ISSN 1725-2466

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 224

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

51o anno
30 agosto 2008


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

445a sessione plenaria del 29 maggio 2008

2008/C 224/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Per una produzione rispettosa dell'ambiente

1

2008/C 224/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla partecipazione della Comunità a un programma di ricerca e sviluppo avviato da vari Stati membri per il miglioramento della qualità della vita degli anziani attraverso l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) COM(2007) 329 def. — 2007/0116 (COD)

8

2008/C 224/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'accesso alle attività di assicurazione e di riassicurazione e al loro esercizio — Solvibilità II COM(2007) 361 def. — 2007/0143 (COD)

11

2008/C 224/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla partecipazione della Comunità a un programma di ricerca e di sviluppo avviato da vari Stati membri a sostegno di PMI che effettuano attività di ricerca e sviluppo COM(2007) 514 def. — 2007/0188 (COD)

18

2008/C 224/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Superare la stigmatizzazione del fallimento aziendale — Per una politica della seconda possibilità — Attuazione del partenariato di Lisbona per la crescita e l'occupazione COM(2007) 584 def.

23

2008/C 224/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Gli appalti pubblici internazionali

32

2008/C 224/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla

35

2008/C 224/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l'assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli e il controllo dell'obbligo di assicurare tale responsabilità (versione codificata) COM(2008) 98 def. — 2008/0049 (COD)

39

2008/C 224/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde — Verso una nuova cultura della mobilità urbana COM(2007) 551 def.

39

2008/C 224/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Comunicazione della Commissione — Piano d'azione per la logistica del trasporto merci COM(2007) 607 def.

46

2008/C 224/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla

50

2008/C 224/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ad un codice di comportamento in materia di sistemi telematici di prenotazione COM(2007) 709 def. — 2007/0243 (COD)

57

2008/C 224/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma comunitario pluriennale per la protezione dei minori che usano Internet e le altre tecnologie di comunicazione COM(2008) 106 def. — 2008/0047 (COD)

61

2008/C 224/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente il controllo tecnico dei veicoli a motore e dei loro rimorchi COM(2008) 100 def. — 2008/0044 (COD)

66

2008/C 224/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio — Affrontare il problema della carenza idrica e della siccità nell'Unione europea COM(2007) 414 def.

67

2008/C 224/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un regime comunitario per prevenire, scoraggiare ed eliminare la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata COM(2007) 602 def. — 2007/0223 (CNS)

72

2008/C 224/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla

77

2008/C 224/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai nuovi prodotti alimentari e recante modifica del regolamento (CE) n. XXX/XXXX [procedura uniforme] COM(2007) 872 def. — 2008/0002 (COD)

81

2008/C 224/19

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che semplifica le procedure di redazione degli elenchi e di diffusione dell'informazione in campo veterinario e zootecnico e che modifica le direttive 64/432/CEE, 77/504/CEE, 88/407/CEE, 88/661/CEE, 89/361/CEE, 89/556/CEE, 90/427/CEE, 90/428/CEE, 90/429/CEE, 90/539/CEE, 91/68/CEE, 92/35/CEE, 92/65/CEE, 92/66/CEE, 92/119/CEE, 94/28/CE, 2000/75/CE, la decisione 2000/258/CE, nonché le direttive 2001/89/CE, 2002/60/CE e 2005/94/CE COM(2008) 120 def. — 2008/0046 (CNS)

84

2008/C 224/20

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri riguardanti i solventi da estrazione impiegati nella preparazione dei prodotti alimentari e dei loro ingredienti (rifusione) COM(2008)154 def. — 2008/0060 (COD)

87

2008/C 224/21

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Migliorare la qualità e la produttività sul luogo di lavoro: strategia comunitaria 2007-2012 per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro COM(2007) 62 def.

88

2008/C 224/22

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Distacco di lavoratori nell'ambito della prestazione di servizi — Massimizzarne i vantaggi e le potenzialità garantendo la tutela dei lavoratori COM(2007) 304 def.

95

2008/C 224/23

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Modalità pratiche e calendario per meglio promuovere la mobilità dei giovani in Europa

100

2008/C 224/24

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante l'Anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale (2010) COM(2007) 797 def. — 2007/0278 (COD)

106

2008/C 224/25

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la decisione n. 1719/2006/CE che istituisce il programma Gioventù in azione per il periodo 2007-2013 COM(2008) 56 def. — 2008/0023 (COD)

113

2008/C 224/26

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la decisione n. 1720/2006/CE che istituisce un programma d'azione nel campo dell'apprendimento permanente COM(2008) 61 def. — 2008/0025 (COD)

115

2008/C 224/27

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Vantaggi e benefici dell'euro: l'ora del bilancio

116

2008/C 224/28

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto per quanto riguarda il trattamento dei servizi assicurativi e finanziari COM(2007) 747 def. — 2007/0267 (CNS)

124

2008/C 224/29

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il ruolo della società civile nelle relazioni UE-Serbia

130

IT

 


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

445a sessione plenaria del 29 maggio 2008

30.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 224/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Per una produzione rispettosa dell'ambiente

(2008/C 224/01)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 febbraio 2007, ha deciso, conformemente all'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema:

Per una produzione rispettosa dell'ambiente.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 maggio 2008, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice DARMANIN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 maggio 2008, nel corso della 445a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere all'unanimità.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato sostiene con forza le iniziative volte allo sviluppo di una politica comunitaria di consumo e produzione sostenibili, pienamente integrata con le altre politiche comunitarie, allo scopo di:

trasformare le sfide potenziali in opportunità competitive per l'industria dell'UE sul mercato globale, adottando metodi di produzione rispettosi dell'ambiente basati su prodotti e servizi «ecologici», facilmente identificabili per i consumatori su tutto il territorio comunitario,

sviluppare un «mercato verde», in modo che tali prodotti e servizi rispondano a definizioni certe e comuni e siano concretamente disponibili in tutti gli Stati membri,

sensibilizzare i cittadini europei a un consumo responsabile e più «eco-intelligente» e a comportamenti più rispettosi dell'ambiente, mediante un forte impegno di informazione, formazione e istruzione a partire dalle scuole primarie,

adottare un approccio più strategico per influenzare il processo decisionale negli ambienti imprenditoriale, politico, dei consumatori e dei cittadini, e garantire un quadro comunitario organico che eviti la frammentazione del mercato causata da prescrizioni e messaggi pubblicitari divergenti e distorsivi in merito agli aspetti ambientali di tali prodotti e ai relativi sistemi di produzione e distribuzione,

garantire la tutela delle scelte dei consumatori e degli impegni dei produttori/distributori a rispettare le normative ambientali e la conformità dei prodotti immessi sul mercato con i requisiti di sostenibilità ambientale,

garantire che le responsabilità, sul piano decisionale e applicativo, della politica di consumo sostenibile siano condivise tra tutte le componenti e le organizzazioni della società civile: produttori, distributori, consumatori, educatori, amministrazioni pubbliche, organizzazioni ambientaliste e di consumatori, parti sociali.

1.2

Il Comitato raccomanda di adottare, per i concetti di prodotto/servizio ecologico e di consumo ecologico nell'ambito dello sviluppo e del consumo sostenibile, delle definizioni valide per tutta l'UE e accettate internazionalmente, basate su criteri e indicatori ambientali chiari e su standard che permettano dinamiche innovative e migliorative.

1.3

Il Comitato chiede, da parte dell'industria europea e dei sistemi di distribuzione e di servizi, un impegno chiaro, con obiettivi cadenzati e verificabili, a conformarsi a un approccio integrato per settore: tale approccio dovrebbe combinare i tre pilastri della sostenibilità — ambientale, economico e sociale — inserendo i requisiti ambientali sin dalla fase di concezione del prodotto, secondo l'ottica del «ciclo di vita», e prevedere obiettivi di qualità, innovazione e customer satisfaction sempre più elevati.

1.4

Il Comitato raccomanda a imprese e organismi pubblici e privati, d'intensificare l'uso congiunto degli strumenti comunitari disponibili e di quelli nazionali per massimizzare gli sforzi di ricerca di tecnologie e prodotti «puliti».

1.5

Il Comitato sottolinea l'esigenza di rafforzare e accelerare i lavori di standardizzazione tecnica per prodotti e produzioni ecologiche.

1.6

Il Comitato chiede che in tutto il mercato interno venga assicurata certezza di criteri e uniformità di requisiti minimi in relazione ai sistemi di etichettatura dei prodotti ecologici: questo per garantire una parità di scelta di consumo ecologico, dei controlli uniformi in tutta l'UE e il rispetto del principio di libera circolazione per il prodotto ecologico degno di questo nome. L'etichetta ecologica europea (eco flower) dovrebbe essere maggiormente commercializzata, e messa in grado di coesistere con sistemi di etichettatura nazionali e settoriali.

1.7

Il Comitato ritiene importante rafforzare la «dimensione prodotto» nei sistemi di gestione ambientale per promuoverne la diffusione presso i produttori e i distributori, e renderla più adatta ai sistemi di gestione degli enti locali e più in grado di attivare sinergie con altri strumenti di promozione dello sviluppo sostenibile.

1.8

Secondo il Comitato è opportuno sostenere la diffusione di EMAS (sistema comunitario di ecogestione e audit); questo può essere fatto attraverso misure finanziarie e fiscali, semplificazioni amministrative, azioni di promozione e marketing, nonché attraverso il riconoscimento di EMAS come «standard d'eccellenza» anche a livello internazionale e l'adozione di misure per permettere anche alle piccole imprese un approccio facilitato e progressivo ad esso.

1.9

È essenziale per il CESE che la performance di un prodotto sia valutata nella sua interezza, e cioè sulla base non solo di criteri ambientali ma anche di altri aspetti importanti quali: la sua performance per il consumatore e per il produttore in termini economici, di sicurezza e funzionalità e di tutela della salute, l'uso razionale di risorse e materiali, la logistica, le caratteristiche innovative, il marketing, la sua capacità di ampliare le possibilità di scelta del consumatore, il suo ciclo di vita e gli aspetti sociali.

1.10

In tema di appalti pubblici «verdi» ( Green public procurement GPP) raccomanda: un loro forte sviluppo tramite l'individuazione delle specifiche tecniche dei prodotti «verdi», a cominciare da quelli a più elevato impatto ambientale; l'inclusione nel capitolato dei costi del ciclo di vita del prodotto o servizio; la disponibilità on-line di un'apposita banca dati; l'adeguamento delle direttive CE sugli appalti pubblici tramite l'inserimento di un riferimento a standard, sistemi EMS, Ecolabel e eco-progettazione, e infine la pubblicazione dei piani d'azione nazionali per l'adozione di appalti verdi.

1.11

Il Comitato ribadisce l'importanza di utilizzare come base giuridica l'articolo 153 del Trattato CE, che considera il più atto a garantire un alto livello di protezione dei consumatori e di tutela dei loro diritti ad una informazione completa, corretta, proporzionata, comprensibile e tempestiva.

1.12

Il Comitato sostiene che, ai fini di un'autoregolamentazione, una via percorribile potrebbe essere quella dello sviluppo di codici di condotta, come previsto dalla direttiva 2005/29/CE, per evitare l'utilizzo abusivo di argomentazioni ecologiche nei messaggi pubblicitari e per scongiurare, in qualsiasi caso, la pubblicità ingannevole. Questi codici dovrebbero operare parallelamente alle eco-tasse e alla regolamentazione. Il CESE raccomanda che le argomentazioni ecologiche si basino su un'etichetta affidabile e riconosciuta.

1.13

Il Comitato ritiene opportuno, oltre a garantire procedimenti giudiziari accessibili a tutti, individuare organi extragiudiziali di controllo e risoluzione dei conflitti in materia di consumo, che siano agili, efficienti, poco costosi e credibili per dare la certezza del rispetto delle normative ambientali di prodotto e della conformità dei prodotti immessi sul mercato con i principi di sostenibilità ambientale.

1.14

Il Comitato, vista la dispersione normativa che caratterizza sia i requisiti essenziali di informazione al consumatore che i requisiti di prodotto sostenibile, chiede con urgenza di procedere all'elaborazione di un quadro unitario ben definito sotto forma di una Carta europea del consumo e del prodotto sostenibile nel mercato interno.

2.   Il quadro attuale e le prospettive

2.1

L'obiettivo del sistema comunitario di assegnazione del marchio di qualità ecologica (1), è quello di promuovere i prodotti caratterizzati da un minor impatto ambientale fornendo ai consumatori informazioni precise e scientificamente fondate. Da tale marchio sono peraltro esclusi i prodotti alimentari e le bevande, i prodotti farmaceutici e i dispositivi medici (2), nonché i prodotti e le sostanze pericolosi o nocivi (3).

2.1.1

La concezione, la produzione, la distribuzione ed il consumo di prodotti rispettosi dell'ambiente costituiscono un elemento integrante della politica comunitaria dell'ambiente quale definita nei suoi obiettivi e priorità all'orizzonte 2010 dal Sesto programma d'azione per l'ambiente (4). Tale programma, sul quale il Comitato ha avuto modo di pronunciarsi a più riprese descrive in modo particolareggiato le prospettive d'intervento per contribuire alla realizzazione della strategia individuata in materia di sviluppo sostenibile.

2.1.2

Tra le principali iniziative comunitarie in materia, un posto importante ha assunto la politica integrata dei prodotti (IPP) (5) — sulla quale il Comitato ha già avuto modo di esprimersi (6) — che prende in considerazione tutti i prodotti e servizi che hanno un impatto ambientale.

2.1.3

Perché la politica integrata dei prodotti sia efficace è necessario incoraggiare i produttori a realizzare prodotti più ecologici e i consumatori ad acquistare tali prodotti. Gli strumenti utilizzabili a tal fine possono essere i seguenti:

incoraggiare il ricorso a misure fiscali per favorire i prodotti più ecologici,

tener conto degli aspetti ambientali nell'aggiudicazione dei contratti pubblici (7),

promuovere l'applicazione del concetto di ciclo di vita,

integrare e promuovere l'applicazione degli strumenti volontari come Ecolabel, EMAS (Sistema comunitario di ecogestione e audit), DAP (Dichiarazione ambientale di prodotto), appalti pubblici-verdi ecc,

fornire ai consumatori le informazioni necessarie per una «scelta consapevole dei prodotti» a livello di acquisto, utilizzo e smaltimento.

2.1.4

Un ulteriore positivo passo in avanti è stato realizzato con l'introduzione di un nuovo quadro regolamentare relativo alla progettazione ecocompatibile dei prodotti che consumano energia, la quale è stata disciplinata da una direttiva quadro del 2005 (8).

2.1.5

A livello di attuazione, la direttiva quadro prevede le prime regole operative per il 2008: sono attualmente allo studio misure relative a 20 gruppi di prodotti (tra cui sistemi di illuminazione, computer e lavatrici) e per 14 di essi (tra cui i sistemi per l'illuminazione stradale e degli uffici) è prevista la definizione di misure entro il 2008, mentre per altri, come i sistemi per l'illuminazione domestica, entro il 2009.

2.1.6

Il Sesto programma di azione per l'ambiente (9) ha previsto cinque assi prioritari di azione strategica: migliorare l'applicazione della legislazione vigente, integrare le tematiche ambientali nelle altre politiche, collaborare con il mercato, coinvolgere i cittadini modificandone il comportamento e favorendo le loro richieste, e infine tener conto dell'ambiente nelle decisioni in materia di assetto e gestione territoriale.

2.1.7

Su un piano più generale, la strategia europea per lo sviluppo sostenibile, quale rivista dal Consiglio europeo nel 2006, identifica la «produzione e lo sviluppo sostenibili» come una delle sfide fondamentali da affrontare orientando lo sviluppo economico e sociale verso forme compatibili con l'ecosistema e propone un nuovo piano d'azione al riguardo.

2.1.8

La relazione del 2007 sulla sua attuazione (10), rileva che il consumo e la produzione sostenibili sono difficili da misurare in modo affidabile su un'ampia base: anche se il numero di prodotti e servizi sostenibili presenti sul mercato sembra in rapido aumento, il numero di prodotti con Ecolabel rimane limitato così come quello delle imprese registrate EMAS, solo 14 Stati membri hanno adottato dei piani nazionali d'azione di Green Procurement e solo 21 hanno completato la roadmap d'applicazione del Piano d'azione per le tecnologie ambientali (ETAP) (11).

2.2

D'altra parte, nell'ambito della standardizzazione tecnica sono state da tempo avviate misure per integrare gli aspetti ambientali nei nuovi standard tecnici, creando in ambito CEN un Environmental Framework nel quale gli organismi tecnici del CEN affrontano le specifiche tecniche ambientali e, quando lo standard è parte del nuovo approccio, questo regola la presunzione di conformità ai requisiti essenziali della corrispondente direttiva europea. Ulteriori passi avanti in materia sono poi stati realizzati con l'adozione dello schema di certificazione ambientale ISO 14001.

2.3

Il 10 ottobre 2007, l'Agenzia europea per l'ambiente ha pubblicato la sua quarta valutazione sul tema L'ambiente in Europa  (12), dedicando un intero capitolo al Consumo e produzione sostenibili.

2.4

Inoltre, la relazione annuale 2007 della Commissione sullo stato di avanzamento della strategia di Lisbona per la crescita e l'occupazione ha posto l'accento sull'importanza dei cambiamenti climatici, le eco-innovazioni, l'efficienza energetica, le fonti di energia rinnovabili ed i mercati dell'energia.

2.5

Infine, il Consiglio europeo di Bruxelles dell'8 e 9 marzo 2007 ha dedicato un'attenzione del tutto particolare ai temi dell'ambiente e dei cambiamenti climatici. Dal canto suo il Consiglio Ambiente del febbraio 2007 ha sottolineato la complementarità tra la strategia dell'UE per lo sviluppo sostenibile e la strategia di Lisbona, nonché il contributo essenziale che la seconda fornisce all'obiettivo prioritario della prima, ribadendo altresì la necessità di integrare gli aspetti ambientali in tutte le politiche. Tali orientamenti sono stati riaffermati con forza dal Consiglio europeo del dicembre 2007 (13).

2.6

Nel programma di lavoro della Commissione per il 2008 (14) si indica chiaramente, tra gli obiettivi principali, quello di porre il cittadino al centro del progetto europeo, partendo dalla valutazione della realtà sociale in parallelo con la revisione del mercato interno, con una attenzione costante alla necessità che i cittadini europei traggano il massimo beneficio dal mercato unico.

2.7

L'articolo 153 del Trattato CE, la cui utilizzazione come base giuridica è stata a più riprese sollecitata dal CESE (15), è inteso a garantire ai consumatori un alto livello di protezione e a promuovere il loro diritto ad una informazione completa (16), corretta, chiara, proporzionata, comprensibile, coerente e tempestiva.

2.7.1

A livello del diritto derivato, i diritti dei consumatori in materia d'informazione sono stati regolati dalla direttiva 2005/29/CE (17) sulle «pratiche commerciali sleali» che potrebbero ledere gli interessi economici dei consumatori. Nell'allegato della direttiva è elencata una serie di pratiche commerciali che si possono considerare sleali anche senza una valutazione caso per caso, tra cui ad esempio quella di «esibire un marchio di fiducia, un marchio di qualità o un marchio equivalente senza averne ottenuto la necessaria autorizzazione».

2.8

Il Comitato è però convinto che esista a livello comunitario una certa dispersione normativa sui requisiti essenziali dell'informazione al consumatore, così come anche sui requisiti di prodotto sostenibile, e ritiene importante procedere all'elaborazione di una «Carta europea del consumo e del prodotto sostenibile nel mercato interno».

2.8.1

Se i risultati dell'applicazione di questa Carta — e dei codici di autoregolamentazione previsti dalla direttiva 2005/29/CE — non risultassero soddisfacenti, il Comitato ritiene che si dovrebbero studiare altre possibilità, come ad esempio una armonizzazione più completa della materia o la creazione di un regime specifico comunitario di carattere operativo.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il Comitato ritiene che sia indispensabile partire da definizioni chiare ed univoche di concetti come quelli di «prodotto sostenibile», «concezione, produzione e distribuzione sostenibile», «consumo sostenibile», per poter controllare su tutto il territorio dell'UE e su quello dello Spazio economico europeo l'effettivo rispetto di un qualsiasi quadro comunitario a carattere normativo, regolamentare o volontario, che faccia riferimento a tali definizioni nei vari ambiti nazionali/regionali.

3.2

Tali definizioni, che sono comunemente accettate a livello internazionale, non sono statiche ma sono per loro natura inserite in dinamiche di miglioramento continuo. A parere del Comitato, tuttavia, esse devono in ogni caso essere corredate di:

un pacchetto di indicatori ambientali  (18) capaci di seguirne l'andamento tramite delle soglie cadenzate che consentano di determinare il grado di «sostenibilità» di produzioni, prodotti e servizi nonché dei sistemi distributivi,

standard tecnici ambientali comunitari (possibilmente recepiti dall'ISO) con la piena integrazione degli aspetti ambientali nel processo di normalizzazione europea come è stato sottolineato a più riprese dal Comitato (19), da incorporare nei prodotti, produzioni, distribuzioni e servizi secondo le prescrizioni di conformità delle direttive comunitarie di riferimento (20).

3.2.1

Il Comitato ritiene che le definizioni suggerite più sopra, corredate di indicatori e standard appropriati, siano essenziali per una politica comunitaria efficace in grado di permettere al consumatore informato comportamenti e scelte sostenibili e conformi ad una produzione rispettosa dell'ambiente.

3.3

Come ha sottolineato la stessa Commissione, «l'industria europea è già in buona posizione per consolidare la sua forte posizione sul mercato dei nuovi prodotti, servizi e processi, sulla base delle tecnologie ambientali. Inoltre, le imprese europee sono sempre più sensibili alla prestazione ambientale nel quadro dei loro approcci in materia di responsabilità sociale dell'impresa» (21).

3.3.1

Il Comitato concorda sui tre assi di sviluppo delineati al riguardo: stimolare lo sviluppo e la commercializzazione di tecnologie, prodotti e servizi a basso consumo di carbonio e ad alto rendimento energetico; creare un mercato interno più dinamico; sviluppare mercati globali per tecnologie, prodotti e servizi a basso consumo di carbonio e ad alto rendimento energetico.

3.3.2

Il Comitato ribadisce la posizione da esso già esposta in un suo recente parere, in cui si affermava: «Per garantire il nostro futuro (ad esempio riguardo alle questioni dell'energia e del clima), per conservare e migliorare la nostra attuale posizione nel contesto globale, come pure per non danneggiare bensì rafforzare il modello sociale europeo è assolutamente necessario ottenere risultati tecnico-scientifici di eccellenza e trasformarli in un potenziale economico competitivo» (22).

3.3.3

Secondo il Comitato, occorre un approccio più integrato che permetta di superare le difficoltà e gli ostacoli per un uso congiunto e coordinato di tutti gli strumenti finanziari attivabili (23) a livello europeo, nazionale, regionale e locale e a livello dei singoli operatori per sviluppare tecnologie pulite ed efficienti e applicazioni innovative capaci di generare processi, prodotti e servizi ad elevato grado di sostenibilità.

3.3.4

Il Comitato ritiene che sarebbe necessaria un'iniziativa comunitaria inter-DG di coordinamento e assistenza tecnica per ottimizzare l'uso congiunto degli strumenti comunitari e europei disponibili e di quelli nazionali per massimizzare gli sforzi di ricerca e innovazione sia delle imprese che degli organismi pubblici e privati in materia di tutela ambientale nell'ambito dello Spazio europeo della ricerca e innovazione.

3.3.5

Come è stato più volte ribadito dal CESE (24), dai vertici della Commissione, dal Consiglio e dal Parlamento europeo, è indispensabile ridurre il carico amministrativo e burocratico che grava sulle imprese, per poter liberare le forze economiche e sociali dell'impresa e reindirizzarle all'ammodernamento sostenibile del contesto e delle strutture produttive ed organizzative.

3.4

Per incrementare la produzione rispettosa dell'ambiente l'UE ha varato nel 1997 l'etichettatura ecologica dei prodotti, successivamente estesa ai servizi, che si è arricchita nel corso degli anni fino all'attuale proliferare di etichette pubbliche multicriterio applicate a gruppi di prodotti/servizi (25).

3.4.1

Il Comitato ritiene che tale situazione possa generare confusione sia tra i produttori che, e soprattutto, tra i consumatori europei e che essa debba quindi essere razionalizzata mediante un sistema di criteri minimi comuni stabiliti a livello europeo, che prevedano per le etichette un obbligo di registrazione e di verifica da parte di un ente certificatore esterno e indipendente.

3.4.2

Le etichette europee non devono competere bensì coesistere con quelle nazionali e settoriali, a volte più familiari per il consumatore. È inoltre necessario che vi sia un coordinamento a livello internazionale con etichette che si sono rivelate valide, ad esempio la Energy Star.

3.4.3

È indispensabile che le etichette siano affidabili e ispirino fiducia al consumatore. Per tale motivo, la definizione delle norme relative a tali etichette e il monitoraggio del mercato dovrebbero essere compito di (tutte) le parti interessate, in modo da garantire una maggiore credibilità.

3.4.4

Potrebbe essere utile cominciare ad esaminare l'etichettatura dei prodotti e servizi per identificarne l'impronta di carbonio.

3.5

Anche per quanto concerne il sistema volontario EMAS, che permette ai soggetti che vogliano dimostrare la loro determinazione a migliorare le loro prestazioni ambientali di optare per il sistema comunitario di ecogestione e audit, provando così la loro volontà di rispettare la normativa ambientale e il loro impegno ad adottare un sistema di gestione ecologico, il Comitato ritiene che, dopo l'adozione dello standard ISO 14001, sarà possibile rafforzare la «dimensione prodotto» nei Sistemi di gestione ambientale per facilitarne una maggiore diffusione presso i produttori e distributori e per renderlo più adatto alla gestione dei processi degli enti locali e più aperto a sinergie con altri strumenti per la promozione dello sviluppo sostenibile.

3.5.1

Secondo il Comitato, sarebbe positivo sostenere la diffusione di EMAS attraverso misure finanziarie e fiscali, semplificazioni amministrative, azioni di promozione e marketing, nonché attraverso il riconoscimento di EMAS come «standard d'eccellenza» anche a livello internazionale e la possibilità di un approccio facilitato e progressivo per le PMI, anche nell'ambito di raggruppamenti distrettuali (cluster).

3.6

Il Comitato ritiene imprescindibile sviluppare un «mercato verde» per prodotti e servizi, introducendo una serie di incentivi e strumenti volti — dal lato dell'offerta — a incoraggiare l'innovazione e — dal lato della domanda — a fornire ai consumatori un'informazione adeguata o degli incentivi ad acquistare prodotti più ecologici.

3.6.1

Ai fini di un mercato interno competitivo, la performance di un prodotto dovrebbe essere valutata non solo sulla base di criteri ambientali ma anche sulla base di altri aspetti importanti quali: la sua performance economica per il consumatore e per il produttore, la sua sicurezza e funzionalità, l'uso di risorse che comporta, la logistica, il marketing, le sue caratteristiche sul piano sanitario e dell'innovazione, la sua capacità di ampliare le possibilità di scelta del consumatore, il suo ciclo di vita e di smaltimento dei residui e infine le preoccupazioni sociali.

3.6.2

È indispensabile che vi sia un serio impegno a sostenere la ricerca, lo sviluppo e l'innovazione nel settore dei prodotti e dei servizi ecologici.

3.7

Un ruolo essenziale dovrebbe essere svolto, a parere del Comitato, dallo sviluppo del processo di standardizzazione tecnica da parte di CEN, Cenelec ed ETSI in tema di sostenibilità ambientale dei prodotti (26).

3.7.1

Il Comitato ha inoltre già sottolineato che «la promozione dell'uso di normative tecniche ambientali non dovrebbe formare oggetto di decisioni top-down, ma essere piuttosto realizzata attraverso una più ampia accettazione dei prodotti eco-compatibili, indirizzando al meglio gli interessi e i bisogni dei cittadini e dei consumatori» (27).

3.8

Nell'ambito degli appalti pubblici, è importante segnalare la direttiva 2004/18/CE relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi (28), nonché la comunicazione interpretativa della Commissione Il diritto comunitario degli appalti pubblici e le possibilità di integrare considerazioni di carattere ambientale negli appalti pubblici  (29).

3.8.1

Il Comitato ritiene che il settore degli appalti pubblici, il quale rappresenta circa il 16 % del PIL comunitario, sia fondamentale per promuovere la diffusione di prodotti più ecologici e invoca misure che spingano gli enti appaltanti a sfruttare le possibilità esistenti in materia di appalti pubblici verdi (Green Public Procurement — GPP).

3.8.2

Il Rapporto finale 2006 sui GPP in Europa (30) individua tra i principali ostacoli alla loro diffusione i seguenti: i maggiori costi dei «prodotti verdi», soprattutto in assenza di indicazioni sui costi a livello di «ciclo di vita»; l'insufficienza di conoscenze ambientali, anche per la mancanza di un'adeguata base dati elettronica di facile accesso; le specifiche e criteri d'appalto non chiari, con definizioni e standard di eco-prodotto incerte; la mancanza di un sostegno a livello manageriale e politico; la mancanza di strumenti di informazione e formazione.

3.8.3

Il Comitato raccomanda quindi: la definizione di criteri solidi per i prodotti «verdi», che ne individuino tutte le specifiche ambientali rilevanti; l'inclusione nel capitolato dei costi dell'intero ciclo di vita del prodotto o servizio; la messa a disposizione di un European GPP knowledge Database  (31); l'introduzione nelle direttive CE sugli appalti pubblici di requisiti di standard ISO 14001 o di Environmental management systems — EMS, riferimenti Ecolabel e di ecoprogettazione; la diffusione pubblica dei piani nazionali d'azione per l'adozione di appalti verdi; la focalizzazione sui prodotti a più elevato impatto ambientale.

3.9

Anche il commercio equo conosce una grande diffusione in tutta Europa. Il commercio equo e il commercio etico rivestono da tempo un grande interesse per il CESE e sono stati trattati in modo approfondito nel parere REX/196 (32). Il Comitato li ritiene, infatti, fattori chiave per portare al successo il consumo sostenibile.

3.10

L'educazione è un elemento chiave del consumo sostenibile e il CESE insiste affinché questa educazione abbia inizio sui banchi di scuola. Il consumatore inoltre deve avere immediatamente accesso alle informazioni in merito ai prodotti e servizi scelti e al loro conseguente impatto sull'ambiente. È altresì essenziale che tale informazione venga fornita in modo da risultare interessante per il consumatore stesso e pertanto facilmente assimilabile e comprensibile.

3.11

Il CESE ritiene opportuno consolidare e semplificare il corpus normativo comunitario in tema di produzione e consumo sostenibile per renderlo più facilmente comprensibile e facilmente individuabile per il consumatore come per il produttore: «Legiferare meno e meglio» deve «tradursi in testi consolidati e coerenti di prescrizioni ambientali, che diano certezza giuridica e trasparenza al processo di adeguamento delle mutazioni industriali, e siano indirizzati alla miglior tutela delle risorse e dell'ambiente ed all'applicazione di innovazioni tecnologiche sostenibili e competitive, sui mercati globali» (33).

3.12

Anche in tema di pubblicità di prodotti «verdi», sarebbe opportuno un rafforzamento delle misure comunitarie volte ad evitare le pubblicità ingannevoli e le pratiche commerciali sleali  (34): i termini «eco» e «bio» spesso vengono utilizzati come semplici strumenti di marketing per incrementare le vendite di questi prodotti e servizi, i quali però in realtà non sono diversi dagli altri e non offrono alcun valore aggiunto.

3.12.1

Secondo il Comitato potrebbe rivelarsi particolarmente significativo al riguardo, ai fini di una autoregolamentazione, lo sviluppo di codici di condotta, come previsto dalla direttiva 2005/29/CE per evitare l'utilizzo abusivo nei messaggi pubblicitari di argomentazioni ecologiche, secondo i seguenti criteri:

la pubblicità ambientale non deve suscitare nella società delle preoccupazioni non giustificate sulle questioni ambientali, né approfittare della mancanza di conoscenze da parte dei cittadini su questa materia,

la pubblicità non deve incoraggiare comportamenti che possano mettere a rischio la protezione ambientale o mostrare comportamenti di questo tipo in maniera non critica,

la pubblicità non deve indurre in errore sugli effetti per l'ambiente del prodotto reclamizzato, vuoi presentandoli in modo ingannevole vuoi nascondendoli,

le caratteristiche positive di un prodotto o di un servizio dal punto di vista dell'ambiente non devono essere indebitamente estese agli altri prodotti offerti dall'impresa che lo reclamizza,

quando le qualità ambientali di un prodotto o di un servizio dipendono da particolari condizioni o modalità d'uso, o sono legate a particolari momenti del suo ciclo di vita, la pubblicità deve indicarlo in maniera ben precisa oppure invitare espressamente i consumatori ad informarsi in proposito,

l'uso nella pubblicità di argomentazioni o slogan ambientali deve basarsi su criteri tecnici e scientifici dimostrabili. In caso di contestazione, l'impresa che reclamizza il prodotto dovrà fornire le prove della veridicità della sua pubblicità, avvalendosi di un organismo o di esperti indipendenti,

il riferimento a ingredienti inseriti nei prodotti reclamizzati o eliminati da essi per modificarne gli effetti ambientali deve indicare in modo chiaro e concreto la natura e l'importanza di tali effetti,

l'uso di segni o di simboli relativi agli effetti ambientali non deve indurre in errore né portare a confusione per quanto concerne il loro significato. Essi non devono nemmeno evocare indebitamente le etichette ecologiche ufficialmente in vigore in taluni paesi, zone geografiche o settori economici. Le dichiarazioni dei testimonial potranno essere utilizzate solo per ribadire le caratteristiche ecologiche del prodotto reclamizzato fondate su affermazioni concrete e dimostrabili, conformemente a quanto sottolineato al quartultimo trattino.

3.12.2

Occorre inoltre, a parere del Comitato, promuovere organi extragiudiziali di controllo e risoluzione dei conflitti in materia di consumo, che siano agili, efficienti, poco costosi e credibili per dare la certezza del rispetto delle normative ambientali di prodotto e della corrispondenza dei prodotti sostenibili immessi sul mercato con i requisiti di sostenibilità ambientali che orientano la scelta del consumatore. Tali organi non dovrebbero sostituire i procedimenti giudiziari, che dovrebbero essere accessibili a tutti.

3.13

Il Comitato riterrebbe particolarmente importante, al fine di tutelare i diritti dei consumatori al consumo di prodotti ecologici, l'elaborazione di una Carta europea del consumo e del prodotto sostenibile. Tale carta potrebbe contenere, tra gli altri, i seguenti elementi:

condivisione di responsabilità per il consumo sostenibile tra tutte le componenti e le organizzazioni della società civile: produttori, distributori, consumatori, educatori, amministrazioni pubbliche, organizzazioni dei consumatori e ambientaliste, parti sociali,

integrazione della politica per il consumo e la produzione sostenibili nelle altre politiche comunitarie pertinenti, in consultazione con le organizzazioni dei consumatori, ambientaliste, dei produttori e del commercio e distribuzione e altri stakeholders,

responsabilità primaria dell'industria e dei produttori europei nell'ottimizzare le disponibilità di consumo sostenibile in tutto il ciclo di vita del prodotto «dal concepimento alla tomba», della distribuzione e dei servizi,

responsabilità dell'Unione europea di fornire un quadro unitario, chiaro, coerente e comprensibile di tutta la legislazione comunitaria in materia, evidenziando in essa i diritti dei consumatori e i mezzi di facile utilizzo e gratuiti per far valere concretamente e rapidamente tali diritti,

eventuali elementi che possano completare i diritti esistenti e che rientrino nella sfera di competenze degli Stati membri,

eventuali elementi che possano completare i diritti esistenti e che possano essere conseguiti, mediante autoregolamentazione  (35) , da parte dei privati, dei rappresentanti dei consumatori  (36) , delle organizzazioni ambientaliste  (37) e dei rappresentanti delle imprese,

responsabilità dell'UE e dei governi degli Stati membri per la promozione di misure dinamiche, verificabili ed univoche nella loro implementazione in tema di progettazione ecocompatibile per settori di prodotto, di ecoetichette affidabili in tutta l'UE, di sistemi di gestione ambientale diffusi, di elaborazione ed adesione a standard tecnici ambientali avanzati e internazionalmente accettati, di specifiche tecniche ambientali negli appalti pubblici, di pubblicità «verde» ingannevole, di commercio equo e di cooperazione internazionale per il consumo sostenibile,

accelerazione della ricerca e dello sviluppo tecnologico e introduzione di applicazioni innovative nell'ambito dellai produzione e del consumo sostenibili, a livello sia di spesa pubblica comunitaria e nazionale che di spesa privata, per conseguire l'obiettivo di spesa del 3 % del PIL definito per il SER  (38) ,

informazione, educazione e formazione di tutte le componenti interessate al consumo sostenibile e azioni di capacity-building delle amministrazioni ed organizzazioni interessate,

sviluppo di indicatori, metodologie e banche dati — accessibili al pubblico — per misurare i progressi compiuti verso il consumo sostenibile a tutti i livelli,

promozione di ricerche sui comportamenti del consumatore dannosi per l'ambiente, al fine di identificare i modi per rendere più sostenibili i modelli di consumo.

3.13.1

Data l'importanza dell'argomento, il CESE propone di organizzare un convegno sulla Carta europea del consumo e del prodotto sostenibile nel mercato interno, con la partecipazione del Parlamento europeo e della Commissione.

Bruxelles, 29 maggio 2008

Il Presidente

Del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Regolamento (CE) n. 1980/2000 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 luglio 2000, relativo al sistema comunitario,riesaminato, di assegnazione di un marchio di qualità ecologica.

(2)  Direttiva 93/42/CEE.

(3)  Direttiva 67/548/CEE.

(4)  COM(2001) 31 def.

(5)  COM(2003) 302 def. e Libro verde COM(2001) 68 def.

(6)  GU C 80 del 30.3.2004.

(7)  COM(2002) 412 def. del 17.7.2002 e direttiva 2004/18/ CE del 31 marzo 2004.

(8)  Direttiva 2005/32/CEE (GU L 191 del 22.7.2005); decisione 2000/729/CEE, decisione 2000/730/CE e decisione 2000/731/CE — (GU L 293 del 22.11.2000).

(9)  GU L 242 del 10.9.2002.

(10)  Report on the Sustainable Development Strategy 2007.

(11)  Cfr. nota 18.

(12)  ISBN 978-92-9167-932-4- EEA, Copenaghen, 2007.

(13)  Consiglio europeo di Bruxelles del 14 dicembre 2007.

(14)  COM(2007) 640 def.

(15)  GU C 108 del 30.4.2004.

(16)  GU C 175 del 27.7.2007, GU C 44 del 16.2.2008.

(17)  Direttiva 2005/29/CE (GU L 149 dell'11.6.2005).

(18)  Quali ad esempio gli indicatori di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite — Indicators of Sustainable development: Framework and Methodologies (1996).

(19)  GU C 148 del 21.2.2002, pag. 112, GU C 117 del 30.4.2004, GU C 74 del 23.3.2005.

(20)  Il Cenelec ha sviluppato dal 2006 una banca dati on-line sugli aspetti ambientali incorporati negli standard Cenelec.

Il CEN ha sviluppato dall'inizio del 2007 un apposito programma di formazione sull'incorporazione degli aspetti ambientali negli standard CEN.

(21)  COM(2007) 374 def. del 4.7.2007.

(22)  GU C 325 del 30.12.2006.

(23)  Gli strumenti europei ed internazionali attivabili al riguardo sono numerosi (PQ7, CIP, LIFE, Fondi strutturali, BEI, I2I, Eureka, LEED-OECD, CEB-Consiglio d'Europa….), ma il loro utilizzo congiunto si urta con modalità e procedure divergenti, numerose asincronie d'attivazione e notevoli difficoltà di simultaneous engineering (progettazione simultanea) tra varie tipologie di intervento.

(24)  GU C 120 16.5.2008, pag. 66, relatore: PEZZINI.

(25)  Tra gli esempi si possono citare: l'Eco-Flower (logo europeo a forma di fiore utilizzato in tutta Europa; http://europa.eu.int/comm/environment/ecolabel/index_en.htm), il Cigno (usato prevalentemente in Scandinavia; http://www.svanen.nu/Eng/default.asp), l'Angelo azzurro (specifico della Germania; http://blauer-engel.de/englisch/navigation/body_blauer_engel.htm) e il Fair Flower (nato nei Paesi Bassi; http://www.flowercampaign.org). Vi sono invece etichette pubbliche focalizzate su un aspetto ambientale specifico, tra cui: l'Energy Star. Sono diffuse anche etichette private, tra cui quelle biologiche del sistema IFOAM (http://ec.europa.eu/environemt/emas/index_en.htm).

(26)  GU C 74 del 23.3.2005.

(27)  Ibidem.

(28)  GU L 134 del 30.4.2004.

(29)  COM(2001) 274 def. (GU C 333 del 28.11.2001).

(30)  Green Public Procurement in Europe 2006Conclusions and recommendations. Virage Milieu & Management bv, Korte Spaarne 31, 2011 AJ Haarlem, theNetherlands. http://europa.eu.int/comm/environment/gpp

(31)  Anche con riferimento all'European Platform for Life-Cycle for the environmental performance of products, technologies and services.

(32)  Commercio etico e programmi di garanzia per i consumatori, relatore: ADAMS, GU C 28 del 3.2.2006.

(33)  GU C 120 16.5.2008, pag. 66, relatore: PEZZINI.

(34)  Direttiva 2005/29/CE (GU L 149 dell'11.6.2005).

(35)  Cfr. i punti 22 e 23 del progetto interistituzionale «Legiferare meglio», (GU C 321 del 31.12.2003).

(36)  Al punto 3.5 del parere, il Comitato individua le caratteristiche necessarie per definire un concetto uniforme di associazione rappresentativa dei consumatori. (GU C 185 dell'8.8.2006).

(37)  Il CESE è favorevole alla partecipazione della società civile sulle questioni relative allo sviluppo sostenibile. Punto 4.2.6 del parereGU C 120 16.5.2008, pag. 33 .

(38)  SER: Spazio europeo della ricerca.


30.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 224/8


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla partecipazione della Comunità a un programma di ricerca e sviluppo avviato da vari Stati membri per il miglioramento della qualità della vita degli anziani attraverso l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC)

COM(2007) 329 def. — 2007/0116 (COD)

(2008/C 224/02)

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 10 luglio 2007, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 169 e 172 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla partecipazione della Comunità a un programma di ricerca e sviluppo avviato da vari Stati membri per il miglioramento della qualità della vita degli anziani attraverso l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 maggio 2008, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice DARMANIN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 maggio 2008, nel corso della 445a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere all'unanimità.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie favorevolmente la proposta della Commissione volta a migliorare la qualità della vita degli anziani attraverso l'uso delle nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC). Il programma comune «Domotica per categorie deboli» (Ambient Assisted Living — AAL) può essere uno degli strumenti capaci di garantire efficacemente e prioritariamente la qualità della vita non solo degli anziani, ma di tutte le persone attualmente impossibilitate per motivi di salute a vivere nella propria casa.

1.2

Il CESE è fermamente convinto che l'approccio nei confronti della ricerca e dello sviluppo (R&S) in questo ambito di applicazione delle TIC deve consistere innanzi tutto nel garantire che le esigenze dei beneficiari vengano realmente comprese, gestite e soddisfatte. Si dovrebbe in altri termini trattare di un approccio dal basso, secondo cui saranno le esigenze degli utenti a determinare le attività di R&S.

1.3

Il CESE ritiene che tra i principali soggetti interessati dal programma AAL vi siano coloro che alla fine beneficeranno delle TIC. Di conseguenza, è importante non solo capire le loro esigenze, ma anche prepararli all'uso di tali tecnologie, coinvolgendoli altresì nella loro progettazione e sperimentazione.

1.3.1

Anche per questo il CESE giudica importanti le politiche comunitarie in materia di apprendimento permanente ed e-Inclusione. A tal fine ritiene che la Commissione dovrebbe anche adottare un approccio integrato tra il programma AAL e tali politiche.

1.4

Per il CESE tale programma appare innanzi tutto come un'iniziativa a carattere prettamente «umano», anziché uno dei tanti programmi di R&S. Si tratta in effetti di un programma di ricerca, ma che affronta situazioni sociali particolarmente tipiche di una fase delicata della vita.

1.5

Come indicato più avanti, il CESE ritiene che i quattro aspetti principali di cui tener conto parallelamente nell'ambito del programma AAL siano: le esigenze degli utenti, la loro sicurezza, le organizzazioni attive nel campo della sanità e dell'assistenza (unitamente alle associazioni che rappresentano i lavoratori di questi settori), e le tecnologie da utilizzare.

1.6

Il CESE sottolinea la necessità di tenere adeguatamente conto delle questioni etiche e connesse alla tutela della vita privata, in conformità con gli orientamenti internazionali e si rallegra quindi del fatto che la questione sia stata riconosciuta dalla comunicazione della Commissione.

2.   Sintesi della proposta della Commissione

2.1

La proposta della Commissione si prefigge i seguenti obiettivi specifici:

favorire l'avvento di prodotti e servizi innovativi basati sulle TIC per invecchiare bene, migliorando così la qualità di vita degli anziani e riducendo i costi sanitari e dell'assistenza sociale,

migliorare le condizioni per lo sfruttamento industriale di tali tecnologie prevedendo un quadro europeo coerente volto ad agevolare lo sviluppo di approcci comuni e la localizzazione, e a ridurre il costo dei servizi,

creare e sfruttare una massa critica per la ricerca, lo sviluppo e l'innovazione a livello UE nel settore delle tecnologie e dei servizi nel campo dell'invecchiamento.

2.2

La proposta fa seguito al lancio da parte della Commissione di un piano d'azione per invecchiare bene nella società dell'informazione. Questo piano d'azione è considerato un elemento chiave per far fronte alle sfide sociali ed economiche con cui l'Europa deve misurarsi a causa dei cambiamenti demografici. Si prevede che in Europa il numero delle persone di età compresa tra i 65 e gli 80 anni aumenterà, tra il 2010 e il 2030 (1), di quasi il 40 %. Le TIC vengono viste come un mezzo per migliorare la qualità di vita degli anziani, aiutandoli a essere più autonomi e a rimanere in buona salute più a lungo.

2.3

La Commissione si prefigge di avviare un programma comune della durata di sei anni dal titolo «Domotica per categorie deboli» (Ambient Assisted Living — AAL), che vada a completare le disposizioni del Settimo programma quadro relative alle TIC e all'invecchiamento della popolazione, nonché il Programma per la competitività e l'innovazione (Competitiveness and Innovation Programme — CIP). Il programma AAL sarà provvisto di finanziamenti pari a circa 300 milioni di euro per il periodo 2008-2013, provenienti in parti uguali dalla Comunità e dagli Stati membri.

2.4

Il quadro giuridico su cui si fonda il programma AAL è costituito dall'articolo 169 del Trattato CE, che prevede la partecipazione della Comunità europea ai programmi di ricerca attuati congiuntamente da diversi Stati membri, nonché alle strutture create per l'attuazione di programmi nazionali. Questo quadro giuridico specifico è stato selezionato per il programma AAL allo scopo di aumentare l'efficienza in questo settore della ricerca attraverso la massima valorizzazione del contributo di esperti provenienti da diversi paesi, l'impegno degli Stati membri a cofinanziare tale ricerca, la garanzia di un approccio coerente alla questione sul piano europeo nonché l'adozione nel mercato interno di soluzioni TIC realmente interoperabili in materia di invecchiamento.

3.   Il contesto della proposta della Commissione

3.1

Una precedente iniziativa fondata sull'articolo 169, citata nella proposta della Commissione in esame come «EDCTP prove cliniche in Africa», ha posto in evidenza l'importanza di un chiaro impegno finanziario pluriennale da parte dei paesi partecipanti al progetto. Il programma AAL dovrebbe infatti essere finanziato al 50 % dall'UE e al 50 % dagli Stati membri.

3.2

I lavori preparatori per il programma sono stati effettuati nel quadro di un progetto di azione di sostegno specifico intitolato «Domotica per categorie debol»i, che rientra a sua volta nella priorità «Tecnologie della società dell'informazione» del Sesto programma quadro, realizzato tra il 1o settembre 2004 e il 31 dicembre 2006. Il consorzio era costituito da partner dei seguenti Stati membri: Austria, Belgio, Finlandia, Francia, Germania, Italia e Svizzera. I partner provenivano dal settore privato, da quello pubblico e, in un caso, dal mondo accademico.

3.3

L'entità giuridica del programma comune è l'associazione AAL, attualmente costituita dai rappresentanti di 21 Stati membri. Dal momento che si tratta di un programma originato «dal basso», sono stati nominati dei punti di contatto negli Stati membri che partecipano all'associazione.

4.   Osservazioni di carattere generale

4.1

Il CESE accoglie con favore l'iniziativa «Domotica per categorie deboli», presentata a titolo dell'articolo 169. Riconosce in particolare che essa tiene pienamente conto delle principali tendenze demografiche in Europa.

4.1.1

Il CESE ritiene che per migliorare la coesione economica, sociale e territoriale degli Stati membri che non dispongono di infrastrutture sufficienti per attuare la proposta all'esame, sarebbe necessario adottare «azioni specifiche» come quelle di cui all'articolo 159 del Trattato, volte a correggere i principali squilibri regionali all'interno dell'Unione europea.

4.2

Il CESE ritiene che l'iniziativa non sia da considerare solo un'occasione per realizzare progetti pilota destinati a fungere da modello. Perché i suoi effetti siano durevoli, è infatti molto importante che essa riunisca e coinvolga un'ampia gamma di parti interessate.

4.2.1

Nel programma AAL i principali interessati sono i beneficiari finali dell'iniziativa, la quale è volta principalmente a prolungare l'autonomia delle persone anziane nonché a permettere a questa categoria della popolazione di vivere in casa propria il più a lungo possibile. Occorre tenere presente che, al di là degli anziani, questo obiettivo riguarda tutte le persone che, per motivi di salute, non possono vivere da sole in casa. L'iniziativa deve far sì che i bisogni e le esigenze di queste persone costituiscano effettivamente il perno della ricerca.

4.3

Un altro soggetto importante sono le organizzazioni attive nella sanità e nell'assistenza, per cui l'iniziativa deve tener conto delle loro esigenze organizzative. Per assicurare la riuscita dell'iniziativa, il CESE raccomanda di offrire a tali organizzazioni l'opportunità di esaminare assieme ad altre parti interessate questioni quali l'integrazione e l'interoperabilità tra i sistemi.

4.4

Il CESE raccomanda caldamente di coinvolgere i fruitori dei sistemi che verranno messi a punto nel quadro dell'iniziativa in quanto attori fondamentali sin dalle fasi iniziali dei lavori. Raccomanda inoltre che i consorzi adottino, ove possibile, metodi incentrati sull'utente, come ad esempio il design partecipativo, nella loro metodologia di sviluppo, in particolare per promuovere un'elevata facilità d'uso dei dispositivi e delle interfacce utente. Il Comitato si rallegra inoltre del fatto che si sia tenuto adeguatamente conto delle eventuali questioni etiche e connesse alla tutela della vita privata, in conformità agli orientamenti internazionali.

4.5

Il CESE prende atto dell'impegno assunto nei confronti delle PMI nella proposta di decisione e approva il fatto che le organizzazioni professionali siano considerate soggetti chiave in grado di promuovere modelli imprenditoriali innovativi, orientati al mercato e atti a indicare percorsi intrinseci e chiari per lo sfruttamento industriale delle tecnologie. Il CESE raccomanda in particolare di riconoscere il contributo significativo che le PMI possono apportare alla realizzazione di attività di ricerca dai risultati più rapidamente commercializzabili (almeno 2 anni).

4.5.1

Esorta inoltre a riconoscere la flessibilità tecnologica dimostrata dalle PMI in alcune occasioni, nonché la loro capacità di introdurre sul mercato tecnologie e modelli imprenditoriali nuovi in maniera a volte più rapida rispetto alle imprese più grandi e alle organizzazioni attive nella sanità e nell'assistenza. Questa caratteristica delle PMI riveste un'importanza particolare nel quadro dell'iniziativa all'esame. Il previsto partenariato tra grandi organizzazioni e PMI comporta di conseguenza vantaggi per entrambe le parti.

4.6

Il programma comune si prefigge essenzialmente di aiutare le persone a vivere a casa più a lungo. Per realizzare questo obiettivo è indispensabile disporre di un'ampia gamma di sensori, attuatori, interfacce utente, processori e dispositivi di comunicazione, che spesso possono essere forniti solo da un gran numero di PMI europee diverse.

4.7

Il CESE approva i provvedimenti che, all'interno di tutti questi gruppi di soggetti interessati, promuovono la creazione di reti multidisciplinari tra tecnici, medici e altro personale delle organizzazioni attive nel settore della sanità e dell'assistenza, e in particolare gli utenti, vale a dire le persone che non possono lasciare il loro domicilio ma anche i loro familiari e il personale incaricato della loro assistenza.

4.8

Nel quadro di un sistema europeo dell'innovazione, quest'iniziativa offre l'opportunità di adottare nuovi modelli che rispecchino gli attuali progressi in materia di innovazione aperta e per l'utente, e favoriscano il collegamento tra la strategia di Lisbona e un nuovo sistema maggiormente orientato all'utente.

4.9

A giudizio del CESE, è importante garantire che tutti i tipi di organizzazione in tutti gli Stati membri dell'UE abbiano le medesime possibilità di accesso all'iniziativa.

4.10

È inoltre essenziale incoraggiare tutti i governi nazionali a partecipare al programma. Finora, i seguenti paesi hanno concordato di collaborare ad attività congiunte nel quadro dell'iniziativa: Austria, Belgio, Cipro, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Italia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Romania, Slovenia, Spagna, Svezia e Ungheria, nonché Israele, Norvegia e Svizzera.

4.11

Il CESE nota con preoccupazione che alcuni paesi non intendono partecipare al programma per via dei costi legati al cofinanziamento della ricerca. Sarebbe opportuno che, una volta soddisfatti i requisiti fissati (principalmente in materia di cofinanziamento), tali paesi potessero partecipare a qualsiasi fase del programma.

4.12

Il CESE riconosce che il programma AAL può comportare una riduzione dei costi del sistema assistenziale. Ribadisce tuttavia che l'obiettivo dell'iniziativa non è ridurre i costi, bensì garantire in modo concreto la qualità della vita di una categoria di cittadini. La riduzione dei costi è solo una conseguenza, peraltro molto benaccetta.

5.   Osservazioni di carattere specifico

5.1

Il CESE è fermamente persuaso che il programma comune dovrebbe tenere conto delle specificità dei tre seguenti aspetti: l'utente, le organizzazioni attive nella sanità e la tecnologia utilizzata.

5.2

I beneficiari e i principali soggetti interessati saranno in certi casi gli anziani. È essenziale che il programma si concentri sulle esigenze degli utenti finali. Commettere l'errore di rivolgersi agli utenti solo nel contesto della ricerca per far loro sperimentare i risultati delle ricerche potrebbe avere come effetto indesiderato la creazione di innovazioni non adeguate ai bisogni dei principali beneficiari. Vanno pertanto tenute presenti le esigenze degli utenti, vale a dire: riduzione al minimo delle modifiche del comportamento, mobilità, possibilità di scelta, migliore qualità di vita e rispetto della privacy.

5.3

Occorre inoltre tenere conto del fatto che gli anziani costituiscono forse la categoria della popolazione che più di ogni altra risente dell'e-Esclusione: è pertanto essenziale superare il divario digitale. L'accesso a Internet rappresenta un ulteriore elemento fondamentale, motivo per cui è necessario adoperarsi affinché tutte le regioni, in particolare quelle a carattere maggiormente rurale, abbiano accesso a questo servizio (sul piano sia tecnico che finanziario).

5.3.1

In breve, è essenziale che:

la tecnologia non si sostituisca al contatto diretto con il personale assistenziale o medico,

l'accento cada sulla prevenzione e sull'autonomia del soggetto beneficiario,

l'inclusione sociale sia uno degli obiettivi principali,

il programma AAL venga integrato nel quotidiano delle persone e in altri tipi di servizi,

la tecnologia utilizzata sia sicura e di facile uso, tenendo conto delle particolari condizioni degli utenti.

5.3.2

Di conseguenza, il CESE ritiene fermamente che nell'ambito del programma AAL si dovrebbe adottare un approccio dal basso verso l'alto. Il punto di partenza e il fulcro dell'intero processo dovrebbero essere le esigenze degli utenti, piuttosto che la tecnologia in quanto tale. Bisognerebbe quindi condurre uno studio specifico per identificare tutta la gamma di aspetti da prendere in considerazione, tra cui: la necessità di essere in contatto con gli altri, specie quando si raggiunge un'età avanzata (a tale proposito, sistemi VOIP quali SKYPE e la posta elettronica si sono rivelati strumenti validi ed economici), la scarsa propensione a tenersi aggiornati con i sempre più rapidi mutamenti tecnologici, l'abilità di gestire tali mutamenti e la capacità di servirsi delle nuove tecnologie. Inoltre, gli utenti dovrebbero partecipare alla creazione, alla realizzazione e alla valutazione di tali tecnologie.

5.4

In definitiva, saranno le organizzazioni attive nel settore della sanità e dell'assistenza, i loro rappresentanti e i familiari degli utenti, a far uso della tecnologia per fornire assistenza ai beneficiari: è quindi fondamentale coinvolgere tali organizzazioni nelle varie fasi della ricerca per far sì che il prodotto finale corrisponda al loro sistema operativo. Per poter applicare le nuove tecnologie del programma AAL sarà probabilmente necessario procedere a modifiche di carattere organizzativo. È pertanto indispensabile che le organizzazioni attive nel settore dell'assistenza siano preparate a vivere tali cambiamenti nel modo più naturale possibile, allo scopo di massimizzare le potenzialità delle tecnologie del programma.

5.4.1

Nell'ambito dell'intero processo assistenziale, e dunque anche nel contesto del programma AAL, il personale rappresenta di sicuro un elemento importante. Occorre di conseguenza operare un cambiamento d'impostazione che riguardi non solo le organizzazioni ma anche il personale assistenziale, facendo sì che le persone a diretto contatto con i beneficiari non solo siano competenti nell'uso delle tecnologie, ma credano davvero nella loro utilità. Solo così sarà possibile infondere nei pazienti ulteriore fiducia nei confronti di questi strumenti ai fini di una migliore qualità della vita.

5.4.2

Il CESE ritiene inoltre opportuna un'accurata revisione del sistema sanitario. Questo non solo consentirà di garantire la capacità organizzativa necessaria per attuare il programma AAL, ma metterà anche in grado le associazioni sanitarie ed assistenziali di gestire l'assistenza a domicilio di un maggior numero di persone.

5.4.3

L'adozione del programma AAL rende inoltre ancora più essenziale migliorare la cooperazione e il coordinamento tra le organizzazioni sanitarie e quelle assistenziali. Anche in questo caso la tecnologia può rivelarsi uno strumento valido per migliorare la cooperazione, ma ancor più importanti risultano la consapevolezza dei bisogni e la volontà di collaborare.

5.5

I sistemi del programma comune saranno prevedibilmente complessi, e l'interoperabilità dovrebbe quindi costituire uno degli obiettivi chiave del programma. L'innovazione e la tecnologia dovrebbero essere realizzate su vasta scala, adattate alle diverse esigenze e rese integrate e proattive.

5.6

Il CESE raccomanda infine alla Commissione di adottare un approccio integrato tra il programma AAL e politiche quali l'apprendimento permanente. La formazione prevista nell'ambito di tali politiche dovrebbe in particolare essere mirata ai beneficiari del programma AAL, considerando che la conoscenza di tali tecnologie è un elemento essenziale del loro successo.

Bruxelles, 29 maggio 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  COM(2007) 329 def.


30.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 224/11


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'accesso alle attività di assicurazione e di riassicurazione e al loro esercizio — Solvibilità II

COM(2007) 361 def. — 2007/0143 (COD)

(2008/C 224/03)

Il Consiglio, in data 31 ottobre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 47, paragrafo 2, e dell'articolo 251 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'accesso alle attività di assicurazione e di riassicurazione e al loro esercizio — Solvibilità II (1).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 maggio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore ROBYNS DE SCHNEIDAUER.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 maggio 2008, nel corso della 445a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 67 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) elogia l'iniziativa della Commissione di procedere a una rigorosa rifusione di molte direttive complesse in un unico e chiaro documento, tenendo conto nel contempo delle norme che disciplinano gli elementi oggetto della rifusione. Dato che il quadro legislativo dell'UE non dovrebbe concentrarsi unicamente sulla politica prudenziale, che riguarda il ruolo del capitale nel fornire i servizi di assicurazione che interessano le imprese e i cittadini europei per molti altri versi, il CESE si riserva il diritto di esprimersi a tempo debito sui nuovi aspetti del rapporto tra consumatori e (ri)assicuratori, più in particolare nel quadro delle recenti iniziative della Commissione sui servizi finanziari al dettaglio.

Il CESE esorta la Commissione ad approfondire ulteriormente l'opera di armonizzazione relativa agli aspetti giuridici del rapporto tra contraenti e assicuratori, rapporto attualmente esaminato nell'ambito dell'esercizio relativo al quadro comune di riferimento (QCR) condotto sotto la supervisione della DG SANCO.

1.2

Il CESE accoglie in generale con favore la direttiva quadro Solvibilità II proposta dalla Commissione ed esprime apprezzamento per la vasta consultazione che ne ha preceduto l'elaborazione. L'approccio della Commissione è stato conforme ai principi di miglioramento della legislazione che essa stessa si è prefissa; sennonché, le consultazioni relative a questo tipo di riforme dovrebbero tenere nella dovuta considerazione i punti di vista di lavoratori e consumatori, per i quali l'esito di tali procedure presenta un ovvio interesse. Il CESE invita la Commissione a mettere a punto sedi appropriate, sul modello di Finuse, dove tali consultazioni possano avere luogo.

1.3

Il CESE accoglie con favore l'adozione di un approccio economico basato sul rischio per valutare i requisiti patrimoniali di solvibilità delle società d'assicurazione, come pure l'adozione di un approccio del totale di bilancio basato su una valutazione economica completa delle attività e passività di tali società, al fine di verificarne la situazione finanziaria. Scopo di tale procedura è tenere adeguatamente conto dei livelli intrinseci di esposizione al rischio e degli strumenti di attenuazione del rischio di cui dispongono le imprese. Questo approccio, oltre a essere corretto sul piano economico, presenta il vantaggio di evitare ogni possibilità di arbitraggio regolamentare e al tempo stesso garantisce un livello di protezione identico e adeguato per i contraenti di tutta Europa, indipendentemente dallo status giuridico, dalle dimensioni o dall'ubicazione della società.

1.4

Il CESE accoglie con espresso favore l'introduzione di un approccio fondato sui tre pilastri in materia di vigilanza prudenziale che, pur essendo conforme ai requisiti patrimoniali per il settore bancario fissati dall'accordo Basilea II, tiene conto delle specificità del settore assicurativo. Desidera sottolineare l'importanza che rivestono, ai fini di un'adeguata vigilanza prudenziale delle imprese di assicurazione, l'aggiunta della procedura di valutazione della vigilanza e dei requisiti qualitativi (pilastro II) e l'introduzione di principi volti a regolamentare le relazioni periodiche alle autorità di vigilanza e l'informativa al pubblico (pilastro III), oltre alla definizione dei requisiti quantitativi patrimoniali basati sul rischio.

1.5

Il CESE accoglie con favore l'introduzione di un regime di solvibilità basato su due diversi requisiti patrimoniali, il requisito patrimoniale di solvibilità e il requisito patrimoniale minimo, ognuno dei quali risponde ad un'esigenza distinta: il requisito patrimoniale di solvibilità indica il livello patrimoniale a cui un'impresa dovrebbe tendere in condizioni di esercizio normali, il requisito patrimoniale minimo rappresenta il livello patrimoniale al di sotto del quale dovrebbe scattare l'intervento di vigilanza estremo. Il CESE vedrebbe con favore l'adozione di misure regolamentari di livello 2 che chiarissero ulteriormente le condizioni applicabili al calcolo semplificato del requisito patrimoniale di solvibilità (articolo 108), come pure le circostanze che fanno scattare la richiesta di incrementare i fondi propri atti a garantire la solvibilità.

1.6

Il CESE è dell'avviso che i calcoli relativi al requisito patrimoniale di solvibilità e al requisito patrimoniale minimo dovrebbero essere rigorosamente allineati gli uni agli altri e, di conseguenza, basarsi entrambi su un approccio sensibile al rischio: lo scopo è consentire la corretta attivazione di una serie crescente di interventi di vigilanza, onde garantire che, in caso di mancato rispetto del requisito patrimoniale di solvibilità, sia la società di assicurazione interessata sia l'autorità di vigilanza abbiano il tempo sufficiente per adottare le misure necessarie a risolvere il problema.

1.7

Il CESE accoglie con favore l'inclusione, nella proposta di direttiva, del principio di proporzionalità, il quale consentirebbe l'applicazione del regime Solvibilità II da parte di tutte le imprese. Vedrebbe inoltre positivamente l'adozione di misure regolamentari di livello 2 tali da chiarire ulteriormente questo principio generale di proporzionalità (articolo 28, paragrafo 3), per far sì che l'adeguatezza dei requisiti e delle eventuali misure correttive possa essere accertata con maggiore sicurezza, sempre che ciò non porti a schematizzare delle norme sclerotizzate. Il CESE raccomanda che questo principio venga applicato in modo effettivo e uniforme in tutta Europa, e che si prevedano strumenti efficaci di ricorso amministrativo o, all'occorrenza, giurisdizionale per garantirne l'osservanza.

1.8

Il CESE raccomanda vivamente alla Commissione di preservare la varietà del mercato assicurativo tenendo conto del ruolo svolto dai piccoli e medi assicuratori, come pure delle mutue assicuratrici e delle cooperative di assicurazione. Dato che molte di esse operano in mercati di nicchia, per il CESE è molto importante che si preveda un certo grado di flessibilità rispetto all'approccio standard, per tenere conto, ad esempio, dell'utilizzo di dati propri e più pertinenti e di metodologie generalmente accettate, senza che ciò incida sulla concorrenza leale tra le imprese di assicurazione. Occorre analizzare e considerare adeguatamente la possibilità che le mutue assicuratrici facciano appello ai propri soci affinché rafforzino la solvibilità della società, come si è già verificato nella pratica.

1.9

Il CESE riconosce l'importanza di prevedere la vigilanza sui gruppi assicurativi che, pur relativamente piccoli come numero di imprese, rappresentano una quota significativa del mercato assicurativo UE. Considera pertanto l'introduzione della vigilanza di gruppo un importante passo avanti che permetterà a tutte le autorità preposte a questo tipo di vigilanza e alle altre autorità di vigilanza interessate di giungere a una migliore comprensione del profilo di rischio di un intero gruppo. Si raccomanda a tal fine che le attività di queste autorità di vigilanza siano improntate alla massima armonizzazione e trasparenza, e che le rispettive competenze vengano delimitate in modo chiaro.

1.10

Il CESE accoglie con favore l'introduzione di un regime facoltativo che faciliti la gestione patrimoniale da parte dei gruppi, in quanto migliora la mobilità del capitale all'interno dei gruppi e fornisce ai gruppi un sistema pratico e trasparente che permette loro di beneficiare del riconoscimento degli effetti di diversificazione, senza incidere sul livello dei requisiti patrimoniali imposti alle imprese figlie. In tale contesto sarà necessario considerare gli effettivi livelli patrimoniali delle imprese figlie di un gruppo, dato che in parte essi saranno coperti da dichiarazioni in merito al supporto di gruppo, e non da liquidità disponibili o attività equivalenti. Il CESE rileva che gli effetti di diversificazione al livello di gruppo verranno tenuti in considerazione solo se si ricorrerà al metodo standard per il calcolo del requisito patrimoniale di solvibilità, e che la proposta dovrebbe permettere di tenere conto di tali effetti anche quando non si ricorre al meccanismo del supporto di gruppo.

1.11

Il Comitato raccomanda di accertare l'impatto del regime facoltativo proposto sulla concorrenza a livello locale e il grado di tutela di cui il consumatore beneficia in situazioni normali e di crisi, e che non dovrebbe essere inferiore a quello previsto dal regime standard; raccomanda altresì di chiarire una serie di aspetti giuridici e pratici, tra cui la sicurezza dei trasferimenti transfrontalieri di fondi tra società diverse all'interno di un gruppo, vale a dire i possibili ostacoli giuridici esistenti a livello nazionale ai trasferimenti di capitali (nell'ambito del regime di supporto di gruppo) verso un'impresa figlia ubicata in un altro Stato membro.

1.12

Il CESE si attende che le autorità di livello 2 tengano conto dei risultati della quarta fase dello studio d'impatto quantitativo (QIS4), ancora in corso al momento dell'adozione del presente parere.

1.13

Il CESE insiste sulla necessità di applicare la direttiva in modo armonizzato, evitando cioè l'aggiunta di requisiti non previsti (il cosiddetto goldplating) o la compresenza di politiche divergenti tramite il ricorso a opzioni, cosa che pregiudicherebbe l'adozione di una politica prudenziale uniforme nel mercato interno.

1.14

Il CESE esorta la Commissione a garantire la prevedibilità delle pratiche prudenziali per dare alle imprese di assicurazione il livello di certezza di cui necessitano per sviluppare la propria politica di rischio e di solvibilità.

1.15

Il CESE riconosce l'importanza che rivestono, nell'ambito del regime Solvibilità II, le tecniche di attenuazione del rischio, come lo scambio di dati attendibili tra assicuratori e pool di assicuratori. Tali tecniche facilitano l'accesso al mercato per i nuovi arrivati e per i piccoli operatori e consentono loro di accrescere le capacità disponibili e di ridurre i margini di incertezza relativi ai loro premi. Il CESE sollecita quindi la Commissione a tenere conto di questa correlazione quando procederà alla revisione del regolamento sull'esenzione per categoria nel settore assicurativo.

1.16

Il CESE si congratula con la Commissione e con i comitati Lamfalussy interessati per il ruolo motore da essi assunto in questo processo di riforma riguardante l'applicazione delle migliori pratiche e la sensibilizzazione di tutti gli attori del mercato europeo. La direttiva proposta definisce un vero e proprio parametro di riferimento per molte altre giurisdizioni e settori di servizi finanziari: tuttavia, le consultazioni relative a questo tipo di riforme dovrebbero tenere nella dovuta considerazione i punti di vista di lavoratori e consumatori, per i quali l'esito di tali procedure presenta un ovvio interesse. Il CESE invita la Commissione a mettere a punto sedi appropriate, sul modello di Finuse, dove tali consultazioni possano avere luogo.

1.17

Il CESE sollecita la Commissione ad allineare le disposizioni in materia di solvibilità applicabili ad altri prestatori — qualunque sia la loro natura — di servizi finanziari analoghi, al livello di quelle della direttiva Solvibilità II, conformemente al principio «stessi rischi, stesse norme». Data, infatti, la volatilità dei mercati finanziari, i consumatori o i beneficiari devono poter contare sulla stessa elevata protezione in materia di solvibilità. L'esistenza di condizioni di parità relativamente ai requisiti patrimoniali di solvibilità è anche essenziale per favorire un contesto concorrenziale leale nel mercato finanziario.

1.18

I principi del regime Solvibilità II dovrebbero fungere da riferimento per l'introduzione di nuovi standard in materia di solvibilità, ad esempio nel quadro della revisione della direttiva EPAP (2) nel 2008, specie per quanto riguarda la definizione degli obblighi relativi ai fondi pensione privati in tutta l'Unione.

2.   Introduzione

2.1

La proposta di direttiva in esame, riguardante un nuovo regime di solvibilità per le imprese private di assicurazione e di riassicurazione, denominato Solvibilità II, introduce un regime riveduto volto a migliorare la tutela dei contraenti e dei beneficiari, ad accrescere l'integrazione del mercato assicurativo unico UE e a rafforzare la competitività del settore assicurativo UE a livello internazionale, come pure quella dei singoli assicuratori e riassicuratori. Allo stesso tempo, essa unisce diverse generazioni di direttive in materia di assicurazione in un'unica direttiva rifusa. Il nuovo quadro si applica sia alle imprese di assicurazione che a quelle di riassicurazione.

2.2

Attraverso una meticolosa e continua consultazione di tutte le parti interessate, la Commissione e i comitati Lamfalussy, composti a loro volta di autorità di regolamentazione e di vigilanza, hanno assunto un ruolo di primo piano nella definizione di pratiche innovative in un ambiente globale, in particolare nel settore dei servizi finanziari. Il risultato è il regime Solvibilità II, che riunisce le norme più sofisticate al mondo in materia di solvibilità nel settore assicurativo e colloca l'Unione europea in una posizione di netto vantaggio rispetto alla maggior parte delle altre giurisdizioni. Tuttavia, le consultazioni relative a questo tipo di riforme dovrebbero tenere nella dovuta considerazione i punti di vista di lavoratori e consumatori, per i quali l'esito di tali procedure presenta un ovvio interesse. Il CESE invita la Commissione a mettere a punto sedi appropriate, sul modello di Finuse, dove tali consultazioni possano avere luogo.

3.   Il contesto

3.1

Il quadro proposto in materia di solvibilità mira a migliorare la stabilità finanziaria e l'affidabilità del mercato europeo delle assicurazioni: ciò dovrebbe andare a vantaggio della competitività sia dell'intero settore assicurativo UE sia dei singoli assicuratori e riassicuratori e dei consumatori, ma anche recare benefici ai consumatori in termini di sicurezza. L'esistenza di mercati assicurativi affidabili è di cruciale importanza per il tessuto sociale ed economico dell'Unione europea.

3.2

In primo luogo, le assicurazioni fungono da strumento di protezione individuale e collettiva. Tra i clienti delle società di assicurazione figurano nuclei familiari, PMI, grandi società, associazioni ed enti pubblici. Gli impegni delle società di assicurazione riguardano, oltre ai clienti veri e propri dei servizi assicurativi, i rispettivi aventi diritto e terzi interessati. Il CESE è particolarmente consapevole di questo impatto sulla vita quotidiana dei cittadini europei. Al di là della sua importanza come fornitore di prestazioni in caso di decesso, il settore assicurativo è diventato nel tempo un importante fornitore di prodotti di risparmio. Le società di assicurazione partecipano alla gestione di regimi di sicurezza sociale come le pensioni (paesi nordici), ai sistemi di risarcimento degli infortuni sul lavoro (BE, FI, PT) e ai sistemi sanitari nazionali (IE, NL), spesso all'interno di un quadro che associa anche i rappresentanti dei lavoratori. Le società di assicurazione offrono ai lavoratori una serie di vantaggi la cui importanza cresce rapidamente, il che le trasforma in attori di primo piano. Esse offrono inoltre protezione contro rischi inediti, come le calamità naturali, le minacce ai raccolti e finanche gli atti terroristici, a volte attraverso partenariati tra (ri)assicuratori e governi.

3.3

Il mercato assicurativo costituisce un'importante leva per l'intera economia giacché incoraggia l'iniziativa e crea fiducia; inoltre, rappresenta di per sé un considerevole fattore economico, visto che dà lavoro a circa un milione di persone in Europa (3). Secondo stime della Commissione, la direttiva proposta comporterà investimenti supplementari da 2 a 3 miliardi di euro per gli assicuratori e le autorità di vigilanza. Ci si attende che una parte molto rilevante di questi investimenti venga effettuata in capitale umano attraverso la creazione di impieghi altamente qualificati di lunga durata a livello locale (ad esempio, addetti alla gestione del rischio, attuari, esperti di TIC e addetti al controllo della conformità). Il CESE considera che tali investimenti dovrebbero arrecare benefici a tutte le parti interessate, compresi consumatori e beneficiari.

3.4

Oltre a questi posti di lavoro diretti, il sistema della distribuzione assicurativa tramite agenti, intermediari e i loro dipendenti fornisce un altro milione di posti di lavoro.

Le imprese di assicurazione e riassicurazione sono anche importanti investitori istituzionali, con importi che superano i 6.500 miliardi di euro (4). In quanto tali, hanno la responsabilità di trasformare i premi individuali in portafogli di attività finanziarie in debita proporzione con i rischi incorsi, e garantire la sicurezza dei contraenti e dei beneficiari nel medio-lungo termine.

3.5

I premi versati in totale da famiglie, PMI, grandi società, associazioni ed enti pubblici equivalgono a più del 5 % del PIL per quanto riguarda l'assicurazione vita (5) e a più del 3 % per quanto riguarda l'assicurazione non vita. Anche nei mercati più maturi, il tasso di crescita del settore assicurativo supera nella maggior parte dei casi quello dell'intera economia. Gli investimenti degli assicuratori rappresentano oltre il 50 % del PIL (6) e si compongono per metà di attività a reddito fisso e prestiti (7), mentre il totale dei loro investimenti a rendimento variabile è pari a circa un quarto della capitalizzazione di borsa in Europa (8).

3.6

Nonostante le numerose fusioni registrate di recente nel settore assicurativo, l'Europa conta ancora circa 5.000 società d'assicurazione (9). I grandi gruppi finanziari possono avere diverse imprese di assicurazione figlie in diversi paesi. I gruppi del settore assicurativo possono svolgere vari tipi di attività assicurative (riassicurazione, assicurazione vita e/o non vita, intermediazione assicurativa) o attinenti al più ampio contesto dei servizi finanziari (compresi i servizi bancari — bancassicurazione — e i mutui ipotecari). Inoltre, possono essere costituiti da un'impresa madre e da imprese figlie, ma anche comprendere joint venture, strutture holding, ecc. I 20 maggiori gruppi raccolgono circa la metà del totale dei premi incassati in Europa (10). Le mutue assicuratrici e le cooperative di assicurazione detengono una quota considerevole del mercato. Queste ultime sono spesso intrinsecamente legate a un gran numero di organizzazioni della società civile e rappresentano il 30 % di tutti i premi incassati in Europa (11).

3.7

L'attuale crisi finanziaria innescata dalle pratiche di concessione dei mutui subprime negli USA mostra con chiarezza la necessità di standard ben fondati e accurati in materia di solvibilità, tali da permettere alle società di assicurazione di onorare i loro impegni anche in situazioni critiche. Le regole, i metodi di gestione e gli stress test (esplorazioni di eventi particolarmente sfavorevoli) sono tutti elementi che contribuiscono al raggiungimento di tale obiettivo.

4.   L'approccio legislativo

4.1

Conformemente al suo programma sul miglioramento della legislazione, la Commissione ha elaborato la direttiva Solvibilità II in modo dettagliato e approfondito, tenendo conto delle norme che disciplinano gli elementi oggetto della rifusione. Grazie a successive valutazioni di impatto qualitativo e quantitativo e consultazioni è stato possibile prendere in considerazione molte delle preoccupazioni espresse dal settore e dalle autorità di vigilanza. Sono ora in programma nuove analisi dettagliate e nuove consultazioni.

4.2

La direttiva proposta della Commissione rientra tra le cosiddette direttive «Lamfalussy», le quali seguono la struttura a quattro livelli dell'architettura Lamfalussy per i servizi finanziari. Le disposizioni di livello 1 della direttiva, di tipo programmatico, fungono da base per l'adozione di misure d'esecuzione (livello 2) e delle istruzioni in merito alla convergenza della vigilanza (livello 3 del processo). Questo approccio è inteso a permettere un adattamento rapido del nuovo regime di solvibilità all'evoluzione del mercato, agli sviluppi su scala internazionale della regolamentazione in materia contabile e (ri)assicurativa, ai progressi tecnologici, alle nuove esperienze e metodologie. Fornire indicazioni particolareggiate di calcolo negli articoli della direttiva significherebbe pregiudicare la stessa essenza di questo approccio legislativo innovativo. I livelli 2 e 3 sono maggiormente indicati per questo tipo di informazioni.

4.3

Il nuovo regime è strutturato in tre pilastri, sul modello dei requisiti patrimoniali per il settore bancario fissati dall'accordo Basilea II, ma tiene conto delle specificità del settore assicurativo. Il pilastro I (articoli 74-142) definisce i requisiti patrimoniali quantitativi, il pilastro II (articoli 27-34, 36-38, 40-49, 181-183) verte sulla procedura di valutazione della vigilanza e sui requisiti qualitativi, e il pilastro III (articoli 35, 50-55) regolamenta il tema delle relazioni periodiche alle autorità di vigilanza e dell'informativa al pubblico. Questi tre pilastri non sono indipendenti l'uno dall'altro, ma si completano al fine di realizzare gli obiettivi del regime. Pertanto, le interazioni tra le disposizioni relative ai vari pilastri andrebbero considerate con la dovuta attenzione.

4.4

La revisione del vigente regime di solvibilità è stata anche l'occasione per rifondere 13 direttive in materia di (ri)assicurazione in un'unica direttiva semplificata, nella quale sono state integrate le nuove norme in materia di solvibilità. Tale direttiva contiene un certo numero di modifiche non sostanziali volte a migliorare la redazione del testo, mentre gli articoli o le parti di articoli divenuti obsoleti sono stati cancellati.

5.   Aspetti generali

5.1

Negli ultimi 30 anni, diverse generazioni di direttive europee hanno portato alla creazione di un mercato europeo (ri)assicurativo disciplinato da un insieme di norme comuni, tra cui i principi del riconoscimento reciproco e del controllo del paese d'origine. Esse hanno inoltre creato un mercato aperto agli operatori extracomunitari e incoraggiato gli assicuratori UE a espandersi nei mercati dei paesi terzi, soprattutto in America settentrionale, in Asia e nei paesi di cui si potrebbe prospettare l'adesione all'UE.

5.2

L'innovativa regolamentazione proposta in materia di solvibilità mira a garantire che gli assicuratori siano finanziariamente affidabili e capaci di fronteggiare circostanze sfavorevoli per mantenere gli impegni contrattuali assunti nei confronti dei contraenti e garantire la stabilità del sistema finanziario. È tuttavia importante sottolineare che tutti i consumatori di questi servizi finanziari meritano questo grado più elevato di protezione. Taluni operatori del mercato non sono soggetti alla regolamentazione in materia di assicurazione: è il caso, ad esempio, degli enti pensionistici professionali o dei fornitori di prodotti di risparmio e di investimento.

5.3

L'adozione di norme armonizzate in materia di solvibilità può instaurare un clima di fiducia non solo fra i consumatori, ma anche tra le autorità di vigilanza. La fiducia è infatti un elemento determinante perché un mercato europeo caratterizzato dai principi del riconoscimento reciproco e del controllo del paese d'origine possa funzionare nella pratica. Le vigenti norme UE in materia di solvibilità (Solvibilità I) sono ormai superate: esse infatti non sono sensibili ai rischi specifici sostenuti dal soggetto che fornisce la copertura assicurativa, per cui requisiti identici in materia di solvibilità vengono imposti a imprese con profili di rischio diversi. Inoltre, le attuali norme in materia di solvibilità sono imperniate per lo più sulla conformità finanziaria, giacché seguono un approccio di tipo prescrittivo anziché un modello di buona gestione, e non disciplinano adeguatamente la vigilanza di gruppo. Infine, l'attuale quadro legislativo comunitario conferisce un'eccessiva discrezionalità agli Stati membri nell'introdurre varianti nazionali, e finisce così per compromettere l'efficacia della vigilanza delle operazioni multinazionali e il principio della parità di condizioni. Dati questi punti deboli, l'attuale regime è stato superato dalle evoluzioni intervenute nel settore e a livello internazionale e transettoriale. In altri termini, le nuove norme in materia di solvibilità definite dalla proposta di direttiva rispecchiano una tendenza già consolidata, in vari paesi, dagli operatori e dalle autorità di vigilanza sensibili al fattore rischio.

5.4

Contrariamente al regime Solvibilità I, la riforma si concentra sull'effettiva qualità della gestione del rischio nell'impresa e su principi e obiettivi, anziché su norme che non tengono conto dei profili di rischio specifici delle società.

Inoltre, essa mira ad allineare le pratiche di vigilanza nello Spazio economico europeo.

5.5

Sostanzialmente, il nuovo sistema è anzitutto finalizzato a dotare le autorità di vigilanza e gli assicuratori di strumenti sofisticati in tema di solvibilità che consentano loro di far fronte non solo ai rischi di assicurazione in caso di circostanze sfavorevoli (ad esempio, inondazioni, tempeste o gravi incidenti automobilistici), ma anche al rischio di mercato, al rischio di credito e ai rischi operativi. Contrariamente alla legislazione attuale, assicuratori e riassicuratori saranno tenuti a detenere fondi propri proporzionati al rispettivo rischio di solvibilità generale, per calcolare il quale si tiene conto non solo di elementi quantitativi, ma anche di aspetti qualitativi capaci di incidere sul profilo di rischio dell'impresa.

5.6

Il nuovo regime si fonda su un approccio sensibile al rischio economico, volto a garantire che si tenga adeguatamente conto dei livelli intrinseci di esposizione al rischio e delle tecniche di attenuazione del rischio, eliminando così le possibilità di arbitraggio regolamentare in grado di distorcere e indebolire la protezione offerta ai contraenti. Ciò significa altresì che i requisiti patrimoniali dovrebbero permettere un'allocazione ottimale del capitale e incoraggiare una migliore gestione interna del rischio.

5.7

In secondo luogo, il regime Solvibilità II sottolinea la responsabilità degli organi direttivi delle società di assicurazione nell'assicurare la qualità della gestione del rischio, e punta a favorire le buone prassi nel settore. Le società saranno tenute a concentrarsi sull'identificazione, la misurazione e la gestione attiva dei rischi, nonché a tenere conto di tutti gli sviluppi futuri — dall'adozione di nuovi piani aziendali al possibile verificarsi di eventi catastrofici — in grado di incidere sulla loro situazione finanziaria. Inoltre, in base alla riforma proposta esse saranno tenute a valutare il proprio fabbisogno di fondi propri alla luce di tutti i rischi esistenti attraverso la cosiddetta «valutazione interna del rischio e della solvibilità», mentre la p«rocedura di valutazione della vigilanza» sposterà l'attenzione delle autorità di vigilanza dal rispetto delle norme al controllo patrimoniale, allo scopo di valutare gli effettivi profili di rischio degli assicuratori e la qualità dei loro sistemi di gestione del rischio e di governance, ad esempio tramite meccanismi di allerta precoce e stress test. Parallelamente, la direttiva incoraggia la cooperazione e la convergenza in materia di vigilanza, ad esempio ampliando il ruolo del Comitato delle autorità europee di vigilanza delle assicurazioni e delle pensioni aziendali o professionali. Si tratta di un passo avanti verso una maggiore unità nella vigilanza dei servizi finanziari, obiettivo che il CESE sostiene.

5.8

Un terzo importante aspetto riguarda il tentativo della direttiva di rendere più efficace la vigilanza dei gruppi assicurativi grazie alla creazione di un'«autorità di vigilanza dei gruppi» nel paese d'origine. La vigilanza di gruppo garantirà che non si trascurino i rischi esistenti al livello di gruppo e consentirà ai gruppi di operare più efficacemente, offrendo nel contempo un livello di protezione più elevato a tutti i contraenti. L'autorità di vigilanza del gruppo avrà competenze specifiche da esercitare in stretta cooperazione con le pertinenti autorità di vigilanza nazionali, e dovrà inoltre pronunciarsi su un numero limitato di questioni. Le autorità di vigilanza locali sono incoraggiate a svolgere un ruolo attivo nel collegio delle autorità di vigilanza: esse infatti detengono un diritto di codecisione fintanto che non si riesce a trovare un accordo. Ciò implica la necessità di un approccio diverso che consenta di tenere conto delle realtà economiche e del potenziale di diversificazione del rischio dei vari gruppi.

5.9

In quarto luogo, la direttiva Solvibilità II introduce maggiore trasparenza e obiettività sia per quanto riguarda le informazioni fornite dalle imprese riguardo alla loro condizione finanziaria e ai rischi connessi, sia sul piano delle procedure di valutazione della vigilanza. Attualmente le pratiche di vigilanza tendono ancora a variare da uno Stato membro all'altro, e lasciano così campo libero all'arbitraggio regolamentare. Appare quindi importante, tanto per le politiche europee in tali ambiti quanto per gli assicuratori che desiderino accedere a nuovi mercati nazionali, che le pratiche di vigilanza siano non solo oggettive e trasparenti, ma anche prevedibili e adeguatamente documentate.

6.   Analisi approfondita

6.1   Requisiti patrimoniali (pilastro I)

(Articoli 74-142)

6.1.1

Per definire i requisiti quantitativi applicabili alle imprese di assicurazione, il nuovo regime adotta un approccio olistico detto del «totale del bilancio», entro il quale tutte le attività (12) e le passività vengono misurate in linea con l'evoluzione del mercato e tutti i rischi quantificabili a esse legati vengono presi in considerazione in termini di requisiti patrimoniali. Misurare le attività e le passività conformemente alle rispettive condizioni commerciali significa anzitutto garantire una valutazione oggettiva e coerente, ma anche attribuire il giusto valore a ognuna delle opzionalità insite in esse. Una valutazione realistica e lungimirante è la migliore forma di protezione contro eventuali distorsioni in grado di ledere i diritti di tutti gli interessati.

6.1.2

In questo contesto di valutazione, particolare importanza è attribuita al calcolo delle riserve tecniche, cioè le passività legate agli impegni nei confronti dei contraenti e di altri beneficiari. Per ottenere una valutazione delle riserve tecniche in linea con l'evoluzione del mercato si calcola la «migliore stima» — ovvero la media dei flussi di cassa futuri ponderata per la probabilità, tenendo conto del valore temporale del denaro — e la si somma a un margine di rischio. Questo approccio dovrebbe essere tale da garantire che il valore complessivo delle riserve tecniche sia equivalente all'importo di cui avrebbe bisogno un terzo per assumersi e onorare le obbligazioni di assicurazione e di riassicurazione. Per il calcolo delle riserve tecniche bisogna avvalersi in modo coerente delle informazioni fornite dai mercati finanziari e dei dati disponibili al pubblico sui rischi assicurativi.

6.1.3

Quanto ai requisiti patrimoniali, il nuovo regime in materia di solvibilità ne prevede due: il requisito patrimoniale di solvibilità e il requisito patrimoniale minimo, ognuno dei quali ha una sua funzione e viene calcolato in modo diverso.

6.1.4

Il requisito patrimoniale di solvibilità indica il livello patrimoniale a cui un'impresa dovrebbe tendere in condizioni di esercizio normali, e al di sotto del quale dovrebbero intensificarsi gli interventi di vigilanza. Esso prevede interventi di vigilanza graduali prima che si raggiunga il requisito patrimoniale minimo, e quindi fornisce a contraenti e beneficiari una ragionevole garanzia quanto al fatto che l'assicuratore onorerà gli impegni in scadenza. Sul piano tecnico, il requisito patrimoniale di solvibilità deve essere concepito e calibrato in modo da definire un livello patrimoniale che consenta a un'impresa di assorbire perdite significative impreviste, in base a una certa probabilità di inadempimento su un certo arco di tempo (0,5 % nell'arco di un anno).

6.1.5

Il requisito patrimoniale minimo rappresenta in effetti il livello patrimoniale al di sotto del quale scattano, se necessario, gli interventi prudenziali estremi. Rispetto al requisito patrimoniale di solvibilità, esso dovrebbe essere calcolato in modo da garantire un margine sufficiente per l'applicazione di una scala ragionevole di interventi da parte delle autorità di vigilanza.

6.1.6

In pratica, un assicuratore può calcolare il requisito patrimoniale di solvibilità valendosi di una formula standard o sulla base di un modello interno approvato dalle autorità di vigilanza. La formula standard deve rispecchiare in modo adeguato le tecniche di attenuazione del rischio e gli effetti di diversificazione, come pure qualsiasi forma di capacità di assorbimento delle perdite di elementi del bilancio che non siano inclusi nel patrimonio disponibile. Il fatto che la direttiva proposta segua un approccio orientato al rischio implica che, previo accordo delle autorità di vigilanza, un modello interno (parziale o completo) può sostituire il calcolo standard, sempre che tale modello rifletta meglio il profilo di rischio dell'impresa. Si tratta di un incentivo importante all'adozione di pratiche interne virtuose in materia di riconoscimento e di gestione del rischio, come pure in relazione alla formazione e all'assunzione di personale altamente qualificato.

6.1.7

Un altro elemento in linea con l'obiettivo di incoraggiare una buona gestione interna è l'applicazione del «principio della persona prudente» alla politica in materia di investimenti: tale principio permette di non fissare limiti artificiali agli investimenti, ma al tempo stesso impone il rispetto di standard qualitativi elevati e l'adeguata considerazione di ogni rischio materiale nel calcolo del requisito patrimoniale.

6.1.8

Data la complessità dei requisiti, è importante osservare che la proposta comprende disposizioni tali da consentire un'attuazione proporzionata e gestibile dei requisiti del pilastro I. Ciò sembrerebbe particolarmente importante per le imprese di assicurazione piccole e medie, sennonché il principio di proporzionalità si riferisce non già alle dimensioni di un'impresa, bensì alla natura e alla complessità dei rischi insiti nella sua attività. Le PMI sono soggette a principi prudenziali generali analoghi a quelli applicabili ad altre imprese, nella misura in cui presentano uno stesso profilo di rischio: in tal caso, anche ai loro clienti e beneficiari si applica lo stesso livello di protezione.

6.2   Procedura di valutazione della vigilanza e requisiti qualitativi (pilastro II)

(Articoli 27-34, 36-38, 40-49, 181-183)

6.2.1

La proposta della Commissione relativa al regime Solvibilità II definisce una serie di procedure e di strumenti relativi alle attività di vigilanza e di valutazione, tra cui le competenze delle autorità di vigilanza e le disposizioni in materia di cooperazione tra le autorità di vigilanza nazionali, come pure quelle relative alla convergenza della vigilanza. Le disposizioni del pilastro II riguardano anche una serie di requisiti qualitativi per le imprese, cioè relativi al loro sistema di governance, in cui rientrano tra l'altro un sistema efficace di controllo interno, un sistema di gestione del rischio, la funzione attuariale, l'audit interno, la funzione di verifica e norme sull'esternalizzazione.

6.2.2

Gli strumenti di vigilanza mirano pertanto a individuare le imprese che, in ragione delle loro caratteristiche finanziarie, organizzative o di altra natura, presentano un profilo di rischio più elevato, e a cui, in circostanze eccezionali, si potrebbe chiedere di detenere fondi propri superiori al requisito patrimoniale di solvibilità e/o di adottare misure per ridurre i rischi sostenuti.

6.2.3

Il già citato principio di proporzionalità si applica anche alla procedura di valutazione della vigilanza. Le autorità di vigilanza devono esercitare le proprie competenze tenendo conto della portata, della natura e della complessità dei rischi insiti nelle attività delle singole imprese per evitare un eccesso di vigilanza in particolare nei confronti delle piccole e medie imprese di assicurazione, le quali sono esposte a un basso livello di rischio.

6.2.4

Il regime Solvibilità II è inteso a rafforzare la valutazione qualitativa effettuata dalle autorità di vigilanza riguardo al profilo di rischio dell'impresa, ed è quindi importante che le loro misure e le loro decisioni siano coerenti nei vari paesi, nelle varie imprese e nel tempo. È il caso di insistere sull'importanza che rivestono la trasparenza, l'obiettività e la prevedibilità delle misure di vigilanza, in particolare quando si tratta dell'approvazione dei modelli interni.

6.3   Relazioni periodiche alle autorità di vigilanza e informativa al pubblico (pilastro III)

(Articoli 35, 50-55)

6.3.1

La trasparenza e la diffusione di informazioni al pubblico, da parte delle imprese, riguardo alle loro condizioni finanziarie e al loro profilo di rischio (informativa al pubblico) sono intese a rafforzare la disciplina di mercato. Inoltre, le imprese di assicurazione dovrebbero fornire alle autorità di vigilanza le informazioni qualitative e quantitative di cui necessitano per realizzare controlli e fornire orientamenti efficaci (relazioni periodiche alle autorità di vigilanza).

6.3.2

L'armonizzazione delle disposizioni in materia di informativa al pubblico e di relazioni periodiche alle autorità di vigilanza è una componente importante del nuovo regime, dato che la convergenza è palesemente necessaria a far sì che le informazioni vengano fornite in modo comparabile per forma e contenuto in tutta Europa. Questo aspetto riveste particolare importanza per i gruppi multinazionali.

6.4   Vigilanza di gruppo

(Articoli 210-268)

6.4.1

L'attuale legislazione comunitaria considera la vigilanza di gruppo solo come una modalità supplementare rispetto alla vigilanza individuale, la quale viene esercitata allo stesso modo nei confronti di tutti i soggetti indipendentemente dal fatto che appartengano (ad esempio, un'impresa figlia) o meno a un gruppo. Di conseguenza, la vigilanza di gruppo viene semplicemente a sovrapporsi alla vigilanza individuale, e ha l'unico scopo di valutare l'incidenza delle relazioni di gruppo su una data impresa. Pertanto, l'attuale regime comunitario in materia di solvibilità non tiene conto della realtà economica dei gruppi assicurativi e trascura il fatto che, in molti casi, la gestione del rischio è condotta al livello di gruppo piuttosto che nelle singole imprese. La proposta Solvibilità II mira a definire un metodo più adeguato per la vigilanza di gruppo, modificando a determinate condizioni le modalità di questo tipo di vigilanza e di quella individuale.

6.4.2

Per ciascun gruppo assicurativo verrà nominata un'autorità di vigilanza del gruppo, la quale avrà la responsabilità principale di tutti gli aspetti fondamentali relativi a questo tipo di vigilanza (solvibilità del gruppo, operazioni intragruppo, concentrazione dei rischi, gestione del rischio e controllo interno). Ciò detto, le autorità preposte rispettivamente alla vigilanza di gruppo e alla vigilanza individuale sono tenute a scambiarsi automaticamente le informazioni essenziali e, su richiesta, altre informazioni pertinenti. Inoltre, l'autorità di vigilanza di gruppo è tenuta a consultare le pertinenti autorità di vigilanza individuale prima di prendere qualsiasi decisione importante. Dal canto loro, le autorità di vigilanza interessate devono fare tutto ciò che è in loro potere perché si possa giungere a una decisione congiunta, anche se nei casi di approvazione di un modello interno di gruppo, come in quelli della regolamentazione bancaria, la decisione finale verrà presa dall'autorità di vigilanza del gruppo. Queste disposizioni sono tese a garantire che le autorità di vigilanza di gruppo e di vigilanza individuale giungano a una migliore comprensione del profilo di rischio di un intero gruppo e che, di conseguenza, si possa offrire una maggiore tutela ai clienti di ciascuna impresa del gruppo.

6.4.3

Oltre a migliorare il concetto di vigilanza di gruppo, la proposta introduce un regime innovativo di supporto di gruppo. I gruppi che desiderino facilitare la propria gestione patrimoniale possono presentare una domanda di autorizzazione a essere assoggettati a tale quadro regolamentare. I gruppi che ottengono un'autorizzazione in tal senso potranno, a una serie di condizioni ben precise, coprire parte del requisito patrimoniale di solvibilità (ma non del requisito minimo di solvibilità) delle imprese figlie valendosi di una dichiarazione sul supporto di gruppo, cioè un impegno finanziario giuridicamente vincolante da parte di un'impresa madre a fornire capitali, in caso di necessità, a un'impresa figlia. Per consentire il funzionamento efficace del regime di supporto di gruppo, sono state introdotte alcune ulteriori deroghe alla vigilanza individuale. Nell'ambito del regime di supporto di gruppo, in caso di condizioni limite (mancato rispetto del requisito patrimoniale di solvibilità da parte di una singola impresa) è prevista una procedura specifica che fa scattare una serie di azioni coordinate delle autorità di vigilanza individuale e di gruppo. Tale regime andrebbe applicato in maniera uniforme nell'intera Unione.

6.4.4

Il sistema di supporto di gruppo prevede che i fondi propri corrispondenti al requisito patrimoniale di solvibilità per le imprese figlie possano essere detenuti da un'altra impresa del gruppo: in questo modo si offre ai gruppi assicurativi un sistema pratico e trasparente che permette loro di beneficiare del riconoscimento degli effetti di diversificazione al livello di gruppo e, allo stesso tempo, si consente alle singole imprese figlie di soddisfare i requisiti patrimoniali a un livello pari a quello cui dovrebbero tendere se non facessero parte di un gruppo. Per questi motivi si rende opportuna un'adeguata attività di vigilanza che garantisca la sollecita trasferibilità del capitale al momento del bisogno. L'esistenza di dichiarazioni in merito al supporto di gruppo e il loro uso sono resi pubblici sia dall'impresa madre sia dall'impresa figlia interessata.

Bruxelles, 29 maggio 2008

Il Presidente del

Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  La proposta è stata successivamente rimaneggiata e figura ora nel documento COM(2008) 119 def. Nel contesto del presente parere, la numerazione degli articoli si riferisce a quest'ultima versione della proposta di direttiva.

(2)  Enti pensionistici aziendali o professionali.

(3)  Fonte: Comitato europeo delle assicurazioni, European Insurance in Figures (Le assicurazioni europee in cifre), 2007. Le cifre si riferiscono ai dati disponibili a fine 2006.

(4)  Id.

(5)  Id.

(6)  Id.

(7)  Id.

(8)  Id.

(9)  Id.

(10)  Id.

(11)  Fonte: AISAM.

(12)  Le attività detenute dalle società di assicurazione UE sono per lo più obbligazioni (37 %), azioni (31 %) e prestiti (15 %). Fonte: Comitato europeo delle assicurazioni, European Insurance in Figures (Le assicurazioni europee in cifre), 2007.


30.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 224/18


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla partecipazione della Comunità a un programma di ricerca e di sviluppo avviato da vari Stati membri a sostegno di PMI che effettuano attività di ricerca e sviluppo

COM(2007) 514 def. — 2007/0188 (COD)

(2008/C 224/04)

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 11 ottobre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 172 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla partecipazione della Comunità a un programma di ricerca e di sviluppo avviato da vari Stati membri a sostegno di PMI che effettuano attività di ricerca e sviluppo.

L'Ufficio di presidenza del Comitato, in data 25 settembre 2007, ha incaricato la sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo di preparare i lavori in materia.

Considerata l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 maggio 2008, nel corso della 445a sessione plenaria, ha designato CAPPELLINI come relatore generale e ha adottato all'unanimità il seguente parere.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) sostiene gli obiettivi del programma comune Eurostars e sottolinea che, nell'adozione di nuove politiche e programmi comunitari in materia di ricerca e sviluppo e di innovazione finalizzati e orientati alle reali esigenze delle PMI, occorre tenere conto delle diverse categorie, dimensioni e settori di attività delle PMI stesse.

1.2

Il CESE accoglie con favore la proposta degli Stati membri di adottare il programma comune Eurostars per sostenere le cosiddette «PMI che effettuano attività di R&S» e osserva che tale programma dovrebbe essere aperto a tutte le PMI degli Stati aderenti al programma interessate a partecipare ai processi di innovazione.

1.3

Il CESE sottolinea la necessità di individuare strumenti atti a coinvolgere nel programma tutti gli Stati membri della rete Eureka che non fanno parte del programma in esame.

1.4

Esprime preoccupazione per il criterio di ammissibilità (1) al programma in esame in quanto questo limita la partecipazione alle PMI che effettuano attività di R&S e che investono in tali attività almeno il 10 % del loro fatturato annuo o equivalente a tempo pieno (ETP). Anche se questa limitazione viene applicata unicamente alla PMI che propone il progetto (capo progetto), una tale definizione delle PMI che effettuano attività di R&S, basata su indicatori codificati, ignora i diversi tipi di «conoscenze non codificate» (2), mentre in realtà i processi altamente innovativi sono spesso fortemente caratterizzati dalla presenza di «conoscenze tacite» (3).

1.5

Il CESE ribadisce pertanto il principio secondo cui, affinché vi sia un'equa concorrenza fra i progetti proposti, la selezione dovrebbe basarsi sull'eccellenza dei contenuti, l'esperienza nella gestione di attività di R&S e la conformità agli obiettivi del programma, senza quindi escludere una larga fetta di PMI innovative interessate a candidarsi alle iniziative del programma. Inoltre, dovrebbero essere previsti finanziamenti per programmi di formazione rivolti alla preparazione di manager esperti, in grado di gestire efficacemente il trasferimento delle tecnologie dalla ricerca al prodotto commercializzabile.

1.6

A questo proposito, il CESE chiede che venga creata, conformemente alle procedure del programma comune Eurostars in materia, una linea di bilancio specificamente riservata alle iniziative transnazionali condotte dagli Stati membri in collaborazione con le associazioni delle PMI interessate a sostenere la diffusione, presso un più vasto numero di PMI, di informazioni facilmente fruibili sui risultati dei progetti Eurostars. Un altro modo per favorire il coinvolgimento attivo delle PMI interessate alla riuscita del programma sarebbe la creazione di una banca dati comune e di piattaforme web settoriali multilingui e la promozione di tali strumenti da parte delle associazioni delle PMI e delle parti sociali.

1.7

Il CESE sottolinea la sua preoccupazione circa i criteri utilizzati per stabilire il contributo delle PMI ai costi complessivi dei progetti legati alle attività di R&S. È importante ricordare che allo stato attuale il programma prevede che, collettivamente, le PMI dovrebbero farsi carico di almeno il 50 % dei costi dei progetti collegati alla R&S. Poiché tale criterio esclude molte PMI orientate al mercato, in sede di valutazione intermedia del programma sarebbe opportuno considerare la possibilità di portare questa soglia al 25 % (4).

1.8

Successivamente, durante le fasi di monitoraggio dell'impatto e di diffusione dei risultati, gli Stati membri e le autorità nazionali interessate dovranno tenere conto delle preoccupazioni espresse dalle associazioni europee e nazionali delle PMI e da altri soggetti interessati del settore della ricerca. Il controllo regolare da parte del gruppo consultivo dell'UE sulle PMI e la R&S potrebbe diventare uno strumento permanente di consultazione tecnica per gli Stati membri e altre autorità a livello comunitario/nazionale: di tale gruppo potrebbe altresì fare parte, durante le fasi di attuazione, monitoraggio e diffusione dei risultati, anche l'Osservatorio del mercato interno del CESE in collaborazione con la categoria PMI, artigianato e professioni liberali.

1.9

Il CESE sottolinea che il programma comune Eurostars andrebbe attuato in modo trasparente e non burocratico, in modo da far sì che le PMI possano più facilmente acquisire informazioni, partecipare e, soprattutto, essere coinvolte nelle attività di follow-up con le istituzioni interessate del settore della R&S. I finanziamenti ai progetti dovrebbero quindi consistere in un pagamento forfettario e, quando questo non sia compatibile con i programmi nazionali, in un pagamento a tasso forfettario.

1.10

Ai fini di un'attuazione efficace del programma Eurostars occorre rafforzare le reti regionali a favore dell'innovazione affinché possano fornire un servizio completo a sostegno delle PMI innovative, dando loro effettivo accesso ai finanziamenti europei a favore della R&S. Ad esempio, per far conoscere meglio gli specifici programmi di finanziamento a disposizione delle PMI che effettuano attività di R&S, andrebbero rafforzati e coordinati meglio i collegamenti tra le reti Eureka, altri organismi pubblico/privati esistenti e le associazioni delle PMI a livello europeo/nazionale e regionale. Andrebbe inoltre finanziata tramite le organizzazioni di rappresentanza delle PMI una serie di iniziative per sensibilizzare le PMI e le associazioni interessate al significato e all'importanza dell'innovazione e al ruolo che essa svolgerà nel futuro dell'UE.

1.11

I risultati della selezione dei progetti presentati dalle PMI nel quadro del programma Eurostars (5) dovrebbero essere pubblicati su Internet dalla rete Eureka. Inoltre, andrebbe stilato un elenco dei progetti ammissibili che pur presentando contenuti molto innovativi non hanno ottenuto finanziamenti: in tale modo si segnalerebbe agli investitori nazionali pubblici e privati la necessità di dotare il programma di ulteriori fondi.

1.12

Occorre stabilire tra le autorità nazionali responsabili delle politiche in materia di PMI e R&S e la rete Eureka un coordinamento efficace, che sia coerente con le esigenze espresse dalle associazioni delle PMI e dagli altri soggetti interessati (compresi, tra gli altri, gli organismi di ricerca pubblici e privati) e le soddisfi. Il CESE chiede alle istituzioni europee interessate, agli Stati membri e alla presidenza slovena e francese dell'UE di garantire un coordinamento in linea con le aspettative delle PMI e gli obiettivi del programma.

1.13

In relazione alla partecipazione delle PMI ai programmi di finanziamento della R&S e al programma comune Eurostars, il CESE esorta ad accorciare il periodo, attualmente molto lungo, che intercorre dalla presentazione di una proposta alla sua approvazione da parte dell'UE, in modo da incoraggiare le PMI a presentare progetti.

1.14

Il CESE sottolinea che, per migliorare e aumentare l'utilizzo da parte delle PMI dei finanziamenti per la R&S, la Commissione deve esplorare la possibilità di trasferire le risorse inutilizzate a disposizione delle PMI a titolo del capitolo «Cooperazione» del Settimo programma quadro (7PQ) (corrispondenti al 15 % dello stanziamento riservato alle priorità tematiche del 6PQ) al programma «Capacità» (CRAFT, ecc.), più specificatamente mirato alle PMI.

1.15

Il CESE chiede che si presti maggiore attenzione all'eccessivo onere normativo che grava sulle PMI, che può essere fino a dieci volte superiore a quello a carico delle grandi imprese (6). È inoltre auspicabile ridurre i costi di gestione e semplificare le procedure di presentazione delle proposte per le PMI che si lanciano in programmi di R&S insieme ad altri partner europei e internazionali. Il CESE si augura inoltre che venga risolta la questione dei diritti di proprietà intellettuale (DPI) e dei brevetti europei (7), in quanto la situazione attuale in questi settori ostacola la competitività e l'innovazione in Europa. Inoltre, brevetti e DPI (8) accessibili possono essere considerati degli atout non monetari ai fini del consolidamento dei partenariati tra le imprese che partecipano ai progetti internazionali.

2.   Il contesto

2.1

Nella Carta europea per le piccole imprese, adottata dai leader europei nel 2000, si è riconosciuto che le piccole imprese vanno considerate il principale motore dell'innovazione, dell'occupazione e dell'integrazione sociale e locale in Europa (9). Nell'ottobre 2007 la Commissione ha poi annunciato la preparazione di una «Small business act» (legge sulle piccole imprese) (10) che definirà una serie di misure intese a promuovere l'imprenditorialità, la cultura d'impresa e l'accesso alle competenze (11). Inoltre, nel corso del 2008, la Commissione esaminerà una serie di iniziative riguardanti le PMI (12) al fine di aumentarne la partecipazione ai programmi UE.

2.2

La proposta di creare il programma comune Eurostars è nata da queste premesse. Questo programma, che si basa sull'articolo 169 del Trattato CE ed è concepito come un completamento e uno stimolo mirato dell'attività «ricerca a vantaggio delle piccole e medie imprese» del 7PQ, è gestito dalla rete Eureka ed è stato avviato congiuntamente da 22 Stati membri dell'UE e da altri 5 paesi facenti parte della rete Eureka (Islanda, Israele, Norvegia, Svizzera e Turchia). Attualmente gli Stati partecipanti al programma sono 30: Austria, Belgio, Cipro, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Grecia, Irlanda, Islanda, Israele, Italia, Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Norvegia, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica ceca, Romania, Slovacchia, Slovenia, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia e Ungheria.

2.3

Il 7PQ ha fatte sue molte delle misure proposte durante il riesame del 6PQ (13) al fine di colmare le lacune nelle politiche a favore delle PMI. Esso prevede una strategia rivolta alle PMI comprendente misure sia qualitative che quantitative per stimolare l'adozione di iniziative a livello tanto nazionale quanto regionale. Esso si prefigge la creazione di raggruppamenti e reti di imprese per migliorare la cooperazione paneuropea tra le piccole imprese, utilizzando le tecnologie informatiche per diffondere le migliori pratiche in merito agli accordi di cooperazione e sostenere la cooperazione tra le piccole imprese (14).

2.4

I 23 milioni di PMI registrate nell'UE rappresentano il 99 % del totale delle imprese, producono due terzi del fatturato europeo e sono inoltre le principali protagoniste dello sviluppo sostenibile (15). Tuttavia, per essere più competitive, queste imprese vanno razionalizzate e raggruppate in modo da formare un insieme coeso dotato della massa critica necessaria, in grado di beneficiare della creazione di specifici fondi di capitali di rischio, parchi scientifici, incubatori di imprese e politiche regionali a favore dell'innovazione (16).

2.5

Inoltre, secondo la relazione analitica di Eurobarometro Observatory of European SMEs, la crescita delle PMI potrebbe essere ostacolata dall'avversione degli europei al rischio e dalla loro mancanza di spirito imprenditoriale (17). È quindi particolarmente importante intervenire per migliorare l'immagine della professione di imprenditore e sensibilizzare i cittadini al ruolo fondamentale che gli imprenditori svolgono nel promuovere l'innovazione, il progresso economico e il benessere generale. Solo se ci sarà una classe imprenditoriale responsabile, dinamica, ricca di idee e in grado di realizzarsi nel migliore dei modi, si riusciranno a raggiungere gli obiettivi di Lisbona (18).

2.6

Tuttavia, non sempre le misure specificamente adottate dagli Stati membri a sostegno delle PMI incoraggiano e favoriscono la cooperazione transnazionale in materia di ricerca e il trasferimento di tecnologia. Le trasformazioni in atto sui mercati e l'internazionalizzazione delle catene del valore impongono alle PMI europee di adeguarsi alla forte concorrenza mondiale, impegnandosi in processi di innovazione permanente in un contesto internazionale sempre più vasto. Il programma comune Eurostars dovrebbe premiare le PMI e gli istituti di ricerca pubblici e/o privati che compiono specifici sforzi a sostegno dei progetti di R&S, diffondendo i loro risultati e contribuendo a dare accesso alla conoscenza. In particolare, dovrebbe premiare i progetti che coinvolgono istituti, gruppi di PMI e/o singole PMI che solitamente partecipano meno o hanno difficoltà ad accedere a tali programmi. In questo contesto, il CESE sottolinea l'importanza di ampliare la partecipazione al programma comune Eurostars a tutti gli Stati membri della rete Eureka, in particolare a quelli che hanno aderito recentemente all'UE e che possono trarre beneficio dall'approccio transnazionale.

2.7

Il programma comune Eurostars è mirato alle PMI che effettuano attività di R&S, con particolare riguardo ai progetti di R&S orientati al mercato e ai progetti transnazionali che coinvolgono più partner (almeno due soggetti distinti provenienti da paesi diversi). Un importante aspetto del programma è la sua impostazione «dal basso», che consente alle PMI impegnate in attività di R&S di nutrire un senso di appropriazione e di realizzare innovazioni strategiche per l'attività imprenditoriale. In questo modo, le PMI controllano la situazione e sono in grado di influenzare l'esito della ricerca in corso in base alle opportunità commerciali.

3.   Obiettivi del programma comune Eurostars

3.1

La partecipazione a programmi di ricerca e sviluppo a norma dell'articolo 169 del Trattato CE prevede che gli Stati membri partecipanti integrino i loro programmi nazionali di ricerca impegnandosi a contribuire ad un programma di ricerca comune. Utilizzando come base giuridica l'articolo 169, la Commissione ha individuato quattro iniziative potenziali, tra cui Eurostars, programma comune di ricerca destinato alle PMI e ai loro partner.

3.2

Il programma Eurostars sostiene progetti attinenti a qualsiasi settore scientifico e tecnologico (purché abbiano finalità civili) proposti da una o più PMI con sede negli Stati partecipanti e attivamente coinvolte nella R&S. I progetti devono essere attuati in collaborazione e coinvolgere almeno due soggetti provenienti da due diversi paesi partecipanti, i quali devono essere associati a varie attività di ricerca, sviluppo tecnologico, dimostrazione, formazione e diffusione delle relative informazioni. Conformemente alla natura delle PMI, i progetti hanno un ciclo di vita breve: la loro durata massima non può superare i tre anni e il prodotto della ricerca deve essere pronto per la commercializzazione entro due anni dal completamento del progetto.

3.3

Il programma comune Eurostars può esercitare sul finanziamento comunitario un notevole effetto leva: è previsto infatti un contributo di 300 milioni di euro da parte degli Stati membri e di cinque altri paesi della rete Eureka (Islanda, Israele, Norvegia, Svizzera e Turchia), che la Comunità integrerà con un ulteriore contributo pari a un terzo di quello fornito dagli Stati membri. Il finanziamento pubblico fornirà quindi al bilancio del programma un importo di 400 milioni di euro. Supponendo dei tassi di finanziamento dei progetti compresi fra il 50 % e il 75 %, Eurostars potrebbe mobilitare, per la durata del programma, fra i 133 e i 400 milioni di euro di finanziamenti privati aggiuntivi. La partecipazione viene calcolata ipotizzando un costo medio di 1,4 milioni di euro per ciascun progetto Eurostars. Con un tasso di finanziamento medio del 50 %, un tasso di finanziamento pubblico di 0,7 milioni di euro per progetto e un bilancio globale di circa 400 milioni di euro, possono essere finanziati 565 progetti.

3.4

Il contributo comunitario colma perciò le lacune nel finanziamento della prima fase della R&S, in cui il rischio relativamente elevato associato alle attività innovative può limitare l'afflusso degli investimenti privati (19). L'intervento comunitario e gli investimenti pubblici a favore del programma Eurostars spingeranno un maggior numero di PMI che effettuano attività di R&S a ricercare investimenti privati per sviluppare prodotti o servizi innovativi.

3.5

In materia di finanziamenti, andrebbe altresì considerata l'opportunità di introdurre incentivi fiscali agli investimenti nella R&S negli Stati membri per attirare gli investitori: in questo modo, infatti, questi ultimi beneficerebbero, nella peggiore delle ipotesi, perlomeno degli sgravi, mentre le PMI godrebbero di una forma alternativa di finanziamento.

3.6

Si teme tuttavia che una percentuale notevole di PMI possa essere impossibilitata a partecipare a questa iniziativa europea a favore della competitività e dell'innovazione. Secondo infatti il criterio di ammissibilità del programma, una PMI può proporre un progetto solo se destina alle attività di ricerca almeno il 10 % del suo fatturato o equivalente a tempo pieno. Anche se questa limitazione viene applicata soltanto al capo progetto, tale requisito può comunque impedire a molte piccole imprese la possibilità di presentare progetti innovativi. Come risultato, il programma potrebbe limitarsi ad attirare soltanto imprese ad alta tecnologia già consolidate, che hanno comunque accesso ad altre, più adeguate forme di finanziamento.

3.7

Inoltre, in alcuni Stati membri dell'UE, i costi della R&S sono molto spesso inglobati in altri costi operativi e non possono quindi essere individuati separatamente (20). Pertanto, gli indicatori di R&S utilizzati dall'OCSE non sono del tutto adeguati alle piccole imprese innovative, in quanto non tengono conto della parte di attività caratterizzata da conoscenze non codificate, difficilmente quantificabile (21).

3.8

Sempre secondo l'OCSE, fanno parte del «settore ad alta tecnologia» le industrie in cui le attività di R&S rappresentano oltre il 4 % del fatturato. Anche nelle economie più sviluppate, questo settore rappresenta all'incirca il 3 % del PIL: ciò significa che il 97 % di tutte le attività economiche e la maggior parte dei processi innovativi rientrano nei settori definiti dall'OCSE come mediamente o scarsamente tecnologici (22). Le cifre indicano che se l'accesso fosse limitato alle imprese che dedicano alla R&S almeno il 10 % del loro fatturato, un'ampia quota delle imprese innovative sarebbe esclusa dai finanziamenti del programma. In questo modo quest'ultimo fallirebbe nel suo intento fondamentale, e cioè quello di favorire un atteggiamento positivo nei confronti dell'innovazione.

3.9

Il CESE è pertanto del parere che la selezione dei progetti debba essere basata su criteri di eccellenza e di conformità agli obiettivi del programma e che la soglia del 10 % vada soppressa.

3.10

Un altro requisito del programma Eurostars è che le PMI partecipanti siano in grado di svolgere direttamente la maggior parte del lavoro di R&S: di fatto, invece, non dovrebbe essere esclusa la possibilità di collaborare con altri partner — che possono essere altre PMI, cluster locali, grandi imprese disposte a condividere gli obiettivi del programma, istituti di ricerca o università. Inoltre, il termine «cluster» dovrebbe riferirsi anche alla necessità di collocare le PMI che effettuano R&S in prossimità delle università e degli istituti post universitari per intensificare le interazioni reciproche nell'interesse di entrambi.

3.11

Per quanto riguarda i contributi rispettivi delle PMI che partecipano al programma, è importante ricordare che le PMI che effettuano attività di R&S devono coprire collettivamente almeno il 50 % dei costi di R&S del progetto. Tuttavia, poiché tale criterio potrebbe escludere molte PMI orientate al mercato, in sede di valutazione intermedia del programma (23) andrebbe considerata la possibilità di portare questa soglia al 25 %.

3.12

Va inoltre chiarito ulteriormente il rapporto tra Eurostars e altri strumenti finanziari che rientrano nell'ambito del programma quadro per la competitività e l'innovazione (CIP). Il programma di finanziamento va altresì reso più flessibile e adeguato alle esigenze delle PMI, tenendo al tempo stesso in considerazione le esperienze positive maturate con i fondi di garanzia per la ricerca e lo sviluppo, onde consentire alle imprese di adottare una prospettiva imprenditoriale a più lungo termine.

3.13

L'adozione di un migliore quadro normativo, associata alla consultazione sistematica delle organizzazioni di rappresentanza delle PMI e degli altri soggetti interessati, consentirà di ridurre i costi operativi e i rischi, aumentare i rendimenti, incrementare il flusso del capitale di rischio e migliorare il funzionamento dei mercati dei capitali di rischio. Ciò sarà di particolare giovamento alle PMI innovative. Questi finanziamenti andranno a completare il sostegno pubblico per le primissime fasi (preavviamento) della trasformazione dei risultati della ricerca in iniziative commerciali.

3.14

La Commissione si è impegnata a promuovere misure per aumentare gli investimenti transfrontalieri dei fondi di capitali di rischio (24). In Europa, tale mercato è attualmente suddiviso in 27 ambienti operativi diversi e tale frammentazione incide negativamente sia sulla raccolta di fondi che sugli investimenti.

3.15

Occorre quindi creare un ambiente più favorevole agli investimenti in capitale di rischio. Gli Stati membri devono inoltre incentivare gli investitori privati a impegnarsi in attività di ricerca collaborative a livello internazionale (25) e promuovere il coinvolgimento dei servizi di sostegno alle PMI, al fine di sostenere le imprese che superano con successo la fase di avvio.

4.   Migliorare il coordinamento del programma comune Eurostars

4.1

Il programma Eurostars mira a sostenere le PMI mettendo a disposizione, in qualsiasi campo tecnologico o industriale, il quadro giuridico e organizzativo necessario per una cooperazione europea su larga scala fra gli Stati membri in materia di ricerca applicata e innovazione. Esso è quindi destinato ad aumentare la capacità delle PMI che effettuano attività di R&S di portare sul mercato prodotti, processi e servizi nuovi e innovativi.

4.2

L'internazionalizzazione del progetto può evitare la sovrapposizione degli sforzi in materia di innovazione e dovrebbe fornire l'opportunità di adottare politiche comuni e di intervenire rapidamente per ridurre l'onere amministrativo (26). Con l'aiuto del programma Eurostars, molte PMI potrebbero essere incoraggiate ad avvalersi della collaborazione internazionale, purché siano in grado di proporre e gestire direttamente un progetto. Il coinvolgimento in progetti integrati e nella rete di eccellenza va tuttavia pianificato accuratamente, per evitare squilibri nella partecipazione.

4.3

Oltre a sostenere le attività di R&S, l'UE deve studiare in quale modo i governi possano sostenere l'innovazione più direttamente fornendole infrastrutture adeguate. Esiste una vastissima comunità di «istituzioni» di ricerca, alcune delle quali possono essere associazioni o enti di ricerca, che hanno il compito di sostenere l'innovazione, soprattutto nelle PMI. Vi sono inoltre parchi scientifici, science shop, incubatori di imprese, organismi pubblici locali e regionali e organizzazioni impregnate nel trasferimento di conoscenze. Essi forniscono un importante sostegno alle giovani PMI ad alta tecnologia e anche per quelle più tradizionali che considerano il passaggio a strategie basate sull'innovazione. La presidenza slovena dell'UE e la successiva presidenza francese dovrebbero esaminare in quale modo si possa organizzare il coordinamento del programma Eurostars a livello europeo e nazionale, portandolo a livelli ottimali ed evitando la duplicazione delle cariche e il rischio di confusione tra le agenzie già operanti nel settore delle PMI.

4.4

Il Comitato ha anche raccomandato più volte che una parte decisamente più cospicua degli stanziamenti erogati a titolo dei fondi strutturali comunitari sia utilizzata per potenziare l'infrastruttura di ricerca comune e opportunamente sfruttata per rispondere alle specifiche esigenze delle PMI. I fondi della Banca europea per gli investimenti potrebbero risultare molto utili anche a questo scopo (27).

Bruxelles, 29 maggio 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  http://www.eurostars-eureka.eu/

(2)  Hartmut Hirsch-Kreinsen, «Low-Tech» Innovations Industry and Innovation (Innovazioni «a bassa tecnologia» nella rivista Industria e innovazione) febbraio 2008.

(3)  Progetto pilota http://www.pilot-project.org.

(4)  A6-0064/2008 (emendamenti alla proposta di decisione), Parlamento europeo, commissione per l'industria, la ricerca e l'energia, 2008.

(5)  http://ec.europa.eu/research/sme-techweb/index_en.cfm?pg=results

(6)  Models to Reduce the Disproportionate Regulatory Burden on SMEs, Commissione, maggio 2007, DG Imprese e industria.

(7)  The Cost Factor in Patent Systems (Il fattore costo nei sistemi di brevetti), documento di lavoro dell'Università libera di Bruxelles, WP-CEB 06-002, Bruxelles 2006, pagg. 17 e segg.

(8)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio — Migliorare il sistema dei brevetti in Europa (COM(2007) 165 def.).

(9)  Carta europea per le piccole imprese, Consiglio europeo di Feira, 19-20 giugno 2000.

(10)  Piccole e medie imprese, essenziali per conseguire una maggiore crescita e rafforzare l'occupazione -Valutazione intermedia della politica moderna a favore delle PMI (COM(2007) 592 def.).

(11)  Luc Hendrickx, UEAPME Expectations on the Proposal for a European Small Business Act (Le aspettative dell'Unione europea dell'artigianato e delle piccole e medie imprese in merito alla proposta di adozione di una legge europea sulle piccole imprese), 14 dicembre 2007.

(12)  http://ec.europa.eu/enterprise/chemicals/studies_en.htm

(13)  GU C 234 del 22.9.2005, pag. 14; UEAPME Position Paper on a Successor to the 6th Framework Programme for R&D (Documento di posizione dell'Unione europea dell'artigianato e delle piccole e medie imprese sul programma che subentrerà al Sesto programma quadro) gennaio 2005.

(14)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniPiccole e medie imprese, essenziali per conseguire una maggiore crescita e rafforzare l'occupazioneValutazione intermedia della politica moderna a favore delle PMI (COM(2007) 592 def.).

(15)  Attuare il programma comunitario di LisbonaFinanziare la crescita delle PMIPromuovere il valore aggiunto europeo (COM(2006) 349 def.).

(16)  Comunicazione della CommissioneLa scienza e la tecnologia, chiavi del futuro dell'EuropaOrientamenti per la politica di sostegno alla ricerca dell'Unione (COM(2004) 353 def.).

(17)  Commissione europea, Observatory of European SMEs (Osservatorio delle PMI europee), serie Flash Eurobarometer, n. 196, maggio 2007.

(18)  GU C 256 del 27.10.2007, pag. 8, sul tema Investire nella conoscenza e nell'innovazione (INT/325).

(19)  Annual Survey of Pan-European Private Equity & Venture Capital Activity (Indagine annuale sulle attività paneuropee nel settore del capitale di rischio), 2004.

(20)  Centro comune di ricerca (CCR) e direzione generale Ricerca (DG RTD), The 2007 EU R&D Investment Scoreboard (Quadro di valutazione degli investimenti europei nella R&S 2007), pag. 20.

(21)  H. Hirsch-Kreinsen, «Low-Technology»: A Forgotten Sector in Innovation Policy («Bassa tecnologia»: un settore dimenticato nella politica dell'innovazione), Facoltà di economia e scienze sociali dell'Università di Dortmund, 15 marzo 2006; Unione europea dell'artigianato e delle piccole e medie imprese (UEAPMI), Towards an Innovation Policy for Crafts, Trades and SMEs (Verso una politica dell'innovazione per l'artigianato, i mestieri e le PMI), 27.10.2004.

(22)  Unione europea dell'artigianato e delle piccole e medie imprese (UEAPMI), Towards an Innovation Policy for Crafts, Trades and SMEs (Verso una politica dell'innovazione per l'artigianato, i mestieri e le PMI), 27.10.2004.

(23)  Parlamento europeo, commissione per l'industria, la ricerca e l'energia, relazione A6-0064/2008.

(24)  Commission Proposes Measures for More Cross-Border Investment by Venture Capital Funds (La Commissione propone misure per aumentare gli investimenti transfrontalieri dei fondi di capitale di rischio), IP/08/15, 7 gennaio 2008.

(25)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniAttuare il programma comunitario di Lisbona: Finanziare la crescita delle PMIPromuovere il valore aggiunto europeo (COM(2006) 349 def.).

(26)  European Commission Proposals for Administrative Burden Reductions in 2008 (Proposte della Commissione europea per ridurre l'onere amministrativo nel 2008), MEMO/8/152 del 10 marzo 2008.

(27)  (GU C 65 del 17.3.2006) eGU C 256 del 27.10.2007, pag. 17.


30.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 224/23


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Superare la stigmatizzazione del fallimento aziendale — Per una politica della seconda possibilità — Attuazione del partenariato di Lisbona per la crescita e l'occupazione

COM(2007) 584 def.

(2008/C 224/05)

La Commissione europea, in data 5 ottobre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Superare la stigmatizzazione del fallimento aziendale — Per una politica della seconda possibilità — Attuazione del partenariato di Lisbona per la crescita e l'occupazione.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 maggio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore MORGAN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 maggio 2008, nel corso della 445a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 70 voti favorevoli e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

È dal 2001 che la Commissione si occupa degli effetti negativi dei fallimenti aziendali, insistendo in particolare sulla necessità di migliorare le procedure fallimentari. Date le sue competenze limitate in questo settore, essa ha incentrato la sua azione sulla raccolta di dati relativi alle conseguenze legali e sociali dei fallimenti aziendali, agevolando così l'identificazione e la diffusione di buone prassi e la messa a punto di strumenti di allarme precoce al fine di ridurre la stigmatizzazione dei fallimenti.

1.2

Il CESE condivide l'enfasi posta dalla Commissione sulla necessità di superare la stigmatizzazione dei fallimenti aziendali. Per sfruttare pienamente il potenziale imprenditoriale esistente nell'UE e creare imprese dinamiche è fondamentale garantire all'imprenditoria opportune condizioni quadro a livello nazionale. L'apprezzamento della società per il successo imprenditoriale, essenziale a tal fine, dovrebbe andare di pari passo con una politica di promozione della seconda possibilità per gli imprenditori che hanno subito un fallimento.

1.3

La Commissione è nel giusto quando afferma che la creazione di un'impresa, il suo successo e il suo fallimento sono tutti aspetti intrinseci dell'economia di mercato. A ragione evidenzia inoltre che, nel quadro della generale mancanza di apprezzamento e di comprensione dell'imprenditorialità da parte della società, il fatto che un'impresa incontri difficoltà o fallisca non viene ancora sufficientemente accettato come il risultato di una normale evoluzione economica, né tanto meno come un'opportunità per creare qualcosa di nuovo. L'UE deve cambiare mentalità: infatti, quanto più si stigmatizza un imprenditore che ha subito un fallimento, tanto maggiore sarà il rischio che anche una sua seconda iniziativa vada incontro al fallimento. Tale rischio investe tutti i soggetti interessati all'interno dell'impresa stessa.

1.4

La legislazione statunitense cerca di stabilire un equilibrio tra interessi dei debitori, interessi dei creditori e interessi della società nel suo complesso. Il CESE ritiene che anche le normative degli Stati membri dell'UE dovrebbero essere formulate in modo tale da realizzare lo stesso equilibrio. L'insolvenza e il mancato pagamento dei debiti possono provocare enormi difficoltà ai creditori e metterli a loro volta in condizioni di insolvenza. Sollevare una società dal debito per riavviarla può essere una soluzione estremamente ingiusta nei confronti dei creditori. La legislazione sull'insolvenza deve invece tendere a un giusto equilibrio.

1.5

Dal punto di vista della società in generale, la soluzione migliore è forse mantenere l'impresa in attività in toto o in parte. Se essa è potenzialmente redditizia, tutte le parti interessate ne trarranno vantaggio. Inoltre, se può essere salvata dai curatori fallimentari, i dipendenti potranno conservare il posto di lavoro. Se un imprenditore si rimette in attività dopo aver subito un fallimento, crea nuovi posti di lavoro. In tutti questi casi, l'occupazione che ne consegue è chiaramente nell'interesse della società nel suo complesso.

1.6

Molte sono le circostanze che possono portare un'impresa al fallimento, anche quando l'imprenditore è animato dalle migliori intenzioni. Nella fase di avvio, ad esempio, non sempre è possibile assicurare la redditività dell'impresa, mentre, superata questa fase, può invece essere l'utilizzo di un modello di gestione errato a comprometterne il futuro. D'altro canto, imprese potenzialmente redditizie possono fallire per errori commessi dagli imprenditori, ma anche per ragioni completamente estranee al loro controllo: queste aziende possono e dovrebbero essere salvate dai curatori, che dovrebbero preservare il maggior numero possibile di posti di lavoro.

1.7

È importante distinguere un'impresa dai suoi dirigenti: è possibile infatti che questi vadano incontro alla rovina finanziaria, mentre l'impresa e i posti di lavoro vengono salvati dai curatori. Quando un'impresa fallisce, gli imprenditori corrono forti rischi di andare incontro alla rovina finanziaria a causa delle garanzie personali fornite alle banche, anche quando personalmente non hanno posto in essere comportamenti fraudolenti. L'iniziativa della Commissione è destinata per l'appunto a questo tipo di imprenditori non fraudolenti che hanno creato un'impresa valida, ma che hanno poi avuto la sventura di fallire per inesperienza o per sfortuna. Questi imprenditori meritano una seconda possibilità e l'economia ha bisogno delle loro capacità. Altri imprenditori, che falliscono per incompetenza o per mancanza di lungimiranza, hanno probabilmente poco da offrire all'economia, anche qualora riescano a trovare un sostegno finanziario. Non tutti gli imprenditori che falliscono meritano una seconda opportunità.

1.8

L'iniziativa della Commissione ha contribuito ad avviare riforme in tutta l'Unione europea: molti Stati membri hanno già tratto ispirazione dalle buone prassi e dalle conclusioni strategiche raccolte a livello europeo, e circa un terzo di loro ha presentato piani di riforma del rispettivo diritto fallimentare. Tuttavia, quasi la metà dei paesi dell'Unione europea deve ancora muovere i primi passi in questa direzione. Sebbene la Commissione disponga di competenze limitate in quest'ambito, il CESE la esorta a fare quanto in suo potere per spingere i ministri delle Finanze degli Stati membri a intervenire. A giudizio del CESE, infatti, i progressi compiuti dagli Stati membri in materia sono complessivamente insoddisfacenti.

1.9

Il CESE appoggia pienamente tutte le raccomandazioni contenute nella comunicazione in merito al diritto fallimentare, con riserva ovviamente del contenuto preciso della legislazione che verrà poi adottata. Tali raccomandazioni prevedono il riconoscimento ufficiale dei fallimenti non fraudolenti, l'aggiustamento rapido dei debiti e la riduzione delle restrizioni, delle decadenze e dei divieti giuridici, con una procedura accelerata. L'obiettivo a medio termine dovrebbe essere di stabilire una procedura di durata complessivamente non superiore a 12 mesi.

1.10

Il CESE ritiene imperativo che tutti gli Stati membri portino a termine quanto prima la revisione del rispettivo diritto fallimentare. Tuttavia, oltre alla modifica delle leggi in materia, è di fondamentale importanza che le procedure fallimentari vengano trattate con celerità dai tribunali. L'intero processo deve essere organizzato in modo efficace. Queste riforme sono al centro del programma per offrire una seconda possibilità agli imprenditori che hanno subito un fallimento.

1.11

Il secondo messaggio contenuto nella comunicazione riguarda il sostegno attivo alle imprese a rischio. Questo aspetto non rientra di per sé nel programma della Commissione relativo a una seconda possibilità, ma fa parte di un programma concepito per evitare i fallimenti e preservare le imprese e i posti di lavoro. Nella sezione 4 del presente parere vengono riportati numerosi esempi di fallimenti aziendali che si sarebbero potuti evitare. A questo proposito, l'obiettivo della comunicazione è scongiurare i fallimenti evitabili attraverso meccanismi di allarme precoce e la fornitura di finanziamenti temporanei e di servizi di consulenza.

1.12

Per la maggior parte delle PMI questo programma non riveste grande interesse pratico, in quanto prevede pochi meccanismi per l'individuazione precoce delle imprese a rischio tra le decine di migliaia di PMI che operano in ciascuno Stato membro. Ciò detto, gli Stati membri sono incoraggiati a sfruttare al massimo le possibilità esistenti, vedi ad esempio l'utilizzo in Francia delle informazioni fornite dalle autorità preposte alla riscossione dell'IVA come strumento di allarme precoce per segnalare eventuali problemi di liquidità delle imprese. La Commissione afferma che le misure di sostegno dovrebbero privilegiare la prevenzione del fallimento, le consulenze degli esperti e l'intervento tempestivo. Il problema sorge quando gli stessi vertici aziendali non si rendono conto che la propria impresa è a rischio. I governi degli Stati membri dovranno operare in stretto contatto con il settore contabile e le organizzazioni di sostegno alle PMI per sviluppare misure proattive che siano consone alla cultura delle rispettive PMI.

1.13

Chiaramente, la raccomandazione più importante contenuta nella comunicazione è quella riguardante la riforma del diritto fallimentare. Questa è infatti la misura indispensabile per avviare il programma della Commissione per offrire una seconda possibilità agli imprenditori.

1.14

Se alcune delle misure meno incisive previste dalla comunicazione possono essere attuate senza la modifica del diritto fallimentare, le altre potranno essere intraprese solo una volta che la legge sia stata modificata. Senza la riforma del diritto fallimentare, non sarà possibile realizzare l'obiettivo principale della comunicazione.

1.15

Il CESE ritiene che ciascuno Stato membro dovrebbe dare seguito alla comunicazione in esame inserendo le proposte in essa contenute nel programma nazionale di riforma elaborato in attuazione della strategia di Lisbona (orientamento 15).

2.   Introduzione

2.1

È dal 2001 che la Commissione si va occupando degli effetti negativi dei fallimenti aziendali, insistendo in particolare sulla necessità di migliorare le procedure fallimentari. Date le sue competenze limitate in questo settore, essa ha incentrato la sua azione sulla raccolta di dati relativi alle conseguenze legali e sociali dei fallimenti aziendali, agevolando così l'identificazione e la diffusione di buone prassi e la messa a punto di strumenti di allarme precoce al fine di ridurre la stigmatizzazione del fallimento.

2.2

Questi sforzi hanno consentito di avviare riforme in tutta l'Unione europea: molti Stati membri hanno già tratto ispirazione dalle buone prassi e dalle conclusioni strategiche raccolte a livello europeo e circa un terzo di loro ha presentato piani di riforma del rispettivo diritto fallimentare. Ma quasi la metà dei paesi dell'Unione europea deve ancora muovere i primi passi in questa direzione. Sebbene la Commissione disponga di competenze limitate in quest'ambito, il CESE la esorta ad adoperarsi con ogni mezzo a sua disposizione per spingere i ministri delle Finanze degli Stati membri a intervenire. A giudizio del CESE, infatti, i progressi compiuti dagli Stati membri in questo campo sono complessivamente insoddisfacenti.

TABELLA A: LA SITUAZIONE ATTUALE NEGLI STATI MEMBRI

Misure esistenti

(Sì)

Misure previste o esistenti in parte

No

Misure inesistenti

 

Informazione/istruzione

Strategia globale

Pubblicità della sentenza dichiarativa di fallimento non fraudolento

Restrizioni ridotte, ecc.

Migliore trattamento giuridico in caso di fallimento non fraudolento

Aggiustamento rapido e/o cancellazione dei debiti

Procedure razionalizzate

Misure per stimolare il sostegno

Misure per promuovere i collegamenti

Dialogo con il settore finanziario

Totale Sì+(Sì)

Austria

No

(Sì)

No

(Sì)

(Sì)

(Sì)

(Sì)

(Sì)

No

7

Belgio

No

No

(Sì)

(Sì)

(Sì)

No

No

No

No

4

Bulgaria

No

No

No

No

No

No

No

No

No

No

0

Cipro

No

No

(Sì)

(Sì)

No

(Sì)

(Sì)

No

No

No

4

Danimarca

No

No

No

(Sì)

(Sì)

No

No

No

4

Estonia

No

No

No

No

No

(Sì)

(Sì)

No

No

No

2

Finlandia

No

No

No

No

(Sì)

No

No

4

Francia

No

No

No

No

(Sì)

No

No

(Sì)

No

3

Germania

(Sì)

No

No

(Sì)

No

No

No

No

4

Grecia

No

No

No

(Sì)

(Sì)

No

No

No

4

Irlanda

No

No

No

No

No

No

No

No

2

Italia

No

No

No

(Sì)

(Sì)

No

No

No

4

Lettonia

No

No

No

No

No

No

(Sì)

No

No

No

1

Lituania

No

No

No

(Sì)

(Sì)

No

No

No

4

Lussemburgo

No

No

No

No

No

No

No

No

No

1

Malta

No

No

No

(Sì)

(Sì)

No

No

No

No

No

2

Paesi Bassi

(Sì)

No

No

No

(Sì)

(Sì)

No

No

No

(Sì)

4

Polonia

No

No

No

No

(Sì)

(Sì)

No

No

No

3

Portogallo

No

No

No

No

No

No

No

No

No

No

0

Regno Unito

No

No

No

No

No

5

Repubblica ceca

No

No

No

No

No

No

(Sì)

No

No

No

1

Romania

No

No

No

(Sì)

(Sì)

No

No

No

No

3

Slovacchia

No

No

No

No

No

No

No

No

No

No

0

Slovenia

No

No

No

No

No

(Sì)

No

No

No

No

1

Spagna

No

No

No

No

No

No

No

3

Svezia

No

No

No

No

(Sì)

No

No.

No

3

Ungheria

No

No

No

No

No

No

No

No

No

No

0

Totale Sì+(Sì)

2

1

3

12

15

17

17

3

2

1

 

Stati Uniti

No

No

No

(Sì)

No

No

No

4

2.3

Nella tabella A, tratta dalla comunicazione in esame, le colonne 4-6 si riferiscono alla riforma del diritto fallimentare: dai dati in esse contenuti risulta molto chiaramente che gli Stati membri sono estremamente attivi sul piano legislativo, ma che pochissimi di loro hanno finora applicato le riforme adottate. Se le cifre riportate in fondo alle colonne si riferissero all'applicazione delle norme, allora il totale sarebbe rispettivamente di 6, 6, 5 e 10, anziché 12, 15, 17 e 17, un risultato — quest'ultimo — modesto sul totale dei 27 membri dell'UE. La lentezza o l'inerzia degli Stati membri stanno sicuramente danneggiando l'attività delle imprese in quanto, fintantoché non vengono realizzate le modifiche necessarie, la possibilità del fallimento rappresenta un importante ostacolo per le imprese.

2.4

Va notato inoltre che le colonne 1-3 e 8-10 sono praticamente vuote: ciò è piuttosto sorprendente in quanto, malgrado nella maggior parte degli Stati membri la legislazione sull'insolvenza non sia stata modificata, le altre misure di tipo non legislativo avrebbero tuttavia potuto essere avviate.

2.5

A titolo di confronto, il CESE ha chiesto alla Commissione di fornire dati equivalenti a quelli della tabella per quanto riguarda gli USA. L'inserimento degli USA nella tabella è giustificato da quanto segue:

restrizioni ridotte: Sì. Negli USA non viene applicata nessuna delle restrizioni comunemente in uso nell'UE (ad esempio, l'esclusione di un imprenditore fallito dalla carica di direttore d'impresa e di amministratore fiduciario e la limitazione del credito a lui concesso). Di fatto, la sezione 525 del codice fallimentare statunitense vieta di discriminare un individuo per il semplice fatto che egli è o è stato oggetto di una procedura fallimentare,

migliore trattamento giuridico in caso di trattamento non fraudolento: (Sì). Come in altri Stati membri dell'UE, nessuna possibilità di aggiustamento viene concessa in caso di colpa, comportamento fraudolento, ecc., né è prevista alcun'altra forma di «miglior trattamento»,

aggiustamento rapido: Sì. Non è previsto che l'imprenditore fallito rimanga in tale condizione per un determinato periodo di tempo prima di essere riabilitato,

procedure razionalizzate: Sì. Il tipo di procedura fallimentare più comunemente usata dai singoli individui è quella prevista al capitolo 7, relativo alla liquidazione o fallimento. In generale, questo tipo di procedura richiede in totale 3-4 mesi. Per evitare le domande multiple, non è consentito un secondo ricorso al capitolo 7 entro 6 anni dal primo.

2.6

Il codice fallimentare statunitense segue un'impostazione completamente diversa da quella che domina nella maggioranza, se non nella totalità, degli Stati membri dell'UE. La situazione giuridica attuale della maggior parte degli Stati membri mostra il grado di incomprensione della questione: i tempi necessari per modificare la legislazione sull'insolvenza rivelano infatti che, per usare un colloquialismo, l'UE semplicemente «non ci arriva». L'introduzione delle nuove leggi sarà favorita da un cambiamento di mentalità, senza il quale neanche le misure non legislative riusciranno mai a decollare.

2.7

Nel XIX secolo il fallimento aziendale era così stigmatizzato da spingere gli imprenditori al suicidio. Se nel XXI secolo i casi di suicidio sono meno numerosi, lo stigma sociale, tuttavia, rimane. Bisogna che gli imprenditori siano visti dai cittadini europei come persone che esercitano un'attività estremamente meritevole, anche quando falliscono. È inevitabile che si verifichi un certo numero di fallimenti: delle 931.435 imprese create nel 1998 in Spagna, Finlandia, Italia, Lussemburgo, Svezia e Regno Unito, poco meno di tre quarti (73 %) sono sopravvissute ai primi due anni di attività e poco meno della metà (49,1 %) era ancora in vita nel 2003, dopo cinque anni di esistenza.

2.8

La Commissione è nel giusto quando afferma che la creazione di un'impresa, il suo successo e il suo fallimento sono tutti aspetti intrinseci dell'economia di mercato. A ragione evidenzia inoltre che, nel quadro della generale mancanza di apprezzamento e di comprensione dell'imprenditorialità da parte della società, il fatto che un'impresa incontri difficoltà o fallisca non viene ancora sufficientemente accettato come il risultato di una normale evoluzione economica, né tanto meno come un'opportunità per creare qualcosa di nuovo. L'UE deve cambiare mentalità: infatti, quanto più si stigmatizza un imprenditore che ha subito un fallimento, tanto maggiore sarà il rischio che anche una sua seconda iniziativa vada incontro al fallimento. Tale rischio investe tutti i soggetti interessati all'interno dell'impresa stessa.

2.9

La legislazione americana cerca di stabilire un equilibrio tra interessi dei debitori, interessi dei creditori e interessi della società nel suo complesso. Il CESE ritiene che anche le normative degli Stati membri dell'UE dovrebbero essere formulate in modo tale da realizzare lo stesso equilibrio. L'insolvenza e il mancato pagamento dei debiti possono provocare enormi difficoltà ai creditori e metterli a loro volta in condizioni di insolvenza. Sollevare una società dal debito per darle una seconda opportunità può essere una soluzione estremamente ingiusta nei confronti dei creditori. La legislazione sull'insolvenza deve invece tendere a un giusto equilibrio.

2.10

Dal punto di vista della società in generale, la soluzione migliore è forse mantenere l'impresa insolvente in attività in toto o in parte. Se essa è potenzialmente redditizia, allora tutte le parti interessate ne trarranno vantaggio.

2.11

Gli interessi dei dipendenti sono tutelati in molti modi. Per i casi di insolvenza gli Stati membri hanno attuato la direttiva sull'insolvenza del datore di lavoro, che prevede il pagamento ai lavoratori subordinati dei diritti non liquidati. Se l'impresa viene salvata dai curatori fallimentari, i dipendenti potranno conservare il posto di lavoro. Se un imprenditore si rimette in attività dopo aver subito un fallimento, crea nuovi posti di lavoro. In tutti questi casi, l'occupazione che ne consegue è chiaramente nell'interesse della società nel suo complesso.

3.   Sintesi della comunicazione della Commissione

3.1   Immagine pubblica, istruzione e mezzi di comunicazione

3.1.1

Il primo passo per affrontare gli effetti negativi di un fallimento aziendale è discuterne pubblicamente. Nell'Unione europea il fallimento viene spesso visto dall'opinione pubblica come un crimine, quale che ne sia la causa. I mezzi di comunicazione hanno un ruolo positivo da svolgere nel modificare questa percezione errata. Gli insegnamenti da trarre sono i seguenti:

a)

le campagne d'informazione e i programmi d'istruzione dovrebbero evidenziare i vantaggi legati all'avvio di una nuova attività dopo un fallimento, mostrando che compiere più tentativi costituisce un normale processo di apprendimento, di ricerca e di scoperta;

b)

i mezzi di comunicazione potrebbero contribuire a differenziare il fallimento dalla frode e diffondere la conoscenza dei vantaggi di un'imprenditoria rinnovata, al fine di migliorare presso l'opinione pubblica l'immagine degli imprenditori che riavviano un'attività e di valorizzarne l'esperienza;

c)

il proseguimento del dialogo con tutti i soggetti interessati dovrebbe contribuire a individuare i numerosi aspetti della riprovazione sociale connessa al fallimento.

3.2   Il ruolo del diritto fallimentare

3.2.1

Avviare una nuova attività dopo un fallimento può essere un'operazione giuridicamente complessa. In molti paesi il diritto fallimentare riserva un unico trattamento a prescindere dal fatto che il fallimento sia dovuto a comportamenti fraudolenti, che sia involontario o che non vi sia alcuna colpa manifesta da parte del proprietario o del dirigente, vale a dire che la loro condotta è stata onesta e corretta.

3.2.2

Numerose disposizioni impongono restrizioni, divieti e interdizioni agli imprenditori che hanno subito un fallimento sulla sola base dell'esistenza di procedure di fallimento. Questa automaticità non tiene conto dei rischi inerenti alla realtà quotidiana della vita delle imprese e implica la convinzione che il fallito non può essere degno di fiducia da parte della società. S'impone quindi nell'Unione europea un radicale cambiamento nell'impianto del diritto fallimentare. I principali insegnamenti da trarre sono i seguenti:

a)

è essenziale creare un giusto quadro di riferimento che, pur proteggendo adeguatamente gli interessi di tutte le parti, riconosca la possibilità per un imprenditore di fallire e di intraprendere successivamente una nuova attività imprenditoriale. La legislazione sul fallimento dovrebbe distinguere chiaramente tra fallimento fraudolento e non fraudolento;

b)

gli imprenditori che falliscono per ragioni estranee al loro controllo dovrebbero poter beneficiare di una decisione giudiziaria formale che li dichiari in fallimento non fraudolento e scusabile. La decisione dovrebbe essere accessibile al pubblico;

c)

il diritto fallimentare dovrebbe prevedere l'aggiustamento rapido dei debiti rimanenti in funzione di alcuni criteri;

d)

le restrizioni, le decadenze e i divieti giuridici dovrebbero essere ridotti;

e)

le procedure giudiziarie dovrebbero essere semplificate e accelerate, consentendo in tal modo di valorizzare al massimo gli attivi del fallito prima della riallocazione delle risorse. In generale, la durata della procedura non dovrebbe superare l'anno.

3.3   Sostegno attivo alle imprese a rischio

3.3.1

La stigmatizzazione dei fallimenti aziendali è uno dei motivi per i quali numerose PMI in difficoltà finanziarie nascondono i loro problemi finché non è troppo tardi. Per evitare un fallimento è essenziale agire tempestivamente, e in molti casi è preferibile un salvataggio alla liquidazione. Queste le principali lezioni da trarre:

a)

se è vero che il numero di insolvenze non può essere ridotto a zero, un sostegno precoce alle imprese sane può tuttavia contribuire a ridurlo al minimo. Le misure di sostegno dovrebbero privilegiare la prevenzione dei fallimenti, le consulenze degli esperti e l'intervento rapido;

b)

occorre vigilare sull'accessibilità del sostegno, dal momento che le imprese in difficoltà non si possono permettere consulenze costose;

c)

bisognerebbe sfruttare pienamente le possibilità di messa in rete offerte dall'UE e dalle organizzazioni europee delle imprese;

d)

il diritto fallimentare dovrebbe prevedere possibilità di ristrutturazione e salvataggio invece di concentrarsi esclusivamente sulla liquidazione.

3.4   Sostegno attivo agli imprenditori che avviano una nuova attività dopo un fallimento

3.4.1

Le misure pubbliche a sostegno degli imprenditori non tengono sufficientemente conto dei principali vincoli a cui essi sono sottoposti — in termini di risorse, competenze e assistenza psicologica — al momento di avviare una seconda impresa. In linea generale, l'avvio di una nuova impresa è frenato dalla mancanza di risorse necessarie, in particolare quelle finanziarie. Gli insegnamenti da trarre sono i seguenti:

a)

le autorità competenti dovrebbero destinare mezzi finanziari sufficienti all'avvio di nuove attività eliminando gli ostacoli ai sistemi di finanziamento pubblico per le nuove imprese;

b)

le banche e le istituzioni finanziarie dovrebbero rivedere il loro atteggiamento estremamente cauto nei confronti degli imprenditori che riavviano un'attività, spesso fondato su valutazioni negative della solvibilità. La Commissione intende inserire tale questione all'ordine del giorno della tavola rotonda dei banchieri e delle PMI;

c)

gli Stati membri dell'UE dovrebbero vigilare affinché i nomi degli imprenditori che hanno subito un fallimento non fraudolento non figurino in elenchi che hanno l'effetto di limitare l'accesso al credito del settore bancario;

d)

i responsabili dell'assegnazione degli appalti pubblici dovrebbero essere consapevoli del fatto che le direttive in materia di appalti pubblici non consentono discriminazioni a danno di imprenditori che abbiano subito fallimenti non fraudolenti;

e)

sarebbe opportuno mettere a disposizione degli imprenditori che riprendono l'attività un sostegno psicologico e tecnico adeguato nonché formazioni e inquadramenti specifici;

f)

le autorità competenti dovrebbero favorire i legami tra gli imprenditori che intendono riprendere l'attività e i loro potenziali clienti, partner commerciali e investitori, in modo che questi possano rispondere ai bisogni dei primi.

3.5

In conclusione, per sfruttare pienamente il potenziale imprenditoriale esistente nell'UE e creare imprese dinamiche è essenziale garantire all'imprenditoria opportune condizioni quadro a livello nazionale. L'apprezzamento della società per il successo imprenditoriale, essenziale a tal fine, dovrebbe andare di pari passo con una politica di promozione della seconda possibilità per gli imprenditori che hanno subito un fallimento.

4.   Osservazioni generali

4.1

Il CESE condivide l'enfasi posta dalla Commissione sulla necessità di superare la stigmatizzazione del fallimento aziendale. La Commissione è nel giusto quando afferma che la creazione di un'impresa, il suo successo e il suo fallimento sono tutti aspetti intrinseci dell'economia di mercato. A ragione, inoltre, evidenzia che, nel quadro della generale mancanza di apprezzamento e di comprensione dell'imprenditorialità da parte della società, il fatto che un'impresa incontri difficoltà o fallisca non viene ancora sufficientemente accettato come il risultato di una normale evoluzione economica, né come un'opportunità per creare qualcosa di nuovo.

4.2

Ciò nonostante, il CESE ritiene che, sebbene molte delle raccomandazioni contenute nella comunicazione siano indispensabili, alcune di esse non sembrino molto credibili. Le sue riserve vengono esposte in più punti all'interno delle sezioni 4 e 5 del presente parere.

4.3

Scopo e obiettivo ultimo dell'attività imprenditoriale è creare un'impresa che al tempo stesso sia redditizia e presenti prospettive di crescita. Gli imprenditori innovano per rispondere a quei bisogni dei clienti che o non sono ancora soddisfatti o non lo sono nel modo più efficiente.

4.4

Un imprenditore può essere colui che individua un'opportunità commerciale: ad esempio, un imprenditore londinese ha visto l'opportunità di svolgere un'attività di import/export tra il Regno Unito e l'India e rispondere così a determinati bisogni di entrambi i paesi. In questo modo, ha colmato una lacuna del mercato. Altri imprenditori colmano lacune analoghe, ad esempio aprendo ristoranti o saloni di parrucchiere in comunità dove questi servizi non esistono in misura sufficiente.

4.5

Amazon è un ottimo esempio di impresa creata per soddisfare un bisogno in modo più efficiente: se le librerie tradizionali continuano infatti a essere il punto di riferimento per quanti hanno il tempo e la voglia di andare in libreria a sfogliare libri, Amazon dal canto suo viene incontro alle esigenze di una diversa categoria di lettori.

4.6

Alcuni imprenditori creano un'impresa per sfruttare i progressi della scienza e della tecnologia. Le imprese di questo tipo sono spesso frutto del lavoro di università, centri di ricerca e aziende di tipo scientifico. Quattro docenti dell'Università di Londra hanno fondato un'impresa che, grazie a un software di loro proprietà, fornisce servizi di analisi dell'immagine per migliorare i sistemi di misurazione degli effetti terapeutici dei farmaci in via di sperimentazione. Il perno di questa impresa è rappresentato dai diritti di proprietà intellettuale legati al software. Uno dei quattro docenti è stato nominato amministratore delegato e si sta attualmente cimentando con il mestiere di imprenditore.

4.7

Per creare un'impresa di successo, un imprenditore ha soprattutto bisogno di tre cose: in primo luogo, deve avere le conoscenze e l'esperienza necessaria per valutare correttamente le prospettive offerte dal mercato e disporre del know-how richiesto per trasformare il suo progetto in realtà, che si tratti di un nuovo ristorante, di un servizio di viaggi online o di un'applicazione scientifica rivoluzionaria. Il primo passo nella creazione di qualsiasi impresa è dimostrare nei fatti l'attuabilità del progetto: ciò significa sviluppare un prodotto o un servizio a un grado tale per cui vi siano clienti disposti a pagare il prezzo necessario perché l'azienda copra i propri costi e realizzi un utile. Molti aspiranti imprenditori falliscono proprio in questa fase. Alcuni riescono a trarre insegnamento dai loro errori e a iniziare una nuova impresa; altri invece ne sono del tutto incapaci.

4.8

Il secondo requisito sono i finanziamenti. Alcune imprese sono così interessanti da riuscire ad attirare fin dall'inizio il capitale di rischio, ma nella maggior parte dei casi ciò avviene solo dopo che l'imprenditore ha trasformato il suo progetto in realtà. È vero che ora disponiamo del programma di capitali di rischio della BEI, ma anche in questo caso le capacità saranno limitate. I finanziamenti di solito arrivano in tranche o momenti diversi. Se la prima tornata di finanziamenti dà buoni risultati, è molto più facile ottenerne altri per le fasi successive.

4.9

Molto spesso sono i familiari e gli amici a finanziare la fase di avvio di un'impresa. Quanto ai prestiti bancari, essi sono disponibili, sennonché le banche esigono garanzie. Se l'impresa non ha beni, le banche prendono i beni dell'imprenditore come garanzia. Per un imprenditore, per la sua famiglia e i suoi amici il rischio principale è legato alla fornitura di garanzie personali. Solitamente tali garanzie rimangono in vigore anche una volta conclusa la fase di avvio, in quanto le società private dipendono generalmente dal sostegno delle banche fintantoché non vengono quotate. L'escussione delle garanzie può comportare per l'imprenditore la perdita della casa. In queste circostanze gli obblighi fiscali e di sicurezza sociale possono aggravare ulteriormente situazione.

4.10

Nel parere sul tema Incentivi fiscali a favore della R&S  (1), il CESE incoraggia gli Stati membri a concedere agevolazioni fiscali ai privati che investono in imprese in fase di avvio. È evidente che queste agevolazioni permetterebbero agli imprenditori di reperire più agevolmente i capitali per nuove imprese.

4.11

Una volta superata la fase di avvio, interviene la terza componente indispensabile del successo di un imprenditore, ovvero la validità del modello d'impresa prescelto. Quest'ultimo, fondamentale per la crescita dell'impresa stessa, dipende da una serie di parametri che riassumono la situazione dell'impresa. Sottraendo i costi di produzione dalle vendite si ottiene un margine lordo che, una volta dedotte le altre spese, fornisce un utile lordo sufficiente per pagare gli interessi e rimborsare il capitale dei prestiti bancari contratti. Quando il modello dell'impresa presenta una qualche disfunzione, o quando il management non possiede le competenze o l'esperienza necessarie per gestire le vendite, ecc., in sostanza per far funzionare l'impresa, i suoi garanti rischiano il fallimento. Chiaramente, da un fallimento di questo tipo si può imparare molto. Se l'imprenditore ha capito quali sono i presupposti del modello d'impresa, potrà considerare l'ipotesi di creare una nuova impresa.

4.12

I modelli d'impresa che hanno funzionato bene in passato sono sempre minacciati da possibili cambiamenti a livello del personale, della clientela, dei mercati, delle tecnologie e della concorrenza. Una volta creata un'impresa di successo, l'imprenditore verrà continuamente messo alla prova dai cambiamenti, il che è particolarmente vero per le imprese tecnologiche. Gli imprenditori che non siano riusciti ad adattarsi potranno trarre insegnamento da questa loro esperienza; altri invece, specialmente se proprietari dell'azienda da due o tre generazioni, forse non sapranno farlo.

4.13

Ai fini della riuscita del modello d'impresa, il ruolo dell'imprenditore e dei suoi collaboratori appare determinante; in particolare, è essenziale che essi dispongano di competenze in materia di gestione finanziaria. Una buona impresa potrà essere vittima del suo stesso successo ed espandere la propria attività al punto da non sapere onorare i propri impegni finanziari. In tal caso può essere posta sotto amministrazione controllata dai suoi creditori. Il riavvio di imprese di questo tipo può offrire ottime possibilità di successo.

4.14

Un'altra difficoltà finanziaria può insorgere nel caso in cui un grosso cliente sia inadempiente nei pagamenti e metta così l'imprenditore nell'incapacità di onorare a sua volta i propri impegni finanziari, provocando il pignoramento dei beni ipotecati da parte della banca. Stando alle statistiche della Commissione, un quarto delle situazioni di insolvenza è dovuto a ritardi nei pagamenti. Anche in tal caso vi sono probabilità di successo in caso di riavvio dell'impresa. La vulnerabilità delle piccole e giovani imprese è ampiamente riconosciuta sia dai governi degli Stati membri che dalla Commissione. La questione, già affrontata nella direttiva sui ritardi di pagamento, sarà ripresa nuovamente nella normativa sulle piccole imprese di prossima adozione.

4.15

Alcune imprese falliscono per ragioni estranee al loro controllo e imprevedibili, come ad esempio le conseguenze degli attentati dell'11 settembre o l'impatto di condizioni meteorologiche estreme. Tuttavia, se fossero state più previdenti, avrebbero potuto sottoscrivere un'assicurazione per limitare i danni. Si invitano pertanto le organizzazioni che sostengono le piccole imprese a informare gli imprenditori dei benefici derivanti dagli strumenti prudenziali.

4.16

In sintesi, sono molte le circostanze che possono portare al fallimento di un'impresa, anche quando l'imprenditore è animato dalle migliori intenzioni: nella fase di avvio, ad esempio, non sempre è possibile assicurare la redditività dell'impresa, mentre, superata questa fase, può invece essere l'utilizzo di un errato modello di gestione a comprometterne il futuro. D'altro canto, imprese potenzialmente redditizie possono senz'altro fallire per errori commessi dagli imprenditori come per ragioni completamente estranee al loro controllo: queste aziende possono e dovrebbero essere salvate dai curatori, che dovrebbero conservare il maggior numero possibile di posti di lavoro.

4.17

È importante distinguere un'impresa dai suoi dirigenti: è possibile infatti che questi vadano incontro alla rovina finanziaria, mentre l'impresa e i posti di lavoro vengono salvati dai curatori. Quando un'impresa fallisce, gli imprenditori corrono forti rischi di andare incontro alla rovina finanziaria a causa delle garanzie personali fornite alle banche, anche quando personalmente non hanno posto in essere comportamenti fraudolenti. L'iniziativa della Commissione è destinata per l'appunto a questo tipo di imprenditori non fraudolenti. Altri imprenditori, che falliscono per incompetenza e per mancanza di lungimiranza, hanno probabilmente poco da offrire all'economia, anche qualora riescano a trovare un sostegno finanziario. Non tutti gli imprenditori che falliscono meritano una seconda opportunità.

5.   Osservazioni specifiche

5.1   Immagine pubblica, istruzione e mezzi di comunicazione

5.1.1

Il messaggio più forte che i governi degli Stati membri possono trasmettere ai cittadini riguarda chiaramente la riforma del diritto fallimentare. Una volta che la legge incoraggerà espressamente una seconda opportunità per gli imprenditori, i messaggi dei media lo sottolineeranno.

5.1.2

Inoltre, i governi possono collaborare con organizzazioni e istituzioni che operano in stretto collegamento con le imprese. Il settore più direttamente coinvolto sarà quello contabile, ma anche le organizzazioni che rappresentano le PMI e le imprese individuali possono dare il loro contributo.

5.1.3

La comunicazione accenna all'idea di un programma di premi per imprenditori che abbiano riavviato con successo un'impresa dopo un fallimento. Se le organizzazioni citate sopra adottassero iniziative di questo tipo, i media potrebbero reagire in modo positivo.

5.2   Il ruolo del diritto fallimentare

5.2.1

Il CESE appoggia pienamente tutte le raccomandazioni contenute nella comunicazione in merito al diritto fallimentare, con riserva ovviamente del contenuto preciso della legislazione che verrà poi adottata. Tali raccomandazioni vengono esaminate in dettaglio al punto 3.2 del presente parere e comprendono il riconoscimento ufficiale dei fallimenti non fraudolenti, l'aggiustamento rapido dei debiti e la riduzione delle restrizioni giuridiche, delle interdizioni e dei divieti, con procedure accelerate. L'obiettivo a medio termine dovrebbe essere di stabilire una procedura di durata non superiore ai 12 mesi.

5.2.2

Il CESE ritiene imperativo che tutti gli Stati membri portino a termine quanto prima la revisione del rispettivo diritto fallimentare. Oltre alla modifica delle leggi in materia, è di fondamentale importanza che le procedure fallimentari vengano trattate con celerità dai tribunali. L'intero processo deve essere organizzato in modo efficace. Queste riforme sono al centro del programma a sostegno degli imprenditori che avviano una seconda impresa dopo un fallimento.

5.3   Sostegno attivo alle imprese a rischio

5.3.1

Questo è il secondo messaggio contenuto nella comunicazione. Esso non rientra di per sé nel programma della Commissione per offrire una seconda possibilità agli imprenditori, ma fa parte di un programma concepito per evitare i fallimenti e preservare le imprese e i posti di lavoro. A questo proposito, l'obiettivo della comunicazione è scongiurare i fallimenti evitabili attraverso meccanismi di allarme precoce e la fornitura di finanziamenti temporanei e di servizi di consulenza.

5.3.2

L'unico problema è che per la maggior parte delle PMI questo programma non riveste grande interesse pratico, in quanto prevede pochi meccanismi per l'individuazione precoce delle imprese a rischio tra le decine di migliaia di PMI che operano in ciascuno Stato membro. Ciò detto, gli Stati membri sono incoraggiati a sfruttare al massimo le possibilità esistenti, vedi ad esempio l'utilizzo in Francia delle informazioni fornite dalle autorità preposte alla riscossione dell'IVA come strumento di allarme precoce per segnalare eventuali problemi di liquidità delle imprese. La Commissione afferma che le misure di sostegno dovrebbero privilegiare la prevenzione del fallimento, le consulenze degli esperti e l'intervento tempestivo. Il problema sorge quando gli stessi vertici aziendali non si rendono conto che la propria impresa è a rischio. I governi degli Stati membri dovranno operare in stretto contatto con il settore contabile e le organizzazioni di sostegno alle PMI per sviluppare misure proattive che siano consone alla cultura delle rispettive PMI.

5.3.3

Il CESE non sottovaluta la difficoltà di fornire un sostegno di questo tipo. L'intervento dei governi per contrastare le forze del mercato può essere controproducente e compromettere il rispetto delle disposizioni vigenti.

5.3.4

Le società per azioni hanno il doppio obbligo di presentare puntualmente i bilanci e di certificare, tramite i loro revisori e dirigenti, che l'impresa è in attività, cioè è in grado di onorare i debiti contratti. L'applicazione di tali disposizioni a tutte le società, specialmente l'obbligo di aggiornamento dei registri contabili, contribuirebbe a migliorare il sistema di allarme precoce.

5.3.5

Il CESE accoglie con favore il risalto dato nella misura del possibile al salvataggio delle imprese in difficoltà, perché agire in tal senso significa contribuire a mantenere i posti di lavoro e a garantire la continuità dell'occupazione.

5.4   Sostegno attivo agli imprenditori che avviano una nuova attività dopo un fallimento

5.4.1

Sebbene da 12 a 17 Stati membri abbiano già modificato o stiano modificando il rispettivo diritto fallimentare, praticamente nessuno di essi sembra aver intrapreso iniziative in merito a questo specifico pacchetto di raccomandazioni della Commissione.

5.4.2

Lo scarso livello di attività registrato in tale ambito è dovuto, ancora una volta, al fatto che alcune delle proposte avanzate possono essere considerate in contrasto con le forze del mercato: si tratta in particolare di quelle che prevedono una minore cautela da parte delle banche nella concessione dei prestiti e la creazione, da parte delle autorità competenti, di reti di sostegno agli imprenditori che avviano una seconda impresa dopo un fallimento.

5.4.3

Dovrebbe essere possibile attuare le proposte che rientrano nella sfera di competenza dei governi degli Stati membri — programmi di finanziamento pubblico, accesso al prestito per gli imprenditori falliti non fraudolenti e appalti pubblici — senza troppi problemi anche prima che venga modificato il diritto fallimentare.

5.4.4

Dovrebbe inoltre essere possibile per gli enti che si occupano di formazione all'imprenditoria impartire formazioni anche agli imprenditori che avviano una seconda impresa, mano a mano che si delinei una domanda in tal senso.

5.5   Altre proposte della Commissione

5.5.1

Il Comitato accoglie positivamente il nuovo sito web della Commissione A Second Chance in BusinessTo Benefit all of us (http//ec.europa.eu/sme2chance): esso sarà di particolare aiuto alle organizzazioni impegnate a sostenere le iniziative adottate dagli Stati membri nel quadro della politica della seconda opportunità agli imprenditori.

5.5.2

Nell'ambito delle manifestazioni a favore delle PMI previste nella primavera del 2009, la Commissione affronterà il tema del riavvio di un'impresa dopo un fallimento e altre questioni legate alla politica della seconda opportunità. Il CESE si attende che questa iniziativa infonda nuovo slancio agli elementi non legislativi del programma volto a dare una seconda possibilità agli imprenditori.

Bruxelles, 29 maggio 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  GU C 10 del 15.1.2008.


30.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 224/32


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Gli appalti pubblici internazionali

(2008/C 224/06)

In data 25 ottobre 2007, a nome della futura presidenza francese, il sottosegretario di Stato incaricato degli Affari europei Jean-Pierre JOUYET ha invitato il Comitato economico e sociale europeo a elaborare un parere sul tema:

Gli appalti pubblici internazionali.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 maggio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore MALOSSE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 maggio 2008, nel corso della 445a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 70 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Raccomandazioni

1.1

Il Comitato incoraggia la Commissione europea a perseguire con fermezza i suoi obiettivi di giungere a una maggiore apertura degli appalti pubblici e di far prevalere i principi di trasparenza, parità di trattamento nonché responsabilità sociale ed ecologica.

1.2

Nel quadro della rinegoziazione dell'accordo sugli appalti pubblici (AAP), il Comitato raccomanda alla Commissione di opporsi con decisione alle pratiche protezionistiche applicate da taluni paesi aderenti all'accordo.

1.3

Per quanto riguarda gli aiuti pubblici allo sviluppo, il Comitato è favorevole a un abbandono progressivo e reciproco dei sistemi di «aiuti collegati», e considera che in relazione a questo punto i criteri essenziali debbano essere l'efficacia e la trasparenza.

1.4

A livello dell'Unione europea, il Comitato raccomanda una maggiore trasparenza e l'adozione di dispositivi moderni di aggiudicazione degli appalti e di pubblicazione delle offerte. A tale proposito, il Comitato intende opporsi a qualsiasi innalzamento delle soglie fissate dalle direttive europee, in quanto esse sono un fattore di garanzia della trasparenza. Il Comitato appoggia la comunicazione della Commissione europea, la quale è diretta ad accrescere la trasparenza degli appalti al di sotto delle soglie fissate dalle direttive.

1.5

Il Comitato si dichiara contrario all'introduzione nell'UE di un sistema di quote per le PMI come quello previsto dallo Small Business Act (Legge sulle piccole imprese) americano, ma riconosce l'interesse di definire una «tabella di marcia» europea a favore delle PMI e in particolare delle microimprese, corredata di progetti concreti, di un calendario e di un bilancio pluriennale, e orientata a favorire l'innovazione e la creazione di imprese, in particolare nei settori chiave dell'efficienza energetica e della tutela dell'ambiente.

1.6

Questa tabella di marcia potrebbe essere utilmente corredata di dispositivi d'informazione basati sui punti di contatto naturali delle PMI, di veri meccanismi di consultazione trasparenti ed equi nonché di strumenti giuridici europei semplici, che ne faciliterebbero l'attuazione.

1.7

Nel quadro di tali progetti concreti e dispositivi di aggiudicazione degli appalti si dovrebbe poter applicare, tutte le volte che ciò fosse possibile, il principio del «pensare prima ai piccoli», ad esempio adottando la regola del «soltanto una volta» per l'adempimento di formalità amministrative. Tutto questo allo scopo di prefigurare delle procedure amministrative e tecniche adatte alle dimensioni e alle caratteristiche delle piccole imprese e in grado di rispondere all'obiettivo di diminuzione dell'onere che grava su di loro.

2.   Presentazione

2.1

La futura presidenza francese dell'Unione europea, con lettera ufficiale del sottosegretario di Stato incaricato degli Affari europei, ha chiesto al CESE di elaborare un parere esplorativo sul tema degli appalti pubblici internazionali.

2.1.1

Questa richiesta fa esplicito riferimento ai negoziati in corso nel quadro della revisione dell'accordo Appalti pubblici (AAP) dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC) che collega 12 paesi (1) e l'Unione europea (più 18 altri paesi con lo statuto di osservatori).

2.1.2

Nell'autunno 2007, infatti, il governo francese si era allarmato per un'offerta troppo generosa da parte dell'Unione europea, partendo dalla considerazione che certi paesi (USA, Corea, Giappone) dispongono di clausole restrittive per l'accesso ai loro appalti pubblici grazie alle quali possono riservare alcuni appalti alle piccole e medie imprese nazionali.

2.2

La posizione francese, sostenuta da molti Stati membri, esigeva o un migliore accesso agli appalti pubblici dei suddetti paesi nel quadro di un AAP riveduto oppure l'applicazione nell'Unione europea di restrizioni analoghe a favore delle PMI europee.

2.3

Oggi l'accordo AAP prevede soglie di appalti analoghe a quelle in vigore per l'applicazione degli obblighi previsti dalle direttive interne dell'Unione europea (2), permettendo così, di fatto, alle imprese degli altri 12 Stati parti dell'accordo stesso di partecipare a tutti gli appalti pubblici all'interno dell'Unione europea superiori a queste soglie.

2.4

Il CESE si è già pronunciato sulla questione dell'apertura degli appalti pubblici nell'Unione europea, lamentando in particolare la troppo scarsa partecipazione transfrontaliera delle imprese a questi ultimi (3).

3.   Sul piano internazionale

3.1

In riferimento al livello internazionale si può considerare che i mercati dell'Unione europea siano particolarmente aperti alla concorrenza internazionale. Questo vale anche per un numero crescente di appalti finanziati dall'Unione europea a titolo di aiuto allo sviluppo (l'UE è il primo fornitore di aiuti allo sviluppo nel mondo). Il CESE deplora tuttavia l'esistenza, negli Stati membri, di pratiche che collegano la concessione dell'aiuto allo sviluppo all'ottenimento di contratti per le imprese del paese donatore (4).

3.2

Alcuni dei nostri partner hanno istituito dei meccanismi di protezione diversi, come ad esempio il Buy American o lo Small Business Act (Legge sulle piccole imprese) negli Stati Uniti, oppure l'applicazione generalizzata di dispositivi di aiuto «collegati». L'apertura degli appalti pubblici alla concorrenza internazionale deve essere considerata come una carta vincente per l'Unione europea, dato che quest'ultima conta molte imprese leader a livello mondiale nei settori della costruzione, dei lavori pubblici, delle energie alternative e della protezione dell'ambiente.

3.3

Lo Small Business Act americano prevede, accanto a misure di sostegno alle PMI, anche una disposizione che riserva il 25 % degli appalti pubblici federali alle PMI americane.

3.4

Per quanto riguarda la rinegoziazione dell'accordo sugli appalti pubblici (AAP), il Comitato ritiene che se è vero che va fatto valere il principio di reciprocità, non si possono però adottare misure protezionistiche simili a quelle dei nostri concorrenti perché ciò non faciliterebbe affatto il conseguimento dell'obiettivo generale di apertura dei mercati che l'Unione europea deve porsi.

3.5

Inoltre, questo obiettivo deve riguardare non soltanto le parti che aderiscono all'accordo AAP, ma anche gli altri paesi in cui le procedure di aggiudicazione degli appalti sono particolarmente poco trasparenti e, in generale, chiuse alle imprese europee.

3.6

L'idea di escludere temporaneamente dall'AAP gli appalti finanziati con fondi europei, per quanto riguarda le imprese dei paesi che mantengono misure di protezione nazionali, è un'idea interessante, già avanzata dal CESE in diversi pareri precedenti.

3.7

Il Comitato sottolinea la necessità di prendere in considerazione, in sede di negoziato, le questioni del rispetto dell'ambiente e delle norme sociali minime stabilite dalle convenzioni dell'OIL (nonché gli accordi collettivi interprofessionali, settoriali o di impresa conclusi dalle parti sociali e vigenti nei paesi interessati), e questo segnatamente in relazione ad accordi bilaterali con paesi che non hanno ratificato il protocollo di Kyoto o le convenzioni dell'OIL oppure con paesi che non li applicano o ne fanno una cattiva applicazione.

4.   Nell'Unione europea

4.1

La Commissione europea ha annunciato che, sulla scorta dell'esempio americano, potrebbe lanciare una versione europea dello Small Business Act che, pur senza offrire come negli USA delle quote specifiche alle PMI, ne faciliterebbe la partecipazione agli appalti pubblici e potrebbe, più in generale, prevedere delle azioni concrete a loro favore.

4.2

Nell'Unione europea il problema di adottare delle quote a favore delle PMI non si pone, poiché si considera che, secondo la Commissione europea, il 42 % circa del totale di tutti gli appalti pubblici aggiudicati (fonti del 2005) siano assegnati a imprese definite come PMI secondo la classificazione comunitaria (5).

4.3

Per quanto riguarda l'Unione europea, il problema è quello di valorizzare la dimensione europea del mercato in modo da ottimizzare l'uso dei fondi pubblici. Malgrado un aumento sensibile dei contratti aggiudicati a imprese di altri paesi dell'Unione, le imprese denunciano la mancanza di trasparenza e l'insufficienza di informazioni appropriate per partecipare ad appalti transfrontalieri, in special modo a quelli che sono al di sotto della soglia d'applicazione delle direttive europee che impongono di garantire all'appalto un'adeguata pubblicità a livello europeo. Gli imprenditori deplorano anche il fatto che le direttive europee sono rese più complicate dalle procedure di trasposizione non sempre trasparenti (scadenze, ritardi, ecc.) che spesso danno luogo all'aggiunta di regolamentazioni specifiche nazionali che si sovrappongono l'una all'altra. Il CESE riconosce la necessità di adottare regolamentazioni in materia di appalti pubblici, ma raccomanda una maggiore trasparenza e certezza giuridica.

4.4

Il Comitato ritiene che l'esistenza di soglie al di là delle quali si applicano i principi di apertura, di trasparenza e di pubblicità sia la migliore garanzia per gli attori economici, soprattutto per le microimprese, della possibilità di partecipare agli appalti pubblici. Nella stessa UE sono proprio gli appalti al di sotto di queste soglie, e a cui tuttavia dovrebbero applicarsi i principi di parità di trattamento e di non discriminazione per motivi di nazionalità, ad essere oggetto da parte delle PMI di numerose denunce di mancanza di apertura.

4.5

Anche se l'idea di istituire delle quote «all'americana» non riscuote il consenso delle federazioni europee degli imprenditori, queste ultime riconoscono l'importanza di una politica proattiva di accompagnamento, in particolare per gli appalti al di sotto delle soglie fissate dalle direttive europee e per quelli relativi alle nuove tecnologie, all'efficienza energetica o alla protezione dell'ambiente.

4.6

Il Comitato sostiene con fermezza la proposta di creare una «tabella di marcia» a favore delle PMI europee comprendente tutta una serie di disposizioni precise e vincolanti, corredate di un calendario e di un piano di finanziamento. Tale tabella di marcia si baserebbe sulla ventennale esperienza della politica europea a favore delle piccole imprese e, in particolare, sulla Carta europea delle piccole imprese adottata dal Consiglio europeo di Santa Maria da Feira del giugno 2000 nonché sulle conclusioni della conferenza di Stoccarda sull'artigianato e le piccole imprese dell'aprile 2007.

4.7

Tra le disposizioni che appaiono più adeguate a questo fine, si possono citare le seguenti:

4.7.1   Proposte legislative con un calendario di adozione:

un codice di condotta degli enti aggiudicatori pubblici, che sottolinei l'interesse di consentire alle imprese più piccole di partecipare agli appalti e che promuova le buone pratiche sulla semplificazione e la dematerializzazione delle procedure,

dispositivi europei comuni, come il Brevetto comunitario o lo Statuto europeo della piccola e media impresa (parere d'iniziativa del CESE sul tema L'accesso delle PMI ad uno statuto di diritto europeo — 21 marzo 2002), che mirano a semplificare il quadro giuridico dell'Unione europea e ad affermare un'«identità europea» delle imprese,

rafforzamento della direttiva relativa alla lotta contro i ritardi di pagamento, come già richiesto dal CESE (6).

4.7.2   Meccanismi di informazione sugli appalti pubblici con un calendario di attuazione:

sostenere e sviluppare dei sistemi d'informazione e di mediazione sugli appalti pubblici transfrontalieri e la messa in rete delle imprese, utilizzando efficacemente la nuova rete europea Enterprise Europe Network (EEN) e sostenendo le iniziative locali di associazione di PMI,

sostenere progetti pilota di aggiudicazione degli appalti in forma elettronica, messa in rete delle imprese, portali d'informazione e sportelli unici sugli appalti pubblici transfrontalieri, basandosi su strutture esistenti e riconosciute dagli attori economici.

4.7.3   Azioni a livello europeo con risorse finanziarie adeguate:

elaborare uno schema d'ingegneria finanziaria a favore della partecipazione delle PMI agli appalti pubblici sotto forma di fondi di garanzia e cauzione e di assicurazione crediti, utilizzando a tal fine i fondi strutturali europei,

lanciare programmi europei di formazione e dimostrazione per le PMI in materia di efficienza energetica e tutela dell'ambiente (in particolare nel settore della costruzione). Questa nuova iniziativa potrebbe beneficiare dei finanziamenti europei inutilizzati che ogni anno sono restituiti agli Stati membri,

estendere i meccanismi intesi a favorire la partecipazione delle PMI alle azioni e ai programmi di ricerca dell'Unione europea (premi di fattibilità, ricerca in cooperazione) e incoraggiare gli Stati membri a istituire dispositivi identici sul piano nazionale, in particolare nei settori legati alle nuove tecnologie, tra cui la difesa e la sanità.

4.7.4   Procedure di consultazione e di mediazione:

rivedere infine le procedure di consultazione e di valutazione della Commissione europea, che spesso ignorano la realtà del tessuto economico europeo composto in grande maggioranza di PMI, consolidare le «schede d'impatto PMI», ricorrere più sistematicamente ai pareri esplorativi del Comitato, basarsi maggiormente sulle organizzazioni rappresentative della società civile,

rafforzare il ruolo della rete europea Enterprise Europe Network, che conta oltre 600 partecipanti insediati presso strutture locali riconosciute dagli attori economici locali dell'Unione europea, come pure le organizzazioni di imprese esistenti, al fine di sviluppare un'autentica rete europea di segnalazione, mediazione e sostegno per le piccole e medie imprese.

Bruxelles, 29 maggio 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Canada, Corea, Stati Uniti, Hong Kong (Cina), Islanda, Israele, Giappone, Liechtenstein, Norvegia, Aruba (Paesi Bassi), Singapore, Svizzera.

(2)  Direttive 2004/18/CE e 2004/17/CE del 31 marzo 2004.

(3)  GU C 287 del 22.9.1997.

(4)  Per gli aiuti «collegati», cfr. Annamaria La Chimia, Effectiveness and Legality Issues in Development Aid Procurement for EU Member States, European Current Law, marzo 2008.

(5)  GU C 241 del 7.10.2002.

(6)  GU C 407 del 28.12.1998.


30.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 224/35


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che adegua alla decisione 1999/468/CE del Consiglio, modificata dalla decisione 2006/512/CE, determinati atti soggetti alla procedura di cui all'articolo 251 del Trattato, per quanto riguarda la procedura di regolamentazione con controllo — Prima parte alla

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che adegua alla decisione 1999/468/CE del Consiglio, modificata dalla decisione 2006/512/CE, determinati atti soggetti alla procedura di cui all'articolo 251 del Trattato, per quanto riguarda la procedura di regolamentazione con controllo — Adeguamento alla procedura di regolamentazione con controllo — Seconda parte alla

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che adegua alla decisione 1999/468/CE del Consiglio, modificata dalla decisione 2006/512/CE, determinati atti soggetti alla procedura di cui all'articolo 251 del Trattato, per quanto riguarda la procedura di regolamentazione con controllo — Adeguamento alla procedura di regolamentazione con controllo — Terza parte e alla

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che adegua alla decisione 1999/468/CE del Consiglio, modificata dalla decisione 2006/512/CE, determinati atti soggetti alla procedura di cui all'articolo 251 del Trattato, per quanto riguarda la procedura di regolamentazione con controllo — Adeguamento alla procedura di regolamentazione con controllo — Quarta parte

COM(2007) 741 def. — 2007/0262 (COD)

COM(2007) 824 def. — 2007/0293 (COD)

COM(2007) 822 def. — 2007/0282 (COD)

COM(2008) 71 def. — 2008/0032 (COD)

(2008/C 224/07)

Il Consiglio, in data 21 gennaio 2008, 24 gennaio 2008 e 4 marzo 2008, ha deciso di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che adegua alla decisione 1999/468/CE del Consiglio, modificata dalla decisione 2006/512/CE, determinati atti soggetti alla procedura di cui all'articolo 251 del Trattato, per quanto riguarda la procedura di regolamentazione con controllo — Prima parte alla

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che adegua alla decisione 1999/468/CE del Consiglio, modificata dalla decisione 2006/512/CE, determinati atti soggetti alla procedura di cui all'articolo 251 del Trattato, per quanto riguarda la procedura di regolamentazione con controllo — Adeguamento alla procedura di regolamentazione con controllo — Seconda parte alla

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che adegua alla decisione 1999/468/CE del Consiglio, modificata dalla decisione 2006/512/CE, determinati atti soggetti alla procedura di cui all'articolo 251 del Trattato, per quanto riguarda la procedura di regolamentazione con controllo — Adeguamento alla procedura di regolamentazione con controllo — Terza parte e alla

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che adegua alla decisione 1999/468/CE del Consiglio, modificata dalla decisione 2006/512/CE, determinati atti soggetti alla procedura di cui all'articolo 251 del Trattato, per quanto riguarda la procedura di regolamentazione con controllo — Adeguamento alla procedura di regolamentazione con controllo — Quarta parte.

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 11 dicembre 2007, 15 gennaio 2008 e 11 marzo 2008, ha incaricato la sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 maggio 2008, nel corso della 445a sessione plenaria, ha nominato relatore generale PEZZINI e ha adottato il seguente parere all'unanimità.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato accoglie con favore l'introduzione della procedura di regolamentazione con controllo nel sistema della comitatologia e l'allineamento, a tale procedura, dei quattro pacchetti di direttive e di regolamenti proposti.

1.2

Il Comitato constata che la proposta della Commissione di modificare con urgenza determinati atti (1) è conforme alla decisione 2006/512/CE e alla dichiarazione congiunta, che riguarda, sia l'elenco degli atti che devono essere adeguati il più rapidamente possibile, sia la soppressione dei limiti di durata relativi all'esercizio delle competenze di esecuzione, che riguardano la Commissione.

1.3

Il Comitato raccomanda di procedere all'adozione dei regolamenti di riallineamento alla decisione 2006/512/CE in tempo utile, prima dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona.

1.4

Il Comitato ricorda infatti che il Trattato di Lisbona introduce una nuova gerarchia delle norme mediante la distinzione tra atti legislativi, atti delegati e atti di esecuzione, con uguali poteri del Parlamento e del Consiglio, per quanto attiene alla definizione delle modalità di controllo di tali atti.

1.5

Il Comitato sottolinea l'importanza:

di una completa partecipazione del PE,

di una razionalizzazione e semplificazione delle procedure,

di una maggiore informazione del PE in merito, sia ai comitati, sia alle misure loro sottoposte durante tutti gli stadi della procedura,

della conferma della soppressione del limite temporale delle competenze di esecuzione previsto in taluni atti, adottati in base alla procedura di codecisione e alla procedura «Lamfalussy».

1.6

Il Comitato ribadisce l'importanza che le procedure di comitato devono essere il più trasparente possibile e più comprensibile per le persone residenti nell'UE, in particolare per le persone direttamente interessate da tali atti.

1.7

Il Comitato ricorda che occorrerà dare piena applicazione all'articolo 8A del Trattato di Lisbona, che prevede che le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini, garantendo piena accessibilità di informazione ai cittadini ed alla società civile.

1.8

Il Comitato chiede, infine, che venga valutato l'impatto dell'applicazione della nuova procedura, presentando al Parlamento, al Consiglio ed al Comitato una relazione periodica sull'efficacia, sulla trasparenza e sulla diffusione delle informazioni.

2.   Introduzione

2.1

Il 17 luglio 2006 (2), il Consiglio ha modificato la decisione recante modalità per l'esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione (3), aggiungendo una nuova procedura: la regolamentazione con controllo. Grazie a questa procedura, il legislatore potrà opporsi all'adozione di misure «pseudo-legislative», ossia di misure di portata generale, volte a modificare gli elementi non essenziali di un atto di base, adottato secondo la procedura di codecisione, ogniqualvolta egli ritenga che il progetto di misure ecceda le competenze di esecuzione previste nell'atto di base, o che il progetto non sia compatibile con il fine o il contenuto dell'atto di base, o non rispetti i principi di sussidiarietà o di proporzionalità.

2.2

Si tratta di un provvedimento tipico del processo di comitatologia, con cui si designano le procedure mediante le quali la Commissione, in base all'articolo 202 del Trattato CE, esercita i poteri ad essa delegati, per l'attuazione degli atti comunitari «legislativi», cioè gli atti adottati dal Parlamento e dal Consiglio, o dal solo Consiglio, secondo una delle procedure decisionali previste dal Trattato CE (consultazione, codecisione, cooperazione, parere conforme).

2.3

Le cinque procedure di comitatologia (consultazione, gestione, regolamentazione, regolamentazione con controllo e di salvaguardia), sono disciplinate dalla decisione del Consiglio n. 1999/468/CE, modificata dalla decisione 2006/512/CE, e prevedono l'obbligo della Commissione di sottoporre i progetti di misure di attuazione a comitati composti da funzionari delle amministrazioni nazionali.

2.4

Il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione hanno adottato, nell'ottobre 2006, una dichiarazione congiunta (4), in cui vengono elencati diversi atti, già in vigore, da adeguare in via prioritaria alla nuova procedura, e si esprime soddisfazione per l'adozione della decisione 2006/512/CE, del Consiglio, che ha stabilito l'inclusione nella decisione 1999/468/CE, di una nuova procedura — denominata «procedura di regolamentazione con controllo» — che consente al legislatore di esercitare un controllo sull'adozione delle misure «quasi legislative» di esecuzione di un atto, adottato in codecisione.

2.5

Fatte salve le prerogative delle autorità legislative, il Parlamento ed il Consiglio riconoscono che i principi di una corretta legislazione esigono che le competenze di esecuzione siano conferite alla Commissione senza limiti di durata. Tuttavia, qualora risulti necessario procedere ad un eventuale adeguamento, essi ritengono che, una clausola che chieda alla Commissione di presentare una proposta di revisione o di abrogazione delle disposizioni, relative alla delega delle competenze di esecuzione, possa rafforzare il controllo esercitato dal legislatore.

2.6

La nuova procedura si applica, sin dalla sua entrata in vigore, alle misure «quasi legislative», previste in atti che saranno adottati secondo la procedura di codecisione, ivi comprese quelle previste negli atti che saranno adottati in futuro, nel settore dei servizi finanziari (atti «Lamfalussy» (5)).

2.7

Per contro, affinché la nuova procedura sia applicabile agli atti adottati in codecisione, che sono già in vigore, questi devono essere adeguati, conformemente alle procedure applicabili, al fine di sostituire la procedura di cui all'articolo 5 della decisione 1999/468/CE, con la procedura di regolamentazione con controllo, ogniqualvolta si tratti di misure che rientrano nel suo campo di applicazione.

2.8

La Commissione nel dicembre 2006 ha adottato le relative 25 proposte (6), sulle quali il Comitato ha avuto modo di pronunciarsi (7).

2.8.1

Quando un atto di base adottato secondo la procedura di cui all'articolo 251 del Trattato prevede l'adozione di misure di portata generale, intese a modificare elementi non essenziali di tale atto, anche sopprimendo taluni di questi elementi, o di completarlo tramite l'aggiunta di nuovi elementi non essenziali, tali misure sono adottate secondo la procedura di regolamentazione con controllo.

2.8.2

Il rappresentante della Commissione sottopone ad un comitato di regolamentazione con controllo — composto dei rappresentanti degli Stati membri e presieduto dal rappresentante della Commissione — un progetto delle misure da adottare.

2.8.3

Se le misure previste dalla Commissione sono conformi al parere del comitato, si applica la procedura seguente:

la Commissione sottopone, senza indugio, il progetto di misure al Parlamento europeo e al Consiglio, per controllo,

il Parlamento europeo, deliberando a maggioranza dei membri che lo compongono, o il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, possono opporsi all'adozione di detto progetto da parte della Commissione, adducendo a motivo della loro opposizione,

se entro tre mesi da quando è stata loro presentata la proposta, il Parlamento o il Consiglio si oppongono al progetto di misure, la Commissione non le adotta. In tal caso la Commissione può sottoporre al comitato un progetto di misure modificato o presentare una proposta legislativa in base al Trattato,

se allo scadere di tale termine né il Parlamento europeo né il Consiglio si sono opposti al progetto di misure, la Commissione adotta le misure.

2.8.4

Se le misure previste dalla Commissione non sono conformi al parere del comitato, o in assenza di parere, si applica la procedura seguente:

la Commissione sottopone senza indugio al Consiglio una proposta relativa alle misure da adottare e la trasmette al tempo stesso al Parlamento europeo,

il Consiglio delibera a maggioranza qualificata sulla proposta, entro due mesi da quando la stessa gli è stata presentata,

se entro questo termine il Consiglio si oppone, a maggioranza qualificata, alle misure proposte, queste ultime non sono adottate. In tal caso la Commissione può sottoporre al Consiglio una proposta modificata o presentare una proposta legislativa, in base al Trattato,

se il Consiglio prevede di adottare le misure proposte, le sottopone senza indugio al Parlamento europeo. Se il Consiglio non delibera entro il suddetto termine di due mesi, la Commissione sottopone senza indugio le misure al Parlamento,

il Parlamento, deliberando a maggioranza assoluta, entro un termine di quattro mesi dalla trasmissione della proposta, può opporsi all'adozione delle misure in questione, adducendo a motivo della sua opposizione:

il fatto che le misure proposte eccedono le competenze di esecuzione previste dall'atto di base,

che le misure non sono compatibili con il fine o il contenuto dell'atto di base,

non rispettano i principi di sussidiarietà e di proporzionalità,

se entro questo termine il Parlamento si oppone alle misure proposte, queste ultime non sono adottate. In tal caso la Commissione può sottoporre al comitato un progetto di misure modificato o presentare una proposta legislativa, in base al Trattato,

se allo scadere di tale termine il Parlamento non si è opposto alle misure proposte, queste sono adottate dal Consiglio o dalla Commissione, a seconda dei casi.

2.9

Le attuali proposte di regolamento si iscrivono nella esigenza di adeguare gli atti già adottati, secondo la procedura di cui all'articolo 251 del Trattato, conformemente alle procedure applicabili in tema di: agricoltura, occupazione, aiuti umanitari, politica dell'impresa, ambiente, statistiche europee, mercato interno, salute e tutela dei consumatori, energia e trasporti, società dell'informazione.

3.   Le proposte della Commissione europea

3.1

Le proposte della Commissione riguardano le modifiche di regolamenti e direttive (8) soggetti alla procedura di cui all'articolo 251 del Trattato, per adeguarli alle nuove procedure stabilite dalla decisione alla decisione 1999/468/CE del Consiglio, modificata dalla decisione 2006/512/CE.

3.2

In linea di principio, si tratta, conformemente alle priorità della politica comunitaria in materia di migliore regolamentazione (9), di procedere agli adeguamenti e agli aggiornamenti necessari, ai fini di un'adeguata applicazione dell'atto in questione, conformemente all'articolo 251 del TCE.

4.   Osservazioni generali

4.1

Il Comitato appoggia pienamente la distinzione fra strumenti legislativi ed esecutivi che, nell'ottica del Trattato di Lisbona, porterà ad una nuova definizione di atti delegati, consentendo di semplificare e razionalizzare la produzione legislativa e regolamentare comunitaria (10), mantenendo un sistema di controllo democratico parlamentare delle competenze di esecuzione della Commissione.

4.2

Il Comitato è, quindi, favorevole all'introduzione della procedura di regolamentazione con controllo nel sistema della comitatologia, che consente al Consiglio e al Parlamento europeo di controllare, ed eventualmente modificare, i regolamenti di esecuzione adottati dalla Commissione, quando l'atto legislativo le riconosce la facoltà di esercitare competenze di esecuzione in taluni settori, ma senza autorizzarla ad apportare modifiche di fondo.

4.3

Il Comitato raccomanda di procedere all'adozione dei regolamenti di riallineamento dei quattro pacchetti di direttive e regolamenti, secondo quanto previsto dalla decisione 2006/512/CE in tempo utile, prima dell'entrata in vigore del Trattato di Lisbona.

4.4

Il Comitato ricorda infatti che il Trattato di Lisbona introduce una nuova gerarchia delle norme mediante la distinzione tra atti legislativi, atti delegati e atti di esecuzione (11), pur mantenendo l'attuale terminologia (direttive, regolamenti e decisioni): il Parlamento e il Consiglio avranno uguali poteri per quanto attiene alla definizione delle modalità di controllo degli atti delegati e degli atti di esecuzione (comitatologia) (12).

4.5

Il Comitato sottolinea l'importanza di:

una completa partecipazione del PE, con diritto quindi, in sede finale, di respingere una decisione,

una riduzione del numero e della complessità delle procedure di comitatologia,

una maggiore informazione del PE in merito sia ai comitati sia alle misure loro sottoposte a tutti gli stadi della procedura,

una procedura di consultazione del PE da parte del Consiglio qualora un progetto di atto di esecuzione venga deferito al Consiglio a seguito di un conflitto interno alla Commissione e comitato d'esperti,

un rafforzato ruolo del PE attraverso una procedura di concertazione fra questi e il Consiglio in caso di parere negativo formulato dal PE,

la conferma della soppressione del limite temporale delle competenze di esecuzione previsto in taluni atti, adottati in base alla procedura di codecisione e alla procedura «Lamfalussy».

4.6

Il Comitato ribadisce, come già in precedenza affermato, che «le procedure di comitato, che coinvolgono soltanto i rappresentanti della Commissione e dei governi degli Stati membri e che sono finalizzate, a seconda del tipo di comitato istituito, alla gestione, alla consultazione o alla regolamentazione risultanti dal follow-up e dall'applicazione degli atti legislativi, debbano essere più trasparenti e più comprensibili per le persone residenti nell'UE, e in particolare per le persone direttamente interessate da tali atti» (13).

4.7

In proposito, il Comitato ricorda che occorre dare piena applicazione all'articolo 8A del Trattato di Lisbona che prevede che le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini, garantendo quindi la massima trasparenza e accessibilità degli atti comunitari per tutti i cittadini e la società civile.

4.8

Occorre, infine, a parere del CESE, che venga valutato l'impatto dell'applicazione della nuova procedura, presentando al Parlamento, al Consiglio ed al Comitato una relazione periodica sull'efficacia, sulla trasparenza e sulla diffusione di informazione user-friendly e accessibile a tutti degli atti comunitari delegati per poter effettuare un monitoraggio di questo esercizio che combina regolamentazione e vera e propria esecuzione.

Bruxelles, 29 maggio 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  COM(2006) da 901 def. a 926 def.

(2)  Decisione 2006/512/CE (GU L 200 del 22.7.2006).

(3)  Decisione 1999/468/CE (GU L 184 del 17.7.1999).

(4)  GU C 255 del 21.10.2006.

(5)  Il cosiddetto metodo Lamfalussy è un modello decisionale che trova applicazione per l'adozione e l'attuazione degli atti legislativi comunitari nel settore dei servizi finanziari (valori mobiliari, banche e assicurazioni). In particolare, il modello prevede l'articolazione del processo decisionale in quattro livelli:

al primo livello si colloca l'attività legislativa in senso stretto (adozione di regolamenti o direttive secondo la procedura di codecisione). In questa fase, in relazione al settore mobiliare, la Commissione consulta, prima di presentare le relative proposte legislative, il Comitato europeo dei valori mobiliari (ESC), composto di rappresentanti di ciascuno Stato membro;

al secondo livello intervengono le disposizioni di attuazione poste in essere dalla Commissione, sulla base della delega contenuta nell'atto legislativo, in conformità alla procedura di regolamentazione (ora di regolamentazione con controllo). In questa fase la Commissione, sulla base di un parere tecnico del Comitato europeo dei regolatori dei valori mobiliari (CESR), composto di rappresentanti delle autorità nazionali di regolamentazione e vigilanza nel settore, predispone un progetto di misure esecutive e lo sottopone al Comitato europeo dei valori mobiliari (ESC), che esprime un parere;

il terzo livello decisionale consiste, per quanto riguarda il settore mobiliare, nel coordinamento, in via informale in seno al CESR, delle attività delle autorità nazionali di regolazione e vigilanza sui valori mobiliari, al fine di garantire un recepimento uniforme e coerente delle disposizioni adottate ai primi due livelli;

al quarto livello decisionale si colloca, infine, l'attività di attuazione, in via legislativa e amministrativa, delle norme comunitarie da parte degli Stati membri e il relativo controllo della Commissione europea.

(6)  COM(2006) da 901 def. a 926 def..

(7)  GU C 161 del 13.7.2007, pag. 48, relatore: RETUREAU.

(8)  Cfr. COM(2007) 741 def., pag. 6, Allegato — Elenco 1 — Elenco Generale.

(9)  Cfr. Parere 1068/2005 del 28 settembre 2005, relatore: RETUREAU, e parere CESE 1069/2005 del 6 ottobre 2005, relatore: VAN IERSEL.

(10)  Cfr. PE relazione sul Trattato di Lisbona 18 febbraio 2008, relatori: Íñigo MÉNDEZ DE VIGO (DE/PPE) e Richard CORBETT (UK/PSE).

(11)  Articoli 249-249d del TFUE.

(12)  Articoli 249b e 249c del TFUE.

(13)  Parere CESE 418/2007 del 14 marzo 2007, relatore: RETUREAU.


30.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 224/39


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l'assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli e il controllo dell'obbligo di assicurare tale responsabilità (versione codificata)

COM(2008) 98 def. — 2008/0049 (COD)

(2008/C 224/08)

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 22 aprile 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l'assicurazione della responsabilità civile risultante dalla circolazione di autoveicoli e il controllo dell'obbligo di assicurare tale responsabilità (versione codificata).

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, in data 29 maggio 2008, nel corso della 445a sessione plenaria, ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 80 voti favorevoli e 3 astensioni.

 

Bruxelles, 29 maggio 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


30.8.2008   

IT

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C 224/39


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde — Verso una nuova cultura della mobilità urbana

COM(2007) 551 def.

(2008/C 224/09)

La Commissione europea, in data 25 settembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al:

Libro verde — Verso una nuova cultura della mobilità urbana.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 maggio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore HERNÁNDEZ BATALLER e dal correlatore BARBADILLO LÓPEZ.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 maggio 2008, nel corso della 445a sessione plenaria, ha adottato all'unanimità il seguente parere.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato ritiene che si debbano stabilire delle priorità nella politica della mobilità urbana soprattutto per quanto riguarda la pianificazione urbana, la società dell'informazione, le tecnologie dell'informazione e le buone pratiche, specie per la creazione di spazi pubblici riservati ai pedoni e alle biciclette e l'introduzione di un approccio integrato alle infrastrutture.

1.2

Il Comitato appoggia la Commissione e spera che essa promuova misure comunitarie a favore della mobilità, specie per dare la priorità al trasporto collettivo con un elevato livello di qualità e di protezione degli utenti, dando impulso all'uso della bicicletta e degli spostamenti a piedi.

1.3

Per quanto detto sopra occorre pianificare in modo adeguato e compatto le città, contenendo la domanda di trasporto individuale su gomma, sulla base di un assetto territoriale e una pianificazione urbana coerenti e razionali.

1.4

Il Comitato ritiene che, fatta salva l'adozione di altri tipi di misure, si debbano modificare le direttive 85/377/CEE e 2001/42/CE nel senso illustrato nel presente parere.

1.5

Il Comitato è favorevole alla promozione dell'utilizzo di «acquisti verdi» negli appalti per le infrastrutture finanziate con programmi europei e alla soppressione degli ostacoli esistenti.

1.6

La creazione di un Osservatorio europeo della mobilità urbana e sostenibile apporterebbe un valore aggiunto in quanto raccoglierebbe dati e promuoverebbe lo scambio di esperienze.

1.7

Il Comitato reputa necessarie regole comuni a livello europeo per l'armonizzazione dei criteri di calcolo della tariffazione e dei dati statistici.

2.   Introduzione

2.1

Negli ultimi anni è aumentato sensibilmente il volume di traffico generale sia urbano che extraurbano e spesso si è assistito ad un profondo cambiamento nella ripartizione modale del traffico: l'uso dell'automobile privata ha fatto registrare un aumento, mentre il peso del trasporto pubblico è andato gradualmente diminuendo in termini assoluti e comparativi.

2.2

Nel 2006, in occasione della presentazione del riesame intermedio del Libro bianco sui trasporti (1), la Commissione europea ha annunciato l'intenzione di presentare un Libro verde sul trasporto urbano e negli ultimi mesi ha condotto un'ampia consultazione pubblica. Anche il Comitato si è pronunciato in merito (2)

2.2.1

Il Comitato ritiene utile e necessario l'intervento comunitario in materia di mobilità urbana e reputa che il livello comunitario (3) nell'adozione di decisioni comporti un valore aggiunto europeo che si può declinare in una grande varietà di misure vincolanti o meno.

3.   Il contenuto del Libro verde — Verso una nuova cultura della mobilità urbana

3.1

Il processo di consultazione condotto dalla Commissione ha confermato alcune grandi aspettative sulla formulazione di una vera politica europea di mobilità urbana.

3.2

Ripensare la mobilità urbana significa ottimizzare l'uso di tutti i modi di trasporto e organizzare la «co-modalità» tra i diversi modi di trasporto collettivo (treno, tram, metropolitana, autobus, taxi) e individuale (automobile, motocicletta, bicicletta, spostamenti a piedi, ecc.).

3.3

La mobilità urbana è considerata un importante fattore propulsivo della crescita e dell'occupazione, oltre che un elemento determinante per lo sviluppo sostenibile nell'UE.

3.4

Il valore aggiunto europeo potrà manifestarsi in varie forme: scambio di buone pratiche a tutti i livelli — locale, regionale e nazionale -; definizione di criteri comuni o armonizzazione delle norme vigenti; sostegno finanziario a chi ne ha più bisogno; promozione della ricerca applicata al miglioramento della mobilità, della sicurezza e della tutela ambientale; semplificazione legislativa e, in alcuni casi, abrogazione di normative desuete o introduzione di nuove norme.

3.5

Il Libro verde, formulando 25 domande, analizza in diversi capitoli come affrontare la sfida per ottenere un traffico scorrevole nelle città, città più pulite, un trasporto urbano più intelligente, più accessibile e sicuro, e come creare una nuova cultura della mobilità urbana e reperire le risorse finanziarie necessarie. La Commissione, tuttavia, non propone misure concrete di trasporto urbano di carattere verticale o orizzontale, come pure sarebbe auspicabile.

4.   Risposte al Libro verde

Si cercherà di rispondere a tutte le domande formulate dalla Commissione.

4.1   Domanda 1 — Sarebbe opportuno introdurre una sorta di «marchio» per attestare lo sforzo delle città pioniere nella lotta alla congestione e nell'impegno per migliorare le condizioni di vita?

4.1.1

Il Comitato ritiene che si potrebbe stabilire una sorta di «marchio» che tenga conto dei sistemi già esistenti e risulti compatibile con essi.

4.1.2

A livello comunitario avrebbe un effetto positivo l'impegno della Commissione a rendere oggettivi gli indicatori di rendimento, pianificazione e sviluppo, stabilendo un quadro di riferimento armonizzato.

4.1.3

Si potrebbero anche creare sistemi di riconoscimento (più che incentivi) a cui aderire su base volontaria, come per esempio quelli utilizzati nell'ambito della politica turistica.

4.1.4

In ogni caso tali sistemi devono basarsi su criteri obiettivi e trasparenti, essere soggetti a valutazioni periodiche e, eventualmente, a revisioni ed essere sufficientemente pubblicizzati.

4.2   Domanda 2 — Quali provvedimenti si potrebbero prendere per incoraggiare gli abitanti delle città a spostarsi a piedi e in bicicletta come alternativa all'automobile?

4.2.1

Per la quota modale che detengono, gli spostamenti a piedi e in bicicletta non possono essere considerati in linea generale un'alternativa all'utilizzo del veicolo privato, tranne che nei casi in cui la distanza fra luogo di lavoro e domicilio sia molto limitata e le condizioni meteorologiche siano accettabili. L'uso della bicicletta inoltre non è universale, dato che esclude le persone con mobilità ridotta, le persone disabili, i bambini e gli anziani. Tuttavia, in collegamento con il trasporto collettivo, gli spostamenti a piedi e in bicicletta possono anche rappresentare delle alternative in determinate città.

4.2.2

I comuni dovrebbero elaborare piani di trasporto urbano sostenibile che comprendano piste ciclabili, con l'obiettivo vincolante di ottenere uno spostamento modale verso mezzi di trasporto rispettosi dell'ambiente che soddisfino i requisiti minimi europei che devono ancora essere stabiliti. Questi piani devono prevedere le situazioni pericolose per i pedoni ed evitare le situazioni di conflitto tra i diversi modi di trasporto.

4.2.3

A tale scopo essi dovrebbero introdurre un obiettivo quantitativo per incrementare la quota modale del trasporto pubblico di passeggeri e degli spostamenti in bicicletta e a piedi. Se non elaborano piani con tali caratteristiche, dovrebbero restare esclusi dagli aiuti finanziari a titolo dei fondi comunitari. La Commissione dovrebbe inoltre verificare i dati di tali piani relativi alle zone verdi e alle piste ciclabili.

4.3   Domanda 3 — Cosa si può fare per promuovere un cambio modale verso modi di trasporto sostenibili in città?

4.3.1

Le varianti dipendono, in larga misura, dalle dimensioni (estensione e numero di abitanti) della città, dato che occorre sottolineare che l'inquinamento è anche un problema dovuto ad una cattiva pianificazione territoriale e non solo ai trasporti.

4.3.2

Considerare il problema e le sue possibili soluzioni a livello di pianificazione territoriale e urbanistica; creare parcheggi pubblici sicuri nei punti di accesso alle città; allestire corsie preferenziali destinate esclusivamente al trasporto collettivo; collegare i diversi modi di trasporto (parcheggi, ferrovia e metropolitana) mediante la costruzione di poli di scambio che favoriscano l'intermodalità, in modo da agevolare i trasbordi, e incrementare la qualità del servizio per rendere i trasporti pubblici più attraenti per gli utenti.

4.3.3

Per quanto riguarda il trasporto di merci, la Commissione dovrebbe promuovere lo scambio di buone pratiche nell'ambito della logistica urbana; un esempio di buona pratica in tale ambito è fornito dal comune di Siena in cui il rilascio del permesso di transito per il trasporto merci ha esclusivamente un carattere temporale.

4.4   Domanda 4 — In che modo si potrebbe incrementare ulteriormente l'uso di tecnologie pulite e a basso consumo energetico nel trasporto urbano?

4.4.1

Mediante una politica fiscale nel settore dei trasporti che favorisca l'acquisizione, l'installazione e l'utilizzo delle nuove tecnologie capaci di ridurre l'inquinamento e di incrementare il risparmio energetico.

4.4.2

Mediante la raccolta di «informazioni» sul comportamento ambientale delle città: calcolo delle emissioni dovute al trasporto per abitante e campagna annuale di diffusione dei risultati.

4.5   Domanda 5 — Come si possono promuovere gli appalti ecologici congiunti?

4.5.1

Promuovendo il ricorso ad «acquisti verdi» negli appalti relativi a infrastrutture finanziate con programmi europei e sopprimendo gli ostacoli esistenti (4).

4.5.2

A livello comunitario si dovrebbe procedere alla definizione di norme comuni e, qualora necessario, a un'armonizzazione delle norme.

4.6   Domanda 6 — Si dovrebbero stabilire criteri e orientamenti in merito alle «zone urbane pulite» e alle misure restrittive in esse vigenti? Qual è il modo migliore per garantire che non ostacolino la libertà di circolazione? Sarebbe auspicabile l'applicazione transfrontaliera delle norme locali che regolamentano le «zone urbane pulite»?

4.6.1

Il Comitato ritiene che l'accesso a tali zone dovrebbe essere fortemente ridotto. Ciononostante risulta necessaria un'armonizzazione, per evitare che norme divergenti comportino problemi alla libertà di circolazione delle persone e limitino inutilmente la mobilità urbana.

4.7   Domanda 7 — Come si può promuovere «la guida ecologica»?

4.7.1

La guida ecologica deve essere inserita, nella dovuta misura, nei programmi obbligatori per la formazione iniziale e permanente dei conducenti. Occorre inoltre concedere agevolazioni fiscali alle aziende automobilistiche che installano strumenti di controllo e di misurazione delle modalità di guida dei veicoli. Si potrebbe modificare la direttiva sui corsi di guida per introdurvi tali criteri.

4.8   Domanda 8 — Occorre creare e promuovere migliori servizi d'informazione per i passeggeri?

4.8.1

Sì, sulla sicurezza a bordo, sui tempi di attesa e di transito, sul comportamento dei passeggeri in situazione di emergenza e su tutte le opzioni di trasporto esistenti e sulle loro condizioni.

4.9   Domanda 9 — Sono necessari ulteriori interventi per assicurare la standardizzazione delle interfacce e l'interoperabilità delle applicazioni STI nelle città? Quali applicazioni si considerano prioritarie per attivare simili interventi?

4.9.1

Il grado di compatibilità fra i diversi STI deve essere totale per permettere l'uso delle diverse tecnologie, specie in relazione ai diversi titoli di trasporto, agevolando i trasbordi e migliorando i tempi di accesso al trasporto, il che si tradurrà in un incremento della velocità commerciale del trasporto collettivo. È importante che gli STI consentano l'applicazione dei progressi tecnologici in modo da non risultare obsoleti in un breve lasso di tempo e da poter essere debitamente ammortizzati.

Il Comitato ritiene che si debbano utilizzare le tecnologie dell'informazione e della comunicazione per migliorare il traffico e l'organizzazione dei trasporti.

4.10   Domanda 10 — Riguardo agli STI, come si potrebbe migliorare lo scambio di informazioni e di buone pratiche tra tutti gli interessati?

4.10.1

Mediante la pubblicazione di un elenco digitale di buone pratiche nell'ambito degli STI che venga costantemente aggiornato e possa essere consultato su Internet.

4.11   Domanda 11 — In che modo può essere migliorata la qualità del trasporto collettivo nelle città europee?

4.11.1

Creando organi di coordinamento dei diversi servizi di trasporto collettivo con l'istituzione di sistemi di integrazione tariffaria, esigendo materiale di trasporto più soddisfacente (meno inquinante e adeguato a persone con mobilità ridotta), incrementando il numero di corse o la frequenza in modo da diminuire i tempi di attesa dei viaggiatori, creando vie riservate per gli autobus (maggior sicurezza, confort e rapidità e minor consumo energetico, il che equivale a un minor inquinamento), costruendo poli di scambio che agevolino i trasbordi, migliorando la formazione dei professionisti del settore e l'informazione e la sensibilizzazione degli utenti, fornendo infrastrutture per l'adeguata distribuzione del traffico di transito nelle città, costruendo parcheggi di interscambio e incentivandone l'uso, introducendo il preferenziamento semaforico dei mezzi di trasporto collettivo, creando spazi adeguati per far scendere e salire i passeggeri in tutta sicurezza.

4.11.2

Uno degli strumenti che risulterebbe più efficace a tal fine è la valutazione dell'impatto di determinati piani, programmi e progetti sulla mobilità.

4.11.3

In tal senso occorre ricordare la sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee (causa C-332/04) sull'omissione della valutazione ambientale di un progetto di costruzione di un centro commerciale e ricreativo in una zona urbana: proprio il volume degli utenti che avrebbero utilizzato un mezzo di trasporto privato per recarvisi, e che era stato stimato a suo tempo, ha determinato l'impatto sull'ambiente, ed era precisamente la stima di tale volume a rendere necessaria una valutazione d'impatto.

4.11.4

Di conseguenza, si potrebbe prendere in considerazione la modifica delle direttive esistenti sotto un triplice profilo.

4.11.4.1

La direttiva 85/337/CEE, relativa alla valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati stabilisce nell'allegato III i criteri che gli Stati membri devono applicare per decidere se determinati progetti presentano un impatto ambientale importante.

Si propone di aggiungere un nuovo trattino al paragrafo 1 dell'allegato III in cui si faccia esplicito riferimento ai dati disaggregati della mappa della mobilità (stima del numero di utenti delle strutture, luogo di residenza originario, ecc.).

4.11.4.2

In secondo luogo, la direttiva stabilisce nell'allegato IV le informazioni che dovranno essere necessariamente fornite nella relazione ambientale.

Il Comitato propone:

a)

di inserire un nuovo trattino nel paragrafo 4 dell'allegato IV o di modificare il terzo trattino esistente nel senso di far esplicito riferimento alle emissioni dovute al trasporto degli utenti abituali delle strutture del progetto;

b)

di ampliare il paragrafo 5 dell'allegato IV nel senso di considerare non solo l'esecuzione del progetto, bensì il funzionamento successivo delle strutture e le misure correttrici in relazione alle emissioni imputabili al trasporto collegato a tali strutture.

In definitiva, le modifiche da apportare alla direttiva 85/337/CEE riguardano l'allegato III, paragrafo 1, e l'allegato IV, paragrafi 4 e 5.

4.11.4.3

In terzo luogo, nella direttiva 2001/42/CE concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente si potrebbero inserire elementi aggiuntivi analoghi (criteri da osservare obbligatoriamente e informazioni necessarie per la relazione ambientale relative alla mobilità e ai mezzi di trasporto). In questo caso occorre inserire nel senso indicato l'impatto dei piani sulla mobilità, in particolare nell'allegato I, lettera f) e nell'allegato II, paragrafo 2.

4.12   Domanda 12 — Va incoraggiato l'allestimento di corsie riservate ai mezzi di trasporto collettivo?

4.12.1

Sì, questa misura è indispensabile e ha un notevole impatto sulla mobilità. Corsie preferenziali o vie riservate significano maggiore sicurezza, maggiore rapidità, minore congestione del traffico e minor consumo energetico, nonché maggior confort per i passeggeri. Questa misura contribuisce ad attirare verso il trasporto collettivo utilizzatori del veicolo privato.

4.13   Domanda 13 — Si avverte la necessità di adottare uno statuto europeo dei diritti e doveri degli utenti dei servizi di trasporto collettivo?

4.13.1

Rafforzare i diritti e gli obblighi degli utenti è essenziale affinché i modi di trasporto collettivo migliorino la qualità del servizio (frequenza, puntualità, confort per tutte le categorie di utenti, sicurezza, politica tariffaria, ecc.). Il Comitato invita a farlo, sempre tenendo conto però delle caratteristiche di ogni modo di trasporto, specie di quelli che condividono le infrastrutture con altri.

4.13.2

Data la dispersione normativa esistente nei diversi testi giuridici e per i singoli modi di trasporto, si dovrebbero far confluire tutti i diritti degli utenti del trasporto collettivo in una «carta dei diritti», lasciando un margine di manovra, affinché la carta possa essere completata dagli Stati membri e per autoregolamentazione mediante codici di condotta (5) sottoscritti dagli operatori economici e dalla società civile organizzata (associazioni di consumatori, ambientalisti, imprenditori, sindacati, ecc). Il Comitato insiste sull'importanza del dialogo fra tali associazioni e le aziende di trasporto collettivo, specie per migliorare la qualità del servizio.

Sarebbe opportuna un'azione a livello comunitario, per rimodellare e consolidare i diritti esistenti nei diversi testi giuridici, completata dall'azione degli Stati membri e delle organizzazioni della società civile. Il Comitato insiste sulla necessità di disporre di meccanismi e strumenti agili e semplici che rendano effettivi i diritti degli utenti.

4.14   Domanda 14 — Quali misure sarebbero utili per meglio integrare il trasporto di persone e di merci nelle attività di ricerca e nella pianificazione della mobilità urbana?

4.14.1

I piani di mobilità urbana nelle aree metropolitane dovranno contemplare sia il trasporto di persone che quello di merci, per fare in modo che la logistica della distribuzione delle merci si possa sviluppare senza incidere negativamente sulla mobilità delle persone.

4.14.2

Per questo è necessario un aumento del personale addetto alla sorveglianza delle aree riservate alle operazioni di carico e scarico di passeggeri e merci.

4.14.3

Creazione di meccanismi che agevolino e rendano flessibili i sistemi di denuncia delle infrazioni in modo che il veicolo in infrazione venga rimosso al più presto dall'area riservata e questa possa tornare ad essere operativa.

4.14.4

Creazione di meccanismi efficaci di sanzioni in caso di infrazione, che vadano dalla rimozione del veicolo alla riscossione della multa.

4.14.5

Campagna di informazione e di sensibilizzazione dei cittadini con l'obiettivo di ottenerne il consenso e la collaborazione nel conseguimento degli obiettivi indicati; uno degli obiettivi di tale campagna dovrebbe essere quello di ottenere la collaborazione dei proprietari degli esercizi commerciali nella sorveglianza delle aree riservate alle operazioni di carico e scarico, spiegando loro che l'occupazione illegale di tali aree può essere dannosa per la loro attività economica.

4.14.6

Limitazione del tempo di sosta nelle aree riservate alle operazioni di carico e scarico maggiormente in linea con il tempo necessario per la maggioranza di queste operazioni. Si potrebbe prevedere la possibilità di richiedere autorizzazioni speciali per aumentare il tempo di sosta. In tal modo non si penalizzerebbero alcuni tipi di trasporto (come i traslochi) che richiedono tempi maggiori per le operazioni di carico e scarico delle merci. Si potrebbero stabilire anche delle fasce orarie precise per le operazioni di carico e scarico.

4.15   Domanda 15 — Come si può conseguire un migliore coordinamento tra pianificazione urbanistica e trasporto urbano e interurbano? Che tipo di struttura organizzativa è ritenuto idoneo?

Mediante un adeguato coordinamento nei seguenti ambiti:

a)

coordinamento fra i diversi organismi:

la creazione in alcune città europee di organi di coordinamento del trasporto ha contribuito con ottimi risultati al coordinamento e alla pianificazione dei trasporti in tali città, sviluppando servizi di qualità, efficaci ed efficienti,

in relazione al coordinamento con altri modi di trasporto, si deve introdurre una maggiore trasparenza nell'imputazione dei costi dei diversi modi di trasporto collettivo,

sarebbe opportuno che i servizi di trasporto interurbani disponessero delle infrastrutture necessarie per l'intercambio modale, in modo da agevolare i trasbordi fra i diversi tipi di trasporto collettivo, evitando così il mezzo di trasporto supplementare che il viaggiatore deve prendere per passare da un modo di trasporto ad un altro;

b)

coordinamento con gli strumenti di pianificazione:

la previsione dell'impatto sulla mobilità che hanno determinati piani e progetti è un'esigenza già stabilita dall'importante sentenza della Corte di giustizia del 16 marzo 2006 (causa C-332/04): l'obbligo di sottoporre a valutazione dell'impatto ambientale il controverso progetto si è basato fondamentalmente sulla stima dell'impatto che esso avrebbe avuto sulla mobilità. Tuttavia tale criterio non è stato ancora inserito nel diritto positivo,

di conseguenza, si reputano necessarie due modifiche specifiche delle norme comunitarie sulla valutazione dell'impatto ambientale per inserire, fra gli impatti da considerare, quello del piano o del programma sulla mobilità. In particolare si propongono le modifiche indicate nella risposta alla domanda 11,

gli enti regionali devono utilizzare in modo coerente la pianificazione territoriale strategica per l'uso razionale del suolo.

4.16   Domanda 16 — Quali ulteriori misure si dovrebbero prendere perché nelle città sia garantito un massimo di sicurezza per tutti gli utenti della strada e del trasporto urbano?

4.16.1

Sicurezza stradale: a livello europeo, promuovere le buone pratiche e intavolare un dialogo più assiduo e strutturato con gli attori locali e regionali e con gli Stati membri sulle nuove tecnologie e in particolare sugli STI, al fine di migliorare la sicurezza. Si dovrebbe anche aumentare il livello di formazione dei professionisti del settore in materia di guida e si dovrebbero introdurre misure dissuasive per evitare che le infrazioni transfrontaliere al codice della strada rimangano impunite.

4.16.2

Protezione personale: per promuovere le buone pratiche, si dovrebbe intensificare la presenza fisica della polizia all'interno dei veicoli per il trasporto collettivo, fondamentalmente nelle ore notturne o sulle linee che conducono nei quartieri con maggior indice di conflittualità e di esclusione sociale, nonché aumentare l'uso delle tecnologie dell'informazione e l'informazione degli utenti.

4.17   Domanda 17 — Come informare meglio operatori e cittadini delle possibilità offerte dalle tecnologie avanzate per la sicurezza delle infrastrutture e dei veicoli?

4.17.1

Sensibilizzando i cittadini mediante campagne di educazione e informazione, specie dirette ai giovani. Anche mediante iniziative volte a generalizzare l'impiego di dispositivi di controllo delle infrazioni nelle città, nei confronti di tutti gli utenti della strada. In generale il CESE ritiene particolarmente pertinente l'adozione di misure volte a potenziare l'aspetto culturale e di educazione civica in tutti i temi correlati con la mobilità urbana.

4.18   Domanda 18 — È opportuno promuovere l'introduzione di radar automatici adatti all'ambiente urbano?

4.18.1

In funzione dei fini perseguiti, devono essere sempre orientati al miglioramento della mobilità e all'ottimizzazione delle velocità commerciali. Promuovendo le buone pratiche per aumentare la sicurezza e l'utilizzo di dispositivi intelligenti.

4.19   Domanda 19 — La videosorveglianza è uno strumento utile per garantire la sicurezza nel trasporto urbano?

4.19.1

È opportuna l'installazione, nei veicoli di trasporto collettivo, di sistemi di emergenza basati sulle nuove tecnologie che consentano di informare i servizi di emergenza in caso di atti di vandalismo o di incidenti, comunicando informazioni sulla situazione del veicolo e trasmettendo immagini e suoni di quanto sta avvenendo al suo interno.

4.19.2

Si devono adottare misure adeguate per evitare l'invasione della privacy che è un diritto fondamentale della persona.

4.20   Domanda 20 — L'affiorare di una nuova cultura della mobilità urbana in Europa deve essere il frutto della collaborazione tra tutti gli attori? A sostegno di tale collaborazione, può essere utile creare un osservatorio europeo sulla mobilità urbana, basato sul modello dell'Osservatorio europeo della sicurezza stradale?

4.20.1

Una nuova cultura della mobilità urbana implica la collaborazione delle istituzioni europee, di quelle degli Stati membri, delle regioni e degli enti locali, nonché delle organizzazioni della società civile.

4.20.2

Un osservatorio europeo sulla mobilità urbana sostenibile sarebbe un'iniziativa utile e apporterebbe un valore aggiunto, in quanto consentirebbe di raccogliere dati, conoscere l'evoluzione della domanda di trasporto e promuovere lo scambio di esperienze. Permetterebbe inoltre di disporre di una maggiore conoscenza dei problemi derivanti dalla mobilità e quindi di applicare politiche adeguate alla loro soluzione.

A livello europeo, si dovrebbe procedere ad un'armonizzazione del calcolo delle misure unitarie di valutazione urbana, in quanto un'unificazione dei criteri in tale ambito è, a parere del Comitato, positiva.

4.21   Domanda 21 — Come si potrebbero utilizzare meglio e in modo più coerente gli strumenti finanziari esistentiin particolare fondi strutturali e di coesioneper incentivare un trasporto urbano integrato e sostenibile?

4.21.1

Stabilendo come obiettivo di miglioramento dei fondi strutturali la mobilità urbana e la transizione graduale verso veicoli puliti per il trasporto collettivo (bassi consumi, basse emissioni) e sforzandosi di ottenere un maggior beneficio per ogni euro investito.

Il Comitato è favorevole ad incrementare la percentuale dei fondi destinati all'educazione e alla ricerca.

4.21.2

È però anche necessario diminuire i contributi finanziari mediante la fissazione di parametri obiettivi che consentano di optare per la soluzione più redditizia per la comunità, per offrire al cittadino un trasporto di qualità ad un costo ragionevole. Si dovrebbe dare la priorità all'efficacia e all'adempimento degli obblighi di servizio pubblico.

4.22   Domanda 22 — Quali strumenti economici, soprattutto di mercato, potrebbero incentivare un trasporto urbano pulito e a basso consumo energetico?

4.22.1

L'imposizione di «clausole verdi» negli appalti relativi a infrastrutture finanziate con programmi europei.

4.22.2

Un'altra possibilità sarebbe quella di inserire i criteri illustrati in Acquistare verde! Un manuale sugli appalti pubblici ecocompatibili [SEC(2004) 1050] in un documento COM, aggiungendovi gli acquisti verdi pubblici delle attrezzature di trasporto.

Il mercato dei veicoli privati e dei mezzi di trasporto collettivi sta cambiando, diventando più rispettoso dell'ambiente. L'acquisto di veicoli più puliti (sotto il profilo del carburante e del motore) dovrebbe essere favorito, e gli sforzi finanziari degli acquirenti dovrebbero essere ricompensati da un trattamento differenziato dei loro veicoli nelle politiche di accesso ai centri urbani.

4.23   Domanda 23 — Quali attività di ricerca mirate potrebbero contribuire ad integrare vincoli urbanistici e sviluppo del traffico cittadino?

4.23.1

Stabilire in modo chiaro le tipologie di progetti che possono ottenere aiuti pubblici comunitari ed esigere (mediante debito controllo) il conseguimento (entro una determinata scadenza) degli obiettivi di tali progetti, in modo che, in caso negativo, sia possibile ottenere la restituzione degli aiuti concessi.

4.24   Domanda 24 — Si dovrebbero incoraggiare le amministrazioni cittadine ad instaurare il pedaggio urbano? Occorre una disciplina generale e/o orientamenti specifici per il pedaggio urbano? I proventi del pedaggio urbano dovrebbero essere utilizzati per migliorare il trasporto collettivo? È opportuno internalizzare i costi esterni?

4.24.1

Mancano regole comuni a livello europeo, cui si dovrebbe arrivare attraverso l'armonizzazione dei criteri di calcolo del pedaggio e la valutazione di una soglia adeguata di densità della rete dei trasporti collettivi.

4.24.2

A prescindere da ciò, il Comitato ritiene che i sistemi di tariffazione o pedaggio per l'accesso al centro delle città vengano introdotti nell'interesse generale e producano risultati immediati accettabili, ma possano risultare discriminatori per le fasce di popolazione a reddito più basso e avere uno scarso effetto dissuasivo sulle fasce sociali con reddito elevato.

Gli enti locali devono adottare misure per ovviare agli eventuali effetti negativi, per esempio promuovendo l'utilizzo del trasporto collettivo o prevedendo tessere o abbonamenti a prezzo ridotto.

4.24.3

Un'alternativa con «effetti orizzontali» su tutte le fasce di reddito sarebbe un «pedaggio» ai punti di accesso, però non per la riscossione di una somma di denaro, bensì per il «computo» della quota disponibile di chilometri urbani che verrebbe assegnata ad ogni conducente. Si propone praticamente un «razionamento» dell'accesso alle città (chilometro/unità di tempo), il che imporrebbe di selezionare e amministrare i tragitti urbani compiuti da veicoli privati, anche se si dovrà considerare il rischio di una certa discriminazione dovuta al luogo di residenza, di origine e di destinazione.

4.24.4

Naturalmente, questa sarebbe un'ulteriore ripartizione in zone rispetto a quella già proposta di «zone a bassa densità di traffico», in cui il traffico resterebbe essenzialmente limitato al trasporto collettivo e ai residenti.

4.25   Domanda 25 — Quale sarebbe, a lungo termine, il valore aggiunto di un contributo finanziario mirato dell'UE a favore di un trasporto urbano pulito e a basso consumo energetico?

4.25.1

Il valore aggiunto è immenso e difficile da quantificare se teniamo conto dei fattori relativi alla salute sia fisica che psichica e del valore del tempo delle persone (elemento influenzato dai notevoli tempi necessari per gli spostamenti casa-lavoro e viceversa che, sommati ad una giornata di lavoro, generano una lunga serie di fattori negativi).

Bruxelles, 29 maggio 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  COM(2006) 314 def. Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeoMantenere l'Europa in movimentouna mobilità sostenibile per il nostro continenteRiesame intermedio del Libro bianco sui trasporti pubblicato nel 2001 dalla Commissione europea.

(2)  GU C 168 del 27.7.2007, pag. 74 sul tema Trasporti nelle aree urbane e metropolitane, relatore: RIBBE.

(3)  Tenuto conto del protocollo n. 30 del Trattato CE sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e proporzionalità e dell'Accordo interistituzionale del 25 ottobre 1993 fra il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione.

(4)  Cfr. sentenza CGCE Concordia Bus e i criteri ivi utilizzati.

(5)  Cfr. parere in merito alla Comunicazione della CommissioneVerso una Carta europea dei diritti dei consumatori d'energia, GU C 151 del 17.6.2008, relatore: IOZIA


30.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 224/46


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Comunicazione della Commissione — Piano d'azione per la logistica del trasporto merci

COM(2007) 607 def.

(2008/C 224/10)

La Commissione europea, in data 18 ottobre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione — Piano di azione per la logistica del trasporto merci.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 maggio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore RETUREAU.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 maggio 2008, nel corso della 445a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 99 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato approva il piano d'azione proposto dalla Commissione e auspica di essere consultato in merito alla relazione intermediaria sulla sua attuazione, prevista per il 2010, in modo da constatare i progressi realizzati e gli eventuali problemi rimasti.

1.2

Il CESE condivide il punto di vista secondo cui per i terminali intermodali, compresi i porti e gli aeroporti, è opportuno effettuare analisi comparative (benchmarking) specifiche, in stretta collaborazione con l'industria. Grazie all'uso di valori generici a livello europeo, che possono essere affinati a livello locale, è possibile, viste le diverse caratteristiche dei terminali terrestri, dei porti marittimi, degli aeroporti e dei porti di navigazione interna, differenziare sufficientemente i valori di riferimento.

1.3

In generale, la fissazione dei prezzi relativi ai vari modi di trasporto non tiene conto del loro impatto reale sulle infrastrutture, l'ambiente e l'efficacia energetica, né del loro costo sociale in senso stretto o dei costi che comportano per la società nel suo insieme e per il territorio.

1.4

Gli strumenti previsti per il raffronto e la valutazione in tale contesto dovranno quindi comparare fra di loro le catene di trasporto utilizzabili, applicando come criterio la loro sostenibilità, per agevolare l'instaurazione di un meccanismo di fissazione delle tariffe e di regolazione che assicuri la scelta del modo di trasporto più efficiente e più sostenibile, in funzione della natura delle merci trasportate e dei modi disponibili.

1.5

La condizione sine qua non per una maggiore efficienza della logistica dei trasporti rispondente alle necessità degli utenti e della società nel suo insieme è rappresentata da progressi decisivi e rapidi sia nell'impiego delle nuove tecnologie disponibili sia nella nuova ricerca in materia, nonché da un impegno costante per la formazione e qualificazione del personale e per il miglioramento delle condizioni di lavoro. Al tempo stesso occorre ottimizzare l'uso delle infrastrutture esistenti e valorizzare le risorse umane, materiali e finanziarie investite nei trasporti e nella logistica. Occorre altresì promuovere una rivalorizzazione e una maggiore attrattività delle professioni nel settore. Sarà inoltre necessario realizzare nuovi investimenti per accelerare l'integrazione dei nuovi membri e facilitare sia la politica euromediterranea sia la politica di vicinato. Resta peraltro da valutare quali saranno le prospettive di lungo periodo circa l'evoluzione della domanda per procedere alle spese d'investimento da ammortizzare a lunghissimo termine.

1.6

Occorre aumentare la disponibilità e la sicurezza delle strade, in particolare nelle zone che confinano con paesi terzi.

1.7

I confini marittimi dell'UE si sono allungati, e si affacciano ora sul Baltico e sul Mar Nero. Essi sono collegati al grande asse del Danubio, che va rivitalizzato. L'Europa dispone di piattaforme portuali su cui transita il 90 % degli scambi con i paesi terzi e il 40 % degli scambi fra gli Stati membri dell'Unione europea. Esse registrano un forte sviluppo delle attività logistiche, ma necessitano di notevoli miglioramenti: in particolare vanno migliorati i collegamenti terrestri, diversificando i modi di trasporto utilizzati e facendo maggior ricorso alle tecniche intermodali. Sarà necessario migliorare anche le tecniche e l'organizzazione dei trasbordi e ricercare un migliore equilibrio fra le diverse zone portuali e una maggiore complementarità fra di esse e gli hub terrestri.

1.8

Il Comitato appoggia l'impiego delle nuove tecnologie, la ricerca applicata su tutti gli aspetti migliorabili dei diversi modi di trasporto (infrastrutture, materiale di trasporto e manutenzione, organizzazione e condizioni di lavoro, ecc.), il contributo volontario alla definizione delle norme tecniche e degli standard universali per la messaggeria e le comunicazioni per favorire la fluidità dei traffici e una armoniosa co-modalità, nonché una migliore conciliazione fra, da un lato, la crescita della produzione e degli scambi e, dall'altro, i trasporti, anch'essi inevitabilmente in costante aumento. Su questo punto è essenziale una maggiore efficacia delle catene logistiche.

1.9

Occorre proseguire la ricerca sui motori e sulla loro efficacia energetica, sui carburanti non fossili, tanto per i veicoli adibiti ai trasporti di persone (sia individuali che collettivi) quanto per i veicoli adibiti ai trasporti merci.

1.10

La logistica dei trasporti urbani richiede misure d'urgenza e un maggiore impegno per impedire il soffocamento progressivo dell'economia delle grandi città e i forti cali di efficienza provocati dal tempo perduto nel traffico congestionato, in modo improduttivo e inquinante per gli abitanti e per le imprese. Nelle zone urbane occorre un'impostazione globale che tenga conto delle esigenze dei trasporti di persone (individuali e collettivi) e di beni, e questo per realizzare una migliore allocazione della rete stradale e invertire la tendenza degli abitanti e di numerose attività ad abbandonare le città verso periferie tentacolari o altre zone più lontane.

1.11

Il piano d'azione in esame è incentrato sulla sostenibilità e sull'efficienza energetica, nonché sull'intermodalità, e il suo calendario di attuazione evidenzia l'urgenza della politica da seguire. Le proposte della Commissione puntano più sulla cooperazione e sul dialogo che sull'obbligatorietà. Occorre dimostrare che questa opzione sarà operativa: il suo successo dipenderà dagli operatori del mondo dei trasporti e dalla loro capacità di adeguarsi a queste esigenze che la società civile reclama a gran voce.

2.   Proposte della Commissione

2.1   Introduzione

2.1.1

Il 28 giugno 2006 la Commissione ha pubblicato la comunicazione dal titolo La logistica delle merci in EuropaLa chiave per una mobilità sostenibile  (1) che illustrava il ruolo della logistica per garantire trasporti più sostenibili, meno inquinanti e realmente rispettosi dell'ambiente. Questa comunicazione doveva essere seguita da consultazioni per addivenire a un piano europeo d'azione per la logistica del trasporto merci (2), che è stato pubblicato il 18 ottobre 2007.

2.1.2

La Commissione intendeva introdurre la dimensione logistica nella politica dei trasporti dell'Unione europea per ovviare alle frequenti strozzature, ridurre il consumo di energia, sfruttare meglio la co/multi-modalità delle infrastrutture e dei mezzi di trasporto, proteggere l'ambiente e limitare gli effetti nocivi, come anche promuovere la formazione permanente del personale.

2.1.3

È su questo piano d'azione che il Comitato è stato consultato. Il piano prevede degli obiettivi da realizzare, insieme al relativo calendario, e mira a promuovere l'impiego delle nuove tecnologie dell'informazione per accrescere l'efficienza della logistica dei trasporti dei beni (oggetti a sé stanti, colli, pacchi, container) nonché un sistema volontario di certificazione per gli operatori del settore logistico destinato a garantire il possesso delle qualifiche e la formazione indispensabili all'esercizio della loro professione e ad agevolare la loro mobilità.

2.1.4

Già nel 2006 la Commissione faceva presente che è difficile farsi un'idea del mercato europeo della logistica a causa dell'assenza di statistiche adeguate. In genere si ritiene che la logistica «pesi» sul costo dei prodotti trasportati per una quota compresa fra il 10 e il 15 %.

2.1.5

Occorreva introdurre un inquadramento della logistica del trasporto di merci a livello europeo, intervenendo in particolare in vari ambiti. Il piano d'azione fa il punto della situazione e stabilisce tempi di attuazione abbastanza brevi (compresi fra il 2008 e il 2012):

identificazione ed eliminazione delle strozzature,

impiego delle tecnologie avanzate dell'informazione e della comunicazione — TIC (tracking and tracing: sistemi di rintracciamento e localizzazione) mediante Galileo, il sistema LRIT (Long-Range Identification and Tracking: identificazione e verifica delle navi a grande distanza), i servizi d'informazione fluviale (RIS), l'AIS (Automatic Identification System), il SafeSeaNet, le applicazioni telematiche per le merci trasportate nel settore ferroviario (TAF: Telematics Application for Freight) e la sua logistica integrata (ERTMS: European Rail Traffic Management System, che è il sistema europeo di controllo automatico della velocità dei treni); introduzione di tecnologie «intelligenti», come ad esempio lo sviluppo e la standardizzazione delle etichette RFID (identificazione a radiofrequenza) (3),

standard universali per la messaggeria e le comunicazioni,

settore della ricerca (Settimo programma quadro),

interoperabilità e interconnettività,

formazione di personale qualificato nel settore logistico,

valutazione comparativa (benchmarking) della situazione europea. Devono però essere ancora definiti gli indicatori e la metodologia,

politica infrastrutturale: manutenzione e utilizzo ottimale delle infrastrutture esistenti e eventualmente nuovi investimenti, segnatamente nelle tecnologie di punta,

qualità delle prestazioni, attraverso il dialogo sociale, la cooperazione e una regolamentazione adeguata,

promozione e semplificazione delle catene co-modali e conseguenti norme relative al carico.

2.1.6

Il piano d'azione pubblicato nel 2007 consiste nell'inquadrare le azioni previste in precedenza in un programma di obiettivi più particolareggiati, corredato di un calendario dei tempi di attuazione.

2.1.7

Nella sua comunicazione (4) Mantenere l'Europa in movimentoUna mobilità sostenibile per il nostro continente che valuta e nel contempo riesamina il Libro bianco sui trasporti del 2001 (5), la Commissione aveva insistito sul concetto di «mobilità intelligente», che comprende la logistica dei trasporti e i sistemi di trasporto intelligenti (STI), tema su cui ritorna peraltro nel piano d'azione in esame.

2.2   e-Freight e sistemi di trasporto intelligenti (STI)

2.2.1

L'impiego generalizzato delle TIC — sia quelle attualmente disponibili che quelle future — può migliorare in modo sostanziale la logistica del trasporto merci, ma pone ancora dei problemi che vanno risolti, ad esempio la standardizzazione, le competenze degli utenti, gli ostacoli -regolamentari o di altro tipo — alla «smaterializzazione» dei documenti, la sicurezza dei dati e la protezione della vita privata.

2.2.2

A termine, il concetto di e-Freight (trasporto merci informatizzato) sfocerà in una «Internet degli oggetti» (ciascuna componente dei carichi, siano essi oggetti a sé stanti, colli, pacchi o container, potrà essere individuata, denominata e identificata mediante un'etichettatura capace di comunicare, in maniera passiva o attiva, che funziona mediante un lettore a radiofrequenza (RF)). Questa nuova «Internet degli oggetti» permetterà di automatizzare e semplificare il trasferimento dei dati riguardanti i carichi (sistemi di posizionamento geografico, informazioni sulla natura e sul volume, nonché comunicazioni doganali e di altro tipo). I sistemi attualmente disponibili andranno adeguati in vista dell'applicazione concreta di questo nuovo comparto dell'Internet basato sull'identificazione degli oggetti.

2.2.3

Per il 2008 la Commissione ha in programma un grande progetto di ricerca sulla base di una tabella di marcia per la diffusione degli STI e delle tecnologie riguardanti la logistica dei trasporti.

2.3   Le prospettive

2.3.1

Sviluppando l'efficienza il piano in esame intende contribuire a risolvere problemi come la congestione, l'inquinamento, il rumore, le emissioni di CO2, e la dipendenza dai combustibili fossili. Tutte queste iniziative devono essere affiancate da un lavoro, da svolgere d'intesa con gli Stati membri, in una prospettiva di lungo periodo, volto a creare una base comune per gli investimenti nei sistemi di trasporto merci di domani.

2.3.2

Nel 2010 la Commissione europea presenterà una relazione sui progressi realizzati nell'attuazione del piano d'azione.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1

L'allargamento dell'UE, la crescente mondializzazione degli scambi, l'emergere di nuove potenze economiche (non si tratta solo della Cina), il processo di delocalizzazione sono tutti potenti fattori di sviluppo degli scambi. Va rilevato che questi si sviluppano più rapidamente della produzione. Nel Libro bianco del 2001 la Commissione aveva previsto uno «sganciamento» fra crescita dei trasporti e crescita economica. È urgente riavviare le riflessioni al riguardo, almeno per ripristinare un qualche «raccordo», una sorta di «parallelismo». Per parte sua una logistica che, nel quadro del riesame intermedio del Libro bianco del 2006 (6), associ vari modi e soggetti (organizzatori dei flussi, trasportatori, utilizzatori, autorità ai livelli nazionale, comunitario e internazionale) e si avvalga delle nuove tecnologie in materia d'informazione, imballaggi e movimentazione, può costituire un fattore determinante per razionalizzare e accrescere l'efficacia del trasporto di merci.

3.2

Le catene logistiche su scala mondiale impongono, a termine, la completa integrazione dei collegamenti fra i sistemi modali, sia fisici che elettronici, per utilizzare il modo o la combinazione di modi più efficace e per migliorare la logistica affidandole l'obiettivo di realizzare simultaneamente una «triplice» efficacia: economica, sociale e ambientale (che include la riduzione della spesa energetica).

3.3

Nella maggioranza dei casi la pianificazione dei trasporti esige tempi lunghi e la collaborazione di numerosi soggetti. Gli investimenti nelle infrastrutture di trasporto e nelle piattaforme logistiche vengono effettuati in una prospettiva di lungo periodo e riguardano importi molto elevati, basti pensare in particolare ai porti marittimi e interni, agli aeroporti, ma anche ai cosiddetti «porti secchi» o alle infrastrutture dei trasporti combinati. Sono appunto queste «piattaforme» a creare i maggiori problemi e a richiedere soluzioni rapide, sicure e durature. A giudizio del Comitato occorre dunque, per prima cosa, ottimizzare l'impiego delle infrastrutture esistenti, e a questo scopo può risultare molto fruttuosa la condivisione delle informazioni e delle esperienze. Ma valorizzare ciò che già esiste e utilizzare le tecnologie avanzate non basta: quello che conta è una vera «programmazione» a medio e lungo termine per nuovi investimenti.

3.4

La creazione di nuove infrastrutture, destinate a durare a lungo nel tempo, deve intervenire alla luce di esigenze calcolate a lunghissimo termine e quando non vi sia alcuna soluzione alternativa di co-modalità, ad esempio con l'impiego di altre infrastrutture esistenti. Si può pensare al trasporto combinato strada/rotaia come possibile alternativa all'ampliamento di una rete stradale esistente o alla creazione di nuove strade. La programmazione che ciò presuppone deve coinvolgere tutti i soggetti chiave delle catene logistiche: autorità comunitarie, autorità pubbliche a livello nazionale e regionale, industriali e distributori, operatori logistici, trasportatori e altri caricatori, nonché le parti sociali. Le popolazioni interessate devono poter essere coinvolte nelle discussioni e nelle diverse consultazioni preliminari su queste problematiche e i loro punti di vista vanno presi in seria considerazione.

3.5

Questa programmazione deve dar luogo a partenariati che siano veramente duraturi e consentano di assicurare una vera sostenibilità delle infrastrutture (sotto il profilo sia economico, che ecologico e sociale). Essa dovrebbe inquadrarsi nello Schema di sviluppo dello spazio europeo (SSSE) e contribuire a strutturare meglio, coordinare e garantire la longevità degli investimenti nei trasporti integrandoli opportunamente nel contesto delle attività industriali e commerciali e dei programmi di pianificazione territoriale ed urbanistica (soprattutto per evitare alle piattaforme logistiche un fenomeno analogo alla «sciamatura», ossia abbandoni in massa che si concretizzano in delocalizzazioni affrettate e costose, nonché, da un lato, l'intasamento di taluni assi e di talune aree e, dall'altro, l'isolamento di talune zone a causa dell'assenza o della qualità scadente di taluni collegamenti).

3.6

Circa le nuove norme previste per le unità di carico, esse devono beninteso prevedere disposizioni relative al peso massimo, alle dimensioni e alla maneggevolezza che siano tali da facilitare gli eventuali trasbordi. Tuttavia, dati i problemi connessi alla quasi esclusività della strada per il trasporto terrestre di merci, queste norme non dovranno dar luogo a sovraccarichi che possano usurare le infrastrutture e ridurre ulteriormente la sicurezza dei trasporti su strada, e dovranno inoltre favorire la co-modalità.

3.7

Con riferimento alla proposta del 2003 su una nuova unità di carico intermodale volontaria, il Comitato ricorda in sintesi che la combinazione di unità di carico di diverse dimensioni rappresenta un vero e proprio incubo logistico. La compresenza dei due ostacoli (dimensioni delle guide di scorrimento fisse delle cellule e incertezza quanto alla responsabilità dei costi di questo sistema) permette sin d'ora di concludere che il sistema non sarà utilizzato.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Il Comitato auspica vivamente di essere consultato in merito alla relazione che la Commissione presenterà nel 2010 sui progressi relativi al piano d'azione e sugli eventuali problemi incontrati nella sua attuazione.

4.2

L'Internet degli oggetti contribuirà indubbiamente ad accrescere l'efficacia della logistica dei trasporti e dei servizi prestati agli utenti. Tuttavia, sulla base dell'esperienza maturata con l'Internet dei nomi, il Comitato si chiede quali siano i metodi, le procedure e gli strumenti di controllo da instaurare per l'assegnazione dei nomi. Per motivi storici l'Internet dei nomi è soggetta, da ultimo, al controllo del ministero federale del Commercio degli Stati Uniti d'America (USDoC). Il Comitato sostiene l'opzione di una governance europea per l'assegnazione dei nomi, la gestione delle banche dati nonché la definizione di norme tecniche.

4.2.1

Il Comitato si compiace che la Commissione abbia inserito lo sviluppo della logistica nell'Agenda rinnovata di Lisbona per la crescita e l'occupazione, ma, data la sua esperienza precedente, la invita a recuperare rapidamente i ritardi accumulati nell'attuazione delle nuove tecnologie, in particolare per quanto riguarda Galileo.

4.3

A giudizio del Comitato, l'Internet degli oggetti dovrebbe, vista la sua importanza economica e il carattere prevalentemente intraregionale degli scambi, poggiare sulla multipolarità (per l'assegnazione dei nomi, ad esempio, su istituzioni regionali o subregionali) anziché essere assoggettato al controllo di ultima istanza di un'unica autorità, e per di più di un paese terzo.

4.4

Occorre sollevare anche, e in modo chiaro, i problemi della protezione della vita privata e della riservatezza degli affari legati alla diversificazione degli strumenti d'informazione utilizzati per appurare il contenuto dei carichi, evitare di far giungere informazioni alle organizzazioni criminali — in particolare nei paesi terzi (vanno considerate le implicazioni sotto il profilo doganale e assicurativo), rintracciare i carichi stessi, conoscerne mittenti, intermediari e destinatari nel quadro della promozione dei sistemi di trasporto intelligenti i (STI) e delle tecnologie dell'informazione connesse.

4.5

Ciò varrà in particolare per i problemi logistici specifici connessi all'e-commerce.

4.6

Il Comitato si compiace che la Commissione intenda «modernizzare» la professione degli operatori logistici mediante un sistema che preveda una «definizione di valori di riferimento» e una «certificazione» degli operatori, e auspica che tale sistema risulti veramente proficuo.

4.7

Il Comitato si compiace altresì che la Commissione proponga di adoperarsi, insieme alle parti sociali, per la definizione di requisiti relativi alle qualifiche e alla formazione, e al riguardo auspica che le qualifiche e i tipi di formazione richiesti si sviluppino lungo tutto l'arco della vita e tenendo costantemente conto dei progressi della conoscenza. È poi da accogliere positivamente il fatto che la Commissione intenda procedere al reciproco riconoscimento di queste certificazioni volontarie.

4.8

Il miglioramento dell'efficienza logistica attraverso il ricorso intensivo alle nuove tecnologie, semplificazioni di carattere amministrativo, scambi di esperienze, progressione delle qualifiche e della formazione e co-modalità è indubbiamente indispensabile. Tuttavia, il Comitato tiene a sottolineare che questi progressi potranno dare tutti i loro frutti solo se, come raccomandato dalla Commissione nel suo Libro bianco del 2001, nel settore dei trasporti e della logistica si provvederà a un certo equilibrio sia nell'ambito dei singoli modi di trasporto sia fra di essi e, al tempo stesso, a una «concorrenza regolata»: ciò implica una relativa correzione verso l'alto delle tariffe e un'effettiva armonizzazione delle condizioni di concorrenza intramodali e intermodali anche all'interno della stessa Unione europea.

Bruxelles, 29 maggio 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  COM(2006) 336 def.

(2)  COM(2007) 607 def.

(3)  Cfr. il parere esplorativo sul tema Identificazione a radiofrequenza (RFID) (relatore: MORGAN, GU C 256 del 27.10.2007, pagg. 66-72) e i lavori della conferenza di Lisbona del 15 e 16 novembre 2007 (sito della presidenza portoghese).

(4)  COM(2006) 314 def., del 22 giugno 2006.

(5)  Cfr. i pareri del CESE riguardanti, rispettivamente, il Libro biancoLa politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte [COM(2001) 370 def. del 12 settembre 2001] e la Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeoMantenere l'Europa in movimentoUna mobilità sostenibile per il nostro continenteRiesame intermedio del Libro bianco sui trasporti pubblicato nel 2001 dalla Commissione europea [COM(2006) 314 def. del 22 giugno 2006].

(6)  Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo Mantenere l'Europa in movimentoUna mobilità sostenibile per il nostro continenteRiesame intermedio del Libro bianco sui trasporti pubblicato nel 2001 dalla Commissione europea, COM(2006) 314 def. del 22 giugno 2006.


30.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 224/50


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica delle direttive 2002/21/CE che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica, 2002/19/CE relativa all'accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate, e all'interconnessione delle medesime e 2002/20/CE relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2002/22/CE relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica, della direttiva 2002/58/CE relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche e del regolamento (CE) n. 2006/2004 sulla cooperazione per la tutela dei consumatori

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un'Autorità europea del mercato delle comunicazioni elettroniche

COM(2007) 697 def. — 2007/0247 (Cod) alla

COM(2007) 698 def. — 2007/0248 (Cod) e alla

COM(2007) 699 def. — 2007/0249 (COD)

(2008/C 224/11)

La Commissione, in data 10 dicembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica delle direttive 2002/21/CE che istituisce un quadro normativo comune per le reti ed i servizi di comunicazione elettronica, 2002/19/CE relativa all'accesso alle reti di comunicazione elettronica e alle risorse correlate, e all'interconnessione delle medesime e 2002/20/CE relativa alle autorizzazioni per le reti e i servizi di comunicazione elettronica alla

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2002/22/CE relativa al servizio universale e ai diritti degli utenti in materia di reti e di servizi di comunicazione elettronica, della direttiva 2002/58/CE relativa al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche e del regolamento (CE) n. 2006/2004 sulla cooperazione per la tutela dei consumatori e alla

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un'Autorità europea del mercato delle comunicazioni elettroniche.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 maggio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore HERNÁNDEZ BATALLER.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 maggio 2008, nel corso della 445a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 80 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE condivide gli obiettivi della Commissione, che sono quelli di conseguire nel mercato delle comunicazioni elettroniche un massimo di vantaggi per gli utenti, fare in modo che la concorrenza non venga né falsata né limitata, incentivare investimenti efficienti nelle infrastrutture e favorire l'innovazione, promuovendo un uso e una gestione efficienti delle radiofrequenze e delle risorse digitali.

1.2

Poiché il settore delle comunicazioni elettroniche si caratterizza per l'alto livello d'innovazione tecnologica e i mercati estremamente dinamici, il CESE considera soddisfacente il modello normativo del quadro delle comunicazioni elettroniche e le modifiche proposte, che si basano su:

1.2.1

la regolamentazione decentrata negli Stati membri, con l'attribuzione alle autorità nazionali della responsabilità di vigilare sui mercati in base a un complesso comune di principi e procedure. Si rafforza, al tempo stesso, l'indipendenza delle autorità nazionali di regolamentazione (ANR), la loro gestione ordinaria e il loro margine di valutazione, garantendo loro bilanci propri, risorse umane sufficienti e il potenziamento dei loro poteri coercitivi per migliorare l'applicazione effettiva del quadro normativo;

1.2.2

il consolidamento del mercato interno, attraverso l'attribuzione alla Commissione di determinate competenze per i mercati transnazionali che superano l'ambito di uno Stato membro;

1.2.3

il miglioramento della coerenza legislativa, attraverso l'aggiornamento di determinate disposizioni per adattarle all'evoluzione della tecnologia e del mercato, sopprimendo disposizioni obsolete, ridondanti o senza più oggetto;

1.2.4

la definizione di una strategia di gestione efficiente dello spettro, allo scopo di realizzare uno spazio unico europeo dell'informazione;

1.2.5

in casi eccezionali, la separazione funzionale, adottata dalle ANR previa approvazione della Commissione, per garantire la fornitura di prodotti di accesso pienamente equivalente a tutti gli operatori che agiscono nei mercati a valle, e tra questi anche le stesse divisioni dell'operatore integrato verticalmente;

1.2.6

la realizzazione di una comunicazione affidabile ed efficace attraverso le reti di comunicazione elettronica. A tal fine l'Autorità europea del mercato delle comunicazioni elettroniche deve contribuire ad armonizzare le misure di sicurezza tecniche ed organizzative appropriate, offrendo la sua consulenza;

1.2.7

il rafforzamento dei diritti dei consumatori per quanto riguarda determinati aspetti dei contratti, la trasparenza e la pubblicazione delle informazioni, la disponibilità dei servizi, i servizi di informazione e d'emergenza e la portabilità del numero. Nonostante ciò che precede, le proposte non assicurano un elevato livello di tutela dei consumatori, come stabilisce il Trattato per quanto riguarda questa materia, in quanto non contemplano altri aspetti come la regolamentazione dei servizi alla clientela, livelli minimi di qualità, le clausole di penalizzazione e le condizioni di contrattazione congiunta di servizi e terminali;

1.2.8

il miglioramento della tutela della vita privata, sebbene non tutte le proposte risultino abbastanza ambiziose, per esempio per quanto riguarda la protezione contro lo spam, che, secondo il CESE, deve basarsi espressamente sul consenso, espresso e previo, del consumatore a ricevere comunicazioni commerciali.

1.3

Il CESE valuta molto positivamente l'inclusione delle apparecchiature terminali nel campo, d'applicazione del quadro normativo; ciò migliorerà l'accessibilità elettronica per gli utenti finali con disabilità. Analogamente, considera positiva l'istituzione di misure vincolanti nel servizio universale per gli utenti con disabilità, volte a favorire l'accessibilità dei servizi telefonici disponibili al pubblico, compresi i servizi d'emergenza, i servizi d'informazione sui numeri degli abbonati e le guide, equivalente a quella goduta da altri utenti finali, nonché altre misure specifiche.

1.4

La semplificazione e la riduzione dei costi amministrativi è un elemento importante e, poiché vi sarà una maggiore flessibilità nei compiti di gestione dello spettro, risulteranno agevolati le procedure amministrative e l'uso dello spettro per gli operatori. Il CESE ritiene necessaria l'imposizione da parte degli Stati membri di eccezioni limitate di ordine tecnico e eccezioni più ampie per il raggiungimento di obiettivi di interesse generale, quali la diversità culturale e linguistica, la libertà d'espressione e la pluralità dei mezzi di comunicazione, la promozione della coesione sociale e territoriale, la sicurezza della vita umana, tenendo conto delle esigenze tecniche, sociali, culturali e politiche di tutti gli Stati membri, secondo quanto stabilito dalle legislazioni nazionali in conformità con il diritto comunitario.

1.5

La creazione di un'Autorità europea del mercato delle comunicazioni elettroniche, come organo indipendente dalla Commissione che rafforzi i poteri delle ANR, può rivelarsi positiva in quanto fornisce i mezzi per istituire un'associazione efficace tra la Commissione e le autorità di regolamentazione nazionali in materie in cui è necessaria una coerenza a livello europeo, quali la definizione dei mercati, le analisi e le soluzioni per i mercati stessi, l'armonizzazione dell'uso dello spettro radio o la definizione dei mercati transnazionali.

2.   Introduzione

2.1

Nel 2002 è stata adottata una riforma del mercato delle telecomunicazioni che si è tradotta nella creazione del quadro normativo delle comunicazioni elettroniche (che coprono allo stesso tempo tutte le reti satellitari e terrestri, le comunicazioni fisse e senza filo), costituito dalla direttiva-quadro e dalle direttive che disciplinano l'accesso, l'autorizzazione, il servizio universale, il trattamento dei dati personali e la tutela della vita privata in questo settore.

2.2

Questo quadro normativo dell'UE applicabile alle reti e servizi di comunicazioni elettroniche è stato concepito per agevolare l'accesso dei nuovi operatori alle infrastrutture esistenti, incoraggiare gli investimenti nelle infrastrutture alternative ed offrire una scelta più ampia e prezzi più bassi ai consumatori.

2.3

L'attuale modello normativo si basa sul principio della regolamentazione decentrata negli Stati membri e conferisce alle autorità nazionali la responsabilità di vigilare sui mercati in base ad un complesso comune di principi e di procedure.

2.4

Il quadro normativo prevede un livello minimo d'armonizzazione e lascia alle autorità di regolamentazione nazionali (designate qui di seguito come ANR) o agli Stati membri il compito di definire le misure d'applicazione.

2.5

La direttiva-quadro mira a ridurre progressivamente la regolamentazione settoriale ex ante parallelamente allo sviluppo della concorrenza sul mercato e ciò si realizza tramite una raccomandazione della Commissione che precisa i mercati di prodotti e di servizi per cui una regolamentazione ex ante potrebbe essere giustificata.

2.5.1

L'obiettivo di ogni intervento regolamentare ex ante è di servire gli interessi dei consumatori, facendo in modo che i mercati al dettaglio siano competitivi. La definizione di «mercati rilevanti» può variare nel tempo con l'evolversi delle caratteristiche dei prodotti e dei servizi e delle possibilità di sostituzione del lato della domanda e dell'offerta, come indicato nella raccomandazione della Commissione del 17 dicembre 2007 (1).

3.   Le proposte della Commissione

3.1

La Commissione lancia un'ampia rifusione della regolamentazione europea attualmente applicabile alle comunicazioni elettroniche (chiamata qui di seguito «quadro normativo») presentando simultaneamente:

due proposte di direttiva; una che modifica la direttiva-quadro, la direttiva accesso e la direttiva autorizzazione; l'altra che modifica la direttiva sul servizio universale e quella sulla tutela della vita privata,

una proposta di regolamento che istituisce un'Autorità europea del mercato delle comunicazioni elettroniche (chiamata qui di seguito «l'Autorità»).

3.2

In sintesi, queste proposte hanno per oggetto definire il quadro normativo europeo «modificato» delle comunicazioni elettroniche adattandolo alle domande delle autorità di regolamentazione nazionali e degli operatori e dei consumatori di beni e di servizi.

3.3

Si tratta di stabilire un quadro normativo «modificato» coerente per l'economia digitale, che tragga profitto dai risultati positivi che derivano dallo sviluppo del mercato interno. La configurazione delle proposte è illustrata qui di seguito.

3.4

Per quanto concerne la proposta recante modifica della direttiva-quadro e delle direttive autorizzazione ed accesso:

a)

in relazione alla gestione dello spettro radio, essa garantisce che gli Stati membri consultino le parti interessate quando intendono introdurre eccezioni al principio di neutralità tecnologica e dei servizi, anche se si perseguono obiettivi d'interesse generale;

b)

migliora la coerenza del quadro normativo pertinente razionalizzando molti elementi della procedura d'analisi di mercato ed autorizzando la Commissione a farsi carico dell'analisi di mercato se un'ANR ha accumulato un notevole ritardo nell'esecuzione dei suoi compiti;

c)

aumenta la sicurezza e l'integrità delle reti rafforzando gli obblighi esistenti ed estendendo alle reti mobili e a Internet i requisiti d'integrità relativi alle reti telefoniche;

d)

rafforza le garanzie giuridiche degli interessati definendo vari criteri per l'indipendenza delle ANR e riconoscendo il diritto di ricorso contro le loro decisioni e la possibilità della sospensione delle misure da esse adottate per evitare, in caso di necessità imperiosa, un pregiudizio grave ed irrevocabile;

e)

tiene conto delle necessità delle diverse categorie di utenti vulnerabili prevedendo requisiti tecnici per le apparecchiature terminali atti ad agevolare l'accesso degli utenti disabili ed aggiornando gli obiettivi delle ANR per quanto riguarda gli utenti anziani e quelli che hanno esigenze sociali particolari;

f)

permette alle ANR di imporre la separazione funzionale con l'accordo preliminare della Commissione;

g)

stabilisce una procedura di selezione comune;

h)

infine, rafforza i poteri esecutivi delle ANR che dispongono a loro volta della facoltà di apporre condizioni specifiche alle autorizzazioni generali per assicurare l'accessibilità agli utenti disabili, condizioni relative al diritto d'autore e ai diritti di proprietà intellettuale e alle comunicazioni delle autorità al pubblico in caso di pericoli imminenti.

3.5

La proposta recante modifica del regime del servizio universale, dei diritti degli utenti in materia di reti e servizi di comunicazione elettronica, del trattamento dei dati personali, della tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche e della cooperazione in materia di tutela dei consumatori si basa sui progressi già consolidati nell'approccio legislativo della Commissione in questo settore.

3.5.1

In questo senso, si riconosce che la concorrenza, da sola, non è sufficiente a soddisfare le necessità di tutti i cittadini e a tutelare i diritti degli utenti e sono pertanto previste disposizioni specifiche per preservare il servizio universale, i diritti degli utenti, e la tutela dei dati personali.

3.5.2

Si mira in particolare a migliorare la trasparenza tariffaria e la pubblicazione di informazioni destinate agli utenti finali, imponendo agli operatori l'obbligo di pubblicare informazioni comparabili, adeguate, aggiornate e accessibili sulla qualità dei servizi offerti ed accordando alle ANR il potere di esigere il rispetto di questi obblighi da parte degli operatori.

3.5.3

Per quanto riguarda la portabilità del numero, misure sono previste per permettere ai consumatori di cambiare facilmente fornitore (il termine massimo perché questo cambiamento sia effettivo è fissato ad un giorno e le ANR dispongono del potere di evitare le pratiche dissuasive dei fornitori); la proposta prevede un rafforzamento dell'obbligo di trasmettere le informazioni sulla localizzazione del chiamante ai servizi di emergenza attraverso varie misure, in particolare l'obbligo di trasmettere le informazioni alle autorità incaricate dei servizi di soccorso, ecc.

3.5.4

La «possibilità» data agli Stati membri di adottare misure specifiche a favore degli utenti disabili è sostituita dall'obbligo esplicito di agire in questo senso, in particolare permettendo alle ANR di chiedere agli operatori di pubblicare informazioni destinate agli utenti disabili.

3.5.5

Questa modifica dà inoltre alle ANR il potere di impedire il degrado della qualità dei servizi fissando livelli di qualità minimi per i servizi di trasmissione in rete destinati agli utenti finali e permette loro di sorvegliare le tariffe al dettaglio se nessuna impresa è stata designata come prestatrice di servizio universale.

3.5.6

Questa modifica garantisce anche che gli utenti finali siano informati delle violazioni della sicurezza che comportano la perdita o compromettono in un altro modo i loro dati personali e che siano informati delle precauzioni da prendere per ridurre al minimo i rischi.

3.5.7

Si proibisce coerentemente l'utilizzo di software spia e di altri software maligni, indipendentemente dal metodo utilizzato per la loro installazione nell'apparecchiatura dell'utente, e si rafforza la lotta contro le comunicazioni commerciali indesiderate permettendo ai prestatori di servizi Internet di avviare azioni legali nei confronti di coloro che inviano posta elettronica indesiderata (spam).

3.6

Infine, va segnalata la proposta di creazione «dell'Autorità», responsabile dinanzi al Parlamento europeo, che comprenderà un comitato dei regolatori formato dai responsabili delle ANR di tutti gli Stati membri dell'UE e che sostituirà il gruppo dei regolatori europei (GRE) (2).

3.6.1

«L'Autorità» consiglierà la Commissione per l'adozione di alcune decisioni, svolgerà il ruolo di centro di competenze in materia di reti e di servizi di comunicazioni elettroniche al livello dell'UE ed assumerà le funzioni dell'Agenzia europea per la sicurezza delle reti (ENISA).

4.   Osservazioni generali

4.1

Il CESE giudica positivamente le proposte della Commissione nella misura in cui mirano a rispondere alle necessità in materia di regolamentazione e di gestione del mercato paneuropeo delle comunicazioni elettroniche.

4.1.1

Approva l'obiettivo della Commissione di aumentare l'apertura dei mercati delle telecomunicazioni alla concorrenza e di dare impulso agli investimenti nelle reti ad alta velocità (in cui sono comprese tutte le tecnologie: fisse, mobili e satellitari) (3) con l'obiettivo di assicurare in misura maggiore l'Internet del futuro che sarà l'Internet degli oggetti e l'Internet semantico, anche nel contesto della digitalizzazione dei servizi audiovisivi, e una gestione ottimale dello spettro nel mercato interno. Si tratta di un interesse comune ai consumatori e alle imprese, che hanno bisogno di accedere alle reti ed ai servizi di telecomunicazione di elevata qualità tecnica (performants).

4.1.2

Constata che il quadro normativo del settore delle telecomunicazioni con le norme attualmente in vigore ha permesso di:

compiere progressi sostanziali nella creazione di mercati più aperti e dinamici come osserva la Commissione nella 12a relazione sulla situazione del quadro normativo,

combattere le forti disuguaglianze tra gli operatori, derivanti dai vantaggi di cui beneficiavano i vecchi monopoli di Stato.

4.2

È un fatto positivo anche l'ampliamento del regime normativo previsto nelle proposte al settore delle comunicazioni elettroniche e, quindi, a tutte le reti di trasmissione e di prestazione di servizi che esso presuppone.

4.3

Oltre al miglioramento degli aspetti puramente tecnici e di gestione già citati, si sottolinea anche la valutazione positiva che si dà dell'ampio complesso di disposizioni che mirano in particolare a rafforzare i diritti degli utenti dei servizi di comunicazioni elettroniche e le garanzie procedurali ed amministrative degli operatori che permetteranno la loro attuazione effettiva sul piano nazionale (diritto di essere ascoltate delle persone interessate, motivazione delle decisioni, misure precauzionali e diritto di ricorso). Con l'introduzione di tali garanzie si dà realizzazione al «Diritto a una buona amministrazione», previsto dall'articolo 41 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea.

4.4

Il CESE sostiene in particolare le domande formulate in pareri precedenti e riprese nelle proposte, per quanto riguarda:

l'obbligo per gli Stati membri di adottare misure specifiche a favore degli utenti disabili (4), per conseguire gli obiettivi della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone disabili,

i principi generali di gestione dello spettro, che rientra nell'interesse pubblico e deve essere gestito in un'ottica economica, sociale e ambientale, in quanto, oltre alla neutralità rispetto alla tecnologia e al servizio, devono permettere la diversità culturale e linguistica, la libertà d'espressione e il pluralismo dei media e tenere conto delle esigenze tecniche, sociali, culturali e politiche di tutti gli Stati membri (5).

4.4.1

La salvaguardia della diversità culturale e linguistica comporta anche che le lettere dell'alfabeto contenenti segni diacritici, le lettere dell'alfabeto greco e cirillico e altri caratteri appaiano in forma leggibile nei messaggi di posta elettronica; inoltre l'invio di SMS contenenti tali caratteri non dovrebbe risultare più costoso.

4.5

Il CESE approva inoltre, in particolare, le proposte della Commissione che affrontano i seguenti aspetti:

a)

la semplificazione delle procedure di analisi di mercato, che alleggerisce l'onere amministrativo delle ANR e riduce i costi amministrativi degli operatori;

b)

il miglioramento della sicurezza e dell'integrità delle reti, attraverso la garanzia di un uso affidabile delle comunicazioni elettroniche;

c)

il rafforzamento dell'indipendenza delle ANR, grazie alla limitazione della possibile influenza di altri organismi pubblici nella loro gestione ordinaria, garantendo loro un bilancio indipendente e risorse umane sufficienti.

5.   Osservazioni particolari

5.1

Poiché l'obiettivo delle proposte della Commissione è da un lato l'adozione di misure di ravvicinamento delle legislazioni nazionali in materia di comunicazioni elettroniche e, dall'altro, la creazione di un nuovo organismo sopranazionale, il CESE tiene a sottolineare che queste proposte si basano esclusivamente sull'articolo 95 del Trattato CE.

5.1.1

Naturalmente, questa disposizione può essere una base giuridica adeguata e sufficiente per il conseguimento degli obiettivi voluti (6), ma, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia, la Commissione dovrà fare in modo che le misure adottate a tale scopo abbiano un vero impatto sugli ordinamenti giuridici nazionali (modificandoli) e regolamentino in modo esauriente, al livello sovranazionale, tutti gli aspetti che rafforzano la posizione dei consumatori ed utenti delle comunicazioni elettroniche come pure quelli relativi alle garanzie giuridiche e procedurali previste nelle proposte (7).

5.1.2

Riassumendo, l'adozione del futuro quadro normativo sopranazionale in questo settore non dovrà limitarsi ad una semplice operazione cosmetica del quadro normativo sovranazionale in vigore nel settore delle comunicazioni elettroniche.

5.1.3

La stessa osservazione può essere formulata per quanto riguarda la creazione dell'«autorità», la cui esistenza è perfettamente giustificata nella misura in cui sia in grado di contribuire all'applicazione uniforme ed efficiente delle molte misure proposte di cui sarà, in linea di principio, responsabile, in ragione delle competenze specifiche che le saranno attribuite.

5.1.4

La creazione di tale Autorità rispetta il criterio di sussidiarietà dato che l'attuale cooperazione:

a)

è poco strutturata e presenta meccanismi inefficienti, determinando la frammentazione del mercato interno;

b)

non garantisce la parità di condizioni tra gli operatori stabiliti in diversi Stati membri e

c)

impedisce di ottenere i vantaggi che arrecherebbero al consumatore la concorrenza e i servizi transfrontalieri.

5.1.5

Essa risulta inoltre conforme al principio di proporzionalità in quanto offre gli strumenti per istituire un partenariato efficace tra la Commissione e i regolatori nazionali su temi per i quali è necessaria una coerenza a livello europeo.

5.2

L'Autorità dovrebbe fungere da forum esclusivo per la cooperazione tra le ANR, nell'esercizio delle loro responsabilità sulla base del quadro normativo.

5.2.1

Il Comitato attende la valutazione prevista del funzionamento dell'Autorità per verificare se la sua azione sia effettivamente fondata sulla trasparenza, la rendicontazione e l'indipendenza e se si siano effettivamente rafforzati i poteri delle ANR, dotandole di una base solida e trasparente nel diritto comunitario.

5.3

Inoltre, per quanto riguarda l'approccio legislativo del quadro normativo proposto, occorre riconoscere l'utilità dell'applicazione di criteri specifici di regolamentazione del settore accanto ai principi e alle norme della libera concorrenza nel mercato interno (8). Ciò è particolarmente indicato per questo settore che ha bisogno di interventi amministrativi ex ante che implicano analisi economiche sofisticate del mercato rilevante, di cui non hanno bisogno altri settori del mercato interno (9).

5.3.1

Il CESE è d'accordo con l'obiettivo del quadro normativo consistente nella riduzione progressiva della regolamentazione settoriale ex ante in concomitanza con lo sviluppo della concorrenza nel mercato, secondo l'approccio graduale seguito dalla Commissione, per esempio nella sua raccomandazione del 17 dicembre 2007. Il CESE spera che, visto il dinamismo del mercato delle comunicazioni elettroniche, l'evoluzione delle caratteristiche dei prodotti e servizi e le possibilità di sostituzione rendano inutile il ricorso a questo tipo di interventi.

5.3.2

Il Comitato ritiene che la «separazione funzionale» sia una misura di carattere eccezionale da applicare in modo circoscritto. La sua imposizione dovrebbe spettare esclusivamente alle ANR, previa approvazione della Commissione, che dovrà chiedere un parere all'Autorità.

5.3.3

Una soluzione di questo tipo potrebbe giustificarsi solo quando non si sia potuta conseguire ripetutamente la non discriminazione effettiva in diversi dei mercati interessati e quando sia scarsa o nulla la prospettiva di una concorrenza nelle infrastrutture in un orizzonte temporale ragionevole e dopo essere ricorsi in precedenza a una o più soluzioni che erano state considerate appropriate.

5.4

Tuttavia, le proposte relative a questo settore non tengono conto di molte questioni rilevanti che riguardano, da un lato, l'applicazione efficace e trasparente dei criteri di libera concorrenza tra operatori e prestatori di servizi sul mercato paneuropeo e, dall'altro, alcuni aspetti importanti dei diritti degli utenti.

5.5

In primo luogo, occorrerà precisare la portata del concetto di sicurezza nazionale, il cui mantenimento è affidato agli Stati membri come «competenza esclusiva», a titolo dell'ultimo comma del paragrafo 2 dell'articolo 3 bis del Trattato UE modificato dal Trattato di Lisbona.

5.5.1

Questo riconoscimento di facoltà non regolamentate permetterà un ampio margine di discrezionalità quando si tratterà di definire le cause e le misure che, per ragioni di sicurezza nazionale, possono generare eccezioni all'applicazione delle norme e dei principi settoriali e di diritto in materia di concorrenza, eccezioni incluse nelle proposte della Commissione.

5.5.2

Attualmente, nel settore delle comunicazioni elettroniche, esistono norme nazionali che riservano alla decisione discrezionale degli Stati membri l'individuazione delle reti, servizi, impianti ed attrezzature di telecomunicazioni che sviluppano attività essenziali per la difesa nazionale e la protezione della sicurezza pubblica (10). A tale proposito, il CESE ricorda che può essere un riferimento utile la prassi seguita nell'applicazione del progetto Galileo.

5.6

Per salvaguardare la coesione economica, sociale e territoriale nel quadro dell'installazione delle nuove infrastrutture di rete, in particolare quelle chiamate «reti di nuova generazione», i poteri pubblici devono poter promuovere, nel rispetto del diritto comunitario e, allo stesso tempo, dei principi democratici, il progresso economico e sociale ed un alto livello di occupazione, raggiungendo uno sviluppo equilibrato e sostenibile, per lo sviluppo di un mercato delle comunicazioni elettroniche di alto livello tecnologico.

5.6.1

Le misure d'intervento devono servire per potenziare con il finanziamento pubblico, soprattutto quello proveniente dagli enti locali, il futuro sviluppo di reti di nuova generazione, garantendo che la neutralità tecnologica non sia intaccata e che, nel rispetto del principio di proporzionalità, si eviti la duplicazione inutile delle risorse di rete.

5.7

Per quanto riguarda l'influenza del quadro normativo proposto dalla Commissione sui diritti degli utenti, si segnala che, in alcuni casi, occorrerà realizzare un'analisi specifica del mantenimento del diritto d'accesso ai servizi d'interesse economico generale (11) (che, oltre al fatto che si tratta di un diritto fondamentale riconosciuto dall'articolo 36 della Carta dei diritti fondamentali dell'UE, sarà disciplinato dall'articolo 16 del TUE e dal protocollo 9 allegato ai Trattati) e della difesa della libera concorrenza, che non apparirà fra gli obiettivi specifici dell'UE nell'articolo 3 del Trattato di Lisbona e sarà dunque oggetto di una regolamentazione ad hoc sulla base del protocollo sul mercato interno e sulla concorrenza allegato ai Trattati.

5.7.1

Il CESE, benché consideri positivo il fatto che, nella proposta sul servizio universale, si preveda negli Stati membri l'instaurazione di un meccanismo di consultazione per garantire che il processo decisionale tenga debitamente conto degli interessi dei consumatori, si rammarica tuttavia che nessuna delle disposizioni faccia riferimento al ruolo della società civile organizzata in materia di consultazione e di partecipazione al processo d'adozione da parte degli organi sovranazionali competenti delle misure idonee a garantirne l'applicazione uniforme ed efficace nell'UE.

5.7.2

Quanto all'aspetto materiale del servizio universale, il CESE attende, per pronunciarsi in modo definitivo, la proposta della Commissione in materia, che dovrebbe giungere nel corso dell'anno. Ribadisce (12) per il momento i principi che giudica applicabili a tale riguardo, cioè:

a)

l'accesso a servizi di qualità a prezzi equi, adeguati ed accessibili;

b)

l'accesso a banda larga rapido e pubblico a servizi d'informazione e di telecomunicazioni avanzati in tutte le regioni;

c)

l'accesso per tutti i consumatori, indipendentemente dai loro redditi e dalla loro ubicazione geografica, con diritto a una perequazione tariffaria;

d)

il contributo equo e non discriminatorio dell'insieme dei prestatori di servizi di comunicazioni elettroniche al mantenimento ed allo sviluppo del servizio universale;

e)

l'esistenza di meccanismi specifici, prevedibili e sufficienti per garantire la preservazione e l'estensione del servizio universale, in funzione della tecnologia e degli sviluppi sociali;

f)

qualsiasi altro principio giudicato necessario dalle ANR per proteggere l'interesse pubblico;

g)

l'instaurazione di un «forum» o di un «osservatorio delle comunicazioni elettroniche» a livello dell'UE, per tenere conto del parere di tutti gli operatori economici e sociali e degli altri organismi della società civile organizzata.

5.7.3

In ordine al servizio universale la direttiva dovrebbe affrontare gli aspetti seguenti:

a)

la necessità di regolamentazione dei servizi alla clientela offerti dagli operatori, prevedendo la facoltà di imporre livelli di qualità in tali servizi, nel caso in cui essi si degradino;

b)

la definizione della clausola di penalizzazione, ai fini di una maggiore certezza giuridica;

c)

le modifiche del contratto;

d)

i livelli minimi di qualità per determinati aspetti, dando alle ANR la facoltà, se lo desiderano, di imporre livelli minimi di qualità in tutti i servizi;

e)

la fatturazione dettagliata e la descrizione dei servizi a tariffa più alta, sancendo il principio secondo cui qualunque servizio che non sia un servizio di comunicazioni elettroniche deve essere indicato separatamente nelle fatture;

f)

la stipulazione di contratti congiunti per servizi e terminali, che deve essere caratterizzata da una maggiore trasparenza delle clausole di tali contratti.

5.7.4

Il miglioramento della tutela dei consumatori prevista nella proposta relativa al servizio universale non garantisce loro del tutto il livello elevato di tutela conforme alle disposizioni dell'articolo 153 del Trattato CE, poiché non contempla il principio generale secondo il quale gli abbonati hanno il diritto di annullare senza penalità i loro contratti a durata indeterminata con i fornitori di reti o di servizi di comunicazioni elettroniche.

5.7.5

Tuttavia, tale tutela viene migliorata per alcuni aspetti, come per esempio:

un'informazione più chiara e trasparente sui prezzi o sugli stessi servizi, oppure

la riforma del regolamento (CE) n. 2006/2004 che rende possibile la cooperazione internazionale per evitare pratiche indesiderate come il phishing  (13), il cyberstalking (molestie attuate attraverso il mezzo informatico) e lo spoofing (falsificazione dell'indirizzo IP).

5.8

In materia di tutela della vita privata nel settore delle comunicazioni elettroniche, il CESE ritiene che la proposta costituisca un progresso rispetto alla legislazione in vigore ed invita la Commissione a rafforzare la riservatezza delle comunicazioni realizzate attraverso le reti pubbliche di comunicazione ed i servizi di comunicazioni elettroniche accessibili al pubblico, e dei dati relativi al traffico associati a tali comunicazioni, secondo i criteri definiti nella giurisprudenza della CGE (14).

5.8.1

Il CESE è favorevole al rafforzamento della regolamentazione dei diritti fondamentali legati alle comunicazioni elettroniche, quali la tutela e il rispetto della vita privata, la protezione dei dati personali, la segretezza delle comunicazioni, la riservatezza, e a quello di determinati aspetti commerciali collegati alla proprietà intellettuale.

5.8.2

Per quanto riguarda la sicurezza (15), vanno adottate le misure opportune per garantire la sicurezza (16) delle reti e l'uso di materiale criptato sufficientemente solido per rafforzare la tutela della vita privata.

5.8.3

Risulta positiva l'applicazione della tutela offerta da questa direttiva alle reti pubbliche di comunicazione che permettono la raccolta di dati e l'identificazione (compresi dispositivi senza contatto, come i sistemi d'identificazione per radiofrequenza, RFID) (17).

5.9

Per quanto riguarda le comunicazioni commerciali indesiderate (spam), il CESE ribadisce (18) di considerare necessario che la legislazione si basi sistematicamente sul principio di consenso espresso preliminare del consumatore. È infatti l'interesse di quest'ultimo a evitare le comunicazioni commerciali indesiderate che deve prevalere. Occorrerebbe dunque prevedere tutte le misure necessarie per garantire il rispetto di questo principio, se necessario instaurando sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive.

Bruxelles, 29 maggio 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  GU L 344 del 28.12.2007, pag. 65.

(2)  Creato con decisione 2002/627/CE della Commissione del 29 luglio 2002, modificata da ultimo con decisione della Commissione del 6 dicembre 2007 (GU L 323 dell'8.12.2007, pag. 43).

(3)  Cfr. parere GU C 44 del 16.2.2008, pag. 50, relatore: RETUREAU.

(4)  Parere esplorativo sul tema La futura legislazione in materia di e-accessibilità, GU C 175 del 27.7.2007, pagg. 91-95.

(5)  GU C 151 del 17.6.2008, pag. 25.

(6)  Sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 2 maggio 2006, causa C-436/03.

(7)  Ibid. punti 44 e 45.

(8)  Cfr. Bavasso, A Electronics Communications: A new Paradigm for European Regulation, CML Rev. 41, 2004, pagg. 110 e seguenti.

(9)  Cfr. De Streel, The integration of Competition Law Principles in the New European Regulatory Framework for Electronics communications, World Competition, 26, 2003, pag. 497.

(10)  Per un'analisi più dettagliata di queste questioni, cfr. Carlos J. Moreiro Gonzalez: Las cláusulas de Seguridad Nacional Iustel 2007, pagg. 26-31 e 53-64.

(11)  Cfr. pareri CESE 267/2008 (adottato il 14 febbraio 2008), relatore: HENCKS.

(12)  Parere CESE, sessione plenaria del 28 febbraio e 1o marzo 2001 (GU C 139 dell'11.5.2001, pag. 15).

(13)  Sottrazione con l'inganno dei dati bancari di una persona in modo da avere accesso al suo conto e sottrarne fondi.

(14)  Sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 29 gennaio 2008 (causa C-275/06).

(15)  Il CESE sta elaborando un parere (INT/417) sulla lotta contro la frode e la falsificazione dei mezzi di pagamento (cfr. documento di lavoro R/CESE 480/2008).

(16)  Cfr. parere CESE sul tema Sicurezza delle reti e sicurezza dell'informazione: proposta di un approccio strategico europeo, relatore: RETUREAU, GU C 48 del 21.2.2002, pag. 33.

(17)  Cfr. parere CESE sul tema Identificazione a radiofrequenza (RFID), relatore: MORGAN, GU C 256 del 27.10.2007, pag. 66.

(18)  Parere adottato il 24 gennaio 2001 (GU C 123 del 25.4.2001, pag. 53).


30.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 224/57


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ad un codice di comportamento in materia di sistemi telematici di prenotazione

COM(2007) 709 def. — 2007/0243 (COD)

(2008/C 224/12)

Il Consiglio, in data 5 dicembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 71 e dell'articolo 80, paragrafo 2, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ad un codice di comportamento in materia di sistemi telematici di prenotazione.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 maggio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore MCDONOGH.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 maggio 2008, nel corso della 445a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 75 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Raccomandazioni

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE), pur concordando con le proposte della Commissione e appoggiandole, invita a integrarle come segue.

1.1

Adottare norme che obblighino i vettori associati dell'UE alla totale cessione delle loro partecipazioni nei sistemi telematici di prenotazione (Computerised Reservation Systems, CRS) e misure atte a prevenire futuri investimenti, diretti o indiretti, dei vettori nei CRS.

1.2

Mantenere in vigore le regole relative ai vettori associati finché queste compagnie aeree non avranno ceduto le loro partecipazioni nei CRS.

1.3

Sopprimere le disposizioni proposte in materia di visualizzazione neutrale. Nella pratica mantenere una visualizzazione primaria ha un'utilità limitata, per effetto delle preferenze o delle politiche di ogni privato o azienda cliente, mentre nel settore della prenotazione di viaggi online le regole di neutralità sono raramente rispettate oppure non sono contemplate dal Codice di comportamento.

1.4

Imporre la visualizzazione di tariffe che siano sempre comprensive di tutte le imposte, le spese, i supplementi e i costi legati ai CRS nonché garantire che le informazioni sui voli siano trasparenti, in particolare rispetto a pratiche ingannevoli come il code sharing, in modo che il vettore che opera di fatto il volo sia indicato in modo chiaro al consumatore.

1.5

Permettere alle agenzie di viaggio e alle compagnie aeree di negoziare liberamente con i CRS le condizioni di uso e di acquisto delle informazioni di marketing su nastro (Market Information Data Tapes, MIDT).

1.6

Rafforzare le regole in materia di riservatezza dei dati per proteggere in modo specifico tutti coloro i cui dati sono contenuti nei PNR (Passenger Name Record) e non soltanto il passeggero.

1.7

Garantire l'applicazione della parte del Codice riguardante la riservatezza dei dati, e in particolare il trasferimento di informazioni personali in possesso di una compagnia aerea a organizzazioni commerciali e governative di paesi terzi. Tale applicazione deve essere fatta oggetto non tanto di impegni giuridicamente non vincolanti, quanto di trattati bilaterali con i governi dei paesi terzi.

1.8

Introdurre nuove norme per cui tutti i PNR creati dagli abbonati a un CRS, senza eccezioni, sarebbero tutelati dalle disposizioni del Codice in materia di riservatezza dei dati. Ciò si applicherebbe anche alle compagnie aeree che affidano ai venditori di CRS la gestione delle loro banche dati PNR, nonché alle agenzie di viaggio, ai tour operator e alle società.

1.9

Sopprimere la disposizione che permetterebbe agli abbonati di risolvere con tre mesi di preavviso i contratti stipulati con i venditori di sistemi.

1.10

Riconoscere formalmente i CRS come responsabili del trattamento dei dati, non soltanto per i dati riguardanti viaggi aerei e ferroviari, ma anche per quelli relativi ad alberghi, automobili, traghetti e assicurazioni e ogni altro dato contenuto nei loro sistemi.

1.11

Incoraggiare l'accesso di nuovi operatori al mercato dei CRS, favorendo così la concorrenza tra i venditori di sistemi. Abbonati e consumatori potranno così beneficiare di servizi e tecnologie migliori e prezzi più concorrenziali.

1.12

Incoraggiare gli operatori ferroviari a distribuire le loro informazioni per mezzo dei CRS e promuovere all'interno dell'UE modalità di viaggio più ecologiche di questo tipo.

2.   Introduzione

2.1

Il 15 novembre 2007 la Commissione ha proposto di rivedere il Codice di comportamento di cui al regolamento (CEE) n. 2299/89 in materia di CRS. Il regolamento era stato adottato al fine di prevenire comportamenti anticoncorrenziali in un mercato dalle caratteristiche uniche, per il quale le regole generali della concorrenza non sarebbero state sufficienti. All'epoca i CRS erano l'unico canale valido che consentisse ai consumatori di accedere alle informazioni sui viaggi e inoltre, elemento fondamentale, erano di proprietà e sotto il controllo delle compagnie aeree.

2.2

I CRS sono sistemi telematici usati per conservare, recuperare, distribuire informazioni sui viaggi e per eseguire prenotazioni.

2.2.1

I quattro CRS esistenti attualmente sono SABRE, Galileo, Worldspan e Amadeus. Ad eccezione di quest'ultimo, di proprietà europea, sono tutti di proprietà statunitense. Galileo e Worldspan si sono fusi nel 2007 ma operano ancora come entità distinte.

2.3

Nel frattempo le condizioni dei CRS sono completamente cambiate sotto i seguenti aspetti.

2.3.1

Le compagnie hanno in larga maggioranza ceduto le loro quote azionarie nei CRS, con le importanti eccezioni rappresentate da Air France, Lufthansa e Iberia (1).

2.3.2

Con l'avvento di Internet, i CRS non sono più l'unico canale disponibile per prenotare voli. Con la sempre maggiore diffusione dell'accesso a Internet in tutti gli Stati membri dell'UE (2) e il miglioramento della tecnologia per la gestione online dei viaggi, ci si affiderà sempre meno esclusivamente ai CRS per accedere alle informazioni sui viaggi.

2.4

Negli Stati Uniti il mercato dei CRS è stato deregolamentato nel 2004, condizionatamente alla totale cessione delle partecipazioni possedute dalle compagnie aeree, e da allora i canoni di prenotazione sono calati del 20-30 %. I vettori UE faticano a competere con quelli americani in quanto non sono in grado di negoziare contratti più favorevoli con i venditori di sistemi.

2.5

Per effetto del Codice di comportamento, il mercato dei CRS nell'UE è tuttora dominato da un oligopolio e c'è un notevole squilibrio nel potere negoziale degli attori principali. I CRS hanno un mercato garantito e sono proprietari del rapporto con le agenzie di viaggio, mentre le compagnie aeree hanno migliorato la loro posizione negoziale sviluppando capacità di distribuzione via Internet.

2.6

Con l'eccezione della regola sui vettori associati, si presume che, in mancanza di regole specifiche per il settore, la legislazione generale dell'UE in materia di concorrenza sia sufficiente a prevenire abusi come le intese sui prezzi.

3.   Osservazioni

3.1   Vettori associati

3.1.1

Le compagnie aeree che detengono partecipazioni in un CRS sono dette «vettori associati». Abrogare le regole sui vettori associati sarebbe troppo rischioso perché tre delle maggiori compagnie europee (Iberia, Lufthansa, Air France) continuano a detenere quote significative del capitale di Amadeus. I rischi di comportamento anticoncorrenziale sono troppo elevati e la posizione dominante sui mercati nazionali rimane una minaccia reale per gli altri CRS e i vettori non proprietari.

3.1.2

L'UE dovrebbe imporre a tutte le compagnie aeree il divieto totale di partecipazione e azionariato nei CRS (esistenti e futuri).

3.1.3

La completa separazione della proprietà tra CRS e compagnie aeree, o altri prestatori di servizi di trasporto, eliminerà in ultima analisi ogni possibilità di collusione o concorrenza sleale da parte dei vettori associati. In questo scenario il Codice di condotta potrà essere ulteriormente semplificato sopprimendo le numerose clausole di salvaguardia previste dalla proposta della Commissione in esame per i vettori associati. Uno sviluppo del genere andrebbe a beneficio del mercato della distribuzione di viaggi nel suo complesso, poiché così sia i CRS che le compagnie aeree concorrerebbero su base paritaria senza sospetti o timori di abusi.

3.1.4

Finché non saranno soddisfatte tali condizioni, al fine di prevenire comportamenti anticoncorrenziali, dovranno rimanere in vigore le disposizioni specifiche per i vettori associati di cui all'articolo 10.

3.2   Visualizzazione neutrale per le agenzie di viaggio online e offline

3.2.1

Il Codice garantisce che nei CRS tutti i voli siano visualizzati in modo neutrale e ordinati senza preferenze o discriminazioni. Le agenzie di viaggio hanno l'obbligo di presentare le opzioni possibili ai loro clienti in ordine crescente di durata del tempo di volo (voli diretti senza scalo, poi voli diretti, infine voli non diretti). I clienti possono comunque richiedere un ordine di visualizzazione che corrisponda alle loro esigenze individuali.

3.2.2

Nelle condizioni attuali del mercato, mantenere la visualizzazione neutrale è inefficace, soprattutto in quanto le disposizioni in materia di neutralità non valgono per i canali di distribuzione online come i siti delle compagnie aeree o i sistemi aziendali di autoprenotazione.

3.2.3

La domanda del mercato garantisce che il cliente abbia accesso a tutti i vettori: generalmente anche nel caso di agenzie online di proprietà dei CRS, come Lastminute.com e ebookers, tutte le compagnie prenotabili sono disponibili, anche se l'ordine di presentazione non è neutrale.

3.2.4

I siti Internet con raffronto tra tariffe (3) consentono ai vettori o alle agenzie di pagare per occupare i primi posti tra i risultati delle ricerche, a prescindere dal prezzo o dall'orario. Il consumatore ha poi la possibilità di visualizzare i voli in un ordine specifico sulla base di una serie di criteri, tra cui p. es. il prezzo totale, l'orario di partenza, il vettore o la durata del volo. Al consumatore, quindi, non viene negato l'accesso a informazioni neutrali, in quanto esse sono comunque disponibili. Alla fine il consumatore sceglierà la soluzione che più gli si adatta.

3.2.5

Per chi viaggia per affari le modalità di visualizzazione dei voli di norma dipendono dalla politica dell'azienda in questione, dalle tariffe e dai vettori, più che da criteri di neutralità.

3.2.6

Abolire l'obbligo di visualizzazione neutrale permetterebbe ai vettori di pagare per essere ai primi posti nelle visualizzazioni dei CRS. È tuttavia improbabile che i vettori più piccoli perdano quote di mercato significative, per i motivi già citati: il consumatore sceglie in base alle sue esigenze di viaggio, non all'ordine di visualizzazione delle informazioni. Si può fare un paragone con i risultati di una ricerca nel motore Google, che offre le informazioni gratuitamente ma consente a certi fornitori di pagare per occupare le prime posizioni. Non c'è motivo di trattare diversamente il settore del trasporto passeggeri.

3.2.7

Date queste circostanze, il CESE raccomanda di sopprimere l'articolo 5 proposto in materia di visualizzazioni. Disciplinare queste informazioni non è necessario, in quanto saranno le forze di mercato e le scelte dei consumatori a garantire che le informazioni disponibili sui viaggi siano equamente rappresentate.

3.2.8

Garantire la massima trasparenza delle tariffe fin dalla visualizzazione iniziale dei risultati, includendo tutte le tasse, imposte e spese compresi i costi legati ai CRS, è nell'interesse dei consumatori. Ciò impedirebbe alle compagnie di presentare visualizzazioni non neutrali aggiungendo i supplementi solo in un momento successivo della procedura d'acquisto.

3.3   Regole sulle informazioni di marketing su nastro (informazioni MIDT)

3.3.1

Le informazioni MIDT sono informazioni particolareggiate sull'attività di prenotazione delle agenzie di viaggio e delle compagnie aeree a livello mondiale. Sono raccolte dai CRS e vendute alle compagnie, in quanto forniscono a queste ultime preziose informazioni concorrenziali su elementi come le prenotazioni e le entrate delle agenzie e i modelli di traffico.

3.3.2

Rendere impossibile l'identificazione delle agenzie, sia direttamente che indirettamente, andrebbe a vantaggio del mercato nel suo complesso, consentendo di trovare un equilibrio tra compagnie aeree e agenzie di viaggio nell'interesse dei consumatori. Tuttavia, considerando che le informazioni MIDT possono essere ottenute anche da altre fonti, per esempio la IATA, per non svalutarle troppo si dovrebbe dare agli abbonati piena libertà di negoziare con i CRS le modalità del loro utilizzo.

3.3.3

All'articolo 7 andrebbe aggiunta una disposizione che permetta alle compagnie e agli abbonati di negoziare liberamente con i CRS le condizioni di acquisto delle informazioni MIDT.

3.4   Regole relative agli abbonati

3.4.1

Le regole attuali puntano a proteggere le agenzie di viaggio permettendo loro di risolvere un contratto con un CRS con un preavviso di tre mesi.

3.4.2

Il CESE raccomanda quindi di sopprimere il proposto articolo 6, paragrafo 2, permettendo così lo svolgimento di libere trattative tra le parti senza necessità di regolamentare.

3.5   Accordi di hosting

3.5.1

Per evitare un trattamento preferenziale delle compagnie ospitate, e in particolare dei vettori associati, l'hosting deve rimanere separato dai contratti CRS. Se i vettori associati cederanno le loro quote azionarie, questa regola potrà essere abolita.

3.6   Riservatezza dei dati

3.6.1

I PNR sono documenti creati dai CRS ogni volta che un passeggero prenota un biglietto aereo o ferroviario, un alloggio, il noleggio di un'automobile, un'assicurazione o qualsiasi altro servizio riguardante un viaggio. Le informazioni contenute in questi documenti sono molto sensibili, quindi essi dovrebbero essere soggetti a norme rigorose in materia di riservatezza dei dati personali. Si tratta, tra l'altro, del nome, dei recapiti, della data di nascita, di preferenze personali del passeggero suscettibili di rivelarne la fede religiosa (per es. se richiede un pasto kasher), degli estremi di chi paga il biglietto, dei dettagli della carta di credito utilizzata, di eventuali amici, familiari o colleghi che hanno prenotato lo stesso itinerario, nonché del nome e dei recapiti dell'agenzia di viaggio. Nel caso di viaggi d'affari, spesso ai PNR vengono aggiunti dei codici che indicano quale dipartimento o cliente sostiene il costo del viaggio, o l'eventuale appartenenza del passeggero a un sindacato. Poiché in questo modo è possibile compilare un profilo molto particolareggiato sia dei passeggeri che delle altre persone che hanno a che fare con la prenotazione, l'UE deve garantire la protezione di questi dati personali ai sensi delle disposizioni del Codice.

3.6.2

Le regole del Codice di comportamento in materia di riservatezza sono violate in modo sistematico quando:

a)

si verificano trasferimenti di dati dall'UE a un paese terzo,

b)

le informazioni personali sono trattate senza il consenso dell'interessato,

c)

informazioni in possesso del CRS sono trattate a fini diversi dalla prenotazione.

3.6.3

In questi casi si verificano inoltre violazioni della direttiva 95/46/CE (complementare alle disposizioni del Codice di comportamento in materia di riservatezza), secondo la quale, in quanto «responsabile del trattamento dei dati», il CRS deve ottenere il consenso dell'interessato alla divulgazione delle informazioni personali, che non devono essere trasferite al di fuori dell'UE a meno che il paese di destinazione garantisca un equivalente livello di protezione dei dati. Negli Stati Uniti, dove non esiste una normativa di questo tipo, il governo o soggetti commerciali possono avvalersi di queste informazioni per creare profili basati sui dati di viaggio provenienti dall'UE, e i dati in questione possono essere conservati a tempo indeterminato. Un esempio è il sistema statunitense denominato APIS (Advanced Passenger Information System), che prevede il trattamento dei dati relativi ai passeggeri provenienti dall'UE come condizione per l'ingresso sul territorio degli USA.

3.6.4

Andrebbero rafforzate le regole in materia di riservatezza dei dati per proteggere in modo specifico tutti coloro i cui dati sono contenuti nel PNR, e non soltanto il passeggero.

3.6.5

L'applicazione della parte del Codice riguardante la riservatezza dei dati, e in particolare il trasferimento di informazioni personali contenute in un PNR a paesi terzi da parte del CRS, deve essere garantita dall'UE e fatta oggetto di trattati bilaterali con i governi dei paesi terzi. Gli accordi vigenti tra gli USA e l'Europa sono invece «impegni» giuridicamente non vincolanti, di cui non è possibile garantire l'applicazione.

3.6.6

Andrebbero introdotte nuove norme per cui tutti i PNR creati dagli abbonati a un CRS, senza eccezioni, sarebbero tutelati dalle disposizioni del Codice in materia di riservatezza dei dati. Ciò si applicherebbe anche alle compagnie aeree che affidano ai venditori di CRS la gestione delle loro basi di dati PNR, nonché alle agenzie di viaggio, ai tour operator, alle società e a qualsiasi altra fonte di prenotazioni collegata al CRS.

4.   Conclusione — Le prossime tappe

4.1

La semplificazione del Codice di comportamento mira a creare un ambiente economico più naturale, al cui interno i CRS possano farsi concorrenza sulla base dei prezzi e della qualità del servizio, garantendo al tempo stesso che gli interessi dei consumatori rimangano la priorità fondamentale.

4.2

Si dovrebbe vigilare attentamente sul livello di consolidamento delle informazioni (per es. aggiunta di nuovi operatori ferroviari o vettori low cost) risultante dalla liberalizzazione dei prezzi. L'integrazione del settore ferroviario e dei vettori low cost consentirebbe ai consumatori di ottenere dai CRS prezzi più bassi e opzioni più diversificate per le destinazioni a corta o media distanza. È possibile che ciò porti a una concorrenza sui prezzi tra i vettori di rete (network carriers) e, sul medio/lungo periodo, a una riduzione generale del costo delle tariffe. Si tratterebbe di un beneficio cruciale per coloro che si affidano ai venditori di sistemi CRS per ottenere informazioni sui viaggi.

4.3

L'integrazione di informazioni ferroviarie nei sistemi di visualizzazione dei CRS dovrebbe essere incoraggiata, in quanto è un fattore chiave per la riduzione dell'impatto ambientale del trasporto aereo e contribuisce a promuovere mezzi di trasporto più ecologici.

4.4

L'impatto dell'abolizione dell'obbligo di visualizzazione neutrale andrebbe monitorato. Le forze di mercato dovrebbero controbilanciare possibili comportamenti anticoncorrenziali, anche da parte dei vettori associati. Il Codice non dovrebbe puntare a imporre per legge un'unica fonte di informazioni tramite CRS, consolidata e neutrale. Viste le mutevoli condizioni del mercato, in particolare di quello via Internet, questo aspetto si fa sempre più irrilevante.

4.5

Anche l'impatto socioeconomico delle modifiche che si propongono per il Codice di comportamento dovrebbe concentrarsi sulle piccole e medie imprese, compresi vettori e agenzie di viaggio, che possono risultare vulnerabili alla nuova flessibilità introdotta nel mercato dei CRS.

4.6

L'UE deve sensibilizzare il pubblico sull'utilizzo dei dati personali contenuti negli archivi delle prenotazioni. Gran parte dell'opinione pubblica, infatti, non è al corrente dell'esistenza dei sistemi telematici di prenotazione e di ciò che accade alle informazioni personali da essi trattate. Senza questa sensibilità, il diritto degli interessati ad avere accesso ai dati che li riguardano, proposto dal Codice, rimarrà privo di significato. È poco probabile che un passeggero abbia mai richiesto a un CRS la restituzione dei propri dati personali, per il semplice fatto che non sa che uso se ne fa e che se lo sapesse non acconsentirebbe.

4.7

Andrebbe ampliata, nel processo di consultazione, la rappresentanza di gruppi che non rientrano direttamente nel sistema di distribuzione dei viaggi, come associazioni di consumatori ed esperti in materia di riservatezza dei dati. Ciò consentirebbe di avere una prospettiva più equilibrata sullo stato del mercato dei CRS nell'UE.

4.8

Andrebbero esaminati i progressi della tecnologia per le prenotazioni di viaggi online. I miglioramenti apportati dai CRS e da altre aziende del settore in fatto di disponibilità e funzionalità, sia durante che dopo la prenotazione, sono assai significativi. Questi miglioramenti della tecnologia online daranno più potere ai consumatori e forse imporranno ulteriori modifiche della normativa.

4.9

Altri sviluppi tecnologici hanno permesso a compagnie aeree statunitensi di collegarsi direttamente alle agenzie (aggirando così i CRS), mossa che ha cambiato ancora il contesto operativo di questi ultimi. Ci si affida sempre meno ai CRS, mentre i consumatori, le agenzie e le compagnie guadagnano potere negoziale.

4.10

Andrebbe incoraggiato l'ingresso nel mercato di nuovi operatori. Aumentare la concorrenza nell'oligopolio esistente nell'UE stimolerebbe il mercato dei CRS. Negli Stati Uniti, la deregolamentazione ha favorito la nascita di venditori di sistemi di nuova generazione (4), che grazie all'uso di nuove tecnologie sono in grado di offrire alle compagnie servizi molto interessanti a costi più bassi.

4.11

Andrebbe valutato l'impatto della diminuzione dei costi di distribuzione sia sul mercato interno che sui mercati internazionali, per quanto riguarda sia le tariffe aeree che la competitività rispetto ai vettori statunitensi.

4.12

Tra due o tre anni andrebbe riesaminato il Codice di comportamento per valutare la situazione dei vettori associati, l'effettiva applicazione della protezione dei dati personali e le condizioni del mercato e, prima di prendere in considerazione ulteriori modifiche, andrebbero consultati anche altri gruppi di pressione.

Bruxelles, 29 maggio 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Proprietà combinata del 46,4 % di Amadeus.

(2)  Attualmente al 50 % nell'insieme degli Stati membri.

(3)  P. es. Kelkoo (http://www.kelkoo.fr).

(4)  Per es. G2 Switchworks o Farelogics, note come GNE o GDS New Entrants.


30.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 224/61


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma comunitario pluriennale per la protezione dei minori che usano Internet e le altre tecnologie di comunicazione

COM(2008) 106 def. — 2008/0047 (COD)

(2008/C 224/13)

Il Consiglio, in data 7 aprile 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 153 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma comunitario pluriennale per la protezione dei minori che usano Internet e le altre tecnologie di comunicazione.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione è stata incaricata, in data 11 marzo 2008, dall'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 maggio 2008, nel corso della 445a sessione plenaria, ha nominato relatrice generale SHARMA e ha adottato all'unanimità il seguente parere.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) elogia la Commissione per il lavoro già svolto nell'ambito della protezione dei minori nei riguardi delle tecnologie in linea (1), e osserva in particolare come il livello medio di sensibilizzazione della popolazione sia in crescita grazie alle campagne condotte dalle parti sociali, in particolare ONG, e alle «Giornate per una Internet più sicura» promosse annualmente dalla Commissione.

1.2

Il CESE stesso ha redatto molti pareri per dare risalto a queste problematiche (2). Inoltre, raccomanda un approccio di partenariato internazionale volto a incoraggiare le misure elencate qui di seguito.

1.2.1

La condivisione di dati su scala internazionale e la messa in comune di idee tra governi, autorità preposte al rispetto della legge, punti di contatto (hotlines), istituti bancari e finanziari, gestori di carte di credito, centri di consulenza contro gli abusi sui minori, organizzazioni per il benessere dei minori e il settore Internet.

1.2.2

La creazione di una task force a livello UE o mondiale che si riunisca ogni tre mesi per facilitare la condivisione di dati, esperienze e buone prassi tra i soggetti interessati, compresi punti di contatto, autorità preposte al rispetto della legge, governi e in particolare il settore Internet su scala internazionale.

1.2.3

La definizione e la promozione di un modello internazionale ed europeo di buone pratiche per quanto riguarda la lotta ai contenuti pedopornografici su Internet grazie ai punti di contatto.

1.2.4

Un esame di tutte i punti di contatto esistenti e futuri alla luce delle buone pratiche attualmente in uso e la valutazione delle loro prestazioni rispetto al nuovo modello di buone pratiche.

1.2.5

Una razionalizzazione dell'attività di ripartizione delle risorse e dei finanziamenti del programma in conseguenza dell'esame dei punti di contatto.

1.2.6

La partecipazione dei punti di contatto al progetto sulla banca dati europea.

1.2.7

La promozione di partenariati tra i punti di contatto o altre organizzazioni interessate e i registri nazionali dei nomi di dominio per cancellare dai registri i nomi di dominio che incitano alla pedofilia o che forniscono accesso a questo tipo di contenuti.

1.2.8

Un impegno congiunto per la sensibilizzazione sui problemi della manipolazione psicologica a scopi sessuali (grooming) e del bullismo in linea (cyber-bullying) (3) e l'eventuale segnalazione di tali problemi alle autorità preposte al rispetto della legge competenti e agli organismi di protezione dell'infanzia.

1.2.9

Introduzione di procedure di supporto per gli analisti e coloro che, lavorando nell'ambiente dei punti di contatto, prendono visione delle immagini.

1.2.10

Attività volte ad accertare e a garantire l'armonizzazione dei quadri giuridici in materia in tutti gli Stati membri.

1.2.11

La creazione, a livello di Commissione europea, di un centro di messa in rete che funga da organo di valutazione indipendente, coordini le ricerche e verifichi l'attuazione del programma e delle raccomandazioni.

1.2.12

La costituzione, su base annua, di un gruppo di «esperti» con il compito di intensificare il trasferimento di conoscenze.

1.2.13

La creazione di un forum della gioventù volto a garantire che nell'attività di ricerca e nell'attuazione futura del programma si tenga conto delle opinioni e delle esperienze dei minori e dei giovani.

1.2.14

Uso proattivo e basato sulla collaborazione dei flussi di finanziamento, quali i programmi Daphne e per un uso più sicuro di Internet.

1.2.15

La creazione di legami con le competenti autorità statunitensi per incoraggiare la riduzione dei contenuti pedopornografici ospitati negli Stati Uniti e istituire scambi attivi di dati a livello transatlantico.

1.3

L'adozione di un approccio di partenariato è tale da assicurare la massima valorizzazione delle competenze e la diffusione delle conoscenze, delle informazioni e dei finanziamenti. Soprattutto, un tale approccio garantisce la partecipazione dei soggetti interessati e delle parti sociali agli sforzi globali profusi dall'UE per ridurre al minimo i contenuti illeciti in linea e ridurre le opportunità di accedervi.

2.   Osservazioni generali sulla proposta della Commissione

2.1

Internet e le altre tecnologie della comunicazione (qui di seguito, «tecnologie in linea») (4), che in origine erano state concepite e ideate come strumenti di comunicazione per esperti e ricercatori, sono ormai usate correntemente nelle famiglie, nelle scuole, nelle imprese e nelle pubbliche amministrazioni nella maggior parte del mondo.

2.2

I minori sono utenti attivi — e in misura crescente — delle tecnologie in linea. Tuttavia, al di là dei vantaggi insiti nell'interazione e nella partecipazione all'ambiente on line, essi sono anche esposti ad alcuni gravi rischi:

a)

maltrattamenti diretti come vittime di abusi sessuali documentati da fotografie, filmati o registrazioni audio e trasmessi in linea (materiale pedopornografico);

b)

il perpetuarsi di tali abusi attraverso la visione ripetuta delle registrazioni che le documentano, le quali vengono ampiamente diffuse in linea e sono quindi accessibili su scala mondiale;

c)

contatti diretti avviati al fine di fare amicizia con i minori e abusarne sessualmente (grooming);

d)

bullismo in linea a danno dei minori.

2.3

Tra le altre tendenze riscontrate (cfr. Allegato 1) (5) rientrano:

a)

la rapida e dinamica evoluzione dei nuovi paesaggi tecnologici, sempre più caratterizzati da convergenza digitale, canali di distribuzione più rapidi, Internet mobile, Web 2.0, accesso wi-fi e altri nuovi formati di contenuto e servizi tecnologici in linea;

b)

il riconoscimento della giovanissima età dei minori vittime di abusi sessuali e dell'estrema gravità degli abusi da essi subiti;

c)

la precisazione dell'entità del problema per quanto riguarda i siti Internet pubblicamente accessibili contenenti materiale pedopornografico: in altri termini, un obiettivo concreto «gestibile» di circa 3.000 siti all'anno ospitati in tutto il mondo e che danno accesso a varie centinaia di migliaia di immagini pedopornografiche;

d)

alcuni dati recenti relativi all'ubicazione regionale delle reti di pornografia infantile, da cui emerge che questo tipo di contenuti è ospitato in maggioranza negli Stati Uniti;

e)

il fatto che, sempre secondo tali dati, i divulgatori di contenuti pedopornografici in linea cambiano regolarmente gestore e paese ospitante per evitare l'individuazione e la cancellazione dei siti, il che complica le indagini delle autorità preposte al rispetto della legge, a livello esclusivamente nazionale;

f)

la mancanza di sforzi congiunti su scala internazionale da parte dei registri nazionali dei nomi di dominio per cancellare dai registri i nomi di dominio che incitano alla pedofilia o che forniscono accesso a questo tipo di contenuti;

g)

il persistere e, potenzialmente, l'allargarsi del divario generazionale tra i ragazzi che usano le tecnologie in linea e la loro percezione dei rischi, da un lato, e la comprensione dell'uso di tali tecnologie da parte degli adulti, dall'altro;

h)

la constatazione che il grado di esposizione degli utenti al materiale pedopornografico può essere ridotto grazie a interventi volontari del settore, come il blocco di singole URL da parte dei fornitori di servizi;

i)

l'importanza delle raccomandazioni nazionali riguardanti gli strumenti in linea, come i prodotti di filtraggio, le opzioni di sicurezza dei motori di ricerca, ecc.

2.4

Proteggere gli internauti, soprattutto i minori, dall'esposizione ai contenuti e ai comportamenti illeciti e dannosi in linea e ridurre i contenuti illeciti distribuiti in rete rappresenta una costante preoccupazione per i decisori politici, i legislatori, l'industria e gli utenti finali, in particolare genitori, assistenti ed educatori.

2.5

Sotto il profilo giuridico occorre fare una distinzione fondamentale tra ciò che è illecito e ciò che è dannoso, poiché a seconda dei casi cambiano i metodi, le strategie e gli strumenti da usare. I contenuti o i comportamenti illeciti, la cui definizione varia da paese a paese in funzione della legislazione nazionale vigente, sono perseguiti dalle autorità preposte al rispetto della legge, da altri organi statali e dai punti di contatto dotati delle relative competenze.

2.6

Il CESE chiede che una legislazione armonizzata tra gli Stati membri venga attuata e applicata a livello nazionale, e includa almeno gli elementi menzionati dalla convenzione sulla criminalità informatica del Consiglio d'Europa (6):

a)

la definizione del concetto di materiale pedopornografico,

b)

il fatto che la pornografia infantile riguarda i minori di età inferiore ai 16 anni,

c)

il fatto che il possesso e la visione/scarico di materiale pedopornografico sono reati punibili con lunghe pene detentive.

2.7

Per quanto siano state fissate alcune norme su scala europea che chiariscono le disposizioni di legge attraverso varie raccomandazioni e direttive, occorrerebbe accertare se esse siano state messe in pratica in tutti gli Stati membri.

2.8

Si parla di contenuti dannosi in riferimento a quei contenuti che genitori, insegnanti e altri adulti considerano potenzialmente dannosi per i minori. La definizione di tali contenuti, che varia da paese a paese e da cultura a cultura, può andare dalla pornografia e dalla violenza al razzismo, alla xenofobia e all'incitamento all'odio attraverso i discorsi e la musica, nonché all'incitamento all'automutilazione, all'anoressia e al suicidio. Pertanto, il CESE ammette la difficoltà di costituire partenariati internazionali relativi a tali contenuti, ma ritiene che si potrebbero fare degli sforzi a livello nazionale per sensibilizzare agli strumenti, ai metodi e alle tecnologie intesi a proteggere i bambini dall'esposizione a essi.

2.9

L'UE ha svolto sin dal 1996 un ruolo precursore in materia di protezione dei minori in linea, e i vari programmi succedutisi al fine di rendere più sicuro l'uso di Internet (il Piano d'azione per l'uso sicuro di Internet 1999-2004 e il programma Safer Internet plus 2004-2008) sono contributi importanti in tal senso. La Commissione ha adottato una comunicazione sull'attuazione del programma comunitario pluriennale per promuovere l'uso sicuro di Internet e delle nuove tecnologie online (Safer Internet plus) nel periodo 2005-2006 (7). Inoltre, una valutazione d'impatto realizzata tra aprile e luglio 2007 (8) ha confermato l'efficacia delle azioni condotte, pur sottolineando la necessità di adattarle alle tecnologie Internet emergenti e alla rapida evoluzione delle forme di criminalità in questo settore.

2.10

L'obiettivo del nuovo programma è promuovere un uso più sicuro di Internet e delle altre tecnologie della comunicazione, in particolare per i minori, e lottare contro i contenuti illeciti e i comportamenti illegali e dannosi in linea, agevolando la collaborazione e lo scambio di esperienze e buone pratiche a tutti i livelli sulle tematiche riguardanti la sicurezza dei minori in linea e garantendo così un valore aggiunto di livello europeo.

2.11

La collaborazione internazionale sarà incoraggiata come parte integrante di ciascuna delle quattro azioni del programma, incentrate rispettivamente sui seguenti obiettivi:

a)

riduzione dei contenuti illeciti e lotta contro i comportamenti dannosi in linea;

b)

promozione di un ambiente in linea più sicuro;

c)

sensibilizzazione del pubblico;

d)

creazione di una base di conoscenze.

2.12

Il CESE, tuttavia, invita la Commissione a fornire definizioni e chiarimenti giuridici riguardo ai termini «comportamenti» e «dannosi», specie in vista di un recepimento negli ordinamenti nazionali. Ulteriori chiarimenti occorrerebbero anche in relazione al ruolo di punti di contatto, i quali non compiono indagini sui sospetti e non dispongono delle necessarie competenze in tal senso (cfr. Allegato 2) (9).

3.   Un modello internazionale

3.1

Internet non è di proprietà di grandi gruppi multinazionali né è gestito da gruppi del genere che ne controllino il contenuto. Si compone di centinaia di milioni di pagine pubblicate da numerosissimi internauti, cosa che rende difficile la sorveglianza o il controllo del contenuto illecito. È tuttavia possibile intervenire per ridurre il volume di contenuti illeciti disponibile se tutti gli attori interessati cooperano, con azioni locali (a livello delle famiglie), nazionali ed internazionali (compreso il ciberspazio).

3.2

Nel 2007, la Internet Watch Foundation (fondazione per la sorveglianza di Internet) ha individuato 2.755 siti pedopornografici, ospitati in tutto il mondo. Per l'80 % si tratta di siti commerciali, che cambiano spesso ospite e regione per evitare di essere individuati (10). Queste tattiche, associate alla complessa natura multinazionale dei reati, fanno sì che solo una reazione concertata a livello mondiale, che coinvolga le autorità preposte al rispetto delle leggi, i governi e il settore Internet a livello internazionale, permetterà di indagare efficacemente su questi siti, sul loro contenuto e sulle organizzazioni che si nascondono dietro di loro.

3.3

Il CESE ammette che un «approccio di partenariato» è necessario per garantire la tutela dei minori. Le parti sociali, compreso il governo, l'industria in linea, le autorità di polizia e giudiziarie, le associazioni di tutela dell'infanzia, le imprese, i rappresentanti dei lavoratori, le ONG (fra cui le associazioni di consumatori) ed il pubblico devono operare insieme per mettere in luce i pericoli ed i rischi, pur permettendo ai giovani di fruire dei vantaggi di questo strumento rivoluzionario di socializzazione, d'apprendistato e d'innovazione.

3.4

A Internet può essere attribuito il miglioramento della qualità della vita di numerose persone, in particolare dei giovani, delle persone anziane e di un buono numero di persone disabili. È uno strumento di comunicazione unica, che diventa sempre più una «rete sociale». Nuove dinamiche per quanto riguarda i modi di vita, le famiglie ed i modelli d'occupazione hanno portato all'aumento dei periodi di tempo trascorsi in modo più indipendente o isolato. Di conseguenza, la protezione dell'utente, in particolare l'utente vulnerabile — specialmente i minori –, è una priorità la cui responsabilità non può essere lasciata alle sole persone incaricate della loro custodia.

3.5

L'emergere di nuove tecnologie e di nuovi servizi è la chiave dell'innovazione e della crescita per le imprese del mondo intero. I giovani sono spesso i primi ad osservare il potenziale di queste innovazioni e ad adottarle. Tuttavia, questi sviluppi si accompagnano ad abusi, cosa che costituisce una preoccupazione sempre più grave. Gli organi d'autoregolamentazione del settore e degli attori interessati possiedono una conoscenza approfondita di queste tecnologie, ed hanno la possibilità di sviluppare contromisure per combattere questi abusi. La condivisione delle conoscenze, la sensibilizzazione dei consumatori e l'informazione relativa a come segnalare questi siti, insieme, laddove possibile, alla distribuzione dei fondi destinati all'eliminazione degli abusi, soprattutto degli abusi inflitti a minori, è un dovere essenziale del settore Internet e costituisce parte integrante della responsabilità sociale delle imprese del settore.

3.6

L'ampiezza e la portata del problema della diffusione in linea di contenuti pedopornografici è oggetto di numerose ipotesi. Tuttavia, come riconosce la relazione della Commissione, mancano dati statistici per gli Stati membri dell'UE. Occorrerebbe cercare di seguire i movimenti e le attività dei siti Internet associati alla diffusione di contenuto pedopornografico per fornire informazioni agli organi competenti ed alle autorità di repressione internazionali al fine di potere ritirare questo contenuto della rete ed indagare su coloro che lo diffondono.

3.7

Tali organizzazioni devono essere istituite a livello nazionale ed incontrare regolarmente la Commissione europea per formulare strategie. Una piattaforma a livello dell'UE, che riunisca le imprese, i governi, gli istituti bancari e finanziari, i gestori di carte di credito, le ONG, nonché rappresentanti del mondo dell'istruzione, dei datori di lavoro e dei lavoratori dipendenti, potrebbe rappresentare uno strumento prezioso per valutare e agire rapidamente in tutta l'Unione, diffondendo le informazioni al di là delle frontiere dell'UE per facilitare la cooperazione nelle azioni volte a far rispettare la legge a livello internazionale.

3.8

Una riunione annuale di esperti europei riguardante gli sviluppi in materia di tecnologia, di fattori psicologici e sociali e dell'azione di polizia e giudiziaria dovrebbe essere incoraggiata per intensificare il trasferimento di conoscenze. Le conclusioni di queste riunioni sarebbero diffuse in tutti gli Stati membri dell'UE e presso tutti i membri della piattaforma, per essere adattate, integrate o utilizzate a livello nazionale e locale.

3.9

L'istituzione di un «centro di messa in rete» a livello della Commissione, che procederebbe a ricerche su progetti condotti non soltanto in Europa ma anche nel resto del mondo, assisterebbe la piattaforma nel garantire che le conoscenze, comprese le statistiche, siano aggiornate e pertinenti, che i metodi efficaci per lottare contro questi problemi siano diffusi e trasmessi rapidamente ai partner attivi. Fra i compiti del centro di messa in rete vi sarebbero anche le visite e la sorveglianza. Inoltre, esso potrebbe esercitare un ruolo di consulente indipendente dei punti di contatto e valutare le candidature per nuovi progetti onde evitare che alcuni si sovrappongano a progetti già condotti a termine, e per vigilare su un utilizzo effettivo ed efficace dei fondi. Il centro potrebbe anche proporre partenariati. Il centro di messa in rete potrebbe avere la funzione di reagire alle nuove sfide man mano che si presentano.

3.10

La creazione di un «forum della gioventù» può essere uno strumento prezioso per la partecipazione dei giovani e la diffusione di informazioni a reti sociali utilizzate dagli internauti più vulnerabili. I giovani hanno il loro linguaggio e sono spesso restii ad ascoltare i rappresentanti dell'autorità, ma sono aperti ai consigli dei loro pari nel loro ambiente sociale. Si deve tener conto dei diritti dei minori ed i giovani devono quindi essere associati al processo.

3.11

È necessario un modello efficace, che preveda l'impegno delle parti interessate a condividere le informazioni necessarie per adattarsi alle nuove forme di criminalità informatica nel mondo e a quelle emergenti e a scambiarsi le conoscenze.

4.   Orientamenti per l'attuazione di punti di contatto per le segnalazioni di contenuti illeciti (hotlines)

4.1

Un modello di buona pratica in materia di punti di contatto dovrebbe avere le seguenti caratteristiche:

4.1.1

analisti con una formazione riconosciuta nella valutazione di contenuti in linea illeciti.

4.1.2

Analisti esperti nell'individuazione di contenuti in linea potenzialmente illeciti.

4.1.3

Un approccio chiaro di partenariato con i principali attori interessati a livello nazionale, cioè i governi, gli istituti bancari e finanziari, i gestori di carte di credito, le autorità di polizia e giudiziarie, le organizzazioni che lavorano con le famiglie, le associazioni di protezione dell'infanzia, e, in particolare, il settore Internet.

4.1.4

La coregolamentazione e l'autoregolamentazione dei punti di contatto, con un partenariato efficace con il settore Internet nazionale e l'adesione a un codice di buone pratiche.

4.1.5

Procedura universale di «notifica e ritiro» per i contenuti in linea illeciti ospitati da imprese nazionali.

4.1.6

Partecipazione al progetto europeo di base di dati centralizzata di URL con contenuti pedopornografici.

4.1.7

Impegno, da parte delle imprese internet nazionali, a bloccare a livello di rete una serie di siti pedopornografici, contenuti in un elenco da aggiornare costantemente, per proteggere gli utenti dall'esposizione accidentale.

4.1.8

Ogni punto di contatto dovrebbe disporre di siti Internet completi nella lingua nazionale, che propongano un meccanismo di segnalazione semplice ed anonimo, con indicazioni chiare che rinviino a helpline e ad altre organizzazioni competenti per le questioni che non sono di loro competenza (come ad esempio grooming e cyber-bullying).

4.1.9

Sensibilizzazione del pubblico alla funzione punto di contatto ed alle questioni connesse.

4.1.10

Disponibilità di dati europei e internazionali, condivisione di intelligence e competenze.

4.1.11

Partecipazione a partenariati europei ed internazionali con le parti interessate per condividere i dati e l'intelligence e mettere in comune le idee per lottare contro il carattere transfrontaliero di questi reati.

4.1.12

Misure a livello europeo ed internazionale per permettere il ritiro del contenuto pedopornografico presente in Internet e le indagini su chi lo diffonde, indipendentemente dal luogo dove esso è ospitato.

4.1.13

Contributo ad ogni organo nazionale o internazionale creato per assumersi, a livello internazionale, la responsabilità della lotta contro questi siti Internet e facilitare la collaborazione tra le agenzie multinazionali preposte al rispetto della legge.

4.1.14

Diffusione di linee direttrici da presentare ai datori di lavoro, insegnanti, organizzazioni, genitori minori, ad esempio, il programma d'istruzione ThinkuKnow della CEOP (Child Exploitation and Online Protection Centre) (polizia britannica).

4.1.15

Sensibilizzazione degli internauti, in particolare in partenariato con le imprese nazionali in linea o con il loro sostegno.

4.1.16

Le organizzazioni dovrebbero essere membri di Inhope, l'associazione internazionale dei punti di contatto Internet, affinché la condivisione delle buone pratiche a livello internazionale tra i punti di contatto e il settore permetta di eliminare i contenuti illeciti (11).

4.1.17

Le procedure di segnalazione devono essere semplici ed anonime, e le segnalazioni devono essere gestite con rapidità.

4.1.18

Gli operatori dei punti di contatto devono mettere a disposizione procedure che garantiscano un certo livello di sostegno e consulenza per gli analisti che guardano le immagini e elaborano dati.

4.2

Inoltre, i punti di contatto dovrebbero:

a)

creare partenariati con le società nazionali di registrazione dei nomi dei domini per fare in modo che i domini che forniscono regolarmente un accesso a contenuti pedopornografici, o con nomi che suggeriscono attività sessuale con minori, siano oggetto di un'indagine ed eliminati;

b)

cercare di ottenere finanziamenti volontari su una base di autoregolamentazione da parte delle imprese Internet nazionali che si avvalgono del funzionamento di un meccanismo di segnalazione gestito dai punti di contatto, del servizio di «notifica e ritiro» e della fornitura di elenchi costantemente aggiornati di siti da bloccare;

c)

incoraggiare o facilitare il blocco dei siti a contenuto pedopornografico da parte del settore Internet del paese interessato;

d)

Incoraggiare le relazioni positive tra i punti di contatto e le helpline, offrendo la possibilità di segnalare gli abusi alle organizzazioni di sostegno delle vittime, allo scopo di promuovere un'azione di sensibilizzazione complementare sulle questioni pertinenti e di attualità.

5.   Osservazioni specifiche sulla proposta della Commissione

5.1

La proposta della Commissione non dà risposte a tutta una serie di domande:

a)

Chi coordinerà le misure proposte, ed a quale titolo?

b)

Come sono formulati i criteri applicabili ai vari settori? Molti programmi esistenti risponderebbero a più di un criterio della base di dati di conoscenze proposta (12).

c)

Chi sceglie i candidati adeguati?

d)

Chi è responsabile della valutazione continua e della messa in rete di questi progetti?

5.2

Rispondendo alle domande di cui sopra, si eviterebbe di dover reinventare la ruota, cioè di rifare ciò chi è stato già fatto, e si garantirebbe un uso efficiente ed efficace dei fondi. È particolarmente importante fare in modo che gli esperti del settore partecipino attivamente all'iniziativa, in stretta cooperazione con consulenti o funzionari. Lo stesso dicasi per la proposta di istituire, a livello di Commissione europea, un centro di messa in rete che effettui ricerche su questi progetti, ne approfondisca la conoscenza, effettui visite in loco e tenga i contatti.

5.3

La Commissione deve inoltre ipotizzare un uso più proattivo e basato sulla collaborazione dei flussi di finanziamento, quali il programma Daphne e i programmi per un uso più sicuro di Internet.

5.4

Infine, il Comitato invita la Commissione ad insistere sull'importanza e l'impatto degli elementi seguenti:

adozione, in tutti gli Stati membri, della procedura di «notifica e ritiro», da parte dei punti di contatto e del settore Internet, dei contenuti pedopornografici;

adozione più generalizzata dell'iniziativa che mira a proteggere gli internauti bloccando l'accesso alle URL pedopornografiche;

uno sforzo internazionale da parte dei registri dei nomi dei domini e delle autorità interessate per cercare di eliminare i nomi di domini associati a contenuti pedopornografici.

5.5

Le misure summenzionate ridurrebbero le occasioni in cui utenti ignari potrebbero essere esposti ad immagini traumatizzanti ed illecite, abbasserebbero il grado di ulteriore vittimizzazione dei minori limitando le possibilità di guardare gli abusi sessuali da essi subiti, interromperebbero l'accessibilità e la fornitura di tali contenuti a coloro che ricercano eventualmente tali immagini e metterebbero fine alla diffusione di immagini agli utenti di Internet da parte di organizzazioni criminali a fini commerciali.

5.6

Fatto non trascurabile, l'attuazione di tali misure complicherebbe sempre più il compito delle persone responsabili della diffusione dei contenuti pedopornografici. Anche se la natura dinamica dei reati e la sofisticazione tecnologica dei contravventori impediscono una soppressione totale del contenuto, più le operazioni sono costose, rischiose e transitorie, meno appaiono come una via per realizzare facili guadagni, finanziari o di altro tipo.

5.7

I dati recenti relativi alla portata e all'ampiezza dei siti pedopornografici (non le singole immagini o le singole URL Internet) incoraggiano ulteriormente ad intensificare la lotta per la loro totale eliminazione. Adesso possono essere stabiliti obiettivi concreti per dimostrare i benefici della condivisione dei dati e dell'assunzione di responsabilità ai massimi livelli internazionali, nonché l'importanza di un partenariato internazionale coordinato e ben funzionante nel ridurre sostanzialmente il numero di siti pedopornografici.

Bruxelles, 29 maggio 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Ai fini del presente documento, per «tecnologie in linea» si intendono le tecnologie utilizzate per accedere a Internet e ad altre tecnologie di comunicazione. Inoltre, in certi casi, come ad esempio i videogiochi, esistono sia usi «on-line» che usi «offline» di contenuti e servizi, i quali possono entrambi essere importanti in termini di sicurezza dei minori.

(2)  «Uso sicuro di Internet attraverso la lotta alle informazioni di contenuto illegale e nocivo», GU C 61 del 14.3.2003, pag. 32 e «Uso più sicuro di Internet», GU C 157 del 28.6.2005, pag. 136.

(3)  Grooming: i malfattori sono in contatto diretto con i minori, mostrando loro amicizia allo scopo di commettere abusi sessuali; Cyber-bullying: bullismo tramite Internet.

(4)  Cfr. nota 1.

(5)  Disponibile unicamente in inglese e consultabile sul web, allegato alla versione elettronica del parere.

(6)  Consiglio d'Europa ETS 185 — Convenzione sulla criminalità informatica, 23.11.2001. http://conventions.coe.int/Treaty/en/Treaties/Html/185.htm

(7)  COM(2006) 661 def. — Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Comunicazione sull'attuazione del programma comunitario pluriennale per promuovere l'uso sicuro di Internet e delle nuove tecnologie online (Safer Internet plus).

(8)  http://ec.europa.eu/saferinternet

(9)  Disponibile unicamente in inglese e consultabile sul web, allegato alla versione elettronica del parere.

(10)  Punto di contatto inglese per la segnalazione di contenuti illeciti: siti contenenti abusi sessuali sui minori ospitati in tutto il mondo; siti contenenti atti osceni illegali e incitamento dell'odio razziale ospitati nel Regno Unito (cfr. Allegati 1 e 2, disponibili unicamente in inglese e consultabili sul web, allegati alla versione elettronica del parere).

(11)  Tra settembre 2004 e dicembre 2006, Inhope ha trattato 1,9 milione di segnalazioni, di cui 900.000 in provenienza da semplici cittadini; 160.000 sono stati trasmessi alle autorità di repressione per le opportune misure.

(12)  Ad esempio, il progetto di prevenzione «Innocenza in pericolo» risponderebbe a più di un criterio. Esistono numerosi diversi esempi di questo tipo.


30.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 224/66


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente il controllo tecnico dei veicoli a motore e dei loro rimorchi

COM(2008) 100 def. — 2008/0044 (COD)

(2008/C 224/14)

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 16 aprile 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 80, paragrafo 2, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente il controllo tecnico dei veicoli a motore e dei loro rimorchi.

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, in data 29 maggio 2008, nel corso della 445a sessione plenaria, ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 85 voti favorevoli e 2 astensioni.

 

Bruxelles, 29 maggio 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


30.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 224/67


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio — Affrontare il problema della carenza idrica e della siccità nell'Unione europea

COM(2007) 414 def.

(2008/C 224/15)

La Commissione, in data 18 luglio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio — Affrontare il problema della carenza idrica e della siccità nell'Unione europea.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 29 aprile 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore BUFFETAUT.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 maggio 2008, nel corso della 445a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 97 voti favorevoli e un'astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

È evidente che la questione della carenza idrica e della siccità va affrontata non solo per la sua dimensione ambientale, ma anche perché è un aspetto fondamentale di una crescita economica sostenibile in Europa, e dunque riveste un'importanza strategica.

1.2

L'acqua non solo è indispensabile per la vita degli esseri umani, ma costituisce anche una risorsa vitale per numerosi settori economici basati sugli esseri viventi (a cominciare dall'agricoltura e dal settore agroalimentare).

1.3

La comunicazione della Commissione in esame ha il merito di evidenziare l'importanza del problema e di definire una serie di orientamenti intesi, da un lato, a contrastare il fenomeno della carenza idrica e della siccità e, dall'altro, a contemplare possibilità di adeguamento a una nuova situazione.

1.4

Dato che il cambiamento climatico constatato sia dagli studiosi che dai cittadini potrebbe aggravare la situazione, sarebbe necessario realizzare rapidamente le misure raccomandate dalla Commissione.

1.5

Indubbiamente, le situazioni non sono identiche in tutti gli Stati membri, e presentano differenze tra il Sud e il Nord e tra l'Est e l'Ovest. Ad ogni modo questi fenomeni interessano tutti gli Stati membri, e si sono constatati casi di siccità estiva anche nei paesi nordici.

1.6

Per questo la varietà delle situazioni riscontrabili non deve ostacolare l'adozione né di una politica concertata in Europa né di misure pratiche che tengano conto delle peculiarità concrete degli Stati membri, dato che non esiste una soluzione ideale per l'intera Unione europea.

1.7

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) chiede pertanto un monitoraggio energico e sistematico delle azioni che verranno intraprese a seguito della comunicazione in esame.

1.8

Circa il prezzo dell'acqua il Comitato sottolinea che le politiche tariffarie possono risultare inefficaci se una quota rilevante dell'acqua estratta non viene né misurata né registrata. Suggerisce dunque alla Commissione di proporre agli Stati membri la definizione che essa ritiene consigliabile per i diversi impieghi dell'acqua.

1.9

Il CESE raccomanda di creare un sito Internet europeo dei bacini idrografici in cui gli enti locali potrebbero reperire esempi da seguire per la messa a punto dei loro piani in materia e migliorare la loro informazione.

1.10

Quanto alla ripartizione dei fondi relativi all'acqua, la Commissione potrebbe modulare il suo tasso d'intervento in funzione del criterio di utilizzazione razionale dell'acqua e di conservazione delle risorse idriche, in modo da incoraggiare gli enti locali che non danno prova di un comportamento responsabile a modificare rotta, senza penalizzare le regioni che già s'impegnano su questo fronte.

1.11

Per meglio gestire il rischio della siccità, il Comitato chiede che l'UE incoraggi l'interoperabilità degli strumenti di prevenzione e di lotta contro gli incendi nel quadro del meccanismo europeo di protezione civile.

1.12

Nella riflessione sulle infrastrutture per l'approvvigionamento idrico esso raccomanda di studiare la possibilità dello stoccaggio sotterraneo e della reiniezione dell'acqua nelle falde freatiche. A suo giudizio, l'idea dei trasferimenti d'acqua all'interno di uno Stato membro non deve essere esclusa in partenza, però misure di questo tipo vanno regolamentate per evitare un atteggiamento poco parsimonioso nei confronti delle risorse idriche, le quali devono invece essere gestite con costante parsimonia e servendosi delle tecniche più avanzate per controllarne l'utilizzazione (1).

1.13

Per favorire un uso razionale dell'acqua il Comitato raccomanda di servirsi di tecniche di rilevazione all'avanguardia e di una fatturazione adeguata. Fa altresì presente l'importanza delle buone pratiche nel settore agricolo e raccomanda il rimboschimento, il reimpianto delle siepi nelle regioni in cui ciò sia utile e possibile, nonché la promozione delle tecniche di drenaggio e d'irrigazione sostenibili, con il sostegno dei fondi stanziati per la politica di sviluppo rurale. L'impiego efficiente dell'acqua in agricoltura registra progressi graduali, ma dev'essere migliorato ulteriormente mediante la modernizzazione e l'impiego parsimonioso delle annaffiature e dell'irrigazione. In proposito va sottolineata la necessità di approfondire e sviluppare la ricerca e le nuove tecnologie in agricoltura. Il Comitato evidenzia l'utilità dei sistemi individuali di risparmio idrico, riciclo e trattamento, soprattutto nel caso delle zone scarsamente popolate.

1.14

Circa il miglioramento delle conoscenze e della raccolta dei dati, il Comitato propone di creare un sito Internet dal quale sia possibile scaricare, e mettere a disposizione degli attori locali e regionali, i parametri climatici ottenuti mediante i modelli globali dell'IPCC.

2.   Il contenuto della comunicazione

2.1

I problemi di carenza idrica e la maggiore frequenza degli episodi di siccità sono ormai evidenti in Europa, non solo in alcune regioni tradizionalmente vulnerabili, ma nell'intero continente. La percentuale dei bacini fluviali interessati da un grave stress idrico nell'Unione europea potrebbe passare dall'attuale 19 % al 39 % nel 2070. Il fenomeno colpirebbe soprattutto, e in maniera grave, l'Europa meridionale e l'Europa centrale e orientale.

2.2

In trent'anni il numero delle regioni e delle popolazioni interessate dalla siccità è aumentato del 20 %. La siccità comporta costi economici oltre che umani: il periodo di siccità del 2003 è costato almeno 8,7 miliardi all'economia europea. Lo studio dell'uso dell'acqua nel mondo evidenzia situazioni molto diverse fra di loro. Un americano consuma in media 600 litri d'acqua al giorno, un europeo 250-300, un giordano 40 e un africano 30. Dinanzi alla minaccia di carenza idrica tutti devono sforzarsi di modificare le proprie abitudini, però occorre intervenire in quegli ambiti in cui l'impegno può produrre maggiori risultati. L'agricoltura è il settore che assorbe più acqua (il 71 % dell'acqua prelevata), seguita dall'industria (20 %) e quindi dagli impieghi domestici (9 %) (2).

2.3

La Commissione dà seguito a una richiesta del Consiglio Ambiente del giugno 2006 proponendo una serie di opzioni strategiche sul piano europeo:

fissare il giusto prezzo dell'acqua,

ripartire in modo più efficace l'acqua e i fondi destinati al settore idrico,

finanziare l'efficienza idrica,

mettere a punto piani di gestione del rischio siccità,

migliorare ulteriormente l'utilizzazione del Fondo di solidarietà dell'Unione europea e del Meccanismo europeo di protezione civile,

promuovere le tecnologie e le pratiche che consentono un uso efficiente dell'acqua,

predisporre un sistema d'informazione europeo sulla carenza idrica e la siccità in tutta l'Europa,

additare le prospettive in materia di ricerca e sviluppo tecnologico.

2.4

In questo modo la Commissione intende gettare le basi di una strategia efficace per favorire un uso razionale dell'acqua, che si iscrive nel quadro della lotta contro il cambiamento climatico e della volontà d'imprimere nuovo slancio all'economia europea.

2.5

Il Consiglio europeo (3) ha sottolineato che il problema della carenza idrica e della siccità va affrontato in modo selettivo a livello non solo europeo ma anche internazionale, e ha insistito sull'attuazione integrale della direttiva quadro sulle acque.

2.6

Il Consiglio ha invitato la Commissione a monitorare l'attuazione della comunicazione e a riesaminare e completare entro il 2012 la strategia dell'UE in questi ambiti.

2.7

Il Comitato non intende aggiungere una sua diagnosi, che sarebbe superflua, ma preferisce formulare osservazioni sulle soluzioni prospettate, integrarle, e soprattutto avanzare proposte e raccomandazioni concrete.

2.8

I problemi della carenza delle risorse idriche e della siccità nell'UE hanno ricadute su varie politiche. Di conseguenza alla Commissione, ad esempio, potranno essere competenti, a seconda dei casi, la DG AGRI, la DG ENV e la DG REGIO, perché la problematica in esame interessa l'agricoltura, la politica dell'acqua, il cambiamento climatico, la gestione delle crisi e l'organizzazione della sicurezza civile europea. Il Comitato auspica che la Commissione si adoperi a fondo affinché i problemi idrici vengano affrontati in maniera trasversale.

3.   Osservazioni di carattere generale

Il Comitato formula le sue osservazioni seguendo l'ordine della comunicazione in esame.

3.1   Fissare il giusto prezzo dell'acqua

3.1.1

Per la comunicazione la Commissione ha preso come riferimento la direttiva quadro sulle acque. Essa si rammarica che gli strumenti economici non siano stati utilizzati a sufficienza e fa notare come politiche tariffarie possano dimostrarsi inefficaci se buona parte dell'acqua estratta non viene né misurata né registrata dalle autorità.

3.1.2

Inoltre, numerosi Stati membri hanno adottato definizioni restrittive degli impieghi dell'acqua e dei loro beneficiari. Adottando un'interpretazione limitativa degli utenti dell'acqua (erogazione di acqua potabile e usi igienico-sanitari) senza prendere in considerazione l'irrigazione, la navigazione, la produzione di energia idroelettrica, la protezione contro le inondazioni, ecc., taluni Stati membri hanno limitato le possibilità di recuperare interamente i costi sostenuti (full cost recovery) e di attuare una tariffazione efficace dei diversi usi dell'acqua.

3.1.3

Il CESE suggerisce pertanto che la Commissione induca gli Stati membri che hanno adottato definizioni troppo restrittive degli usi e degli utenti dell'acqua a rivederle, ad esempio utilizzando un elenco degli impieghi dell'acqua sulla base del quale essi siano tenuti a motivare l'eventuale esclusione di uno di essi. Sarebbe interessante definire dei criteri per predisporre una «gerarchia» degli usi dell'acqua: ciò faciliterebbe anche l'istituzione di un sistema di tariffazione intelligente.

3.1.4

Il CESE raccomanda altresì di predisporre un programma di ricerca di economia applicata per modellizzare i flussi finanziari e l'utilità sociale dei vari impieghi dell'acqua e dei suoi circuiti al livello di un bacino.

3.1.5

In effetti, i dibattiti sul giusto prezzo dell'acqua vanno supportati dall'analisi economica dei costi/benefici che tutti i settori d'attività e tutti i consumatori, utenti e contribuenti — rispettivamente — subiscono/traggono in relazione all'uso dell'acqua.

3.1.6

Il Comitato avverte inoltre la Commissione che, per effetto della loro definizione troppo limitativa degli impieghi dell'acqua, taluni Stati membri tendono a far ricadere sull'utenza residenziale l'onere della conservazione delle risorse idriche a vantaggio degli utenti agricoli o industriali. Nel caso si aumentassero i prezzi per gli utenti agricoli, bisognerebbe cercare di fissare una tariffa equa.

3.1.7

Il Comitato rileva che gli incentivi tariffari al risparmio idrico devono essere congegnati in modo da evitare che i loro effetti siano attenuati dai costi legati alla loro complessità. Il Comitato rammenta che il modo principale per risparmiare acqua sta nel garantire la buona manutenzione delle reti e nel combattere le perdite che talvolta causano sprechi inammissibili. Rileva infine che la tariffazione non è un toccasana, e che una regolamentazione risulta opportuna nei casi in cui s'impongano scelte fra i diversi impieghi.

3.1.8

Quando la domanda di acqua per usi non agricoli è stagionale (caso frequente nei luoghi di villeggiatura), sarebbe opportuna una tariffazione differenziata: sotto il profilo della ripartizione dei costi fissi del sistema assicurerebbe infatti una maggiore equità fra residenti e villeggianti.

3.2   Ripartire in modo più efficace l'acqua e i fondi destinati al settore idrico

3.2.1

La Commissione rileva che lo sviluppo economico di alcuni bacini idrografici può avere ripercussioni negative sulla disponibilità delle risorse idriche e fa presente che devono essere monitorati con particolare attenzione i bacini idrografici soggetti a stress idrico o a carenza idrica.

3.2.2

Il Comitato raccomanda di istituire un sito Internet europeo che renda accessibili al pubblico esempi concreti di piani di gestione dei bacini idrografici, destinato in particolare agli enti locali e alle autorità competenti interessate e facente capo all'Agenzia europea dell'ambiente e/o alla Commissione.

3.2.3

I soggetti locali interessati potrebbero reperirvi metodologie, obiettivi, soluzioni a eventuali problemi e stime economiche, in modo da guadagnare parecchio tempo nella messa a punto dei propri piani.

3.2.4

L'impatto dell'agricoltura sulle risorse idriche è ben noto. Occorre promuovere un impiego più efficace dell'acqua favorendo in particolare l'irrigazione e il drenaggio sostenibili (ad esempio con la tecnica d'irrigazione a goccia). La valutazione dello stato di salute della PAC del 2008 deve offrire l'opportunità di tenere maggiormente conto dell'impiego quantitativo dell'acqua negli strumenti di tale politica. La volontà del disaccoppiamento totale degli aiuti potrebbe quindi andare di pari passo con un incremento dei fondi per la gestione dell'acqua nel quadro dei programmi di sviluppo rurale. Strumenti specifici dovrebbero essere creati anche per gestire i rischi di siccità nel settore agricolo.

3.2.5

In generale, la Commissione potrebbe modulare l'entità degli aiuti in funzione del criterio di utilizzazione razionale dell'acqua e di conservazione delle risorse idriche (ad esempio, 5-10 punti del massimale d'intervento), soprattutto per quanto riguarda il fondo di coesione. L'autorità beneficiaria dell'aiuto europeo dovrebbe poi sottoporre questo criterio, precisato in sede d'istruttoria del progetto, o di relativo bando di appalto in caso di costruzione, ad un audit entro cinque anni dalla realizzazione del progetto. Il finanziamento aggiuntivo ridurrebbe i costi per il rimborso degli investimenti ricompensando i risultati conseguiti.

3.2.6

A giudizio del Comitato, il contenimento dei costi globali dei progetti relativi alla distribuzione dell'acqua potabile o alla depurazione costituisce un sistema corretto sul piano sia economico che dello sviluppo sostenibile. Per costi globali s'intende il valore effettivo netto dell'investimento e dei costi di funzionamento, manutenzione e sostituzione su un lungo periodo.

3.2.7

Sarebbe dunque opportuno che soprattutto la Commissione promuovesse progetti volti a diffondere pratiche collaudate di utilizzazione razionale dell'acqua e di conservazione delle risorse idriche sulla base di criteri di selezione e garanzie in linea con il suddetto approccio.

3.2.8

Questa visione è pienamente in linea con il desiderio della Commissione di sostenere anzitutto le misure volte a economizzare le risorse idriche e a garantirne l'impiego razionale. Andrebbe ricercata una coerenza fra questa politica e quella in materia di biocarburanti, la cui produzione richiede a sua volta acqua.

3.3   Migliorare la gestione del rischio siccità

3.3.1

La Commissione intende incoraggiare gli scambi di buone pratiche.

3.3.2

Il Comitato auspica che ogni primavera vengano utilizzati strumenti satellitari per produrre una mappatura dei rischi di siccità, delle perdite previste sul fronte della produzione agricola e dei rischi d'incendio che integri le analisi meteorologiche locali. In tale contesto andrebbero utilizzati anche i dati relativi ai piani di gestione dei bacini già predisposti, rendendoli accessibili agli agricoltori o alle loro associazioni ai fini della gestione dei rischi.

3.3.3

Il Comitato giudica auspicabile passare dalla gestione della crisi alla gestione del rischio di siccità, e ritiene che la prima possa essere ancora migliorata (come peraltro ha dimostrato la situazione registrata in Grecia durante gli incendi catastrofici dell'estate 2007). L'Unione europea potrebbe facilitare e incoraggiare l'interoperabilità degli strumenti di prevenzione e di lotta contro gli incendi, la standardizzazione dei materiali, la containerizzazione di pompe diesel e la realizzazione di esercitazioni congiunte. Ciò costituirebbe un'attuazione concreta del meccanismo europeo di protezione civile.

3.3.4

Va beninteso tenuta presente la possibilità, menzionata dalla Commissione, di fare appello al Fondo di solidarietà dell'UE, modificato e adattato, per far fronte alle conseguenze dei casi di gravi siccità. Sarebbe altresì opportuno istituire regimi assicurativi per ovviare alle conseguenze dei periodi di siccità, specie per gli agricoltori che ne sono le prime vittime.

3.4   Considerare la creazione di ulteriori infrastrutture per l'approvvigionamento idrico

3.4.1

Al riguardo la Commissione prevede progetti collettivi. In taluni casi si potrebbero peraltro contemplare anche delle iniziative individuali, pur seguendo l'idea di una gerarchia degli usi dell'acqua.

3.4.2

Ad ogni modo, la comunicazione prevede i trasferimenti d'acqua da un bacino idrografico ad un altro, la costruzione di dighe e di microdighe a condizioni ben regolamentate, ma anche il reimpiego delle acque reflue e la desalinizzazione. Per quanto riguarda il riutilizzo, il problema è costituito dall'accumularsi delle sostanze inquinanti durante i cicli di reimpiego. Sarebbe pertanto utile varare o sostenere un programma di ricerca sulla modellizzazione delle concentrazioni di sostanze nocive dopo cicli multipli di trattamento, per individuare dei criteri di stabilizzazione della qualità dell'acqua, onde determinare quando la concentrazione delle diverse sostanze raggiunga i valori limite compatibili con le capacità di autodepurazione del sistema.

3.4.3

Per parte sua la desalinizzazione presenta due tipi di problemi: da un lato energetici, dall'altro ambientali (sottoprodotti e concentrazioni di sali residui).

3.4.4

Si potrebbe prevedere un programma per lo sviluppo della desalinizzazione mediante energia solare in una serie di microimpianti che rappresenterebbero l'apporto tecnologico dell'Europa ai paesi in via di sviluppo alle prese con la siccità.

3.4.5

In generale è opportuno incoraggiare la ricerca e lo sviluppo nelle nuove tecniche che permettono di risparmiare l'acqua o favoriscono la ricarica delle falde freatiche (ad esempio, rivestimento stradale nelle zone urbane) e le biotecnologie che consentirebbero di sviluppare, nelle coltivazioni agricole, delle varietà che consumano meno acqua.

3.4.6

Infine, occorrerebbe studiare anche la possibilità di stoccaggio sotterraneo e di reiniezione d'acqua nelle falde freatiche. In questo contesto occorrerebbe selezionare dei progetti pilota e definire, per le acque immagazzinate, delle norme che siano al tempo stesso realistiche e atte a proteggere il sottosuolo. Il problema delle acque sotterranee interessa al tempo stesso la quantità e la qualità di tali acque perché le falde freatiche sono anch'esse soggette ad inquinamento. In proposito è opportuno riservare particolare attenzione alle attività industriali che utilizzano quantità particolarmente ingenti d'acqua e che, da un lato, attingono alle falde e, dall'altro, rischiano di inquinarle.

3.4.7

Il Comitato invita inoltre la Commissione a esaminare le opportunità di trasferimenti di acqua fra le regioni. Un trasferimento fra un bacino eccedentario e un deficitario può risultare auspicabile, anche da un punto di vista europeo, ad esempio ai fini dell'autosufficienza agricola, a condizione che nel bacino «beneficiario» l'acqua sia poi utilizzata in maniera efficiente e parsimoniosa. Le misure tecniche, tariffarie o regolamentari devono evitare gli sprechi in altri ambiti, ossia evitare che gli aiuti collettivi a un settore d'attività «meritevole» promuovano il consumo di acqua in settori non prioritari.

3.4.8

Il CESE ritiene necessario concordare possibili misure di regolazione della portata d'acqua dei fiumi tra i paesi terzi e gli Stati membri dell'UE che hanno fiumi comuni che attraversano le frontiere dell'UE.

3.5   Promuovere le tecnologie e le pratiche che consentono un uso efficiente dell'acqua

3.5.1

A giudizio della Commissione, sarebbe possibile migliorare sensibilmente l'impiego delle tecnologie atte a consentire un uso razionale dell'acqua. Oltre alla lotta contro le perdite, considerevoli su talune reti, e contro gli sprechi, la modernizzazione delle pratiche di gestione idrica schiude delle prospettive interessanti.

3.5.2

Le azioni raccomandate dalla Commissione sono chiaramente opportune (norme relative agli impianti che utilizzano acqua, efficienza idrica degli edifici, indicatori di rendimento, adeguamento delle attività economiche alla carenza idrica,…).

3.5.3

Dovrebbe essere previsto anche l'impiego delle acque grigie, pur nella consapevolezza che ciò richiede investimenti soprattutto per l'installazione di tubature separate e per le misure di sicurezza. Dovrebbe essere inoltre previsto in maniera più sistematica il recupero delle acque piovane.

3.5.4

Appare promettente la tecnica costituita dal sistema di misurazione intelligente del consumo (smart metering) accompagnato da un'apposita fatturazione. In effetti, attualmente, la tecnologia della misurazione e della teletrasmissione dei dati relativi ai consumi lascia intravvedere la possibilità di adottare vari tipi di tariffazione, sull'esempio di quanto avviene nel settore dell'elettricità. L'abbonato potrebbe allora sottoscrivere un abbonamento corrispondente alla sua situazione, che al tempo stesso gli consenta però di risparmiare: tariffa stagionale, tariffa permanente, tariffa che esclude i giorni o le ore di punta, ecc.

3.5.5

Per conservare le risorse idriche, combattere le inondazioni, l'erosione e il conseguente inquinamento, la politica per la protezione dell'ambiente rurale dovrebbe incoraggiare con decisione sia il rimboschimento e l'impianto di siepi ovunque possibile e utile, sia il mantenimento delle colture. Le richieste e i controlli relativi potrebbero avvenire sulla base dei sistemi più moderni di rilevazione geografica. Il Settimo programma quadro di ricerca e sviluppo dovrebbe incoraggiare la ricerca agricola fondamentale per creare varietà vegetali più resistenti alla siccità.

3.5.6

Sempre in tema di pratiche agricole, sarebbe utile promuovere sia il drenaggio e l'irrigazione sostenibili, sia, in generale, l'impiego delle migliori tecniche disponibili. Soprattutto nei punti d'intersezione i canali di scolo dovrebbero avere dei tratti più ristretti per lo stoccaggio locale, onde frenare la concentrazione delle acque, l'erosione e il conseguente inquinamento e favorire la reinfiltrazione. Questo stoccaggio in loco comporterebbe beninteso delle servitù di pulizia che andrebbero studiate con i professionisti.

3.6   Favorire lo sviluppo di una cultura del risparmio idrico in Europa

3.6.1

Il Comitato non può che condividere le considerazioni della Commissione: la certificazione e l'etichettatura sono effettivamente soluzioni idonee a favorire l'impiego razionale e parsimonioso dell'acqua. Riguardo all'etichettatura, però, s'impone una certa cautela, in quanto la moda delle etichette ecologiche comporta il pericolo di un accumulo di etichette che nuoce alla chiarezza delle informazioni.

3.6.2

Sarebbe opportuno mobilitare l'intera società civile organizzata (parti sociali e mondo associativo), come pure il mondo dell'insegnamento e della formazione, per contribuire a forgiare questa cultura del risparmio idrico. Sul fronte professionale, nella formazione dei tecnici e nella diffusione delle nuove tecnologie vanno evitati gli errori del passato, specie nell'idraulica urbana.

3.6.3

Si può sottolineare che attualmente si va sviluppando l'offerta di attrezzature per il recupero delle acque piovane e per il riciclo di acque grigie per gli alloggi individuali. Ciò rivela l'emergere di una cultura del risparmio idrico, peraltro vivamente auspicata dalla Commissione. Andrebbe però evitato che la giusta preoccupazione di risparmiare si traduca in una ricerca individualistica dell'autarchia, che comprometterebbe — sul piano tecnico ed economico — i servizi pubblici di erogazione dell'acqua e gli usi igienico-sanitari, i quali sono stati, e sono tuttora, all'origine di grandi progressi sul fronte dell'igiene e della speranza di vita. Nelle nostre società sviluppate abbiamo infatti dimenticato che l'acqua non solo è necessaria alla vita, ma può anche essere portatrice di morte.

3.6.4

I sistemi individuali per il risparmio idrico, riciclo/trattamento, sembrano dunque interessanti e adeguati soprattutto nel caso di zone scarsamente popolate. In un ambiente urbano, invece, essi sembrano avere un interesse economico e sociale meno evidente tranne quando i sistemi di raccolta dell'acqua piovana e di riciclo (anche se captano acqua in proprietà private) vengono trattati e utilizzati dai servizi pubblici.

3.7   Migliorare le conoscenze e la raccolta di dati

3.7.1

La Commissione rileva che è indispensabile disporre di informazioni affidabili sull'ampiezza e sugli impatti della carenza delle risorse idriche e dei periodi di siccità. Non si può che sottoscrivere l'idea di predisporre una valutazione annuale e di utilizzare appieno i servizi dell'iniziativa GMES (Monitoraggio globale per l'ambiente e la sicurezza) per fornire dati satellitari e strumenti di monitoraggio a sostegno delle politiche in campo idrico. Le università e i centri per la ricerca scientifica dovrebbero essere incoraggiati a compiere studi sulla problematica dell'acqua, sulla conservazione di questa risorsa e sugli strumenti per accrescerla grazie allo sviluppo delle nuove tecnologie.

3.7.2

Sarebbe necessario uniformare i criteri di rilevazione utilizzati negli inventari dei corpi idrici previsti dalla direttiva quadro sulle acque. In pratica, i rapporti predisposti dagli Stati membri in materia sono estremamente eterogenei sia per le dimensioni dei bacini studiati, sia per la quantità dei dati raccolti sulla qualità delle acque e la biodiversità.

3.7.3

Il Comitato incoraggia pertanto la Commissione ad accompagnare attivamente i lavori dei comitati specializzati nel monitoraggio dell'applicazione della direttiva quadro sulle acque e a pubblicare in forma di tabelle i progressi realizzati dagli Stati membri, in modo da stimolare le attività e incoraggiarne la convergenza.

3.7.4

Occorrerebbe dar prova di realismo concentrando gli sforzi sulle zone più sensibili, senza attendere l'uniformità e la qualità di tutti i bilanci e di tutti i piani d'azione. Tali zone potrebbero essere scelte per iniziativa degli Stati membri, che però applicherebbero criteri comuni (deficit pluviometrico e definizione dell'area geografica).

3.7.5

La sensibilizzazione degli attori locali e regionali al rischio della carenza idrica, e più in generale, agli impatti del cambiamento climatico sarebbe agevolata se le informazioni sulle tendenze climatiche fossero accessibili al maggior numero possibile d'interessati.

3.7.6

In proposito il Comitato propone concretamente di creare un sito Internet eventualmente integrato nel Sistema informativo sulle acque per l'Europa (Water information system for Europe, WISE) dal quale possano essere scaricati i parametri climatici (livello delle precipitazioni, evapotraspirazione, temperatura, velocità del vento, soleggiamento) tratti dai modelli globali del gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) (in linea con i progetti Prudence o Ensembles, ma più sistematici in termini di copertura in quanto forniscono dati numerici oltre a quelli grafici).

3.7.7

Un gruppo di laboratori europei membri dell'IPCC sarebbe responsabile della validità scientifica dei dati pubblicati sul sito Internet e del loro aggiornamento annuale.

3.7.8

L'UE potrebbe finanziare i lavori per la creazione del sito, mentre i lavori di ricerca dei laboratori che contribuiranno ai modelli verrebbero finanziati dalle tariffe modiche previste per lo scaricamento dei dati.

Bruxelles, 29 maggio 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  L'audizione pubblica e la visita di studio organizzate a Murcia il 3 aprile 2008 hanno permesso di constatare che siffatte tecniche di utilizzazione sensata e responsabile delle risorse idriche sono già disponibili sul mercato. Inoltre, le coltivazioni e l'impianto di alberi permettono di contrastare la desertificazione.

(2)  Fonte: Atlas pour un monde durable (Atlante per un mondo sostenibile), Michel Barnier. Edition Acropole.

(3)  Consiglio europeo di Bruxelles del 14 dicembre 2007: Conclusioni della presidenza (16616/1.07, riv. 1, pag. 17).


30.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 224/72


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un regime comunitario per prevenire, scoraggiare ed eliminare la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata

COM(2007) 602 def. — 2007/0223 (CNS)

(2008/C 224/16)

Il Consiglio, in data 4 dicembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 37 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Consiglio che stabilisce un sistema comunitario destinato a prevenire,a scoraggiare ed eliminare la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 29 aprile 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore SARRÓ IPARRAGUIRRE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 maggio 2008, nel corso della 445a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 70 voti favorevoli, e 3 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1

Il CESE, ritiene che la pratica persistente della pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (pesca INN) richieda una risposta globale fondata su uno strumento regolamentare efficace, applicabile all'insieme della catena d'approvvigionamento, dalla pesca alla vendita; considera che la proposta di regolamento così come è formulata contenga, in generale, le disposizioni necessarie per prevenire, scoraggiare ed eliminare la pesca Inn e le esprime il suo sostegno in quanto le misure proposte rafforzano, a suo parere, il ruolo della Comunità come Stato di bandiera, Stato di approdo, Stato di commercializzazione e Stato del beneficiario.

1.2

Il Comitato è del parere che il successo di questa proposta si basi su quattro pilastri:

impegno degli Stati membri nel combattere la pesca INN,

collaborazione tra Stati membri,

cooperazione internazionale,

lavoro continuo e costante per la sua attuazione.

1.3

Senza volere escludere dall'ambito di applicazione della proposta di regolamento la flotta comunitaria, il CESE ritiene tuttavia che la proposta dovrebbe operare una distinzione più netta tra la pesca Inn effettuata da navi di paesi terzi, sulle quali gli Stati di bandiera non esercitano un controllo, e altre attività di pesca illegale svolte da navi battenti bandiera comunitaria che costituiscono infrazioni alla politica comune della pesca e che sono attualmente disciplinate dagli strumenti giuridici previsti dal regolamento (CEE) n. 2847/93 (1).

1.4

Il Comitato ritiene che l'attuazione di tutte le misure di controllo e d'ispezione proposte costituirà per gli Stati membri un aggravio in termini di bilancio, di burocrazia e di infrastrutture amministrative di controllo. Invita, pertanto, la Commissione a tenerne conto per non compromettere il risultato finale e le chiede, in ogni caso, di agire con sufficiente cautela per evitare che l'applicazione della proposta di regolamento comporti un incremento dei costi di esercizio delle imprese i cui pescherecci praticano una pesca rispettosa delle norme.

1.5

Inoltre, il Comitato considera che le misure proposte non dovrebbero comportare, in nessun caso, una diminuzione del traffico commerciale legale che si traduca in un ostacolo agli scambi in contrasto con le norme che disciplinano il commercio internazionale.

1.6

Il CESE è dell'avviso che la proposta di regolamento non chiarisca sufficientemente in che modo debba essere convalidato, da parte dell'autorità dello Stato di bandiera, il certificato di cattura richiesto dalla Comunità europea. Ritenendo che tale convalida debba effettuarsi in forma elettronica, il CESE è dell'avviso che nella proposta di regolamento andrebbero chiaramente spiegate le modalità della convalida, sia per le navi che trasportano catture di pesce vivo sia per quelle che trasportano prodotti della pesca congelati.

1.7

Il CESE reputa che il controllo delle navi da pesca dei paesi terzi dovrebbe svolgersi in maniera simile in tutti i porti designati dei diversi Stati membri. Inoltre considera che nel testo della proposta di regolamento si dovrebbe esprimere con maggior chiarezza che le ispezioni si effettueranno sia per mare che su terra che per via aerea.

1.8

Il CESE ribadisce quanto detto in altri pareri in riferimento al ruolo dell'Agenzia comunitaria di controllo della pesca, vale a dire che questa dovrebbe svolgere una funzione importante nel coordinamento, monitoraggio e controllo della pesca INN. A tal fine si dovrebbero mettere a disposizione dell'Agenzia maggiori risorse finanziarie ed umane.

1.9

Il CESE ritiene che il livello delle sanzioni alle navi dei paesi terzi andrebbe uniformato in tutti gli Stati membri dell'UE. Reputa inoltre che, nel caso di inadempimento degli obblighi da parte di Stati non cooperanti, si dovrebbe prevedere la possibilità di applicare sanzioni che non siano correlate soltanto alla pesca.

1.10

Ad ogni modo, il CESE ritiene che debbano essere rafforzate le garanzie nelle procedure di identificazione delle navi INN e degli Stati non cooperanti, principalmente la garanzia di difesa, e che tali procedure debbano basarsi su prove solide per evitare che i tribunali in seguito revochino le misure adottate dagli Stati membri.

2.   Introduzione

2.1

Da oltre dieci anni, la Comunità lotta contro la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata (Inn). Dal 2002, questa lotta si è iscritta in un piano d'azione comunitario, nella Comunità stessa e su scala regionale ed internazionale, per prevenire, scoraggiare ed eliminare la pesca Inn (2).

2.2

Nel 2005, il Parlamento europeo ha segnalato, nella sua risoluzione (3) sull'attuazione del piano d'azione dell'Unione europea contro la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata, la necessità da parte dell'Unione europea di estendere ed intensificare gli sforzi per lottare contro la pesca Inn.

2.3

Tuttavia, benché si notino miglioramenti significativi, la pesca Inn non è scomparsa. La Commissione considera che la persistenza di questa situazione esiga una risposta ferma ed urgente dell'Unione europea.

2.4

Di conseguenza, la Commissione ha elaborato l'anno scorso una nuova comunicazione (4) su una nuova strategia comunitaria per prevenire, scoraggiare ed eliminare la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata.

2.5

Dopo lunghe consultazioni condotte l'anno scorso con la partecipazione attiva del Comitato (5), la Commissione ha elaborato la presente proposta di regolamento (6) che copre gli ambiti d'azione seguenti:

migliorare il controllo della legalità delle attività dei pescherecci di paesi terzi e delle loro catture al loro arrivo nei porti di pesca dell'Unione europea,

controllare più efficacemente il rispetto delle misure di conservazione e di gestione applicabili ai prodotti della pesca che provengono da paesi terzi ed importati nella Comunità con mezzi diversi dalle navi da pesca,

chiudere il mercato comunitario ai prodotti derivati dalla pesca Inn,

lottare contro le attività di pesca Inn svolte da cittadini della Comunità europea al di fuori del suo territorio,

rafforzare gli strumenti giuridici dedicati all'individuazione delle attività di pesca Inn,

instaurare un regime efficace di sanzioni atte a scoraggiare le infrazioni gravi alla regolamentazione della pesca,

migliorare le misure di lotta contro la pesca Inn nel quadro delle organizzazioni regionali di gestione della pesca,

sostenere la politica ed i mezzi di lotta contro la pesca Inn nei paesi in via di sviluppo,

rafforzare le sinergie tra organismi incaricati del monitoraggio, del controllo e della sorveglianza tra gli Stati membri e tra questi e i paesi terzi.

2.6

Questa proposta parte dunque del principio che, per essere efficace, la strategia di lotta contro la pesca Inn deve essere globale ed includere tutti gli aspetti del problema lungo tutta la catena d'approvvigionamento.

3.   Osservazioni generali

3.1

Considerando le inquietanti conseguenze ambientali e socioeconomiche della pratica della pesca Inn, il CESE ritiene che sia necessario intraprendere un'azione risoluta a livello dell'Unione europea e pertanto appoggia in linea di principio la Commissione.

3.2

Le norme comunitarie in vigore che istituiscono un regime di controllo applicabile alla politica comune della pesca (7) prevedono un sistema ampio di controllo della legalità delle catture effettuate dai pescherecci comunitari, ma non permettono un livello di controllo e di sanzioni simile per le catture effettuate da navi di paesi terzi ed importate nella Comunità.

3.3

Questa carenza costituisce una via di penetrazione nel mercato della Comunità, che è il più grande mercato al mondo ed il principale importatore di prodotti della pesca, della pesca Inn gestita da operatori economici, comunitari o stranieri, che aumentano in tal modo la redditività delle loro attività. Per questa ragione, il Comitato considera opportuno che, pur senza escludere dall'ambito di applicazione la flotta comunitaria, come stabilisce il suo articolo 1, paragrafo 4, la proposta di regolamento si concentri sulle attività di pesca Inn delle navi dei paesi terzi.

3.4

La proposta di regolamento in esame stabilisce un nuovo regime di controllo che sarà applicato a tutte le attività di pesca Inn ed a tutte le attività connesse realizzate nel territorio degli Stati membri o nelle acque marittime sotto la loro sovranità o giurisdizione o realizzate da pescherecci o cittadini di Stati membri dell'Unione europea. Sarà applicata anche, senza pregiudizio della competenza dello Stato di bandiera o dello Stato costiero interessato, alle attività di pesca Inn esercitate da navi non comunitarie in alto mare o nelle acque sotto giurisdizione di un paese terzo, così come la politica comune della pesca esige dalla flotta comunitaria.

3.5

Senza voler escludere dall'ambito di applicazione della proposta di regolamento la flotta comunitaria, il Comitato ritiene che la proposta dovrebbe operare una distinzione più netta tra la pesca Inn effettuata da navi di paesi terzi, sulle quali gli stati di bandiera non esercitano un controllo, ed altre attività di pesca illegale svolte da navi battenti bandiera comunitaria che comportano infrazioni della politica comune della pesca e che sono attualmente disciplinate dagli strumenti giuridici previsti dal regolamento (CEE) n. 2847/93 summenzionato.

3.6

La proposta di regolamento stabilisce, inoltre, un controllo adeguato della catena d'approvvigionamento dei prodotti della pesca importati nella Comunità. il Comitato considera che le misure proposte non dovrebbero comportare, in alcun caso, una diminuzione del traffico commerciale legale che si traduca in un ostacolo al commercio in contrasto con le norme che disciplinano il commercio internazionale.

3.7

Il CESE esprime la sua soddisfazione alla Commissione per l'elaborazione di questa proposta di regolamento. È chiara, ha un campo d'applicazione molto vasto per quanto riguarda il controllo delle attività di pesca illegale su scala comunitaria ed internazionale e prevede misure di esecuzione immediate e sanzioni effettive proporzionate e dissuasive nei confronti delle persone fisiche e giuridiche che abbiano commesso infrazioni gravi del regolamento o ne siano responsabili. Nondimeno, ritiene che in caso di non adempimento degli obblighi da parte di Stati non cooperanti, si dovrebbe altresì prevedere la possibilità di applicare loro sanzioni diverse da quelle correlate alla pesca.

3.8

Il CESE considera che occorrerebbe riorganizzare l'indice della proposta di regolamento. Infatti, i capi IV e V riguardanti il sistema d'allarme comunitario e l'identificazione dei pescherecci che praticano attività di pesca INN dovrebbero seguire immediatamente il capo I.

3.9

Inoltre, il CESE è del parere che l'articolo 13, paragrafo 1 del capo III dovrebbe affermare espressamente che il divieto dell'importazione di pesca Inn riguarda tanto la via marittima che le vie terrestri ed aeree.

3.10

Il Comitato reputa che una grande difficoltà d'applicazione della proposta di regolamento risieda nel fatto che deve contare su un consenso e un appoggio totali da parte degli Stati membri e di una rete di collaborazione effettiva a livello internazionale.

3.11

Il Comitato ritiene che l'applicazione di tutte le misure di controllo e d'ispezione tanto nei porti che in mare, di rilascio di certificati, di monitoraggio e di verifica delle navi e delle catture, come pure il controllo delle importazioni per vie marittime, terrestri ed aeree, costituisca per gli Stati membri un aggravio in termini di bilancio, di burocrazia e di infrastrutture amministrative di controllo. Invita, pertanto, la Commissione a tenerne conto nella sua proposta di regolamento per non compromettere il risultato finale.

3.12

In tal senso invita la Commissione ad agire con sufficiente cautela per evitare che l'applicazione della proposta di regolamento comporti un incremento dei costi di esercizio delle imprese i cui pescherecci praticano una pesca rispettosa delle norme.

3.13

In definitiva il CESE ritiene che le misure proposte rafforzino il ruolo della Comunità come Stato di bandiera, Stato di approdo, Stato di commercializzazione e Stato del beneficiario.

4.   osservazioni particolari

4.1

Come si è visto finora, la proposta di regolamento ha una portata sufficiente perché, con la sua applicazione corretta, costante e continua, l'Unione europea svolga un ruolo guida o di riferimento nella lotta internazionale contro la pesca Inn.

4.2

Dopo avere enumerato una serie di disposizioni generali d'applicazione, il regolamento affronta direttamente il controllo dei pescherecci di paesi terzi nei porti comunitari. Occorre segnalare il divieto di operazioni di trasbordo tra pescherecci di paesi terzi e tra navi battenti bandiera di uno Stato membro. Questo divieto si estende al di là delle acque comunitarie ai trasbordi in mare verso navi comunitarie di catture di navi di paesi terzi.

4.3

Il CESE si rallegra per il divieto dei trasbordi in alto mare, richiesta che ha rivolto varie volte alla Commissione in ragione del fatto che questi trasbordi sono all'origine di una quota rilevante di attività di pesca Inn.

4.4

Il regolamento stabilisce chiaramente che le navi di paesi terzi sono autorizzate ad entrare nei «porti designati» dell'Unione europea, stabiliti in via preliminare dagli Stati membri, soltanto dopo avere soddisfatto alcune condizioni: notifica d'arrivo ed autorizzazione, certificato convalidato di cattura ed ispezione. I pescherecci di paesi terzi che non rispettano i requisiti e le disposizioni del regolamento non saranno autorizzati ad accedere ai porti degli Stati membri, fruire dei servizi portuali né effettuare operazioni di sbarco, di trasbordo o di trasformazione a bordo nei porti in questione.

4.5

Il regolamento attribuisce un'importanza particolare alla realizzazione di controlli frequenti e meticolosi delle notifiche di arrivo in porto, dei certificati di cattura e dell'ispezione in porto.

4.6

Per quanto riguarda la verifica dei certificati di cattura che devono essere inviati almeno 72 ore prima dell'arrivo in porto, il Comitato ritiene che l'autorità competente debba effettuare questa convalida per via elettronica. Il Comitato ritiene che la proposta di regolamento non stipuli con sufficiente chiarezza le modalità di convalida del certificato. Inoltre, il Comitato ritiene che la Commissione europea dovrebbe precisare i casi nei quali sono previste eccezioni a questo termine delle 72 ore.

4.7

Il Comitato sostiene le linee direttrici indicate dalla Commissione per il controllo dei pescherecci e chiede a tutti gli Stati membri di trovare un consenso per un'applicazione uniforme in tutti i «porti designati».

4.8

Ogni infrazione al regolamento che metta in evidenza che un peschereccio di un paese terzo è stato implicato in attività di pesca Inn comporterà il divieto di sbarco, di trasbordo o di trasformazione a bordo delle catture, l'avvio di un'indagine e, se necessario, l'applicazione delle sanzioni previste dalla legislazione nazionale dello Stato membro interessato. Nel caso di infrazioni gravi, la proposta di regolamento prevede l'applicazione di misure coercitive immediate.

4.9

L'obiettivo di questo controllo rigoroso dei pescherecci di paesi terzi, identico al controllo delle navi comunitarie, è quello di individuare i prodotti della pesca ottenuti da operazioni di pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata. Il regolamento in questione vieta l'importazione di questi prodotti nell'Unione europea.

4.10

Il CESE considera necessaria l'ispezione delle importazioni effettuate nel territorio comunitario, ragione per cui il capo III dovrebbe anche includere l'ispezione dei container importati nella Comunità europea per via terrestre ed aerea. In questo senso, occorrerebbe anche fissare una percentuale minima di container che deve essere oggetto di un'ispezione annuale.

4.11

Il regolamento stabilisce che quando si vieta l'importazione di prodotti della pesca per il fatto che quest'ultima è considerata come pesca Inn, gli Stati membri, fatto salvo il diritto di ricorso, possono sequestrare e disporre dei prodotti della pesca conformemente alla legislazione nazionale.

4.12

Per garantire la corretta applicazione del regolamento riguardante l'importazione e la riesportazione di prodotti della pesca o, se necessario, il divieto d'importazione è previsto che la Commissione possa stabilire accordi di cooperazione amministrativa con gli stati di bandiera.

4.13

Il sistema che propone la Commissione in questo regolamento richiede una vasta cooperazione a livello internazionale tra la Comunità e gli stati di bandiera, gli stati cooperanti delle organizzazioni regionali di gestione della pesca e le stesse organizzazioni regionali. In conseguenza di questa cooperazione inoltre devono essere identificati gli stati terzi non cooperanti, per i quali il regolamento stabilisce il trattamento che va loro riservato.

4.14

La prima conseguenza interna di questa cooperazione internazionale è l'instaurazione di un sistema d'allarme comunitario che permette di avvertire gli operatori economici e gli Stati membri del fatto che esiste un dubbio ragionevole per la Comunità sul rispetto, da parte dei pescherecci o dei prodotti della pesca di paesi terzi, delle leggi, dei regolamenti o delle misure internazionali applicabili in materia di conservazione e di gestione.

4.15

La notifica comporterà una verifica comunitaria ed internazionale delle importazioni, sia di quella che è stata oggetto dell'allarme che delle importazioni precedenti, come pure dei pescherecci che entrano nel quadro di questa notifica. Se l'esito dell'indagine, dell'ispezione e della verifica dimostra l'esistenza di attività di pesca Inn, la Commissione adotterà una serie di misure, in particolare l'inclusione della(e) nave(i) interessata(e) in un elenco comunitario di pescherecci Inn.

4.16

Il regolamento precisa che sarà la Commissione stessa ovvero un organismo da essa designato a raccogliere e analizzare tutte le informazioni relative alle attività di pesca Inn.

4.17

Il CESE considera che l'organismo ideale per realizzare questo lavoro sarebbe l'Agenzia comunitaria del controllo della pesca che dovrà avere a disposizione maggiori risorse umane e finanziarie.

4.18

Il regolamento si occupa molto estesamente di tutto il sistema d'elaborazione, di contenuto, d'aggiornamento e di pubblicità dell'elenco comunitario di pescherecci Inn; questo includerà automaticamente i pescherecci iscritti negli elenchi di pescherecci Inn adottati dalle organizzazioni regionali di gestione della pesca. Il CESE ritiene che, invece dell'inserimento automatico in questo elenco delle navi da pesca comunitarie, la Commissione dovrebbe prima assicurarsi del fatto che gli stati membri interessati non abbiano adottato misure efficaci a norma dell'articolo 26 della proposta di regolamento.

4.19

Il Comitato considera adeguato il sistema previsto dal regolamento poiché organizza seriamente il processo d'iscrizione dei pescherecci e degli stati non cooperanti negli elenchi della navi da pesca Inn, con tutte le garanzie d'informazione preliminare e di difesa, tenendo conto delle misure applicabili alle navi ed agli stati implicati in attività di pesca Inn. Ritiene tuttavia che occorra rafforzare le garanzie nelle procedure di identificazione delle navi che svolgono attività Inn e degli stati non cooperanti, principalmente la garanzia di difesa, basandosi su prove solide per evitare che i tribunali revochino in seguito le misure adottate dagli Stati membri.

4.20

Tenendo conto del fatto che essere inserito nell'elenco degli stati non cooperanti può avere gravi conseguenze per uno Stato e che gli obblighi del regolamento devono applicarsi a tutti gli Stati allo stesso modo, il CESE giudica molto ragionevole che la Commissione aiuti i paesi in via di sviluppo a rispettare i requisiti relativi al monitoraggio, al controllo e alla sorveglianza delle attività di pesca.

4.21

Il Comitato considera che il sistema di sorveglianza delle navi via satellite (VMS) sia uno strumento importante per garantire il monitoraggio delle attività di pesca Inn. Inoltre, il CESE è del parere che uno Stato possa essere depennato dall'elenco degli stati non cooperanti, a condizione che accetti di installare il sistema VMS su tutti i suoi pescherecci.

4.22

Il Comitato approva le misure rigorose previste dal regolamento nei confronti dei pescherecci e degli stati implicati in attività di pesca Inn.

4.23

Il regolamento estende anche i cittadini di Stati membri la proibizione di qualunque tipo di sostegno o di coinvolgimento nelle attività di pesca Inn e in ogni attività legata al noleggio, all'esportazione o alla vendita di pescherecci inclusi negli elenchi comunitari di pescherecci Inn.

4.24

Infine, il regolamento si interessa alle infrazioni gravi ed unifica, per gli Stati membri, l'importo al di sotto del quale le ammende massime per le persone fisiche e giuridiche non possono scendere. Stabilisce anche le misure d'esecuzione immediate e le sanzioni accessorie tendenti ad evitare che l'infrazione continui e a permettere alle autorità competenti di condurre le indagini necessarie sull'infrazione commessa.

4.25

Il Comitato ritiene che il livello di sanzioni imposte alle navi di paesi terzi debba essere uniformato in tutti gli Stati membri dell'Unione europea.

4.26

Per semplificare la regolamentazione comunitaria, la Commissione include nel regolamento proposto le principali disposizioni in materia di controllo, d'ispezione e d'osservazione delle norme approvate dalle organizzazioni regionali di gestione della pesca di cui fa parte l'Unione europea, estendendo il suo campo d'applicazione a tutte le acque soggette a una di queste organizzazioni.

4.27

Il CESE ritiene che, in futuro, la Commissione dovrebbe esaminare la possibilità di estendere il campo d'applicazione del regolamento alla pesca in acque dolci.

4.28

Il CESE considera la proposta di regolamento presentata dalla Commissione uno strumento molto utile per prevenire, scoraggiare ed eliminare la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata. La sua applicazione esigerà un lavoro continuo e costante. In questo senso, il Comitato ritiene che la collaborazione tra Stati membri sia essenziale.

Bruxelles, 29 maggio 2008

Il Presidente

Del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Regolamento (CEE) n. 2847/93 del Consiglio del 12 ottobre 1993.

(2)  COM(2002) 180 def. del 28 maggio 2002 e conclusioni del Consiglio del 7 giugno 2002.

(3)  Risoluzione del Parlamento europeo 2006/2225 adottata il 15 febbraio 2007.

(4)  COM(2007) 601 def. del 17 ottobre 2007.

(5)  Conferenza CESE Rispetto degli obblighi dello Stato di bandiera del 30 gennaio 2007.

(6)  Proposta di regolamento del Consiglio 2007/0223 (CNS) che stabilisce un sistema comunitario destinato a prevenire, a scoraggiare e sradicare la pesca illegale, non dichiarata e non regolamentata.

(7)  Regolamento (CEE) n. 2847/93 del Consiglio del 12 ottobre 1993.


30.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 224/77


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla

Proposta di regolamento del Consiglio relativo alla protezione degli ecosistemi marini vulnerabili d'alto mare dagli effetti negativi degli attrezzi da pesca di fondo e alla

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni relativa alle pratiche di pesca distruttive in alto mare e alla protezione degli ecosistemi vulnerabili delle profondità marine

COM(2007) 605 def. — 2007/0224 (CNS)

COM(2007) 604 def.

(2008/C 224/17)

Il Consiglio, in data 4 dicembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 37 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Consiglio relativo alla protezione degli ecosistemi marini vulnerabili d'alto mare dagli effetti negativi degli attrezzi da pesca di fondo

La Commissione europea, in data 17 ottobre 2007, ha deciso, conformemente al protocollo di cooperazione siglato il 7 novembre 2005, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni relativa alle pratiche di pesca distruttive in alto mare e alla protezione degli ecosistemi vulnerabili delle profondità marine.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 29 aprile 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore ESPUNY MOYANO e del correlatore ADAMS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 maggio 2008, nel corso della 445a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 101 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo approva l'orientamento politico generale definito dalla Commissione nella proposta di regolamento e nella comunicazione all'esame. Ritiene tuttavia che l'inserimento delle raccomandazioni formulate ai punti 4 e 5 del presente parere potrebbe migliorare il contenuto, l'efficacia e l'impatto del regolamento proposto.

2.   Introduzione

2.1

Negli ultimi anni è emerso chiaramente che gli ecosistemi delle profondità marine racchiudono una grandissima biodiversità e presentano numerose forme di vita marina. Si tratta di una delle ultime grandi risorse naturali rimaste al mondo. Le attività umane però costituiscono sempre di più un pericolo per le scogliere, le montagne sottomarine, i coralli, i canali idrotermali e le spugne presenti in acqua fredda. Tali sistemi vivono infatti in ambienti molto meno produttivi di quelli esistenti nelle acque poco profonde e di conseguenza hanno bisogno di secoli per rigenerarsi. La prospezione di idrocarburi, la posa di cavi, lo scarico di rifiuti, alcuni tipi di pesca con attrezzi di fondo (1) e altre attività umane possono dunque avere effetti dannosi. I coralli d'acqua fredda si trovano anche nelle piattaforme continentali a latitudini temperate (2).

2.2

La pesca di fondo richiede strumenti altamente specializzati, che possono essere generalmente utilizzati senza grossi rischi laddove il fondo del mare è sabbioso o melmoso. Tuttavia, negli ecosistemi fragili presenti nelle profondità marine, l'impiego di alcuni di questi strumenti, necessariamente pesanti e invasivi, potrebbe seriamente danneggiare gli habitat e distruggere strutture preesistenti e in larga misura insostituibili, in particolare i coralli.

2.3

Come spesso accade con le questioni ambientali di portata internazionale, è emerso che solo l'introduzione di misure equilibrate, efficaci ed applicabili a livello mondiale potrebbe risolvere globalmente il problema. Pertanto, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite si occupa, sin dal 2004, dei problemi causati dalla pesca in alto mare. L'8 dicembre 2006, essa ha adottato la risoluzione 61/105 sulla pesca sostenibile, in cui lancia un forte appello agli Stati e alle organizzazioni responsabili in materia di pesca di fondo affinché agiscano per regolamentare questo tipo di pesca, proteggendo in tal modo gli ecosistemi marini vulnerabili da eventuali danni (3).

2.4

A formare oggetto del presente parere sono due documenti della Commissione relativi alla protezione degli ecosistemi marini vulnerabili. Nel primo documento (COM(2007) 604 def.) la Commissione illustra in modo particolareggiato l'orientamento politico generale che dovrebbe guidare l'adozione di misure specifiche da parte dell'UE. È questo il risultato delle raccomandazioni elaborate dalla FAO dopo un attento esame del problema da parte dell'Assemblea generale dell'ONU (4), esame nel quale l'UE ha svolto un ruolo determinante. Il secondo documento (COM(2007) 605 def.) è una proposta di regolamento del Consiglio applicabile alle navi dell'UE che operano in acque d'altura in zone non regolamentate da un'Organizzazione regionale di gestione della pesca (ORGP) e costituisce una risposta legislativa concreta al problema.

2.5

Nel lungo periodo, è interesse sia dell'industria sia dei responsabili delle questioni ambientali far sì che gli habitat dei fondali marini siano protetti, onde garantire la sostenibilità a lungo termine degli stock ittici nonché il mantenimento e la tutela della biodiversità marina.

3.   Presentazione dell'orientamento generale adottato dalla Commissione (COM(2007) 604 def.) e sintesi della proposta specifica di regolamento (COM(2007) 605 def.)

3.1

Gli elementi chiave del quadro relativo alla gestione della pesca di fondo in acque d'altura sono due: una valutazione preliminare dell'impatto ambientale su una determinata zona di pesca, condizione essenziale per concedere l'autorizzazione ad esercitare determinate attività in questo settore, e la possibilità di dimostrare l'assenza di conseguenze negative di rilievo, cosa che rappresenta il presupposto per continuare a svolgere tali attività. Questo impone di migliorare la ricerca e la raccolta dei dati, in modo da poter identificare la localizzazione certa o probabile degli ecosistemi vulnerabili e stabilire le loro dinamiche ambientali.

3.2

Misure particolarmente importanti in tale contesto sono l'adozione di provvedimenti di chiusura su base geografica o la definizione di zone di gestione speciale. Tali provvedimenti possono essere presi mediante decisione collettiva nel contesto di un'ORGP. Per quanto riguarda le zone non regolamentate da un'ORGP, spetta ai singoli Stati adottare misure di protezione in relazione alle navi battenti la loro bandiera.

3.3

Il regolamento proposto stabilisce il controllo rigoroso della pesca di fondo in acque d'altura attraverso misure analoghe a quelle già adottate dagli Stati che praticano la pesca di alto mare nel Pacifico nordoccidentale, nel Pacifico meridionale e nell'Antartico e a quelle già presentate per adozione nell'ambito delle ORGP dell'Atlantico settentrionale e sudorientale, dell'Antartico e del Mediterraneo.

3.4

Nei tre anni in cui la questione è stata oggetto di negoziato all'Assemblea generale dell'ONU, la Commissione si è incontrata con un gran numero di rappresentanti degli Stati membri, dell'industria e degli organismi responsabili in materia di conservazione ambientale. Essa ha in conclusione optato (invece che per un divieto) per un approccio di tipo regolamentare destinato ad essere applicato dagli Stati di bandiera o attraverso le rispettive ORGP o direttamente alle loro navi che operano in acque d'altura in zone in cui attualmente non esiste una ORGP.

3.5

La proposta prevede che la gestione della pesca in acque d'altura venga affidata in larga misura agli Stati membri dell'UE e si basi su di un permesso speciale. Le domande per il rilascio di tale permesso speciale devono essere accompagnate da un piano di pesca, elaborato dalle navi, che specifichi la zona di pesca prevista, le specie bersaglio, la profondità di utilizzo dell'attrezzo e il profilo batimetrico del fondo marino nelle zone in cui si intende operare. Il piano di pesca sarà poi valutato dalle autorità competenti insieme al potenziale impatto su qualsiasi ecosistema marino vulnerabile, basandosi sulle migliori informazioni scientifiche disponibili.

3.6

La proposta di regolamento definisce inoltre una serie di limiti. È vietato ad esempio l'uso di attrezzi di fondo ad una profondità di più di 1.000 metri. Le navi da pesca che scoprono un ecosistema marino vulnerabile dovranno sospendere immediatamente le attività di pesca e potranno riprendere ad operare solo ad una distanza di almeno cinque miglia marine dal punto in questione. Le autorità competenti dovranno essere informate del luogo in cui si trova l'ecosistema marino vulnerabile e potranno decidere se escludere o meno tale zona dalla pesca con attrezzi di fondo. A bordo di tutte le navi sarà infine richiesta la presenza di sistemi di controllo dei pescherecci via satellite (VMS) e di osservatori scientifici.

3.7

Ogni sei mesi, gli Stati membri dovranno presentare alla Commissione una relazione sull'attuazione del regolamento. Entro il 30 giugno 2010, la Commissione presenterà al Parlamento europeo e al Consiglio una relazione, accompagnata, se del caso, da apposite proposte di modifica.

4.   Osservazioni generali

4.1

Il Comitato approva l'orientamento politico generale definito dalla Commissione giudicandolo in linea con quanto già espresso dallo stesso CESE circa la necessità di arrestare la perdita della biodiversità (NAT/334).

4.2

In vari pareri elaborati negli ultimi anni (5), il CESE ha esaminato in profondità gli elementi positivi e quelli problematici connessi con gli obiettivi della Politica comune della pesca (PCP) e ha valutato in che modo sia possibile sfruttare in maniera equilibrata le risorse ittiche nel contesto dello sviluppo sostenibile, tenendo conto nella stessa misura degli aspetti ambientali, economici e sociali. Tutti questi aspetti dovrebbero essere presi in considerazione nell'analizzare la proposta di regolamento della Commissione.

4.3

Sia la comunicazione sia il documento di lavoro dei servizi della Commissione che valuta l'impatto del regolamento proposto affermano che per il momento questo riguarderà esclusivamente i pescherecci a strascico comunitari che operano nell'Atlantico sudoccidentale al di fuori della zona economica esclusiva dell'Argentina.

4.4

Questo tipo di pesca viene praticato da circa 30 pescherecci comunitari nell'Atlantico sudoccidentale, una zona in cui l'annoso conflitto tra il Regno Unito e l'Argentina per le Isole Falkland/Malvine non ha ancora consentito di istituire un'ORGP. L'attività di pesca in questione può essere così descritta:

per quanto riguarda la parte nelle acque d'altura, la pesca viene esercitata sulla piattaforma continentale e sul versante superiore della piattaforma patagonica. Questo tipo di pesca esiste da 25 anni e, stando agli ambienti industriali e scientifici, viene praticato sulle stesse zone a fondo piatto e sabbioso. Si catturano due tipi di pesci: da un lato, il totano (Illex) e il calamaro comune (Loligo) e dall'altro il nasello (Merlucius hubsi). Nessuna di queste specie è classificata come pesce di acque profonde: la classificazione in questa categoria poggia o sul criterio della profondità (6) (oramai respinto dalla FAO) o sulle caratteristiche biologiche (elevata longevità, tarda maturità, crescita lenta o bassa fecondità) (7), il che non giustifica ulteriori misure di protezione (8). In altre parole, questa attività concerne quasi unicamente (senza praticamente catture accessorie) delle specie a produttività medio-alta che vivono in zone che non dovrebbero ospitare ecosistemi particolarmente vulnerabili.

L'attività ha avuto inizio grazie al finanziamento, da parte dell'UE di campagne sperimentali volte a ridistribuire la flotta comunitaria. La Commissione europea dovrebbe disporre di informazioni complete in merito a queste campagne, che sono state condotte con navi con a bordo degli osservatori.

La Commissione ha inoltre finanziato degli studi di valutazione e la Spagna — attraverso il proprio Istituto di oceanografia — ha condotto durante tutto il periodo un programma che prevedeva la presenza a bordo di osservatori scientifici incaricati di fornire costantemente informazioni sull'attività di pesca e altre di tipo diverso (9).

Le specie catturate per caso (catture accessorie) sono scarsamente rilevanti; tra queste figurano principalmente l'abadeco o grongo (Genipterus Blacodes) e la nototenia; quest'ultima è una specie non commerciale, che si sta cercando di introdurre nel mercato comunitario.

Tutte le navi comunitarie operano con permessi di pesca speciali rilasciati dai singoli Stati membri e vengono controllate via satellite (VMS). Inoltre, circa il 20 % di esse ospita a bordo osservatori scientifici.

La pesca dei cefalopodi (totani e calamari comuni) e del nasello avviene in due piccole zone d'alto mare che fanno parte di un'area di pesca molto più ampia, che include le zone economiche esclusive argentine e uruguaiane, nonché la zona controllata dal governo delle Isole Falkland, in cui operano circa 100 pescherecci argentini, delle stesse Falkland e di alcuni paesi terzi (10).

Delle specie di acque profonde elencate negli allegati I e II del regolamento (CE) n. 2347/2002 del Consiglio, del 16 dicembre 2002, che stabilisce le disposizioni specifiche di accesso e le relative condizioni per la pesca di stock di acque profonde (11), solo la cernia (Polyprion americanus) vive nelle acque della Patagonia, ma né l'Istituto spagnolo di oceanografia né la flotta comunitaria hanno mai registrato catture di questa specie.

I posti di lavoro e la ricchezza creati da tali pescherecci si concentrano in una zona comunitaria fortemente dipendente dalla pesca (12).

4.5

Considerando quanto precede, qualora — una volta completata — l'analisi oceanografica attualmente in corso sulla zona dimostrasse che non esistono ecosistemi marini vulnerabili, il CESE propone di escludere detta zona (definita in termini geografici specifici) dall'ambito di applicazione del regolamento proposto.

4.6

Il CESE ritiene inoltre che la proposta della Commissione non assicuri l'effettiva applicazione e armonizzazione delle disposizioni da parte degli Stati membri. Chiede pertanto alla Commissione di svolgere un ruolo di maggior rilievo nel coordinare e nel garantire l'effettiva applicazione del regolamento a livello nazionale.

4.7

Il CESE ritiene che la Commissione dovrebbe favorire valutazioni scientifiche indipendenti a completamento degli studi d'impatto elaborati dagli Stati membri. A tal fine, dovrebbe provvedere a mettere a disposizione le risorse necessarie.

4.8

Infine, il CESE fa osservare che la FAO sta elaborando una serie di orientamenti internazionali per la gestione delle attività di pesca d'alto mare nelle acque profonde e suggerisce alla Commissione di tener conto delle relative conclusioni.

5.   Osservazioni specifiche

5.1

Il CESE considera che l'articolo 1, paragrafo 1 della proposta di regolamento faccia riferimento ai pescherecci comunitari che esercitano attività di pesca con attrezzi di fondo in acque d'altura incontaminate e non ancora sfruttate; esso ritiene che tale articolo dovrebbe tener conto dell'osservazione esposta al punto 4.5.

5.2

Il CESE ritiene inoltre che la definizione di «ecosistemi marini vulnerabili», di cui all'articolo 2 della proposta di regolamento, sia vaga, imprecisa e in grado di causare problemi d'interpretazione. Il lavoro condotto dalla FAO potrebbe contribuire a rendere più chiara tale definizione.

5.3

Per quanto concerne l'articolo 4, paragrafo 5, il CESE sottolinea l'esigenza di garantire che anche le eventuali modifiche apportate ai piani di pesca vengano valutate in modo da assicurare che non vi siano impatti negativi di rilievo; in altre parole, è necessario che le modifiche ai piani di pesca siano effettivamente volte a risolvere i potenziali problemi evidenziati nella valutazione dell'impatto. Il CESE inoltre teme che il sistema definito non abbia il grado di flessibilità necessario per potersi adattare a tutte le attività di pesca, che possono essere estremamente diverse l'una dall'altra e imprevedibili.

5.4

Per il CESE, anche l'articolo 5 potrebbe dare adito a confusione, in quanto non fa una distinzione tra scadenza e ritiro del permesso. Il permesso di pesca speciale è un'autorizzazione amministrativa la cui validità dipende dall'osservanza delle condizioni richieste per il suo rilascio da parte dell'autorità competente, sempre che non venga sospeso o ritirato da quest'ultima. In caso di ritiro o sospensione del permesso, la suddetta autorità dovrebbe informarne espressamente il detentore e dargli la possibilità di un colloquio chiarificatore. Pertanto, il CESE propone di modificare come segue la formulazione dell'articolo: «Il permesso di pesca speciale di cui all'articolo 3, paragrafo 1, viene ritirato nel caso in cui le attività di pesca non siano state realizzate in conformità del piano di pesca presentato ai sensi dell'articolo 4, paragrafo 1».

5.5

Di conseguenza, la seconda frase dell'articolo 5, paragrafo 2, dovrebbe essere così modificata: «Le autorità competenti esaminano tali modifiche e possono modificare le condizioni del permesso solo se le suddette modifiche non comportano un trasferimento delle attività verso zone che ospitano o che potrebbero ospitare ecosistemi marini vulnerabili».

5.6

L'articolo 6 della proposta prevede il divieto di utilizzare attrezzi di fondo a profondità superiori a 1.000 metri. Il CESE ritiene che tale misura dovrebbe essere cancellata in quanto non ci sono prove scientifiche sufficienti a sostegno di tale limitazione, come è emerso dal dibattito in seno alla FAO sugli Orientamenti internazionali per la gestione della pesca in acque d'altura. Il fatto che attualmente non vi siano flotte che pescano ad una profondità superiore a 1.000 metri non deve essere una scusa per impedire tale attività in futuro, a condizione che essa si riveli sostenibile. Inoltre, come riconosce la stessa Commissione, la risoluzione 61/105 dell'Assemblea generale dell'ONU non raccomanda di adottare una misura del genere.

5.7

Il CESE esprime preoccupazione per il modo ambiguo in cui è stato redatto l'articolo 8 della proposta di regolamento. La formulazione prescelta non sembra garantire che tutte le zone che ospitano o potrebbero ospitare ecosistemi marini vulnerabili verranno escluse dalla pesca con attrezzi di fondo. Inoltre, per gli Stati membri che identificano zone potenzialmente vulnerabili non esiste un chiaro obbligo di chiudere tali zone ai pescherecci battenti la loro bandiera.

5.8

Come l'articolo 5, anche l'articolo 10 non fa alcuna distinzione tra scadenza, revoca o ritiro del permesso. Il CESE pertanto suggerisce di modificare come segue la formulazione dell'articolo 10, paragrafo 1: «In caso di mancata conformità al piano di pesca di cui all'articolo 4, paragrafo 1, in circostanze diverse da quelle specificate all'articolo 5, paragrafo 2, il permesso di pesca rilasciato al peschereccio interessato sarà ritirato. Le attività di pesca esercitate a partire dal momento in cui il permesso è stato ritirato sono assimilate alle attività svolte in assenza di un permesso di pesca …»..

5.9

Il CESE giudica sproporzionata, superflua e talora impraticabile la misura proposta all'articolo 12, che prevede la presenza di osservatori scientifici a bordo del 100 % dei pescherecci. Non tutte le navi sono infatti attrezzate per ospitare una persona in più a bordo. Inoltre questo comporterebbe per le imprese un ulteriore aumento dei costi di gestione. Gli ambienti scientifici ritengono in linea di massima che per il raggiungimento degli obiettivi proposti sia sufficiente la presenza a bordo di osservatori solo su una percentuale, da determinarsi, di pescherecci.

5.10

Per quanto concerne l'articolo 14, il CESE raccomanda alla Commissione di presentare una relazione al Consiglio e al Parlamento entro il 30 giugno del 2009 e non del 2010 come stabilisce l'articolo. Dato infatti che l'Assemblea generale dell'ONU ha deciso di rivedere nel 2009 l'applicazione della risoluzione del 2006, sarebbe importante che la Commissione fornisse una relazione in tempo utile per tale revisione.

5.11

Il CESE ritiene che il termine previsto per l'entrata in vigore (sette giorni dopo la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale delle Comunità europee) non consenta né ai pescherecci di presentare i loro piani di pesca né alla Commissione di valutare e approvare tali piani in tempo utile. Propone pertanto di stabilire una scadenza ragionevole e realistica che permetta tanto alle navi di rispettare gli obblighi previsti quanto alla Commissione di rilasciare il permesso.

5.12

Infine, il CESE è del parere che nel regolamento dovrebbe figurare una disposizione o un articolo che imponga di procedere a una valutazione al fine di assicurare che la regolamentazione delle attività di pesca garantisca la sostenibilità a lungo termine degli stock ittici e la conservazione delle specie catturate in via accessoria. La prima di queste due finalità è stata evocata nella risoluzione dell'Assemblea generale dell'ONU. Entrambi gli obiettivi rappresentano invece obblighi previsti dall'Accordo delle Nazioni Unite sugli stock ittici per le attività di pesca in acque d'altura, siglato nel 1995.

Bruxelles, 29 maggio 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Tra questi attrezzi figurano le reti a strascico, le draghe, le reti da posta ancorate, i palangari fissi, le nasse e le trappole. Cfr. Friewald, A., Fosså, J.H., Koslow, T., Roberts, J.M. 2004. Le barriere coralline d'acqua fredda. UNEP-WCMC, Cambridge, Regno Unito.

(2)  Ibid.

(3)  Assemblea generale dell'ONU, risoluzione 61/105, paragrafi 83-86.

(4)  Cfr. la risoluzione 59/25 (2004) e soprattutto la risoluzione 61/105 (dal paragrafo 80 al paragrafo 95) dell'8 dicembre 2006.

(5)  NAT/264 — Regolamento sul Fondo europeo per la pesca (GU C 267 del 27.10.2005); NAT/280 — Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un'azione finanziaria della Comunità per l'attuazione della politica comune della pesca e in materia di diritto del mare (GU C 65 del 17.3.2006); NAT/316 (GU C 318 del 23.12.2006); NAT/333 (GU C 168 del 20.7.2007); NAT/334 — Arrestare la perdita della biodiversità (GU C 97 del 28.4.2007); NAT/364 — Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un quadro comunitario per la raccolta, la gestione e l'uso di dati nel settore della pesca e un sostegno alla consulenza scientifica relativa alla politica comune della pesca (GU C 10 del 15.1.2008).

(6)  I dati raccolti dagli osservatori dell'Istituto spagnolo di oceanografia, che corrispondono alle informazioni ottenute via satellite dalle «scatole blu» (ricetrasmettitori satellitari), mostrano che più del 95 % delle attività di pesca realizzate dai pescherecci a strascico spagnoli nelle acque d'alto mare della piattaforma patagonica vengono condotte a una profondità inferiore ai 400 metri.

(7)  Studio elaborato da Koslow et al., pubblicato nel 2000 nell'ICES Journal of Marine Science: J.A. Koslow, G.W. Boehlert, J.D.M. Gordon, R.L. Haedrich, P. Lorance and N. Parin, 2000. Versante continentale e pesca d'alto mare: gli effetti su un ecosistema fragile.

(8)  Cfr. il decimo considerando della proposta di regolamento.

(9)  Cfr. punto 2.2 del documento di lavoro dei servizi della Commissione.

(10)  Corea, Giappone, Cina, Taiwan e Uruguay.

(11)  GU L 351 del 28.12.2002, pag. 6.

(12)  Le tabelle input-output dell'industria conserviera galiziana, pubblicate dalla Giunta regionale della Galizia, mostrano che delle 74 attività che formano parte dell'economia della regione, 61 sono collegate alla pesca.


30.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 224/81


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai nuovi prodotti alimentari e recante modifica del regolamento (CE) n. XXX/XXXX [procedura uniforme]

COM(2007) 872 def. — 2008/0002 (COD)

(2008/C 224/18)

Il Consiglio, in data 30 gennaio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai nuovi prodotti alimentari e recante modifica del regolamento (CE) n. XXX/XXXX [procedura uniforme].

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 29 aprile 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore ESPUNY MOYANO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 maggio 2008, nel corso della 445a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 71 voti favorevoli, 1 voto contrario e 2 astensioni.

1.1

Il CESE ritiene che l'aggiornamento della legislazione sui nuovi prodotti alimentari sia necessaria e opportuna, e che essa si rifletterà in una maggiore sicurezza alimentare e giuridica. Accoglie pertanto con favore la proposta della Commissione ed espone al tempo stesso alcune raccomandazioni.

1.2

Considera appropriato che venga istituita una pagina Internet con un elenco dei prodotti alimentari autorizzati, consultabile da parte dei consumatori e dell'industria. Desidera però far presente alla Commissione che per essere realmente utile detta pagina dovrebbe essere di facile reperimento nel suo sito Internet e contenere spiegazioni chiare.

1.3

Dato che il regolamento proposto stabilisce una distinzione tra i nuovi alimenti prodotti in uno Stato membro e quelli prodotti in paesi terzi, anche il relativo elenco dovrebbe essere suddiviso in due parti, affinché sia più accessibile e comprensibile per i consumatori e gli operatori.

1.4

Il CESE ritiene che gli sforzi di ricerca e sviluppo compiuti dalle imprese debbano essere tutelati dalle autorità mediante un'adeguata protezione della proprietà intellettuale dei dati forniti dalle imprese stesse.

1.5

Osserva che il termine stabilito per la valutazione (1o gennaio 2015) appare eccessivamente lontano.

1.6

Fa presente che la dizione «non utilizzato in misura significativa per il consumo umano» è ambigua e può condurre ad errori, confusione e cattive pratiche.

1.7

Il CESE osserva che la proposta di regolamento in esame non prevede né un sistema né una scadenza per la revisione dell'elenco, e propone quindi di inserirvi un meccanismo che consenta di eseguire delle revisioni quando sia necessario.

1.8

Si chiede se il tempo concesso all'EFSA per effettuare una eventuale valutazione sia sufficiente.

2.   Sintesi della proposta della Commissione

2.1

La precedente disciplina europea relativa ai nuovi prodotti alimentari risale al 1997. Si ravvisa adesso l'esigenza di aggiornare e modificare alcuni suoi aspetti.

2.2

L'obiettivo è mettere a punto un sistema di autorizzazione più efficiente e trasparente, inteso a garantire la sicurezza dei nuovi prodotti alimentari sulla base di una procedura di valutazione scientifica da parte dell'Agenzia europea per la sicurezza alimentare (EFSA), in grado di ridurre gli oneri amministrativi e migliorare la competitività delle imprese.

2.3

La proposta in esame stabilisce norme armonizzate per l'immissione dei nuovi prodotti alimentari sul mercato comunitario, al fine di garantire un elevato livello di protezione della salute umana e di tutela dei consumatori, e allo stesso tempo un funzionamento efficace del mercato interno.

2.4

Sono espressamente esclusi dal campo di applicazione del regolamento gli additivi, gli aromi, i solventi da estrazione, gli enzimi, le vitamine e i minerali, come pure i prodotti alimentari e i mangimi geneticamente modificati, per i quali sono state già definite procedure a parte.

2.5

Per nuovi prodotti alimentari la proposta intende:

alimenti non utilizzati in misura significativa per il consumo umano nella Comunità prima del 15 maggio 1997,

alimenti di origine vegetale o animale nei casi in cui alle piante o agli animali rispettivi sia applicata una tecnica non tradizionale di allevamento non utilizzata prima del 15 maggio 1997,

alimenti sottoposti a un processo di produzione nuovo e non utilizzato prima del 15 maggio 1997, per i quali tale processo comporti cambiamenti significativi nella composizione, che possono incidere sul suo valore nutritivo, sul metabolismo o sul tenore di sostanze indesiderabili.

2.6

La proposta definisce inoltre altri concetti di base, quale quello di «alimento tradizionale proveniente da un paese terzo» o quello di «esperienza di utilizzo alimentare sicuro».

2.7

Il documento prevede che potranno essere commercializzati nell'UE solo i nuovi alimenti che figurano nel relativo elenco comunitario e che inoltre:

in base ai criteri scientifici disponibili non presentano rischi,

non traggono in inganno il consumatore,

quando sono destinati a sostituire altri alimenti tradizionali, non risultano svantaggiosi per i consumatori sul piano nutrizionale.

2.8

I suddetti criteri valgono ai fini dell'inserimento nell'elenco comunitario dei nuovi alimenti prodotti mediante tecniche di allevamento non tradizionali o mediante nuovi processi produttivi, e degli alimenti tradizionali provenienti da paesi terzi che possono essere considerati nuovi prodotti alimentari. In entrambi i casi, i prodotti in questione devono soddisfare le regole corrispondenti e seguire la procedura stabilita (alla quale partecipano la Commissione, l'EFSA e gli Stati membri).

2.9

La Commissione (in cooperazione con l'EFSA) fornisce se del caso gli strumenti e un orientamento tecnico per assistere gli operatori, e in particolare le piccole e medie imprese, nella presentazione delle richieste di autorizzazione.

2.9.1

Inoltre la Commissione, previo parere dell'Autorità, può imporre, per ragioni legate alla sicurezza alimentare, un obbligo di monitoraggio successivo all'immissione sul mercato (articolo 11).

2.10

La proposta garantisce la protezione dei dati (articolo 12) e dispone che le autorità nazionali stabiliscano le sanzioni applicabili in caso di violazione delle disposizioni comunitarie (articolo 13).

2.11

La Commissione sarà assistita dal comitato permanente per la catena alimentare e la salute degli animali; inoltre viene finalmente stabilito un termine per la valutazione del funzionamento pratico del regolamento (2015) nella prospettiva di una sua eventuale modifica.

3.   Osservazioni generali

3.1   Centralizzazione delle procedure di valutazione e di autorizzazione

3.1.1

La proposta istituisce un quadro centralizzato per la valutazione e l'autorizzazione dei nuovi prodotti alimentari, che saranno eseguite dall'EFSA (valutazione scientifica) e dalla Commissione europea (autorizzazione). La procedura di valutazione a cura dell'EFSA (articolo 10) dovrebbe contribuire a garantire un livello omogeneo di sicurezza dei nuovi prodotti alimentari in tutta l'UE e a semplificare le formalità a carico delle imprese, rendendo così più rapide le autorizzazioni di nuovi prodotti alimentari in Europa. Nel complesso il nuovo regolamento agevola indirettamente gli investimenti delle imprese e accresce il loro interesse nello sviluppo di nuovi alimenti.

3.2   Necessità di una procedura centralizzata di autorizzazione dei nuovi prodotti alimentari, tale da garantire la sicurezza e da semplificare le formalità per l'autorizzazione di detti prodotti

3.2.1

Con l'adozione, nel 1997, del regolamento sui nuovi prodotti e i nuovi ingredienti alimentari, il diritto comunitario ha acquisito un nuovo strumento atto a consentire la libera circolazione di prodotti alimentari sicuri.

3.2.2

Con il passare del tempo e l'applicazione di tale regolamento si è evidenziata l'esigenza di migliorare determinati aspetti, per garantire un livello elevato di tutela della salute e del benessere dei cittadini, la libera circolazione delle merci e la creazione di efficienti procedure di autorizzazione tali da consentire alle imprese di procedere a delle innovazioni.

3.2.3

La proposta istituisce due procedure di autorizzazione, in funzione del tipo di prodotto alimentare: una si applicherà ai prodotti alimentari tradizionali di paesi terzi destinati a essere commercializzati per la prima volta nell'UE e l'altra ai nuovi prodotti alimentari realizzati mediante tecniche di allevamento non tradizionali e nuovi procedimenti di produzione.

3.2.4

Nel primo caso (articolo 8), è necessario semplificare l'attuale procedura di autorizzazione, riconoscendo la sicurezza di prodotti per i quali esiste un'esperienza prolungata (una generazione) di consumo sicuro nei paesi di provenienza e che non sono stati consumati in misura significativa nell'Unione europea prima del 15 maggio 1997. Questa procedura di notifica semplifica in misura considerevole le formalità finora necessarie per commercializzare nell'UE gli alimenti tradizionali di paesi terzi.

3.2.5

Nel caso dei nuovi prodotti alimentari ottenuti medianti tecniche di allevamento non tradizionali o nuovi processi di produzione, che sono quelli su cui si concentra lo sforzo di ricerca e sviluppo dell'industria alimentare comunitaria, è indispensabile una valutazione unica della sicurezza da parte dell'EFSA, come pure una procedura (articolo 19) chiara, semplice ed efficace che permetta di accelerare le formalità, attualmente alquanto lunghe, di autorizzazione. Malgrado l'importanza di questo aspetto, la proposta non definisce una specifica procedura da seguire in questi casi, ma rinvia alla procedura uniforme di autorizzazione per gli additivi, gli enzimi e gli aromi alimentari. La proposta di ricorrere a tale procedura uniforme, che peraltro non è stata ancora adottata dall'UE, appare interessante, ma bisognerebbe considerarne attentamente la portata.

3.2.6

È indispensabile una procedura di valutazione e autorizzazione dei nuovi prodotti alimentari centralizzata a livello dell'EFSA e della Commissione, ma dovrebbe anche esserci una procedura semplice, chiara, efficace, dettagliata e corredata da scadenze (al pari di quanto avviene nel caso della notifica dei prodotti alimentari tradizionali di paesi terzi) per l'autorizzazione di nuovi prodotti alimentari ottenuti con tecniche di allevamento non tradizionali o nuovi processi di produzione, che costituiscono l'essenza dell'innovazione dell'industria alimentare.

3.2.7

Detta procedura potrebbe essere inserita nella proposta in esame o in un altro dispositivo giuridico, ma in ogni caso la proposta dovrà contenere tutti i particolari necessari affinché gli operatori siano al corrente delle formalità richieste per l'autorizzazione.

3.2.8

La proposta dev'essere abbastanza chiara e completa da poter essere applicata dagli operatori, senza pregiudizio della successiva elaborazione di orientamenti tecnici da parte della Commissione (articolo 9).

3.3   Elenchi comunitari

3.3.1

L'elaborazione di elenchi dei nuovi alimenti (articoli 5, 6 e 7) contribuirà a migliorare l'informazione dei consumatori e darà agli operatori una maggiore certezza giuridica. Il ricorso agli elenchi non costituisce una soluzione nuova, ma è anzi sempre più frequente (si pensi tra l'altro al regolamento sulle indicazioni nutrizionali e sulla salute e al regolamento sull'aggiunta di vitamine e minerali agli alimenti). La proposta presenta un modello abbastanza completo per l'elenco relativo agli alimenti tradizionali di paesi terzi (contenuto dell'elenco, pubblicazione nella pagina Internet della DG SANCO) mentre altrettanto non avviene nel caso dei nuovi prodotti alimentari (non si sa se il contenuto dell'elenco figurerà sulla pagina Internet della DG SANCO). Occorrerebbe quindi che venissero fornite ulteriori informazioni.

3.4   Tutela della proprietà intellettuale

3.4.1

Per elaborare nuovi prodotti alimentari le imprese devono avere una solida vocazione e devono effettuare degli investimenti in ricerca e sviluppo. Occorre quindi che le procedure siano semplici, rapide ed economicamente sostenibili, ma anche, per non frenare la competitività, che vi sia una tutela delle conoscenze e degli sviluppi. La proposta non definisce chiaramente la portata della tutela dei dati cui avranno diritto le imprese (viene fatto riferimento alle sole autorizzazioni, senza specificare cosa avverrà delle richieste respinte ecc.).

3.4.2

Introducendo nel regolamento uno strumento quale la protezione dei dati si dà alle imprese una certa sicurezza nell'impiego di risorse finanziarie e umane per lo sviluppo di nuovi prodotti e si conferisce loro la protezione necessaria perché proseguano il loro sforzo di innovazione, divenendo più competitive nel soddisfare le sempre maggiori esigenze del mercato e dei consumatori.

Bruxelles, 29 maggio 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


30.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 224/84


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che semplifica le procedure di redazione degli elenchi e di diffusione dell'informazione in campo veterinario e zootecnico e che modifica le direttive 64/432/CEE, 77/504/CEE, 88/407/CEE, 88/661/CEE, 89/361/CEE, 89/556/CEE, 90/427/CEE, 90/428/CEE, 90/429/CEE, 90/539/CEE, 91/68/CEE, 92/35/CEE, 92/65/CEE, 92/66/CEE, 92/119/CEE, 94/28/CE, 2000/75/CE, la decisione 2000/258/CE, nonché le direttive 2001/89/CE, 2002/60/CE e 2005/94/CE

COM(2008) 120 def. — 2008/0046 (CNS)

(2008/C 224/19)

Il Consiglio, in data 11 aprile 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 37 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Consiglio che semplifica le procedure di redazione degli elenchi e di diffusione dell'informazione in campo veterinario e zootecnico e che modifica le direttive 64/432/CEE, 77/504/CEE, 88/407/CEE, 88/661/CEE, 89/361/CEE, 89/556/CEE, 90/427/CEE, 90/428/CEE, 90/429/CEE, 90/539/CEE, 91/68/CEE, 92/35/CEE, 92/65/CEE, 92/66/CEE, 92/119/CEE, 94/28/CE, 2000/75/CE, la decisione 2000/258/CE nonché le direttive 2001/89/CE, 2002/60/CE e 2005/94/CE.

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo ha incaricato, in data 21 aprile 2008, la sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 maggio 2008, nel corso della 445a sessione plenaria, ha nominato relatore generale Leif E. NIELSEN e ha adottato il seguente parere all'unanimità.

1.   Conclusioni

1.1

Il CESE riconosce pienamente la necessità, ravvisata dalla Commissione, di armonizzare e semplificare le procedure relative all'elaborazione di elenchi e alla pubblicazione di informazioni in campo veterinario e zootecnico. Le regole per la redazione, l'aggiornamento, la trasmissione e la pubblicazione delle informazioni devono quindi essere modificate quanto prima.

1.2

Gli Stati membri dovrebbero restare responsabili della redazione delle informazioni, nonché della loro messa a disposizione degli altri Stati membri e, più in generale, del pubblico. L'armonizzazione e la semplificazione dovrebbero avvenire applicando la procedura di regolamentazione e, per chiarezza e coerenza, questa nuova procedura dovrebbe anche comprendere il campo zootecnico.

1.3

La proposta della Commissione risulta tuttavia inutilmente complessa e burocratica. La semplificazione e l'armonizzazione ricercate dovrebbero poter essere attuate in maniera più rapida e semplice, dando direttamente alla Commissione la base giuridica auspicata unitamente al mandato di attuare la semplificazione e l'armonizzazione in collaborazione con gli Stati membri, applicando la procedura di regolamentazione. L'obiettivo della proposta può così essere raggiunto in maniera più veloce e diretta, consentendo l'applicazione rapida delle procedure di redazione, aggiornamento, trasmissione e pubblicazione delle informazioni. Inoltre, le informazioni disponibili sui siti internet degli Stati membri dovrebbero essere rese più facilmente accessibili e comprensibili a tutti.

1.4

Ciò è tanto più necessario visto il desiderio, generale ed esplicito, di una legislazione più semplice e più chiara in tutta l'UE, e considerato, non da ultimo, l'intento della Commissione di elaborare un programma legislativo comune in campo veterinario, in congiunzione con la nuova strategia per la salute degli animali, mirante a consolidare la legislazione UE in campo veterinario e zootecnico. Se la proposta verrà attuata nella sua forma attuale, già tra qualche anno questo consolidamento in un quadro comune richiederà una revisione dell'intera problematica, e renderà necessario introdurre nelle legislazioni e nelle pratiche amministrative degli Stati membri nuovi cambiamenti che richiederanno tempi lunghi.

1.5

A questo proposito è inoltre necessario specificare quanto più rapidamente possibile le procedure relative all'approvazione e all'aggiornamento delle informazioni sui centri di raccolta, per precisare quanto prima i criteri cui devono aderire i laboratori nazionali di riferimento.

2.   Antefatto

2.1

Il commercio di animali vivi e di materiale riproduttivo deve essere approvato e controllato dalle istituzioni, dalle imprese, dalle strutture tecniche e dalle associazioni coinvolte (di seguito definiti «entità interessate») (1). È estremamente importante mantenere un livello di sicurezza sufficiente ed evitare il rischio di diffusione delle malattie contagiose degli animali da produzione. Le entità interessate devono quindi soddisfare una serie di condizioni, e per commerciare all'interno dell'UE in animali vivi e materiale da riproduzione, incluso il materiale genetico animale sotto forma di sperma ed embrioni devono essere approvate dagli Stati membri.

2.2

Nel corso del tempo la legislazione UE ha emanato una gran quantità di atti giuridici. Di conseguenza, sono in uso diverse procedure per registrare le entità interessate negli Stati membri e per redigere, aggiornare, trasmettere e pubblicare le informazioni. Ciò rende difficile l'uso pratico delle informazioni per le autorità nazionali, per le organizzazioni interessate e per gli operatori. In determinati casi non esiste base giuridica per i rapporti in materia.

2.3

La proposta mira ad armonizzare e a semplificare le regole attraverso la procedura di regolamentazione (2), cosa che comporterà semplificazioni amministrative grazie all'introduzione di regole più sistematiche, coerenti e uniformi per la registrazione, la redazione, l'aggiornamento, la trasmissione e la pubblicazione delle informazioni. La proposta chiede formalmente la modifica di 20 direttive e di una decisione (3). Per chiarezza e coerenza, secondo la Commissione la nuova procedura va anche applicata in campo zootecnico e agli istituti di riproduzione abilitati a redigere o a creare i registri genealogici negli Stati membri, nonché al commercio di equidi destinati a concorsi o alla fissazione delle condizioni di partecipazione a tali concorsi.

2.4

Anche le entità dei paesi terzi devono soddisfare una serie di condizioni per esportare sperma e embrioni verso l'UE. Esse sono controllate dalle autorità nazionali dei paesi terzi interessati, se del caso dopo un'ispezione veterinaria da parte dell'UE. Qualora le informazioni comunicate dai paesi terzi destassero preoccupazioni, si adotteranno misure di salvaguardia ai sensi della direttiva 97/78/CE del Consiglio. La Commissione ritiene che, per ragioni di chiarezza e coerenza, tale procedura andrà estesa alle autorità dei paesi terzi autorizzate, ai sensi della normativa zootecnica comunitaria, a tenere i registri genealogici.

2.5

La Commissione ritiene che, a differenza della situazione attuale, gli Stati membri dovrebbero essere responsabili della redazione e dell'aggiornamento delle informazioni sui laboratori nazionali di riferimento riconosciuti e su altri laboratori riconosciuti. Comunque, stando alla proposta attuale, la Commissione continuerà ad essere responsabile della redazione e pubblicazione di informazioni sui laboratori riconosciuti dei paesi terzi. Infine, si propongono misure transitorie per garantire la continuità dei test sierologici per il vaccino antirabbico (4).

3.   Osservazioni generali

3.1

La legislazione veterinaria e zootecnica è eccezionalmente complessa e vasta: essa infatti è stata elaborata progressivamente per far fronte ai nuovi sviluppi, alla natura complessa delle malattie interessate e alla necessità di garantire prevenzione e controllo. La comparsa e la diffusione di malattie contagiose degli animali da produzione può avere conseguenze molto importanti sul piano economico e sociale. Per questo motivo è essenziale che la legislazione e l'amministrazione funzionino al meglio. A questo si aggiunge un aumento del rischio a livello mondiale a causa della crescita costante della popolazione e della pressione sugli allevamenti di animali da produzione, nonché dell'intensificarsi degli scambi e dei contatti a livello internazionale, come pure dei cambiamenti climatici, che modificano la diffusione geografica delle malattie.

3.2

Il CESE ravvisa quindi un evidente bisogno di agire quanto prima per semplificare e armonizzare le regole per la redazione, l'aggiornamento, la trasmissione e la pubblicazione delle informazioni. Tuttavia, secondo il CESE, l'obiettivo auspicato può essere raggiunto in maniera più rapida e molto più semplice eliminando dagli atti legislativi interessati le disposizioni esistenti in materia di raccolta e pubblicazione delle informazioni e sostituendole con uno strumento giuridico unico che dia alla Commissione la base giuridica e le competenze necessarie per iniziare ad occuparsi della semplificazione e dell'armonizzazione il più rapidamente possibile, applicando la procedura di regolamentazione. Ciò produce lo stesso risultato, senza la necessità dei tempi lunghi necessari per la trasposizione amministrativa nella legislazione degli Stati membri e per le pratiche amministrative.

3.3

L'attuale proposta della Commissione prevede infatti l'introduzione di nuove disposizioni in ciascuno dei 21 atti legislativi, riferendosi più volte a nuove disposizioni, che a loro volta rimandano all'applicazione della procedura di regolamentazione. Sembra un approccio inutilmente complesso: le norme procedurali vengono prima specificate attraverso riferimenti presenti in ognuno dei 21 atti legislativi, e poi si aspettano le norme di attuazione al livello della legislazione e dell'amministrazione nazionali dei 30 Stati del SEE (Spazio economico europeo). Solo al termine di questo processo la Commissione ha il mandato richiesto per l'attuazione, e può iniziare il vero lavoro di redazione delle norme comuni, applicando la procedura di regolamentazione.

3.4

Ciò è tanto più importante se si considerano il desiderio, generale ed esplicito, di una legislazione più semplice e più chiara in tutta l'UE, nonché la proposta, avanzata dalla stessa Commissione, di elaborare un programma legislativo comune in campo veterinario, in congiunzione con la nuova strategia per la salute degli animali, mirante a consolidare la legislazione UE in campo veterinario e zootecnico (5). Sarebbe più rapido e più semplice sostituire direttamente le regole esistenti e conferire alla Commissione, attraverso l'adozione di un atto giuridico specifico, il mandato di cui ha bisogno per cominciare a lavorare al più presto, senza aspettare l'introduzione delle norme modificate nel quadro della trasposizione nazionale dei 21 atti legislativi interessati, con tutti i ritardi e le complicazioni amministrative che ne conseguono.

3.5

Il CESE ritiene pertanto che il Consiglio e la Commissione debbano cogliere l'opportunità per ricorrere al quadro legislativo comune in programma per questo settore. In caso contrario le disposizioni dovranno essere nuovamente rivedute all'atto del consolidamento della legislazione, con le complicazioni amministrative che ciò comporterebbe per gli Stati membri, che ancora una volta dovrebbero rivedere la legislazione e le pratiche amministrative.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Nella proposta, la Commissione usa ripetutamente l'espressione «redazione degli elenchi», che fa pensare che si tratti di una scelta terminologica concordata. In realtà la proposta verte essenzialmente sulle procedure per la redazione, l'aggiornamento, la trasmissione e la pubblicazione delle informazioni in materia, nonché sulla definizione del modello di formato per la presentazione di queste informazioni, aspetti che vanno definiti attraverso la procedura di regolamentazione.

4.2

Per far sì che le informazioni contenute nei siti internet degli Stati membri siano più facilmente accessibili e comprensibili a tutti, la Commissione dovrebbe cominciare quanto prima a mettere a punto gli aspetti tecnici e il modello di formato. È inoltre importante spiegare e chiarire come si può accedere alle informazioni redatte e aggiornate dagli Stati membri partendo dal sito internet della Commissione. In caso contrario si rischia che gli Stati membri continuino a presentare le informazioni in formati diversi, rendendone difficile l'uso pratico alle autorità e agli altri interessati.

4.3

È inoltre necessario precisare le procedure relative al riconoscimento dei centri di raccolta, nonché all'aggiornamento delle informazioni sui centri di raccolta riconosciuti. L'incertezza sulla conformità con le norme in materia di scarico degli animali durante trasporti su lunga distanza è dovuta al fatto che le informazioni sui centri di raccolta utilizzabili sono incomplete. Pertanto, le norme risultano spesso fuorvianti quanto al tipo e al numero di capi di bestiame che possono essere ospitati nei centri di raccolta.

4.4

La proposta della Commissione di consentire agli Stati membri di riconoscere i laboratori di riferimento non viene motivata. Ciò è presumibilmente dovuto all'intento di ridurre il lavoro per la Commissione, nonché di obbligare gli Stati membri a condividere questa responsabilità. È comunque necessario precisare quanto prima i requisiti che i laboratori nazionali di riferimento dovranno soddisfare per quanto riguarda, tra l'altro, le norme internazionali per gli impianti di laboratorio, nonché la garanzia di qualità e i metodi.

Bruxelles, 29 maggio 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Tra queste figurano:

Laboratori statali responsabili delle questioni relative alle malattie gravi e contagiose degli animali da produzione (controllo, metodi di verifica, capacità d'intervento, uso dei reagenti, test sui vaccini, ecc.),

centri di raccolta dello sperma bovino e suino, centri di stoccaggio dello sperma, banche del seme, raccolta degli embrioni o produzione degli embrioni,

organizzazioni e associazioni di allevatori ufficialmente autorizzati a redigere o a conservare i registri genealogici,

tutti i tipi di centri di raccolta autorizzati per bovini, suini, caprini e ovini, e allevamenti di pollame,

commercio autorizzato e impianti registrati, ad uso dei commercianti nell'esercizio delle loro attività.

(2)  La procedura di regolamentazione si basa sugli articoli 5 e 7 della decisione 1999/468/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 recante modalità per l'esercizio delle competenze di esecuzione conferite alla Commissione.

(3)  Direttive 64/432/CEE, 77/504/CEE, 88/407/CEE, 88/661/CEE, 89/361/CEE, 89/556/CEE, 90/427/CEE, 90/428/CEE, 90/429/CEE, 90/539/CEE, 91/68/CEE, 92/35/CEE, 92/65/CEE, 92/66/CEE, 92/119/CEE, 94/28/CE, 2000/75/CE, 2001/89/CE, 2002/60/CE, 2005/94/CE e decisione 2000/258/CE.

(4)  Decisione 2000/258/CE del Consiglio, del 20 marzo 2000, che designa un istituto specifico responsabile per stabilire i criteri necessari alla standardizzazione dei test sierologici di controllo dell'azione dei vaccini antirabbici, fra cui anche i test che possono sostituire l'attuale test di immunofluorescenza (test IF) o le disposizioni nazionali.

(5)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni su una nuova strategia per la salute degli animali nell'Unione europea (2007-2013): «Prevenire è meglio che curare», COM(2007) 539 def.


30.8.2008   

IT

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C 224/87


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri riguardanti i solventi da estrazione impiegati nella preparazione dei prodotti alimentari e dei loro ingredienti (rifusione)

COM(2008)154 def. — 2008/0060 (COD)

(2008/C 224/20)

Il Consiglio, in data 8 aprile 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 251 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri riguardanti i solventi da estrazione impiegati nella preparazione dei prodotti alimentari e dei loro ingredienti (rifusione).

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e dato che esso aveva già formato oggetto dei suoi pareri CES 522/84, adottato il 23 maggio 1984 (1), CES 633/92, adottato il 26 maggio 1992 (2), CES 230/94, adottato il 23 febbraio 1994 (3), CES 1385/96, adottato il 27 novembre 1996 (4), e CESE 1599/2003, adottato il 10 dicembre 2003 (5), il Comitato, in data 29 maggio 2008, nel corso della 445a sessione plenaria, ha deciso, con 85 voti favorevoli e 4 astensioni, di esprimere parere favorevole al testo proposto e di rinviare alla posizione a suo tempo sostenuta nei documenti citati.

Il parere del Comitato in merito alla procedura di regolamentazione con controllo è attualmente in preparazione (COM(2007) 741 def., COM(2007) 822 def., COM(2007) 824 def. e COM(2008) 71 def.).

 

Bruxelles, 29 maggio 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Parere del Comitato economico e sociale su una Proposta di direttiva del Consiglio per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri riguardanti i solventi da estrazione impiegati nella preparazione delle derrate e degli ingredienti alimentari (GU C 206 del 6.8.1984, pag. 7).

(2)  Parere del Comitato economico e sociale in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica per la prima volta la direttiva 88/344/CEE del Consiglio, del 13 giugno 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri riguardanti i solventi da estrazione impiegati nella preparazione dei prodotti alimentari e dei loro ingredienti (GU C 223 del 31.8.1992, pag. 23).

(3)  Parere del Comitato economico e sociale in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica per la seconda volta la direttiva 88/344/CEE, del 13 giugno 1988, sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri riguardanti i solventi da estrazione impiegati nella preparazione dei prodotti alimentari e dei loro ingredienti (GU C 133 del 16.5.1994, pag. 21).

(4)  Parere del Comitato economico e sociale in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante terza modifica della direttiva 88/344/CEE relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri riguardanti i solventi da estrazione utilizzati per la preparazione dei prodotti alimentari e dei loro ingredienti (GU C 66 del 3.3.1997, pag. 3).

(5)  Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio per il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri riguardanti i solventi da estrazione impiegati nella preparazione dei prodotti alimentari e dei loro ingredienti (versione codificata) (GU C 80 del 30.3.2004, pag. 45).


30.8.2008   

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C 224/88


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Migliorare la qualità e la produttività sul luogo di lavoro: strategia comunitaria 2007-2012 per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro

COM(2007) 62 def.

(2008/C 224/21)

La Commissione, in data 21 febbraio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Migliorare la qualità e la produttività sul luogo di lavoro: strategia comunitaria 2007-2012 per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 maggio 2008 sulla base del progetto predisposto dalla relatrice CSER.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 maggio 2008, nel corso della 445a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 80 voti favorevoli, 20 voti contrari e 8 astensioni.

1.   Sintesi

1.1

Gli obiettivi di produttività e di competitività della strategia di Lisbona rinnovata potranno essere realizzati solo a condizione che i cittadini europei possano lavorare in condizioni sanitarie e di sicurezza soddisfacenti. Le disposizioni comunitarie garantiscono, insieme con quelle nazionali, la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori sul luogo di lavoro. La nuova strategia comunitaria 2007-2012 per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro deve tradurre in pratica questi obiettivi.

1.2

La salute e la sicurezza sul luogo di lavoro vanno considerate come un fattore fondamentale di crescita economica e di produttività. I costi in gioco sono ingenti e sono a carico non solo delle imprese e dei lavoratori, ma anche della società nel suo insieme. È importante che tali costi vengano analizzati meglio, affinché emerga chiaramente fino a che punto la mancanza di sicurezza e un cattivo ambiente di lavoro comportano degli oneri per tutte le parti in causa e una perdita di produttività.

1.3

Il CESE si compiace dell'obiettivo di ridurre del 25 % gli infortuni sul lavoro e aggiunge che occorrerebbe anche definire un obiettivo analogo di riduzione delle malattie professionali, con particolare attenzione ai casi di cancro legati al lavoro. Occorre predisporre, verificare e adeguare un piano di azione specifico, con obiettivi quantificabili e credibili, e meccanismi di rendicontazione comparativi.

1.4

È necessario rispettare e applicare realmente i diritti dei lavoratori, tenendo conto delle nuove forme di occupazione e della necessità di fare in modo che la legislazione, e quindi le misure di controllo, coprano tutti i lavoratori, indipendentemente dal tipo di lavoro e dalla forma di occupazione. Il mancato rispetto dei suddetti diritti equivarrebbe a una violazione dei diritti fondamentali.

1.5

Il CESE è favorevole a un'adeguata attuazione della legislazione comunitaria, anzitutto attraverso l'elaborazione e l'esecuzione di strategie nazionali.

1.6

È necessario applicare una regolamentazione, una politica e un sostegno specifici ai gruppi bersaglio prioritari: i lavoratori disabili, le donne, i lavoratori più anziani, i giovani lavoratori e i lavoratori migranti.

1.7

Affinché la strategia venga messa in pratica e possa essere controllata sono necessarie norme specifiche concernenti il numero degli ispettori del lavoro rivolte a una pratica efficace e uniforme delle ispezioni e dei controlli comunitari e nazionali (1).

1.8

Il personale del Comitato degli alti responsabili dell'ispettorato del lavoro e quello delle autorità europee e nazionali competenti non andrebbero ridotti, ma ampliati, tenendo conto del numero di lavoratori e di abitanti dell'Europa allargata.

1.9

Gli Stati membri devono incoraggiare il dialogo sociale a livello comunitario, nazionale, locale e di luogo di lavoro, perché si tratta di uno strumento indispensabile per garantire a ogni singolo lavoratore la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro.

1.10

Bisogna accrescere la cooperazione tra Stati membri: in particolare, anche nel quadro della politica di bilancio dell'Unione europea occorre prendere misure adeguate a garantire un'applicazione sistematica ed efficace della strategia comunitaria per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro.

1.11

Mediante un coordinamento delle politiche comunitarie occorre avviare programmi di formazione e intensificare quelli esistenti, al fine di sviluppare la politica di prevenzione dei rischi, avvalendosi delle esperienze locali, regionali e nazionali. La prevenzione dei rischi deve essere tenuta in considerazione nei programmi di istruzione a partire dalla scuola materna, della formazione di base e della formazione professionale, in coordinamento con le politiche di sanità pubblica.

1.12

Ai fini del successo della prevenzione sono decisivi l'importanza attribuita alla salute e alla sicurezza sul lavoro e le persone e gli organi che ne sono responsabili nei luoghi di lavoro. È importante garantire che la formazione in materia di salute e sicurezza impartita nei luoghi di lavoro sia al passo coi tempi. Destinatari importanti di tali misure di formazione sono i dirigenti e le persone responsabili della tutela del lavoro. Occorre garantire loro una formazione adeguata, il tempo necessario per adempiere al proprio compito nel campo della tutela della salute e della sicurezza sul lavoro e la possibilità di influire tra l'altro sullo sviluppo dei processi produttivi. In tale contesto un ruolo importante ricade sulle parti sociali, le quali stipulano i contratti e ne garantiscono l'applicazione nei luoghi di lavoro.

1.13

Le PMI, che impiegano oltre l'80 % dei lavoratori dipendenti, risentono di un grave svantaggio per quanto riguarda le risorse e le possibilità finanziarie. Tali imprese si trovano in una situazione di forte dipendenza e dovrebbero ricevere un sostegno particolare, a condizione di impegnarsi a osservare il dialogo sociale e a rispettare gli accordi sociali in materia di salute e di sicurezza sul luogo di lavoro.

1.14

In parallelo con un'organizzazione del lavoro nuova e in rapido cambiamento, oltre che con l'avvento di nuove tecnologie, emergono anche nuovi rischi ai quali bisogna far fronte a livello comunitario. Secondo il comitato scientifico sui limiti di esposizione professionale agli agenti chimici bisognerebbe adottare dei limiti fondati su criteri di salute. Il Comitato si compiace del fatto che, grazie ai loro accordi in materia di stress, violenza e mobbing sul luogo di lavoro, applicabili a livello nazionale, le parti sociali hanno dato un contributo essenziale al miglioramento della salute mentale dei lavoratori.

1.15

La responsabilità sociale delle imprese suscita compiacimento come metodo, ma non può sostituirsi alle regole giuridiche attuali e future.

1.16

I problemi verso i quali sono rivolte le politiche comunitarie non possono essere risolti sul solo territorio dell'Unione europea, in particolare nel contesto della globalizzazione. Per ciascun lavoratore una globalizzazione onesta e un lavoro dignitoso sono una garanzia in vista della realizzazione degli obiettivi comunitari su scala internazionale. Le istituzioni europee devono incoraggiare la ratifica delle convenzioni dell'OIL da parte degli Stati membri.

2.   Osservazioni generali

2.1

Nel quadro della strategia di Lisbona gli Stati membri hanno riconosciuto che la politica di salute e di sicurezza sul luogo di lavoro contribuisce fortemente alla crescita economica e all'occupazione (2). Inoltre il miglioramento della salute e della sicurezza sul lavoro fa parte del modello sociale europeo. Il periodo appena trascorso è stato caratterizzato da un'esigenza di ristabilire un clima di fiducia tra i cittadini europei (3).

2.2

Una politica sociale decisa e attenta non solo contribuisce alla crescita della produttività e della competitività ma promuove anche la coesione sociale e di conseguenza la pace sociale e la stabilità politica, senza le quali non vi sarebbe sviluppo sostenibile. In altri termini la politica sociale è un fattore di produttività (4). Quindi la sicurezza e la salute sul lavoro non sono fini a se stesse; a lungo termine le spese destinate alla salute e alla sicurezza sul lavoro non soltanto vengono ammortizzate, ma contribuiscono senz'altro ai risultati economici.

2.3

Sotto il profilo della salute, le condizioni di lavoro sono particolarmente importanti, se si pensa che un adulto passa un terzo del proprio tempo nel luogo di lavoro. Gli ambienti di lavoro pericolosi e pregiudizievoli per la salute causano perdite che vanno dal 3 al 5 % del PNL. Bisogna considerare la prevenzione, le spese pubbliche destinate alla salute e le spese sanitarie legate al lavoro attivo come altrettanti investimenti. In un contesto di cambiamenti demografici, occorre mirare a uno sviluppo sostenibile (5), perché è importante per l'Europa che gli investimenti aumentino e che siano disponibili più posti di lavoro nei quali la salute dei lavoratori è garantita.

2.4

Occorre continuare a sviluppare un quadro globale di salute e sicurezza sul luogo di lavoro e applicarlo correttamente in tutta l'UE, in modo da integrare i gruppi vulnerabili che non sono ancora adeguatamente coperti, che hanno difficoltà nel far valere i propri diritti in materia di sicurezza sul luogo di lavoro in particolare i lavoratori precari, quelli che svolgono un lavoro con un elevato grado di rischio per la salute e quelli che rischiano il posto a causa delle strategie concorrenziali a breve termine dei loro datori di lavoro.

2.5

Una politica di salute e sicurezza sul luogo di lavoro applicata in maniera costante rappresenta una condizione indispensabile per salvaguardare e tutelare la salute dei lavoratori. Tale politica risulta inoltre economicamente vantaggiosa. Uno degli strumenti principali in questo senso è la prevenzione, la quale costituisce il più fruttuoso degli investimenti, nonché l'approccio più efficace in termini di redditività. L'adozione di una strategia di prevenzione e di norme di protezione adeguate in ogni luogo di lavoro permette inoltre ai grandi sistemi sanitari e previdenziali di ammortizzare i costi e realizzare risparmi di grande portata e a lungo termine, oltre a essere conveniente in relazione ai premi pagati dalle imprese per l'assicurazione antinfortuni o ad altri costi direttamente o indirettamente legati alle conseguenze degli infortuni sul lavoro. La qualità dei servizi di prevenzione, la formazione sanitaria e di sicurezza dei lavoratori, il miglioramento della qualità e dell'efficacia delle norme di sicurezza, un controllo professionale e continuo e la cooperazione con le parti sociali sono elementi importanti e interdipendenti ai fini della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro.

2.6

Il programma Progress stabilisce che l'obiettivo principale della politica sociale europea è migliorare in maniera continua le condizioni di lavoro, dare ascolto ai lavoratori e ai loro rappresentanti e coinvolgerli nei processi decisionali. Questo dialogo su scala comunitaria in tutti i settori dovrebbe garantire la parità di diritti in tutti gli Stati membri. L'applicazione degli accordi scaturiti dal dialogo sociale (per esempio in materia di telelavoro e di lotta contro la violenza sul luogo di lavoro e contro lo stress legato al lavoro) deve essere consolidata e seguita da misure efficaci, indipendentemente dal tipo di lavoro svolto o dalla forma di occupazione prescelta. Nel caso dei dipendenti pubblici, e sebbene essi dispongano di strumenti di dialogo sociale, le disuguaglianze sono estreme non soltanto a livello di regolamentazione, ma anche nella pratica. Una caratteristica istituzionale specifica del dialogo sociale consiste nella presenza di un rappresentante permanente dei lavoratori nella regolare attività di osservazione e gestione dei rischi professionali relativi alla salute e alla sicurezza sul luogo di lavoro.

2.7

Il CESE raccomanda che gli Stati membri considerino seriamente la possibilità di sanzionare le violazioni delle regole e di analizzare le spese relative alla salute e alla sicurezza sul luogo di lavoro, dal momento che le conseguenze degli infortuni sul lavoro e delle malattie legate al lavoro costituiscono un onere per la società nel suo insieme e si ripercuotono anche sulla produttività e pertanto sulla competitività.

2.8

Nonostante un generale miglioramento della salute e della sicurezza sul lavoro nel corso degli ultimi anni, per quanto riguarda sia il numero di incidenti e di malattie legate al lavoro che la loro gravità, i rischi professionali non si sono ridotti in maniera uniforme. La situazione rimane inquietante in certi settori, per certe categorie di lavoratori e per certi tipi di imprese, che presentano dati ben superiori alla media (6). La valutazione indica che i programmi nazionali non prendono in considerazione determinati gruppi vulnerabili, per esempio i falsi lavoratori autonomi. Occorre dunque rimediare a questa situazione.

2.9

Anche se la precedente strategia ha permesso di sviluppare la cultura della prevenzione, questa non si è ancora diffusa capillarmente. In particolare le PMI dovrebbero beneficiare di un sostegno finanziario sistematico, a condizione di impegnarsi a rispettare gli accordi sociali in materia di salute e sicurezza sul luogo di lavoro.

2.10

Nel contesto dell'ispezione del lavoro il CESE sottolinea il fatto che anche le imprese hanno l'obbligo di procedere di propria iniziativa a dei controlli interni.

2.11

Affinché la politica e le disposizioni comunitarie siano applicate a livello nazionale e producano risultati occorre assicurarne l'applicazione e il controllo a livello nazionale. Il CESE accoglie con favore il fatto che gli Stati membri riferiscano regolarmente in merito all'applicazione delle direttive.

2.12

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione COM(2007) 46 def., relativa alle statistiche comunitarie della sanità pubblica e della salute e sicurezza sul luogo di lavoro, e ribadisce l'importanza delle definizioni e dei sistemi di riconoscimento comuni (7). È necessaria una regolamentazione giuridica comune per raccogliere dati adeguati e differenziati che servano a definire norme e coefficienti.

3.   Osservazioni particolari

3.1

La comunicazione della Commissione ha definito come obiettivo per il periodo 2007-2012 l'innalzamento della qualità e della produttività del lavoro, ravvisando in ciò il fondamento della strategia relativa alla salute e alla sicurezza sul luogo di lavoro, nello spirito della strategia comunitaria 2002-2006 basata sulla direttiva quadro 89/391/CEE.

3.2

Una relazione recentemente elaborata in materia contiene una valutazione della realizzazione degli obiettivi e dell'impatto della strategia 2002-2006 (8). Nel periodo in questione dieci nuovi Stati membri sono entrati a far parte dell'Unione. Data la mancanza di statistiche e di informazioni in materia, la valutazione non ha tenuto conto della situazione dei nuovi Stati membri, e la nuova strategia è stata così predisposta in base ai dati del 1999. Di conseguenza il CESE si rammarica fortemente del fatto che, sebbene i nuovi Stati membri siano entrati nell'Unione quando la strategia era già a metà percorso, la Commissione non abbia deciso, come era nelle sue facoltà, di fare ricorso a una programmazione continua e di modificare adeguatamente la strategia.

3.3

Il Comitato apprezza l'obiettivo della strategia comunitaria di ridurre del 25 % gli incidenti. Ritiene che per realizzarlo occorra elaborare e attuare un piano di azione con obiettivi quantificabili, indicatori e meccanismi di scambio di informazioni che siano credibili e tali da consentire delle comparazioni, e sistemi di sorveglianza. Bisogna anche tenere conto sia delle cause interne degli infortuni sul lavoro, come la mancanza di tempo sufficiente o i ridotti tempi di consegna, che di quelle esterne, che spesso consistono nella negligenza, a sua volta ascrivibile allo stress subito nella vita privata. Oltre che degli infortuni sul lavoro bisogna occuparsi delle malattie professionali, che sono relativamente molto più numerose. Il primo passo verso la prevenzione deve consistere nel riconoscimento delle malattie professionali e nell'estensione di tale concetto. Quando si individua in tempo la causa di una malattia si possono prendere misure tempestive ed eliminarla. Ecco perché va definito un obiettivo quantitativo concreto anche in riferimento al numero di persone che lavorano in condizioni di rischio per la salute — perché ciò incide in misura determinante sul numero delle malattie professionali in futuro — e al numero delle malattie professionali.

3.4   Legislazione e sorveglianza

3.4.1

Il CESE ribadisce che occorre una strategia equilibrata di salute e sicurezza, comprendente misure legislative e non legislative, a seconda di che cosa risulti più efficace in sede di attuazione. In particolare sarebbe utile tenere conto dei mutamenti intervenuti nel frattempo nelle condizioni di lavoro, le cui ripercussioni in termini di salute e di sicurezza devono essere considerate sistematicamente. Basandosi sulla ricerca bisognerebbe accertare se sia il caso di intervenire con misure adeguate, specialmente per rispondere alla crescente e generale trasformazione delle condizioni di lavoro, al fatto che i lavoratori sono chiamati a lavorare in maniera più rapida e intensiva Il CESE richiama l'attenzione sul fatto che tutti i lavoratori hanno gli stessi diritti e che ciò deve valere non solo a livello comunitario, ma anche a livello degli Stati membri.

3.4.2

Nell'applicazione della strategia bisognerà prevedere una regolamentazione e una politica di sostegno specifiche per i giovani, i lavoratori migranti, le donne, i lavoratori anziani e i disabili, che sono le categorie più esposte ai rischi, agli infortuni sul lavoro e alle malattie professionali. Le carenze in termini di formazione, di riqualificazione e di informazione, la mancanza di una formazione introduttiva al lavoro e di adeguate istruzioni e le insufficienti conoscenze linguistiche costituiscono altrettanti fattori di rischio. Nel caso dei lavoratori migranti le conoscenze linguistiche costituiscono un fattore importante per la prevenzione e per l'informazione, ed è essenziale garantire la parità di trattamento.

3.4.3

Il coordinamento e la sorveglianza delle direttive richiedono risorse materiali e umane adeguate. Tuttavia, malgrado l'allargamento del 2004, si prevedono tagli all'organico del Comitato degli alti responsabili dell'ispettorato del lavoro. Anche ridurre il numero di rappresentanti che compongono tale Comitato sarebbe inopportuno. Solo 26 persone lavorano presso l'autorità della Commissione competente in materia, e 4 o 5 si occupano dell'applicazione delle disposizioni. Il CESE deplorava questa situazione già nel 2002, quando gli Stati membri erano solo 15 contro i 27 di adesso. È indispensabile che questo settore si sviluppi. Analogamente, occorre impedire la riduzione del numero di ispettori a livello degli Stati membri.

3.4.4

L'obiettivo prioritario dev'essere quello di far rispettare le disposizioni in materia di protezione dei lavoratori. Le autorità competenti dovrebbero intensificare le ispezioni dirette a verificare il rispetto degli obblighi dei datori di lavoro e dei lavoratori in materia di salute e di sicurezza sul lavoro. Bisogna inoltre diffondere, grazie all'istruzione, alla formazione e ad un quadro normativo più accessibile, la cultura della salute e della sicurezza nel luogo di lavoro.

3.4.5

Gli ispettorati nazionali del lavoro potrebbero svolgere un ruolo positivo non solo attraverso la verifica del rispetto delle norme di sicurezza sul lavoro, ma anche fornendo consigli e consulenza ai datori di lavoro. Per garantire l'indipendenza e l'efficacia delle attività degli ispettorati nazionali del lavoro occorre tuttavia disporre di fondi sufficienti.

3.4.6

Il Comitato degli alti responsabili dell'ispettorato del lavoro ha deciso già nel 2002 di accrescere l'efficacia delle ispezioni sul lavoro: in tale contesto uno degli strumenti principali di intervento consiste nello sviluppare indicatori che permettano di valutare la qualità delle ispezioni. Il CESE, che aveva accolto con favore tale decisione in un precedente parere (9), concorda con le conclusioni del Comitato degli alti responsabili dell'ispettorato del lavoro e ne condivide le raccomandazioni: si rammarica pertanto del fatto che esse non siano state inserite nella strategia.

3.5   Attuazione e strategie nazionali

3.5.1

Bisogna incoraggiare il dialogo sociale relativo alla salute e alla sicurezza sul lavoro: a tal fine sono necessarie misure di livello europeo elaborate dalle parti sociali. Bisogna sostenere, anche finanziariamente, i paesi candidati, con il contributo del Fondo sociale europeo o di relazioni di gemellaggio tra vecchi e nuovi Stati membri. Nel caso dei paesi candidati o potenziali candidati, si è già iniziato a trasporre le regolamentazioni e a rafforzare i controlli sul luogo di lavoro.

3.5.2

I medici e gli altri addetti alla sanità dedicano particolare attenzione all'individuazione dei disturbi causati dalle condizioni di lavoro, ma ciò di cui occorre tenere conto sono i costi generalmente elevati della situazione sanitaria. I costi di prevenzione delle malattie non devono ricadere sui lavoratori, perché altrimenti molti di loro tenderebbero a ignorarle per ragioni finanziarie, cosa che causerebbe in seguito spese mediche ancora superiori. Nel quadro della promozione della salute sul luogo di lavoro i datori di lavoro offrono una vasta gamma di misure elaborate di concerto con i loro dipendenti, le quali contribuiscono a rendere più sano lo stile di vita dei lavoratori: tra tali misure si annoverano programmi gratuiti di prevenzione e programmi di abbandono del fumo, consulenza su un'alimentazione sana e sull'attività fisica, e programmi di prevenzione dello stress (10).

3.5.3

La strategia contiene un invito ad adottare ampie misure per favorire il riadattamento e il reinserimento dei lavoratori esclusi dal mercato del lavoro a causa di malattie e di invalidità professionali. Il CESE condivide l'approccio della Commissione, ma osserva che la politica comunitaria non garantisce le condizioni finanziarie che sarebbero necessarie.

3.5.4

Il CESE si allinea al punto di vista della Commissione, secondo cui occorre ancora fare molti sforzi, per esempio verso l'elaborazione di misure in collaborazione con i sistemi sanitari pubblici, per integrare le questioni relative alla salute e alla sicurezza sul luogo di lavoro in altre politiche specifiche dell'UE.

3.5.5

Il CESE apprezza l'attività del gruppo istituito nel quadro della DG EMPL con l'apporto di varie unità operative per realizzare sinergie e raggiungere risultati concreti.

3.6   Prevenzione, istruzione e formazione

3.6.1

Lo sviluppo, a livello nazionale, della tutela della salute e della sicurezza sul luogo di lavoro, fa parte integrante della cultura della sanità in generale, e coincide con l'interesse degli Stati membri. Inoltre, partecipare in maniera continua all'istruzione e alla formazione è nell'interesse dei lavoratori dipendenti, ed è anche un loro obbligo. I datori di lavoro, nella misura in cui rispettano l'obbligo di informare costantemente i dipendenti e di cooperare con essi, sono attori essenziali della formazione e dello sviluppo della cultura nazionale. Uno strumento rilevante in questo senso è anche quello dei contratti collettivi di lavoro.

3.6.2

Il CESE ricorda agli Stati membri e alle parti sociali l'importanza della prevenzione, dell'istruzione e della formazione, e la responsabilità che ricade su di loro in questo contesto. Occorre inserire o promuovere un modulo relativo alla salute e alla sicurezza sin dalle scuole materne, nelle primarie, nella formazione professionale, nell'insegnamento superiore, in quello destinato agli adulti e nei programmi di formazione permanente.

3.6.3

L'insegnamento, la formazione e la formazione permanente devono tenere conto dei differenti gruppi a cui si rivolgono. Il CESE accoglie con favore l'introduzione dell'istruzione e della formazione permanente nella nuova strategia e nel concetto di prevenzione.

3.6.4

In generale la salute e la sicurezza sul lavoro non sono prese in considerazione né nelle scuole primarie né nella riqualificazione professionale. Il CESE si compiace pertanto del fatto che l'istruzione e la formazione permanente siano state incluse nella nuova strategia e nel concetto di prevenzione.

3.6.5

Per quanto riguarda i luoghi di lavoro critici, dove si verifica la maggior parte degli infortuni e dei casi di malattie professionali, il CESE raccomanda che le strategie nazionali, nel quadro dell'individuazione dei rischi o, più precisamente, della prevenzione, dedichino particolare attenzione ai nuovi rischi. Anche la creazione di registri di dati settoriali costituirebbe un aiuto prezioso.

3.6.6

Il Comitato ritiene che le malattie causate da agenti cancerogeni in ambiente professionale rappresentino un grave problema. Nel solo 2006, nei 25 Stati membri si sono registrati 2,3 milioni di nuovi casi di patologie tumorali, che rappresentano così la principale causa di morte prematura. Si stima che il 9,6 % di tutti i decessi per patologie tumorali sia collegato alle condizioni di lavoro (11). Il Comitato si rivolge pertanto agli Stati membri affinché intraprendano azioni concrete che riducano notevolmente il numero di lavoratori esposti a sostanze dagli effetti cancerogeni

3.6.7

Il CESE ritiene opportuno lo sviluppo in generale di una cultura della salute per indurre nei lavoratori un comportamento più attento alla salute. A tal fine occorre non soltanto aiutare i datori di lavoro, ma anche proporre misure di sostegno al livello comunitario e degli Stati membri e educare i lavoratori ai diritti di cui godono in quest'ambito, i quali derivano da una serie di norme giuridiche di livello internazionale (OIL), comunitario (UE) e nazionale.

3.6.8

A livello comunitario, come a livello nazionale occorre sviluppare proattivamente la politica di prevenzione e dotarla delle necessarie risorse in termini di bilancio e/o di sicurezza sociale. Affinché la cultura della prevenzione si rafforzi è necessario elaborare un'impostazione globale e preventiva. Bisogna fare in modo che tutti i lavoratori abbiano accesso alla formazione in modo da potere ridurre la dipendenza di taluni gruppi. In considerazione del cambiamento delle forme di occupazione, questo elemento è particolarmente importante per i lavoratori che, loro malgrado, non beneficiano spesso di formazioni sulla sicurezza o di esami clinici nel quadro della medicina del lavoro, o ancora di misure di prevenzione e di controllo.

3.6.9

Il CESE raccomanda di riservare una particolare attenzione all'influsso dei mezzi di comunicazione di massa, allo scopo di informare meglio il grande pubblico sulla necessità di rispettare le norme di salute e sicurezza sul lavoro. Vanno sfruttate maggiormente le campagne realizzate dalla Commissione europea, dall'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, dall'OIL e dai sindacati (per es. la Giornata internazionale in memoria dei lavoratori morti o feriti sui luoghi di lavoro, ecc.).

3.7   Nuovi rischi

3.7.1

Il CESE raccomanda di misurare con metodi scientifici i nuovi rischi professionali, per esempio lo stress da lavoro o la complessità delle nuove condizioni. Le ripercussioni psicosociali e fisiche che i nuovi settori di attività e le nuove condizioni di lavoro hanno per i lavoratori devono essere esaminate con metodi scientifici e a tal fine bisogna elaborare nuovi indicatori/indici. Il CESE reputa che i medici del lavoro dovrebbero tutti ricevere una formazione apposita per poter diagnosticare i disturbi mentali provocati nei lavoratori dalle condizioni di lavoro e dai problemi a esse legati.

3.7.2

Il CESE si compiace che la Commissione si attenda dai lavoratori dipendenti un comportamento più attento alla salute; tuttavia questa aspettativa è destinata a non realizzarsi se non si creeranno le condizioni necessarie a tal fine. I contratti precari o a tempo determinato, il tempo effettivamente trascorso sul luogo di lavoro e lo stress costante dovuto al timore di perdere il lavoro, la mancanza di conoscenze sui diritti dei lavoratori e la mancanza di informazioni, come pure la situazione di svantaggio dei lavoratori migranti nell'utilizzazione dei servizi sanitari sono altrettanti fattori che ostacolano la promozione di comportamenti adeguati.

3.7.3

Nel quadro della strategia 2002-2006 per il benessere sul lavoro l'UE non ha ancora assolto il compito di creare un luogo di lavoro senza stress e senza conseguenze negative per la salute mentale. Il CESE deplora questa circostanza e invita la Commissione europea ad elaborare raccomandazioni concrete.

3.8   La protezione della salute a livello internazionale

3.8.1

L'UE non è responsabile soltanto dei suoi cittadini, ma anche delle condizioni di lavoro dei cittadini che vivono fuori delle sue frontiere. Come è già stato affermato nel quadro della precedente strategia, il rispetto dei diritti fondamentali dei lavoratori dev'essere preso in considerazione anche nel quadro del commercio estero e della politica di sviluppo, anche qualora in tali settori vi sia la possibilità di un conflitto con il principio del libero mercato (12).

3.8.2

Nel quadro della politica internazionale si deve incoraggiare l'adozione dei regolamenti e delle raccomandazioni dell'OIL, come pure delle conquiste dell'UE, per esempio REACH. Bisogna inoltre sviluppare le politiche e le normative volte a ridurre i rischi e le malattie derivanti dall'amianto, dalle sostanze cancerogene e dal silicio.

3.8.3

Nel quadro dello svolgimento di incarichi per conto dello Stato o di enti pubblici, gli Stati membri devono dare l'esempio privilegiando le imprese che rispettano le disposizioni relative alla salute e alla sicurezza sul luogo di lavoro a beneficio dei lavoratori (come si afferma nella strategia 2002-2006 per la salute e la sicurezza sul luogo di lavoro).

3.8.4

Bisogna sollecitare tutti gli Stati membri affinché ratifichino le convenzioni dell'OIL.

Bruxelles, 29 maggio 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Bisognerebbe arrivare a una proporzione di almeno un ispettore ogni 10.000 lavoratori (in numerosi Stati membri tale proporzione è minore).

(2)  Parere del CESE del 26 settembre 2007 sul tema Promuovere una produttività sostenibile nei luoghi di lavoro in Europa (relatrice: KURKI), GU C 10 del 15.1.2008. http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2008:010:0072:0079:IT:PDF.

(3)  Cfr. doc. COM(2005) 33 def. e le conclusioni del Consiglio europeo di marzo 2007, http://www.consilium.europa.eu/ue-Docs/cms_Data/docs/pressData/it/ec/93153.pdf.

(4)  Come ha affermato Anne-Marie SIGMUND nel quadro del convegno organizzato congiuntamente dal CESE e dall'OIL sul tema Il modello sociale europeo, che si è svolto il 26 e 27 giugno 2006.

(5)  Cfr. il documento dell'OIL Demographic changeFacts, Scenarios and Policy Responses (Il mutamento demografico: fatti, scenari e risposte programmatiche), aprile 2008.

(6)  Nell'edilizia gli incidenti sono due volte più frequenti della media. I dati relativi al settore dei servizi evidenziano una tendenza al rialzo, che meriterebbe un'analisi più approfondita. Il numero di incidenti aumenta anche nei settori della sanità e dell'istruzione. Questa situazione è dovuta principalmente alla violenza, allo stress e alle patologie muscoloscheletriche.

(7)  Cfr. il parere del CESE del 25 ottobre 2007 in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle statistiche comunitarie della sanità pubblica e della salute e sicurezza sul luogo di lavoro (relatore: RETUREAU), GU C 44 del 16.2.2008. http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2008:044:0103:0105:it:pdf.

(8)  SEC(2007) 214.

(9)  Cfr. il parere del CESE del 17 luglio 2002 in merito alla Comunicazione della Commissione Adattarsi alle trasformazioni del lavoro e della società: una nuova strategia comunitaria per la salute e la sicurezza 2002-2006 (relatore: ETTY), GU C 241 del 7.10.2002. http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2002:241:0100:0103:it:pdf.

(10)  Cfr. il sito della Rete europea per la promozione della salute sul luogo di lavoro:

(11)  http://www.enwhp.org/index.php?id=4.

Studio (Hämäläinen P., Takala J.) commissionato dall'OIL http://osha.europa.eu/OSH_world_day/occupational_cancer/view?searchterm=occupational %20cancer

(12)  Cfr. Jukka TAKALA, PE 390.606v01-00.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

I seguenti emendamenti sono stati respinti nel corso della discussione pur avendo ottenuto più di un quarto dei voti espressi.

Punto 2.4

Modificare come segue:

Occorre continuare a sviluppare È già stato creato un quadro globale di salute e sicurezza sul luogo di lavoro, che deve essere applicato e applicarlo monitorato correttamente in tutta l'UE, .Questo riguarda in particolare in modo da integrare i gruppi vulnerabili che non sono ancora adeguatamente coperti, che hanno difficoltà nel far valere i propri diritti in materia di sicurezza sul luogo di lavoro in particolare i lavoratori precari, e coloro quelli che svolgono un lavoro con un elevato grado di rischio per la salute e quelli che rischiano il posto a causa delle strategie concorrenziali a breve termine dei loro datori di lavoro.

Motivazione

Evidente.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 41 Voti contrari: 45 Astensioni: 10

Punto 3.3

Modificare come segue:

Il Comitato apprezza l'obiettivo della strategia comunitaria di ridurre del 25 % gli incidenti. Ritiene che per realizzarlo occorra elaborare e attuare un piano di azione con obiettivi quantificabili, indicatori e meccanismi di scambio di informazioni che siano credibili e tali da consentire delle comparazioni, e sistemi di sorveglianza. Bisogna anche tenere conto sia delle cause interne degli infortuni sul lavoro, come la mancanza di tempo sufficiente o i ridotti tempi di consegna, che di quelle esterne, che spesso consistono nella negligenza, a sua volta ascrivibile allo stress subito nella vita privata. Oltre che degli infortuni sul lavoro bisogna occuparsi delle malattie professionali, che sono relativamente molto più numerose. Il primo passo verso la prevenzione deve consistere nel riconoscimento delle malattie professionali e nell'estensione di tale concetto. Quando si individua in tempo la causa di una malattia si possono prendere misure tempestive ed eliminarla. Ecco perché va definito un obiettivo quantitativo concreto anche in riferimento al numero di persone che lavorano in condizioni di rischio per la salute — perché ciò incide in misura determinante sul numero delle malattie professionali in futuro — e al numero delle malattie professionali.

Motivazione

Evidente.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 46 Voti contrari: 48 Astensioni: 12


30.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 224/95


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Distacco di lavoratori nell'ambito della prestazione di servizi — Massimizzarne i vantaggi e le potenzialità garantendo la tutela dei lavoratori

COM(2007) 304 def.

(2008/C 224/22)

La Commissione, in data 13 giugno 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Distacco di lavoratori nell'ambito della prestazione di servizi — Massimizzarne i vantaggi e le potenzialità garantendo la tutela dei lavoratori.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 maggio 2008, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice LE NOUAIL MARLIÈRE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 maggio 2008, nel corso della 445a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 116 voti favorevoli, 1 voto contrario e 4 astensioni.

Il 13 giugno 2007 la Commissione ha pubblicato la comunicazione in oggetto, nella quale valuta il recepimento e le misure adottate dagli Stati membri in merito al distacco dei lavoratori nel quadro della prestazione di servizi nell'Unione europea e propone dei miglioramenti sul piano dell'attuazione della direttiva 96/71/CE.

La direttiva 96/71/CE si prefigge di conciliare l'esercizio della libertà fondamentale dei fornitori di servizi di prestare servizi transfrontalieri conformemente al disposto dell'articolo 49 del Trattato CE con la necessità di assicurare un adeguato livello di protezione per quanto concerne le condizioni occupazionali dei lavoratori temporaneamente distaccati all'estero nell'ambito della prestazione di tali servizi.

Secondo la stessa Commissione, un lavoratore si definisce «distaccato» quando è occupato in uno Stato membro dell'UE, ma è inviato dal proprio datore di lavoro, su base temporanea, in un altro Stato membro per svolgere il suo lavoro nel quadro dell'esecuzione di una prestazione di servizi sotto contratto. Questa prestazione transnazionale di servizi, nell'ambito della quale i lavoratori sono inviati a lavorare in uno Stato membro diverso da quello in cui lavorano abitualmente, dà origine a una categoria distinta di lavoratori, quella dei «lavoratori distaccati». Tuttavia, per quanto riguarda la definizione di tale categoria, era stato lasciato agli Stati membri un certo margine di interpretazione.

Il documento in esame fa seguito a due precedenti comunicazioni (1) contenenti orientamenti conformi alla direttiva 96/71/CE, che stipulava che la Commissione, entro il 16 dicembre 2001, riesaminasse il testo della direttiva al fine di proporre al Consiglio, se del caso, le necessarie modifiche.

Il Comitato aveva formulato un parere (2) nel quale chiedeva in particolare alla Commissione di «presentare una nuova relazione che permettesse di verificare:

se esiste una reale trasparenza dei diritti,

se sono garantiti i diritti positivi dei lavoratori,

se la mobilità dei lavoratori è favorita oppure ostacolata dall'applicazione negli Stati membri delle disposizioni prese nel quadro del recepimento della direttiva, in relazione ai rischi di chiusura protezionistica del mercato del lavoro,

se sono state evitate le distorsioni alla concorrenza in materia di libera circolazione dei servizi,

se le piccole imprese ottengono un accesso corretto e sufficiente alle informazioni necessarie ad attuare la direttiva dopo la sua trasposizione.»

Il Comitato proponeva altresì «un'analisi più approfondita del ruolo delle parti sociali ed economiche, una valutazione dei meccanismi d'informazione dei lavoratori e delle imprese allo scopo di migliorarli, la promozione di reti di centri di informazione locali, regionali o transfrontalieri, un inventario delle migliori prassi di scambio di informazioni utili sia per i lavoratori che per i datori di lavoro […], lo svolgimento di uno studio giuridico che permetta di accertare se la legislazione degli Stati membri nonché le informazioni sui contratti collettivi applicabili siano sufficientemente chiare, accessibili e altresì aggiornate in funzione dell'ampliamento.»

1.   Osservazioni generali

1.1

La comunicazione in esame si basa su una terza valutazione portata a termine con anni di ritardo rispetto alla data prevista dalla stessa direttiva (il 16 dicembre 2001 al più tardi). Questa valutazione tiene conto delle trasposizioni e attuazioni in tutti gli Stati membri e fa emergere in questo modo la specificità del settore, che presenta aspetti non solo giuridici, tecnici ed economici ma soprattutto sociali ed umani, e comporta delle difficoltà di valutazione, trasposizione, attuazione e controllo. La direttiva, a carattere prettamente giuridico, prevede interpretazioni e un margine di interpretazione a più livelli, modalità di recepimento e giurisprudenza lontane dalla realtà quotidiana delle imprese, dei dipendenti distaccati e degli accertatori del lavoro. Ciò era stato sottolineato anche dalle parti sociali e dai poteri pubblici locali o nazionali in occasione delle audizioni del Parlamento europeo. In conclusione, quest'ultimo aveva elaborato diverse raccomandazioni (3), tra cui quella che invitava a tenere più conto delle parti sociali e a coinvolgerle maggiormente, senza tuttavia precisare la forma di tale coinvolgimento.

1.2

Secondo il Comitato, per far sì che talune libertà considerate in teoria allo stesso modo — quelle delle persone e quelle in materia di prestazione di servizi — lo siano anche nella pratica, occorre assicurare che la direttiva garantisca un livello elevato di protezione dei diritti dei lavoratori distaccati e una concorrenza equa e leale tra tutti i fornitori di servizi. Il Comitato non ritiene che si possa tranquillamente pensare di realizzare la libera circolazione dei servizi a svantaggio di alcuni lavoratori. Anche se taluni interpretano le sentenze della recente giurisprudenza (4) come segnali in questo senso, il Comitato rammenta che le convenzioni n. 87 e n. 98 dell'OIL riguardanti le libertà sindacali e le contrattazioni collettive stabiliscono che la formazione del diritto sociale deve tenere conto delle modalità abituali di formazione di tale diritto sociale, anche quando prevedono la contrattazione collettiva a livello delle imprese o a qualsiasi altro livello, e in settori così diversi come la fissazione dei minimi salariali in un settore o in un'impresa. Dal momento che il recepimento della direttiva 96/71/CE si inseriva nel contesto delle modalità consuete di formazione del diritto in un determinato Stato membro, la Commissione dovrebbe far applicare il diritto internazionale secondo l'interpretazione degli organi di controllo competenti e le norme del lavoro ratificate da tutti gli Stati membri conformemente al diritto originario.

1.3

Oggi la Commissione, oltre alla nuova comunicazione in esame, propone al Consiglio di adottare una raccomandazione (5) che invita a mettere in atto una migliore cooperazione amministrativa, un sistema efficace di scambio di informazioni e la condivisione e lo scambio di buone pratiche.

1.4

Tenuto conto di tutte queste nuove proposte, il Comitato giudica opportuna l'iniziativa presa dalla Commissione, in particolare per quanto riguarda le proposte di: rafforzare la cooperazione amministrativa e creare un sistema di scambio di informazioni tra gli Stati membri, che dovranno impegnarsi a scambiare informazioni sul diritto del lavoro vigente per i lavoratori distaccati sul loro territorio e sui contratti collettivi applicabili; consentire ai lavoratori e ai prestatori di servizi l'accesso a tali informazioni in lingue diverse da quella o quelle del paese in cui i servizi vengono prestati; creare degli uffici di collegamento con interlocutori specifici; associare le parti sociali al comitato di alto livello, ecc.

1.5

La Commissione, tuttavia, ha presentato il documento in cui valuta le misure di attuazione e recepimento negli Stati membri soltanto in inglese, limitando notevolmente il contributo che tale valutazione avrebbe potuto apportare agli Stati membri e alle parti sociali a tutti i livelli. Il Comitato propone alla Commissione di tenere conto dello specifico settore in questione (mobilità, libera circolazione) e di compiere lo sforzo di pubblicare il documento allegato (6) alla comunicazione in almeno tre lingue, tra cui una lingua romanza meridionale e una lingua slava, oltre all'inglese. La questione linguistica si porrà comunque e, se si vuole che le nuove disposizioni esercitino l'impatto auspicato, il Comitato raccomanda di adottare un regime linguistico adeguato per quanto riguarda sia l'informazione delle parti sociali direttamente interessate, sia il sistema di scambio di informazioni tra Stati membri. Il Comitato rimanda al proprio parere sull'attuazione della strategia della Commissione in materia di multilinguismo e al nuovo parere esplorativo (7) richiesto dalla Commissione, e non mancherà di sollevare il tema della comunicazione e dell'informazione necessarie all'applicazione delle disposizioni in materia di distacco dei lavoratori, di cui un aspetto è costituito dalla comunicazione istituzionale.

1.6

Aspetti generali del sistema di informazione e specificità del sistema dei registri sociali

1.7

La Commissione propone di abolire le misure di controllo relative al distacco dei lavoratori che ritiene superflue, continuando a garantire allo stesso tempo una tutela adeguata dei lavoratori distaccati. Nella sua comunicazione la Commissione sottolinea che così facendo non vuole mettere in discussione i modelli sociali degli Stati membri; tuttavia, facendo riferimento a una parte della giurisprudenza della CGCE, ritiene che alcune misure di controllo siano ingiustificate poiché andrebbero oltre quanto necessario per garantire la protezione sociale dei lavoratori.

1.8

Il Comitato sottolinea l'incoerenza della proposta di abolire l'obbligo di tenere dei registri sociali negli Stati membri dove si esercita la prestazione del servizio. Infatti, se è vero che un sistema di scambio di informazioni consente di conoscere la legislazione vigente e i diritti e i doveri dei prestatori e dei lavoratori, esso non consente tuttavia di garantire il monitoraggio individuale dei diritti previsti in materia di protezione sociale, immediata e a lungo termine, malattia, infortuni, pensioni e assicurazioni sociali, né di controllare i contributi sociali e fiscali obbligatori nel paese in cui si presta il servizio, dato che tali contributi dipendono dal diritto del lavoro vigente in tale paese. Il Comitato sconsiglia pertanto di effettuare tale sostituzione.

1.9

Il Comitato evidenzia che gli obiettivi della direttiva 96/71/CE non sono ancora stati pienamente realizzati, e questo a ben dieci anni dalla sua entrata in vigore. All'interno dell'UE continuano ad esistere atteggiamenti divergenti in merito al tipo e al livello di protezione sociale offerta ai lavoratori distaccati, siano essi comunitari o extracomunitari.

1.10

La Commissione, nel Libro verde — Modernizzare il diritto del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo, afferma che il lavoro nero è un fenomeno estremamente preoccupante, soprattutto nel caso di lavoratori transfrontalieri, e saldamente radicato nell'attuale mercato del lavoro. Lo giudica responsabile, tra l'altro, non solo dello sfruttamento dei lavoratori dipendenti, ma anche di distorsioni della concorrenza (8). Nel Libro verde la Commissione richiede meccanismi di controllo dell'applicazione della legislazione che siano in grado di assicurare l'efficienza del mercato del lavoro, evitare la violazione delle norme giuslavoristiche nazionali e tutelare i diritti sociali dei lavoratori dipendenti.

1.11

Il Comitato evidenzia che i partner socioeconomici del settore edilizio sono particolarmente attenti all'attuazione della direttiva 96/71/CE, in ragione sia del fenomeno del dumping sociale sia delle possibili distorsioni della concorrenza che ne derivano e che sono legate alle specifiche condizioni di lavoro della manodopera distaccata di tale settore, soprattutto per quanto riguarda il distacco transfrontaliero (9). A questo riguardo, misure di controllo calibrate sulle esigenze particolari dell'edilizia sono fondamentali per tutelare i lavoratori del settore, che siano distaccati oppure no. Tenendo presente ciò, le azioni programmate dalla Commissione non dovrebbero portare a indebolire quei meccanismi di controllo degli Stati membri che, nel corso del tempo, hanno dato esiti positivi, altrimenti la Commissione contraddirebbe in pieno la sua intenzione dichiarata di non volere modificare i modelli sociali degli Stati membri.

1.12

Il Comitato sottolinea l'opinione del PE secondo cui la Commissione, nel valutare la compatibilità di talune misure con il diritto comunitario (10), dovrebbe attenersi ad un'interpretazione più moderata della giurisprudenza della CGCE.

2.   Osservazioni specifiche

2.1

Per quanto riguarda l'obbligo di conservare determinati documenti nella lingua dello Stato ospitante, la Commissione ritiene che l'obbligo di traduzione rappresenti una limitazione non giustificata alla libera prestazione di servizi. La CGCE, invece, nella sentenza del 18 luglio 2007 (C-490/04), ha statuito che questo obbligo controverso è conforme al diritto comunitario.

2.2

In un altro caso la Commissione cita una sentenza della CGCE secondo la quale le misure che sono applicabili in modo automatico e incondizionato, sulla base di una presunzione generale di frode o abusi da parte di una persona fisica o giuridica che eserciti una libertà fondamentale garantita dal Trattato, costituiscono una restrizione ingiustificata della libera prestazione di servizi (11). Il Comitato mette in dubbio che questa statuizione della CGCE si applichi alle misure oggetto della direttiva 96/71/CE, visto che essa autorizza gli Stati membri ad adottare «misure adeguate in caso di inosservanza della presente direttiva». Tale disposizione non comporta una presunzione generale di frode. Al contrario, essa precisa che la ratio delle norme sostanziali della direttiva sarebbe vanificata se gli Stati membri non fossero autorizzati a controllare con mezzi adeguati il rispetto delle disposizioni vigenti in materia di distacco dei lavoratori.

3.   Una cooperazione rafforzata per risolvere i problemi di applicazione della direttiva 96/71/CE

3.1

Il Comitato apprezza il fatto che la Commissione riconosca chiaramente che sul piano della cooperazione amministrativa transfrontaliera ci sono tuttora notevoli lacune e resta molto da fare, ed è convinto che una buona cooperazione per quanto riguarda la condivisione delle informazioni fra gli organi competenti degli Stati membri possa contribuire al superamento dei problemi dovuti alla difficoltà pratica di attuazione della direttiva sul distacco di lavoratori, in particolare per quanto riguarda il controllo del rispetto delle norme vigenti.

3.2

Il Comitato, tuttavia, non ritiene che il miglioramento della cooperazione possa rendere superflue le misure di controllo nazionali. Ad oggi i meccanismi di cooperazione previsti nel quadro della direttiva 96/71/CE si sono rivelati inefficaci: essi, infatti, non sono riusciti a fare in modo che tutte le normative nazionali garantissero ai lavoratori dipendenti lo stesso grado di protezione sociale secondo le stesse modalità.

3.3

La problematica è di grande rilievo specialmente per il settore edilizio. In questo settore, infatti, i controlli preventivi compiuti nei cantieri per valutare l'effettività dei diritti dei lavoratori distaccati sono di vitale importanza.

3.4

Trasferire nuovamente la competenza dei controlli agli Stati membri di origine condurrebbe a ritardi poco o nient'affatto auspicabili nella salvaguardia dei diritti dei lavoratori. Questo è uno dei motivi per cui la CGCE, nella citata sentenza del 18 luglio 2007, ha autorizzato gli Stati membri a mantenere l'obbligo di conservare nei cantieri edili determinati documenti redatti nella lingua dello Stato membro ospitante. Il Comitato invita a non abolire questo obbligo e raccomanda invece di migliorare la chiarezza dei dati relativi all'assunzione e all'occupazione dei lavoratori, ed eventualmente al loro distacco, mantenendo l'obbligo di rendere accessibili questi dati, che sono necessari per i controlli degli uffici del lavoro, della formazione professionale e della protezione sociale nel paese ospitante e in quello d'origine. L'accesso reale e la chiarezza delle informazioni in merito a ogni impresa e ogni lavoratore saranno elementi sempre più necessari in un mercato interno allargato e nella prospettiva di una mobilità che si vuole ulteriormente rafforzare.

3.5

Registrando alcune informazioni supplementari relative al paese d'origine, all'impresa, ai servizi e agli organismi sociali, si dovrebbe agevolare l'accesso ai dati necessari per riepilogare i diritti pensionistici o relativi alla prevenzione dei rischi di salute (cantieri navali, industria chimica, agricoltura, ecc.) e la verifica di tali dati, il tutto facendo appello al principio della trasparenza.

3.6

Il Comitato reputa inoltre che i problemi derivanti dall'attuazione pratica della direttiva sul distacco dei lavoratori non possano essere risolti dagli Stati membri da soli, a livello bilaterale. Va pertanto presa in considerazione l'ipotesi di istituire in Europa un organismo che funga da piattaforma, punto di coordinamento, catalizzatore e centro di informazione per la cooperazione transfrontaliera tra gli organi competenti in materia di distacco dei lavoratori. Tale organismo dovrebbe anche elaborare relazioni periodiche sui problemi riscontrati e sulle misure proposte per risolverli.

4.   Raccomandazione della Commissione intesa a migliorare l'attuazione della direttiva 96/71/CE

4.1

Il Comitato approva il fatto che la Commissione, insieme agli Stati membri e in collaborazione sia con i sindacati che con i datori di lavoro, intenda istituire un comitato di alto livello il cui compito sarà sostenere l'individuazione e lo scambio di buone pratiche per mezzo di un esame approfondito e della risoluzione dei problemi di applicazione transfrontaliera delle sanzioni civili e amministrative in materia di distacco dei lavoratori. Evidenzia che finora i soggetti più direttamente impegnati nel controllo e nell'attuazione sono le parti sociali europee dei diversi settori e che pertanto dovrebbero venire esplicitamente associate ai lavori del suddetto comitato, vale a dire esservi rappresentate fin dal suo insediamento secondo modalità chiaramente definite. Le parti sociali, peraltro, hanno dato voce a questa volontà comune in una dichiarazione congiunta a livello europeo. Il Comitato approva l'iniziativa che la Commissione ha preso tenendo conto dell'esperienza acquisita, ma non si pronuncia sul livello di partecipazione auspicato dalle parti sociali europee intersettoriali.

4.2

Questo comitato di alto livello dovrebbe vegliare affinché agli Stati membri non siano imposte de facto condizioni che normalmente richiederebbero l'intervento del legislatore, sia esso nazionale o europeo. A questo riguardo, le misure necessarie per implementare la direttiva 96/71/CE non sono sufficientemente armonizzate all'interno dell'UE, un problema questo alla cui risoluzione il Comitato potrebbe contribuire.

4.3

Il Comitato approva infine il fatto che la Commissione tenga pienamente conto delle risoluzioni del Parlamento europeo in materia di distacco dei lavoratori, in particolare di quella che riconosce l'impegno delle parti sociali, e propone di valorizzare l'esperienza di queste ultime anche mettendo a loro disposizione maggiori mezzi affinché possano diffondere gli esempi di migliori pratiche.

4.4

Allo scopo di assicurare uguali diritti a tutti i lavoratori, la Commissione dovrebbe incoraggiare gli sforzi intesi all'adozione di misure volte a rafforzare i controlli e la cooperazione fra gli Stati membri.

5.   Questioni irrisolte

5.1   Lavoro autonomo fittizio

5.1.1

Il Comitato constata con preoccupazione i problemi posti dall'individuazione dei «lavoratori autonomi fittizi» e dalla loro riqualificazione giuridica nel caso in cui siano implicate persone che risiedono al di fuori o all'interno dello Stato membro nel quale vengono accertati i fatti oppure si tratti in una qualche maniera di un distacco fittizio. Invita la Commissione a esaminare le possibilità giuridiche e pratiche per porre rimedio a tale situazione. Capita infatti che dei lavoratori distaccati vengano incoraggiati a dichiararsi «autonomi» mentre sono in realtà interamente dipendenti da un unico committente, e in alcuni casi che non vengano dichiarati né distaccati né autonomi, talvolta in occupazioni pericolose per le quali la copertura sociale deve essere completa.

5.1.2

Le disposizioni nazionali dovrebbero contenere non solo definizioni chiare e applicabili, ma anche norme inequivocabili sulla responsabilità in caso di lavoro autonomo e/o distacco fittizi. Gli scopi perseguiti dovrebbero essere: garantire il pagamento corretto delle retribuzioni, delle pene pecuniarie, delle imposte e dei contributi sociali, a beneficio del lavoratore e della collettività; mettere l'autorità competente in grado di verificare il rispetto della normativa; ridurre i profitti ricavati dall'impiego di pratiche fraudolente e aumentare le sanzioni economiche per chi infrange la legge nei casi di accordi collusivi tra imprese e «lavoratori autonomi fittizi» al fine di sottrarsi agli obblighi della sicurezza sociale.

5.2   Subappalti e responsabilità

5.2.1

A livello degli Stati membri alcuni partner nazionali o settoriali hanno fatto loro il principio secondo cui il contraente generale o principale si assume la responsabilità congiunta e solidale per i subappaltatori. Tale principio è stato recepito nella normativa nazionale e merita di essere menzionato come buona pratica. La relazione del Parlamento europeo (12) evidenzia alcuni vantaggi per i lavoratori distaccati sotto un regime di responsabilità congiunta e solidale. Nella sua comunicazione la Commissione osserva che la questione della responsabilità congiunta delle imprese principali quale mezzo efficace e proporzionato per aumentare la sorveglianza e il controllo del rispetto della legislazione comunitaria merita ulteriore esame e riflessione. Da parte sua, il Parlamento europeo si è pronunciato a favore di tali disposizioni.

5.2.2

Varie esperienze pratiche hanno ampiamente dimostrato che la direttiva sul distacco dei lavoratori viene talvolta aggirata tramite lunghe catene di subappalti, combinate con l'impiego di prestatori di servizi transfrontalieri.

5.2.3

Nella comunicazione si fa presente che la Commissione intende impegnarsi insieme agli Stati membri e alle parti sociali in un esame approfondito dei problemi di applicazione delle norme a livello transfrontaliero (sanzioni, pene pecuniarie, responsabilità congiunta e solidale). In questo modo la Commissione dà seguito alle ripetute richieste del Parlamento europeo di avviare un'iniziativa legislativa in materia di responsabilità congiunta e solidale al fine di ridurre al minimo, ai sensi della direttiva sul distacco dei lavoratori, le possibilità di aggirare le norme legali o contrattuali. Il Comitato chiede di venire informato in merito ai risultati di questo processo.

6.   Conclusioni

6.1

Il Comitato sostiene le iniziative proposte dalla Commissione al Consiglio, pur esprimendo delle riserve quanto al loro approccio unilaterale, incentrato soprattutto sull'eliminazione delle presunte restrizioni od ostacoli per le imprese che distaccano i lavoratori a livello transfrontaliero. Tuttavia, considerate le note lacune esistenti sul piano del controllo delle condizioni di lavoro, della cooperazione amministrativa transfrontaliera e dell'applicazione di sanzioni pecuniarie, secondo il Comitato la possibilità di far valere i diritti dei lavoratori tutelati dalla direttiva sul distacco deve avere la stessa importanza. In particolare, il Comitato esprime delle riserve quanto all'abolizione dell'obbligo di tenere dei registri sociali negli Stati membri dove viene esercitata la prestazione di servizi. Esorta il Consiglio ad adottare la raccomandazione proposta relativa al rafforzamento della cooperazione amministrativa tra gli Stati membri, al miglioramento dell'accesso all'informazione da parte dei prestatori di servizi e dei lavoratori distaccati nell'ambito di un regime linguistico diversificato, e allo scambio di informazioni e di buone pratiche tra Stati membri all'interno di un comitato tripartito di alto livello comprendente rappresentanti degli Stati membri nonché partner socioeconomici di livello nazionale ed europeo, con l'obiettivo di rafforzare la direttiva 96/71/CE e la protezione dei lavoratori distaccati nel quadro della libera prestazione di servizi.

Bruxelles, 29 maggio 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  COM(2003) 458 def. L'applicazione della direttiva 96/71/CE negli Stati membri del 25 luglio 2003 e COM(2006) 159 def. del 4 aprile 2006Orientamenti relativi al distacco di lavoratori nell'ambito della prestazione di servizi.

(2)  Parere CESE del 31 marzo 2004 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniL'applicazione della direttiva 96/71/CE negli Stati membri, relatrice: LE NOUAIL MARLIÈRE (GU C 112 del 30.4.2004).

(3)  Cfr. anche la più recente B6-0266/2007 dell'11 luglio 2007.

(4)  Causa C-341/05 Laval vs. Svenska.

(5)  Raccomandazione della Commissione del (…), relativa al miglioramento della cooperazione amministrativa riguardo al distacco dei lavoratori effettuato nel quadro della prestazione di servizi (IP/08/514).

(6)  SEC(2008) 747.

(7)  Parere esplorativo del CESE sul multilinguismo, relatrice: LE NOUAIL MARLIÈRE, in corso di elaborazione.

(8)  Cfr. Libro verde, COM(2006) 708 def., punto 4, lettera b), pag. 11 e segg.; parere del CESE del 30 maggio 2007 in merito al Libro verde — Modernizzare il diritto del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo, relatore: RETUREAU (GU C 175 del 27.7.2007).

(9)  Occorre menzionare in particolare lo studio The free movement of workers in the EU («La libera circolazione dei lavoratori nell'UE»), European Institute for Construction Labour Research, curatori: J. Cremers e P. Donders, autore W. Buelen (FETBB).

Anche altri settori sono colpiti dal dumping sociale, ma le condizioni di distacco dei lavoratori di tali settori non sono disciplinate dalla direttiva in esame (cfr. pareri del CESE 1698/2007 I lavoratori agricoli transfrontalieri, relatore: SIECKER e 1699/2007 La situazione occupazionale nel settore agricolo, relatore: WILMS).

(10)  Cfr. la risoluzione del Parlamento europeo B6-0266/2007 dell'11 luglio 2007.

(11)  Cfr. il punto 3.2 della comunicazione in esame.

(12)  Cfr. le relazioni del Parlamento europeo Responsabilità sociale delle imprese: un nuovo partenariato (2006/2133(INI)), Applicazione della direttiva 96/71/CE relativa al distacco dei lavoratori (2006/2038(INI)) e Modernizzare il diritto del lavoro per rispondere alle sfide del XXI secolo. In quest'ultimo testo il Parlamento europeo invita la Commissione a «disciplinare la responsabilità congiunta e solidale dei contraenti generali o principali per far fronte ad abusi a livello di subappalto o esternalizzazione di lavoratori e creare un mercato trasparente e competitivo per tutte le imprese, basato su condizioni uniformi per quanto riguarda il rispetto delle norme giuslavoristiche e delle condizioni di lavoro; chiede in particolare alla Commissione e agli Stati membri di stabilire chiaramente a chi debba incombere la responsabilità, all'interno di una catena di subcontraenti, di rispettare le norme di diritto del lavoro e di versare le retribuzioni, i contributi sociali e le imposte». Un caso concreto da citare come esempio è il cantiere per la sede del Consiglio dei ministri a Bruxelles (Justus Lipsius) negli anni Novanta. L'organo di coordinamento del cantiere in certi momenti comprendeva da 30 a 50 imprese subappaltatrici e non tutte le imprese ne facevano parte. Un altro esempio è costituito dai lavori di ristrutturazione dell'edificio Berlaymont, la sede principale della Commissione europea, dove un'impresa tedesca specializzata nella rimozione dell'amianto ha impiegato in subappalto 110 lavoratori portoghesi che non avevano una formazione specifica ed erano esposti a condizioni di lavoro spaventose. Per altri casi si rimanda a The free movement of workers in the EU («La libera circolazione dei lavoratori nell'UE»), curatori: J. Cremers e P. Donders, autore W. Buelen (FETBB), CLR Studies 4 (2002), pagg. 48-51.


30.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 224/100


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Modalità pratiche e calendario per meglio promuovere la mobilità dei giovani in Europa

(2008/C 224/23)

Con lettera del 25 ottobre 2007, il sottosegretario di Stato francese agli affari europei JOUYET ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di elaborare un parere sulle:

Modalità pratiche e calendario per meglio promuovere la mobilità dei giovani in Europa.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 maggio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 maggio 2008, nel corso della 445a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 117 voti favorevoli, 4 voti contrari e 1 astensione.

1.   Conclusioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo si compiace per l'interesse e il sostegno mostrati dalla futura presidenza francese dell'UE nei confronti della mobilità dei giovani europei. In effetti, già nel dicembre 2000, il Consiglio europeo di Nizza aveva adottato una risoluzione contenente quarantadue misure destinate a promuovere ed incrementare la mobilità dei giovani. A distanza di anni e nel quadro di una nuova presidenza francese, il CESE ha ancora una volta l'occasione di constatare l'interesse dimostrato per la soluzione ai problemi concernenti la mobilità dei nostri concittadini più giovani.

1.2

Per quanto concerne la mobilità transnazionale dei giovani, il Comitato ritiene che il problema principale cui deve far fronte l'UE sia l'evidente mancanza di una soluzione ai problemi già più volte descritti e la difficoltà di applicare le misure adottate per risolvere i problemi di mobilità. L'elenco dei problemi rilevati è lungo, come lunga è la lista di misure necessarie per risolverli. Il CESE ritiene pertanto superfluo stabilire ancora una volta quali siano gli ostacoli alla mobilità e quali le azioni necessarie per promuoverla. Giudica invece opportuno affrontare la questione fondamentale, vale a dire chiedersi cosa sia stato fatto, definire quello che resta da fare e infine valutare i risultati.

1.3

Il CESE considera dunque inutile la creazione di ulteriori gruppi di esperti o di alto livello che probabilmente si occuperebbero di temi già affrontati in passato. Ritiene invece indispensabile l'istituzione di un gruppo di coordinamento formato dalle diverse DG della Commissione europea competenti in materia di mobilità, incaricato di effettuare un'analisi della situazione attuale e affrontare in modo sistematico i seguenti aspetti:

determinare gli ostacoli già individuati e descritti in precedenti occasioni,

prendere atto delle misure effettive già adottate a livello UE per sormontare tali ostacoli (regolamenti, direttive, decisioni, risoluzioni, raccomandazioni, ecc.),

individuare i problemi su descritti e non ancora risolti mediante l'adozione di un atto legislativo,

individuare i problemi già descritti, per la cui soluzione però non sia stata ancora prevista alcuna iniziativa,

individuare le misure proposte, ma non prese in considerazione o non applicate dagli Stati membri.

1.4

Allo stesso modo, sarebbe opportuno definire sistematicamente la situazione in cui si trovano i giovani, classificandoli in gruppi obiettivo, in funzione delle diverse situazioni e problematiche riscontrate. Sarebbe così possibile sapere con precisione quali sono gli elementi che incidono sulla vita dei diversi gruppi di giovani e procedere, in modo selettivo, all'adozione di misure d'impatto specifiche. Questo contribuirebbe a incrementare l'efficacia e l'efficienza, evitando l'adozione di decisioni generiche.

1.5

Questa analisi dovrebbe riguardare tra l'altro le seguenti categorie di persone:

gli studenti universitari,

i giovani che hanno concluso gli studi universitari o un periodo di formazione professionale e che entrano per la prima volta nel mondo del lavoro,

gli studenti che alternano periodi di studio e di formazione,

gli artisti,

i giovani impegnati nel volontariato,

i giovani imprenditori,

i giovani senza mezzi economici,

le coppie giovani che devono conciliare la vita familiare col lavoro o con la formazione,

i giovani socialmente esclusi,

i giovani in cerca di lavoro e nei primi anni di occupazione.

1.6

Il CESE ritiene inutile continuare a individuare ostacoli e soluzioni; è invece opportuno mettere a disposizione, in tempi ragionevolmente brevi, risorse adeguate affinché tutti gli aspetti menzionati e descritti a proposito della mobilità si concretizzino in soluzioni ai problemi di mobilità dei giovani europei.

1.7

Il contributo di tutte le parti interessate alla realizzazione della mobilità dei giovani e un'azione maggiormente proattiva delle diverse politiche europee in materia possono essere gli elementi fondamentali per un radicale cambiamento della situazione attuale.

2.   Introduzione

2.1   Motivazione del parere esplorativo

2.1.1

Il presente documento risponde alla richiesta presentata al Comitato economico e sociale europeo dal sottosegretario agli Esteri francese incaricato degli affari europei il quale, il 25 ottobre 2007, ha chiesto al Comitato di elaborare un parere esplorativo sul tema Modalità pratiche e calendario per meglio promuovere la mobilità dei giovani in Europa , in occasione della presidenza francese del Consiglio dell'Unione europea, prevista per il secondo semestre 2008.

2.1.2

Contemporaneamente, il commissario europeo all'istruzione e alla formazione ha promosso la creazione di un gruppo di esperti ad alto livello per incrementare la mobilità dei cittadini europei. Tale gruppo ha tenuto la sua prima sessione il 24 gennaio scorso, allo scopo di individuare le misure da introdurre per intensificare gli scambi tra giovani, migliorare il sostegno alla mobilità nell'ambito della formazione professionale e dell'istruzione per adulti e accrescere la mobilità di giovani artisti, giovani imprenditori e volontari. Il gruppo prevede di concludere i suoi lavori a metà anno con la presentazione di una relazione strategica.

2.2   La mobilità nell'Unione europea: più che un semplice diritto alla libera circolazione

2.2.1

La mobilità è un diritto sancito all'articolo 18 del Trattato che istituisce la Comunità europea. Tale diritto si esercita in particolare nei settori dell'istruzione e della formazione, conformemente al disposto degli articoli 149, paragrafo 4 e 150, paragrafo 4 dello stesso Trattato. L'Unione europea in generale e gli Stati membri in particolare hanno pertanto il dovere di adottare le misure necessarie per garantire il diritto alla mobilità, sia essa per motivi di lavoro, di formazione, di volontariato o, più semplicemente, di svago.

2.2.2

La libera circolazione dei lavoratori, una delle quattro libertà fondamentali della Comunità economica europea accanto alla libera circolazione di merci, capitali e servizi, è stata all'inizio il principio su cui poggiava la mobilità dei cittadini degli Stati membri. Per garantire la libera circolazione dei lavoratori, sono stati adottati importanti strumenti legislativi comunitari, soprattutto nel settore della previdenza sociale, strumenti che hanno avuto un impatto anche sulla vita dei familiari dei lavoratori, quando si spostavano all'interno dell'Unione. In seguito, con l'applicazione dei programmi comunitari nei settori dell'istruzione, della formazione e della ricerca, è emersa una serie di altri ostacoli alla mobilità transnazionale.

2.2.3

Nel corso degli anni, numerosi documenti di vario genere hanno illustrato i diversi ostacoli esistenti in materia di mobilità. L'UE ha proposto, descritto e, in alcuni casi, applicato soluzioni efficaci che hanno consentito di abbattere le barriere che impedivano ai cittadini dell'Unione di circolare e di risiedere fuori del loro paese d'origine.

2.2.4

Ciononostante, col tempo è stato possibile verificare che il fatto di individuare ostacoli e di presentare proposte non sempre favorisce la caduta delle barriere e la scomparsa definitiva dei problemi alla libera circolazione e alla mobilità. Nei loro diversi documenti, le istituzioni europee segnalano ripetutamente le stesse difficoltà e, addirittura, ripropongono le misure correttive già avanzate a suo tempo, ma spesso non applicate.

2.2.5

Il CESE si rende conto che determinati problemi nell'ambito della mobilità transnazionale possono essere difficili da risolvere, però ha constatato, in diverse occasioni, che la volontà di trovare una soluzione a tali problemi non corrisponde all'importanza che i cittadini attribuiscono alla soppressione degli ostacoli amministrativi o giuridici che si frappongono alla mobilità.

2.2.6

Sul piano giuridico, la possibilità che le misure adottate risolvano i problemi della mobilità dipende direttamente dal tipo di strumento legislativo utilizzato. In questo senso, quanto più si fa ricorso alla raccomandazione o alla risoluzione, tanto minori saranno le possibilità che le misure proposte vengano attuate in tutti gli Stati membri. Se a volte la Commissione deve adire la Corte di giustizia per far sì che il contenuto di una direttiva venga recepito nell'ordinamento giuridico di uno Stato, si capisce come le semplici raccomandazioni vengano a maggior ragione disattese, rendendo in tal modo inefficaci le misure raccomandate.

2.2.7

Col passar del tempo, gli ostacoli giuridici hanno ceduto il passo ad altri ostacoli pratici legati alla conoscenza delle lingue, alla disponibilità delle risorse economiche necessarie ai fini della mobilità, all'informazione e all'interesse dei giovani. Resta tuttavia il fatto che determinati aspetti, pratici e giuridici al tempo stesso, ad esempio il riconoscimento delle qualifiche, sono rimasti irrisolti a livello comunitario.

2.2.8

Il CESE, su richiesta delle istituzioni europee o di sua iniziativa, si è più volte espresso su questo importante aspetto che incide direttamente sulla vita dei cittadini comunitari. Nei suoi pareri, il Comitato ha individuato o confermato l'esistenza di ostacoli di diverso tipo e ha sostenuto o proposto diverse soluzioni. Per tale motivo, come organo di rappresentanza della società civile organizzata, il Comitato continuerà a lavorare con impegno per risolvere i problemi che i cittadini dell'Unione incontrano nell'applicare il diritto alla mobilità nell'Unione europea.

3.   Ostacoli alla mobilità nell'Unione europea: analisi della situazione

3.1

Il Libro verde Istruzione, formazione, ricerca: gli ostacoli alla mobilità transnazionale  (1) presentava una sintesi di antecedenti, ostacoli e possibili soluzioni in materia di mobilità di coloro che si spostano all'interno dell'Unione per motivi di istruzione. Nel parere su questo documento (2), in cui proponeva soluzioni complementari a quelle già presentate nello stesso Libro verde, il Comitato afferma quanto segue: «Per gli aspetti più materiali contenuti nel Trattato si è avuta un'evoluzione più decisa che non per gli aspetti umani; è stato infatti favorito uno sviluppo della normativa che consente ai beni di circolare più liberamente delle persone all'interno delle frontiere comunitarie. Il Comitato ritiene che sia necessario progredire verso un impegno politico che permetta di definire più a fondo la configurazione di un'autentica Europa dei cittadini».

3.2

Alcuni degli ostacoli allora descritti sono stati rimossi, altri sono in via di eliminazione, altri invece si mantengono altrettanto (se non più) forti. Tra questi ultimi figurano gli ostacoli relativi al diritto di residenza, al riconoscimento delle qualifiche, alla territorialità delle borse di studio, al regime fiscale di ciascuno Stato membro, al sistema di previdenza sociale, ecc. Inoltre, a tali problemi di natura giuridica si aggiungono ostacoli legati alle difficoltà linguistiche e culturali, alla mancanza di informazioni disponibili sulle varie destinazioni, in particolare sulla vita quotidiana della destinazione prescelta, ecc. Si tratta di problemi ancora presenti in molti casi.

3.3

Il 14 dicembre 2000 il Consiglio di Nizza ha adottato una risoluzione relativa al Piano d'azione per la mobilità (3). La risoluzione fa seguito alle conclusioni del Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000, il quale ha riconosciuto l'urgenza di eliminare gli ostacoli alla mobilità che incontrano i cittadini comunitari al fine di creare un vero e proprio spazio europeo della conoscenza. La risoluzione contiene quarantadue misure il cui obiettivo è trovare una soluzione a tali ostacoli.

3.3.1

Gli obiettivi intorno ai quali si raggruppano le quarantadue misure sono i seguenti:

adottare una strategia europea a favore della mobilità,

formare operatori esperti nel campo della mobilità,

sviluppare il multilinguismo,

facilitare l'accesso all'informazione relativa alla mobilità,

elaborare una cartografia della mobilità,

analizzare le forme di finanziamento della mobilità,

democratizzare la mobilità rendendola accessibile dal punto di vista finanziario e sociale,

creare nuove forme di mobilità,

migliorare l'accoglienza delle persone,

migliorare l'organizzazione dei calendari,

conferire uno statuto particolare alle persone in situazione di mobilità,

sviluppare il sistema di riconoscimento e di equipollenza dei titoli di formazione,

riconoscere l'esperienza acquisita,

valorizzare i periodi di mobilità.

3.3.2

Ecco alcune delle misure giudicate prioritarie:

sviluppare il multilinguismo,

istituire un portale che dia accesso alle diverse fonti di informazione europee sulla mobilità,

riconoscere i periodi di mobilità, soprattutto nei cicli che consentono di conseguire un diploma,

formare operatori della mobilità in grado di consigliare, orientare ed elaborare progetti di mobilità,

definire e adottare una carta di qualità,

redigere un inventario dei percorsi di mobilità e delle buone prassi esistenti in materia di scambi,

articolare i finanziamenti della mobilità assicurati dai diversi soggetti.

3.4

La prima raccomandazione adottata dal Parlamento europeo e dal Consiglio con l'obiettivo di facilitare l'azione comunitaria a favore della mobilità è stata la raccomandazione 2001/6013/CE concernente la mobilità nella Comunità degli studenti, delle persone in fase di formazione, dei giovani che svolgono attività di volontariato, degli insegnanti e dei formatori (4). Su questa raccomandazione, il CESE ha elaborato un parere (5) nel quale ha osservato quanto segue: «Poter praticare la mobilità su ampia scala e senza ostacoli di sorta è una delle premesse per realizzare l'integrazione europea nel senso di un'Europa dei cittadini e per rafforzare la capacità concorrenziale a livello internazionale».

3.4.1

Nella raccomandazione, gli Stati membri sono invitati a:

rimuovere gli ostacoli giuridici ed amministrativi alla mobilità,

ridurre gli ostacoli linguistici promuovendo l'apprendimento di almeno due lingue,

favorire le varie forme di sostegno finanziario, facilitando la trasferibilità delle borse di studio,

promuovere l'accesso a qualsiasi informazione utile.

3.4.2

La raccomandazione propone inoltre una serie di misure specifiche per gli studenti, le persone in fase di formazione, i giovani volontari, gli insegnanti e i formatori.

3.5

Nel suo parere d'iniziativa in merito al Libro bianco sulla politica della gioventù  (6), riferendosi alla mobilità, il CESE affermava quanto segue: «Al momento questo rimane tuttavia un diritto teorico per la maggior parte dei giovani per la carenza di opportunità e risorse, per il mancato riconoscimento del valore della mobilità in quanto tale e delle competenze acquisite attraverso di essa, per l'iniqua distribuzione delle opportunità, le resistenze socioculturali all'idea della mobilità a causa di ostacoli di natura giuridica e amministrativa. Si dovrebbe pertanto prestare particolare attenzione alle barriere di tipo amministrativo che esistono negli Stati membri nel campo della previdenza sociale, dell'imposizione fiscale, dei diritti di residenza e del riconoscimento delle competenze acquisite sia attraverso il sistema scolastico ufficiale che attraverso i sistemi non formali ed informali».

3.6

Nonostante i tanti sforzi compiuti dalle istituzioni europee per risolvere i problemi già individuati nel Libro verde, ad esempio quelli che ostacolano la mobilità dei giovani in generale, degli insegnanti, dei formatori e dei ricercatori, e nonostante le buone intenzioni del Piano d'azione sulla mobilità, il CESE prende atto del fatto che alcuni di tali problemi rimangono tuttora irrisolti.

3.7

È però possibile citare esempi di soluzioni giuridiche ai problemi esistenti, tra le quali figurano:

3.7.1

Strumenti legislativi adottati:

la direttiva 2004/38/CE relativa al diritto dei cittadini dell'Unione e dei loro familiari di circolare e di soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri (7),

il regolamento (CE) n. 883/2004 che sostituisce il regolamento 1408/71 relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale (8),

la decisione n. 2241/2004/CE relativa ad un quadro comunitario unico per la trasparenza delle qualifiche e delle competenze (Europass) (9),

la direttiva 2005/36/CE relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali (10),

la raccomandazione 2006/961/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla mobilità transnazionale nella Comunità a fini di istruzione e formazione professionale: carta europea di qualità per la mobilità (11),

la raccomandazione 3662/07 del Parlamento europeo e del Consiglio sulla costituzione del quadro europeo delle qualifiche per l'apprendimento permanente (12).

3.7.2

Misure sulle quali i lavori sono attualmente in corso:

sistema europeo di crediti per l'istruzione e la formazione professionale,

riconoscimento delle competenze acquisite attraverso l'attività di volontariato (13),

un nuovo quadro strategico per il multilinguismo (14).

3.8

Il CESE si è espresso su questi temi in vari pareri e ha illustrato il suo punto di vista su diversi aspetti che incidono direttamente sulla mobilità dei cittadini comunitari, in particolare i giovani. Ci troviamo di fronte a un processo decisionale tendente a risolvere i problemi legati alla mobilità dei giovani europei, che tuttavia non affronta concretamente alcuni aspetti molto importanti ai fini dell'obiettivo perseguito, vale a dire promuovere e facilitare la mobilità.

3.9

Non bisogna infine dimenticare che esistono alcuni strumenti a disposizione dei cittadini, il cui uso e funzionamento potrebbero essere promossi e migliorati. Si può citare ad esempio EURES, il portale europeo della mobilità professionale. Le sue basi di dati dovrebbero essere maggiormente accessibili ed essere aggiornate regolarmente. Le informazioni che esso fornisce e che a volte possono risultare troppo scarne, dovrebbero essere oggetto di monitoraggio. Questo strumento dovrebbe soprattutto trasformarsi in un portale e in una rete conosciuti dai cittadini.

3.10

In tale contesto, forse, le istituzioni dell'Unione dovrebbero domandarsi che cosa sanno i nostri giovani circa le diverse iniziative esistenti per favorire la moro mobilità. Chi di loro sa cos'è Europass o Youthpass o la Carta europea di qualità? Gli Stati diffondono adeguatamente tali informazioni? A parte Erasmus, quale altro programma di mobilità conoscono i giovani? Promuovere la conoscenza dei vari strumenti di cui disponiamo è, secondo il CESE, un altro modo per sopprimere gli ostacoli alla mobilità.

4.   La mobilità transnazionale dei giovani europei: la posizione del Comitato economico e sociale europeo

4.1

Il CESE ritiene che gli ostacoli principali alla mobilità dei giovani europei siano proprio la mancata soluzione dei problemi ripetutamente segnalati e l'incapacità di articolare le misure tante volte proposte.

4.2

A suo parere, è più importante orientare gli sforzi verso una effettiva articolazione delle misure già proposte, piuttosto che convocare nuovamente gruppi di esperti, che metterebbero ancora una volta in evidenza i problemi già descritti e non ancora risolti.

4.3

Con questo, il Comitato non intende negare la necessità di mettere nuovamente in luce le reali difficoltà che i nostri giovani incontrano quando prendono parte ad azioni di mobilità e scambio legate a programmi quali l'Apprendimento permanente (15), Erasmus Mundus (16), Gioventù in azione (17) e Cultura (18). È però opportuno sottolineare il fatto che il CESE giudica prioritario un bilancio preliminare. Bisogna fermarsi a riflettere attentamente sulla situazione in cui ci troviamo in riferimento a una questione di capitale importanza, che incide direttamente sulla vita dei giovani europei.

4.4

Il CESE giudica necessario costituire un gruppo di coordinamento delle diverse DG della Commissione responsabili in materia, con il compito specifico di effettuare un'analisi completa della situazione al fine di:

determinare gli ostacoli già individuati e descritti in precedenti occasioni,

prendere atto delle misure già adottate dall'Unione europea per sormontare tali ostacoli (regolamenti, direttive, decisioni, risoluzioni, raccomandazioni, ecc.),

individuare i problemi su descritti e non ancora risolti mediante l'adozione di un atto legislativo,

individuare i problemi già descritti, per la cui soluzione però non sia stata ancora prevista alcuna iniziativa,

individuare le misure proposte, ma non prese in considerazione o non applicate dagli Stati membri.

4.5

Una volta portata a termine questa analisi, bisognerebbe definire sistematicamente la situazione in cui si trovano i giovani, classificandoli in gruppi obiettivo, in funzione delle diverse situazioni e problematiche. È quanto già espresso al punto 1.5 delle conclusioni del presente parere.

4.6

Grazie a questa analisi, e tenendo conto del fatto che le condizioni dei diversi gruppi citati sono totalmente differenti, sarà possibile orientare l'azione delle istituzioni europee e degli Stati membri verso l'adozione di misure più specifiche e meno generiche. Questo consentirebbe di incrementare l'efficacia di tali misure e di avere maggiore successo nella soluzione dei problemi concernenti la mobilità.

4.7

Il CESE, in quanto rappresentante della società civile organizzata e in qualità di organo consultivo che vanta una grande esperienza in materia di analisi e di soluzione dei problemi legati alla mobilità in generale e al miglioramento della situazione dei giovani sul mercato del lavoro in particolare (19), offre alla Commissione europea la propria collaborazione per il raggiungimento degli obiettivi sopraccitati. La mobilità dei giovani lavoratori dovrebbe essere oggetto di misure specifiche per potenziare disposizioni in materia di trasferibilità dei diritti che sono applicabili a tutti i cittadini. L'esperienza del CESE e la sua vicinanza alla società lo rendono un interlocutore chiave in materia.

4.8

Ciononostante, il Comitato è cosciente del fatto che si stanno adottando misure per risolvere situazioni concrete che alcuni anni or sono rappresentavano veri e propri ostacoli giuridici e amministrativi alla mobilità, e si rende anche conto che tali ostacoli sono sempre meno numerosi. Tiene tuttavia a sottolineare che altri ostacoli importanti continuano a frapporsi alla mobilità, primo fra tutti il riconoscimento e la validazione delle conoscenze e delle capacità. Il quadro europeo delle qualifiche può essere una soluzione in materia ma le difficoltà che comporta la sua applicazione sono già state messe in luce nel parere formulato a suo tempo dal CESE (20).

4.9

Oltre a quanto già citato, il CESE, nel puro spirito di critica costruttiva che ha sempre animato i suoi pareri, continuerà a prestare il proprio sostegno a qualsiasi azione volta ad eliminare gli ostacoli all'esercizio del diritto alla mobilità e alla libera circolazione. A volte, tuttavia, tali ostacoli sono dovuti a situazioni che esulano dall'ambito giuridico o amministrativo. Si può citare come esempio la penuria di mezzi a disposizione dei giovani desiderosi di partecipare ad azioni di mobilità, cosa che impedisce ad alcuni di essi di viaggiare nell'ambito dei programmi citati ai punti precedenti. Altre difficoltà sono causate dall'apprendimento delle lingue, le quali impongono una barriera invalicabile all'accesso ad altri paesi, o dall'incertezza di quello che potrebbe succedere nel paese di accoglienza, del quale si possono ignorare persino gli aspetti fondamentali. Si tratta concretamente di situazioni che non richiedono rilevanti accordi giuridici, ma esigono sì tutta la nostra capacità di risolvere i problemi. Documenti quali il piano d'azione per la mobilità includono di fatto proposte per sviluppare il multilinguismo, creare partenariati finanziari, democratizzare la mobilità rendendola accessibile sul piano finanziario, migliorare l'accoglienza delle persone, dare a esse uno statuto, ecc.

4.10

Il CESE desidera pertanto sottolineare e diffondere il messaggio seguente: più che continuare ad identificare ostacoli e soluzioni, è necessario mettere a disposizione, in tempi ragionevolmente brevi, le risorse adeguate affinché tutti gli aspetti evocati e descritti a proposito della mobilità diventino misure concrete. Il contributo di tutte le parti interessate alla realizzazione della mobilità dei giovani e un'applicazione più proattiva delle diverse politiche europee in materia possono essere gli elementi fondamentali di un cambiamento radicale della situazione.

Bruxelles, 29 maggio 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  COM(96) 462 def.

(2)  Cfr. parere CESE del 26.2.1997 in merito al Libro verde IstruzioneFormazioneRicerca: gli ostacoli alla mobilità transnazionale, relatore: RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO (GU C 133 del 28.4.1997), punto 3.1.2.

(3)  GU C 371 del 23.12.2000.

(4)  GU L 215 del 9.8.2001.

(5)  Cfr. parere CESE del 27.4.2000 in merito alla Proposta di raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla mobilità nella Comunità degli studenti, delle persone in fase di formazione, dei giovani che svolgono attività di volontariato, degli insegnanti e dei formatori, relatrice: HORNUNG-DRAUS (GU C 168 del 16.6.2000), punto 1.3.

(6)  Cfr. parere CESE del 29.11.2000 in merito al Libro bianco sulla politica della gioventù, relatrice: HASSETT (GU C 116 del 20.4.2001).

(7)  GU L 158 del 30.4.2004.

(8)  GU L 166 del 30.4.2004.

(9)  GU L 390 del 31.12.2004.

(10)  GU L 255 del 30.9.2005.

(11)  GU L 394 del 30.12.2006.

(12)  PE-CONS 3662/07.

(13)  Cfr. parere CESE del 13.12.2006 sul tema Le attività di volontariato, il loro ruolo nella società europea e il loro impatto, relatrice: KOLLER, correlatrice: ZU EULENBURG (GU C 325 del 30.12.2006).

(14)  Cfr. parere CESE del 26.10.2006 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni -Un nuovo quadro strategico per il multilinguismo, relatrice: LE NOUAIL-MARLIÈRE (GU C 324 del 30.12.2006).

(15)  GU L 327 del 24.11.2006.

(16)  GU L 345 del 31.12.2003.

(17)  GU L 327 del 24.11.2006.

(18)  GU L 372 del 27.12.2006.

(19)  Cfr. parere CESE del 12.3.2008 sul tema Il ruolo delle parti sociali nel migliorare la situazione dei giovani sul mercato del lavoro, relatore: SOARES, correlatrice: PÄÄRENDSON, CESE 500/2008.

(20)  Cfr. parere CESE del 30.5.2007 in merito in merito alla Proposta di raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio sulla costituzione del Quadro europeo delle qualifiche e dei titoli per l'apprendimento permanente, relatore: RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO (GU C 175 del 27.7.2007).


30.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 224/106


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante l'Anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale (2010)

COM(2007) 797 def. — 2007/0278 (COD)

(2008/C 224/24)

Il Consiglio, in data 30 gennaio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante l'Anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale (2010).

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 maggio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore PATER e dalla correlatrice KOLLER.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 maggio 2008, nel corso della 445a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 116 voti favorevoli, 1 voto contrario e 5 astensioni.

1.   Sintesi della posizione del CESE

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo accoglie con favore la proposta della Commissione di designare il 2010 come «Anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale». Si tratta infatti di un'iniziativa preziosa per sensibilizzare i cittadini riguardo alle persistenti sacche di povertà ed emarginazione in Europa, nonché per costruire un consenso sui modi di contrastare tali problemi.

1.2

Il CESE accoglie con favore l'approccio multiforme adottato nei confronti della povertà e dell'esclusione sociale, problemi che non possono ridursi alla mera persistenza di ineguaglianze relative di reddito. Per trasmettere con più efficacia il messaggio che la povertà e l'emarginazione sociale sono intollerabili in un continente ricco come l'Europa, nonché per conquistare il sostegno dei cittadini necessario per risolvere davvero questi problemi, le azioni da realizzare nel quadro dell'Anno europeo 2010 dovrebbero basarsi, oltre che sul concetto di povertà relativa, su nozioni di povertà che descrivano l'effettiva entità delle privazioni, le aree geografiche interessate e la profondità del problema, pur tenendo conto delle disparità presenti in tutta l'UE.

1.3

L'Anno europeo 2010 dovrebbe essere incentrato su tematiche ben definite, selezionate con cura e trasversali. In primo luogo, se si vogliono ridurre la povertà e l'esclusione sociale grazie all'attivazione professionale e sociale, è necessario aumentare e migliorare i sistemi e i programmi di sostegno sociale. In tal senso, la politica sociale è un autentico fattore produttivo. In secondo luogo, ridurre la povertà e l'esclusione sociale è interesse di ogni cittadino, per cui ciascuno dovrebbe contribuire a raggiungere questo obiettivo. Ciò non deve tuttavia far dimenticare che il compito di condurre la lotta contro la povertà e l'emarginazione incombe in primo luogo alla politica, e quindi alle istituzioni statali e infrastatali, come pure a tutti gli attori sociali.

1.4

L'Anno europeo 2010 dovrebbe costituire un'opportunità per sensibilizzare l'opinione pubblica riguardo alla necessità di ammodernare e rafforzare il modello sociale europeo e alle relative conseguenze. L'inclusione attiva è cruciale per preservare e consolidare la coesione e la solidarietà della società in un momento in cui il mondo attraversa una crisi finanziaria e alimentare e in un'epoca di globalizzazione e di evoluzione demografica in Europa. In ogni caso, tutto ciò comporterà dei cambiamenti negli stili di vita attuali di molti europei, mentre crescono i timori per la precarietà dei posti di lavoro. Gli eventi realizzati nell'ambito dell'Anno europeo andrebbero utilizzati per ampliare il sostegno dei cittadini alle riforme necessarie.

1.5

Inoltre, l'Anno europeo 2010 dovrebbe costituire una piattaforma per il dibattito pubblico sui modi di preservare e accrescere la coesione sociale in un contesto di crescenti disparità di reddito fra gli europei. Bisognerà trovare soluzioni di politica pubblica innovative e integrate.

In tale contesto il CESE richiama l'attenzione sul fatto che una lotta efficace contro la povertà e l'esclusione sociale richiede il concorso di molte politiche settoriali. Bisogna che l'equa distribuzione del benessere raggiunto sia riconosciuta, con maggior determinazione di oggi, come un vero e proprio obiettivo politico a livello dell'UE.

Anche gli obiettivi dell'Anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale dovrebbero pertanto rispecchiare meglio l'importanza di una politica attiva ai fini dell'eradicazione della povertà e dell'esclusione sociale nel quadro del raggiungimento degli obiettivi della strategia dell'UE per la crescita economica e l'occupazione (1).

L'efficacia di queste soluzioni dipenderà dal coinvolgimento costante delle parti sociali e delle altre organizzazioni della società civile nonché dal coinvolgimento e dalla partecipazione attivi dei cittadini nella costruzione delle comunità locali.

1.6

Il CESE ritiene che gli aspetti operativi dell'iniziativa proposta siano stati studiati in modo molto accurato. Degno di particolare nota è il fatto che la proposta tenga in debito conto gli aspetti specifici dei singoli paesi, sul presupposto di una stretta cooperazione con le parti sociali e le altre organizzazioni della società civile nonché della partecipazione diretta dei cittadini colpiti da povertà ed esclusione sociale.

1.7

Il CESE si rallegra del fatto che l'importo della dotazione finanziaria assegnata all'attuazione degli obiettivi dell'Anno europeo sia il maggiore mai destinato nell'UE a una tale iniziativa; tuttavia, considerata la portata delle azioni previste, chiede comunque di aumentare tale importo.

2.   Sintesi della proposta della Commissione

2.1

Lo scopo per cui si è deciso di designare il 2010 come Anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale è contribuire a raggiungere l'obiettivo, fissato dalla strategia di Lisbona e ribadito nella nuova Agenda sociale europea per il 2005-2010 (2), di «imprimere una svolta decisiva alla lotta contro la povertà».

2.2

Le azioni da compiere nel quadro dell'Anno europeo si concentreranno su quattro obiettivi: 1) il riconoscimento del diritto delle persone in condizioni di povertà e di esclusione sociale di vivere dignitosamente e far parte a pieno titolo della società; 2) la partecipazione, ossia la responsabilità comune di tutti i componenti della società per la lotta alla povertà e all'emarginazione; 3) la coesione, nella convinzione che mantenere la coesione sociale sia nell'interesse di tutti; e 4) l'impegno, sottolineando la volontà politica dell'UE di considerare la lotta alla povertà e all'esclusione sociale una vera priorità.

2.3

Tali azioni, da compiere su scala comunitaria e nazionale, comprenderanno riunioni e convegni, campagne informative e promozionali, nonché studi e relazioni. Esse dovrebbero coinvolgere tutte le parti interessate e offrire alle persone colpite dalla povertà e dall'esclusione sociale l'opportunità di esprimere le proprie esigenze e le proprie opinioni.

2.4

I progetti relativi all'Anno europeo 2010 possono contare su stanziamenti per 17 milioni di euro a carico del bilancio UE. Con l'aggiunta dei cofinanziamenti previsti da parte degli enti pubblici e privati degli Stati membri, l'importo disponibile potrebbe arrivare a 26,175 milioni di euro.

3.   Osservazioni generali sull'obiettivo dell'iniziativa proposta

3.1

Il Comitato economico e sociale europeo accoglie con favore l'iniziativa proposta dalla Commissione che, se attuata in modo appropriato, potrebbe contribuire a sensibilizzare i cittadini e stimolare il dibattito pubblico sui modi di contrastare con decisione e con efficacia la povertà e l'esclusione sociale.

3.2

Il CESE è convinto che il tema proposto per l'Anno europeo 2010 sia importante ed attuale. L'iniziativa, infatti, non solo servirà a richiamare l'attenzione dell'opinione pubblica sul tema, ma aiuterà anche a mantenerla viva nel tempo. Il CESE è d'accordo sugli obiettivi generali e specifici dell'iniziativa e sui temi in cui questa si articola, nonché sui metodi proposti per realizzarla: le osservazioni che seguono mirano a innalzarne il profilo pubblico e accrescerne l'efficacia politica.

3.3

In un continente relativamente prospero come l'Europa, la salvaguardia e il miglioramento della qualità della vita di tutti i cittadini dipendono dal loro impegno a considerare la povertà e l'emarginazione sociale problemi da affrontare con efficacia. Le azioni relative all'Anno europeo dovrebbero rafforzare tale impegno negli europei di ogni condizione sociale ed economica.

3.4

È quindi importante che tali azioni facciano tesoro delle conoscenze ed esperienze acquisite dopo il lancio della strategia europea contro la povertà e l'esclusione sociale, da parte del Consiglio europeo di Nizza nel 2000. Occorre inoltre realizzare sinergie con le iniziative organizzate da altri attori, ad esempio dal Consiglio d'Europa, nel quadro della task force di alto livello sulla coesione sociale nel XXI secolo (3), e dall'ONU, in occasione della celebrazione annuale della Giornata mondiale del rifiuto della miseria il 17 ottobre.

3.5

Il CESE ricorda che, nelle attività relative all'Anno europeo, dovrebbero trovare la giusta collocazione una serie di questioni e di tematiche già trattate in diversi pareri (4):

il sostegno a una politica sociale più moderna in quanto autentico fattore produttivo in grado di assicurare l'attivazione professionale di tutti gli abili al lavoro e l'attivazione sociale di tutti,

una modernizzazione del modello sociale europeo, nel senso ampio del termine, che gli consenta di rispondere con successo alle nuove sfide in tema di occupazione, inclusione sociale e lotta alla povertà e ripercussioni sociali della globalizzazione, perché l'Europa continui ad essere «una zona di benessere democratica, rispettosa dell'ambiente, competitiva e solidale, e fondata sul principio dell'integrazione sociale per tutti i cittadini europei» (5),

l'esigenza di politiche più efficaci volte a integrare nel mercato del lavoro le categorie di persone discriminate o comunque svantaggiate, e in particolare dei lavoratori con occupazioni scarsamente retribuite e/o precarie (6),

un dibattito pubblico aperto e il sostegno da parte dei cittadini come condizioni necessarie per orientare tale modernizzazione nel senso dell'attivazione occupazionale e della partecipazione sociale; il CESE non ha mancato di sottolineare che «per contribuire alla formazione della società europea di domani, il modello sociale europeo deve essere dinamico e pronto a cogliere le sfide, i cambiamenti e le riforme» e che «il modello sociale europeo avrà un senso solo se godrà del sostegno dei cittadini europei e solo se questi ultimi avranno acquisito la consapevolezza necessaria» (7),

un forte accento sull'azione a livello locale, sul ruolo delle parti sociali, sul coinvolgimento e l'incoraggiamento della società civile e sulla valorizzazione dell'attivismo sociale, in particolare nella lotta alla povertà e all'esclusione sociale,

la necessità di adottare approcci globali, che vadano oltre le politiche occupazionali e sociali tradizionali per abbracciare anche quelle economiche, educative, regionali, culturali e infrastrutturali, in particolare nella lotta alla povertà e all'esclusione sociale,

la presa d'atto e il riconoscimento che gli uomini e le donne vivono la povertà in maniera diversa e che le politiche sociali andrebbero modulate di conseguenza,

l'esigenza di un metodo aperto di coordinamento più efficace a livello europeo in materia di lotta alla povertà e all'esclusione sociale,

la collocazione di questa lotta in un contesto internazionale, in particolare promuovendo in tutto il mondo i diritti fondamentali sul lavoro e gli standard di «lavoro dignitoso».

In prosieguo, il CESE sviluppa alcuni aspetti di queste tematiche, che considera particolarmente pertinenti per le attività da compiere nel quadro dell'Anno europeo.

3.6

Nel corso dell'anno sarà opportuno volgere l'attenzione ad alcune possibili misure positive:

l'impatto della lotta al lavoro non dichiarato,

misure attive a favore del reinserimento nel mondo del lavoro,

gli investimenti in attività industriali e servizi capaci di generare occupazione.

Occorrerà poi valutare i possibili effetti negativi o aggravanti, in particolare: la futura crescita economica durante e dopo l'Anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale,

e gli effetti sulla situazione energetica e alimentare delle categorie più a rischio o in condizioni di povertà o miseria.

4.   Trasmettere il messaggio in modo più efficace

4.1

La decisione di indire l'Anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale sottolinea che nell'Unione europea 78 milioni di persone, pari al 16 % della popolazione, sono esposte al rischio della povertà. Il CESE è convinto che, per trasmettere con efficacia il messaggio politico dell'Anno europeo, occorra far ricorso e riferimento, oltre che alla comune nozione di povertà relativa legata al reddito, anche ad altre nozioni di povertà, che ne misurino la persistenza e rispecchino l'effettiva entità delle privazioni che colpiscono ancora molti europei. Di conseguenza, le azioni da compiere nel quadro dell'Anno europeo dovrebbero basarsi anche su un'ampia serie di indicatori di povertà sia relativa che assoluta, in modo da sensibilizzare i cittadini riguardo all'esistenza e all'intollerabilità delle situazioni che esse descrivono.

4.2

Inoltre, il CESE fa notare che gli indicatori finora utilizzati si limitano a «descrivere» il problema della povertà e dell'esclusione sociale. Considerate le sfide che si profilano per la coesione sociale nell'UE e la conseguente necessità di ammodernare il modello sociale europeo, è importante che gli indicatori sottintendano soluzioni equilibrate di politica pubblica, comprensive anche di una migliore ridistribuzione del reddito nonché delle politiche di flessicurezza nel mercato del lavoro finanziate e gestite correttamente e delle politiche di inclusione attiva. Questo «modello dinamico» in tema di politiche sociali e occupazionali è già stato raccomandato dal CESE in un suo parere in materia (8).

4.3

Il CESE si compiace del fatto che la Commissione abbia riconosciuto che la natura multiforme della povertà e dell'esclusione sociale richiede misure adeguate. Nella comunicazione sull'Agenda sociale per il periodo 2005-2010, intesa fra l'altro a persuadere gli Stati membri a rafforzare, completare e semplificare le misure di contrasto alla povertà e all'esclusione sociale, la Commissione ha giustamente aggiunto all'indicatore «povertà relativa» quello costituito dalla povertà persistente (9). In seguito, nel proporre un maggiore coordinamento anche in tema di protezione sociale, assistenza sanitaria e cure di lunga durata, la Commissione ha richiamato l'attenzione sull'esigenza di attribuire un maggior peso agli «indicatori per il monitoraggio delle privazioni» (10).

4.4

Alla luce di quanto precede, il CESE è convinto che la decisione riguardante l'Anno europeo 2010 debba basarsi su nozioni di povertà che descrivano meglio l'entità delle privazioni, le aree geografiche interessate e la profondità del problema. Ciò, infatti, accrescerebbe l'attenzione e il sostegno dei cittadini alle politiche occupazionali e di protezione sociale, di livello europeo e nazionale, rivolte alle persone e alle comunità minacciate o colpite da povertà profonda e assoluta (11).

5.   I temi principali, gli obiettivi e i tipi di attività dell'Anno europeo

5.1

La povertà è un fenomeno multiforme. I relativi rischi sono distribuiti in maniera diseguale nella società e, quando si sommano tra loro, rendono determinati gruppi sociali particolarmente vulnerabili.

5.2

La povertà è in genere legata alla disoccupazione, e in particolare a quella di lunga durata. Pertanto, come indicato nella Relazione congiunta per il 2007 sulla protezione sociale e l'inclusione sociale (12), un posto di lavoro è la migliore tutela contro la povertà e l'esclusione sociale. Tuttavia, come aggiunge la stessa relazione, esso non può essere la sola tutela: il fenomeno dei lavoratori poveri ne è una drammatica testimonianza.

5.3

La povertà può essere legata anche alle scarse competenze professionali o alla mancanza di quelle richieste per i posti di lavoro disponibili, oppure ancora al fatto che le competenze possedute sono insufficienti per mantenere un impiego di qualità e adeguatamente retribuito. I gruppi sociali particolarmente soggetti a questo rischio sono i giovani, in particolare quelli che abbandonano gli studi, e i lavoratori anziani.

5.4

Si può restare intrappolati nella morsa della povertà anche a causa di sistemi di sostegno al reddito mal congegnati, che scoraggiano il lavoro regolare e in ultima analisi condannano alla povertà anche in età avanzata.

5.5

Anche la struttura familiare può costituire un fattore di rischio: è il caso delle famiglie monoreddito, specialmente se monoparentali, e/o con tre o più figli a carico. Inoltre, la disgregazione del nucleo familiare o la perdita del lavoro, comportando la perdita della casa, è una situazione potenzialmente pericolosa.

5.6

Analogamente, le persone in cattive condizioni di salute (ad esempio a causa dell'età), con limitazioni cognitive o disabilità, sono anch'esse — specialmente se poco qualificate — ad alto rischio di povertà, come pure i tossicomani.

5.7

Oltre ad esse, sono a rischio anche le persone che vivono in zone periferiche o altrimenti svantaggiate.

5.8

Una particolare categoria di persone a rischio di povertà è poi costituita dagli immigrati e dai membri delle minoranze etniche, i quali, oltre ad aver spesso competenze sociali e linguistiche inadeguate e/o un adattamento culturale insufficiente, possono anche subire discriminazioni.

5.9

Gli esempi sopraelencati evidenziano l'ampiezza dei problemi in gioco e la complessità dei rimedi di politica pubblica chiamati a risolverli. Se si vogliono ridurre in misura significativa la povertà e l'esclusione sociale, gli sforzi delle pubbliche amministrazioni a tutti i livelli devono essere accompagnati da quelli delle parti sociali, delle organizzazioni della società civile e dei singoli cittadini. Essi rivelano inoltre il seguente paradosso: se tutte le persone abili al lavoro vanno integrate socialmente, e lo strumento principale per farlo è l'occupazione, per contribuire alla crescita economica dell'Europa e compensare in parte il declino della sua popolazione, allora i sistemi e i programmi di sostegno vanno aumentati e migliorati, non ridotti. Questi dovrebbero essere i due temi principali dell'Anno europeo.

5.10

Il CESE è convinto che gli obiettivi generali e specifici dell'Anno europeo, nonché i temi prescelti per le attività da compiere nel quadro di tale iniziativa, mirino a raggiungere un nuovo equilibrio tra l'esigenza sociale che le persone siano economicamente attive e il bisogno individuale di sicurezza. La necessità di un tale riequilibrio deriva dalla globalizzazione, dai mutamenti demografici, dal progresso tecnologico e dall'evoluzione del mercato del lavoro in Europa, che comportano cambiamenti di rilievo nello stile di vita di molti europei. Inoltre, la politica del mercato del lavoro e le politiche sociali devono essere ammodernate e migliorate in modo da agevolare le necessarie transizioni e offrire ai cittadini una «rete di sicurezza» sostenibile gestita e finanziata correttamente. Mentre alcuni traggono vantaggio dalle opportunità offerte dai nuovi mercati del lavoro e dai programmi di attivazione, altri le considerano una minaccia al loro status sociale e professionale. Secondo il CESE, le azioni da compiere nel quadro dell'Anno europeo dovrebbero affrontare queste preoccupazioni concrete (13).

5.11

Oggigiorno, nel trattare il problema delle persone a rischio di disoccupazione e/o esclusione sociale, si sottolinea l'importanza dell'attivazione occupazionale di tutti gli abili al lavoro, che consente alla società di avvalersi dei loro talenti e nel contempo soddisfa le esigenze individuali di avanzamento professionale e sociale (14). Oltre che su un sostegno appropriato al reddito, si pone sempre più l'accento sul miglioramento dell'accesso di tutti ai servizi sociali, e in particolare a quelli che aiutano i cittadini a migliorare, aggiornare o cambiare le proprie qualifiche professionali o a mantenersi in salute. Tuttavia, se vogliono trarre vantaggio da queste opportunità, i cittadini sono chiamati ad attivarsi personalmente assai più di prima, dando prova di iniziativa e impegno intellettuale e cooperando con i vari servizi di sostegno. Se si vuole ottenere il sostegno dei cittadini alle politiche che richiedono tali sforzi, è realmente necessario informarli sugli scopi delle stesse (15). Le attività dell'Anno europeo dovrebbero contribuire a questo risultato. Gli obiettivi dell'Anno europeo dovrebbero rispecchiare meglio l'importanza, ai fini della buona riuscita della strategia dell'UE per la crescita e l'occupazione, di una politica attiva volta a contrastare la povertà e l'esclusione sociale (16). Occorre che gli eventi da realizzare nel quadro dell'Anno europeo trasmettano meglio il messaggio che una politica sociale di più elevata qualità e più moderna migliora il funzionamento del mercato del lavoro e contribuisce alla creazione di posti di lavoro, e lo dimostrino in modo convincente. Analogamente, occorre comunicare e dimostrare che misure di sostegno al reddito correttamente congegnate vanno a beneficio di chi è a rischio di disoccupazione ed emarginazione sociale, riducendo le pressioni di vario tipo che lo allontanano dal mercato del lavoro regolare e contribuendo così a ridurre l'economia informale.

5.12

La decisione proposta contiene una serie di affermazioni che andrebbero precisate meglio.

5.13

Il CESE osserva che menzionare «bambini, genitori soli, persone anziane, migranti e minoranze etniche, disabili, senzatetto, detenuti, donne e bambini vittime di violenza, nonché tossicomani» (17) tra i gruppi esposti a un rischio particolarmente elevato di povertà ed esclusione sociale, senza fornire ulteriori precisazioni al riguardo, potrebbe avere un effetto opposto a quello auspicato. Tali gruppi, infatti, comprendono sia persone a rischio che persone non a rischio di povertà. Come già osservato in questo parere, di solito è la mancanza di capacità adeguate e/o l'elevato rapporto tra il numero dei componenti della famiglia e quello dei percettori di reddito nella stessa a esporre queste categorie sociali al rischio della povertà.

6.   La coesione sociale — La persistenza e l'aumento delle disparità di reddito

6.1

L'Anno europeo 2010 può anche offrire un'opportunità di dibattito pubblico sulle sfide attuali e future per la solidarietà e la coesione sociali in un'Europa che va trasformandosi in una società e un'economia basate sulla conoscenza e deve far fronte al cambiamento demografico (18). Una riflessione di questo tipo è particolarmente necessaria in un continente che ha senz'altro i mezzi per ridurre in maniera decisiva la povertà e l'esclusione sociale.

6.2

Nel frattempo, troppi giovani non hanno, una volta usciti dalla scuola, le competenze alfabetiche e matematiche necessarie per una carriera di successo nella nuova economia. Sono necessari rimedi efficaci non solo per allontanare lo spettro della loro emarginazione sociale, ma anche per soddisfare la domanda di lavoratori qualificati da parte dell'economia. Inoltre, l'Europa è posta di fronte a uno sdoppiamento sempre più marcato del mercato del lavoro in un segmento occupazionale di alto livello qualificativo e retributivo ed uno a bassa qualificazione e retribuzione, con le disparità di reddito che ne conseguono. I cittadini europei devono sviluppare e accettare una visione che concili la salvaguardia della giustizia e della coesione sociali con quella della competitività dell'UE in un'economia globale.

6.3

Le misure attuate «dall'alto» dai governi non garantiranno la coesione sociale se non verranno integrate da iniziative «dal basso» dei cittadini. Così come il Consiglio europeo di Nizza del 2000 ha riconosciuto il ruolo fondamentale della partecipazione delle organizzazioni della società civile nel mobilitare l'impegno per combattere la povertà e l'esclusione sociale, il CESE è convinto che anche il ruolo di rilievo svolto dal coinvolgimento personale di tutti i cittadini nella costruzione di comunità inclusive vada riconosciuto e promosso nel corso dell'intero Anno europeo 2010. In tale contesto, sarebbe importante inviare il messaggio che il coinvolgimento dei cittadini è interesse di ogni membro della comunità, a prescindere dalla sua condizione economica o sociale.

6.4

In proposito il CESE richiama il proprio parere sul volontariato, in cui raccomanda tra l'altro di «incoraggiare i governi degli Stati membri a definire una politica nazionale in materia [di volontariato] e strategie volte a promuovere direttamente le attività di volontariato e a favorirne il riconoscimento», aggiungendo che «tale politica nazionale dovrebbe contemplare anche il ruolo di un'infrastruttura nel facilitare l'attività di volontariato» (19). Ciò implica che coloro che desiderano mettere tempo e capacità a disposizione della comunità in cui vivono come minimo non dovrebbero essere scoraggiati da ostacoli giuridici o burocratici (20). Se è vero che il CESE è sempre dell'avviso che al volontariato debba essere dedicato un apposito Anno europeo, è vero altresì che gli aspetti pertinenti della partecipazione civica andrebbero evidenziati anche nel quadro delle manifestazioni dell'Anno europeo 2010.

6.5

Il CESE raccomanda vivamente che tali manifestazioni evitino di dare l'impressione che, in base alle politiche di flessicurezza e inclusione attiva attualmente promosse, lo sforzo di risalire la china della disoccupazione e della povertà (contribuendo così alla coesione sociale) è chiesto solo ai datori di lavoro, ai governi e ai beneficiari dei programmi occupazionali e di protezione sociale. Al contrario, esse dovrebbero trasmettere chiaramente il messaggio che tale responsabilità incombe a ogni cittadino.

6.6

Un'altra questione da considerare è che, in un contesto di persistenti o addirittura crescenti disparità economiche, la salvaguardia della coesione sociale potrebbe essere agevolata anche realizzando spazi pubblici di qualità (spazi urbani, scuole, università, biblioteche, parchi, strutture ricreative) in cui persone di varia estrazione e di diversa condizione sociale ed economica siano invogliate ad aggregarsi e trascorrere il tempo insieme.

6.7

La maggior parte delle nuove sfide e dei nuovi dilemmi che attendono la coesione sociale e la politica pubblica potrebbe essere affrontata nel quadro degli obiettivi generali della decisione proposta. Tuttavia, per stimolare un dibattito pubblico utile nel corso dell'Anno europeo, tali tematiche andrebbero articolate meglio. Le possibili azioni qui proposte per promuovere la coesione sociale potrebbero integrare il dibattito del 2010 in tema di inclusione sociale attiva e di politiche occupazionali efficaci.

7.   Politica sociale in senso ampio

7.1

Secondo il CESE, le proposte avanzate per l'Anno europeo, in particolare quelle relative alla gamma di azioni da compiere, consentiranno anche di sottolineare che, per conseguire l'obiettivo, fissato dalla strategia di Lisbona, di «imprimere una svolta decisiva alla lotta contro la povertà» e l'esclusione sociale entro il 2010, saranno necessarie misure di vario genere, nonché di sensibilizzare i cittadini al riguardo (21).

7.2

Le misure educative realizzate nel corso dell'Anno europeo dovrebbero comprendere la sensibilizzazione, nei singoli Stati membri, riguardo ai fattori che determinano l'entità delle pensioni future e incoraggiare a prendere iniziative in grado di garantire una vita dignitosa durante la pensione.

7.3

Il CESE è convinto che, negli eventi da organizzare nell'ambito dell'Anno europeo, occorra prestare attenzione anche alle modalità con cui la Banca centrale europea potrebbe utilizzare i poteri attribuitile dal Trattato per contribuire alla lotta contro la povertà e l'esclusione sociale.

7.4

Il CESE è convinto della necessità di mostrare che l'emarginazione sociale potrebbe essere ridotta da politiche che vadano al di là dell'ambito tradizionale del mercato del lavoro e della protezione sociale, come politiche urbanistiche che impediscano la ghettizzazione dei poveri, politiche dei trasporti che riducano le barriere geografiche alla mobilità sociale e politiche economiche per lo sviluppo delle zone periferiche e, infine, politiche distributive e di garanzia dei servizi di interesse generale che invertano la tendenza, osservabile da anni, al progressivo ampliamento del divario tra ricchi e poveri.

7.5

In proposito il CESE richiama l'attenzione sulle differenze tra le situazioni dei singoli Stati membri, divenute più marcate dopo l'allargamento dell'UE. Come affermato in uno studio, negli Stati membri «ricchi» persino i «più poveri» soffrono meno privazioni dei «più ricchi» negli Stati membri «poveri» (22). Ciò mette in luce l'importanza di intervenire in modo efficace per garantire la coesione sociale e attenuare le disparità economiche attualmente presenti in tutta l'UE, così da ridurre le aree di povertà e di esclusione sociale, il che a sua volta consentirebbe di sviluppare ulteriormente il metodo aperto di coordinamento della politica sociale nell'UE (23). È questo un punto che merita un'attenzione e una considerazione particolari nel quadro degli eventi da realizzare nell'Anno europeo.

8.   Osservazioni in merito all'attuazione dell'iniziativa proposta

8.1

Il CESE ritiene che gli aspetti operativi dell'Anno europeo 2010 siano stati studiati in modo accurato, poiché si tiene debitamente conto delle priorità e delle sensibilità dei singoli Stati membri (ad esempio riguardo alla delicata questione dell'integrazione nel mercato del lavoro e nella società degli immigrati e delle minoranze etniche). Inoltre, è importante anche il fatto che sia instaurata una stretta cooperazione con le parti sociali e le altre organizzazioni della società civile.

8.2

Il rilievo attribuito al contributo delle parti sociali e delle altre organizzazioni della società civile al conseguimento degli obiettivi dell'Anno europeo rispecchia la loro indispensabilità ai fini dell'attuazione dell'Agenda sociale della strategia di Lisbona, lanciata nel 2000 dal Consiglio europeo di Nizza nell'ambito della strategia europea di lotta alla povertà e all'esclusione sociale. Oggi più che mai, l'azione dei governi deve essere integrata, corretta e rafforzata dalle iniziative «dal basso». Inoltre, è importante che, nel definire e attuare la politica sociale, si presti il debito ascolto alla voce di coloro che ne sono i destinatari. È dunque a ragione che le suddette organizzazioni sono state invitate a cooperare attivamente alla realizzazione degli obiettivi dell'Anno europeo.

8.3

Il Comitato si rallegra del fatto che l'importo della dotazione finanziaria assegnata all'attuazione degli obiettivi dell'Anno europeo sia il maggiore mai stanziato nell'UE per una siffatta iniziativa. Tuttavia, considerate le azioni particolareggiate elencate in allegato alla decisione proposta, il CESE chiede comunque di aumentare l'importo di tale dotazione per garantire l'efficace realizzazione delle azioni associate all'Anno europeo.

8.4

Il CESE si rallegra inoltre del fatto che, nel progettare e attuare le attività da compiere nel quadro dell'Anno europeo, si terrà conto del diverso modo in cui uomini e donne vivono la povertà e l'esclusione sociale.

8.5

Il CESE ritiene che le priorità dell'Anno europeo, elencate in allegato alla proposta, vadano ampliate per aggiungervi la povertà tra i lavoratori precari. Le questioni attinenti ai disabili andrebbero infine considerate distintamente anziché accorpate a quelle relative ad altri gruppi sociali vulnerabili.

Bruxelles, 29 maggio 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Cfr. ad esempio i pareri del CESE del 18 gennaio 2007 sul tema Bilancio della realtà della società europea (relatore: OLSSON, GU C 93 del 27.4.2007), punto 2.2, e del 13 luglio 2005 in merito alla Comunicazione della Commissione sull'Agenda sociale (relatrice: ENGELEN-KEFER, GU C 294 del 25.11.2005), punto 6.1.

(2)  Comunicazione della Commissione sull'Agenda sociale (COM(2005) 33 def., del 9 febbraio 2005), punto 2.2, pag. 10.

(3)  Cfr. la relazione della task force di alto livello sulla coesione sociale nel XXI secolo Towards an Active, Fair and Socially Cohesive Europe/Vers une Europe active, juste et cohésive sur le plan social (Verso un'Europa attiva, giusta e coesa sul piano sociale), Consiglio d'Europa, Strasburgo, 26 ottobre 2007, TFSC(2007) 31 E (in inglese) o 32 F (in francese).

(4)  Si tratta dei seguenti pareri del CESE: del 13 luglio 2005, in merito alla comunicazione della Commissione sull'Agenda sociale — relatrice: ENGELEN-KEFER (GU C del 25.11.2005); del 29 settembre 2005, sul tema Le donne e la povertà nell'Unione europea — relatrice: KING (GU C 24 del 31.1.2006); del 6 luglio 2006, sul tema Coesione sociale: dare un contenuto al modello sociale europeo — relatore: EHNMARK (GU C 309 del 16.12.2006); del 13 dicembre 2006, sul tema Le attività di volontariato, il loro ruolo nella società europea e il loro impatto — relatrice: KOLLER e correlatrice: ZU EULENBURG (GU C 325 del 30.12.2006); del 18 gennaio 2007, sul tema Bilancio della realtà della società europea — relatore: OLSSON (GU C 93 del 27.4.2007); del 25 ottobre 2007, sul tema Credito ed esclusione sociale in una società opulenta — relatore: PEGADO LIZ (GU C 44 del 16.2.2008); del 13 dicembre 2007, in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni Promuovere la solidarietà fra le generazioni -relatore: JAHIER (GU C 120 del 16.5.2008).

(5)  Cfr. il parere del CESE, del 6 luglio 2006, sul tema Coesione sociale: dare un contenuto al modello sociale europeo — relatore: EHNMARK (GU C 309 del 16.12.2006), punto 2.1.2.5.

(6)  Cfr. il parere del CESE, del 12 luglio 2007, sul tema L'occupazione per le categorie prioritarie (strategia di Lisbona) — relatore: GREIF (GU C 256 del 27.10.2007).

(7)  Cfr. parere del 6 luglio 2006 sul tema Coesione sociale: dare un contenuto al modello sociale europeo — relatore: EHNMARK (GU C 309 del 16.12.2006), punti 1.8 e 1.9.

(8)  Cfr. il parere del CESE, del 6 luglio 2006, sul tema Coesione sociale: dare un contenuto al modello sociale europeo — relatore: EHNMARK (GU C 309 del 16.12.2006), punto 2.4.

(9)  Secondo la definizione di Eurostat, il tasso di povertà persistente indica il numero di persone colpite da povertà relativa in due degli ultimi tre anni.

(10)  Comunicazione della Commissione Lavorare insieme, lavorare meglio: un nuovo quadro per il coordinamento aperto delle politiche di protezione sociale e di integrazione nell'Unione europea (COM(2005) 706 def.., del 22 dicembre 2005), punto 3.5, pag. 9.

(11)  Nei suoi pareri il CESE ha spesso fatto riferimento a nozioni di povertà più specifiche, rivolgendo ad esempio l'attenzione ai gruppi sociali che «soffrono di privazioni» e «sono fortemente svantaggiati» (parere del 13 dicembre 2007 in merito alla comunicazione della Commissione Promuovere la solidarietà fra le generazioni — relatore: JAHIER (GU C 120 del 16.5.2008, punto 2.5), alla «povertà permanente» (parere del 29 settembre 2005 sul tema Le donne e la povertà nell'Unione europea — relatrice: KING (GU C 24 del 31.1.2006, punto 1.7) e alla povertà «in termini qualitativi», intesa come «mancanza o (…) insufficienza di risorse materiali necessarie per soddisfare le esigenze vitali dell'individuo» (parere del 25 ottobre 2007 sul tema Credito ed esclusione sociale in una società opulenta — relatore: PEGADO LIZ (GU C 44 del 16.2.2008, punto 3.1.3). In un'occasione il CESE ha persino affermato quanto segue: «il Comitato raccomanda vivamente alla Commissione di ridefinire il concetto di povertà, in quanto la definizione attuale mette in risalto solo le cause più evidenti del fenomeno e sottovaluta il livello di povertà delle donne e l'impatto che tale povertà può avere» (parere del 29 settembre 2005 sul tema Le donne e la povertà nell'Unione europea — relatrice: KING (GU C 24 del 31.1.2006, punto 2.1). Naturalmente, tale insufficienza del concetto di povertà relativa non riguarda solo la povertà delle donne, bensì la povertà in generale.

(12)  Relazione congiunta sulla protezione sociale e l'inclusione sociale 2007, Commissione europea, 2007, pag. 45.

(13)  Cfr. i pareri del CESE del 6 luglio 2006 sul tema Coesione sociale: dare un contenuto al modello sociale europeo — relatore: EHNMARK (GU C 309 del 16.12.2006), in particolare ai punti 1.6-1.8 e 2.3.1-2.3.5, e del 18 gennaio 2007 sul tema Bilancio della realtà della società europea — relatore: OLSSON (GU C 93 del 27.4.2007), in particolare al punto 2.4.

(14)  The social situation in the European Union 2005-2006: The Balance between Generations in an Ageing Europe (La situazione sociale nell'Unione europea 2005-2006: l'equilibrio tra generazioni in un'Europa che invecchia), Commissione europea, 2007, pag. 17, nel riassumere i risultati di uno studio sul grado di soddisfazione personale dei cittadini europei, osserva che, ai fini della gratificazione personale, l'importanza del lavoro va molto al di là del reddito che se ne trae.

(15)  «Presentare le sfide ai cittadini europei» era una delle principali raccomandazioni del parere del CESE del 6 luglio 2006 sul tema Coesione sociale: dare un contenuto al modello sociale europeo, punto 2.6 — relatore: EHNMARK (GU C 309 del 16.12.2006).

(16)  Cfr. ad esempio i pareri del CESE del 18 gennaio 2007 sul tema Bilancio della realtà della società europea — relatore: OLSSON (GU C 93 del 27.4.2007), punto 2.2, e del 13 luglio 2005 in merito alla Comunicazione della Commissione sull'Agenda sociale — relatrice: ENGELEN-KEFER (GU C 294 del 25.11.2005), punto 6.1.

(17)  Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante l'Anno europeo della lotta alla povertà e all'esclusione sociale (2010) (COM(2007) 797 def. — 2007/0278 (COD), del 12 dicembre 2007), considerando n. 11, pag. 9.

(18)  Il CESE ha espresso qualche preoccupazione per l'impatto sociale della rivoluzione della conoscenza e ha sottolineato la necessità di affrontare questo problema con il dialogo sociale già nel parere del 6 luglio 2006 sul tema Coesione sociale: dare un contenuto al modello sociale europeo — relatore: EHNMARK (GU C 309 del 16.12.2006), punto 2.4.5.

(19)  Parere del CESE del 13 dicembre 2006 sul tema Le attività di volontariato, il loro ruolo nella società europea e il loro impatto — relatrice: KOLLER e correlatrice: GRÄFIN ZU EULENBURG (GU C 325 del 30.12.2006), punto 1.2.

(20)  Il parere del CESE del 13 dicembre 2007 in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniPromuovere la solidarietà fra le generazioni — relatore: JAHIER (GU C 120 del 16.5.2008) sottolinea (punto 4.5) i vantaggi della partecipazione civica anche per gli anziani e sollecita ulteriori ricerche in materia di terza età attiva.

(21)  Benché l'orizzonte temporale della strategia di Lisbona sia quello del 2010, essa resta un punto di riferimento in materia di documenti programmatici e misure operative a livello europeo e nazionale. Inoltre si ritiene che, anche se nessuna decisione è ancora stata presa al riguardo, la strategia di Lisbona continuerà in qualche forma dopo il 2010, tanto più se si considera che i suoi obiettivi occupazionali e sociali non verranno pienamente raggiunti entro quella data.

(22)  Anne-Catherine Guio, La privation matérielle dans l'UE (La privazione materiale nell'UE), Statistiques en bref, 21/2005, Eurostat, pag. 9.

(23)  Cfr. il parere del CESE del 18 gennaio 2007 sul tema Bilancio della realtà della società europea — relatore: OLSSON (GU C 93 del 27.4.2007).


30.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 224/113


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la decisione n. 1719/2006/CE che istituisce il programma «Gioventù in azione» per il periodo 2007-2013

COM(2008) 56 def. — 2008/0023 (COD)

(2008/C 224/25)

Il Consiglio, in data 6 marzo 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la decisione n. 1719/2006/CE che istituisce il programma «Gioventù in azione» per il periodo 2007-2013.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 maggio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore CZAJKOWSKI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 maggio 2008, nel corso della 445a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 78 voti favorevoli, nessun voto contrario e 1 astensione.

1.   Posizione del CESE

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la presentazione, da parte della Commissione, dell'iniziativa in esame, volta a modificare sia la procedura di attribuzione delle sovvenzioni ai progetti sia la procedura di gestione del programma «Gioventù in azione» allo scopo di accelerare la ripartizione dei finanziamenti tra i richiedenti.

1.2

Il CESE è favorevole a tale scostamento dalla procedura originaria, in quanto l'allungamento dei tempi decisionali, la considerevole durata del processo di valutazione dei progetti, la verifica dei dati da parte del comitato del programma e delle agenzie nazionali causano, nel migliore dei casi, dei ritardi e, nel peggiore, enormi problemi finanziari, il fallimento di parte delle organizzazioni che hanno richiesto le sovvenzioni o il mancato utilizzo dei fondi disponibili.

2.   Introduzione

2.1

Il programma «Gioventù in azione» per il periodo 2007-2013, istituito con la decisione n. 1719/2006/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, è un programma comunitario riguardante l'apprendimento non formale. Esso è destinato principalmente ai giovani per i quali l'istruzione non formale rappresenta la sola opportunità di sviluppo personale e di acquisizione di conoscenze o competenze indispensabili nel mondo attuale.

2.2

Gli obiettivi principali del programma sono la lotta alle barriere, ai pregiudizi e agli stereotipi esistenti tra i giovani, l'incentivazione della mobilità e la promozione della cittadinanza attiva intesa come forma di apprendimento dinamico. Il programma finanzia progetti volti a favorire lo sviluppo personale dei giovani, incita al coinvolgimento nella vita sociale locale e contribuisce a rafforzare la tolleranza. Incoraggia inoltre a intraprendere attività di diverso tipo che promuovano l'idea dell'Europa unita.

2.3

La responsabilità ultima del funzionamento del programma «Gioventù in azione» spetta alla Commissione europea. Essa ne gestisce il bilancio corrente e ne definisce le priorità, gli obiettivi e i criteri. Ne stabilisce inoltre gli orientamenti e segue l'attuazione generale del programma, le attività realizzate nel quadro del follow-up dei progetti e la valutazione del programma a livello europeo.

2.4

La Commissione ha anche il compito di supervisionare e coordinare l'attività delle agenzie nazionali, vale a dire gli uffici designati e creati dalle autorità responsabili degli affari giovanili nei paesi partecipanti. Essa collabora strettamente con tali agenzie e ne controlla l'attività.

2.5

Gli Stati membri dell'UE, come anche gli altri paesi che partecipano al programma, collaborano alla sua gestione, in particolare per il tramite del comitato del programma, presso cui nominano propri rappresentanti. Le autorità degli Stati partecipanti designano inoltre le agenzie nazionali e ne seguono l'operato — compito, quest'ultimo, che svolgono in collaborazione con la Commissione.

2.6

Il programma «Gioventù in azione» viene attuato principalmente in modo decentrato, al fine di collaborare quanto più strettamente possibile con i beneficiari del programma e adeguarlo alle specificità dei sistemi e delle condizioni in cui vivono i giovani dei diversi paesi. In ciascun paese partecipante viene designata un'agenzia nazionale con il compito di promuovere e realizzare il programma a livello nazionale e assicurare il collegamento tra la Commissione, gli organizzatori dei progetti a livello nazionale, regionale e locale e i giovani stessi.

2.7

I titolari di progetti che desiderano beneficiare di sovvenzioni sono tenuti a seguire la procedura di invito a presentare proposte stabilita e pubblicata dalle agenzie nazionali. Nell'ambito di tale procedura la Commissione effettua successivamente la selezione delle proposte ai fini dell'attribuzione delle sovvenzioni. Le decisioni in materia di selezione, rientrando tra le disposizioni di attuazione del programma, devono seguire una specifica procedura a livello interistituzionale.

2.8

Il Consiglio conferisce alla Commissione, negli atti che esso adotta, le competenze di esecuzione delle norme che esso stesso stabilisce e può subordinarne l'esercizio a certe condizioni, che vengono designate con il termine «comitatologia». Si tratta della consultazione obbligatoria di un comitato circa le disposizioni di attuazione stabilite dall'atto di base. La Commissione dispone già formalmente dei fondi previsti per quei progetti prima che le consultazioni giungano a conclusione. Il comitato che valuta i progetti è composto dai rappresentanti degli Stati membri ed è presieduto da un rappresentante della Commissione.

2.9

Esistono diversi tipi di procedure di comitatologia e l'atto di base che stabilisce le competenze di esecuzione della Commissione può contemplare l'applicazione di queste diverse procedure nell'esecuzione delle disposizioni di attuazione.

3.   Conclusioni — alla luce della nuova situazione

3.1

Il CESE accoglie con favore la presentazione, da parte della Commissione, dell'iniziativa in esame, volta a modificare sia la procedura di attribuzione delle sovvenzioni ai progetti sia la procedura di gestione del programma. Il diritto del Parlamento europeo di controllare l'applicazione degli atti giuridici adottati in codecisione, diritto che gli consente di contestare eventualmente le misure previste dalla Commissione, è un elemento che combina la responsabilità dei progetti con una valvola di sicurezza nella sfera della codecisione.

3.2

Prima dell'adozione formale da parte della Commissione, il Parlamento europeo ha a disposizione un mese per esaminare le misure proposte, che vengono a loro volta adottate dalla Commissione in base alle procedure previste dalla decisione del Consiglio.

3.3

La procedura di gestione utilizzata attualmente nel quadro del programma «Gioventù in azione» per il periodo 2007-2013 si applica a tutte le decisioni, sia quelle concernenti l'assegnazione di sovvenzioni d'importo elevato, i progetti politicamente sensibili e le sovvenzioni di importo superiore a 1 milione di euro, sia quelle riguardanti i progetti minori.

3.4

La Commissione propone che le decisioni relative ai progetti minori, d'importo inferiore a 1 milione di euro, non siano soggette alla procedura di comitatologia. In cambio essa si impegna a informare immediatamente il comitato del programma e il Parlamento europeo di tutte le decisioni in materia di selezione non sottoposte alla procedura di gestione. Il CESE appoggia pienamente la dichiarazione in questo senso rivolta al Consiglio e al Parlamento.

3.5

Il CESE è favorevole a questo scostamento dalla procedura attuale nel caso dei progetti minori, in quanto l'allungamento dei tempi di decisione, la considerevole durata del processo di valutazione dei progetti, la verifica dei dati da parte del comitato del programma e delle agenzie nazionali causano, nel migliore dei casi, dei ritardi e, nel peggiore dei casi, enormi problemi finanziari, il fallimento di parte delle organizzazioni che hanno richiesto le sovvenzioni o il mancato utilizzo dei fondi disponibili.

3.6

Alla luce dei dati statistici forniti dalle singole agenzie nazionali, il CESE rileva che la stragrande maggioranza dei richiedenti è costituita da piccole organizzazioni, associazioni e fondazioni, per le quali l'intera procedura e l'attesa dei risultati comportano un tale dispendio di tempo e di risorse che nel più lungo periodo si potrebbe osservare una diminuzione di interesse per il programma. I costi amministrativi del funzionamento del programma potrebbero in futuro incidere negativamente sul suo bilancio.

3.7

Il CESE condivide l'argomentazione della Commissione, che fornisce una valida valutazione della procedura di consultazione in tale contesto. I progetti vengono spesso realizzati a brevissima distanza dalla presentazione: un processo di consultazione che duri come minimo 2-3 mesi può quindi minacciare la realizzazione di molti progetti, il che influisce negativamente sull'efficacia del programma nel suo insieme.

3.8

Il CESE esprime inoltre soddisfazione per il fatto che il comitato del programma ha accettato di modificare il proprio regolamento interno per ridurre i tempi delle consultazioni per le decisioni in materia di selezione sottoposte alla procedura consultiva. D'ora in poi esso può ricorrere alla procedura scritta e dispone di 5 giorni per pronunciarsi sulle decisioni in materia di selezione su cui è stato consultato. Parallelamente il Parlamento europeo ha adottato una soluzione temporanea che ha ridotto i tempi del diritto di controllo durante il precedente periodo estivo, facendoli passare da un mese a cinque giorni. Tali soluzioni hanno consentito alla Commissione di accelerare i lavori per l'approvazione dei progetti da realizzare, ma vengono considerate soluzioni provvisorie.

3.9

Alla luce delle argomentazioni sopraccitate, l'attuale procedura di consultazione dovrebbe essere abolita e sostituita, sulla base della sopraccitata dichiarazione della Commissione, da una procedura di informazione immediata con cui la Commissione comunica al comitato del programma e al Parlamento europeo le decisioni in materia di selezione da essa adottate.

Bruxelles, 29 maggio 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


30.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 224/115


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la decisione n. 1720/2006/CE che istituisce un programma d'azione nel campo dell'apprendimento permanente

COM(2008) 61 def. — 2008/0025 (COD)

(2008/C 224/26)

Il Consiglio, in data 6 marzo 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la decisione n. 1720/2006/CE che istituisce un programma d'azione nel campo dell'apprendimento permanente.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 maggio 2008, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice unica LE NOUAIL MARLIÈRE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 maggio 2008, nel corso della 445a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 80 voti favorevoli, 1 voto contrario e nessuna astensione.

1.   Conclusioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) appoggia l'iniziativa, approva la proposta in esame e raccomanda alla Commissione europea di aggiungervi un riferimento esplicito al fatto che essa si impegna a informare immediatamente il comitato del programma e il Parlamento europeo delle decisioni prese ai sensi dell'articolo 9, paragrafo 1 bis, modificato della decisione n. 1720/2006/CE.

2.   Semplificazione delle procedure in materia di attribuzione delle sovvenzioni previste da diversi programmi pluriennali

2.1

La proposta in esame rientra tra le quattro proposte volte a rendere più flessibili le modalità in materia di attribuzione delle sovvenzioni di importo non elevato che erano state stabilite per quattro programmi pluriennali relativi al periodo 2007-2013, e più precisamente:

il programma «Gioventù in azione»,

il programma «Cultura»,

il programma «Europa per i cittadini» e

il programma d'azione integrato in esame, nel campo dell'apprendimento permanente.

2.2

Secondo le modalità in materia di comitatologia di cui all'articolo 202 del Trattato che istituisce la Comunità europea (di seguito denominato «Trattato CE»), il Consiglio conferisce alla Commissione, assistita da un comitato di programma composto esclusivamente da rappresentanti degli Stati membri e presieduto dalla Commissione, talune competenze di esecuzione delle norme che stabilisce in codecisione con il Parlamento europeo; dal canto suo, quest'ultimo è consultato in merito all'attuazione di tali atti legislativi adottati in codecisione. La Commissione constata però che, al momento di negoziare i quattro programmi, l'intenzione del legislatore era quella di sottoporre alla procedura di comitatologia (procedura di gestione con voto a maggioranza qualificata) solo le decisioni sull'attribuzione di sovvenzioni di importo elevato (superiore a 1 mio EUR per i progetti e le reti multilaterali) o che comportassero scelte politicamente delicate (cooperazione politica e innovazione).

2.3

La Commissione si era impegnata a informare senza indugio il comitato del programma e il Parlamento riguardo a tutte le decisioni di selezione che non sarebbero state sottoposte alla procedura di gestione. Tale accordo interistituzionale era stato oggetto di una dichiarazione della Commissione indirizzata al Consiglio e al Parlamento.

2.4

La volontà del legislatore non è stata poi recepita correttamente nella decisione n. 1720/2006/CE, da cui risulta che tutte le decisioni per la selezione e l'attribuzione delle sovvenzioni di importo non elevato sottostanno ormai alla procedura di consultazione prevista in materia di comitatologia.

2.5

La procedura di consultazione del comitato del programma e del Parlamento consiste nel sottoporre all'esame di detto comitato le decisioni riguardo alla selezione e nel tener conto dei suoi pareri, per poi informarne il Parlamento che deve notificare alla Commissione il proprio accordo. Questa procedura di consultazione e di scambio di risposte scritte produce gravi ritardi nell'attribuzione delle sovvenzioni e rischia di pregiudicare numerosi progetti e di ridurre notevolmente l'efficacia dei programmi annuali.

2.6

Finora sono stati raggiunti di volta in volta degli accordi ad hoc tra la Commissione, il comitato del programma e il Parlamento onde accelerare l'esame delle decisioni riguardo alla selezione da parte della Commissione ai fini dell'attribuzione delle sovvenzioni.

2.7

La Commissione ritiene tuttavia che non si possa continuare con queste soluzioni temporanee e propone di modificare le modalità adottate al momento di introdurre i programmi. Si tratterebbe di eliminare l'obbligo di sottoporre alla procedura di consultazione le decisioni per l'attribuzione di sovvenzioni di importo non elevato e di permettere alla Commissione di decidere in merito a tali attribuzioni senza ricorrere a un comitato, sostituendo la procedura attuale con una procedura di semplice informazione.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1

Le proposte formulate dovrebbero consentire di migliorare il funzionamento di quattro programmi pluriennali nel campo dell'istruzione, della gioventù e della cultura.

3.2

In alcuni precedenti pareri, il CESE aveva incoraggiato la Commissione a semplificare l'accesso ai programmi e alle sovvenzioni per gli organismi che presentano progetti e ad avere contatti più stretti con gli Stati membri in modo da incoraggiarli a consultare le organizzazioni pertinenti al momento della definizione degli orientamenti annuali, ad abbreviare i tempi di attribuzione delle sovvenzioni e a non ostacolare la realizzazione dei progetti, ad esempio con periodi di attesa talmente lunghi da rendere obsoleti gli studi di fattibilità condotti troppo tempo prima della realizzazione dei progetti.

4.   Osservazione di carattere particolare

In considerazione di quanto espresso ai punti 9, 11, 15 e 17 della relazione introduttiva alla decisione in esame, il CESE rileva che, in nome della trasparenza, della buona governance e dell'informazione del pubblico, è auspicabile che la Commissione dichiari ancora una volta il proprio impegno a informare immediatamente il comitato del programma e il Parlamento in merito alle decisioni da essa adottate ai sensi dell'articolo 9, paragrafo 1 bis, modificato della decisione n. 1720/2006/CE.

Il CESE raccomanda di modificare il nuovo articolo 9, paragrafo 1 bis, nel modo che segue: «(…) dette decisioni sono adottate senza l'assistenza di un comitato ed immediatamente trasmesse per informazione al comitato del programma e al Parlamento europeo».

Il CESE prende nota del fatto che la Commissione non propone questa integrazione perché ritiene che ciò modificherebbe la proposta in un senso non più perfettamente conforme alle modalità in materia di comitatologia di cui all'articolo 202 del Trattato CE, e che la relazione introduttiva alla decisione sia di per sé sufficiente ad esprimere il suo impegno al riguardo.

Bruxelles, 29 maggio 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


30.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 224/116


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Vantaggi e benefici dell'euro: l'ora del bilancio

(2008/C 224/27)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 settembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sui:

Vantaggi e benefici dell'euro: l'ora del bilancio.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 30 aprile 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore BURANI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 maggio 2008, nel corso della 445a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 130 voti favorevoli e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE ritiene utile, a dieci anni dall'introduzione della moneta unica, di fare un bilancio dei vantaggi e benefici apportati dall'euro ai cittadini e alle aziende, non tanto in termini economici e monetari — esercizio al quale si sono dedicati e si dedicano economisti, politici e commentatori dei mezzi di comunicazione — quanto dal punto di vista degli utilizzatori. In altri termini, un decennio di esperienze ha dimostrato che l'euro ha una sua validità e che la sua introduzione ha permesso all'Europa di essere presente sulla scena mondiale con una moneta prestigiosa e solida: ma quale è la percezione della moneta unica da parte degli utilizzatori?

1.2

Questo documento prende le mosse da una sintetica analisi dei vantaggi apportati dall'introduzione dell'euro: un panorama che presenta luci e anche ombre derivanti dalla congiuntura mondiale; si concentra quindi sui risultati delle periodiche indagini che Eurobarometro conduce fra i cittadini per accertare se, e in quale misura, i benefici conseguiti sono apprezzati dai cittadini dell'Europa.

1.3

I risultati sono positivi in molti paesi, ma in alcuni altri un'alta percentuale del campione intervistato ancora dichiara di trovare difficile usare la «nuova» moneta, calcola i prezzi nella vecchia moneta nazionale,imputa all'euro l'aumento dei prezzi, e solo per metà considera che, tutto sommato, l'adozione della moneta unica sia stato vantaggioso per la crescita economica. In sostanza, l'indagine porta alla constatazione che non sempre, e non in tutti i paesi, l'euro ha conseguito un soddisfacente successo fra il pubblico.

1.4

Una prima reazione a questi risultati potrebbe essere quella di mettere in causa l'obbiettività e la consapevolezza delle risposte:un approccio che il CESE respinge. Anziché compiacersi del successo occorre comprendere le ragioni profonde degli atteggiamenti negativi e chiedersi che cosa possa essere fatto per eliminare le ragioni, oggettive o soggettive, di insoddisfazione.

1.5

Le percezioni oggettivamente giustificate possono essere eliminate o attenuate con politiche o provvedimenti mirati, come è il caso di migliorati sistemi di pagamento (SEPA) o con adatte misure per contenere l'aumento dei prezzi, queste ultime necessariamente compatibili con i principi di libertà di mercato e della concorrenza.

1.6

Più difficile è il capitolo delle percezioni soggettive: occorre procedere nel massimo rispetto delle opinioni e domandarsi quali siano le ragioni profonde alla base degli atteggiamenti negativi. Una strategia di comunicazione è certamente necessaria, ma le modalità per realizzarla dovrebbero tener conto delle diverse sensibilità nazionali e sociali dei pubblici ai quali ci si indirizza.

1.7

L'indagine di Eurobarometro ha mostrato quali profonde differenze di atteggiamenti esistano nei diversi paesi membri: questo porta a respingere soluzioni basata su schemi standardizzati. Più in dettaglio, si sono rilevate ampie differenze di percezione a seconda degli strati sociali e dei livelli d'istruzione. Le strategie di comunicazione dovranno quindi essere mirate in modo da conseguire il massimo dei risultati con i mezzi impiegati.

1.8

È peraltro da sottolineare che una strategia di comunicazione dell'euro non è sufficiente per conseguire risultati ottimali: l'analisi che esso ha condotto porta a far credere con sufficiente evidenza che molto spesso l'euro è percepito come il simbolo dell'Europa: non è quindi l'euro di per sé ad essere l'oggetto di avversione quanto, per alcuni, l'idea stessa di «Europa». Il che porta a concludere che è necessario considerare la strategia di comunicazione dell'euro come parte di un disegno politico a lungo termine e di vasto respiro, che troverà compimento quando il sentimento di «Europa» sarà tanto interiorizzato dai cittadini da prevalere sull'euroscetticismo.

1.9

Il concetto di un'Europa intesa non soltanto come entità economica, ma anche politica e sociale è peraltro subordinato al progressivo raggiungimento di condizioni di vita ispirate all'equità, alla cooperazione ed alla pace sociale: un traguardo conseguibile soltanto mettendo il cittadino di fronte a fatti concreti. Nessuna campagna di comunicazione avrà successo se queste condizioni non saranno realizzate.

1.10

Il principale presupposto per una maggiore accettazione dell'euro sarebbe quindi una politica socioeconomica dell'UE che promuova occupazione e reddito e, allo stesso tempo, offra un adeguato regime di protezione sociale. I cittadini sarebbero quindi in grado di meglio apprezzare tangibilmente il progetto «Europa» e, di conseguenza, anche di accettare l'euro.

1.11

Il CESE è consapevole delle sue responsabilità e della sua missione: come espressione delle parti sociali é un'istituzione vicina ai cittadini, ai lavoratori ed agli operatori economici: Esso ritiene di dover collaborare in modo concreto alle iniziative che verranno decise, se necessario con azioni sul campo. Saranno di particolare utilità i collegamenti con gli analoghi organismi a livello nazionale e l'opera dei singoli membri del CESE nei confronti delle proprie organizzazioni di categoria, europee e nazionali.

2.   Premessa

2.1

A sei anni dall'introduzione dell'euro, il CESE ritiene utile tracciare un bilancio degli effetti che la nuova moneta ha avuto per i cittadini dei paesi che l'hanno adottata. Si tratta di un compito in apparenza facile dato che esiste in materia una ricca letteratura prodotta da numerosissime fonti: Commissione, BCE, PE, università, istituti di ricerca, stampa specializzata e non, studiosi e parti sociali.

2.2

Si ha peraltro l'impressione che la maggior parte degli scritti esistenti in materia siano il risultato di esperienze e punti di vista unilaterali, oppure frutto di conclusioni mediate fra opinioni diverse e talora contrastanti. Ora, con un approccio di questo tipo si rispettano le regole della democrazia, ma il fondo dei problemi rimane talora velato da sfumature dettate dalle opportunità e, troppo spesso, da posizioni interne a ciascuno Stato membro.

2.3

Il Comitato ritiene che un reale progresso si possa conseguire solo guardando alla realtà senza preconcetti: partendo dalla constatazione che l'euro ha conseguito, in linea generale, un successo incontestabile, occorre capire perchè esso è ancora oggetto di critiche da parte di settori più o meno ampi della pubblica opinione, ricercarne le ragioni e, quando possibile, proporre soluzioni. Non si pretende, con questo, di voler fare scoperte eclatanti né tanto meno di dare l'impressione di voler lanciare nuove campagne di opinione: lo scopo di questo documento è più modestamente quello di suscitare nuove discussioni su vecchi e ben noti problemi.

3.   Metodologia del lavoro

3.1

Il lavoro prende le mosse dall'enunciazione dei vantaggi dell'euro, sulla base delle risultanze già acquisite o delle opinioni «ufficiali» più comunemente accettate; prosegue con un'analisi critica di tali risultanze e opinioni raccolte con ricerche sul campo, concludendo con una propria analisi delle ragioni per le quali la nuova moneta ha ricevuto critiche o apprezzamenti meno che positivi. Le eventuali proposte sono, come si è detto, da intendere come premessa per ulteriori approfondimenti.

3.2

Il principale documento di consultazione è stato il Flash Eurobarometer n. 193, The eurozone, 5 years after the introduction of euro coins and banknotesAnalytical report del novembre 2006. Il sondaggio è stato effettuato dalla Gallup Organization, organizzata e diretta dall'Eurobarometro Team della DG ECFIN della Commissione. Sono state condotte interviste anche con persone qualificate dell'ultimo paese aderente all'euro, vale a dire la Slovenia (nel 2007), e di quelli che vi hanno aderito nel 2008 (Malta e Cipro). Si è evitato, di proposito, di interpellare fonti dei paesi non membri dell'eurozona, nella considerazione che nell'ottica della ricerca solo le esperienze dei diretti interessati sono significative.

3.3

Un complemento è costituito dall'indagine Eurobarometer del settembre 2007 (1) condotta nei nuovi paesi membri: in diversi casi si possono trarre utili riflessioni da un confronto fra le «esperienze» e le «aspettative».

4.   I vantaggi dell'euro, secondo le risultanze e le opinioni ufficiali

4.1

Secondo la letteratura di provenienza comunitaria e secondo i sostenitori della moneta unica, l'euro ha apportato una serie di benefici e di vantaggi, che qui vengono richiamati a titolo indicativo: l'elenco non è corredato dalle motivazioni, ormai bene conosciute, e omette le notazioni critiche, richiamate quando necessario nella parte riguardante le percezioni del cittadino.

4.2

L'elenco acritico dei vantaggi e benefici comprende:

l'identità europea: l'euro ne è il principale, e concreto, vettore,

l'euro è uno strumento di confronto dei prezzi internazionali ed un acceleratore della concorrenza,

l'eliminazione dei rischi di cambio e dei costi di transazione in valuta,

l'eliminazione della possibilità di utilizzare le svalutazioni della moneta come leva per azioni concorrenziali e/o di modulare le strategie commerciali su ipotesi di svalutazione,

una migliore protezione dei paesi dell'eurozona contro gli shock esterni,

l'euro ha concorso a moderare l'inflazione ed i tassi d'interesse, questi ultimi depurati in certa misura dai premi per rischio d'inflazione,

l'euro è fattore di crescita e di occupazione nell'ambito delle strategia di Lisbona,

un ruolo di primo piano dell'Europa in campo monetario e un'affermazione dell'euro come moneta di riserva,

l'euro è un fattore di stabilità nell'economia mondiale,

l'euro ha grandemente facilitato e reso meno costoso il turismo e gli spostamenti per lavoro, particolarmente all'interno dell'eurozona.

4.3

Accanto a questi vantaggi, raramente discussi a parte qualche attenuazione per renderli meno assiomatici, stanno gli aspetti talvolta controversi riguardanti i benefici di una moneta «forte».

4.4

E qui occorre chiarezza: una moneta forte procura vantaggi per taluni e svantaggi per altri, ma importante è la valutazione del beneficio netto per l'economia: un vantaggio che nel caso dell'euro non è in discussione. Si vorrebbe anche una moneta stabile, e l'euro lo è, nella misura in cui rappresenta un'economia che è stabile e in crescita; nonostante gli shock congiunturali; il suo valore esterno dipende da eventi i cui effetti possono essere contrastati — certamente non eliminati — con adeguate politiche economiche e monetarie.

5.   Vantaggi ed inconvenienti dell'euro, secondo le percezioni dei cittadini

5.1

L'euro come mezzo di pagamento in contanti. A sette anni dall'adozione dell'euro, è sorprendente che il 41 % del campione dichiari di incontrare «qualche difficoltà», o «gravi difficoltà», nell'utilizzarlo: una percentuale in graduale diminuzione, ma pur sempre significativa. L'indagine non precisa di quale tipo siano questi problemi; ma è lecito ritenere che l'attitudine negativa sia emotiva piuttosto che razionale, se si considera che una larga maggioranza (dal 93 % al 63 % a seconda dei paesi) dichiara di non avere problemi nel riconoscere le monete e le banconote. È probabile che coloro che dicono di incontrare delle difficoltà siano in misura significativa gli stessi che non hanno visto con favore l'avvento della moneta unica, e che appartengano in parte a classi sociali meno favorite. In ogni caso, statisticamente la risposta circa le difficoltà mal si concilia con quella riguardante l'utilizzo.

5.1.1

Questi dubbi sono rafforzati dal confronto con l'indagine nei nuovi paesi membri (NPM) del settembre 2007: circa i tre quarti degli intervistati aveva visto le banconote e monete in euro, e il 44 % le aveva usate. È difficilmente spiegabile come possa accadere che nei paesi dell'euro il 41 % di coloro che hanno una pratica decennale della moneta dichiari di avere difficoltà, quando questo non avviene nei NPM, ove il 44 % la usa (o l'ha usata), senza segnalare problemi.

5.1.2

Interventi di tipo puramente comunicativo non sarebbero tali da determinare cambiamenti negli atteggiamenti di questo tipo: se, come sembra, le eventuali difficoltà sono relativamente minori o minime, la linea da seguire dovrebbe essere quella di interventi mirati a livello nazionale. In questo contesto l'educazione, piuttosto che la comunicazione, svolge un ruolo determinante. Ma se fosse alla fine accertato che le pretese «difficoltà» non sono altro che la manifestazione surrettizia di un'avversione a tutto ciò che è «Europa», misure specifiche non avrebbero alcun risultato: un cambiamento di atteggiamento verso l'euro andrà di pari passo con la progressiva accettazione dell'idea europea.

5.2

L'euro: base di calcolo dei prezzi e fattore di decisione in materia di consumi. Un effetto previsto sin dall'inizio era che per lungo tempo ancora una certa parte della popolazione (più o meno rilevante a secondo dei paesi) avrebbe continuato a «pensare» nella moneta nazionale. Il sondaggio ha confermato la previsione: nel calcolare i prezzi, il 40 % circa dei consumatori fa ancora riferimento — sempre o «talvolta» — alla moneta nazionale, sia per gli acquisti quotidiani che per quelli di maggiore importanza.

5.2.1

In materia di decisioni sui consumi, rimane ancora alta (59 %) la percentuale di coloro che ritengono l'euro un deterrente, o un incentivo, alla spesa; ma il numero di coloro che considerano la moneta unica un elemento «neutro» va progressivamente aumentando (dal 31 % nel 2003 al 41 % nel 2007). Diminuiscono nel contempo le percentuali di coloro che dichiarano di acquistare meno per paura di spendere troppo (dal 39 al 33 %), mentre rimane stabile la percentuale di quelli che, al contrario, affermano di spendere troppo perchè non percepiscono il valore della moneta (26-25 %).

5.2.2

I due aspetti considerati — il riferimento alla moneta nazionale e l'euro come elemento «neutro» — non sono necessariamente correlati, né esiste un segnale che autorizzi a pensare che le due percentuali coincidenti (40 % circa) siano riferibili allo stesso gruppo.

5.3

L'utilità della doppia indicazione dei prezzi e le preferenze dei consumatori. Due diversi campioni, ai quali sono state poste due diverse domande e cioè, se sia utile la doppia indicazione e se tale indicazione sia desiderata dai consumatori, hanno dato risposte coincidenti: una maggioranza consistente (60 % circa) non ritiene questa misura né utile né necessaria una volta concluso un adeguato periodo transitorio. È da rilevare che la percentuale dei contrari alla doppia indicazione é aumentata progressivamente nel tempo: segno evidente che la moneta unica sta entrando (o è entrata, secondo le interpretazioni più favorevoli) nelle abitudini della vita quotidiana.

5.3.1

Le risposte date dai cittadini in materia di doppia indicazioni dei prezzi non sorprendono, se si considera il tempo trascorso dall'adozione dell'euro; ma questo aspetto deve essere tenuto in massima evidenza dai paesi di recente adesione alla moneta unica (Slovenia, Cipro e Malta) e da quelli che vi aderiranno prossimamente (paesi baltici e Slovacchia). L'indagine condotta da Eurobarometro nel novembre 2007 mostra che i timori di aumenti di prezzi conseguenti all'adozione dell'euro sono elevati; l'esperienza ha dimostrato che la doppia indicazione dei prezzi può costituire un utile deterrente a condizione che sia accompagnato da controlli e da misure dissuasive, cosa che non sempre si è verificata negli Stati della prima adesione. La Commissione ha recentemente preso posizione: ha prescritto che la doppia esposizione sia obbligatoria per sei mesi e che non debba portarsi oltre 1 anno.

5.4

Banconote e monete. Dal sondaggio sul gradimento degli attuali tagli delle banconote e dell'attuale gamma di monete emerge che, mentre per le prime non sembra necessario alcun intervento, una consistente percentuale degli intervistati (anche se variabile dall'80 % della Finlandia e della Germania al 33-35 % dell'Irlanda e dell'Italia) si dichiara favorevole — motivi di comodità e semplicità nei pagamenti — a ridurre la gamma delle monete, eliminando in pratica quelle da 1 e 2 centesimi. Dall'altra parte, la maggioranza teme che la soppressione delle monete di valore più basso possa contribuire all'aumento dei prezzi: un timore largamente diffuso anche nei paesi che auspicano a maggioranza la soppressione delle piccole monete.

5.4.1

L'esperienza ha dimostrato che buona parte degli aumenti nel commercio al dettaglio, intervenuti in concomitanza con l'adozione dell'euro o in tempi successivi, sono dovuti in gran parte agli arrotondamenti praticati sui prezzi convertiti in decimali inferiori ai 5. Questo artificio è stato attuato approfittando della scarsa vigilanza delle autorità e di quei consumatori che hanno considerato come trascurabile il valore delle «piccole» monete; il fenomeno è stato particolarmente avvertito nei paesi caratterizzati da una moneta nazionale a basso valore unitario (Italia, per esempio). Il CESE considera la soppressione delle monete da 1 e 2 centesimi come una misura del tutto sconsigliabile: a fronte della «comodità» evocata da taluni segmenti di mercato si pone una considerazione di interesse generale.

5.5

Una particolare attenzione merita il quesito relativo all'uso dell'euro per i pagamenti dei viaggiatori fuori della zona dell'euro. Una media superiore al 50 % ha risposto di avere utilizzato l'euro, in maggiore o minore misura, nei suoi viaggi nei paesi extra-euro; le percentuali mostrano peraltro una varianza notevole da paese a paese, dal 72 % dei greci al 38 % dei finlandesi. Ci si può rallegrare del fatto che la moneta unica, grazie al suo prestigio ed al numero degli utilizzatori, risulti bene accolta in molti paesi a vocazione turistica.

5.5.1

Tuttavia, un'elementare cautela consiglierebbe di fare un confronto fra la comodità di non dover acquistare valuta per i viaggi all'estero e il suo costo: una verifica sul campo dimostra che nella maggior parte dei casi il cambio dell'euro praticato dal commercio nei paesi terzi a moneta «forte» è spesso di gran lunga superiore al cambio ufficiale. Questo aspetto non è stato messo in evidenza dall'indagine, né è stato evocato dagli intervistati: segno evidente che l'onerosità del cambio è considerata secondaria o non è stata avvertita.

5.6

Il capitolo riguardante l'uso corrente della moneta unica conclude con la domanda chiave: globalmente, qual è la valutazione dell'euro da parte dei cittadini? Procura più vantaggi o più svantaggi? L'analisi delle risposte a questo quesito diventa di importanza capitale per le future strategie in materia di comunicazione, ma non solo: implica la necessità di riflettere sulle politiche comunitarie dell'euro, nonché sulle relazioni dei governi nazionali con i loro cittadini.

5.6.1

La percentuale di cittadini che stimano vantaggiosa l'adozione dell'euro era, secondo l'ultima rilevazione, del 48 %, un calo notevole rispetto alle rilevazioni del settembre 2002 (59 %), ma ancor più significativo — e preoccupante — se si considera che la tendenza è progressiva e costante nel tempo. A fronte di una piccola percentuale, stabile, di coloro che ritengono ininfluente il passaggio alla nuova moneta (7-8 %) si pone il progressivo aumento del parere opposto (dal 29 al 38 %).

5.6.2

L'analisi delle risposte positive per paese vede ai primi posti l'Irlanda (75 %), la Finlandia (65 %) e il Lussemburgo (64 %), vale a dire paesi che godono di una crescita economica notevole; la prevalenza di risposte negative appartiene invece in primo luogo all'Italia (48 %), seguita dalla Grecia (46 %) e dalla Germania (44 %); appena sopra la media risulta la Francia (51 %). Va quindi presa con cautela la tentazione di stabilire una correlazione diretta fra la valutazione positiva dell'euro e la crescita economica: se infatti da un lato è vero che fra i paesi più favorevoli figurano quelli con una crescita soddisfacente e tra quelli più negativi i paesi di segno opposto (Italia e Grecia) è anche vero dall'altra che i due maggiori paesi dell'eurozona, Germania e Francia, hanno al tempo stesso una crescita favorevole e opinioni relativamente negative.

5.6.2.1

Il CESE ritiene che questa domanda costituisca la chiave di volta dell'intera indagine: come già accennato al precedente punto 5.1.1, occorrerebbe indagare se esiste, e in quale misura, una correlazione fra il gradimento dell'euro come moneta e l'accettazione dell'Unione europea; altra correlazione potrebbe esistere con la congiuntura, che semplicisticamente verrebbe identificata con l'euro. In altri termini, è possibile che esista, nella valutazione dell'euro come moneta, una componente emotiva o ideologica che nulla ha a che fare con la moneta come tale.

5.6.3

Le ragioni di una crescita economica modesta sono molteplici, spesso concomitanti e interagenti: oltre a quelle relative alla moneta (tassi di inflazione, di cambio e di interesse) vi concorrono la produttività, la competitività, il livello dei salari, i consumi, la bilancia dei pagamenti, la pace sociale, il disavanzo pubblico e altro ancora. La materia è complessa, oggetto di dibattito fra politici, economisti e parti sociali; il cittadino medio, invece, tende a semplificare, appuntando l'attenzione sull'elemento concreto che riguarda da vicino la sua vita di ogni giorno, e cioè il denaro.

5.6.4

Negli ambienti specialistici esiste la tendenza ad imputare la debole crescita economica alla politica monetaria, colpevole secondo una parte degli studiosi e dei partiti politici di una carente resistenza al rialzo dei tassi di cambio e di non favorire a sufficienza la crescita e l'occupazione con un'opportuna manovra dei tassi d'interesse. Non è questa la sede per aprire il dibattito; ma, anche in questo caso, l'opinione pubblica percepisce l'euro come la radice dei problemi.

5.6.5

Le critiche all'euro, particolarmente evidenti nei paesi a bassa crescita, si manifestano in una certa misura anche nei paesi a crescita più alta; in questi ultimi, peraltro, l'opposizione è accentuata dal fatto che già prima della sua adozione certi strati dell'opinione pubblica manifestavano una reticenza ad abbandonare la loro moneta, forte e prestigiosa, simbolo per essi del prestigio e dell'identità nazionale. D'altra parte, questi motivi sono ancor oggi evocati nei paesi che hanno scelto di non entrare nell'euro.

5.7

L'analisi dei pareri favorevoli all'euro fornisce una prova evidente della fondatezza delle ipotesi di cui ai punti 5.6.3 e 5.6.4 (2), le categorie più favorevoli sono quelle che le analisi socio-demografiche classificano come le più informate: gli uomini più delle donne, gli indipendenti e gli impiegati più dei lavoratori manuali e dei disoccupati, i giovani più degli anziani, gli abitanti dei centri urbani più di quelli delle campagne, i cittadini con un titolo di studio più di quelli con basso livello di istruzione. Migliore informazione significa maggiore maturità e capacità critica.

5.7.1

Sarebbe semplicistico pensare che la comunicazione da sola possa superare l'avversione all'euro, ma comunque ogni decisione deve essere peraltro valutata alla luce della situazione individuale di ciascun paese. Vi sono paesi ove l'informazione è fin troppo efficace, ma spesso con un'impostazione critica: i partiti politici, e talora i governi, hanno un peso determinante nella formazione dell'opinione pubblica. Non si tratta di disinformazione, ma di una comunicazione basata su convinzioni che democraticamente devono essere rispettate. Ma, d'altra parte, si ha l'impressione che la maggioranza di «favorevoli» dovrebbe mettere in atto una convinta, robusta e più esplicita difesa dell'euro.

5.7.2

Tuttavia, un'opera di sostegno all'euro basata prevalentemente su motivazioni politiche, economiche o monetarie avrebbe probabilmente una debole presa sull'opinione pubblica: si possono guadagnare maggiori consensi ricordando, e sottolineando, gli aspetti pratici più vicini ai bisogni del cittadino. Questo tipo di comunicazione è certamente il più adatto ad essere assorbito dai destinatari: riguarda la vita quotidiana di ognuno, senza bisogno di richiami a principi astratti. In altre parole, un approccio a carattere semplice — ma non semplicistico. Gli organismi ufficiali sono i meno adatti per diffondere questo tipo di comunicazione: è dunque molto meglio ricorrere, sensibilizzandoli, agli operatori economici ed alle parti sociali, più vicini al cittadino e certamente più convincenti.

5.7.3

Esaminando le motivazioni favorevoli sugli aspetti pratici, si vede in primo luogo citato il turismo: viaggi all'estero più facili e più economici (particolarmente nell'Eurozona, ma anche in paesi terzi); a questo si aggiunge la possibilità di un confronto dei prezzi  (3). È su questo «plus», e in particolare sull'assenza di oneri di cambio e sulla certezza degli importi addebitati, che potrebbero puntare le agenzie turistiche e immobiliari, gli operatori del turismo in genere e gli emittenti di carte di pagamento. Il settore finanziario ricopre un ruolo importante: le più recenti evoluzioni in materia di trasferimenti di fondi (SEPA) rendono i pagamenti nell'area euro sicuri, veloci ed esenti da spese quanto i trasferimenti domestici. Occorrerà peraltro un'opera di attento controllo da parte delle autorità di vigilanza per accertare la rigorosa osservanza delle regole da parte del settore finanziario.

5.7.4

Meno evidente, a prima vista, è puntare sul terzo motivo (in ordine d'importanza) citato dai sostenitori dell'euro, e cioè il rafforzato prestigio dell'Europa; l'argomento, di carattere generale e teorico, rientra in un'azione di ampio respiro e di carattere generale.

5.8

Di ancor maggior interesse risulta l'esame delle critiche nei confronti dell'euro. La stragrande maggioranza dei cittadini (81 % nel 2006, in costante aumento) lo ritiene responsabile dell'aumento dei prezzi. Questo atteggiamento è nato ancor prima che la moneta unica entrasse in vigore: già allora si temeva che le aziende fornitrici di beni e servizi — e il commercio in particolare — avrebbero approfittato della conversione dalla moneta nazionale per effettuare arrotondamenti e aumenti illeciti. La Commissione assicurò che questo non sarebbe avvenuto; i governi, da parte loro, contribuirono promuovendo accordi con il commercio; le associazioni dei consumatori raccomandarono vigilanza.

5.8.1

Quel che avvenne in concreto appartiene ormai alla storia recente: in alcuni paesi gli accordi furono rispettati (e il CESE ritiene che il caso dell'Austria debba essere citato come esemplare) in altri meno e in altri ancora quasi per niente. Non è questa la sede, né il momento, di aprire un dibattito sulle responsabilità; rimane la constatazione che in molti paesi gli aumenti dei prezzi sono iniziati proprio con il passaggio all'euro. Di qui la sensazione nell'opinione pubblica che l'aumento dei prezzi sia stato «generato» dall'euro, un sentimento che tuttora permane e diventa sempre più radicato in assenza di una comunicazione che rimetta la questione nei suoi giusti termini: l'euro ha costituito una buona occasione di guadagno per alcuni, ma intrinsecamente è, e rimane, uno strumento «neutro». Un tentativo di comunicazione di questo genere non è stato fatto, o lo è stato in maniera piuttosto debole.

5.8.2

Gli aumenti che sono intervenuti in tempi successivi non hanno più nulla a che fare con l'euro: una volta introdotta e consolidata nell'uso, la moneta è la misura delle evoluzioni del mercato, non la loro causa. È ininfluente, in questo ambito, ogni considerazione riguardante l'inflazione, i rapporti di cambio, le speculazioni: essi avrebbero riguardato in ogni caso anche ogni singola moneta nazionale, magari addirittura in misura maggiore di quanto si è verificato per l'euro. Su questo punto — e su quello evocato al paragrafo precedente — si deve fare chiarezza una volta per tutte. Occorre quindi che questo argomento, fondamentale per combattere lo scetticismo e l'avversione che ancora circondano l'euro, sia dibattuto e diventi la punta di lancia di una comunicazione che coinvolga le parti sociali, i governi e la Commissione.

5.8.3

Un altro argomento, collegato in qualche modo al precedente, è quello della convergenza dei prezzi, e cioè l'affermazione che l'euro avrebbe contribuito ad una sensibile convergenza dei prezzi nell'eurozona grazie alla concorrenza che si sarebbe stabilita fra i vari paesi ed alle pressioni dei consumatori, finalmente in grado di effettuare confronti. Questo assunto faceva parte della campagna che ha preceduto il lancio dell'euro: ne era uno dei punti di forza. La campagna era peraltro suscettibile di provocare aspettative eccessive: non precisava infatti i limiti della convergenza. Non si era precisato, infatti, che la convergenza non avrebbe riguardato le merci e i servizi prodotti e consumati localmente: la parte di spesa di gran lunga più importante e più direttamente percepita dal consumatore.

5.8.4

Il sondaggio sembra confermare questa percezione: il 68 % del campione ritiene che l'euro non abbia contribuito alla convergenza dei prezzi (45 %) o «non sa» (23 %); il 32 % afferma il contrario. Manca peraltro in questa parte di indagine una conoscenza fondamentale: non è dato sapere se la risposta è di tipo intuitivo o emotivo, oppure basata su esperienze dirette (viaggi all'estero, acquisti transfrontalieri). Nell'azione di comunicazione occorrerà ridimensionare le aspettative di convergenza dei prezzi, spiegando le ragioni che ne limitano la portata. Sarebbe utile sottolineare, inoltre, che la mancata o ridotta convergenza in settori diversi dalle merci e servizi «locali» dipende da fattori del tutto estranei alla moneta unica: legge della domanda e dell'offerta, costo dei trasporti, fiscalità. In breve, l'euro ha contribuito alla convergenza dei prezzi laddove era possibile, ma un differenziale nei prezzi continuerà ad esistere, così come è il caso negli Stati Uniti, un paese nel quale la moneta unica esiste da sempre.

6.   Gli aspetti politici

6.1

La grande maggioranza (75 %) degli intervistati ritiene che l'euro abbia un ruolo importante come moneta internazionale, ma una percentuale molto inferiore risulta interessata al tasso di cambio, pur avendo, in generale, una qualche nozione dell'apprezzamento della moneta europea nei confronti del dollaro. Per contro, una percentuale quasi identica, se non superiore (78 %) ritiene che l'euro non abbia avuto nessun impatto sul fatto di sentirsi più o meno europei. L'analisi delle risposte per paese offre motivi di riflessione, pur se con qualche perplessità. I paesi nei quali l'euro è ritenuto importante per la percezione dell'identità europea sono l'Irlanda (56 %), seguita a distanza dall'Italia (28 %) e dal Lussemburgo (19 %); le percentuali minori si riscontrano in Olanda, Grecia, Germania e Austria (10-14 %).

6.1.1

Si potrebbe tentare una spiegazione, valida però solo per alcuni paesi, osservando che fra coloro che hanno una migliore opinione dell'euro come fattore dell'identità europea si trova l'Italia, la cui moneta nazionale aveva conosciuto serie vicissitudini, mentre tra quelli che hanno un'opinione peggiore è la Germania, fiera della propria moneta, forte e stabile. Per altri possono giocare motivi e percezioni diverse: disinformazione, indifferenza, minore attaccamento all'idea di un'Europa emittente di una moneta prestigiosa. Quest'ultimo aspetto sembra trovare conferma in un dato per certi aspetti sorprendente: in tutti i paesi, compresi quelli che hanno un'opinione favorevole dell'euro, una grande maggioranza del campione ritiene che l'euro non abbia cambiato nulla nella percezione dell'identità europea.

6.1.2

Occorre prendere atto che, a distanza di anni dalla sua adozione e pur avendo dimostrato la sua validità sul piano internazionale, l'euro non sembra aver progredito in misura determinante nel ruolo di fattore e simbolo dell'identità europea. Trattandosi di sentimenti fondati su un'ampia gamma di percezioni individuali, non si ritiene possibile immaginare su questo aspetto campagne specifiche rivolte a far cambiare opinione ai cittadini: un rivolgimento potrà intervenire soltanto gradualmente rimuovendo i motivi che sono alla base di questi sentimenti. In altri termini, l'euro diverrà un simbolo dell'identità europea solo quando i cittadini avranno interiorizzato la consapevolezza di essere «europei».

6.2

Viene a portare un motivo di ottimismo la risposta alla domanda se ci si aspetti o meno un'estensione della zona euro ai nuovi paesi membri: una percentuale vicina all'80 % ritiene la cosa certa o probabile, con una maggioranza trasversale per tutti i paesi. Il CESE vede in questa risposta un segno di fiducia nel potere di attrazione dell'euro, un'attrazione che non esisterebbe se veramente l'euro fosse considerato come politicamente debole e portatore di conseguenze negative.

7.   Coordinamento delle politiche economiche e patto di stabilità

7.1

Su questi argomenti, che costituiscono la parte fondamentale ed a carattere più strettamente concettuale, occorrerebbe aprire un capitolo a parte, facendone oggetto di una trattazione separata. Il CESE, d'altra parte, ha dedicato a questi aspetti numerosi pareri e si riserva di ritornare prossimamente in argomento. Qui basterà notare che circa la metà degli intervistati si dichiara al corrente del fatto che le politiche economiche sono coordinate a livello comunitario, ma la maggioranza di essi ritiene che tale coordinamento non sia oggetto di sufficiente attenzione. L'analisi per paese mostra tuttavia che tanto il livello di conoscenza quanto le valutazioni che ne conseguono sono soggette ad una notevole varianza a seconda dei paesi. Colpisce l'obiettività con la quale gli intervistati giudicano la situazione dell'economia del proprio paese: i cittadini dei paesi in una buona situazione economica ne sono al corrente, e all'inverso quelli dei paesi più in difficoltà non esitano ad ammetterlo.

7.2

Con riferimento al patto di stabilità, il grado di conoscenza, e le differenze a livello nazionale, sono all'incirca in parallelo con quelle della conoscenza delle politiche economiche; i tre quarti degli intervistati sono comunque d'accordo sul fatto che il patto di stabilità garantisce un euro forte e stabile. Sintomatico è notare che le più alte percentuali di dissenzienti appartengono ai paesi che maggiormente risentono di un aumento dei prezzi, implicitamente attribuendolo all'euro.

7.3

Secondo il sondaggio sembrerebbe quindi diffusa la convinzione che siano da attribuire all'euro le cause (e talora gli aspetti positivi) della situazione economica e dell'andamento dei prezzi in ciascun paese, e questo secondo la particolare ottica (nazionale) di ciascuno. Occorrerebbe mettere in risalto che l'economia del complesso dell'eurozona protegge la moneta dagli shock che colpirebbero ogni paese individualmente con maggiore incidenza, ogni cittadino dovrebbe porsi la domanda di come sarebbe stata la situazione del proprio paese qualora non fosse esistita la moneta unica: quale economia nazionale avrebbe potuto, da sola, far fronte agli eventi esterni che si sono manifestati negli ultimi anni e che, in prospettiva, potranno ancora colpire l'economia mondiale?

8.   I nuovi paesi membri (NPM)

8.1

Non è possibile riunire in un solo documento le considerazioni analitiche riguardanti i paesi dell'euro e gli 11 NPM, fra i quali tre di recentissima adesione e altri con prospettive di adesione a più o meno breve termine. Tuttavia, l'esame delle risposte ad alcune domande «chiave» dell'indagine del settembre 2007 può fornire materia di utili riflessioni per le future politiche di accettazione della moneta unica.

8.2

L'indagine sulle opinioni circa le conseguenze dell'adozione dell'euro a livello nazionale fa risultare una percentuale (53 %) di cittadini con atteggiamento positivo, contro un 33 % di contrari e 15 % di «non so» (4). La domanda riguardante l'adozione dell'euro in generale ha dato un risultato medio abbastanza simile. In un caso e nell'altro, la percentuale di «favorevoli» e di «contrari» mostra un'ampia varianza fra i diversi paesi: i «contrari» vanno dal 55 % della Lettonia al 18 % della Romania; in generale l'atteggiamento negativo è più marcato nei paesi con minore tasso di popolazione.

8.2.1

Il confronto di questi dati con quelli riguardanti i paesi dell'euro (cfr. punto 5.6) mostra una percentuale inferiore di «favorevoli» in questi ultimi: un dato che il CESE considera con una certa perplessità, ma che, semmai fosse realmente aderente alla realtà, sarebbe probabilmente da attribuire ad una generica insoddisfazione nei confronti dell'Unione europea piuttosto che ad una specifica avversione alla moneta unica (cfr. punto 5.6.2).

8.3

L'incognita che agli occhi dei consumatori assume maggiore importanza è quello dell'effetto dell'introduzione dell'euro sui prezzi: i tre quarti degli intervistati temono un aumento, contro un 11 % che ritengono l'euro un elemento neutro e un 6 % che si attende un ribasso. Questo dato va confrontato con quello riguardante i paesi della zona euro (cfr. punto 5.1), ove una percentuale superiore all'80 % attribuisce gli aumenti alla moneta unica: si dovrebbe concludere che l'esperienza conferma i timori di coloro che ancora non l'hanno adottata. Ma un'affermazione del genere sarebbe semplicistica oltre che fuorviante: un aumento dei prezzi si è verificatoe si verifica tuttorain tutti i paesi europei e nel mondo intero. Sarebbe interessante condurre un'indagine negli altri paesi per sapere a quale causa — in assenza dell'euro — gli aumenti dei prezzi vengono attribuiti.

8.4

Le risposte alla domanda riguardante gli effetti positivi dell'adozione dell'euro dicono che la grande maggioranza del campione intervistato si attende che la moneta unica sarà un utile mezzo di pagamento per i viaggi all'estero, faciliterà gli acquisti negli altri paesi, renderà più facile il confronto dei prezzi ed eliminerà le spese di cambio di valuta; più attenuata la percentuale di coloro che ritengono che l'euro metterà il loro paese al riparo delle crisi internazionali. Tutte queste aspettative corrispondono ai vantaggi percepiti da coloro che l'euro l'hanno già adottato, prova che — anche per i detrattori più accaniti — le attese non sono state deluse.

8.5

Temi di meno immediata percezione ricevono risposte positive meno decise, con un'elevata percentuale di coloro che «non sanno»: segno evidente che di fronte a problemi di meno immediata percezione i cittadini diventano più cauti o addirittura non rispondono. Visti in questa ottica, i risultati sono più che positivi: il 66 % ritiene che l'euro rafforzerà la posizione dell'Europa nel mondo e circa la metà pensa che esso assicurerà la stabilità dei prezzi, favorirà la crescita e l'occupazione, assicurerà una sana finanza pubblica. La domanda riguardante tassi d'interesse più bassi riceve invece risposte più sfumate: solo un terzo dà una risposta positiva, mentre i contrari e gli indecisi si ripartiscono equamente gli altri due terzi.

8.6

La domanda chiave di valore «politico» riguarda la percezione dell'euro come fattore di creazione di una coscienza europea. Il 53 % del campione ha risposto in modo affermativo, contro il 35 % di negativi; il dato è di per sé confortante, ma lo è ancor più se si considera che nel 2004 le risposte erano positive per il 47 % e quelle negative il 45 %. Se si confrontano questi dati con i risultati dell'euro dell'indagine nei paesi euro (cfr. punto 6.1), vi è di che interrogarsi: più dei tre quarti di questi ultimi dichiara che l'euro non ha cambiato nulla nella percezione dell'identità europea.

9.   Considerazioni conclusive

9.1

Le indagini condotte da Eurobarometro hanno il merito di sondare gli atteggiamenti dei cittadini nei confronti dell'euro, sorvegliandone l'evoluzione del tempo; sui singoli aspetti le valutazioni possono essere di volta in volta differenti, ma misure isolate per correggere certe tendenze potrebbero rivelarsi insufficienti — se non controproducenti — se si perdesse di vista il valore politico complessivo di un'operazione che un autorevole politico ha chiamato, con una felice intuizione, «la diplomazia dell'euro».

9.2

Non vi è dubbio che una consistente parte dell'opinione pubblica — sia nei paesi euro che nei NPM — nutra ancora consistenti riserve nei confronti della moneta unica, ma l'impressione che si ricava dal tenore complessivo delle risposte ai singoli quesiti è che molto spesso le risposte negative celano una resistenza all'idea europea. In altri termini, non è l'euro di per sé che è in causa, ma piuttosto quello che l'euro rappresenta agli occhi dei cittadini: una costruzione politica non assimilata, se non avversata, che si estrinseca con una moneta «imposta» dall'alto.

9.3

Le cause dei sentimenti avversi all'idea europea — ad all'euro come suo simbolo concreto — sono molteplici: tra le altre vi è anche il fatto che, nonostante le posizioni ufficiali dei governi, vi sono in ogni paese movimenti politici e parte dei mezzi d'informazione che si oppongono al progetto europeo. Non è raro il caso che siano talvolta i governi stessi che difendono misure necessariamente impopolari imputandole alla moneta unica o alle regole che ne sono alla base. É difficile dire quanto tali atteggiamenti siano realmente dovuti a sentimenti avversi oppure a semplice opportunismo, ma il risultato è che nessuna politica «europea» può essere praticata se essa non è interiorizzata da chi esercita un potere: governi, partiti politici, mezzi d'informazione.

9.4

La società civile organizzata riveste un ruolo determinante in questa strategia: essa è una forza trasversale che ha il vantaggio di essere a diretto contatto con i cittadini. Essa può esercitare una pressione dal basso verso i poteri e nel contempo una pressione dall'alto nei confronti dei cittadini: una posizione privilegiata e nel contempo densa di responsabilità, che può raggiungere frutti solo realizzando un'unità d'intenti al di là delle posizioni politiche e delle appartenenze nazionali. Il CESE è l'unica istituzione europea che risponde a queste caratteristiche ed è seriamente intenzionato a svolgere con convinzione il suo ruolo in collaborazione con la Commissione e con le parti sociali dei paesi membri.

9.5

Non mancano gli argomenti sui quali puntare per un'opera di avvicinamento all'euro e nel contempo all'idea europea: il peso economico della zona euro, gli investimenti di tutto il mondo nella moneta unica e la sua progressiva adozione come moneta di riserva, la difesa contro le turbolenze finanziarie, la stabilità dei prezzi e il suo contributo alla salvaguardia del potere d'acquisto. Alle obiezioni è possibile rispondere con una domanda: si chieda ciascuno che cosa sarebbe avvenuto nel proprio paese qualora la moneta nazionale fosse stata lasciata sola di fronte alle turbolenze del passato, quelle presenti e le non impossibili crisi del futuro.

9.6

Il principale presupposto per una maggiore accettazione dell'euro sarebbe in ogni caso una politica socioeconomica dell'UE che promuova occupazione e reddito e, allo stesso tempo, offra un adeguato regime di protezione sociale. I cittadini sarebbero quindi in grado di meglio apprezzare tangibilmente il progetto «Europa» e, di conseguenza, anche di accettare l'euro.

Bruxelles, 29 maggio 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Introduction of the euro in the new member States, Flash Eurobarometer 207, the Gallup Organization, October 2007.

(2)  In mancanza di analisi socio-demografiche specifiche per paese, non è possibile commentare le ipotesi di cui al punto 5.6.4.

(3)  Questo motivo, citato dal 30 % degli intervistati, è probabilmente da riferire al mercato nazionale, ma può essere esteso per analogia all'eurozona.

(4)  Il totale diverso da 100 è dovuto agli arrotondamenti.


30.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 224/124


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto per quanto riguarda il trattamento dei servizi assicurativi e finanziari

COM(2007) 747 def. — 2007/0267 (CNS)

(2008/C 224/28)

Il Consiglio, in data 18 dicembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto per quanto riguarda il trattamento dei servizi assicurativi e finanziari.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 30 aprile 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore ROBYNS DE SCHNEIDAUER.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 maggio 2008, nel corso della 445a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 98 voti favorevoli, nessun voto contrario e 3 astensioni.

Conclusioni e raccomandazioni

1)

Il CESE approva gli sforzi compiuti dalla Commissione per adattare alle esigenze del mercato unico le norme IVA sui servizi assicurativi e finanziari. In particolare il CESE apprezza, a tale proposito, la cooperazione con le parti direttamente interessate (1) e la consultazione pubblica realizzata in Internet. Tuttavia, per le future revisioni del regime dell'IVA, il CESE raccomanda il coinvolgimento diretto di tutte le parti interessate al processo legislativo.

2)

Il CESE concorda sul fatto che le proposte rappresentano una tappa importante verso un quadro IVA moderno e più competitivo per i servizi finanziari ed i servizi d'assicurazione. Il CESE apprezzerebbe tuttavia un approccio legislativo più approfondito per eliminare le difficoltà d'interpretazione che ancora sussistono ed i problemi in sospeso. Non si sottolinerà mai abbastanza la necessità per la Commissione europea di agire con una grande prudenza quando elabora una legislazione in materia di IVA sui servizi assicurativi e sui servizi finanziari. Gli interessi di questi due settori e dei loro clienti, in particolare i consumatori privati, non devono essere messi in pericolo. Oltre al fatto che si tratta di due settori essenziali per il buon funzionamento dell'economia e generatori di posti di lavoro per molti cittadini europei, è anche una materia molto tecnica per la quale nulla dovrebbe essere lasciato al caso. Dato che tra le preoccupazioni principali si annoverano la certezza del diritto e la riduzione degli oneri amministrativi per gli operatori economici e le autorità fiscali nazionali, il significato della formulazione non dovrebbe lasciare adito a dubbi.

3)

Quanto alla questione della neutralità dell'IVA, il CESE si rallegra dell'introduzione di meccanismi di ripartizione dei costi e dell'ampliamento dell'opzione per la tassazione. Se questi strumenti sono correttamente formulati ed attuati, il CESE è convinto che essi ridurranno l'incidenza dell'IVA occulta sui costi dei prestatori di servizi d'assicurazione e finanziari. Ciò migliorerà non soltanto l'efficienza e la competitività del settore, ma si ripercuoterà positivamente sulla disponibilità dei servizi grazie a fornitori specializzati e sul mantenimento dei posti di lavoro in Europa. Tuttavia, essendo lo scopo quello di garantire la neutralità dell'IVA e condizioni uniformi per i settori finanziario e assicurativo, rimangano da affrontare un certo numero di sfide. Occorre in particolare fornire precisazioni e definizioni più solide per molte esenzioni e concetti, come il carattere specifico ed essenziale del servizio esente e la portata dell'esenzione dell'intermediazione. Una soluzione accettabile consisterebbe nell'estendere al più grande numero possibile di operatori il campo di applicazione delle disposizioni relative alla ripartizione dei costi, ed evitare divergenze inopportune tra Stati membri per quanto riguarda l'applicazione dell'opzione per la tassazione. Infine, occorre studiare i modi per evitare che l'IVA si aggiunga ad altre imposte analoghe per servizi soggetti a imposte nazionali specifiche, in particolare le imposte sui premi assicurativi, e che sarebbero soggetti anche all'IVA se il prestatore di questi servizi scegliesse l'opzione per la tassazione. Se così non fosse, gli interessi dei consumatori sarebbero minacciati.

Motivazione

1.   Migliorare la competitività del mercato unico dei servizi assicurativi e finanziari (2)

1.1

Ai sensi della legislazione attuale in materia di IVA, i clienti non pagano IVA sulla maggior parte dei servizi finanziari e assicurativi. Questa situazione crea tuttavia ostacoli inutili alla realizzazione di un mercato unico dei servizi d'assicurazione e finanziari integrato, aperto, efficace e competitivo. Si pongono due problemi fondamentali (3).

1.2

Il primo problema è che le definizioni, ai fini dell'IVA, dei servizi assicurativi e dei servizi finanziari esenti sono obsolete. Non esiste inoltre alcuna delimitazione chiara tra le forniture esenti e quelle imponibili, né un metodo accettato in tutta la Comunità per determinare l'IVA a monte recuperabile. Quindi l'esenzione non è applicata uniformemente dagli Stati membri. Di conseguenza, è aumentato sensibilmente questi ultimi anni il numero di cause sottoposte alla Corte di giustizia delle Comunità europee (CGE). Occorre dunque colmare questo vuoto legislativo e chiarire le norme che disciplinano l'esenzione IVA applicabile ai servizi assicurativi e ai servizi finanziari. La Commissione è anche nel giusto quando pensa di tener conto anche dei futuri sviluppi del settore dei servizi finanziari.

1.3

Il secondo problema è l'assenza di neutralità dell'IVA. I prestatori dei servizi finanziari e assicurativi non sono generalmente in grado di recuperare l'IVA versata sulle merci e i servizi che hanno comperato per far funzionare la loro impresa (IVA a monte). Vi è qui una differenza rispetto alle imprese non finanziarie, per le quali l'IVA a monte non costituisce un costo, bensì un'imposta che riscuotono dai consumatori (da cui il nome di «imposta sul consumo»), che trasferiscono in seguito allo Stato, e che non influenza dunque i loro redditi. Mentre l'IVA è una fonte importante di entrate per le amministrazioni fiscali degli Stati membri, le imprese soffrono per l'effetto cascata. L'IVA non recuperabile «occulta» diventa una componente di costo dei servizi finanziari e assicurativi offerti e, in ultima analisi, va ad aumentare il prezzo dei beni e dei servizi per i consumatori in generale (4).

1.4

Nel quadro di una tendenza generale all'integrazione dei mercati finanziari europei e della corsa mondiale all'efficienza e alla competitività, le società finanziarie e le compagnie assicurative adottano nuovi modelli d'impresa. Ciò permette loro di centralizzare o esternalizzare funzioni amministrative interne (back-office) cruciali e funzioni di sostegno verso i cosiddetti «centri d'eccellenza», che eseguono questi compiti in modo orizzontale per gruppi di operatori. Questi modelli d'impresa garantiscono in particolare un utilizzo più efficace del know-how e degli investimenti e il risultato finale sono prodotti di migliore qualità a un prezzo inferiore. Ciò pone tuttavia il problema della generazione di costi aggiuntivi quando tali servizi sono fatturati con IVA agli operatori finanziari e assicurativi. Da ciò nasce l'effetto cascata descritto sopra.

1.5

Il riesame della legislazione in materia di IVA mira, da un lato, a garantire un'applicazione aggiornata e più uniforme delle norme relative all'IVA, creando una maggiore certezza del diritto e riducendo gli oneri amministrativi per gli operatori economici e le amministrazioni. D'altra parte, per affrontare la questione della neutralità dell'IVA, la proposta di direttiva IVA invita gli enti finanziari e assicurativi a ridurre i costi legati all'IVA non detraibile, permettendo loro di optare per una fornitura di servizi soggetta all'IVA e di evitare la creazione di IVA non recuperabile, chiarendo ed estendendo le esenzioni IVA per i meccanismi di ripartizione dei costi, compresi quelli transfrontalieri.

2.   Il sistema comune di imposta sul valore aggiunto: approccio legislativo (5)

2.1

Per oltre trenta anni, la Sesta direttiva sull'IVA (77/388/CE) ha costituito la base del quadro europeo comune dell'IVA. Tuttavia, numerose modifiche l'hanno resa di difficile lettura e di difficile accesso per i professionisti. Il 1o gennaio 2007 è entrata in vigore la nuova direttiva relativa al sistema comune dell'IVA (2006/112/CE), più chiara, più razionale e più semplice, pur senza aver subito alcuna modifica di fondo.

2.2

Nel quadro dei suoi sforzi di modernizzazione e di semplificazione delle norme fiscali per i servizi finanziari e assicurativi, la Commissione europea ha proposto, nel novembre 2007, una nuova modifica della legislazione UE in materia di IVA (6). Le proposte si inseriscono nel quadro della strategia per la semplificazione del contesto normativo della Commissione (punto 66 del documento COM(2006) 690 def.). Le nuove definizioni mirano anche a creare ulteriore coerenza con le norme del mercato interno (ad esempio per i fondi d'investimento, il rating del credito, i prodotti derivati).

2.3

L'attuale proposta di direttiva del Consiglio relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto per quanto riguarda il trattamento dei servizi assicurativi e finanziari modifica gli articoli 135, paragrafo 1, lettere da a) a g), e 137, paragrafo 1, lettera a) e paragrafo 2 della direttiva IVA (2006/112/CE). Questa proposta si accompagna ad una proposta di regolamento (regolamento IVA) (7) che fissa le modalità d'applicazione degli articoli pertinenti della direttiva del Consiglio, del 28 novembre 2006, relativa al sistema comune di imposta sul valore aggiunto per quanto riguarda il trattamento dei servizi assicurativi e dei servizi finanziari. Essa elenca i servizi finanziari, d'assicurazione, d'intermediazione e di gestione che soddisfano o meno le condizioni d'esenzione dall'IVA, come pure dei servizi che presentano il carattere specifico ed essenziale di un servizio esente e che sono dunque, per natura, destinati a essere esenti. Considerando la complessità dei contratti dei servizi finanziari e d'assicurazione, e lo sviluppo costante di nuovi prodotti, questi elenchi non sono esaustivi.

3.   Consultazione delle parti interessate e valutazione d'impatto (8)

3.1

Le parti direttamente interessate sono state consultate nell'arco di tre anni, dal 2004 al 2007, e la Commissione europea ha commissionato uno studio indipendente; tanto le consultazioni che lo studio hanno confermato la necessità di rivedere la legislazione in materia di IVA per il settore dei servizi finanziari e assicurativi. Le opzioni studiate sono oggetto di una descrizione dettagliata nella valutazione d'impatto (9) della direzione TAXUD.

3.2

Nel 2004 si è svolto a Dublino un seminario Fiscalis per le amministrazioni fiscali nazionali degli Stati membri. In occasione di questo seminario, sono stati analizzati i diversi problemi incontrati dagli operatori economici, in particolare l'evoluzione dei mercati interni e mondiali, la quale spiega il fenomeno dell'esternalizzazione. Nel corso del 2005 è stato intensificato il dialogo con le principali parti direttamente interessate. Contatti regolari sono stati stabiliti con organismi rappresentativi come la Federazione bancaria europea (FBE), il Comitato europeo delle assicurazioni (CEA), la Federazione europea degli intermediari assicurativi (BIPAR) e l'Associazione europea della gestione di attivi (European Fund and Asset management Association — EFAMA), come pure con consulenti professionali e altre parti interessate.

3.3

Nel follow-up del primo seminario Fiscalis, la DG TAXUD ha commissionato uno studio a un esperto indipendente per comprendere meglio gli effetti economici dell'esenzione IVA dei servizi finanziari e assicurativi (10). La relazione finale è stata presentata alla Commissione nel novembre 2006. Nelle conclusioni si affermava, tra l'altro, che (11):

a)

le istituzioni finanziarie dell'UE sono meno redditizie di quelle di altre regioni economicamente molto sviluppate come gli Stati Uniti. Le istituzioni finanziarie dell'UE sono negativamente influenzate dall'IVA incorporata, non detraibile ed avente effetti a cascata. Ciò fa aumentare i loro costi;

b)

diversi elementi mostrano che a causa di divergenze tra gli Stati membri nell'interpretazione della direttiva in ordine ai servizi finanziari che sono esenti e quelli che non lo sono, gli operatori economici si trovano di fronte a considerevoli incertezze giuridiche al momento di prendere delle decisioni commerciali. Sembra che la questione sia un elemento determinante della decisione di esternalizzare o no alcune funzioni;

c)

differenze nell'interpretazione delle decisioni della CGE e nel calcolo delle aliquote di detraibilità sono considerate fonti di distorsione che contribuiscono all'assenza di neutralità dell'IVA. Lo studio conclude che l'attuale trattamento dei servizi finanziari in materia di IVA diventerà nel medio termine fonte di un vantaggio concorrenziale sleale e frustrerà la realizzazione di un mercato unico dei servizi finanziari.

3.4

Una serie successiva di consultazioni degli Stati membri e della direzione generale MARKT si è tradotta nell'elaborazione di un documento di base, il documento di lavoro TAXUD 1802/06, che è stato esaminato con le parti direttamente interessate e gli Stati membri alla conferenza sulla fiscalità tenutasi a Bruxelles in maggio 2006. Questo documento di lavoro descrive nelle grandi linee i problemi fondamentali e le misure tecniche che permettono di risolverli.

3.5

Dal 9 maggio al 9 giugno 2006, una consultazione pubblica è stata organizzata in Internet. La Commissione europea ha ricevuto 82 risposte (12). I contributi delle parti direttamente interessate nel quadro della consultazione pubblica sui servizi finanziari e assicurativi hanno permesso di trarre tre conclusioni principali. In primo luogo, indipendentemente dalle opzioni scelte per modernizzare il trattamento dei servizi finanziari e assicurativi in materia di IVA, il risultato dovrebbe essere una maggiore certezza del diritto e chiarezza, la riduzione degli oneri amministrativi per i fornitori, i subappaltatori, gli intermediari ed i clienti. In secondo luogo, gli operatori economici del settore delle assicurazioni e quelli del settore dei servizi finanziari condividono principalmente le stesse preoccupazioni, ma potrebbero accordare priorità diverse alle misure per trattare queste questioni. In terzo luogo, l'interesse degli operatori economici per i rapporti tra imprese (B2b) diverge sensibilmente dal loro interesse per quelli tra impresa e consumatore (B2c).

3.6

Nel giugno 2007, i documenti di lavoro che presentano i primi progetti legislativi sono stati pubblicati nel sito Internet della direzione generale. I progetti legislativi sono stato oggetto di un dibattito approfondito con tutte le parti direttamente interessate nel corso di molte riunioni. Una tavola rotonda delle parti direttamente interessate all'IVA è stata organizzata il 31 luglio 2007. Il 28 novembre 2007, la Commissione europea ha adottato e comunicato le proposte citate sopra e la valutazione d'impatto.

3.7

Nella sua valutazione d'impatto, la DG TAXUD elenca le incidenze previste della proposta per i consumatori privati, le imprese, le società finanziarie e assicurative europee, e le amministrazioni fiscali nazionali. La valutazione (13) si è in particolare basata sui risultati dello studio relativo agli effetti economici dell'esenzione IVA applicabile ai servizi assicurativi e ai servizi finanziari. L'impatto di bilancio dovrebbe variare da uno Stato membro all'altro in funzione di vari fattori come l'aliquota IVA di base, il trattamento attuale dei servizi finanziari e assicurativi in materia di IVA, l'interdipendenza con altre tasse come quelle sulle retribuzioni, l'incidenza sui costi legati alla sicurezza sociale e alla disoccupazione, ecc. Tuttavia, sulla base dello studio PWC (14), si possono prevedere le conseguenze seguenti (15):

3.7.1

incidenza di bilancio per i privati e le imprese : attualmente, i servizi assicurativi e finanziari generalmente non sono soggetti all'IVA. Un accesso allargato all'opzione per la tassazione non dovrebbe in nessun modo comportare un aumento del prezzo finale dei servizi finanziari per i consumatori. Per le operazioni relative ai servizi finanziari, la parte dell'IVA non recuperabile del prezzo dei prodotti costituisce ciò che si chiama un'«imposta occulta». L'opzione per la tassazione eliminerebbe quest'imposta occulta e permetterebbe alle imprese di essere più efficienti, con la conseguenza che i prodotti verrebbero offerti a un prezzo inferiore. La stessa logica si applica ai meccanismi di ripartizione dei costi. Ciò è tuttavia soltanto un'ipotesi basata sull'esperienza dell'opzione per la tassazione in paesi come il Belgio. Lavori supplementari dovranno permettere di valutare l'incidenza reale dell'opzione per la tassazione sui modelli d'impresa e sul prezzo dei prodotti finanziari in diversi segmenti di mercato. I consumatori privati dovrebbero beneficiare del'opzione più favorevole e non subire alcuno svantaggio dovuto all'applicazione dell'IVA ad altri segmenti di mercato.

3.7.1.1

È molto improbabile che per i clienti costituiti dalle imprese l'opzione della tassazione abbia conseguenze negative, poiché le imprese possono in linea di principio recuperare l'IVA a monte. Meno ovvia è l'incidenza di bilancio che avrebbe per i privati l'applicazione (poco probabile) dell'opzione per la tassazione alle operazioni B2c. Dato che i privati non possono detrarre l'IVA, potrebbe sorgere un problema di una sovrapposizione dell'IVA a imposte analoghe, specificamente per quanto riguarda il pagamento dei premi assicurativi. Attualmente, questi premi sono fatturati con imposte nazionali e oneri parafiscali per la sola ragione che le amministrazioni fiscali nazionali non possono prelevare l'IVA sui servizi assicurativi. Il risultato finale dipende tuttavia dalla misura in cui le imprese finanziarie e d'assicurazione utilizzeranno effettivamente quest'opzione per la tassazione nel contesto B2c.

3.7.2

Incidenza sull'occupazione : occorre notare che l'impatto di bilancio non è soltanto legato all'importo del gettito IVA. Il CESE tiene al fatto che le soluzioni in materia di IVA come l'opzione per la tassazione ed i meccanismi di ripartizione dei costi contribuiscano ad attirare e mantenere settori industriali chiave negli Stati membri. Da un lato, ciò garantisce posti di lavoro diretti nel settore dei servizi finanziari e delle assicurazioni. D'altra parte, ciò crea posti di lavoro indiretti negli Stati membri. Dei posti di lavoro indiretti possono essere creati in altri settori come le TIC e presso altri prestatori di servizi esternalizzati, compresi i fornitori di beni e di servizi destinati alle istituzioni finanziarie e d'assicurazione (ad esempio, i fornitori di materiale informatico, di servizi di sicurezza, di ristorazione, di costruzione e di servizi immobiliari, ecc.). Le proposte dovrebbero permettere di evitare che gli operatori europei delocalizzino le loro attività (cioè trasferiscano funzioni in paesi extraeuropei) poiché, grazie alle nuove norme — se concepite e attuate efficacemente -, diventerebbe interessante per le imprese centralizzare o esternalizzare le loro attività all'interno dell'UE. Ciò si basa sull'analisi di pratiche commerciali correnti e tiene conto dell'importanza delle conoscenze locali e delle catene di controllo. Tuttavia, non c'è ovviamente nessuna garanzia che gli operatori europei non decideranno più in futuro di delocalizzare alcuna attività fuori dell'Europa. Di conseguenza, il CESE è particolarmente sensibile a un corretto equilibrio tra competitività e qualità dell'occupazione.

3.7.3

Incidenza prevista per le società finanziarie e assicurative europee : la Commissione europea prevede che la precisazione delle definizioni dei servizi finanziari e assicurativi esenti ridurrà i costi relativi al rispetto delle norme. Attualmente, le imprese devono verificare l'interpretazione dell'esenzione in ogni Stato membro e sono spesso costrette a rivolgersi alla Corte di giustizia delle Comunità europee. Ciò, non soltanto costituisce un costo non trascurabile, ma anche un ostacolo all'integrazione europea e alla competitività internazionale. Un'interpretazione coerente implicherà che l'interpretazione adottata in uno Stato membro sarà valida ovunque. Inoltre, l'accesso più ampio ai meccanismi di ripartizione dei costi e l'opzione per la tassazione aiuteranno le società finanziarie e assicurative a gestire meglio l'impatto dell'IVA non recuperabile sulla loro struttura di costo interna. Ciò incrementerà la redditività degli operatori finanziari e assicurativi, mettendoli in grado di essere più competitivi sul mercato mondiale e di ridurre il costo del capitale e delle assicurazioni per l'economia europea e per i consumatori in generale.

3.7.4

Incidenza di bilancio per le amministrazioni fiscali nazionali : la Commissione è convinta che una maggiore certezza del diritto protegga la potestà impositiva degli Stati membri e riduca le possibilità di pianificare una politica fiscale aggressiva. Inoltre, le norme d'esenzione più chiare permetterebbero di ridurre il carico amministrativo delle autorità fiscali nazionali. Tuttavia, un'applicazione più coerente dell'esenzione non esclude che alcuni Stati membri debbano esentare servizi attualmente considerati imponibili, e viceversa. Tuttavia, sulla base di una valutazione di alto livello, la Commissione suppone che l'effetto globale delle incidenze sulle entrate sia debole o addirittura neutrale. Le compagnie d'assicurazione e le società finanziarie più redditizie dovranno pagare più imposte dirette e, quindi, contribuiranno ai bilanci nazionali. Inoltre, una grande parte dell'IVA che andrebbe teoricamente persa in caso di ricorso a meccanismi di ripartizione dei costi non è realmente prelevata attualmente, in quanto gli operatori minimizzano questo costo di centralizzazione delle funzioni mediante misure organizzative idonee, ma complesse ed amministrativamente onerose.

3.7.4.1

La Commissione segnala che è difficile stimare l'impatto di queste soluzioni in materia di IVA. Dipenderà soprattutto dal modo in cui le istituzioni finanziarie e assicurative reagiranno a questi cambiamenti. Per quanto riguarda la ripartizione dei costi, il fatto che vi sia una riduzione delle entrate dipende dall'esistenza o meno dei meccanismi e dal loro essere soggetti all'IVA o no. Se le nuove norme incoraggiano le società finanziarie e le compagnie assicurative a impegnarsi in meccanismi fondati sull'efficienza, che non avrebbero altrimenti previsto, non ci sarà nessuna perdita di IVA. Se i meccanismi sono già in funzione e sono soggetti all'IVA, cosa che è molto poco probabile, ci potrebbe essere una perdita di gettito a causa delle più ampie misure di esenzione. Per quanto riguarda le modifiche apportate alle norme relative all'opzione per la tassazione, una perdita netta di gettito fiscale sarebbe da prevedere in materia di operazioni tra imprese (B2B), poiché le imprese possono generalmente recuperare l'IVA che versano. D'altra parte, l'imposizione delle operazioni tra imprese e privati (B2C) comporterebbe teoricamente un aumento delle entrate fiscali. Non si può tuttavia dire con certezza in questa fase in quale misura gli operatori sceglierebbero l'opzione per la tassazione sui prodotti finanziari e assicurativi in un contesto B2C. Le istituzioni finanziarie e le compagnie d'assicurazione dovrebbero in primo luogo assicurarsi di essere in grado di aumentare la loro efficienza a un livello tale da permettere loro di fatturare l'IVA ai loro clienti privati senza aumentare il prezzo dei loro servizi per questi clienti.

4.   Osservazioni riguardanti i servizi d'assicurazione ed i servizi finanziari

4.1

Il CESE approva pienamente il progetto ambizioso della Commissione di adattare alle esigenze del mercato moderno le norme d'applicazione dell'IVA ai servizi assicurativi e finanziari. Le proposte mirano chiaramente ad affrontare le principali questioni che preoccupano i settori delle finanze e delle assicurazioni e i loro clienti, e l'approccio scelto, cioè una proposta di direttiva con modalità d'applicazione contenute in una proposta di regolamento, sembra ragionevole e logica.

4.2

Tuttavia, il CESE incoraggia la Commissione e gli Stati membri a proseguire i loro lavori di chiarificazione di un certo numero di definizioni, in modo da dare una risposta completa alla preoccupazione essenziale di una maggiore certezza del diritto. Per quanto concerne le definizioni dei servizi finanziari, il CESE è preoccupato da alcune formulazioni proposte, in particolare le definizioni della «concessione di credito» stabilite all'articolo 135 bis, paragrafo 2, della direttiva IVA e all'articolo 15 del regolamento IVA. Queste definizioni non sono molto chiare e sembrano troppo restrittive. Per esempio, soltanto il «prestito di denaro» è coperto in termini generali senza apparentemente trattare in modo specifico le varie forme esistenti o emergenti per mettere a disposizione risorse finanziarie, tra cui anche le operazioni basate sui titoli. Il CESE raccomanda pertanto di riflettere a una maggiore chiarificazione, tenendo in considerazione gli ulteriori sviluppi del settore dei servizi finanziari, come la Commissione ha intenzione di fare.

4.3

La stessa raccomandazione si applica alla proposta di regolamento. Il CESE raccomanda di lavorare ancora al fine di assicurare che l'elenco di esempi che figura nel regolamento sia perfettamente chiaro e coerente. Il CESE capisce che, in teoria, un regolamento non contiene elenchi esaustivi di definizioni, ma esso è preoccupato per il rischio di confusione e per le implicazioni ignote nella pratica dei servizi finanziari e assicurativi che non sono specificamente citati nell'elenco.

4.4

Occorrerebbe provvedere a creare una più grande certezza in merito alle categorie dei servizi di pagamento, prodotti derivati, titoli e servizi di custodia, e alla portata dell'esenzione dei servizi specifici relativi alla gestione dei fondi d'investimento. Per quanto riguarda i servizi considerati come aventi il carattere specifico ed essenziale di un servizio esente, il CESE ritiene che occorrerebbe precisare ciò che si intende per «essenziale» e «specifico» (16). Le proposte non sembrano sempre dare un'idea sufficientemente chiara delle azioni amministrative che possono effettivamente essere considerate specifiche ed essenziali, mentre gli elenchi non sembrano sempre perfettamente coerenti, dato che servizi che appartengono alla stessa catena di valore sembrano a volte essere trattati in modo diverso.

4.5

Per quanto riguarda l'intermediazione, occorre chiarire le definizioni di «parte contrattuale» e di «servizi standardizzati» (17). Anche l'intermediazione dovrebbe essere inclusa nella definizione dei servizi aventi il carattere «essenziale» e «specifico» per un servizio esente (18). Altrimenti, gli intermediari non opererebbero più alla pari. Sarebbe anche contrario alla nuova filosofia che si è voluta applicare alle esenzioni proposte, che mette l'accento sulla fornitura del servizio propriamente detta e non sul fornitore o sui mezzi usati per fornire il servizio.

4.6

Occorrerebbe prestare un'attenzione particolare ai servizi come le pensioni e le rendite assicurative, che beneficeranno di un'esenzione a titolo di diverse categorie. Secondo la presenza o l'assenza di rischio, si tratterà di assicurazioni (19) o di depositi finanziari (20). Il problema è che il concetto di servizi connessi (servizi amministrativi interni — back-office) sarà sviluppato separatamente e differentemente (21). Di conseguenza, i prodotti unitari in questione dovranno essere coperti da due categorie di servizi essenziali e specifici diverse in termini di IVA, in funzione della loro qualificazione nel quadro della principale fornitura esente.

4.7

Il CESE approva l'estensione del diritto degli operatori a scegliere l'opzione per la tassazione sui servizi bancari e assicurativi e l'introduzione di meccanismi di ripartizione dei costi al fine di ridurre l'incidenza dell'IVA occulta. Il CESE teme tuttavia che le condizioni d'ammissibilità rigorose per la ripartizione dei costi e la portata limitata dei servizi che potrebbero essere forniti nel quadro di un meccanismo di ripartizione dei costi neutrale in termini di IVA ridurranno in pratica i vantaggi potenziali di questi meccanismi ad un numero di casi molto ristretto.

4.8

L'introduzione generale del gruppo IVA (che tratta gruppi di società come un singolo contribuente a fini IVA e che è previsto dall'attuale direttiva IVA, ma solo su base facoltativa), accompagnata da disposizioni adeguate per evitare gli abusi, potrebbe dimostrarsi una soluzione più adeguata e più flessibile per permettere agli operatori di integrare le loro funzioni essenziali senza dover pagare un'IVA supplementare. Tuttavia, il CESE prende atto del fatto che fra gli Stati membri il sostegno all'attuazione di un regime di gruppi IVA attualmente non è unanime e che anche la Commissione esprime delle riserve.

4.9

Il CESE è favorevole all'introduzione di un'opzione per la tassazione generalizzata, che non è attualmente disponibile per i servizi d'assicurazione. I vantaggi di una tale opzione sono chiari per quanto riguarda le operazioni B2B, in cui l'IVA è recuperabile dal cliente. Tuttavia, il CESE teme che la nuova legislazione dia origine a un'imposizione addizionale e abbia conseguenze di bilancio per i consumatori privati che non possono recuperare l'IVA. Indipendentemente dalla legge applicabile ai contratti d'assicurazione, questi sono oggetto di imposte indirette e di oneri parafiscali sui premi assicurativi nello Stato membro in cui si situa il rischio. L'aliquota di queste imposte varia sensibilmente secondo gli Stati membri e le classi di assicurazioni (ad esempio, assicurazione sulla vita, assicurazione responsabilità civile automobile, ecc.). Ciò solleva interrogativi sulla necessità di un coordinamento al livello dell'UE. Il CESE dubita che le compagnie d'assicurazione sceglieranno l'opzione per la tassazione, in particolare sui mercati B2C, fino a quando le amministrazioni fiscali nazionali continueranno a prelevare altre imposte sui premi assicurativi. D'altro canto, il CESE ritiene improbabile l'eliminazione, o almeno, la riduzione proporzionale da parte delle autorità nazionali delle imposte sui premi, poiché ciò comporterebbe perdite di gettito per gli Stati membri. È ovvio che questo è un problema che va affrontato.

4.10

Per quanto riguarda l'opzione per la tassazione per i servizi assicurativi e finanziari, il CESE sarebbe anche favorevole a un sistema che permettesse agli operatori di optare per questa possibilità caso per caso (per operazione o per cliente), o per categorie predefinite di operazioni o di clienti. Nella stessa misura, sarebbe auspicabile che gli operatori potessero recuperare in modo adeguato l'IVA correlata al prodotto imponibile IVA. Ciò garantirebbe la massima neutralità dell'IVA in un contesto B2B. È tuttavia determinante garantire un'attuazione uniforme di quest'opzione a partire dal 2012, e dunque fare in modo che gli Stati membri non abbiano la possibilità di imporre condizioni diverse per il ricorso all'opzione per la tassazione. Se l'opzione per la tassazione non è attuata ovunque nello stesso modo, è probabile che si verificheranno distorsioni della concorrenza tra gli Stati membri e tra gli operatori economici.

Bruxelles, 29 maggio 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Le parti direttamente interessate sono gli operatori finanziari, gli operatori del settore delle assicurazioni e le amministrazioni fiscali nazionali.

(2)  Memo/07/519, Modernising Vat rules applied on financial and insurance servicesFrequently Asked questions (Modernizzazione delle norme IVA applicabili ai servizi finanziari e assicurativi — domande frequenti), disponibile soltanto in inglese, Bruxelles, 28.11.2007, pagg. 1-4.

(3)  COM(2007) 747 def., Proposta di direttiva del Consigliorelazione, Bruxelles, 28.11.2007, pagg. 2-4.

(4)  Battiau P. (2005), Letter from Brussels. Vat in the FinanceSector, in: The Tax Journal, 28 novembre 2005, pagg. 11-14.

(5)  COM(2007) 747 def., Proposta di direttiva del Consigliorelazione, Bruxelles, 28.11.2007, pagg. 2-4.

(6)  Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto per quanto riguarda il trattamento dei servizi assicurativi e finanziari, COM(2007) 747 def.

(7)  Proposta di regolamento del Consiglio recante disposizioni di applicazione della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto per quanto riguarda il trattamento dei servizi assicurativi e finanziari, COM(2007) 746 def.

(8)  COM(2007) 747 def., Proposta di direttiva del Consigliorelazione, Bruxelles, 28.11.2007, pagg. 2-6.

(9)  SEC(2007) 1554, Documento di lavoro dei servizi della Commissione che accompagna la Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto per quanto riguarda il trattamento dei servizi assicurativi e finanziari COM(2007) 747 def., Bruxelles 28.11.2007, pagg. 1-61 (disponibile soltanto in inglese).

(10)  Price Waterhouse Coopers (bando di gara: TAXUD/2005/AO-006), Study to increase the Understanding of the Economic Effects of the VAT Exemption for Financial and Insurance Services, Bruxelles, 2006, pagg. 1-369 (disponibile soltanto in inglese).

(11)  SEC(2007) 1554, Documento di lavoro dei servizi della Commissione che accompagna la Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 2006/112/CE relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto per quanto riguarda il trattamento dei servizi assicurativi e finanziari COM(2007) 747 def., Bruxelles, 28.11.2007, pagg. 12-13 (disponibile soltanto in inglese).

(12)  Il documento di consultazione (Consultation Paper on modernising Value Added Tax obligations for financial services and assurances), come pure una sintesi dettagliata sui punti di vista espressi dai partecipanti alla consultazione (Summary of results -Public consultation on financial and insurance services) è disponibile all'indirizzo: http://ec.europa.eu/taxation_customs/common/consultations/tax/article_2447_en.htm oppure http://ec.europa.eu/taxation_customs/common/consultations/tax/article_2447_fr.htm

(13)  Price Waterhouse Coopers (bando di gara: TAXUD/2005/AO-006), Study to increase the Understanding of the Economic Effects of the VAT Exemption for Financial and Insurance Services, Bruxelles, 2006, pagg. 162-174 (disponibile soltanto in inglese).

(14)  Cfr. nota 10.

(15)  Memo/07/519, Modernising Vat rules applied on financial and insurance servicesFrequently Asked questions (Modernizzazione delle norme di IVA applicabili ai servizi finanziari e d'assicurazionedomande frequenti), disponibile soltanto in inglese, Bruxelles, 28.11.2007, pagg. 2-4.

(16)  Cfr. articolo 135, paragrafo 1bis, della proposta di direttiva IVA e articolo 14, paragrafo 1, della proposta di regolamento IVA.

(17)  Cfr. articolo 135 bis, paragrafo 9, della proposta di direttiva IVA e articolo 10, paragrafi 1 e 2, della proposta di regolamento IVA.

(18)  Cfr. articolo 135, paragrafo 1, lettera a) della proposta di direttiva IVA.

(19)  Cfr articolo 2, paragrafo 1, della proposta di regolamento IVA.

(20)  Cfr. articolo 5, paragrafo 1, lettera h), della proposta di regolamento IVA.

(21)  Cfr. articoli 14 e 17 della proposta di regolamento IVA.


30.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 224/130


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il ruolo della società civile nelle relazioni UE-Serbia

(2008/C 224/29)

Con lettera datata 18 luglio 2007, i commissari europei Margot WALLSTRÖM e Olli REHN hanno invitato il Comitato economico e sociale europeo a elaborare un parere esplorativo sul tema:

Il ruolo della società civile nelle relazioni UE-Serbia.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 maggio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore KALLIO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 maggio 2008, nel corso della 445a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 74 voti favorevoli, 9 voti contrari e 10 astensioni.

1.   Conclusioni del parere

1.1

Raccomandazioni alle istituzioni e agli organi dell'Unione europea (UE):

Sostenere il governo serbo nell'elaborazione di una strategia per lo sviluppo della società civile (1).

Rafforzare l'appoggio, anche di natura finanziaria, alle organizzazioni della società civile in Serbia, per mantenere la loro indipendenza dal governo e assicurare la sostenibilità dei progetti da esse gestiti.

Creare sistemi di sostegno finanziario più appropriati ed efficienti per abbreviare le lunghe procedure di richiesta e di decisione. Ciò vale anche per il nuovo strumento istituito dalla Commissione europea per promuovere lo sviluppo della società civile e il dialogo. Il sostegno dovrebbe essere accessibile a una vasta gamma di organizzazioni interessate e avere la flessibilità necessaria per rispondere alle loro esigenze.

Distinguere tra ONG e parti sociali per quanto riguarda la creazione e l'adozione di strategie di sostegno.

Sostenere programmi incentrati sullo sviluppo delle capacità delle parti sociali per rafforzarne la capacità di contribuire ad un efficace dialogo sociale.

Appoggiare sistematicamente i progetti gestiti da organizzazioni della società civile e mirati alla promozione, in tutti gli ambiti della società, dell'idea di integrazione europea. Un dibattito sistematico sui temi riguardanti l'integrazione europea dovrebbe coinvolgere tutte le componenti della società, ivi compresa la società civile. A questo fine, si dovrebbe prendere in considerazione la possibilità di sostenere una più vasta gamma di attività nel contesto della Convenzione nazionale sull'UE in Serbia, che riunisce i rappresentanti delle organizzazioni di governo e della società civile.

Sostenere progetti mirati al trasferimento di know-how ed esperienza dagli Stati membri dell'UE alla Serbia. Il contributo dei «nuovi» Stati membri dell'Europa centrale e orientale può rappresentare un reale valore aggiunto. L'importanza dei progetti di gemellaggio dovrebbe essere maggiormente riconosciuta e sostenuta dalle istituzioni UE. Il nuovo strumento volto a promuovere lo sviluppo della società civile e il dialogo può essere utilizzato a questo fine.

Offrire ai rappresentanti delle organizzazioni della società civile serba la possibilità di visitare le istituzioni UE e di partecipare gratuitamente a convegni ed eventi organizzati dall'UE.

Intensificare il sostegno alle reti regionali di organizzazioni della società civile nei Balcani occidentali e sviluppare programmi regionali. È opportuno dedicare un'attenzione particolare all'intensificazione del dialogo tra le organizzazioni della società civile serbe e kosovare (2) per porre rimedio alla mancanza di comunicazione tra i governi serbo e kosovaro (2).

Mantenere un dialogo sistematico con altri donatori per dare alle organizzazioni della società civile, in Serbia e nei Balcani occidentali in generale, un'assistenza mirata, efficiente, efficace e tempestiva.

Incrementare la visibilità della delegazione della Commissione in Serbia agli occhi dei rappresentanti delle organizzazioni della società civile e dei cittadini.

Istituire un dialogo sistematico e strutturato tra i rappresentanti delle organizzazioni della società civile e la delegazione della Commissione in Serbia, per poter disporre di informazioni di prima mano sullo stato della società civile serba.

Organizzare incontri a cadenza regolare con i rappresentanti delle organizzazioni della società civile per poter rispondere con maggior flessibilità alle loro aspettative ed esigenze.

1.2

Raccomandazioni al Comitato economico e sociale europeo (CESE):

Creare un comitato consultivo misto (CCM) tra il CESE e le organizzazioni della società civile serba per promuovere e sostenere il dialogo civile in Serbia. In assenza di una base giuridica appropriata — e cioè fino alla firma e alla ratifica dell'Accordo di stabilizzazione e associazione (ASA) — il CESE potrebbe istituire un CCM provvisorio con finalità identiche.

Partecipare attivamente al nuovo programma Dialogo tra i popoli, gestito dalla DG Allargamento della Commissione: il CESE potrebbe preparare e organizzare viaggi di studio nell'UE (in particolare a Bruxelles) per i rappresentanti delle organizzazioni della società civile serba.

Offrire la possibilità ai rappresentanti delle organizzazioni della società civile serba di visitare il CESE e familiarizzarsi con le sue attività.

1.3

Raccomandazioni alle autorità serbe:

Approvare quanto prima la legge sulle Associazioni della società civile e tutta la normativa correlata, in particolare in ambito fiscale.

Mettere a punto una strategia per lo sviluppo della società civile, che getterebbe le basi per una società civile vitale, componente necessaria di una società democratica matura. La strategia dovrebbe essere elaborata in stretta cooperazione con le organizzazioni della società civile.

Mantenere un dialogo sistematico con i rappresentanti delle organizzazioni della società civile sui temi che le riguardano da vicino. Il governo dovrebbe adottare un atteggiamento più inclusivo nei confronti della società civile.

Introdurre vari incentivi, ivi compresi quelli finanziari, per le organizzazioni della società civile, al fine di appoggiare il loro sviluppo e la sostenibilità delle loro attività. Si dovrebbe mettere a punto un regime trasparente di sovvenzioni che consenta alle organizzazioni stesse di richiedere finanziamenti pubblici.

Favorire il mantenimento di un costante dialogo sociale tripartito e assicurare l'adeguato funzionamento del Consiglio economico e sociale (CES) serbo secondo la legge. A questo fine rappresentanti di tutti i ministeri interessati dovrebbero partecipare regolarmente alle riunioni del CES.

Assicurare l'attuazione corretta ed efficace degli accordi Serbia-UE in materia di riammissione e di agevolazioni per il rilascio dei visti e adottare le necessarie riforme per continuare il processo di liberalizzazione dei visti. La possibilità di spostarsi senza obbligo di visto è fondamentale per rafforzare i contatti tra le organizzazioni della società civile serba e le loro controparti nell'UE.

1.4

Raccomandazioni alle organizzazioni della società civile in Serbia:

Creare una piattaforma istituzionalizzata per incontri e scambi di idee con cadenza regolare.

Migliorare le competenze gestionali dei rappresentanti delle organizzazioni della società civile attraverso la loro partecipazione a vari programmi di formazione.

Aumentare la presenza dei rappresentanti delle minoranze nazionali ed etniche nei progetti realizzati dalle organizzazioni della società civile serba.

Mettere in maggior rilievo la cooperazione regionale, esaminando tra l'altro le possibilità di trarre insegnamenti dalle organizzazioni della società civile degli Stati membri dell'UE, in particolare di quelli dell'Europa centrale e sud-orientale, e di collaborare con loro.

Rafforzare la cooperazione con i media e migliorare la propria immagine pubblica attraverso la promozione dei progetti realizzati e dei risultati ottenuti dalle organizzazioni della società civile.

1.5

Raccomandazioni alle organizzazioni della società civile serba e kosovara (3):

Fare tutto il possibile per mantenere e/o migliorare la cooperazione e i contatti diretti tra le persone provenienti dalle organizzazioni della società civile serba e kosovara (3).

2.   Contesto del parere

2.1   Obiettivi dell'UE nei Balcani occidentali e in Serbia

I Balcani occidentali figurano tra le regioni prioritarie della politica estera dell'UE, il cui principale obiettivo è in questo caso il rafforzamento della stabilità e della prosperità. La preparazione dei paesi dei Balcani occidentali all'adesione può essere considerata un obiettivo altrettanto importante, per conseguire il quale l'UE si avvale di strumenti specifici di assistenza preadesione.

Il processo di stabilizzazione e di associazione (PSA) è stato istituito per assistere i paesi della regione nel loro percorso di avvicinamento all'UE. La firma dell'ASA è considerata come un passo significativo verso la piena adesione all'UE. Al maggio 2008 soltanto cinque dei sei paesi dei Balcani occidentali avevano firmato un ASA. La Croazia sta già negoziando il suo accesso all'UE, mentre l'ex Repubblica iugoslava di Macedonia, che pure ha lo status di paese candidato, non ha ancora avviato i negoziati di adesione. La Serbia ha firmato il suo ASA il 29 aprile 2008 a Lussemburgo. La Bosnia-Erzegovina ha concluso i negoziati e siglato il suo ASA, ma non l'ha ancora firmato.

2.2   Lo stato e il ruolo delle organizzazioni della società civile in Serbia

2.2.1   Il ruolo particolare delle ONG

Le organizzazioni della società civile, e in particolare le ONG, hanno avuto un ruolo importante nel rovesciare il regime di Milošević. Hanno infatti saputo mobilitare una parte significativa della popolazione per cambiare lo Stato in senso democratico. Dal 2000 le ONG hanno subito un processo di trasformazione, caratterizzato da una ridefinizione dei loro programmi, obiettivi e priorità. Visto che la Repubblica di Serbia deve affrontare difficili processi di trasformazione politica, economica e sociale, le ONG (e in particolare quelle che si occupano di democratizzazione e diritti umani) hanno un ruolo fondamentale nell'evoluzione in senso democratico della società serba. Alcune di esse hanno fornito un contributo notevole soprattutto durante le ultime elezioni presidenziali, tenute nel gennaio-febbraio 2008. Inoltre, le ONG hanno avuto un ruolo importante nel processo di diffusione dei valori europei e nel riavvicinamento della Serbia all'UE.

2.2.2   La necessità del dialogo con la società civile

In questo contesto, è opportuno evidenziare la necessità di un dialogo intensivo tra le organizzazioni della società civile da un lato, e il governo serbo dall'altro. Nonostante l'introduzione di diverse forme di consultazione tra le due parti (4), in Serbia non esiste ancora un dialogo civile sistematico. La sua istituzione è di interesse vitale per la società serba in generale e per le organizzazioni della società civile in particolare, nonché per l'UE, in quanto una società civile forte e vitale è una delle condizioni necessarie per un'integrazione riuscita nell'UE.

3.   Sviluppi politici in Serbia

3.1   Situazione politica attuale

Dal 2000, anno in cui un governo democratico e favorevole all'integrazione ha sostituito il regime dell'allora Presidente Slobodan Milošević, la Serbia ha dovuto affrontare un difficile processo di trasformazione politica, economica e sociale. Una transizione economica problematica, la questione dello status definitivo del Kosovo (5) e l'uso populista dei pregiudizi e degli stereotipi nazionali da parte di alcuni leader politici hanno contribuito a radicalizzare il panorama politico serbo. Questo fenomeno non ha riguardato soltanto l'opposizione, ma in una certa misura anche il governo uscente del primo ministro Vojislav Koštunica. Non va dimenticato il contributo dei media, visto che i giornalisti sono in gran parte tutt'altro che indipendenti. Le recenti elezioni presidenziali hanno condotto alla rielezione del Presidente uscente Boris Tadić, che rappresenta la corrente moderata della scena politica serba. La continua instabilità della coalizione di governo e le tensioni tra il Partito democratico serbo di Koštunica e il Partito democratico di Tadić, acuitesi dopo la dichiarazione di indipendenza del Kosovo (5) nel febbraio 2008, hanno tuttavia portato alle dimissioni del primo ministro. Le elezioni politiche anticipate si sono tenute l'11 maggio 2008.

3.2   Le relazioni politiche con l'UE, la Russia e i paesi vicini

L'integrazione nell'UE presuppone il rispetto dei criteri di Copenaghen, della condizionalità del processo di stabilizzazione e associazione e delle altre condizioni e degli altri requisiti stabiliti dall'UE. La Serbia non adempie a tutte le condizioni e a tutti i requisiti richiesti, ma ha dato prova di buona capacità amministrativa nei processi negoziali con l'UE per l'ASA e nell'attuazione delle riforme necessarie. Nel novembre 2007 l'UE ha siglato l'ASA, ma la firma dell'accordo è stata ritardata dalla mancata cooperazione della Serbia con il Tribunale penale internazionale per l'ex Iugoslavia. L'UE ha accettato di creare una Task force per esaminare le possibilità di pervenire a progressi più rapidi. D'altra parte, la Commissione chiede alla Serbia di riaffermare il suo impegno a stringere legami più stretti con l'UE (6). Anche ora che è stato sottoscritto l'ASA, la cooperazione con il Tribunale penale internazionale rimane una delle più importanti condizioni per un ulteriore sviluppo delle relazioni tra UE e Serbia. Un altro fattore determinante in questo senso sarà la capacità del governo serbo di separare la questione dello status definitivo del Kosovo (5) dal processo di integrazione europea.

Le relazioni tra la Serbia e la Russia si sono fatte sempre più strette, in parte a causa della questione del Kosovo, a proposito della quale la Federazione russa ha sempre appoggiato le posizioni serbe. È in aumento anche il livello di cooperazione economica, come testimonia il crescente interesse degli investitori russi per l'economia serba.

Benché negli ultimi anni si sia registrato un certo miglioramento, non tutte le relazioni tra la Serbia e i paesi vicini possono dirsi soddisfacenti. Sono ottimi i rapporti con i vicini diventati nel frattempo Stati membri dell'UE (Bulgaria, Romania e Ungheria), come del resto con il Montenegro e l'ex Repubblica iugoslava di Macedonia. Le relazioni con la Croazia sono buone, anche se rimangono aperte alcune questioni, in particolare il ritorno dei rifugiati in Croazia, mentre quelle con la Bosnia-Erzegovina dipendono in larga misura dal rapporto particolare della Serbia con la Republika Srpska (Repubblica serba: entità serba della Bosnia-Erzegovina). Il fronte di maggior tensione è ovviamente costituito dalle relazioni con il Kosovo (5), in particolare da quando quest'ultimo ha dichiarato la propria indipendenza.

3.3   Il ruolo della Serbia nella stabilizzazione e nello sviluppo dei Balcani

La Serbia è un paese importante nei Balcani occidentali e un partner di rilievo per l'UE nella regione. A causa della partecipazione dei leader e dell'esercito serbi a tutte le guerre che hanno funestato i Balcani negli anni '90, la reputazione della Serbia nella regione è relativamente negativa. L'unico modo per migliorare l'immagine del paese passa per il consolidamento di buoni rapporti con tutti i paesi vicini e la partecipazione attiva a varie iniziative regionali, con l'appoggio dell'UE.

4.   Sviluppi economici in Serbia

4.1   La situazione attuale dell'economia

A causa dell'isolamento politico ed economico prodotto dal tipo di regime instaurato da Milošević, per buona parte degli anni '90 lo sviluppo economico del paese ha subito un rallentamento. Dal 2000, invece, l'economia serba si può definire come una tipica economia in transizione, con un tasso di crescita sostenibile (5,7 % nel 2006 rispetto al 6,2 % del 2005). La crescita del PIL è stata accompagnata da un calo dell'inflazione, che nel 2007 ha raggiunto il 10 % (7). Tra gli indiscutibili vantaggi economici della Serbia ricordiamo un mercato potenziale piuttosto ampio, una posizione geografica favorevole, accesso a dazio zero ai mercati dell'Europa sudorientale, dell'UE, della Russia e degli USA, nonché una forza lavoro istruita e competente.

4.2   Il processo di privatizzazione

La quota del settore privato rimane relativamente bassa rispetto alla media UE, situandosi attorno al 55 % della produzione e al 60 % dell'occupazione complessiva (8), con ripercussioni negative per la competitività dell'economia serba, in particolare dei prodotti e dei servizi. Perché sia possibile un maggiore sviluppo dell'economia del paese, è quindi necessario procedere ulteriormente con la privatizzazione e la ristrutturazione delle aziende di proprietà statale e pubblica.

4.3   I principali settori dell'economia serba

I principali settori dell'economia serba sono, in ordine decrescente di importanza: servizi, industria, agricoltura e edilizia. Secondo l'Agenzia serba per la promozione degli investimenti e delle esportazioni, i settori più dinamici sono l'agricoltura e l'industria (TIC, lavorazione del legno, industria del mobile, energetica, automobilistica, tessile, elettronica e farmaceutica) (9).

4.4   Commercio estero

Il maggiore partner commerciale della Serbia è l'UE, con sei Stati membri che figurano tra i primi dieci paesi di destinazione delle esportazioni serbe. Al primo posto vi è però la vicina Repubblica di Bosnia-Erzegovina, mentre per le importazioni la prima posizione è occupata dalla Russia (10).

La cooperazione economica con i paesi limitrofi, ivi compresi i rapporti commerciali, beneficerà dell'entrata in vigore del nuovo Accordo di libero scambio per l'Europa centrale, firmato dai paesi dei Balcani occidentali e dalla Moldova nel 2006. La creazione di questa zona di libero scambio è stata una delle priorità del processo di preadesione.

4.5   Gli investimenti diretti esteri e i maggiori investitori nell'economia serba

La politica di apertura agli investimenti messa in atto dal governo serbo ha richiamato l'attenzione di molti investitori esteri. Nel 2006 gli investimenti diretti esteri (IDE) erano i più alti di tutta la regione (3,4 miliardi di euro) (11). I flussi più importanti erano destinati ai servizi finanziari, al commercio, all'industria manifatturiera, agli immobili, alla pubblica amministrazione e ai trasporti. I maggiori investitori sono in prevalenza paesi dell'UE, con la Grecia al primo posto (12).

Nonostante l'aumento degli investimenti, il mercato serbo ha ancora un grande potenziale di sviluppo in quest'ambito.

5.   La situazione attuale e il ruolo delle organizzazioni della società civile

5.1   Problemi e sfide comuni

Si possono individuare tre problemi principali: lo status fiscale, il divario tra zone urbane e rurali e la tendenza crescente alla concorrenza piuttosto che alla cooperazione.

Un elemento problematico è il fatto che la normativa fiscale serba non distingua tra organizzazioni della società civile e altri enti senza scopo di lucro. Di conseguenza, le organizzazioni della società civile sono trattate alla stregua di piccole imprese: devono pagare le imposte sulle donazioni che ricevono, e solo alcune sono esentate dall'IVA. Inoltre, le attuali politiche fiscali dello Stato serbo non incoraggiano alcuna forma di donazione alle organizzazioni della società civile.

C'è poi il problema del persistente divario tra il mondo urbano e quello rurale. La maggioranza delle organizzazioni della società civile è concentrata a Belgrado o in due o tre altre grandi città, mentre nelle campagne non c'è esperienza in materia. Di conseguenza la popolazione in generale conosce poco la società civile e le attività delle relative organizzazioni.

Il terzo problema, ovvero la crescente tendenza delle organizzazioni della società civile a mettersi in concorrenza invece di cooperare, è causa di tensioni e indebolisce la loro posizione potenziale rispetto alle autorità serbe.

5.2   La cooperazione con le autorità serbe: carenza di dialogo civile

Nella maggioranza dei casi, le autorità serbe non considerano ancora come partner a pieno titolo le organizzazioni della società civile, in particolare quelle che si occupano di alcuni temi sensibili (crimini di guerra, fosse comuni, ecc.). Visto questo apparente disinteresse da parte delle autorità politiche, la cooperazione tra le organizzazioni della società civile e il governo centrale (o gli enti locali) avviene in modo irregolare, a seconda delle esigenze specifiche. Da un lato questo stato di cose è dovuto alla mancanza di una normativa che regoli i rapporti tra le organizzazioni della società civile e il governo, dall'altro bisogna tenere conto dell'assenza di una volontà politica di coinvolgere più a fondo le organizzazioni della società civile nelle consultazioni e nella preparazione di determinati documenti strategici. Un altro aspetto da sottolineare è il fatto che lo Stato serbo sia piuttosto selettivo nel suo atteggiamento verso le organizzazioni della società civile.

5.3   Le parti sociali

5.3.1   Il dialogo sociale

Benché un dialogo sociale efficace sia una delle condizioni necessarie per una trasformazione economica riuscita, nella società serba il ruolo delle parti sociali rimane relativamente debole. Dall'entrata in vigore della legge sul lavoro nel 2005, non si applicano più né il contratto collettivo generale né i contratti collettivi speciali conclusi prima del 2001. La nuova regolamentazione significa anche che il governo non partecipa più alle trattative per il nuovo Contratto collettivo generale, anche se conserva un ruolo attivo nella conclusione di diversi contratti collettivi specifici e settoriali. I rappresentanti dei sindacati e delle associazioni di datori di lavoro, che ora sono responsabili dei negoziati, non sono finora riusciti a trovare un accordo. La conclusione di un contratto collettivo generale rimane quindi una delle più importanti condizioni necessarie al rafforzamento del dialogo sociale nella società serba.

Il CES serbo, creato con una legge apposita nel 2005, rappresenta la base istituzionale per i negoziati tripartiti. Le attività del CES, però, subiscono le conseguenze negative di diversi problemi, in primo luogo la scarsità di risorse finanziarie (nonostante i crescenti finanziamenti pubblici), che si ripercuote negativamente sul lavoro del segretariato e impedisce al CES di istituire un numero adeguato di gruppi di lavoro e di organizzare riunioni con cadenza regolare. Un altro problema è costituito dalla presenza saltuaria dei rappresentanti delle parti sociali alle riunioni del CES. Di conseguenza, alcune leggi vengono approvate dal Parlamento senza che se ne sia discusso in sede di CES.

5.3.2   Le organizzazioni di datori di lavoro

L'Unione dei datori di lavoro della Serbia (UPS) è la maggiore organizzazione nazionale di imprenditori. A differenza dei sindacati, l'UPS è riuscita a instaurare un buon rapporto di collaborazione con il ministero del Lavoro e della politica sociale. I suoi rappresentanti partecipano regolarmente alle attività del CES serbo. La sua legittimità nel contesto del dialogo sociale, tuttavia, è indebolita dal fatto di non poter contare tra i suoi aderenti la maggior parte delle più grandi aziende del paese. L'UPS comunque partecipa ai lavori del Forum dei datori di lavoro dell'Europa sud-orientale e dell'Organizzazione internazionale degli imprenditori. Questa dimensione internazionale delle attività dell'UPS sarà rafforzata dal conferimento dello status di osservatore in Business Europe. Nel giugno 2008 dovrebbe inoltre aderire all'Unione delle confederazioni mediterranee delle imprese (UMCE).

5.3.3   La situazione attuale e il ruolo dei sindacati

La struttura dei sindacati serbi è più eterogenea. Nel complesso, dal livello della singola azienda fino a quello nazionale, esistono circa 20.000 sindacati diversi. La maggior parte appartiene a una delle due grandi confederazioni nazionali: Nezavisnost (Indipendenza) e la Conferenza dei sindacati autonomi della Serbia (SSSS). Spesso non c'è coordinamento tra le attività delle varie organizzazioni. Un altro problema è la mancanza di cooperazione tra i sindacati. Pur essendo considerati relativamente deboli, essi comunque partecipano attivamente ai negoziati collettivi nel settore pubblico e con le imprese statali, il che dimostra che non va sottovalutata l'importanza del loro ruolo per il rafforzamento del dialogo sociale. Per quanto riguarda le attività internazionali, sia Nezavinost che la SSSS aderiscono alla Confederazione internazionale dei sindacati e partecipano al Forum per i Balcani della Confederazione europea dei sindacati (CES).

5.4   La situazione dei diversi gruppi di interesse

5.4.1   Un quadro giuridico insoddisfacente

Nonostante le ripetute dichiarazioni pubbliche dei vari governi serbi succedutisi dal 2000 e il loro impegno ad approvare una nuova legge sulle associazioni di cittadini, il lavoro delle organizzazioni senza scopo di lucro e i loro rapporti con lo Stato serbo non sono oggetto di legislazione. Lo status giuridico di diversi gruppi di interesse, e in particolare delle ONG, è in effetti disciplinato dalla Legge nazionale sulle associazioni di cittadini e le organizzazioni sociali e politiche, già in vigore ai tempi della Repubblica socialista federativa di Iugoslavia, e dalla Legge della Repubblica (serba) sulle organizzazioni sociali e le associazioni dei cittadini, adottata nel 1982 ed emendata nel 1989 (13).

Nel 2006 il governo serbo ha approvato il disegno di legge sulle associazioni civiche, che teneva conto delle posizioni dei rappresentanti di diversi gruppi di interesse, ma che non è arrivato in Parlamento. Il disegno di legge semplifica la procedura per la registrazione delle associazioni di cittadini e prevede la possibilità che le associazioni acquisiscano proprietà e beni finanziandosi con quote di iscrizione, contributi volontari, donazioni di varia natura, ecc. Prevede inoltre che le autorità statali o locali finanzino i vari gruppi di interesse con sovvenzioni e donazioni. La Legge sulle associazioni civiche, tuttavia, non sarebbe sufficiente a risolvere tutti i problemi relativi al loro status giuridico ed economico. Sarà quindi necessario adottare tutta una serie di leggi integrative.

5.4.2   Il ruolo e l'efficacia delle associazioni di piccole e medie imprese (PMI), di agricoltori e di consumatori

Le associazioni di PMI e le organizzazioni di agricoltori incontrano problemi simili a quelli dei sindacati (frammentazione e concorrenza reciproca controproducenti) che impediscono loro di creare gruppi di pressione efficaci. La diffusa corruzione dà ad alcune organizzazioni un accesso privilegiato alla burocrazia di Stato. La contiguità di interessi con la politica e la localizzazione geografica di queste organizzazioni rappresentano ulteriori fattori di divisione. Benché il numero di organizzazioni dei consumatori sia ridotto rispetto a quello delle associazioni di PMI e agricoltori, i loro problemi sono più o meno simili.

5.4.3   Le ONG nella società serba

Il settore delle ONG in Serbia si è rafforzato notevolmente nella seconda metà degli anni '90, dopo la fine della guerra in Bosnia. Nel 2000 le ONG hanno avuto un ruolo fondamentale nel rovesciamento del regime di Milošević, mobilitando la cittadinanza e partecipando ai negoziati con l'opposizione. La campagna a favore di elezioni libere denominata Izlaz 2000, cui hanno preso parte con successo diverse ONG, ha dimostrato l'importanza del settore per il processo di democratizzazione.

Dal 2000 la posizione delle ONG nella società serba è cambiata, e il settore è tuttora in fase di trasformazione. Alcune organizzazioni, inoltre, soffrono di un calo di entusiasmo legato alla lentezza delle riforme rispetto alle aspettative generate dai grandi cambiamenti del 2000. C'è poi il problema delle divergenze tra ONG a proposito della cooperazione con il governo: mentre alcune mantengono una ferma opposizione, altre cercano di trovare un modo di collaborare. In una certa misura, il settore è stato indebolito anche dal fatto che dopo il 2000 alcuni leader delle ONG sono entrati in politica e di conseguenza hanno interrotto il loro lavoro in seno alle organizzazioni. Benché alcune ONG abbiano intensificato le loro attività, molte di esse non hanno saputo soddisfare gli standard richiesti di professionalità e di specializzazione, trovandosi ad affrontare problemi complessi. Tra gli esempi invece di sviluppi positivi, va ricordato in particolare il caso delle organizzazioni ambientaliste.

Al centro delle preoccupazioni vi sono i problemi economici, cui è legata la sopravvivenza stessa di molte ONG. Queste ricevono finanziamenti solo per un numero limitato di progetti e per periodi di tempo determinati, prevalentemente da fonti estere. Di conseguenza, molte di esse non sono sufficientemente specializzate e devono realizzare vari progetti di natura molto eterogenea. Ciò non soltanto ha ripercussioni sulla loro reputazione professionale, ma rende più difficile il superamento dei problemi di base che ne minacciano l'esistenza.

6.   Il ruolo delle organizzazioni della società civile nell'integrazione europea

6.1   Le organizzazioni della società civile e il processo di integrazione europea

Numerose organizzazioni della società civile serba hanno già un ruolo fondamentale nell'opera di sensibilizzazione dell'opinione pubblica alle tematiche relative all'UE e all'integrazione europea. Esse contribuiscono alla campagna di informazione sull'Europa organizzando conferenze e seminari e distribuendo opuscoli e altro materiale riguardante l'UE e i temi ad essa correlati, in particolare nelle zone rurali e meno sviluppate. Benché tra le organizzazioni della società civile vi siano a volte state divergenze di opinioni (per esempio sulla questione della piena cooperazione con il Tribunale internazionale come condizione per la riapertura dei negoziati per l'ASA nella primavera del 2007), in occasione delle elezioni presidenziali del gennaio-febbraio 2008 le loro posizioni sono state concordi. La stragrande maggioranza delle organizzazioni della società civile ha scelto una prospettiva europea per la Serbia e ha contribuito ad aumentare la partecipazione al voto.

Una più stretta collaborazione del governo con le organizzazioni degli imprenditori, i sindacati e altri gruppi di interesse contribuirebbe ancor più a preparare la popolazione serba all'adesione all'UE. Un maggiore coinvolgimento delle organizzazioni della società civile in un dialogo sostanziale con il governo richiede però una maggiore trasparenza e la diffusione regolare di documenti e informazioni rilevanti.

6.2   Le organizzazioni della società civile e la cooperazione regionale

Il miglioramento della cooperazione regionale e i buoni rapporti con i paesi vicini rappresentano condizioni imprescindibili per una riuscita integrazione nell'UE. Le organizzazioni della società civile già svolgono un ruolo importante nella stabilizzazione delle relazioni e nella creazione di ponti tra i paesi della regione. A questo proposito si può citare come esempio positivo la crescita della cooperazione tra le organizzazioni della società civile serba e croata. Migliorando la cooperazione e lavorando a progetti congiunti, le organizzazioni della società civile saranno meglio preparate ad affrontare i problemi e le sfide comuni a tutti i paesi della regione. Inoltre, gli esempi di cooperazione riuscita tra organizzazioni della società civile in ambito regionale possono essere di ispirazione ai leader politici della regione. Benché i contatti tra le organizzazioni della società civile continuino a svilupparsi anno dopo anno, la situazione attuale è tutt'altro che soddisfacente, soprattutto per il permanere di ostacoli politici e per la scarsità di risorse finanziarie, ivi compresi i fondi UE. In questo senso, il sostegno alle iniziative regionali di base può rappresentare una possibilità di migliorare la cooperazione tra le organizzazioni della società civile della regione.

6.3   Attività internazionali delle organizzazioni della società civile serba

Il coinvolgimento delle organizzazioni della società civile serba in progetti comuni realizzati in collaborazione con organizzazioni della stessa regione o anche di altre può servire a intensificare i contatti diretti tra persone e a riallacciare rapporti interrotti dalla guerra. Un miglioramento in questo senso si è sicuramente già registrato in molti ambiti. La cooperazione e la creazione di reti si sono sviluppate in modo particolare tra quelle organizzazioni della società civile che si occupano di diritti umani e di protezione dell'ambiente, nonché tra le associazioni di donne. Per un ulteriore sviluppo della società civile e delle sue organizzazioni, è importante che siano messi in evidenza i risultati positivi della cooperazione tra le associazioni serbe e le loro controparti dei nuovi Stati membri dell'UE.

Non si deve sottovalutare poi il coinvolgimento delle organizzazioni della società civile nelle attività di politica estera. Una più intensa cooperazione tra la diplomazia ufficiale da un lato e quella pubblica dall'altro può contribuire a migliorare la politica estera della Serbia e a influenzare positivamente il processo di integrazione europea.

Bruxelles, 29 maggio 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Secondo la definizione del Comitato economico e sociale europeo, il termine «società civile» comprende le organizzazioni dei datori di lavoro, dei lavoratori e altre organizzazioni non governative e gruppi di interesse.

(2)  Cfr Risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

(3)  Cfr Risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

(4)  Si sono tenute consultazioni regolari delle organizzazioni della società civile in vari ambiti (per es. integrazione europea, riduzione della povertà o politiche per la gioventù) e da parte di diversi enti governativi o ufficiali (per es. presidenza della Repubblica, Ufficio per l'integrazione europea, ministero delle Politiche sociali e del lavoro, Camera di commercio o Conferenza permanente delle città e dei comuni).

(5)  Cfr Risoluzione 1244 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite.

(6)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio — Rafforzare la prospettiva europea dei Balcani occidentali, Bruxelles, 5.3.2008, COM(2008) 127 def.

(7)  Banca nazionale di Serbia, www.nbs.yu.

(8)  Serbia 2007 Progress Report, Commissione europea, Bruxelles, 6.11.2007, SEC(2007) 1435.

(9)  Agenzia serba per la promozione degli investimenti e delle esportazioni, www.siepa.sr.gov.yu.

(10)  Statistical Yearbook of Serbia 2006, www.webzrs.statserb.sr.gov.yu; dati forniti dalla Commissione europea www.ec.europa.eu/trade/issues/bilateral/data.htm.

(11)  www.wiiw.at/e/serbia.html.

(12)  Southeast Europe Investment Guide 2007, www.seeurope.net/files2/pdf/ig2007/Serbia-pdf.

(13)  Zdenka Milivojević, Civil Society in Serbia. Suppressed during the 1990sgaining legitimacy and recognition after 2000. Civicus Civil Society Index Report for Serbia. (Belgrado 2006).