegati riprendono in dettaglio alcuni punti dell'articolato, come: gli ingredienti che causano allergie o intolleranze, le indicazioni obbligatorie complementari, i prodotti ai quali non si applica l'obbligo della dichiarazione nutrizionale, la denominazione dei prodotti alimentari, l'indicazione quantitativa e la designazione degli ingredienti, l'indicazione della quantità netta, il termine minimo di conservazione o la data limite di consumo, il titolo alcolometrico, i consumi di riferimento, il valore energetico e l'espressione e la presentazione della dichiarazione nutrizionale. |
2.10 |
Infine, l'entrata in vigore del regolamento è prevista 20 giorni dopo la sua approvazione, ma l'applicazione effettiva delle indicazioni obbligatorie e della dichiarazione nutrizionale è rinviata di tre anni (cinque per la seconda nel caso delle PMI). |
3. Osservazioni generali
3.1 Consolidamento, aggiornamento e semplificazione
3.1.1 |
Da quasi 30 anni, la legislazione europea sull'etichettatura, sulla presentazione e sulla pubblicità dei prodotti alimentari contribuisce al mantenimento di un livello elevato di tutela dei consumatori ed al buon funzionamento del mercato interno. |
3.1.2 |
La proposta attuale intende consolidare, aggiornare e semplificare la normativa esistente, ridurre gli oneri amministrativi e aumentare la trasparenza nei riguardi dei consumatori. Il CESE condivide questi obiettivi, ma si rammarica per la complessità del testo proposto, che potrebbe impedire l'applicazione diretta del regolamento. |
3.2 Sviluppo di «sistemi nazionali» addizionali
3.2.1 |
Non vi è alcun dubbio che un regolamento che consolidi ed aggiorni l'attuale normativa dispersa in vari atti si tradurrebbe in una maggiore omogeneità del livello di tutela dei consumatori e in una migliore armonizzazione. Tuttavia, il CESE esprime la sua preoccupazione in ordine all'introduzione dei «sistemi nazionali» prevista agli articoli 44 e seguenti, dato che questi possono comportare una minaccia per gli obiettivi d'armonizzazione e d'omogeneità. In base a queste nuove disposizioni, nei diversi Stati membri si potranno adottare sistemi nazionali con requisiti addizionali che, benché volontari, aggiungeranno altre informazioni sulle etichette e potrebbero confondere i consumatori. |