ISSN 1725-2466

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 27

European flag  

Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

52o anno
3 febbraio 2009


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

446a sessione plenaria del 9 e del 10 luglio 2008

2009/C 027/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'omologazione-tipo di autoveicoli alimentati a idrogeno e che modifica la direttiva 2007/46/CE COM(2007) 593 def. — 2007/0214 (COD)

1

2009/C 027/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le diverse misure politiche, al di là di finanziamenti adeguati, atte a contribuire alla crescita e allo sviluppo delle piccole e medie imprese

7

2009/C 027/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione — Agenda per un turismo europeo sostenibile e competitivo COM(2007) 621 def.

12

2009/C 027/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro bianco sull'integrazione dei mercati UE del credito ipotecario COM(2007) 807 def.

18

2009/C 027/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'evoluzione del settore della costruzione in Europa

22

2009/C 027/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'evoluzione del settore dei servizi alle imprese in Europa

26

2009/C 027/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sui prodotti cosmetici (rifusione) COM(2008) 49 def. — 2008/0035 (COD)

34

2009/C 027/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 2001/82/CE e 2001/83/CE per quanto concerne le variazioni dei termini delle autorizzazioni all'immissione in commercio dei medicinali COM(2008) 123 def. — 2008/0045 (COD)

39

2009/C 027/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai recipienti semplici a pressione (versione codificata) COM(2008) 202 def. — 2008/0076 (COD)

41

2009/C 027/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Verso una rete ferroviaria a priorità merci COM(2007) 608 def.

41

2009/C 027/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione — Comunicazione su una politica europea dei porti COM(2007) 616 def.

45

2009/C 027/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Trasporti su strada — orario di lavoro degli autotrasportatori autonomi

49

2009/C 027/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Un piano strategico europeo per le tecnologie energetiche (piano SET) — Verso un futuro a bassa emissione di carbonio COM(2007) 723 def.

53

2009/C 027/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema I rapporti tra il cambiamento climatico e l'agricoltura in Europa

59

2009/C 027/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2003/87/CE al fine di perfezionare ed estendere il sistema comunitario di scambio delle quote di emissione dei gas a effetto serra COM(2008) 16 def. — 2008/0013 (COD)

66

2009/C 027/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio concernente gli sforzi degli Stati membri per ridurre le emissioni dei gas ad effetto serra al fine di adempiere agli impegni della Comunità in materia di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra entro il 2020 COM(2008) 17 def. — 2008/0014 (COD)

71

2009/C 027/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa allo stoccaggio geologico del biossido di carbonio e recante modifica delle direttive 85/337/CEE e 96/61/CE del Consiglio e delle direttive 2000/60/CE, 2001/80/CE, 2004/35/CE, 2006/12/CE e del regolamento (CE) n. 1013/2006 COM(2008) 18 def. — 2008/0015 (COD)

75

2009/C 027/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2006/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori in relazione all'articolo 6, paragrafo 2, concernente l'immissione di pile e accumulatori sul mercato COM(2008) 211 def. — 2008/0081 (COD)

81

2009/C 027/19

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'industria estrattiva non energetica in Europa

82

2009/C 027/20

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Integrazione delle minoranze — I Rom

88

2009/C 027/21

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Elementi per la struttura, l'organizzazione e il funzionamento di una piattaforma per un maggior coinvolgimento della società civile nella promozione delle politiche d'integrazione di cittadini dei paesi terzi a livello UE

95

2009/C 027/22

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Un nuovo programma europeo di azione sociale

99

2009/C 027/23

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati COM(2007) 637 def. — 2007/0228 (CNS)

108

2009/C 027/24

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano legalmente in uno Stato membro COM(2007) 638 def. — 2007/0229 (CNS)

114

2009/C 027/25

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'Anno europeo della creatività e dell'innovazione (2009) COM(2008) 159 def. — 2008/0064 (COD)

119

2009/C 027/26

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Una migliore integrazione nel mercato interno come fattore chiave di coesione e di crescita per le isole

123

2009/C 027/27

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le cause della differenza tra inflazione percepita e inflazione reale

129

2009/C 027/28

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il ruolo della società civile nei programmi comunitari di aiuti di preadesione all'Albania

140

2009/C 027/29

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La creazione di reti di organizzazioni della società civile nella regione del Mar Nero

144

2009/C 027/30

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Come conciliare la dimensione nazionale e la dimensione europea nella comunicazione sull'Europa

152

IT

 


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

446a sessione plenaria del 9 e del 10 luglio 2008

3.2.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 27/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'omologazione-tipo di autoveicoli alimentati a idrogeno e che modifica la direttiva 2007/46/CE

COM(2007) 593 def. — 2007/0214 (COD)

(2009/C 27/01)

Il Consiglio, in data 14 novembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'omologazione-tipo di autoveicoli alimentati a idrogeno e che modifica la direttiva 2007/46/CE

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 giugno 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore IOZIA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 9 luglio 2008, nel corso della 446a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 117 voti favorevoli e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE approva i contenuti del presente regolamento COM(2007) 593 def. e vede positivamente l'emanazione di norme armonizzate a livello comunitario per l'omologazione di autoveicoli alimentati ad idrogeno, condividendo la scelta di una unica procedura a livello europeo valida in tutti gli Stati membri in quanto appare più semplice, assai meno onerosa rispetto a 27 omologazioni differenti che, oltretutto, creerebbero condizioni evidenti di distorsione della concorrenza ed una frammentazione del mercato interno.

1.2

L'importanza di tale intervento è evidente: in presenza di una previsione di consistente sviluppo nella commercializzazione di autoveicoli alimentati ad idrogeno, non esiste né a livello nazionale né europeo un'omologazione-tipo per tali autoveicoli. Nei singoli Stati membri, dove sono state adottate regolamentazioni provvisorie, esse differiscono notevolmente fra di loro.

1.3

Il CESE ritiene necessario pervenire rapidamente all'approvazione del regolamento che appare in grado di fornire un quadro certo di riferimento per le imprese del settore, capace quindi di favorire i consistenti investimenti necessari per lo sviluppo di tecnologie legate all'utilizzo di idrogeno. Sulla scelta strategica di tale uso il CESE si è favorevolmente espresso in recenti pareri in merito, dove ha sostenuto che «l'idrogeno, pur con i limiti ancora oggi presenti, rappresenta la sfida per il futuro».

1.4

L'emanazione di queste norme comunitarie in materia di armonizzazione costituisce inoltre un elemento importante di garanzia di sicurezza per gli utilizzatori. Il consolidamento della loro fiducia costituisce una condizione essenziale in presenza di un prevedibile sviluppo di tali automezzi che secondo le previsioni della Commissione dovrebbero raggiungere entro il 2020 il target di 1 milione di auto alimentate a idrogeno.

1.5

Un importante esempio che conferma la validità e la possibilità concreta di raggiungere tale obiettivo è costituito dal costante e continuo incremento di taxi con alimentazione ibrida che circolano a New York, dove una positiva politica urbana consente di coniugare il rispetto e la difesa dell'ambiente con le regole del mercato, dimostrando nei fatti che i tentativi di costruire artificiosi ostacoli allo sviluppo di questa tecnologia spesso nascondono solo una difesa di interessi consolidati.

1.6

Il raggiungimento di questo traguardo appare necessario poiché solo con una decisa azione di sostituzione dei carburanti fossili appare possibile conseguire un obiettivo coerente con le politiche dell'Unione per lo sviluppo sostenibile e per la lotta ai cambiamenti climatici. Tale traguardo può essere conseguito attraverso un progressivo utilizzo dell'idrogeno, degli agrocarburanti di seconda generazione e di altri carburanti rinnovabili.

1.7

Il sostegno fondamentale a tale strategia di lungo respiro passa attraverso precisi impegni nel campo della ricerca tecnologica. Il CESE sollecita quindi l'attuazione di programmi mirati di ricerca a partire dalla rapida approvazione del regolamento COM(2007) 571 def., che prevede la costituzione di un'«iniziativa tecnologica congiunta (ITC) attraverso la creazione di un'impresa comune Pile a combustibile e a idrogeno» (1). Sostiene e auspica programmi di ricerca orientati alla nuove strade per la produzione e l'utilizzo dell'idrogeno e si associa alle richieste provenienti dal mondo delle imprese e della ricerca attive nel settore dell'utilizzo dell'idrogeno affinché il Consiglio e il Parlamento accelerino il processo di approvazione delle proposte necessarie.

1.8

Il CESE sollecita la Commissione a prendere in esame sin d'ora il problema della diffusione della rete distributiva poiché la disponibilità di tecnologie sicure ed efficienti per lo stoccaggio e una sufficiente distribuzione costituiscono elementi indispensabili per la diffusione di auto alimentate con miscele gassose.

1.9

In una prima fase tali interventi dovranno favorire la diffusione in tutto il territorio comunitario di GPL e di metano, che rappresentano il più immediato e realistico obiettivo di una pur parziale decarbonatazione dei carburanti, ma che oggi in molti paesi dell'Unione presentano una diffusione molto scarsa o inesistente. Questa prima fase di ricerca di nuove tecnologie sempre più sicure ed efficienti nel campo dello stoccaggio e della distribuzione sono destinate poi nel prossimo futuro a favorire il passaggio a una fase intermedia di distribuzione di miscele di gas e idrogeno, fino alla fase definitiva della distribuzione dell'idrogeno.

1.10

Il CESE ritiene fondamentale affrontare in modo concreto il tema del recupero della fiducia dei futuri utilizzatori, per eliminare le perplessità che ancora esistono intorno all'utilizzo dell'idrogeno. Occorre quindi predisporre capillari programmi di informazione con un messaggio chiaro e motivato che confermi come in questa tecnologia già oggi sono stati raggiunti gli attuali livelli di sicurezza dei veicoli convenzionali.

1.11

Il CESE condivide la scelta del regolamento quale elemento giuridico della proposta in quanto garantisce condizioni paritarie ai produttori del settore attraverso l'applicazione contemporanea in tutti gli Stati membri delle norme contenute.

1.12

Approva inoltre la proposta di effettuare l'elaborazione e l'attuazione delle norme fondamentali attraverso la «procedura di comitato» e condivide la predisposizione di un periodo transitorio nell'applicazione dell'insieme delle norme in quanto tale applicazione risulterà di una certa complessità per le imprese del settore.

1.13

Il CESE sostiene e considera importante la presenza dell'Europa nel GCG (Global Coordination Group) per la ricerca di norme di omologazione a livello mondiale, GTR (Global Technological regulation) ma sottolinea anche che la ricerca di tale accordo non deve costituire un ostacolo all'avanzamento di questa procedura legislativa. La disponibilità di un proprio strumento legislativo e di un'esperienza applicativa di norme comunitarie è destinata a rafforzare la presenza dell'Europa in tutti gli organismi a livello mondiale, anche per impedire che si arrivi a regolamenti mondiali nel campo degli autoveicoli alimentati a idrogeno che tengano conto di un'unica esperienza oggi disponibile (Giappone).

1.14

La disponibilità di un'esperienza basata su una regolamentazione legislativa a livello comunitario e gli importanti risultati che possono derivare da un impegno consistente e continuo nel campo della ricerca tecnologica potranno costituire un elemento fondamentale di sostegno alla competitività delle imprese già oggi operanti nel settore automobilistico, considerando che sulle nuove tecnologie e sui nuovi carburanti sono in gioco quote elevate del mercato futuro.

1.15

Tutto questo secondo il CESE richiede scelte coraggiose e tempestive, unitamente ad una visione strategica lungimirante che si collochi su uno scenario futuro nel quale l'idrogeno, nei tempi necessari, è destinato a giocare un ruolo importante e decisivo.

1.16

Il CESE invita la Commissione a riconsiderare la proposta di labelling delle auto ad idrogeno, che potrebbe essere considerata come una sorta di criminalizzazione, identificando tali autoveicoli come «pericolosi», mentre i test di sicurezza hanno dato risultati omologhi a quelli delle auto alimentate con altri carburanti. Al posto di tale etichetta, il CESE ritiene più opportuna un'identificazione dei carburanti di tutte le auto, consentendo di riconoscerli con chiarezza.

1.17

Per facilitare la diffusione delle auto alimentate a idrogeno, in assenza di una rete distributiva, il CESE raccomanda alla Commissione di omologare anche i piccoli reformer per un'autoproduzione dell'idrogeno dal gas metano (ad es. Home energy station o altri similari). Questo potrebbe essere un primo passo concreto per poter soddisfare in prima istanza la nuova domanda di idrogeno, fermo restando che l'obiettivo dovrà continuare ad essere quello di produrre idrogeno da fonti rinnovabili, dal biogas, alla fotolisi, all'elettrolisi utilizzando elettricità prodotta da fonti rinnovabili.

2.   Introduzione

2.1

Il regolamento in esame (COM(2007) 593 def.) parte dalla constatazione che non esiste in Europa nessuna norma che regoli un sistema di omologazione-tipo per gli autoveicoli a propulsione a idrogeno, pur in presenza di una previsione di sviluppo nella commercializzazione di autoveicoli alimentati con tale tecnologia.

2.2

Anche nei singoli Stati membri dell'UE attualmente non esistono disposizioni che regolamentino il campo di questa proposta.

Nelle legislazioni vigenti, che riguardano il complesso delle omologazioni degli autoveicoli, infatti, non sono previste norme generali relative agli autoveicoli a idrogeno, anche per le loro caratteristiche diverse da quelle degli autoveicoli che utilizzano combustibili convenzionali nella propulsione dei veicoli.

2.3

In alcuni Stati membri sono state adottate delle regolamentazioni provvisorie, che differiscono notevolmente tra loro. Il protrarsi di questa situazione è destinato a creare procedure di omologazioni diverse nei singoli Stati membri, con le inevitabili conseguenze della frammentazione del mercato interno, della distorsione delle norme sulla concorrenza e di allontanare la concreta possibilità per questa tecnologia di contribuire in modo decisivo al miglioramento dell'ambiente.

2.4

Questa proposta di regolamento si propone quindi di garantire il corretto funzionamento del mercato interno e di impedire che possano circolare nei singoli Stati membri veicoli omologati con norme differenti, determinando squilibri fra i singoli produttori e favorendo la possibilità di creare barriere artificiali al commercio in Europa.

2.5

Una prospettiva di questo tipo costituirebbe un ostacolo per lo sviluppo delle tecnologie legate all'utilizzo dell'idrogeno in Europa, a fronte invece dell'esigenza di accelerare interventi e sviluppi concreti di questa tecnologia che rappresenta una delle più significative alternative all'uso di combustibili fossili che ancora oggi coprono il 98 % del trasporto pubblico e privato e il 50 % delle fonti primarie di energia, destinato a salire fino al 73 % senza decise scelte di diversificazione.

2.6

Questo regolamento rappresenta, unitamente agli importanti programmi di ricerca del settore contenuti nel 7PQ, un importante passo per avvicinare l'uso dell'idrogeno al livello di sicurezza raggiunto dalle tecnologie convenzionali ed inoltre può contribuire al recupero di un consenso dei potenziali utilizzatori.

2.7

L'emanazione di norme armonizzate a livello comunitario in materia di omologazione di autoveicoli alimentati a idrogeno costituisce indubbiamente un passo decisivo per conseguire il necessario consenso degli utilizzatori. La crescita di un positivo rapporto di fiducia nell'uso dell'idrogeno da parte degli utenti costituisce un fattore indispensabile per accelerare la messa sul mercato di veicoli funzionanti con combustibili alternativi, a bassissima emissione di gas a effetto serra, processo insostituibile per una reale e concreta difesa dell'ambiente.

3.   La proposta della Commissione

3.1

La proposta di regolamento in discussione relativo agli autoveicoli a idrogeno si pone l'obiettivo di fissare norme valide in tutta l'UE per l'omologazione di autovetture alimentate a idrogeno.

3.2

Essa prevede di emendare la direttiva quadro 2007/46/CE includendo a pieno titolo i veicoli alimentati a idrogeno delle categorie M1-M2-M3 e N1-N2-N3 (2) nel quadro della procedura per omologazione-tipo CE dei veicoli e di inserire le vetture alimentate a idrogeno in tutte le direttive e i regolamenti che regolano la materia dell'omologazione.

3.3

La base giuridica della proposta è l'articolo 95 del Trattato.

La proposta rispetta pienamente il principio di sussidiarietà poiché gli obiettivi politici che si colgono a livello comunitario non possono essere raggiunti a livello dei singoli Stati membri e con la stessa procedura si impedisce la creazione di barriere nel mercato unico.

Essa garantisce inoltre il principio di proporzionalità in quanto si pone esclusivamente l'obiettivo del buon funzionamento del mercato unico unitamente ad un alto livello di sicurezza pubblica e di protezione ambientale.

3.4

La Commissione propone la scelta del regolamento in quanto appare necessario, per il rispetto contemporaneo delle disposizioni contenute nella presente proposta, di non dover attendere il loro recepimento nell'ordinamento giuridico dei singoli Stati membri che porterebbe ad adeguare le norme di omologazione in tempi non omogenei e a volte con modifiche significative nelle leggi di trasposizione.

3.5

Questa proposta è passata al vaglio di un'ampia consultazione che ha coinvolto tutte le parti interessate. A partire dal «Gruppo di lavoro idrogeno», l'indagine conoscitiva ha coinvolto le autorità nazionali, i costruttori di veicoli, i fornitori di componenti e le associazioni industriali.

3.6

Le quattro opzioni prese in esame sono state:

«status quo», mantenimento cioè della situazione esistente,

intervento legislativo a livello degli Stati membri,

intervento legislativo a livello dell'Unione europea,

approccio non normativo: autoregolamentazione.

3.7

Successivamente è stato nominato un consulente che ha sistematizzato le risposte riguardanti la sicurezza, la tecnologia e i relativi costi delle varie opzioni. I risultati sono state sottoposti al giudizio delle principali imprese del settore automobilistico impegnate nella tecnologia dell'idrogeno.

3.8

Da questo ampio processo di consultazione è emerso con chiarezza che la via più idonea da seguire è quella di un intervento legislativo a livello comunitario che produca una omologazione-tipo per tutti gli autoveicoli alimentati a idrogeno.

3.9

A sostegno di questa scelta la Commissione ha presentato uno studio (3) che dimostra come l'introduzione di un processo di una pur rigorosa omologazione europea rappresenti la strada più semplice e molto meno costosa se confrontata ai costi teorici di 27 differenti omologazioni a livello dei singoli Stati membri.

3.10

Le valutazioni del consulente sono state quindi fornite alla Commissione che sulla base del lavoro di consultazione preventiva ha prodotto la proposta in discussione che ha iniziato il percorso istituzionale.

3.11

Secondo la Commissione, le norme stabilite in questo regolamento sono in grado di garantire agli utilizzatori dei mezzi di trasporto alimentati a idrogeno la necessaria garanzia in termini di sicurezza e di contribuire in maniera decisiva al rispetto dell'ambiente.

3.12

L'obiettivo conclusivo prevede che a decorrere da 36 mesi dopo l'entrata in vigore del presente regolamento, la conformità degli impianti, tutti i componenti a contatto con l'idrogeno e i relativi materiali impiegati devono soddisfare per intero le norme previste dal presente regolamento.

4.   L'audizione

4.1

Nel corso dell'audizione cui hanno partecipato la Commissione, rappresentanti del mondo dell'accademia, delle imprese automobilistiche impegnate nello sviluppo di auto a idrogeno, delle associazioni europee, dei consumatori e dei produttori di celle a combustibile, sono stati forniti importanti spunti di riflessione e di conoscenza degli ultimi sviluppi tecnologici.

4.2

È stata rilevata l'importanza della divulgazione di informazioni verso il grande pubblico e di iniziative come quella che si svolge da alcuni anni a Roma (H2 Roma), che promuovono l'incontro tra produttori e cittadini, mostrando lo sviluppo tecnologico e diffondendo una cultura di familiarizzazione con una tecnologia considerata dai più ancora pericolosa. I convenuti hanno trovato di grande interesse il ruolo del CESE, che potrebbe svolgere una funzione di mediatore culturale.

4.3

Imprese e consumatori hanno sottolineato la necessità di poter contare sulla sicurezza dei veicoli e delle infrastrutture di stoccaggio e distribuzione, ma anche sulla disponibilità dell'idrogeno. La ricerca deve continuare e deve essere ulteriormente sostenuta. Sono state apprezzate le recenti iniziative europee a favore delle celle a combustibile, con la decisione di finanziare un'Iniziativa tecnologica congiunta.

4.4

I test di autonomia hanno dimostrato che già oggi un'auto a idrogeno può percorrere fino a 600 km. Ulteriori prove sono in preparazione.

4.5

L'auto a idrogeno è ormai già una realtà tecnologica, come evidenziato dall'audizione, mancano però le condizioni economiche e sociali necessarie per passare alla commercializzazione. Un primo ostacolo, con il regolamento sull'omologazione verrà superato.

5.   Osservazioni generali

5.1

Il CESE approva i contenuti di questo regolamento e vede positivamente l'emanazione di norme armonizzate in materia di omologazione dei veicoli alimentati a idrogeno poiché tale procedura costituisce un passo in avanti rispetto alla situazione attuale che non prevedendo alcun riferimento legislativo è destinata a creare condizioni evidenti di distorsione della concorrenza e una frammentazione del mercato interno. È importante pervenire rapidamente a un'approvazione del regolamento, anche per evidenti ragioni di sicurezza e di protezione dell'ambiente.

5.2

A parere del CESE, la mancanza di un quadro certo di riferimento tende inevitabilmente a scoraggiare i necessari e consistenti investimenti indispensabili per uno sviluppo delle tecnologie legate all'utilizzo dell'idrogeno quale vettore energetico per le auto del futuro.

5.3

Il regolamento in esame appare coerente con le politiche dell'Unione per lo sviluppo sostenibile e con la lotta ai cambiamenti climatici che sono alla base delle iniziative comunitarie e rappresentano un contributo irrinunciabile agli obiettivi generali della strategia di Lisbona.

5.4

Il CESE è fermamente convinto che senza un rapido e consistente sviluppo dei veicoli alimentati a idrogeno e senza una progressiva sostituzione dei carburanti fossili, i vantaggi ambientali risulterebbero assai limitati e comunque non apprezzabili sul piano quantitativo. Esso ravvisa invece l'esigenza di promuovere la sostenibilità ambientale e la rigorosa lotta ai cambiamenti climatici che sono raggiungibili potenzialmente con l'utilizzo dell'idrogeno, degli agrocarburanti di seconda generazione e di altri carburanti rinnovabili.

5.5

Secondo il CESE, l'affascinante strada per invertire l'attuale tendenza che vede la domanda di energia soddisfatta prevalentemente da fonti fossili, che oggi rappresentano l'85-90 % dell'offerta energetica mondiale, passa dall'utilizzazione dell'idrogeno e dall'impegno della ricerca nel campo delle celle a combustibile e a idrogeno. Una valutazione di prospettiva deve tenere conto che, per quanto riguarda i carburanti fossili, lo scenario futuro è di una prevista penuria nel futuro e con i prezzi previsti in costante aumento.

5.6

In un parere approvato dal CESE (4) si sostiene pienamente l'iniziativa della Commissione COM(2007) 571 def. che ha deciso di finanziare con quasi 470 milioni di euro un'iniziativa tecnologica congiunta (ITC) attraverso la «creazione di un'impresa comune Pile a combustibile e a idrogeno» che consentirà, attraverso un'iniziativa di ricerca su vasta scala, alla Commissione, agli Stati membri e all'industria di mettere in comune le rispettive risorse in favore di programmi indirizzati verso settori strategici per la diversificazione e la disponibilità futura di energia.

5.7

In un successivo parere sul «mix energetico nel trasporto» (5), il CESE «ritiene indispensabile una decisa accelerazione del finanziamento alla ricerca sulla produzione e sull'utilizzo dell'idrogeno» e «si associa alle richieste provenienti dal mondo delle imprese e della ricerca attive nel settore dello sviluppo dell'utilizzo dell'idrogeno, a che il Consiglio e il Parlamento accelerino il processo di approvazione della proposta».

5.8

Le pile a combustibile sono dei convertitori di energia che permettono di ridurre sensibilmente la produzione di gas a effetto serra e di altri inquinanti. Nel trattamento delle biomasse il CESE, nello stesso parere citato al punto precedente, guarda con attenzione ai recenti progressi nel campo dei nuovi catalizzatori destinati alle celle a combustibile che costituiscono una tecnologia molto promettente per la fornitura di energia pulita per le auto.

5.9

Il CESE nel riaffermare che l'utilizzo dell'idrogeno nella progressiva sostituzione dei carburanti fossili costituisce un passaggio obbligato e auspicabile, sottolinea come l'obiettivo della messa in circolazione di autovetture alimentate a idrogeno passa esclusivamente attraverso consistenti investimenti in tutti i campi della ricerca collegate a questo processo. Per questa ragione il CESE auspica e sostiene i programmi di ricerca miranti a consolidare tale strategia.

5.10

Esso ritiene che il pur importante problema dei rilevanti costi di tale processo non possa diventare un freno allo sviluppo di questa tecnologia e guarda con grande attenzione a ogni programma che miri alla ricerca di nuove strade per la produzione eco-compatibile dell'idrogeno, nella considerazione che la strada attuale, che vuole l'idrogeno prodotto per oltre il 90 % dal metano, si basi su un'energia pur importante, ma da considerarsi «a termine».

5.11

Il CESE sottolinea come nella valutazione dei costi legati a ogni avanzamento tecnologico, la dimensione delle ingenti risorse necessarie non deve essere valutata in un rapporto ristretto al solo campo automobilistico privato, pur quantitativamente significativo, ma in una visione strategica e di prospettiva tale valutazione deve tenere conto dei benefici futuri che possono derivare da un allargamento dell'utilizzazione dell'idrogeno verso traguardi più avanzati a partire dai trasporti pubblici e privati, al trasporto merci e all'alimentazione di treni e motori marini, fino a una possibile utilizzazione dell'idrogeno, anche se in prospettiva più lontana, nell'ambito delle centrali elettriche.

5.12

Il CESE è profondamente convinto che se questi importanti programmi di ricerca avranno il loro auspicato sviluppo e il necessario sostegno politico ed economico di tutte le parti interessate, la possibilità di vedere circolare auto parzialmente o integralmente a idrogeno può diventare realtà in tempi relativamente brevi.

5.13

Un esempio concreto di questa positiva tendenza è costituito dal costante e continuo incremento di taxi con alimentazione ibrida a New York, dove una positiva politica urbana consente di coniugare il rispetto dell'ambiente con le regole del mercato, dimostrando nei fatti che i tentativi di contrapporre elementi di difficoltà allo sviluppo di questa tecnologia spesso nascondono solo una difesa di interessi consolidati.

5.14

Il CESE in tutti i pareri espressi in materia ha sostenuto la scelta dell'uso dell'idrogeno che, pur con gli attuali limiti conosciuti, rappresenta la sfida per il futuro. Esso guarda con attenzione ai progetti recenti di iniziative che utilizzando tecnologie di produzione e di erogazione differenti preparano la strada al futuro utilizzo di idrogeno nella trazione di autoveicoli.

5.15

In questa prospettiva di sviluppo il CESE, ancora una volta sollecita, la Commissione a prendere in esame il problema della diffusione della rete distributiva sul territorio di carburanti alternativi, a partire dal potenziamento della distribuzione del GNC (gas naturale compresso) che in Europa presenta una scarsa diffusione in alcuni Stati membri e una totale assenza di impianti in altri, salvo alcune positive eccezioni come il caso della Polonia.

5.16

Il campo dello stoccaggio e della distribuzione costituisce un esempio concreto di orientamento mirato della ricerca nel settore. L'esigenza di disporre di tecnologie innovative nel campo della distribuzione gassosa costituisce un problema fondamentale e decisivo per la diffusione di nuovi automezzi, sia in una fase intermedia di possibili miscele di gas diversi che nel conseguimento dell'obiettivo finale dell'alimentazione a idrogeno.

5.17

In questo campo occorre predisporre per tempo la disponibilità di sistemi di distribuzione sempre più efficienti e sempre più sicuri, a partire dall'esperienza accumulata nei due impianti attualmente operanti in Europa, quello di Mantova (Italia) e quello di Monaco di Baviera (Germania) e orientando la ricerca verso sistemi sempre tecnologicamente più avanzati che abbiano al centro il conseguimento di standard elevati nel campo della sicurezza e della difesa dell'ambiente.

5.18

Per queste ragioni il CESE ritiene che il raggiungimento di elevati standard di sicurezza e di efficienza nel campo della conservazione e della distribuzione di combustibili gassosi, costituisca elemento decisivo nella fase attuale che richiede un consistente programma di diffusione in tutto il territorio europeo di impianti di GPL e di metano, quale più immediato e realistico obiettivo di una pur parziale decarbonatazione dei carburanti, passaggio intermedio alla fase definitiva della distribuzione dell'idrogeno. Le tecnologie necessarie per lo stoccaggio e la distribuzione del gas e dell'idrogeno sono molto simili, pertanto lo sviluppo delle prime non potrà che favorire lo sviluppo dell'idrogeno.

5.19

Il CESE è consapevole che l'uso dell'idrogeno presenta ancora indubbi problemi di costi e di elementi di sicurezza, legati alle remore del passato che oggi, sulla base degli approfonditi test effettuati in diversi paesi, devono essere del tutto superati, avvicinando tale uso al livello di sicurezza raggiunto dalle tecnologie convenzionali. Il raggiungimento di questo traguardo, supportato da consistenti e specifici programmi di informazione, può consentire il recupero della fiducia nei futuri utilizzatori, passaggio obbligato per il rilancio definitivo dell'uso di tale tecnologia.

5.20

Il CESE ritiene perciò indispensabile affiancare a questa strategia basata sull'idrogeno un consistente programma di informazione che affronti e superi l'attuale diffidenza dei futuri consumatori che considerano l'idrogeno un prodotto rischiosissimo.

5.21

Tale programma di informazione molto capillare deve far passare un messaggio chiaro: già oggi nell'uso dell'idrogeno sono stati raggiunti gli elevati livelli di sicurezza dei veicoli convenzionali, anche nel caso di eventuali incidenti. Questo costituisce un elemento fondamentale per conferire credibilità alla previsione della Commissione del raggiungimento dell'obiettivo di vedere in circolazione entro il 2020 almeno 1 milione di vetture nel territorio comunitario (pag. 34 Impact Assessment).

5.22

Questo regolamento per l'emanazione di norme armonizzate a livello comunitario in materia di omologazione di autoveicoli alimentati a idrogeno costituisce un primo passo verso il recupero e il mantenimento di tale consenso e va sostenuto a partire dalla considerazione di fondo che tale utilizzo contribuisce in maniera decisiva al rispetto dell'ambiente poiché, come è noto, tale forma di alimentazione non emette gas a effetto serra e non scarica inquinanti a base di carbonio.

5.23

Il CESE condivide la scelta del regolamento quale elemento giuridico della proposta in quanto esso garantisce condizioni paritarie ai produttori del settore attraverso l'applicazione immediata in tutti gli Stati membri delle norme contenute.

5.24

Approva inoltre la proposta di effettuare l'elaborazione e l'attuazione delle norme fondamentali attraverso la «procedura di comitato» e condivide la predisposizione di un periodo transitorio che appare necessario nei confronti dei produttori, in quanto tale scelta appare proporzionata alla complessità di questa tecnologia che richiede tempi lunghi nella sua applicazione.

5.25

Il CESE sostiene e considera importante la presenza dell'Europa con il Giappone e gli Stati Uniti nel GCG, struttura mirante all'ottenimento di una procedura mondiale nel campo delle omologazioni delle auto a idrogeno.

5.26

Tuttavia, la ricerca di un accordo di questa dimensione non deve costituire ostacolo all'avanzamento di una procedura legislativa comunitaria poiché i tempi per il raggiungimento di un accordo mondiale sono più lunghi rispetto a quelli del presente regolamento. Invece la presenza in tale organismo di un'Europa che disponga di uno specifico strumento legislativo e di una propria esperienza applicativa, oltre a rafforzare la sua presenza, impedisce il tentativo di omologare tale regolamento legato esclusivamente all'unica esperienza oggi disponibile, quella del Giappone.

5.27

Una forte presenza dell'Europa negli organismi decisionali mondiali costituisce anche un elemento decisivo di salvaguardia della competitività delle importanti imprese automobilistiche operanti a livello europeo che non possono perdere il contatto con processi evolutivi di un mercato dove una presenza forte, tempestiva e tecnologicamente avanzata costituisce elemento fondamentale nella conquista di quote elevate del mercato futuro.

5.28

Il tema dell'omologazione, pur essendo solo un aspetto dell'intero processo, costituisce un passo significativo verso la disponibilità di carburanti alternativi in grado di allontanare l'Europa dalla stretta dei carburanti fossili con grandi vantaggi ambientali e preparandoci al momento certo, anche se non quantificabile in termine di tempi, di una progressivo esaurimento di questa risorsa.

5.29

Tutto questo richiede scelte coraggiose e una visione strategica lungimirante che traguardi il presente e si collochi su uno scenario futuro nel quale l'utilizzo dell'idrogeno appare destinato a giocare un ruolo fondamentale.

Bruxelles, 9 luglio 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  GU C 204 del 9.8.2008, pag. 19.

(2)  

M1 veicoli destinati al trasporto di persone, aventi al massimo 8 posti a sedere oltre al sedile del conducente.

M2 veicoli destinati al trasporto di persone, aventi più di 8 posti a sedere oltre al sedile del conducente e massa massima non superiore a 5 t.

M3 veicoli destinati al trasporto di persone, aventi più di 8 posti a sedere oltre al sedile del conducente e massa massima superiore a 5 t.

N1 veicoli destinati al trasporto di merci, aventi massa massima non superiore a 3,5 t.

N2 veicoli destinati al trasporto di merci, aventi massa massima superiore a 3,5 t ma non superiore a 12 t.

N3 veicoli destinati al trasporto di merci, aventi massa massima superiore a 12 t.

(3)  TRL, Ltd, il consulente tecnico-scientifico della Commissione.

(4)  GU C 204 del 9.8.2008, pag. 19.

(5)  CESE 1104/2007 (TEN/297), punto 1.4. Non ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale.


3.2.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 27/7


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le diverse misure politiche, al di là di finanziamenti adeguati, atte a contribuire alla crescita e allo sviluppo delle piccole e medie imprese

(2009/C 27/02)

Il 20 settembre 2007, Andrej VIZJAK, ministro sloveno dell'Economia, a nome della presidenza slovena del Consiglio dell'Unione europea, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere esplorativo sul tema:

Le diverse misure politiche, al di là di finanziamenti adeguati, atte a contribuire alla crescita e allo sviluppo delle piccole e medie imprese.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 giugno 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore CAPPELLINI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 9 luglio 2008, nel corso della 446a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 122 voti favorevoli e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE ritiene che lo Small Business Act for Europe (SBAE — legge sulle piccole imprese), di cui ha ripetutamente chiesto l'adozione, debba consentire di rilanciare la Carta europea delle piccole imprese e costituisca una notevole opportunità, da un lato, di sviluppare il potenziale delle piccole imprese e, dall'altro, di testare la volontà delle istituzioni e degli Stati membri di avviare una vera politica, proattiva e sistematica, di sostegno alle PMI e alle imprese più piccole.

1.2

Questa politica non deve limitarsi a intervenire nei periodi di difficoltà economiche, quando gli ambienti politici riscoprono la capacità delle PMI e delle imprese più piccole di riassorbire il deficit occupazionale e contenere le statistiche sulla disoccupazione, bensì diventare una politica matura, in grado di sostenere a lungo termine la competitività di tali imprese.

1.3

Per sostenere e rilanciare lo sviluppo delle PMI mediante la creazione di un ambiente realmente favorevole alle loro attività e l'adozione di uno SBAE efficace, che non sia soltanto un'ulteriore dichiarazione politica, il CESE raccomanda 10 misure fondamentali:

sviluppare una buona conoscenza del tessuto europeo in cui si inseriscono le diverse categorie di PMI, dell'evoluzione di queste ultime e delle loro esigenze a livello orizzontale e settoriale alla luce della dimensione interna, esterna e transfrontaliera del mercato interno, in particolare attraverso la pubblicazione di relazioni annuali,

integrare la dimensione delle PMI in tutte le politiche comunitarie e nel processo legislativo,

proseguire a tutti i livelli la strategia di semplificazione amministrativa e instaurare un nuovo metodo di consultazione con le varie categorie di PMI e i loro organismi intermediari di rappresentanza,

garantire che la legislazione a tutti i livelli tenga conto delle situazioni e delle esigenze delle varie categorie di PMI e che applichi il principio Think Small First (Pensare prima in piccolo),

garantire che la legislazione rispetti quattro principi fondamentali: 1) realizzazione di valutazioni d'impatto efficaci, 2) principio di proporzionalità, 3) principio dell'Only Once, 4) principio di salvaguardia, con estensione dei poteri dello SME Envoy (il rappresentante delle PMI) e l'istituzione di un mediatore delle PMI per il mercato interno,

sostenere le attività di accompagnamento e di consulenza delle organizzazioni intermediarie delle PMI rappresentative,

rilanciare i programmi di cooperazione tra le imprese, di scambio tra le organizzazioni di imprese e di collegamento in rete dei servizi di sostegno,

organizzare una politica ampliata e permanente in materia di innovazione destinata alle imprese più piccole,

semplificare e promuovere l'accesso delle PMI ai programmi comunitari,

avviare una politica a favore del trasferimento e della cessione di imprese.

1.4

Il CESE chiede che la legge sulle piccole imprese si imponga a tutti i livelli sotto forma di strumento giuridicamente vincolante.

1.5

Chiede inoltre che essa consenta di incoraggiare il dialogo tra le parti sociali del mondo delle PMI al fine di realizzare il miglior ambiente di lavoro possibile per favorire la creatività e l'innovazione anche per quanto riguarda le condizioni di lavoro, vigilando in particolar modo sul miglioramento della sicurezza e dell'analisi dei rischi sul luogo di lavoro.

2.   (Contesto generale) Presentazione del parere esplorativo

2.1

L'importanza delle piccole e medie imprese (PMI) per l'economia dell'Unione europea è universalmente riconosciuta in quanto elemento chiave per promuovere la crescita e l'occupazione a livello europeo e rispondere alle nuove sfide della globalizzazione. Da una valutazione dei risultati della politica per le PMI attuata durante il periodo 2005-2007 è emerso che l'applicazione del principio Think Small First ha consentito di realizzare importanti progressi sia a livello comunitario che a livello nazionale.

2.2

La Commissione europea ha sottolineato la necessità di liberare interamente il potenziale di crescita e di creazione di posti di lavoro delle PMI e di sfruttarne appieno le capacità innovative. Quest'orientamento trova riscontro nella relazione sulla strategia di Lisbona rinnovata per la crescita e l'occupazione adottata l'11 dicembre 2007. In questo contesto, è stata proposta l'adozione di uno Small Business Act for Europe (SBAE) con lo scopo primo di definire principi e misure concrete per migliorare l'ambiente in cui operano le PMI europee tenendo pienamente conto della loro diversità. L'iniziativa è stata accolta positivamente dal Consiglio europeo del dicembre 2007 e la Commissione intende quindi presentare una proposta per il mese di giugno 2008.

2.3

Ricordiamo a questo proposito che il CESE ha elaborato recentemente o ha attualmente in preparazione numerosi altri pareri riguardanti la politica delle PMI, fra cui si citano i seguenti:

Evoluzione del settore dei servizi alle imprese in Europa (INT/412 — relatore: CALLEJA) (in corso di elaborazione)

Programma di ricerca e sviluppo per le PMI (INT/379 — relatore: CAPPELLINI)

Valutazione intermedia della politica a favore delle PMI (INT/392 — relatore: BURNS) (in corso di elaborazione)

Appalti pubblici internazionali (INT/394 — relatore: MALOSSE)

Microcredito (INT/423 — relatore: PEZZINI) (in corso di elaborazione).

2.4

La presidenza slovena del Consiglio chiede al CESE di avanzare proposte di tipo politico per favorire la crescita delle PMI. Non si tratta quindi di redigere un nuovo elenco di misure tecniche destinate alla crescita individuale delle PMI, bensì di proporre un quadro politico più strutturato e innovativo a favore delle PMI.

2.5

Tra le numerose priorità, la presidenza slovena ne evidenzia due in particolare:

a)

consentire a tutte le PMI — tenuto conto delle differenze di dimensione, attività, settore e modalità di produzione — di rispondere alle grandi sfide poste dalle trasformazioni industriali, dai cambiamenti climatici, dai mutamenti demografici, dalle sfide sociali e dalla ristrutturazione dei mercati con gli effetti della globalizzazione, i cambiamenti nella distribuzione, la standardizzazione e la certificazione dei prodotti e dei servizi;

b)

permettere alle PMI di essere strettamente coinvolte nelle scelte politiche, nella definizione delle priorità operative e nelle decisioni legislative a tutti i livelli che determineranno il loro quadro d'attività.

2.6

La presidenza slovena chiede inoltre il parere del CESE nel contesto della preparazione dello SBAE.

3.   Osservazioni generali

3.1

Nei suoi pareri precedenti, il CESE ha dato atto degli importanti progressi realizzati a favore delle PMI, in particolare in materia di accesso ai finanziamenti e di semplificazione delle pratiche amministrative. Esso sottolinea con soddisfazione quanto si siano evolute le posizioni delle istituzioni europee nei confronti delle piccole imprese e si augura che tale evoluzione non sia dovuta soltanto al difficile contesto economico e sociale attuale. Tuttavia, nonostante questi innegabili progressi, le politiche avviate in questi ultimi anni presentano ancora numerose carenze.

3.2

In particolare, il CESE ritiene che la Carta europea delle piccole imprese non abbia conseguito i suoi obiettivi strategici in quanto priva di valore giuridico e che essa sia rimasta il più delle volte a livello di semplice dichiarazione politica. È necessario rafforzarne l'attuazione negli Stati membri e a livello regionale e rilanciare l'elaborazione di valutazioni e di raccomandazioni annuali destinate agli Stati membri.

3.3

Inoltre, è stato detto spesso che la concertazione con le diverse categorie di PMI può essere notevolmente migliorata: il CESE ritiene che sia necessario impegnarsi a livello europeo, nazionale e regionale in una nuova cultura del dialogo che consenta di rafforzare e istituzionalizzare la concertazione tra le istituzioni e le organizzazioni intermediarie che rappresentano i diversi ambienti delle PMI.

4.   Osservazioni specifiche

4.1   Creare un ambiente nuovo, favorevole allo sviluppo di tutte le PMI

Di fronte a questa situazione e alle grandi sfide cui saranno confrontate le PMI, ma anche per dar corpo alla strategia di Lisbona rinnovata adottata in occasione del vertice di primavera 2008 e sostenere le iniziative della Commissione per migliorare la competitività delle PMI, il CESE appoggia pienamente l'iniziativa della presidenza di adottare una politica innovativa verso le PMI ponendovi alla base lo SBAE.

4.2   Un progetto europeo a favore delle PMI e delle microimprese

Il CESE raccomanda alle istituzioni comunitarie di non concentrarsi più unicamente sulle imprese a forte crescita, sul posizionamento internazionale delle imprese e sui diversi principi dell'eccellenza, che portano a escludere dai benefici dell'azione comunitaria milioni di imprese di piccole dimensioni che creano valore, innovazione, posti di lavoro e stabilità a livello del territorio. Chiede alle istituzioni e alle autorità pubbliche a tutti i livelli di adottare un'impostazione innovativa nella loro politica a favore delle PMI, organizzando un vero progetto europeo che riunisca tutte le forze economiche delle medie, piccole e microimprese per generare il supplemento di crescita e occupazione di cui l'UE ha bisogno. Questo progetto europeo deve anche permettere di favorire e sviluppare il dialogo con i partner economici e sociali e le organizzazioni rappresentative delle diverse categorie di PMI sulle nuove, grandi sfide comunitarie (cambiamenti climatici, mutamenti demografici e immigrazione, ambiente, energia, ecc.) cui saranno confrontate le PMI. Tale progetto deve basarsi sulle imprese a forte tasso di crescita, ma anche e soprattutto sull'economia di prossimità e le cosiddette attività «tradizionali». Esso deve consentire all'Unione di avviare una politica di promozione delle imprese a misura d'uomo e anche di sfruttare l'economia di prossimità per garantire la crescita degli Stati membri puntando su cinque misure prioritarie.

4.2.1

Conoscere e comunicare le realtà delle diverse categorie di PMI. Ogni politica comunitaria deve basarsi su dati chiari che consentano di conoscere la situazione esistente. La nozione di PMI abbraccia realtà, categorie e forme di impresa molto diverse fra loro (imprese individuali e società, imprese senza dipendenti e imprese che hanno fino a 250 dipendenti, imprese artigiane, commerciali, dell'economia sociale o delle libere professioni), che operano in settori d'attività con condizioni e bisogni molto diversi. I dati su queste varie categorie di PMI sono spesso incompleti o inesistenti. Le analisi condotte dal precedente Osservatorio europeo delle PMI avevano spesso fornito dati essenziali. Il CESE si rallegra quindi del rilancio dell'Osservatorio da parte della DG Imprese e industria e chiede di:

avviare un vasto programma di studi economici, ivi compreso di tipo settoriale, sulla situazione e i bisogni delle diverse categorie di PMI, anche a livello nazionale e regionale, e di analisi statistiche di concerto con le organizzazioni di rappresentanza interessate,

favorire e sviluppare le attività di ricerca e di studio proprie delle organizzazioni imprenditoriali a livello europeo, nazionale e territoriale di concerto con i centri di ricerca, le università e gli Stati membri.

4.2.2

Integrare la dimensione delle PMI in tutte le politiche comunitarie: il CESE ha potuto constatare che, al di là delle dichiarazioni politiche a favore delle piccole imprese, si riscontra sempre una spiccata tendenza nel legislatore a qualsiasi livello — per scarsa conoscenza delle realtà o per volontà di semplificazione — a utilizzare sistematicamente il modello della grande impresa e ad applicare il principio del «bonsai» per cui tutto ciò che va bene per le grandi imprese va bene anche per le piccole. Questo approccio teorico, basato su un modello economico unico, è in contraddizione con la realtà caratterizzata da una pluralità di forme societarie e di modelli d'impresa, e fa sì che nella pratica oltre il 90 % delle imprese europee si senta incompreso e ignorato dalle politiche comunitarie. Il CESE attira in particolar modo l'attenzione delle istituzioni comunitarie e degli Stati membri sul fatto che le piccole e microimprese, punto di forza essenziale dell'economia e dell'occupazione europea, rischiano di diventarne il punto debole non per loro colpa, ma a causa dell'attenzione insufficiente che ricevono dai poteri pubblici a tutti i livelli. Il CESE chiede che lo SBAE costituisca l'occasione di passare all'azione concreta e si aspetta che le esigenze e le particolarità delle varie categorie di PMI diventino un elemento di cui tenere obbligatoriamente conto in tutte le politiche, programmi e negoziati condotti, anche nel quadro del dialogo sociale e delle relazioni internazionali, sia a livello comunitario che nazionale e regionale.

4.2.3

Proseguire la politica di semplificazione amministrativa: il CESE incoraggia vivamente la Commissione a moltiplicare gli sforzi di semplificazione della legislazione comunitaria, ma chiede soprattutto alle istituzioni comunitarie e agli Stati membri di avviare una più efficace politica di semplificazione, articolata in cinque punti:

adottare un'autentica politica Think Small First,

semplificare senza deresponsabilizzare: il CESE dubita dell'opportunità e dell'efficacia di concedere esenzioni sistematiche alle piccole imprese e preferisce l'adozione di criteri di proporzionalità nell'attuazione e una concertazione diretta con le organizzazioni di PMI interessate,

associare sistematicamente le organizzazioni rappresentative delle varie categorie di PMI al processo legislativo comunitario, nazionale e regionale e al dialogo sociale ai diversi livelli, intensificando inoltre la collaborazione con il CESE e il Comitato delle regioni,

applicare sistematicamente il principio dell'Only Once su tutti i piani e a tutti i livelli di governo,

elaborare guide pratiche e documenti esplicativi per rendere comprensibili e più facilmente recepibili le normative adottate.

4.2.4

Sostenere le attività di accompagnamento e consulenza delle organizzazioni intermediarie. Le organizzazioni intermediarie che rappresentano le varie categorie di PMI sono un elemento essenziale del successo delle politiche comunitarie: alle PMI che richiedono competenze particolari esse prestano infatti servizi di assistenza tecnica che la nuova rete European Enterprise Network (EEN) non è in grado di offrire. Esse svolgono un ruolo insostituibile nella trasmissione delle informazioni e nell'assistenza alle imprese, permettendo in particolare di adeguare la legislazione alla specifica situazione individuale di ciascuna impresa e di tradurla a livello microeconomico e locale, anche al livello più prossimo alla piccola impresa. Da un lato, il CESE ritiene essenziale che i pubblici poteri a tutti i livelli intraprendano una politica proattiva di sostegno alle attività di tali organizzazioni e che i programmi comunitari che interessano le PMI prevedano espressamente misure in loro sostegno. Dall'altro, chiede alla Commissione, agli Stati membri e alle regioni di attuare le conclusioni formulate su questo tema dalla 4a Conferenza europea dell'artigianato e piccole imprese svoltasi a Stoccarda.

4.2.5

Rilanciare i programmi di cooperazione tra imprese e i programmi di scambio tra organizzazioni. Il CESE chiede alla Commissione di rilanciare i programmi di cooperazione interregionale fra le imprese che in passato si sono dimostrati efficaci; occorre inoltre sostenere le azioni condotte dalle organizzazioni intermediarie o permettere la creazione di organi destinati a favorire tale cooperazione.

4.3   Adottare uno SBAE realmente efficace

4.3.1

In questo contesto, il CESE si rallegra che il Consiglio e la Commissione si siano espresse a favore di uno SBAE, avendone esso stesso auspicato l'adozione a più riprese (1). Considera che, per essere efficace, tale SBAE debba rispondere a più condizioni:

4.3.1.1

deve mirare a creare il migliore ambiente possibile per le PMI e le microimprese a tutti i livelli e dare risposte concrete alle varie sfide che le PMI devono affrontare nel loro ciclo di vita, tra cui in particolare il trasferimento e la cessione; in questo senso, lo SBAE non deve portare a un indebolimento delle condizioni di lavoro dei lavoratori delle PMI; al contrario, le iniziative adottate dovrebbero consentire di tenere maggiormente conto della loro situazione;

4.3.1.2

deve apportare un reale valore aggiunto e non limitarsi a riunire i programmi esistenti e a coordinare semplicemente le diverse misure in corso;

4.3.1.3

non deve essere soltanto un'ulteriore dichiarazione d'intenti, come lo è stata purtroppo la Carta europea delle piccole imprese, né limitarsi a un semplice impegno politico da parte delle istituzioni comunitarie e degli Stati membri: le PMI e le microimprese europee meritano di più e il CESE ritiene che per sancire e dimostrare la volontà dell'UE di migliorare la propria azione verso le PMI e le microimprese occorra dare allo SBAE un valore giuridico;

4.3.1.4

esso deve essere vincolante nella sua totalità e imporsi a tutti i livelli decisionali — europeo, nazionale e regionale — rivolgendosi ai pubblici poteri di tutti i livelli, pur lasciando agli Stati membri il compito dell'attuazione (2);

4.3.1.5

deve applicarsi a tutte le politiche comunitarie integrandovi le PMI e sviluppando un approccio globale che tenga adeguatamente conto di tutti gli aspetti delle politiche e delle conseguenze delle nuove norme per le diverse categorie di PMI.

4.3.2

Il CESE chiede che lo SBAE preveda cinque misure politiche principali atte a garantire che la legislazione non limiti lo sviluppo e la competitività delle diverse categorie di PMI.

4.3.2.1

Garantire che i testi legislativi a tutti i livelli siano concepiti tenendo conto delle situazioni specifiche e delle esigenze particolari delle varie categorie di PMI. A tal fine occorre stabilire una regola di base valida per tutti i livelli decisionali, per cui l'elaborazione delle proposte legislative presuppone la conoscenza delle necessità e delle aspettative delle PMI, specie le più piccole, e il rispetto del principio Think Small First, con un'attenzione particolare per i lavoratori autonomi, che rappresentano oltre la metà delle imprese europee. Ciò implica in particolare la consultazione sistematica delle organizzazioni di rappresentanza delle PMI e un'adeguata partecipazione di esperti di queste organizzazioni a tutti i comitati consultivi regionali, nazionali o europei che trattano problematiche che possono avere un impatto sulle PMI, come richiesto dal Consiglio Competitività del 13 marzo 2006.

In quest'ottica, il CESE chiede che in ogni direzione generale della Commissione sia nominato un responsabile per le PMI con il compito di fare in modo che le misure legislative e i programmi gestiti dalla rispettiva DG tengano conto delle priorità e delle attese delle PMI e delle microimprese.

4.3.2.2

Garantire che la legislazione rispetti i principi fondamentali. Per il CESE, l'efficacia della legislazione a qualsiasi livello e quella dei programmi e delle misure collettive o individuali adottate a favore delle PMI dipende da quattro principi, che auspica di veder iscritti nello SBAE e applicati sistematicamente a tutti livelli — europeo, nazionale e regionale:

una valutazione d'impatto sistematica per le PMI : nessun testo legislativo dovrebbe potere essere adottato se non è stato precedentemente oggetto di una valutazione d'impatto sistematica che misuri gli effetti economici e sociali diretti e indiretti, l'onere amministrativo, i costi d'informazione e l'investimento che la norma comporterà per le varie categorie di imprese del settore d'attività interessato nonché i benefici che esse potranno trarne,

il principio di proporzionalità : la legislazione non deve imporre misure inutili alle PMI, ma limitarsi allo stretto necessario; le condizioni di applicazione della legislazione devono essere adeguate alle realtà e alle diverse situazioni delle imprese interessate e alle loro capacità di attuazione,

il principio dell' Only Once: le PMI sono entità produttive, non servizi amministrativi: esse non possono essere soggette più di una volta a dichiarazioni e procedure amministrative su uno stesso tema e spetta alle autorità amministrative interessate comunicarsi reciprocamente le informazioni. Negli sportelli unici questo principio potrebbe tradursi nell'applicazione del principio «un imprenditore — un interlocutore unico», con l'appoggio delle organizzazioni intermediarie che già svolgono questo ruolo a livello nazionale,

il principio di salvaguardia : non può essere adottata una normativa che sia contraria allo sviluppo delle PMI e che rischi di frenarne la competitività. Dovrebbe essere prevista la possibilità di bloccare ogni nuova proposta legislativa che non sia stata sottoposta a una valutazione d'impatto completa o che preveda misure che appaiono in contraddizione con lo sviluppo socioeconomico delle PMI.

Il CESE sottolinea inoltre la necessità di realizzare e garantire la piena trasparenza delle procedure amministrative, consentendo alle PMI di accedere a tutti i dati amministrativi che le riguardano e di correggerli in base alle loro esigenze.

4.3.2.3

Organizzare una politica dell'innovazione ampliata e coerente. Il CESE chiede che la Commissione, gli Stati membri e gli enti territoriali non si limitino a sostenere l'innovazione nell'alta tecnologia e che adottino un atteggiamento più proattivo, includendo nei loro programmi misure specifiche di sostegno all'innovazione a bassa e media tecnologia e all'innovazione non tecnologica diffusa nelle PMI, particolarmente le più piccole.

La nuova rete di consulenza dello European BIC Network (EBN) non basterà mai da sola per intervenire efficacemente in tutte le imprese dotate di un potenziale d'innovazione; il CESE chiede che lo SBAE stabilisca le priorità seguenti:

incoraggiare le parti sociali ad avviare nelle PMI un dialogo volto a realizzare un ambiente di lavoro propizio alla creatività e all'innovazione,

sostenere la nomina di consulenti nelle organizzazioni intermediarie delle PMI e delle piccole e microimprese al livello più vicino all'impresa e promuovere l'erogazione di una formazione mirata agli imprenditori e ai lavoratori per favorire l'innovazione, utilizzando le nuove opportunità offerte dai mercati in via di trasformazione,

creare strumenti finanziari adeguati alla situazione delle imprese più piccole, assicurandosi che essi vadano a sostenere anche misure destinate ai lavoratori,

indurre gli Stati membri e le regioni ad avviare, in collaborazione con le organizzazioni delle PMI, una campagna per l'individuazione delle innovazioni tecnologiche e non tecnologiche nelle PMI e soprattutto nelle microimprese.

4.3.2.4

Ampliare l'accesso ai programmi comunitari. Il CESE ritiene che la complessità amministrativa e i diversi requisiti imposti rendano la partecipazione delle piccole imprese ai programmi comunitari sempre più difficile, se non impossibile, determinando paradossalmente un crescente disinteresse delle organizzazioni intermediarie per questi programmi. Ad esempio, i vincoli giuridici che esistono attualmente non consentono di condurre azioni innovative e di sostenere progetti pilota sperimentali, privando così l'UE di un gran numero di proposte innovative. Il CESE è dell'avviso che principi e dispositivi debbano essere riveduti: data l'entità del lavoro, non spetta al presente parere precisare le modifiche necessarie. Il CESE chiede tuttavia alla Commissione, nel contesto dello SBAE, di avviare una concertazione con le organizzazioni di rappresentanza delle PMI per stabilire nuove condizioni per l'elaborazione e la partecipazione ai programmi ai diversi livelli territoriali.

In questo contesto, è necessario che i fondi strutturali permettano di favorire l'accesso delle PMI agli appalti pubblici, in particolare nelle regioni più svantaggiate (3).

4.3.2.5

Facilitare e incoraggiare il trasferimento e la cessione di imprese. Il CESE sottolinea in particolare la sfida del trasferimento e della cessione di imprese, in particolare delle piccole imprese di produzione e di servizi in ambito urbano e rurale: la loro annunciata, ma non ineluttabile, scomparsa avrà considerevoli effetti negativi sulla salvaguardia delle attività economiche e dei posti di lavoro in questi spazi. Occorre quindi, da un lato, favorire la creazione di sistemi che facilitino i contatti tra acquirenti e venditori e di incentivi finanziari o fiscali e, dall'altro, incitare gli imprenditori a una migliore capitalizzazione dell'impresa al fine di mantenere il valore dei loro attivi.

La situazione particolare vissuta dagli imprenditori in talune zone, come ad esempio quelle rurali, richiede l'elaborazione di formule innovative come i partenariati pubblico-privati.

4.4   Il nucleo dello SBAE dovrebbe essere uno strumento giuridicamente vincolante

4.4.1

Affinché lo SBAE sia realmente efficace, il CESE chiede che esso sia adottato dal Consiglio e dal Parlamento sotto forma di atto giuridico vincolante a livello europeo, nazionale e regionale.

4.4.2

In questo contesto, il CESE chiede una valutazione annuale dell'attuazione dello SBAE e del complesso delle politiche a favore delle PMI sia a livello comunitario che nazionale; chiede inoltre che venga elaborato un resoconto annuale dei progressi realizzati, che dovrà essere oggetto di un capitolo distinto nel quadro dell'attuazione della strategia di Lisbona.

4.4.3

Queste relazioni annuali consentiranno alla Commissione di formulare raccomandazioni in materia d'attuazione nei confronti sia degli Stati membri che delle regioni, raccomandazioni su cui il CESE conta di poter formulare propri pareri.

4.4.4

Il CESE chiede che queste valutazioni annuali portino — se del caso — all'adattamento o alla revisione dello SBAE e delle politiche riguardanti le PMI.

4.4.5

Il CESE raccomanda vivamente alla Commissione e al Consiglio di associare molto strettamente le organizzazioni di rappresentanza delle varie categorie di PMI nell'elaborazione e nell'attuazione dello SBAE.

Bruxelles, 9 luglio 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Cfr. il parere del CESE sul tema Il potenziale delle imprese, specie quello delle PMI (strategia di Lisbona) (GU C 256 del 27.10.2007, pag. 8).

(2)  Cfr. il parere del CESE 979/2008 sul tema Gli appalti pubblici internazionali (GU C 224 del 30.8.2008, pag. 32), in cui il CESE si dichiara contrario «all'introduzione nell'UE di un sistema di quote per le PMI come quello previsto dallo Small Business Act (Legge sulle piccole imprese) americano».

(3)  Cfr. nota 2.


3.2.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 27/12


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione — Agenda per un turismo europeo sostenibile e competitivo

COM(2007) 621 def.

(2009/C 27/03)

La Commissione, in data 19 ottobre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione — Agenda per un turismo europeo sostenibile e competitivo.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il proprio parere in data 13 giugno 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore MENDOZA CASTRO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 10 luglio 2008, nel corso della 446a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 108 voti favorevoli e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo accoglie con favore e apprezza la Comunicazione della Commissione Agenda per un turismo europeo sostenibile e competitivo e appoggia l'impegno di rafforzare chiaramente la sua strategia e la sua politica per il turismo dei prossimi anni, dotandole di tale Agenda, il cui compito è proprio quello di tradurle nella pratica. I tratti essenziali di questa nuova politica si erano già delineati nella precedente comunicazione Rinnovare la politica comunitaria per il turismo: una partnership più forte per il turismo europeo.

1.2

Il Comitato riconosce lo sforzo compiuto dalla Commissione per sintetizzare in poche pagine i numerosi documenti, opinioni e dibattiti importanti sul tema del turismo. Il risultato di questo lavoro corrisponde pienamente al compito, che consisteva nel comunicare chiaramente alla società l'esito dei lavori del Gruppo per la sostenibilità del turismo, degli esperti che hanno elaborato il parere e della successiva consultazione pubblica.

1.3

Il Comitato giudica positivamente sia la decisione di fondare la nuova politica sulla strategia di Lisbona rinnovata che gli obiettivi generali di miglioramento della competitività e della sostenibilità, nonché quelli più specifici di prosperità economica, equità e coesione sociale, protezione dell'ambiente e della cultura.

1.4

Giudica inoltre positivamente le sfide individuate dalla comunicazione e le soluzioni proposte per affrontarle. Si propone una metodologia basata sulla partecipazione di tutti gli attori, attraverso forme diverse di collaborazione e «collaborazione competitiva». Questa partecipazione è considerata la spina dorsale della nuova politica del turismo e della sua agenda di applicazione. L'importanza delle sfide descritte dalla comunicazione è evidente, e in futuro uno degli elementi chiave dell'agenda dovrà essere lo studio continuo delle conseguenze delle emissioni di gas a effetto serra sulla sostenibilità.

1.5

Il Comitato ritiene adeguato l'impegno assunto dalla Commissione di attuare questa politica attraverso il dialogo, la cooperazione, il lancio di azioni di sostegno e il coordinamento tra gli attori. L'Agenda per un turismo europeo sostenibile e competitivo rappresenta lo sviluppo della metodologia concreta e degli strumenti di attuazione proposti per ciascuno degli attori del settore turistico europeo. Attraverso la DG Impresa, tuttavia, la Commissione può e deve svolgere un ruolo più attivo e diventare capofila delle numerose iniziative in ambito europeo, quali il turismo sociale, il turismo per tutti e la formazione nel settore turistico. In particolare, sia la Commissione che le altre istituzioni dovrebbero impegnarsi di più per coinvolgere le piccole e medie imprese e le microimprese nella sostenibilità del turismo e nell'Agenda come strumento volto all'attuazione e al conseguimento di questo obiettivo. Il CESE apprezza particolarmente l'iniziativa della Commissione Destinazioni europee d'eccellenza, che va considerata una buona pratica e un esempio da seguire.

1.6

Il CESE propone e raccomanda ancora una volta di potenziare il Forum europeo del turismo e sviluppare ulteriormente la riflessione e lo studio in merito alla creazione di un Consiglio consultivo europeo del turismo e di un'Agenzia europea del turismo. Le due istituzioni potrebbero forse offrire alle autorità e ai diversi operatori del settore turistico uno spazio di incontro per migliorare e diffondere le informazioni sul tema del turismo sostenibile e competitivo, monitorare l'attuazione della politica e dell'agenda del turismo europeo e in particolare cercare di percepire le tendenze del settore e definire le azioni da intraprendere. Un obiettivo su cui potrebbero concentrarsi sarebbe in particolare l'interpretazione dei cambiamenti climatici e delle loro conseguenze per il turismo e l'individuazione di azioni da intraprendere in tale ambito.

1.7

La volontà mostrata dalla Commissione di migliorare l'uso degli strumenti finanziari a disposizione è molto positiva. Più precisamente, nell'ambito del turismo sociale il momento è opportuno per avviare, sotto forma di progetto pilota, alcune esperienze di carattere transnazionale. Tra gli esempi di questa iniziativa potrebbero esserci il turismo sociale e il turismo per tutti, lo sviluppo delle risorse umane, lo sviluppo del prodotto e la penetrazione del mercato. Il Comitato ritiene che vi siano margini sufficienti per riunire le esperienze transfrontaliere sotto forma di progetti sperimentali in questi ambiti.

1.8

Il CESE si compiace della conclusione dei lavori realizzati sull'Agenda 21 per il turismo, i cui risultati, ripresi nella comunicazione della Commissione Agenda per un turismo europeo sostenibile e competitivo, completano e rendono concreta la politica generale di sostenibilità del turismo europeo. Di fatto, il documento tecnico della commissione istituita a tal fine funge da base e da complemento alla comunicazione della Commissione, e quindi i due documenti vanno considerati congiuntamente.

1.9

In ambito statistico, il CESE si compiace dell'invito a presentare proposte, lanciato dalla Commissione e sollecitato a suo tempo da parte del Comitato stesso, riguardo alla creazione di una rete di Osservatori del turismo che da un lato consentano di tener conto dei dati relativi al settore e dall'altro siano in grado di fornire una visione strategica e prospettica, e la capacità di anticipare e configurare azioni future.

1.10

Il CESE si offre di continuare ad operare nel settore del turismo seguendo gli orientamenti definiti nella comunicazione della Commissione sull'Agenda, e invita le altre istituzioni europee, gli Stati membri, le regioni e gli enti locali, gli operatori del settore, gli imprenditori, i sindacati e tutti i cittadini a collaborare per far conoscere e sostenere il turismo come un diritto universale e come un'attività economica d'importanza strategica per il futuro dell'Europa. Allo stesso modo, tutti gli operatori e i consumatori devono assumersi le loro responsabilità nell'interesse di un turismo più sostenibile e competitivo.

1.11

Sebbene la comunicazione tenga conto di criteri ed elementi di carattere sociale nella configurazione che dà dell'attività turistica, il CESE rimarca l'assenza di un qualche riferimento al concetto e alla realtà della cittadinanza europea; il turismo è, e può essere in modo molto più intenso, un elemento in grado di raccogliere culture e realtà sociali attorno a questa cittadinanza europea che tutti siamo chiamati a promuovere e sviluppare. La varietà e la diversità di culture, lingue, patrimonio naturale e culturale dei diversi Stati d'Europa è una grande ricchezza che può e deve essere utilizzata e sfruttata per permetterci di conoscerci reciprocamente e di riconoscere i nostri diritti di cittadini europei. Altro aspetto al quale si dovrebbe dare molta importanza nei dibattiti e nei documenti sul turismo a livello europeo è la cultura, viste le sinergie che si possono realizzare tra turismo e cultura, come già evidenzia un precedente parere del Comitato.

1.12

Al fine di migliorare la competitività e la sostenibilità del turismo, è opportuno tenere conto delle caratteristiche specifiche delle diverse destinazioni. Il Comitato raccomanda di prendere in considerazione le caratteristiche particolari di quegli Stati membri che dipendono in larga misura dal turismo. Al momento di elaborare politiche e proposte in ambito turistico, è importante tenere conto in modo adeguato delle necessità dei diversi territori. Si raccomanda che le valutazioni d'impatto realizzate dalla Commissione tengano conto della possibile sproporzione nelle conseguenze per le diverse regioni e i diversi settori, per esempio per le destinazioni che dipendono in larga misura dal trasporto aereo e non dispongono di altri mezzi di trasporto o per quelle che ne dipendono in modo quasi totale come le isole.

1.13

Il CESE ritiene che l'insieme dei principi e dei valori citati dalla comunicazione della Commissione (sostenibilità, benessere sociale, competitività, cooperazione, partenariato, redditività, sicurezza, qualità del lavoro, ecc.) faccia di fatto parte di un modello turistico europeo, non tanto come insieme di norme quanto come risultato dell'applicazione generalizzata di questi principi e valori in tutti i territori dell'Unione europea.

1.14

Il CESE invita la Commissione ad avanzare parallelamente con la certificazione a livello europeo delle conoscenze e delle competenze in ambito turistico, al fine di migliorare la quantità e la qualità dell'occupazione nel settore. È altresì opportuno provvedere a un potenziamento dell'Europass, strumento che consente di presentare le capacità e le qualifiche personali in modo semplice e agevolmente comprensibile in tutta Europa (Unione europea, EFTA/SEE e paesi candidati), a beneficio di tutti i lavoratori che desiderino trovare occupazione e trasferirsi in un altro paese del continente per motivi di lavoro.

2.   La comunicazione della Commissione

Per meglio comprendere quanto la Commissione intende comunicare a tutti gli operatori e alle istituzioni europee, si sintetizzano qui di seguito il testo della comunicazione e i suoi principali contributi.

2.1   Introduzione della comunicazione

2.1.1

La sfida dell'equilibrio tra la sostenibilità e la competitività. Nel primo paragrafo dell'introduzione, la comunicazione riconosce in primo luogo il ruolo centrale e strategico del turismo nell'economia europea, sulla base non solo dei dati quantitativi, ma anche della capacità di creare occupazione e di contribuire in questo modo all'obiettivo della strategia di Lisbona rinnovata. È opportuno ricordare il tasso di crescita previsto, superiore al 3 %, che sicuramente costituisce un buon contributo al conseguimento degli obiettivi di occupazione, ma che in certi casi e sul lungo periodo può comportare il rischio di superare i limiti imposti dalla sostenibilità.

2.1.2

Competitività e sostenibilità: due condizioni compatibili. La comunicazione della Commissione esprime con grande chiarezza il rapporto di dipendenza che lega la competitività alla sostenibilità e alla qualità dell'esperienza turistica, e fa espressamente riferimento alle esigenze imposte all'industria turistica dai cambiamenti climatici. La responsabilità sociale delle imprese può contribuire in modo decisivo all'adozione di misure di adeguamento e lotta ai cambiamenti climatici, nonché di aiuto all'innovazione e al valore dei prodotti turistici per un mondo posto di fronte a importanti sfide globali.

2.2

Contenuto dell'Agenda. La Commissione propone di trovare un nuovo equilibrio tra il benessere dei turisti, l'ambiente circostante e la competitività di imprese e destinazioni, equilibrio cui devono contribuire tutti.

2.2.1

Obiettivi e sfide. La comunicazione propone tre obiettivi di base per l'Agenda, che devono servire da orientamento a tutti gli operatori: prosperità economica, equità e coesione sociale, protezione dell'ambiente.

La comunicazione della Commissione individua alcune sfide di grande importanza sulla via verso il conseguimento di questi obiettivi:

gestione sostenibile delle risorse naturali e culturali

riduzione al minimo dell'inquinamento e dell'uso delle risorse

gestione dei cambiamenti nell'interesse del benessere dei cittadini

riduzione della stagionalità della domanda

lotta all'impatto ambientale dei trasporti

turismo accessibile a tutti

qualità dell'occupazione turistica

garanzia della sicurezza dei turisti e delle popolazioni locali.

Questo elenco di sfide è aperto e «in divenire» e i diversi operatori del settore turistico devono continuare ad aggiornarlo, organizzarlo per priorità e gestirlo con spirito di collaborazione.

2.2.2

Un quadro di azione. La comunicazione della Commissione indica nella collaborazione e nella gestione responsabile delle destinazioni, delle imprese e dei turisti gli elementi fondamentali di un'azione coerente per conseguire gli obiettivi e rispondere alle sfide, e descrive le condizioni per la ricerca di questa coerenza.

2.2.3

I principi. La comunicazione indica un totale di nove principi da rispettare per poter pervenire a questo turismo sostenibile e competitivo. Tra questi è opportuno mettere in evidenza:

il rispetto dei limiti che potranno essere stabiliti in relazione alla capacità di accoglienza, alle strutture o al volume dei flussi turistici,

il conseguimento di un ritmo adeguato alle risorse naturali, culturali e sociali disponibili in ogni momento,

la pianificazione di lungo periodo come condizione indispensabile per l'equilibrio tra sostenibilità e competitività.

2.3

Andare avanti insieme. In questo capitolo la Commissione evidenzia la necessità che tutti gli operatori del settore uniscano le forze e agiscano in modo volontario e permanente. Il modello proposto si basa sul rispetto del principio di sussidiarietà, e consiste nell'agire preferibilmente a livello delle destinazioni, ma in un quadro di appoggio nazionale ed europeo. La comunicazione mette poi in rilievo il ruolo dei diversi operatori del settore e quello della Commissione europea alla luce delle disposizioni del Trattato.

2.3.1

Ruolo delle parti interessate. La comunicazione, sulla base delle conclusioni del Gruppo per la sostenibilità del turismo, prevede ampie responsabilità e ruoli specifici per quanto riguarda i tre elementi essenziali: destinazioni, aziende e turisti. Si fa riferimento in particolare all'importanza di comunicare e diffondere tra le microimprese il messaggio della necessità dell'equilibrio tra sostenibilità e competitività.

2.3.2

Il ruolo della Commissione europea. La Commissione riconosce le proprie responsabilità d'iniziativa ai sensi del Trattato, e s'impegna a realizzare e promuovere diverse iniziative a livello comunitario, nel quadro e nello sviluppo dell'Agenda. Tra tali iniziative, meritano particolare attenzione quattro gruppi di azioni:

la mobilitazione degli operatori, al fine di costruire e condividere le conoscenze, sempre nel quadro dell'equilibrio tra sostenibilità e competitività. Il forum annuale europeo del turismo costituisce un buon esempio di scambi di idee e di esperienze,

la promozione e il sostegno alle destinazioni europee di eccellenza come esempio di buone pratiche e la diffusione delle stesse mediante reti di destinazioni impegnate a conciliare sostenibilità e competitività,

l'uso dei diversi strumenti finanziari dell'UE: la Commissione si impegna a diffondere le informazioni sul loro miglior utilizzo in ambito turistico,

l'integrazione della sostenibilità e della competitività nelle politiche della Commissione e nella loro applicazione alle varie realtà territoriali — litorali, montagne, aree rurali e zone urbane — caratterizzate da sensibilità e necessità molto diverse.

2.4   Conclusione della comunicazione

La comunicazione della Commissione si conclude con l'appello a tutte le parti interessate, pubbliche e private, affinché collaborino all'adozione e alla realizzazione pratica dell'Agenda. La Commissione raccomanda ancora una volta la creazione di partnership a tutti i livelli come condizione per migliorare la competitività e assicurare un turismo europeo che attiri e sia sostenibile a lungo termine. La Commissione indica l'anno 2011 come orizzonte per una valutazione del piano d'azione impostato dall'Agenda. L'obiettivo perseguito dalla Commissione nel presentare la comunicazione emerge pertanto con la massima evidenza.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il riconoscimento del turismo e della sua importanza strategica per l'economia europea è stato oggetto di dichiarazioni formali e informali di tutte le istituzioni europee, che rafforzano questo ruolo, contribuiscono a sensibilizzare gli operatori e, in definitiva, danno un forte impulso al settore turistico. Ciò non vale soltanto per l'ambito strettamente economico, ma anche per la sua rilevanza sociale in relazione alla costruzione dell'Europa dei cittadini. Pur riconoscendo questo impulso, riteniamo che possa esistere ancora il margine per consentire al turismo, ora e in futuro, di esercitare questo ruolo centrale nella politica europea.

3.2

Occorre, in particolare, evidenziare che il nuovo Trattato di Lisbona riconosce l'importanza del turismo per l'Europa e conferisce all'Unione europea maggiori possibilità di contribuire al suo sviluppo. Secondo il Trattato, l'UE ha la competenza e il mandato di appoggiare, coordinare o completare l'azione degli Stati membri, e l'obiettivo di promuovere un ambiente favorevole allo sviluppo delle imprese e di favorire lo scambio di buone pratiche.

3.3

Il turismo è oggetto di dibattito in diversi ambiti istituzionali europei:

il Parlamento europeo in varie occasioni ha adottato risoluzioni sulle diverse forme del turismo e sul suo impatto sull'occupazione e l'economia. Basti citare le risoluzioni su «Turismo e sviluppo» e su «Nuove prospettive e nuove sfide per un turismo europeo sostenibile»,

il Consiglio dell'Unione europea si è spesso occupato del turismo nelle sue conclusioni e nei suoi programmi d'azione, sostanzialmente per sottolineare l'esigenza che esso si conformi ai principi di sostenibilità, competitività e capacità di creare posti di lavoro. Merita ricordare in particolare le conclusioni del Consiglio del 7 luglio 2006, che accolgono favorevolmente la comunicazione della Commissione sulla nuova politica turistica dell'UE e invitano la Commissione a svolgere un ruolo attivo di coordinamento delle diverse politiche,

la Commissione europea ha pubblicato diverse comunicazioni in materia; in particolare quella del marzo 2006 stabilisce la nuova politica turistica nell'UE, attraverso la creazione, il potenziamento e la gestione dei Forum europei del turismo, attraverso l'organizzazione di convegni su argomenti diversi quali il turismo sociale o l'Agenda 21 per il turismo e infine attraverso molte altre attività, come il progetto sperimentale sulle «Destinazioni europee d'eccellenza», tramite il quale si riconoscono e si promuovono le buone pratiche applicate negli Stati membri dell'UE e nei paesi candidati,

il Comitato delle regioni ha elaborato inter alia dei pareri in merito alle comunicazioni della Commissione Un approccio di cooperazione per il futuro del turismo europeo e Orientamenti di base per la sostenibilità del turismo europeo,

il Comitato economico e sociale europeo ha sempre nutrito e continua a nutrire un particolare interesse nei confronti del turismo, come dimostrano gli oltre 11 pareri adottati dal 1999 ad oggi, il pieno coinvolgimento nei vari Forum europei del turismo organizzati dalla Commissione, e la partecipazione alle diverse giornate promosse per discutere i vari aspetti del turismo. Particolarmente importante è la collaborazione tra il CESE e le altre istituzioni comunitarie per quanto concerne le iniziative via via intraprese nell'ambito del turismo.

3.4

Il presente parere intende valutare la comunicazione della Commissione sotto il profilo del contributo che essa può dare sia alla politica che alla proposta di modalità di gestione, ma anche avanzare chiare proposte che arricchiscano, se non il testo, almeno il dibattito sullo stesso.

3.5

Analogamente al parere del CESE INT/317, riferito alla comunicazione della Commissione sulla nuova politica per il turismo, questo parere vuole ancora una volta affermare e sottolineare quanto segue:

il turismo è un diritto di tutti i cittadini, come si afferma nel Codice etico mondiale per il turismo, e come tale comporta una serie di obblighi in termini di buone pratiche,

tale diritto produce inoltre ricchezza e redditività diretta e indiretta in particolare tra le micro, piccole e medie imprese, configurando per l'Europa una industria strategica che ha dimostrato la sua stabilità,

la qualità delle prestazioni degli agenti del turismo e la responsabilità dei consumatori nei confronti degli enti locali sono valori da preservare per garantire la sopravvivenza del settore,

a livello locale e regionale il turismo ha, o comunque deve avere, un impatto positivo sul piano economico, sociale, culturale e ambientale e sull'ambiente urbano. In tal senso, esso si rivela uno strumento per conoscere altre culture e modi diversi di essere e di agire e per cooperare a livello interregionale,

il turismo è un settore dinamico in grado di creare, sia nell'immediato che in futuro, posti di lavoro di qualità e stabili con diritti garantiti,

il turismo non è esente da problemi, ad esempio la massificazione e il carattere stagionale, i quali possono provocare una perdita di competitività,

crediamo nell'utilità pratica dell'Agenda per un turismo europeo sostenibile e competitivo dotata di visione chiara e obiettivi ambiziosi,

il modello turistico europeo è una necessità per l'Europa e può essere un riferimento a livello mondiale, se verrà basato non su un numero maggiore di disposizioni normative, bensì sui valori della qualità, della sostenibilità, dell'accessibilità e così via, fatti propri su base volontaria dalle destinazioni turistiche e da tutte le parti interessate,

il modello turistico europeo si alimenta e poggia sulla varietà delle sue destinazioni, sui diversi modi di intendere il turismo e sull'eterogeneità delle sue forme di espressione,

il modello turistico europeo può rappresentare uno strumento efficace a favore della pace e della comprensione tra i popoli.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

La comunicazione della Commissione esprime in modo chiaro la proposta in merito al necessario equilibrio tra sostenibilità e competitività e alle modalità per raggiungerlo nella pratica. Inserire tutti questi elementi in una comunicazione non eccessivamente lunga ha indubbiamente comportato un grande sforzo di sintesi, nonché il ricorso al contributo analitico di numerosi documenti, pareri e dibattiti. Considerando il risultato, si può affermare che la Commissione è riuscita a comunicare chiaramente alla società le sue opinioni fondamentali rispetto al futuro del turismo, illustrando le azioni da compiere in questo settore complesso.

4.2

La Commissione sembra aver ragione nel basare l'Agenda da un lato sull'impatto economico del turismo e sulla sua capacità di creare occupazione tra i giovani, dall'altro sulla ricerca del necessario equilibrio tra sostenibilità e competitività, obiettivi che sul lungo periodo possono essere complementari. Studi di impatto, come quello sulle conseguenze ambientali delle diverse attività sul territorio, e quello sui limiti di carico e di capacità di accoglienza, sono elementi essenziali per conseguire e mantenere l'equilibrio tra queste variabili. Il presupposto generale secondo cui l'attività turistica ha dei limiti e dei ritmi massimi è alla base dell'equilibrio tra sostenibilità e competitività.

4.3

Forse, però, la comunicazione della Commissione avrebbe potuto analizzare in modo più particolareggiato il nuovo Trattato di Lisbona, per cercare di capire in che modo esso si articoli con l'Agenda, e che cosa presupponga per l'applicazione della nuova politica europea per il turismo. Non bisogna dimenticare che gli Stati e le regioni hanno affermato in diverse occasioni la volontà di mantenere le loro competenze in questo campo, senza che ciò significhi che l'Unione europea debba rinunciare a promuovere e coordinare alcuni aspetti comuni che possono migliorare la competitività del turismo europeo. Per esempio, la creazione e il mantenimento di un portale europeo per la promozione del nostro continente come destinazione turistica è già una realtà preziosa e un fattore di arricchimento, in grado di presentare l'insieme dei paesi UE come destinazione varia e privilegiata.

4.4

Le sfide e gli obiettivi che la Commissione illustra nella sua comunicazione sono sicuramente i più importanti tra quelli cui il turismo dovrà far fronte nei prossimi decenni. Le sfide fondamentali della sostenibilità e del miglioramento della competitività sono senz'altro sufficientemente ampie per comprenderne altre importanti, come ad esempio il miglioramento della qualità, la problematica della stagionalità o la necessità di una maggiore professionalità degli addetti, sfide illustrate anche dall'Agenda.

4.5

Nella comunicazione, la Commissione fa continui richiami alla partnership, il cui rafforzamento, coerentemente con la nuova politica per il turismo, è indicato come l'asse portante e l'elemento identificante della stessa. È importante in particolare sottolineare il ruolo delle organizzazioni sindacali e dei datori di lavoro, che devono essere incluse nel processo di partnership, intervenire in tutti i dibattiti e forum e partecipare all'attuazione delle misure generali per il miglioramento del settore. Sarebbe anche opportuno potenziare le reti delle città e delle destinazioni turistiche già consolidate, create con la volontà comune di migliorare la competitività e la sostenibilità. Il Comitato accoglie favorevolmente la promozione delle «Destinazioni turistiche d'eccellenza» e insiste sulla necessità che questo concetto includa una corretta gestione delle relazioni di lavoro e la partecipazione delle organizzazioni sindacali e imprenditoriali alla scelta delle destinazioni, al fine di rafforzare la sostenibilità e la competitività delle destinazioni turistiche.

È opportuno ricordare il ruolo che possono svolgere, nell'ambito delle loro competenze, le organizzazioni dei consumatori.

4.6

La Commissione si impegna ad attuare questa politica attraverso la cooperazione, il lancio di azioni specifiche di sostegno e il coordinamento tra gli attori. La ricerca di una maggiore responsabilità di tutti gli operatori del settore è sicuramente un'esigenza dell'Agenda. A parere del CESE, la DG Impresa svolge un ruolo fondamentale in questa azione di coordinamento di tutte le politiche europee che riguardano il turismo in maniera più o meno diretta e che interessano i diversi tipi di destinazione, dotati anch'essi di caratteristiche specifiche.

4.7

Inoltre, la Commissione dovrebbe intervenire più attivamente nella realizzazione delle iniziative di livello europeo, tra cui quella relativa al turismo sociale transnazionale in un contesto europeo. Concretamente, merita ricordare che il CESE ha proposto varie volte, e torna a proporre, di promuovere e potenziare il Forum europeo del turismo e stimolare la riflessione e lo studio in merito all'eventuale creazione di un Consiglio consultivo europeo del turismo e di un'Agenzia europea del turismo, organi che servano da contesto di informazione e di follow-up delle politiche e delle azioni dell'ambito turistico europeo. Si propone inoltre alla Commissione di promuovere la ricerca per l'introduzione nel settore turistico di piattaforme tecnologiche in grado di migliorare gli aspetti di promozione commerciale, soprattutto dinanzi alle possibilità di promuovere il turismo interno europeo e quello dalle regioni del mondo che sono fonti potenziali di flussi turistici (Cina, India, Russia, ecc.).

4.8

A parere del Comitato, nella comunicazione la Commissione non attribuisce un'attenzione sufficiente al ruolo delle Tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) all'interno del nuovo scenario turistico, dal punto di vista dei consumatori, delle imprese e degli operatori del settore. Gli sforzi nel campo della ricerca e sviluppo, volti a migliorare l'utilizzo di dette tecnologie in ambito turistico, dovranno essere una priorità per gli anni a venire. Tali sforzi porteranno sicuramente a una migliore gestione delle destinazioni, delle imprese e dei turisti, e favoriranno il conseguimento dell'equilibrio desiderato.

4.9

È importante il fatto che la Commissione abbia espresso la volontà di adottare misure concrete e, soprattutto, di utilizzare meglio gli strumenti finanziari europei disponibili. Manca però la proposta di un programma specifico volto a realizzare le sfide importanti del turismo europeo, sfide che la Commissione individua perfettamente nella comunicazione. È necessario far sì che tutti i fondi destinati direttamente o indirettamente al turismo conseguano i propri obiettivi in maniera efficace ed efficiente.

4.10

Non si può comprendere questa comunicazione senza tenere conto dell'importante contributo del rapporto del Gruppo per la sostenibilità del turismo, documento che fornisce criteri significativi per l'elaborazione dell'Agenda, in particolare per quanto riguarda l'assegnazione dei ruoli a ciascun operatore del settore. Gli sforzi profusi da importanti esperti nel corso di vari mesi hanno sicuramente dato i loro frutti e hanno contribuito con punti di vista complementari e concreti a dare risposta a numerosi interrogativi sui temi della sostenibilità e della competitività.

4.11

In questo caso la comunicazione non indica con chiarezza quale ruolo attribuire alle statistiche in ambito turistico. È altresì necessario che tali statistiche contribuiscano in modo chiaro al follow-up dell'applicazione dell'Agenda e in particolare che attribuiscano maggiore importanza alle variabili concernenti la sostenibilità, la competitività e l'occupazione.

4.12

La comunicazione della Commissione sottolinea con grande chiarezza la necessità di integrazione tra le politiche di sostenibilità e competitività per il settore turistico e le altre politiche della Commissione e di tutta l'UE, al fine di assicurare il conseguimento degli obiettivi indicati dall'Agenda.

4.13

Come già sottolineato dal CESE nei suoi pareri Dichiarazione di Katowice sulla politica turistica nell'Unione europea allargata e Turismo e cultura: due forze al servizio della crescita, nel parere sulla nuova politica per il turismo e in altri documenti, sarebbero necessarie anche opportune campagne di comunicazione, finalizzate all'educazione e alla motivazione e rivolte a tutti i cittadini europei, ma in particolar modo ai giovani.

4.14

È inoltre molto importante che la formazione professionale, sia formale che sul luogo di lavoro, risponda alle esigenze delle imprese e migliori l'occupabilità delle persone. La certificazione e il riconoscimento a livello europeo delle conoscenze e delle competenze deve essere uno strumento per agevolare la creazione di più posti di lavoro e di migliore qualità in ambito turistico.

4.15

Per rafforzare la competitività e la sostenibilità del turismo, non si può prescindere dalle caratteristiche particolari delle diverse destinazioni. Nell'elaborazione delle politiche e delle proposte, il Comitato raccomanda di tenere conto delle caratteristiche specifiche degli Stati membri che dipendono in larga misura dal turismo e di attribuire la necessaria importanza alle esigenze dei diversi territori. Al contempo, va osservato che il turismo verso destinazioni remote può avere un impatto particolarmente forte sui cambiamenti climatici per gli effetti e le emissioni dovuti ai viaggi su lunghe distanze. In futuro potrebbe essere necessario insistere maggiormente sui vantaggi di destinazioni più vicine al punto di partenza, raggiungibili con emissioni di carbonio più ridotte.

Bruxelles, 10 luglio 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Il seguente testo del punto 4.15 del parere della sezione specializzata è stato modificato da un emendamento approvato dall'Assemblea, ma ha ottenuto più di un quarto dei voti espressi.

«Per rafforzare la competitività e la sostenibilità del turismo, non si può prescindere dalle caratteristiche particolari delle diverse destinazioni. Nell'elaborazione delle politiche e delle proposte, il Comitato raccomanda di tenere conto delle caratteristiche specifiche degli Stati membri che dipendono in larga misura dal turismo e di attribuire la necessaria importanza alle esigenze dei diversi territori.»

Esito della votazione

Voti favorevoli all'emendamento: 48, voti contrari: 43, astensioni: 16


3.2.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 27/18


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro bianco sull'integrazione dei mercati UE del credito ipotecario

COM(2007) 807 def.

(2009/C 27/04)

La Commissione europea, in data 18 dicembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al:

Libro bianco sull'integrazione dei mercati UE del credito ipotecario.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 giugno 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore GRASSO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 9 luglio 2008, nel corso della 446a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 123 voti favorevoli, 1 voto contrario e 5 astensioni.

1.   Valutazioni e raccomandazioni

1.1

Ancora una volta la Commissione chiede al nostro Comitato un parere sulla questione dell'integrazione del mercato dei mutui ipotecari per l'acquisto di immobili residenziali e non. Si tratta del Libro bianco sull'integrazione dei mercati UE del credito ipotecario.

1.2

Di solito il Libro bianco è frutto di una valutazione politica quasi definitiva e strutturata su «cosa fare». Questa volta non è così. Infatti, la Commissione, dovrà passare in esame molte questioni ancora incerte, quali: fondi comuni di investimento, fornitori di finanziamenti, il tying (prodotti abbinati), ecc. In totale sono presi in considerazione 14 aspetti.

1.3

Il Libro bianco, quindi, non è rappresentativo di un percorso concluso, al contrario rimane aperto per la sua effettiva e riscontata complessità. A cosa serve, allora, la richiesta di un ulteriore parere, visto che il Libro bianco nulla aggiunge di nuovo al Libro verde, già oggetto di parere da parte del CESE?

1.4

È un problema che da molti anni continua ad emergere su vari tavoli di discussione senza che la Commissione trovi una via d'uscita e senza mai prendere una vera decisione che comporti la rimozione degli ostacoli culturali, giuridici, amministrativi, ecc., che a parere del CESE rappresentano i veri e reali ostacoli agli obiettivi della Commissione.

1.5

Il parere sul Libro verde espresso dal CESE (1) e approvato in plenaria nel dicembre 2005 con una sola astensione è tuttora valido nella sua interezza.

1.6

Il Libro bianco, ancora oggi, fotografa una situazione di elevata frammentazione del settore, conseguente alle specificità di ordine culturale, giuridico, legislativo ed etico-sociale che caratterizzano l'acquisto di un immobile, in particolare di un'abitazione, nei diversi Stati dell'Unione.

1.7

Il CESE, comunque, in linea di principio, pur perplesso sulle possibilità concrete di integrare ed omogeneizzare il mercato del credito ipotecario in una UE dove sono presenti specificità e caratteristiche profondamente differenti (parere BURANI del 15 dicembre 2005 (2)), ritiene utile il tentativo della Commissione di stabilire delle «regole», siano esse suggerimenti di mera condotta (c.d. best practices) siano esse cogenti.

1.8

L'intervento, però, potrebbe essere valutato eccessivo quando si volessero mettere in discussione le opportunità, altrettanto positive, già oggi insite negli automatismi di regolazione del mercato dei mutui ipotecari.

1.9

Il CESE propone che, nel frattempo, la Commissione approfondisca l'esame di quelle tematiche (es. registri creditizi, esecuzioni immobiliari, diffusione della cultura finanziaria, ecc.) che non presentano eccessive difficoltà, sempre che ne valga la pena.

1.10

Il Comitato ritiene che nell'orientamento della Commissione si riscontri un'eccessiva focalizzazione dell'intervento sui possibili benefici a breve derivanti dall'eventuale introduzione di nuove regole basate su schemi interpretativi del mercato del credito ipotecario alquanto parziali. Secondo un approccio orientato ai risultati di breve termine, si mira a ridurre il costo dei finanziamenti ipotecari senza invece interessarsi all'effettiva utilità che i cittadini comunitari potrebbero estrarre dall'offerta attuale di prodotti di finanziamento e da innovazioni che la riguardassero.

1.11

Il CESE ritiene (come ribadito anche dal parere BURANI) lo schema proposto dalla Commissione poco allineato alle continue evoluzioni del mercato, tanto da essere preoccupato delle conseguenze di lungo termine sui contraenti più deboli: quei consumatori, cioè, più bisognosi di tutele.

1.12

Il CESE apprezza il fatto che vengano collegate le attuali regole del credito ipotecario con la necessità di tutelare il consumatore. Queste sono intenzioni apprezzabili e da incoraggiare se volte a diffondere una maggiore cultura finanziaria sul tema dei mutui ipotecari. Merita, quindi, plauso la volontà della Commissione di procedere a intensificare le regole di trasparenza per tutelare al meglio il consumatore.

1.13

Sembra però, allo stesso tempo, difficoltoso e aleatorio imporre a tutti i costi regolamenti generalisti finalizzati alla valutazione del rischio, che deriva dal soggetto richiedente il credito.

1.14

A parere del CESE occorre, da una parte, tutelare il consumatore in fase di negoziazione del prestito ipotecario, dall'altra, il soggetto finanziato deve rimanere cosciente delle sue responsabilità nei confronti dell'ente concedente il prestito.

2.   Sintesi del documento della Commissione

2.1

Il 18 dicembre 2007 è stato licenziato il documento denominato Valutazione di impatto {SEC(2007) 1683} che accompagna il c.d. Libro bianco sull'integrazione del mercato comunitario dei crediti ipotecari. Al documento si associano tre allegati afferenti rispettivamente: i) le caratteristiche del mercato del credito ipotecario; ii) le procedure o processi; iii) le valutazioni di impatto su aspetti specifici.

2.2

Sebbene un'ottima sintesi della documentazione è riscontrabile esaminando il documento SEC(2007) 1684, vale la pena sottolineare, per brevità, alcuni punti essenziali del documento su cui viene richiesto un nuovo parere al CESE:

è fotografata una situazione di elevata frammentazione conseguente alle specificità di ordine culturale, legislativo e — soprattutto — di valore etico e sociale che l'acquisto dell'immobile di abitazione rappresenta nei diversi Stati dell'Unione,

sono ribaditi tutti gli aspetti di delicatezza della problematica anche sotto il profilo economico-finanziario data l'importanza del mercato immobiliare nelle diverse economie dei paesi dell'Unione, nonché il contributo che gli impieghi ipotecari danno alla redditività del comparto bancario,

è sottolineato come, nell'odierna situazione di frammentarietà, si potrebbe anche ricorrere alla «presentazione di un nuovo atto normativo» per accrescere l'integrazione del mercato.

2.3

Il documento della Commissione, dunque, riprende i punti già oggetto di analisi del precedente Libro verde sul credito ipotecario. Non poteva essere diversamente, dato che il nuovo documento tratta dell'integrazione dei mercati del credito ipotecario e delle relative valutazioni di impatto già citate.

2.4

Tuttavia, relativamente al Libro verde, il CESE ha già espresso il proprio parere in data 15 dicembre 2005 (relatore: BURANI). Quanto contenuto in tale documento è a tutti gli effetti la posizione del CESE in materia. Il presente parere intende concentrare l'attenzione su due punti aggiunti dalla Commissione:

esprimere il proprio parere sulle intenzioni di intervento che la Commissione stessa propone alla luce delle valutazioni di impatto emergenti dal Libro bianco (3),

la richiesta di formulare proposte come richiesto dalla Commissione allorquando conclude che «un programma ampio di monitoraggio e valutazione potrà essere sviluppato dopo che proposte dettagliate saranno state fatte» (4).

3.   Osservazioni del CESE al Libro bianco

3.1

Il Libro bianco solleva un'ampia gamma di problematiche da risolvere su cui il CESE è chiamato ad esprimere il suo parere. Si tratta di 11 ceppi tematici:

1)

la scelta del prodotto necessario;

2)

l'estinzione anticipata;

3)

mix di prodotti;

4)

registri creditizi;

5)

valutazioni immobiliari;

6)

procedure di esecuzione immobiliare;

7)

registri nazionali;

8)

normativa applicabile;

9)

regole sulle variazioni dei tassi e sui tassi cosidetti usurari;

10)

finanziamento del credito ipotecario;

11)

istituzioni non bancarie e di servizio.

3.2   Osservazioni sui singoli punti della valutazione di impatto

3.2.1

Informativa precontrattuale . Per migliorare gli squilibri sull'informazione della fase precontrattuale, il CESE ritiene importante la circolazione e diffusione dell'informazione e della conoscenza specifica della materia dei mutui ipotecari. Ciò non deve costituire aggravio di costo per il cittadino.

3.2.1.1

L'aumento dell'informazione e la diffusione della cultura finanziaria sono condizioni per valutare efficacemente il rapporto costo-beneficio derivante da una situazione di rischio. Infatti, il miglior strumento di prevenzione di eventuali rischi eccessivi è quello di mettere le parti contraenti nella effettiva consapevolezza dell'esposizione agli stessi.

3.2.1.2

Il CESE ritiene importante sottolineare che le regole e le norme debbano riguardare le modalità di circolazione delle informazioni e la previsione di eventuali azioni punitive per il loro mancato rispetto. Tuttavia, il Comitato è del parere che l'imposizione sic et simpliciter di un obbligo a carico di una sola parte contraente avrebbe come unico effetto il tentativo di rivalsa dell'onere sull'altra parte.

3.2.2

Codici di condotta . Il CESE ritiene che vengano adottati incentivi per l'adesione al codice di condotta volontario.

3.2.2.1

Ciò consentirebbe al soggetto finanziato di acquisire maggiore consapevolezza del rischio che potrebbe correre e della possibilità di ottenere condizioni vantaggiose di finanziamento.

3.2.2.2

Lo strumento che si suggerisce potrebbe essere quello di richiedere alla persona finanziata di rispondere ad una lista di quesiti standard per la valutazione della propria capacità di sostenere l'impegno finanziario di medio-lungo termine.

3.2.3

Tasso di costo . Il CESE ritiene opportuno l'obbligo per gli enti finanziatori di indicare il costo complessivo dell'operazione, scomponendolo nelle sue diverse componenti, compresa la variabile fiscale.

3.2.4

Consulenza . A proposito della consulenza, il CESE è del parere che i servizi di consulenza, strettamente legati a operazioni di finanziamento ipotecario, debbano essere valorizzati con meccanismi di pricing autonomo, seppure esplicitati nel computo del costo dell'operazione.

3.2.5   Estinzione anticipata

3.2.5.1

Applicabilità . Quando si parla del problema dell'estinzione anticipata si dovrebbe distinguere tra: (i) il caso di rimborso anticipato con estinzione totale o parziale del debito ipotecario; (ii) il caso di estinzione conseguente ad opportunità di negoziare condizioni di costo più vantaggiose con altri istituti finanziari.

Nel primo caso, il CESE ritiene importante consentire sempre il rimborso anche parziale anticipato,

nel secondo caso, dovrebbe svolgersi con il trasferimento del contratto di finanziamento a un altro istituto finanziatore.

3.2.5.2

Costo . Per quanto riguarda i costi dell'estinzione anticipata, si ritiene che essi debbano essere calcolati in base a formule matematiche ed esplicitati obbligatoriamente nei rapporti contrattuali. L'addebito del costo al cliente dovrebbe avvenire solo in caso di rimborso volontario del finanziamento. Nel caso di cessione del contratto l'onere dovrebbe essere a carico dell'istituto finanziario subentrante.

3.2.6

Product tying . La vendita abbinata di prodotti per essere valida deve fondarsi sopratutto sulla capacità di dimostrare l'effettiva utilità dell'abbinamento. Il CESE ritiene possibile porre rimedio a questo problema obbligando il soggetto erogatore a fornire il computo del rapporto costi/benefici e lasciando al soggetto finanziato un congruo tempo per decidere sull'accettabilità della proposta, eventualmente anche dopo la stipula del contratto di finanziamento.

3.2.7

Registri creditizi . Il CESE a tal proposito condivide l'esigenza di disporre di un registro paneuropeo il cui accesso sia regolato da specifiche normative sulla privacy. Si ritiene infatti che la creazione di un registro creditizio paneuropeo possa essere un elemento utile ad accentuare la competizione transeuropea fra diversi erogatori di credito ipotecario. In ogni caso, occorre facilitare l'accesso transfrontaliero ai registri di ciascun paese, semplificando le procedure di informazione.

3.2.8

Valutazione immobiliare . Si muove dal presupposto che la valutazione immobiliare è un'azione più complessa della generica valutazione finanziaria. Infatti la specificità del bene (in particolare la sua inamovibilità) ne condiziona l'utilità, e inoltre influiscono sulla sua valutazione fattori esterni legati al territorio, come:

la morfologia,

i servizi alla mobilità,

la densità demografica, ecc.

Di conseguenza, pensare di sintetizzare in una formula specifica di valutazione immobiliare tutte le determinanti di valore è pura utopia.

3.2.8.1

Criteri di valutazione immobiliare . Sottolineata, quindi, la grande complessità della valutazione immobiliare, per i motivi prima detti, non si ritiene utile ricorrere a una formula specifica universale. Si propone, invece, di sviluppare le c.d. best practices su base locale, e rafforzare l'obbligatorietà che la valutazione venga sviluppata da soggetti di provata professionalità certificati dalle associazioni di categoria, i quali si assumano anche la responsabilità in merito alla fairness del dato proposto.

3.2.8.2

Valutazione dei rischi immobiliari . Il CESE è poi del parere che accanto alla valutazione immobiliare sia opportuno accertare la volatilità del valore riscontrato, per avere una migliore valutazione della garanzia offerta dall'immobile. In proposito si suggerisce il ricorso a strumenti già in uso presso gli operatori del mercato finanziario e sostanzialmente recepiti da altre normative comunitarie, come ad esempio il value-at-risk  (5).

3.2.9

Esecuzioni immobiliari . Quando si scompone il finanziamento ipotecario in un credito al bene immobiliare e uno alla persona finanziata, occorrerebbe anche distinguere fra beneficiario economico dell'immobile e intestatario che dà la garanzia formale.

3.2.10

Normativa applicabile . Il CESE è del parere che la possibilità di effettuare proficui arbitraggi fra le diverse opportunità offerte dalle normative civili e fiscali dei paesi dell'Unione sia una forza di spinta all'integrazione del mercato altrimenti non realizzabile.

3.2.10.1

Di conseguenza, si è in linea di principio favorevoli al mantenimento delle diverse normative esistenti nei paesi aderenti dando la possibilità al contraente di scegliere quella che contribuisca a ridurre il costo complessivo dell'operazione di finanziamento, come già previsto dalla Convenzione di Roma (6).

3.2.11

Tassi usurari . Su questo tema il CESE conferma il parere già espresso in passato, in particolare per quanto attiene l'estrema difficoltà di definire correttamente un livello usuraio di tasso ricorrendo a schemi normativi adottati per il c.d. credito al consumo. Tuttavia, si sottolinea che la miglior arma di difesa contro l'usura rimane l'informazione. Il CESE propone allora di istituire strumenti di comunicazione su vasta scala in merito alle fasce dei premi a rischio praticati per le diverse classi di rischio dei finanziati.

3.2.12

Rifinanziamento del credito ipotecario . Il CESE ritiene che la posizione del Libro bianco volta a differenziare le regole di rifinanziamento in base della natura soggettiva degli intermediari (distinguendo fra quelli bancari e non bancari) sia troppo facilmente eludibile.

3.2.12.1

Istituzioni non bancarie e di servizio . L'erogazione del finanziamento ipotecario dovrà essere sempre svolta da una istituzione finanziaria regolamentata e controllata. La promozione e l'assistenza di strutture di intermediazione (ad esempio: di consulenza) è consentita purché svolta da istituzioni qualificate anche se non creditizie.

4.   Proposte del CESE da sviluppare

4.1

La recente crisi americana dei mutui c.d. subprime ha messo in evidenza come la volatilità dei prezzi degli immobili unita a pratiche poco approfondite di valutazione del rischio-cliente per il mancato pagamento di rate sovradimensionate rispetto al valore degli immobili stessi dati in garanzia, possa generare crisi finanziarie di dimensioni tali da destabilizzare l'intero sistema. Occorre quindi che qualunque intervento in sede comunitaria faccia tesoro di questa esperienza oltre che dei punti commentati nel precedente paragrafo.

4.2

L'introduzione di un eventuale ventottesimo regime di regolamentazione del credito ipotecario, che affianchi quelli già presenti nei paesi dell'Unione così come suggerito dal Libro bianco, potrebbe aiutare una maggiore integrazione del mercato comunitario dei mutui ipotecari aumentando così le opportunità di scelta dei contraenti, senza però creare i presupposti di instabilità del sistema finanziario messi in evidenza dalla crisi dei mutui subprime.

4.3

Succede che le scelte di acquisto di un immobile, soprattutto se residenziale, sono influenzate in parte da fattori emotivi (soggettivi) che nulla hanno a che fare con una corretta e razionale valutazione del bene (oggettiva). Pertanto, qualunque intervento della Commissione tendente a regolare il credito ipotecario, non potrebbe prescindere, per essere efficace, dall'ambito (oggettivo o soggettivo) di riferimento.

4.4

Sarebbe interessante sviluppare una proposta, che il CESE potrebbe approfondire, consistente nell'adozione di un schema interpretativo del credito ipotecario, che suddivida ogni operazione di finanziamento in un portafoglio composto da due componenti passive:

la prima è un finanziamento di bene (asset backed), il cui valore è dato dal prezzo del mercato e dalla possibile volatilità del valore dell'immobile,

la seconda è un finanziamento di scopo (alla persona), il cui valore è dato dalle capacità e dalle prospettive economico-finanziarie del contraente.

4.5

L'adozione di uno schema di doppia composizione (twin-mortgage) potrebbe presentare dei vantaggi, da verificare nell'approfondimento, fra i quali:

la semplificazione della valutazione dei rischi legati alla parte più razionale dell'operazione (finanziamento asset backed) rispetto a quelli derivanti dalla solvibilità finanziaria del prenditore di mutuo (finanziamento personale di scopo),

la possibilità di praticare prezzi trasparenti rispetto alle diverse situazioni di rischio che caratterizzano le due componenti dell'operazione di finanziamento (finanziamento oggettivo del bene e soggettivo alla persona),

la riduzione degli effetti negativi sul sistema finanziario in caso di mancati pagamenti da parte di un eccessivo numero di persone finanziate, diversamente dalle conseguenze sopportate recentemente dal mercato finanziario (c.d. crisi dei mutui subprime).

4.6

Il CESE auspica che la Commissione arrivi al più presto alla conclusione di questo iter mostrando più determinazione, e creando le condizioni perché la separazione degli aspetti istituzionali possa essere alla base dell'avvio di un eventuale ventottesimo regime.

Bruxelles, 9 luglio 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  GU C 65 del 17.3.2006, pag. 113, relatore: BURANI.

(2)  GU C 65 del 17.3.2006, pag. 113, relatore: BURANI.

(3)  Cfr. allegato 2 al Libro bianco, the disclaimer e pag. 5 versione inglese.

(4)  Cfr. allegato 2 al Libro bianco, punto 8.

(5)  Cfr. direttiva sui servizi di investimento, conosciuta come direttiva MIFID, Markets in Financial Instruments Directive (direttiva 2004/39/CE), approvata il 21 aprile 2004, pubblicata sulla Gazzetta ufficiale ed entrata in vigore il 30 aprile 2004.

(6)  Cfr. COM(2005) 650 def. del 15 dicembre 2005.


3.2.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 27/22


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'evoluzione del settore della costruzione in Europa

(2009/C 27/05)

Il 6 dicembre 2007 la vicepresidente della Commissione europea e commissaria responsabile delle relazioni istituzionali e strategia di comunicazione Margot WALLSTRÖM, e il vicepresidente della Commissione europea e commissario responsabile delle imprese e industria Günter VERHEUGEN hanno chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere esplorativo sul tema:

L'evoluzione del settore della costruzione in Europa.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il parere in data 13 giugno 2008, sulla base del rapporto introduttivo del relatore HUVELIN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 10 luglio 2008, nel corso della 446a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 57 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1

Contrariamente a quanto si potrebbe credere, il futuro dell'industria della costruzione dipenderà non tanto dagli stanziamenti pubblici che saranno erogati (anche se una maggiore continuità della programmazione costituirebbe un sicuro vantaggio), quanto dalla capacità delle autorità competenti di far evolvere il quadro regolamentare — valido per tutti — in modo da garantire una concorrenza quanto più possibile trasparente e uno sfruttamento ottimale del potenziale e dell'esperienza delle imprese di tutte le dimensioni.

1.2

In considerazione di quanto sopra, il presente parere raccomanda sostanzialmente:

di definire al più presto per regolamento procedure di gara uniformi, che offrano ai committenti, e in particolare a quelli pubblici, una gamma quanto più possibile ampia e chiara di strumenti contrattuali, tra i quali scegliere quello che meglio risponde alle loro esigenze,

di offrire ai professionisti della costruzione possibilità normative che consentano loro di fornire un importante contributo alla risoluzione delle sfide dello sviluppo sostenibile; grazie alla considerazione del costo globale, al ricorso al partenariato pubblico privati di ogni dimensione e a finanziamenti basati sulle prestazioni attese, le imprese piccole e grandi sono ormai pronte per raccogliere e vincere questa sfida,

di curare l'immagine del settore della costruzione per attirare le giovani generazioni di studenti e rimediare allo scarso interesse nei suoi confronti,

di fare un importante sforzo nel settore della formazione destinata alle professioni del settore, che rappresentano una percentuale considerevole dell'occupazione non delocalizzabile in Europa,

di promuovere un'edilizia sostenibile nell'UE,

di preservare un contesto economico sano e condizioni di lavoro che rispettino le esigenze delle persone nei paesi in cui lavorano,

di promuovere la competitività europea.

1.3

È questo l'unico modo possibile per prepararsi al probabile arrivo, nel prossimo futuro, di concorrenti extraeuropei.

2.   Introduzione (contesto)

2.1

Con lettera datata 6 dicembre 2007, i commissari europei Margot WALLSTRÖM e Günter VERHEUGEN hanno chiesto al CESE, nel quadro dell'Agenda di Lisbona, di elaborare un parere esplorativo, con l'obiettivo di esaminare se i testi legislativi relativi al settore della costruzione e quelli sui servizi alle imprese formino un corpus coerente, se siano in sintonia con le trasformazioni in corso e con quelle future, e in quale misura sia necessario avviare un esercizio di semplificazione, razionalizzazione e modernizzazione normativa. La lettera dei commissari precisa che tale esercizio non dovrebbe limitarsi alle regolamentazioni riguardanti specificamente i settori interessati, ma estendersi a ogni altro campo correlato allo sviluppo del settore in esame (ad esempio salute e sicurezza sul luogo di lavoro, protezione dell'ambiente, ecc.) e comprendere anche gli interessi legittimi che ruotano attorno a questi ultimi.

2.2

È pertanto necessario esaminare con rigore e metodo tutti gli aspetti menzionati nella lettera con cui il CESE è stato invitato a formulare un parere: il campo è infatti molto vasto, e già nel passato è stato oggetto di vari studi che la Commissione europea aveva affidato a differenti consulenti esterni.

2.3

Il presente parere, tuttavia, si limiterà a esaminare gli aspetti indicati dalla Commissione, cioè le modifiche o semplificazioni legislative o normative applicabili al settore della costruzione e in grado di apportare, nel quadro di una visione strategica e oggettiva del settore, delle innovazioni che comportino migliori condizioni di funzionamento e di sviluppo.

2.4

Il parere contiene pertanto alcune utili precisazioni, che consentono di inquadrare nel giusto contesto le professioni del settore della costruzione e i limiti che le caratterizzano.

3.   Il ruolo del settore della costruzione nell'economia europea

3.1

Dati relativi al settore della costruzione, forte di 2,7 milioni di imprese, nel 2006 (UE-27)

 

2006

Valore aggiunto lordo rispetto al PIL

10,5 %

Ammontare delle remunerazioni dei dipendenti rispetto al valore aggiunto lordo del settore

54,5 %

Investimenti fissi lordi del settore della costruzione rispetto al totale degli investimenti fissi lordi

50,5 %

Occupazione totale del settore della costruzione rispetto al tasso di occupazione totale (1)

7,2 %

3.2   Qualche riferimento

3.2.1

La costruzione è un'attività non delocalizzabile, e quindi essenziale per il futuro della crescita europea e per il tessuto industriale europeo.

3.2.2

Vista la struttura della sua produzione e la necessità di disporre di punti geografici fissi distribuiti su tutto il territorio nazionale e nel contempo profondamente radicati nella vita locale, la costruzione svolge anche un ruolo sociale e civico che non deve essere dimenticato, bensì incoraggiato.

3.2.3

La costruzione deve infine svolgere un ruolo importante in tutte le azioni legate allo sviluppo sostenibile:

in qualità di soggetto imprescindibile degli investimenti da effettuare nel quadro dello sviluppo sostenibile (alloggi, edilizia in generale, trasporti, produzione di energia ecc.),

adattando le proprie modalità di esecuzione, anche nel settore dei materiali, ai bisogni e alle esigenze dello sviluppo sostenibile.

3.2.4

La descrizione del contesto globale del settore della costruzione non sarebbe completa se si tralasciasse di menzionare il fatto che, nonostante gli sforzi fatti dagli operatori del settore negli ultimi 30 anni, le professioni legate alla costruzione risentono ancora in parte di un'immagine negativa. Il presente parere tiene conto di questo elemento, in quanto l'immagine influisce sui seguenti aspetti:

lo spirito delle disposizioni che in alcuni paesi disciplinano gli appalti pubblici e il lavoro illegale,

il reclutamento dei giovani (carattere scarsamente attraente del settore) e la loro formazione, che diventano più difficili (sfiducia del sistema generale di formazione nei confronti del settore della costruzione).

3.2.5

La natura stessa di queste professioni, sia sul piano dei bisogni della clientela che sotto il profilo tecnico, fa sì che il mercato sia estremamente parcellizzato. Questo fenomeno, che continuerà anche nei prossimi anni, comporta inevitabilmente la coesistenza di imprese artigianali, piccole, medie e grandi imprese.

In questo contesto, l'idea che le grandi imprese intervengano solo sulle grandi operazioni deve essere relativizzata: le operazioni di valore unitario superiore a 20 milioni di euro rappresentano solo una quota compresa tra il 2 e il 5 % del mercato edilizio globale europeo.

3.2.6

Per questo motivo i grandi gruppi europei, spesso molto attivi a livello mondiale, sono per lo più «federazioni» di piccole e medie strutture, insediate a livello locale e operanti nello stesso contesto concorrenziale del tessuto locale delle PMI indipendenti.

3.2.7

Generalmente, i grandi operatori europei del settore non si sono sviluppati secondo quello che si può definire «modello americano»: essi hanno invece fatto affidamento sulle proprie capacità e intelligenza, perpetuando e sviluppando essi stessi la loro esperienza e conoscenza; esse hanno inoltre partecipato alla progettazione delle opere realizzate.

3.2.8

È grazie a questo approccio che le imprese europee sono riuscite a ritagliarsi uno spazio sui mercati mondiali. Questo modello, che integra progettazione e realizzazione, non è necessariamente appannaggio dei grandi gruppi, ma può e deve applicarsi a imprese di tutte le dimensioni.

4.   Qualche principio di base

4.1

Al di là della semplificazione della legislazione, il parere esplorativo richiesto dalla Commissione europea dovrà aprire la strada a una procedura che consenta quanto segue:

una vera trasparenza e una situazione di pari opportunità nei bandi di gara,

il passaggio da una cultura di sfiducia, ereditata da un passato ormai lontano, a una cultura di fiducia e partenariato,

la considerazione dell'offerta economicamente più vantaggiosa (miglior offerente) e del costo globale per l'intera vita delle opere realizzate,

la garanzia della proprietà intellettuale,

la definizione di condizioni di lavoro minime nel quadro dell'aggiudicazione dell'appalto come pure il controllo e la sanzione delle eventuali infrazioni,

la riduzione degli obblighi amministrativi, da realizzare limitando al massimo la regolamentazione e le procedure, ma mantenendo al tempo stesso le condizioni di sicurezza e i diritti e doveri dei contraenti.

4.2

Al di là delle fluttuazioni del volume dei mercati, che non sono oggetto del presente parere, questi elementi, di cui si deve tener conto nei testi normativi, dovrebbero consentire lo sviluppo corretto del settore della costruzione, garantendo il rispetto di una politica sociale coerente (occupazione, sicurezza, remunerazioni) e consentendo di rendere il settore più attraente per i diversi interessati (giovani, genitori, insegnanti, ecc.).

5.   Principali proposte

5.1

Gli elementi sui quali riteniamo che le autorità competenti debbano concentrare i loro sforzi, sono i seguenti:

unificazione e semplificazione delle procedure di aggiudicazione degli appalti, per garantire allo stesso tempo la trasparenza e l'ottimizzazione degli strumenti e delle competenze disponibili,

promozione dell'innovazione, grazie tra l'altro alla regolamentazione della questione della proprietà intellettuale delle idee e delle varianti,

formazione, sia nella fase iniziale che, in modo continuativo, nel corso della carriera dei lavoratori,

contributo a modificare l'immagine di questo settore professionale che offre posti di lavoro ai giovani,

norme sociali, che disciplinano contemporaneamente le condizioni di occupazione e le buone pratiche in materia di salute e sicurezza,

sviluppo sostenibile, nel senso ampio del termine, settore nel quale le imprese di costruzione svolgono un ruolo fondamentale, e devono assumersi nuove responsabilità.

5.2   Unificazione e semplificazione delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici

5.2.1

Le azioni potrebbero articolarsi come segue:

trasformare la legislazione sugli appalti pubblici in un regolamento, in sostituzione delle direttive attuali, per unificare realmente le procedure europee e garantire condizioni di concorrenza uniformi,

rafforzare la preferenza sistematica al miglior offerente,

dare al dialogo competitivo un quadro più rigoroso per gli aggiudicatori, in modo da farne realmente una procedura di ottimizzazione e non di «saccheggio» sistematico delle idee e della proprietà intellettuale,

incoraggiare il ricorso alla progettazione/realizzazione, consentendo, già dalla fase di progettazione, di avvalersi dell'esperienza delle imprese e del talento dei progettisti,

accrescere il ricorso ai contratti globali (costruzione/manutenzione o partenariato pubblico-privato) per rispondere adeguatamente alla sfida dello sviluppo sostenibile, preparare e organizzare una risposta adeguata ai tentativi di dumping di alcuni paesi sul mercato europeo,

procedere a un'effettiva armonizzazione delle norme e delle tecniche per eliminare le barriere tecniche nazionali e unificare il mercato europeo,

tenere conto delle esigenze delle piccole imprese per consentire loro di sopravvivere e salvaguardare i posti di lavoro, evitando in tal modo un'eccessiva bipolarizzazione del settore.

Va chiarito che la richiesta di determinate modifiche della regolamentazione non mira ad imporre soluzioni precostituite ma a permettere ai committenti di disporre di una serie completa di strumenti da usare in funzione delle loro necessità.

5.2.2

L'insieme di queste modifiche o adattamenti dovrebbe favorire la trasparenza e le pari opportunità tra strutture private, pubbliche o parapubbliche, e stabilire chiaramente che tutte le prestazioni economiche devono essere messe in concorrenza e formalizzate con un contratto.

5.3   Innovazione e proprietà intellettuale

5.3.1

Nel settore della costruzione, tutte le opere sono prototipi. Ciò induce a cercare una legislazione europea che sia in grado di proteggere la proprietà intellettuale tenendo conto delle peculiarità delle idee da proteggere: si tratta fondamentalmente di idee immaginate per una gara di appalto specifica, che non hanno necessariamente un carattere sistematico ripetitivo. Si dovrebbe creare una legislazione specifica a livello europeo in grado di proteggere le idee tecniche nell'ambito delle procedure di gara, e di stabilire diritti a favore dei partecipanti alle gare d'appalto.

5.4   Formazione

5.4.1

Nella maggior parte degli Stati membri i professionisti del settore constatano che nel complesso i sistemi nazionali di istruzione rispondono in maniera inadeguata alle esigenze del settore, a tutti i livelli di formazione. Pertanto le relazioni tra le professioni e i sistemi di istruzione devono sì essere migliorate a livello nazionale, ma anche promosse a livello europeo. È quindi necessario:

promuovere una legislazione in materia di formazione a favore del settore della costruzione in Europa (riconoscimenti e equivalenze delle formazioni a tutti i livelli),

contribuire a sviluppare una vera valorizzazione delle risorse umane promuovendo la formazione permanente. Notoriamente sotto pressione, il settore della costruzione soffre di un deficit d'immagine presso i giovani e di una mancanza di possibilità nella struttura gerarchica delle carriere. Vi è una grande necessità di competenze in quanto il settore è ormai caratterizzato da professioni qualificate o addirittura altamente qualificate e richiede solide conoscenze di base, che le imprese dovrebbero poi valorizzare consentendo ai propri dipendenti di accedere alla formazione permanente e alle nuove carriere che in tal modo si renderanno possibili,

creare un sistema «Erasmus» per la formazione nel settore della costruzione, per diversi livelli di formazione, avvalendosi delle esperienze già fatte su scala molto piccola (con l'aiuto del FSE in tre settori: pittura, tagliatori di pietra e ristrutturazione degli edifici antichi),

lanciare università europee per le professioni del settore della costruzione e riconoscere il titolo europeo di «partner»,

sviluppare in Europa scuole di direzione di lavori, in modo che i clienti pubblici e privati delle imprese conoscano meglio i contratti e le modalità d'intervento delle stesse imprese,

sviluppare istituti di formazione interaziendali europei,

promuovere qualificazioni europee (per esempio linguistiche).

5.5   Norme sociali — salute/sicurezza

5.5.1

Le norme attuali hanno avuto un impatto molto positivo e significativo sulle modalità di lavoro nel settore della costruzione. Sarebbe tuttavia opportuno:

favorire gli scambi di buone pratiche in materia di salute/sicurezza,

lottare contro il lavoro illegale attraverso strumenti europei (consultazione e interconnessione di banche dati, badge e sistemi di identificazione dei lavoratori), nonché per mezzo di sanzioni e di un regime fiscale adeguato (per esempio una riduzione dell'IVA),

agevolare l'applicazione del regolamento REACH,

facilitare i flussi dei lavoratori senza dumping sociale (accettare le formalità preliminari introdotte dagli Stati membri in materia di distacchi) e consentire il ritorno dei lavoratori europei nel loro paese d'origine,

prevedere la possibilità di rendere esecutive le sanzioni pecuniarie in tutti gli Stati membri,

prevedere, come condizione preliminare della mobilità dei lavoratori, l'accettazione delle condizioni vigenti nello Stato in cui viene svolto il lavoro.

5.6   Sviluppo sostenibile

5.6.1

Di fronte alle sfide globali, tra cui il riscaldamento climatico, i professionisti della costruzione — come detto sopra — svolgono un ruolo fondamentale, di cui oggi sono pronti ad assumersi la responsabilità: le normative e gli incentivi consentono loro, infatti, di apportare il proprio valore aggiunto sul mercato europeo e di diffondere la propria esperienza nelle altre parti del mondo, dove, come è noto, sono necessari sforzi enormi affinché gli effetti delle azioni intraprese siano percettibili per tutti.

5.6.2

Per raggiungere questo obiettivo, si impone la necessità di:

introdurre nelle regole della commessa pubblica europea l'approccio in termini di costo globale (per la durata della vita di un investimento) e definire (eventualmente attraverso il criterio dello «sviluppo sostenibile») il concetto di «miglior offerente». Ciò permetterebbe ai committenti di scegliere tenendo conto in maniera completa della dimensione «sviluppo sostenibile»,

favorire le procedure di PPP (partenariato pubblico-privati), che, per loro natura, integrano progettazione, realizzazione e manutenzione, e potrebbero quindi essere il modo migliore di ottimizzare il concetto di costo globale,

ridistribuire alcuni aiuti finanziari concentrandoli, per tutti i paesi membri, sull'enorme lavoro in corso per rinnovare le infrastrutture energetiche,

incoraggiare i grandi progetti di rinnovamento di opere ed edifici destinati all'uso pubblico,

promuovere lo sviluppo e la valorizzazione degli ecoquartieri (grazie a un'etichettatura comunitaria, a incentivi finanziari e ad altro ancora).

5.6.3

Nei settori delle costruzioni e dei trasporti, se si consente alle imprese di costruzione di intervenire nell'intera catena «progettazione, realizzazione, manutenzione», esse sono in grado di contribuire in maniera decisiva anche al finanziamento delle operazioni necessarie, grazie alla possibilità di gestire sia i costi globali che il finanziamento degli investimenti attraverso il futuro risparmio energetico.

5.7   Le PMI della costruzione

5.7.1

A differenza di quanto avviene per altri settori, per le PMI della costruzione il problema non consiste nell'accesso all'uno o all'altro mercato (cfr. punto 3.2.5).

5.7.2

Per questo motivo, il ragionamento in termini di «quote» ipotizzato da alcuni e respinto dalle autorità europee non viene — a giusto titolo — ritenuto giustificato dai rappresentanti del settore. Inoltre, le cifre addotte dagli uni o dagli altri sono, nella pratica, ampiamente superate in tutti i paesi europei.

5.7.3

Il problema delle PMI, insieme alle questioni affrontate nell'ambito della legge europea per le piccole imprese (Small Business Act) deve quindi essere disciplinato come segue:

attraverso soluzioni intelligenti per il trasferimento delle imprese,

attraverso modelli di aiuti o di condivisione dei servizi o dei mezzi finanziari che consentano, senza falsare la concorrenza, di stabilire le pari opportunità, in particolare nell'accesso delle PMI alle operazioni complesse (partenariato pubblico privati e sviluppo sostenibile),

attraverso soluzioni miranti a facilitare l'accesso delle PMI alla standardizzazione e alle norme.

Bruxelles, 10 luglio 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  L'occupazione nel settore della costruzione rappresenta il 30,4 % dell'occupazione industriale. Fonte: Eurostat e FIEC (Federazione internazionale europea della costruzione).


3.2.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 27/26


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'evoluzione del settore dei servizi alle imprese in Europa

(2009/C 27/06)

Il 6 dicembre 2007, Margot WALLSTRÖM, vicepresidente della Commissione europea e responsabile delle relazioni istituzionali e della strategia di comunicazione, e Günter VERHEUGEN, vicepresidente della Commissione europea e responsabile delle imprese e dell'industria, hanno chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere esplorativo sul tema:

L'evoluzione del settore dei servizi alle imprese in Europa.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 giugno 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore CALLEJA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 9 luglio 2008, nel corso della 446a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 135 voti favorevoli, 2 voti contrari e 12 astensioni.

1.   Introduzione (contesto)

1.1

Margot WALLSTRÖM, vicepresidente della Commissione europea e responsabile delle relazioni istituzionali e della strategia di comunicazione, e Günter VERHEUGEN, vicepresidente della Commissione europea e responsabile delle imprese e dell'industria, hanno chiesto al Comitato economico e sociale europeo (CESE) di elaborare un parere esplorativo sui servizi alle imprese che desse seguito, approfondendola, all'analisi svolta in un precedente parere del CESE in merito ai servizi alle imprese e all'industria (1).

1.1.1

Lo studio dovrebbe tenere conto della grande importanza attribuita dalla Commissione europea all'agenda di Lisbona nel preservare e accrescere la competitività dell'industria europea attraverso una gestione del processo di cambiamento conforme alla strategia europea per lo sviluppo sostenibile e, sul piano sociale, incoraggiando l'emergere di parti sociali rappresentative che negozino al livello appropriato.

1.1.2

Il conseguimento di tali obiettivi deve procedere di pari passo con la semplificazione del quadro regolamentare dell'industria, una priorità politica — questa — che costituisce una piattaforma essenziale della politica industriale della Commissione.

1.1.3

Inoltre, questa politica industriale è caratterizzata da un approccio integrato che tiene conto delle esigenze dei diversi settori.

2.   Sintesi delle conclusioni e raccomandazioni del CESE

2.1   Riconoscere l'importanza del settore dei servizi nello sviluppo economico e sociale

Il CESE ritiene che vi sia urgente necessità di una reale trasformazione nell'approccio ai servizi e di una visione più ampia dei servizi stessi, che non vanno più considerati come una semplice appendice dell'industria manifatturiera. La società sta subendo profonde trasformazioni e i servizi sono al centro di tali trasformazioni. Occorre quindi che la Commissione prenda atto di questa evoluzione e che le attribuisca maggiore importanza.

2.2   Stabilire delle priorità d'azione

Data la vasta gamma di misure che si possono adottare nei settori legati ai servizi alle imprese, è della massima importanza stabilire delle priorità. È urgente realizzare progressi nei dieci obiettivi fondamentali stabiliti nel quadro del programma comunitario di Lisbona 2008-2010, che condizionano direttamente o indirettamente il futuro sviluppo dei servizi. A giudizio del CESE, l'ordine delle priorità dovrebbe essere il seguente:

misure relative alle politiche dei servizi alle imprese e gruppo ad alto livello. Il CESE raccomanda l'istituzione di un gruppo ad alto livello sui servizi alle imprese con il compito di condurre un'analisi approfondita del settore, esaminare le politiche praticate attualmente per individuare e valutare le più efficaci e le più valide per i servizi alle imprese e concepire provvedimenti concreti diretti a coprire le carenze e i bisogni più rilevanti. Occorre considerare con particolare attenzione la natura molto eterogenea dei diversi sottosettori dei servizi alle imprese per stabilire quali meritino maggiore attenzione politica e a quale livello (regionale, nazionale o comunitario),

politiche del mercato del lavoro nei servizi alle imprese. Dal punto di vista sociale, occorre condurre un esame settoriale approfondito delle sfide che pongono i nuovi tipi di occupazione creati dalle interazioni tra i servizi alle imprese e l'industria manifatturiera. L'analisi deve estendersi anche all'istruzione, alla formazione e all'apprendimento lungo tutto l'arco della vita nonché alle condizioni di occupazione dei lavoratori, ivi compresi quelli coinvolti nei processi di esternalizzazione. Per conseguire questo obiettivo dovrebbe essere incentivato il dialogo sociale a livello settoriale. In questo contesto, si dovrebbe elaborare un'agenda per discutere i cambiamenti specifici nelle condizioni di lavoro e le opportunità occupazionali derivanti dalle trasformazioni strutturali che interessano i servizi alle imprese,

servizi alle imprese nelle politiche dell'innovazione. Occorre promuovere vigorosamente i programmi nel campo della R&S e dell'innovazione e le iniziative per l'innovazione nei servizi. Settori come l'innovazione organizzativa, i servizi alle imprese ad alta intensità di conoscenze e la gestione dell'innovazione meritano maggiore attenzione,

sviluppo di standard in materia di servizi alle imprese. Bisogna incoraggiare le imprese a contribuire alla definizione di standard tramite l'autoregolamentazione, dopo un'approfondita consultazione degli utenti dei servizi alle imprese. Il sostegno del Comitato europeo di normalizzazione (CEN) e dei suoi partner (piattaforma aperta) è essenziale per diffondere i risultati dell'innovazione, specie attraverso un processo rapido ed informale di costruzione del consenso,

promozione della scienza dei sevizi in quanto nuova disciplina di studio e di formazione,

il mercato interno e la legislazione che interessa i servizi alle imprese. Il CESE ha stilato un elenco dei settori che vanno affrontati allo scopo di realizzare una semplificazione, una chiarificazione e una riduzione degli oneri normativi, senza ridurre gli obblighi esistenti in materia di igiene e sicurezza sul lavoro e di rappresentanza dei lavoratori. si richiama l'attenzione sul fatto che, tra l'altro che non è stata condotta una valutazione d'impatto della direttiva sui servizi alle imprese e che questo aspetto merita un impegno particolare, specialmente una volta che la direttiva sia stata recepita nelle legislazioni nazionali. La valutazione d'impatto dovrebbe comprendere anche l'individuazione di altre possibili misure per l'apertura dei mercati e la concorrenza nel mercato interno dell'UE allargata,

ulteriori miglioramenti nelle statistiche relative ai servizi alle imprese. Si raccomanda agli Stati membri di collaborare più intensamente per migliorare le statistiche sui servizi alle imprese e in particolare per disporre di migliori informazioni sui loro risultati e sul loro impatto sull'economia degli Stati membri — uno strumento necessario affinché i governi possano aiutare questo settore a sviluppare pienamente il suo potenziale. Le recenti modifiche al capitolo 74 della Nomenclatura delle attività economiche delle Comunità europee (NACE) non saranno sufficienti a fornire i dettagli necessari per ottenere dati significativi sui servizi alle imprese.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il contesto. Il parere d'iniziativa adottato dal CESE nel settembre 2006 (CCMI/035), proponeva di destinare maggiore attenzione ai servizi alle imprese, dato il loro contributo ai risultati dell'industria manifatturiera europea. Esso spiegava le interazioni tra i servizi e il settore manifatturiero e l'impatto dei servizi sui risultati sociali ed economici in termini di occupazione, produttività e competitività Il presente parere e l'approfondimento analitico dei servizi alle imprese costituiscono il seguito di quel lavoro. È opportuno nel presente parere iniziare dalla definizione dei servizi alle imprese: si tratta di un insieme di attività di servizio che, in ragione del loro impiego in quanto fattori produttivi intermedi, influiscono sulla qualità e sull'efficienza delle attività produttive completando o sostituendo funzioni dei servizi interni all'impresa (Rubalcaba e Kox, 2007). Questa definizione presenta delle analogie con quella della nomenclatura NACE riv. 1 (codici 72-74), con la nuova versione di tale nomenclatura (codici 69-74, 77-78, 80-82) e con la classificazione delle diverse categorie di servizi. I servizi alle imprese si suddividono in due categorie principali:

servizi ad alta intensità di conoscenze (ad esempio servizi informatici, consulenza gestionale, consulenza contabile, servizi fiscali e giuridici, marketing e sondaggi, servizi tecnici e ingegneristici, servizi legati al personale, formazione professionale e assunzioni),

servizi operativi (ad esempio sicurezza, pulizia, amministrazione, scritture contabili, assunzioni con contratti a termine, call center, traduzione e interpretazione).

Scopo del presente parere è contribuire ad un maggiore riconoscimento di questo settore, fare in modo che esso possa svilupparsi senza intralci e sostenere gli sforzi delle economie europee per migliorare la loro competitività sul mercato mondiale.

3.2

Importanza dei servizi e dei servizi alle imprese. I servizi occupano un posto sempre più importante nella percezione di cittadini, professionisti, imprese, regioni e paesi. Essi dominano in larga misura la nuova domanda e offerta dei sistemi economici e sociali attuali. Tuttavia, malgrado essi siano presenti nella maggior parte degli aspetti della vita economica e sociale, gran parte della loro attività non trova riscontro nelle statistiche. La tradizionale suddivisione tra settori produttivi, pur essendo incompleta e nascondendo le forti interrelazioni tra settori economici, consente di stimare l'importanza delle principali attività economiche. In Europa i servizi assumono un'importanza crescente in quanto settore economico. La quota dei lavoratori impiegati in questo settore sull'occupazione totale (70 %) è inferiore a quella degli USA (80 %) ma superiore a quella del Giappone (67 %). In tutte e tre le aree geografiche succitate, lo specifico sottosettore dei servizi alle imprese è cresciuto a un ritmo molto sostenuto, con aumenti analoghi della sua quota sull'occupazione totale. Le imprese per cui la fornitura di servizi alle imprese costituisce l'attività principale rappresentano il 10-12 % dell'occupazione e del valore aggiunto totali. Ma la percentuale degli occupati nel settore aumenta notevolmente se si considerano anche quelle imprese per cui la fornitura di servizi alle imprese costituisce un'attività secondaria. Per quanto riguarda l'Europa, nel 2004 i paesi in testa nell'economia dei servizi alle imprese erano gli Stati del Benelux, il Regno Unito, la Francia e la Germania. Nel periodo 1995-2004 questo settore ha conosciuto un notevole sviluppo in alcuni paesi tra cui Ungheria, Polonia, Austria, Lettonia e Malta. Ciò suggerisce la realizzazione di un certo processo di convergenza tra alcuni Stati membri dell'UE. Le posizioni di questi paesi riflettono soltanto l'occupazione in società per cui i servizi alle imprese rappresentano l'attività principale. La maggior parte di loro sono PMI.

3.3

Valutazione degli sviluppi del settore. Il CESE ha ora riesaminato la situazione alla luce degli sviluppi intervenuti dopo il settembre 2006, data di adozione del suo precedente parere (CCMI/035), e ha notato con soddisfazione come l'importanza dei servizi alle imprese nel settore manifatturiero abbia acquisito un maggior peso nelle decisioni della Commissione:

la comunicazione della Commissione sull'esame intermedio della politica industriale — Un contributo alla strategia dell'UE per la crescita e l'occupazione  (2), documento pubblicato dopo l'adozione del summenzionato parere del CESE, invoca un'iniziativa diretta a uno screening e ad un'analisi della competitività del settore dei servizi e del suo impatto sulla competitività industriale, procedendo all'occorrenza a un monitoraggio settoriale. Ciò dovrebbe consentire di individuare tutti gli ostacoli al miglioramento della competitività e di eliminare le eventuali disfunzioni del mercato che potrebbero giustificare l'adozione di misure per risolvere problemi specifici nei settori industriali e/o dei servizi. Quest'analisi approfondita della Commissione europea è attualmente in corso e dovrebbe concludersi entro la fine dell'anno,

la pubblicazione, nel luglio 2007, del documento di lavoro dei servizi della Commissione dal titolo Verso una strategia europea a favore dell'innovazione nel settore dei servizi — Principali sfide e questioni per le azioni future  (3), il lancio della piattaforma europea per i servizi legati alle imprese nel febbraio 2008 e l'imminente comunicazione sull'innovazione nei servizi (in programma per la fine del 2008) possono costituire importanti passi avanti verso una reale integrazione dei servizi nelle politiche UE in materia di innovazione,

l'adozione della direttiva dei servizi nel mercato interno (4), che dovrà essere attuata non oltre il 28 dicembre 2009, costituirà un'importante svolta nella realizzazione di un autentico mercato interno dei servizi, a condizione che le disposizioni della direttiva vengano recepite nella legislazione nazionale degli Stati membri l'UE e che venga garantita l'applicazione del diritto del lavoro e dei contratti collettivi del paese in cui viene prestato il servizio. Sia le imprese che i consumatori potranno allora trarre pieno vantaggio dalle opportunità offerte. L'adozione della direttiva dovrebbe inoltre incoraggiare il buon funzionamento del mercato dei servizi alle imprese facilitando gli scambi e gli investimenti tra gli Stati membri dell'UE e aprire alle imprese manifatturiere nuove opportunità di scelta migliorando la quantità, la qualità o i prezzi dei servizi. Questi nuovi vantaggi competitivi nell'uso dei servizi alle imprese dovrebbero portare a un aumento dell'occupazione, a un miglioramento della produttività e a migliori risultati economici.

3.4

Azioni di sostegno rivolte ai servizi alle imprese. Al di là delle principali azioni esistenti al livello dell'UE per promuovere i servizi alle imprese nelle politiche industriali e di innovazione, e le potenziali ricadute provenienti dalla direttiva mercato interno, vi sono altre misure della Commissione che indirettamente sostengono il ruolo dei servizi alle imprese nel settore manifatturiero. Ad esempio:

Eurostat ha appena realizzato una versione riveduta della classificazione NACE in modo da ottenere un maggior numero di dati relativi ai servizi,

è stato avviato il progetto Enterprise Europe Network per promuovere l'imprenditorialità e favorire la crescita delle imprese nell'UE integrando le reti degli eurosportelli e dei centri di collegamento innovazione in modo da fornire agli imprenditori oltre 500 punti di contatto (5). Tale iniziativa dovrebbe rivelarsi utile per le PMI e quindi per la grande maggioranza di fornitori di servizi alle imprese,

dal 2005 la Commissione europea ha pubblicato una serie di proposte volte a semplificare e ridurre gli adempimenti burocratici. Le ultime, pubblicate quest'anno, prevedono una riduzione in tempi brevi degli oneri amministrativi (6): si tratta di una buona notizia per le PMI, che risentono di più dell'enorme carico amministrativo a causa delle loro piccole dimensioni,

la comunicazione della Commissione Verso principi comuni di flessicurezza: posti di lavoro più numerosi e migliori grazie alla flessibilità e alla sicurezza  (7) è stata discussa, e si sono compiuti progressi nel dialogo sociale a cura delle parti sociali. Ciò dovrebbe spianare la strada all'applicazione di questo concetto su scala europea, adattandolo però alle circostanze specifiche esistenti in ciascuno Stato membro. Per il settore dinamico dei servizi alle imprese, la flessicurezza negoziata dalla parti sociali può essere utile quando si promuovono contemporaneamente la quantità e la qualità dell'occupazione. Il coinvolgimento delle parti sociali è fondamentale affinché l'UE sia in grado di rispondere efficacemente alle pressioni della globalizzazione,

la Commissione ha pubblicato una comunicazione dal titolo Verso un maggior contributo della normalizzazione all'innovazione in Europa  (8), che promuove tra l'altro l'accelerazione della cooperazione con l'industria e altri soggetti interessati ai fini dello sviluppo, realizzazione e uso di standard a sostegno dell'innovazione nella prospettiva di una politica industriale sostenibile.

3.5

Principali esigenze del settore dei servizi alle imprese. Malgrado i progressi in corso nelle azioni relative ai servizi, bisogna tenere conto di una serie di importanti lacune ed esigenze. Sebbene i servizi costituiscano il segmento di gran lunga più grande dell'economia e contribuiscano alla crescita in ogni aspetto della vita economica e sociale, l'attuale quadro politico europeo è fortemente squilibrato a favore del settore manifatturiero.

3.5.1

La maggior parte delle iniziative orizzontali e settoriali rientranti nella politica industriale dell'UE, al livello sia nazionale che comunitario, si concentra sul settore manifatturiero, indipendentemente dall'intrinseco ruolo di sostegno svolto dai servizi alle imprese in tale ambito. È dunque necessario definire quanto prima una politica dell'UE equilibrata che non sottovaluti l'importanza dei servizi alle imprese per la competitività globale del settore manifatturiero europeo e per l'economia nel suo insieme. Le politiche orizzontali incentrate su un settore economico devono essere veramente orizzontali e soddisfare i bisogni delle aziende e dei lavoratori della nuova economia dei servizi, in cui il settore industriale e quello dei servizi sono inestricabilmente legati tra loro creando nuove opportunità per l'economia europea nel mercato mondiale direttamente risultanti dalle sinergie reciproche. Molte delle iniziative comunitarie che compongono la politica industriale devono essere adeguate e applicate ai servizi. Ciò riguarda questioni come un mercato interno dei servizi pienamente efficace, il commercio internazionale, le regole sugli aiuti di Stato, il mercato del lavoro, le misure sociali, la politica in materia di formazione e la politica regionale, la R&S, l'innovazione, la standardizzazione, l'imprenditorialità, il miglioramento delle statistiche e delle informazioni, con la presa in considerazione, se necessario, delle esigenze specifiche dei servizi. Ciò non significa che tutte le politiche dovrebbero essere concepite verticalmente in funzione dei servizi, ma piuttosto vuol dire che si dovrebbero passare al vaglio le implicazioni di tutte queste politiche sui servizi e adottare, nei casi opportuni, specifici provvedimenti.

3.5.2

Alcune esigenze importanti possono essere accertate nei seguenti settori:

i servizi alle imprese nell'ambito delle politiche industriali. Sulla scorta della recente inclusione dei servizi alle imprese nelle politiche industriali e dell'esercizio di screening in corso, si dovrebbe prestare maggiore attenzione alle specifiche condizioni in cui l'uso dei servizi favorisce i risultati dell'industria, ad esempio il ruolo dei servizi per la competitività industriale e la produttività in una prospettiva economica. Per far fronte alla concorrenza mondiale l'Europa deve investire nell'innovazione, nella conoscenza, nella progettazione, nella logistica, nel marketing e in altri servizi alle imprese: in altre parole, nell'intera catena del valore globale,

i servizi alle imprese nell'ambito della politica di occupazione e di formazione. La maggior parte degli impieghi è nel settore dei servizi e continuerà a essere così (i decisori politici non dovrebbero dimenticare che il 20 % dei fattori produttivi intermedi dell'industria manifatturiera deriva dai servizi). Perciò, l'impatto potenziale dell'approvvigionamento su scala globale e della delocalizzazione sull'occupazione nei servizi (fino al 30 % in base a uno studio condotto dall'OCSE nel 2006) costringe gli Stati membri a rafforzare le competenze idonee e le qualifiche che consentiranno alla loro industria di resistere alla concorrenza mondiale,

i servizi alle imprese nell'ambito delle politiche di innovazione e produttività. La promozione dell'innovazione nei servizi è fondamentale per rafforzare la competitività industriale grazie a fattori di qualità. L'innovazione nei servizi esercita un forte impatto positivo sulla qualità, l'occupazione e le interazioni con i clienti. I servizi alle imprese sono in grado di offrire posti di lavoro di qualità in buone condizioni di lavoro e ambienti ad alta intensità di conoscenze. In questi casi i lavoratori contribuiscono a rendere possibile e riuscita l'innovazione nei servizi. Questa può consentire a un'impresa di migliorare la propria posizione competitiva e ai lavoratori di sviluppare nuove opportunità di lavoro. I vantaggi dell'innovazione nei servizi dovrebbero essere sfruttati per stimolare gli stagnanti tassi di crescita della produttività nei servizi alle imprese. I bassi tassi di crescita della produttività prevalgono nella maggior parte dei paesi, anche se, a causa dei problemi di misurazione statistica, il contributo dei servizi alle imprese all'incremento della produttività globale è sottostimato,

i servizi alle imprese e il mercato interno. L'obiettivo è creare un mercato europeo dei servizi e consentire così all'UE di svolgere un ruolo decisivo nel processo di globalizzazione, tenendo conto di tutti i fattori che influenzano i mercati e la competitività. Occorre uno specifico follow-up del recepimento della direttiva sui servizi negli Stati membri e del suo impatto sui servizi alle imprese,

i servizi alle imprese e le regioni. In molte regioni vi è una scarsa presenza di servizi alle imprese, in quanto questi si concentrano generalmente nelle grandi aree metropolitane e nelle regioni ad alto reddito. A livello regionale, è importante promuovere e stimolare sia la domanda che l'offerta di servizi alle imprese e approfittare al massimo delle reti esistenti per potenziale le sinergie tra i diversi attori locali,

i servizi alle imprese e altre politiche collegate. Vi sono due tipi di politiche collegate ai servizi alle imprese: le politiche a carattere normativo (mercato interno, concorrenza, miglioramento normativo, appalti pubblici) e quelle a carattere non normativo (innovazione, competenze, qualità e occupazione, standard, imprese e PMI, politiche regionali, conoscenza e statistiche). Va prestata particolare attenzione al ruolo degli standard, alla nuova disciplina della scienza dei servizi e alle statistiche.

3.6

Interazioni tra le attività dei servizi alle imprese e politiche mirate. L'esperienza ha mostrato come le misure generali proposte potrebbero interagire e consentire un forte sviluppo dei servizi alle imprese per affrontare le sfide a venire. Andrebbe tenuto conto delle sinergie e delle interazioni tra diversi tipi di politiche.

3.7

Occorre adottare una logica economica nella definizione delle specifiche politiche comunitarie intese a potenziare le attività dei servizi alle imprese, come dimostrato recentemente da Kox e Rubalcaba (Business Services in European Economic Growth, 2007). A sostegno delle loro argomentazioni essi hanno messo l'accento soprattutto sulle disfunzioni del mercato e sistemiche, come ad esempio l'asimmetria delle informazioni e le esternalità.

3.8

Agenda di Lisbona 2008-2010. Le politiche in materia di servizi alle imprese potrebbero rivelarsi utili nel quadro delle proposte per un programma comunitario di Lisbona 2008-2010 (COM(2007) 804 def.). La maggior parte dei dieci obiettivi chiave da realizzare entro il 2010 ha un effetto diretto o indiretto sui servizi.

3.8.1

La Commissione proporrà un'agenda sociale rinnovata entro la metà del 2008 e contribuirà ad affrontare il problema dell'insufficienza di lavoratori altamente qualificati. Nella maggior parte dei servizi alle imprese a largo impiego di manodopera si possono individuare deficit gravi e forti bisogni. Nel parere L'occupazione per le categorie prioritarie (strategia di Lisbona)  (9), il CESE osserva che gli ambiziosi obiettivi occupazionali di Lisbona sono stati conseguiti in misura limitata e che molti dei nuovi posti di lavoro creati negli ultimi anni, in particolare per quanto riguarda le donne, sono a tempo parziale. Inoltre, i lavoratori più anziani sono confrontati a una palese carenza di posti di lavoro adeguati e i giovani sono per lo più occupati in forme di lavoro atipiche (non standard), in alcuni casi senza adeguate garanzie giuridiche e sociali. Il parere del CESE sottolinea che nel contesto della flessicurezza occorre disporre di un elevato grado di sicurezza sociale, di politiche attive del mercato del lavoro e di un buon sistema di istruzione, formazione e formazione continua.

3.8.2

All'inizio di quest'anno la Commissione ha avanzato proposte per una politica di immigrazione comune: ciò potrebbe avere ripercussioni per quanto riguarda l'immigrazione di lavoratori altamente qualificati in settori come ad esempio i servizi alle imprese ad elevata intensità di conoscenza, e di lavoratori meno qualificati in attività come i servizi di pulizia e di sicurezza.

3.8.3

La Comunità adotterà uno Small Business Act (legislazione a favore delle piccole imprese) per liberare il potenziale di crescita delle PMI in tutto il loro ciclo di vita. Il settore dei servizi alle imprese è quello che presenta il più alto tasso di creazione di nuove imprese (start-up) e di liquidazione di imprese, per cui si ritiene opportuno prestare particolare attenzione alle nuove PMI. Nel parere d'iniziativa Il potenziale delle imprese, specie quello delle PMI  (10), il CESE ha chiesto l'adozione di orientamenti più mirati, semplici e integrati in materia di PMI per gli anni 2008-2010 onde favorire la crescita e l'occupazione. Le PMI beneficeranno inoltre della riduzione del carico amministrativo comunitario del 25 % entro il 2012.

3.8.4

La Comunità intende rafforzare il mercato interno e aumentare la concorrenza nei servizi. Il succitato parere del CESE (INT/324) lamenta l'incompletezza del mercato interno, in particolare le lentezze nell'applicazione delle direttive da parte degli Stati membri, gli oneri amministrativi e la scarsa mobilità della manodopera. Per le PMI queste sono barriere enormi da superare.

3.8.5

La Comunità darà realizzazione concreta alla quinta libertà (libera circolazione delle conoscenze) e creerà un vero Spazio europeo della ricerca. I servizi alle imprese ad alta intensità di conoscenze possono avere un ruolo da svolgere nell'ambito di questa priorità fissata nella strategia di Lisbona.

3.8.6

La Comunità migliorerà le condizioni generali di riferimento per l'innovazione. Il CESE ha elaborato anche un parere sul tema Investire nella conoscenza e nell'innovazione  (11), il cui messaggio di fondo è che l'Europa deve rimanere all'avanguardia nella ricerca, nello sviluppo tecnologico e nell'innovazione e che è necessario aumentare i finanziamenti dal bilancio UE, migliorare i sistemi d'istruzione e innalzare gli standard generali; sono inoltre necessari un clima sociale di apertura al progresso e all'innovazione, la creazione delle condizioni necessarie per l'adozione di decisioni che diano sufficiente fiducia nell'economia e ottimismo affinché gli investitori siano disposti a investire il loro capitale in nuove imprese in Europa, la sensibilizzazione dei cittadini all'importanza fondamentale della ricerca di base, l'incoraggiamento dello spirito imprenditoriale in quanti sono disposti a innovare e a rischiare e l'accettazione della dose di fallimenti e perdite che il rischio inevitabilmente comporta. Il CESE ha anche esaminato l'ambiente giuridico e sociale per un'imprenditorialità innovativa e un mercato favorevole all'innovazione.

3.8.7

La Comunità promuoverà una politica industriale mirata a una produzione e a un consumo più sostenibili. Il ruolo dei servizi ambientali alle imprese nella politica industriale può essere inserito nel quadro di tale priorità.

3.8.8

La Comunità condurrà negoziati bilaterali con i suoi principali partner commerciali per aprire nuove opportunità per il commercio internazionale e gli investimenti e per la creazione di uno spazio comune di disposizioni regolamentari e standard.

4.   Prioritarizzazione nelle azioni a favore dei servizi alle imprese

Le azioni devono essere definite secondo una gerarchia di priorità perché l'ambito dei servizi alle imprese copre una vasta aerea d'intervento. Secondo il parere del CESE l'ordine delle priorità dovrebbe essere il seguente:

4.1

Priorità 1 — Istituzione, da parte della Commissione europea, di un gruppo ad alto livello sui servizi alle imprese nel contesto della politica imprenditoriale e industriale, onde garantire che le misure politiche tengano conto delle interazioni dei servizi con il settore industriale e le attività economiche nel loro complesso. Gli obiettivi principali di tale gruppo potrebbero essere i seguenti:

approfondire l'analisi dei bisogni dei servizi alle imprese, ivi compresi quelli dei sottosettori molto diversificati dei servizi alle imprese,

passare al vaglio le politiche esistenti che interessano i servizi alle imprese ed elaborare interventi concreti al livello di governo appropriato (regionale, nazionale o comunitario),

raccomandare obiettivi strategici da conseguire nei negoziati dell'OMC sul GATS, ponendo particolarmente l'accento sulle misure necessarie per consentire alle PMI del settore dei servizi di esportare,

individuare e raggruppare i soggetti interessati nei settori in cui la rappresentanza è molto limitata e frammentata,

creare un osservatorio europeo dei servizi alle imprese per monitorare i risultati delle misure attuate dagli interventi comunitari e diffondere le migliori pratiche. Tra i membri di tale osservatorio dovrebbero esservi rappresentanti del CESE, dei sindacati, delle associazioni di imprese e degli esperti dei servizi alle imprese.

4.2

Priorità 2 — Promozione di un dialogo sociale specificamente incentrato sui servizi alle imprese e formulazione di raccomandazioni riguardanti:

le nuove opportunità occupazionali,

l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita,

le sfide dell'esternalizzazione e dell'offshoring,

l'individuazione delle carenze nelle qualificazioni richieste,

lavoro a tempo parziale e telelavoro,

l'opportunità di adottare la flessicurezza nei servizi alle imprese (argomento già trattato in generale dal CESE in un recente parere — SOC/283),

la mancanza di personale nei servizi alle imprese a elevata intensità di conoscenze e il ruolo dell'immigrazione,

la mobilità.

Nella pratica la fattibilità e l'efficacia di un dialogo sociale settoriale di questo tipo (per esempio il riconoscimento degli accordi e il sostegno organizzativo) dipenderà dall'individuazione e dal riconoscimento delle associazioni rappresentative europee dei lavoratori e dei datori di lavoro.

4.3

Priorità 3 — R&S e innovazione nei servizi:

esame delle modalità di innovazione nei servizi alle imprese e dell'impatto dell'innovazione sulla produttività e sulla crescita economica e sociale,

ruolo dei servizi alle imprese a elevata intensità di conoscenze nello sviluppo dell'innovazione nei servizi,

rapporto tra sviluppo delle TIC e innovazione nei servizi,

esame dei programmi di R&S e innovazione per valutare la posizione dei servizi alle imprese,

applicazione delle tecniche manifatturiere flessibili (lean) ai servizi,

ruolo dell'innovazione nei servizi e altri possibili interventi per i servizi a elevata intensità di conoscenze a livello regionale. Uso delle politiche dell'innovazione per promuovere l'offerta e la domanda di servizi alle imprese.

4.4

Priorità 4 — Definizione di standard. Lo sviluppo di standard nel settore dei servizi è proceduto lentamente. Solitamente è un'attività trainata dalla domanda. Dal lato dei fornitori di servizi vi sono problemi strutturali: nella maggior parte dei casi si tratta infatti di piccole imprese che non aderiscono a organizzazioni rappresentative nel loro paese e ciò si riflette anche sul piano europeo, in cui la categoria non è adeguatamente rappresentata in alcuna organizzazione di livello europeo. L'unico modo per migliorare la situazione è quindi quello di mobilitare gli utenti affinché esprimano le loro esigenze. Il mercato dei servizi alle imprese trarrà enormi benefici dall'adozione di standard chiari in questo settore. Lo sviluppo di standard può essere utile per:

integrare e persino sostituire la legislazione,

migliorare la qualità e stimolare la concorrenza,

contribuire a ridurre l'asimmetria delle informazioni, nell'interesse sia del fornitore che dell'utente, in un mercato poco trasparente,

garantire la comparabilità quando l'utente si trovi davanti a offerte diverse e debba operare una scelta,

diffondere in misura più ampia risultati dei programmi di R&S e innovazione, incoraggiando così l'innovazione a migliorare la qualità dei servizi,

ridurre il numero dei contenziosi chiarendo i diritti e gli obblighi rispettivi di fornitori di servizi e utenti,

evitare i conflitti sociali grazie al rispetto, da parte dei fornitori di servizi e degli utenti, del diritto del lavoro e dei contratti collettivi applicabili e, se necessario, con la contrattazione collettiva al livello appropriato,

facilitare la realizzazione di economie di scala da parte delle piccole imprese che forniscono servizi analoghi nei diversi Stati membri dell'UE, aprendo così la strada alla riduzione degli ostacoli all'integrazione del mercato,

sviluppare un settore di esportazione solido e fornire assistenza nel quadro delle gare d'appalto nei servizi pubblici e del subappalto dei servizi.

4.5

Priorità 5 — Ulteriore miglioramento delle statistiche sui servizi alle imprese. Gli interventi politici sono subordinati all'analisi di tendenze in atto che possono essere misurate soltanto grazie a statistiche chiare e significative. L'apparente mancanza di incrementi soddisfacenti della produttività rispetto agli USA potrebbe essere dovuta in parte a statistiche inattendibili, basate su una metodologia utilizzata per misurare i risultati dell'industria manifatturiera. Un ulteriore raffinamento delle statistiche sui servizi alle imprese richiede non soltanto una decisione di Eurostat, ma anche la collaborazione dei governi nazionali, che devono modificare i loro metodi di rilevazione. Occorre prestare particolare attenzione al ruolo dei servizi alle imprese in altri settori industriali e dei servizi.

4.6

Priorità 6 — Scienza dei servizi

La scienza dei servizi (o scienza dei servizi, gestione e ingegneria) è una nuova disciplina che abbraccia e riunisce gli approcci diversi e frammentati ai servizi: fra questi, l'economia dei servizi, la gestione dei servizi, la commercializzazione dei servizi e l'ingegneria dei servizi. I ricercatori e le aziende del settore cominciano ora a riconoscere la necessità di promuovere e integrare meglio tutti questi settori. L'ingegneria dei servizi fornisce un buon esempio nell'ambito della scienza dei servizi: si tratta di una specifica disciplina tecnica interessata allo sviluppo sistematico e alla progettazione di prodotti nel settore dei servizi utilizzando modelli, metodi e strumenti adeguati. Benché l'ingegneria dei servizi abbracci anche alcuni aspetti della gestione delle attività di servizio, uno degli aspetti su cui essa si concentra è quello sviluppo di nuovi prodotti nel campo dei servizi. Allo stesso tempo, essa si interessa anche alla progettazione di sistemi di sviluppo, in altre parole, questioni di gestione generale della R&S e dell'innovazione legate ai servizi. Gli approcci integrati per la co-ingegneria di beni materiali, programmi informatici e servizi ne diventeranno un lineamento stabile.

La ricerca di base nei nuovi modelli, metodi e strumenti della gestione d'impresa potenzierà molto la scienza dei servizi. Infine, la crescente armonizzazione degli standard incoraggerà la specificazione e lo sviluppo efficiente di nuovi servizi (12).

L'ingegneria dei servizi è uno dei nuovi campi nel settore dei servizi che è stato in gran parte forgiato dalla ricerca europea. Per sostenere la futura leadership europea in questo settore è essenziale una maggiore integrazione delle reti internazionali e lo sviluppo sistematico di una comunità indipendente di ingegneria dei servizi (13).

4.7

Priorità 7 — Il mercato interno e la regolamentazione dei servizi alle imprese

Riduzione e semplificazione del carico amministrativo. Vi sono numerosi fattori restrittivi che intralciano l'operato delle imprese operanti nel settore dei servizi alle imprese e che ne vanificano gli sforzi per aumentare la produttività e cercare opportunità commerciali in altri Stati membri. Tra questi si citeranno i problemi della mobilità del lavoro e al riconoscimento dei titoli di studio. Negli ultimi anni il volume e la complessità della legislazione sono aumentati e ciò ha accresciuto gli oneri che gravano sui piccoli fornitori di servizi. I punti più rilevanti su cui concentrare l'attenzione sono i seguenti:

la creazione e il trasferimento d'impresa. La creazione di una nuova impresa o il trasferimento di proprietà di un'impresa esistente comportano tempi e costi proibitivi per le PMI,

le barriere all'esportazione dei servizi. Le risorse necessarie per essere al corrente delle norme pertinenti alla loro attività e il costo dei servizi di consulenza sono molto onerosi per le PMI desiderose di esportare i loro servizi. Occorre monitorare i negoziati commerciali internazionali per eliminare le barriere superflue che impediscono ai fornitori di servizi europei di penetrare nei mercati esterni dei servizi alle imprese. La banca dati sull'accesso al mercato creata dalla Commissione europea dovrebbe contribuire all'individuazione di tali barriere,

le restrizioni alle collaborazioni pluridisciplinari. Vi sono barriere all'ingresso per i fornitori di servizi che potrebbero essere eliminate quando la direttiva sui servizi entrerà in vigore,

l'insufficiente recepimento della legislazione europea e leggi divergenti tra i diversi Stati membri. Anche se non si tratta di leggi direttamente contrarie al mercato interno, un'ampia disparità tra gli Stati membri dell'UE ostacola l'integrazione del mercato,

gli appalti pubblici e le norme in materia di concorrenza tra imprese private e aziende di Stato per gli appalti pubblici,

le barriere che precludono la prestazione transfrontaliera di servizi. Gli atteggiamenti difensivi adottati dalle associazioni professionali nei loro statuti per impedire agli operatori di altri Stati membri di prestare i loro servizi,

il distacco di lavoratori altamente qualificati. Le difficoltà incontrate nel distacco di lavoratori in altri Stati membri, anche nel caso di posti di lavoro altamente qualificati. Il parere del CESE su questo tema (14) potrebbe fornire orientamenti nell'adozione di eventuali misure in materia,

riconoscimento delle qualifiche. La direttiva 2005/36/CE del 7 settembre 2005 relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali doveva essere recepita entro il 20 ottobre 2007. Ciò comportava la sostituzione delle 15 normative precedenti nel settore del riconoscimento delle qualifiche professionali. Si dovrebbe ormai disporre di un autentico strumento di ammodernamento generale del sistema comunitario, atto a promuovere il mercato europeo dei servizi alle imprese tramite il riconoscimento più flessibile e automatico delle qualifiche. Nel frattempo, si ritiene che un'iniziativa della Commissione europea denominata IMI possa costituire un approccio pratico che le autorità e i datori di lavoro degli Stati membri possono adottare per controllare, all'interno di una banca dati centrale, l'autorità competente (a livello regionale o nazionale in ciascuno Stato membro) autorizzata a rilasciare certificati e titoli che attestino le competenze e a verificarne l'autenticità,

recepimento della direttiva sui servizi. Un'analisi settoriale aiuterebbe i servizi alle imprese a trarre il massimo beneficio dal nuovo ambiente normativo, in particolare aiuterebbe l'individuazione delle rimanenti barriere durante e dopo il recepimento della direttiva sui servizi. Questo sarà oggetto di una verifica a partire dal 2010, in modo da poter valutare i progressi compiuti sulla via del recepimento e da seguirne da vicino le modalità. Occorrerà prestare particolare attenzione all'impatto sull'economia dei servizi alle imprese. I sistemi d'informazione sul mercato interno possono fornire informazioni utili per il follow-up e la futura semplificazione delle differenze tra gli Stati membri.

Bruxelles, 9 luglio 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  GU C 318 del 23.12.2006, pag. 4 (CCMI/035).

(2)  COM(2007) 374 def., del 4 luglio 2007.

(3)  SEC(2007) 1059, del 27 luglio 2007 [testo non disponibile in italiano, NdT].

(4)  Direttiva 2006/123/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 12 dicembre 2006.

(5)  Comunicato stampa IP/08/192 del 7 febbraio 2008.

(6)  Memo/08/152 del 10 marzo 2008.

(7)  COM(2007) 359 def.

(8)  COM(2008) 133 def., dell'11 marzo 2008.

(9)  GU C 256 del 27.10.2007, pag. 93 (SOC/251).

(10)  GU C 256 del 27.10.2007, pag. 8 (INT/324).

(11)  GU C 256 del 27.10.2007, pag. 17 (INT/325).

(12)  Hans-Jorg Bullinger, Klaus-Peter Fahnrich, Thomas Meiren, Service Engineering — Methodical Development of New Service Products.

(13)  Thomas Meiren, Fraunhofer Institute for Industrial Engineering, Stoccarda, Germania.

(14)  Cfr. parere del CESE 995/2008 del 29 maggio 2008 (SOC/282) (GU C 224 del 30.8.2008, pag. 95).


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Il seguente testo del parere della sezione specializzata è stato modificato da un emendamento adottato dall'Assemblea, ma ha ottenuto almeno un quarto dei voti espressi.

Punto 2.2 — secondo punto in neretto

«—

politiche del mercato del lavoro nei servizi alle imprese. Dal punto di vista sociale, occorre condurre un esame settoriale approfondito delle sfide che pongono i nuovi tipi di occupazione creati dalle interazioni tra i servizi alle imprese e l'industria manifatturiera. L'analisi deve estendersi anche all'istruzione, alla formazione e all'apprendimento lungo tutto l'arco della vita nonché alle condizioni di occupazione dei lavoratori, ivi compresi quelli coinvolti nei processi di esternalizzazione. Per conseguire questo obiettivo l'agenda del dialogo sociale andrebbe estesa per esaminare i cambiamenti specifici nelle condizioni di lavoro e le opportunità occupazionali derivanti dalle trasformazioni strutturali che interessano i servizi alle imprese

Esito della votazione

Voti favorevoli all'emendamento: 87, voti contrari: 35, astensioni: 13.


3.2.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 27/34


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sui prodotti cosmetici (rifusione)

COM(2008) 49 def. — 2008/0035 (COD)

(2009/C 27/07)

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 13 maggio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sui prodotti cosmetici (rifusione).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 giugno 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore KRAWCZYK.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 9 luglio 2008, nel corso della 446a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 126 voti favorevoli e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE sottoscrive le finalità e gli obiettivi della proposta di regolamento, nonché la rifusione della direttiva 76/768/CEE sotto forma di regolamento.

1.2

Il CESE richiama l'attenzione sul fatto che i nuovi requisiti in materia di pratiche di fabbricazione, valutazione della sicurezza dei prodotti cosmetici, documentazione informativa sul prodotto e realizzazione di tutti i test pertinenti determineranno molto probabilmente costi notevoli, in particolare per le PMI.

1.3

A giudizio del CESE, è opportuno minimizzare le conseguenze finanziarie negative della rifusione per le PMI specificando, ad esempio, che la documentazione informativa e la valutazione della sicurezza dei prodotti cosmetici vanno predisposte in linea con i nuovi requisiti per i prodotti immessi sul mercato per la prima volta.

1.3.1

Il CESE approva il periodo di 36 mesi previsto per l'entrata in vigore del regolamento. Tuttavia, per quanto riguarda l'aggiornamento della documentazione informativa e la valutazione della sicurezza dei prodotti cosmetici già commercializzati, raccomanda un ulteriore periodo transitorio di 24 mesi dall'entrata in vigore del regolamento.

1.4

Il CESE accoglie con favore l'introduzione di un regime differenziato fondato sulla valutazione del rischio per le sostanze classificate come cancerogene, mutagene o tossiche per la riproduzione («CMR»). Il divieto di usare tali sostanze va mantenuto.

2.   Premesse

2.1

Il principale obiettivo della direttiva in esame (direttiva 76/768/CEE) è di tutelare la salute dei consumatori armonizzando le norme in materia di prodotti cosmetici nel mercato interno. Da una valutazione dell'attuale situazione del mercato traspare che gli emendamenti alla direttiva 76/768/CEE e il loro recepimento poco coerente da parte degli Stati membri hanno comportato una serie di divergenze e incertezze giuridiche. Ciò ha determinato oneri amministrativi e costi superflui sia per le autorità competenti che per il settore stesso senza contribuire alla sicurezza dei prodotti cosmetici.

2.2

La semplificazione della direttiva 76/768/CEE del Consiglio, del 27 luglio 1976, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative ai prodotti cosmetici («direttiva cosmetici») era stata annunciata nella comunicazione della Commissione Attuazione del programma comunitario di Lisbona — Una strategia per la semplificazione del contesto normativo, nella strategia politica annuale della Commissione per il 2007 e nel programma legislativo e di lavoro della Commissione per il 2007. La Commissione ha proposto di semplificare la direttiva cosmetici ricorrendo alla rifusione, una tecnica legislativa che permette di codificare un testo legislativo e i relativi emendamenti nonché di apportarvi sensibili miglioramenti.

2.3

Sulla base del feedback della consultazione pubblica effettuata nel 2006, nonché di vari studi della Commissione, quest'ultima ha predisposto una valutazione d'impatto approfondita prima di elaborare la proposta di regolamento (rifusione) (1).

2.4

Nell'Unione europea il settore dei cosmetici è contraddistinto da una marcata presenza di PMI: il 97 % di tutte le società attive nel settore è costituito da PMI e l'80 % di queste conta meno di 19 dipendenti. Le PMI occupano circa due terzi della manodopera del settore dei cosmetici nell'UE.

2.5

In termini di occupazione, sono circa 150 000 le persone occupate nel settore dei prodotti cosmetici in Europa e dal 1999 il numero dei posti di lavoro creati nel settore non ha cessato di aumentare (+ 1,2 % annuo).

2.6

Il settore dei cosmetici, oltre ad incidere direttamente sull'occupazione, vi contribuisce anche in maniera indiretta, vale a dire con la vendita al dettaglio, la distribuzione e il trasporto. In base alle stime disponibili, il settore crea indirettamente circa 350 000 posti di lavoro.

2.7

Per questo motivo è necessario tenere conto degli interessi e dei punti di vista delle PMI del settore dei cosmetici nell'analisi dell'impatto della proposta in esame.

2.8

Dal 1999 le esportazioni intracomunitarie di prodotti cosmetici hanno registrato un aumento costante, con una media annua del 5 % in termini di volume e del 6,5 % in termini di valore.

2.9

Il settore dei prodotti cosmetici è un'attività economica internazionale in cui l'Europa svolge un ruolo di spicco. La dimensione internazionale del settore riveste un'importanza particolare per l'UE in qualità di esportatore netto. Nel 2005 le esportazioni di prodotti cosmetici al di fuori dell'UE erano pari a 16 miliardi di euro, mentre le importazioni ammontavano a 4,4 miliardi di euro.

2.10

La situazione varia da uno Stato membro all'altro. La Polonia ne è un esempio eloquente: gran parte delle imprese del settore è ancora indipendente, settore che conta oltre 400 imprese, per lo più PMI. Il mercato dei cosmetici in questo paese (in cui si è registrata una crescita dell'8,2 % nel 2006 e del 7,2 % nel 2007, con un buon potenziale di crescita) è un significativo esempio di crescita costante che ormai non si rileva più nelle 5 economie più sviluppate dell'UE (Regno Unito, Germania, Francia, Italia e Spagna).

3.   Introduzione

La direttiva cosmetici è un atto normativo estremamente dettagliato e prescrittivo. Dal 1976 è stata oggetto di ben 56 emendamenti che hanno provocato incertezze e incoerenze giuridiche, nonché la completa assenza di un elenco di definizioni.

3.1

La proposta di rifusione della direttiva 76/768/CEE del Consiglio persegue i seguenti obiettivi fondamentali:

eliminare le incertezze e le incoerenze giuridiche determinate dall'elevato numero di emendamenti,

evitare divergenze nel recepimento nazionale che non contribuiscono alla sicurezza del prodotto, ma gravano sugli oneri normativi e sui costi amministrativi,

semplificare e unificare talune procedure amministrative, come la notifica, la cosmetovigilance e la cooperazione amministrativa nella sorveglianza del mercato,

garantire che i prodotti cosmetici immessi sul mercato dell'Unione siano sicuri alla luce, in particolare, del carattere innovativo del settore,

mantenere le disposizioni relative alla sperimentazione animale, aggiunte alla direttiva cosmetici dal «settimo emendamento» nel 2003,

introdurre chiari requisiti minimi per la valutazione della sicurezza dei cosmetici,

introdurre la possibilità, in casi eccezionali, di classificare le sostanze CMR 1 e 2 in base al rischio effettivo che presentano.

Vengono qui di seguito elencati i punti fondamentali della proposta di regolamento.

3.2

Nel quadro della proposta della Commissione, il campo di applicazione della direttiva 76/768/CEE e la definizione di «prodotto cosmetico» rimangono invariati. Nel corso della consultazione pubblica effettuata dalla Commissione, la maggior parte degli interessati si è detta a favore della rifusione della direttiva 76/768/EEC sotto forma di regolamento.

3.3

Nel testo si propone una serie di nuove definizioni per termini quali: fabbricante, importatore, messa a disposizione sul mercato, immissione sul mercato, norma armonizzata, tracce, conservanti, coloranti, filtri UV, effetto indesiderabile, effetto indesiderabile grave, ritiro e richiamo. Non viene tuttavia proposta una nuova definizione della nozione stessa di «prodotto cosmetico».

3.4

Si introduce inoltre il concetto di persona responsabile stabilita all'interno della Comunità, nonché la definizione di responsabilità nel caso di prodotti forniti ai consumatori dall'esterno della Comunità, ad esempio attraverso Internet.

3.5

Si introducono i principi del «nuovo approccio»: il riferimento a norme armonizzate nei testi giuridici riguardo alle buone pratiche di fabbricazione, al campionamento, all'analisi e alle dichiarazioni riguardanti i prodotti cosmetici.

3.6

Vengono stabiliti i requisiti minimi per la valutazione della sicurezza dei cosmetici e la documentazione informativa sul prodotto. All'allegato I viene proposta la relazione sulla sicurezza dei prodotti cosmetici. La valutazione della sicurezza di un prodotto cosmetico si fonda sul profilo tossicologico dei suoi ingredienti.

3.7

Invece del più recente regime fondato sul pericolo, il testo propone un regime differenziato basato sulla valutazione del rischio (ma non del pericolo) per le sostanze classificate come cancerogene, mutagene o tossiche per la riproduzione («CMR»). In linea di massima, viene mantenuto il divieto delle sostanze CMR 1 e 2. Tuttavia, il nuovo approccio consente l'impiego di tali sostanze, a condizioni estremamente severe, qualora siano state giudicate sicure ai fini dell'impiego nei prodotti cosmetici.

3.8

Nel testo si mantiene la strategia generale che consiste nel vietare la sperimentazione animale per i prodotti cosmetici finiti. La Commissione conserva inoltre il calendario delle scadenze in relazione al divieto di commercializzare prodotti cosmetici i cui ingredienti o combinazioni di ingredienti siano stati testati su animali.

3.9

La proposta di regolamento introduce un approccio uniforme per la gestione degli effetti indesiderabili anche gravi. I dati relativi agli effetti indesiderabili anche gravi devono essere integrati nella relazione sulla sicurezza dei prodotti cosmetici e resi noti al pubblico. Inoltre, gli effetti indesiderabili gravi dovranno essere attivamente notificati alle autorità competenti.

3.10

La Commissione propone di introdurre l'obbligo di notifica semplificata, centralizzata e in forma elettronica grazie alla creazione di uno «sportello unico». Finora, prima dell'immissione di un prodotto cosmetico sul mercato, vigeva l'obbligo di notifica separata in ogni Stato membro. La portata dello scambio di informazioni variava da uno Stato membro all'altro. Inoltre, in diversi Stati membri è attualmente d'obbligo la notifica separata ai centri antiveleno.

3.11

Nel testo vengono rafforzate sia la cooperazione amministrativa tra le autorità competenti che l'applicazione delle buone prassi amministrative.

4.   Osservazioni generali

4.1

Il CESE sottoscrive le finalità e gli obiettivi della proposta di regolamento che consistono nel semplificare e unificare talune procedure amministrative, pur garantendo un elevato grado di sicurezza dei consumatori. Ritiene inoltre che la proposta di regolamento sia decisamente trasparente. Le disposizioni giuridiche previste dal testo chiariscono talune ambiguità giuridiche che in passato avevano provocato interpretazioni e applicazioni divergenti.

4.2

La rifusione della direttiva 76/768/CEE sotto forma di regolamento assicurerà l'applicazione uniforme delle disposizioni giuridiche, rafforzando la libertà di circolazione dei prodotti nel mercato unico nonché la semplificazione delle procedure amministrative nei mercati dell'UE.

4.3

Mentre la semplificazione delle procedure amministrative potrebbe, da un lato, ridurre alcuni costi (ad esempio quelli relativi alla notifica dei prodotti e alla notifica ai centri antiveleno), dall'altro è probabile che le PMI debbano sostenere spese notevoli per soddisfare i nuovi requisiti relativi al contenuto della documentazione informativa sui prodotti e rispettare le norme armonizzate EN ISO 22716 (BPF). Va ricordato che, in base alle disposizioni giuridiche attuali, non è necessario fornire dati tossicologici dettagliati quanto quelli previsti dalla proposta di regolamento all'esame.

4.4

È estremamente probabile che i costi supplementari determinati dai requisiti previsti dal regolamento dipendano fortemente dalle dimensioni dell'impresa. Saranno soprattutto le PMI a doversi sobbarcare i costi relativi alla preparazione della documentazione informativa e alla valutazione della sicurezza dei prodotti, mentre in passato, in virtù delle disposizioni giuridiche esistenti, esse erano tenute a fornire solo delle informazioni di base.

Per quanto riguarda le grandi imprese multinazionali, esse non dovrebbero risentire di un sensibile aumento dei costi dal momento che possono fare ricorso alla loro pluriennale esperienza, alle loro competenze, alle risorse umane, al supporto tecnico e alle conoscenze di altri organismi. Nel caso delle grandi imprese che fabbricano prodotti in diversi mercati dell'UE, la procedura di notifica centralizzata sul piano europeo semplificherà indubbiamente le precedenti procedure amministrative, riducendo anche in parte i costi per tale notifica. Inoltre, le imprese multinazionali utilizzano già dei regimi di notifica per le formulazioni quadro (formule).

4.5

Quanto alle PMI, è probabile che debbano confrontarsi con un sensibile aumento delle spese derivanti dall'osservanza di procedimenti corretti di fabbricazione, dalla valutazione della sicurezza dei prodotti e dalla preparazione della documentazione informativa, nonché da tutti i test pertinenti.

I costi sostenuti dalle PMI per una nuova formula immessa sul mercato potrebbero addirittura aumentare del 100 % solo a causa delle spese per la ricerca, la documentazione informativa e la valutazione della sicurezza. Questa situazione determinerà un sensibile aumento dei costi di produzione per le PMI, andando a incidere sul prezzo al dettaglio dei prodotti e, di conseguenza, sugli interessi dei consumatori.

Occorre tenere presente che il volume di produzione delle serie di prodotti fabbricati dalle PMI è nettamente inferiore a quello delle grandi multinazionali, che vendono grandi quantitativi di prodotti. Di conseguenza, i costi per la ricerca, la documentazione e la valutazione della sicurezza per un solo prodotto sono molto più elevati per le PMI.

La valutazione d'impatto predisposta dalla Commissione potrebbe pertanto essere inadeguata nel caso di Stati membri come la Spagna, l'Italia, la Polonia e la Bulgaria, che presentano un numero elevato di PMI.

4.6

Appare opportuno minimizzare le conseguenze finanziarie negative della rifusione per le PMI specificando, ad esempio, che la documentazione informativa e la valutazione della sicurezza dei prodotti cosmetici vanno predisposte in linea con i nuovi requisiti per i prodotti immessi sul mercato per la prima volta. Riguardo ai prodotti già commercializzati, sembrerebbe necessario estendere il periodo di transizione per permettere l'aggiornamento della documentazione informativa e della valutazione della sicurezza.

4.6.1

Il CESE approva il periodo di 36 mesi previsto per l'entrata in vigore del regolamento. Tuttavia, per quanto riguarda l'aggiornamento della documentazione informativa e la valutazione della sicurezza dei prodotti cosmetici già commercializzati, raccomanda un ulteriore periodo transitorio di 24 mesi dall'entrata in vigore del regolamento.

4.7

Il CESE accoglie con favore l'introduzione di una serie di definizioni. Queste permetteranno di interpretare più agevolmente le disposizioni del regolamento e di eliminare le incertezze e le incoerenze giuridiche. Non viene tuttavia proposta una nuova definizione della nozione di «prodotto cosmetico». Il settore dei cosmetici è estremamente innovativo e ogni anno vengono commercializzati prodotti con nuove sostanze attive e nuove categorie di prodotti. Ciò può creare dei problemi sul piano della denominazione dei prodotti (cosmetici, prodotti farmaceutici, ecc.) e dei prodotti borderline. Occorre pertanto lanciare campagne di educazione e informazione, nonché rafforzare la sorveglianza del mercato in questo settore.

4.8

Il CESE accoglie con favore l'introduzione del concetto di persona responsabile. La designazione di una persona responsabile (che potrebbe essere un imprenditore diverso dal produttore) è utile e coerente con le attuali pratiche di mercato come l'esternalizzazione e il marchio proprio. Le disposizioni relative alla persona responsabile definiscono inoltre la responsabilità nel caso di prodotti messi a disposizione sul mercato dall'esterno della Comunità, ad esempio attraverso Internet.

4.9

Il CESE ritiene inoltre necessario definire altri concetti in modo da garantire la sicurezza e la certezza giuridica, in particolar modo in quanto si tratta di uno strumento come il regolamento. È il caso soprattutto delle nozioni di «fragranza» e «ingrediente attivo».

4.10

Il CESE accoglie con soddisfazione l'introduzione della notifica elettronica dei cosmetici e della formulazione quadro ai centri antiveleno. Questo provvedimento contribuirà indubbiamente a unificare le procedure amministrative nei mercati dell'UE.

4.11

Il CESE approva l'introduzione di principi del nuovo approccio nelle disposizioni giuridiche relative ai prodotti cosmetici. L'adozione di norme armonizzate, che i produttori e le autorità competenti possono applicare su base volontaria, permette di unificare i metodi applicati. Queste norme costituiscono un valido esempio di uno strumento di autoregolamentazione che il settore dei prodotti cosmetici non solo reputa utile, ma che è anche disposto a utilizzare. Tuttavia il CESE nutre riserve circa l'applicazione acritica dei principi del nuovo approccio e reputa che le questioni legate alla salute e alla sicurezza dei consumatori debbano essere disciplinate dalle disposizioni regolamentari pertinenti.

4.12

Il CESE accoglie con favore il riferimento a norme armonizzate riguardo alle dichiarazioni relative al prodotto. Tali norme dovrebbero, tuttavia, applicarsi ai metodi di valutazione dell'efficacia usati per dimostrare la validità delle dichiarazioni, non alle dichiarazioni medesime. Gli effetti dichiarati potrebbero essere misurati ricorrendo a metodi affidabili e riproducibili. Inoltre, le norme armonizzate dovrebbero tenere conto dei progressi scientifici e tecnologici compiuti e dell'ampiezza della materia.

4.13

Il CESE accoglie con soddisfazione l'introduzione di un regime differenziato basato sulla valutazione del rischio per le sostanze classificate come cancerogene, mutagene o tossiche per la riproduzione («CMR») ai sensi della direttiva 67/548/CEE (articolo 12, paragrafo 2). Il divieto di tali sostanze dovrebbe essere mantenuto. Tuttavia, il regime attuale si fonda sul pericolo (vale a dire sulle proprietà intrinseche della sostanza) senza tenere conto della dose e della via dell'esposizione. Ciò potrebbe portare al divieto automatico dell'etanolo (alcol) se classificato nelle categorie CMR 1 e 2, benché sia sicuro ai fini dell'impiego nei prodotti cosmetici. La proposta di regolamento stabilisce che le sostanze classificate come CMR 1 o 2 possono essere impiegate nella composizione di prodotti cosmetici solo a patto di soddisfare tre condizioni contemporaneamente (articolo 12, paragrafo 2). Tuttavia, in base a una di queste condizioni, la sostanza deve poter essere impiegata legalmente nei prodotti alimentari. Una sostanza classificata nella categoria 1 o 2, il cui impiego nei cosmetici sia considerato sicuro, potrebbe tuttavia non essere permessa negli alimenti (ad esempio formaldeide, acido borico, ecc.). La proposta di regolamento esclude qualsiasi impiego di tali sostanze nel settore dei prodotti cosmetici.

4.14

Il CESE prende atto della necessità di stabilire un periodo di transizione per procedere all'aggiornamento della documentazione informativa e della valutazione della sicurezza dei prodotti già commercializzati (articolo 34). La proposta non specifica se il periodo di transizione debba applicarsi solamente ai prodotti che vengono immessi o anche ai prodotti già presenti sul mercato. Stabilire lo stesso periodo di transizione (36 mesi) per tutti i prodotti — compresi quelli già presenti sul mercato — potrebbe determinare il ritiro di prodotti legalmente immessi sul mercato, in quanto la loro etichetta o la loro documentazione informativa non risultano aggiornate. Il Comitato approva il periodo di 36 mesi previsto per l'entrata in vigore del regolamento. Tuttavia, per quanto riguarda l'aggiornamento della documentazione informativa e la valutazione della sicurezza dei prodotti cosmetici già commercializzati, raccomanda un ulteriore periodo transitorio di 24 mesi dall'entrata in vigore del regolamento.

Nel documento SEC(2008) 117, che presenta la valutazione d'impatto, la Commissione europea sostiene che tutte le statistiche disponibili dimostrano che il numero di effetti indesiderabili dei cosmetici è molto basso. Inoltre, dall'entrata in vigore della direttiva cosmetici, il settore non ha registrato alcuna crisi importante sul piano della sicurezza, contrariamente, ad esempio, al settore dei mangimi.

5.   Osservazioni specifiche

5.1

Il CESE si rende conto del fatto che alcune delle disposizioni previste dalla proposta della Commissione potrebbero essere difficili da rispettare. Le più delicate riguardano la portata dei dati richiesti per la documentazione informativa sui prodotti e la valutazione della sicurezza (articolo 7 e allegato I).

5.2

La valutazione della sicurezza dei prodotti cosmetici, di cui all'articolo 7, deve essere effettuata da un terzo indipendente, vale a dire estraneo alla stessa impresa.

5.3

All'articolo 7, paragrafo 3, la formulazione «studi non clinici sulla sicurezza» non risulta chiara. In base alle informazioni disponibili, l'espressione viene interpretata in maniera diversa dai vari Stati membri. Secondo l'interpretazione data in Polonia dalle autorità nazionali competenti, i test clinici riguardano i medicinali. Le ricerche eseguite con la partecipazione di volontari ai fini della valutazione di cosmetici (test dermatologici, di compatibilità e test strumentali) non possono quindi essere considerate dei test clinici. Tuttavia, tali ricerche non potrebbero nemmeno essere considerate studi non clinici ai sensi dell'articolo 7, paragrafo 3 della proposta di regolamento poiché, conformemente alla direttiva 2004/10/CE, le disposizioni in materia di buone pratiche di laboratorio non sono applicabili ai test che prevedono la partecipazione di esseri umani.

5.4

Inoltre, il testo prevede che tutte le analisi e le prove tossicologiche necessarie alla valutazione della sicurezza siano realizzate conformemente al principio delle buone pratiche di laboratorio. Questo requisito rende impossibile l'impiego di gran parte dei dati, disponibili nelle banche dati e nelle pubblicazioni scientifiche, che costituiscono una fonte preziosa di informazioni. Perfino nelle pubblicazioni scientifiche più recenti è estremamente difficile trovare dichiarazioni di conformità (o di non conformità) alle buone pratiche di laboratorio da parte degli istituti che effettuano le prove tossicologiche.

5.5

In assenza di una metodologia disponibile e riconosciuta comunemente, come una norma europea o internazionale o una pubblicazione scientifica, può essere molto difficile rispettare le disposizioni previste dagli articoli 2 e 4 dell'allegato I in materia di valutazione della purezza e della stabilità del materiale d'imballaggio, di valutazione delle interazioni tra componenti di un prodotto, di valutazione dell'influenza della stabilità del prodotto sulla sua sicurezza e di durata di conservazione minima dalla data di apertura. Si tratta pertanto di dati non disponibili in tempi brevi.

5.5.1

Il CESE accoglie con soddisfazione il contenuto dell'allegato I (relazione sulla sicurezza dei prodotti cosmetici) riguardo ai requisiti minimi per i dati e test da realizzare durante la preparazione della documentazione informativa su un prodotto. Oltre a migliorare la qualità della documentazione e a facilitare la sorveglianza del mercato, questo contribuirà alla sicurezza dei consumatori.

5.6

Per molte sostanze, il valore NOAEL (No Observed Adverse Effect Level — dose senza effetto nocivo osservata) che è necessario per calcolare il margine di sicurezza, non è disponibile. Per determinare questo valore obbligatorio sarà necessario procedere alla sperimentazione animale, che è in contrasto con la politica comunitaria intesa a promuovere i metodi alternativi di sperimentazione. Ciò contrasta inoltre con le disposizioni dell'articolo 14 (Sperimentazione animale).

5.6.1

Sarebbe quindi utile precisare chiaramente nelle nuove disposizioni a quali test i produttori dovrebbero sottoporre le sostanze utilizzate nei prodotti cosmetici, al fine di individuare i potenziali pericoli per il consumatore.

5.7

Il CESE giudica inaccettabile che l'elenco degli ingredienti possa figurare solo sull'imballaggio (articolo 15, lettera g)); ritiene invece che esso debba, se possibile, essere apposto sul prodotto stesso (recipiente).

5.8

Il CESE ritiene che i prodotti cosmetici debbano contenere speciali avvertenze relative all'uso da parte dei bambini, specificando in modo chiaro e ben visibile l'età minima di utilizzazione o precisando se i prodotti stessi debbano essere tenuti fuori della portata dei bambini.

5.9

A giudizio del CESE, inoltre, il regolamento dovrebbe stabilire chiaramente che, nel caso di vendita a distanza dei prodotti cosmetici, lo stesso tipo di informazioni presenti sulle etichette e sugli imballaggi dei prodotti venduti nei negozi deve figurare in maniera visibile nelle offerte di vendita a distanza.

5.10

Il CESE approva il rafforzamento della cooperazione amministrativa tra le autorità competenti, nonché l'applicazione delle buone prassi amministrative.

5.11

Il CESE è favorevole a rettificare i precedenti allegati che riportano gli elenchi delle sostanze vietate e autorizzate con restrizioni nei prodotti cosmetici, inserendovi il numero CAS (Chemical Abstract Service) e EINECS (European Inventory of Existing Commercial chemical Substances — Inventario europeo delle sostanze chimiche esistenti a carattere commerciale) e i nomi chimici INCI (Nomenclatura internazionale degli ingredienti di prodotti cosmetici), nonché ad elaborare un inventario degli ingredienti utilizzati nei cosmetici in forma elettronica.

5.12

Il CESE ritiene opportuno il ritiro del precedente allegato I della direttiva 76/768/CEE. La suddivisione in categorie presente nel precedente elenco, oltre ad essere arbitraria, conteneva diverse ripetizioni. Vi si poteva, ad esempio, trovare «cipria per il trucco» e «prodotti per il trucco e lo strucco». Inoltre, tale lista è già obsoleta, perché attualmente sul mercato esistono nuove categorie di prodotti, come ad esempio cerotti adesivi anticellulite e salviettine struccanti impregnate di sostanze attive.

Bruxelles, 9 luglio 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  COM(2008) 49 def. — 2008/0025 (COD).


3.2.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 27/39


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 2001/82/CE e 2001/83/CE per quanto concerne le variazioni dei termini delle autorizzazioni all'immissione in commercio dei medicinali

COM(2008) 123 def. — 2008/0045 (COD)

(2009/C 27/08)

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 3 aprile 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 2001/82/CE e 2001/83/CE per quanto concerne le variazioni dei termini delle autorizzazioni all'immissione in commercio dei medicinali.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 giugno 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore CEDRONE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 9 luglio 2008, nel corso della 446a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 127 voti favorevoli e 7 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE approva la proposta di direttiva COM(2008) 123 def. che modifica le direttive 2001/82/CE e 2001/83/CE, riconoscendo che tali modifiche garantiscono l'armonizzazione delle norme per tutti i medicinali indipendentemente dalla procedura utilizzata per il rilascio dell'autorizzazione alla loro messa sul mercato.

1.2

L'applicazione dei medesimi criteri per tutti i medicinali consente di garantire, oltre agli stessi criteri di qualità, sicurezza ed efficacia, il mantenimento di un elevato livello di protezione della salute pubblica, un funzionamento più efficace del mercato interno ed elimina per le imprese un inutile aggravio amministrativo e finanziario.

1.3

Il CESE ha sempre sostenuto e sostiene gli sforzi della Commissione intesi ad aumentare la sicurezza dei medicinali, un fattore ed un elemento di fondamentale importanza per la tutela della salute delle persone e degli animali.

1.4

Il CESE concorda quindi di conferire alla Commissione il potere di estendere il regolamento (CE) n. 1084/2003 alle variazioni che intercorrono dopo l'autorizzazione rilasciata, indipendentemente dalla procedura utilizzata, evitando possibili ostacoli alla libera circolazione dei medicinali, fermo restando l'importanza del provvedimento futuro che la Commissione dovrà assumere.

1.5

Il CESE conferma con forza, anche in questa occasione, la sua convinzione che bisogna procedere più speditamente verso la realizzazione del mercato unico anche in quei settori dove ciò non è ancora avvenuto o è avvenuto solo parzialmente.

2.   Contesto

2.1

La CE ha presentato nel novembre del 2001 una vasta riforma di regolamentazione in materia di medicinali attraverso l'emanazione di due disposizioni specifiche: la direttiva 2001/82/CE recante un codice comunitario relativo ai medicinali veterinari e la direttiva 2001/83/CE recante un codice comunitario relativo ai medicinali per uso umano (1).

2.2

Tale legislazione ha costituito la continuazione di una profonda riforma attuata nel 1993 con la creazione di un'Agenzia europea per i medicinali (EMEA) secondo quanto previsto dal regolamento (CEE) n. 2309/93 e con la messa in atto di nuove procedure di autorizzazioni per la messa in commercio delle specialità farmaceutiche (2).

2.3

Questo regolamento, secondo il principio della libera circolazione delle merci, prevedeva dal 1o gennaio 1995 due procedure di autorizzazione alla commercializzazione di tutti i medicinali:

a)

una procedura di autorizzazione «centralizzata» valida in tutto il territorio comunitario rilasciata dall'EMEA, obbligatoria per quanto attiene ai medicinali della biotecnologia e facoltativa per i farmaci di nuova formulazione;

b)

il mantenimento di una procedura nazionale, denominata «decentrata», che consentiva una autorizzazione concessa da un'autorità a livello nazionale. Questa procedura consente inoltre di ricorrere a norme specifiche di «mutuo riconoscimento» per la possibile messa sul mercato in altri paesi della comunità dei medicinali autorizzati in un singolo Stato membro.

2.4

Queste procedure di autorizzazione alla messa sul mercato avevano lo scopo di garantire una corretta valutazione del rapporto «rischi-benefici», di definire criteri elevati di qualità, sicurezza ed efficacia, con il preciso obiettivo di garantire la salute dei cittadini europei e degli animali.

2.5

Il rafforzamento di tali garanzie imprescindibili è presente nelle direttive 2001/82/CE e 2001/83/CE che prevedono precise disposizioni relative alla farmacovigilanza per ottenere un alto livello di protezione della salute pubblica con l'aumento della frequenza dei controlli e una più accentuata e puntuale messa a punto dei criteri di notifica degli effetti non desiderati.

2.6

La Commissione, nel corso di verifiche periodiche sul funzionamento del sistema delle autorizzazioni per i prodotti farmaceutici, ha rilevato problemi relativi alle modifiche che possono intervenire nelle fasi successive alla concessione delle autorizzazioni prodotte a livello nazionale, che rappresentano oltre l'80 % del totale delle autorizzazioni di medicinali.

2.7

Queste modifiche successive alla autorizzazione nazionale fanno riferimento ai regolamenti (CE) n. 1084/2003 e (CE) n. 1085/2003 che però intervengono esclusivamente su aspetti quali il processo di produzione, l'imballaggio dei farmaci, la titolarità dei proprietari, ma non affrontano aspetti fondamentali quali, per esempio, l'introduzione di nuove indicazioni terapeutiche o le variazioni del metodo di somministrazione.

2.8

Ne deriva che le procedure applicate successivamente alla autorizzazione risultano in alcuni casi differenti nei singoli Stati membri, il che porta a ottenere normative e classificazioni diverse per lo stesso prodotto. Ciò può comportare un livello di tutela della salute non omogeneo conseguente a una diversa classificazione terapeutica o a un uso diverso della stessa specialità, oltre a precostituire un ostacolo, a volte artificioso, alla prevista libera circolazione dei medicinali nell'UE.

3.   La proposta della Commissione

3.1

Per evitare il verificarsi di condizioni diverse per lo stesso farmaco la Commissione ha deciso di proporre un intervento di modifica delle direttive 2001/82/CE e 2001/83/CE attraverso la richiesta di applicazione del regolamento (CE) n. 1084/2003, attualmente in vigore solo per i farmaci della procedura centralizzata, estendendo lo stesso a tutti i medicinali indipendentemente dalla procedura con la quale i medicinali siano stati autorizzati.

3.2

La proposta in esame rientra nelle iniziative di semplificazione previste dall'allegato 2 del programma legislativo e di lavoro della Commissione per il 2008 e prevede un esclusivo intervento legislativo di adeguamento di alcuni articoli delle direttive 2001/82/CE e 2001/83/CE a quanto previsto dal regolamento (CE) n. 1084/2003 che diviene così valido per tutti i medicinali.

3.3

La continuazione della situazione attuale costituirebbe un inutile aggravio amministrativo e finanziario per le imprese che intendano procedere alla commercializzazione in più paesi della Comunità. Esse vengono a trovarsi di fronte a normative diverse nei singoli paesi con l'esigenza di pratiche amministrative differenti, il che può inoltre costituire nei fatti un ostacolo artificioso al principio della libera circolazione.

3.4

La proposta è esclusivamente di carattere giuridico e prevede la modifica della base giuridica del regolamento (CE) n. 1084/2003 in modo da conferire alla Commissione il potere di modifica del campo di applicazione del regolamento medesimo, garantendo un'effettiva armonizzazione delle norme di autorizzazione.

3.5

La Commissione sottolinea come tale intervento legislativo di modifica sia stato sottoposto ad ampia consultazione fra tutte le parti interessate e la strada della modifica giuridica, scelta fra diverse opzioni, è risultata la strada più adatta per raggiungere norme armonizzate nella fase successiva alla messa in commercio coerentemente con un livello elevato di salute pubblica e di coerenza giuridica.

3.6

Le modifiche proposte a una serie di articoli si basano sull'articolo 95 del Trattato CE che prevede il ricorso alla procedura di codecisione e che risulta coerente col principio di sussidiarietà e con il principio di proporzionalità.

4.   Osservazioni generali

4.1

Il CESE approva la proposta di modifica delle direttive 2001/82/CE e 2001/83/CE riconoscendo che tali modifiche, garantendo l'armonizzazione delle norme di autorizzazione per tutti i medicinali, consentono il mantenimento di un elevato livello di protezione della salute pubblica e un funzionamento più efficace del mercato interno eliminando per le imprese un inutile aggravio amministrativo e finanziario.

4.2

Come già in precedenti pareri in materia, il CESE sostiene, e anzi sollecita, tutti gli sforzi della Commissione intesi ad aumentare la sicurezza dei medicinali, fattore che costituisce un elemento di fondamentale importanza per la tutela della salute dell'uomo e degli animali.

4.3

Esso concorda quindi di raggiungere attraverso la semplice modifica legislativa la strada dell'armonizzazione delle norme per tutti i medicinali, anche se autorizzati con procedure diverse, eliminando contemporaneamente ulteriori possibili ostacoli per la loro libera circolazione.

4.4

Il CESE, nel dare il proprio parere positivo alla modifica della base giuridica, resta in attesa della proposta legislativa in itinere ritenuta più significativa per il futuro del settore farmaceutico.

Bruxelles 9 luglio 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  GU L 311 del 28.11.2001.

(2)  GU L 214 del 24.8.1993.


3.2.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 27/41


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai recipienti semplici a pressione (versione codificata)

COM(2008) 202 def. — 2008/0076 (COD)

(2009/C 27/09)

Il Consiglio, in data 26 maggio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai recipienti semplici a pressione (versione codificata).

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede commenti da parte sua, il Comitato, in data 9 luglio 2008, nel corso della 446a sessione plenaria, ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 142 voti favorevoli e 6 astensioni.

 

Bruxelles, 9 luglio 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


3.2.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 27/41


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Verso una rete ferroviaria a priorità merci

COM(2007) 608 def.

(2009/C 27/10)

La Commissione, in data 18 ottobre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema:

Verso una rete ferroviaria a priorità merci.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 giugno 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore BUFFETAUT.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 10 luglio 2008, nel corso della 446a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 111 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Conclusioni

1.1

Il CESE condivide l'analisi della Commissione circa la situazione del trasporto ferroviario di merci nell'Unione europea e ritiene che le proposte della Commissione, pur andando nella giusta direzione, non siano abbastanza ambiziose rispetto alle sfide da affrontare.

1.2

Il Comitato è del parere che per migliorare la situazione occorrano:

un'offerta di servizi logistici e non una semplice prestazione di trasporto,

la riduzione dei costi per poter praticare prezzi maggiormente competitivi,

servizi più affidabili,

tempi di percorrenza «porta a porta» ragionevolmente brevi,

un'offerta flessibile e la capacità di reagire in caso di perturbazioni.

1.3   Un servizio logistico degno di questo nome

Essenzialmente, l'obiettivo è semplificare per i clienti quegli aspetti che, per loro natura, risultano complessi in ambito ferroviario. Questo presuppone una vera e propria attenzione al cliente, un'informazione chiara e affidabile, una maggiore offerta di vagoni privati, e infine prestazioni «porta a porta» che comprendano il carico e lo scarico delle merci.

1.4   La riduzione dei costi

1.4.1

Per raggiungere questo obiettivo, è opportuno continuare a puntare sull'interoperabilità e sull'armonizzazione tecnica in Europa. In passato ciascuna rete si è data le proprie regole e ha creato i propri sistemi di regolamentazione e di sicurezza. Ora è necessario ottenere una graduale convergenza dei vari sistemi e stabilire come obiettivo prioritario la realizzazione quanto più rapida possibile dell'ERTMS (European Rail Traffic Management System: Sistema europeo di gestione del traffico ferroviario).

1.4.2

Tramite congrui investimenti, realizzati ogni qual volta la situazione lo consente, sarebbe necessario modificare progressivamente le caratteristiche dell'infrastruttura ferroviaria in materia di profilo e lunghezza dei treni, rampe, pendenze e carico per asse, allo scopo di adeguarle alle esigenze del trasporto merci, come avviene, ad esempio, negli Stati Uniti.

1.4.3

Un vero e proprio incremento della concorrenza e una maggiore apertura del mercato obbligherebbero a garantire più efficacia e produttività. Questo aspetto si collega al problema della formazione del personale viaggiante. In effetti, i nuovi operatori che accedono al mercato possono dover far fronte ad una penuria di manodopera qualificata. È dunque opportuno predisporre programmi di formazione adeguati, in grado di rispondere a tale richiesta e di permettere la creazione di nuovi impieghi altamente qualificati.

1.4.4

Occorre rivedere l'imputazione dei costi operata dai gestori delle infrastrutture tra i diversi operatori. Al fine di garantire le condizioni per una concorrenza veramente libera e non falsata, sarebbe altresì opportuno imputare meglio i costi esterni ai vari modi di trasporto concorrenti.

1.4.5

Iniziative quali la linea della Betuwe, il progetto New Opera o Ferrmed andrebbero analizzate e sostenute in modo da trarne elementi utili per un inventario delle varie esperienze e buone pratiche.

1.5   Servizi più affidabili

1.5.1

È opportuno definire regole contrattuali vincolanti per il risarcimento del cliente in caso di cattiva prestazione dei servizi. Questo rappresenterebbe un incentivo a migliorare la qualità dei servizi stessi.

1.5.2

È necessario adoperarsi per migliorare la qualità e l'affidabilità dei singoli elementi che contribuiscono alla fornitura di un servizio, che si tratti di materiale viaggiante, segnaletica, strade ferrate o sistemi d'informazione.

1.5.3

Per assicurare la massima affidabilità del servizio è inoltre necessario assegnare buone tracce al trasporto merci e definire regole che in caso di conflitto di circolazione su tali tracce diano la priorità al trasporto merci, fermo restando, beninteso, il rispetto degli interessi di tutti gli utenti. Si potrebbe in particolare prevedere la possibilità di intervenire sui periodi e sugli orari di circolazione.

1.6   Tempi di percorrenza «porta a porta» ragionevolmente brevi

1.6.1

Una delle critiche generalmente rivolte al trasporto ferroviario di merci concerne la lunghezza dei percorsi e la lentezza del servizio. Per rimediare a questo problema sarebbe opportuno che gli siano assegnate tracce con poche fermate (o addirittura nessuna), concepite in modo da ridurre al minimo le probabilità di un conflitto di circolazione con altri treni. Circa la gestione operativa, occorrerebbe inoltre assicurare che, in caso di un tale conflitto, il trasporto merci abbia per quanto possibile la precedenza. È altresì necessario promuovere l'uso dei treni notturni ad alta velocità per il trasporto di merci.

1.6.2

Il CESE sottolinea anche la necessità di realizzare investimenti per adeguare le infrastrutture ad un aumento della velocità, tenendo tuttavia conto del fatto che su una determinata strada ferrata una maggiore rapidità implica un minor carico autorizzato per asse. Se da un lato è vero che bisogna rimediare all'attuale lentezza del trasporto ferroviario di merci, dall'altro l'essenziale è assicurare la velocità regolare dei vagoni. È meglio tenere una velocità moderata ma costante piuttosto che obbligare i macchinisti a fermate e partenze che finiscono per provocare un accumulo dei ritardi.

1.7   Introduzione della flessibilità

1.7.1

I principi e le modalità tradizionali di gestione del traffico, che danno sistematicamente la precedenza ai treni passeggeri, producono senza volerlo un effetto ben concreto: un treno merci che parta con un leggero ritardo (ad esempio una decina di minuti) finisce quasi sempre per registrare un notevole ritardo all'arrivo (diverse ore o addirittura un'intera giornata).

1.7.2

A medio/lungo termine lo sviluppo tecnologico permetterà di rendere più scorrevole la circolazione dei treni merci in tempo reale, senza avere come unico riferimento una traccia teorica prestabilita. Il concetto di «blocco mobile», integrato nella terza e ultima fase dell'ERTMS, permetterebbe di far transitare più treni sulla stessa infrastruttura e di reagire meglio in caso di perturbazioni. È dunque necessario che tutti gli Stati membri investano nel sistema ERTMS, al fine di conseguire quanto prima l'interoperabilità e la continuità nel funzionamento delle diverse reti nazionali.

1.7.3

Rimangono ad ogni modo necessari investimenti nelle capacità infrastrutturali sia per ovviare alle strozzature, sia nelle piattaforme di carico/scarico che consentono l'interoperabilità dei sistemi di trasporto.

1.7.4

Il problema delle stazioni di smistamento e di carico e scarico è importante ma è anche strettamente collegato alla questione delle reti secondarie diffuse sul territorio. In effetti, per essere veramente competitivo, il trasporto ferroviario di merci deve consentire che le merci siano condotte il più vicino possibile ai clienti.

1.8   Una rete destinata alle merci

1.8.1

Anche se oggi come oggi è poco realistico raccomandare la creazione di una rete transeuropea per le sole merci, resta il fatto che una rete specifica sarebbe il modo migliore per promuovere il trasporto ferroviario di merci, rendendolo più affidabile e puntuale, meno costoso e più rapido. L'opzione dei corridoi a priorità merci ha il merito di essere realistica nella situazione attuale, ma in assenza di grandi reti transcontinentali destinate alle merci si può prevedere d'introdurre nei corridoi a priorità merci un numero crescente di tronconi di linee ferroviarie appositamente pensate per le merci al fine di collegare alcuni centri economici particolarmente attivi. Lo dimostra il successo della linea della Betuwe che unisce il porto di Rotterdam alla Germania. Tutti gli Stati membri devono partecipare attivamente all'attuazione delle politiche e all'applicazione delle regolamentazioni che consentono di accrescere la competitività delle ferrovie.

2.   Il punto della situazione

2.1   Un dato di fatto allarmante

2.1.1

Fra il 1995 e il 2005 il trasporto merci ha conosciuto una crescita annua pari al 2,8 %. Tuttavia, la quota di mercato del trasporto merci per ferrovia ha continuato a calare per stabilizzarsi attorno al 10 % a partire dal 2005, toccando così il minimo storico dal 1945.

2.1.2

Secondo la Commissione, questo bilancio negativo è imputabile ai seguenti fattori: inaffidabilità, insufficienza delle capacità disponibili, cattiva gestione dell'informazione, scarsa rapidità e poca flessibilità. Malgrado questi difetti, nuove opportunità sembrano però profilarsi nel contesto economico attuale, caratterizzato dalla crescita degli scambi commerciali, dalla congestione stradale, dal rincaro dei carburanti e dalle crescenti preoccupazioni in materia di protezione dell'ambiente.

2.1.3

In passato la Comunità ha cercato di rilanciare il trasporto per ferrovia sulla base di tre approcci politici:

la liberalizzazione del mercato del trasporto merci per ferrovia, accompagnata dalla ristrutturazione delle imprese «storiche»,

lo sviluppo dell'interoperabilità tecnica e di norme di sicurezza comuni,

il preciso inquadramento della rete ferroviaria nell'ambito generale della rete transeuropea di trasporto.

2.1.4

È necessario prendere atto che i risultati ottenuti sono inferiori alle attese, soprattutto per quanto concerne il trasporto transnazionale.

2.2   Una politica comune dei trasporti in costante evoluzione

2.2.1

Il Libro bianco sulla politica europea dei trasporti fino al 2010 perseguiva l'obiettivo di un trasferimento modale dalla strada alla ferrovia e prevedeva, già all'epoca, la creazione di «corridoi multimodali dedicati in via prioritaria alle merci». Com'è noto, nel 2006, al momento del riesame del Libro bianco, per dar prova di realismo si è leggermente ridimensionata l'ambizione di trasferire una quota di trasporti dalla strada alla ferrovia, sviluppando il concetto della «comodalità» senza però trascurare la necessità di costituire una rete ferroviaria con priorità per il traffico merci.

2.2.2

Questa è l'idea che la Commissione riprende nella comunicazione in esame sviluppandola nel triplice obiettivo che consiste nel migliorare i tempi di percorrenza, l'affidabilità e la capacità in una rete di trasporti basata sulle reti transeuropee esistenti.

3.   Le proposte della Commissione

3.1

La Commissione ripercorre le iniziative avviate in passato per incoraggiare, migliorare o favorire il trasporto di merci per ferrovia: lo sviluppo dell'interoperabilità e dell'informazione (Europtirails), la costruzione d'infrastrutture TEN-T (linea della Betuwe), la creazione di strutture di corridoio, iniziative che si sono tuttavia rivelate insufficienti.

3.2

Pro forma la Commissione prende in considerazione tre opzioni: lo status quo, l'attuazione di una serie di nuove misure per realizzare una rete ferroviaria prioritariamente destinata al trasporto merci e l'avvio di un programma specifico per creare una rete ferroviaria europea ad hoc per il traffico merci.

3.3

Fedele ai principi della filosofia classica, la Commissione è del parere che in medio stat virtus (la virtù sta nel giusto mezzo), e dunque respinge la prima opzione in quanto non abbastanza ambiziosa e la terza perché troppo poco realistica.

3.4   Le azioni proposte

3.4.1

Per realizzare una rete europea prioritariamente destinata al traffico merci la Commissione intende sviluppare una serie di corridoi transnazionali. Si tratta di definire corridoi dotati di un'infrastruttura adeguata e di realizzare al tempo stesso un sistema efficace in termini di gestione e di esercizio. È un progetto che potrà essere realizzato solo con l'adesione degli Stati membri e dei gestori delle infrastrutture.

3.4.2

A questo scopo la Commissione intende prendere una serie di misure legislative nel quadro della rifusione del primo pacchetto ferroviario prevista per il 2008, definire un certo numero di incentivi e assegnare finanziamenti attingendo alle dotazioni disponibili.

3.4.3

La Commissione propone pertanto di mettere a punto una definizione giuridica delle strutture di corridoio a priorità merci, d'incoraggiare gli Stati membri e i gestori delle infrastrutture a istituire corridoi transnazionali prioritariamente destinati al traffico merci e di cercare le possibili fonti di finanziamento per dette strutture nell'ambito delle risorse esistenti.

3.4.4

Tra le critiche mosse al trasporto di merci per ferrovia figurano la qualità scadente del servizio e la scarsità delle informazioni ai clienti. Per tale motivo la Commissione auspica la definizione di una vera e propria politica della qualità e della trasparenza e propone di adottare una misura legislativa riguardante la pubblicazione d'indicatori di qualità. La Commissione intende inoltre pubblicare una relazione sulle misure adottate dagli operatori ferroviari per migliorare la qualità del servizio.

3.4.5

Alcune sezioni della rete sono sature, soprattutto in determinate zone centrali dell'Unione europea. Questo fenomeno rischia di aggravarsi ulteriormente nei prossimi anni. Sono dunque necessari investimenti per migliorare le capacità ricettive dell'infrastruttura in termini di lunghezza dei treni, profilo, carico per asse e velocità massima, investimenti che devono essere adeguatamente mirati e coordinati. La Commissione raccomanda pertanto ai gestori dei corridoi di mettere a punto dei programmi d'investimento e di valutare le possibili fonti di finanziamento nell'ambito dei programmi esistenti.

3.4.6

La questione della fluidità del traffico e dell'efficienza del trasporto ferroviario di merci fa emergere un secondo problema: quello dall'assegnazione di apposite tracce. Attualmente vi provvedono i singoli gestori dell'infrastruttura secondo regole che variano da uno Stato membro all'altro. È opportuno che tali regole vengano armonizzate in modo da disporre di tracce efficienti e affidabili.

3.4.7

A tal fine la Commissione intende proporre disposizioni legislative sull'assegnazione internazionale delle tracce e sulla priorità assegnata al trasporto merci, soprattutto in caso di perturbazioni sulla rete.

3.4.8

Un sistema di trasporto merci ha però anche bisogno di terminali e di stazioni di smistamento. Negli anni passati, tuttavia, sotto la spinta del mercato immobiliare, si è avuta la tendenza a ridurre il numero dei terminali e delle stazioni di smistamento nelle zone urbane.

3.4.9

Le proposte della Commissione evidenziano che il successo delle misure citate dipenderà dalle iniziative che saranno intraprese e dall'impegno fattivo degli Stati membri e degli operatori del settore ferroviario.

3.5   Osservazioni generali

3.5.1

Il quadro del trasporto ferroviario di merci delineato dalla Commissione non dà adito ad osservazioni specifiche: la Commissione non fa che confermare quello che già si sapeva circa la fragilità del settore. Per risolvere i problemi è necessaria la mobilitazione dei vari responsabili pubblici e del settore imprenditoriale, non soltanto sul piano della volontà politica o dell'iniziativa commerciale, ma anche in termini di finanziamento.

3.5.2

È indubbiamente questo il punto critico. La Commissione propone una serie di misure legislative ma non prevede assolutamente di assegnare nuove risorse. L'approccio giuridico, per quanto utile, risulta del tutto insufficiente. Gli stanziamenti necessari alla realizzazione delle diverse misure dovranno provenire dai programmi esistenti, e questo presuppone una serie di delicati compromessi, comportando un sistema di vasi comunicanti difficile da gestire.

3.5.3

Il successo dell'iniziativa richiede infine una forte adesione degli Stati membri e dei gestori delle infrastrutture. È però risaputo che in genere gli Stati dispongono di poche risorse e che definiscono la loro politica ferroviaria sulla base di altre priorità. Per quanto riguarda invece i gestori delle infrastrutture, è noto che non sempre la loro situazione finanziaria è florida malgrado abbiano beneficiato della separazione delle reti comportanti una manutenzione onerosa dalla gestione delle medesime.

3.6   Osservazioni particolari

3.6.1

La creazione di corridoi transnazionali destinati alle merci è senz'altro una delle condizioni indispensabili per lo sviluppo del trasporto ferroviario di merci. Il Comitato si rende però conto di quanto il trasporto merci sia stato sinora sacrificato a beneficio del traffico di passeggeri. È dunque opportuno operare una sorta di «rivoluzione culturale» che indubbiamente implica la definizione di obiettivi vincolanti riconosciuti dagli Stati membri e la messa a disposizione di risorse finanziarie proprie, tenendo tuttavia presente che l'opinione pubblica dà per scontata la priorità ai treni passeggeri, fatto che in genere non va messo in discussione. Si tratta piuttosto di garantire una gestione ottimale delle reti e di creare reti a priorità merci senza per questo incidere sulla qualità e la puntualità del trasporto di passeggeri. Nel creare corridoi transnazionali, si dovrebbe tener conto degli scartamenti ferroviari dei nuovi e dei vecchi Stati membri dell'UE, del materiale rotabile disponibile, dei flussi di merci dei paesi candidati all'adesione all'UE e dei paesi terzi e dell'esistenza di un'enclave della Russia nella regione di Kaliningrad.

3.6.2

L'informazione e la trasparenza sono di certo questioni importanti, ma è chiaro che nel fare la sua scelta il cliente si basa soprattutto su criteri quali il prezzo, l'affidabilità, la rapidità del trasporto, la facilità di accesso dei terminali, il carico e lo scarico delle merci. L'elemento chiave è dunque la qualità del servizio e questa dipende, da un lato, dai meccanismi organizzativi del trasporto ferroviario e, dall'altro, dalla realizzazione d'investimenti considerevoli.

3.6.3

Per quanto riguarda la questione della competitività, tutti sembrano convenire che questo tipo di trasporto è riservato ad un determinato genere di merci, segnatamente quelle più pesanti, e a grossi volumi di carico. Sarebbe necessario prevedere una maggiore diversificazione della clientela, in particolare attraverso l'uso dei container, che permetterebbe di estendere il mercato e di essere più competitivi, in un contesto che vede aumentare sia il prezzo dei carburanti sia l'interesse nei confronti dello sviluppo sostenibile.

3.6.4

Per quanto concerne il problema del finanziamento, la comunicazione della Commissione risulta lacunosa in quanto non prevede stanziamenti specifici e propone una soluzione basata su compromessi nell'ambito delle risorse esistenti.

Bruxelles, 10 luglio 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


3.2.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 27/45


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione — Comunicazione su una politica europea dei porti

COM(2007) 616 def.

(2009/C 27/11)

La Commissione europea, in data 18 ottobre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione — Comunicazione su una politica europea dei porti.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 maggio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore SIMONS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 9 luglio 2008, nel corso della 446a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 122 voti favorevoli e 5 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo accoglie con favore la nuova comunicazione della Commissione europea su una politica europea dei porti, la quale propone essenzialmente misure non vincolanti (soft law). Il Comitato condivide inoltre l'impostazione generale del documento, volta a realizzare un clima stabile per gli investimenti, lo sviluppo sostenibile dei porti, un clima sociale positivo nei porti stessi e l'applicazione coerente delle regole del Trattato.

1.2

La scena portuale europea si va diversificando in termini sia di numero di porti in attività sia di gamma di funzioni e servizi portuali. Il Comitato raccomanda che la politica portuale dell'Unione europea assecondi questo processo guidato dal mercato assicurando che tutti i porti europei siano in grado di sviluppare appieno il loro potenziale in maniera sostenibile.

1.3

Il Comitato si compiace dell'iniziativa della Commissione di sviluppare una rete orientata al trasporto delle merci per ferrovia e invita gli Stati membri a dare la priorità all'attuazione di grandi progetti transfrontalieri di infrastrutture ferroviarie di collegamento con i porti, evitando però che ciò vada a scapito dei trasporti di persone per ferrovia.

1.4

Il Comitato si compiace dell'iniziativa della Commissione di pubblicare orientamenti per dissipare le ambiguità inerenti all'applicazione della normativa ambientale comunitaria in materia di sviluppo dei porti, e raccomanda che essi vengano pubblicati entro la fine del 2008.

1.5

La Commissione europea dovrebbe promuovere misure efficaci per sveltire il disbrigo delle pratiche amministrative nei porti. Il Comitato si compiace pertanto che essa intenda presentare, nel 2008, una proposta legislativa sulla creazione di uno spazio europeo del trasporto marittimo senza barriere. La Commissione e, in particolare, gli Stati membri dovrebbero compiere ulteriori progressi nella modernizzazione doganale e attribuire una maggiore priorità politica ad un'azione in questo senso.

1.6

Il Comitato conviene con la Commissione sul fatto che orientamenti relativi agli aiuti di Stato e disposizioni sulla trasparenza finanziaria possono favorire condizioni operative eque. Del pari, il Comitato ritiene che gli orientamenti forniti nella comunicazione circa l'uso di concessioni, servizi tecnici nautici e «uffici di collocamento portuali» (labour pools) siano nel complesso utili e chiari. Infine, la Commissione dovrebbe prendere ulteriori iniziative per assicurare condizioni di concorrenza eque fra i porti dell'Unione europea e quelli vicini dei paesi terzi.

1.7

Il Comitato accoglie con favore l'obiettivo della Commissione di promuovere e rafforzare la cooperazione fra le città e i loro porti. In particolare, invita la Commissione a organizzare uno studio approfondito sull'impatto socioeconomico dei porti.

1.8

Il Comitato si compiace che la Commissione abbia deciso di incoraggiare le parti sociali europee a istituire un comitato europeo di dialogo sociale settoriale per il settore portuale.

2.   Introduzione

2.1

In questi ultimi dieci anni il Comitato ha partecipato attivamente al dibattito su una politica portuale dell'Unione europea. Dato il ruolo chiave che i porti marittimi svolgono per lo sviluppo socioeconomico, il benessere e la coesione dell'Unione europea, una tale politica comune assume un notevole valore aggiunto.

2.2

Il Comitato ha formulato pareri in merito al Libro verde sui porti e sulle infrastrutture marittime  (1) e a due proposte legislative della Commissione europea intese ad aprire i mercati dei servizi portuali in Europa (2). Inoltre, il 26 aprile 2007 il Comitato ha adottato un parere d'iniziativa sul tema La politica portuale comune nell'UE  (3). Tenuto conto del clima di acceso confronto che ha caratterizzato il dibattito riguardante la direttiva sui servizi portuali, questo parere si era concentrato sugli aspetti di una politica portuale europea su cui le parti interessate del settore portuale potessero raggiungere un consenso.

3.   La comunicazione della Commissione europea su una politica europea dei porti

3.1

La Commissione europea ha pubblicato la sua comunicazione su una politica europea dei porti il 18 ottobre 2007. Il documento è frutto di un processo di consultazione delle parti interessate durato un anno, articolatosi in due conferenze e sei seminari tematici. La comunicazione rientra nella strategia globale della Commissione per una politica marittima ed è una componente della nuova agenda della Commissione per il trasporto merci.

3.2

L'obiettivo della nuova politica portuale europea è promuovere un sistema portuale efficiente per l'UE, capace di far fronte alle sfide future costituite dalle necessità dell'UE in materia di trasporto. A detta della Commissione queste sfide comprendono: la domanda di trasporti internazionali, l'evoluzione tecnologica, le emissioni e i cambiamenti climatici, il dialogo fra i porti, le città e le parti interessate, e infine la capacità di conciliare tutto ciò con la trasparenza, la concorrenza e il diritto comunitario in generale.

3.3

In linea di massima le proposte avanzate nella comunicazione consistono in un insieme di indicazioni interpretative delle norme del Trattato e in un piano d'azione che prevede ulteriori misure, per lo più non vincolanti (soft law).

3.4

Tali misure riguardano:

le prestazioni portuali e i collegamenti con l'entroterra,

l'aumento della capacità nel rispetto dell'ambiente,

la modernizzazione,

condizioni operative eque — chiarezza per gli investitori, gli operatori e gli utenti,

instaurazione di un dialogo strutturato tra i porti e le città, e

il lavoro nei porti.

4.   Osservazioni di carattere generale

4.1

Il Comitato accoglie con favore la comunicazione della Commissione in quanto riconosce l'importanza strategica dei porti marittimi per gli scambi fra gli Stati membri dell'UE e fra questi e i paesi terzi, nonché il loro contributo allo sviluppo economico e all'occupazione.

4.2

Il Comitato si compiace poi in modo particolare del fatto che la Commissione non proponga misure interventiste, bensì punti, sempre nell'ambito delle regole del Trattato UE, ad assicurare un clima stabile per gli investimenti, lo sviluppo sostenibile dei porti e un buon clima sociale nei porti stessi.

4.3

Il Comitato si compiace altresì che la Commissione stia utilizzando la cosiddetta soft law come alternativa, da un lato, alla legislazione e, dall'altro, all'approccio caso per caso.

4.4

Il Comitato desidera tuttavia formulare una serie di osservazioni e raccomandazioni specifiche sulle singole sezioni della comunicazione della Commissione.

5.   Osservazioni particolari

5.1   Il contesto economico del sistema portuale europeo e le sfide che lo attendono

5.1.1

Il Comitato prende atto che, stando alle conclusioni della Commissione, attualmente il trasporto a mezzo container si concentra in pochi porti dell'Europa nordoccidentale. Occorre tuttavia anche riconoscere che oggi si registra una tendenza alla partecipazione di un maggior numero di porti al mercato europeo dei trasporti mediante container anziché alla confluenza del traffico attraverso un numero limitato di porti. I porti europei che nel 2006 hanno registrato il più forte incremento di trasporti via container sono per lo più di dimensioni piccole o medie e dislocati in aree portuali diverse. Si assiste dunque a una concorrenza crescente fra zone portuali decisamente distanti fra loro (4). La politica portuale dell'Unione europea può sostenere questo processo assicurando che tutti i porti europei siano in grado di sviluppare appieno il loro potenziale in maniera sostenibile.

5.1.2

Oltre che sulle sfide elencate dalla Commissione, il Comitato richiama l'attenzione sui problemi inerenti alla globalizzazione e alle trasformazioni che caratterizzano il settore portuale e del trasporto merci via mare in Europa. Il fenomeno è particolarmente evidente nel mercato dei trasporti in container, ma vale anche per altri mercati, come il roll-on/roll-off, il carico a collettame e i trasporti alla rinfusa. I porti marittimi europei operano con armatori appartenenti a gruppi internazionali e sono inoltre sorti grandi gruppi di operatori di terminal che oggi offrono i loro servizi in diversi porti europei. La grande difficoltà per un'autorità portuale è assicurare sia l'impegno di questi operatori globali sia il rispetto degli obiettivi di sviluppo del porto in relazione alle pertinenti politiche europee.

5.2   Le prestazioni portuali e i collegamenti con l'entroterra

5.2.1

Il Comitato conviene con la Commissione sul fatto che, per far fronte all'accresciuta domanda di capacità portuale e connessa ai porti, occorre anzitutto ottimizzare lo sfruttamento delle infrastrutture portuali e delle vie di accesso esistenti. Il Comitato conviene inoltre sull'esigenza di effettuare un'analisi approfondita dei costi/benefici per la società nel suo insieme prima di prevedere nuovi sviluppi infrastrutturali. Nel far ciò occorre tener conto di considerazioni economiche, sociali ed ambientali, dato questi aspetti costituiscono i pilastri dell'agenda di Lisbona dell'Unione europea.

5.2.2

Come indicato più sopra, i processi di mercato stanno già spingendo verso una scena portuale europea più diversificata. Andrebbe favorito l'approccio «dal basso» (bottom-up), consistente nella selezione di proposte di progetti da parte degli organi di gestione dei porti, se del caso di concerto con le autorità regionali o nazionali. Ciò non toglie, ovviamente, che l'Unione europea debba continuare a fissare obiettivi e a fornire orientamenti.

5.2.3

La Commissione può tuttavia avvalersi dell'esame intermedio della rete transeuropea di trasporto, previsto per il 2010, per contribuire a rimuovere le strozzature che interessano i collegamenti dei porti con l'entroterra, purché tale esame sia effettuato sulla base di criteri oggettivi.

5.2.4

Il Comitato ribadisce inoltre la sua richiesta alla Commissione di intensificare gli sforzi per rimuovere le strozzature rimaste nell'entroterra attraverso gli strumenti generali a sua disposizione in materia di politica dei trasporti, in particolare riguardo ai trasporti sulle vie navigabili interne e i trasporti di merci mediante ferrovia. Specialmente i trasporti ferroviari continuano a costituire una grave strozzatura che ostacola il rendimento ottimale dei porti e la loro integrazione nelle catene logistiche. In proposito il Comitato si compiace dell'iniziativa della Commissione di sviluppare una rete orientata al trasporto di merci per ferrovia e invita gli Stati membri a dare la priorità all'attuazione di grandi progetti transfrontalieri per le infrastrutture ferroviarie di collegamento con i porti, senza però che ciò vada a scapito dei trasporti di persone per ferrovia.

5.3   Aumentare la capacità nel rispetto dell'ambiente

5.3.1

Il Comitato si compiace vivamente che la Commissione intenda pubblicare orientamenti per l'applicazione della normativa ambientale comunitaria allo sviluppo dei porti. Ciò farà registrare un significativo passo avanti verso i superamento di alcune delle ambiguità create da atti comunitari come la direttiva 79/409/CEE sugli uccelli selvatici, la direttiva 92/43/CEE sugli habitat naturali e la direttiva quadro 2000/60/CE per l'azione comunitaria in materia di acque. Data l'urgenza del problema, il Comitato raccomanda che i suddetti orientamenti vengano pubblicati entro la fine del 2008.

5.3.2

Il Comitato invita inoltre la Commissione a esaminare misure supplementari per rafforzare lo status giuridico dei progetti di sviluppo dei porti e semplificare la normativa in vigore, come indicato più in dettaglio nel parere d'iniziativa dello stesso Comitato sulla politica portuale (5).

5.3.3

Il Comitato tiene a sottolineare che i sedimenti contaminati vanno trattati opportunamente, e raccomanda che, in attesa di proposte legislative che influiranno sulla gestione dei corpi idrici e dei sedimenti, come la direttiva 99/31/CE sui rifiuti e la «direttiva derivata» della direttiva quadro sulle acque (6), si riconosca che i sedimenti non contaminati non vanno considerati come rifiuti e dunque non vanno trattati come quelli contaminati, perché le operazioni di dragaggio dei primi non introducono né aggiungono alcuna sostanza inquinante in un corpo idrico.

5.3.4

Infine, il Comitato conviene con le proposte della Commissione circa la realizzazione di impianti portuali di ricezione per i rifiuti delle navi e il miglioramento delle emissioni nell'aria. Il Comitato raccomanda di lasciare agli organi di gestione dei singoli porti la facoltà di disporre incentivi economici tramite i diritti di porto, dato che misure di questo tipo influirebbero sulle strutture finanziarie dei porti stessi, che in Europa sono assai diversificate.

5.4   Modernizzazione

5.4.1

Il Comitato si compiace che nel 2008 la Commissione intenda presentare una proposta legislativa sulla creazione di uno spazio europeo del trasporto marittimo senza barriere e rimanda alle osservazioni specifiche già formulate in vari pareri precedenti (7).

5.4.2

Il Comitato ribadisce ancora la raccomandazione che l'UE compia ulteriori progressi nella modernizzazione delle dogane e faccia sì che le sue politiche in materia di dogane, sicurezza marittima, sicurezza in generale, salute pubblica e qualità ambientale siano adeguatamente coordinate e armonizzate, e non trasferiscano indebitamente ai porti competenze che spettano ai pubblici poteri.

5.4.3

Il Comitato è favorevole allo sviluppo di sportelli unici, all'adozione di un approccio «elettronico» ai trasporti marittimi (e-maritime) e alla realizzazione delle iniziative e-Freight (trasporto elettronico di merci) ed e-Custom (operazioni doganali elettroniche). Al tempo stesso ritiene che le soluzioni basate sulle tecnologie dell'informazione e delle comunicazioni (TIC) dovrebbero presentare un buon rapporto costi/efficacia, e questo anche per i porti di piccole o medie dimensioni.

5.4.4

Infine, circa il miglioramento delle prestazioni, il Comitato appoggia la proposta della Commissione di definire, entro la fine del 2009, una serie di indicatori generici europei, pur garantendo la tutela dei dati commerciali sensibili. Tali indicatori, basati su quelli già esistenti per il trasporto aereo, quello marittimo a corto raggio e quello combinato su ferrovia, vanno quindi sviluppati anche in relazione ai fattori di rilevanza portuale, quali le prestazioni delle attrezzature e degli impianti portuali, la collaborazione tra porti e il raggruppamento delle attività dell'entroterra.

5.5   Condizioni operative eque — chiarezza per gli investitori, gli operatori e gli utenti

5.5.1

Il Comitato approva l'idea della Commissione circa il ruolo delle autorità portuali e la diversità dei sistemi di gestione dei porti in Europa. In particolare si compiace che la Commissione sia consapevole del fatto che le autorità portuali possono assolvere meglio i loro importanti compiti se godono di un sufficiente grado di autonomia e, soprattutto, di una piena autonomia finanziaria.

5.5.2

Il Comitato è pure lieto che nel 2008 la Commissione intenda adottare orientamenti relativi agli aiuti di Stato nel settore portuale. In proposito il Comitato rimanda ai principi fondamentali dei finanziamenti pubblici nei porti definiti nel suo parere d'iniziativa del 26 aprile 2007.

5.5.3

Il Comitato si compiace altresì che la Commissione abbia adottato la raccomandazione volta ad estendere a tutti i porti mercantili, indipendentemente dal loro fatturato annuale, le disposizioni sulla trasparenza contenute nella direttiva 2006/111/CE.

5.5.4

Nel suo parere d'iniziativa il Comitato ha raccomandato la pubblicazione di linee guida sull'uso di procedure di selezione quali gare d'appalto e altri meccanismi appropriati, sulle condizioni per le concessioni e il leasing fondiario e sullo status giuridico di quei servizi portuali che hanno natura di pubblico servizio, ad esempio riguardo alla sicurezza generale dei porti.

5.5.5

La Commissione ha aderito a questa richiesta fornendo, nella comunicazione in esame, orientamenti riguardo all'uso delle concessioni e ai servizi tecnici nautici. Il Comitato ritiene che l'interpretazione delle norme dei Trattati e delle sentenze della Corte offerta dalla Commissione sia nel complesso utile e chiara. Tuttavia, esso sottolinea anche che, poiché i servizi tecnici nautici attengono comunque alla sicurezza della navigazione, sarebbe giustificato classificarli fra i servizi d'interesse economico generale.

5.5.6

Una politica avveduta in materia di concessioni dovrebbe assicurare la concorrenza fra i porti come pure l'efficienza e l'impegno ottimali degli operatori dei terminali. Il Comitato raccomanda alla Commissione di riesaminare periodicamente gli orientamenti pubblicati in materia di concessioni per garantirne l'effettiva rispondenza agli obiettivi summenzionati e far sì che contengano elementi comuni sufficienti ad assicurare condizioni operative eque fra le autorità portuali. Quest'ultimo punto è particolarmente significativo, visto il già accennato processo di consolidamento in atto sul mercato della movimentazione delle merci.

5.5.7

Il Comitato si compiace che la Commissione proponga di contribuire a diffondere le migliori pratiche di trasparenza sui diritti portuali. Il Comitato è convinto che i diritti portuali debbano essere stabiliti a livello locale, del singolo porto, in modo da tener conto in maniera ottimale delle esigenze degli utenti del porto stesso e dell'interesse generale di quest'ultimo.

5.5.8

Infine, il Comitato è lieto che la Commissione abbia tenuto presente la sua raccomandazione di occuparsi dei casi di concorrenza sleale da parte di porti vicini di paesi terzi. Attraverso le sue politiche in materia di adesioni all'UE e di relazioni esterne la Commissione dovrebbe anche intensificare le iniziative per occuparsi delle distorsioni originate da motivi politici, come l'embargo turco contro le navi battenti bandiera cipriota o provenienti da porti ciprioti, i problemi fra Grecia e Turchia riguardo al Mar Egeo, come pure i problemi fra i paesi baltici e la Russia concernenti l'attraversamento delle frontiere comuni.

5.6   Stabilire un dialogo strutturato tra i porti e le città

5.6.1

Il Comitato accoglie con favore l'obiettivo della Commissione di promuovere e rafforzare la cooperazione fra le città e i loro porti. Per lo sviluppo sostenibile dei porti è indispensabile che essi siano integrati nel tessuto urbano e nella vita cittadina, che sorgano nei cittadini una forte consapevolezza, un vivo interesse e persino fierezza per le attività del proprio porto. In proposito il Comitato appoggia in particolare le sinergie con il turismo, le attività ricreative, il patrimonio storico-artistico e la cultura in generale.

5.6.2

Il Comitato sottolinea inoltre la carenza di dati affidabili sull'occupazione diretta e indiretta e sul valore aggiunto generato dai porti europei. Ha ad esempio la sensazione che i dati usati nella comunicazione in esame in relazione all'impiego sottovalutino fortemente la realtà della situazione. Invita pertanto la Commissione a organizzare un'indagine approfondita in materia.

5.6.3

Infine, il Comitato appoggia l'intento della Commissione di misurare l'impatto delle misure di sicurezza sull'accessibilità dei porti e di offrire indicazioni su come conciliare i due aspetti «sicurezza» e «accessibilità».

5.7   Il lavoro nei porti

5.7.1

Il Comitato evidenzia la necessità che nei porti si promuovano un contesto e condizioni di lavoro positivi e sicuri, nonché relazioni lavorative e industriali costruttive. Il Comitato si compiace che nella comunicazione in esame la Commissione si mostri molto attenta a questa problematica.

5.7.2

Il Comitato ribadisce che, a suo giudizio, l'efficacia delle attività portuali dipende sia dall'affidabilità sia dalla sicurezza, elementi che, malgrado i progressi tecnologici, sono determinati in larga misura dal fattore umano. Di qui la necessità di disporre, nei porti, di una forza lavoro qualificata e ben formata sia a terra che a bordo delle navi. Il Comitato ha raccomandato che le parti sociali svolgano un ruolo importante nel creare e mantenere queste condizioni e che, a livello europeo, la Commissione appoggi il loro apporto agevolando il dialogo sociale.

5.7.3

Il Comitato si compiace pertanto che la Commissione abbia deciso di incoraggiare le parti sociali europee a istituire, per il settore portuale, un comitato europeo di dialogo settoriale ai sensi della decisione 98/500/CE.

5.7.4

Il Comitato, pur appoggiando la Commissione nel suo intento di stabilire un insieme di condizioni che consenta il reciproco riconoscimento della formazione dei lavoratori portuali, propone di compiere per prima cosa un raffronto dei diversi sistemi esistenti per la qualificazione professionale dei lavoratori portuali. Ciò potrebbe utilmente avvenire nel contesto del dialogo sociale europeo.

5.7.5

Infine, il Comitato conviene con la Commissione sulla necessità di un monitoraggio accurato dell'applicazione delle norme — comunitarie o dell'OIL — sulla sicurezza e la salute dei lavoratori nei porti e di un miglioramento delle statistiche relative agli infortuni sul lavoro, ma sollecita anche l'adozione, a tutti i livelli e nelle sedi appropriate, di iniziative che garantiscano un ulteriore miglioramento della sicurezza e della salute.

Bruxelles, 9 luglio 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  GU C 407 del 28.12.1998.

(2)  Pareri del CESE che riguardano, rispettivamente, una prima Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'accesso al mercato dei servizi portuali (COM(2001) 35 def.), GU C 48 del 21.2.2002, pag. 122, e una nuova Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sull'accesso al mercato dei servizi portuali (COM(2004) 654 def.), GU C 294 del 25.11.2005, pag. 25.

(3)  GU C 168 del 20.7.2007, pag. 57.

(4)  Considerata nel lungo periodo, la quota media del mercato dei trasporti via container dei porti nell'area Amburgo-Le Havre è calata dal 61 % del 1975 al 48 % del 2003, mentre la quota di mercato dei porti dell'area mediterranea è raddoppiata (passando dal 18 % del 1975 al 36 % del 2003). Inoltre, in Europa il livello di concentrazione dei porti adibiti al traffico via container (misurato con il coefficiente Gini) è sceso costantemente dal 1990, evidenziando così un incremento dei punti di entrata nel mercato europeo. I porti che nel 2006 hanno fatto registrare i maggiori incrementi (in termini relativi) hanno per lo più dimensioni piccole o medie e sono situati in regioni europee diverse (Amsterdam, Sines, Rauma, Costanza, Kotka, Tallinn, Bremerhaven, Zeebrugge e Gdynia) (fonte: Institute of Transport and Maritime Management Antwerp (ITMMA)/Università di Anversa). Questo trend è in stridente contrasto, per esempio, con l'evoluzione in atto negli Stati Uniti, dove nello stesso periodo si è assistito a una netta concentrazione dei porti (fonte: T. Notteboom, T. (2007), Market Report on the European Seaport Industry, che utilizza dati forniti da Eurostat e dai singoli porti).

(5)  Cfr. il punto 4 del parere sul tema La politica portuale comune nell'UE (TEN/258) (GU C 168 del 20.7.2007, pag. 57).

(6)  Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai rifiuti (COM(2005) 667 def.) e Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a standard di qualità ambientale nel settore della politica delle acque e recante modifica della direttiva 2000/60/CE (COM(2006) 397 def.).

(7)  Parere CESE 609/2007 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Verso una politica marittima dell'Unione: una visione europea degli oceani e dei mari, del 7 giugno 2006 (GU C 168 del 20.7.2007, pag. 50).

Cfr. il punto 4 del parere d'iniziativa sul tema La politica portuale comune nell'UE (GU C 168 del 20.7.2007, pag. 57).

Parere esplorativo sul tema Le autostrade del mare nel contesto della catena logistica (GU C 151 del 17.6.2008, pag. 20).

Parere in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Revisione intermedia del Programma per la promozione del trasporto marittimo a corto raggio [documento COM(2003) 155 def.] (COM(2006 380 def.) (TEN/268) (GU C 168 del 20.7.2007, pag. 68).


3.2.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 27/49


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Trasporti su strada — orario di lavoro degli autotrasportatori autonomi

(2009/C 27/12)

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 20 novembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, lettera A) delle Modalità d'applicazione del proprio Regolamento interno, di elaborare un supplemento di parere sul tema:

Trasporti su strada — orario di lavoro degli autotrasportatori autonomi.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 giugno 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore CHAGAS (1), successivamente sostituito da CURTIS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 9 luglio 2008, nel corso della 446a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 121 voti favorevoli, 14 voti contrari e 6 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1

Il CESE ritiene che tutti gli autotrasportatori autonomi debbano essere inclusi nel campo di applicazione della direttiva 2002/15/CE, come previsto all'articolo 2 di quest'ultima (che si applica agli autotrasportatori autonomi a decorrere dal 23 marzo 2009).

1.2

Tale inclusione presuppone una corretta applicazione della direttiva da parte degli Stati membri, in particolare per quanto riguarda la definizione di autotrasportatore autonomo.

1.3

Il CESE ritiene che tale inclusione sia necessaria al fine di promuovere la sicurezza stradale, contribuire a creare una situazione di concorrenza equa e migliorare le condizioni di lavoro dei lavoratori mobili e autonomi, in particolare tutelando la loro salute fisica e mentale. Le mansioni amministrative generali, definite nell'articolo 3, lettera a) paragrafo 2 della direttiva, non sono considerate incluse nella definizione dell'orario di lavoro.

1.4

A giudizio del CESE, il mercato interno dei trasporti stradali presuppone la creazione di una concorrenza equa, che si instaura a partire da un'applicazione efficace ed effettiva delle normative sociali relative a tale settore. Tracciando una distinzione tra lavoratori mobili e autonomi nell'applicazione della normativa sull'orario di lavoro si incoraggia la concorrenza sleale, ed è per questo motivo che il CESE non può accettare di inserire nel campo di applicazione della direttiva soltanto i «falsi lavoratori autonomi».

1.5

Per contrastare le difficoltà che potrebbero fare seguito a questa inclusione, il CESE raccomanda di applicare il principio della corresponsabilità dei diversi attori della catena dei trasporti, come avviene per il regolamento sui tempi di guida e di riposo.

1.6

Il CESE segnala che la promozione della cooperazione a livello europeo tra le diverse amministrazioni nazionali è una condizione fondamentale per garantire l'attuazione efficace della direttiva.

1.7

Il CESE ritiene che, nell'includere gli autotrasportatori autonomi nel campo di applicazione della direttiva, si debba fare attenzione a non sovraccaricarli di mansioni amministrative superflue.

2.   Introduzione

2.1

Il Comitato economico e sociale europeo si è già ampiamente occupato della politica europea di sicurezza stradale, argomento sul quale ha acquisito una competenza approfondita. Nel suo ultimo parere d'iniziativa sull'argomento, dal titolo La politica europea di sicurezza stradale e i conducenti professionisti — Parcheggi sicuri e custoditi (TEN/290) (2), il CESE ha esaminato un aspetto molto importante, ossia le aree di sosta destinate ai conducenti professionisti, nel contesto della politica relativa alle infrastrutture stradali. Oltre alla sicurezza dei parcheggi, un altro tema di grande importanza per i conducenti professionisti è l'orario di lavoro degli autotrasportatori autonomi. A livello europeo, infatti, non ne sono stati ancora adeguatamente analizzati gli aspetti economici, sociali e inerenti alla sicurezza. Un ulteriore motivo per elaborare questo supplemento di parere è rappresentato dalla relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sulle conseguenze dell'esclusione degli autotrasportatori autonomi dal campo d'applicazione della direttiva 2002/15/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, dell'11 marzo 2002, concernente l'organizzazione dell'orario di lavoro delle persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto (COM(2007) 266 def.).

2.2

La direttiva 2002/15/CE stabilisce prescrizioni minime in materia di organizzazione dell'orario di lavoro, con l'obiettivo di rafforzare la tutela della salute e della sicurezza delle persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto, di migliorare la sicurezza stradale e di rendere più omogenee le condizioni di concorrenza. La direttiva è entrata in vigore il 23 marzo 2002 e gli Stati membri disponevano di un periodo di tre anni, cioè fino al 23 marzo 2005, per mettere in atto le disposizioni riguardanti i lavoratori mobili. Conformemente all'articolo 2, paragrafo 1, della direttiva, essa si applica agli autotrasportatori autonomi a partire dal 23 marzo 2009. Nel frattempo la Commissione dovrà aver presentato una relazione al Parlamento europeo e al Consiglio e, successivamente, una proposta legislativa basata su questa relazione.

2.3

Nel quadro dell'accordo di conciliazione definitivo concluso tra il Parlamento europeo e il Consiglio su questa direttiva, si è deciso che, al più tardi due anni prima di tale data, vale a dire entro il 23 marzo 2007, la Commissione avrebbe presentato al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione contenente un'analisi delle conseguenze dell'esclusione degli autotrasportatori autonomi dal campo d'applicazione della direttiva in riferimento alla sicurezza stradale, alle condizioni di concorrenza, alla struttura della professione e agli aspetti sociali. Nella relazione si sarebbe dovuto tener conto delle condizioni vigenti in ciascuno Stato membro in materia di struttura del settore dei trasporti e di ambiente di lavoro degli autotrasportatori.

2.4

Sulla base di tale relazione, la Commissione avrebbe dovuto presentare una proposta intesa a (a) fissare le modalità d'inclusione nel campo d'applicazione della direttiva degli autotrasportatori autonomi che effettuano esclusivamente operazioni nazionali e che sono soggetti a vincoli specifici, oppure a (b) escludere gli autotrasportatori autonomi dal campo di applicazione della direttiva.

2.5

L'articolo 7, paragrafo 2, della direttiva prevedeva anche che entro il 23 marzo 2007 la Commissione procedesse a valutare, nel quadro della relazione biennale sull'attuazione della direttiva che essa è tenuta a presentare, le conseguenze delle disposizioni della direttiva concernenti il lavoro notturno.

3.   La relazione della Commissione

3.1

La relazione della Commissione fa il punto dello stato d'attuazione della direttiva negli Stati membri, esamina le possibili conseguenze dell'esclusione degli autotrasportatori autonomi dal campo d'applicazione della direttiva e valuta le conseguenze delle disposizioni della direttiva in materia di lavoro notturno.

3.2

La prima conclusione alla quale si giunge è che la maggior parte degli Stati membri non è riuscita a recepire la direttiva nel periodo di transizione di tre anni stabilito a tal fine. La Commissione non è pertanto ancora in grado di pubblicare la sua prima relazione biennale, che avrebbe dovuto essere presentata nel marzo del 2007.

3.3

Per quanto riguarda le conseguenze dell'esclusione degli autotrasportatori autonomi dal campo di applicazione della direttiva, la Commissione ricorda i motivi per i quali ne aveva proposto l'inclusione: garantire la coerenza con il regolamento che fissa norme sui periodi di guida e di riposo, in cui questo tipo di distinzione tra conducenti non è presente; evitare il rischio di frammentazione del settore, che incoraggia gli autotrasportatori a diventare autonomi (cosiddetti «falsi lavoratori autonomi»); far sì che gli obiettivi in materia di concorrenza leale, potenziamento della sicurezza stradale e miglioramento delle condizioni di lavoro siano applicati a tutto il settore del trasporto su strada.

3.4

Sulla base delle conclusioni di una relazione elaborata da consulenti esterni, la Commissione riconosce che la stanchezza (e le sue conseguenze sulla sicurezza stradale) riguarda qualsiasi autotrasportatore, indipendentemente dal fatto che sia autonomo o mobile. La relazione dei consulenti esterni ha inoltre confermato che gli autotrasportatori autonomi lavorano più ore rispetto a quelli mobili, e che gli orari di lavoro di entrambe queste categorie sono più lunghi rispetto a quelli dei lavoratori di altri settori.

3.5

Pur riconoscendo che «una riduzione dell'orario di lavoro potrebbe contribuire a ridurre la stanchezza», la relazione esterna conclude anche che la riduzione dell'orario di lavoro «rischierebbe di generare ulteriore stress, dal momento che l'autotrasportatore autonomo, per evitare perdite di profitti, cercherebbe di svolgere più lavoro in meno tempo per mantenere la propria redditività, il che, a sua volta, aggraverebbe il rischio di stanchezza e incidenti». La Commissione sembra essere d'accordo con tale punto di vista.

3.6

Per quanto riguarda le condizioni di concorrenza, la Commissione condivide le conclusioni della relazione dei consulenti esterni, secondo cui l'esclusione degli autotrasportatori autonomi dal campo di applicazione della direttiva alimenterebbe l'attuale tendenza alla frammentazione e non avrebbe alcun effetto significativo sulla concorrenza all'interno del settore. L'inclusione degli autotrasportatori autonomi nel campo d'applicazione della direttiva si tradurrebbe invece in un aumento dei costi a loro carico e nella riduzione dell'orario di lavoro, con una notevole diminuzione del loro vantaggio competitivo nel settore del trasporto merci su strada. La Commissione sembra quindi propendere per l'opzione secondo cui solo i cosiddetti «falsi lavoratori autonomi» dovrebbero essere soggetti alla direttiva.

3.7

La Commissione ritiene inoltre che «se da un lato mantenere l'esclusione può essere preferibile per ragioni economiche, dall'altro non si riesce a stabilire con chiarezza quali possono essere le ripercussioni sociali dell'una o dell'altra soluzione: l'esclusione può non contribuire ad attenuare i problemi relativi alla salute e alla sicurezza, mentre l'inclusione rischia di aumentare lo stress e può comportare ulteriori oneri amministrativi per gli autotrasportatori autonomi, oltre a ridurne il reddito».

3.8

Concludendo, la Commissione ritiene che l'inclusione degli autotrasportatori indipendenti, oltre ad aggravarne lo stress e le difficoltà finanziarie, potrebbe essere difficile da fare applicare e quindi inefficace.

3.9

Quanto alla valutazione delle conseguenze delle disposizioni della direttiva sul lavoro notturno, la Commissione conclude che l'aspetto della loro effettiva applicazione merita un'analisi più approfondita.

4.   Osservazioni generali

4.1

Il Comitato prende atto della presentazione della relazione della Commissione relativa alle conseguenze dell'esclusione degli autotrasportatori autonomi dal campo d'applicazione della direttiva concernente l'organizzazione dell'orario di lavoro delle persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto.

4.2

L'esclusione degli autotrasportatori autonomi dal campo d'applicazione della direttiva ha creato, secondo molti esponenti delle parti sociali, una distorsione della concorrenza nel settore del trasporto stradale. Ciò ha indotto il Comitato, nel recentissimo parere sul Riesame intermedio del Libro bianco sui trasporti (TEN/257, relatore: BARBADILLO LÓPEZ) (3), a far propria la seguente richiesta:

«Per quanto riguarda la normativa sociale dei trasporti su strada, occorre salvaguardare la parità di trattamento tra i lavoratori sia dipendenti che autonomi: per questo motivo, la direttiva 2002/15/CE, dell'11 marzo 2002, concernente l'organizzazione dell'orario di lavoro delle persone che effettuano operazioni mobili di autotrasporto, deve essere applicata immediatamente ai lavoratori autonomi, senza attendere la fine del periodo transitorio previsto, dato che l'obiettivo perseguito dalla direttiva è quello di assicurare la sicurezza stradale, evitare distorsioni della concorrenza e promuovere migliori condizioni di lavoro» (paragrafo 4.3.1.2).

4.3

In questo contesto il CESE manifesta seri dubbi quando alle conclusioni relative alla sicurezza stradale, alle condizioni di concorrenza e agli aspetti sociali contenute nei risultati dello studio.

4.4

Secondo il CESE, per migliorare la sicurezza stradale è necessario contribuire a creare una situazione di concorrenza equa, migliorare le condizioni di lavoro dei lavoratori mobili e autonomi, in particolare la loro salute fisica e mentale, e includere gli autotrasportatori autonomi nel campo di applicazione della direttiva 2002/15/CE.

4.5

Un orario di lavoro eccessivamente prolungato è un fattore importante di stanchezza e concorre, quindi, al rischio che il conducente si addormenti al volante, minacciando la sicurezza stradale. La concorrenza può dirsi equa quando i prezzi accordati ai subappaltatori dalle grandi imprese che organizzano tutti gli aspetti legati alla distribuzione e al trasporto di merci rispettano l'applicazione della norme sociali nel settore, sia per i lavoratori mobili che per quelli autonomi.

4.6

Non è certo che l'esclusione degli autotrasportatori autonomi dal campo d'azione della direttiva 2002/15/CE non li esponga a maggiore stress: essi saranno infatti soggetti a pressioni da parte dei committenti per ridurre i prezzi delle loro prestazioni. Per avere lo stesso livello di reddito, gli autotrasportatori autonomi dovranno quindi lavorare più a lungo, a scapito della sicurezza stradale, della loro salute e dell'equilibrio, già precario, tra vita professionale e vita privata.

4.7

Per il CESE, tuttavia, l'inclusione degli autotrasportatori autonomi nel campo di applicazione della direttiva 2002/15/CE presuppone una corretta trasposizione della direttiva stessa, in particolare per quanto riguarda la definizione di «autotrasportatore autonomo».

4.8

La Commissione, in quanto custode del Trattato, deve garantire il corretto recepimento da parte degli Stati membri della definizione di «autotrasportatore autonomo» di cui all'articolo 3, lettera e) (4) della direttiva stessa. Un recepimento corretto di questa definizione è la prima condizione che uno Stato membro deve soddisfare se intende combattere il fenomeno dei cosiddetti «falsi lavoratori autonomi».

4.9

Inoltre, l'inclusione degli autotrasportatori autonomi nel campo d'azione della direttiva 2002/15/CE deve essere accompagnata da una modifica della direttiva che riguardi la corresponsabilità dei diversi attori nella catena di trasporto. L'articolo 10, paragrafo 4, del regolamento sui tempi di guida e di riposo (5) stipula che «Le imprese, i caricatori, gli spedizionieri, gli operatori turistici, i capifila, i subappaltatori e le agenzie di collocamento di conducenti si assicurano che gli orari di lavoro concordati contrattualmente siano conformi al presente regolamento». Questa corresponsabilità deve essere estesa all'applicazione della legislazione sull'orario di lavoro. Ciò consentirebbe di mettere sullo stesso piano i lavoratori mobili e gli autotrasportatori autonomi. In effetti, quando questi ultimi si trovano in condizione di subappalto, sono soggetti a pressioni per abbassare i prezzi, e quindi costretti a lavorare un maggior numero di ore. Si può così evitare una situazione di concorrenza sleale, che danneggia i lavoratori mobili.

4.10

Per quanto riguarda lo stress aggiuntivo provocato dall'inclusione degli autotrasportatori autonomi nel campo d'azione della direttiva, il CESE ritiene poco convincenti le conclusioni dello studio esterno. La definizione di orario di lavoro utilizzata dai consulenti non è chiara. Se gli autotrasportatori autonomi sono costretti a seguire l'amministrazione e la gestione di tutte le loro operazioni di trasporto nello stesso orario di lavoro dei lavoratori mobili, che non devono svolgere questo tipo di attività, essi saranno inevitabilmente esposti a uno stress aggiuntivo. Se invece gli autotrasportatori autonomi svolgono lo stesso tipo di attività dei lavoratori mobili nello stesso orario di lavoro, non si comprendono i motivi per cui essi dovrebbero essere esposti a uno stress maggiore rispetto ai lavoratori mobili. Resta inteso che le mansioni amministrative generali, definite nell'articolo 3, lettera a) paragrafo 2 della direttiva, non sono considerate incluse nella definizione dell'orario di lavoro.

4.11

Inoltre, se ridurre l'orario di lavoro contribuisce sì a ridurre la fatica, ma crea stress, gli autotrasportatori autonomi sono condannati a scegliere tra due opzioni ugualmente svantaggiose. Per il CESE, la priorità deve andare alla sicurezza stradale: la fatica conseguente a orari di lavoro prolungati, inclusi i tempi di guida, può compromettere la sicurezza stradale, indipendentemente dal fatto che l'autotrasportatore sia mobile o autonomo.

4.12

D'altra parte lo studio omette di segnalare — e la Commissione condivide il ragionamento — che lo stress degli autotrasportatori può continuare ad esistere e ad aumentare anche nell'ipotesi in cui essi vengano esclusi dal campo di applicazione della direttiva, perché i committenti non si lasceranno sfuggire l'occasione di sfruttare questa possibilità per esercitare pressione su di loro affinché abbassino i prezzi.

4.13

La Commissione sottolinea che il Consiglio non ha accettato alcun obbligo minimo di controllo sistematico sulle norme in materia di orario di lavoro. Il CESE, come la Commissione, deplora questo fatto, ma non intende strumentalizzarlo per non adattare la legislazione agli autotrasportatori autonomi. Il fatto che per gli autotrasportatori autonomi l'orario di lavoro sia difficile da controllare non significa che non debba essere esercitato alcun controllo. Per questo motivo, la corresponsabilità degli attori della catena dei trasporti nell'applicazione della legislazione può essere un elemento interessante. Qualora dovesse risultare che i contratti tra i diversi attori della catena dei trasporti sono tali da rendere impossibile l'applicazione di una durata media di guida di 48 ore, allora ci si potrà avvalere di un elemento concreto per proteggere gli autotrasportatori autonomi da tempi di guida e orari di lavoro eccessivamente lunghi.

4.14

Per il CESE, un mercato interno europeo dei trasporti stradali presuppone la creazione di una concorrenza equa, che si instaura in primo luogo a partire da un'applicazione efficace e reale della legislazione sociale relativa al settore. Tracciando una distinzione tra autotrasportatori mobili e autonomi per l'applicazione della legislazione sull'orario di lavoro si incoraggia la concorrenza sleale, ed è per questo motivo che il CESE non può accettare di inserire nel campo di applicazione della direttiva soltanto i «falsi lavoratori autonomi».

4.15

Il CESE desidera inoltre ricordare che diversi Stati nei quali i mercati degli operatori di trasporto stradale sono strutturati in maniera diversa, come ad esempio l'Estonia (pochi autonomi) e la Slovacchia (70 % di autonomi), hanno scelto di includere gli autotrasportatori autonomi nel campo di applicazione della direttiva 2002/15/CE. Visto che ciò è già una realtà, il CESE non comprende per quale motivo la Commissione desideri ad ogni costo mantenere gli autotrasportatori autonomi fuori dal campo di applicazione della direttiva 2002/15/CE per ragioni economiche.

4.16

La Commissione, a giusto titolo, con il concetto di «aspetti sociali» si riferisce non solo alla salute, alla sicurezza e alle condizioni lavorative dei lavoratori mobili e degli autotrasportatori autonomi, ma anche alle condizioni salariali e all'equilibrio tra vita professionale e vita privata.

4.17

Secondo la Commissione, l'esclusione dal campo d'azione della direttiva offre agli autotrasportatori autonomi «un controllo maggiore del proprio lavoro e un reddito più elevato, ma esige, per essere redditizio, un investimento maggiore di tempo ed energie».

4.18

Il CESE ricorda che la definizione di orario di lavoro per gli autotrasportatori autonomi non è chiara e/o presuppone che le mansioni amministrative generali non facciano parte dell'orario di lavoro. In questo ultimo caso, il CESE non comprende per quale motivo i redditi più elevati degli autotrasportatori autonomi debbano essere attribuiti all'esclusione di questi ultimi dal campo di applicazione della direttiva sull'orario di lavoro.

4.19

Il CESE fa notare che la promozione della cooperazione a livello europeo tra le diverse amministrazioni nazionali è una condizione fondamentale per garantire l'attuazione efficace della direttiva.

4.20

Il CESE ritiene che, nell'includere gli autotrasportatori autonomi nel campo di applicazione della direttiva, si debba fare attenzione a non sovraccaricarli di mansioni amministrative superflue.

4.21

Prima di elaborare la proposta legislativa, la Commissione intende, dopo questo studio, realizzare un'analisi d'impatto più approfondita. Tale analisi dovrà tener conto di nuovi elementi, quale ad esempio il nuovo regolamento relativo ai tempi di guida e di riposo. Inoltre, in questa analisi d'impatto la Commissione prevede di mantenere l'esclusione dei veri autotrasportatori autonomi dalle norme settoriali in materia di orario di lavoro. Il CESE non è convinto del valore aggiunto di una nuova analisi d'impatto.

Bruxelles, 9 luglio 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Membro dimissionario.

(2)  GU C 175 del 27.7.2007, pagg. 88-90.

(3)  GU C 161 del 13.7.2007, pag. 89.

(4)  Articolo 3, lettera e): «“autotrasportatore autonomo”: una persona la cui attività professionale principale consiste nel trasporto su strada di passeggeri o merci dietro remunerazione ai sensi della legislazione comunitaria, in virtù di una licenza comunitaria o di un'altra autorizzazione professionale ad effettuare il suddetto trasporto, che è abilitata a lavorare per conto proprio e che non è legata ad un datore di lavoro da un contratto di lavoro o da un altro rapporto di lavoro di tipo gerarchico, che è libera di organizzare le attività in questione, il cui reddito dipende direttamente dagli utili realizzati e che è libera di intrattenere, individualmente o attraverso una cooperazione tra autotrasportatori autonomi, relazioni commerciali con più clienti.

Ai fini della presente direttiva, gli autotrasportatori che non rispondono a tali criteri sono soggetti agli stessi obblighi e beneficiano degli stessi diritti previsti per i lavoratori mobili dalla presente direttiva».

(5)  Regolamento (CE) n. 561/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 marzo 2006, relativo all'armonizzazione di alcune disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada e che modifica i regolamenti del Consiglio (CEE) n. 3821/85 e (CE) n. 2135/98 e abroga il regolamento (CEE) n. 3820/85 del Consiglio.


3.2.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 27/53


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Un piano strategico europeo per le tecnologie energetiche (piano SET) — Verso un futuro a bassa emissione di carbonio

COM(2007) 723 def.

(2009/C 27/13)

La Commissione europea, in data 22 novembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Un piano strategico europeo per le tecnologie energetiche (piano SET) — Verso un futuro a bassa emissione di carbonio.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 giugno 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore ZBOŘIL.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 9 luglio 2008, nel corso della 446a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 127 voti favorevoli e 5 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE accoglie con favore la comunicazione della Commissione e i documenti di lavoro complementari e condivide l'analisi e la descrizione della situazione attuale delle tecnologie energetiche. Senza una strategia ben ponderata per lo sviluppo delle tecnologie energetiche, è molto difficile portare avanti delle riflessioni sulla riduzione dei cambiamenti climatici. Per questo motivo il CESE sostiene l'adozione del piano SET.

1.2

La comunicazione rafforza notevolmente anche il fondamento essenziale della politica energetica: la sicurezza degli approvvigionamenti di energia, tanto sul piano materiale quanto su quello della sostenibilità sociale e ambientale. Sicurezza degli approvvigionamenti significa non soltanto garantire l'accesso materiale alle fonti, bensì consentire l'acquisto di energia a prezzi socialmente accettabili.

1.3

Nella comunicazione la Commissione mette giustamente lo sviluppo delle tecnologie energetiche al primo posto nell'impegno per la limitazione dei cambiamenti climatici, e tale posizione corrisponde anche alle conclusioni adottate dalla 13a conferenza delle parti (COP 13), tenutasi a Bali nel dicembre 2007 (1).

1.4

Molto opportunamente, la comunicazione della Commissione sottolinea l'importanza del fattore tempo, che svolge un ruolo essenziale nell'attuazione della strategia proposta (piano SET) se l'UE intende realizzare, entro il 2020, la riduzione delle emissioni dei gas ad effetto serra prevista dall'impegno sottoscritto nel marzo 2007.

1.5

Per accelerare lo sviluppo e l'utilizzo nella pratica delle nuove tecnologie energetiche, l'UE necessita di un maggior numero di meccanismi mirati ed efficaci che consentano di sfruttare le potenzialità dell'aiuto pubblico, dell'industria, delle università e della ricerca e ne rafforzino le sinergie. Una più ampia cooperazione e misure atte ad evitare la frammentazione delle attività di ricerca sono necessarie anche a livello internazionale.

1.6

Il CESE apprezza fortemente l'invito, formulato nella comunicazione della Commissione, a mobilitare risorse sia finanziarie sia, soprattutto, umane a tutti e quattro i livelli: nel settore privato, a livello degli Stati membri, a livello comunitario e a livello globale. Il CESE sottolinea che un sostegno generale adeguato all'istruzione scientifica e tecnica è un presupposto importante per la mobilitazione delle risorse umane.

1.7

Una parte del piano strategico dovrebbe prevedere, oltre alla definizione di priorità a livello dell'UE, anche la definizione di priorità specifiche a livello degli Stati membri nel rispetto delle loro potenzialità naturali ed esperienze, l'assegnazione di sufficienti risorse finanziarie nel quadro dei bilanci pubblici (dell'UE e degli Stati membri), lo sfruttamento ottimale delle capacità di ricerca e sviluppo, il coinvolgimento del settore privato — motivato da stimoli sufficienti da parte del mercato dell'energia — e altri strumenti legislativi e fiscali.

1.8

Il CESE osserva che sarebbe deleterio se lo strumento indubbiamente più importante per limitare i cambiamenti climatici, ossia la strategia di sviluppo e di applicazione delle tecnologie energetiche, venisse messo in ombra da altri temi, i quali, obiettivamente, devono piuttosto creare il necessario quadro di sostegno e di motivazione a tale sviluppo (sistema comunitario per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra, sostegno all'utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, terzo pacchetto per l'energia, ecc.). Una diminuzione reale delle emissioni dei gas a effetto serra potrà essere ottenuta soltanto tramite sviluppi tecnologici concreti che consentano di mettere a punto tecnologie più efficaci per quanto riguarda sia la produzione che il consumo di tutti i tipi di energia.

1.9

La Commissione presenta un'analisi estremamente pertinente e obiettiva della situazione attuale, che è molto insoddisfacente, e dà giustamente risalto ai problemi organizzativi e amministrativi che la società deve affrontare accanto a quelli tecnico-scientifici.

1.10

A livello dell'UE viene raccomandato di prestare attenzione e dare un sostegno adeguato alle tecnologie per l'utilizzo delle fonti di energia rinnovabili, alle tecnologie pulite per la produzione di calore e alle infrastrutture più moderne per il trasporto e lo stoccaggio dell'energia. Attualmente, tuttavia, dal punto di vista economico alcune fonti di energia rinnovabili sono particolarmente costose e continueranno ad esserlo anche nel lungo periodo. Restano in secondo piano, purtroppo, le tecnologie che consentono di risparmiare energia nel consumo finale, le tecnologie pulite basate sui carburanti fossili e lo sfruttamento dell'energia atomica ottenuta grazie alla fissione e alla fusione, nonché lo stoccaggio sicuro delle scorie nucleari. Il CESE giudica necessario tenere presente che diversi paesi sono dipendenti dai combustibili fossili e dall'energia nucleare e continueranno ad esserlo nel prossimo futuro.

1.11

Il CESE ritiene indispensabile che il settore privato sia coinvolto, e anche in misura notevole. L'UE e i governi degli Stati membri devono creare delle condizioni favorevoli a tale partecipazione, sia definendo i principi, le priorità e gli obiettivi delle politiche energetiche, sia creando strumenti a sostegno della loro attuazione.

1.12

Il punto chiave è l'introduzione delle regole del mercato nel settore energetico, soprattutto tenendo in debito conto le esternalità, compresi i costi sociali, nei prezzi di tutti i tipi di energia. L'UE e gli Stati membri dovranno probabilmente creare delle condizioni legislative e fiscali atte a collegare in modo più vantaggioso le risorse finanziarie pubbliche e private destinate alla ricerca energetica.

1.13

Le effettive condizioni naturali e l'accesso materiale alle fonti dovrebbero diventare il criterio di base al momento di valutare la possibilità di sfruttare le fonti di energia rinnovabili nei singoli Stati membri e di coinvolgerli nei programmi di sviluppo delle tecnologie energetiche.

1.14

Al conseguimento dell'obiettivo dello sviluppo sostenibile deve contribuire anche lo sviluppo di tecnologie energetiche moderne destinate ai consumatori. Il coordinamento strategico raccomandato delle attività di ricerca e sviluppo in materia di energia, che definirebbe le priorità (dal punto di vista del contenuto e dei tempi) a livello sia comunitario che degli Stati membri, nonché i meccanismi operativi necessari come i sistemi di gestione, di controllo e dei flussi di informazione, possono contribuire notevolmente al raggiungimento degli obiettivi auspicati.

1.15

Nell'estendere la cooperazione in materia di ricerca e sviluppo di nuove tecnologie energetiche al di là dell'ambito comunitario, prima di concludere nuovi accordi ci si dovrebbe adoperare per utilizzare al meglio le istituzioni, i trattati e gli accordi già esistenti, in particolare quelli che in passato si sono rivelati efficaci.

1.16

Il piano SET rappresenta un orientamento strategico fondamentale dell'economia europea in materia di sviluppo e applicazione delle tecnologie volte a limitare i cambiamenti climatici riducendo le emissioni di gas ad effetto serra entro il 2020 e ancora entro il 2050.

2.   Premessa

2.1

Il 22 novembre 2007 la Commissione ha pubblicato una proposta relativa ad un piano strategico europeo per le tecnologie energetiche (piano SET) Verso un futuro a bassa emissione di carbonio (COM(2007) 723 def.), accompagnata dai seguenti documenti di lavoro: Full impact assessment (Valutazione d'impatto completa) (SEC(2007) 1508), Sintesi della valutazione di impatto (SEC(2007) 1509), Technology map (Mappa delle tecnologie) (SEC(2007) 1510) e Capacities map (Mappa delle capacità) (SEC(2007) 1511). Questa serie di documenti riassume le soluzioni e i mezzi disponibili che occorre mobilitare per realizzare gli obiettivi del piano SET. Tali documenti contengono un invito urgente ad una cooperazione più stretta e più coordinata in materia di ricerca e sviluppo a tutti i livelli (2).

2.2

Si tratta di un orientamento strategico in un settore fondamentale, addirittura centrale, inteso a limitare i cambiamenti climatici riducendo le emissioni di gas ad effetto serra. L'UE nel suo complesso dovrà ridurre concretamente tali gas del 20 % entro il 2020, ed eventualmente anche del 30 % se la comunità internazionale aderirà all'iniziativa lanciata dall'UE a livello globale. Questi obiettivi fondamentali per la lotta contro i cambiamenti climatici e i principali contenuti dell'iniziativa Una politica energetica per l'Europa sono stati definiti dal Consiglio europeo il 9 marzo 2007.

2.3

Per stabilizzare la concentrazione di biossido di carbonio nell'atmosfera a un livello accettabile saranno necessari enormi progressi nelle tecnologie energetiche. Non vi è alcun dubbio sulla necessità di innovazioni tecnologiche: esse sono indispensabili. Il punto è piuttosto in quale misura la politica debba porsi come obiettivo diretto quello di stimolare tale innovazione (3). Accontentarsi della «tecnologia già disponibile» è estremamente pericoloso, e il piano SET, se accuratamente progettato e attuato, rappresenta la scelta di base adeguata per conseguire gli obiettivi di riduzione stabiliti.

3.   I documenti della Commissione

3.1

L'Europa deve agire ora, unendo le forze, per garantire approvvigionamenti sicuri di energia sostenibile e competitiva. L'utilizzo delle tecnologie riveste un'importanza fondamentale per realizzare gli obiettivi della politica energetica per l'Europa adottata dal Consiglio europeo il 9 marzo 2007. Per conseguire tali obiettivi è necessario ridurre i costi dell'energia pulita e fare in modo che le imprese dell'UE assumano un ruolo di primo piano nel settore in rapida crescita delle tecnologie a basso tenore di carbonio. In un'ottica a lunga scadenza bisogna sviluppare tecnologie di nuova generazione, il che non può avvenire senza che vi siano progressi effettivi nel settore della ricerca: soltanto in questo modo si potrà raggiungere l'ambizioso traguardo di ridurre del 60-80 % entro il 2050 le emissioni di gas a effetto serra.

3.2

Le attuali tendenze e le relative proiezioni per il futuro mostrano che non siamo sulla strada giusta per realizzare gli obiettivi della politica energetica. La facile disponibilità delle risorse non solo ha contribuito a rendere l'Europa dipendente dai combustibili fossili ma ha anche rallentato la spinta a favore dell'innovazione e gli investimenti nelle nuove tecnologie energetiche. I bilanci pubblici e privati della ricerca energetica nell'UE, dopo avere raggiunto i livelli massimi negli anni Ottanta, sono diminuiti drasticamente. Ne è risultata un'insufficienza cronica degli investimenti nelle capacità e nelle infrastrutture. Se i governi dell'UE investissero oggi agli stessi livelli del 1980, la spesa pubblica totale dell'UE per lo sviluppo di tecnologie energetiche sarebbe quattro volte superiore all'attuale livello di investimenti, pari a circa 2,5 miliardi di euro all'anno.

3.3

La diffusione di nuove tecnologie energetiche sul mercato è ulteriormente ostacolata dalla natura stessa dell'energia in quanto merce. Ostacoli di natura giuridica e amministrativa completano questo quadro ostile all'innovazione. L'intervento pubblico a sostegno dell'innovazione in campo energetico è quindi, al tempo stesso, necessario e giustificato.

3.4

I principali protagonisti a livello mondiale, gli Stati Uniti e il Giappone, ma anche le economie emergenti, come la Cina, l'India e il Brasile, devono affrontare le stesse sfide e moltiplicano gli sforzi nel campo delle nuove tecnologie energetiche. Le dimensioni del loro mercato, gli investimenti e le capacità di ricerca superano abbondantemente quelli della maggior parte degli Stati membri. La frammentazione, la presenza di molteplici strategie di ricerca non omogenee e di capacità inferiori alla massa critica formano il quadro predominante della ricerca dell'UE. Se restiamo indietro nella corsa mondiale, sempre più intensa, alla conquista dei mercati delle tecnologie a basso tenore di carbonio, per conseguire gli obiettivi fissati potremmo essere obbligati a dipendere da tecnologie importate, e le imprese dell'UE perderebbero così enormi opportunità commerciali.

3.5

Anche se la transizione verso un'economia a basso tenore di carbonio durerà decenni e riguarderà tutti i settori dell'economia, non possiamo permetterci ritardi nell'adozione delle misure adeguate. Le decisioni adottate nei prossimi 10-15 anni avranno profonde conseguenze per la sicurezza energetica, i cambiamenti climatici, la crescita e l'occupazione in Europa.

3.6

In primo luogo, occorre migliorare l'efficienza nella conversione, nella fornitura e nell'uso finale dell'energia. Le opportunità tecnologiche disponibili nei trasporti, nell'edilizia e nell'industria devono essere trasformate in opportunità commerciali. È necessario sfruttare pienamente il potenziale innovativo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione e dell'innovazione organizzativa, nonché utilizzare strumenti di politica pubblica e strumenti di mercato (4) per gestire la domanda e incoraggiare nuovi mercati.

3.7

Nei suoi documenti la Commissione dichiara che molte delle tecnologie che contribuiranno a conseguire gli obiettivi fissati per il 2020 sono attualmente già disponibili oppure sono giunte alla fase finale di sviluppo. Anche in una visione ottimistica, tuttavia, continua a valere il fatto che nell'applicazione delle tecnologie note il fattore tempo è molto importante e che, in generale, le tecnologie a basso tenore di carbonio continuano ad essere costose e incontrano ostacoli nella penetrazione del mercato. È quindi necessario un approccio basato su un duplice principio: potenziare la ricerca per ridurre i costi e migliorare l'efficienza, e adottare misure attive di sostegno per creare nuove opportunità commerciali, incentivare lo sviluppo del mercato ed eliminare le barriere non tecnologiche che scoraggiano l'innovazione e lo sviluppo del mercato delle tecnologie energetiche efficienti e a basso tenore di carbonio.

Per realizzare la visione fissata per il 2050, che prevede il passaggio a tecnologie praticamente prive di carbonio, è necessario sviluppare una nuova generazione di tali tecnologie sulla base di innovazioni significative. Anche se l'impatto di alcune di queste tecnologie entro il 2020 sarà limitato, è indispensabile intensificare gli sforzi per garantire che possano essere utilizzate quanto prima.

3.8

Le misure attualmente in vigore, adottate negli ultimi anni, possono costituire la base per un'ulteriore azione comunitaria: (i) istituzione di piattaforme tecnologiche europee; (ii) utilizzo dello strumento NET dello Spazio europeo della ricerca (SER) per dare il via ad una programmazione comune della ricerca fra gli Stati membri; (iii) cooperazione tra centri di ricerca in settori specifici grazie alle reti di eccellenza. Il piano SET conferirà agli sforzi globali di ricerca in Europa un orientamento chiaro, una base più solida e una reciproca interconnessione, con l'obiettivo di accelerare il progresso dell'innovazione nelle tecnologie europee a basso tenore di carbonio. Il piano SET si propone di ottenere i seguenti risultati: (i) una nuova pianificazione strategica congiunta, (ii) un'attuazione più efficace, (iii) un aumento delle risorse e (iv) un nuovo approccio rafforzato alla cooperazione internazionale.

3.9

Un nuovo metodo di lavoro a livello comunitario richiede strumenti complessi, dinamici e flessibili che consentano di guidare questo processo, di definire le priorità e di proporre le azioni da attuare: in altre parole, occorre un approccio collettivo alla pianificazione strategica. Le parti interessate devono iniziare a comunicare e ad adottare decisioni in modo molto più strutturato e orientato verso la missione da realizzare, elaborando e attuando azioni insieme alla CE nell'ambito di un quadro cooperativo. Per gestire l'attuazione del piano SET, rafforzando la coerenza fra gli sforzi nazionali, europei e internazionali, nel 2008 la Commissione istituirà un gruppo direttivo sulle tecnologie energetiche strategiche. Inoltre, nel primo semestre del 2009, la Commissione organizzerà un vertice europeo sulle tecnologie energetiche.

3.10

Per consentire al gruppo direttivo di effettuare una pianificazione strategica efficace, è necessario disporre di informazioni e dati affidabili e regolari. La Commissione istituirà un sistema di gestione delle informazioni e della conoscenza ad accesso libero, che comprenderà una «mappa delle tecnologie» e una «mappa delle capacità» sviluppate dal Centro comune di ricerca della Commissione (5).

3.11

Per accelerare il processo di sviluppo e il lancio delle tecnologie sul mercato sono necessari meccanismi più mirati e potenti, in grado di sfruttare il potenziale degli interventi pubblici, dell'industria europea e dei ricercatori. Questi meccanismi prenderanno la forma di: (i) iniziative industriali europee, (ii) un'alleanza europea per la ricerca nel settore dell'energia, (iii) reti transeuropee dell'energia e sistemi del futuro.

3.12

Favorire la concentrazione e il coordinamento fra i vari programmi e le varie fonti di finanziamento aiuterà a ottimizzare gli investimenti, a creare la capacità e ad assicurare la continuità dei finanziamenti delle tecnologie nelle diverse fasi di sviluppo. Occorre impegnarsi su due aspetti: mobilitare ulteriori risorse finanziarie per la ricerca e le infrastrutture connesse, la dimostrazione su scala industriale e i progetti di prima applicazione commerciale; e promuovere l'istruzione e la formazione per fornire la quantità e la qualità di risorse umane necessarie a sfruttare appieno le opportunità tecnologiche che verranno create dalla politica europea nel settore dell'energia.

3.13

La Commissione ha l'intenzione di presentare una comunicazione sul finanziamento delle tecnologie a basso tenore di carbonio alla fine del 2008. Le azioni intraprese dagli Stati membri per ampliare la base delle risorse umane dovrebbero essere coordinate meglio per massimizzare le sinergie e aumentare la mobilità nel settore.

3.14

Le misure proposte nel piano SET dovrebbero portare al rafforzamento della cooperazione internazionale. È inoltre necessario assicurare che l'UE parli sempre più spesso con una sola voce negli eventuali contesti internazionali per favorire un partenariato più forte e più coerente.

3.15

Oggi il processo di innovazione in materia di tecnologie energetiche si basa su programmi e incentivi nazionali che impiegano risorse nazionali per conseguire obiettivi nazionali. Questo modello è adatto a un'epoca, ormai tramontata, priva di restrizioni sulle emissioni di carbonio e in cui l'energia era disponibile a prezzi bassi. Per realizzare i profondi cambiamenti nel settore dell'energia che saranno necessari nel XXI secolo occorre adottare una politica nuova.

4.   Osservazioni di carattere generale

4.1

Il CESE accoglie con favore la comunicazione della Commissione e i documenti di lavoro complementari e condivide l'analisi e la descrizione della situazione attuale delle tecnologie energetiche. La necessità di reagire ai rischi posti dai cambiamenti climatici globali, continuando al tempo stesso a soddisfare l'elevata domanda di energia dei paesi industrializzati e a rispondere alla rapida crescita della domanda delle economie in via di sviluppo, costituisce un'importante sfida internazionale. Senza una strategia ben ponderata per lo sviluppo e l'applicazione di tecnologie energetiche più economiche ed efficienti, le riflessioni sulla limitazione dei cambiamenti climatici perdono largamente di validità.

4.2

La comunicazione rafforza notevolmente anche il fondamento essenziale della politica energetica: la sicurezza degli approvvigionamenti, tanto sul piano materiale quanto su quello della sostenibilità sociale e ambientale. Sicurezza degli approvvigionamenti significa non soltanto garantire l'accesso materiale alle fonti, bensì consentire di acquistare l'energia a prezzi socialmente accettabili.

4.3

Nella comunicazione la Commissione mette giustamente lo sviluppo delle tecnologie energetiche al primo posto nell'impegno per la limitazione dei cambiamenti climatici, e tale posizione corrisponde alle conclusioni adottate dalla 13a conferenza delle parti (COP 13), tenutasi a Bali nel dicembre 2007 (6). La cooperazione internazionale attuale e futura su questo punto dovrebbe costituire un'altra priorità dell'UE, anche in considerazione delle opportunità che si offrirebbero all'economia europea per quanto riguarda la diffusione delle necessarie tecnologie.

4.4

Molto opportunamente, la comunicazione della Commissione sottolinea l'importanza del fattore tempo, che svolge un ruolo essenziale nell'attuazione della strategia proposta (piano SET) se l'UE intende realizzare, entro il 2020, la riduzione delle emissioni dei gas a effetto serra prevista dall'impegno sottoscritto nel marzo 2007. Senza un'accelerazione dei processi di organizzazione e dell'analisi finale degli orientamenti strategici fondamentali relativi allo sviluppo delle tecnologie (tenuto conto anche degli orientamenti strategici di base per lo sviluppo e la ricerca adottati negli Stati Uniti e in Giappone) non sarà possibile mobilitare efficacemente le forze e le risorse necessarie a realizzare la prima tappa entro il 2020, né tanto meno la seconda entro il 2050.

4.5

Per accelerare lo sviluppo e l'utilizzo nella pratica delle nuove tecnologie energetiche, l'UE necessita di un maggior numero di meccanismi mirati ed efficaci che consentano di sfruttare le potenzialità dell'aiuto pubblico, dell'industria e della ricerca e ne rafforzino le sinergie. Nel settore energetico l'Europa dispone di validi organismi nazionali di ricerca, così come di eccellenti équipe di ricercatori nelle università e nei centri specializzati. Purtroppo però questi centri non lavorano in maniera coordinata e gli strumenti di cooperazione utilizzati finora si sono rivelati insufficienti. Sfruttare al massimo questa potenzialità è essenziale per il successo del piano proposto. Una più ampia cooperazione è necessaria anche a livello internazionale.

4.6

Il CESE apprezza vivamente l'invito della Commissione a mobilitare risorse sia finanziarie sia, soprattutto, umane a tutti e quattro i livelli: nel settore privato, a livello degli Stati membri, a livello comunitario e a livello globale. Poiché finora la mobilitazione di risorse finanziarie si è scontrata con problemi di priorità e ritardi, il piano SET proposto deve consentire un cambiamento di approccio e una maggiore rapidità nei processi decisionali. La mobilitazione delle risorse umane costituisce sempre un processo a lungo termine e fa anche parte della strategia di Lisbona; tuttavia non ha ancora raggiunto un livello e una rapidità sufficienti a trovare le risorse necessarie a realizzare le strategie proposte. La condizione primaria per mobilitare le risorse umane consiste nel dare un sostegno adeguato e universale all'istruzione scientifica e tecnica.

4.7

Il CESE constata che è indispensabile raggiungere un accordo non soltanto sulle prospettive, le priorità e gli obiettivi della politica energetica, ma anche su un piano strategico per le tecnologie energetiche.

4.8

Il CESE osserva che sarebbe deleterio se lo strumento indubbiamente più importante per limitare i cambiamenti climatici, ossia la strategia di sviluppo e di applicazione delle tecnologie energetiche, venisse messo in ombra da altri temi e strumenti i quali, obiettivamente, devono piuttosto creare un importante quadro di sostegno a tale sviluppo (sistema comunitario per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra, sostegno all'utilizzo di fonti energetiche rinnovabili, terzo pacchetto per l'energia ecc.). Per ottenere una diminuzione reale delle emissioni dei gas ad effetto serra sono necessari sviluppi tecnologici concreti, che consentano di mettere a punto tecnologie più efficaci per quanto riguarda sia la produzione che il consumo di energia. Per finanziare lo sviluppo tecnologico si potrebbero utilizzare, ad esempio, anche i proventi della vendita all'asta delle quote di emissione nel sistema di scambio dell'UE, a patto che la proposta di indire un'asta venga accettata. Questa fonte di finanziamento, tuttavia, non può assolutamente restare l'unica, tanto più se si considera che essa sarà effettivamente disponibile soltanto a partire dal 2013.

5.   Osservazioni specifiche

5.1

La Commissione presenta un'analisi estremamente valida e pertinente della situazione attuale, che è molto insoddisfacente, e dà giustamente risalto ai problemi organizzativi e amministrativi che la società deve affrontare accanto a quelli tecnico-scientifici.

5.2

I documenti dell'UE sulla problematica delle tecnologie energetiche partono dal principio che non vi è una sola tecnologia energetica — né soltanto alcune — in grado di influenzare decisivamente il progresso nel settore energetico e contribuire al conseguimento degli obiettivi stabiliti. Al contrario ne esistono moltissime, e solo utilizzandone una gamma completa si possono ottenere risultati. Senza un'analisi approfondita non si può escludere a priori nessun orientamento, per quanto poco promettente esso sia, anche se sarebbe necessario eliminare al più presto gli orientamenti che offrono scarse prospettive per evitare un inutile spreco di risorse. Ogni Stato membro e, se necessario, ogni regione dovrebbero avere la possibilità di scegliere le proprie priorità, a partire da un quadro strategico concordato, in base alle proprie competenze specialistiche, realizzazioni ed esperienze.

5.3

A livello dell'UE, nei documenti relativi a tale problematica viene raccomandato di concentrarsi sulle tecnologie per l'utilizzo delle fonti di energia rinnovabili, sulle tecnologie pulite per la produzione di calore (compreso il calore per la produzione di elettricità) e sulle infrastrutture più moderne per il trasporto e lo stoccaggio dell'energia. Il CESE approva queste priorità. Non possono restare in secondo piano, tuttavia, le tecnologie pulite basate sui carburanti fossili, che anche in un lontano futuro costituiranno le più importanti fonti primarie di energia, né si possono trascurare lo sfruttamento dell'energia atomica ottenuta grazie alla fissione e alla fusione e lo stoccaggio sicuro delle scorie nucleari, che anche in futuro dovranno fare parte integrante delle attività di ricerca e di sviluppo dell'UE.

5.4

Il CESE è d'accordo sul fatto che attualmente il mercato dell'energia non offre informazioni chiare ai responsabili della politica energetica, ai governi e agli investitori privati sull'urgenza di sviluppare l'applicazione delle nuove tecnologie energetiche, poiché i prezzi delle diverse fonti di energia e dei carburanti non tengono sufficientemente conto di tutte le esternalità, compresi i costi sociali. Anche per questo motivo a livello dell'UE non sono stati raggiunti accordi sulle priorità dell'attività di ricerca e sviluppo energetico e sulla messa a disposizione di risorse finanziarie adeguate e di altri strumenti a sostegno di tali priorità.

5.5

Secondo il CESE, una parte del piano strategico dovrebbe prevedere, oltre alla definizione di priorità a livello dell'UE, anche la definizione, rapida ed efficacemente coordinata, di priorità specifiche a livello degli Stati membri, l'assegnazione di sufficienti risorse finanziarie nel quadro dei bilanci pubblici, lo sfruttamento ottimale delle capacità di ricerca e sviluppo, il coinvolgimento del settore privato — motivato da stimoli sufficienti da parte del mercato dell'energia — e altri strumenti legislativi e fiscali. È indispensabile il coinvolgimento del settore privato, e anche in misura notevole. L'UE e i governi degli Stati membri devono creare delle condizioni favorevoli in tal senso, sia definendo i principi, le priorità e gli obiettivi della politica energetica, sia creando strumenti pratici a sostegno della loro attuazione.

5.6

Il punto chiave è l'introduzione delle regole del mercato nel settore energetico, soprattutto tenendo in debito conto le esternalità, compresi i costi sociali, nei prezzi dell'energia, il che farà sì che il mercato segnali in tempo utile agli investitori e agli operatori privati la necessità di effettuare cambiamenti tecnologici ai fini dell'utilizzo differenziato delle fonti energetiche e di un loro sfruttamento più efficace. L'UE e gli Stati membri dovranno evidentemente creare delle condizioni legislative e fiscali che consentano un collegamento più vantaggioso delle risorse finanziarie pubbliche e private destinate alla ricerca e allo sviluppo energetico, tra cui anche strumenti volontari, che porteranno ad un utilizzo più efficace delle risorse.

5.7

Per alcuni paesi che godono di condizioni naturali vantaggiose vi sono indubbiamente notevoli prospettive per un progresso più rapido verso un maggiore utilizzo delle fonti di energia rinnovabili. In altri paesi, tuttavia, tali vantaggi naturali per talune fonti di energia rinnovabili non sono disponibili, oppure non lo sono a condizioni economicamente accettabili. Le effettive condizioni naturali e l'accesso materiale alle fonti dovrebbero diventare il criterio di base al momento di valutare la possibilità di sfruttare le fonti di energia rinnovabili dei singoli Stati membri e di coinvolgerli nei programmi di sviluppo delle tecnologie energetiche.

5.8

Al CESE sembra che le priorità indicate nella comunicazione della Commissione sul piano SET siano in qualche modo limitate, soprattutto per quanto riguarda la questione delle fonti di energia rinnovabili. Queste ultime rivestono un'innegabile importanza sia per l'aumento della sicurezza degli approvvigionamenti energetici che per la riduzione della dipendenza degli Stati membri dall'importazione di forniture energetiche, nonché per la sostenibilità dello sviluppo. Attualmente, tuttavia, dal punto di vista economico alcune fonti di energia rinnovabili sono particolarmente costose e continueranno ad esserlo anche nel lungo periodo. In generale, l'integrazione dei mercati dell'energia non è soltanto una questione politica e organizzativa, ma richiederà anche adeguate attività di ricerca e sviluppo, ad esempio per la realizzazione di reti intelligenti.

5.9

Il CESE raccomanda di tenere conto del fatto che molti paesi sono dipendenti dai combustibili fossili e dall'energia nucleare e che questa situazione non cambierà nel prossimo futuro. Ciò riguarda anche i paesi terzi, con i quali l'UE dovrebbe coordinare gli sforzi intesi ad accelerare le attività di ricerca e sviluppo in materia di tecnologie energetiche. Per questo il Comitato ritiene che le priorità dell'UE non debbano essere concentrate esclusivamente sulle tecnologie collegate allo sfruttamento delle fonti di energia rinnovabili: la stessa importanza rivestono le tecnologie che consentono di risparmiare energia nel consumo finale e le tecnologie pulite basate sui combustibili fossili (tra cui la cattura e lo stoccaggio dell'anidride carbonica). Anche se nell'UE le tecnologie nucleari, per quanto riguarda la ricerca e lo sviluppo, hanno un calendario e un coordinamento specifico, occorre sottolineare la necessità di ricerca e di sviluppo per quanto riguarda la produzione di energia nucleare per mezzo della fissione e, in prospettiva, anche della fusione, nonché la durata di vita e la sicurezza delle centrali nucleari, che offrono grandi potenzialità per la sicurezza degli approvvigionamenti energetici e la riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra nell'UE.

5.10

È evidente che si può contribuire notevolmente allo sviluppo sostenibile impegnandosi a risparmiare energia sia nella trasformazione che nel consumo finale. Al conseguimento di questo obiettivo deve contribuire anche lo sviluppo di tecnologie energetiche moderne. A livello dell'UE è possibile migliorare l'utilizzo delle risorse finanziarie e umane in questo settore molto vasto tramite un coordinamento strategico delle attività di ricerca e sviluppo in materia di energia, correttamente elaborato e attuato. Esso definirà le priorità (dal punto di vista del contenuto e dei tempi) a livello sia comunitario che degli Stati membri, nonché i meccanismi operativi necessari come i sistemi di gestione, di controllo e dei flussi di informazione. Un ruolo essenziale a questo proposito sarà svolto anche da una standardizzazione efficace dei processi e degli impianti.

5.11

Nell'estendere la cooperazione in materia di ricerca e sviluppo di nuove tecnologie energetiche al di là dell'ambito comunitario, prima di concludere nuovi accordi ci si dovrebbe adoperare per utilizzare al meglio le istituzioni, i trattati e gli accordi già esistenti, in particolare quelli che in passato si sono rivelati efficaci.

Bruxelles, 9 luglio 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Cfr. decisione della 13a conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico — Piano d'azione di Bali.

(2)  Il CESE ha pubblicato alcuni pareri fondamentali su questo tema, ad esempio GU C 241 del 7.10.2002, pag. 13, La necessità di una ricerca finalizzata a un approvvigionamento energetico sicuro e sostenibile ed altri, tutti ancora attuali.

(3)  Pielke R. Jr et al., Dangerous assumptions (Assunti pericolosi), Nature, Vol. 452/3, pagg. 531-532, 3 aprile 2008.

(4)  Libro Verde sugli strumenti di mercato utilizzati a fini di politica ambientale e ad altri fini connessi — COM(2007) 140 def. del 28 marzo 2007.

(5)  Cfr. i documenti di lavoro dei servizi della Commissione SEC(2007) 1510 Technology Map (Mappa delle tecnologie) e SEC(2007) 1511 Capacities Map (Mappa delle capacità).

(6)  Cfr. decisione della 13a conferenza delle parti della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sul cambiamento climatico — Piano d'azione di Bali.


3.2.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 27/59


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema I rapporti tra il cambiamento climatico e l'agricoltura in Europa

(2009/C 27/14)

In data 25 ottobre 2007 la futura presidenza francese dell'UE, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato CE, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere esplorativo sul tema:

I rapporti tra il cambiamento climatico e l'agricoltura in Europa.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 giugno 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore RIBBE e dal correlatore WILMS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 9 luglio 2008, nel corso della 446a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 94 voti favorevoli, 30 voti contrari e 13 astensioni.

1.   Sintesi delle conclusioni e raccomandazioni del Comitato

1.1

La futura presidenza francese dell'UE, con lettera del 25 ottobre 2007, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere esplorativo sul tema I rapporti tra il cambiamento climatico e l'agricoltura a livello europeo, invitandolo esplicitamente ad affrontare il tema dei biocarburanti.

1.2

Il Comitato è profondamente preoccupato per l'impatto negativo che il cambiamento climatico avrà sull'agricoltura europea, e quindi anche sull'economia di molte zone rurali. L'impatto maggiore si avrà probabilmente nell'Europa meridionale, soprattutto in ragione dei prolungati periodi di siccità e addirittura di scarsità delle risorse idriche previsti. Queste circostanze potrebbero portare al collasso totale delle attività agricole. Anche in altre regioni d'Europa, però, gli agricoltori dovranno affrontare problemi gravi dovuti ai cambiamenti climatici, ad esempio sotto forma di un profondo cambiamento dei modelli temporali delle precipitazioni. A ciò si potrebbero aggiungere problemi legati alla comparsa di nuove o più gravi forme di fitopatie e infestazioni parassitarie.

1.3

La politica è pertanto chiamata ad agire rapidamente, integrando la protezione del clima in tutte le altre politiche.

1.4

L'agricoltura non è solo vittima del cambiamento climatico, ma contribuisce anch'essa all'emissione di gas a effetto serra; non si tratta principalmente di emissioni di CO2, ma di quelle di metano e di protossido di azoto causate dal cambiamento d'uso dei terreni e dalla produzione agricola vera e propria. Il CESE esorta la Commissione ad analizzare con maggiore precisione quali siano le differenze tra le diverse forme di attività agricola in termini di incidenza climatica, per poterne ricavare delle opzioni di intervento, ad esempio nel quadro della politica di sostegno. In questo contesto, il Comitato accoglie con favore l'annuncio della Commissione riguardante una maggiore integrazione, in futuro, della tutela del clima nella politica agricola comune.

1.5

L'agricoltura può fornire contributi importanti alla tutela del clima, fra l'altro facendo in modo che le riserve di carbonio ancora presenti nel suolo non solo siano preservate, ma addirittura aumentino mediante una formazione mirata di humus, riducendo l'input energetico che essa richiede e fornendo biomassa per scopi energetici prodotta in modo rispettoso della natura e dell'ambiente.

1.6

La strategia europea per i biocarburanti di cui si disegnano attualmente i contorni e che, secondo le indicazioni dalla Commissione prevede un volume notevole anche di importazioni di materie prime agricole è, a parere del CESE, inadatta a realizzare gli obiettivi di tutela del clima in modo economicamente efficace e a creare allo stesso tempo nuovi posti di lavoro e generare nuovi redditi nel settore agricolo. Invece della strategia per i biocarburanti andrebbe definita piuttosto una nuova strategia europea per la biomassa frutto di attente riflessioni; tale strategia non dovrebbe affidarsi alle importazioni, ma cercare in misura decisamente maggiore di quanto non sia avvenuto finora di trasformare i sottoprodotti/residui agricoli in energia utilizzabile, prevedendo per gli agricoltori un ruolo attivo nei cicli energetici decentrati che andranno creati.

2.   Elementi principali e contesto del parere

2.1

L'agricoltura è per eccellenza il settore dell'economia che più dipende dalle condizioni naturali (e quindi anche da quelle climatiche), che le sfrutta, le modifica o le crea.

2.2

Il principio su cui si basa consiste nello sfruttare sistematicamente l'energia solare attraverso il processo di fotosintesi delle piante per ottenere energia utilizzabile dall'uomo sotto forma di alimenti o foraggio. Inoltre, l'energia fissata attraverso la fotosintesi viene utilizzata da sempre come fonte di calore (p. es. la biomassa sotto forma di legno).

2.3

Le condizioni climatiche, che in Europa finora erano nel complesso favorevoli all'attività agricola, sono un fattore decisivo ai fini di un'agricoltura con una struttura molto variata e caratterizzata da una grande diversità. Questo significa anche che un eventuale cambiamento delle condizioni avrà necessariamente un impatto sull'agricoltura e sulle strutture ambientali, economiche e sociali regionali ad essa collegate.

3.   Osservazioni di carattere generale

L'agricoltura, vittima del cambiamento climatico

3.1

I cambiamenti climatici, in particolare il previsto aumento della temperatura e, più ancora, la variazione del volume delle precipitazioni, colpiranno in modo devastante l'agricoltura in alcune regioni europee. Specialmente nell'Europa meridionale periodi di siccità prolungati, ed eventualmente nel tempo l'aridità completa e una possibile conseguente desertificazione, potrebbero rendere impossibile la produzione agricola. Inoltre, gli incendi di vaste dimensioni possono avere un impatto enorme sulle superfici agricole (1). L'economia di queste regioni rischia un grave tracollo. Secondo tutti gli studi scientifici i cambiamenti climatici avranno un impatto in termini di infestazioni e fitopatie, che ridurranno la resa delle coltivazioni più importanti per la produzione di alimenti. L'alterazione del ciclo vitale degli agenti patogeni porterà a:

modifiche nella distribuzione geografica degli agenti patogeni,

modifiche nell'incidenza e nella gravità delle fitopatie,

cambiamenti nella strategia impiegata per controllare le fitopatie.

3.2

Il CESE, in questo contesto, rimanda alle varie pubblicazioni ed iniziative della Commissione sull'argomento, fra cui la comunicazione Affrontare il problema della carenza idrica e della siccità nell'Unione europea  (2) e i progetti ed azioni ivi illustrate, e il Libro verde L'adattamento ai cambiamenti climatici in Europa — quali possibilità di intervento per l'UE; ricorda altresì che la Commissione ha sottolineato la necessità di sviluppare strategie intelligenti per lo sfruttamento dei terreni. Diversi paesi si sono già attivati in tal senso.

3.3

La maggior parte dei nostri concittadini e dei responsabili politici non è probabilmente neanche in grado di immaginare che cosa significherebbe se, ad esempio, nell'Europa meridionale si dovesse rinunciare allo sfruttamento agricolo di vaste superfici perché non c'è più una sufficiente disponibilità d'acqua e a causa dei frequenti episodi di temperature estreme. Ciò avrà anche conseguenze negative per l'occupazione delle regioni interessate da tali fenomeni, a causa dei cambiamenti nell'uso dei suoli.

3.4

Il Comitato esorta pertanto tutti i poteri decisionali a fare il possibile per limitare al massimo le ripercussioni negative del cambiamento climatico sull'agricoltura mediante un programma di protezione del clima ampio e approfondito. È inoltre indispensabile intraprendere azioni volte a permettere l'adeguamento dell'attività agricola al cambiamento climatico. Il settore agricolo dovrà adattarsi in modo rapido ed efficiente alle trasformazioni e alle alterazioni che subirà il clima, poiché dalla riuscita o dal fallimento di queste azioni dipenderà la continuità dell'attività agricola.

3.4.1

In base agli ultimi rapporti dell'OCSE e della FAO, la ricerca e l'innovazione devono essere fattori essenziali nella lotta contro i cambiamenti climatici. Tra le azioni volte a permettere un adeguamento a questo fenomeno, va presa in considerazione la promozione di nuove specie e varietà vegetali, meglio adattate ai cambiamenti climatici. In tal senso acquistano particolare rilevanza i progressi nel miglioramento del materiale vegetale e animale.

Il contributo dell'agricoltura al cambiamento climatico

3.5

Il CESE reputa che sia necessario non solo discutere sulle conseguenze negative del cambiamento climatico per l'agricoltura, ma anche tener presente il contributo di quest'ultima al cambiamento climatico e avviare misure per la riduzione dell'impatto nocivo esercitato dall'agricoltura sul clima. È altresì importante tener conto dei diversi tipi di contributo che l'agricoltura può apportare alla lotta contro il cambiamento climatico.

3.6

Il Comitato si compiace, pertanto, che la Commissione, nella propria comunicazione sulla valutazione dello stato di salute della PAC (3), abbia definito la politica climatica una delle 4 nuove «sfide» per la PAC.

3.7

Le emissioni attribuite direttamente all'agricoltura, secondo la definizione dell'IPCC (comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici), sono pari al 10-12 %, mentre il contributo complessivo dell'agricoltura all'emissione globale di gas a effetto serra è stimato a 8,5-16,5 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente (4), il che corrisponde a una quota totale compresa tra il 17 % e il 32 % (5).

3.8

In Europa, secondo le stime, la quota delle emissioni dovute all'agricoltura rispetto al totale delle emissioni di gas serra è minore che a livello mondiale; la Commissione, facendo ricorso al metodo di calcolo utilizzato dall'IPCC, parla di una quota del 9 %. Dal 1990 l'agricoltura nell'UE-27 è stata in grado di ridurre le emissioni del 20 % e l'UE-15 dell'11 % (6). Il metodo di calcolo IPCC non prende però in considerazione né le emissioni dovute ai cambiamenti introdotti nella destinazione d'uso dei terreni, né l'input energetico per la produzione di concimi e sostanze fitosanitarie o il carburante necessario per i trattori. È per questo che, mentre la Commissione, ad esempio, stima al 6 % la quota delle emissioni di origine agricola in Germania rispetto alle emissioni complessive di tale paese, il governo tedesco cita un valore compreso tra l'11 % e il 15 % poiché, nelle sue stime, tiene conto di tutte le emissioni causate dall'agricoltura.

Il diverso peso dei gas a effetto serra in agricoltura

3.9

L'agricoltura è responsabile solo in piccola parte dell'emissione netta di CO2. Questo è dovuto soprattutto al fatto che le piante assorbono dapprima il CO2 e lo trasformano in massa organica. In seguito all'uso della biomassa, il carbonio dapprima fissato viene rilasciato nuovamente sotto forma di CO2. Il ciclo del carbonio è quindi in gran parte un ciclo chiuso.

3.10

Secondo la Quarta relazione di valutazione dell'IPCC (7), nel settore agricolo la politica climatica deve concentrarsi soprattutto sulle emissioni di metano e di protossido di azoto. L'agricoltura è responsabile per circa il 40 % delle emissioni totali di CH4 e N2O in Europa, emissioni che hanno un impatto particolarmente forte sul clima. Il potenziale effetto serra del protossido di azoto è infatti circa 296 volte maggiore di quello del CO2, e quello del metano lo è di circa 23 volte.

3.11

Fondamentalmente, in agricoltura ci sono quattro aspetti particolarmente rilevanti dal punto di vista climatico:

a)

la trasformazione dei boschi, delle torbiere, delle zone umide e dei prati in terreni agricoli arabili;

b)

i gas a effetto serra rilasciati dai terreni coltivati e dagli animali d'allevamento;

c)

l'energia utilizzata per le attività agricole, nelle imprese agricole e nei settori a monte e a valle, ad esempio sotto forma di carburante, combustibile, concimi minerali, pesticidi o altri tipi di energia necessari per i vari processi (8) e

d)

la produzione di biomassa per scopi energetici.

3.12

Da un punto di vista globale, la trasformazione delle superfici ancora incolte in terreni agricoli è estremamente importante. Le emissioni di gas serra che essa provoca sono infatti di gran lunga superiori a quelle dovute alla produzione agricola e all'impiego di energia in agricoltura. La trasformazione di un terreno in una superficie arabile ha come conseguenza l'emissione di gas serra poiché, se si escludono i deserti, le aree semidesertiche e le superfici edificate, i terreni arabili sono quelli che mediamente presentano la minore percentuale di carbonio (9) fissato nel suolo.

3.13

Per questo motivo, il dibattito sul disboscamento delle foreste pluviali in Amazzonia o in Indonesia ha un'importanza fondamentale. Il CESE fa notare che nei disboscamenti massicci avvenuti in tali regioni hanno sicuramente svolto un certo ruolo l'Europa e l'agricoltura europea (10).

Modificazione della destinazione dei suoli/depositi di carbonio

3.14

Un problema grave è dato dal fatto che, ancor oggi, in Europa ogni giorno vengono edificate grandi superfici, che quindi non possono più essere utilizzate per la produzione agricola, né come depositi di carbonio. Il CESE si rammarica per il fatto che finora non sia stata adottata la prevista direttiva sulla protezione dei suoli, che avrebbe potuto fornire un importante contributo in questo senso.

3.15

Esistono 6 tipi principali di depositi di carbonio (11) da analizzare sotto il profilo dalla politica climatica. L'agricoltura interessa soprattutto la biomassa aerea e il suolo. Dato che il principio dell'agricoltura consiste nel raccogliere ogni anno la biomassa prodotta, tale attività non crea nuovi importanti depositi di carbonio sulla superficie terrestre sotto forma di biomassa.

3.16

La trasformazione di boschi, torbiere e pascoli in terreni arabili fa sprigionare il carbonio fissato nel suolo. Per l'agricoltura in Europa si tratta quindi di preservare le superfici che dispongono ancora di grandi riserve di carbonio. A tal fine è necessario creare, mediante strumenti di sostegno, adeguati incentivi per fare in modo che vengano impiegate pratiche agricole appropriate.

3.17

Secondo le conoscenze attuali, anche solo per motivi di tutela del clima, per le torbiere e i boschi dovrebbe vigere un esplicito divieto di trasformazione.

3.18

In Europa, negli ultimi decenni, c'è stata una massiccia trasformazione dei prati in terreni arabili, fenomeno che, nonostante siano state imposte varie condizioni (12), non solo persiste ma registra in alcune regioni un'intensificazione ulteriore sullo sfondo del crescente impiego dell'«energia agricola».

3.19

Il motivo per cui i prati vengono trasformati sempre più in terreni arabili sta essenzialmente nel fatto che, su questi ultimi, gli agricoltori hanno un margine di guadagno nettamente maggiore. Utilizzare i terreni per il pascolo richiede lavoro e non basta più l'erba da sola a ottenere gli alti rendimenti voluti dai bovini, i quali dipendono da «foraggio ad alto rendimento», che però può essere prodotto solo con un input energetico decisamente maggiore.

3.20

Il Comitato osserverà attentamente in che modo la politica ambientale e quella agricola affronteranno questa problematica, ad esempio nel quadro delle proposte legislative relative alla valutazione dello stato di salute della PAC. In questo contesto esorta ad avviare un intenso dibattito su come rendere nuovamente interessanti sul piano economico per gli agricoltori le forme di uso del suolo rispettose del clima.

Gas serra dovuti alla produzione agricola

3.20.1

L'uso di fertilizzanti azotati chimici o organici è la principale fonte di emissione di protossido di azoto. Quando l'azoto viene emesso in grande quantità c'è sempre il rischio che non possa essere assorbito totalmente o abbastanza rapidamente dalle piante e che si sprigioni nell'ambiente protossido di azoto. Finora, sul piano della politica ambientale, l'attenzione era rivolta soprattutto all'inquinamento delle acque superficiali e sotterranee; adesso, però, la questione climatica introduce nel dibattito un nuovo argomento a favore di una valutazione più approfondita dei cicli degli elementi nutritivi.

3.20.2

Il prof. Crutzen, un climatologo che ha analizzato le emissioni di protossido di azoto nella catena produttiva dalla colza fino al biodiesel (13), è giunto alla conclusione che, a determinate condizioni, l'impatto dell'estere metilico di colza sul clima può essere ancor più nocivo del diesel di petrolio, proprio a causa delle elevate emissioni di protossido di azoto dovute ai fertilizzanti minerali.

3.20.3

Un'altra fonte di emissioni di protossido di azoto, ma meno importante dal punto di vista quantitativo, è la decomposizione della materia organica nel suolo, soprattutto nei campi coltivati.

3.20.4

In Europa, il metano sprigionato in agricoltura proviene soprattutto dai ruminanti, e in particolare dai bovini. Il CESE è consapevole del fatto che l'inquinamento da metano causato dai ruminanti ha un'importanza crescente a livello mondiale (14) e che, con l'aumento degli allevamenti, questo problema si aggraverà in tutto il mondo. È vero che in Europa il numero di bovini è diminuito negli ultimi anni (15), l'Europa è però un importatore netto in questo settore.

3.21

Il consumo di carne, nel complesso, ha un'incidenza sul clima. Per produrre una caloria di origine animale sono necessarie circa 10 calorie vegetali. Se il consumo di carne cresce è necessario coltivare più foraggi, e questo richiede impiego di energia e aumenta la pressione esercitata sulle superfici agricole per ottenere una resa maggiore. L'Europa, che ha un consumo di carne relativamente elevato, importa gran parte dei foraggi che utilizza. Le relative coltivazioni, a loro volta, creano spesso problemi enormi (si pensi ad esempio alla soia nel bacino amazzonico). Il Comitato è quindi favorevole anche all'elaborazione e attuazione di una strategia europea per le proteine.

3.22

Non solo la quantità di carne prodotta, ma anche il tipo di allevamento è un fattore importante. La carne e il latte, ad esempio, possono essere prodotti utilizzando pascoli estensivi sotto il profilo energetico; in questo quadro i bovini, durante il periodo di vegetazione, usano pascoli la cui importanza per la protezione del clima è stata finora sottovalutata. Il latte e la carne possono però provenire anche da aziende che praticano un allevamento ad alto input energetico, rinunciano ai pascoli e alimentano il bestiame soprattutto con silomais o altre piante foraggiere energetiche.

L'impiego dell'energia in agricoltura

3.23

Il vantaggio dell'agricoltura, che consiste nel trasformare direttamente l'energia solare in energia vegetale utilizzabile, diminuisce all'aumentare dell'energia di origine fossile immessa nel processo di produzione e al ridursi della proporzione di prodotti vegetali direttamente utilizzati dall'uomo rispetto a quelli trasformati in prodotti animali.

3.24

Mentre, per esempio, le aziende che usano metodi di produzione biologica rinunciano ad utilizzare prodotti fitosanitari e concimi minerali solubili di fabbricazione industriale, il bilancio energetico e climatico dell'agricoltura convenzionale peggiora a causa dell'uso di tali sostanze.

3.24.1

Alcuni studi comparativi disponibili sul bilancio energetico e delle sostanze utilizzate in agricoltura, ma anche sul deposito del carbonio dimostrano che l'agricoltura biologica, mediamente, ha bisogno di un apporto energetico e di azoto inferiore all'agricoltura convenzionale. Anche considerando che, in media, l'agricoltura convenzionale ha un rendimento maggiore, quella biologica ha comunque un minore potenziale di emissioni di gas a effetto serra (16). Per questo motivo il governo tedesco, ad esempio, considera gli aiuti all'agricoltura biologica un sostegno a favore di una maggiore tutela del clima (17).

3.24.2

Altri studi giungono in parte a conclusioni diverse.

3.25

I dati disponibili sono talvolta scarsi e contradditori e, in considerazione di ciò, il CESE esorta la Commissione ad analizzare con precisione quali siano le differenze tra le diverse forme di attività agricole e non agricole sotto il profilo della loro incidenza climatica, per poterne poi ricavare delle opzioni di intervento, ad esempio nel quadro della politica di sostegno.

Il contributo dell'agricoltura alla soluzione del problema del cambiamento climatico

3.26

L'agricoltura può quindi contribuire in molti modi alla riduzione delle emissioni di gas a effetto serra rispetto ai valori attuali. Può ad esempio rinunciare a trasformare le superfici boschive, le torbiere, le zone umide e i pascoli in terreni agricoli e ridurre le emissioni di protossido di azoto e metano adottando metodi di coltivazione non aggressivi per il suolo e avendo cura che il terreno sia ricoperto quanto più stabilmente possibile di vegetazione (colture intermedie), praticando la rotazione di più colture (ad esempio per limitare al massimo i problemi derivanti dai parassiti), effettuando una concimazione adeguata ecc.

3.27

Per molto tempo l'input energetico, praticamente, non è stato considerato un problema, tanto più che l'energia era disponibile a un prezzo molto basso. A parere del CESE vi è una grande necessità di prestare in futuro maggiore attenzione alle pratiche agricole particolarmente efficienti dal punto di vista energetico e di promuoverle maggiormente. In questo contesto l'agricoltura biologica e le produzioni a basso input energetico (come ad esempio i pascoli estensivi) possono fornire un contributo.

3.28

Gli esperimenti effettuati con le cosiddette «colture miste» hanno dato risultati molto promettenti. Questo tipo di coltura consiste nel coltivare sul medesimo terreno, ad esempio, alcune varietà di cereali assieme a leguminose e oleaginose, il che consente di ridurre notevolmente l'impiego di concimi e pesticidi e, al medesimo tempo, accresce la biodiversità e favorisce la formazione di humus.

3.29

La gestione dell'humus ha un'importanza decisiva per la protezione del clima. Soprattutto sui terreni arabili, in futuro si dovrà prestare maggiore attenzione ad ottenere un contenuto di humus quanto più elevato e stabile possibile, cosa che in molti casi rende necessario modificare la successione delle colture. Il CESE invita la Commissione a valutare gli studi disponibili in cooperazione con gli istituti di ricerca degli Stati membri e, se del caso, ad avviarne di nuovi per individuare i metodi migliori e incentivarli.

3.30

In tale contesto andrà affrontata anche la questione dell'importanza da attribuire alla gestione tradizionale del letame solido. Va altresì chiarito se la cosiddetta utilizzazione integrale delle piante prevista nel quadro della seconda generazione di biocarburanti non possa eventualmente pregiudicare gli obiettivi di formazione dell'humus.

4.   Bioenergie/biocarburanti di origine agricola

4.1

La presidenza francese ha chiesto al CESE di affrontare anche il tema dei «biocarburanti» nel quadro del presente parere. Il Comitato, ovviamente, dà seguito a questa richiesta ma rinvia, nel contempo, anche ai suoi pareri in materia (18), nei quali motiva in modo dettagliato il suo atteggiamento molto critico nei confronti della strategia per i biocarburanti i cui contorni si stanno disegnando attualmente.

4.2

A causa delle elevate emissioni di CO2 di carbone, petrolio e gas naturale si comincia giustamente a valutare l'ipotesi di incrementare l'uso diretto delle energie vegetali. Il CESE si è pronunciato più volte sostanzialmente a favore dell'impiego delle bioenergie; desidera però ribadire ancora una volta i principi fondamentali che ritiene imprescindibili.

4.2.1

Il Comitato sottolinea che il diritto a disporre di prodotti alimentari sufficienti viene esplicitamente riconosciuto come un elemento importante dei diritti umani in senso più ampio. La produzione di alimenti di base deve avere la precedenza sulla produzione di energia.

4.2.2

È importante anche che per la coltivazione di piante energetiche non vengano utilizzate superfici che attualmente sono grandi riserve di carbonio o rivestono un'importanza fondamentale per la biodiversità. Il CESE si compiace che la Commissione abbia riconosciuto che la coltivazione di piante energetiche deve necessariamente essere soggetta a criteri di sostenibilità. Per quanto riguarda la domanda se i criteri di sostenibilità previsti dalla direttiva sulle «energie rinnovabili» siano adeguati o se invece vadano considerati insufficienti, il CESE affronterà in modo particolareggiato questo aspetto nel suo parere sulla proposta di direttiva. È peraltro dell'avviso che andrebbero previsti criteri di sostenibilità adeguati in modo generalizzato per tutti i carburanti, indipendentemente dalla loro origine, e anche per i foraggi.

4.2.3

Già la valorizzazione dei sottoprodotti agricoli o della biomassa risultante dalla gestione del paesaggio in Europa racchiude un alto potenziale energetico, che attualmente è sfruttato solo in misura molto limitata poiché la coltivazione specifica di piante energetiche (che è una coltivazione ad alta intensità di energia) conviene di più sul piano economico. Qui finora la politica di sostegno ha inviato dei segnali sbagliati.

4.2.4

Nell'uso della bioenergia si deve aver cura di garantire la massima efficienza. È assurdo, ad esempio, produrre biogas dal mais proveniente da colture ad alta intensità energetica se il calore residuo derivante dalla produzione di elettricità non ha sbocchi di mercato. In questo modo, infatti, circa i 2/3 dell'energia prodotta vanno nuovamente persi.

4.2.5

Attualmente vengono spesso prodotte in priorità piante energetiche con un forte input energetico, e poi le piante coltivate o gli oli ricavati vengono trasformati mediante un ulteriore processo industriale ad alta intensità energetica. Questo fa sì che il bilancio energetico netto e il bilancio climatico di molti biocarburanti presentino valori poco soddisfacenti o addirittura negativi, che possono essere catastrofici.

4.2.6

Per questo motivo il Centro comune di ricerca della Commissione (CCR), in uno studio intitolato Biofuels in the European Context (I biocarburanti nel contesto europeo), dubita che verrà realizzato l'obiettivo della Commissione di ridurre le emissioni di gas a effetto serra mediante un livello di miscelazione di biocombustibili del 10 %. Altri studi (19) giungono a conclusioni analoghe.

4.2.7

Lo studio del CCR contiene una riflessione fondamentale, che secondo il CESE dovrebbe essere elevata a principio politico: la biomassa prodotta andrebbe utilizzata dove i vantaggi sono maggiori; la parola d'ordine è «efficienza» (20). Per quale motivo dobbiamo modificare industrialmente le strutture molecolari delle piante, con un forte apporto di energia, se si prestano anche a un uso diretto a fini energetici? Secondo il CCR le centrali termiche e elettriche fisse nell'UE hanno un consumo di petrolio analogo a quello dei veicoli diesel. Se in tali centrali venissero utilizzate piante energetiche, 1 megajoule (MJ) di biomassa potrebbe sostituire circa 0,95 MJ di combustibili fossili (petrolio); mentre se viene impiegato nel settore dei trasporti, 1 MJ di biomassa sostituisce approssimativamente solo da 0,35 a 0,45 MJ di petrolio greggio.

4.2.8

Le emissioni di gas a effetto serra provocate dal settore dei trasporti possono tuttavia essere ridotte grazie all'uso di veicoli elettrici, che utilizzano l'energia prodotta dalla combustione di biomassa.

4.3

Nel suo parere esplorativo sul tema Mix energetico nel trasporto  (21) il CESE afferma che nel settore dei trasporti i motori a combustione verranno sostituiti dalla trazione elettrica. Non ha senso utilizzare l'energia ricavata dalle piante in un modo così inefficiente come quello che sembra profilarsi nel settore dei biocarburanti.

4.4

In uno studio comparativo l'istituto svizzero di ricerca Empa (22) ha calcolato che, per consentire a una Volkswagen Golf di percorrere una distanza di 10 000 km, sarebbe necessario coltivare 2 062 m2 di colza. Utilizzando cellule solari, per produrre la stessa quantità di energia basterebbe invece una superficie di 37 m2, cioè circa un sessantesimo di quella del campo di colza.

4.5

Ci si deve interrogare anche sull'opportunità della «raffinazione» degli oli vegetali per la loro utilizzazione nei motori a combustione. Perché non vengono adeguati i motori alla struttura delle molecole vegetali? Esistono ormai motori, ad esempio per i trattori e gli autocarri, che funzionano con olio vegetale puro e soddisfano i limiti di emissione fissati o previsti dall'UE. Innovazioni di questo tipo andrebbero seguite e promosse con maggiore intensità.

4.6

Gli oli necessari per tali motori possono essere prodotti mediante colture miste, essere lavorati a livello regionale ed utilizzati in modo decentrato. Questo significa che gli agricoltori, con metodi rispettosi dell'ambiente e del clima e a basso impiego di energia, potrebbero non solo produrre l'energia necessaria per i propri motori, ma anche mettere in moto nuovi cicli energetici regionali. In questo modo i processi di trasformazione industriale ad alta intensità energetica diventano superflui.

4.7

Il Comitato reputa pertanto che l'Europa non abbia bisogno di una strategia europea unicamente per i biocarburanti, ma di una strategia europea per la biomassa oggetto di un'approfondita riflessione. Una tale strategia potrà essere ben più rispettosa dell'ambiente e creare ben più posti di lavoro della strategia che viene attualmente disegnata e che sarebbe ampiamente incentrata sull'importazione delle piante energetiche.

5.   Nuovi posti di lavoro grazie a un'agricoltura e una politica agricola rispettose del clima

5.1

Il cambiamento climatico, da un lato, costituisce una minaccia per l'agricoltura in alcune parti d'Europa ma, dall'altro, può rappresentare un'opportunità per l'agricoltura e per i lavoratori europei, ammesso che il settore agricolo prenda sul serio e svolga attivamente il ruolo che le spetta nella ridefinizione della politica climatica.

5.2

Il settore agricolo è ancor oggi un importante datore di lavoro nell'UE. In una comunicazione la Commissione ha esaminato in modo dettagliato l'andamento dell'occupazione nelle zone rurali (23) e ha evidenziato che, sebbene nel complesso la quota del lavoro agricolo sia piuttosto limitata, nelle regioni rurali questo settore riveste un'importanza notevole. Secondo le previsioni della Commissione, di qui al 2014 l'occupazione nel settore agricolo (che attualmente è di 10 milioni di unità equivalenti a tempo pieno) dovrebbe diminuire di 4-6 milioni di unità.

5.3

Intanto, però, in molti paesi europei si prevede una mancanza di lavoratori qualificati, soprattutto in grado di svolgere funzioni dirigenziali o di utilizzare tecniche complesse. La scarsa capacità d'attrazione dei posti di lavoro disponibili aggrava inoltre la carenza di personale specializzato. Il Comitato ha già fatto presente in modo esplicito questo sviluppo, affermando che è necessario condurre una discussione qualitativa sul tema del lavoro (24).

Potenziale occupazionale delle bioenergie

5.4

In uno studio dell'Agenzia europea dell'ambiente del 2006 è stata analizzata la potenziale quantità di biomassa che l'Europa può produrre per scopi energetici in modo rispettoso dell'ambiente. Prendendo in considerazione anche la biomassa ricavata dai rifiuti (p. es. quelli domestici) e dalla silvicoltura, nel 2030 il 15-16 % del fabbisogno energetico primario previsto per l'UE-25 potrebbe essere coperto mediante questa fonte di energia. In questo modo nelle zone rurali si potrebbero garantire o addirittura creare dai 500 000 ai 600 000 posti di lavoro.

5.5

Per stabilire se e quanti nuovi posti di lavoro verranno creati con la produzione di bioenergie è decisiva la scelta della strategia. Il comitato scientifico consultivo del ministero tedesco dell'Agricoltura prevede che l'incidenza sui posti di lavoro e sul clima sarà maggiore se si porrà l'accento sulla produzione di bioenergia in impianti di cogenerazione di energia elettrica e termica o di riscaldamento ad azionamento termico con recupero energetico che funzionano a base di trucioli di legno e di biogas ricavato da liquami e residui. Se invece la promozione della bioenergia porta a scalzare la produzione animale o se — come si può constatare — nel settore dei biocarburanti ci si affida alle importazioni, il saldo occupazionale nelle zone rurali sarà negativo.

5.6

Il fatto che la produzione di determinati tipi di bioenergia possa essere vantaggiosa — sul piano economico, ecologico e sociale — anche per l'agricoltura e per il mercato del lavoro regionale è dimostrato dagli esempi di un passaggio riuscito a cicli di bioenergia chiusi. (I comuni di Mureck e di Güssing (entrambi in Austria) o di Jühnde (Germania) presentano un grado di approvvigionamento con energie rinnovabili che arriva fino al 170 %.) A questo bilancio ecologico impressionante si accompagna un effetto positivo per il mercato del lavoro locale (artigiani), anche a prescindere dai posti di lavoro degli agricoltori che forniscono le materie prime (25).

5.7

Dato che presumibilmente le differenze di reddito e di benessere tra i centri urbani e le zone rurali aumenteranno ulteriormente, a queste ultime va prestata un'attenzione particolare sul piano della politica occupazionale. La produzione sostenibile di piante energetiche e la loro trasformazione in energia può garantire e creare posti di lavoro nelle zone rurali se il valore aggiunto rimane nella regione.

Garantire la qualità dell'occupazione nel settore agricolo

5.8

L'obiettivo della protezione climatica può essere realizzato solo con manodopera qualificata. Le imprese devono offrire ai i lavoratori condizioni idonee alla formazione continua.

Definire e garantire gli standard sociali

5.9

È opinione comune che la domanda di biomassa importata dai paesi in via di sviluppo e emergenti aumenterà. Eventuali vantaggi sul piano dei costi non devono però essere sfruttati distruggendo i presupposti ecologici e sociali della vita nei paesi produttori. Nella produzione di bioenergia vanno quindi rispettate le norme fondamentali del lavoro e quelle di sicurezza sul lavoro dell'OIL (26).

Partecipazione dei lavoratori e dei sindacati

5.10

I cambiamenti strutturali in agricoltura avranno un impatto decisivo sulla qualità dei posti di lavoro e sul reddito. È necessario perciò coinvolgere i lavoratori e i sindacati in questi processi di trasformazione. Dato che in Europa esistono modelli di codecisione molto diversi, bisogna tener conto maggiormente delle esigenze di partecipazione dei lavoratori del settore agricolo nelle strutture nazionali ed europee esistenti, e questo soprattutto per garantire che, con queste forme di comunicazione e di scambio di idee, sia possibile garantire i posti di lavoro esistenti e crearne di nuovi.

5.11

Il comitato per il dialogo sociale europeo nel settore agricolo istituito nel 1999, in quanto organo rappresentativo delle parti sociali, è un comitato consultivo e di esperti per le questioni relative all'occupazione e al futuro sviluppo dei nuovi compiti dell'agricoltura. Il CESE raccomanda alla Commissione di rafforzarne il ruolo, anche per quanto riguarda la politica climatica. A livello nazionale andrebbe potenziato il ruolo svolto dalle parti sociali, in quanto esperte di questioni del settore agricolo aventi una rilevanza climatica, nei comitati di accompagnamento per lo sviluppo delle zone rurali.

Bruxelles, 9 luglio 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Si pensi, ad esempio, agli incendi che nel 2007 in Grecia hanno distrutto gli oliveti.

(2)  Comunicazione COM(2007) 414 def. del 18 luglio 2007 e parere adottato il 29 maggio 2008 (GU C 224 del 30.8.2008, pag. 67).

(3)  COM(2007) 722 def.

(4)  CO2e = carbonio equivalente.

(5)  Cool Farming: Climate impacts of agricolture and mitigation potential, Studio di Greenpeace, dicembre 2007.

(6)  Fonte: Agenzia europea dell'ambiente, EEA Report n. 5/2007.

(7)  IPCC WG III Capitolo 8: Agricoltura (2007).

(8)  Compresa la questione dei mangimi per animali.

(9)  Il suolo è il principale serbatoio di carbonio dopo i mari. Alcuni dati (anche se il CESE è consapevole del fatto che, in alcuni casi, ci sono grandi divergenze): i terreni arabili contengono circa 60 tonnellate di carbonio per ettaro, i pascoli e le superfici boschive circa il doppio (per i boschi bisogna tener conto anche dei quantitativi di carbonio immagazzinati negli alberi), mentre in un ettaro di torbiera sono immagazzinate fino a 1 600 tonnellate di carbonio.

(10)  Si pensi alla coltivazione della soia per produrre mangimi per gli allevatori europei, o alla produzione di olio di palma e di jatropha a scopi energetici (biocarburanti).

(11)  I giacimenti di petrolio, carbonio e gas, la biomassa aerea, il suolo e gli oceani.

(12)  Ad esempio i criteri di ecocondizionalità.

(13)  N2O release from agro-biofuel production negates global warming reduction by replacing fossil fuels, in: Atmos. Chem. Phys. Discuss., 7, 11191-11205, 2007.

(14)  Circa 3,3 miliardi di tonnellate di CO2 equivalente all'anno.

(15)  A livello mondiale il numero di capi bovini è passato da 1 297 milioni di unità nel 1990 a 1 339 milioni nel 2004, nell'UE-25 da 111,2 milioni (1990) a 86,4 milioni (2004) e in Cina da 79,5 milioni (1990) a 106,5 milioni (2004).

(16)  Cfr., fra l'altro, il numero speciale sulla tutela del clima e l'agricoltura biologica Klimaschutz und Öko-Landbau, in: Ökologie & Landbau, n. 1, 2008.

(17)  Risposta del governo tedesco all'interrogazione parlamentare del partito dei Verdi (Bündnis 90/Die Grünen) sul tema Agricoltura e protezione del clima doc. 16/5346, punto 13.

(18)  GU C 44 del 16.2.2008, pag. 34 e parere TEN/338 in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla promozione dell'uso dell'energia da fonti rinnovabili (COM(2008) 19 def.), in corso di elaborazione.

(19)  Ad esempio quelli del comitato scientifico consultivo del ministero federale tedesco dell'Agricoltura.

(20)  GU C 162 del 25.6.2008, pag. 72.

(21)  GU C 162 del 25.6.2008, pag. 52.

(22)  L'EMPA è un istituto di ricerca sulla scienza e la tecnologia dei materiali che fa parte del Politecnico federale di Zurigo (ETH).

(23)  Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo — Occupazione nelle zone rurali: colmare il divario occupazionale, COM(2006) 857 def.

(24)  GU C 120 del 16.5.2008, pag. 25.

(25)  Per ulteriori dettagli consultare il sito www.seeg.at

(26)  http://www.ilo.org/public/italian/region/eurpro/rome/info/doc_ita.htm


3.2.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 27/66


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2003/87/CE al fine di perfezionare ed estendere il sistema comunitario di scambio delle quote di emissione dei gas a effetto serra

COM(2008) 16 def. — 2008/0013 (COD)

(2009/C 27/15)

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 13 febbraio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 175 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2003/87/CE al fine di perfezionare ed estendere il sistema comunitario di scambio delle quote di emissione dei gas a effetto serra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 giugno 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore ADAMS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 9 luglio 2008, nel corso della 446a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 124 voti favorevoli, 2 voti contrari e 8 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

La validità dell'ETS sarà misurata dal suo impatto sulle emissioni globali di gas a effetto serra, dalla sua pertinenza e dalla sua capacità di diventare un esempio che stimoli l'azione a livello globale o di diventare esso stesso un sistema globale completo. In tale contesto:

L'aumento del ricorso alla vendita all'asta delle quote è da considerarsi uno sviluppo positivo, in quanto è pienamente conforme al principio «chi inquina paga», permette di incentivare e finanziare gli impianti e i prodotti a basse emissioni di carbonio e favorisce l'innovazione.

Al fine di evitare la rilocalizzazione delle emissioni, qualora non venga realizzato un efficace accordo internazionale sul cambiamento climatico che imponga a tutte le industrie del mondo gli stessi obblighi in materia di riduzione delle emissioni, dovranno essere prese in considerazione misure volte a proteggere specifici settori e sottosettori ad alta intensità energetica esposti alla concorrenza internazionale. L'ETS dell'UE non deve ripercuotersi negativamente sulla competitività dell'industria comunitaria.

Occorre redigere e adottare al più presto le regolamentazioni per le aste, onde evitare inutili incertezze.

La Commissione dovrebbe presentare delle proposte di misure tali da permettere, in caso venisse concluso un accordo internazionale, il rispetto dell'impegno di portare l'obiettivo di riduzione dal 20 % al 30 %.

Si dovrà fare tutto il possibile per influenzare le decisioni del legislatore, negli Stati Uniti e in altri paesi dell'OCSE, riguardo ai meccanismi di limitazione e di scambio che stanno emergendo, e per formare una piattaforma comune.

L'ETS dovrà essere esteso anche ai trasporti marittimi se l'IMO (Organizzazione marittima internazionale) non presenterà urgentemente delle proposte efficaci in materia.

1.2

È importante che l'ETS sia visto come uno strumento per stimolare un'economia a bassa emissione di carbonio e per incoraggiare la prevenzione e il contenimento dei cambiamenti climatici e l'adeguamento agli stessi.

Qualora si opti per le quote gratuite, è essenziale che ciò avvenga in un contesto caratterizzato da una rigorosa analisi comparata (benchmarking) e da obiettivi basati sulle prestazioni.

Almeno il 50 % degli introiti provenienti dalla vendita all'asta delle quote dovrebbe essere utilizzato per sostenere le misure di cui all'articolo 10, paragrafo 3, lettere a)-f).

Devono essere eliminati i potenziali disincentivi che rischiano di limitare il contributo e la crescita della cogenerazione (CHP — combined heat and power) e l'utilizzo di impianti di teleriscaldamento.

Le misure relative alle questioni della silvicoltura come pozzo di assorbimento del carbonio, della deforestazione e dell'assetto territoriale devono avere maggior rilievo rispetto a quanto prevede il pacchetto della Commissione.

1.3

L'ETS deve puntare a ridurre al minimo gli ostacoli burocratici e a portare maggiore chiarezza e trasparenza.

Tra le misure contenute nella proposta, è urgente esaminare con attenzione e chiarire quelle la cui messa a punto dipende attualmente dalla procedura di comitato.

È opportuno che la Commissione esamini la possibilità di portare da 10 000 a 25 000 tonnellate il limite di esclusione per gli impianti più piccoli, purché siano adottate misure di compensazione equivalenti.

1.4

L'ETS deve essere equo agli occhi delle imprese e dei consumatori UE, riconoscendo al contempo l'urgente necessità dei paesi di nuova industrializzazione e di quelli meno sviluppati di creare crescita sostenibile e di lottare contro la povertà.

È opportuno valutare una ridistribuzione degli oneri tra i settori coperti dal sistema e quelli che non lo sono.

Vanno altresì riesaminate le conseguenze di una limitazione dell'utilizzo dei crediti ottenuti dal meccanismo di sviluppo pulito (Clean Development Mechanism — CDM) o dell'attuazione congiunta (Joint implementation — JI) in assenza di un accordo internazionale.

Si deve trovare una soluzione ai potenziali problemi che possano manifestarsi in quegli Stati membri dell'Europa orientale in cui la rete elettrica è rifornita principalmente dalla Russia e non dall'UE.

2.   Introduzione

2.1

Nell'ottobre del 2003 è stato istituito, con la direttiva 2003/87/CE, il sistema comunitario di scambio delle quote di emissione dei gas a effetto serra (Emissions Trading Scheme — ETS). L'ETS è volto a limitare, mediante incentivi economici, una delle cause dei cambiamenti climatici: l'emissione di gas a effetto serra dovuta ad attività umane. Esso consiste in un meccanismo di limitazione e di scambio, che prevede un tetto quantitativo per l'emissione di taluni inquinanti (essenzialmente il CO2). L'ETS rappresenta il principale dispositivo dell'UE per limitare le emissioni di gas a effetto serra ed è stato preferito sia alla opzione della tassazione diretta delle emissioni di carbonio che a quella della regolamentazione diretta.

3.   Principi generali

3.1

Nella sua forma attuale l'ETS si applica a oltre 10 000 impianti energetici o industriali, complessivamente responsabili del 40 % delle emissioni comunitarie di gas a effetto serra. Essi ricevono dei permessi di emissione ex ante e devono consegnare un numero di quote (o crediti), che rappresentano il diritto a produrre una certa quantità di emissioni, equivalente alle loro emissioni reali. Il totale delle quote e dei crediti non può essere superiore al tetto prestabilito, ragion per cui le emissioni complessive sono limitate a tale livello. Le imprese le cui emissioni sono superiori alla quota loro concessa devono acquistare crediti da altre imprese che inquinano meno oppure alle aste delle quote rimanenti.

3.2

Il trasferimento di quote è chiamato scambio. In pratica, in base al sistema, chiunque sia responsabile di emissioni è chiamato a pagare in proporzione all'inquinamento che provoca, mentre viene premiato qualsiasi impianto che abbia ridotto le proprie emissioni più di quanto fosse richiesto. Così, in teoria, i soggetti che possono facilmente ridurre le proprie emissioni a costi bassi, lo faranno, e così la riduzione dell'inquinamento si realizzerà con il minimo costo possibile per la società. Nell'ETS una quota dà diritto a emettere in un determinato periodo una tonnellata di CO2 equivalente; gli altri gas a effetto serra contemplati vengono conteggiati in termini di CO2 equivalente.

3.3

Inoltre gli Stati membri potranno autorizzare le imprese ad utilizzare come quote di emissione i crediti derivanti da progetti di riduzione delle emissioni realizzati in paesi terzi. Tali progetti devono tuttavia essere riconosciuti nell'ambito del meccanismo dell'attuazione congiunta (Joint implementation — JI) e del meccanismo di sviluppo pulito (Clean Development Mechanism — CDM) previsti dal protocollo di Kyoto.

4.   Periodi di scambio dei diritti di emissione

4.1   Primo periodo di scambio: 1.1.2005-31.12.2007

4.1.1

Questo primo periodo, che ha rappresentato una fase di apprendimento e di creazione dell'infrastruttura per lo scambio, ha avuto efficacia limitata a causa di un'assegnazione eccessiva di quote da parte degli Stati membri (per il primo e il secondo periodo gli Stati membri hanno elaborato dei «piani nazionali di assegnazione delle risorse», che stabiliscono il livello complessivo delle emissioni e il numero di quote assegnate a ciascun impianto). Nel periodo in questione il prezzo di scambio delle quote ha subito delle forti variazioni, e alla fine del periodo il prezzo delle emissioni di carbonio è crollato.

4.1.2

L'ETS è stato oggetto di molte critiche, che vertevano principalmente sui metodi iniziali di assegnazione e sull'uso degli introiti; sul tetto stabilito per le emissioni; sui problemi di equità che sono emersi, sulla complessità del sistema, sul monitoraggio e l'esecuzione; sul rischio di incoraggiare la delocalizzazione di imprese fortemente inquinanti in paesi privi di una regolamentazione analoga; sul valore, la credibilità e l'affidabilità dei crediti nel quadro dei meccanismi di attuazione congiunta (JI) e di sviluppo pulito (CDM) e sulla futura imposizione di costi di produzione svantaggiosi. È così diventato evidente che per dare all'ETS una credibilità maggiore agli occhi delle imprese e delle ONG occorreva affrontare tali questioni nel quadro di un'eventuale revisione del sistema.

4.2   Secondo periodo di scambio: 1.1.2008-31.12.2012

4.2.1

Questo periodo, durante il quale il regime viene applicato in tutti i 27 Stati membri, coincide con la prima fase di attuazione del protocollo di Kyoto e con l'obbligo di limitare le emissioni di gas a effetto serra. Finora il prezzo di scambio delle quote è cresciuto in maniera costante, raggiungendo livelli che rendono molto conveniente adottare misure di riduzione delle emissioni. Attualmente (maggio 2008) il prezzo di scambio è di circa 25 EUR/t. Per questo periodo la Commissione ha svolto una valutazione sistematica dei tetti proposti dagli Stati membri, basata sulle emissioni verificate, e ha quindi stabilito, per i settori che partecipano al regime di scambio, un tetto di emissioni mediamente inferiore del 6,5 % ai livelli del 2005. Nel secondo periodo il margine di manovra per apportare all'ETS altre modifiche o adeguamenti è limitato, tuttavia le imprese responsabili delle emissioni continuano a partecipare e ad adeguarsi attivamente. Nel frattempo i dati e le esperienze sullo scambio si accumulano e in genere confermano la validità della concezione che sta alla base del sistema.

4.3   Terzo periodo di scambio: 2013-2020

4.3.1

La Commissione propone un certo numero di cambiamenti rilevanti dell'ETS, che saranno di applicazione in questo terzo periodo. È proprio per questa ragione che si è proposta una modifica della direttiva 2003/87/CE.

5.   Sintesi della proposta di modifica della direttiva

5.1

Benché con l'ETS sia nato il più grande mercato unico mondiale delle emissioni di carbonio (1), l'eccessiva assegnazione iniziale di quote (gratuite) nel quadro dei piani nazionali ha costituito un punto debole ed è chiaramente incompatibile con l'efficiente riduzione delle emissioni dei settori che partecipano al regime di scambio a livello UE. Nel contesto dei fermi impegni di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, l'ETS riveduto fornisce un'indicazione essenziale per definire a lungo termine il prezzo delle emissioni di carbonio, cosa che può incoraggiare investimenti volti a ridurre il carbonio e fare dell'Europa un'economia con emissioni limitate.

5.2

Le modifiche proposte sono destinate a:

introdurre un tetto unico comunitario in sostituzione di quelli dei 27 Stati membri; i «piani nazionali di assegnazione» saranno abbandonati,

accrescere in misura considerevole la proporzione di quote messe all'asta e armonizzare le regole per l'assegnazione gratuita, al fine di promuovere tecnologie che comportino un uso efficiente del carbonio,

attribuire parte dei diritti di asta in base al reddito pro capite,

rendere più funzionali le principali definizioni e accrescere la chiarezza giuridica e tecnica,

includere nel sistema altri settori (petrolchimico, ammoniaca e alluminio) e altri gas a effetto serra (protossido di azoto e perfluorocarburi), ampliando del 6 % la sua copertura,

escludere dal sistema gli impianti più piccoli, fatte salve determinate misure di compensazione,

stabilire regole per l'uso dei crediti derivanti dai progetti JI/CDM.

5.3

A partire dal 2013 le quote verranno ridotte ogni anno (2), il che garantirà entro il 2020, nei settori coperti dal sistema, un riduzione del 21 % delle emissioni di gas a effetto serra rispetto ai valori del 2005. Nel quarto periodo (2021-2028) la riduzione proseguirà allo stesso ritmo. Al tempo steso aumenterà la proporzione di quote messe all'asta, cominciando con il 60 % nel 2013. La proposta prevede che il settore della generazione di elettricità non riceva alcuna quota gratuita e sia obbligato ad acquistare all'asta (o sul mercato secondario) sin dal 2013 tutte le quote, e che per gli altri settori le quote gratuite siano gradualmente ridotte fino a sparire nel 2020. Faranno eccezione i settori considerati esposti a un rischio significativo di «rilocalizzazione delle emissioni di carbonio» verso paesi dove non vigono analoghe restrizioni e quindi suscettibili di contribuire all'aumento delle emissioni su scala mondiale. Tali settori beneficeranno di una proporzione di quote gratuite che va fino al 100 %. La relativa decisione sarà presa nel 2011. Le aste verranno realizzate dagli Stati membri, i quali saranno invitati, ma non obbligati, a investire i relativi introiti in politiche volte a prevenire i cambiamenti climatici.

5.4

È accertato che i crediti acquistati nei paesi terzi dagli operatori europei nell'ambito dei meccanismi di attuazione congiunta (JI) e di sviluppo pulito (CDM) potranno essere utilizzati fino al 2020. Il numero complessivo crediti utilizzati nel periodo suddetto è uguale alla quantità totale autorizzata per l'uso nel secondo periodo di scambio, ossia 1,4 miliardi di quote, che corrisponde a un terzo dello sforzo complessivo di riduzione. Quando l'UE intensificherà i suoi sforzi di riduzione nel contesto di un accordo internazionale sul clima, il 50 % dello sforzo supplementare potrà essere realizzato mediante i crediti JI/CDM.

5.5

Anche se non saranno ammessi crediti dovuti all'utilizzazione del territorio (per i «pozzi» di assorbimento del carbonio, come ad esempio le foreste), potrebbero esserne assegnati altri, su scala nazionale, in base a regimi di riduzione delle emissioni non contemplati dall'ETS, purché vengano definite regole precise in materia.

5.6

È già previsto il collegamento dell'ETS con altri sistemi di scambio, per favorire lo sviluppo di un sistema mondiale.

5.7

Se verrà concluso un accordo internazionale, l'ammontare delle quote dell'ETS verrà ridotto di conseguenza, mentre si estenderà la possibilità di ricorrere al meccanismo di sviluppo pulito (CDM).

5.8

È previsto il conferimento di un 5 % delle quote a nuovi impianti che entrino nell'ETS dopo il 2013. È probabile che le emissioni degli aerei entrino nel sistema verso la fine del secondo periodo, ma questo aspetto è oggetto di una proposta separata (3).

5.9

Non vi sono invece disposizioni che prevedano l'inclusione del trasporto marittimo.

6.   Osservazioni generali

6.1

L'ETS non è né un esercizio accademico né una forma di tassazione «ambientale». Esso combina un'impostazione tipica del libero mercato con una regolamentazione e un indirizzo generale mediati e adattati attraverso un processo politico. Le singole imprese possono scegliere liberamente come ridurre le proprie emissioni e dovrebbero quindi optare per il modo più economico di conformarsi alla normativa antinquinamento. Pertanto l'ETS serve innanzi tutto a creare incentivi che rendano più economico conformarsi agli obiettivi di riduzione dell'inquinamento. Il CESE apprezza e sostiene questa impostazione.

6.2

Si ritiene che realizzare l'attuale obiettivo di riduzione dell'inquinamento, ossia stabilizzare la presenza di gas a effetto serra nell'atmosfera al livello di 450-550 ppm entro il 2050, costerà all'incirca l'1 % del PIL mondiale. D'altro canto se non si agirà in maniera efficace questo stesso PIL mondiale potrebbe ridursi del 20 % (4). I dati che continuano a pervenirci (5) indicano, tuttavia, un'accelerazione della produzione di gas a effetto serra e una riduzione della capacità di assorbimento del pianeta, e inducono a dubitare seriamente che gli obiettivi di riduzione siano appropriati.

6.3

Con l'ETS si sta cercando efficacemente di conseguire una posizione di avanguardia e di guida in quello che dovrà diventare uno sforzo globale. Questo processo si svolge in un contesto mondiale, in quanto l'atmosfera è parte dei beni globali. Pertanto nel valutare il sistema non si può fare a meno di considerare la sua interazione e il suo impatto sugli inquinatori globali.

6.4

Si noti che la legislazione generale statunitense, che entrerà probabilmente in vigore con il nuovo governo, prevede un sistema fondato su un tetto massimo di emissioni e sullo scambio delle quote. La possibilità di pervenire a un programma congiunto UE/USA rappresenterebbe un passo significativo verso un regime mondiale. Lo stesso si dica dei collegamenti con altri regimi proposti nei paesi dell'OCSE.

6.5

Pertanto il CESE si è concentrato in modo particolare sul possibile contributo dell'ETS a una riduzione equa e sostenibile dei gas a effetto serra. Il sistema dimostra che l'azione dell'UE è credibile ed efficace? Va sottolineato a questo proposito che l'obiettivo comunitario di ridurre del 20 % entro il 2020 le emissioni di gas a effetto serra rispetto ai valori del 1990, su cui si fondano il sistema di scambio e le proposte di ripartizione degli oneri, è meno ambizioso rispetto alla riduzione dal 25 % al 40 % per i paesi industrializzati, che l'UE aveva sostenuto alla conferenza di Bali sui cambiamenti climatici del dicembre 2007. La Commissione parte dagli obiettivi concordati al Consiglio europeo di primavera 2007, ma non dice se il livello di riduzione proposto sia davvero sufficiente a raggiungere obiettivi globali o costituisca invece solo la massima riduzione che si può considerare realisticamente accettabile tenendo conto dell'equilibrio tra interessi politici e interessi economici a breve termine degli Stati membri. Il CESE giunge alla conclusione che i dati che si vanno accumulando in materia di cambiamenti climatici costituiscono un argomento in favore della ridefinizione degli obiettivi e del perseguimento di una riduzione maggiore delle emissioni di gas a effetto serra.

6.6

Il CESE è favorevole all'aumento del ricorso alla vendita all'asta delle quote. Questa opzione è pienamente conforme al principio «chi inquina paga», evita gli utili a cascata (windfall profits), offre incentivi e genera fondi da investire negli impianti e nei prodotti a basse emissioni di carbonio, favorendo così l'innovazione.

6.7

Al momento rimangono irrisolti numerosi problemi che destano le preoccupazioni delle imprese europee in generale. Si tratta principalmente del timore che un ETS riveduto imponga svantaggi competitivi all'industria, in particolare nei confronti dei paesi di nuova industrializzazione al di fuori dell'UE. Quei paesi sostengono, in parte a ragione, che si deve tenere conto di due secoli di industrializzazione occidentale e delle emissioni di gas a effetto serra che ne sono derivate, nonché degli sforzi che essi fanno per strappare alla povertà ampi settori della loro popolazione. Per poter concludere un accordo mondiale che risolva questi problemi, sarà necessario ottenere un maggior appoggio e una più profonda comprensione di questi fattori da parte dei consumatori e dell'industria dei paesi dell'OCSE.

7.   Osservazioni specifiche

7.1

Se si vuole che l'ETS dell'UE divenga il riferimento globale per lo scambio di carbonio, è essenziale che tale regime sia quanto più possibile solido ed efficace. Il Comitato raccomanda dunque quanto segue.

7.1.1

Va presa in considerazione l'assegnazione gratuita di quote a specifici settori e sottosettori di grandi dimensioni e ad alta intensità energetica esposti alla concorrenza internazionale solo qualora non venga concluso un efficace accordo internazionale sul cambiamento climatico che imponga a tutte le industrie del mondo gli stessi obblighi in materia di riduzione delle emissioni. L'ETS dell'UE non deve ripercuotersi negativamente sulla competitività dell'industria comunitaria.

7.1.2

Se possibile, occorre decidere in tempi brevi quali settori riceveranno quote gratuite a causa del rischio di rilocalizzazione delle emissioni. Questi settori saranno definiti entro il giugno 2010, ma la decisione andrebbe presa ancor prima, già nel contesto della direttiva, in modo da evitare un clima di incertezza per gli investimenti e da consentire ai settori interessati di fare i necessari piani a lungo termine.

7.1.3

Sebbene le aste siano il metodo principale di assegnazione dei diritti di emissione, mancano quasi completamente delle indicazioni su come esse saranno organizzate. L'annuncio secondo cui la regolamentazione di tali aste sarà introdotta solo entro il 31 dicembre 2010 comporta ulteriori incertezze per tutti i soggetti europei che parteciperanno al sistema di scambio, in vista degli ingenti investimenti richiesti nel settore energetico.

7.1.4

Si deve prendere in considerazione una ridistribuzione degli oneri tra i settori coperti dal sistema e quelli che non lo sono. Il CESE si chiede se sia giustificata la prevista ripartizione degli obblighi di riduzione tra i settori coperti dal sistema (– 21 % rispetto al 2005) e gli altri settori (– 10 % rispetto al 2005). La ricerca (6) suggerisce che in alcuni settori non coperti dal sistema di scambio, e specialmente nei due principali, ossia le costruzioni e i trasporti, esiste il potenziale di ridurre le emissioni a costo zero o addirittura con costi negativi. Per di più si tratta di settori con un rischio di rilocalizzazione delle emissioni minimo o addirittura nullo. Inoltre il settore delle costruzioni ha nell'UE un grande potenziale di creazione di posti di lavoro.

7.1.5

Vanno assegnate mediante asta tutte le quote destinate al settore del trasporto aereo, quando questo entrerà nel sistema (7).

7.1.6

È necessario adottare misure volte a fare entrare nell'ETS il settore della navigazione, responsabile di un volume sempre maggiore di emissioni di gas a effetto serra (globalmente 1,12 miliardi di tonnellate, ossia il doppio di quelle generate dall'aviazione (8)), qualora l'IMO (Organizzazione marittima internazionale) non presenti urgentemente delle proposte efficaci in materia.

7.1.7

Gli introiti provenienti dalla vendita all'asta delle quote, che secondo le attuali previsioni nel 2020 dovrebbero ammontare a 50 miliardi di euro l'anno, andrebbero destinati in misura molto maggiore al finanziamento delle misure di prevenzione e di contenimento dei cambiamenti climatici e di adeguamento a tali cambiamenti, concentrandosi in modo specifico sui paesi più vulnerabili e meno sviluppati e investendo nella ricerca e sviluppo. Assegnare ai suddetti scopi il 20 % degli introiti, secondo quanto prevede l'articolo 10, paragrafo 3, della proposta, non è sufficiente e significa perdere l'occasione di dare un grande impulso al passaggio ad un'economia a basso tenore di carbonio. Il CESE raccomanda di portare questo importo almeno al 50 % degli introiti. Si dovrebbe inoltre cercare di incentivare il ruolo della silvicoltura e di favorire la prevenzione della deforestazione e la riforestazione nell'UE e in ogni parte del mondo dove sia dimostrato che le foreste rappresentano un efficace pozzo di assorbimento del carbonio.

7.1.8

Occorre rendere più chiare e trasparenti quelle misure contenute nella proposta la cui messa a punto dipende attualmente dalla procedura di comitato.

7.1.9

La Commissione deve esaminare la possibilità di portare da 10 000 a 25 000 tonnellate il limite di esclusione per gli impianti più piccoli, purché siano adottate misure di compensazione equivalenti.

7.1.10

La proposta dovrebbe indicare più chiaramente in che modo, in caso venisse concluso un accordo internazionale, l'UE potrà rispettare l'impegno di portare l'obiettivo di riduzione delle emissioni di CO2 dal 20 % al 30 %.

7.1.11

Si esortano gli Stati membri riesaminare le loro tariffe di immissione in rete, al fine di prevenire effetti negativi sulla crescita e sul contributo dei meccanismi di cogenerazione (CHP).

7.1.12

Per quanto riguarda il teleriscaldamento andrebbero adottate misure per evitare di disincentivare gli esempi di efficienza di detti programmi.

7.1.13

Si deve trovare una soluzione ai potenziali problemi che possano manifestarsi in quegli Stati membri dell'Europa orientale in cui la rete elettrica è approvvigionata principalmente dalla Russia e non dall'UE.

7.1.14

Si dovrebbe continuare a tenere sotto esame l'attuale proposta di limitare la possibilità di ricorso ai crediti dei meccanismi di attuazione congiunta (JI) e di sviluppo pulito (CDM), in attesa della conclusione di un accordo internazionale, specie in considerazione degli effetti negativi sul nascente mercato internazionale dei capitali destinati a finanziare detti meccanismi.

Bruxelles, 9 luglio 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Banca mondiale, State and Trends of the Carbon Market (Situazione e tendenze del mercato del carbonio), maggio 2007.

(2)  Da 1 974 a 1 720 milioni di tonnellate di CO2.

(3)  Parere CESE: GU C 175 del 27.7.2007, pag. 47.

(4)  Rapporto Stern, del 2006.

(5)  Secondo l'osservatorio di Mauna Loa alle isole Hawaii, il livello di CO2 nell'atmosfera è già a 387 ppm, il più alto da almeno 650 000 anni.

(6)  Vattenfall/McKinsey, The Climate Map

http://www.vattenfall.com/www/ccc/ccc/Gemeinsame_Inhalte/DOCUMENT/567263vattenfall/P0271636.pdf

(7)  Come il Comitato aveva raccomandato nel parere GU C 175 del 27.7.2007, pag. 47.

(8)  Relazione dell'Organizzazione marittima internazionale (IMO), febbraio 2008.


3.2.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 27/71


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio concernente gli sforzi degli Stati membri per ridurre le emissioni dei gas ad effetto serra al fine di adempiere agli impegni della Comunità in materia di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra entro il 2020

COM(2008) 17 def. — 2008/0014 (COD)

(2009/C 27/16)

Il Consiglio, in data 11 febbraio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 175 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio concernente gli sforzi degli Stati membri per ridurre le emissioni dei gas ad effetto serra al fine di adempiere agli impegni della Comunità in materia di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2020.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 giugno 2008 sulla base del progetto predisposto dal relatore MORKIS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 9 luglio 2008, nel corso della 446a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 116 voti favorevoli, 2 voti contrari e 8 astensioni.

1.   Sintesi delle osservazioni e raccomandazioni del Comitato

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo saluta l'iniziativa della Commissione europea di proporre agli Stati membri la condivisione dell'onere della lotta contro i cambiamenti climatici al fine di realizzare gli impegni della Comunità per il periodo 2013-2020 in materia di riduzione dei gas ad effetto serra emessi da fonti diverse da quelle cui si applica la direttiva 2003/87/CE (fonti cui non si applica il sistema ETS di scambio delle quote di emissioni).

1.2

Il Comitato riconosce e apprezza il ruolo di leader dell'UE nei negoziati internazionali relativi agli impegni nel campo della protezione dell'ambiente e dei cambiamenti climatici. Assumendo tali impegni la Comunità cerca, con il suo esempio, di stimolare e convincere altri paesi ad agire in modo analogo.

1.3

Secondo il Comitato ai fini dell'applicazione della decisione e della realizzazione degli impegni assunti dai singoli paesi risulta molto importante il ruolo della società civile. Gli Stati membri dovrebbero incoraggiare maggiormente le iniziative di riduzione dei gas a effetto serra che hanno la loro origine nella società e creare meccanismi di sostegno per appoggiare tali iniziative:

la società civile nel suo complesso potrebbe svolgere un ruolo chiave nell'applicare la decisione. È dunque opportuno informare in modo più ampio sugli obblighi imposti dalla decisione stessa e sugli strumenti impiegati per la sua attuazione in ciascuno Stato membro,

è inoltre importante dare maggiore rilievo a campagne d'informazione destinate a incrementare la sensibilizzazione e la comprensione dei cittadini relativamente all'esigenza di intraprendere sforzi per ridurre le emissioni di gas a effetto serra,

infine, è assolutamente necessaria la preparazione di specialisti e l'educazione della società nei campi del risparmio energetico, della tutela ambientale e dei cambiamenti climatici.

1.4

Il Comitato ritiene che le misure volte a ridurre le emissioni di gas a effetto serra dovrebbero essere applicate in modo tale da proteggere e addirittura migliorare nel lungo termine la competitività dell'Europa. A livello mondiale sarà sempre maggiore la domanda per lo sviluppo delle energie rinnovabili e per prodotti e modi di produzione efficienti dal punto di vista energetico e l'Europa è nella posizione ideale per ottenere un vantaggio competitivo diventando leader mondiale in molte di queste aree. L'UE e gli Stati membri devono appoggiare la R&S in questi campi.

1.5

La possibilità per gli Stati membri, prevista all'articolo 3, paragrafo 3, della proposta di decisione, di trasferire dall'anno successivo a quello in corso il 2 % del volume di emissioni di gas a effetto serra loro attribuito o, la possibilità per gli Stati membri, che non hanno esaurito il volume di emissioni loro attribuito di cui al paragrafo 2 dello stesso articolo, di trasferire all'anno successivo la quantità di emissioni corrispondente, non è abbastanza flessibile; un periodo di un anno infatti non offre una flessibilità sufficiente se si vuole realizzare un progetto su larga scala e conseguire buoni risultati. Questo risulta particolarmente importante per i piccoli Stati membri che attuano progetti su vasta scala volti a ridurre le emissioni di gas a effetto serra.

La Commissione propone che ciascuno Stato membro prepari un programma per raggiungere il suo obiettivo nazionale. Tuttavia, nel periodo 2013-2020, le emissioni annuali medie di gas a effetto serra non dovrebbero superare la media delle emissioni annuali tra il 2005 e il 2020. Secondo il Comitato sarà importante che l'applicazione di tali programmi sia monitorata regolarmente a livello nazionale ed europeo in modo da poter individuare immediatamente eventuali divergenze e prendere misure correttive.

1.6

Per rendere economicamente più efficace l'impegno globale sottoscritto dalla Comunità e conseguire gli obiettivi comuni con il minimo dei costi, il CESE ritiene che nella decisione si dovrebbe prevedere la possibilità per uno Stato membro di trasferire, sulla base di accordi bilaterali interstatali, parte dei suoi diritti di emissioni di gas a effetto serra a un altro Stato membro.

1.7

A parere del Comitato va trovato un equilibrio adeguato tra le misure di riduzione dei gas a effetto serra nell'UE e la solidarietà nei confronti dell'introduzione di misure di riduzione dell'inquinamento nei paesi in via di sviluppo, applicando strumenti flessibili nel quadro dei progetti di attuazione comune del meccanismo per uno sviluppo «pulito». Gli strumenti flessibili devono tuttavia essere utilizzati solo nella misura in cui riducano effettivamente le emissioni globali di gas a effetto serra. Essi non dovrebbero incoraggiare una rilocalizzazione di tali emissioni dai paesi dell'UE verso paesi extracomunitari.

1.8

Il Comitato, nell'esprimere il suo accordo sugli impegni assunti e sulla ripartizione dell'onere di tali impegni tra gli Stati membri, ritiene che i principi di ripartizione dovrebbero essere più chiari per l'opinione pubblica. L'onere dovrebbe essere ripartito valutando separatamente la situazione di ciascun paese, i costi di riduzione dell'inquinamento e l'impatto sulla competitività e sullo sviluppo dei singoli paesi. La decisione di ripartire gli oneri dovrebbe rendere equo il costo relativo della riduzione, in riferimento al PIL di ciascun paese.

1.9

Il Comitato chiede alla Commissione di mettere a punto un sistema di osservanza degli obblighi, ad esempio prevedendo per gli Stati membri un'ammenda in caso che le emissioni superino quelle ammesse.

2.   Introduzione — il documento della Commissione

2.1

La Commissione europea ha annunciato il 23 gennaio 2008 un pacchetto di proposte per la lotta contro i cambiamenti climatici e l'incentivazione dell'uso delle fonti di energia rinnovabili.

2.2

La proposta della Commissione mira ad attuare gli accordi raggiunti nel vertice dell'UE dell'8 e 9 marzo 2007 relativi all'impegno dell'Unione europea di diminuire le emissioni di gas a effetto serra entro il 2020 del 20 % rispetto al volume di emissioni del 1990 e di far sì che, entro il 2020, l'energia proveniente dalla fonti rinnovabili rappresenti il 20 % di tutta l'energia utilizzata nell'UE.

2.3

Lo sforzo globale di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra viene distribuito tra i settori inseriti nel sistema comunitario ETS e quelli che non rientrano in tale sistema. La Commissione propone il seguente duplice approccio: riduzione, entro il 2020, del 21 % delle emissioni provenienti dai settori che rientrano nel sistema ETS rispetto al 2005; riduzione del 10 % delle emissioni provenienti da settori non coperti dal sistema ETS rispetto al 2005. Considerati insieme, questi due approcci comporteranno una riduzione totale del 14 % rispetto al 2005, vale a dire una diminuzione del 20 % rispetto al 1990.

2.4

Il Consiglio prevedeva di conseguire obiettivi ancora più ambiziosi, nel caso in cui fosse stato sottoscritto da tutti un accordo generale, per il periodo successivo al 2012, e gli altri paesi sviluppati avessero assunti impegni analoghi di riduzione del volume di emissioni di gas a effetto serra e i paesi con un'economia in forte sviluppo si fossero impegnati a concorrere a questo obiettivo in modo adeguato, considerate la loro responsabilità e le loro possibilità. Se questo fosse il caso la Comunità dovrebbe cercare di ridurre le emissioni di gas a effetto serra del 30 % entro il 2020.

2.5

Nella proposta di decisione si stabilisce il contributo degli Stati membri all'attuazione dell'impegno della Comunità di riduzione nel periodo 2013-2020 del volume dei gas a effetto serra emessi da fonti cui non si applica la direttiva 2003/87/CE (fonti cui non si applica il sistema di scambio delle quote di emissione dell'UE-ETS).

2.6

Nella proposta si stabiliscono le regole per determinare il contributo degli Stati membri alla realizzazione dell'impegno della Comunità di riduzione del volume dei gas a effetto serra nel periodo 2013-2020.

2.7

La Commissione ritiene anche che l'onere della riduzione del volume dei gas a effetto serra dovrebbe essere ripartito tra i paesi, tenendo conto delle differenze economiche tra gli Stati membri e del loro PIL pro capite. Per questa ragione gli Stati membri il cui Pil pro capite è oggi relativamente basso, devono avere la possibilità di accrescere le loro emissioni di gas a effetto serra nel 2020 rispetto al 2005.

2.8

In considerazione della differenziazione proposta, la Commissione europea suggerisce di fissare un certo limite per i paesi tale che nessuno Stato dovrebbe essere obbligato a ridurre le emissioni di gas a effetto serra entro il 2020 di più del 20 %, in rapporto al volume di tali emissioni nel 2005, e a nessuno Stato dovrebbe essere permesso di aumentare di oltre il 20 % entro il 2020 le emissioni rispetto al volume di emissioni del 2005.

2.9

La Commissione prevede che ciascuno Stato membro entro il 2020 limiti il volume di emissioni di gas a effetto serra provenienti da fonti cui non si applica la direttiva 2003/87/CE rispetto al volume di gas a effetto serra emessi nel 2005, applicando la quota percentuale stabilita per ciascuno Stato membro nell'allegato alla decisione.

2.10

Secondo la Commissione la quota dei gas a effetto serra deve essere ridotta ogni anno nell'arco del periodo 2013-2020. È comunque prevista una certa flessibilità: a ciascuno Stato membro è permesso di spostare da un anno a quello precedente il 2 % del volume di emissioni di gas effetto serra per esso stabilito. Inoltre si concede allo Stato membro che non abbia usato il volume di emissioni concessogli di trasferire la parte inutilizzata all'anno successivo.

2.11

Ciascuno Stato membro deve ridurre ogni anno in maniera uniforme il volume di emissioni di gas a effetto serra in modo tale da assicurare che tale volume nel 2020 non superi il livello massimo consentito per tale paese, indicato nell'allegato alla decisione.

2.12

Al fine di offrire maggiore flessibilità agli Stati membri nell'attuazione dei loro impegni, oltre che per stimolare lo sviluppo sostenibile dei paesi terzi (in particolare dei paesi in via di sviluppo) e per offrire certezza agli investitori, la Commissione propone che gli Stati membri abbiano la possibilità di continuare ad usare i crediti provenienti da progetti CDM (meccanismo per lo sviluppo pulito) affinché il mercato per tali crediti funzioni anche dopo il 2012.

2.13

Al fine di assicurare il funzionamento di tale mercato e affinché l'UE riduca ulteriormente le emissioni di gas a effetto serra e contribuisca così alla realizzazione degli obiettivi comunitari di utilizzazione delle energie rinnovabili, di risparmio energetico, di introduzione delle innovazioni e di competitività, fino a quando non verrà sottoscritto un accordo internazionale sui cambiamenti climatici, si propone di consentire che ogni anno l'uso totale dei crediti degli Stati membri provenienti dai progetti di limitazione delle emissioni di gas a effetto serra attuati nei paesi terzi non superi il 3 % del volume di emissioni di ciascuno Stato provenienti da fonti non soggette al sistema di scambio delle quote di emissioni dell'UE registrate nel 2005. Questo volume massimo corrisponde all'incirca a un terzo del totale di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra dello Stato membro nel 2020. Tutti gli Stati membri dovrebbero avere la possibilità di trasferire ad altri Stati membri la parte di tale quota massima prefissata non utilizzata.

2.14

La Commissione ritiene che, dopo il futuro accordo internazionale sui cambiamenti climatici, gli Stati membri dovrebbero accettare i crediti di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra solo dai quei paesi che abbiano ratificato l'accordo e dovrebbero farlo rispettando un approccio comune.

2.15

Nel caso in cui la Comunità firmasse un accordo internazionale sul clima, a parere della Commissione bisognerebbe modificare corrispondentemente i limiti delle emissioni dei gas a effetto serra degli Stati membri, in considerazione dei nuovi impegni di riduzione delle emissioni assunti dalla Comunità sulla base di questo accordo.

2.16

Si prevede che gli Stati membri nelle loro relazioni annuali, presentate a norma dell'articolo 3 della decisione n. 280/2004/CE dovrebbero comunicare il volume di emissioni di gas a effetto serra raggiunto in applicazione dell'articolo 3 della proposta di decisione e l'utilizzo dei crediti di cui all'articolo 4 della proposta. Gli Stati membri dovrebbero anche fornire informazioni aggiornate sui progressi previsti entro il 1o luglio 2016.

3.   Osservazioni generali

3.1

L'iniziativa della Commissione europea di proporre agli Stati membri una ripartizione dell'onere della lotta contro i cambiamenti climatici allo scopo di realizzare gli impegni di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra assunti dalla Comunità per il periodo 2013-2020 per le fonti cui non si applica la direttiva 2003/87/CE (fonti cui non si applica il sistema UE di scambio delle quote di emissioni — ETS) costituisce un passo importante in una linea di decisioni riguardanti la lotta contro i cambiamenti climatici.

3.2

Il comitato non dubita che la decisione del Parlamento europeo e del Consiglio influirà sulla soluzione dei problemi della Comunità nel settore della tutela ambientale e dei cambiamenti climatici. La politica della Comunità in questo settore deve garantire una significativa riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, fissando requisiti vincolanti per gli Stati membri e controllando rigorosamente come essi li applicano.

3.3

Al tempo stesso, il Comitato desidera richiamare l'attenzione sul fatto che l'efficacia della decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla ripartizione dello sforzo di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra dipende in misura significativa dagli altri due documenti che compongono il pacchetto sull'energia e il cambiamento climatico, vale a dire la direttiva sulle fonti di energia rinnovabili e la direttiva sul sistema dell'UE di scambio di emissioni. Questo significa che i vari strumenti devono operare in piena sinergia: qualsiasi modifica apportata ad uno di tali strumenti avrà infatti ripercussioni sugli altri.

3.4

In caso di conclusione di un accordo internazionale, è previsto che gli impegni della Comunità siano rivisti. Ci si attende molto dai negoziati avviati nel mese di dicembre 2007 a Bali (Indonesia) e che possono avere un'importanza determinante a livello mondiale per le azioni da intraprendere entro il 2020. Sarebbe ideale che tali negoziati si concludessero e che l'accordo fosse finalizzato nel 2009 durante il vertice mondiale di Copenaghen sul clima. Ma prima di allora vi sarà ancora il vertice di Poznan da cui sono attesi dei progressi.

3.5

Il Comitato si compiace del ruolo di leader svolto dall'UE in tali negoziati. La Comunità, sulla base degli impegni presi, cerca con il suo esempio di stimolare gli altri paesi e convincerli ad agire in modo analogo. È evidente che i paesi che registrano una rapida crescita economica, per esempio, la Cina, l'India e il Brasile, non ridurranno l'inquinamento, ma essi possono limitare l'aumento delle emissioni in rapporto alla crescita economica. Il CESE invita la Commissione ad intraprendere ogni possibile sforzo per concludere un accordo internazionale (post-Kyoto) che impegni i paesi sviluppati a ridurre, entro il 2020, le emissioni di gas a effetto serra del 30 % rispetto ai livelli del 1990. Questo accordo sarebbe conforme alle previsioni illustrate nella quarta relazione del Comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici (IPCC), il quale ritiene che entro il 2020 sarà necessario operare, rispetto ai livelli del 1990, una riduzione che oscilli tra il 25 e il 40 % al fine di limitare il riscaldamento globale ad un massimo di 2 gradi Celsius in più rispetto al periodo pre-industriale. Qualora tale accordo internazionale venga concluso, bisognerà ovviamente rivedere sia la proposta all'esame sia le altre proposte contenute nel pacchetto della Commissione relativo all'energia e ai cambiamenti climatici, al fine di adeguarle agli obiettivi più ambiziosi. È dunque importante che tutte le parti interessate riconoscano e programmino le loro azioni tenendo conto che gli obiettivi attualmente proposti per il 2020 sono solo un primo passo e che, a tempo debito, forse già nel 2020, ma certamente negli anni successivi, sarà necessario definire obiettivi più rigorosi.

3.6

A parere del comitato, le misure di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra devono essere attuate in modo da salvaguardare, o addirittura potenziare nel lungo periodo, la competitività economica dell'Europa. Lo sviluppo delle energie rinnovabili, i prodotti e i modi di produzione a basso consumo di energia saranno sempre più richiesti a livello internazionale e l'Europa può facilmente acquisire un vantaggio competitivo grazie alla leadership mondiale in molti di questi settori. L'UE e gli Stati membri dovrebbero sostenere la ricerca e lo sviluppo in questo campo, perché in caso contrario sarà difficile conseguire gli obiettivi. È inoltre necessario preparare specialisti e in generale fare opera di informazione del pubblico sui temi del risparmio energetico, della tutela ambientale e dei cambiamenti climatici.

3.7

Ai fini dell'applicazione della decisione e della realizzazione degli impegni assunti dai singoli paesi risulta molto importante il ruolo della società civile. Gli Stati membri dovrebbero incoraggiare maggiormente le iniziative provenienti dalla società che contribuiscono alla riduzione dei gas a effetto serra e creare meccanismi di sostegno per appoggiare tali iniziative:

la società civile nel suo complesso può svolgere un ruolo chiave nell'applicare la decisione. È dunque opportuno informare in modo più ampio sugli obblighi imposti dalla decisione stessa e sugli strumenti previsti per la sua attuazione in ciascuno Stato membro.

È inoltre importante dare maggiore rilievo a campagne d'informazione destinate a incrementare la sensibilizzazione e la comprensione dei cittadini relativamente all'esigenza di intraprendere sforzi per ridurre le emissioni di gas a effetto serra.

Infine, è assolutamente necessaria la preparazione di specialisti e l'educazione della società nei campi del risparmio energetico, della tutela ambientale e dei cambiamenti climatici.

4.   Osservazioni particolari

4.1

Il Comitato ritiene che occorra trovare un giusto equilibrio tra le misure di riduzione dei gas a effetto serra all'interno dell'UE e la solidarietà, introducendo misure di riduzione dell'inquinamento nei paesi in via di sviluppo applicando gli strumenti flessibili dei progetti di attuazione comune del meccanismo per lo sviluppo pulito. Gli strumenti flessibili devono tuttavia essere utilizzati solo nella misura in cui riducano effettivamente le emissioni di gas a effetto serra. Essi non dovrebbero incoraggiare una rilocalizzazione di tali emissioni dai paesi UE verso paesi extracomunitari.

4.2

La Commissione propone che gli Stati membri possano continuare ad usare i crediti del meccanismo per lo sviluppo pulito (CDM) al fine di garantire, anche dopo il 2012, l'esistenza di un mercato di tali crediti. Il Comitato esprime preoccupazione circa la qualità delle riduzioni certificate di emissioni risultanti dal meccanismo per lo sviluppo pulito. Nel caso in cui gli Stati che investono in progetti avviati prima del 2013 desiderino continuare a beneficiare delle riduzioni certificate di emissioni, il CESE propone di rivedere i principi di base al fine di stabilire se un progetto possa ancora essere considerato supplementare. Per quanto concerne i nuovi progetti CDM previsti come contributo di uno Stato membro allo sforzo condiviso di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra, solo i progetti basati sulle migliori tecniche disponibili meritano di essere presi in considerazione.

4.3

La Commissione europea fornisce solo un principio generale secondo cui gli impegni dei paesi con un PIL pro capite elevato sono più vincolanti e quelli dei paesi con un PIL basso sono meno rigidi; tuttavia è possibile che i singoli paesi, anche se il PIL relativo è lo stesso, abbiano difficoltà di grado diverso nel conseguire la stessa riduzione dell'inquinamento. L'onere dovrebbe essere calcolato separatamente valutando la situazione di ciascun paese, i costi di riduzione dell'inquinamento e l'impatto sulla competitività e lo sviluppo dei singoli paesi. La decisione di ripartire gli oneri dovrebbe rendere equo il costo relativo della riduzione, in riferimento al PIL di ciascun paese.

4.4

Il Comitato richiama l'attenzione sul fatto che vi è un'evidente contraddizione nel testo della decisione. L'anno di riferimento scelto dalla Commissione per valutare gli sforzi degli stati membri di riduzione dei gas ad effetto serra immessi nell'ambiente è il 2005, mentre il periodo si conclude nel 2020. Come si afferma nell'articolo 3, paragrafo 2, secondo capoverso, ciascuno Stato membro deve ridurre ogni anno in modo uniforme le emissioni. Nondimeno, nello stesso articolo, allo stesso paragrafo, nel primo capoverso si afferma che ciascuno Stato membro garantisce che nel 2013 il volume totale dei gas ad effetto serra provenienti da fonti cui non si applica la direttiva 2003/87/CE, non superi le emissioni medie annue di gas ad effetto serra di questo paese provenienti da queste fonti registrate negli anni 2008, 2009 e 2010, emissioni che lo Stato membro dovrà aver comunicato e che dovranno essere state verificate in base alla direttiva 2003/87/CE e alla decisione n. 280/2004/CE. In tal modo come riferimenti per valutare la situazione nell'anno 2013 valgono gli anni 2008, 2009 e 2010.

4.5

Il Comitato ritiene che la possibilità per gli Stati membri, prevista all'articolo 3, paragrafo 3, della proposta di decisione, di trasferire dall'anno successivo all'anno in corso il 2 % del volume di emissioni di gas a effetto serra loro assegnato, ovvero la possibilità, se gli Stati non utilizzano le quote stabilite al secondo paragrafo dello stesso articolo, di trasferirle all'anno successivo, non sia abbastanza flessibile, perché, se si vogliono realizzare grandi progetti e raggiungere buoni risultati, il periodo di un anno non offre sufficiente flessibilità. Questo risulta particolarmente importante per i piccoli Stati membri che attuano progetti su vasta scala volti a ridurre le emissioni di gas a effetto serra.

La Commissione propone che ciascuno Stato membro stabilisca un programma per raggiungere i propri obiettivi nazionali. Tuttavia, nel periodo 2013-2020, le emissioni annuali medie di gas a effetto serra non dovrebbero superare la media delle emissioni annuali tra il 2005 e il 2020. Secondo il Comitato, è importante che l'applicazione di tali programmi venga regolarmente monitorata a livello nazionale ed europeo, al fine di individuare tempestivamente eventuali divergenze e prendere le necessarie misure correttive.

4.6

Per rendere economicamente più efficace l'impegno globale sottoscritto dalla Comunità e conseguire gli obiettivi comuni con il minimo dei costi il Comitato ritiene che nella decisione si dovrebbe prevedere la possibilità per uno Stato membro di trasferire parte dei suoi diritti di emissioni di gas a effetto serra a un altro Stato membro.

4.7

Il Comitato chiede alla Commissione di mettere a punto un sistema automatico di osservanza degli obblighi, ad esempio prevedendo per gli Stati membri un'ammenda per il superamento delle emissioni ammesse.

4.8

Inoltre le disposizioni dell'articolo 4, paragrafo 1, lettera c) sull'equa distribuzione geografica dei progetti relative alle politiche di acquisizione dei crediti non sono sufficientemente concrete.

4.9

Ai fini dell'attuazione della decisione, la Commissione dovrebbe fornire agli Stati membri una serie di orientamenti, strumenti e altre misure. Un primo passo potrebbe essere l'elaborazione di una guida che illustri esempi di provvedimenti riusciti nell'UE.

4.10

Per conseguire gli obiettivi previsti dalla decisione, il Comitato raccomanda agli Stati membri di utilizzare i fondi strutturali e di coesione per finanziare quei progetti che non producono o che addirittura riducono le emissioni di gas a effetto serra.

4.11

Per gli impianti che partecipano all'assegnazione delle quote di emissione nell'ambito del sistema ETS, nel periodo 2013-2020 è prevista la partecipazione allo scambio di quote mediante vendita all'asta. Questo sarà un mezzo per ottenere i fondi necessari per ridurre il volume delle emissioni di gas a affetto serra dei settori che non rientrano nel sistema di scambio di quote di emissione. Una parte dei fondi ottenuti in tal modo dovrebbe essere destinata ai settori economici che si sforzano di ridurre le emissioni di gas a effetto serra. Il rimanente dovrebbe formare un fondo di solidarietà a favore dei paesi in via di sviluppo e venire assegnato a progetti di adeguamento ai cambiamenti climatici attuati in tali paesi.

Bruxelles, 9 luglio 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


3.2.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 27/75


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa allo stoccaggio geologico del biossido di carbonio e recante modifica delle direttive 85/337/CEE e 96/61/CE del Consiglio e delle direttive 2000/60/CE, 2001/80/CE, 2004/35/CE, 2006/12/CE e del regolamento (CE) n. 1013/2006

COM(2008) 18 def. — 2008/0015 (COD)

(2009/C 27/17)

Il Consiglio, in data 8 febbraio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 175 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa allo stoccaggio geologico del biossido di carbonio e recante modifica delle direttive 85/337/CEE e 96/61/CE del Consiglio e delle direttive 2000/60/CE, 2001/80/CE, 2004/35/CE, 2006/12/CE e del regolamento (CE) n. 1013/2006.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 giugno 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore WOLF.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 9 luglio 2008, nel corso della 446a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 138 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni.

Indice

1.

Sintesi e conclusioni

2.

Introduzione

3.

Proposta della Commissione

4.

Osservazioni generali

5.

Osservazioni specifiche

1.   Sintesi e conclusioni

1.1

La cattura e lo stoccaggio a lungo termine del biossido di carbonio (CO2) generato dall'impiego (combustione) di fonti energetiche fossili (cattura e stoccaggio del biossido di carbonio, CCS), rappresenterebbero un contributo veramente sostanziale alla tutela del clima. Per questo motivo si deve puntare a uno sviluppo accelerato di questo procedimento affinché possa essere applicato quanto prima.

1.2

Il Comitato accoglie con favore la direttiva proposta dalla Commissione in quanto presupposto necessario per lo sviluppo e l'applicazione della CCS e ne approva in grandissima parte il contenuto.

1.3

La direttiva affronta gli aspetti fondamentali dello stoccaggio e propone regole in materia. Questo vale soprattutto per le questioni relative alla sicurezza delle persone e dell'ambiente e per le responsabilità collegate. In questo modo la direttiva favorisce anche l'accettazione da parte dei cittadini e tiene conto del loro desiderio di sicurezza.

1.4

Lo sviluppo dell'intera catena del valore della CCS (cattura, trasporto e stoccaggio del CO2) è tuttora in una fase iniziale, in parte ancora esplorativa. Le disposizioni della direttiva devono tenerne conto e, quindi, in alcuni punti dovranno essere adeguate.

1.5

Anche per garantire un'attuazione rapida dei primi progetti, alcuni punti della direttiva andrebbero modificati per renderli più facilmente gestibili sia da parte delle pertinenti autorità nazionali sia da parte delle imprese disposte a investire, offrendo a queste ultime una certezza di programmazione e incentivi ad agire. Si tratta ad esempio di chiarire le questioni relative alla responsabilità, alla forma e alla portata delle garanzie finanziarie.

2.   Introduzione

2.1

La Commissione europea, facendo seguito alle decisioni del Consiglio europeo del marzo 2007 in materia di protezione del clima e sicurezza dell'approvvigionamento energetico, ha proposto un intero pacchetto di misure, presentate in documenti separati, per realizzare gli obiettivi previsti nelle decisioni del Consiglio. Tali misure riguardano in particolare l'efficienza energetica, il potenziamento delle fonti rinnovabili, nonché lo sviluppo e l'applicazione di tecnologie innovative adeguate. Il Comitato ha elaborato pareri specifici su ognuno di tali argomenti (1).

2.2

In questo contesto assumono un ruolo importante anche i procedimenti finalizzati a una riduzione stabile delle emissioni di gas a effetto serra generate dall'uso delle fonti energetiche fossili. Il presente parere in merito alla proposta di direttiva presentata dalla Commissione sullo stoccaggio geologico del biossido di carbonio (CO2) verte proprio su questo aspetto.

2.3

Il presente parere viene integrato da un altro parere predisposto dal Comitato su questa tecnologia e relativo alla comunicazione della Commissione (2) Promuovere la dimostrazione in tempi brevi della produzione sostenibile di energia da combustibili fossili.

3.   Proposta della Commissione

3.1

In considerazione del fatto che, prevedibilmente, la crescente domanda di fonti energetiche a livello internazionale sarà coperta principalmente dai combustibili fossili e in considerazione dell'obiettivo di ridurre le emissioni di CO2 del 50 % su scala mondiale e del 60-80 % nei paesi industrializzati entro il 2050, la Commissione ritiene indispensabile sfruttare fino in fondo tutte le possibilità di ridurre le emissioni. In tale contesto assumono un'importanza fondamentale la cattura e lo stoccaggio del biossido di carbonio (CCS) (3).

3.2

La proposta presentata dalla Commissione, che fa seguito all'invito del Consiglio europeo del marzo 2007, costituisce un elemento per la realizzazione dell'obiettivo di sviluppo del quadro tecnico, economico e normativo necessario per rendere operativa la CCS, garantendone al medesimo tempo la compatibilità ambientale. Si tratta soprattutto di creare il quadro normativo necessario, sulla base dell'articolo 175, paragrafo 1, del Trattato CE. La proposta all'esame prevede inoltre una semplificazione delle disposizioni legislative e amministrative ad uso delle autorità comunitarie o nazionali.

3.3

A tal fine vengono prese in considerazione e adeguate talune norme già in vigore, quali le direttive 96/61/CE, 85/337/CEE, 2004/35/CE e 2003/87/CE.

3.4

Per quanto riguarda il contenuto concreto della proposta della Commissione, va osservato quanto segue:

3.4.1

il capo 1 riguarda l'oggetto, la finalità e l'ambito di applicazione della direttiva. Vengono inoltre definiti i concetti utilizzati;

3.4.2

il capo 2 verte sulla scelta dei siti di stoccaggio e sulle licenze di esplorazione e stabilisce che gli Stati membri dovranno designare le aree disponibili per lo stoccaggio e fissare le regole per il rilascio delle licenze di esplorazione;

3.4.3

il capo 3 riguarda le autorizzazioni allo stoccaggio e le relative condizioni, nonché le competenze della Commissione europea in materia. In tale contesto è importante la valutazione d'impatto ambientale, ivi comprese la valutazione delle conseguenze e la consultazione del pubblico;

3.4.4

il capo 4 riguarda gli obblighi in materia di gestione, chiusura e fase post-chiusura, compresi i criteri di ammissione del CO2, gli obblighi di monitoraggio e comunicazione delle informazioni, le ispezioni, i provvedimenti da adottare in caso di irregolarità e/o fuoriuscite di CO2, gli obblighi in fase di chiusura e post-chiusura delle strutture e la fornitura di garanzie finanziarie;

3.4.5

il capo 5 verte sull'accesso alle reti di trasporto e stoccaggio;

3.4.6

il capo 6 contiene disposizioni generali riguardanti le autorità competenti, la cooperazione transfrontaliera, le sanzioni, la comunicazione delle informazioni alla Commissione europea, le modifiche e le procedure di comitato applicabili;

3.4.7

il capo 7 presenta le modifiche da apportare ad altri atti normativi, compresi i necessari adeguamenti della legislazione in materia di acque e di rifiuti. Vengono altresì stabilite condizioni complementari per l'autorizzazione di nuove centrali;

3.4.8

l'allegato I definisce criteri dettagliati per la caratterizzazione del sito e la valutazione dei rischi, mentre l'allegato II elenca criteri particolareggiati per il monitoraggio. La Commissione europea può modificare gli allegati, fermo restando il diritto di codecisione del Parlamento europeo.

4.   Osservazioni generali

4.1

Il Comitato ha ripetutamente sottolineato (4) che un approvvigionamento energetico a prezzi accessibili è la linfa vitale delle moderne economie sociali e il presupposto di tutti i servizi fondamentali. In questo contesto è particolarmente importante un forte sviluppo di tecnologie innovative (5).

4.2

Il Comitato accoglie quindi con favore e appoggia ampiamente, sul piano del contenuto, la direttiva in materia proposta dalla Commissione, quale importante presupposto per lo sviluppo e l'applicazione di un procedimento — la CCS — finalizzato alla realizzazione di questo obiettivo.

4.3

A questo proposito, il Comitato ha sottolineato (6) che i combustibili fossili (carbone, petrolio e gas naturale) costituiscono attualmente l'asse portante (7) dell'approvvigionamento energetico sia europeo che globale, e anche nei prossimi decenni probabilmente la loro importanza non verrà meno.

4.4

Questo non è incompatibile con l'obiettivo dichiarato di aumentare drasticamente la quota delle fonti energetiche rinnovabili. Infatti, anche considerato che l'obiettivo dell'UE (8) è quello di arrivare a una quota di energie rinnovabili almeno del 20 % entro il 2020, ancora per molti decenni vi sarà una forte necessità di energia prodotta a partire da altre fonti per garantire la copertura del rimanente 80 % del fabbisogno energetico, quota che entro il 2050 sarà ancora del 50 % circa.

4.5

Per quanto riguarda le fonti rinnovabili, ai fini della produzione di elettricità solo l'utilizzo dell'energia idraulica e della biomassa (9), finora, può essere modulato in funzione della domanda; la disponibilità dell'energia eolica e di quella solare, invece, è limitata in quanto dipende dalle condizioni meteorologiche. Ciò nonostante, il loro sviluppo e la loro applicazione vanno portati avanti con grande impegno e, inoltre, vanno trovate possibilità di stoccaggio adeguate ed economiche. Questo aspetto, però, è oggetto di un parere specifico del Comitato.

4.6

Se ne deduce che per garantire il carico di base, accanto all'energia nucleare e/o al suo posto (10), si dovrà continuare a ricorrere in larga misura alle centrali a combustibili fossili. Inoltre, per compensare la fluttuante immissione in rete di energia eolica, sarà necessario un numero crescente di centrali con una produzione regolabile in modo sufficientemente rapido per poter fornire una potenza di riserva (sia positiva che negativa) adeguata.

4.7

Per la produzione di energia per il carico di punta e per le capacità di riserva si ricorre soprattutto alle centrali a gas e alle centrali idroelettriche che utilizzano impianti ad accumulazione per pompaggio. Il potenziale di sviluppo di queste ultime, tuttavia, è limitato in quanto i siti adatti dal punto di vista orografico sono già quasi completamente utilizzati.

4.8

Per la fornitura di energia per il carico di base e il carico medio, accanto alle centrali nucleari, sono impiegate soprattutto quelle a carbone. Negli Stati membri che hanno deciso di non utilizzare direttamente l'energia nucleare, l'uso del carbone per la produzione di elettricità ha un'importanza ancora maggiore.

4.9

Si tratta dunque di contenere quanto più possibile le emissioni di CO2 anche quando viene utilizzato il carbone. A tal fine vengono seguite due linee di sviluppo che hanno una maturità tecnica e un impatto diversi: da un lato le centrali con un'efficienza ancora maggiore e, dall'altro, quelle dotate di dispositivi CCS (11). In quest'ultimo caso, la massima parte del CO2 prodotto non viene nemmeno più immessa nell'atmosfera; in compenso, però, bisogna inevitabilmente accettare una notevole perdita di efficienza per coprire l'ulteriore fabbisogno energetico per la CCS. Inoltre, è necessario anche sviluppare ulteriormente i procedimenti per la cattura del CO2 generato nei processi di produzione industriale.

4.10

Lo sviluppo della CCS (cattura, trasporto e stoccaggio del CO2) è tuttora in una fase iniziale, in parte ancora esplorativa. Il rendimento delle centrali che utilizzano tecnologie tradizionali, invece, aumenta progressivamente, ma lentamente si sta raggiungendo il limite di quanto è fisicamente possibile. Il Comitato, considerato che nei prossimi 10 anni ci sarà un'urgente necessità di sostituire le capacità di produzione delle centrali, raccomanda di adottare un approccio pragmatico che consiste nello sviluppare e utilizzare parallelamente entrambe le tecnologie. Mentre il miglioramento del rendimento utile può avvenire per lo più in base a criteri di mercato, le tecnologie CCS (sia le centrali che le infrastrutture) nella fase di dimostrazione e di immissione sul mercato necessitano di un ulteriore sostegno.

4.11

Per lo sviluppo della tecnologia CCS vengono seguiti vari approcci: la tecnologia integrata nella centrale, che, nel caso della gassificazione, prevede la separazione del CO2 prima del processo di combustione, l'ossicombustione, che prevede l'arricchimento del CO2 durante il processo di combustione e la successiva cattura, e il procedimento noto come «tecnologia post-combustione», che prevede il filtraggio del CO2 dai fumi dopo la combustione (CO2 washing, ossia depurazione del CO2). Quest'ultimo metodo, se sviluppato adeguatamente, sarà adatto ad essere applicato nelle nuove centrali elettriche altamente efficienti già in costruzione, sempre che vengano progettate in tal senso (pronte per integrare le tecnologie di cattura del carbonio, capture ready). Queste opzioni tecnologiche hanno in comune il fatto che il CO2 separato dev'essere trasportato dal sito della centrale a un luogo di stoccaggio adeguato.

4.12

Lo stoccaggio del CO2 può avvenire solo in formazioni geologiche adeguate e sicure. Allo stato attuale della ricerca possono essere presi in considerazione soprattutto gli acquiferi salini profondi e i giacimenti esauriti di petrolio e di gas, mentre le miniere di carbone abbandonate sembrano meno adeguate. È importante che, per evitare le fuoriuscite, la roccia di copertura sia in massima parte integra (con il minor numero possibile di fratture).

4.13

Se la scelta del sito di stoccaggio avviene in base alle regole proposte nella direttiva e lo stoccaggio viene effettuato in modo professionale i pericoli sono da considerare molto limitati. In caso di stoccaggio in formazioni adeguate, ad esempio, la «fuoriuscita» improvvisa di grandi quantità di CO2 è quasi impossibile (12). Anche una minaccia derivante da scosse telluriche indotte è praticamente da escludere proprio perché la pressione massima scelta per il serbatoio deve essere tale da non distruggere le formazioni rocciose del sito (rocce di serbatoio e di copertura) (13), che devono essere appunto preservate intatte ai fini dello stoccaggio.

4.14

La questione fondamentale per l'accettazione di questa soluzione da parte della società e del mondo politico è quella di uno stoccaggio sicuro e a lungo termine del CO2.

4.15

Per questo motivo il Comitato ritiene molto importante che i cittadini vengano informati in modo completo dalla Commissione e, in particolare, anche dagli Stati membri e dai potenziali operatori, in merito a tutti gli aspetti di questa nuova tecnica e vengano coinvolti nei relativi processi decisionali mediante un dialogo trasparente. A tal fine andrebbero sviluppate procedure adeguate.

4.16

Nel concludere questo capitolo, il Comitato desidera proporre un'ulteriore misura di prevenzione concernente l'eventualità di un fabbisogno di CO2 in un più lontano futuro, sia per il suo uso come sostanza chimica di base per scopi attualmente non prevedibili, sia in quanto variabile nell'ambito dei cicli climatici «naturali» di lungo periodo (14). Per questo motivo il Comitato, quale misura aggiuntiva di prevenzione a favore della sostenibilità, raccomanda di procedere allo stoccaggio sicuro del CO2, ma prendendo in considerazione, nel quadro dei piani di chiusura, la possibilità di un recupero per lo meno parziale, oppure prevedendo una documentazione sulle potenziali possibilità di recupero dai singoli complessi di stoccaggio. Ovviamente, la massima sicurezza possibile e la tenuta stagna del deposito devono avere la priorità.

4.17

Il Comitato, nel complesso, accoglie con favore la proposta di direttiva presentata dalla Commissione e, nel prossimo capitolo, formula osservazioni in merito ad alcuni punti specifici.

5.   Osservazioni specifiche

5.1

La proposta di direttiva della Commissione contempla tutte le disposizioni fondamentali necessarie per fornire agli operatori di impianti CCS il quadro giuridico di cui hanno bisogno, fermo restando che, in alcuni punti sporadici, la proposta della Commissione va oltre il necessario.

5.2

In alcune parti sono però necessari dei chiarimenti per consentire l'applicabilità e garantire la certezza giuridica.

5.3

La proposta della Commissione prevede che il CO2 sequestrato e stoccato venga considerato come «non emesso» nell'ambito del sistema di scambio delle quote di emissione; di conseguenza, non è necessario essere in possesso di certificati di quote di emissione di CO2 (cfr. il 23o considerando, che contiene un riferimento alla direttiva 2003/87/CE). Vi è quindi un utile incentivo di mercato — anche se ancora insufficiente nella fase di dimostrazione — ad investire negli impianti CCS.

5.3.1

Per questo motivo il Comitato è favorevole alla proposta di far rientrare questo settore nel sistema di scambio delle quote; un approccio basato sul mercato, infatti, è decisamente da preferire all'obbligo di applicare la CCS, tanto più che, allo stadio attuale di sviluppo delle tecnologie CCS, un tale obbligo sarebbe decisamente prematuro.

5.3.2

È giusto invece prevedere l'obbligo, per le nuove centrali, di disporre di un'area sufficiente per installare le strutture necessarie alla cattura e alla compressione del CO2 (articolo 32, adeguamento della direttiva 2001/80/CE, con l'inserimento di un nuovo articolo 9 bis). Tuttavia, anche queste misure che, in linea di principio, fanno lievitare i costi dovrebbero essere accompagnate da adeguati incentivi di mercato (15) (p. es. quote di emissione di CO2 a condizioni agevolate, uso a favore della CCS di una parte degli introiti della vendita all'asta nel quadro del sistema ETS).

5.4

Per evitare che le possibilità di stoccaggio vengano limitate inutilmente, il divieto di cui all'articolo 2, paragrafo 3, della proposta della Commissione non dovrebbe riguardare «lo stoccaggio di CO2 in formazioni geologiche» ma i «siti di stoccaggio». Conformemente alla definizione di cui all'articolo 3, punto 4, infatti, le formazioni geologiche possono estendersi oltre il territorio definito all'articolo 2, paragrafo 1, mentre l'estensione di un sito di stoccaggio è decisamente minore. Ulteriori opzioni di stoccaggio verrebbero offerte da una clausola di apertura che preveda accordi contrattuali affidabili con paesi terzi.

5.5

La definizione di «sito di stoccaggio» ai sensi dell'articolo 3, paragrafo 3, dovrebbe riferirsi unicamente alla «parte» di «formazione geologica specifica utilizzata ai fini dello stoccaggio geologico del CO2». (Una formazione geologica, espressa in termini di superficie, può estendersi anche per milioni di chilometri quadrati e, quindi, può essere definita «sito di stoccaggio» solo una parte di essa.) È infatti del tutto possibile, e addirittura probabile, che in una formazione geologica ci possano essere e ci siano effettivamente diversi siti di stoccaggio.

5.6

Ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 1, della proposta della Commissione, gli Stati membri mantengono il diritto di designare le zone adeguate per i siti di stoccaggio. A questo proposito andrebbe chiarito che devono essere effettivamente gli Stati membri a designare le aree in linea di principio idonee allo stoccaggio del CO2, a meno che non vi si oppongano motivi rilevanti.

5.7

Il Comitato si compiace che il quadro normativo proposto esiga il massimo di sicurezza possibile. Questo è necessario sia ai fini della tutela della salute umana, dell'ambiente e del clima (16) sia per garantire l'integrità del sistema di scambio delle quote di emissione.

5.7.1

Occorre altresì garantire l'impiego di sistemi di monitoraggio adeguati e aggiornati allo stato dell'arte; nel rilasciare le pertinenti autorizzazioni gli Stati membri devono tenerne conto (17).

5.7.2

I sistemi di monitoraggio prevedono e devono anche garantire che la comprensione dei processi in atto nel sito di stoccaggio stesso e i corrispondenti modelli siano i migliori possibili (semplici misurazioni a livello della crosta terrestre o in prossimità della superficie non sono abbastanza significative). Per questo motivo i modelli utilizzati, nei limiti del possibile, dovrebbero essere verificati o convalidati con due sistemi di simulazione o modellazione indipendenti.

5.7.3

La definizione di «fuoriuscita» dovrebbe quindi essere la seguente: «l'emissione di CO2 dal complesso di stoccaggio misurabile mediante sistemi di monitoraggio conformi alle migliori tecniche disponibili». Una tenuta completamente stagna (al 100 %), infatti, non esiste, né sarebbe misurabile a causa del rilascio naturale di CO2 dal suolo. Inoltre, essa non è nemmeno indispensabile né per motivi di sicurezza né ai fini della tutela del clima (18). Questa definizione basata sulle migliori tecniche disponibili consentirebbe di perfezionare continuamente il livello dei sistemi di monitoraggio — migliorato anche grazie allo sviluppo della CCS — contribuendo così in modo dinamico a un ulteriore aumento della sicurezza.

5.7.4

Se durante il successivo funzionamento corrente si intendessero definire massimali di fuoriuscita consentiti, si potrebbe scegliere un valore tale da non produrre alcun effetto rilevante per la sicurezza e per il clima e, quindi, nemmeno conseguenze per i certificati di emissione; un tale massimale potrebbe corrispondere ad esempio a una fuoriuscita dello 0,1 %/100a.

5.8

La durata delle licenze di esplorazione proposta dalla Commissione all'articolo 5, paragrafo 3, è troppo breve. L'esperienza mostra che, anche qualora tutto si svolga in modo ottimale, sono necessari almeno 4 anni per attuare il programma di lavoro in materia di esplorazione. Non deve assolutamente accadere che ci si trovi a dover interrompere un'esplorazione anche se mancano solo pochi dati, unicamente perché è scaduto il termine previsto, compresa la relativa proroga. Per questo motivo occorre prevedere una regolamentazione flessibile che tenga conto delle specifiche condizioni del luogo e, al medesimo tempo, esiga dall'operatore un approccio mirato nell'attuazione del programma di esplorazione, per evitare che si arrivi a un blocco dei potenziali siti di stoccaggio a causa dei ritardi nell'esplorazione.

5.9

L'esplorazione di un potenziale sito richiede know-how, personale qualificato, tempo e denaro, e il successo non è affatto garantito. Se questo impegno non fosse legato alla possibilità, per le imprese in questione, di avere un diritto di prelazione sull'utilizzo del deposito, verrebbe quindi meno un incentivo decisivo all'esplorazione. La regolamentazione proposta dalla Commissione all'articolo 5, paragrafo 4, andrebbe pertanto integrata con un diritto di primo accesso al deposito, formulato ad esempio nei seguenti termini (e di cui si è già discusso): After this time, the CO2 storage exploration permit shall either be converted into a CO2 storage permit or else shall be relinquished for the total area covered (Scaduto tale termine, la licenza di esplorazione dei siti di stoccaggio di CO2 verrà convertita in un permesso di deposito o, altrimenti, vi si rinuncerà per l'intera area in questione).

5.10

È vero che occorre mettere a punto un piano relativo ad eventuali provvedimenti correttivi, tuttavia, tale piano (articolo 9, paragrafo 6, e articolo 16, paragrafo 1) dovrebbe tener conto della definizione di fuoriuscita (articolo 3, paragrafo 5), che va modificata.

5.11

Gli articoli da 6 a 9 della proposta della Commissione disciplinano la domanda di autorizzazione allo stoccaggio, nonché le condizioni di rilascio e il contenuto di tali autorizzazioni. Risulta evidente che nella medesima formazione geologica possono operare più gestori.

5.11.1

Il Comitato, fondamentalmente, approva il principio di un accesso senza discriminazioni. Possono però sorgere complesse questioni di delimitazione per quanto riguarda la responsabilità in caso di fuoriuscite e il trasferimento della responsabilità all'autorità nazionale.

5.11.2

Per questo motivo dovrebbe valere la regola secondo cui per ogni complesso di stoccaggio può ottenere l'autorizzazione un solo operatore. In questo modo verrebbe garantita una chiara attribuzione delle competenze. L'accesso non discriminatorio al sito di stoccaggio sarebbe comunque garantito dall'articolo 20.

5.12

Ai sensi della proposta della Commissione, le autorità nazionali, prima di concedere definitivamente l'autorizzazione (articoli 10 e 18), sono tenute a informare la Commissione e ad attendere fino a sei mesi un suo eventuale parere in merito. Tale parere dev'essere poi preso in considerazione nel quadro dell'autorizzazione o, se non viene seguito, ne vanno indicati alla Commissione i motivi.

5.12.1

La regolamentazione proposta provocherebbe dei ritardi e comporterebbe maggiori oneri amministrativi, oltre a non essere conforme al principio di sussidiarietà.

5.12.2

Il Comitato propone pertanto di modificare questa disposizione della direttiva in modo tale da garantire, da un lato, una sufficiente uniformità delle procedure nazionali, ma, dall'altro, impedire i ritardi evitabili e rispettare in misura adeguata il principio di sussidiarietà. Una possibilità sarebbe quella di limitare la procedura di autorizzazione all'obbligo delle autorità nazionali di informare la Commissione. In caso di infrazione, la Commissione avrebbe a disposizione lo strumento del ricorso per violazione dei Trattati a norma dell'articolo 226 TCE, che ha dato buona prova di sé. Il testo dell'articolo 10 potrebbe quindi recitare: «L'autorità nazionale competente notifica alla Commissione, ai fini di un controllo, la decisione relativa all'autorizzazione allo stoccaggio.»

5.13

A parere del Comitato, le autorità nazionali hanno bisogno di strumenti efficaci e di controlli regolari per poter garantire costantemente la sicurezza dei siti di stoccaggio. Dubita tuttavia che anche l'ulteriore controllo dell'autorizzazione allo stoccaggio con scadenza quinquennale proposto dalla Commissione fornisca un contributo in tal senso. Esso infatti non apporterebbe alcun miglioramento sul piano della sicurezza, ma comporterebbe ulteriori oneri amministrativi per tutte la parti coinvolte.

5.14

L'articolo 18 della proposta della Commissione prevede requisiti severi per il trasferimento della responsabilità dei siti di stoccaggio ai rispettivi Stati membri. È giusto che sia così e il Comitato se ne rallegra.

5.14.1

L'articolo 18, paragrafo 1, prevede però che tutti gli elementi disponibili indichino che il CO2 stoccato sarà «definitivamente confinato per un periodo di tempo indeterminato». Tuttavia, non è possibile ottenere una tenuta completamente stagna e quindi non la si dovrebbe esigere; a questo proposito il Comitato rimanda a quanto affermato ai punti 5.7.3 e 5.7.4.

5.14.2

Per non creare un ostacolo insormontabile per il trasferimento della responsabilità, il testo andrebbe quindi formulato come segue: «(…) se e quando tutti gli elementi disponibili indicano che non ci si devono attendere fuoriuscite per il prossimo futuro (19)» (la definizione utilizzata è quella di cui al punto 5.7.3).

5.15

Conformemente alla proposta della Commissione, le imprese, per aprire un sito di stoccaggio e avviare un'attività di stoccaggio, devono fornire una garanzia finanziaria (articolo 19). Il Comitato è d'accordo con questa proposta e si compiace che venga lasciata agli Stati membri la facoltà di decidere la forma della garanzia.

5.15.1

Reputa tuttavia inopportuno che la garanzia vada fornita per intero già prima di presentare la domanda di autorizzazione allo stoccaggio. Fondamentalmente, tale garanzia finanziaria, infatti, dovrebbe basarsi piuttosto sull'effettiva necessità di una garanzia, in funzione dello sviluppo del progetto. Altrimenti si riduce l'incentivo finanziario per le imprese a investire in questa nuova tecnica, incentivo che è stato finora comunque insufficiente.

5.15.2

In caso di fuoriuscita con possibili conseguenze per il clima è necessario l'acquisto a posteriori di diritti di emissione. Tuttavia, dopo le ampie valutazioni effettuate per ottenere l'autorizzazione allo stoccaggio, una tale fuoriuscita è improbabile. Per questo motivo, per casi del genere, la prova di un patrimonio adeguato dell'operatore del sito, liquidabile anche in caso di un fallimento, dovrebbe essere una garanzia finanziaria sufficiente. Considerata la scarsa probabilità di un evento del genere, requisiti più severi graverebbero in modo sproporzionato sulla capacità di investimento dell'impresa.

5.16

Gli studi richiesti a norma dell'allegato I per la caratterizzazione e la valutazione dei siti di stoccaggio sono in parte ancora in una fase di ricerca e sviluppo. Anche in questo caso, quindi, per facilitare la gestione, lo «stato dell'arte» dovrebbe fungere da criterio di riferimento per la preparazione della documentazione.

5.17

Nell'allegato I, fase 4, e nella «valutazione dei rischi» dei potenziali siti di stoccaggio andrebbe precisato il concetto di biosfera. La biosfera in cui non è permesso alcun impatto negativo non dovrebbe comprendere solo la superficie terrestre, ma anche la biosfera sotto la superficie fino al livello degli acquiferi potabili (acquiferi d'acqua dolce).

5.18

Inoltre, si dovrebbero chiarire la composizione e il metodo di lavoro del gruppo di esperti responsabile dell'attuale revisione dell'allegato.

Bruxelles, 9 luglio 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  CESE 1201/2008, CESE 1202/2008, CESE 1203/2008, del 9 luglio 2008, non ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale.

(2)  COM(2008) 13 def.

(3)  CCS è l'acronimo di Carbon Capture and Storage (cattura e stoccaggio del carbonio, laddove il termine «carbonio» indica il biossido di carbonio). Nel parere TEN/340 (CESE 562/2008) si propone di utilizzare invece l'acronimo CCTS (Carbon Capture, Transport and Storage, ossia cattura, trasporto e stoccaggio del carbonio). Nel presente parere si continua però a usare l'acronimo CCS.

(4)  Cfr. ad esempio GU C 162 del 25.6.2008, pag. 72.

(5)  Cfr. CESE 1199/2008 del 9 luglio 2008, non ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale.

(6)  Ad esempio nel parere CESE 6437/2005 e, recentemente, nel parere CESE 1246/2007, non ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale.

(7)  L'applicazione della CCS è prevista in un primo tempo soprattutto per la produzione di elettricità a partire dalle fonti di energia fossili. Nell'UE, attualmente, circa il 30 % dell'energia elettrica viene prodotta a partire dall'energia nucleare praticamente senza emissioni di CO2.

(8)  Decisione del Consiglio europeo del marzo 2007.

(9)  La biomassa incide positivamente sul bilancio delle emissioni di CO2 (solo) se l'input energetico per i processi di produzione, trasporto e trasformazione non è maggiore dell'energica ottenuta. Ai sensi dell'articolo 24, lettera a), della direttiva sul sistema ETS, le centrali a biomassa dotate di dispositivi CCS possono beneficiare di un sostegno adeguato.

(10)  Negli Stati membri che hanno deciso di non produrre o non produrre più energia nucleare.

(11)  A questo proposito cfr. anche CESE 1246/2007, non ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale.

(12)  Solo in caso di una tale fuoriuscita ci sarebbero anche dei rischi per gli abitanti delle zone direttamente circostanti. Diversamente dal CO, il CO2 infatti non è tossico: una concentrazione di CO2 nell'aria respirata costituisce un pericolo di vita solo se è superiore all'8 % circa. L'attuale concentrazione media di CO2 nell'aria è di circa 380 parti per milione.

(13)  Diversamente da quanto avviene nel caso dello sfruttamento geotermico.

(14)  Dalle carote di ghiaccio prelevate sono state ricavate informazioni sull'andamento del clima negli ultimi 600 000 anni e si è potuto stabilire che, in passato, le ere calde e i periodi glaciali si sono alternati generalmente con intervalli di 100 000 anni, con un andamento altalenante della temperatura e, in modo correlato, anche della concentrazione di CO2 nell'atmosfera. Dato che ci troviamo già da molto tempo in un'era calda, e quindi nella parte superiore della curva a dente di sega, e che la fine dell'ultima era calda risale ormai a oltre 100 000 anni fa, nel prossimo futuro potrebbe verificarsi un nuovo graduale calo della temperatura del pianeta e della concentrazione di CO2, sempre che le attuali emissioni di gas a effetto serra di origine antropica non abbiano esattamente l'effetto contrario.

(15)  A questo proposito, cfr. le raccomandazioni generali formulate al punto 3.3 del parere (GU C 162 del 25.6.2008, pag. 72).

(16)  Spesso si parla anche di «salute, sicurezza e ambiente» (Health, Security, Environment, HSE).

(17)  A questo proposito cfr. anche l'articolo 13, paragrafo 2, e l'allegato II della proposta di direttiva.

(18)  Altrimenti sarebbe necessario dimostrare di essere in possesso dei certificati di emissione (sistema di scambio dei diritti di emissione).

(19)  Il Comitato fa notare che l'espressione per un periodo di tempo indeterminato è chiaramente fuorviante e contraddittoria.


3.2.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 27/81


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2006/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori in relazione all'articolo 6, paragrafo 2, concernente l'immissione di pile e accumulatori sul mercato

COM(2008) 211 def. — 2008/0081 (COD)

(2009/C 27/18)

Il Consiglio, in data 22 maggio 2008, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 95, paragrafo 1, e 251 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 2006/66/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a pile e accumulatori e ai rifiuti di pile e accumulatori in relazione all'articolo 6, paragrafo 2, concernente l'immissione di pile e accumulatori sul mercato.

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e dato che esso aveva già formato oggetto del suo parere 655/2004 — 2003/0282 (COD), adottato il 28 aprile 2004 (1), il Comitato, in data 9 luglio 2008, nel corso della 446a sessione plenaria, ha deciso, con 138 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni, di esprimere parere favorevole al testo proposto e di rinviare alla posizione a suo tempo sostenuta nei documenti citati.

 

Bruxelles, 9 luglio 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Parere del CESE in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a pile e accumulatori e a pile e accumulatori usati (GU C 117 del 30.4.2004).


3.2.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 27/82


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'industria estrattiva non energetica in Europa

(2009/C 27/19)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 17 gennaio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

L'industria estrattiva non energetica in Europa.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 giugno 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore FORNEA e dal correlatore POP.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 9 luglio 2008, nel corso della 446a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 135 voti favorevoli, 1 voto contrario e 10 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

In Europa il futuro della sicurezza degli approvvigionamenti di materie prime poggia su quattro fondamenti principali: l'approvvigionamento interno, l'approvvigionamento internazionale, la costruzione di capacità e lo sfruttamento efficiente delle risorse.

La politica per l'approvvigionamento interno di materie prime deve prendere in considerazione l'industria, la politica ambientale e la pianificazione territoriale, integrandole in un approccio coerente. La migliore prassi esistente dovrebbe essere adottata anche in nuovi ambiti potenziali. L'accesso alle risorse interne degli Stati membri dovrebbe essere incoraggiato garantendo il necessario equilibrio tra le politiche di tutela dell'ambiente e quelle per lo sviluppo industriale, e offrendo incentivi armonizzati per lo sviluppo e la protezione in caso di estensione dei siti esistenti e di apertura di siti nuovi, laddove questi ultimi sono realizzabili (e desiderabili) sul piano economico e sociale e sostenibili sul piano ambientale.

In tutti i casi in cui prevale l'importazione di materie prime dall'esterno, l'UE e gli Stati membri devono valutare correttamente l'impatto della globalizzazione sull'approvvigionamento internazionale di minerali. Quando si prendono in considerazione la politica degli investimenti e la delocalizzazione industriale, si deve tener conto delle norme ambientali e sociali europee. Deve essere garantito l'accesso alle materie prime per gli utilizzatori europei, e deve essere ridotta la dipendenza strategica dell'UE.

La costruzione di capacità nelle industrie estrattive non energetiche europee è legata a tutta una serie di sfide, per esempio l'abbattimento delle barriere amministrative, l'esigenza di migliorare l'immagine del settore e la necessità di manodopera qualificata, tecniche gestionali e programmi di istruzione e formazione.

Una migliore efficienza dei processi di estrazione delle risorse dipende dai progressi compiuti in altri settori, attinenti sia all'estrazione mineraria che ad altri ambiti, e presuppone cooperazione tra la Commissione europea e gli Stati membri.

1.2

Il Comitato economico e sociale europeo sollecita la Commissione e gli Stati membri a lavorare sulla base delle seguenti raccomandazioni (per le raccomandazioni particolareggiate, cfr. punto 3.2):

legiferare meglio, attraverso il miglioramento del quadro giuridico e del sistema di autorizzazione, lo scambio delle migliori prassi in materia di politica di pianificazione, la riduzione dell'eccesso di adempimenti amministrativi nell'ambito del rilascio dei permessi, l'agevolazione delle attività di prospezione, la promozione dello sviluppo sostenibile nell'espansione dei siti di estrazione e la protezione dei giacimenti minerari (1),

accrescere la compatibilità tra attività estrattiva e tutela dell'ambiente, estendendo le migliori prassi esistenti nelle zone «Natura 2000» e dintorni, appoggiando il principio della prossimità nelle procedure di trasporto per ridurre l'inquinamento e i costi e migliorando l'accesso alle risorse (2),

migliorare le conoscenze minerarie a livello dell'UE creando un centro geologico europeo e un sistema europeo di informazioni sulle risorse minerarie, da costituire sulla base delle capacità degli istituti geologici nazionali.

2.   Panoramica del settore

2.1

I minerali sono essenziali per lo sviluppo e, di conseguenza, per la qualità della vita e per la formazione di comunità sostenibili. I minerali non energetici (3) sono materiali essenziali alla vita quotidiana: una casa contiene fino a 150 tonnellate di minerali (presenti nei seguenti componenti: cemento, argilla, gesso, carbonato di calcio, materiali compositi, vetro, vernice, ceramica, laterizi, oltre a tonnellate di metalli); un'automobile contiene fino a 150 kg di minerali (sotto forma di gomma, plastica, vetro), oltre a più di una tonnellata di metalli; il 50 % della vernice e della carta è costituito da minerali; anche il vetro e la ceramica possono contenere fino al 100 % di minerali (4). I processi di pianificazione estrattiva assicurano una gestione integrata, da un lato, del fabbisogno minerario della società e dell'economia, dall'altro, dell'impatto dell'estrazione e della lavorazione sulla popolazione e sull'ambiente, considerando l'intero ciclo di vita della miniera o della cava dall'inizio dell'attività estrattiva fino alla chiusura e al trattamento successivo. Alla luce della globalizzazione e dell'intensificata concorrenza sui mercati delle materie prime, il valore strategico del settore minerario è in costante aumento. Per quanto riguarda le tecnologie di estrazione, l'Europa è ormai all'avanguardia a livello mondiale, ma tale posizione va consolidata in vista di possibili sviluppi futuri.

2.2

Oggi il 70 % dell'industria manifatturiera europea dipende da sostanze estratte dal sottosuolo, in una fase in cui la UE 27 affronta una ristrutturazione su vasta scala dell'industria estrattiva e il prezzo dei metalli sul mercato mondiale continua a salire. Per contrastare questa tendenza, le politiche industriali europee dovranno tener conto del fatto che, in una situazione in cui operino liberamente le forze di mercato, dovrebbe prevalere la sicurezza dell'offerta e della domanda di materie prime.

2.3

L'organizzazione Industrie estrattive non energetiche europee rappresenta circa 18 300 imprese, che danno lavoro a 295 000 addetti per un fatturato di 45,9 miliardi di euro, e comprende molte PMI (5). Attraverso le sue organizzazioni affiliate, il settore promuove la responsabilità ambientale e lo sviluppo sostenibile ed è impegnato a sostenere la responsabilità sociale delle imprese.

2.4

Anche se molti europei non sono consapevoli dell'importanza dell'industria estrattiva, la futura crescita sostenibile dell'Europa dipenderà strettamente dalle sostanze estratte sul suo territorio, mentre l'elevata domanda di minerali da parte di paesi come la Cina e l'India rischierà seriamente di condizionare la sua sicurezza di approvvigionamento (6). Nel contesto di un approccio globale, queste regioni del mondo tendono a fare la parte del leone nell'accaparrarsi materie prime e risorse finanziarie, con la conseguenza di ristrutturazioni industriali e delocalizzazioni degli investimenti su scala internazionale.

2.5

Per far fronte alla globalizzazione e ai cambiamenti climatici, la politica energetica per l'Europa dell'UE e la politica estrattiva integrata sono elementi strategici fondamentali, cosa che è stata riconosciuta fin dall'inizio del processo di costruzione europea (7). Poiché gli Stati membri si sono impegnati a sostenere il lavoro svolto dall'UE per promuovere le fonti energetiche rinnovabili e l'uso efficiente dell'energia, è importante capire che ciò potrà essere realizzato soltanto a condizione che le industrie europee abbiano un accesso sicuro ai minerali non energetici, principalmente ai metalli e ai minerali di base e a quelli necessari per le tecnologie più avanzate, che sono essenziali per le «economie verdi». Il cambiamento degli schemi di comportamento, l'efficienza energetica e le fonti energetiche rinnovabili hanno avuto per effetto un maggiore numero di tecnologie e di attività di R&S. Come è noto, le attrezzature tecnologiche contengono grandi quantità di metalli, gran parte dei quali sono metalli rari e preziosi. Bisogna rendersi conto che questi ultimi sono pressoché irreperibili in Europa (8).

2.6

Il Comitato accoglie con favore la proposta della Commissione europea di pubblicare nel 2008 una comunicazione sul miglioramento dell'accesso sostenibile alle materie prime. La Commissione dovrebbe proporre interventi fattibili, realistici e proficui che consentano alle industrie di accedere più facilmente alle risorse in modo sostenibile. Ciò è tanto più importante in quanto le industrie devono fronteggiare sfide rilevanti sul piano dell'approvvigionamento:

la ridotta disponibilità di giacimenti accessibili adatti all'estrazione mineraria, per effetto di una pianificazione territoriale inadeguata o a breve termine oppure di un'insufficiente integrazione delle conoscenze geologiche,

oneri e adempimenti amministrativi pesanti per ottenere i permessi di estrazione, per effetto di normative aggiuntive e di lunghi studi preliminari,

la difficoltà di ottenere permessi di estrazione, sia per cave od operazioni estrattive nuove che per l'estensione di quelle esistenti.

2.7

Il Comitato apprezza i contributi forniti dal personale specializzato della Commissione nel documento interno di lavoro Analysis of the competitiveness of the non-energy extractive industry in the EU (Analisi della competitività dell'industria estrattiva non energetica dell'UE) (9) e sottolinea che, malgrado l'allargamento, la capacità dell'UE di approvvigionarsi in minerali metallici tramite estrazione nel suo territorio rimane limitata.

2.7.1

Sarà possibile migliorare la sicurezza dell'approvvigionamento per le industrie europee se si investirà ulteriormente e in misura rilevante nei settori estrattivi dei nuovi Stati membri che presentano un potenziale geologico, sfruttando e migliorando gli attuali meccanismi di aiuto dell'UE.

2.7.2

Il territorio dei paesi dell'Europa orientale, la cui struttura geologica ha sempre permesso lo sviluppo di attività estrattive, contiene ingenti risorse minerarie. In questi nuovi Stati membri, però, il settore non ha ricevuto finanziamenti statali sufficienti, perciò la situazione attuale non è indicativa del vero potenziale dell'industria estrattiva non energetica. Da questo punto di vista, è essenziale investire nelle imprese interessate capitale privato, per fornire loro quelle risorse finanziarie che finora sono venute principalmente dallo Stato.

2.7.3

Per garantire all'industria europea l'approvvigionamento di materie prime e accrescerne la competitività, è essenziale che siano affrontate le sfide delle diverse condizioni di partenza sul piano dell'approvvigionamento sostenibile e dell'accesso alle risorse minerarie. Queste sfide andranno affrontate ad alto livello, mediante un approccio complessivo che abbracci un'ampia gamma di politiche: commerciale, dello sviluppo, energetica, delle infrastrutture e dei trasporti, per le imprese e per i consumatori.

2.7.4

L'industria estrattiva interagisce con tutta una serie di altre industrie, da quella delle forniture di tecnologie e macchinari a quella della ricerca, dai servizi di consulenza a quelli finanziari e ambientali (10). Per questo motivo, in media, un'operazione estrattiva crea, nella regione dove si svolge, un numero di posti di lavoro indiretti che è quattro volte superiore a quello dei posti di lavoro diretti. Il potenziale di crescita regionale è notevole, in particolare in quelle zone dove risulta difficile uno sviluppo economico di altro tipo.

2.7.5

Il Comitato invita la Commissione a esaminare le migliori prassi e le operazioni modello esistenti negli Stati membri per poi svilupparle e promuoverle a livello dell'UE, tenendo conto non soltanto degli aspetti tecnici legati alla tecnologia, ma anche dell'esperienza degli Stati membri in materia di organizzazione di rilevazioni geologiche e di gestione delle miniere e delle cave di minerali (11).

A livello internazionale è stato realizzato un Progetto sulla disponibilità di risorse (12) che fornisce orientamenti e studi di casi sul miglior utilizzo delle risorse minerarie per lo sviluppo economico. Un'iniziativa analoga potrebbe essere realizzata anche nell'UE.

3.   Fondamenti principali e raccomandazioni per il futuro approvvigionamento di materie prime

3.1   Approvvigionamento interno

3.1.1

La scarsa accessibilità delle risorse, i gravosi adempimenti amministrativi e il costo crescente dei procedimenti di richiesta dei permessi hanno per effetto una riduzione degli investimenti nel settore industriale non energetico dell'UE, perfino in zone caratterizzate da domanda elevata. Una politica europea per l'approvvigionamento di materie prime deve prendere in considerazione, oltre alla pianificazione territoriale, anche la politica industriale e ambientale, per garantire un miglior coordinamento tra le competenze nazionali di pianificazione e il livello delle politiche europee.

3.1.2

Alcune iniziative nazionali di pianificazione mineraria per le comunità e gli enti locali possono offrire validi esempi di come si possa gestire in modo integrato il fabbisogno minerario della società e dell'economia e, allo stesso tempo, l'impatto dell'estrazione e della lavorazione sulla popolazione e sull'ambiente.

3.2

Il Comitato sollecita la Commissione a formulare, nella comunicazione prevista, le seguenti raccomandazioni:

3.2.1

Migliorare il quadro giuridico e il sistema di rilascio dei permessi (legiferare meglio)

Migliorando le politiche di pianificazione mineraria mediante lo scambio di buone pratiche nell'ambito del gruppo Approvvigionamento materie prime della Commissione europea (13), soprattutto per quanto riguarda da un lato il coinvolgimento degli istituti geologici e delle loro competenze e conoscenze sui giacimenti, dall'altro le consultazioni con gli operatori già presenti nelle zone interessate dalla pianificazione infrastrutturale e naturalistica,

sviluppando un sistema di sportello unico (un unico punto di contatto per tutte le parti interessate coinvolte nel rilascio dei permessi, che sia in grado di valutare gli aspetti economici, sociali e ambientali) per migliorare i procedimenti di rilascio dei permessi e di pianificazione territoriale. Lo sviluppo del sistema rientra tra le competenze di ogni Stato membro dell'UE,

agevolando e incoraggiando le attività di prospezione in Europa attraverso il miglioramento delle normative nazionali, in particolare:

offrendo incentivi alle imprese del settore per i lavori di prospezione da svolgere,

migliorando le garanzie per le proprietà oggetto di prospezioni, in modo da aumentare la fiducia degli investitori,

riducendo i tempi per l'acquisizione di proprietà a fini di prospezione,

realizzando campagne promozionali per incoraggiare la creazione di società di prospezione e per indurre società di paesi terzi a compiere attività di prospezione nell'UE (14),

facilitando le attività prospettive ed estrattive mediante un riesame della legislazione vigente e il miglioramento della sua attuazione attraverso procedimenti e scadenze più efficienti,

assicurando un'attuazione coerente dal punto di vista della compatibilità delle attività estrattive con gli obiettivi di protezione della natura,

valutando la sostenibilità dell'espansione di un sito già esistente per l'estrazione delle materie prime piuttosto che aprendone un altro in un luogo diverso, per soddisfare la domanda e al tempo stesso rispettare finalità economiche, sociali e ambientali,

semplificando la legislazione vigente e abrogando gli adempimenti amministrativi superflui, per esempio l'obbligo di presentare più relazioni,

proteggendo i giacimenti minerari mediante una priorità più marcata per le risorse minerarie nel quadro delle politiche dell'UE (competitività, sviluppo, ambiente, ricerca, industria, sviluppo regionale), in modo da evitare che le risorse di utilità dimostrata siano inutilmente neutralizzate da un'evoluzione in senso non minerario. Ciò potrebbe essere realizzato come segue:

garantendo che ciascuno Stato membro dell'UE disponga di una politica nazionale degli approvvigionamenti, pubblicata integralmente e regolarmente in inglese,

individuando il potenziale minerario attuale e futuro dell'UE, aggiornando regolarmente le informazioni in materia e rendendole di facile accesso,

individuando i minerali strategici per l'UE e coordinando le politiche nazionali di approvvigionamento degli stessi.

3.2.2

Accrescere la compatibilità tra attività estrattiva e tutela dell'ambiente

Mettendo a punto un sistema informativo basato sul GIS (15) che indichi la posizione, la natura e la consistenza di riserve e risorse minerarie dell'UE a terra e offshore, in modo da agevolare l'integrazione del potenziale estrattivo nella pianificazione territoriale, anche ai fini della selezione e della definizione delle aree protette,

presentando studi di casi di migliori prassi in materia di attuazione dell'articolo 6 della direttiva «Natura 2000»,

migliorando l'efficacia e l'efficienza delle valutazioni di impatto ambientale e sociale mediante la stesura di linee guida migliori e più chiare per l'attuazione da parte degli Stati membri, al fine di:

garantire che vi sia un approccio armonizzato in tutta l'UE,

ridurre i tempi di consegna di queste valutazioni e i tempi di risposta delle autorità, garantendo così agli investitori maggiore prevedibilità e stabilità giuridica,

promuovendo l'uso delle migliori prassi estrattive per arrestare il declino della biodiversità,

appoggiando nell'ambito dell'UE, laddove possibile, il principio della prossimità degli approvvigionamenti minerari, per ridurre le necessità di trasporto e il conseguente inquinamento atmosferico e acustico,

rendendo accessibili le zone isolate includendo l'accesso ai depositi minerari nella pianificazione delle infrastrutture da parte della Commissione europea e degli Stati membri e, laddove opportuno, mettendo a disposizione modi di trasporto più ecologici, per es. ferrovia, navigazione interna e marittima, per spostare grandi quantità di materiali alla rinfusa,

estraendo aggregati dai fondali marini,

attenuando l'effetto «non dietro casa mia» mediante un programma di ricerca sulla riduzione dei problemi conseguenti ai disagi legati all'estrazione e migliorando così l'accettabilità da parte delle comunità locali.

3.2.3

Ampliare la conoscenza dei minerali a livello dell'UE

Permettendo ai policy makers di accedere a dati più completi sulle risorse — produzione, addetti, introiti generati, suolo usato per l'estrazione mineraria e suolo restituito ad altre destinazioni — per fare in modo che le decisioni possano essere prese usando i migliori dati disponibili,

prestando maggiore attenzione, a livello sia europeo che nazionale, alla crescente importanza, sul piano politico e legislativo, dei metalli, dei minerali industriali e degli aggregati europei,

facendo in modo che i dati geologici siano presi in considerazione nella pianificazione territoriale e, in via prioritaria, fornendo informazioni sui giacimenti minerari da inserire nelle banche dati del settore e prendendo in seria considerazione la creazione di un centro geologico europeo basato sugli attuali istituti geologici nazionali e regionali e sulle loro capacità. Tra le sue attribuzioni potrebbero rientrare:

l'identificazione delle risorse strategiche e la loro segnalazione agli Stati membri come priorità chiave nella pianificazione territoriale,

l'integrazione della prospettiva dell'UE sull'accesso alle risorse minerarie nello Schema di sviluppo dello spazio comunitario (un quadro di intervento rimasto inattivo dal 1999) (16) e il collegamento di tale prospettiva alle politiche di pianificazione mineraria degli Stati membri,

l'analisi dell'impatto delle politiche di lotta ai cambiamenti climatici sull'approvvigionamento e sull'autosufficienza in campo minerario,

il miglioramento delle conoscenze sulla distribuzione e sulla qualità delle risorse minerarie dell'UE e sulla loro importanza strategica, e la valutazione del loro potenziale nell'ambito del Sistema globale di osservazione per l'ambiente e la sicurezza (GMES),

lo sviluppo di una banca dati geologica paneuropea basata sul principio Inspire (17) e sulla valutazione della probabilità che esistano giacimenti di metalli e minerali ancora sconosciuti nelle principali zone estrattive,

l'utilizzo di dati e servizi resi disponibili dai sistemi di osservazione della Terra come il GMES, iniziativa comunitaria lanciata al vertice di Goteborg del 2001 assieme alla strategia europea per la sostenibilità. Un esempio è il Land Monitoring Core Service (LMCS) del GMES, che a partire dal 2008 offrirà mappe vettoriali digitali dell'utilizzo e della copertura del suolo di tutta l'Europa (38 paesi, compresa la Turchia), senza soluzione di continuità e con una precisione crescente (unità minima 1 ha, a fronte degli attuali 25 ha di copertura di Corine Land). Un'altra parte dell'LMCS seleziona città e altri «punti caldi» con una definizione ancora maggiore (0,25 ha) e contenuti adeguati alla gestione di aree soggette a uso intensivo e mutevole.

Infine, il miglioramento delle conoscenze sul potenziale estrattivo degli strati geologici più profondi nelle principali zone ricche di metalli in Europa: se è vero che le informazioni spaziali e le conoscenze sui primi 100 metri del sottosuolo sono ottime in gran parte del continente, quelle sugli strati più profondi delle stesse zone rimangono limitate, anche se è probabile che essi contengano i giacimenti di cui l'Europa necessita per soddisfare il suo fabbisogno futuro. Lo sfruttamento di giacimenti in profondità presenta diversi vantaggi: impronta molto ridotta in superficie (e quindi maggiore accettabilità sociale) e impatto ambientale limitato,

è inoltre in corso di sviluppo una componente globale destinata a sostenere le politiche esterne dell'UE. Queste informazioni consentiranno di:

raccogliere dati sulle attività estrattive che siano sufficienti, rappresentativi dal punto di vista spaziale e prevedibili,

individuare e quantificare aree di attività estrattiva a cielo aperto e/o infrastrutture estrattive,

individuare zone di potenziale conflitto (per es. siti naturali protetti) o aree di compensazione,

monitorare l'impatto sulle acque per uso domestico e gli effetti dell'inquinamento,

monitorare il processo di rinaturalizzazione dopo la chiusura dei siti,

adottare misure urgenti in caso di incidente.

4.   Approvvigionamento internazionale

4.1

Né gli Stati membri né l'UE hanno valutato pienamente l'impatto della globalizzazione sulla domanda e sull'offerta di risorse minerarie (18). Il Comitato si rende conto che vi sono molte ragioni per importare materie prime dall'esterno dell'UE. Tuttavia, il fatto che ciò che viene importato non sempre è stato prodotto in conformità alle norme ambientali e sociali europee potrebbe tradursi non solo in una perdita di competitività dell'economia dell'UE, ma anche in un trasferimento dei problemi ambientali e sociali verso altre regioni.

4.2

Il Comitato sollecita la Commissione a formulare, nella comunicazione prevista, le seguenti raccomandazioni:

identificare le risorse strategiche e segnalarle agli Stati membri come priorità chiave nella pianificazione territoriale,

creare condizioni adatte a stimolare la competitività dell'industria estrattiva europea sfruttando appieno i risultati della ricerca e dell'innovazione e promuovendo gli investimenti,

identificare e documentare i flussi di importazione e di esportazione delle materie prime e valutarne l'affidabilità politica ed economica sul lungo periodo,

attraverso fondi europei, creare nuovi programmi a favore di una maggiore sostenibilità dell'estrazione, del trasporto e dell'impiego di minerali nelle regioni dotate di un buon potenziale,

(per la Commissione europea, l'OCSE e il forum Materie prime sostenibili dell'UNEP — Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente) fare in modo che i materiali importati siano prodotti in maniera sostenibile,

incoraggiare gli investimenti dell'UE nei paesi terzi, concentrandosi in modo particolare sull'America Latina, sull'Africa, sulla Russia e sui paesi dell'Asia centrale (19),

promuovere l'applicazione delle norme europee nei paesi di origine per mezzo di programmi di cooperazione,

fare del miglioramento dell'accessibilità e della stabilità a lungo termine dei flussi di approvvigionamento una priorità di lavoro nella definizione delle politiche esterne dell'UE e indurre il personale dell'UE ad affrontare questi temi nelle riunioni e nei vertici bilaterali di alto livello.

5.   Costruzione di capacità

5.1

Le industrie estrattive non energetiche dell'Europa devono affrontare una serie di sfide sul piano della costruzione di capacità, cosa che comporta sia lo sviluppo delle capacità esistenti che la creazione di nuove. Una componente importante è il miglioramento dell'immagine del settore. Non si tratta, però, dell'unico provvedimento da prendere per attrarre personale nuovo e giovane, per conservare la forza lavoro europea attualmente nel settore e per accrescere la sua capacità di far fronte alla modernizzazione dell'industria estrattiva.

5.2

Il Comitato sollecita la Commissione a formulare, nella comunicazione prevista, le seguenti raccomandazioni:

sviluppare un programma di miglioramento delle competenze, con il sostegno dell'UE o delle autorità nazionali, a beneficio dell'attuale forza lavoro specializzata che necessita di ulteriore istruzione e formazione, e un'efficace politica di apprendimento permanente,

dare il via a programmi speciali dell'UE che consentano di sfruttare appieno, a livello europeo, il potenziale dell'attuale manodopera qualificata sotto il profilo delle possibili offerte di lavoro e degli investimenti nelle potenziali aree estrattive del mondo; si tratta di uno dei principali fattori (tecnologia, know-how, intelligence mineraria) che rendono accessibili i principali giacimenti minerari del mondo,

investire nelle università e nei programmi scolastici per aumentare le capacità complessive del territorio interessato, mediante un riesame del sostegno attualmente concesso a livello nazionale all'attività estrattiva e di trasformazione nonché ai dipartimenti che si occupano di geologia, per attirare un numero crescente di studenti e promuovere l'attività di ricerca in queste discipline,

invitare i decisori politici a incoraggiare lo sviluppo di cluster e parchi tecnologici nelle aree minerarie, visto che l'industria estrattiva interagisce notevolmente con altri settori dell'industria e dei servizi e che un posto di lavoro nel settore estrattivo ne crea altri quattro nei settori correlati,

realizzare campagne di sensibilizzazione sul ruolo dei minerali e sulla sostenibilità delle industrie attraverso corsi di istruzione, seminari, dibattiti, convegni (per es. un approccio interdisciplinare per promuovere nelle scuole e nelle università concetti come l'ecomining, la geologia economica, l'uso responsabile delle risorse minerarie ecc.),

promuovere lo studio e la ricerca sui temi relativi alla salute e alla sicurezza, elementi indispensabili alla sostenibilità del settore delle risorse minerarie,

mettere in particolare rilievo la prevenzione dei rischi occupazionali e le misure sanitarie preventive.

6.   Sfruttamento efficiente delle risorse

6.1

Il coinvolgimento degli altri settori attivi nei processi di estrazione mineraria è essenziale per conseguire uno sfruttamento efficiente delle risorse. Il Comitato sottolinea che il fatto che in Europa vi sia un'industria estrattiva vivace è anche una molla per lo sviluppo di fornitori europei di tecnologia e servizi di livello mondiale.

6.2

Il Comitato sollecita la Commissione a formulare, nella comunicazione prevista, le seguenti raccomandazioni:

(per la Commissione stessa) dare pieno appoggio alla Piattaforma tecnologica europea sulle risorse minerarie sostenibili (20), in quanto solo di recente è stata ufficialmente riconosciuta,

promuovere la partecipazione dell'industria a programmi di R&S nazionali e comunitari per un'estrazione sempre più sostenibile, gestiti in collaborazione con la Commissione, e a un programma per l'impiego di materie prime mediante i progressi tecnologici,

coinvolgere in tale programma i produttori di macchinari, in modo da ridurre ulteriormente:

il livello di rumore, aumentando al tempo stesso la sicurezza,

la quantità di polvere, in collaborazione con i produttori di filtri,

i livelli di CO2 e di consumo energetico, anche in collaborazione con le imprese del settore energetico,

le vibrazioni sul posto di lavoro,

il consumo di acqua da parte dell'industria nel suo complesso,

migliorare la gestione e l'accettabilità operativa attraverso:

il riciclaggio,

una lavorazione dei minerali tale da migliorare l'efficienza (cioè fare di più con meno risorse),

l'uso di minerali per salvare risorse preziose e rare,

l'uso di materie prime alternative, comprese le materie prime secondarie e, laddove opportuno, i materiali di scarto,

la promozione del contributo delle industrie al ciclo di vita,

favorire sinergie ambientali, per es. produrre in zona per evitare problemi di trasporto,

per mezzo delle direzioni generali della Commissione, promuovere una valutazione dell'attuale struttura dei costi di trasporto (ferrovia, navigazione interna e marittima) e della relativa competitività nel contesto internazionale, così come avviene nel settore dell'energia,

promuovere studi sulla biodiversità nell'ambiente estrattivo e minerario,

incoraggiare l'impiego di materiali secondari, in linea con lo sviluppo sostenibile.

Bruxelles, 9 luglio 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Per le raccomandazioni particolareggiate cfr. punto 3.2.1.

(2)  Per le raccomandazioni particolareggiate cfr. punto 3.2.2.

(3)  Secondo il documento SEC(2007) 771, i minerali non energetici si possono classificare come segue: minerali metallici (rame, ferro, argento, ecc.); minerali industriali (sale, feldspato, caolino ecc.) e minerali da costruzione. Secondo il documento IP/07/767, nel caso dei minerali metallici, la capacità europea di approvvigionarsi attraverso l'estrazione interna è molto limitata. Per fare un esempio, nel 2004 sono stati importate in Europa 177 milioni di tonnellate di minerali metallici, per un valore totale di 10,4 miliardi di euro, a fronte di una produzione UE di circa 30 milioni di tonnellate.

(4)  Fonte: Euromines.

(5)  Fonte: Eurostat.

(6)  China's commodity hunger. Implications for Africa and Latin America (La Cina ha fame di prodotti di base. Conseguenze per l'Africa e l'America Latina), studio della Deutsche Bank.

(7)  Cfr. Trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell'acciaio, firmato nel 51.

(8)  Un approccio di questo tipo ha caratterizzato la Quarta relazione del gruppo di alto livello Competitività, energia e ambiente, pubblicata il 27 novembre 2007, e il vertice G8 di Heiligendamm del 6-8 giugno 2007. Il gruppo di alto livello Competitività, energia e ambiente è una piattaforma che intende stimolare l'impegno politico necessario a lanciare una strategia coerente che renda più agevole l'accesso alle materie prime.

(9)  SEC(2007) 771.

(10)  Per esempio, nella moderna attività estrattiva i servizi finanziari sono molto importanti per l'evoluzione di una miniera. I prodotti finanziari variano a seconda della fase operativa: prospezione, fattibilità, sviluppo della miniera, operatività e chiusura.

(11)  Cfr. gli studi di casi disponibili in Finlandia, Svezia, Regno Unito e altri paesi europei.

(12)  Iniziativa lanciata nel 2004 dall'International Council on Mining and Metals (Consiglio internazionale sull'estrazione di minerali e metalli) al fine di individuare buone pratiche per gli investimenti nell'attività di estrazione di minerali e metalli a livello nazionale, regionale e aziendale nei paesi in via di sviluppo.

(13)  Il gruppo Approvvigionamento materie prime è un gruppo di parti interessate comprendente l'industria, le ONG ambientali, i sindacati, gli Stati membri e la Commissione.

(14)  Secondo la diciottesima edizione annuale delle Corporate Exploration Strategies del Metals Economic Group, nel 2007 il rincaro delle materie prime ha portato a un aumento del totale mondiale di prospezioni non ferrose, che ha raggiunto 10,5 miliardi di USD. I primi dieci paesi, classificati in base agli investimenti nelle prospezioni minerarie, sono: Canada (19 %), Australia (12 %), Stati Uniti (7 %), Russia (6 %), Messico (6 %), Perù (5 %), Cile (4 %), Sudafrica (4 %), Cina (3 %) e Brasile (3 %).

(15)  Geographic Information System: sistema informativo geografico.

(16)  L'obiettivo delle politiche per lo Sviluppo dello spazio comunitario, definito dal Consiglio informale dei ministri responsabili della pianificazione territoriale tenutosi a Potsdam il 10 e 11 maggio 1999, è di lavorare a uno sviluppo equilibrato e sostenibile del territorio dell'Unione europea, al fine di conseguire la coesione economica e sociale, permettere la conservazione e la gestione delle risorse naturali e del patrimonio culturale e rendere più equilibrata la competitività dell'UE.

(17)  Direttiva 2007/2/CE del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un'Infrastruttura per l'informazione territoriale nella Comunità europea.

(18)  A livello mondiale, questo aspetto è stato valutato nella seconda parte della relazione 2007 sugli investimenti mondiali, presentata dalla Conferenza delle Nazioni Unite sul commercio e lo sviluppo.

(19)  Secondo Raw Materials Data, Stoccolma, gennaio 2008, alla fine del 2007 il totale degli investimenti nell'industria estrattiva mondiale era di 308 miliardi di USD. Ciò corrisponde a un aumento del 50 % rispetto al valore del 2006, che a sua volta è superiore del 20 % a quello del 2005.

(20)  ETP SMR, indirizzo Internet: http://www.etpsmr.org/


3.2.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 27/88


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Integrazione delle minoranze — I Rom

(2009/C 27/20)

La Commissione europea, in data 27 ottobre 2006, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema:

Integrazione delle minoranze — I Rom.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 giugno 2008, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SIGMUND e dalla correlatrice SHARMA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 9 luglio 2008, nel corso della 446a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 130 voti favorevoli, 4 voti contrari e 10 astensioni.

Raccomandazioni

La necessaria trasformazione radicale delle relazioni tra le minoranze (1), in particolare i Rom, e la popolazione maggioritaria, la loro integrazione e di conseguenza l'evoluzione delle loro condizioni socioeconomiche rappresentano un processo di lunga durata che richiede un duplice approccio:

a)

a breve termine, affrontare i problemi per cui sono necessarie iniziative urgenti, ad esempio, adottare negli Stati membri atti normativi che rendano applicabile ed efficace la legislazione europea contro la discriminazione e per la difesa dei diritti dei cittadini;

b)

avviare un processo di lunga durata che durerà decenni, in particolare a livello degli Stati membri e/o a livello regionale e locale, riguardante per esempio il miglioramento della scolarizzazione dei bambini e dei giovani Rom (maschi e femmine) o la promozione della lingua e della cultura Rom, ecc.

Le soluzioni vanno pertanto individuate non solo al livello dell'UE, ma soprattutto al livello dei singoli Stati membri e su scala regionale e locale, il che presuppone un rafforzamento della cooperazione e dei partenariati.

L'integrazione delle minoranze, in particolare dei Rom, richiede:

1.

una base giuridica per l'azione conforme alla normativa vigente e che si fondi sugli ambiti pertinenti del metodo aperto di coordinamento (istruzione, occupazione, protezione sociale e inclusione sociale);

2.

una strategia quadro a carattere politico della Commissione, coerente e a lungo termine;

3.

una cooperazione strutturata, trasparente e duratura tra tutti gli attori della società civile organizzata nonché il sostegno allo sviluppo delle capacità delle organizzazioni non governative;

4.

il coinvolgimento attivo e responsabile in questo processo dei rappresentanti dei Rom;

5.

una piattaforma istituzionale responsabile per la realizzazione concreta di interventi specifici;

6.

programmi di azione positiva nel campo dell'istruzione, della formazione e dell'occupazione, anche per quanto riguarda il lavoro autonomo.

Inoltre, il Comitato propone la creazione di una «cattedra Jean Monnet» per l'insegnamento della lingua (romani o romanes) e della cultura Rom.

Si tratta di obiettivi che non possono essere raggiunti con un approccio dall'alto verso il basso. Solo convincendo le comunità Rom, in particolare le figure maschili che hanno funzioni di guida della comunità, si potranno ottenere risultati positivi. Per fare ciò occorre investire nella formazione dei Rom e a tal fine si potrebbero utilizzare i fondi strutturali europei.

1.   Introduzione

1.1

Con la sua lettera del 27 ottobre 2006 la vicepresidente della Commissione Margot WALLSTRÖM, in occasione del 2007Anno europeo delle pari opportunità per tutti, ha chiesto al Comitato di elaborare un parere esplorativo per esaminare come «promuovere uno sforzo concertato inteso a massimizzare l'impatto e l'efficienza di tutti gli strumenti a disposizione per combattere la discriminazione e promuovere l'integrazione delle minoranze, in particolare dei Rom.»

1.2

Avendo già trattato in alcuni pareri (2) il tema della discriminazione delle minoranze in ambiti diversi, il Comitato rimanda innanzitutto alle osservazioni in essi formulate e alla loro rilevanza anche per i Rom e si concentra nel presente parere sulla particolare situazione di questa minoranza in tutte le sfere di vita. Il Comitato auspica che le sue proposte contribuiscano alla considerazione sistematica della questione ed evidenzia l'importanza di una strategia complessiva coerente per coinvolgere i Rom nel processo d'integrazione europea.

2.   I Rom in Europa

2.1

La Storia dei Rom: poiché la storia dell'origine di una minoranza si riflette sulla sua identità sociale e politica e sul potenziale di conflitto collegato, la conoscenza della propria storia riveste un'importanza fondamentale sia per le minoranze che per la popolazione maggioritaria.

I Rom vivono in Europa da oltre sette secoli. La presenza di diverse comunità Rom in quasi tutti i paesi europei a partire dalla fine del XV secolo è tanto ben documentata, quanto le misure di discriminazione, esclusione e persecuzione che da quel momento cominciano a essere prese nei loro confronti. In alcuni paesi i Rom sono stati vittime di pratiche schiavistiche. Nel XX secolo hanno subito una forma di persecuzione di stato particolarmente feroce: sotto il regime nazionalsocialista un numero di Rom, che viene generalmente stimato superiore alle 500 000 persone, è stato vittima di persecuzione razziale e di genocidio.

In sintesi si può affermare che la storia dei Rom in Europa sia caratterizzata da persecuzioni secolari e discriminazioni costanti, che comprensibilmente hanno determinato anche la traumatizzazione di molte persone appartenenti a tale minoranza.

Si deve pertanto compiere ogni sforzo per aiutare i Rom ad uscire dal loro ruolo di vittime, per trasformarsi da «oggetti» passivi — di cui in misura maggiore o minore si diffida — a quello di «soggetti» attivi, pronti a e capaci di svolgere un ruolo attivo e responsabile nella società, in particolare nelle politiche che li riguardano.

2.2

La demografia dei Rom: data la mancanza di statistiche affidabili, non disponiamo di dati demografici significativi sui Rom. Così, per esempio, le stime sul numero dei Rom che vivono in Europa oscillano tra i 10 e i 12 milioni di persone (di cui 7-9 milioni nella UE). Si valuta inoltre che circa il 60 % di queste persone vivano relegate ai margini della società in situazione di povertà estrema (3). Anche se le forme e le dimensioni assunte da questo fenomeno di emarginazione sono simili in tutti gli Stati membri, si registrano tuttavia alcune differenze legate a fattori sia storici che socio-politici.

Lo sviluppo demografico dei Rom è in controtendenza rispetto a quello della popolazione maggioritaria: nonostante l'alta mortalità infantile e la bassa aspettativa di vita, l'incremento a lungo termine della percentuale dei Rom sul totale della popolazione europea rappresenta una grande sfida per tutti gli aspetti della politica sociale e della politica dell'istruzione. Se non si riesce ad innalzare nettamente il livello dell'istruzione scolastica e delle competenze professionali dei Rom, gli Stati membri registreranno un numero crescente di persone con una formazione carente e non qualificate che finiranno col frenarne lo sviluppo economico e con l'appesantire i sistemi di welfare. Servono pertanto politiche e strategie per l'istruzione e l'occupazione che tengano conto delle tradizioni e delle circostanze socio-economiche di vita dei Rom. Solo se vi sono opportunità di istruzione e corrispondenti possibilità di formazione e se queste sono accettate, i Rom saranno in grado di apportare alla società cui appartengono quel contributo attivo che legittimamente ci si attende da loro.

2.2.1

La lingua dei Rom: il romani (o romanes) è una lingua indoeuropea di cui esistono numerose varianti/dialetti parlati nelle diverse comunità Rom dell'Europa. Tuttavia, un ampio lessico comune è compreso dalla maggioranza dei Rom in tutta Europa. Il romani, inoltre, è addirittura la lingua madre di numerose comunità. Fanno eccezione quei paesi — come ad esempio la Spagna — in cui questo idioma è andato parzialmente perso perché ne è stato vietato l'uso. Il riconoscimento del ruolo del romani, la sua standardizzazione e il suo insegnamento, nell'interesse della coesione sociale, rivestono una grande importanza sia all'interno che all'esterno delle comunità Rom. Oltre che a Parigi (Institut des langues et des civilisations orientales) esiste un lettorato in questa lingua anche presso la facoltà di lingue straniere dell'Università di Bucarest. Inoltre si svolgono studi su un dialetto locale Rom presso l'Università Carolina di Praga ed esiste un'iniziativa dell'Università Loránd Eötvös di Budapest relativa a un corso di lingua nel quadro della Carta europea delle lingue regionali e minoritarie. Lavori di ricerca si stanno svolgendo anche all'Università di Manchester.

Una lingua comune forgia un'identità comune: la promozione della loro lingua riveste quindi un'importanza fondamentale per il riconoscimento sociale e l'identità culturale dei Rom.

Per questo motivo il Comitato propone la creazione di una «cattedra Jean Monnet» per l'insegnamento del romani e della cultura Rom.

2.3   I Rom, parte integrante della cultura europea

Nel corso dei secoli i Rom hanno apportato il loro contributo alla diversità culturale europea, come dimostrano numerosi esempi nel campo musicale e delle arti figurative. Il 2008 — Anno del dialogo interculturale è una buona occasione per mettere in luce e intensificare questo legame reciproco.

3.   I Rom e le loro due sfere di vita parallele

3.1

I Rom: la sfera della discriminazione: al giorno d'oggi, la discriminazione sociale e istituzionale, di cui fa parte anche il pregiudizio contro gli zingari, è un fenomeno quasi quotidiano che trova spesso riscontro nei media. In base alla legislazione europea ciò è inaccettabile: i Rom sono cittadini dell'Europa allargata e godono dei diritti sanciti dal Trattato ratificato e contemplati in particolare nell'articolo 13. Il mancato rispetto di tali diritti configura una fattispecie di discriminazione (addirittura istituzionale).

3.1.1

Prima e dopo la nascita: la discriminazione inerente ai sistemi sociali fa sì che molte ragazze Rom, povere, malnutrite e senza istruzione crescano per diventare madri, povere e malnutrite, che danno alla luce neonati sottopeso. Nelle comunità minoritarie le cure prenatali sono in genere assenti, con conseguenti deficit nutrizionali nella madre e nel bambino. L'assistenza alle partorienti è limitata, dato che i servizi ostetrici o altri servizi di assistenza sanitaria sono disponibili in misura ridotta a domicilio, mentre l'accesso agli ospedali dipende dalla disponibilità di mezzi di trasporto e dalle capacità finanziarie. Di conseguenza, i bambini non sono registrati all'anagrafe e non vengono vaccinanti nei primi anni di vita. Includere semplicemente i Rom nei sistemi sanitari esistenti non basterà a ridurre queste tendenze sanitarie negative. Sono invece necessarie misure d'urgenza rispettose della cultura Rom, quali ad esempio campagne di sensibilizzazione alla salute e di pianificazione familiare, campagne di rivaccinazione e di esami per la prevenzione della tubercolosi massicce per intere comunità. Tutto ciò si potrebbe promuovere tramite il coinvolgimento attivo delle donne Rom (adeguatamente formate) e di mediatori sanitari Rom, ricorrendo a unità sanitarie mobili e a informazioni accessibili e comprensibili alle comunità Rom. Gli Stati membri dovrebbero fare in modo che ogni neonato Rom sia iscritto all'anagrafe e abbia un certificato di nascita.

3.1.2

Lo sviluppo nella prima infanzia: è determinante per la riuscita scolastica e per l'integrazione, poiché i primi anni di vita sono decisivi per il futuro. Sotto questo aspetto i programmi mamma-bambino e i gruppi di gioco sono importanti per le madri quanto i programmi di formazione per genitori, ma offrono anche un approccio integrato sotto tutti i punti di vista e tengono conto dei bisogni della famiglia. Il programma Sure Start avviato nel Regno Unito, e adottato in molti Stati membri, rappresenta un buon esempio di inclusione delle madri e dei bambini e fornisce anche servizi di custodia diurna. Alla luce degli obiettivi di Barcellona, questi servizi sono insufficienti in quasi tutti i paesi europei e spesso i bambini Rom non vengono accettati.

3.1.3

Età scolare (dal 6o al 14o anno di età): la scarsa frequenza scolastica dei Rom. La mancata registrazione e la riluttanza dei genitori a mandare a scuola i figli (soprattutto le femmine), la segregazione e un insegnamento non corrispondente agli standard sono fattori supplementari documentati da numerose relazioni (4). Strumenti atti a promuovere la frequenza scolastica e a superare la segregazione sono indispensabili se si vuole spezzare il circolo vizioso della mancata istruzione dei Rom che si perpetua di generazione in generazione. CCT (Conditional Cash Transfer) è un sistema introdotto in alcuni paesi per incoraggiare la frequenza scolastica; esso dovrebbe prevedere anche che sia provata la registrazione dei bambini ed esibito il certificato di nascita. In genere, è possibile attendersi che i bambini frequentino la scuola se essi sono integrati e se hanno accesso a tutti i servizi e metodi educativi per poter soddisfare i requisiti richiesti (lingua, scadenze, ecc.). Nella scuola primaria la refezione scolastica (in funzione del reddito) e i libri di testo dovrebbero tornare a essere gratuiti per tutti. Se è vero che l'istruzione costituisce una priorità a lungo termine, i governi dovrebbero riesaminare questi aspetti.

La segregazione nel campo dell'istruzione è in primo luogo la conseguenza della segregazione geografica tra le aree in cui vivono i Rom e quelle abitate dalla popolazione maggioritaria. Si è inoltre rilevato che, se una classe registra una percentuale troppo alta di alunni Rom, spesso i genitori degli altri bambini ritirano i figli dalla scuola, il che porta all'istituzione di scuole o di classi segregate per i bambini Rom. Per più motivi queste scuole non hanno un livello adeguato e ciò ha per conseguenza che bambini Rom del tutto capaci vengono relegati in scuole per alunni con bisogni speciali ed esclusi così anche dalla possibilità di un'istruzione superiore.

L'iscrizione di bambini Rom a istituti specializzati per portatori di handicap psichico rappresenta inoltre un problema a sé stante. Ciò accade non di rado in seguito a test di ingresso alla scuola dell'obbligo che sono discriminatori, ma talvolta è anche la conseguenza di falsi incentivi (trasporto o refezione scolastica gratuiti). La pratica dell'iscrizione ingiustificata di bambini Rom alle scuole per portatori di handicap rappresenta un'evidente violazione dei diritti fondamentali che va impedita con ogni mezzo giuridico e amministrativo disponibile.

In questo contesto va inoltre ricordato che la povertà è una delle cause della non scolarizzazione, dato che i genitori non possono o non vogliono sostenere le spese legate alla frequenza scolastica oppure impiegano i loro figli in attività lavorative, sia facendoli contribuire attivamente alle entrate della famiglia sia affidandogli il compito di prendersi cura dei fratelli o delle sorelle minori. Quest'ultimo problema riguarda soprattutto le bambine.

3.1.4   Età adulta

3.1.4.1

La situazione abitativa: è caratterizzata da condizioni di vita degradate e da una segregazione persistente. Gli abitanti di alloggi di fortuna con un'attrezzatura di base carente e/o in cattivo stato di conservazione, nei quali le forniture di elettricità, gas e acqua non sono sempre assicurate e i servizi igienici sono insufficienti e in luoghi sporchi, non sono titolari di diritti di proprietà e non possono indicare un luogo di residenza stabile, se vogliono far valere il loro diritto alle prestazioni sociali, proporsi per un posto di lavoro o accedere a servizi nei campi dell'istruzione, dell'occupazione e della sanità. Molti di questi problemi sono il frutto della discriminazione sociale e del pregiudizio contro gli zingari. Vale la pena di ricordare che il nomadismo è stato più la conseguenza che non la causa dell'emarginazione dei Rom. Inoltre, benché la stragrande maggioranza dei Rom sia ormai stanziale, il loro nomadismo, inteso come stile di vita scelto liberamente, continua nondimeno ad essere spesso menzionato per spiegarne l'emarginazione.

3.1.4.2

Istruzione: è uno degli investimenti più importanti per il futuro; l'alta percentuale di analfabetismo e un livello d'istruzione generalmente basso non promettono nulla di buono per il futuro dei Rom. Gli Stati membri devono garantire che i loro sistemi d'istruzione non discriminino i Rom e, inoltre, promuovere programmi di alfabetizzazione per adulti (lettura, scrittura e abilità di calcolo) e programmi di formazione permanente.

È oltremodo difficile per i Rom accedere al secondo ciclo d'istruzione o a una buona formazione professionale. Oltre agli sforzi per integrarli nei sistemi di istruzione e di formazione regolari, gli Stati membri dovrebbero ricorrere anche a modelli per il riconoscimento di competenze acquisite in modo informale e mostrare un'apertura ben maggiore nel riconoscere le qualifiche conseguite in altri paesi.

La politica di insegnamento delle lingue introdotta dalla Commissione per favorire l'integrazione che, tra l'altro, punta a promuovere l'apprendimento delle lingue minoritarie, dovrebbe essere attuata anche a favore dei Rom.

3.1.4.3

L'integrazione economica: richiede agli appartenenti alle minoranze di superare tutta una serie di ostacoli che spesso si rafforzano a vicenda (5). Queste persone sono svantaggiate anche a causa di titoli di studio o professionali mancanti o insufficienti o per il mancato o carente riconoscimento delle loro qualifiche. Il pregiudizio contro gli zingari rappresenta un ulteriore ostacolo. Decine di casi documentati dimostrano che la disoccupazione dei Rom è spesso causata dalla discriminazione. Inoltre, gli appartenenti alle comunità minoritarie non hanno praticamente accesso alle misure di formazione permanente.

I Rom hanno in genere una spiccata mentalità imprenditoriale: si devono pertanto trovare i mezzi per farli uscire dal sistema dell'economia sommersa, rendendoli capaci di partecipare alle attività economiche regolari, ad esempio attraverso il microcredito, l'aiuto all'avvio di attività imprenditoriali e altri meccanismi di sostegno, in modo da affrontare le sfide e superare gli ostacoli.

Sotto il profilo finanziario molte famiglie Rom dipendono in larga misura dalle prestazioni sociali o da altre prestazioni statali (ad esempio pensioni o assegni familiari per figli a carico), mentre la loro partecipazione all'economia formale è relativamente limitata. In tal modo la partecipazione dei Rom ai sistemi di protezione sociale diventa asimmetrica (vale a dire che le loro comunità ricevono più di quanto non apportino). Questa asimmetria è una fonte importante di tensioni sociali, di pregiudizi e in ultima analisi di esclusione.

Si potrebbero ad esempio mettere a disposizione risorse complementari per offrire incentivi allo svolgimento di un'attività lavorativa regolare conformemente al principio secondo cui può beneficiare di sostegno solo chi compie degli sforzi. In caso contrario, continuerà a esistere una fonte importante di esclusione razziale di tipo sistemico. In collaborazione con enti pubblici e privati si potrebbero attuare programmi per l'inserimento dei Rom nel mondo del lavoro, secondo il modello welfare to work (welfare come premessa di un'attività lavorativa).

La discriminazione dei Rom sul luogo di lavoro e nel corso del processo di assunzione è ben documentata; è pertanto necessario attuare provvedimenti legislativi contro questa pratica. Nel contempo, occorre favorire l'accesso dei Rom non qualificati o scarsamente qualificati alla formazione professionale, in modo da indurre un cambiamento culturale totale.

3.1.4.4

Salute: il basso tenore di vita (reddito scarso) e le carenti condizioni di vita (sporcizia, servizi igienici insufficienti, acqua non pulita) comportano forti rischi per la salute. L'accesso ai servizi medico-sanitari nelle comunità Rom è limitato e ciò è dovuto in particolare al fatto che la maggior parte dei Rom non vengono registrati all'anagrafe appena nati e che quindi non figurano nel sistema sanitario. Se sono ammessi ai servizi sanitari pubblici, spesso vengono segregati in reparti separati. Questo è un atto discriminatorio: l'accesso ai servizi di qualità è un diritto fondamentale di tutti i cittadini europei.

3.1.4.5

Le donne Rom: occupano in genere un posto molto basso nella gerarchia familiare, ricevono un'istruzione insufficiente o non la ricevono affatto e, di conseguenza, hanno scarse possibilità occupazionali; spesso si sposano molto giovani e hanno numerose gravidanze. Anche la violenza domestica, spesso non denunciata, è un problema da non sottovalutare, a ciò si aggiungono i fenomeni particolarmente allarmanti della prostituzione e della tratta di esseri umani.

Va tuttavia precisato che, anche se ciò non è sempre evidente al mondo esterno, le donne Rom sono anche all'origine dei cambiamenti all'interno delle comunità Rom, soprattutto per quanto riguarda lo sviluppo delle capacità e la trasformazione culturale, ad esempio insistendo sull'importanza che l'istruzione riveste per i figli e soprattutto per le femmine. L'integrazione e l'assunzione di responsabilità delle madri nelle associazioni dei genitori degli alunni sono fattori estremamente positivi per la scolarizzazione dei bambini.

3.1.4.6

La discriminazione sociale e il pregiudizio contro gli zingari: sotto forma di luoghi comuni e di pregiudizi nei confronti delle minoranze, in particolare dei Rom, sono fortemente radicati e sono indice di un'ignoranza che si perpetua attraverso le generazioni, ma anche di diversità culturali. L'opinione stereotipata che queste comunità siano socialmente inferiori è ampiamente diffusa. Ciò rafforza ulteriormente l'isolamento, la povertà, la violenza e, in ultima istanza, l'esclusione.

3.2   I Rom: la sfera dell'integrazione

3.2.1

L'integrazione non è una strada a senso unico, ma un processo bidirezionale che richiede uno sforzo sia da parte della minoranza che della maggioranza della popolazione. Temendo che, per integrarsi, dovranno rinunciare ai loro principi, alle loro tradizioni e alla loro identità, molti Rom nutrono grosse riserve nei confronti delle misure di integrazione. Allo stesso modo, a causa di una discriminazione che perdura da generazioni, è difficile per i non Rom mettere da parte i pregiudizi e accettare la cultura Rom.

3.2.2

D'altro canto, quel 40 % di Rom che vive in condizioni non di povertà ma di benessere, anche se talvolta molto relativo (e che inoltre non appartiene alle comunità Rom più riconoscibili), testimonia della capacità fondamentale dei Rom di integrarsi nella società in cui vivono senza per questo rinunciare alla propria identità culturale.

3.2.3

Le organizzazioni Rom hanno prodotto una sostanziosa documentazione per accrescere la visibilità, la partecipazione attiva alla società e la sensibilizzazione, come un percorso di progresso (6). Ma si potrebbe fare di più, ad esempio investendo in quelle comunità che sono disposte ad accettare gli impegni, il coinvolgimento e la responsabilità. Sistemi di microcredito, impiegati tradizionalmente per promuovere l'imprenditorialità, potrebbero servire per finanziare infrastrutture o sistemi di formazione. Piccole somme potrebbero venire concesse come sostegno finanziario in cambio di impegni rispettati, come ad esempio per la frequenza scolastica dei figli o per visite mediche regolari (7).

3.2.4

La partecipazione a pieno titolo delle minoranze alla società presuppone azioni su misura, efficaci e di lunga durata. Queste azioni devono essere mirate, ma non escludere altri gruppi. Per far ciò bisogna che i responsabili politici, il mondo dell'economia e la società abbiano la volontà, allo stesso tempo, di affermare il principio della non discriminazione, di promuovere fattivamente le pari opportunità per tutti e di gestire la diversità. Si potrebbe ricorrere ai fondi strutturali europei per sostenere tali programmi.

È necessario compiere ogni sforzo per superare riserve e pregiudizi presenti sia tra i Rom che tra i non Rom, e ciò non solo prendendo le misure pratiche necessarie, ma anche sviluppando strategie comuni per il futuro, insieme a personalità leader e mediatori di entrambe le parti. In questo contesto un ruolo di primo piano spetta agli appartenenti alle comunità Rom che possono fungere da modelli.

4.   I Rom e l'Europa

4.1   La Commissione europea

4.1.1

Da tempo la Commissione si sforza di contribuire alla risoluzione del problema dell'integrazione. Grazie all'istituzione, alcuni anni fa, di un gruppo interservizi incaricato della problematica Rom è stato possibile migliorare il flusso di informazioni tra i singoli servizi della Commissione e raggiungere un certo grado di coordinamento tra i numerosi settori d'intervento.

4.1.2

Il gruppo di esperti di alto livello per l'integrazione delle minoranze etniche istituito dalla Commissione nel gennaio 2006 ha presentato nel dicembre 2007 una relazione (8) — critica — che contiene raccomandazioni per l'attuazione di misure volte a migliorare la situazione dei Rom per quanto riguarda l'istruzione, l'occupazione, l'assistenza sanitaria e l'offerta di spazi abitativi. In questa relazione il gruppo di esperti chiarisce che solo un'adeguata combinazione di politiche diverse accompagnata da un approccio pragmatico può offrire soluzioni durature.

4.1.3

Anche l'Agenzia dell'Unione europea per i diritti fondamentali si occupa attivamente della questione (9). Al riguardo si ricordano inoltre gli studi approfonditi, le relazioni e le manifestazioni organizzate dal suo predecessore, l'Osservatorio europeo dei fenomeni di razzismo e xenofobia.

4.2   Il Parlamento europeo

4.2.1

Già da tempo il Parlamento europeo si occupa con determinazione, e nel quadro di un approccio trasversale a tutti i gruppi politici, dell'integrazione dei Rom e della lotta contro la loro discriminazione. Sono già state adottate, per esempio, numerose relazioni e risoluzioni sul tema, l'ultima in data 31 gennaio 2008 (10).

4.3   Il Consiglio

4.3.1

L'ultima volta che la questione è stata trattata è nel corso del Consiglio europeo del 14 dicembre 2007, nel quadro dell'Anno europeo delle pari opportunità per tutti (11).

4.4   Il Consiglio d'Europa e l'OSCE

Entrambe le organizzazioni hanno già contribuito a migliorare la situazione in molti campi e proseguono i loro lavori tramite interventi specifici pensati per i Rom. Particolarmente importante per la protezione delle minoranze sono la «Convenzione quadro del Consiglio d'Europa per la protezione delle minoranze nazionali» e la «Carta europea delle lingue regionali o minoritarie». La campagna «Dosta!» è un ottimo esempio positivo di come sia possibile accrescere la consapevolezza nella popolazione maggioritaria circa i pregiudizi e gli stereotipi negativi.

4.5

Tramite alcune decisioni di portata storica, la Corte europea dei diritti dell'uomo ha creato le premesse fondamentali per la realizzazione dei diritti dei Rom (12).

4.6

Le Nazioni Unite (ONU) si impegnano da anni (in particolare nel quadro del PSNU dell'Unicef e dell'Unesco) per promuovere l'integrazione dei Rom.

4.7   La società civile organizzata

4.7.1

L' Open Society Institute (OSI), con il sostegno della Banca mondiale, ha promosso il Decennio per l'inclusione dei Rom 2005-2015  (13).

4.7.2

L'organizzazione creata di recente EU Roma Policy Coalition (ERPC)  (14) tiene fede al «principio dell'inclusione attraverso la partecipazione» e «intende promuovere la partecipazione dei Rom a tutti i processi che li riguardano».

4.7.3

Merita una citazione particolare il Forum europeo dei Rom e dei nomadi (ERFT)  (15). Creato su iniziativa della Presidente della Repubblica finlandese Tarja HALONEN, il Forum, sulla base di un accordo di partenariato con il Consiglio d'Europa, ha uno status privilegiato all'interno di questa organizzazione che gli consente di partecipare attivamente ai suoi lavori.

4.7.4

Dato che, tra i settori di maggior rilievo ai fini dell'integrazione dei Rom, soprattutto l'occupazione rientra nel loro raggio d'azione, le parti sociali svolgono un ruolo importante al riguardo. Le esperienze della CES, ma anche delle confederazioni sindacali nazionali e delle organizzazioni dei datori di lavoro sia nazionali che europee possono costituire elementi essenziali del processo da avviare.

5.   Conclusioni

5.1

La costante di tutti gli sforzi compiuti finora per l'inclusione dei Rom e per l'affermazione dei loro diritti è l'ammissione che i risultati raggiunti non sono soddisfacenti.

5.2

Le misure necessarie rientrano nelle competenze sia dell'Unione che degli Stati membri. In applicazione dell'articolo 13 del Trattato di Amsterdam, nel 2000 sono state adottate alcune direttive contro la discriminazione, fornendo così un forte impulso e un quadro istituzionale alla lotta contro la discriminazione dei Rom. La Commissione dovrebbe studiare il modo di estendere la legislazione comunitaria al fine di tener conto della situazione dei Rom, ad esempio attraverso l'adozione di una direttiva contro la segregazione. Inoltre, l'integrazione dei Rom dovrebbe costituire una priorità nel quadro dei fondi strutturali.

5.3

Per i casi in cui la questione dei Rom rientra nelle competenze degli Stati membri, un approccio attuabile ed efficace è stato elaborato negli anni Novanta con il metodo aperto di coordinamento (MAC)  (16). Il Comitato propone pertanto di basarsi sul MAC ed estenderlo anche alla questione delle minoranze, in particolare l'integrazione dei Rom. Si propone che come primo passo si prenda in esame la situazione dei Rom nei diversi processi esistenti del MAC (in particolare quelli dell'occupazione, dell'inclusione sociale e dell'istruzione). Il MAC e i suoi strumenti possono venire utilizzati congiuntamente dagli Stati membri per individuare i modelli di buone pratiche e per passare in rassegna nel contempo progetti globali o progetti di base incentrati su comunità locali. Per conseguire risultati positivi e duraturi questi progetti devono essere intersettoriali e mettere a punto piani d'azione che coinvolgano tutte le parti interessate, in particolare le organizzazioni dei Rom, e che siano caratterizzati da impegno, attività, valutazioni, riscontri e meccanismi di diffusione; essi devono inoltre essere sostenuti da finanziamenti adeguati, anche a titolo dei fondi strutturali. Il Comitato è convinto che il MAC rappresenti un'ottima possibilità per risolvere efficacemente numerosi problemi legislativi, sociali, ma anche emotivi di ordine storico, delle minoranze e in particolare dei Rom.

5.4

La costituzione di una rete funzionante di cooperazione tra tutti gli attori interessati sarà un fattore decisivo per la buona riuscita delle attività. Il Comitato ha già dato prova del suo valore aggiunto in quanto ponte con la società civile organizzata (17) in numerose occasioni e si impegna a dare il suo contributo tramite una cooperazione istituzionalizzata, e quindi duratura, anche per risolvere la questione dell'integrazione delle minoranze, in particolare dei Rom.

5.5

Il convegno di alto livello sull'inclusione dei Rom previsto dalla Commissione per il mese di settembre offrirebbe un contesto adeguato per discutere pubblicamente le proposte della Commissione volte a migliorare l'efficienza delle politiche nazionali e comunitarie e per prendere le prime misure concrete nel quadro del processo suddetto.

In quest'occasione il Comitato potrebbe presentare le misure concrete che intende attuare per dare seguito al presente parere. Si dovrebbero programmare anche forme di cooperazione con i media che perseguano obiettivi di lunga durata e che non si limitino a riferire fatti di attualità isolati.

6.   Osservazioni conclusive

6.1

In un primo momento il Comitato aveva avviato i suoi lavori in occasione dell'Anno europeo delle pari opportunità per tutti ma, di comune accordo con la Commissione, ha successivamente deciso di svolgerli nel contesto dell'Anno europeo del dialogo interculturale.

La cultura, così come la intende il Comitato, quale processo che abbraccia tutti gli aspetti della vita, quale adesione a valori condivisi e «stile di vita» comune, è un fattore di comprensione indispensabile se si vuole raggiungere una migliore integrazione in tutti i campi; essa combina infatti la razionalità e l'emotività e offre così un approccio globale alla risoluzione dei problemi. Questa dimensione sociale della cultura contribuisce a fare del dialogo interculturale uno strumento di pace e di equilibrio sia sul piano interno che verso l'esterno. Riferendosi alle minoranze e in particolare ai Rom, ciò significa che il dialogo interculturale è il mezzo migliore per eliminare gradualmente gli stereotipi alimentati per secoli e basati sulla diffidenza, sulle prevenzioni, sull'incomprensione, affinché in un clima di rispetto reciproco si possa trovare insieme una forma di integrazione accettabile per entrambe le parti, sostenuta da un solido quadro legislativo.

6.2

Il Comitato esprime la speranza che prima della fine dell'Anno del dialogo interculturale prendano forma i primi interventi concreti per mettere in pratica le sue proposte, che — almeno in parte — dovrebbero poi venire realizzate nel quadro del 2009 Anno europeo della creatività e dell'innovazione, e anche nel quadro del 2010 Anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale.

Bruxelles, 9 luglio 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Raccomandazione 1201(1993) dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, Convenzione europea di salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali: l'espressione «minoranza nazionale» ivi contenuta indica gruppi di persone in uno Stato che: risiedono nel territorio dello Stato in questione, mantengono legami antichi, solidi e duraturi con lo Stato in questione, presentano caratteristiche etniche, culturali, religiose o linguistiche specifiche, sono sufficientemente rappresentativi, sebbene numericamente inferiori al resto della popolazione dello Stato in questione o di una sua regione, sono animati dalla volontà di preservare insieme ciò che costituisce la loro comune identità, incluse la cultura, le tradizioni, la religione o la lingua.

Testo inglese in: http://assembly.coe.int/Main.asp?link=/Documents/AdoptedText/ta93/EREC1201.htm

(2)  Parere del CESE del 3 novembre 2006 sul tema Immigrazione, integrazione e ruolo della società civile organizzata, relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 318 del 23.12.2006); parere del CESE del 10 dicembre 2003 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al CESE e al Comitato delle regioni su immigrazione, integrazione e occupazione, relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 80 del 30.3.2004); parere del CESE del 5 giugno 2000 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni relativa a misure comunitarie di lotta contro la discriminazione, relatore: SHARMA (GU C 204 del 18.7.2000); parere del CESE del 10 dicembre 2003 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sulle attività dell'Osservatorio europeo dei fenomeni di razzismo e xenofobia e proposte di rifusione del regolamento (CE) n. 1035/97 del Consiglio, relatore: SHARMA, (GU C 80 del 30.4.2004).

(3)  Si riportano qui di seguito alcuni dei principali studi sull'argomento. I siti citati contengono numerosi riferimenti e link, esempi di buone pratiche e le eventuali versioni linguistiche disponibili:

 

The Situation of Roma in an Enlarged Europe, Relazione della Commissione europea, 2004 (disponibile soltanto in inglese)

(http://ec.europa.eu/employment_social/fundamental_rights/roma/)

 

Avoiding the Dependency Trap, UNDP Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, 2003

(http://roma.undp.sk/)

 

Final Report on the Human Rights Situation of Roma, Sinti and Travellers in Europe, Consiglio d'Europa, 2006, Alvaro Gil Robles, Alto commissario per i diritti umani (disponibile soltanto in inglese)

(http://www.coe.int/t/dg3/romatravellers/documentation/default_en.asp)

 

Piano d'azione per migliorare la situazione dei rom e dei sinti nell'area dell'OSCEOrganizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa

(www.osce.org/odihr/)

 

Analysis of the Anti-Segregation Policies in the Countries Participating in the Decade of Roma Inclusion (disponibile soltanto in inglese)

(www.romadecade.org)

(4)  Il 40 % dei bambini Rom non frequenta la scuola (contro lo 0,5 % dei bambini appartenenti alla popolazione maggioritaria). A ciò si aggiunge che il 38 % degli alunni Rom abbandona la scuola (contro il 4 % della popolazione maggioritaria). Le bambine sono ulteriormente svantaggiate: solo una su tre porta a termine la scuola primaria (mentre nella popolazione maggioritaria lo fanno 19 bambine su 20).

Solo l'8 % dei Rom consegue un diploma di scuola secondaria (contro il 64 % della popolazione maggioritaria) e meno dello 0,5 % dei Rom inizia gli studi universitari (non sono invece disponibili le cifre relative al conseguimento di diplomi universitari). Fonte: PSNU (Programma di sviluppo delle Nazioni Unite)

(5)  Nel dicembre del 2007 il gruppo di esperti di alto livello sull'integrazione sociale delle minoranze etniche e sulla loro completa partecipazione al mercato del lavoro ha presentato la sua relazione dal titolo Ethnic Minorities in the Labour Market (Le minoranze etniche nel mercato del lavoro), nella quale sono elencati i principali ostacoli per l'accesso al mercato del lavoro.

(http://ec.europa.eu/employment_social/fundamental_rights/pdf/hlg/etmin_en.pdf)

(6)  Cfr., ad esempio, i seguenti siti: http://www.soros.org/initiatives/roma, http://www.romeurope.org/?page_id=14, http://www.romnews.com/community/index.php, http://www.enar-eu.org/, http://www.unionromani.org/union_in.htm, http://www.romanicriss.org/, http://www.erionet.org/, http://www.grtleeds.co.uk/index.html, http://www.etudestsiganes.asso.fr/, http://www.fnasat.asso.fr/, http://romove.radio.cz/en/, http://www.spolu.nl/index.html

(7)  Muhammad Yunus, premio Nobel 2006. Il modello della Grameen Bank, messo a punto in Bangladesh, potrebbe essere adattato alle comunità Rom.

(8)  Nonostante i tanti programmi e interventi dedicati ai Rom, i cambiamenti procedono lentamente e i risultati sono inferiori alle aspettative, soprattutto a causa di problemi strutturali. Anche se l'integrazione orizzontale dell'aspetto della parità dovrebbe essere un obiettivo strategico dell'UE e dei suoi Stati membri, occorre tuttavia sottolineare che sono necessarie misure specifiche e mirate per l'inclusione dei Rom. (Cfr. nota 6).

(9)  Roma and Travellers in Public Education, EUMC/FRA, 2006,

(http://fra.europa.eu/fra/material/pub/ROMA/roma_report.pdf)

(10)  Risoluzione adottata dal Parlamento europeo il 31.1.2008 per una strategia europea per i Rom, punto 6: «nell'ottica di una politica comunitaria coerente, chiede con insistenza alla Commissione di elaborare una strategia quadro europea per l'inclusione dei Rom e di mettere a punto un piano d'azione generale comunitario per il sostegno finanziario di questa strategia.»

(http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//TEXT+TA+P6-TA-2008-0035+0+DOC+XML+V0//FR&language=FR)

(11)  Conclusioni della presidenza, paragrafo 50. In questo contesto il Consiglio europeo, consapevole della particolare situazione dei Rom nell'Unione, invita gli Stati membri e l'Unione a impiegare tutti i mezzi disponibili per una migliore inclusione dei Rom. A tal fine chiede alla Commissione di valutare le misure e gli strumenti esistenti e di presentargli entro la fine del giugno 2008 una relazione sui progressi conseguiti (vedi allegato 1)

(http://www.consilium.europa.eu/cms3_fo/showPage.asp?id=432&lang=fr&mode=g).

(12)  (http://cmiskp.echr.coe.int/tkp197/portal.asp?sessionId=7828574&skin=hudoc-en&action=request).

(13)  Il progetto di un Decennio per l'inclusione dei Rom 2005-2015 è stato approvato, con l'attiva partecipazione della Commissione, in occasione del convegno Roma in an expanding Europe-Challenges for the Future. I paesi partecipanti (Repubblica ceca, Slovacchia, Ungheria, Croazia, Romania, Bulgaria, Serbia, Macedonia, Montenegro) hanno adottato piani d'azione che contengono le loro proposte per il conseguimento dei quattro obiettivi prioritari: istruzione, occupazione, salute e situazione abitativa. In occasione del convegno è stato istituito anche un fondo per l'istruzione dei Rom.

(http://www.romadecade.org/) (http://romaeducationfund.hu/).

(14)  Membri: Amnesty International (AI), European Roma Rights Center (ERRC), European Roma Information Office (ERIO), European Network against Racism (ENAR), Open Society Institute (OSI), Spolu International Foundation (SPOLU), Minority Rights Group International (MRGI), European Roma Grassroots Organisation (ERGO).

(http://www.romadecade.org/portal/downloads/News/Towards%20an%20EU%20Roma%20Policy%20ERPC%20-%20Final.pdf)

(15)  Forum europeo dei Rom e dei nomadi

(http://www.ertf.org/en/index.html).

(16)  Il Consiglio europeo di Lisbona ha disposto l'applicazione del MAC nel quadro del processo di Lisbona per i seguenti settori: occupazione, protezione sociale, istruzione e formazione, politica imprenditoriale, politica dell'innovazione, ricerca e riforme economiche strutturali. Il Consiglio europeo di Göteborg ne ha allargato il campo di applicazione includendovi le politiche in materia di immigrazione e di asilo. Nel frattempo si fa ricorso al MAC anche per il settore delle politiche per la gioventù. Nella sua Comunicazione su un'agenda europea per la cultura in un mondo in via di globalizzazione (COM(2007) 242), la Commissione ha proposto di estendere il MAC anche al settore della cultura rilevando espressamente che a questo processo dovrebbero partecipare il Parlamento europeo, il Comitato economico e sociale europeo e il Comitato delle regioni.

(17)  Cfr. la commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI), il sottocomitato Strategia di Lisbona e il gruppo di collegamento con la società civile europea.


3.2.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 27/95


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Elementi per la struttura, l'organizzazione e il funzionamento di una piattaforma per un maggior coinvolgimento della società civile nella promozione delle politiche d'integrazione di cittadini dei paesi terzi a livello UE

(2009/C 27/21)

Con lettera datata 24 luglio 2007, la vicepresidente della Commissione europea Margot WALLSTRÖM e il vicepresidente Franco FRATTINI hanno chiesto al Comitato economico e sociale europeo, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di elaborare un parere esplorativo sul tema:

Elementi per la struttura, l'organizzazione e il funzionamento di una piattaforma per un maggior coinvolgimento della società civile nella promozione delle politiche d'integrazione di cittadini dei paesi terzi a livello UE.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 giugno 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore PARIZA CASTAÑOS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 9 luglio 2008, nel corso della 446a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 136 voti favorevoli, 4 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

La Commissione europea, nelle persone del vicepresidente Franco FRATTINI e della vicepresidente Margot WALLSTRÖM, ha chiesto al CESE di elaborare un parere esplorativo sul tema Elementi per la struttura, l'organizzazione e il funzionamento di una piattaforma per un maggior coinvolgimento della società civile nella promozione delle politiche d'integrazione di cittadini dei paesi terzi a livello UE.

1.2

Il Comitato ha elaborato negli ultimi anni diversi pareri (1) che hanno insistito sulla necessità di porre l'integrazione al centro delle politiche europee in materia di immigrazione e asilo e, nella promozione di tali politiche, ha collaborato molto attivamente con la Commissione, il Parlamento e il Consiglio.

1.3

Il Comitato ha promosso la partecipazione delle organizzazioni della società civile, in quanto attori fondamentali delle politiche di integrazione, all'elaborazione dei suoi pareri. Già nel 2002 il CESE e la Commissione europea hanno convocato le parti sociali e le organizzazioni della società civile degli Stati membri ad un'importante conferenza (2) che ha dato un primo impulso ad un approccio comune delle politiche europee di integrazione; nelle conclusioni si è proposta l'elaborazione di un programma comunitario di integrazione e la creazione di un fondo per finanziarne gli obiettivi.

2.   Il quadro europeo per l'integrazione dei cittadini di paesi terzi nell'Unione europea

2.1

Nel parere sul tema Immigrazione, integrazione e ruolo della società civile organizzata del 21 marzo 2002 (3), il Comitato ha evidenziato la necessità di sviluppare politiche chiare ed efficaci di integrazione all'interno di un programma quadro dell'UE. Sebbene lo sviluppo di un quadro comune per l'integrazione degli immigrati non sia stato esente da difficoltà, l'Unione europea avrà, dopo la ratifica del Trattato di Lisbona, i migliori strumenti politici e giuridici necessari per la sua applicazione.

2.2

Il programma dell'Aia (4) per il rafforzamento dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia dell'UE ha fatto dell'integrazione dei cittadini di paesi terzi una delle strategie politiche chiave per il consolidamento della libertà nell'UE durante il periodo 2005-2009 (5).

2.3

Il Consiglio europeo ha espresso la necessità di favorire un coordinamento fra le politiche nazionali di integrazione e le iniziative dell'UE da sviluppare sulla base dei principi fondamentali comuni (PFC), che costituiscono un quadro comune per l'integrazione degli immigrati e che sono stati adottati dal Consiglio Giustizia e affari interni del 19 novembre 2004 (6). Tale approccio è stato anche confermato dalla Commissione europea nella sua comunicazione Programma dell'Aia: dieci priorità per i prossimi cinque anni  (7), in cui si faceva riferimento alla necessità di stabilire un quadro europeo per l'integrazione basato sui PFC, che garantisse il rispetto dei valori e dei diritti fondamentali dell'UE e che sostenesse la non discriminazione.

2.4

I PFC costituiscono un'espressione coerente del concetto europeo di integrazione sociale dei cittadini di paesi terzi in base all'obiettivo di «integrazione civica» che, come proposto dal Comitato (8), «si basa, principalmente, sulla progressiva equiparazione degli immigranti al resto della popolazione, per quanto riguarda diritti e doveri, l'accesso ai beni, ai servizi e alle basi di partecipazione civile in condizioni di parità di opportunità e di trattamento». I PFC costituiscono un approccio bidirezionale, dato che l'integrazione implica l'adeguamento e la responsabilità reciproca degli immigrati e della società di accoglienza.

2.5

Nella sua comunicazione del 1o settembre 2005Un'agenda comune per l'integrazioneQuadro per l'integrazione dei cittadini di paesi terzi nell'Unione europea  (9), la Commissione europea ha offerto misure concrete destinate a mettere in pratica e rafforzare l'applicazione dei PFC a livello nazionale e dell'UE. La Commissione ha riconosciuto anche la necessità di far partecipare tutte le parti interessate per garantire il successo dell'integrazione e per applicare un approccio globale e coerente nel quadro dell'UE.

2.6

Per questo, fra le altre iniziative, si sono proposti in collaborazione con la rete di punti di contatto nazionali, un sito Internet, l'elaborazione di manuali, la relazione annuale su migrazione e integrazione e la creazione di un Forum europeo dell'integrazione.

2.7

Nelle conclusioni del Consiglio europeo del giugno 2007 si afferma: «Il Consiglio europeo si compiace parimenti degli sforzi compiuti per migliorare la cooperazione costante e approfondita a livello dell'UE e tra gli Stati membri nel settore dell'integrazione e del dialogo interculturale. Il Consiglio europeo si compiace, in particolare, delle conclusioni del Consiglio, del 12 giugno, sul rafforzamento delle politiche d'integrazione nell'Unione europea attraverso la promozione dell'unità nella diversità. Sottolinea l'importanza di ulteriori iniziative volte ad agevolare lo scambio di esperienze sulle politiche di integrazione degli Stati membri» (10).

2.8

Il Comitato condivide l'approccio globale che è stato recentemente formulato dal Consiglio europeo, secondo cui l'integrazione e il dialogo interculturale devono essere elementi fondamentali della politica dell'UE in materia di immigrazione.

2.9

Il vincolo complementare e indissolubile fra integrazione e immigrazione è stato riconosciuto nelle conclusioni del Consiglio Giustizia e affari interni del 12 e 13 giugno 2007 (11). Il Consiglio, seguendo le raccomandazioni formulate nella riunione informale del 10 e 11 maggio 2007 dei ministri responsabili dell'integrazione a Potsdam — alla quale ha partecipato anche il Comitato — ha sottolineato la necessità di riesaminare a livello politico i possibili margini per ulteriori misure volte al rafforzamento del quadro europeo per l'integrazione e delle politiche d'integrazione degli Stati membri.

2.10

Alle organizzazioni della società civile e alle parti sociali spetta un ruolo da protagonisti nel garantire la coerenza e l'efficacia dei processi sociali di integrazione degli immigrati e nel definire e valutare le politiche nell'UE. Nel suo parere sul tema L'immigrazione nell'UE e le politiche di integrazione: la collaborazione tra le amministrazioni regionali e locali e le organizzazioni della società civile del 13 settembre 2006 (12), il Comitato ha affermato che la collaborazione attiva con la società civile e le parti sociali costituisce un elemento essenziale nella promozione delle politiche europee sull'integrazione. In particolare, il Comitato ha sottolineato l'importanza delle funzioni e del ruolo che le parti sociali, le organizzazioni di difesa dei diritti umani, le organizzazioni di immigrati, le associazioni culturali e sportive, le comunità religiose, le associazioni di quartiere, le comunità educative, le scuole e le università, i mezzi di comunicazione, ecc. svolgono nei processi di integrazione a livello nazionale, regionale e locale e la necessità di promuovere il loro sviluppo, rafforzamento e riconoscimento a livello europeo nel rinnovamento del quadro dell'UE per l'integrazione degli immigrati.

2.11

L'attuazione di politiche e programmi di accoglienza e integrazione degli immigrati deve poter contare su un'ampia partecipazione e sul coinvolgimento diretto delle organizzazioni sociali e delle associazioni di immigrati. Ciò è stato anche confermato nella Terza relazione annuale su migrazione e integrazione pubblicata dalla Commissione europea l'11 settembre 2007 (13). La relazione annuale ripropone l'iniziativa di istituire un Forum europeo dell'integrazione in cui le parti interessate che lavorano nell'UE a favore dell'integrazione possano scambiare esperienze ed elaborare raccomandazioni (14).

2.12

La promozione di politiche di integrazione e lo scambio di esperienze verranno d'altro canto enormemente favoriti dall'adozione di un quadro finanziario solido e ambizioso. All'interno del programma «Solidarietà e gestione dei flussi migratori 2007-2013», il Fondo europeo di integrazione di cittadini dei paesi terzi (15) agevolerà lo sviluppo di politiche nazionali ispirate ai PFC e il rinnovamento della politica dell'UE sull'integrazione degli immigrati.

2.13

Una politica comune europea per l'integrazione degli immigrati è stata inoltre ufficialmente riconosciuta come una politica cruciale per l'Unione nel Trattato di riforma adottato il 18 ottobre scorso a Lisbona (Trattato di Lisbona). Per la prima volta il nuovo Titolo V del Trattato sul funzionamento dell'Unione doterà l'Unione europea di una base giuridica (articolo 63 bis, paragrafo 4, nuovo articolo 79, paragrafo 4), per sviluppare misure legislative comuni per promuovere ed appoggiare l'azione degli Stati membri nell'integrazione dei cittadini di paesi terzi (16).

3.   Proposta del CESE sull'istituzione del forum europeo dell'integrazione

3.1

Il Comitato ritiene necessario migliorare la coerenza delle politiche dell'UE, visto l'elevato numero di strumenti già attuati: l'agenda comune per l'integrazione, il fondo europeo di integrazione, i punti di contatto nazionali per l'integrazione, i manuali sull'integrazione, le relazioni annuali su migrazione e integrazione, il sito Internet, ecc. Il Comitato ritiene opportuno riaprire il dibattito sul metodo aperto di coordinamento. La Commissione europea deve proporre al Consiglio l'attuazione del metodo aperto di coordinamento sull'integrazione rifiutato dal Consiglio qualche anno fa.

3.2

Per rafforzare la coerenza di questa politica e dei suoi strumenti è necessario istituire una piattaforma di partecipazione della società civile, per cui il Comitato si sente onorato dall'iniziativa della Commissione europea di richiedere un parere esplorativo e la accoglie con favore.

3.3

Tenuto conto di altre piattaforme esistenti (in relazione ad altre politiche dell'UE e delle esperienze maturate a livello nazionale, il Comitato propone di adottare per la piattaforma europea la denominazione utilizzata dalla Commissione (17) Forum europeo dell'integrazione ( European integration forum ).

3.4

Il Comitato ritiene che il Forum debba costruirsi in modo evolutivo. La prima riunione si terrà nell'autunno 2008 per elaborare il programma di lavoro del Forum e completarne la struttura.

3.5   Funzioni del Forum europeo dell'integrazione

3.5.1

Il Comitato ha fatto presente in diversi pareri (18) la necessità di disporre di un approccio complessivo per l'integrazione e a tal fine devono essere coinvolti tutti gli attori, in particolare le parti sociali e le organizzazioni della società civile.

3.5.2

Nella comunicazione Un'agenda comune per l'integrazione  (19) la Commissione afferma che le funzioni del forum possono essere «la consulenza, lo scambio di know-how e la pubblicazione di raccomandazioni».

3.5.3

Il Comitato è d'accordo e considera che tale compito possa essere svolto mediante l'elaborazione di relazioni (che possono comprendere degli orientamenti) sulle politiche di integrazione a livello comunitario.

3.5.4

La Commissione, il Parlamento e il Consiglio possono consultare il Forum sulle politiche europee di integrazione.

3.5.5

Il Forum potrà elaborare per le istituzioni dell'UE relazioni di propria iniziativa per migliorare l'integrazione dei cittadini dei paesi terzi.

3.5.6

Lo scambio di know-how e di buone pratiche deve essere una funzione molto importante del Forum da svolgere in collaborazione con la rete dei punti di contatto nazionali.

3.5.7

Il Forum può collaborare alle conferenze preparatorie per il manuale sull'integrazione e alle riunioni dei punti di contatto nazionali.

3.5.8

Le attività del Forum, le relazioni e le conclusioni verranno pubblicate sul sito web del CESE e su quello della Commissione dedicato all'integrazione, che consentirà la partecipazione dei cittadini europei e di quelli di paesi terzi (forum virtuale).

3.6   Membri del Forum

3.6.1

Il Forum sarà composto al massimo di 100 persone e si riunirà due volte all'anno.

3.6.2

La Commissione ritiene che «il valore aggiunto consisterà nel riunire una vasta gamma di attori interessati attivi nel settore dell'integrazione a livello dell'UE: fra questi, per esempio, le organizzazioni ombrello dell'UE che hanno iscritti in diversi Stati membri» (20). Il Comitato condivide il criterio proposto dalla Commissione e ritiene che l'integrazione occupazionale in condizioni di parità di trattamento sia una delle priorità, per cui è necessario che al Forum partecipino anche le parti sociali.

3.6.3

È fondamentale che il Forum lavori con un'impostazione europea, sulla base dell'esperienza e delle prassi nazionali. Per questo motivo il Comitato propone che vi partecipino rappresentanti delle organizzazioni di livello UE e di livello nazionale.

3.6.4

Un terzo dei partecipanti del Forum rappresenterà queste organizzazioni di livello UE operanti nel campo dell'integrazione degli immigrati, tra cui le parti sociali.

3.6.5

Il resto dei partecipanti proverranno da organi consultivi degli Stati membri (tra uno e quattro rappresentanti). In questo modo parteciperanno al Forum europeo i forum, le piattaforme, i consigli o istituzioni analoghe che esistono negli Stati membri e, in particolare, quelli che contano tra i partecipanti organizzazioni di immigrati. Per gli Stati membri che non dispongono di tali istituzioni, si prevede la partecipazione dei consigli economici e sociali (o istituzioni analoghe).

3.6.6

Il Comitato reputa essenziale agevolare la partecipazione al Forum europeo dell'integrazione delle organizzazioni degli immigrati, la maggior parte delle quali sono organizzate solo a livello nazionale e non dispongono di reti europee, ragion per cui i forum, le piattaforme, i consigli o i CES degli Stati membri designeranno i rappresentanti delle organizzazioni di immigrati considerate più rappresentative.

3.7

Le organizzazioni dovranno tener conto dell'equilibrio di genere nella designazione dei partecipanti.

3.7.1

Il Forum europeo dell'integrazione potrà invitare a prendere parte alle sue riunioni osservatori ed esperti, soprattutto le agenzie europee specializzate, esponenti del mondo accademico e della ricerca e le reti europee di enti locali.

3.7.2

Per promuovere la più ampia partecipazione, il Forum europeo dell'integrazione dovrà lavorare in rete con le organizzazioni della società civile (organizzazioni locali, regionali, nazionali ed europee).

3.7.3

Alle riunioni del Forum parteciperà il CESE in linea con quanto previsto al punto 3.7; vi potranno partecipare anche rappresentanti della Commissione, del Parlamento europeo, e del Comitato delle regioni.

3.8   L'impegno del Comitato economico e sociale europeo

3.8.1

Il Comitato si impegnerà molto attivamente nelle attività del Forum e a tal fine istituirà in seno alla sezione specializzata SOC un gruppo di studio permanente sull'integrazione formato da quindici membri. Per mezzo di questo gruppo permanente il Forum collaborerà con il Comitato nel quadro dell'elaborazione dei pareri.

3.8.2

I membri del gruppo di studio permanente parteciperanno alle riunioni plenarie del Forum.

3.8.3

Tenuto conto della nuova base giuridica del Trattato di Lisbona, il Comitato elaborerà nuovi pareri con proposte e raccomandazioni politiche per promuovere e appoggiare l'azione degli Stati membri nel campo dell'integrazione.

3.9   Struttura del Forum

3.9.1

Il Comitato propone che il Forum abbia una struttura molto leggera:

un presidente, nominato dal CESE, in accordo con la Commissione europea,

tre vicepresidenti nominati dal Forum,

il presidente e i tre vicepresidenti costituiranno l'ufficio di presidenza del Forum che si riunirà almeno quattro volte all'anno,

una segreteria di piccole dimensioni, composta di 2 persone del CESE,

il Forum si riunirà nei locali del CESE, dove avrà la sua sede,

l'Assemblea plenaria del Forum si riunirà due volte all'anno, su convocazione del presidente,

per l'elaborazione delle relazioni si potranno costituire gruppi di studio di dimensioni ridotte.

3.10   Agenda del Forum

3.10.1

I principi di base comuni determinano la tabella di marcia per le attività del Forum e quindi la sua agenda di lavoro.

3.10.2

Quest'ultima verrà elaborata dall'Ufficio di presidenza del Forum, tenendo conto dell'agenda delle istituzioni dell'UE e di quelle delle organizzazioni della società civile.

3.10.3

Gli obiettivi e i programmi del Fondo europeo per l'integrazione, così come gli altri strumenti previsti dalla politica europea di integrazione, potranno essere valutati nel Forum.

3.11   Regolamento

3.11.1

Il CESE propone che la Commissione europea adotti il regolamento, su proposta del CESE stesso.

3.11.2

Propone inoltre che la Commissione europea, sempre su proposta del CESE, designi i partecipanti al Forum.

3.12   Quadro finanziario

3.12.1

Il Forum dovrà essere finanziato con le risorse economiche apportate dalle istituzioni dell'UE.

Bruxelles, 9 luglio 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Parere del Comitato economico e sociale del 21 marzo 2002 sul tema Immigrazione, integrazione e ruolo della società civile organizzata (relatore: PARIZA CASTAÑOS) (GU C 125 del 27.5.2002).

Parere del Comitato economico e sociale europeo del 10 dicembre 2003 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni su immigrazione, integrazione e occupazione (relatore: PARIZA CASTAÑOS) (GU C 80 de 30.3.2004).

Parere del Comitato economico e sociale europeo del 13 settembre 2006 sul tema L'immigrazione nell'UE e le politiche di integrazione: la collaborazione tra le amministrazioni regionali e locali e le organizzazioni della società civile (relatore: PARIZA CASTAÑOS) (GU C 318 del 23.12.2006).

(2)  Conferenza sul tema Immigrazione: il ruolo della società civile nell'integrazione, Bruxelles, 9-10 settembre 2002.

(3)  Parere del Comitato economico e sociale europeo del 21.3.2002 sul tema Immigrazione, integrazione e ruolo della società civile organizzata (relatore: PARIZA CASTAÑOS) (GU C 125 del 27.5.2002).

(4)  Comunicazione del Consiglio Programma dell'Aia: rafforzamento della libertà, della sicurezza e della giustizia nell'Unione europea (GU C 53 del 3.3.2005, pag. 1).

(5)  Parere del Comitato economico e sociale europeo del 15 dicembre 2005 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeoIl programma dell'Aia: dieci priorità per i prossimi cinque anniPartenariato per rinnovare l'Europa nel campo della libertà, sicurezza e giustizia (relatore: PARIZA CASTAÑOS) (GU C 65 del 17.3.2006).

(6)  Consiglio dell'Unione europea, sessione n. 2618 del Consiglio Giustizia e affari interni, Bruxelles, 19 novembre 2004 14615/04.

(7)  Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeoIl programma dell'Aia: dieci priorità per i prossimi cinque anniPartenariato per rinnovare l'Europa nel campo della libertà, sicurezza e giustizia, COM(2005) 184 def., Bruxelles, 10.5.2005.

(8)  Parere del Comitato economico e sociale europeo del 21 marzo 2002 sul tema Immigrazione, integrazione e ruolo della società civile organizzata (relatore: PARIZA CASTAÑOS) (GU C 125 del 27.5.2002).

(9)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniUn'agenda comune per l'integrazioneQuadro per l'integrazione dei cittadini di paesi terzi nell'Unione europea COM(2005) 389 def., Bruxelles, 1.9.2005.

(10)  http://www.consilium.europa.eu/ueDocs/cms_Data/docs/pressData/it/ec/94947.pdf, punto 20.

(11)  Consiglio dell'Unione europea, sessione n. 2807 del Consiglio Giustizia e Affari interni, 12 e 13 giugno 2007, 10267/07.

(12)  Parere del Comitato economico e sociale europeo del 13 settembre 2006 sul tema L'immigrazione nell'UE e le politiche di integrazione: la collaborazione tra le amministrazioni regionali e locali e le organizzazioni della società civile (GU C 318 del 23.12.2006) (relatore: PARIZA CASTAÑOS).

(13)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniTerza relazione annuale su migrazione e integrazione, COM(2007) 512 def., Bruxelles, 11.9.2007.

(14)  Cfr punto 3.1 della comunicazione COM(2007) 512 def.

(15)  http://ec.europa.eu/justice_home/funding/integration/funding_integration_en.htm

(16)  Articolo 63 bis, paragrafo 4: «Il Parlamento europeo e il Consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono stabilire misure volte a incentivare e sostenere l'azione degli Stati membri al fine di favorire l'integrazione dei cittadini di paesi terzi regolarmente soggiornanti nel loro territorio, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri».

(17)  COM(2005) 389 def.

(18)  Parere del Comitato economico e sociale del 21 marzo 2002 sul tema Immigrazione, integrazione e ruolo della società civile organizzata (relatore: PARIZA CASTAÑOS) (GU C 125 del 27.5.2002 e Parere del Comitato economico e sociale europeo del 13 settembre 2006 sul tema L'immigrazione nell'UE e le politiche di integrazione: la collaborazione tra le amministrazioni regionali e locali e le organizzazioni della società civile (relatore: PARIZA CASTAÑOS) (GU C 318 del 23.12.2006).

(19)  COM(2005) 389 def.

(20)  COM(2005) 389 def.


3.2.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 27/99


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Un nuovo programma europeo di azione sociale

(2009/C 27/22)

In data 25 ottobre 2007 il Comitato economico e sociale europeo è stato consultato dalla futura presidenza francese sul tema:

Un nuovo programma europeo di azione sociale.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 giugno 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore OLSSON.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 9 luglio 2008, nel corso della 446a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 133 voti favorevoli, 2 voti contrari e 4 astensioni.

Al momento dell'adozione del presente parere, e alla luce del referendum del 12 giugno sul Trattato di Lisbona, lo status e il futuro di tale Trattato hanno bisogno di essere chiariti. Il parere fa ampiamente riferimento al Trattato di Lisbona e alla sua portata e al suo potenziale in materia di politica sociale. Il Comitato crede che un nuovo programma di azione sociale ambizioso e partecipativo continui ad essere opportuno e, anzi, risulti ancor più necessario.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Un nuovo programma europeo di azione sociale si rende necessario affinché lo sviluppo sociale dell'UE possa tenere il passo con l'evoluzione dell'economia e del mercato. Alla luce del nuovo Trattato di Lisbona che crea nuove possibilità, responsabilità e obiettivi, è opportuno rilanciare un'Europa sociale più partecipativa e dinamica. Il nuovo programma di azione dovrebbe promuovere, in modo tangibile e pratico, gli obiettivi e le ambizioni della politica sociale europea ben oltre il 2010 e offrire una tabella di marcia completa per l'azione politica.

1.2

Il dialogo sociale resta uno dei pilastri principali e come tale va consolidato. Il programma di azione dovrebbe ripristinare il contatto con i cittadini e la società civile organizzata, consentendo a procedure partecipative «dal basso verso l'alto» (bottom-up), compreso il dialogo civile, di interagire con iniziative comunitarie.

1.3

Il programma dovrebbe rivolgersi in particolare ai seguenti aspetti della politica sociale: qualità di vita, diritti sociali fondamentali, rafforzamento delle capacità dei cittadini, solidarietà sociale, occupazione e lavoro di qualità, imprenditorialità sociale, gestione del cambiamento, promozione di standard sociali di base nelle relazioni esterne dell'Unione europea, soprattutto nell'ambito degli scambi commerciali. Andrebbero utilizzati tutti gli strumenti e i metodi disponibili. Il metodo comunitario andrebbe mantenuto, ma accompagnato da altri «metodi nuovi». Le risorse finanziarie del bilancio attuale potrebbero essere riallocate per sostenere il programma di azione. La riforma del bilancio dopo il 2013 dovrà focalizzarsi sulla coesione sociale.

2.   Introduzione — contesto

2.1

La futura presidenza francese ha deciso di consultare il CESE in merito all'idea di un programma europeo di azione sociale (di seguito denominato «programma di azione»).

2.2

Tale consultazione può essere considerata il seguito del precedente parere del CESE sul tema Bilancio della realtà della società europea, in cui si affermava che «per gettare le basi del nuovo consenso sulle sfide sociali che l'Europa deve affrontare, si potrebbe delineare un nuovo» programma d'azione sociale «che tenga conto sia delle realtà economiche che delle aspettative sociali» (1).

2.3

Il parere citato faceva riferimento al programma europeo di azione sociale del 1989, che costituiva parte integrante del cosiddetto modello sociale europeo, ed evidenziava la realtà della dimensione sociale nel mercato interno unificato. Si trattava di un programma di azione triennale — il sostegno centrale alle iniziative della Commissione in ambito sociale — costituito di 45 misure chiare considerate essenziali per far passi avanti ed esprimere concretamente, a livello comunitario, i principi stabiliti nella Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori (2). Le misure erano legislative e non legislative e comprendevano azioni comunitarie in quasi tutti gli ambiti sociali, volte a raggiungere gli obiettivi — sanciti nel Trattato — di migliorare le condizioni di vita e di lavoro.

2.4

L'acquis sociale europeo conseguito grazie al programma di azione del 1989 non ha tenuto il passo con le attuali sfide economiche e sociali poste dalla globalizzazione, dai cambiamenti climatici e dallo sviluppo demografico. Queste sfide sono rese ancora più gravi dal rallentamento della crescita economica, dalle turbolenze finanziarie e dalla crisi alimentare incombente. Alcuni gruppi e cittadini europei hanno perfino la sensazione che la politica sociale europea sia in situazione di stallo rispetto, invece, ai progressi compiuti dalle politiche del mercato interno.

2.5

Il bilancio delle realtà sociali ha dimostrato che, se una società europea più ricca e in rapido cambiamento offre maggiori opportunità, emergono però anche nuovi rischi sociali. Tale bilancio ha evidenziato i seguenti aspetti: disparità di reddito e pari opportunità, cambiamenti nel mercato del lavoro, disparità e divari retributivi tra uomini e donne, povertà infantile ed esclusione sociale, frattura generazionale, modifica dei modelli familiari e accesso all'alloggio e alle strutture di assistenza all'infanzia, situazione dei disabili, migrazione e integrazione.

3.   Un nuovo quadro per un programma europeo di azione sociale

3.1

Nella classe politica si fa strada la consapevolezza che sono indispensabili nuovi orientamenti politici per rispondere alle sfide che il modello europeo di società si trova a fronteggiare. I cittadini europei si aspettano nuove azioni di politica sociale che devono essere socialmente avanzate ed economicamente sostenibili.

3.2

Il Trattato di riforma di Lisbona offre una nuova occasione di realizzare un programma europeo di azione sociale introducendo nuovi obiettivi sociali a livello di UE (3): piena occupazione e progresso sociale, lotta contro l'esclusione sociale e la discriminazione, promozione della giustizia e della protezione sociali, parità tra i sessi, solidarietà tra le generazioni e tutela dei diritti del minore.

3.3

Il Trattato di Lisbona accresce le responsabilità dell'UE nel conseguimento di questi obiettivi sociali.

3.4

Le opportunità di creare un'Europa più sociale sono racchiuse in particolare nella Carta dei diritti fondamentali dell'UE, nelle disposizioni obbligatorie della clausola sociale trasversale e nel protocollo sui servizi di interesse generale. Il Trattato di Lisbona fornisce altresì l'opportunità di una «cooperazione rafforzata» che gli Stati membri possono promuovere e instaurare in campo sociale (4).

3.5

Il Trattato di Lisbona conferma il ruolo svolto dalle parti sociali nel contribuire a un'Europa del progresso economico e sociale. Con le sue disposizioni in materia di democrazia partecipativa esso fornisce inoltre nuove opportunità e ulteriori strumenti — ad esempio «l'iniziativa dei cittadini» — per coinvolgere i cittadini e le loro organizzazioni nella costruzione di un'Europa più sociale. In questo contesto il CESE deve svolgere un ruolo attivo.

3.6

Il CESE vorrebbe far riferimento anche alla dichiarazione (5) stilata da nove governi, in cui si sottolineava l'esigenza di rafforzare il modello sociale europeo, in quanto esso ha consentito di realizzare dei progressi in campo sociale ed è in grado di far fronte alle odierne sfide. Tale dichiarazione sottolineava la responsabilità delle istituzioni europee di rilanciare l'Europa sociale e di utilizzare tutti gli strumenti a loro disposizione, mettendo l'accento sul dialogo sociale. Nella dichiarazione si affermava infatti che l'UE a 27 non può essere solo una zona di libero scambio, ma dovrà garantire il necessario equilibrio tra libertà economica e diritti sociali in modo tale che il mercato interno possa essere regolamentato anche a livello sociale. Nelle sue politiche esterne l'UE dovrebbe promuovere i valori del suo modello sociale per realizzare una globalizzazione equa e garantire a tutti un lavoro dignitoso.

3.7

In sintesi, un programma europeo di azione sociale si rende necessario perché lo sviluppo sociale dell'UE possa tenere il passo con l'evoluzione dell'economia e del mercato e per contribuire a sostenere la strategia di Lisbona, nonché a promuoverne gli aspetti sociali, economici e ambientali, avanzando contemporaneamente su tutti i fronti. È altresì opportuno, alla luce del Trattato di Lisbona, rilanciare un'Europa sociale più partecipativa e dinamica che venga incontro alle esigenze e alle aspettative dei cittadini. Il programma di azione dovrà pertanto essere perfettamente integrato in una strategia post-Lisbona, basata sui quattro pilastri occupazione, crescita, sostenibilità e coesione sociale, in cui l'aspetto sociale e quello economico saranno collocati su un piano di parità.

4.   Principi ed elementi del nuovo programma europeo di azione sociale

4.1

Il nuovo programma europeo di azione sociale deve fondarsi saldamente sui valori e sugli obiettivi dell'UE enunciati nel Trattato di Lisbona. Tale programma dovrebbe costituire un quadro di riferimento per una zona di benessere democratica, solidale, sostenibile, socialmente inclusiva e competitiva per tutti i cittadini europei, fondata su una più ampia ripartizione delle opportunità di successo e tale da non lasciare nessuno ai margini; esso dovrà inoltre rappresentare uno dei principali strumenti a garanzia dei diritti dei cittadini sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali. Il programma di azione dovrà basarsi su una cooperazione positiva tra gli Stati membri, e non su una «corsa al ribasso» in termini di diritti sociali, protezione sociale e condizioni di lavoro. L'UE confermerà così la propria ambizione in materia di diritti umani, garantendo il massimo livello di protezione.

4.2

Il programma di azione sostiene una concezione del modello europeo di società in cui convivono il concetto di economia sociale di mercato e il modello sociale europeo. Esso dovrà rispondere alle esigenze e alle aspirazioni della gente, conferire maggiori poteri ai cittadini, dando loro diritti e responsabilità, e al tempo stesso dovrà promuovere la democrazia partecipativa, individuare e mobilitare gli attori nel quadro di un dialogo sociale rafforzato e di un dialogo civile efficace. Il programma di azione dovrebbe promuovere un approccio creativo e innovativo per affrontare nuove sfide e nuovi rischi.

4.3

Il nuovo programma di azione dovrebbe essere basato su prospettive sociali a lungo termine e rispondere alle nuove aspettative e realtà. Questa prospettiva di sostenibilità a lungo termine dovrebbe privilegiare misure destinate all'infanzia e alle nuove generazioni.

4.4

Il programma di azione dovrà pertanto aggiornare e riaffermare gli obiettivi, le proposte e le ambizioni della politica sociale dell'UE ben oltre il 2010. Esso dovrebbe offrire una tabella di marcia completa per l'azione politica a tutti i livelli al fine di dare nuovo impulso all'Europa sociale, sostenendola con «agende sociali» (6) aggiornate periodicamente e basate su valori comuni.

4.5

Il programma di azione si concilia perfettamente con un modello sociale europeo dinamico (7). La forza del modello risiede principalmente nella sua capacità di far leva sui valori comuni propri di un'ampia gamma di situazioni per definire congiuntamente strumenti, procedure e azioni con partecipanti legittimi, tale da consentire un'autentica convergenza in termini di progressi. La capacità di finanziamento dell'UE costituisce un fattore determinante per garantire uno sviluppo coerente e permettere ai paesi attualmente in ritardo strutturale di recuperare terreno.

4.6

Il programma di azione riconosce che lo sviluppo economico e il progresso sociale si alimentano a vicenda e sono interdipendenti. Combinare la competitività economica con la giustizia sociale e la solidarietà è il modo più adeguato per promuovere il benessere della popolazione in Europa. Il programma di azione potrebbe, prevedendo alcune garanzie da definire per i beneficiari, offrire un quadro per la combinazione di iniziative pubbliche e private allo scopo di trovare risorse finanziarie sostenibili per un benessere sociale all'insegna dell'inclusione. Esso dovrebbe così creare un quadro atto a garantire servizi di interesse generale universali, accessibili e di qualità.

4.7

Il nuovo programma di azione dovrebbe sostenere le imprese socialmente responsabili, promuovere la concorrenza leale e il mantenimento di condizioni di parità, consentendo al mercato interno di prosperare senza essere potenzialmente compromesso dal «dumping sociale». In tale contesto il programma di azione dovrebbe anche concentrarsi soprattutto su posti di lavoro di qualità per il futuro e sulla società della conoscenza, che ne costituisce il necessario accompagnamento.

4.8

Promuovendo l'imprenditorialità in senso lato, in base alla definizione data dalla Commissione europea (8), miglioreranno sia le prestazioni economiche che quelle sociali (9). Bisogna salvaguardare e promuovere il pluralismo nelle imprese, in modo da approfittare dei vantaggi offerti dalle specificità delle piccole e medie imprese e delle aziende dell'economia sociale, e del loro contributo alla dimensione sociale. Per creare condizioni di parità per tutti i soggetti economici occorrono statuti europei per le associazioni, le fondazioni, le mutue e le piccole imprese.

4.9

Il programma di azione dovrebbe fondarsi su un'impostazione ampia e coerente, che valuti anche la possibilità di integrare la politica sociale in altri settori di intervento. La politica sociale dovrebbe diventare una componente naturale della politica macroeconomica, delle politiche in materia fiscale e di concorrenza, della strategia per lo sviluppo sostenibile, della politica industriale, della coesione territoriale e della dimensione esterna dell'UE.

4.10

Il programma di azione contribuirebbe in maniera tangibile alla nuova visione sociale imperniata sulle «opportunità di successo» per l'Europa del XXI secolo, presentata di recente dalla Commissione (10). La Commissione propone un quadro per le politiche dell'UE e sottolinea che l'agenda «opportunità, azioni e solidarietà» richiede investimenti nel capitale sociale e umano. Tali investimenti faranno aumentare le prestazioni economiche, ma possono anche essere giustificati in una prospettiva di sviluppo sostenibile. Il CESE sostiene con forza questa idea e ritiene necessario garantire a livello sia comunitario che nazionale modalità innovative per finanziare il capitale umano e sociale. Il bilancio dell'UE dovrebbe essere orientato in tal senso. Si potrebbe inoltre considerare la possibilità di un meccanismo di prestito a livello europeo per lo sviluppo di infrastrutture sociali.

4.11

Il programma di azione dovrebbe altresì contribuire al raggiungimento di una globalizzazione più equa ed equilibrata promuovendo principi e valori del suo modello sociale nelle relazioni esterne dell'UE. Per incentivare il dialogo sociale e civile, nonché le politiche in materia di occupazione e welfare si dovrebbero offrire partenariati con paesi terzi accompagnati da un'assistenza tecnica e finanziaria rafforzata. Gli scambi commerciali dovrebbero ispirarsi al rispetto dei diritti umani e sociali fondamentali stabiliti, ad esempio, nei principi e nelle norme OIL (11).

5.   La governance multilivello

5.1

Le istituzioni dell'UE devono essere all'altezza del loro ruolo guida e degli obblighi di cui sono state investite dal Trattato di Lisbona per poter realizzare progressi in campo sociale. Di qui l'opportunità di un nuovo programma europeo di azione sociale. In sostanza, tutti gli strumenti disponibili e le misure previste allo scopo dal Trattato di Lisbona (12) dovrebbero essere utilizzati secondo il principio della praticabilità e dell'efficienza, rispettando nel contempo i requisiti di sussidiarietà e proporzionalità.

5.2

Al pari del progetto di mercato unico del 1992, il programma europeo di azione sociale del 1989 ha dimostrato la validità del «metodo comunitario». Dal momento che questo metodo resta valido per la revisione in corso del mercato interno, il CESE ritiene che esso andrebbe utilizzato anche per rilanciare la dimensione sociale. In un'UE a 27 vi è così spazio per azioni legislative.

5.3

Al tempo stesso un coinvolgimento ricco e variato di parti sociali e di altre organizzazioni della società civile a diversi livelli contribuisce ad accrescere il senso di «appropriazione». Tutte le parti direttamente interessate devono partecipare per rendere il programma di azione pertinente, tangibile, pratico e attento ai bisogni dei cittadini. In questo modo un approccio proattivo e dal basso verso l'alto — come quello descritto sotto — dovrebbe interagire con le iniziative comunitarie.

5.4

Bisogna individuare i bisogni, le preoccupazioni e le aspirazioni dei cittadini. L'iniziativa della Commissione di effettuare un bilancio delle realtà sociali può servire da modello ed essere organizzata su base più permanente, raggiungendo anche il livello locale. Le organizzazioni della società civile rappresentative hanno un ruolo essenziale nel trasmettere le richieste dei cittadini al livello adeguato, compreso quello europeo. Esse vanno coinvolte sistematicamente nelle procedure di bilancio e di consultazione avviate dalla Commissione europea, nelle quali il CESE svolgerà il proprio ruolo di mediatore.

5.5

In questo contesto il CESE sottolinea l'importanza di organizzare un dibattito permanente a tutti i livelli per affrontare le sfide e le scelte strategiche del futuro in materia di politiche sociali. Il dibattito dovrebbe mirare a contribuire a un nuovo consenso progressivo sulla politica sociale europea, basato su un impegno condiviso da tutti i soggetti coinvolti.

5.6

Il dialogo sociale intersettoriale, settoriale e transnazionale resta uno dei pilastri principali del modello sociale negli Stati membri e a livello dell'UE. I datori di lavoro e i sindacati, in quanto importanti forze motrici nella realizzazione del progresso economico e sociale, hanno un ruolo essenziale da svolgere nel fronteggiare le sfide sociali. I rapporti di analisi congiunti e le priorità definite dalle parti sociali europee saranno componenti essenziali di un quadro di azioni appropriate a livello sia comunitario che nazionale (13).

5.7

Il dialogo civile — da non confondere con il dialogo sociale — costituirà un altro dei pilastri principali. Il coinvolgimento dei cittadini e delle loro organizzazioni a tutti i livelli nella costruzione di un'Europa sociale costituirà un'autentica sfida.

5.8

I consigli economici e sociali (CES) e le istituzioni analoghe dovrebbero essere messi in posizione tale da essere invitati a partecipare, al pari dei loro governi, a tutte le fasi di definizione e applicazione del programma europeo di azione sociale.

5.9

I partenariati e i dialoghi esistenti nell'ambito delle politiche sociali devono essere concretamente rafforzati. Le esperienze e i modelli positivi di partenariati di diversa provenienza — Stati membri e politica di coesione dell'UE — che hanno contributo al benessere sociale devono essere pubblicizzati e, se possibile, analizzati ulteriormente.

5.10

Bisogna promuovere e sostenere con adeguate misure pubbliche l'autonomia e le capacità degli attori sociali ed economici, al fine di creare un ambiente in grado di migliorare la loro capacità di articolare la prospettiva dal basso verso l'alto e di individuare i settori di intervento principali.

6.   Principali settori di intervento

6.1   Un percorso di vita sostenibile

Percorsi individuali sicuri grazie ad impegni collettivi. Principi comuni per far fronte ai cambiamenti che intervengono nell'arco di tutta la vita, non da ultimo a sostegno della flessicurezza  (14), tramite un'istruzione e una formazione garantite, l'accesso ai servizi, il mantenimento dei diritti e di un reddito sufficiente e mediante un finanziamento pubblico e/o privato correlato al regime di sicurezza sociale adottato. I sistemi di sicurezza sociale dovrebbero essere adattati e accompagnati, se possibile, da contratti collettivi e da disposizioni finanziarie di tipo mutualistico.

Miglioramento della qualità di vita grazie a una carta della sostenibilità sociale che copra per esempio i diritti sociali fondamentali, la protezione sociale, i servizi sociali, il diritto alla salute e i diritti dei pazienti, compresi i malati mentali.

6.2   Garanzia dei diritti sociali fondamentali

La Carta dei diritti fondamentali dell'UE. I principi e le disposizioni della Carta dovrebbero contribuire a guidare e incoraggiare progressi e azioni nel quadro della politica sociale dell'UE.

Vigilanza nella lotta contro qualunque forma di discriminazione. Azioni legislative supplementari e altre misure ancora, volte a garantire il rispetto delle disposizioni del Trattato (15), per coprire tutte le cause di discriminazione.

Ratifica di strumenti internazionali ed europei di tutela dei diritti umani. Azioni atte a garantire l'applicazione in termini legislativi e pratici delle disposizioni previste da tali strumenti e un migliore monitoraggio da parte dell'UE e degli Stati membri. Particolare attenzione va riservata alla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo.

6.3   Rafforzamento delle capacità e del potenziale individuali — sviluppo di capacità

Programma europeo per migliorare la conoscenza  (16). Principali priorità e azioni in materia di apprendimento permanente, dotate di una base giuridica e di risorse finanziarie adeguate.

Attuazione del Patto europeo per la gioventù, in particolare:

un pacchetto per l'occupazione giovanile basato su importanti investimenti che offrano ai giovani l'accesso a una prima esperienza professionale dignitosa, la quale conduca a una collocazione più stabile sul mercato del lavoro,

offerta di un'altra opportunità a chi ha abbandonato gli studi.

Programma quadro comunitario di politiche di integrazione. Politiche efficaci e coerenti di integrazione dei migranti, dei rifugiati e delle minoranze, fondate sul rispetto dei loro diritti e sostenute da ampie risorse finanziarie. Sostegno permanente al Forum europeo per l'integrazione che il CESE e la Commissione dovrebbero creare congiuntamente per dar voce ai migranti.

6.4   Verso una società per tutti

Eradicazione della povertà

mantenimento dell'obiettivo di eradicare la povertà in tutti gli Stati membri,

adottare l'obiettivo «povertà zero» per quanto riguarda la povertà infantile,

regime pensionistico dignitoso per lottare contro la povertà tra gli anziani,

fissazione di principi comuni per un reddito minimo dignitoso nel rispetto della sussidiarietà.

Parità tra i sessi

applicazione del Patto europeo per la parità di genere (tramite la legislazione, il metodo aperto di coordinamento (MAC) e principi comuni),

garanzia dei diritti individuali delle donne,

incremento della loro partecipazione in tutti i settori della società,

lotta contro la povertà femminile,

investimenti in servizi di assistenza all'infanzia e agli anziani, che siano accessibili e accettabili in termini di costi,

revisione dei sistemi di tassazione e di sicurezza sociale,

lotta contro la violenza sulle donne.

Far fronte ai bisogni di una società che invecchia

attivazione dell'alleanza per la famiglia, adottata dai capi di Stato e di governo dell'UE,

creazione di un'alleanza per gli anziani (17),

garanzia dell'accesso universale all'assistenza di lunga durata, nonché della sua sostenibilità finanziaria,

lancio di un programma di ricerca,

creazione di un osservatorio delle migliori prassi.

Una strategia comunitaria di ampio respiro a favore della disabilità

presentazione di una proposta quadro anti-discriminazione riguardante specificamente la disabilità,

consolidamento del principio di integrare la dimensione «disabilità» in tutti i settori di intervento,

formulazione di un ampio pacchetto di misure legislative e di valutazioni di impatto di altre normative.

Miglioramento dei servizi di interesse generale

creazione della stabilità giuridica necessaria per garantire il funzionamento dei servizi di interesse generale e, in particolare, dei servizi sociali di interesse generale, nonché mantenimento di un elevato livello di qualità nel rispetto delle competenze dei diversi attori,

sviluppo di strumenti di qualità per valutare le prestazioni di questi servizi allo scopo di accrescerne l'efficacia, anche rispetto ai costi,

promozione di investimenti tramite strumenti combinati di finanziamento pubblico/privati (partenariato pubblico/privati) soprattutto in materia di infrastrutture pubbliche che generano entrate derivanti dal loro sfruttamento.

6.5   Creazione di occupazione e di lavoro di qualità

Una strategia europea ambiziosa ed efficace per l'occupazione, in particolare obiettivi quantificabili in materia di attivazione, apprendimento permanente, occupazione giovanile e parità tra i sessi, da poter valutare in modo comparativo. Alla Commissione si dovrebbero conferire maggiori poteri di attuazione.

Fare della mobilità un'opportunità per tutti. Bisogna sfruttare i vantaggi del mercato interno, attuando fino in fondo la libera circolazione dei lavoratori nell'UE, da associare a:

adeguate misure di sicurezza sociale (efficiente coordinamento transnazionale della sicurezza sociale e portabilità dei diritti sociali in materia di pensione e sanità),

accesso all'alloggio, all'assistenza all'infanzia e all'istruzione,

parità di trattamento per i lavoratori distaccati e mobili rispetto ai lavoratori del paese di accoglienza,

meccanismi di controllo più efficaci e coordinati per il distacco di lavoratori.

Lavoro di qualità con un'equa retribuzione

principi comuni per promuovere il lavoro di qualità con una retribuzione adeguata, riducendo nel contempo il lavoro precario,

misure per lavoratori sottoqualificati e non ancora qualificati,

azioni più incisive contro il lavoro non dichiarato,

elaborazione di un indice europeo della qualità del lavoro,

misure per migliorare la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro grazie a interventi efficaci per far fronte ai nuovi rischi, anche nel caso di nuovi tipi di impiego.

Eliminazione di tutte le discriminazioni sul mercato del lavoro attuando tra l'altro strategie efficienti per ridurre le disparità tra sessi, impedire l'esclusione e creare percorsi di inclusione.

6.6   Promozione dell'imprenditorialità in un contesto sociale

Andrebbe promossa l'imprenditorialità nel senso più ampio del termine per promuovere la crescita e occupazione di maggior qualità, nonché raggiungere la coesione sociale e lottare contro l'esclusione sociale.

Le imprese, soprattutto quelle sociali, e altri tipi di imprese dell'economia sociale come percorsi per un'integrazione efficace nella società e sul mercato del lavoro.

I programmi della Commissione a sostegno dell'imprenditorialità dovrebbero continuare a concentrarsi sull'occupazione di qualità.

Responsabilità sociale delle imprese (RSI). Fare dell'Europa un polo di eccellenza in materia di RSI tramite azioni congiunte di datori di lavoro, sindacati, ONG ed enti pubblici, volte a sviluppare — oltre al pieno rispetto del diritto del lavoro e del diritto sociale — modelli e buone prassi all'insegna della sostenibilità con l'ausilio di incentivi comunitari.

6.7   Anticipo e monitoraggio del cambiamento strutturale

Gestione del cambiamento nell'ambito di un partenariato tra l'impresa e tutti gli attori interessati; essenziali in tal caso la partecipazione e la consultazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti per poter trovare soluzioni appropriate.

Integrazione delle dimensioni ambientale, industriale, economica e sociale nelle proposte dell'UE in materia di industria, cambiamento climatico e ambiente, in combinazione con speciali strumenti di finanziamento per promuovere le nuove tecnologie e l'occupazione.

6.8   Risalto alla dimensione esterna

Promuovere le caratteristiche del modello sociale europeo nelle politiche esterne dell'UE (soprattutto i concetti di lavoro dignitoso, dialogo sociale e dialogo civile, ad es. nelle politiche in materia di scambi commerciali, paesi vicini e ACP).

Consolidamento dell'approccio dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL)

ratifica e attuazione da parte degli Stati membri di tutte le convenzioni dell'OIL pertinenti, comprese quelle in materia di non discriminazione,

integrazione delle norme fondamentali dell'OIL negli accordi commerciali,

rafforzamento del sistema di supervisione dell'OIL.

Promozione dell'etichettatura sociale e ambientale

Adozione delle convenzioni del sistema europeo di preferenze generalizzate (SPG Plus) come punto di riferimento  (18)

Promozione di sistemi di governance internazionale per nuove scelte tecnologiche e ambientali, nonché nuove regole finanziarie internazionali.

Promozione di accordi internazionali sulla RSI

Sviluppo e gestione di una politica europea della migrazione in collaborazione con i paesi di origine.

7.   Metodi e strumenti

7.1   Osservazioni generali

7.1.1

È estremamente importante individuare metodi appropriati ed efficaci per fronteggiare le nuove sfide allo scopo di compiere progressi di natura sociale.

7.1.2

Andrebbero utilizzati appieno gli elementi già presenti nel Trattato e quelli di nuova introduzione (cfr. sopra), oltre a incrementare l'applicazione dell'«acquis sociale». Lo stesso dicasi per altri tipi di azioni e di misure.

7.2   Legislazione nuova o in attesa di adozione

7.2.1

Ai sensi degli articoli 136 e 137 del Trattato si rendono necessarie alcune azioni legislative volte a:

sbloccare gli atti legislativi in attesa di adozione (orario di lavoro, lavoro di agenzia e interinale, portabilità delle pensioni integrative, ecc.),

migliorare talune direttive,

sopprimere gradualmente clausole di deroga,

istituire un quadro di regolamentazione per nuove forme di occupazione e per nuovi rischi sul luogo di lavoro.

7.3   Rafforzare la procedura di trasposizione, di monitoraggio e di valutazione delle azioni

Occorre seguire con attenzione le sentenze della Corte di giustizia, valutarne gli effetti sull'acquis sociale e, se necessario, adottare misure politiche e legislative per impedire eventuali violazioni dei diritti fondamentali più elementari (19).

Occorre sfruttare tutto il potenziale delle parti sociali e della società civile organizzata nel processo di trasposizione e di attuazione della legislazione, delle azioni e dei programmi comunitari.

Occorre potenziare le capacità di controllo e di ispezione in materia di salute e sicurezza sul lavoro e incrementare il rispetto dei diritti dei lavoratori.

7.4   Coregolamentazione e autoregolamentazione

7.4.1

La coregolamentazione e l'autoregolamentazione (accordi, codici di condotta volontari, standard, ecc.) possono aggiungersi alla legislazione quadro comunitaria e ad altre misure in campo sociale. Il dialogo sociale in quanto tale costituisce uno degli elementi di questi strumenti. La coregolamentazione e l'autoregolamentazione possono rappresentare un processo dinamico in grado di reagire al rapido evolversi delle realtà sociali. Essi, però, devono sempre essere valutati attentamente e fondarsi sul coinvolgimento e sulla responsabilizzazione di tutte le parti interessate; non devono inoltre dare origine a uno status giuridico inferiore rispetto al metodo comunitario applicabile.

7.5   Necessità di rafforzare l'autonomia e l'efficienza del dialogo sociale

7.5.1

L'attuale programma di lavoro congiunto delle parti sociali europee per il periodo 2006-2008 indica che il dialogo sociale europeo si prepara ad affrontare le sfide dell'Europa, a patto che le parti sociali si dotino dei mezzi per creare una cultura di relazioni industriali autonome ben funzionante e dinamica a tutti i livelli. L'UE può fornire il proprio contributo:

garantendo un'adeguata consultazione delle parti sociali europee nel quadro dell'articolo 138 del Trattato,

garantendo un'attuazione senza attriti dei loro programmi di lavoro congiunti a lungo termine,

rafforzando le capacità dei sindacati e dei datori di lavoro in materia di formazione e intervenendo anche con nuove modalità, soprattutto nei nuovi Stati membri,

promuovendo accordi collettivi transnazionali, ad esempio tramite garanzia, per le parti sociali, di un quadro giuridico stabile per i negoziati collettivi a livello europeo, comprese disposizioni per la trasposizione di accordi collettivi,

sviluppando ulteriormente le direttive sulla partecipazione dei lavoratori, in particolare per quanto concerne i diritti dei lavoratori all'informazione e alla consultazione.

7.6   Dialogo civile — rafforzare la democrazia partecipativa

7.6.1

Le disposizioni del Trattato di Lisbona in materia di «democrazia partecipativa» (20) offrono nuove possibilità di coinvolgere appieno organizzazioni della società civile — che non siano le parti sociali — nell'elaborazione della politica sociale europea e soprattutto nella concezione di un nuovo programma europeo di azione sociale.

7.6.2

Il CESE è l'istituzione rappresentativa della società civile organizzata a livello comunitario. Il Trattato di Lisbona attribuisce al CESE un ulteriore margine di manovra per svolgere fino in fondo il suo ruolo di intermediario tra la società civile organizzata e gli organi decisionali dell'UE. Il CESE ha una responsabilità particolare nel promuovere la democrazia partecipativa. Esso prenderà iniziative e verificherà secondo quali modalità rendere operativo il nuovo articolo del Trattato, nonché esaminerà i differenti metodi di partecipazione, consultazione e le valutazioni di impatto a cui ricorrono la Commissione europea e altre istituzioni comunitarie al fine di renderli più affidabili, utili e partecipativi. In questo contesto il CESE ribadisce il proprio invito ad adottare uno statuto delle associazioni europee (21).

7.7   Il diritto di iniziativa dei cittadini — uno strumento importante

7.7.1

Il diritto di iniziativa dei cittadini (22) può essere considerato uno dei più importanti strumenti della società civile organizzata per cercare di promuovere un'Europa sociale più vicina ai cittadini e alle loro aspettative in campo sociale.

7.7.2

Le organizzazioni della società civile devono pertanto valutare l'efficacia di questa nuova disposizione del Trattato. Esse devono considerare in quali casi vi possono ricorrere e le modalità di applicazione. Il CESE può contribuire a questa analisi coinvolgendo anche i CES nazionali e le organizzazioni nazionali di appartenenza dei suoi membri.

7.8   Cooperazione rafforzata

7.8.1

La sempre crescente diversità dell'UE costituisce un argomento a favore della cooperazione rafforzata. Gli Stati membri che vogliano andare oltre e più rapidamente nelle questioni di politica sociale possono avvalersi di questa opportunità individuando soluzioni comuni e appropriate. Ovviamente ciò non dovrebbe condurre al fenomeno del dumping sociale, né all'abbandono di chi resta indietro. In tale contesto va osservato che la cooperazione tra alcuni Stati membri esiste già in determinati campi (23).

7.8.2

Segue un elenco di ambiti che si prestano a una possibile cooperazione rafforzata:

adozione di una impostazione comune per l'integrazione delle politiche economiche e sociali nell'area dell'euro,

portabilità dei diritti sociali diversi da quelli contemplati dal regolamento sul coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (24),

azioni volte a rafforzare le varie strategie comunitarie là dove la competenza spetta principalmente agli Stati membri, come, ad esempio, in materia di istruzione.

7.9   Metodo aperto di coordinamento (MAC)

7.9.1

In vari pareri il CESE ha espresso un giudizio positivo nei confronti del MAC, osservando però che dovrebbe essere più efficace. Il MAC ha dato alcuni risultati, ma troppo spesso gli Stati membri non hanno mostrato alcun reale impegno nei confronti degli obiettivi e delle azioni che avevano concordato.

7.9.2

Il CESE ha proposto che il MAC venga utilizzato per definire obiettivi quantitativi e qualitativi, accompagnati da indicatori sociali migliori, e in settori nuovi, come le politiche in materia di integrazione, solidarietà tra generazioni e disabilità.

7.9.3

Il MAC dovrebbe essere più incentrato sulla dimensione locale, riflettendo così l'approccio partecipativo dal basso verso l'alto e il necessario coordinamento tra le parti e le politiche per raggiungere uno sviluppo locale e regionale con il sostegno dei fondi strutturali.

7.9.4

Qui di seguito figurano alcune proposte:

piani di azione locali, regionali e nazionali quali elementi essenziali del programma europeo di azione sociale,

valutazione comparativa dei risultati dello stesso MAC — ricorrendo ad obiettivi e indicatori, verifiche inter pares e scambi di buone prassi — durante la quale dare rilievo alla governance e soprattutto alla partecipazione della società civile organizzata a tutti i livelli e dei CES nazionali.

7.10   Principi comuni

7.10.1

Le recenti iniziative della Commissione in merito, ad esempio, alla flessicurezza hanno introdotto un «nuovo» metodo, basato su principi comuni che servono da raccomandazioni lasciate alla buona volontà degli Stati membri (25).

7.10.2

Il metodo appare appropriato quando si concentra su soggetti molto specifici e quando gli Stati membri vogliono veder realizzati dei progressi anche se la competenza dell'UE è limitata. Dal momento che sono coinvolti numerosi campi di intervento, è necessario un approccio integrato.

7.10.3

Il metodo dei principi comuni offre altresì un'occasione alla società civile organizzata di partecipare non solo alla formulazione, ma anche alla negoziazione e all'applicazione di tali principi.

7.10.4

È fortemente sentita però la necessità di trovare dei collegamenti con altri strumenti e metodi comunitari, ad esempio il MAC e gli orientamenti integrati per l'attuazione della strategia di Lisbona, allo scopo di valutare e misurare l'efficienza di questo metodo «nuovo» e di verificarne la corretta applicazione. A livello di attuazione è importante che i principi comuni siano effettivamente rispettati per evitare che si giunga ad una situazione di concorrenza sleale.

7.11   Indicatori

7.11.1

Il CESE suggerisce di inserire nel programma europeo di azione sociale un'azione sugli indicatori, con il coinvolgimento attivo delle parti direttamente interessate, la quale dovrebbe:

definire nuovi indicatori del benessere, non basati esclusivamente sul PIL/PNL, ma in grado di evidenziare i progressi realizzati in fatto di sviluppo sociale (26),

elaborare indicatori sociali di qualità, affidabili e comparabili, per fornire un quadro realistico e sufficientemente dettagliato dei progressi compiuti in vista degli obiettivi,

sviluppare indicatori qualitativi per misurare, ad esempio, l'accessibilità e la qualità rispetto alle aspettative, come pure il coinvolgimento degli utenti e il livello di trattamento, per stabilire fino a che punto vengono soddisfatte le esigenze dei cittadini.

7.12   Valutazione di impatto delle politiche dell'UE

7.12.1

Bisognerebbe verificare la legislazione, le politiche e i programmi dell'UE in base alle loro ripercussioni sociali. La Commissione è in particolare responsabile di questa valutazione di impatto che dovrebbe coinvolgere da vicino tutti i soggetti interessati. Tutti i maggiori campi di azione della politica sociale, in particolare i loro effetti sull'ambiente, la crescita, la coesione sociale e la sostenibilità, andrebbero valutati ogni cinque anni. Si dovrebbero inoltre definire criteri qualitativi a sostegno dell'analisi e della valutazione necessarie.

7.13   Risorse finanziarie

7.13.1

Lo strumento finanziario per attuare un programma di azione sociale dovrebbe essere inquadrato in una più ampia visione delle risorse comunitarie e nazionali.

7.13.2

Nel quadro della riforma di bilancio bisognerebbe dedicare particolare attenzione all'azione di sostegno a favore della coesione economica e sociale. È necessaria una ridistribuzione delle risorse per garantire e promuovere la coesione, l'occupazione e il modello sociale europeo, nonché di conseguenza il programma europeo di azione sociale, in accordo con le valutazioni quinquennali (cfr. punto 7.12.1).

7.13.3

Finché non sarà in vigore il nuovo bilancio (2013) si potrà procedere a degli storni all'interno del bilancio esistente con o senza negoziati tra Stati membri.

7.13.4

Occorrono una coerenza e un coordinamento maggiori tra i vari fondi (ad es. fondo di coesione, regionale, sociale e agricolo, nonché fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione (FEG)) per inserire la dimensione sociale in diverse politiche.

7.13.5

Proposte di iniziative a medio termine:

riesaminare il FEG, dando particolare rilievo alla portata, ai metodi di applicazione e a un migliore accesso al finanziamento, compreso il rafforzamento del legame con l'FSE; considerare la possibile estensione del FEG all'impatto del cambiamento climatico e delle politiche ambientali sull'occupazione,

rendere i fondi strutturali più reattivi alle strutture di sostegno piccole, ma efficaci, a livello dei cittadini,

istituire un fondo per l'innovazione sociale, per sostenere nuove iniziative sperimentali sulla scorta dell'esperienza positiva del programma EQUAL,

creare rapidamente un Fondo demografico (27),

potenziare il Fondo europeo di integrazione.

Bruxelles, 9 luglio 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Cfr. parere CESE, del 18 gennaio 2007, sul tema Bilancio della realtà della società europea, relatore: OLSSON, GU C 93 del 27.4.2007, punto 5.8.

(2)  Cfr. Carta allegata al programma di azione, in Social Europe 1/90, pag. 28.

(3)  Cfr. articolo 2.

(4)  Titolo IV, articolo 10.

(5)  Enhancing Social Europe (Un nuovo slancio per l'Europa sociale), dichiarazione presentata dai ministri del Lavoro di Belgio, Bulgaria, Cipro, Francia, Grecia, Italia, Lussemburgo, Spagna e Ungheria:

http://www.obreal.unibo.it/File.aspx?IdFile=816

(6)  L'agenda sociale rinnovata è stata adottata dalla Commissione europea il 2 luglio 2008 (COM(2008) 412 def.).

(7)  Cfr. parere CESE, del 6 luglio 2006, sul tema Il modello sociale europeo, relatore: EHNMARK, GU C 309 del 16.12.2006.

(8)  Definizione della Commissione: «L'imprenditorialità concerne la capacità di una persona di tradurre le idee in azione. In ciò rientra la creatività, l'innovazione e l'assunzione di rischi come anche la capacità di pianificare e di gestire progetti per raggiungere obiettivi. È una competenza utile a tutti nella vita quotidiana, nella sfera domestica e nella società, serve ai lavoratori per aver consapevolezza del contesto in cui operano e per poter cogliere le opportunità che si offrono ed è un punto di partenza per le abilità e le conoscenze più specifiche di cui hanno bisogno gli imprenditori che avviano un'attività sociale o commerciale». Cfr. il parere del CESE del 25 ottobre 2007 sul tema Spirito imprenditoriale e agenda di Lisbona, punto 2.2, relatrice: SHARMA, correlatore: OLSSON (GU C 44 del 16.2.2008).

(9)  Cfr. parere di cui alla nota 8.

(10)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Opportunità, accesso e solidarietà: verso una nuova visione sociale per l'Europa del XXI secolo, COM(2007) 726 def.

(11)  Cfr. parere CESE, del 22 aprile 2008, sul tema I negoziati sui nuovi accordi commerciali: la posizione del CESE, relatore: PEEL, correlatrice: PICHENOT, GU C 211 del 19.8.2008, pag. 82.

(12)  Cfr. in particolare l'articolo 136 del Trattato di Lisbona.

(13)  Cfr. ad es. il rapporto di analisi congiunto Key challenges facing European Labour markets (Le principali sfide per i mercati del lavoro europei), pubblicato da BusinessEurope, CEEP e CES nell'ottobre 2007.

(14)  Parere CESE, del 22 aprile 2008, in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniVerso principi comuni di flessicurezza: posti di lavoro più numerosi e migliori grazie alla flessibilità e alla sicurezza, relatore: JANSON, correlatore: ARDHE, GU C 211 del 19.8.2008, pag. 48.

(15)  Articolo 16 E del Trattato di Lisbona (ex articolo 13).

(16)  Cfr. Günther Schmied: Transitional Labour Markets: Managing Social Risks over the Life Course (Mercati del lavoro transitori: gestione dei rischi sociali lungo l'arco della vita) contributo alla riunione informale dei ministri dell'Occupazione e degli affari sociali, Guimarães, Portogallo, luglio 2007

http://www.mtss.gov.pt/eu2007pt/en/preview_documentos.asp?r=29&m=pdf, pag. 69.

(17)  Progetto di parere sul tema Tener conto delle esigenze delle persone anziane SOC/308 (relatrice: HEINISCH), non ancora pubblicato nella GU (il parere è stato adottato nel settembre 2008)

(18)  Cfr. parere CESE, del 22 aprile 2008, sul tema I negoziati sui nuovi accordi commerciali: la posizione del CESE, relatore: PEEL, correlatrice: PICHENOT, punto 5.7, GU C 211 del 19.8.2008, pag. 82.

(19)  Cfr. ad es. la sentenza della Corte di giustizia (grande sezione), del 18 dicembre 2007, Laval un Partneri Ltd contro Svenska Byggnadsarbetareförbundet, Svenska, causa C-341/05, sentenza della Corte di giustizia, causa Viking, sentenza della Corte di giustizia, causa Ruffert C-346/06.

(20)  Articolo 8 B.

(21)  Cfr. ad esempio parere CESE, del 28 gennaio 1998, sul tema La promozione del ruolo delle associazioni e delle fondazioni in Europa, relatore: OLSSON, GU C 95 del 30.3.1998.

(22)  Articolo 8 B 4.

(23)  Ad esempio nel caso dell'euro e dell'area Schengen.

(24)  Regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 29 aprile 2004, relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, GU L 166 del 30.4.2004.

(25)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Verso principi comuni di flessicurezza: posti di lavoro più numerosi e migliori grazie alla flessibilità e alla sicurezza COM(2007) 359 def. e altri documenti, GU C 211 del 19.8.2008, pag. 48.

(26)  Cfr. lavoro svolto dal Premio Nobel per l'economia Armatya Sen.

(27)  Cfr. parere CESE, del 18 dicembre 2007, sul tema Quarta relazione sulla coesione, relatore: DERRUINE (GU C 120 del 16.5.2008).


3.2.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 27/108


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati

COM(2007) 637 def. — 2007/0228 (CNS)

(2009/C 27/23)

Il Consiglio, in data 7 febbraio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Consiglio sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali e cittadinanza, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il parere in data 10 giugno 2008 sulla base del rapporto introduttivo del relatore PARIZA CASTAÑOS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 9 luglio 2008, nel corso della 446a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 139 voti favorevoli, 3 voti contrari e 9 astensioni.

1.   Osservazioni introduttive

1.1

Sono già trascorsi otto anni dal Consiglio europeo di Tampere in cui l'Unione europea ha adottato la decisione di dare impulso a una politica comune sull'immigrazione, ma in uno degli aspetti fondamentali, quello della politica e della legislazione riguardante l'ammissione degli immigranti si registrano scarsi progressi. L'ammissione è ancora una materia regolata dalle legislazioni nazionali, senza alcuna armonizzazione a livello dell'UE. Le legislazioni nazionali, inoltre, presentano grandi differenze e traducono politiche contraddittorie.

1.2

Sono trascorsi più di sei anni da quando la Commissione ha elaborato la Proposta di direttiva del Consiglio relativa alle condizioni d'ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendono svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo  (1). Il CESE e il PE hanno elaborato due pareri (2) favorevoli. La proposta, tuttavia, non ha superato la fase di prima lettura da parte del Consiglio. Da allora alcuni Stati membri hanno elaborato nuove legislazioni in materia di immigrazione economica con approcci molto diversi.

1.3

Durante i prossimi anni gli europei avranno bisogno di nuovi immigranti economici che contribuiscano allo sviluppo economico e sociale (3). La situazione demografica è tale che la strategia di Lisbona può fallire se non modifichiamo le politiche di immigrazione. Sono necessarie politiche attive di ammissione, sia di lavoratori molto qualificati che di lavoratori con qualificazioni più modeste.

1.4

Vi è da rammaricarsi del fatto che nel Consiglio dell'Unione europea alcuni governi abbiano posto il veto sulle proposte legislative della Commissione e mantengano le vecchie politiche restrittive che risalgano a epoche superate. Nel frattempo crescono sia l'economia sommersa che l'occupazione irregolare, che funge da vero fattore di richiamo per gli immigranti senza documenti e che si cerca di ridurre con la proposta di direttiva che introduce sanzioni contro i datori di lavoro (4), sulla quale il CESE ha formulato un parere (5). In assenza di una legislazione comune europea gli Stati membri stanno adottando nuove legislazioni caratterizzate da approcci politici molto diversi e ciò crea ulteriori problemi per l'armonizzazione. Questi approcci politici diversi insieme con le divergenze legislative provocano confusione e incertezza nei cittadini.

1.5

Il CESE giudica positivamente il fatto che il Trattato di Lisbona faccia rientrare la legislazione sull'immigrazione nella procedura ordinaria (iniziativa della Commissione, maggioranza qualificata nel Consiglio e codecisione del Parlamento).

1.6

Malgrado ciò, la proposta di direttiva è attualmente in discussione al Consiglio secondo la sterile regola dell'unanimità. Per tale ragione, come proposto dal Comitato sul programma dell'Aia (6)«questo cambiamento deve essere effettuato con urgenza, prima dello studio delle nuove proposte legislative». Il CESE propone che il Consiglio adotti la procedura passerella che è quella già in vigore in materia d'asilo, affinché queste direttive siano approvate a maggioranza qualificata e secondo la procedura di codecisione con il Parlamento europeo.

1.7

Il CESE ha già affermato che «sarebbe meglio definire un quadro legislativo complessivo (orizzontale) anziché varare proposte legislative settoriali (7). La proposta di direttiva di ammissione elaborata a suo tempo dalla Commissione e che il CESE ha approvato con alcune modifiche (8) continua a essere una buona proposta legislativa. In via complementare si possono elaborare norme specifiche per questioni settoriali e condizioni particolari. Un'eventuale scelta del Consiglio dell'Unione europea in favore di un approccio settoriale, soltanto per l'ammissione di immigranti altamente qualificati, oltre a essere discriminatoria, non servirebbe a regolare una grande parte dell'immigrazione. Quest'opzione potrebbe risultare più agevole per il Consiglio, ma non corrisponderebbe alle esigenze europee».

1.8

Il Trattato di Lisbona stabilisce i limiti per la legislazione comune: il diritto di ciascuno Stato membro a definire il numero di immigranti che possono essere ammessi nel suo territorio. Tale limitazione non è tuttavia un ostacolo al raggiungimento di un alto grado di armonizzazione legislativa nell'Unione europea. È uno stimolo perché la gestione nazionale dell'immigrazione economica avvenga secondo procedure comuni e trasparenti. L'autorità competente a emettere i permessi di lavoro e di residenza sarà quella di ciascuno Stato membro, sempre però nel quadro della legislazione comunitaria. In questo modo, ogni Stato potrà decidere, in collaborazione con le parti sociali, le caratteristiche dell'immigrazione (9). Le legislazioni nazionali dovrebbero tenere conto delle circostanze specifiche di ciascun paese, nel quadro della normativa europea.

1.9

Il CESE ritiene che la legislazione in materia di ammissione di lavoratori migranti sia collegata all'evoluzione dei mercati del lavoro, e che, di conseguenza, le autorità nazionali debbano dialogare con le parti sociali.

1.10

D'altro canto, il programma dell'Aia del novembre 2004 ha riconosciuto che «La migrazione legale svolgerà un ruolo importante nel rafforzamento dell'economia basata sulla conoscenza e dello sviluppo economico in Europa, contribuendo così all'attuazione della strategia di Lisbona».

1.11

Il Consiglio europeo del dicembre 2006 ha concordato la politica in materia di immigrazione legale, che si pone due obiettivi:

1.11.1

definire le condizioni di ammissione applicabili a determinate categorie di migranti, da articolare in quattro proposte legislative specifiche, riguardanti i lavoratori altamente qualificati, i lavoratori stagionali, gli apprendisti remunerati e le persone trasferite all'interno di una stessa impresa.

1.11.2

Stabilire il quadro generale di un approccio equo e basato sul rispetto dei diritti dei lavoratori in materia di migrazione.

1.12

Il CESE ha recentemente adottato due pareri (10) in cui propone che la gestione dell'immigrazione si svolga in collaborazione con i paesi di origine in modo da favorire lo sviluppo di questi ultimi. In un parere (11) recente il CESE ha affermato la necessità di introdurre elementi di flessibilità nella direttiva 2003/109/CE sui residenti di lungo periodo e ha avanzato altre proposte di cui desidera si tenga conto nell'elaborazione delle nuove direttive di ammissione.

2.   Proposta di direttiva

2.1

Il fine della proposta è di armonizzare le procedure di ingresso accelerate, basate su definizioni e criteri comuni e su condizioni di soggiorno favorevoli, così da permettere di attirare lavoratori altamente qualificati. Essa prevede un regime speciale per i giovani professionisti e favorisce la mobilità intracomunitaria.

2.2   Campo d'applicazione ratione materiae e ratione personae

2.2.1

L'obiettivo è di determinare le condizioni di ingresso e di soggiorno per periodi superiori a tre mesi di cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati e dei loro familiari, nonché di stabilire i criteri per il loro soggiorno in altri Stati membri. Il lavoro altamente qualificato è definito come l'esercizio di un lavoro reale ed effettivo sotto la direzione di un'altra persona, per il quale una persona viene retribuita e per il quale sono richiesti titoli di istruzione superiore o almeno tre anni di esperienza professionale equivalente.

2.2.2

Il campo di applicazione ratione personae comprende i cittadini di paesi terzi che chiedono di essere ammessi nel territorio di uno Stato membro per svolgere un lavoro altamente qualificato. Rimangono escluse le seguenti categorie: i richiedenti protezione internazionale o coloro che godono di un regime di protezione temporanea; i rifugiati; i ricercatori; i familiari di cittadini europei che esercitano la libertà di circolazione; coloro che godono dello status di soggiornante di lungo periodo nell'UE; i beneficiari di accordi internazionali.

2.2.3

La direttiva si applicherà fatte salve disposizioni più favorevoli di accordi bilaterali o multilaterali con paesi terzi. Essa lascia inoltre impregiudicata la facoltà degli Stati membri di introdurre o mantenere disposizioni più favorevoli, tranne per quanto riguarda le condizioni di ingresso nel primo Stato membro.

2.3   Condizioni, procedure e diritti

2.3.1

La proposta determina le condizioni di ingresso e i criteri di ammissione:

a)

presentare un contratto di lavoro o un'offerta di lavoro vincolante per almeno un anno;

b)

rispettare i requisiti prescritti dalla legislazione nazionale per l'esercizio della professione regolamentata specificata nel contratto di lavoro o nell'offerta vincolante di lavoro;

c)

per le professioni non regolamentate, presentare documenti che attestino il possesso delle qualifiche professionali superiori per l'attività o per il settore specificato;

d)

un documento di viaggio e un permesso di soggiorno, entrambi validi;

e)

assicurazione contro le malattie;

f)

non costituire una minaccia per l'ordine pubblico, la pubblica sicurezza o la sanità pubblica.

2.3.2

Il salario mensile lordo indicato nel contratto di lavoro o nell'offerta non deve essere inferiore a una soglia salariale nazionale definita e pubblicata a questo fine dagli Stati membri, che deve corrispondere ad almeno tre volte il salario minimo mensile lordo fissato dalla legislazione nazionale (12).

2.3.3

I cittadini di paesi terzi di età inferiore a 30 anni e in possesso di titoli di istruzione superiore sono esentati da alcune di queste condizioni. Il salario mensile lordo deve corrispondere almeno ai due terzi del salario minimo nazionale. Inoltre, qualora il richiedente abbia concluso la sua istruzione superiore nello Stato membro e abbia ottenuto una laurea di primo livello e un master in un istituto di istruzione superiore situato nel territorio della Comunità, non sono richieste prove di esperienza professionale in aggiunta ai titoli di studio superiori.

2.3.4

A norma degli articoli 7 e 19, paragrafo 5, queste disposizioni non pregiudicano la competenza degli Stati membri di determinare le quote di ammissione di cittadini di paesi terzi ai fini di attività lavorative altamente qualificate.

2.4   La Carta blu

2.4.1

Ai cittadini di paesi terzi che rispettino questi criteri viene rilasciata una Carta blu. La validità di una Carta blu è inizialmente di due anni e viene rinnovata per un periodo almeno equivalente (13). Qualora il contratto di lavoro sia di durata inferiore a due anni, la validità della Carta blu corrisponde alla durata del contratto.

2.4.2

Spetta agli Stati membri stabilire se la richiesta di Carta blu debba essere presentata dal lavoratore immigrato o dal datore di lavoro.

2.4.3

Come regola generale, la domanda è presa in considerazione ed esaminata quando il cittadino di un paese terzo soggiorna al di fuori del territorio dell'UE. Tuttavia, la proposta dà agli Stati membri anche la possibilità di accettare, conformemente alla legislazione nazionale, una domanda presentata quando il cittadino del paese terzo non possiede un permesso di soggiorno ma è già legalmente presente sul loro territorio.

2.5   I diritti

2.5.1

Durante i primi due anni di soggiorno nello Stato membro come titolare di Carta blu UE, la persona interessata può accedere al mercato del lavoro solo per esercitare attività di lavoro remunerato conformi alle condizioni applicabili al rilascio della Carta. Una volta trascorso detto periodo, al lavoratore immigrato si riconosce, ai fini dell'accesso al mercato del lavoro e al lavoro altamente qualificato, un trattamento comparabile a quello dei cittadini dello Stato membro. La disoccupazione non costituisce di per sé un motivo per revocare una Carta blu UE, a meno che il periodo di disoccupazione non superi i tre mesi consecutivi.

2.5.2

La Carta blu UE conferisce al titolare lo stesso trattamento riservato ai cittadini nei seguenti campi: condizioni di lavoro (retribuzione, licenziamento, salute e sicurezza sul luogo di lavoro); libertà di associazione, adesione e partecipazione a organizzazioni di lavoratori o datori di lavoro; l'istruzione e la formazione professionale (borse di studio); riconoscimento di diplomi, certificati e altre qualifiche professionali; sicurezza sociale; assistenza sociale; pagamento dei diritti pensionistici acquisiti quando si spostano in un paese terzo; agevolazioni fiscali; accesso a beni e servizi e all'erogazione di beni e servizi a disposizione del pubblico (procedure per l'ottenimento di un alloggio e assistenza fornita dai centri per l'impiego); libero accesso a tutto il territorio dello Stato membro.

2.5.3

Gli Stati membri possono applicare eccezioni, per esempio impedire l'accesso a determinate attività lavorative o ad alcuni diritti sociali.

2.5.4

Il preambolo dell'iniziativa stabilisce che le condizioni favorevoli al ricongiungimento familiare e all'accesso dei coniugi al mercato del lavoro costituiscono un elemento fondamentale di qualsiasi regime volto ad attrarre lavoratori altamente qualificati. A tal fine, la proposta presenta una serie di eccezioni alle condizioni stabilite dalla direttiva 2003/86/CE relativa al diritto al ricongiungimento familiare (14) per agevolare l'esercizio di detto diritto per questo tipo di immigrati.

2.5.5

La proposta di direttiva prevede inoltre una serie di deroghe alla direttiva 2003/109/CE, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano soggiornanti di lungo periodo (15). I cittadini di paesi terzi altamente qualificati avranno accesso a un numero maggiore di diritti e a un trattamento amministrativo più favorevole e più flessibile rispetto a coloro che abbiano lo status di residenti di lungo periodo.

2.5.6

Gli Stati membri devono agevolare in ogni modo il cittadino di un paese terzo, la cui domanda è stata accettata, nell'ottenimento del visto necessario.

2.5.7

Trascorsi due anni di soggiorno regolare in uno Stato membro come beneficiario dello status riconosciuto dalla Carta blu UE, la proposta dà al lavoratore la possibilità di trasferirsi in un secondo Stato membro per svolgere un'attività di lavoro altamente qualificato purché siano rispettate le stesse condizioni necessarie all'ottenimento della Carta blu nel primo Stato membro. I suoi familiari potranno accompagnarlo o ricongiungersi con lui.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il Comitato economico e sociale europeo appoggia l'idea di una procedura comune accelerata e trasparente per l'ammissione dei lavoratori migranti, conformemente al disposto del Trattato di Lisbona e nel rispetto del diritto degli Stati membri di stabilire il numero di immigrati da ammettere nel loro territorio.

3.2

Il CESE è dell'avviso che, in conformità con i principi e i valori dell'UE, la legislazione sull'immigrazione debba rispettare la Carta dei diritti fondamentali dell'UE e la legislazione contro la discriminazione.

3.3

Dopo la ratifica ed entrata in vigore del Trattato di Lisbona, sarà più chiara la divisione di competenze tra l'UE e gli Stati membri e il Consiglio adotterà le decisioni a maggioranza qualificata e con procedura di codecisione con il Parlamento europeo, superando la regola attuale dell'unanimità la quale è un ostacolo all'adozione di una vera legislazione comune.

3.4

Il CESE propone che, per l'adozione della legislazione in materia di immigrazione (la direttiva in esame e le seguenti), il Consiglio applichi la procedura ordinaria (analogamente a quanto deciso per la legislazione in materia di asilo), anticipando così il disposto del Trattato di Lisbona. Propone inoltre che la Commissione acceleri l'iter delle altre direttive in materia di ammissione previste per i prossimi mesi (riguardanti i lavoratori stagionali, gli apprendisti remunerati e le persone trasferite all'interno di una stessa impresa).

3.5

Il Comitato auspica che l'UE arrivi ad avere una legislazione comune adeguata con un alto grado di armonizzazione affinché l'immigrazione sia incanalata con procedure legali, flessibili e trasparenti, nel cui ambito i cittadini dei paesi terzi abbiano un trattamento equo, con diritti e obblighi comparabili a quelli dei cittadini comunitari.

3.6

I diritti e gli obblighi per i cittadini dei paesi terzi che figurano nella proposta di direttiva riguardanti la parità di trattamento salariale, le condizioni di lavoro, la libertà di associazione, l'istruzione e la formazione professionale, costituiscono una buona base di partenza per la legislazione sull'immigrazione, che deve essere estesa a tutte le categorie di lavoratori migranti.

3.7

Il Comitato è d'accordo sul fatto che la nuova legislazione in materia di immigrazione preveda di trattare il ricongiungimento familiare in modo meno restrittivo rispetto alla direttiva 2003/86/CE.

3.8

Il CESE concorda sull'opportunità che la legislazione in materia di immigrazione abbia maggiore flessibilità in merito ai permessi di soggiorno, come proposto dal Comitato stesso in un recente parere (16), al fine di permettere sistemi di immigrazione circolare che possano agevolare lo sviluppo dei paesi di origine e compensare gli effetti più deleteri della «fuga di cervelli». Nel parere summenzionato il CESE ha proposto alcune modifiche alla direttiva in materia di status dei residenti di lungo periodo (direttiva 2003/109/CE) per introdurre flessibilità nelle procedure. Nello stesso parere si includono anche diverse proposte relative alle restanti direttive di ammissione.

4.   Osservazioni particolari

4.1

Il CESE considera la soglia di retribuzione un criterio inadeguato per stabilire chi debba essere considerato lavoratore altamente qualificato.

4.2

Il concetto di «altamente qualificato» dovrebbe essere legato ai diplomi e ai titoli di istruzione superiore o alle equivalenti qualificazioni professionali superiori, e non alla retribuzione che il lavoratore percepirà (17).

4.3

D'altra parte, il fatto di considerare la retribuzione come requisito per ottenere la Carta blu UE renderà più difficile il conseguimento di una politica comune nell'Unione europea. Le grandi differenze che esistono attualmente per quanto riguarda il salario minimo interprofessionale tra gli Stati membri ostacolano l'armonizzazione.

4.4

L'UE deve fare progressi rapidi nel riconoscimento delle qualifiche professionali, tenendo conto del processo di Bologna, che ha per obiettivo quello di facilitare il riconoscimento mutuo dei titoli dei sistemi universitari europei. Finché non esisterà un sistema europeo di riconoscimento delle qualifiche, la materia rimarrà di competenza delle autorità nazionali, tenuto conto della direttiva 2005/36/CE riguardante il riconoscimento delle qualifiche professionali, dei criteri dell'OIL per la definizione dei lavoratori altamente qualificati (18) e dell'International Standard Classification of Education (ISCED 1997 (19)) dell'Unesco.

4.5

Il CESE è d'accordo con il criterio dell'esperienza professionale equivalente a tre anni per la definizione di «lavoro altamente qualificato». Esso però può anche porre problemi nella pratica rispetto a quelle professioni per cui i titoli di istruzione superiore sono di portata più ampia. In ogni caso, dovrà spettare all'autorità nazionale, in collaborazione con le parti sociali, il compito di valutare l'equivalenza dei titoli professionali.

4.6

Il CESE ritiene che la proposta della Commissione intesa ad offrire condizioni preferenziali ai lavoratori migranti altamente qualificati applicando loro un trattamento più favorevole rispetto a quello previsto nelle direttive 2003/86/CE e 2003/109/CE, possa tradursi in un trattamento differente delle diverse categorie di migranti. È necessario assicurare che queste deroghe non intacchino la coerenza complessiva della politica europea sull'immigrazione e il principio della parità di trattamento (20).

4.6.1

La proposta di direttiva sul lavoro altamente qualificato concederà più facilitazioni e diritti in materia di ricongiungimento familiare. Il CESE ritiene che il diritto alla vita in famiglia sia un diritto fondamentale che non può essere condizionato al carattere dell'attività economica o lavorativa del lavoratore e già in altri pareri ha proposto di modificare la direttiva 2003/86/CE sul ricongiungimento familiare, che deve includere le deroghe previste nella proposta di direttiva sul lavoro altamente qualificato (21).

4.6.2

Il CESE esprime la sua preoccupazione sul fatto che la proposta di direttiva non preveda il diritto di lavorare per i familiari del titolare della Carta blu nel caso in cui trasferisca in un altro Stato membro.

4.6.3

D'altro canto, quei cittadini di paesi terzi che dopo un periodo di soggiorno di cinque anni godono dello status europeo di soggiornante di lungo periodo si troveranno in una situazione giuridica meno vantaggiosa rispetto ai lavoratori immigrati altamente qualificati. L'elemento del soggiorno stabile e permanente diventerà un fattore secondario al momento di conferire certezza giuridica e integrazione nell'UE. Già in un recente parere (22), il CESE ha messo in rilievo la necessità di rendere più flessibile la direttiva 2003/109/CE per tutti i residenti di lungo periodo.

4.7

La proposta presenta alcuni tratti per i quali è discutibile la compatibilità con gli obblighi assunti dagli Stati membri nell'ambito del diritto internazionale. Per esempio, il requisito a norma del quale, durante i primi due anni di soggiorno regolare, la mobilità professionale del titolare di una Carta blu UE sarà soggetta a restrizioni non è conforme al dettato della Convenzione europea sullo status giuridico dei lavoratori migranti del 1977, che all'articolo 8 fissa a un anno la durata massima di questo periodo.

4.8

Secondo la proposta di direttiva, chi sia disoccupato per tre mesi consecutivi non potrà rinnovare la Carta blu UE. Neppure questo periodo, tuttavia, corrisponde a quello di cinque mesi riconosciuto dalla Convenzione europea sullo status giuridico dei lavoratori migranti (articolo 9, paragrafo 4).

4.9

Il Comitato propone di prendere in considerazione un periodo di sei mesi di disoccupazione per rispettare le convenzioni internazionali e agevolare il ritorno dei lavoratori all'occupazione. Tale periodo è necessario soprattutto quando il lavoratori stia partecipando a un programma di formazione per accedere a una nuova occupazione.

4.10

Per il CESE, le misure transitorie che limitano nel tempo la libera circolazione dei lavoratori cittadini dei nuovi Stati membri rappresentano un'eccezione da superare rapidamente, in particolare per quanto riguarda l'occupazione di lavoratori altamente qualificati, garantendo al contempo il rispetto del principio di preferenza dei cittadini UE.

4.11

Non è corretto che dal campo d'applicazione della direttiva siano esclusi i rifugiati e i richiedenti asilo. Come proposto dal CESE, le persone che necessitano di protezione internazionale, comprese quelle altamente qualificate, devono poter lavorare (23).

4.12

L'istituzione nella proposta di direttiva di un sistema più flessibile (leggasi un livello di retribuzione inferiore) per i giovani di età inferiore a 30 anni può far pensare che si difenda un sistema discriminatorio, che il CESE non condivide.

4.13

Infine, il Comitato mette in rilievo l'importanza dell'integrazione. Ha elaborato diversi pareri d'iniziativa per promuovere le politiche dell'integrazione (24), e ha organizzato convegni e audizioni in materia. L'UE e le autorità nazionali debbono collaborare alla promozione delle politiche di integrazione, perché l'integrazione, con la parità di trattamento e la lotta alla discriminazione, costituisce una sfida per la società europea e riveste un'importanza particolare per gli enti locali, per le parti sociali e per le organizzazioni della società civile. Il Comitato collabora con la Commissione europea per l'istituzione del Forum europeo dell'integrazione (25).

Bruxelles, 9 luglio 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  COM(2001) 386 def.

(2)  Parere del CESE del 16 gennaio 2002 in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio relativa alle condizioni d'ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendono svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo, relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 80 del 3.4.2002) e parere del PE nella GU C 43 E del 19.2.2004 (relatrice: TERRÓN I CUSI).

(3)  Cfr. le conclusioni del Consiglio europeo del dicembre 2007 (Piano per l'immigrazione legale) e il parere del CESE del 10 dicembre 2003 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni su immigrazione, integrazione e occupazione, relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 80 del 30.4.2004).

(4)  COM(2007) 249 def.

(5)  Parere CESE del 13 marzo 2008 in merito alla Proposta di direttiva che introduce sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente nell'UE, relatrice: ROKSANDIĆ, correlatore: ALMEIDA FREIRE, approvato durante la sessione plenaria del 12 e 13 marzo 2008 (GU C 204 del 9.8.2008, pag. 70).

(6)  Cfr. il parere del CESE del 15 dicembre 2005 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeoIl programma dell'Aia: dieci priorità per i prossimi cinque anniPartenariato per rinnovare l'Europa nel campo della libertà, sicurezza e giustizia, relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 65 del 17.3.2006).

(7)  Parere del CESE del 9 giugno 2005 in merito al Libro verde sull'approccio dell'Unione europea alla gestione della migrazione economica presentato dalla Commissione (COM(2004) 811 def.), relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 286 del 17.11.2005).

(8)  Parere del CESE del 16 gennaio 2002 in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio relativa alle condizioni d'ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendono svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo, relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 80 del 3.4.2002).

(9)  Cfr. il parere del CESE del 15 dicembre 2005 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeoIl programma dell'Aia: dieci priorità per i prossimi cinque anniPartenariato per rinnovare l'Europa nel campo della libertà, sicurezza e giustizia, punti 4.1.5.6 e 4.1.5.7, relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 65 del 17.3.2006).

(10)  Parere del CESE del 25 ottobre 2007 sul tema Politica comunitaria di immigrazione e di cooperazione con i paesi d'origine per promuovere lo sviluppo, (parere d'iniziativa) relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 44 del 16.2.2008) e parere del CESE sul tema Migrazione e sviluppo: opportunità e sfide (parere di iniziativa), relatore: SHARMA, adottato nella sessione plenaria del 12 e 13 dicembre 2007 (GU C 120 del 16.5.2008, pag. 82).

(11)  Parere del CESE del 25 ottobre 2007 sul tema Politica comunitaria di immigrazione e di cooperazione con i paesi d'origine per promuovere lo sviluppo, (parere d'iniziativa) relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 44 del 16.2.2008).

(12)  «Gli Stati membri nei quali i salari minimi non sono stabiliti fissano la soglia salariale nazionale ad almeno tre volte il reddito minimo in base al quale i loro cittadini possono beneficiare dell'assistenza sociale». Articolo 5, paragrafo 2.

(13)  Il modello del permesso di soggiorno denominato Carta blu UE deve essere conforme al regolamento (CE) n. 1030/2002 del Consiglio, del 13 giugno 2002, che istituisce un modello uniforme per i permessi di soggiorno rilasciati a cittadini di paesi terzi (GU L 157 del 15.6.2002).

(14)  Direttiva 2003/86/CE del Consiglio, del 22 settembre 2003, relativa al diritto al ricongiungimento familiare (GU L 251 del 3.10.2003).

(15)  Direttiva 2003/109/CE del Consiglio, del 25 novembre 2003, relativa allo status dei cittadini di paesi terzi che siano residenti di lungo periodo (GU L 16 del 23.1.2004).

(16)  Cfr. il parere del CESE del 25 ottobre 2007 sul tema Politica comunitaria di immigrazione e di cooperazione con i paesi d'origine per promuovere lo sviluppo, relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 44 del 16.2.2008).

(17)  Cfr. il parere CESE del 30 maggio 2007 in merito alla Proposta di raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio sulla costituzione del Quadro europeo delle qualifiche e dei titoli per l'apprendimento permanente, punto 5.6, relatore: RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO (GU C 175 del 27.7.2007).

(18)  Cfr. la classificazione internazionale tipo delle professioni (ISCO) OIL CIVO-88.

(19)  http://www.unesco.org/education/information/nfsunesco/doc/isced_1997.htm

(20)  Consiglio europeo di Tampere, conclusioni della presidenza, 15 e 16 ottobre 1999, punto 18 delle conclusioni: «L'Unione europea deve garantire l'equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi che soggiornano legalmente nel territorio degli Stati membri. Una politica di integrazione più incisiva dovrebbe mirare a garantire loro diritti e obblighi analoghi a quelli dei cittadini dell'UE. Essa dovrebbe inoltre rafforzare la non discriminazione nella vita economica, sociale e culturale e prevedere l'elaborazione di misure contro il razzismo e la xenofobia».

(21)  La Commissione pubblicherà nei prossimi mesi una relazione di valutazione sul funzionamento della direttiva.

(22)  Cfr. nota 16.

(23)  Parere del CESE del 12 marzo 2008 in merito al Libro verde sul futuro regime comune europeo in materia di asilo, relatrice: LE NOUAIL MARLIÈRE, adottato alla plenaria del 12 e 13 marzo 2008 (GU C 204 del 9.8.2008, pag. 77).

(24)  Parere del CESE del 21 marzo 2002 sul tema Immigrazione, integrazione e ruolo della società civile organizzata, relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 125 del 27.5.2002).

Parere del CESE del 10 dicembre 2003 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al CESE e al Comitato delle regioni su immigrazione, integrazione e occupazione, relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 80 del 30.3.2004).

Parere del CESE del 13 settembre 2006 sul tema L'immigrazione nell'UE e le politiche di integrazione: la collaborazione tra le amministrazioni regionali e locali e le organizzazioni della società civile, relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 318 del 23.12.2006).

Convegno sul tema Immigrazione: il ruolo della società civile nell'integrazione, Bruxelles, 9-10 settembre 2002.

(25)  http://integrationforum.teamwork.fr/


3.2.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 27/114


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano legalmente in uno Stato membro

COM(2007) 638 def. — 2007/0229 (CNS)

(2009/C 27/24)

Il Consiglio, in data 7 febbraio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Consiglio relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano legalmente in uno Stato membro.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 giugno 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore PARIZA CASTAÑOS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 9 luglio 2008, nel corso della 446a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 140 voti favorevoli, 3 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Osservazioni preliminari

1.1

Sono già trascorsi otto anni dal Consiglio europeo di Tampere, in cui l'Unione europea ha deciso di dare impulso a una politica comune sull'immigrazione, ma in uno degli aspetti fondamentali di tale politica, e cioè quello dei principi e delle norme riguardanti l'ammissione degli immigranti, si registrano scarsi progressi. L'ammissione è ancora una materia regolata dalle legislazioni nazionali, senza alcuna armonizzazione a livello dell'UE. Le legislazioni nazionali, inoltre, presentano grandi differenze e riflettono politiche contraddittorie.

1.2

Sono trascorsi più di sei anni da quando la Commissione ha elaborato la Proposta di direttiva del Consiglio relativa alle condizioni d'ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendono svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo  (1). Il CESE e il PE hanno elaborato due pareri (2) favorevoli. La proposta tuttavia non ha superato la fase di prima lettura da parte del Consiglio. Da allora alcuni Stati membri hanno elaborato nuove legislazioni in materia di immigrazione economica con approcci molto diversi.

1.3

Durante i prossimi anni gli europei avranno bisogno di nuovi immigranti economici che contribuiscano allo sviluppo economico e sociale (3). La situazione demografica è tale che la strategia di Lisbona può fallire se non modifichiamo le politiche di immigrazione. Sono necessarie politiche attive di ammissione, sia di lavoratori molto qualificati che di lavoratori con qualificazioni più modeste.

1.4

Risulta incomprensibile che nel Consiglio dell'Unione europea alcuni governi abbiano posto il veto sulle proposte legislative della Commissione e mantengano le vecchie politiche restrittive che risalgono a epoche oramai superate. Nel frattempo crescono sia l'economia sommersa che l'occupazione irregolare, che funge da vero fattore di richiamo per gli immigranti senza documenti. In assenza di una disciplina comune europea gli Stati membri stanno adottando nuove legislazioni, che sono caratterizzate da approcci politici molto diversi e accrescono ulteriormente i problemi connessi all'armonizzazione. Questi approcci politici diversi insieme con le divergenze legislative provocano confusione e incertezza nei cittadini.

1.5

Il CESE ha proposto che in materia di ammissione degli immigranti il Consiglio dell'Unione europea abbandoni la regola dell'unanimità e adotti le sue decisioni a maggioranza qualificata e secondo la procedura di codecisione con il Parlamento europeo (4). Solo così si potrà elaborare una legislazione di qualità che comporti dei progressi in materia di armonizzazione nell'UE.

1.6

Il CESE giudica positivo il fatto che il Trattato di Lisbona faccia rientrare la legislazione sull'immigrazione nella procedura ordinaria (iniziativa della Commissione, maggioranza qualificata nel Consiglio e codecisione del Parlamento).

1.7

Malgrado ciò, la proposta di direttiva è attualmente in discussione al Consiglio secondo la sterile regola dell'unanimità. Per tale ragione, come proposto dal Comitato nel parere sul programma dell'Aia (5)«questo cambiamento deve essere effettuato con urgenza, prima dello studio delle nuove proposte legislative». Il CESE propone che il Consiglio adotti la procedura passerella, analoga a quella già in vigore in materia d'asilo, affinché queste direttive siano approvate a maggioranza qualificata e secondo la procedura di codecisione con il Parlamento europeo.

1.8

Il CESE ha già affermato di ritenere che «sarebbe meglio definire un quadro legislativo complessivo (orizzontale) anziché varare proposte legislative settoriali. La proposta di direttiva di ammissione elaborata a suo tempo dalla Commissione e che il CESE ha approvato con alcune modifiche continua a essere una buona proposta legislativa. In via complementare si possono elaborare norme specifiche per questioni settoriali e condizioni particolari. Se il Consiglio dell'Unione europea optasse per un approccio settoriale, rivolto soltanto all'ammissione di immigranti altamente qualificati, questo oltre a essere discriminatorio non risolverebbe il problema di disciplinare una grande parte dell'immigrazione. Questa opzione potrebbe risultare più agevole per il Consiglio, ma non corrisponderebbe alle esigenze europee» (6).

1.9

Il Trattato di Lisbona fissa i limiti per la legislazione comune: il diritto degli Stati membri a stabilire il numero di immigranti che possono essere ammessi nel loro territorio. Tale limitazione non è tuttavia un ostacolo al raggiungimento di un alto grado di armonizzazione legislativa nell'Unione europea. È anzi uno stimolo perché la gestione nazionale dell'immigrazione economica avvenga secondo procedure comuni e trasparenti. L'autorità competente a rilasciare i permessi di lavoro e di residenza sarà quella di ciascuno Stato membro, sempre però nel quadro della legislazione comunitaria. In questo modo, ogni Stato potrà decidere, in collaborazione con le parti sociali, le caratteristiche dell'immigrazione sul suo territorio. Le legislazioni nazionali dovranno riflettere, nel quadro della legislazione europea, le circostanze specifiche di ciascun paese.

1.10

Questa proposta di direttiva del Consiglio, di carattere orizzontale, che istituisce una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro, e definisce un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano legalmente in uno Stato membro, traduce l'obiettivo dell'Unione europea di dotarsi di una politica generale in materia di immigrazione.

1.11

Si tratta di un obiettivo già adottato nel Consiglio di Tampere dell'ottobre 1999, la cui dichiarazione finale fa riferimento al fatto che L'Unione europea deve garantire l'equo trattamento dei cittadini dei paesi terzi che soggiornano legalmente nel territorio degli Stati membri e mirare a garantire loro diritti e obblighi analoghi a quelli dei cittadini dell'UE.

1.12

D'altro canto, il programma dell'Aia del novembre 2004 ha riconosciuto che «la migrazione legale svolgerà un ruolo importante nel rafforzamento dell'economia basata sulla conoscenza e dello sviluppo economico in Europa, contribuendo così all'attuazione della strategia di Lisbona».

1.13

Nel 2004 la Commissione ha presentato un Libro verde (7) al fine di aprire un dibattito e un periodo di consultazione sulla gestione nell'UE dell'immigrazione economica. Il CESE ha elaborato un parere (8) in cui proponeva che l'UE si dotasse di una legislazione comune, caratterizzata da un alto grado di armonizzazione, per l'ammissione di immigrati, affermando altresì l'opportunità di adottare un quadro legislativo orizzontale piuttosto che settoriale.

1.14

Il Consiglio europeo del dicembre 2006 ha approvato un piano per la politica in materia di immigrazione che intende conseguire due obiettivi:

1.14.1

definire le condizioni di ammissione applicabili a determinate categorie di migranti, da sviluppare in quattro proposte legislative specifiche, riguardanti i lavoratori molto qualificati, i lavoratori stagionali, i tirocinanti remunerati e le persone trasferite nell'ambito di un'impresa;

1.14.2

stabilire il quadro generale di un approccio equo e basato sul rispetto dei diritti dei lavoratori in materia di migrazione.

2.   Proposta di direttiva

2.1

La proposta in esame intende garantire uno status giuridico sicuro ai lavoratori di paesi terzi già ammessi e introdurre semplificazioni procedurali per i nuovi richiedenti.

2.2

Attualmente nell'UE esistono grandi differenze nel trattamento riservato ai lavoratori migranti da parte degli Stati membri.

2.3

Grandi sono anche le disuguaglianze nel trattamento degli immigranti rispetto a quello dei lavoratori comunitari.

2.4

La proposta in esame è finalizzata a istituire una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consenta ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro, nonché a creare un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano legalmente in uno Stato membro: condizioni di lavoro, salario, licenziamento, associazione, accesso alla formazione professionale, accesso alle principali prestazioni della sicurezza sociale, ecc.

2.5

Si tratta di una direttiva orizzontale, che comprende sia gli immigranti economici che tutte le persone che inizialmente sono state ammesse per motivi diversi dal lavoro e che hanno in seguito ottenuto il diritto a lavorare in base ad altre disposizioni comunitarie o nazionali (ricongiungimento familiare, rifugiati, studenti, ricercatori ecc.).

2.6

Sono esclusi dal campo di applicazione i lavoratori transnazionali (9), che non sono considerati parte del mercato del lavoro dello Stato membro, le persone trasferite nell'ambito di un'impresa, i prestatori di servizio su contratto, i tirocinanti di livello postuniversitario, i lavoratori stagionali e, infine, coloro che abbiano acquisito lo statuto di residenti di lungo periodo.

2.7

La proposta introduce l'obbligo, per gli Stati membri, di esaminare qualsiasi domanda di autorizzazione a lavorare e soggiornare nel loro territorio nel quadro di una procedura unica di domanda e, se la domanda è accolta, di rilasciare al richiedente un permesso unico di soggiorno e di lavoro.

2.8

A tal fine, ciascuno Stato membro deve designare un'autorità competente a ricevere le domande e rilasciare il permesso, senza pregiudicare la responsabilità e le competenze delle autorità nazionali in relazione all'esame della domanda e alla decisione in merito alla stessa.

2.9

Il permesso unico deve riprendere il modello armonizzato di permesso di soggiorno per cittadini di paesi terzi previsto dal regolamento (CE) n. 1030/2002.

2.10

Il permesso unico garantisce a chi ne è titolare il diritto a entrare e risiedere nel territorio dello Stato membro, ad accedere liberamente a tutto il territorio, ad attraversare altri Stati membri e ad esercitare le attività autorizzate nel permesso.

2.11

In relazione alla procedura unica vengono previste determinate garanzie procedurali, come la necessità di motivare e giustificare ogni caso di rigetto di una domanda; inoltre, poiché la competenza è degli Stati membri, le condizioni e i criteri di rifiuto devono essere fissati dalla legislazione nazionale.

2.12

In caso di rigetto, si stabilisce l'obbligo di prevedere una via di impugnazione, che deve essere notificata per iscritto insieme con il rigetto stesso. Vanno inoltre fornite informazioni sui documenti necessari per la presentazione della domanda e sulle tasse da versare.

2.13

Per quanto riguarda i diritti, viene stabilito uno standard minimo sulla cui base si deve definire la parità di trattamento per tutti coloro cui è stato concesso un permesso unico, fatto salvo il diritto degli Stati membri ad adottare o mantenere disposizioni più favorevoli.

2.14

Si stabilisce che i lavoratori dei paesi terzi beneficiano dello stesso trattamento riservato ai cittadini nazionali almeno per quanto concerne:

le condizioni di lavoro, tra cui la retribuzione e il licenziamento nonché la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro,

la libertà di associazione, adesione e partecipazione a organizzazioni di lavoratori o di datori di lavoro o a qualunque organizzazione professionale di categoria,

l'istruzione e la formazione professionale,

il riconoscimento di diplomi, certificati e altre qualifiche professionali secondo le procedure nazionali applicabili,

la parità di trattamento in materia di sicurezza sociale, che copre le prestazioni di cui al regolamento (CEE) n. 1408/71, applicandolo anche alle persone che giungono in uno Stato membro direttamente da un paese terzo,

il pagamento, in caso di trasferimento in un paese terzo, dei diritti pensionistici acquisiti,

le agevolazioni fiscali,

l'accesso a beni e servizi, incluse le procedure per l'ottenimento di un alloggio e l'assistenza fornita dagli uffici di collocamento.

2.15

Gli Stati membri possono limitare la parità di trattamento:

esigendo la conoscenza della lingua per concedere l'accesso alla formazione,

limitando i diritti alle borse di studio,

limitando la parità di trattamento per quanto riguarda le condizioni di lavoro (salario, licenziamento, e salute sul posto di lavoro), la libertà di associazione, i vantaggi fiscali e i diritti alle prestazioni della sicurezza sociale a coloro che occupano effettivamente un posto di lavoro.

2.16

Per quanto riguarda il riconoscimento delle qualifiche, si prevede la parità di trattamento rispetto alle procedure nazionali sulla base della direttiva 2005/36/CE, nel senso che le qualifiche che un cittadino di un paese terzo abbia acquisito in un altro Stato membro devono essergli riconosciute allo stesso modo in cui sono riconosciute ai cittadini dell'UE.

2.17

Per quanto riguarda la parità di trattamento in materia di accesso ai beni e ai servizi, compreso quello all'alloggio, gli Stati membri possono limitare il diritto all'assistenza abitativa pubblica ai soli cittadini di paesi terzi che soggiornano nel loro territorio da almeno tre anni.

2.18

Infine, la proposta garantisce il rispetto delle disposizioni più favorevoli contenute negli accordi comunitari o negli strumenti internazionali più favorevoli, tra cui quelli adottati nel quadro del Consiglio d'Europa che si applicano ai lavoratori migranti che sono cittadini dei paesi membri del Consiglio d'Europa. Non pregiudica neppure le disposizioni più favorevoli delle convenzioni internazionali che vietano le discriminazioni basate sull'origine nazionale.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE ha proposto che per adottare la disciplina in materia di immigrazione il Consiglio dell'Unione europea abbandoni la regola dell'unanimità e deliberi a maggioranza qualificata e secondo la procedura di codecisione con il Parlamento europeo (10). Solo così si potrà elaborare una legislazione di qualità che comporti dei progressi in materia di armonizzazione nell'UE.

3.2

Il CESE giudica positivamente il fatto che il Trattato di Lisbona faccia rientrare la legislazione sull'immigrazione nella procedura ordinaria (iniziativa della Commissione, maggioranza qualificata nel Consiglio e codecisione del Parlamento).

3.3

Dopo la ratifica e l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona le competenze rispettive dell'UE e degli Stati membri saranno più chiare e il Consiglio adotterà le decisioni a maggioranza qualificata e con procedura di codecisione con il Parlamento europeo, superando la regola attuale dell'unanimità la quale è un ostacolo all'adozione di una vera legislazione comune. Il CESE invita pertanto il Consiglio ad adottare gli atti giuridici in materia di immigrazione secondo la procedura ordinaria (analogamente a quanto è stato deciso per la legislazione in materia di asilo) anticipando il disposto del Trattato di Lisbona.

3.4

Il CESE propone al Consiglio di dare la priorità alla direttiva in oggetto rispetto a quella sui lavori altamente qualificati COM(2007) 637 e alle altre direttive settoriali; propone inoltre alla Commissione di accelerare l'elaborazione delle altre direttive sull'ammissione previste per i prossimi mesi (lavoratori stagionali, tirocinanti retribuiti e lavoratori in trasferimento all'interno di società multinazionali).

3.5

Il Comitato auspica che l'UE possa presto avere un'adeguata legislazione comune e un alto grado di armonizzazione, affinché nei confronti dell'immigrazione vengano utilizzate procedure legali, flessibili e trasparenti, nel cui ambito i cittadini dei paesi terzi possano beneficiare di un trattamento equo, con diritti e obblighi comparabili a quelli dei cittadini comunitari.

3.6

I diritti e gli obblighi dei cittadini dei paesi terzi menzionati nella proposta in esame, riguardanti la parità di trattamento salariale, le condizioni di lavoro, la libertà di associazione, l'istruzione e la formazione professionale, costituiscono una buona base di partenza per la futura legislazione sull'immigrazione.

4.   Osservazioni particolari

4.1

Il CESE ritiene che la direttiva in esame, che riveste carattere orizzontale e comprende una procedura unica e un insieme di diritti per i lavoratori dei paesi terzi che risiedono legalmente in uno Stato membro, sia fondamentale perchè l'UE possa porre le fondamenta di una politica comune in materia di immigrazione economica. La proposta di direttiva rispetta il diritto degli Stati membri a stabilire il numero di migranti da ammettere nel rispettivo territorio.

4.2

Il CESE desidera sottolineare l'importanza che riveste la proposta della Commissione per permettere all'UE di avere una legislazione orizzontale concernente la procedura di ammissione e i diritti dei lavoratori dei paesi terzi nel territorio degli Stati membri.

4.3

Nel parere in merito al Libro verde sulla migrazione economica (11), il CESE si è espresso in favore di una procedura unica per l'immigrazione economica: «Vi sono notevoli differenze fra le legislazioni dei diversi Stati membri per quanto riguarda la relazione tra permesso di soggiorno e permesso di lavoro. Il CESE ritiene necessario perseguire una legislazione armonizzata, valida per l'intera Unione. In ciascuno Stato membro vi sarà un'autorità competente per il rilascio dei permessi, ma il permesso concesso da un determinato Stato dovrà venir riconosciuto, con le conseguenze del caso, nel resto dell'Unione. Il CESE desidera che la normativa riduca nella misura del possibile l'iter burocratico e faciliti le procedure per tutti gli interessati: migranti, datori di lavoro e amministrazioni. È auspicabile che vi sia un permesso unico, quello di soggiorno, al quale sarà associata l'autorizzazione a esercitare un'attività lavorativa».

4.4

Nel suddetto parere sul Libro verde, il CESE affermava, in merito ai diritti, che «il punto di partenza della discussione deve essere il principio della non discriminazione. Il lavoratore migrante, indipendentemente dal periodo di tempo per il quale ha ricevuto i permessi di soggiorno e di lavoro, deve fruire dei medesimi diritti economici, occupazionali e sociali di tutti gli altri lavoratori». Il Comitato sottolinea il ruolo delle parti sociali ai vari livelli (di impresa, di settore, nazionale, europeo) ai fini della promozione della parità di diritti sul lavoro. In merito a questo punto il CESE ha d'altronde organizzato, in collaborazione con la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro e le parti sociali europee, una audizione, le cui conclusioni sono state presentate in un altro parere (12).

4.5

Nel già citato parere in merito al Libro verde (13), il CESE proponeva specificamente un complesso di diritti per i cittadini di paesi terzi che esercitino temporaneamente un'attività lavorativa nell'Unione europea e vi risiedano legalmente. Il Comitato fa osservare che i lavoratori immigrati versano alle autorità del paese di accoglienza le imposte e i contributi sociali legati al lavoro, secondo la legislazione dello Stato membro in questione.

4.6

Oltre alla parità di trattamento nel lavoro (condizioni, salario e licenziamento, salute e sicurezza sul posto di lavoro, diritti di associazione, ecc.) il CESE proponeva di includere:

il diritto alla sicurezza sociale, inclusa la copertura sanitaria,

il diritto di accedere a beni e servizi, alloggi inclusi, alle medesime condizioni dei cittadini del paese di accoglienza,

l'accesso all'istruzione ed alla formazione professionale,

il riconoscimento dei diplomi, dei certificati e degli attestati,

il diritto all'istruzione per i minori di età, compresi i sussidi e le borse di studio,

il diritto all'esercizio della docenza ed alla ricerca scientifica, in base alla proposta di direttiva  (14),

il diritto, qualora necessario, all'assistenza giuridica gratuita,

il diritto ad accedere ad un servizio gratuito (pubblico) di collocamento,

il diritto a ricevere un insegnamento della lingua del paese di accoglienza,

il rispetto della diversità culturale,

il diritto a soggiornare e a circolare liberamente nel paese di accoglienza.

4.7

Per far sì che l'Europa promuova il rispetto dei diritti fondamentali dei lavoratori migranti il CESE ha adottato nel 2004 un parere di iniziativa (15) con cui proponeva all'Unione e agli Stati membri di ratificare la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori emigranti e dei membri delle loro famiglie, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1990 (16). Il CESE invita la Commissione a prendere nuove iniziative per la ratifica di tale Convenzione con l'obiettivo di consolidare un sistema internazionale di diritti dei migranti.

4.8

Il Comitato propone di inserire nella relazione introduttiva della direttiva un nuovo paragrafo volto a far sì che nella legislazione sull'immigrazione vengano rispettate le norme dell'OIL, in particolare le convenzioni C97 e C143 sui lavoratori migranti.

4.9

Propone inoltre di inserire nella direttiva dei riferimenti alla parità di trattamento tra uomo e donna, che forma parte dell'acquis comunitario, e alla legislazione comunitaria in materia di lotta contro la discriminazione.

4.10

I lavoratori stagionali non vanno esclusi dall'ambito di applicazione della direttiva. Pur cosciente del fatto che la Commissione sta preparando una direttiva specifica, il CESE ritiene che la parità di trattamento, specie in campo lavorativo, debba essere garantita anche a questa categoria di lavoratori.

4.11

Il Comitato esprime la sua preoccupazione e il suo disaccordo per il fatto che la direttiva consente agli Stati membri di limitare il diritto alla parità di trattamento (17) per quanto riguarda le condizioni di lavoro, (salario, licenziamento, salute e sicurezza sul posto di lavoro, sicurezza sociale) e la libertà di associazione. Tale limitazione è in contraddizione con quanto previsto all'articolo 2. Limitazioni di questo tipo possono violare anche il principio di non discriminazione. Il Comitato ritiene che, anche alla luce della giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee, la parità di trattamento sia uno dei principi del diritto comunitario.

4.12

In ogni caso, le limitazioni dovrebbero essere interpretate alla luce di altri strumenti giuridici internazionali vincolanti più favorevoli, vale a dire la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, le pertinenti convenzioni dell'Organizzazione internazionale del lavoro, e altri testi normativi comunitari e nazionali, anch'essi più favorevoli.

4.13

La direttiva prevede che in caso di diniego del permesso unico, diniego che deve essere notificato per iscritto, l'interessato può impugnare la decisione davanti agli organi giurisdizionali dello Stato membro. Il Comitato propone che quando il diniego si riferisca al rinnovo, alla sospensione o al ritiro del permesso, il ricorso (18) dell'interessato davanti al giudice, abbia un effetto sospensivo nei confronti della decisione amministrativa, fino al momento della sentenza giudiziaria definitiva.

4.14

Il Comitato sottolinea infine l'importanza dell'integrazione. Esso ha elaborato vari pareri di iniziativa per promuovere le politiche di integrazione e organizzato convegni e audizioni su tale tema (19). L'UE e le autorità nazionali devono collaborare nella promozione delle politiche di integrazione; l'integrazione, la promozione della parità di trattamento e la lotta contro la discriminazione costituiscono una sfida per la società europea e specialmente per gli enti locali, per le parti sociali e per le organizzazioni della società civile. Il Comitato collabora attualmente con la Commissione europea alla costituzione del Forum europeo dell'integrazione (20).

Bruxelles, 9 luglio 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  COM(2001) 386 def.

(2)  Parere del CESE, del 16 gennaio 2002, in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio relativa alle condizioni d'ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendono svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo, relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 80 del 3.4.2002) e parere del PE, relatrice: TERRON I CUSI (GU C 43 E del 19.2.2004).

(3)  Cfr. le conclusioni del Consiglio europeo di dicembre 2006 (Piano di politica di migrazione legale) e il parere del CESE, del 10 dicembre 2003, in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni su immigrazione, integrazione e occupazione, relatore: PARIZA CASTAÑOS, (GU C 80 del 30.3.2004).

(4)  Parere del CESE, del 15 dicembre 2005, in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeoIl programma dell'Aia: dieci priorità per i prossimi cinque anniPartenariato per rinnovare l'Europa nel campo della libertà, sicurezza e giustizia, relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 65 del 17.3.2006).

(5)  Cfr. nota n. 4.

(6)  Cfr. nota n. 4.

(7)  Libro verde sull'approccio dell'Unione europea alla gestione della migrazione economica, COM(2004) 811 def.

(8)  Cfr. il parere del CESE, del 9 giugno 2005, sul tema Libro verde sull'approccio dell'Unione europea alla gestione della migrazione economica, relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 286 del 17.11.2005).

(9)  Direttiva 96/71/CE.

(10)  Cfr. nota 4.

(11)  Cfr. nota 8.

(12)  Parere del CESE, del 13 settembre 2006, sul tema L'immigrazione nell'UE e le politiche di integrazione: la collaborazione tra le amministrazioni regionali e locali e le organizzazioni della società civile, relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 318 del 23.12.2006).

(13)  Cfr. nota 8.

(14)  Proposta di direttiva relativa all'ammissione di cittadini di paesi terzi a fini di ricerca nella Comunità europea COM(2004) 178; parere del CESE, del 27 ottobre 2004, in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo relativa alla presentazione di una proposta di direttiva e di due proposte di raccomandazione volte ad agevolare l'ammissione dei cittadini di paesi terzi a fini di ricerca scientifica nella Comunità europea, relatrice: KING (GU C 120 del 20 maggio 2005).

(15)  Parere del CESE, del 30 giugno 2004, sul tema La convenzione internazionale sui diritti dei lavoratori migranti, relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 302 del 7.12.2004).

(16)  Risoluzione 45/158 del 18 dicembre 1990, entrata in vigore il 1o luglio 2003.

(17)  Articolo 12, paragrafo 2.

(18)  Articolo 8.

(19)  Parere del Comitato economico e sociale europeo, del 21 marzo 2002, sul tema Immigrazione, integrazione e ruolo della società civile organizzata, relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 125 del 27.5.2002).

Parere del CESE, del 10 dicembre 2003 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni su immigrazione, integrazione e occupazione, relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 80 del 30.3.2004).

Parere del CESE, del 13 settembre 2006, sul tema L'immigrazione nell'UE e le politiche di integrazione: la collaborazione tra le amministrazioni regionali e locali e le organizzazioni della società civile, relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 318 del 23.12.2006).

Convegno sul tema Immigrazione: il ruolo della società civile nell'integrazione, Bruxelles, 9 e 10 settembre 2002.

(20)  http://integrationforum.teamwork.fr/


3.2.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 27/119


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'Anno europeo della creatività e dell'innovazione (2009)

COM(2008) 159 def. — 2008/0064 (COD)

(2009/C 27/25)

Il Consiglio, in data 7 aprile 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'Anno europeo della creatività e dell'innovazione (2009).

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 21 aprile 2008, ha incaricato la sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, in data 9 luglio 2008, nel corso della 446a sessione plenaria, ha nominato relatore generale RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO e ha adottato il seguente parere con 108 voti favorevoli e 5 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1

Il CESE manifesta il suo totale appoggio a qualsiasi azione di stimolo alla creatività e di promozione dell'innovazione tra i cittadini dell'Unione europea e accoglie quindi con favore l'iniziativa di dedicare un Anno europeo all'appoggio e alla promozione della creatività attraverso l'apprendimento permanente come motore dell'innovazione. In diverse occasioni il Comitato si è espresso sull'importanza dello stimolo all'innovazione nel contesto del conseguimento degli obiettivi della strategia di Lisbona (1). Nonostante ciò, e pur essendo d'accordo con il contesto in cui rientra l'Anno europeo della creatività e dell'innovazione, il Comitato ritiene che la proposta di decisione che si sottopone al suo parere non sia il migliore strumento possibile per realizzare l'obiettivo che si propone. Tale giudizio è basato sulle osservazioni formulate nel presente parere.

1.2

Altri Anni europei sono stati organizzati con ampie prospettive temporali, per cui le proposte venivano presentate anche con due anni di anticipo rispetto all'inizio delle celebrazioni. In questa occasione, invece, dall'approvazione della proposta da parte della Commissione all'inizio dell'Anno europeo vi saranno soltanto sette mesi perché il Parlamento europeo e il Consiglio approvino la decisione e perché la Commissione europea e gli Stati membri organizzino e coordinino le azioni previste. Secondo il CESE il processo è troppo precipitoso e potrebbe pregiudicare la celebrazione di un Anno europeo della creatività e dell'innovazione che meriterebbe una preparazione più consona all'importanza che ha e che è giusto attribuirgli.

1.3

La proposta di decisione appare alquanto indefinita su due aspetti che il CESE considera invece fortemente rilevanti, e che andrebbero chiariti e precisati nel testo. Si tratta del finanziamento dell'Anno europeo e del riferimento all'appoggio o alla partecipazione di altri programmi e politiche dell'Unione europea che esulano dall'ambito dell'apprendimento permanente.

1.3.1

Ammesso che non sia necessario, come indica la proposta della Commissione europea, creare voci di bilancio specifiche per realizzare l'Anno europeo, e che si possa utilizzare la dotazione di bilancio del programma per l'apprendimento permanente, che prevede obiettivi specifici in materia di promozione dell'innovazione, la proposta non menziona alcun importo specifico destinato all'evento, limitandosi a indicare che la fonte di finanziamento sarà il suddetto programma e che altri programmi (non meglio precisati) cofinanzieranno le azioni. Alla luce di quanto esposto nella proposta di decisione, il Comitato ritiene necessario che si menzioni una cifra di previsione delle spese che comporterà l'iniziativa. La proposta dovrebbe quindi contenere una stima della dotazione di bilancio necessaria.

1.3.2

Per quanto riguarda il sostegno finanziario che possono fornire altri programmi e politiche, la proposta è ancora più vaga. Il testo dell'articolato lascia intendere che il cofinanziamento delle attività dell'Anno europeo possa provenire da programmi che abbiano tra i loro obiettivi specifici la promozione dell'innovazione, quali il programma per l'iniziativa imprenditoriale e l'innovazione o quello di appoggio alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, entrambi parte del programma quadro competitività e innovazione. In questo senso il CESE reputa opportuno che il testo della proposta indichi concretamente quali programmi contribuiranno al finanziamento dell'Anno europeo e in quale misura, e come saranno coordinate le azioni dei diversi programmi partecipanti, gestiti da diverse direzioni generali della Commissione europea.

1.4

Sulla scorta dei succitati argomenti, che riassumono alcuni dei temi sviluppati più estesamente nelle osservazioni del presente parere, il CESE propone che la Commissione europea riconsideri la proposta alla luce delle osservazioni da esso formulate. Il Comitato propone inoltre al Parlamento europeo e al Consiglio di tenere conto delle osservazioni stesse e di modificare in tal senso il testo della decisione in merito agli aspetti che si presentano più indefiniti.

2.   Introduzione

2.1

Le conclusioni del Consiglio europeo straordinario di Lisbona del marzo 2000 evidenziano la necessità di dotarsi di un quadro di riferimento europeo per definire le nuove qualifiche di base che la formazione permanente dovrebbe fornire, sottolineando che le persone sono la risorsa principale dell'Europa. Nelle stesse conclusioni si insiste sulla necessità di adeguare i sistemi europei di istruzione e formazione tanto alle richieste della società della conoscenza quanto all'esigenza di migliorare il livello e la qualità dell'occupazione.

2.2

Queste qualifiche di base o competenze chiave per l'apprendimento permanente sono state identificate e descritte nella Raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio del 18 dicembre 2006 (2), e si possono considerare come un fattore essenziale dell'innovazione, della produttività e della competitività, fondamentale per una società basata sulla conoscenza. Su tale Raccomandazione il CESE ha già avuto modo di esprimersi a suo tempo (3).

2.3

Nelle conclusioni del Consiglio europeo tenutosi a Bruxelles l'8 e il 9 marzo 2007, il Consiglio chiede agli Stati membri e alle istituzioni dell'UE di continuare ad agire per creare condizioni quadro migliori per l'innovazione e per agevolare gli investimenti nella ricerca e sviluppo. Nel paragrafo dedicato al rafforzamento dell'innovazione, della ricerca e dell'istruzione, il Consiglio riconosce che gli Stati membri sono decisi a migliorare le condizioni quadro per l'innovazione, quali i mercati competitivi, e a mobilitare risorse addizionali per le attività di ricerca, sviluppo e innovazione. A tal fine il Consiglio europeo invita la Commissione e gli Stati membri a proseguire nell'esecuzione della strategia politica di innovazione, considerando che l'istruzione e la formazione sono requisiti essenziali per il corretto funzionamento del «triangolo della conoscenza» (istruzione — ricerca — innovazione).

2.4

L'istituzione di un Anno europeo della creatività e dell'innovazione è un buon modo per contribuire alla riflessione sulle sfide che l'Europa deve affrontare, sensibilizzando i cittadini all'importanza della creatività e della capacità di innovazione per il miglioramento del loro sviluppo personale e per l'aumento del livello di benessere collettivo.

3.   Sintesi della proposta della Commissione

3.1

La proposta di decisione proclama l'anno 2009 «Anno europeo della creatività e dell'innovazione» il cui obiettivo generale consiste nel sostenere gli sforzi degli Stati membri per promuovere la creatività attraverso l'apprendimento permanente in quanto motore dell'innovazione e fattore chiave dello sviluppo di competenze personali, professionali, imprenditoriali e sociali di tutti gli individui della società. Accanto a questo obiettivo generale si individuano tredici fattori che si ritiene possano contribuire a stimolare la creatività e la capacità di innovazione.

3.2

Le misure proposte per conseguire gli obiettivi indicati comprendono, tra le altre possibilità, convegni e iniziative di sensibilizzazione sulla creatività e la capacità di innovazione, campagne di promozione dei messaggi chiave, l'individuazione e la diffusione di esempi di buone pratiche e la realizzazione di studi su scala nazionale e comunitaria.

3.3

Si istituisce la figura del coordinatore nazionale dell'Anno europeo, responsabile dell'organizzazione a tale livello e si stabilisce il coordinamento delle attività a livello europeo mediante riunioni dei coordinatori nazionali organizzate dalla Commissione europea.

3.4

Infine, la proposta stabilisce che i finanziamenti proverranno dal programma di apprendimento permanente, fatto salvo il sostegno che l'Anno potrà ricevere da altri programmi relativi ad ambiti quali l'impresa, la coesione, la ricerca e la società dell'informazione.

4.   Osservazioni generali sulla proposta

4.1

Il Comitato manifesta il suo totale appoggio a qualsiasi azione di stimolo alla creatività e di promozione dell'innovazione tra i cittadini dell'Unione europea. Nel suo parere d'iniziativa sul tema Innovazione: impatto sulle trasformazioni industriali e ruolo della BEI  (4), il CESE affermava che «l'innovazione deve innanzitutto poggiare su un'ampia base di istruzione e di formazione, conformemente ai criteri dell'apprendimento permanente». Pertanto, coerentemente con la sua posizione, il CESE appoggerà decisamente l'utilizzo di tutti gli strumenti che possano contribuire alla promozione della creatività e della capacità di innovazione, pur considerando necessario formulare le seguenti osservazioni sulla proposta presentata dalla Commissione.

4.2

Il CESE accoglie con favore l'iniziativa di dedicare un anno europeo all'appoggio e alla promozione della creatività tra i cittadini d'Europa attraverso l'apprendimento permanente come motore dell'innovazione. In diverse occasioni il Comitato si è espresso sull'importanza dello stimolo all'innovazione nel contesto del conseguimento degli obiettivi della strategia di Lisbona. In tale contesto, la Relazione Aho (5) considerava necessario promuovere una cultura dell'innovazione per poter affrontare con successo le sfide poste all'Europa sul piano sociale e su quello della produttività.

Nonostante ciò, e pur essendo d'accordo con il contesto in cui rientra l'Anno europeo della creatività e dell'innovazione, il Comitato ritiene che la proposta di decisione che si sottopone al suo parere non sia il migliore strumento possibile per realizzare l'obiettivo che si propone. Ciò vale sia per il merito o contenuto del documento, sia per il modo in cui si sta sviluppando il processo di elaborazione e di approvazione.

4.3

A giudizio del Comitato, l'impostazione di partenza di questa iniziativa non è la più adatta ad azioni di questo tipo. Al punto 3 della relazione contenuta nella proposta di decisione, relativo alla consultazione delle parti interessate, si segnala che si sono svolti dei dibattiti informali con deputati del Parlamento europeo e rappresentanti degli Stati membri. In questo modo la preparazione della proposta ha seguito un percorso «dall'alto verso il basso», ossia dalle istituzioni ai cittadini.

Il CESE ritiene che un'iniziativa «discendente», ossia una in cui la società, le organizzazioni e gli individui che la compongono non abbiano partecipato alla pianificazione e allo sviluppo dei preparativi dell'Anno, rischia di «passare inosservata» agli occhi dei cittadini molto più di una che abbia invece cercato il coinvolgimento attivo di tutti coloro la cui partecipazione successiva è necessaria per il successo finale.

In questo senso è opportuno ricordare l'osservazione formulata dal Comitato in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni sull'attuazione, i risultati e la valutazione globale dell'Anno europeo dei disabili 2003  (6). Nel suddetto parere (7), il CESE invitava le istituzioni comunitarie a favorire un approccio «dal basso verso l'alto» nell'organizzazione di iniziative di questo tipo, e di conseguenza ribadisce oggi la necessità di adottare tale metodologia nella preparazione degli Anni europei.

4.4

Tenendo conto del fatto che l'inizio dell'Anno europeo della creatività e dell'innovazione è previsto per il 1o gennaio 2009, e considerando i tempi che ancora rimangono per l'approvazione da parte del Parlamento europeo e del Consiglio in prima lettura, il Comitato ritiene che il calendario utilizzato per l'elaborazione e l'approvazione di questo Anno europeo sia alquanto precipitoso. In casi precedenti, il Comitato ha adottato il suo parere un anno prima dell'inizio dell'evento (8), il che indica l'orizzonte di pianificazione di largo respiro della Commissione. Senza andare troppo lontano, un buon esempio di tale orizzonte di pianificazione è l'approvazione da parte della plenaria del CESE, nella sessione del maggio 2008, del parere (9) in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante l'Anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale (2010)  (10).

Sarebbe forse più prudente rinviare questa iniziativa, senza proclamare il 2009 Anno europeo, piuttosto che forzare l'approvazione precipitosa di una decisione che non permette di realizzare gli obiettivi perseguiti per mancanza del tempo necessario alla pianificazione delle relative azioni.

4.5

Al punto 3.2 della relazione si prevede che l'Anno europeo avrà un impatto significativo per lo meno quanto quello di altre iniziative precedenti, quali l'Anno europeo dell'istruzione e della formazione lungo tutto l'arco della vita o l'Anno europeo dell'educazione attraverso lo sport. La proposta, tuttavia, non include alcun articolo né alcun riferimento relativo alla valutazione a posteriori dei risultati delle azioni realizzate. Se ne deduce quindi che l'analisi d'impatto sarà eseguita in modo empirico oppure mediante indicatori indiretti del programma per l'apprendimento permanente o di altri programmi interessati da questa iniziativa.

4.6

Il Comitato condivide il parere della Commissione secondo cui la flessibilità nella scelta delle priorità, su base annuale o pluriennale, tanto del programma per l'apprendimento permanente quanto di altri programmi esistenti, permette di avere un margine finanziario sufficiente per non dover destinare risorse differenziate all'organizzazione dell'Anno europeo. Effettivamente la promozione dell'innovazione figura tra gli obiettivi del programma per l'apprendimento permanente e di altri, quali il programma per l'imprenditorialità e l'innovazione e il programma di appoggio alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, entrambi parte del programma quadro per la competitività e l'innovazione. Di conseguenza, benché la proposta non citi esplicitamente il suddetto programma quadro, il Comitato ritiene possibile che l'iniziativa si realizzi sulla base di programmi e dotazioni di bilancio preesistenti, come indicato nel punto 5 della relazione.

5.   Osservazioni specifiche sull'articolato

5.1

L'articolo 2 della proposta stabilisce come obiettivo specifico quello di mettere in evidenza una serie di fattori che possono contribuire a stimolare la creatività e la capacità di innovazione. Tali fattori sono riuniti in tredici grandi punti, che a loro volta riprendono diversi aspetti da sviluppare.

Il CESE ritiene che questi obiettivi e/o fattori dovrebbero essere descritti in modo più concreto, affinché le iniziative da realizzare si concentrino su alcuni aspetti essenziali della creatività e dell'innovazione come assi centrali dell'azione, sui cittadini, e in particolare sui giovani, come destinatari delle azioni da realizzare, e sugli istituti di insegnamento e sul tessuto socioeconomico e imprenditoriale come contesti per lo svolgimento delle azioni stesse.

5.2

Un Anno europeo dedicato alla creatività e all'innovazione dovrebbe poter contare su misure innovative per raggiungere gli obiettivi proposti. Le misure contemplate all'articolo 3, che nell'insieme possono dirsi adeguate, sono quelle utilizzate comunemente per qualsiasi tipo di campagna di sensibilizzazione, promozione o divulgazione. Il Comitato ritiene che sotto il profilo didattico sarebbe estremamente utile, soprattutto per i più giovani, introdurre qualche misura innovativa tra quelle contemplate dal suddetto articolo, per conseguire gli obiettivi indicati nella proposta. A titolo di esempio, si potrebbe organizzare un concorso di idee al fine di trovare uno strumento che dia visibilità permanente alla promozione della creatività e della capacità di innovazione in tutta Europa. Un'altra possibilità è l'assegnazione di un premio europeo, con cadenza annuale o biennale, per valorizzare le idee realmente innovative e offrire opportunità di espressione alla capacità creativa dei nostri cittadini più giovani nelle più diverse sfere di attività.

5.3

Fatto salvo quanto indicato tra le osservazioni generali a proposito del cofinanziamento dell'Anno europeo attraverso la dotazione del programma per l'apprendimento permanente e del programma quadro per la competitività e l'innovazione, il Comitato crede che l'articolo 6 della proposta dovrebbe definire in modo più concreto questo aspetto così importante per il successo dell'iniziativa.

5.3.1

La decisione dovrebbe comprendere, come minimo, una previsione di bilancio. In concreto, essa potrebbe essere una cifra imputabile all'esercizio 2009 o ai successivi esercizi dei programmi che cofinanziano l'Anno europeo, oppure potrebbe essere espressa come percentuale massima di spese imputabili agli esercizi dei suddetti programmi che si ritengano più pertinenti. L'una o l'altra di queste soluzioni sarebbe adeguata, in quanto secondo il CESE non sembra appropriato che rimanga indefinita la previsione delle spese necessarie a realizzare questa iniziativa.

5.3.2

Il citato articolo 6 della proposta inizia con la frase: «Fatto salvo il sostegno che l'Anno può ricevere nel quadro di programmi e politiche relativi ad altri ambiti, quali l'impresa, la coesione, la ricerca e la società dell'informazione, …». A proposito del testo di questo articolo, il Comitato ritiene che la suddetta frase, per la sua ambiguità, lasci indeterminate le modalità di partecipazione e cofinanziamento di altre Direzioni generali della Commissione europea e di programmi diversi dal programma istruzione e cultura o dal programma per l'apprendimento permanente. In questo senso il Comitato crede che nel suddetto articolo dovrebbero essere indicati concretamente i programmi che contribuiscono al finanziamento gestiti da altre direzioni generali della Commissione europea.

5.4

Infine, il CESE considera necessario che la proposta includa tra i suoi articoli un riferimento alla valutazione dei risultati e dell'impatto dell'Anno europeo. È inoltre opportuno che alla fine del periodo di attività si proceda a una valutazione delle azioni realizzate e dei risultati ottenuti per poterne trarre insegnamenti utili alla preparazione di altri Anni europei e per conoscere l'impatto e il successo degli sforzi profusi.

Bruxelles, 9 luglio 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Parere CESE del 13 dicembre 2006 sul tema Sfruttare e sviluppare il potenziale dell'Europa nel campo della ricerca, dello sviluppo e dell'innovazione, relatore: WOLF (GU C 325 del 30.12.2006).

Parere CESE del 14 dicembre 2005 in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma quadro per la competitività e l'innovazione, relatore: WELSCHKE, correlatrice: FUSCO (GU C 65 del 17.3.2006).

Parere CESE del 12 luglio 2007 sul tema Investire nella conoscenza e nell'innovazione (strategia di Lisbona), relatore: WOLF (GU C 256 del 27.10.2007).

(2)  GU L 394 del 30.12.2006.

(3)  Parere CESE del 18 maggio 2006 in merito alla Proposta di raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a competenze chiave per l'apprendimento permanente, relatrice: HERCZOG (GU C 195 del 18.8.2006).

(4)  Parere CESE dell'11 luglio 2007 sul tema Innovazione: impatto sulle trasformazioni industriali e ruolo della BEI, relatore: TÓTH, correlatore: CALVET CHAMBÓN (GU C 256 del 27.10.2007).

(5)  Creating an innovative Europe EUR 22005, ISBN 92-79-00964-8.

(6)  COM(2005) 486 def.

(7)  Parere CESE del 14 febbraio 2006 in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle Regioni sull'attuazione, i risultati e la valutazione globale dell'Anno europeo dei disabili 2003, punto 1.2, relatrice: ANČA (GU C 88 dell'11.4.2006).

(8)  Parere CESE dell'8 dicembre 1999 in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio: Anno europeo delle lingue 2001, relatore generale: RUPP (GU C 51 del 23.2.2000).

Parere CESE del 24 aprile 2002 in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l'Anno europeo dell'educazione attraverso lo sport 2004, relatore: KORYFIDIS (GU C 149 del 21.6.2002).

Parere CESE del 14 dicembre 2005 in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'Anno europeo delle pari opportunità per tutti (2007)Verso una società giusta, relatrice: HERCZOG (GU C 65 del 17.3.2006).

Parere CESE del 20 aprile 2006 in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l'Anno europeo del dialogo interculturale 2008, relatrice: CSER (GU C 185 dell'8.8.2006).

(9)  Parere CESE del 29 maggio 2008 in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante l'Anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale (2010), relatore: PATER, correlatrice: KOLLER (GU C 224 del 30.8.2008, pag. 106).

(10)  COM(2007) 797 def.


3.2.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 27/123


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Una migliore integrazione nel mercato interno come fattore chiave di coesione e di crescita per le isole

(2009/C 27/26)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 settembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema:

Una migliore integrazione nel mercato interno come fattore chiave di coesione e di crescita per le isole.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 giugno 2008, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice GAUCI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 10 luglio 2008, nel corso della 446a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 118 voti favorevoli, 1 voto contrario e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE invita l'UE ad adottare un approccio integrato per una migliore integrazione delle isole nel mercato interno come fattore chiave per promuovere la coesione e la crescita dell'Unione e quindi per realizzare appieno gli obiettivi della nuova agenda di Lisbona. Un tale approccio integrato è giustificato dal fatto che, nonostante le differenze (in particolare di dimensione), le isole affrontano problemi chiave comuni.

1.2

Il CESE raccomanda di definire un quadro integrato di politiche europee che copra in modo coerente tutti i principali problemi delle isole europee.

1.3

Il CESE sottolinea che occorre una governance efficace per affrontare problemi quali l'informazione e la comunicazione, la quantificazione e la qualificazione dei dati, la definizione di una visione strategica comune, la creazione di reti e di cluster o la partecipazione della società civile. Per conseguire questo obiettivo è quindi importante creare le condizioni necessarie che consentano alle amministrazioni locali delle isole di valutare il costo dell'insularità. Per questo motivo occorre che le isole dispongano sia di servizi statistici locali e che di propri indici dei prezzi. Alla fine dovrebbe emergere una metodologia comune di valutazione per tutti i servizi statistici locali.

1.4

A livello di attuazione della normativa, il CESE chiede che per ogni iniziativa UE destinata al mercato interno si effettui anche una valutazione del suo impatto sulle isole, che si aggiunga un «tocco insulare» a tutte le politiche UE e che si attui una semplificazione dei compiti amministrativi, in particolare per le PMI.

1.5

Dato che l'accessibilità è una questione fondamentale per le isole, il CESE desidera porre l'accento sulla qualità della continuità territoriale. Questo strumento dovrebbe venire maggiormente sviluppato nell'UE; esso inoltre deve essere gestito nell'ottica degli spostamenti dalle isole verso la terraferma e non viceversa.

1.6

Il CESE insiste affinché la Commissione presenti al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato delle regioni e allo stesso CESE una relazione annuale intesa a monitorare e valutare l'efficacia delle principali misure messe in atto per risolvere i problemi delle isole europee. La relazione dovrebbe comprendere anche le proposte di azione della Commissione stessa. Si può quindi affermare che il presente parere dà il via a un processo dinamico a lungo termine.

2.   Introduzione

2.1

Secondo la definizione adottata da Eurostat, un'isola deve:

avere una superficie di almeno un chilometro quadrato,

essere distante almeno un chilometro dalla terraferma,

avere una popolazione che vi risiede stabilmente di almeno 50 abitanti,

non avere dei legami permanenti con il continente,

non annoverare fra le proprie città la capitale di uno Stato membro dell'UE.

2.2

Questa definizione dovrebbe essere tuttavia rivista e riformulata partendo dalla semplice constatazione che un'isola è un territorio non raggiungibile a piedi. Inoltre, essa non ha un fondamento giuridico e viene utilizzata solo come riferimento, tanto più che non è disponibile una definizione migliore che tenga conto delle nuove realtà di un'Unione europea allargata che comprende anche Stati membri insulari.

2.2.1

Nel definire un'isola è inoltre opportuno tenere presente la dichiarazione n. 33 del Trattato di Lisbona, che recita: «La conferenza ritiene che il riferimento alle» regioni insulari «contenuto nell'articolo 174 possa includere gli Stati insulari nella loro interezza, a condizione che siano rispettati i criteri necessari».

2.3

Attualmente i territori delle isole europee fanno parte di quattordici Stati membri dell'Unione europea. Sono circa 21 milioni gli isolani che vivono nelle isole dell'Unione europea. Questi territori garantiscono la presenza dell'UE in termini economici e geopolitici in quasi tutti gli oceani e formano una frontiera attiva con molti continenti.

2.4

Come gli Stati membri, anche le isole sono diverse le une dalle altre. Per questo motivo il CESE intende proporre le seguenti tipologie.

2.4.1

Le isole sono diverse sotto il profilo strutturale, dato che alcune sono periferiche, mentre altre sono ultraperiferiche, secondo la definizione che ne dà il Trattato UE (articolo 299, paragrafo 2); alcune sono piccole (in alcuni casi la popolazione può essere addirittura inferiore ai 50 abitanti), altre grandi.

2.4.2

Le isole sono diverse anche sotto l'aspetto istituzionale, poiché alcune sono Stati insulari, altre hanno lo status di regione, altre ancora sono isole costiere che fanno parte di un ente regionale della terraferma.

2.5

Tuttavia, al di là di tutte queste differenze, le isole presentano caratteristiche che possono differenziarle notevolmente dai territori della terraferma, in riferimento, per esempio, alla cultura, all'istruzione, ai trasporti, all'ambiente ecc. Tali aspetti meritano un approfondimento al fine di stabilire una politica nei confronti di tali territori che tenga conto a un tempo delle caratteristiche comuni e delle specificità che possono far variare le opportunità e le sfide delle singole isole. Il CESE si propone di tornare ancora su questo tema.

2.6

Le isole presentano caratteristiche comuni per quanto riguarda, ad esempio, la cultura, l'istruzione, i trasporti (problemi di costi supplementari) e l'ambiente.

2.7

Con la sua nuova comunicazione Un mercato unico per l'Europa del XXI secolo (20 novembre 2007) (1), la Commissione europea ha aperto il dibattito sul futuro del mercato interno; è necessario pensare allo spazio da riservare alle isole in tale riflessione.

3.   Contesto

3.1

Dato che è stata utilizzata una nuova metodologia di governance caratterizzata da un approccio integrato (specie con il Libro verde e i Libri blu sulla futura politica marittima), le questioni relative al mercato interno non devono essere trattate separatamente da quelle regionali. Il mercato interno non è fine a se stesso: è uno strumento al servizio dei territori e dei cittadini.

3.2

Da sempre le isole riflettono su come svilupparsi nel mercato interno e, per far questo, devono anticipare i cambiamenti futuri.

3.3

La politica regionale è uno strumento utile per le isole. È uno strumento, però, che deve essere sviluppato e migliorato in un quadro europeo integrato per consentire alle isole non solo di essere parte del mercato interno sotto il profilo giuridico, ma anche di svolgervi un ruolo di maggior rilievo dal punto di vista economico e sociale. Anche questo aspetto dovrebbe essere preso in considerazione dalla Commissione in vista della futura politica di coesione territoriale che essa dovrà sviluppare in seguito al Trattato di Lisbona.

3.4

Questo quadro integrato delle politiche comunitarie comprende non solo le politiche regionali e di coesione, ma anche, nello specifico, i seguenti settori: trasporti, energia e risorse idriche, istruzione e occupazione, ricerca, sviluppo tecnologico e innovazione, concorrenza, politica industriale, ambiente, agricoltura e pesca.

3.5

Nell'attuale contesto le isole devono essere esaminate innanzitutto alla luce della quarta relazione sulla coesione.

3.5.1

Anche se le istituzioni europee promuovono un approccio integrato delle loro politiche, si constata con sorpresa che la Commissione non sembra dar prova di un'analisi integrata delle difficoltà delle isole.

3.5.2

Agli occhi della Commissione, l'accessibilità è «un problema particolare» che le isole devono affrontare.

3.5.3

La Commissione ha ragione quando individua nelle ridotte dimensioni della popolazione un ulteriore problema: le isole hanno dei mercati locali esigui che limitano la capacità di crescita delle PMI insulari, vista l'assenza di economie di scala. Ciò ne riduce in particolare la capacità di conquistare i mercati europei.

3.5.4

Un'altra conseguenza di ciò è che la maggior parte delle isole non può fare affidamento sul mercato interno (2) che per lo più è di dimensioni troppo ridotte per sostenere un'economia completa ed efficiente. Questo semplice dato di fatto obbliga le PMI locali ad esportare: è l'unica soluzione di cui dispongono.

3.5.5

Occorre inoltre tenere conto di un'altra serie di difficoltà dovute agli svantaggi naturali delle isole, vale a dire tutte le difficoltà legate all'insularità. Gli alti costi supplementari dei trasporti riducono considerevolmente la competitività delle isole. Paradossalmente, il fatto che i costi di trasporto possano «proteggere» i mercati insulari, riducendo la concorrenza continentale, può in realtà tradursi nello sviluppo di situazioni di monopolio sulle isole.

3.5.6

L'insularità è caratterizzata anche dai seguenti aspetti (problemi che incidono anche sulle prospettive di sviluppo a lungo termine delle isole):

le risorse essenziali (quali acqua potabile, energia, materie prime, spazio di vita e terra coltivabile) sono limitate e generano un fenomeno di scarsità e di mancanza di diversificazione economica. Ciò causa anche il problema della monoattività. È quanto evidenziato dal Rapporto conclusivo sull'analisi delle zone insulari e delle regioni ultraperiferiche dell'Unione europea  (3), che pone l'accento in particolare sulla carenza di acqua potabile e sui gravi problemi che ne derivano per le isole mediterranee nei periodi estivi con alta presenza turistica. Sono stati creati impianti di desalinizzazione, ma quelli tradizionali consumano notevoli quantità di elettricità. Molte isole dispongono di un approvvigionamento energetico insufficiente e devono importare combustibili fossili o elettricità attraverso cavi sottomarini,

i rischi naturali hanno conseguenze più gravi: le isole sono zone ecologicamente fragili.

3.5.7

Per quanto riguarda più specificamente la questione dell'accessibilità:

in primo luogo, un'osservazione: la Commissione ha ragione quando afferma che i vincoli di accessibilità possono tradursi nel fatto che «ai tempi di viaggio in automobile o in treno si vanno ad aggiungere quelli della traversata via mare»; gli abitanti delle isole e le loro PMI devono pertanto sopportare costi di trasporto elevati, frequenze di collegamento difficili, rischi sociali e climatici in seguito alla loro posizione insulare (4),

in secondo luogo, la Commissione ha ragione anche quando mette i trasporti e le comunicazioni al centro della competitività delle regioni. Di conseguenza, se lo sviluppo dei centri urbani passa dalla triplice accessibilità (stradale/ferroviaria/aerea) (5), tale principio è ancor più valido per le isole, molte delle quali hanno anche problemi di accessibilità HDSL (6). Tale dato assume una rilevanza ancora maggiore se si considera che «i collegamenti internazionali e con altri importanti centri economici» sono tra i principali criteri «per determinare la sede di un investimento» (7),

infine, le isole hanno grandi difficoltà ad accedere al grande mercato europeo. Come già affermato, devono sopportare elevati costi di trasporto e di conseguenza le PMI insulari non sono attraenti. Risentono anche dell'impossibilità di utilizzare gli stessi modi di produzione delle imprese continentali. Per i costi di consegna, non possono lavorare con il metodo just-in-time. I costi di produzione sono pertanto più elevati.

3.6

Tutti questi elementi evidenziano le difficoltà delle isole a integrarsi nel mercato interno: non riuniscono tutte le condizioni necessarie per beneficiare di tutti i vantaggi offerti da questo mercato di circa 500 milioni di consumatori.

3.6.1

L'UE dovrebbe evitare di adottare una politica indifferenziata valida per tutti e promuovere invece l'approccio integrato cui si faceva riferimento prima. Il problema delle isole è complesso in quanto esse accumulano numerosi svantaggi. Devono però sfruttare anche i loro punti di forza che esistono e che potrebbero costituire la base di uno sviluppo socioeconomico integrato: per esempio le risorse ittiche, le fonti di energia rinnovabile, le attività economiche legate al turismo, una forte identità culturale, il patrimonio naturale e culturale.

3.6.2

Occorre altresì sottolineare che in un documento che accompagna la summenzionata comunicazione Un mercato unico per l'Europa del XXI secolo, la Commissione promuove il principio dell'accesso ai servizi di interesse generale su tutto il territorio dell'Unione europea. Come essa afferma, «è fondamentale per la promozione della coesione territoriale nell'UE». La Commissione aggiunge: «I territori svantaggiati dal punto di vista geografico o naturale quali le regioni ultraperiferiche, insulari, montane, a bassa densità di popolazione e alle frontiere esterne, devono spesso affrontare difficoltà in termini di accesso ai servizi di interesse generale, data la lontananza dai principali mercati o dai maggiori costi dei collegamenti. Si tratta di esigenze specifiche di cui occorre tener conto». La Commissione sembra pertanto essere ben consapevole del problema ed è quindi possibile concepire iniziative in questo campo.

3.7

Per tutte queste ragioni la questione dell'integrazione delle isole nel mercato interno è risultata problematica fin dell'Atto unico europeo. Le isole restano territori vulnerabili. Come affermato in precedenza, la maggior parte di esse non può fare affidamento sul proprio mercato interno e le PMI insulari hanno la necessità di vendere i loro prodotti e servizi sulla terraferma europea. Tuttavia, l'accessibilità e le difficoltà derivanti dalla monoattività costituiscono degli ostacoli alla loro competitività.

3.8

Avendo ben presente tutto ciò, il CESE insiste sulla necessità di introdurre nella normativa futura una valutazione specifica di tutte le principali proposte per le isole. Il CESE sottolinea altresì la necessità di un approccio integrato ai problemi delle isole al fine di tenere conto dei principi fondamentali di proporzionalità e di sussidiarietà richiesti dalle isole.

4.   Un approccio integrato basato sulle risorse delle isole europee

4.1

Come affermato in precedenza, il CESE invita ad adottare un approccio integrato ai problemi delle isole europee accompagnato da un quadro integrato delle politiche comunitarie.

4.2

Le isole devono trovare il loro spazio nella revisione del mercato interno (8). La comunicazione del 20 novembre 2007 conferma gli orientamenti favorevoli alle PMI anticipati nella relazione intermedia del febbraio 2007.

4.3

Le PMI devono essere incoraggiate a impegnarsi in attività transfrontaliere. Questa idea implica l'esistenza di un meccanismo di continuità territoriale in grado di aiutare gli isolani europei ad accedere ai mercati passando per la terraferma sia del proprio Stato che di uno Stato (membro) vicino. Esistono già esempi concreti ed efficaci al riguardo: così, l'isola danese di Bornholm trae vantaggio da un collegamento marittimo, sovvenzionato dallo Stato, con la città svedese di Ystad. La continuità territoriale esiste anche tra la terraferma francese e la Corsica.

4.3.1

Questo strumento, costituito da un collegamento marittimo sovvenzionato, ha migliorato la qualità delle condizioni di trasporto tra due territori francesi e meriterebbe sicuramente di venire sviluppato anche con l'Italia (dato che per un abitante della Corsica è più semplice raggiungere la terraferma attraverso l'Italia piuttosto che attraverso la Francia). Per questo motivo il CESE ritiene che sarebbe interessante studiare le possibilità di estendere questa pratica a tutte le isole europee e di «europeizzarne» l'utilizzo. L'esperienza mostra inoltre che uno strumento del genere deve essere gestito nell'ottica degli spostamenti dalle isole alla terraferma e non viceversa.

4.3.2

Questa «europeizzazione» dello strumento della continuità territoriale rappresenterebbe un esempio concreto di integrazione transfrontaliera, come evidenziato dalla Commissione nella sua comunicazione Un mercato unico per l'Europa del XXI secolo.

4.4

Avere un mercato interno incentrato sulla società della conoscenza può tradursi fra le altre cose nella diffusione delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione nell'UE. Tale idea potrebbe effettivamente costituire un'opportunità per la diversificazione delle economie insulari.

4.5

Si deve ricordare che le isole dispongono di un ambiente naturale favorevole all'innovazione (per esempio: energie rinnovabili, tecnologie blu …). Sapendo che, in base alla quarta relazione sulla coesione menzionata sopra, le performance economiche e in termini di innovazione sono collegate, le isole hanno un ampio margine di manovra.

4.6

Se si tiene presente che nella maggior parte delle isole sono presenti attività ittiche, la bioenergia può rivelarsi interessante per gli acquacoltori e i pescatori. Le politiche pubbliche devono fornire i mezzi per sviluppare queste iniziative; devono aiutare le isole a sviluppare le risorse marine rinnovabili (quali l'energia ricavabile dalle onde e dalle correnti marine, oppure — più specificatamente per le regioni ultraperiferiche — l'energia termica dell'oceano).

4.7

Nel caso dell'agricoltura, per apportare benefici maggiori agli agricoltori delle isole, si deve consentire una certa flessibilità nell'attuazione dei due pilastri della PAC.

4.8

Queste risorse energetiche sono essenziali per le isole in cui l'utilizzo del suolo è sottoposto a forti pressioni (usi concorrenti) e la cui dipendenza dai combustibili fossili costituisce un freno allo sviluppo. Alternative a questo stato di dipendenza vanno individuate nelle energie rinnovabili che possono costituire un'altra risorsa di questi territori. In questo contesto le isole sono dei luoghi eccezionali di sperimentazione e di sviluppo che possono essere utili all'Europa. L'isola della Riunione ha annunciato di recente di volersi impegnare in una politica delle «risorse rinnovabili»: sono già state individuate notevoli risorse rinnovabili marine. L'energia eolica è un altro buon esempio. Di qui al 2009, l'isola di El Hierro nell'arcipelago delle Canarie, garantirà il proprio approvvigionamento energetico con un sistema combinato di turbine eoliche e idroelettricità.

4.9

Un mercato interno basato su una buona normativa europea (9) implica la necessità di studiare come le attuali leggi europee vengano applicate e di verificare se abbiano gli effetti inizialmente previsti. Per quanto riguarda i problemi di regolamentazione discussi in precedenza, un'iniziativa di questo tipo avrebbe senz'altro un impatto positivo sulle isole. Si potrebbe forse lanciare il seguente progetto pilota: dato che entro il 28 dicembre 2011, e successivamente ogni tre anni, la Commissione presenterà al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione completa sull'applicazione della direttiva sui servizi, si potrebbe adottare un approccio territoriale in materia e valutare la situazione delle isole rispetto a quella di altre regioni.

4.10

Tutti questi elementi fanno intravedere possibili soluzioni per una migliore integrazione delle isole nel mercato interno in futuro. Questa integrazione si fonda sul conseguimento di due obiettivi: l'attrattività e la diversificazione.

5.   Un'adeguata attuazione delle politiche nelle isole europee

5.1

Al fine di conseguire i due suddetti obiettivi, il CESE ritiene che un'adeguata attuazione delle politiche dipenda dalle seguenti iniziative.

5.1.1

Garantire migliori collegamenti fra le isole e la terraferma, grazie alle politiche di trasporto e innovazione.

5.1.1.1

Numerosi imprenditori insulari si lamentano dei costi supplementari (dovuti al trasporto) che gravano sui loro prodotti quando questi ultimi raggiungono un porto continentale. Alcuni studi giungono a valutare un 20 % di costi supplementari. Tuttavia, dato che i prodotti differiscono l'uno dall'altro, si dovrebbero realizzare studi precisi (la cui metodologia potrebbe ispirarsi a quella elaborata per lo studio sulle regioni ultraperiferiche). Per conseguire questo obiettivo è quindi importante creare le condizioni necessarie che consentano alle amministrazioni locali delle isole di valutare il costo dell'insularità. Per questo motivo occorre che le isole dispongano sia di servizi statistici locali che di propri indici dei prezzi. Alla fine di questo processo dovrebbe emergere una metodologia comune di valutazione per tutti i servizi statistici locali delle isole europee.

5.1.1.2

In linea generale, le isole hanno bisogno di servizi di interesse generale efficienti.

5.1.2

Si dovrebbe adottare un approccio geografico all'iniziativa Legiferare meglio, il che significa:

valutazione dell'impatto sulle isole di qualsiasi iniziativa dell'UE relativa al mercato interno. Non solo intersettoriale, ma anche geografica,

aggiunta di un «tocco insulare» a tutte le politiche dell'UE,

flessibilità nell'applicare i regolamenti UE,

semplificazione dei compiti amministrativi, più in particolare quelli riguardanti l'accesso alle finanze per le PMI,

adozione di questo approccio da parte degli enti pubblici a livello nazionale, regionale e locale. Oltre all'aspetto della semplificazione, occorre pertanto evidenziare la necessità di attuare strategie che siano coerenti fra i diversi livelli politici.

5.1.3

Si dovrebbero incoraggiare i funzionari europei a seguire misure di formazione nelle isole per consentire loro di comprendere la realtà di questi particolari territori. Il CESE sostiene vivamente il programma Enterprise Experience Program e invita le PMI delle isole a candidarsi per accogliere i funzionari europei, che avranno l'opportunità di discutere di questioni europee con gli isolani direttamente sul campo. La riunione del gruppo di studio tenutasi ad Ajaccio il 7 e l'8 aprile 2008 ha mostrato la validità di questo approccio: andando incontro ai cittadini europei negli stessi Stati membri, l'UE e le sue politiche sono comprese e discusse molto meglio.

5.1.4

Si dovrebbe sottolineare l'importanza delle politiche sugli aiuti di Stato a finalità regionale in futuro: su questo punto preciso il CESE sostiene appieno le proposte della relazione Musotto, vale a dire:

«le politiche di aiuti di Stato esistenti e future dovrebbero essere attuate con maggiore flessibilità, in mancanza della quale si verificheranno inaccettabili distorsioni di mercato nell'UE»,

si dovrebbe esaminare la possibilità di estendere a tutte le regioni insulari che non sono Stati insulari o isole interne il regime che consente di concedere aiuti, nel quadro dei prossimi orientamenti della Commissione in materia di aiuti di Stato a finalità regionale.

5.1.5

Andrebbero rafforzate le capacità delle PMI insulari di:

5.1.5.1

agevolare l'accesso delle PMI a misure di ricerca e innovazione, ad esempio grazie a strumenti come Jeremie. Le isole sono infatti fortemente carenti di ricercatori, laboratori e brevetti. La ricerca privata è talmente debole che si dovrebbe rafforzare la ricerca pubblica. Anche l'idea delle zone franche andrebbe presa in considerazione. Al confronto con il continente, le isole sono in una posizione di arretratezza; fanno eccezione i casi in cui gli enti pubblici attuano una politica volontaristica oppure un settore è economicamente così importante da raggiungere un livello che consente di avviare o sostenere l'attività di ricerca. Inoltre, l'approccio proposto intende salvaguardare il know-how ancestrale, una dimensione dell'innovazione che non va dimenticata;

5.1.5.2

esportare verso paesi terzi. Si deve ricordare che la Commissione, nella sua relazione intermedia sulla revisione del mercato interno (febbraio 2007), chiede che il futuro mercato interno sia aperto a tutto il mondo. Questa richiesta è confermata nella comunicazione Un mercato unico per l'Europa del XXI secolo, nella quale la Commissione propone di «ampliare lo spazio normativo del mercato interno», un'idea che potrebbe concretizzarsi nell'attuazione di programmi di cooperazione fra l'UE e i suoi Stati membri, da un lato, e le nazioni vicine, dall'altro;

5.1.5.3

beneficiare di una forza lavoro altamente qualificata. Le isole soffrono dell'emigrazione dei giovani che preferiscono seguire studi universitari o ricercare elevati guadagni nelle regioni della terraferma. Anche se il PIL non è un indicatore o criterio perfetto, la Quarta relazione sulla coesione sottolinea che il suo aumento deriva da un incremento della produttività o della quota di popolazione occupata. Il CESE crede fermamente che si debbano incoraggiare iniziative per lo sviluppo di università e di altri istituti di studi superiori sulle isole: essi sono indispensabili per la formazione degli abitanti delle isole. Così, ad esempio, dalla sua riapertura nel 1981, l'università della Corsica ha potuto rafforzare sia quantitativamente che qualitativamente il capitale umano della regione grazie al crescente numero di studenti. Tale miglioramento ha ridotto alcuni squilibri del mercato del lavoro e sostenuto l'espansione di settori economici (industria di trasformazione alimentare, turismo, TIC …) e imprese;

5.1.5.4

puntare sulle proprie peculiarità al fine di trovare lo sviluppo più adatto. A tale proposito la Commissione europea ha ragione quando, nel suo Libro verde sulla politica marittima, sottolinea il fatto che «la diversificazione dei prodotti e dei servizi turistici può favorire la competitività delle destinazioni costiere e insulari». Dato che è in linea con una dimensione (non) tecnologica dell'innovazione e risponde alla necessità di una diversificazione generale delle attività economiche delle isole (molte delle quali soffrono di una monoattività nel settore turistico), tale diversificazione è subordinata alle seguenti condizioni:

stilare un inventario completo della situazione di ogni isola europea,

elencare l'intera gamma degli svantaggi che le isole devono affrontare nel settore turistico,

determinare il livello di infrastrutture di ogni isola,

favorire gli scambi e contribuire allo sviluppo dei servizi d'infrastruttura alberghiera e dei trasporti attraverso la stipulazione di contratti speciali tra le regioni insulari e l'Unione europea,

studiare le possibilità di sostegno e di strutturazione al fine di permettere una diversificazione del turismo (culturale, rurale, archeologico, giovanile, sportivo, della pesca, turismo d'affari …),

esaminare la proposta che mira ad attuare piani prospettici regionali per lo sviluppo del turismo insulare, i quali potrebbero precedere le azioni europee ed essere una condizione necessaria per beneficiare di uno specifico finanziamento europeo destinato alle regioni insulari dell'UE e previsto nel quadro dell'obiettivo Competitività regionale e occupazione per il periodo di programmazione 2007-2013 dei fondi strutturali,

determinare i metodi che permetterebbero alle isole di fare dell'ambiente una fonte di attività economica (grazie soprattutto allo sviluppo di strategie di accoglienza turistica basate su alberghi ecologici e ristoranti biologici, attività all'aria aperta, escursioni alla scoperta della biodiversità …). Queste iniziative riguardano in particolare anche le imprese artigianali.

6.   Una governance efficace per tenere nel debito conto la situazione delle isole europee

6.1

Il CESE propone di mettere in atto le seguenti proposte nel processo legislativo:

6.1.1

disporre delle migliori informazioni sulla situazione delle isole. Non si insisterà mai abbastanza sull'importanza di aggiornare e di collazionare nuove statistiche riguardanti le isole. Si tratta di strumenti indispensabili per adottare politiche pubbliche ben mirate (a livello europeo, nazionale e regionale). Un tale approccio dovrebbe basarsi innanzi tutto su una valutazione caso per caso che tenga conto, tra le altre cose, della situazione socioeconomica delle isole. Sarebbe anche l'occasione per riflettere sulla pertinenza del criterio del PIL per la valutazione delle difficoltà regionali.

6.1.1.1

Una premessa indispensabile per l'elaborazione e l'attuazione di ogni politica comunitaria riguardante le isole è quindi l'esistenza di dati statistici sufficienti e affidabili e di indicatori pertinenti. Soprattutto se considerati separatamente, i criteri del PIL e il tasso di disoccupazione sono, come noto, inadeguati per una comprensione soddisfacente della realtà dei territori insulari e dei complessi meccanismi che li rendono diversi dal resto della Comunità.

6.1.1.2

La situazione non è nuova, ma è stata a lungo offuscata dal fatto che, dato che la stragrande maggioranza della popolazione insulare dell'UE beneficiava del livello massimo di aiuto (obiettivo 1), non vi era praticamente motivo di affrontare una questione così complessa. Tuttavia, il processo di allargamento e il conseguente «effetto statistico» (vale a dire, l'arricchimento in termini relativi delle aree considerate in precedenza svantaggiate) hanno messo in luce la necessità di descrivere la situazione e i bisogni dei territori insulari mediante indicatori statistici migliori e più mirati.

6.1.1.3

Come propone la relazione Musotto: «ulteriori lavori dovrebbero essere orientati verso la definizione di indicatori statistici più pertinenti meglio atti a fornire un chiaro quadro statistico del livello di sviluppo e una comprensione soddisfacente delle regioni con handicap geografici e naturali, in particolare di quelle in cui si registra un accumulo di difficoltà, quali le catene montane, gli arcipelaghi e i casi di doppia insularità; […] tali indicatori dovrebbero altresì consentire una migliore valutazione delle differenze tra tali regioni e il resto dell'UE nonché una valutazione delle disparità esistenti in seno a tali regioni».

6.1.2

Disporre di un gruppo interservizi per le isole all'interno della Comunità per garantire un approccio integrato nell'affrontare le loro difficoltà.

6.1.3

Il CESE invita gli enti locali e la società civile a collaborare (o a continuare a farlo) al fine di mettere a punto strategie comuni per lo sviluppo. È indispensabile che le comunità insulari adottino un approccio a progetto nel quadro di un partenariato positivo.

6.2

Il CESE crede che nell'interesse di una buona governance si debba intraprendere una revisione periodica della situazione delle isole e chiede che la Commissione presenti al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato delle regioni e allo stesso CESE una relazione annuale intesa a monitorare e valutare l'efficacia delle principali misure intraprese per risolvere i problemi delle isole europee. La relazione dovrebbe comprendere anche le proposte di azione della Commissione stessa. Si può quindi affermare che il presente parere dà il via a un processo dinamico a lungo termine.

7.   Osservazioni conclusive

7.1

In conclusione, la questione della migliore integrazione delle isole nel mercato interno potrebbe forse portare le parti interessate ad esplorare due strade percorribili diverse da quelle summenzionate.

7.2

L'uso della cooperazione rafforzata fra gli Stati insulari e quelli il cui territorio comprende delle isole (Portogallo, Spagna, Francia, Italia, Grecia, Malta, Cipro, Regno Unito, Irlanda, Paesi Bassi, Danimarca, Estonia, Finlandia, Svezia). Considerate le condizioni da soddisfare per conseguire l'obiettivo di una politica europea per le isole, questa soluzione può sembrare inattuabile. Di conseguenza, dato che la proposta deve essere avanzata dagli Stati membri, si dovrebbe optare per un approccio bottom-up. Per questo motivo, come già detto, sono necessarie delle strategie di sviluppo a livello locale. In questa prospettiva, i programmi operativi (nel quadro dei fondi strutturali 2007-2013) potrebbero essere considerati una buona base per il successivo periodo 2014-2020.

7.3

Il futuro quadro normativo europeo può migliorare le soluzioni attuali, grazie al Trattato di Lisbona e alla nuova versione dell'articolo 158 del Trattato CE.

7.3.1

Il futuro nuovo articolo 158, come modificato dal Trattato di Lisbona, recita:

a)

al primo comma, i termini «coesione economica e sociale» sono sostituiti da «coesione economica, sociale e territoriale»;

b)

al secondo comma, i termini «o insulari, comprese le zone rurali» sono soppressi;

c)

è aggiunto il nuovo comma seguente: «Tra le regioni interessate, un'attenzione particolare è rivolta alle zone rurali, alle zone interessate da transizione industriale e alle regioni che presentano gravi e permanenti svantaggi naturali o demografici, quali le regioni più settentrionali con bassissima densità demografica e le regioni insulari, transfrontaliere e di montagna

7.3.2

Questa modifica è in linea con il fatto che, grazie al Trattato di Lisbona (che deve ancora essere ratificato), la dimensione territoriale è l'elemento nuovo della coesione europea. Questo riconoscimento evidenzia l'intenzione dell'UE di tenere conto di tutte le realtà del suo territorio. Il futuro nuovo articolo 158 è dunque una concretizzazione di questa volontà.

7.3.3

Definire la coesione territoriale non è un compito facile. Il futuro Libro verde offrirà sicuramente un'interessante opportunità per essere informati sui diversi approcci esistenti. In questa prospettiva, il CESE crede che riflettere sulla coesione territoriale voglia dire andare oltre le mere statistiche economiche e considerare anche le realtà evidenti del territorio e le conseguenti vulnerabilità che, in certi casi, rischiano di minacciare seriamente la coesione socioeconomica. Lavorare per la coesione territoriale vuol dire cercare i mezzi per rafforzare la cooperazione sia nell'ambito delle singole isole che tra tutti i territori (un aumento dei fondi strutturali destinati a questo obiettivo nel prossimo programma dopo il 2013 andrebbe certamente appoggiato) e per consolidare il partenariato tra tutte le parti interessate (enti pubblici e società civile) nell'elaborazione e nell'attuazione delle relative politiche.

Bruxelles, 10 luglio 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  L'Osservatorio del mercato unico (OMU) del Comitato economico e sociale europeo sta elaborando un parere su questo pacchetto (INT/409, relatore: CASSIDY, correlatori: HENCKS e CAPPELLINI) e un parere sulla dimensione sociale e ambientale del mercato unico, a complemento del primo (INT/416, relatore: ADAMCZYK) (non ancora pubblicato nella GU) (adottato nel settembre 2008).

(2)  Occorre sottolineare che questo punto viene fortunatamente riconosciuto nella quarta relazione sulla coesione economica e sociale per quanto riguarda la regioni ultraperiferiche (COM(2007) 273 def., pag. 50).

(3)  Rapporto conclusivo sull'analisi delle zone insulari e delle regioni ultraperiferiche dell'Unione europea, Planistat, marzo 2003.

(4)  L'Area unica dei pagamenti in euro (SEPA), lanciata il 28 gennaio 2008, renderà tuttavia i pagamenti transfrontalieri semplici come quelli interni.

(5)  Quarta relazione sulla coesione economica e sociale (COM(2007) 273 def., pag. 65).

(6)  High bit-rate Digital Subscriber Line (linea digitale ad alto livello di bit per abbonati).

(7)  Quarta relazione sulla coesione economica e sociale (COM(2007) 273 def., pag. 60).

(8)  Cfr. parere sul tema Riesame del mercato unico (GU C 93 del 27.4.2007, pag. 25).

(9)  Cfr. pareri sul tema Legiferare meglio (GU C 24 del 31.1.2006, pag. 39) e sul tema Migliorare l'applicazione e l'attuazione del diritto comunitario (GU C 24 del 31.1.2006, pag. 52).


3.2.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 27/129


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le cause della differenza tra inflazione percepita e inflazione reale

(2009/C 27/27)

Il Comitato economico e sociale europeo ha deciso, in data 17 gennaio 2008, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Le cause della differenza tra inflazione percepita e inflazione reale.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 giugno 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore DERRUINE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 9 luglio 2008, nel corso della 446a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 125 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Raccomandazioni

1.1

Come raccomandato in precedenza dal Comitato, «le statistiche relative ai salari (o ai redditi) dovrebbero essere modulate almeno per quintili, in modo da poter stimare con maggiore precisione l'impatto della politica salariale sulla stabilità dei prezzi» (1). Nel successivo punto 4.3.3 si mostrano le differenze esistenti fra i profili di consumo in funzione del livello di reddito. A ciò si aggiunge il fatto che anche la propensione marginale al consumo varia, sicché è importante poter individuare quale classe di redditi si avvalga di quale aumento salariale (in %), altrimenti la politica monetaria potrebbe reagire in modo inappropriato agli aumenti salariali e dei redditi.

1.1.1

A titolo complementare e alla stregua dell'esercizio effettuato dalla Banca nazionale del Belgio (2), sarebbe opportuno che la Commissione europea e/o la Banca centrale europea, almeno una volta all'anno, pubblicassero dati relativi all'impatto dell'inflazione sul potere d'acquisto delle famiglie in funzione del livello di reddito.

1.1.2

Per quanto riguarda le isole europee, è necessario che tutte dispongano a livello locale di servizi statistici e di indici dei prezzi in modo che si possa misurare in maniera oggettiva il sovraccosto imposto dalla loro insularità. Per far questo i loro servizi statistici dovrebbero mettere a punto una metodologia comune di valutazione.

1.2

Analogamente, gli Stati membri e Eurostat dovrebbero essere invitati a sfruttare meglio le rilevazioni dei prezzi di loro competenza al fine di produrre indici dettagliati che distinguano l'evoluzione dei prezzi per tipo di circuito di distribuzione e per categoria di prodotti differenziata per gamma (bassa, media, alta). Si può infatti temere che i prezzi dei prodotti di «gamma bassa» — specialmente se alimentari — abbiano subito un aumento ancora maggiore. Inoltre, un confronto internazionale dei dati sui prezzi raccolti dalle istituzioni che hanno il compito di calcolare l'inflazione potrebbe contribuire a rispondere alle domande poste nel punto 1.4. Il CESE si chiede anche se non sarebbe pertinente esaminare l'opportunità di un indice dei prezzi per le persone anziane.

1.3

Il Comitato auspica che le riflessioni avviate oggi, sotto l'egida di Eurostat, per proporre metodologie rigorose finalizzate a includere nella misura dell'inflazione l'andamento del costo dell'alloggio giungano rapidamente a conclusione e siano accompagnate da proposte operative da presentare ai partner sociali ed economici interessati. In linea generale, il Comitato chiede di essere coinvolto nelle revisioni metodologiche dell'Indice armonizzato dei prezzi al consumo (IPCA) condotte da Eurostat.

1.4

La Commissione europea dovrebbe studiare l'evoluzione concomitante degli indici dei prezzi al consumo, alla produzione e all'importazione; è sorprendente, infatti, che il prezzo all'importazione di determinati prodotti inclusi nel paniere sia nettamente diminuito, ma che tale evoluzione non abbia avuto ripercussioni a livello dei consumatori finali. Non sarebbe ammissibile che questi ultimi accettassero di pagare in eccesso solo perché ignorano determinate informazioni cruciali. Ciò sarebbe destinato a ripercuotersi sulla moneta unica, che soffrirebbe di un discredito che non avrebbe modo di contrastare.

1.5

Pur consapevole delle difficoltà incontrate da Eurostat nella raccolta di dati, il Comitato si chiede se non sarebbe possibile pubblicare più tempestivamente i dati relativi alla spesa per i consumi delle famiglie. Il ritardo attuale è dell'ordine di tre anni (per esempio, i dati del 2005 sono stati comunicati soltanto nel 2008!). Alcuni dati (soprattutto quelli sulla distribuzione del reddito) non sono più aggiornati dal … 2001. Inoltre, dati i cambiamenti in atto nella società, ci si può chiedere se non sia opportuno intensificare la frequenza delle indagini (attualmente, svolte ogni sei anni).

1.6

Infine, il CESE raccomanda di sostenere le istituzioni pubbliche e le organizzazioni non governative che concorrono a informare i consumatori e ad assisterli in scelte che, per effetto della maggiore sofisticazione delle tecniche di marketing e dei pacchetti di servizi, diventano sempre più difficili da decodificare.

2.   Introduzione

2.1

La moneta unica, fin dalla sua introduzione (nel 1999 fissazione delle parità e nel 2002 circolazione di monete e banconote nei primi paesi aderenti all'unione economica e monetaria — UEM), è stata oggetto di ogni possibile critica: se all'inizio il deprezzamento dell'euro rispetto alle grandi valute internazionali ha suscitato qualche commento ironico, l'impennata che ha fatto registrare negli ultimi tre anni ha destato timori per la competitività esterna delle imprese europee. Taluni governi hanno d'altronde alimentato questo sentimento allo scopo di nascondere i loro errori di politica economica. Una frangia di critici — certo assai minoritaria — ha perfino accusato la moneta unica di essere uno dei fattori alla base della mancata convergenza reale tra i paesi dell'area dell'euro, un giudizio che li ha indotti a prendere in considerazione il ritiro del proprio paese dall'area dell'euro.

2.2

Le statistiche relative all'IPCA indicano che nella terza fase preparatoria dell'UEM l'inflazione è nettamente diminuita e che da allora si è mantenuta a un livello storicamente basso, probabilmente perché la possibilità di confrontare più facilmente i prezzi ha stimolato la concorrenza e limitato gli aumenti dei prezzi. Eppure un'ampia maggioranza di europei considera l'euro responsabile delle difficoltà che attraversano le rispettive economie nazionali e ritiene che il passaggio alla moneta unica abbia generato pressioni inflazionistiche che hanno eroso il loro potere d'acquisto. Alcuni, d'altronde, vedrebbero con favore il ritorno alla doppia indicazione dei prezzi, cosa che farebbe segnare un rovinoso passo indietro per i fautori dell'integrazione europea. Ne risulta un clima di diffidenza nei confronti dell'euro e, più in generale, dell'unione economica e monetaria. Così, nel settembre 2002 il 59 % degli europei riteneva «complessivamente vantaggiosa» la moneta unica contro un 29 % di scettici (sondaggio Eurobarometro — 2006), mentre quattro anni dopo l'entusiasmo suscitato da uno dei principali progetti politici europei dell'ultimo ventennio si era più che dissolto, infatti l'81,4 % dei cittadini riteneva che l'euro avesse determinato un aumento dei prezzi.

2.3

Fino all'introduzione dell'euro, l'andamento complessivo dell'inflazione percepita dai consumatori corrispondeva a quello dell'IPCA. Dal 2002 non è più così, e nel 2003 il divario ha raggiunto la massima ampiezza prima di essere parzialmente riassorbito. Dal 2006, però, lo scarto si è nuovamente approfondito. Dalla fine del 2004, l'inflazione percepita si è attestata stabilmente a un livello superiore a quello registrato nel 2001.

Image

2.4

Nella maggior parte dei paesi che hanno aderito all'UE nel 2004, l'inflazione effettiva è cresciuta al momento dell'adesione — o addirittura dal 2003 — per effetto dell'incremento delle imposte indirette e dei prezzi controllati, soprattutto dei prodotti agricoli. In un certo numero di paesi, il tasso d'inflazione è poi nuovamente sceso. L'inflazione percepita, invece, ha subito un aumento più rapido. La Repubblica ceca è l'unico paese in cui l'inflazione percepita sia inferiore a quella reale in base ai dati dell'inizio del 2008. Figura B — Inflazione, reale, percepita e attesa in Slovenia

2.5

Prendendo in esame il caso della Slovenia, il primo dei nuovi paesi ad aver adottato la moneta unica, si constaterà inoltre che l'inflazione percepita ha fatto segnare un forte rialzo nel 2007, in occasione del passaggio all'euro fiduciario, e che questo forte rialzo è stata «preparato» dalle previsioni di aumento dei prezzi emesse nei due anni precedenti all'evento.

Image

2.6

Questi interrogativi sulla salute dell'euro contrastano con l'apprezzamento che gli viene tributato dai paesi terzi anche extraeuropei: secondo l'FMI la quota dell'euro sulle riserve internazionali è passata dal 18 % circa nel 1999 al 25 % circa nel 2004, un successo che nei paesi emergenti assume dimensioni ancora più rilevanti. È indice di successo anche il fatto che siano espressi in euro il 37 % del totale delle operazioni di cambio mondiali e tra il 41 % e il 63 % delle importazioni/esportazioni.

2.7

Il presente parere d'iniziativa si propone di spiegare più efficacemente lo sviluppo dell'inflazione e le cause della differenza che persiste tra l'inflazione percepita dalla popolazione e l'inflazione reale, nonché, se necessario, di formulare raccomandazioni.

3.   Evoluzione dei prezzi nell'area dell'euro e nei tre che non ne fanno parte

3.1

Secondo molti europei, l'euro ha provocato un aumento dei prezzi. Se però così fosse, l'inflazione presenterebbe un profilo diverso a seconda dei paesi oggetto dell'osservazione (paesi dell'area dell'euro o gli altri). Di fatto, l'evoluzione dei prezzi rilevata nell'area dell'euro è simile a quella rilevata nello stesso periodo nei tre paesi (Danimarca, Regno Unito, Svezia) che non hanno adottato la moneta unica.

3.1.1

La matrice delle correlazioni che segue indica il grado di analogia delle variazioni dei prezzi sia tra l'area dell'euro e gli altri tre paesi, sia tra ognuno di essi. In ogni casella i valori indicati variano da 0 (correlazione assente) a 1 (correlazione perfetta).

Matrice delle correlazioni, 2000-2002

 

Area dell'euro

Danimarca

Svezia

Regno Unito

Area dell'euro

1,00

0,52

0,67

0,67

Danimarca

 

1,00

0,35

0,47

Svezia

 

 

1,00

0,47

Regno Unito

 

 

 

1,00

Matrice delle correlazioni, 2002-2004

 

Area dell'euro

Danimarca

Svezia

Regno Unito

Area dell'euro

1,00

0,29

0,78

0,80

Danimarca

 

1,00

0,34

0,40

Svezia

 

 

1,00

0,75

Regno Unito

 

 

 

1,00

Fonte: Eurostat; proprie elaborazioni.

3.1.2

In seguito all'introduzione dell'euro, la correlazione tra i tassi di inflazione dell'area dell'euro e del Regno Unito e della Svezia si è consolidata, mentre nel caso della Danimarca si osserva il contrario. Si osserva tuttavia che la correlazione tra prezzi danesi e prezzi inglesi si sta attenuando, mentre la correlazione dei prezzi danesi con i prezzi svedesi rimane stabile ma a un livello più basso.

3.1.3

È inoltre sorprendente constatare che, eccettuata la coppia Danimarca-Regno Unito, la correlazione è più marcata tra i tre paesi senza euro e l'area dell'euro che tra i tre paesi tra di loro.

3.2

Ciò dimostra che le variazioni dei prezzi all'interno dell'area dell'euro, avendo fatto segnare un'evoluzione analoga a quella dei paesi che non hanno adottato la moneta unica, non possono essere attribuite all'euro.

3.3

La tabella che segue elenca le dodici principali categorie di beni e servizi (in funzione del consumo individuale delle famiglie) prese in considerazione nel calcolare l'IPCA e ne indica la ponderazione e il tasso d'accelerazione dei prezzi nel biennio precedente/successivo all'introduzione dell'euro. Non si può non constatare che, a questo livello, solo in tre categorie i prezzi presentano una netta accelerazione (bevande alcoliche e tabacco — dove l'aumento può essere spiegato dalla maggiorazione delle accise — sanità/salute e trasporti). Ciò non toglie che a livello più disaggregato si sia registrata un'accelerazione (cfr. i canoni di affitto, che hanno fatto segnare aumenti pari all'1,5 % tra il 2000 e il 2002 e al 2 % tra il 2002 e il 2004).

Area dell'euro

2000-2002

2002-2004

Accelerazione del prezzo

Ponderazione media 2000-2004

cp00 Totale IPCA

2,31

1,99

 

 

cp01 Alimentari e bevande non alcoliche

4,47

1,50

Image

157,91

cp02 Bevande alcoliche e tabacco

3,11

5,42

Image

39,71

cp03 Abbigliamento e calzature

0,64

– 0,09

Image

75,87

cp04 Abitazioni, acqua, elettricità e combustibili

2,81

2,19

Image

154,96

cp05 Mobili, articoli e servizi per la casa

1,68

1,12

Image

79,84

cp06 Servizi sanitari e spese per la salute

1,59

4,93

Image

36,04

cp07 Trasporti

1,49

2,51

Image

153,67

cp08 Comunicazioni

– 5,07

-0,73

Image

28,23

cp09 Ricreazione, spettacoli e cultura

1,22

0,10

Image

98,10

cp10 Istruzione

3,46

3,49

Image

9,21

cp11 Alberghi, ristoranti e pubblici esercizi

3,69

3,23

Image

91,25

cp12 Altri beni e servizi

2,86

2,53

Image

75,25

Fonte: Eurostat; proprie elaborazioni.

4.   Cause della differenza tra inflazione percepita e inflazione osservata

4.1   Spiegazioni socioeconomiche

4.1.1

L'introduzione dell'euro ha coinciso con i mesi successivi all'11 settembre 2001, pervasi da un clima d'insicurezza globale anche sul piano economico. Questo clima è stato esacerbato da una fase di peggioramento della congiuntura in forte contrasto rispetto al 1999 e al 2000, anni di crescita eccezionale.

4.1.2

Uno dei principali fattori all'origine del persistente divario tra inflazione percepita e inflazione osservata è dato dalla combinazione di diversi elementi: la frequenza di acquisto dei beni e servizi considerati nel calcolo dell'IPCA; l'evoluzione dei rispettivi prezzi; l'importanza che attribuiscono loro i consumatori.

4.1.2.1

La tabella che segue tenta di oggettivare questi elementi dividendo la totalità dei prodotti considerati nel calcolo dell'IPCA in cinque «famiglie»: i beni e servizi oggetto di acquisti regolari (almeno una volta al mese), quelli oggetto di acquisti meno frequenti e quelli per cui la frequenza d'acquisto può variare a seconda degli individui e delle circostanze. Nelle prime due categorie è operata un'ulteriore distinzione a seconda dell'intensità della concorrenza cui è soggetto il bene o servizio interessato sul piano (inter)nazionale.

4.1.2.2

Nel complesso risulta chiaramente che nel periodo 2000-2007 i prezzi dei prodotti inclusi nel paniere e soggetti a scarsa concorrenza sono aumentati molto più rapidamente dell'inflazione media (+ 2,12 %). La tabella conferma inoltre che i prezzi dei beni acquistati meno spesso e soggetti a concorrenza intensa (variazione + 0,37 %), hanno decisamente contribuito a moderare l'inflazione, tanto più che essi spiegano buona parte dell'inflazione, pesando quasi per il 27 %, al secondo posto immediatamente dopo il 34 % circa della categoria «acquisti regolari/scarsa concorrenza».

Categorie di prodotti inclusi nel paniere

Intensità della concorrenza

% crescita annuale 2000-2007

Contributo all'IPCA

Ponderazione all'interno dell'IPCA

Acquisti regolari

Scarsa

2,34

0,92

339,40

Elevata

2,00

0,06

28,80

Acquisti non regolari

Scarsa

2,91

0,51

204,70

Elevata

0,37

0,26

269,10

Variabile

2,38

0,37

157,88

IPCA

 

2,12

2,12

1 000,00

Fonte: Eurostat; proprie elaborazioni.

4.1.2.3

Questo ruolo degli acquisti non regolari e soggetti a concorrenza intensa riflette le tendenze del commercio internazionale e dei suoi cambiamenti strutturali. Nel 1995, infatti, due terzi delle importazioni manifatturiere da paesi esterni all'area dell'euro provenivano da paesi con costi elevati, mentre nel 2005 la percentuale era scesa al 50 %. L'arretramento riguarda il Regno Unito, il Giappone e gli Stati Uniti, mentre è cresciuta la percentuale relativa ai paesi emergenti e, in misura inferiore, ai nuovi Stati membri. È possibile che anche l'andamento dei tassi di cambio abbia stimolato o rallentato i rapporti commerciali con i partner dell'area dell'euro.

Importazioni di manufatti dell'area dell'euro: quote per paese

 

Con costi elevati

di cui

Con costi bassi

di cui

USA

Giappone

Regno Unito

Cina

Nuovi Stati membri dell'UE

1995

65,7

16,1

10,7

20,3

34,3

5

8

1997

65,2

17,7

9,6

21,2

34,8

5,8

8,4

1999

64,1

18,4

9,8

19,6

35,9

6,3

9,8

2001

60,2

18,1

8,5

18,6

39,8

7,9

11,6

2003

55,1

15,1

7,8

16,6

44,9

11

14

2005

50,7

13,9

6,7

15

49,3

14,8

13,1

Variazione nel periodo 1995-2005

– 15,0

– 2,2

– 4,0

– 5,3

15,0

9,8

5,1

Fonte: Banca centrale europea, Bollettino mensile, agosto 2006.

4.1.3

Dal 2002 si registra una volatilità dei prezzi molto più marcata rispetto agli anni precedenti all'introduzione dell'euro fiduciario.

Image

4.1.4

Il livello di reddito delle famiglie spiega anche il modo in cui percepiscono l'evoluzione dei prezzi. In via complementare, la diversità di percezione tra gruppi della popolazione può essere accentuata dall'aumento del numero di persone che vivono sole e devono coprire la totalità delle spese attingendo a un'unica retribuzione/un unico reddito. La situazione è particolarmente difficile per i nuclei familiari con figli, per i redditi bassi, per le persone poco qualificate, per le donne, ancora vittime di discriminazione sul piano della retribuzione e dell'impiego, e per i lavoratori a contratto flessibile.

Image

Image

4.1.5

È da notare che le caratteristiche dei beni e dei servizi che compongono l'IPCA possono cambiare da un anno all'altro e riflettere miglioramenti qualitativi non accompagnati da cambiamenti di prezzo. Dato però che l'indice non tiene conto di questo tipo di modifiche, le registrerà come una diminuzione di prezzo nell'indice (anche se non è escluso che la versione precedente del bene/servizio non sia più disponibile sul mercato per i consumatori; sarebbe così registrata una semplice diminuzione «sulla carta» che non corrisponde a nulla nella realtà). Secondo la BCE, «il peso sulla spesa di voci che in genere migliorano significativamente e frequentemente in termini di qualità è stimato attorno all'8-9 % dell'IPCA complessivo» (automobili, computer, telefoni cellulari, ecc.).

4.1.6

Va altresì ricordato che certi dettaglianti e imprenditori, in occasione del passaggio all'euro fiduciario, hanno praticato arrotondamenti abusivi dei prezzi verso l'alto (per es. dei canoni di affitto), anche se un certo incremento dei costi poteva essere giustificato dalle operazioni legate alla nuova etichettatura ecc. o dal fatto che determinati aumenti non erano stati traslati immediatamente sui prezzi perché si era preferito «prendere due piccioni con una fava» e rinviarli al momento del passaggio all'euro. Secondo stime di Eurostat, nel 2002 il passaggio all'euro fiduciario ha contribuito per una percentuale compresa tra lo 0,12 % e lo 0,29 % allo IPCA complessivo dell'area dell'euro.

4.1.7

Infine, determinati eventi puntuali non legati alla moneta unica hanno coinciso con il passaggio all'euro fiduciario e contribuito così a un aumento dell'inflazione percepita. Il discorso vale per sia per il forte rincaro del petrolio (+ 35 % tra dicembre 2001 e aprile 2002) che per i cattivi raccolti seguiti all'ondata di gelo che ha colpito l'Europa quell'inverno, che hanno anche condizionato le economie esterne all'area dell'euro.

4.2   Spiegazioni d'ordine psicologico

4.2.1

È possibile che i consumatori, a prescindere dal prodotto interessato, siano più sensibili agli aumenti che alle diminuzioni di prezzo, una sensibilità che è stata acuita dal salto nel buio rappresentato dalla nuova moneta unica, dalla diffidenza indotta dal fatto che il passaggio all'euro ha aumentato il numero di prezzi esposti per lo stesso prodotto e dalla quota della spesa legata ai beni e ai servizi che hanno subito rincari (canoni di affitto, alimentari, carburanti).

4.2.2

Poiché la spesa per abitativa dei proprietari occupanti è attualmente esclusa dal paniere di prodotti dell'IPCA, in alcuni paesi la differenza tra inflazione percepita e inflazione reale si può spiegare con il forte aumento dei prezzi nel settore immobiliare.

4.2.3

Inoltre, i consumatori che convertono nella ex valuta nazionale il prezzo in euro di un prodotto che pensano di acquistare prendono a riferimento il prezzo corrente prima dell'entrata in vigore dell'euro. Ciò dà luogo a una distorsione in quanto, se si considera l'inflazione, neanche il vecchio prezzo è più attuale (3).

4.2.4

Va anche fatto notare che spesso molti consumatori, e perfino osservatori, confondono l'evoluzione del potere d'acquisto e le aspettative di miglioramento del tenore di vita. Numerosi indici, però, tendono a evidenziare che tali aspettative dei consumatori sono oggi più che mai stimolate dai frequenti mutamenti tecnologici, dalla comparsa di nuovi prodotti o servizi (che tendono ad «aggiungersi» ai consumi abituali), da un marketing sempre più sofisticato e da una diffusione molto rapida degli standard di consumo dettati dalla pressione sociale. Per esempio, l'acquisto di un GPS che si aggiunge agli altri consumi o la sostituzione della verdura sfusa con verdura prelavata e preparata danno l'impressione di pesare sul potere d'acquisto ma dipendono in realtà dalla pressione esercitata sul bilancio delle famiglie da un aumento delle aspettative più rapido dell'incremento dei redditi.

4.3   Spiegazioni metodologiche

4.3.1

Non è ipotizzabile rimettere in questione la validità dell'IPCA, basato su osservazioni e rilevazioni condotte ogni mese dagli istituti nazionali di statistica su oltre 700 beni e servizi rappresentativi, il che equivale a quasi 1,7 milioni di osservazioni ogni mese presso 180 000 punti vendita.

4.3.2

Va però ricordato che l'indice armonizzato dei prezzi al consumo è frutto di determinate convenzioni, soprattutto per quanto riguarda (1) la scelta dei beni e dei servizi la cui funzione rappresentativa giustifica l'inclusione nel paniere e (2) la ponderazione di ciascuno di loro.

4.3.3

Come indica la tabella, tuttavia, la struttura della spesa delle famiglie oscilla in funzione del reddito. Le variazioni più marcate si osservano nel caso della spesa per i canoni reali di affitto, che pesa da cinque a sei volte di più sul 20 % di famiglie meno abbienti rispetto al 20 % di famiglie più ricche. La differenza si spiega con il fatto che gli appartenenti alla seconda fascia sono allo stesso tempo proprietari e inquilini e, di conseguenza, risentono in modo diverso dell'evoluzione dei prezzi immobiliari. Le famiglie più povere, inoltre, destinano all'acquisto di generi alimentari e bevande analcoliche una quota di reddito superiore dell'81 % rispetto a quelle più ricche, cosa che le rende più sensibili alle impennate dei prezzi delle materie alimentari sui mercati mondiali. Le famiglie più ricche spendono per autoveicoli nuovi più del 67 % di ciò che spendono per questa voce le famiglie comprese nel primo quintile. Poiché i prezzi degli autoveicoli nuovi hanno avuto un'evoluzione molto più lenta rispetto all'IPCA nel periodo 2000-2008, esse si avvantaggiano fortemente di quest'evoluzione positiva.

Area dell'euro – IPCA = 1 000

(anno: 2005)

% crescita media annua

(2000-2008; IPCA = 2,3)

Primo quintile

Quinto quintile

Differenza 1o-5o quintile

Spesa media per consumi

Ponderazione all'interno dello IPCA

Differenza

cp01 Alimentari e bevande non alcoliche

2,5

195

108

80,6

143,3

154,91

11,6

cp02 Bevande alcoliche e tabacco

4,1

29

17

70,6

21,4

40,71

19,3

cp03 Abbigliamento e calzature

1,4

54

62

– 12,9

60,3

74,20

13,9

cp04 Abitazioni, acqua, elettricità e combustibili

3,1

325

251

29,5

278,9

150,50

– 128,4

tra cui: cp041 Costo reale dell'affitto delle abitazioni

1,9

134

24

458,3

53,8

63,50

9,7

cp042 Affitto imputato

106

151

– 29,8

143,9

 

cp05 Mobili, articoli e servizi per la casa

1,3

41

69

– 40,6

56,8

76,5

19,7

cp06 Servizi sanitari e spese per la salute

2,5

31

42

– 26,2

35,7

41,67

5,9

cp07 Trasporti

2,8

92

146

– 37,0

125,6

153,31

27,7

tra cui: cp071 Acquisto di macchine

1,2

23

70

– 67,1

48,1

47,93

– 0,1

cp08 Comunicazioni

– 2,7

37

24

54,2

28,6

29,19

0,6

cp09 Ricreazione, spettacoli e cultura

0,6

64

90

– 28,9

83,0

94,66

11,7

cp10 Istruzione

4,0

7

10

– 30,0

8,7

9,49

0,8

cp11 Alberghi, ristoranti e pubblici esercizi

3,2

42

67

– 37,3

55,2

93,19

38,0

cp12 Altri beni e servizi

2,3

85

113

– 24,8

102,5

81,67

– 20,8

tra cui: cp121 Cura personale

1,9

27

25

8,0

26,1

26,36

0,2

cp125 Assicurazioni

2,5

44

63

– 30,2

55,2

18,60

– 36,6

Fonte: Eurostat; proprie elaborazioni.

4.3.3.1

Il grafico seguente illustra le diverse inflazioni subite per fasce di reddito estreme in funzione del profilo di consumo e ne presentano lo scarto a partire del 1996. Nel corso degli ultimi 12 anni, l'inflazione che colpisce i meno abbienti ha superato quella che colpisce i più ricchi per 6 volte, mentre la situazione opposta è stata osservata 3 volte. Vi sono poi 3 anni in cui non si sono constatate differenze significative.

Image

4.3.3.2

A parte quest'effetto strutturale, risulta che le fasi in cui i prezzi delle materie prime alimentari si gonfiano colpiscono ancora più duramente le famiglie più povere, che scelgono marche a basso prezzo o si riforniscono presso gli hard discount, in quanto in questi casi la quota del prezzo al consumo degli alimenti attribuibile alle materie prime alimentari è più elevata (perché,viceversa, è inferiore la quota imputabile alle spese d'imballaggio, di marketing, ecc.).

4.3.3.3

Inoltre, le famiglie più povere non possono ammortizzare le ripercussioni dell'innalzamento dei prezzi sul loro bilancio in quanto hanno un tasso di risparmio strutturalmente basso e maggiori difficoltà di accesso al credito e rischiano, peraltro, di cadere nella trappola del sovraindebitamento.

4.3.3.4

Questa constatazione resta valida a livello degli Stati membri, perché come mostra la tabella che segue, le famiglie destinano quote diverse del loro reddito alle differenti categorie di beni e servizi in funzione delle loro caratteristiche geografiche (si ricorda che l'insularità comporta costi di trasporto elevati), del loro livello di sviluppo socioeconomico (la spesa delle famiglie rumene e bulgare per l'alimentazione è tre volte tanto quella destinata a questa voce dalle famiglie degli altri paesi), ecc. Le due ultime colonne indicano in quale misura le spese relative tra ciascun gruppo di paesi o in seno alla zona euro sono omogenee (più basso è il coefficiente di variazione, più alta è l'omogeneità) Se i paesi dell'area dell'euro presentano delle forti analogie, questo è meno vero per gli altri gruppi di paesi. Ciò illustra i limiti dell'IPCA, che, basandosi su ponderazioni medie, non può, per definizione, rispecchiare le situazioni peculiari dei singoli paesi. Questa conclusione non dovrebbe essere sottovalutata dai paesi che entrano nell'area dell'euro, considerate le sue implicazioni in termini di politica monetaria e d'inflazione.

 

Area dell'euro

(salvo LU)

3 vecchi Stati membri fuori dell'area dell'euro

Nuovi Stati membri fuori dell'area dell'euro

(salvo Cipro, Malta e Slovenia)

Cipro, Malta

Romania, Bulgaria

Coefficiente di variazione tra i gruppi

Coefficiente di variazione all'interno dell'area dell'euro

Abitazioni, acqua, elettricità e combustibili

26,11

30,57

22,86

15,33

25,15

0,23

0,10

Alimentari e bevande non alcoliche

14,24

11,06

25,85

18,17

37,88

0,50

0,18

Trasporti

12,94

13,82

10,22

15,60

5,73

0,33

0,16

Altri beni e servizi

10,14

7,65

6,25

6,89

3,07

0,38

0,29

Ricreazione, spettacoli e cultura

8,65

12,33

6,98

8,02

3,54

0,40

0,32

Alberghi, ristoranti e pubblici esercizi

6,21

5,27

3,97

7,68

2,34

0,40

0,35

Bevande alcoliche e tabacco

2,61

2,56

3,05

2,32

4,78

0,32

0,40

Mobili, articoli e servizi per la casa

5,77

6,34

5,00

8,30

3,39

0,31

0,13

Abbigliamento e calzature

5,70

4,92

6,02

8,04

4,66

0,23

0,21

Servizi sanitari e spese per la salute

3,53

2,12

3,54

3,89

4,07

0,22

0,44

Comunicazioni

3,06

2,73

5,21

3,16

4,72

0,29

0,17

Istruzione

1,05

0,63

1,05

2,59

0,66

0,68

0,61

Nota: dati non disponibili per il Lussemburgo.

4.3.4

Allo stesso modo, a volte esiste una differenza notevole tra la struttura media della spesa per i consumi e il modo in cui sono ponderati i prodotti inclusi nel paniere dell'IPCA. Ad esempio, le famiglie dell'area dell'euro hanno speso in media il 27,5 % del loro reddito per l'alloggio, l'acqua e l'energia, eppure questa rubrica incide solo per il 16,3 % sull'IPCA. Si può parlare di «sottoponderazione» anche per i settori della salute e delle assicurazioni. Viceversa, l'IPCA attribuisce un peso eccessivo ai prodotti alimentari, ai trasporti e alla voce «Alberghi, ristoranti e pubblici esercizi».

Bruxelles, 9 luglio 2008.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Cfr. il parere del CESE Le conseguenze economiche e sociali dell'evoluzione dei mercati finanziari, GU C 10 del 15.1.2008, pag. 96, punto 1.14.

(2)  Banca nazionale del Belgio L'évolution de l'inflation en Belgique: une analyse de la Banque Nationale de Belgique réalisée à la demande du Gouvernement fédéral. Revue économique, 2008, pag. 17.

(3)  Per esempio: penso di comprare un'automobile alla fine del 2002 e mi ricordo che un anno prima mi sarebbe costata 100. 100 mi serve da prezzo di riferimento oggi, ma da allora il tasso d'inflazione, misurato dallo IPCA, è stato del 2,2 %, sicché il prezzo al quale dovrei fare riferimento non è più 100 bensì 102,2. Se poi programmo questo acquisto nel 2007, il divario sarà ancora più netto poiché il prezzo di riferimento sarà 114!


3.2.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 27/140


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il ruolo della società civile nei programmi comunitari di aiuti di preadesione all'Albania

(2009/C 27/28)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 febbraio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema:

Il ruolo della società civile nei programmi comunitari di aiuti di preadesione all'Albania.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 12 giugno 2008, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice FLORIO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 9 luglio 2008, nel corso della 446a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 122 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Premessa

1.1

La stabilità, la pace, lo sviluppo e l'integrazione dell'intera regione dei Balcani occidentali hanno una fondamentale importanza per il presente e il futuro dell'Europa. Col passare degli anni, perciò, si è resa sempre più evidente la necessità di un rafforzamento delle politiche dell'Unione europea verso i paesi dell'area.

1.2

L'Albania, per la sua posizione geografica affacciata sul Mediterraneo e per la sua importanza negli equilibri talvolta fragili della regione, merita un'attenzione particolare da parte delle istituzioni europee. La partnership euromediterranea ha costituito il quadro centrale delle relazioni tra l'Unione europea e i suoi partner del sud del mediterraneo per oltre dieci anni con l'obiettivo di avere una stabilità di lungo termine in quella regione; l'Albania è entrata a far parte della partnership euromediterranea all'inizio del novembre 2007.

1.3

L'azione dell'Unione europea prevede una serie di interventi per promuovere lo sviluppo economico, democratico e sociale delle istituzioni albanesi. Anche gli enti locali e la società civile sono al centro di programmi per stimolare una partecipazione e un coinvolgimento dei cittadini nel percorso verso l'integrazione europea.

1.4

Con questo parere di iniziativa, il CESE intende evidenziare il ruolo della società civile e la necessità di un monitoraggio sui progressi raggiunti e sugli ostacoli che ancora permangono in Albania per il rafforzamento delle istituzioni democratiche e una loro migliore integrazione con le politiche europee.

1.5

Una delegazione del CESE, composta da membri rappresentanti i 3 gruppi del Comitato, si è recata in missione a Tirana, in Albania, i giorni 31 marzo e 1o aprile 2008. In tale occasione è stato possibile incontrare numerosi rappresentanti di associazioni e organizzazioni della società civile albanese; il dialogo con essi è stato notevolmente costruttivo ed è stato tenuto in considerazione nella redazione di questo parere.

2.   Conclusioni e raccomandazioni

2.1

Il ruolo della società civile, in tutte le sue forme, è di vitale importanza per lo sviluppo democratico e civile di qualunque paese (1). Ciò vale a maggior ragione per un paese come l'Albania che, forte di una rilevante posizione geopolitica, ha conosciuto negli ultimi anni notevoli passi in avanti nel consolidamento delle istituzioni democratiche e nell'integrazione verso le istituzioni europee ed organismi occidentali (NATO).

2.2

Un monitoraggio delle politiche adottate dai governi e un contributo fattivo dei cittadini alle stesse, sono elementi necessari per un progresso sociale inclusivo e democratico.

2.3

Il CESE osserva dunque che andrebbe sollecitata maggiore attenzione e risorse da parte dell'ufficio della delegazione della Commissione europea in Albania all'attività della società civile nel suo insieme, che deve essere tra le priorità del suo operato. Tale attività dovrà essere rafforzata nelle zone rurali e meno sviluppate di quel paese.

2.4

Data la presenza di diversi attori internazionali che, con diversi progetti, sostengono l'attività della società civile in Albania e viste alcune oggettive difficoltà e peculiarità che caratterizzano il tessuto sociale del paese, rivestono grande importanza le modalità con le quali l'UE deve interfacciarsi con quella realtà. In particolare per quanto riguarda l'accesso ai finanziamenti, questo dovrebbe essere integrato con requisiti che privilegino organizzazioni che dimostrano di avere scopi ben determinati nel corso del tempo e associazioni che mostrino una reale rappresentanza e rappresentatività dei cittadini.

2.5

Nell'ambito di una società in trasformazione ha una funzione fondamentale il dialogo sociale tripartito. Si osservano positivamente i passi in avanti fatti dal 1996 con l'istituzione del Consiglio nazionale del lavoro; nonostante ciò, ad oggi, si rilevano difficoltà nel funzionamento di questo organismo. Occorrerebbero trasparenza, partecipazione e coinvolgimento degli attori che vi prendono parte che dovrebbero essere, allo stesso tempo, rappresentativi e responsabilizzati. Gli incontri del consiglio dovrebbero essere regolari e l'agenda dovrebbe includere tutti i temi più importanti delle politiche di sviluppo economico del paese, prevedendo discussioni che abbiano ripercussioni reali sull'operato del governo.

2.6

Allo stesso tempo andrà rilanciato, nel rafforzamento della partecipazione democratica dei cittadini albanesi, il ruolo del dialogo civile. Per questo l'Unione europea può svolgere un ruolo importante nella formazione professionale degli operatori della società civile nel suo complesso, privilegiando organizzazioni che concretamente agiscono nel tessuto sociale albanese.

2.7

Il CESE si impegna a continuare l'attività di monitoraggio e sostegno alle organizzazioni della società civile in Albania, tenendo presente che il processo evolutivo è rapido e ribadendo l'importanza del paese per la stabilità dell'intera regione.

2.8

Come previsto nelle conclusioni del II Forum della società civile dei Balcani occidentali (Lubiana 4, 5 giugno 2008), così, anche per l'Albania, la creazione di un comitato consultivo misto potrebbe esprimere le esigenze della società civile, contribuendo a costruire una relazione forte tra queste organizzazioni e le istituzioni europee. Inoltre il CESE, per il suo lavoro nella regione dei Balcani, potrebbe favorire il rafforzamento della cooperazione tra le organizzazioni della società civile dei paesi di quell'area, inserendo appieno l'Albania.

2.9

Le organizzazioni europee della società civile hanno un ruolo fondamentale nel coinvolgimento e nel contributo all'informazione delle organizzazioni albanesi sulle politiche e sui programmi comunitari.

3.   Gli strumenti dell'azione dell'Unione europea in Albania

3.1

Il quadro generale delle politiche dell'UE verso i paesi dei Balcani occidentali è rappresentato dal processo di stabilizzazione e associazione, al quale partecipa anche l'Albania.

3.2

Nel gennaio 2006 il Consiglio europeo ha approvato una partnership europea per l'Albania, che prevede tutta una serie di priorità di breve e medio periodo che si dovrebbero perseguire. Conseguentemente, nel luglio 2006, le istituzioni albanesi hanno adottato un piano d'azione nazionale al fine di implementare le raccomandazioni contenute nella partnership europea. Attualmente, il governo albanese sta rivedendo il piano d'azione del 2006 al fine d'implementare la partnership europea per il 2008. L'Albania ha firmato il 12 giugno 2006 un Accordo di associazione e stabilizzazione (SAA), garantendosi così un quadro di impegni comuni su aspetti economici, commerciali e politici, incoraggiando allo stesso tempo la cooperazione regionale.

3.3

Nel periodo che va dal 2001 al 2007 lo strumento finanziario fondamentale della Commissione europea per la cooperazione con l'Albania è stato il programma CARDS (Community Assistance for Reconstruction, Development and Stabilisation), che prevedeva 5 principali settori di intervento:

Stabilizzazione democratica attraverso microprogetti si sostiene lo sviluppo della società civile e delle ONG che si occupano della promozione dei diritti umani, sociali e politici e con iniziative per il rafforzamento del sistema elettorale.

Giustizia e affari interni sostegno al processo di riforma del sistema giudiziario, delle procure e della polizia. Si opera per la gestione integrata delle frontiere marittime e terrestri supportando l'attività della polizia di frontiera.

Capacity buiding nell'amministrazione programmi per la riforma del sistema fiscale e tariffario, per gli appalti, per i rilevamenti e la gestione dei dati statistici.

Sviluppo economico e sociale facilitazione degli scambi e lo sviluppo delle comunità locali. Sono sostenuti inoltre il programma Tempus e i programmi per promuovere la formazione e l'istruzione superiore.

Ambiente e risorse naturali azioni di sostegno alla legislazione per la pianificazione urbana e regionale in materia ambientale. Un altro aspetto riguarda il supporto ai programmi per la qualità delle acque e dell'aria e per lo smaltimento dei rifiuti.

Il programma CARDS è passato da una prima fase in cui si è concentrato maggiormente sulla ricostruzione fisica, per poi focalizzarsi su un miglioramento del funzionamento dell'amministrazione dello Stato al fine di soddisfare le priorità della partnership europea e i requisiti per l'implementazione dell'SAA. Nel periodo 2001-2006 sono stati complessivamente allocati nel progetto CARDS 282,1 milioni di euro per quanto riguarda l'Albania (2).

3.4

Dal gennaio 2007, in seguito alla riforma della disciplina degli aiuti dell'UE e alle modifiche intervenute, il programma CARDS è stato sostituito dal nuovo Strumento di assistenza preadesione (IPA — Instrument for Pre-Accession Assistance) che ha principalmente la funzione di riunire in un unico programma gli strumenti di assistenza sia per i paesi candidati all'adesione, sia per i potenziali candidati. Nell'ambito dell'IPA è stato adottato, nel maggio 2007, il Multiannual Indicative Planning Document (MIPD) 2007-2009 per l'Albania, sulla base del quale il paese riceverà un totale di 212,9 milioni di euro.

3.5

Un accordo sulla facilitazione dei regimi dei visti è stato firmato tra l'UE e l'Albania nel settembre 2007 e dovrebbe entrare in vigore nella prima metà del 2008, quando tutte le condizioni previste saranno soddisfatte: ciò dovrebbe rendere più facile ai cittadini albanesi viaggiare nell'Unione.

3.6

La partecipazione dell'Albania all'Accordo centroeuropeo di libero scambio (CEFTA) e al Patto di stabilità per il Sudest d'Europa, insieme al coinvolgimento della Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS) e della Banca europea per gli investimenti (BEI), contribuisce a creare un network di interventi di diversa entità per l'avanzamento dell'Albania verso standard più europei.

4.   Cenni sulla situazione politica ed economica in Albania

4.1

In Albania la crescita economica ha recentemente conosciuto una leggera flessione in seguito alla crisi energetica che ha colpito il paese. Il principale fattore di sostegno all'economia albanese continua a essere determinato dalle rimesse dall'estero degli emigrati, soprattutto in Italia e in Grecia. L'agricoltura concorre per un terzo della formazione del PIL e il tasso di disoccupazione ufficiale è pari al 13,46 %, ma grande resta il peso dell'economia informale.

4.2

Le differenze tra le zone rurali del Nord, più povere e arretrate, e le zone urbane del Sud, permangono e giocano un ruolo di primo piano nel delineare la situazione del paese. Queste divergenze hanno motivazioni anche recenti, collegate principalmente ai conflitti che hanno attraversato i Balcani e le conseguenze economiche, sociali e politiche negative (embarghi compresi) che hanno colpito i paesi coinvolti direttamente o indirettamente.

4.3

Sono necessari decisivi passi avanti nella lotta contro la corruzione che resta una piaga molto diffusa in numerosi settori dell'economia e dell'amministrazione.

4.4

Le forze politiche in campo sono concordi nel fare sforzi per accelerare il processo di integrazione europea ma, alla prova dei fatti, non esiste una collaborazione efficace tra maggioranza e opposizione nella realizzazione delle riforme necessarie.

4.5

Nell'ambito dell'accordo a interim dell'SAA, si sono ultimamente compiuti moderati progressi nel settore del sistema giudiziario (registrati anche dalla recente comunicazione della Commissione europea sui Balcani occidentali (3)), ma sono indispensabili interventi nella legislazione dei media, nella lotta al lavoro nero, alla corruzione, alla criminalità organizzata e alla povertà. È necessario monitorare il gap che frequentemente separa le riforme legislative dall'implementazione delle stesse.

4.6

Nel 2009 si terranno le elezioni legislative. Per quell'appuntamento è da auspicare un consolidamento del sistema elettorale e anche delle infrastrutture necessarie per elezioni democratiche, quali il registro civile degli aventi diritto al voto.

4.7

L'invito ufficiale ricevuto dall'Albania a far parte della NATO durante il summit di Bucarest del 2-4 aprile scorso, è un elemento del quale bisogna tenere conto per completare il quadro geopolitico e il processo di integrazione del paese nelle istituzioni occidentali.

5.   Il ruolo della società civile nel cammino per l'integrazione europea

5.1

L'UE ha lanciato una strategia che intende fondarsi su un processo partecipativo che coinvolga la società civile, i governi locali e i donatori. È stato per questo redatto un piano di azione partecipativo che prevede il coinvolgimento della società civile nell'elaborazione del programma di spesa a medio termine, mediante il quale si decide l'allocazione delle risorse nei diversi settori.

5.2

Sono stati inoltre costituiti gruppi di consultazione della società civile in quattro settori chiave: agricoltura, educazione, sanità e affari sociali e lavoro; così come un gruppo consultivo nazionale e un segretariato tecnico presso il ministero delle Finanze. Si sottolinea l'importanza di progetti di rafforzamento istituzionale dei governi locali per promuovere una loro partecipazione al processo.

5.3

Il coinvolgimento degli enti locali e delle realtà che, in varie forme, operano sul territorio è di fondamentale importanza per il consolidamento della democrazia e il controllo dei cittadini sull'operato dell'amministrazione pubblica. Ciò è a maggior ragione vero in un paese come l'Albania che cerca di adeguarsi ai parametri europei in vista di una futura adesione a tutti gli effetti.

5.4

Le attività della società civile in Albania scontano le difficoltà di una limitata democrazia partecipativa. Il ruolo delle organizzazioni internazionali e dei rispettivi programmi di aiuto alla sviluppo riveste un ruolo chiave nel finanziamento delle attività delle organizzazioni e associazioni della società civile: questo è il primo elemento del quale occorre tenere conto nell'approccio a una società che sta costruendo e consolidando, passo dopo passo, le istituzioni democratiche. È importante sottolineare che anche gli USA, specialmente attraverso l'agenzia USAID, sono molto presenti nella società albanese attraverso programmi di aiuto allo sviluppo.

5.5

Da un punto di vista politico, il sostegno dell'Unione europea e degli altri organismi internazionali al fine del raggiungimento degli standard per una completa integrazione, deve accompagnare la precisa e autonoma volontà politica del popolo albanese e dei suoi rappresentanti a favore di riforme che mirino al miglioramento delle condizioni economiche e sociali del paese. A questo proposito è da salutare positivamente la decisione, da parte del governo albanese, di stanziare a favore della società civile la cifra di 1 milione di euro nell'ultima legge di bilancio. Si auspica che le modalità di funzionamento e attribuzione di questi fondi (allo stato attuale non ancora decise) saranno contraddistinte da una reale trasparenza e da un monitoraggio efficace.

5.6

Per far evolvere il ruolo della società civile occorre che venga rafforzato il dialogo, che appare ancora troppo debole e infruttuoso, tra la stessa e il governo. Il coinvolgimento delle organizzazioni della società civile nei processi legislativi, sia in fase di elaborazione che in fase di monitoraggio, è utile sia per l'efficacia delle riforme che per il consenso alle stesse.

5.7

Esistono numerose organizzazioni non governative che operano in Albania in diversi settori: dai diritti delle donne, alla difesa della democrazia, della trasparenza e della meritocrazia nelle istituzioni, ai centri di ricerca, alle associazioni di protezione dei consumatori, ecc. I limiti generali che si possono rilevare sono la concentrazione della maggioranza delle realtà a Tirana senza una presenza diffusa sul territorio nazionale, l'ambito di intervento a volte troppo ampio per presumere una reale efficacia dell'operato e una concezione dell'attività troppo «professionale».

5.8

Nel corso della missione in Albania, i membri del CESE presenti hanno potuto osservare che, nella società civile albanese, si ritrovano fenomeni purtroppo presenti in molti paesi per certi versi analoghi all'Albania, quali la nascita di organizzazioni spesso costituite da pochissimi membri e l'eccessiva «professionalizzazione» degli operatori della società civile, fino a far diventare la stessa una realtà che segue le stesse regole del mercato.

5.9

Il settore dell'agricoltura, che ancora costituisce gran parte del PIL del paese e nel quale sono ancora occupati molti lavoratori, paga ancora il prezzo delle privatizzazioni degli anni '90 (realizzate secondo il programma suggerito dalla Banca mondiale), che hanno creato un alto numero di micro imprese agricole che difficilmente si organizzano al fine di agire per i comuni interessi. Per questo le associazioni degli agricoltori ci hanno confermato il loro impegno per una riforma modernizzatrice del sistema economico e produttivo dell'agricoltura albanese.

6.   La situazione del dialogo sociale

6.1

In Albania il dialogo sociale e la rappresentatività stessa dei partner sociali non è evoluta così come negli altri paesi dell'Unione europea. La situazione economica, sociale e politica di questi ultimi anni non ha permesso l'instaurazione di un dialogo sociale consolidato.

6.2

Gli ostacoli verso una normalizzazione delle relazioni tra governo e partner sociali (specialmente i sindacati) sono ancora molto presenti e sono culminati nell'episodio verificatosi nell'agosto 2007, quando degli ufficiali giudiziari accompagnati da forze di polizia hanno intimato ai due sindacati confederali di lasciare le sedi a suo tempo prese in affitto. I sindacati, infatti, accusano il governo di questa decisione. Il CESE ritiene che, a proposito di questo problema, sia necessario trovare una soluzione condivisa, nell'intento di migliorare il prima possibile le relazioni tra i sindacati e il governo e far sì che ognuno si dedichi più efficacemente alla propria funzione.

6.3

I sindacati (4) albanesi domandano un maggiore coinvolgimento nei loro confronti specialmente su temi delicati quali le misure da adottare nei confronti degli aumenti dei prezzi, la lotta alla corruzione e all'informalità dell'economia, le riforme del settore energetico e petrolifero e le conseguenze di queste ultime sull'occupazione.

6.4

Le organizzazioni imprenditoriali, pur essendo tra loro frammentate e poco disposte ancora alla collaborazione, lamentano tutte una mancanza di trasparenza, partecipazione e coinvolgimento nel processo legislativo, specialmente per le misure che più toccano l'attività economica. Si chiede, da parte di tutti gli attori del dialogo tripartito, un rispetto delle regole e un'effettiva rappresentatività.

6.5

Il massimo organismo del dialogo tripartito in Albania è il Consiglio nazionale del lavoro, istituito nel 1996. Si tratta di un'istituzione che opera per l'armonizzazione degli interessi dei vari attori economici, per diminuire i conflitti e salvaguardare la pace sociale (5).

6.6

Nel corso di questi anni, l'attività del consiglio ha riconosciuto ai partner sociali legittimità e ha avuto un certo grado di influenza in alcune scelte importanti, specie in materia di politiche salariali. Nel valutare l'operato del Consiglio nazionale del lavoro occorre anche tenere in considerazione l'instabilità politica dell'Albania, specie alla fine degli anni '90, che si è tradotta in un frequente ricambio dei ministri del Lavoro.

6.7

Sia i rappresentanti dei lavoratori che i rappresentanti degli imprenditori si lamentano del funzionamento del Consiglio nazionale del lavoro in quanto sarebbe caratterizzato da un'attività discontinua e non sarebbe chiamato a pronunciarsi su questioni politiche di fondamentale importanza quali le leggi sulle privatizzazioni e le leggi finanziarie.

6.8

Il CESE considera il Consiglio nazionale del lavoro come un organismo straordinariamente importante per lo sviluppo del dialogo sociale in Albania. Dovrebbe essere un luogo di vera discussione e mediazione, dove si affrontino temi di rilevanza nazionale. La rappresentatività degli attori che vi partecipano, le tempistiche e la regolarità degli incontri sono fattori di basilare importanza per un buon funzionamento dell'istituzione.

6.9

È stata adottata in Albania una legge che istituisce un ispettorato del lavoro. Tuttavia la capacità e l'operatività di questo organismo sul territorio è ancora limitata e permangono problemi legati a una debole legislazione e implementazione di regole sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

Bruxelles, 9 luglio 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  L'importanza e le difficoltà della società civile nei paesi dei Balcani occidentali sono sottolineate anche dalla Commissione europea nella sua comunicazione Strategia di allargamento e sfide principali per il periodo 2007-2008, COM(2007) 663 def.

(2)  Commissione europea,

http://ec.europa.eu/enlargement/albania/eu_albania_relations_en.htm

(3)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al ConsiglioRafforzare la prospettiva europea dei Balcani occidentali, COM(2008) 127 def.

(4)  I principali sindacati albanesi sono due: l'Associazione dei sindacati indipendenti di Albania (BSPSH) e la Confederazione dei sindacati d'Albania (KSSH). Entrambi nascono nel 1992.

(5)  La disciplina del Consiglio nazionale del lavoro è contenuta nell'articolo 200 del Codice del lavoro albanese (Legge 7.961 del 12.7.1995 e successive modifiche).


3.2.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 27/144


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La creazione di reti di organizzazioni della società civile nella regione del Mar Nero

(2009/C 27/29)

Con lettera del 15 luglio 2007 Benita FERRERO-WALDNER, commissaria europea per le Relazioni esterne e la Politica europea di vicinato, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato CE, di elaborare un parere esplorativo sul tema:

La creazione di reti di organizzazioni della società civile nella regione del Mar Nero.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 12 giugno 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore MANOLIU e dal correlatore MITOV.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 9 luglio 2008, nel corso della 446a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 143 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

La Sinergia del Mar Nero è concepita per richiamare l'attenzione politica sulla regione e per sfruttare le nuove opportunità scaturite dall'adesione all'UE della Romania e della Bulgaria. Essa è incentrata su cinque aree tematiche: buon governo, trasporti, energia, ambiente e lotta alla criminalità transfrontaliera.

1.2

La Sinergia del Mar Nero dovrebbe inoltre contribuire a promuovere il modello sociale europeo e il principio del dialogo sociale e civile, nonché partecipare alla lotta alla povertà nella regione in collaborazione con le organizzazioni internazionali competenti.

1.3

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) esorta i governi degli Stati della regione del Mar Nero e le organizzazioni regionali e internazionali a coinvolgere la società civile nel dialogo e nella cooperazione regionale, nonché a offrire una prospettiva nuova su una serie di grandi temi: il sostegno alla stabilità politica, alla democrazia, allo Stato di diritto, ai diritti dell'uomo e alle libertà fondamentali; la promozione delle riforme economiche, dello sviluppo e del commercio; la cooperazione nei settori dei trasporti, dell'energia e dell'ambiente; i contatti interpersonali ecc.

1.4

A giudizio del CESE la regione del Mar Nero presenta opportunità e sfide notevoli, che richiedono un'azione coordinata a livello regionale con il coinvolgimento della società civile, specialmente nei settori chiave dell'energia, dei trasporti, dell'ambiente, della circolazione e della sicurezza.

1.5

Il CESE apprezza le diverse iniziative pubbliche e private lanciate per sostenere una partecipazione attiva della società civile e delle organizzazioni sociali alla definizione del futuro della regione. In particolare, il CESE appoggia il coinvolgimento delle reti di cooperazione già esistenti della società civile e delle organizzazioni sociali nel Forum del Mar Nero per il partenariato e il dialogo (Black Sea Forum for Partnership and Dialogue — Forum BS) e nell'Organizzazione per la cooperazione economica del Mar Nero (Black Sea Economic Cooperation — BSEC).

1.6

Il CESE promuove la creazione di consigli economici e sociali nazionali e commissioni tripartite e il rafforzamento del loro ruolo in tutti i paesi della regione del Mar Nero. Promuove inoltre lo sviluppo della cooperazione tra le strutture tripartite della regione. Nei paesi sprovvisti di consiglio economico e sociale nazionale bisognerebbe incoraggiare le parti sociali a intervenire nel processo di consultazione e nella creazione di tale organo.

1.7

Il CESE incoraggia a svolgere uno studio approfondito sulla situazione della società civile e delle parti sociali nei paesi della regione del Mar Nero.

1.8

Nel novembre del 2008 il CESE e l'OIL organizzeranno un convegno congiunto sul tema Il ruolo delle organizzazioni della società civile nei paesi della regione del Mar Nero: la creazione di reti regionali e la promozione del dialogo sociale. Il convegno vedrà la partecipazione dei soggetti regionali interessati e darà seguito al presente parere esplorativo.

2.   Introduzione

2.1

Il CESE è lieto di rispondere alla richiesta di formulare un parere esplorativo sulla Sinergia del Mar Nero, rivoltagli dalla commissaria europea per le Relazioni esterne e la Politica europea di vicinato Benita FERRERO-WALDNER. La Commissione europea ha chiesto in particolare che si valutassero le possibilità di migliorare il coinvolgimento della società civile nell'attuazione della comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo Sinergia del Mar NeroUna nuova iniziativa di cooperazione regionale (COM(2007) 160 def.).

2.2

Il CESE ha accolto con favore la prima riunione comune dei ministri degli Esteri dei 27 Stati membri dell'UE e dei loro omologhi dei paesi della regione del Mar Nero, svoltasi a Kiev il 14 febbraio 2008. La partecipazione del CESE, in qualità di osservatore, a tale consesso rappresenta un passo importante ai fini dell'attuazione della strategia di cooperazione regionale per il Mar Nero.

2.3   Uno sviluppo integrato nella regione del Mar Nero

2.3.1

La regione del Mar Nero (1) è un'area geografica ricca di risorse naturali e strategicamente situata al punto d'incrocio fra Europa, Asia Centrale e Medio Oriente. Oggi più che mai, la prosperità, la stabilità e la sicurezza dei paesi vicini dell'Unione europea situati attorno al Mar Nero (2) riguardano direttamente l'UE ed assumono per essa una rilevanza strategica. Si tratta di un mercato di quasi 200 milioni di abitanti con un grande potenziale di sviluppo, di un punto di smistamento per i flussi di energia e di traffico e di un'area di confluenza di diverse culture che presenta anche conflitti irrisolti.

2.3.2

Tre sono le politiche dell'UE che si applicano a questa regione: il processo di preadesione nel caso della Turchia, la Politica europea di vicinato, che interessa cinque paesi partner orientali (Ucraina, Moldova, Georgia, Armenia e Azerbaigian) attivi anche nella cooperazione nella regione del Mar Nero, e il partenariato strategico con la Russia, fondato su quattro «spazi comuni».

2.3.3

Il CESE sostiene il contributo della Commissione a tutta una serie di iniziative di rilevanza regionale in diversi settori: diritti umani e libertà individuali, Stato di diritto; cooperazione in materia di giustizia, libertà e sicurezza; integrazione commerciale ed economica e convergenza normativa; trasporti, politica marittima ed energia; ambiente; società dell'informazione, occupazione, politica sociale e pari opportunità; capitale umano e istruzione; sanità pubblica.

2.3.4

A parere del CESE la regione del Mar Nero presenta opportunità e sfide notevoli che richiedono un'azione coordinata a livello regionale, specialmente in settori chiave quali l'energia, i trasporti, l'ambiente, la circolazione e la sicurezza.

2.3.5

Il CESE ritiene che la varietà di forme, approcci e politiche esistente nell'ambito delle organizzazioni regionali e delle iniziative di cooperazione evidenzi quanto spazio vi sia, nell'area del Mar Nero, per definire una collaborazione in materia di sviluppo e gestione di sinergie. Negli allegati del presente parere viene presentata una panoramica delle organizzazioni regionali, delle iniziative di cooperazione, dei programmi e dei centri di analisi delle politiche operanti nella regione.

2.4   Gli obiettivi dell'UE nella regione del Mar Nero

2.4.1

Negli ultimi 15 anni l'Unione europea ha profuso un enorme impegno nella regione per promuovere la democrazia, sostenere le riforme economiche e lo sviluppo sociale, proteggere la stabilità e incoraggiare la cooperazione regionale.

2.4.2

Il CESE ritiene necessario che l'UE sia maggiormente coinvolta nel completare le attività bilaterali, potenziare la cooperazione regionale, garantire una maggiore coerenza, offrire orientamenti politici e concentrare l'attenzione politica a livello regionale, promuovendo così l'auspicata formazione di una zona di stabilità, prosperità e cooperazione che sia condivisa da tutti i suoi potenziali nuovi vicini.

2.4.3

Il CESE ritiene che l'approccio regionale nei confronti del Mar Nero debba essere mirato e che non vada utilizzato né per fornire un'alternativa all'adesione né per definire le frontiere ultime dell'UE.

3.   Caratteristiche delle organizzazioni della società civile della regione del Mar Nero

3.1

I dieci paesi dell'area del Mar Nero presentano notevoli differenze dal punto di vista del contesto storico, politico e socioeconomico e, di conseguenza, delle condizioni in cui opera la società civile. Nel periodo sovietico, gli «attori sociali» o la «cooperazione professionale» erano stati ridotti dal partito al potere a mere «cinghie di trasmissione». Una situazione, questa, comune a tutti i paesi della regione tranne la Turchia e la Grecia. A partire dall'inizio degli anni Novanta, tutti i paesi dell'Europa centrale e orientale hanno avviato una rapida transizione politica ed economica che ha portato conseguenze rilevanti anche per la società civile.

3.2

Il CESE ritiene che si debba sostenere una cooperazione rafforzata tra l'UE e i paesi della regione, cooperazione che deve basarsi su una concezione condivisa dei valori comuni, delle libertà fondamentali, dell'impegno a creare una società aperta e di un dialogo fondato sull'indipendenza delle organizzazioni della società civile.

3.3

Il CESE ritiene che le principali cause della lentezza con cui si sviluppano organizzazioni della società civile nella regione del Mar Nero siano le seguenti: la debolezza dei sistemi giudiziari e la loro dipendenza dai governi (nella maggior parte dei casi il sistema giudiziario tutela gli interessi delle autorità a danno dei cittadini), l'assenza di un'equilibrata ripartizione dei poteri e delle competenze tra centro ed enti locali, il rafforzamento delle funzioni coercitive e fiscali dei governi, la manipolazione dei pubblici funzionari attraverso la corruzione attiva e passiva, la trasformazione dei diritti e delle libertà civili in concetti fittizi, la limitazione dell'accesso pubblico alle informazioni, il dialogo fittizio tra i governi e una selezionata cerchia di rappresentanti della cosiddetta «società civile», l'assenza delle condizioni giuridiche ed economiche necessarie perché esistano organizzazioni della società civile veramente libere, la dipendenza delle organizzazioni della società civile da fondi provenienti dai circuiti internazionali o dalle imprese e lo scarso sviluppo della cultura democratica.

3.4

Occorre intraprendere uno studio comparativo completo sulla situazione delle organizzazioni della società civile nella regione del Mar Nero. Tale studio dovrà esaminare le sfide determinate dalla situazione attuale della regione e porre l'accento sulle opportunità di cui dispongono attualmente le organizzazioni della società civile e, tra queste, sul ruolo che potrebbe svolgere una rete regionale. Dovrà inoltre analizzare le iniziative a favore della società civile organizzata che emergono a livello regionale ed europeo e valutare la libertà di associazione, le norme e procedure di registrazione e il regime fiscale, la libertà di espressione e il funzionamento delle consultazioni tripartite.

4.   Le reti delle organizzazioni della società civile nella regione del Mar Nero

4.1

Il CESE fa notare che spetta alla società civile e alle organizzazioni sociali decidere come organizzarsi a livello regionale, nazionale e internazionale.

4.2

Il CESE sostiene l'approccio della Commissione laddove si oppone alla creazione di una nuova struttura regionale per le organizzazioni della società civile, e incoraggia a sviluppare la dimensione della società civile nelle reti esistenti nonché a far partecipare le sue organizzazioni alle reti regionali e transnazionali.

4.3

Il CESE raccomanda alla società civile e alle reti delle organizzazioni sociali create a livello regionale di sviluppare legami più stretti con la BSEC, che, oltre ad essere la piattaforma per la cooperazione economica, è anche l'organizzazione intergovernativa più avanzata nella regione. Esso ritiene che sarebbe utile fare di un partenariato efficace con le organizzazioni della società civile una dimensione chiave degli orientamenti politici e delle attività della BSEC.

4.4

Il CESE ritiene che il Forum del Mar Nero per il partenariato e il dialogo, data la sua esperienza nel riunire le ONG della regione e nel facilitare l'interazione tra istanze governative e non governative, potrebbe diventare una piattaforma per un dialogo aperto tra i governi e la società civile organizzata. Creato dai capi di Stato di diversi paesi del Mar Nero nel 2006, esso non prevede la creazione di strutture permanenti e non darebbe luogo ad alcuna sovrapposizione fra le sue attività e quelle svolte dai meccanismi di cooperazione già esistenti nella regione.

4.5

Il CESE propone che la cooperazione tra le reti della società civile dia priorità ai seguenti settori: definizione degli interessi comuni, formulazione di strategie a medio e lungo termine per il rafforzamento delle capacità della società civile, promozione di maggiori sinergie tra le organizzazioni della società civile al fine di creare i presupposti per la riuscita dei progetti di cooperazione regionale, valutazione degli strumenti esistenti, valutazione delle capacità nazionali e regionali, individuazione dei requisiti critici e preparazione proattiva al domani.

4.6

Le reti esistenti della società civile organizzata e delle organizzazioni sociali dovrebbero essere aperte alla partecipazione di ogni organizzazione regionale della società civile che sia interessata.

5.   Consigli economici e sociali nella regione del Mar Nero

5.1

Il CESE coopera con tre consigli economici e sociali nazionali e due istituzioni analoghe della regione del Mar Nero (per una descrizione più dettagliata si veda l'allegato II), organismi attivi anche nell'ambito dell'Associazione internazionale dei consigli economici e sociali e delle istituzioni analoghe (Aicesis):

Bulgaria — Consiglio economico e sociale,

Grecia — Comitato economico e sociale,

Romania — Consiglio economico e sociale — CES,

Russia — Camera pubblica,

Ucraina — Consiglio economico e sociale nazionale tripartito.

5.2

Il CESE ha firmato un Memorandum d'intesa con la Camera pubblica russa e intende rafforzare la cooperazione con il Consiglio economico e sociale nazionale tripartito dell'Ucraina. La Russia dispone peraltro anche di una commissione tripartita con cui il CESE dovrebbe riuscire a stabilire un dialogo.

5.3

Il CESE collabora inoltre con la Turchia nel quadro di un comitato consultivo misto. Esso sostiene la necessità di riformare il consiglio economico e sociale esistente nel paese per dotarlo di una struttura istituzionale chiaramente definita e consentirgli di far parte delle reti internazionali dei consigli economici e sociali.

5.4

In Moldova esiste una commissione nazionale per la consultazione e la contrattazione collettiva: si tratta di un organo tripartito istituito in base alla legge sulla contrattazione collettiva e presieduto dal primo viceministro, mentre le funzioni di segretariato sono svolte dal ministero dell'Economia e del commercio, competente anche in materia di lavoro. Un consiglio economico e sociale va emergendo anche in Georgia. Attualmente, tuttavia, il CESE non ha legami di cooperazione con questi organismi.

5.5

Nei paesi sprovvisti di consiglio economico e sociale nazionale bisognerebbe incoraggiare le parti sociali a intervenire nel processo di consultazione e nella creazione di tale organo.

5.6

Occorre promuovere il rafforzamento della cooperazione regionale e di quella internazionale tra il CESE e i consigli economici e sociali della regione del Mar Nero. A lungo termine, il CESE potrebbe contribuire alla creazione di una rete comprendente i consigli esistenti, quelli emergenti e altre strutture tripartite della regione.

6.   Il coinvolgimento della società civile nella definizione delle politiche regionali, nazionali e internazionali

6.1

Lo sviluppo della società civile offre una nuova prospettiva sui grandi temi; il CESE invita pertanto i governi della regione del Mar Nero e le organizzazioni regionali e internazionali a far sì che la società civile partecipi in modo più efficiente al dialogo regionale. A suo giudizio, le attività di dialogo e cooperazione dovranno concentrarsi innanzitutto su quattro ambiti:

il sostegno alla stabilità politica, alla democrazia, allo Stato di diritto, ai diritti dell'uomo e alle libertà fondamentali,

la promozione delle riforme economiche, dello sviluppo e del commercio,

la cooperazione nei settori dei trasporti, dell'energia e dell'ambiente,

i contatti interpersonali.

6.2   Il sostegno alla stabilità politica, alla democrazia, allo Stato di diritto, ai diritti dell'uomo e alle libertà fondamentali

6.2.1

Il CESE incoraggia la Commissione a sfruttare appieno la Sinergia del Mar Nero e lo strumento europeo per la democrazia e i diritti umani per promuovere la cooperazione transfrontaliera e regionale tra le organizzazioni della società civile. Esso sottolinea l'importanza di un dialogo interculturale mirato alla risoluzione dei conflitti e alla creazione di uno spazio di democrazia sostenibile, Stato di diritto e buon governo a livello locale e regionale.

6.2.2

Il rispetto dei diritti umani e delle libertà fondamentali, compreso il rispetto dell'indipendenza delle parti sociali e delle organizzazioni della società civile e la libertà di stampa, dovrebbero essere al centro della politica esterna dell'UE nelle sue relazioni bilaterali e nell'approccio regionale.

6.2.3

La Sinergia del Mar Nero dovrebbe inoltre contribuire a promuovere il modello sociale europeo e il principio del dialogo sociale e civile. Dovrebbe inoltre partecipare alla lotta alla povertà nella regione in collaborazione con le organizzazioni internazionali competenti, in particolare la Banca mondiale e l'OIL.

6.3   La promozione delle riforme economiche, dello sviluppo e del commercio

6.3.1

Nel corso dell'ultimo decennio, l'area del Mar Nero ha visto l'attuazione di importanti riforme a livello politico, istituzionale, macroeconomico e normativo. Tra le economie dei paesi della regione vi sono notevoli disparità in termini di disponibilità dei fattori di produzione, risorse naturali, capacità produttive e dimensioni del mercato. Sono paesi che non solo si differenziano per livello di sviluppo, stadio di attuazione delle riforme, grado di equilibrio economico e sociale e capacità di rispondere ai bisogni primari dei cittadini, ma che devono anche far fronte all'esistenza di un'economia informale, alla corruzione, alle migrazioni e alla povertà.

6.3.2

Il settore privato dei paesi della regione è caratterizzato da un forte dinamismo, uno dei principali fattori che determinano la competitività dell'economia e il suo potenziale di crescita a lungo termine. Occorre incoraggiare il sostegno alle piccole e medie imprese per contribuire al miglioramento dell'equilibrio economico e sociale.

6.3.3

A parere del CESE, la sostenibilità economica a lungo termine della regione del Mar Nero è direttamente legata alla situazione ambientale, all'aumento delle esternalità negative, ai problemi di responsabilità sociale, al rispetto delle norme sociali comuni e alla crescita del senso di responsabilità ambientale. Il CESE evidenzia l'importanza di potenziare i servizi sociali, scolastici e culturali a disposizione di tutti i cittadini per combattere la povertà e la disuguaglianza.

6.3.4

Il CESE sottolinea la necessità di creare un clima più favorevole agli investimenti, promuovere riforme in direzione dell'economia di mercato e incoraggiare misure di liberalizzazione e, in conformità con i principi dell'OMC, sostiene la creazione di una zona di libero scambio nella regione del Mar Nero. L'impatto dell'innovazione tecnologica potrebbe aprire nuovi settori alla cooperazione internazionale, agli investimenti esterni e allo sviluppo dei servizi.

6.4   La cooperazione nei settori dei trasporti, dell'energia e dell'ambiente

6.4.1

Il CESE ritiene che, ai fini della diversificazione dell'approvvigionamento energetico dell'UE, la regione del Mar Nero sia un'area importante, geopoliticamente e strategicamente, in quanto zona di produzione e trasmissione di energia. Il CESE è per la promozione di un approvvigionamento diversificato e per un maggiore sostegno alla creazione e all'individuazione di infrastrutture, corridoi di trasporto, fornitori e rotte che siano nuovi, validi e sicuri.

6.4.2

L'aumento del prezzo del petrolio e del gas, la dipendenza sempre maggiore dell'UE da un numero ristretto di fornitori esterni e il riscaldamento globale interessano anche i paesi della regione del Mar Nero. Il CESE ha avviato un dibattito sulla necessità di una politica energetica europea per garantire lo sviluppo sostenibile, la competitività e la sicurezza dell'approvvigionamento (3). Esso è consapevole del fatto che l'aumento dei prezzi dell'energia può influire pesantemente sull'equilibrio economico e sociale dei paesi della regione.

6.4.3

Le nuove rotte di approvvigionamento, come il corridoio energetico che attraverserà il Mar Caspio e il Mar Nero (4), il gasdotto Nabucco (5) (progetto che prevede il trasporto per 3 400 chilometri di 31 miliardi di tonnellate cubiche di gas naturale all'anno) e i progetti Inogate e Traceca, dovrebbero fornire un quadro adeguato alla creazione di un mercato energetico concorrenziale. La Russia ha proposto la realizzazione di due gasdotti: il South Stream, che dovrebbe collegarla all'Europa occidentale passando sotto il Mar Nero e attraversando i Balcani e l'Europa centrale, e il North Stream, nella regione del Mar Baltico.

6.4.4

Il CESE evidenzia che, per quanto riguarda i possibili nuovi corridoi per la fornitura di petrolio e gas dalla regione del Mar Nero e del Mar Caspio, una politica estera efficiente dovrebbe poggiare sulla concessione all'Azerbaigian di un sostegno che aiuti il paese a diventare un fornitore di energia realmente indipendente e contribuisca a sviluppare le industrie nazionali del petrolio e del gas, nonché sulla concessione di un sostegno alla Georgia, alla Moldova, alla Romania e all'Ucraina: sono fattori chiave per garantire allo spazio europeo nuovi corridoi per il transito dell'energia. Va inoltre tenuto conto del fatto che, in questo contesto, anche la Russia è un soggetto interessato. Il CESE propone di offrire pieno sostegno alle imprese europee che partecipano allo sviluppo delle risorse petrolifere e di gas e alla costruzione di gasdotti e oleodotti nell'Europa orientale e in Asia centrale. L'UE dovrebbe anche puntare a rafforzare il ruolo della Turchia quale fattore di stabilità nella regione.

6.4.5

Il CESE ritiene che lo sviluppo di politiche di risparmio energetico nella regione del Mar Nero dovrebbe essere incluso come priorità chiave nei programmi europei di cooperazione e assistenza tecnica. I programmi inerenti all'energia dovrebbero contribuire al risparmio energetico e alla riduzione dei costi e dell'inquinamento.

6.5   I contatti interpersonali

6.5.1

Il CESE accoglie con favore il futuro programma di cooperazione transfrontaliera (CBC) per il bacino del Mar Nero, che verrà attuato nel quadro dello strumento finanziario della Politica europea di vicinato (ENPI 2007-2013), e sottolinea l'importanza di promuovere i contatti interpersonali nei paesi della regione, specie tra le giovani generazioni.

6.5.2

Il CESE caldeggia sia un ulteriore rafforzamento della cooperazione finalizzata a migliorare la conoscenza reciproca e a incoraggiare i contatti economici, sociali e culturali, sia la promozione degli scambi interpersonali quale veicolo per il consolidamento nel tempo della crescita, della prosperità, della stabilità e della sicurezza nella regione del Mar Nero.

6.5.3

Il CESE sottolinea la necessità di applicare efficacemente le agevolazioni in materia di visti e gli accordi di riammissione che faciliterebbero gli scambi di studenti e di giovani, i contatti fra le imprese, la mobilità dei ricercatori nell'ambito della crescente cooperazione in tema di ricerca e i contatti tra enti locali e regionali, ONG e gruppi culturali.

6.5.4

I contatti interpersonali possono promuovere la cooperazione nei settori dell'istruzione, della formazione e della ricerca, sottolineando quanto sia importante valorizzare il dialogo interculturale attraverso i programmi comunitari esistenti (6). I contatti tra le imprese e la cooperazione tra le associazioni datoriali vanno attivamente incoraggiati per rafforzare i legami e per favorire lo scambio di esperienze e di norme tecniche per le attività.

Bruxelles, 9 luglio 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  La regione del Mar Nero comprende la Grecia, la Bulgaria, la Romania e la Moldova a Ovest, l'Ucraina e la Russia a Nord, la Georgia, l'Armenia e l'Azerbaigian ad Est e la Turchia a Sud. Armenia, Azerbaigian, Moldova e Grecia, pur non affacciandosi sul Mar Nero, fanno naturalmente parte degli attori regionali per ragioni storiche e di prossimità e per gli stretti legami con gli altri paesi della regione.

(2)  Con l'adesione della Bulgaria e della Romania all'UE, il Mar Nero è diventato un mare europeo.

(3)  Il Consiglio europeo dell'8 e 9 marzo 2007 si è dichiarato favorevole all'adozione di una politica europea in materia di energia. Successivamente è stato sviluppato un piano d'azione biennale (2007-2009).

(4)  Il corridoio comprende progetti già realizzati, come l'oleodotto Baku-Tbilisi-Ceyhan, e infrastrutture energetiche attualmente in fase di esame o di preparazione, come il gasdotto Brody-Odessa e il suo prolungamento fino a Plock, gli oleodotti Costanza-Omisalj-Trieste, Burgas-Vlore e Burgas-Alexandroupolis.

(5)  Questo progetto è stato vittima, oltre che di ritardi logistici, di controversie sul finanziamento e di una mancanza di volontà politica.

(6)  Tempus, Erasmus Mundus, Settimo programma quadro di attività di ricerca e Programma di cooperazione transfrontaliera (CBC) per il bacino del Mar Nero.


ALLEGATO I

PANORAMICA DELLA COOPERAZIONE REGIONALE NELLA REGIONE DEL MAR NERO

1.

Le organizzazioni sono suddivise in quattro categorie. Per ciascuna vengono indicati i paesi partecipanti e gli obiettivi della cooperazione regionale.

1.1   Prima categoria: organizzazioni istituzionalizzate dotate di una struttura ben definita.

Organizzazione per la cooperazione economica del Mar Nero ( Black Sea Economic Cooperation BSEC) (Albania, Armenia, Azerbaigian, Bulgaria, Georgia, Grecia, Moldova, Romania, Russia, Serbia, Turchia e Ucraina, più 13 osservatori, compresi UE e USA). Attua iniziative multilaterali di carattere politico ed economico volte a favorire l'interazione tra gli Stati membri.

Organizzazione della Commissione del Mar Nero ( Black Sea Commission Commissione BS) (Bulgaria, Georgia, Romania, Russia, Turchia e Ucraina). È finalizzata alla protezione del Mar Nero dall'inquinamento e all'attuazione della convenzione di Bucarest e del piano d'azione strategico per il Mar Nero.

Organizzazione per la democrazia e lo sviluppo economicoGUAM (Georgia, Ucraina, Azerbaigian e Moldova). Mira a creare un corridoio di trasporto euroasiatico transcaucasico e uno spazio comune di integrazione e di sicurezza nella regione formata dai paesi succitati.

Task group per la cooperazione navale nel Mar Nero ( Black Sea Naval Cooperation Task Group BLACKSEAFOR) (Bulgaria, Georgia, Romania, Russia, Turchia e Ucraina). Contribuisce a rafforzare la fiducia reciproca e la stabilità nella regione attraverso una cooperazione e un'interoperabilità rafforzate tra le forze navali.

Comunità degli Stati indipendentiCSI (Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Kazakstan, Kirghizistan, Moldova, Russia, Tagikistan, Ucraina e Uzbekistan; il Turkmenistan ne è membro associato). Si adopera per creare uno spazio economico comune fondato sui principi della libera circolazione di beni, servizi, lavoratori e capitali.

Unione delle confederazioni di imprese del Mar Nero e del Mar Caspio ( Union of Black Sea and Caspian Confederation of Enterprises UBCCE) (rappresentanti delle organizzazioni imprenditoriali e datoriali del settore privato di Albania, Austria, Azerbaigian, Bosnia-Erzegovina, Bulgaria, Georgia, Grecia, Iran, Kazakstan, ex Repubblica iugoslava di Macedonia, Romania, Serbia e Turchia). Punta a favorire l'adozione di politiche che consentano un migliore funzionamento dell'economia di mercato e a promuovere lo sviluppo di un ambiente concorrenziale che stimoli la crescita sostenibile nelle regioni del Mar Nero e del Mar Caspio.

1.2   Seconda categoria: forum privi di una struttura decisionale formale.

Forum del Mar Nero per il partenariato e il dialogo  (1) ( Black Sea Forum for Partnership and Dialogue Forum BS) (Armenia, Azerbaigian, Bulgaria, Georgia, Grecia, Moldova, Romania, Turchia e Ucraina). Piattaforma di cooperazione e di impegno per l'elaborazione di una nuova strategia regionale e di una visione comune.

Assemblea parlamentare UE-Vicinato orientale (EURO-NEST). Nel novembre 2007 il Parlamento europeo ha deciso di istituire un forum comune multilaterale tra il PE e i Parlamenti di Ucraina, Moldova, Armenia, Georgia e Azerbaigian, comprendente anche osservatori dei movimenti bielorussi per la democrazia.

Comunità della scelta democratica ( Community of Democratic Choice CDC) (Membri: Estonia, Lettonia, Lituania, Georgia, ex Repubblica iugoslava di Macedonia, Moldova, Romania, Russia, Slovenia e Ucraina; partecipanti: Azerbaigian, Bulgaria, Repubblica ceca, Ungheria e Polonia; osservatori: USA, UE, Consiglio d'Europa e OSCE). Obiettivo: il raggiungimento di più elevati standard di sviluppo sostenibile attraverso il rafforzamento della cooperazione regionale, la promozione della democrazia e la tutela dei diritti umani.

Rete delle ONG del Mar Nero ( Black Sea NGO Network BSNN) (un'associazione di 60 ONG di Bulgaria, Georgia, Romania, Russia, Turchia e Ucraina). Organizzazione della società civile finalizzata alla tutela ambientale e alla promozione dei valori democratici e dello sviluppo sostenibile nella regione.

Iniziativa di Baku  (2) — (partner: Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia, Iran, Kazakstan, Kirghizistan, Moldova, Ucraina, Uzbekistan, Tagikistan, Turchia, Turkmenistan; osservatore: Russia; rappresentanti dell'UE: DG Energia e trasporti, DG Relazioni esterne, Ufficio di cooperazione EuropeAid). Punta alla progressiva integrazione dei mercati dell'energia della regione del Mar Nero e del Mar Caspio con i mercati dell'UE.

1.3   Terza categoria: programmi sviluppati principalmente dall'UE

Trasporto interstatale di petrolio e gas per l'Europa ( Interstate Oil and Gas Transport to Europ eInogate), (Bulgaria, Georgia, Moldova, Romania, Turchia, Ucraina e altri 15 paesi). Programma di cooperazione internazionale volto a promuovere l'integrazione regionale delle reti di gasdotti e oleodotti e ad agevolare il trasporto di petrolio e gas.

Corridoio di trasporto Europa/Caucaso/Asia ( Transport Corridor Europe Caucasus Asia Traceca) (Armenia, Azerbaigian, Bulgaria, Georgia, Moldova, Kazakstan, Kirghizistan, Romania, Tagikistan, Turchia, Ucraina, Uzbekistan, Turkmenistan). Punta a migliorare gli scambi e i trasporti lungo il corridoio Europa/Caucaso/Asia.

Task Force DanubioMar Nero ( Danube Black Sea Task Force Task Force DABLAS) (Bulgaria, Georgia, Moldova, Romania, Russia, Turchia, Ucraina e altri nove paesi, nonché il Segretariato della Commissione internazionale per la protezione del Danubio (International Commission for the Protection of the Danube River ICPDR), la Commissione del Mar Nero, le istituzioni internazionali finanziatrici e la Commissione europea). Punta a coordinare gli interventi di tutti gli strumenti finanziari operanti nella regione. La società civile è coinvolta nelle diverse attività svolte dalla Task Force DABLAS.

1.4   Quarta categoria: analisi e finanziamento di iniziative di policy

Trust per la cooperazione regionale nel mar Nero ( Black Sea Trust for Regional Cooperation BST), creato dal Fondo Marshall tedesco degli Stati Uniti ( German Marshall Fund of the United States GMF), che opera in Bulgaria, Georgia, Moldova, Romania, Russia, Turchia e Ucraina, è un partenariato pubblico-privato teso a ricostruire la fiducia e a rafforzare le istituzioni pubbliche, affermando il valore della partecipazione dei cittadini al processo democratico e favorendo legami regionali e transfrontalieri nei settori pubblico, privato e non profit.

Centro internazionale di studi sul Mar Nero ( International Centre for Black Sea Studies ICBSS) (Albania, Armenia, Azerbaigian, Bulgaria, Georgia, Grecia, Moldova, Romania, Russia, Serbia, Turchia e Ucraina). L'ICBSS è un centro di formazione e di ricerca indipendente dedito alla ricerca applicata e orientata alla policy, la cui finalità è di rafforzare le capacità e promuovere la conoscenza della regione del Mar Nero. Si tratta di un organo legato al BSEC.

Iniziativa di gestione delle crisi ( Crisis Management Initiative CMI). Organizzazione senza scopo di lucro che dà attuazione all'iniziativa Partecipazione della società civile alla Politica europea di vicinatoun approccio regionale alla soluzione dei conflitti. Mira a creare una rete regionale di collaborazione tra quattro grandi ONG/centri di riflessione di Armenia, Azerbaigian, Georgia e Moldova per promuovere il dialogo della società civile con i governi dei rispettivi paesi.


(1)  Il Forum è un'iniziativa romena.

(2)  Legata al programma di cooperazione Inogate.


ALLEGATO II

LA COOPERAZIONE DEL CESE CON I CONSIGLI ECONOMICI E SOCIALI E LE ISTITUZIONI ANALOGHE DEI PAESI DELLA REGIONE DEL MAR NERO

Il Consiglio economico e sociale della Bulgaria, istituito con apposita legge nel 2001, è un organo consultivo composto da un presidente e da 36 membri nominati dagli organi direttivi delle organizzazioni rappresentative a livello nazionale: 12 membri rappresentano i datori di lavoro, 12 i lavoratori subordinati e 12 altri gruppi organizzati, tra cui sono compresi anche due docenti universitari indipendenti nominati dal Consiglio dei ministri. Esso adotta dichiarazioni in merito alle leggi, ai programmi e piani nazionali e ad altri atti dell'Assemblea nazionale. Pubblica inoltre una relazione annuale sullo sviluppo economico e sociale e analizza le politiche economiche e sociali.

Il Comitato economico e sociale (OKE) della Grecia, istituito dalla legge 2232/1994, è un'organizzazione tripartita che rappresenta gli interessi di datori di lavoro, lavoratori e attività diverse tra cui agricoltori, liberi professionisti, enti locali e consumatori. È composto da un presidente e da 48 membri suddivisi in egual numero tra ciascun gruppo. Esso mira a promuovere il dialogo sociale tramite il raggiungimento di posizioni comuni su questioni che riguardano la società nel suo insieme o alcuni gruppi specifici.

Il Consiglio economico e sociale (CES) della Romania, previsto dalla Costituzione rumena (modificata nel 2003), che lo definisce un organo consultivo del Parlamento e del governo che opera nei settori indicati dalla legge sulla sua organizzazione e il suo funzionamento. È composto da 45 membri di cui 15 sono nominati rappresentanti delle confederazioni nazionali dei datori di lavoro, 15 rappresentanti delle confederazioni sindacali nazionali e 15 sono nominati dal governo. Esercita una funzione consultiva nell'elaborazione delle strategie e delle politiche economiche e sociali e svolge un ruolo di mediazione in caso di vertenze tra le parti sociali.

La Camera pubblica della Russia, istituita dalla legge federale n. 32 del 4 aprile 2005, consta di 126 membri, di cui 42 nominati dal Presidente russo, i quali a loro volta eleggono altri 42 membri dalle fila delle organizzazioni delle società civile attive a livello nazionale. Questi 84 membri ne nominano poi altri 42 dal novero delle organizzazioni della società civile attive a livello regionale. I lavori si svolgono all'interno di 18 commissioni e in gruppi di lavoro che vedono la partecipazione anche di esperti esterni. La Camera si pronuncia sui progetti di legge, esamina la legislazione esistente e pubblica proprie relazioni.

Il Consiglio economico e sociale nazionale tripartito dell'Ucraina, creato con decreto presidenziale nel 2005, funge da organo consultivo del presidente della Repubblica ed è composto da 66 membri, di cui 22 rappresentanti delle varie professioni e associazioni professionali, 22 rappresentanti dei datori di lavoro e 22 viceministri del governo ucraino. Esso è sostenuto dall'OIL nella promozione del dialogo sociale e civile a livello nazionale.

Il comitato consultivo misto UE-Turchia è composto da 18 membri del CESE e da 18 rappresentanti della società civile organizzata turca. Esso si riunisce due volte all'anno (una a Bruxelles e una in Turchia) per discutere diversi argomenti di interesse comune che riguardano la società civile. Suo compito principale è assicurare il coinvolgimento della società civile organizzata nel processo negoziale di adesione, garantire il follow-up dei capitoli aperti, analizzare le conseguenze economiche e sociali dell'attuazione dell'acquis comunitario, incontrare autorità europee e turche e formulare raccomandazioni.


3.2.2009   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 27/152


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Come conciliare la dimensione nazionale e la dimensione europea nella comunicazione sull'Europa

(2009/C 27/30)

La presidenza francese del Consiglio dell'Unione europea, con lettera del 25 ottobre 2007, ha deciso di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema:

Come conciliare la dimensione nazionale e la dimensione europea nella comunicazione sull'Europa.

Il Comitato economico e sociale europeo, conformemente all'articolo 20 del proprio Regolamento interno, ha designato Béatrice OUIN come relatrice generale.

Il presente parere tiene inoltre conto delle idee espresse nella comunicazione Debate Europe: Valorizzare l'esperienza del Piano D per la democrazia, il dialogo e il dibattito, adottata dalla Commissione il 2 aprile 2008 (1).

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 10 luglio 2008, nel corso della 446a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 115 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

Il CESE raccomanda quanto segue:

1.1

esprimere l'originalità della costruzione europea, i suoi valori e il suo progetto con parole semplici, comprensibili anche ai bambini.

1.2

A livello europeo, produrre per l'educazione civica europea una base comune di conoscenze, elaborata a partire da quanto viene insegnato attualmente negli Stati membri, destinata agli alunni delle scuole e disponibile nelle 22 lingue ufficiali dell'Unione. Tale base comune potrà essere approvata dal Parlamento europeo. Oltre a venire inserita nei programmi scolastici, essa consentirà anche di impartire una formazione prioritaria a opinion leader come insegnanti, rappresentanti politici e giornalisti. L'organizzazione di detta formazione è materia di competenza nazionale.

1.3

Tutte le istituzioni dovranno contribuire ad elaborare e diffondere una politica di comunicazione comune. Le proposte in tal senso contenute nel summenzionato documento Debate Europe sono incoraggianti, ma devono spingersi oltre. Detta comunicazione dovrà evitare l'eurocratese in uso a Bruxelles e dovrà consentire ai cittadini europei di discutere i temi sociali di attualità.

1.4

La politica comune di comunicazione deve essere veicolata in primo luogo dai rappresentanti politici a capo delle istituzioni europee e dai membri dei governi nazionali chiamati a decidere nell'ambito delle varie formazioni del Consiglio dei ministri europeo e che godono di notorietà e visibilità nei rispettivi paesi. Per rivolgersi, da Bruxelles, ai 495 milioni di cittadini europei, sarà necessario elaborare una comunicazione destinata agli opinion leader dei diversi paesi (rappresentanti della società civile, rappresentanti politici locali, giornalisti e insegnanti), fornendo loro, per esempio, una sintesi breve e comprensibile delle riunioni del Consiglio europeo.

1.5

A livello nazionale, questi membri della società civile e rappresentanti politici locali dovranno essere i promotori della democrazia partecipativa europea; insieme essi dovranno raccogliere i punti di vista e le opinioni dei cittadini sui progetti europei. I rappresentanti politici locali si trovano nella posizione ideale per occupare le pagine della stampa locale, che è la più letta: se loro parlano d'Europa, la stampa amplificherà il loro messaggio. Tutti i detentori di un mandato europeo dovrebbero una volta l'anno rendere conto della propria attività a chi ha conferito loro il mandato. Si dovrebbe istituire a livello locale un registro di specialisti con esperienza europea, che potrebbero intervenire in scuole, associazioni, assemblee ecc.

1.6

A livello europeo, si dovrebbero mettere a disposizione degli opinion leader (rappresentanti politici locali, giornalisti, insegnanti, membri dei consigli economici e sociali nazionali e altri rappresentanti della società civile) basi di dati aggiornate e analisi comparative delle realtà dei diversi Stati membri dell'Unione nei vari settori. Tali informazioni potranno essere tra l'altro convogliate verso i numerosi media di cui dispone la società civile.

1.7

A livello nazionale, occorre favorire incontri e scambi diretti tra i cittadini sotto forma di gemellaggi, eventi sportivi, presenza di rappresentanti di un altro Stato membro in tutti i corsi di formazione caratterizzati da una dimensione europea: a questo fine, si dovrà prevedere un accesso semplice e decentralizzato a un sistema di finanziamento delle spese di trasferta (Fondo europeo per la comunicazione) a complemento dei programmi di mobilità già esistenti.

1.8

Il Comitato raccomanda di utilizzare meglio le risorse esistenti, e in particolare, di sfruttare al massimo i documenti già tradotti, che troppo spesso vengono utilizzati esclusivamente come documenti di lavoro dai membri delle istituzioni, e promuovere il multilinguismo quale condizione necessaria per la comunicazione tra i cittadini europei (2).

1.9

Il Comitato raccomanda di proporre agli Stati membri di istituire un ministero degli Affari europei a pieno titolo. L'estero inizia infatti oramai alle frontiere dell'Unione, e dunque gli affari europei rientrano nell'ambito della politica interna e non in quello degli affari esteri. Lo stesso vale per le organizzazioni e i media.

1.10

A livello nazionale, occorre da un lato approfittare dello svolgimento di eventi di vario tipo (competizioni sportive europee e internazionali, elezioni del Parlamento europeo, Giornata dell'Europa, anniversari come quello della caduta del muro di Berlino) e dall'altro organizzare incontri specificatamente per parlare di Europa, sempre facendo uso dei simboli europei, e cioè l'inno e la bandiera.

2.   Motivazione

2.1   Come conciliare la dimensione nazionale e la dimensione europea nella comunicazione sull'Europa

2.1.1

A seguito dell'esito negativo dei referendum tenutisi in Francia e nei Paesi Bassi sul progetto di Trattato costituzionale, si è sviluppato un consenso generale sulla necessità di migliorare la comunicazione sull'Europa. Il risultato del referendum tenutosi in Irlanda dimostra che tale volontà non si è ancora tradotta in azioni efficaci a livello nazionale ed europeo.

2.1.2

La Commissione ha prodotto numerosi testi che sono già stati discussi e il Comitato economico e sociale europeo ha fornito in materia eccellenti pareri, che non è necessario parafrasare in questa sede. Quello in merito al Libro bianco su una politica europea di comunicazione (CESE 972/2006 (3)) afferma che «le autorità pubbliche nazionali, la società civile e le istituzioni dell'Unione europea devono collaborare per consolidare il posto dell'Europa nella sfera pubblica». L'obiettivo del presente documento non è quello di presentare nuove proposte, ma di organizzare quelle già formulate, raccomandando di distinguere tra le competenze dei poteri pubblici nazionali, quelle della società civile e quelle delle istituzioni dell'Unione, nonché di definire le azioni prioritarie.

2.2   Comunicare l'Europa: un compito complesso

2.2.1

La comunicazione sull'Europa è necessariamente complessa; il progetto della costruzione europea ha sempre trovato oppositori: chi vorrebbe meno Europa e chi ne vorrebbe di più, o chi auspica un avanzamento più rapido. Comunicare l'Europa in maniera equilibrata e comprensibile rappresenta dunque una vera e propria sfida. Non si tratta di «vendere» l'Europa, ma di permettere ai cittadini di vivere nello spazio europeo e di partecipare consapevolmente alle scelte strategiche sul futuro dell'Unione.

2.2.2

Comunicare l'Europa vuol dire da un lato far comprendere una realtà politica unica nella storia dell'umanità e dall'altro proporre un progetto. Occorre trovare un equilibrio tra la comunicazione del progetto — che spetta ai responsabili politici — e la necessaria informazione su quanto prodotto dalle istituzioni, attività che compete a ciascuna istituzione e che si rivolge al rispettivo pubblico interessato.

2.2.3

È necessario rivedere il progetto iniziale. Spiegare che «l'Europa vuole dire pace» a generazioni che non hanno vissuto il secondo dopoguerra e che hanno iniziato a interessarsi a quanto succede nel mondo quando cadevano le bombe su Sarajevo non è credibile. Le generazioni nate dopo gli anni '70 hanno la sensazione che l'Europa sia stata loro imposta e che essa non sia stata in grado né di impedire una guerra davanti alla loro porta, né di offrire protezione contro quelli che vengono da molte parti considerati come gli eccessi della globalizzazione. Esse non percepiscono che i diritti e le libertà di cui godono sono il risultato della dinamica europea.

2.2.4

Può risultare più motivante spiegare che «Europa vuol dire ampliare gli orizzonti» mediante l'abolizione delle frontiere, mostrare concretamente come, passo dopo passo, si eliminano gli ostacoli alla comprensione reciproca, al dialogo, alla circolazione, al commercio, al lavoro, al trasferimento in un altro Stato, dimostrare che l'Europa amplia la gamma delle possibilità offrendo agli europei un terreno di vita più vasto e un'apertura alle altre culture. Anche spiegare che l'Europa permette, mediante il raffronto tra i diversi sistemi, di sviluppare il meglio prodotto da ciascuno può servire a dimostrare concretamente l'utilità dell'UE.

2.2.5

Occorre infine dire che solo insieme si può lottare contro il cambiamento climatico, proteggere l'ambiente, garantire la sicurezza alimentare, i diritti dei consumatori ecc. Proprio come gli Stati, infatti, anche l'Europa ha bisogno di concetti semplici. È facile far comprendere a un bambino che le strade e le ferrovie sono necessarie per spostarsi, che tutti devono imparare a leggere per poter capire il mondo, che è necessario punire le persone che nuocciono agli altri e alla collettività e che servizi indispensabili a tutti, come la gestione del territorio, l'istruzione e la giustizia, sono forniti dallo Stato, al quale spetta inoltre il compito di tutelare la salute, la sicurezza e la solidarietà. È invece meno facile spiegare l'Europa, la sua necessità e la sua utilità, dato che si tratta di una costruzione recente, che alcuni cittadini faticano ancora a comprendere. Può risultare invece semplice da spiegare ai bambini e ai loro genitori che, grazie alla realizzazione di uno spazio di vita più ampio, si diventa più forti e creativi, poiché si è più numerosi.

2.2.6

L'euro, benché non riguardi tutti gli Stati dell'Unione, sembra un successo che potrebbe essere maggiormente valorizzato, sia come simbolo dell'abolizione delle frontiere, sia come veicolo di un senso di appartenenza all'Europa, nonché come mezzo per essere più forti insieme.

2.2.7

L'identificazione con l'Europa avviene anche tramite figure emblematiche e simboli forti, noti a tutti, come la bandiera europea.

3.   Osservazioni generali

3.1   Comunicazione politica e comunicazione istituzionale

3.1.1

Va sottolineato che ciascuna delle istituzioni europee, com'è legittimo, impiega diversi strumenti per spiegare ciò che fa: servizi di comunicazione composti da funzionari qualificati, siti Internet, pubblicazioni e video. Un cittadino che visiti le sedi delle istituzioni europee torna a casa carico di documentazione: questo non garantisce però che egli abbia compreso il loro funzionamento e il loro impatto sulla sua vita quotidiana. In certi casi, anzi, tutti questi documenti rischiano di produrre piuttosto un senso di complessità, se non addirittura di confusione. Non bisogna comunicare di più, ma meglio. Non sono i mezzi che mancano, ma occorre utilizzarli in maniera differente. Il problema non è la cattiva qualità degli strumenti di comunicazione bensì la loro insufficiente coerenza e capacità di durare nel tempo. Gli opuscoli che vengono distribuiti non sono ben mirati, né in termini di contenuti, né in relazione alle persone e istituzioni a cui si rivolgono. Inoltre il loro numero è decisamente eccessivo.

3.1.2

La crisi di fiducia nella capacità dell'Unione europea di comunicare efficacemente con i cittadini impone una svolta nella cultura stessa degli sforzi di comunicazione della UE. Attualmente tali sforzi sono, nel migliore dei casi, inadeguati a raggiungere le persone che non conoscono affatto l'Unione europea (ovvero la maggioranza dei suoi cittadini) e, nel peggiore, possono risultare persino controproducenti, a causa della mancanza di una riflessione comune tra le istituzioni europee e gli Stati membri in materia di strategie di informazione.

3.1.3

Gli importi complessivamente destinati alla comunicazione istituzionale sono cospicui e potrebbero essere utilizzati meglio per comunicare le diverse politiche. Sarebbe interessante conoscere il bilancio stanziato per la comunicazione da ciascuna istituzione europea e dagli Stati membri, e sapere chi ne è responsabile.

3.1.4

Molti concordano nell'affermare che la comunicazione sull'Europa è soltanto un mezzo al servizio di un progetto e che la comunicazione non può essere valida se il progetto non è valido. Tuttavia, il problema non è soltanto la qualità del progetto, ma anche il fatto che non esistono strumenti per promuovere il progetto stesso, se non all'interno delle diverse istituzioni. Il progetto europeo deve essere veicolato, innanzitutto, dai responsabili politici di massimo livello: il Presidente di turno dell'Unione (o, in futuro, il Presidente previsto dal Trattato di Lisbona), i capi di Stato e di governo e il Presidente della Commissione. I ministri che partecipano ai Consigli UE sono i più adatti a spiegare nei rispettivi paesi le decisioni adottate collettivamente.

3.1.5

La comunicazione sulle istituzioni è per lo più limpida, poiché è essenzialmente volta a rendere note le loro attività. Per contro, la comunicazione sul progetto europeo è sempre per sua natura soggetta ad essere criticata. Fattori quali la carenza di mezzi specifici, le critiche provenienti da ogni lato, e le caratteristiche dei responsabili politici, la cui notorietà spesso non va oltre i confini del paese e la cui principale preoccupazione è l'immagine di cui godono a livello nazionale (dal quale traggono legittimazione), contribuiscono a indebolire la comunicazione politica europea fino quasi a spegnerne la voce.

3.1.6

Se invece le istituzioni comunitarie e quelle nazionali cureranno insieme la comunicazione politica e quella istituzionale, esse saranno in grado di attuare la nuova politica di comunicazione comune: si tratta d'altronde di una sfida per l'Unione del XXI secolo, la cui diversità nell'unità la contrappone alle entità più omogenee sviluppatesi in altre parti del mondo. Oggi più che mai risulta attuale la battuta di Henry Kissinger, secondo cui «l'Europa non ha un numero di telefono».

3.1.7

Bisogna elaborare una politica comune di comunicazione in grado di unire le istituzioni della UE e gli Stati membri mediante una serie di principi fondamentali in materia di strategia europea di comunicazione e d'informazione. Tale politica sosterrebbe i diversi sforzi compiuti dalle organizzazioni governative e non governative al fine di accrescere la consapevolezza europea a livello locale in ciascun paese.

3.1.8

Questa politica costituirebbe inoltre un valido strumento per garantire che il coro delle istituzioni comunitarie «canti la stessa canzone». Una situazione in cui le diverse istituzioni sono di fatto in competizione tra loro è a dir poco ridicola. Pur avendo, ovviamente, esigenze e criteri diversi in materia di informazione le istituzioni perseguono sostanzialmente un obiettivo comune, che sembra però essere stato sopraffatto dalla spasmodica ricerca dell'autogiustificazione e dalla difesa narcisistica della propria identità.

3.1.9

È ormai tempo che l'Unione europea investa in quella che è indubbiamente una delle sfide più importanti che dovrà affrontare nel corso del prossimo decennio: dare ai cittadini un vero senso di appartenenza a un'impresa unica al mondo e degna di essere perseguita.

3.2   Comunicazione mirata

3.2.1

Anche utilizzando Internet è impossibile comunicare l'Europa, da Bruxelles, a 495 milioni di cittadini.

3.2.2

La comunicazione istituzionale dovrà essere mirata; essa dovrà rivolgersi non già al grande pubblico ma alle persone che, a monte, sono qualificate per intervenire sui progetti perché si tratta del loro settore di competenza e che, a valle, possono servirsi dei testi adottati per applicarli e/o farli conoscere agli interessati. Tali intermediari sono i più idonei a illustrare i risultati presenti e passati della costruzione europea. Sotto tale profilo, il CESE è senza dubbio un intermediario adatto, dal momento che riunisce rappresentanti di tutte le componenti della società.

3.2.3

Prima di pubblicare un documento, sia esso cartaceo o elettronico, è necessario tenere conto dei suoi destinatari, poiché a seconda del target si utilizzano un linguaggio e delle immagini diverse. Troppe pubblicazioni non sembrano di fatto raggiungere i destinatari perché nella forma si rivolgono al grande pubblico mentre nella sostanza sono destinate a un target specializzato.

3.2.4

È necessario rivolgersi a un pubblico di intermediari specializzati per settore di competenza. Sotto tale profilo, l'iniziativa del CESE di realizzare una newsletter elettronica e-bridge, adatta a ciascun membro e rivolta ai suoi intermediari, può rappresentare un modello di buona pratica. Altrettanto vale per il progetto del Parlamento europeo inteso a creare una rete che riunisce i parlamentari europei e quelli degli Stati membri. Tali rappresentanti infatti, nel loro insieme, sono in grado di raggiungere un numero elevato di opinion leader influenti in ciascuno Stato membro.

3.2.5

Occorre mirare l'informazione specificamente ai rappresentanti politici, ai membri dei consigli economici e sociali nazionali, ai giornalisti e agli insegnanti, chiedendosi di volta in volta di che cosa essi abbiano bisogno per diffondere efficacemente la nozione di Europa e le realizzazioni dell'Unione. Bisogna partire dalle loro esigenze, anziché dalla necessità delle istituzioni di far conoscere le loro attività.

3.2.6

Inoltre, è importante incontrare gli opinion leader nel loro territorio. L'importanza dei «media sociali» sta crescendo e ogni forma di comunicazione deve utilizzare i media più consoni.

3.3   Il ruolo dei rappresentanti politici nella democrazia partecipativa

3.3.1

La comunicazione politica sul progetto europeo deve raggiungere i 495 milioni di cittadini europei, illustrando quello che l'Europa ha fatto, sta facendo e intende fare, le ragioni per cui l'Europa è un vantaggio, che tipo di aiuti l'Europa fornisce e perché. Tale comunicazione è di competenza degli Stati, e in particolare dei ministri che partecipano al Consiglio dei ministri dell'Unione e che sono quindi i più informati sulle decisioni di quest'ultimo, nonché dei leader politici e dei membri della società civile, che oltre a essere in grado di parlare ai cittadini nella loro lingua, sono sufficientemente vicini e conosciuti per essere ascoltati. Anche se il bilancio collettivo dell'Europa è lo stesso per tutti gli europei, la spiegazione del motivo per cui essa rappresenta un vantaggio per i cittadini e i loro paesi non può essere la stessa per i bulgari, gli estoni o gli svedesi.

3.3.2

La comunicazione sul progetto europeo deve essere partecipativa e tenere conto delle esigenze, delle aspettative e delle opinioni dei cittadini. Ciò richiede che i responsabili siano capaci di ascoltare. Tale consultazione non può essere fatta da Bruxelles o da Strasburgo. I gruppi di cittadini possono fornire il polso dell'opinione pubblica, ma non possono, da soli, dare a tutti i cittadini la sensazione di essere ascoltati.

3.3.3

I rappresentanti politici locali, legittimati dalla democrazia rappresentativa e vicini ai loro elettori, sono sicuramente più adatti degli istituti demoscopici per chiedere ai cittadini la loro opinione sui progetti europei. Analogamente, gli attori della società civile devono chiedere ai loro elettori un parere sulle questioni trattate a livello europeo che rientrano nel loro settore di competenza. Se i rappresentanti politici parlano dell'Europa, la stampa darà eco alle loro dichiarazioni. L'Europa dovrebbe così occupare un ampio spazio nei media (stampa e radio locali) e nei blog dei rappresentanti politici.

3.3.4

I rappresentanti degli Stati membri, i ministri, i parlamentari europei, i membri del CESE e del Comitato delle regioni, le parti sociali, i delegati delle ONG o i funzionari nazionali dei comitati di programma dovrebbero riferire ogni anno in merito alle loro esperienze a Bruxelles ai loro elettori o ai gruppi che rappresentano (relazione annuale e riunione sul campo). Per costruire l'Europa non basta agire nelle sue sedi istituzionali: tutti coloro che contribuiscono all'impresa hanno un ruolo da svolgere per spiegare nel loro paese quanto viene deciso a Bruxelles. L'iniziativa Si torna a scuola (Back to school) dev'essere proseguita.

3.4   Un'educazione civica europea comune

3.4.1

A livello europeo, è necessario predisporre una base comune, destinata agli alunni delle scuole e quindi scritta in un linguaggio accessibile a tutti, di conoscenze sulla storia della costruzione dell'Europa, il suo funzionamento, i suoi valori e il suo progetto. Sarebbe importante che tale base comune fosse la stessa per tutti i giovani europei, e che venisse approvata dal Parlamento europeo. Questa base di conoscenze destinata ad essere insegnata ai bambini potrebbe essere utilizzata anche per i rappresentanti politici locali, che sono l'espressione dei poteri pubblici più vicina ai cittadini. Essa dovrebbe essere contenuta in un documento di facile comprensione e includere la bandiera europea, una cartina dell'Europa nonché una «carta del cittadino europeo»: questa dovrà a sua volta contenere due sezioni, una dedicata al significato del progetto europeo e alla storia e ai valori europei ed un'altra riguardante le politiche europee e la loro incidenza sulla vita quotidiana dei cittadini (abolizione delle frontiere, euro, fondi strutturali, programmi di mobilità, carta dei diritti fondamentali, ecc.). Tale documento, destinato ad esprimere l'unità che rende intelligibile la diversità, dovrebbe essere pubblicato nelle 22 lingue dell'Unione. Esso dovrebbe essere consegnato a ogni cittadino europeo insieme al passaporto.

3.4.2

L'educazione all'Europa costituisce la prima sfida da cogliere. Tutti gli Stati dovranno impegnarsi a introdurre tale base comune di conoscenze a tutti i livelli possibili: programmi scolastici, manuali di educazione civica, ma anche formazione sulle questioni europee per gli insegnanti, i funzionari, i giornalisti, gli attori della società civile, i rappresentanti politici e tutti coloro che a Bruxelles sono impegnati nell'ambito dei numerosi gruppi di consultazione, di coordinamento e di decisione. L'educazione all'Europa potrebbe essere inserita anche nei programmi di formazione professionale continua dei lavoratori dipendenti.

3.4.3

Per verificare l'effettiva acquisizione di dette conoscenze, sarebbe opportuno porre quesiti relativi all'Europa nel corso degli esami finali dei vari cicli scolastici, nei concorsi per gli insegnanti e il pubblico impiego e nelle scuole di giornalismo. Si dovrebbe inoltre creare una rete che riunisca i docenti impegnati nella diffusione della conoscenza sull'Europa.

3.4.4

La base comune di conoscenze riguarda anche i valori che l'Unione europea ha adottato e che, nel loro insieme, la distinguono dalle altre zone del mondo:

il rispetto della dignità umana, che si esprime attraverso l'abolizione della pena di morte e l'applicazione delle sentenze della Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo, il rispetto della vita privata e la solidarietà tra le generazioni,

il rispetto della diversità culturale, intesa non come fattore di divisione tra le diverse comunità, ma quale diritto individuale; in tale contesto, il razzismo, l'antisemitismo e l'omofobia sono oggetto di sanzioni penali,

la tutela dei diritti sociali, del dialogo sociale e della parità di opportunità attraverso la Carta dei diritti fondamentali,

lo «Stato di diritto transnazionale». Nell'Unione europea, lo Stato di diritto ha sostituito la legge del più forte, sia nell'ambito degli Stati-nazione che nell'Unione nel suo complesso. Ogni cittadino europeo può far valere i propri diritti al di là dei confini del suo paese d'origine e ciò vale sia per il diritto nazionale che per il diritto comunitario,

uno spazio di solidarietà transnazionale, regionale, generazionale e sociale, che si esprime attraverso i vari fondi europei.

3.5   Fornire informazioni sull'Europa

3.5.1

Gli intermediari svolgono già un ruolo di primo piano per quanto concerne l'informazione e la sensibilizzazione delle diverse componenti della società. Sarebbe necessario dotarli di strumenti adeguati che consentano loro di svolgere un ruolo ancor più incisivo.

3.5.2

Gli organi di informazione delle organizzazioni della società civile — organizzazioni sindacali dei lavoratori e dei datori di lavoro, mutue, federazioni degli agricoltori e ONG — costituiscono un intermediario particolarmente efficace. Tali media potrebbero fornire informazioni sui progetti europei nei rispettivi settori di competenza e promuovere i confronti tra i vari paesi descrivendo ciò che viene fatto in ciascuno di essi su ogni tema trattato. Tali confronti alimentano infatti il dibattito a livello nazionale sulle riforme necessarie.

3.5.3

L'Unione potrebbe rendere disponibili le proprie banche dati in tutte le lingue, affinché possano essere consultate da questo tipo di stampa, che è molto vicina ai cittadini ma è povera di mezzi.

3.6   Agevolare gli incontri e gli scambi

3.6.1

Come è stato dimostrato dai programmi di scambio come Erasmus, i contatti diretti tra europei sono il mezzo migliore per costruire un senso di appartenenza all'Europa. I viaggi di studio e di lavoro, nonché i gemellaggi tra i comuni europei, gli istituti scolastici, le case di riposo, le associazioni sociali e umanitarie ecc., sono ottimi strumenti di comprensione reciproca. Tuttavia, è possibile adottare altre misure, come ad esempio decidere di invitare un rappresentante di un altro Stato membro in tutti i corsi di formazione organizzati dai sindacati, dalle associazioni dei datori di lavoro o da altri tipi di associazioni. Analogamente, tutti i consigli comunali potrebbero ospitare, almeno una volta l'anno, un rappresentante politico locale di un altro paese europeo. Istituendo un servizio civile europeo si potrebbe permettere ai giovani volontari di acquisire un'esperienza professionale in un altro paese europeo.

3.6.2

I gemellaggi tra consigli comunali dei giovani, tra università della terza età e tra gruppi musicali, nonché le competizioni sportive, rappresentano altrettante occasioni di incontro e di conoscenza reciproca. Eliminando l'ostacolo delle spese di viaggio, tali incontri sarebbero naturalmente più frequenti.

3.6.3

Per moltiplicare gli incontri tematici tra cittadini degli Stati membri sono necessarie risorse per finanziare le spese di viaggio sostenute dagli invitati provenienti da altri paesi europei. L'iniziativa Golden Star della DG Istruzione e cultura, volta a favorire gli incontri tra comitati di gemellaggio e iniziative locali, va nella giusta direzione. Per ottenere un risultato efficace, sarebbe sufficiente, visto che si tratta di una spesa relativamente modesta, un sistema semplice e decentralizzato. Si potrebbe cioè fare confluire i risparmi derivanti dalla riduzione del numero di pubblicazioni in un fondo comune, volto ad agevolare la partecipazione degli omologhi europei alle attività dei sindacati, delle associazioni di enti locali, delle federazioni industriali, dei comitati di gemellaggio ecc. Al fine di incoraggiare la partecipazione sul campo, tali fondi potrebbero coprire esclusivamente le spese di viaggio e potrebbero essere distribuiti in modo molto semplice e rapido dagli intermediari locali, quali le antenne della rete Europe Direct o Case dell'Europa. In merito all'assegnazione dei fondi verrebbero consultati gli attori locali dell'Europa, attraverso un annuario — da creare — di tutti gli attori sul campo investiti di un mandato negli organismi di coordinamento e di decisione a Bruxelles o altrove (comitati d'impresa europei, scambi universitari ecc.).

3.6.4

Si potrebbe lanciare l'idea che ogni cittadino europeo dovrebbe poter disporre dei mezzi necessari per permettergli di recarsi, una volta nella vita, a Bruxelles, Strasburgo e Lussemburgo per visitare le istituzioni comunitarie e comprendere meglio il funzionamento dell'Europa.

3.6.5

Sarebbe opportuno che, conformemente a quanto previsto dalla comunicazione della Commissione relativa al Piano D Debate Europe, i progetti di comunicazione cofinanziati dalle istituzioni includano una sezione dedicata alle iniziative transfrontaliere.

3.7   Un migliore utilizzo delle risorse esistenti

3.7.1

I pareri forniti dal CESE, in quanto sintesi universalmente accessibile dei progetti di testi normativi (nel caso delle consultazioni) o espressione delle preoccupazioni dei cittadina (nel caso dei parere di iniziativa), sono importanti non solo per l'utilità del loro contenuto, ma anche per il fatto che lo stesso testo viene tradotto in tutte le lingue dell'Unione, e ciò potrebbe costituire una base comune di riflessione.

3.7.2

Sarà necessario creare un «mezzo di comunicazione europeo», che consenta di sapere ciò che avviene nelle altre nazioni. Abolire le frontiere significa anche conoscere, per esempio, il metodo per lo smaltimento dei rifiuti utilizzato in Estonia o il sistema di riscaldamento impiegato a Barcellona, sapere quanti giorni di congedo di maternità hanno a disposizione le irlandesi o come vengono determinati i salari in Romania. Sapere che le sfide locali sono le stesse anche in regioni molto distanti dalla nostra e conoscere le soluzioni adottate dagli altri aiuterà tutti a sentirsi membri della stessa Europa.

3.7.3

I media audiovisivi transnazionali, come per esempio Euronews, svolgono un ruolo fondamentale nel fornire immagini e reportage. Sarebbe opportuno che la copertura degli affari europei sia esplicitamente inclusa tra gli obblighi del servizio pubblico nel settore degli audiovisivi a livello nazionale; inoltre bisognerebbe creare un servizio audiovisivo pubblico europeo.

3.7.4

Si potrebbe inoltre utilizzare maggiormente l'Eurovisione per dare rilievo a determinati eventi e per rendere l'Europa familiare ai cittadini, ad esempio diffondendo gli auguri del Presidente della Commissione in tutte le lingue, o mandando in onda competizioni sportive europee e altro ancora.

3.8   L'Europa non è l'estero

3.8.1

Troppi governi dell'Unione affidano gli affari europei al ministero degli Affari esteri; troppi media includono le informazioni sull'Europa nella rubrica «esteri»; in troppe organizzazioni, le questioni europee sono trattate dal servizio internazionale. Eppure, le direttive europee alimentano il lavoro dei parlamenti nazionali e riguardano tutti i settori della società: non si tratta dunque di affari «esteri», ma di affari «interni». Le questioni europee si riflettono ormai in tutti le politiche interne degli Stati membri. Occorrerebbe istituire dei ministeri degli Affari europei a pieno titolo, dotati di propri servizi di analisi, di previsione, di comunicazione e di sostegno della società civile.

3.8.2

Analogamente, ogniqualvolta in un paese si affronta una questione, si deve tener conto della sua dimensione europea e del modo in cui essa è trattata negli altri Stati membri.

3.8.3

L'estero incomincia ai confini dell'Unione, non alle frontiere degli Stati membri. L'attrazione che il «modello europeo» esercita sui paesi esterni all'Unione ci consente di comprendere l'importanza della costruzione europea, che si tratti della costruzione di un grande mercato o del modello democratico transnazionale per gestire la diversità.

3.8.4

Occorre organizzare seminari d'informazione per i quadri dirigenti degli altri continenti, volti a illustrare il processo di costruzione e il funzionamento dell'Unione, al fine di migliorarne l'immagine sia all'esterno che all'interno dell'Europa e di portare i valori europei nel resto del mondo.

3.9   Organizzazione di eventi

3.9.1

Tutti gli operatori della comunicazione sanno che, per far parlare di sé, è necessario da un lato creare delle manifestazioni e, dall'altro, avvalersi, per comunicare, anche degli eventi già programmati. Per esempio, in occasione degli eventi sportivi internazionali, non sarebbe opportuno issare insieme la bandiera europea e quella nazionale al momento della premiazione dei vincitori? Perché non affiancare la bandiera europea a quella nazionale sulle divise degli atleti? Perché non contare le medaglie europee alle Olimpiadi?

3.9.2

Le elezioni europee e l'anniversario della caduta del muro di Berlino sono altri eventi da non perdere. Inoltre, la Giornata dell'Europa, celebrata il 9 maggio, dovrebbe divenire un giorno festivo ufficiale, eventualmente in sostituzione di un altro. Bisogna inoltre far uscire le manifestazioni europee dall'isolamento di Bruxelles e approfittare delle feste nazionali dando loro una dimensione europea.

4.   Sintesi delle precedenti raccomandazioni del Comitato

4.1

Il Comitato desidera ricordare le precedenti raccomandazioni che ha rivolto alla Commissione in materia di comunicazione, e segnatamente quelle contenute nei documenti seguenti: allegato al suo parere dell'ottobre 2005 sul tema Il periodo di riflessione: la struttura, gli argomenti e il quadro per una valutazione del dibattito sull'Unione europea (CESE 1249/2005 (4)), parere del dicembre 2005 in merito alla comunicazione della Commissione Il contributo della Commissione al periodo di riflessione e oltre: Un Piano D per la democrazia, il dialogo e il dibattito (CESE 1499/2005 (5)), parere del luglio 2006 in merito al Libro bianco su una politica europea di comunicazione (CESE 972/2006 (6)) e parere adottato nell'aprile 2008 in merito alla Comunicazione della Commissione — Insieme per comunicare l'Europa (CESE 774/2008).

Bruxelles, 10 luglio 2008.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  COM(2008) 158 def. del 2 aprile 2008.

(2)  Parere del CESE, del 26 ottobre 2006, in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni: Un nuovo quadro strategico per il multilinguismo (relatrice: LE NOUAIL MARLIÉRE, GU C 324 del 30.12.2006); parere esplorativo sul tema Il multilinguismo, esaminato a luglio 2008 (relatrice LE NOUAIL MARLIERE); proposte del gruppo guidato da Amin MAALOUF.

(3)  GU C 309 del 16.12.2006, pagg. 115-119.

(4)  GU C 28 del 3.2.2006, pagg. 42-46.

(5)  GU C 65 del 17.3.2006, pagg. 92-93.

(6)  GU C 309 del 16.12.2006, pagg. 115-119.