ISSN 1725-2466

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 204

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

51o anno
9 agosto 2008


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

443a sessione plenaria in data 12 marzo 2008

2008/C 204/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il futuro del mercato unico — Verso la globalizzazione

1

2008/C 204/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione europea — Un'Europa dei risultati — applicazione del diritto comunitario COM(2007) 502 def.

9

2008/C 204/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 76/769/CEE del Consiglio per quanto riguarda le restrizioni in materia di immissione sul mercato e di uso di talune sostanze e preparati pericolosi [2-(2-metossietossi)etanolo, 2-(2-butossietossi)etanolo, diisocianato di metilendifenile, cicloesano e nitrato di ammonio] COM(2007) 559 def. — 2007/0200 (COD)

13

2008/C 204/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce l'Impresa comune Celle a combustibile e idrogenoCOM(2007) 571 def. — 2007/0211 (CNS)

19

2008/C 204/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva …/…/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla tutela giuridica dei programmi per elaboratore (versione codificata) COM(2008) 23 def. — 2008/0019 (COD)

24

2008/C 204/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle fusioni delle società per azioni (versione codificata) COM(2008) 26 def. — 2008/0009 (COD)

24

2008/C 204/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva …/…/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del […] intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società a mente dell'articolo 48, secondo comma, del trattato per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi (versione codificata) COM(2008) 39 def. — 2008/0022 (COD)

25

2008/C 204/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione Le reti transeuropee: verso un approccio integrato COM(2007) 135 def.

25

2008/C 204/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa norme comuni per l'accesso al mercato del trasporto internazionale di merci su strada (rifusione) COM(2007) 265 def. — 2007/0099 (COD)

31

2008/C 204/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Riduzione delle emissioni di CO2 degli aeroporti tramite una nuova gestione aeroportuale

39

2008/C 204/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alle Linee direttrici sull'applicazione dell'articolo 81 del Trattato CE ai servizi di trasporto marittimo

43

2008/C 204/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul reciproco riconoscimento degli attestati di navigabilità rilasciati per le navi della navigazione interna (versione codificata) COM(2008) 37 def. — 2008/0021 (COD)

47

2008/C 204/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio delle sostanze e delle miscele e recante modifica della direttiva 67/548/CEE e del regolamento (CE) n. 1907/2006 COM(2007) 355 def. — 2007/0121 (COD)

47

2008/C 204/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Indicazioni e denominazioni geografiche

57

2008/C 204/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Migliorare il meccanismo comunitario di protezione civile: una risposta alle catastrofi naturali

66

2008/C 204/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che introduce sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente nell'UE (parere d'iniziativa)

70

2008/C 204/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde sul futuro regime comune europeo in materia di asilo COM(2007) 301 def.

77

2008/C 204/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma d'azione comunitaria per il miglioramento della qualità nell'istruzione superiore e la promozione della comprensione interculturale mediante la cooperazione con i paesi terzi (Erasmus Mundus) (2009-2013) COM(2007) 395 def.

85

2008/C 204/19

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Piano d'azione in materia di educazione degli adulti — È sempre il momento di imparare COM(2007) 558 def.

89

2008/C 204/20

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il ruolo delle parti sociali nel migliorare la situazione dei giovani sul mercato del lavoro

95

2008/C 204/21

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Garantire l'accesso universale alle cure di lunga durata e la sostenibilità finanziaria dei sistemi di cura di lunga durata per gli anziani (parere esplorativo)

103

2008/C 204/22

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2004/40/CE sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici) (diciottesima direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE) COM(2007) 669 def. — 2007/0230 (COD)

110

2008/C 204/23

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La riforma del bilancio dell'UE e le future modalità di finanziamento

113

2008/C 204/24

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica talune disposizioni della direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto COM(2007) 677 def.

119

2008/C 204/25

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le relazioni fra l'Unione europea e l'ex Repubblica iugoslava di Macedonia: il ruolo della società civile

120

IT

 


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

443a sessione plenaria in data 12 marzo 2008

9.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 204/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il futuro del mercato unico — Verso la globalizzazione

(2008/C 204/01)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 settembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere su:

Il futuro del mercato unico — Verso la globalizzazione.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 27 febbraio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore CASSIDY.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 marzo 2008, nel corso della 443a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 39 voti favorevoli, 9 voti contrari e 12 astensioni.

1.   Sintesi delle conclusioni e raccomandazioni

1.1

L'Osservatorio del mercato unico è stato creato dal CESE per monitorare i progressi realizzati nel completamento del mercato unico; nel corso degli anni, l'Osservatorio ha elaborato una serie di pareri esplorativi rispondendo alle richieste di altre istituzioni quali il Consiglio, la Commissione, il Parlamento e anche alcune presidenze di turno dell'UE (1). L'ultimo di questi pareri riguardava la relazione della Commissione sul riesame del mercato unico (2). Nel corso degli anni il CESE ha inoltre elaborato numerosi pareri di «iniziativa».

1.2

Il presente parere d'iniziativa giunge al momento opportuno in quanto il Consiglio europeo, il 18 e 19 ottobre 2007, ha deciso che l'UE dovrà essere il leader a livello internazionale per quanto riguarda le questioni della regolamentazione e dell'apertura dei mercati. L'UE può plasmare la globalizzazione se inserisce in tale processo il suo modello di sviluppo che combina crescita sostenibile, giustizia sociale e rispetto dell'ambiente. La strategia di Lisbona per la crescita e l'occupazione è una risposta migliore alla globalizzazione di quanto non lo sarebbe rinchiudersi nel protezionismo.

1.3

Sia i datori di lavoro che i sindacati ritengono che la «flessicurezza» (3) negoziata dalle parti sociali possa tradursi in una situazione vantaggiosa tanto per le imprese quanto per i lavoratori. Essa fornisce quindi il quadro adeguato per modernizzare i mercati del lavoro europei, inglobando aspetti quali il diritto del lavoro, sistemi efficaci di apprendimento e di formazione permanente e la salvaguardia e il miglioramento della protezione sociale. Un dialogo sociale efficace (specialmente attraverso la contrattazione collettiva) contribuirà inoltre al buon funzionamento dei mercati del lavoro.

1.4

Il CESE ha preso atto della comunicazione della Commissione L'interesse europeo: riuscire nell'epoca della globalizzazione  (4), che è stata presentata al Consiglio europeo informale di Lisbona.

1.5

La maggior parte dei cittadini europei dà per scontato il successo del mercato unico in così tante attività all'interno dell'UE. Tuttavia il mercato unico non è un «fatto compiuto», anzi, citando il commissario MCCREEVY, lo si potrebbe piuttosto definire un «lavoro in corso d'opera» (5). Ferma restando la necessità di completare il mercato unico, l'UE deve adesso affrontare la sfida della globalizzazione e sostenere i principi di apertura del mercato sui quali essa stessa si fonda: creare un mondo nel quale, nel quadro di una concorrenza non falsata, non ci sia posto per il protezionismo.

1.6

Della missione globale dell'UE fa parte anche l'introduzione di norme armonizzate abbinata alla libera circolazione delle merci, dei servizi, dei capitali e delle persone. Questo significa che i paesi terzi che intendono operare nell'UE non potranno aggirare la normativa in vigore nel mercato interno in materia di protezione dei consumatori, norme tecniche, condizioni di lavoro e tutela ambientale.

1.7

Aspetti importanti della sfida della globalizzazione sono anche il ruolo svolto dall'Organizzazione mondiale del commercio e dall'OIL nonché l'interdipendenza sempre più stretta dei mercati finanziari internazionali, come ha evidenziato la crisi finanziaria e borsistica del secondo semestre del 2007.

1.8

Il mercato unico europeo da solo non basta. L'UE deve commerciare e sviluppare le sue relazioni con il resto del mondo e deve anche rimanere competitiva a vantaggio dei lavoratori, dei datori di lavoro e di tutti i cittadini. La strategia di Lisbona è stata messa a punto per raggiungere questi obiettivi e per consentire all'UE di divenire un'economia più competitiva sulla scena mondiale. La stessa UE deve garantire la rimozione degli ostacoli ancora esistenti al suo interno.

1.9

Lo scopo del presente parere d'iniziativa è incitare l'UE ad affrontare la globalizzazione e a cogliere le opportunità che ne derivano. Il successo economico dell'Europa non si fonda sul protezionismo, ma sulle quattro libertà che fin dall'inizio sono state alla base della Comunità economica europea (L'UE deve ancora abolire alcune delle proprie restrizioni commerciali).

1.10

L'UE dovrebbe inoltre guardarsi dal cadere nella trappola americana delle sovvenzioni alla produzione di biocarburanti. A meno che non siano tenute sotto controllo dall'OMC, queste sovvenzioni dispendiose innescheranno inevitabilmente un aumento dei prezzi dei prodotti alimentari e un aggravarsi del problema della fame nei paesi sottosviluppati e in via di sviluppo (6).

1.11

Il CESE prende atto delle raccomandazioni espresse dalle parti sociali nella loro relazione ed analisi congiunta delle principali sfide che i mercati del lavoro europei dovranno affrontare e invita la Commissione e gli Stati membri a tenerne conto (7).

1.12

Il CESE si compiace della comunicazione della Commissione al Consiglio informale (8) di Lisbona e sostiene in particolare le quattro strategie concordate in tale occasione sia al livello dell'Unione che degli Stati membri: R&S e innovazione, contesto imprenditoriale adeguato, investimenti nel capitale umano, energia e cambiamenti climatici. Bisogna però perfezionare l'agenda delle riforme in tutti e quattro questi campi se si vuole sprigionare il reale potenziale di crescita e di occupazione dell'Europa.

1.13

Il CESE invita la Commissione e il Consiglio a far sì che le parti sociali siano strettamente coinvolte nell'elaborazione e nell'attuazione dei provvedimenti della politica di «flessicurezza» a livello nazionale.

1.14

Le imprese e i lavoratori europei non devono venire svantaggiati rispetto ai loro concorrenti nei paesi terzi solo perché l'UE intende essere l'antesignana delle pratiche ambientali avanzate.

1.15

La soluzione a questo problema è che, in occasione dei negoziati internazionali sul riscaldamento globale, l'UE parli sempre e coerentemente con una voce sola e che faccia pressione sui paesi inadempienti.

2.   Riuscire nell'era della globalizzazione: gli elementi fondamentali

2.1

La comunicazione della Commissione in occasione della riunione dei capi di Stato e di governo dell'ottobre scorso fa seguito alla riunione informale di Hampton Court dell'ottobre 2005, nella quale erano state trattate le sfide poste dalla globalizzazione in campi quali l'innovazione, l'energia, l'immigrazione, l'istruzione e la demografia. Nel 2007 si è raggiunto un accordo che pone l'Europa all'avanguardia negli sforzi mondiali per far fronte ai cambiamenti climatici e nell'attuazione di una politica europea intesa a garantire un rifornimento energetico sicuro, sostenibile e competitivo — un accordo che, di fatto, porta l'Europa alle soglie della terza rivoluzione industriale.

2.2

Nell'opinione pubblica è aumentata la consapevolezza della globalizzazione e dei suoi benefici, come pure delle difficoltà che essa comporta. Accolta con favore da alcuni, temuta da altri, la globalizzazione ha messo in crisi alcune delle convinzioni consolidatesi nel dopoguerra sull'economia mondiale (come ad esempio il predominio degli Stati Uniti) e sul modo in cui i governi possono aiutare i cittadini ad accettare i cambiamenti. La «globalizzazione» rappresenta per l'UE una sfida ma anche un'opportunità.

2.3

Nel corso dei cinquant'anni di integrazione europea le prospettive economiche degli Stati membri si sono strettamente intrecciate tra loro come non mai, apportando un progresso sociale senza precedenti. La prossima tappa di questa integrazione dovrebbe mirare a fare dell'UE un leader nelle tendenze in via di sviluppo nell'economia mondiale e a consentirle di introdurre norme internazionali fondate sui valori europei.

2.4

L'unione monetaria e il successo dell'euro sono stati, e continueranno ad essere, un catalizzatore per un'integrazione più approfondita del mercato e per un rafforzamento del mercato unico. Un ambiente caratterizzato da bassi livelli di inflazione, bassi tassi di interesse, operazioni trasparenti e a costi contenuti, nonché da una più profonda integrazione finanziaria, favorisce gli scambi e gli investimenti transfrontalieri nell'UE e aiuta le aziende europee ad affrontare la concorrenza globale. L'euro protegge verso l'esterno dalle turbolenze attuali dei mercati finanziari; grazie alla sua solidità, risultano inoltre ridimensionati alcuni effetti degli aumenti dei prezzi verificatisi sui mercati internazionali dei prodotti alimentari e dell'energia a seguito specialmente della forte domanda da parte dei nuovi giganti emergenti. La valutazione dell'euro non dovrebbe tuttavia sopravanzare i fondamentali dell'economia. Un rapido e marcato apprezzamento dell'euro, favorito da un tasso d'interesse di riferimento della BCE troppo elevato e collegato a politiche monetarie assimilabili a svalutazioni concorrenziali in altre parti del mondo, costituisce un pericolo per la prosperità dell'Europa. Questo apprezzamento rappresenta un forte svantaggio per le imprese europee che producono in euro e vendono in dollari e genera così rischi di delocalizzazione.

3.   La percezione esterna del mercato unico

3.1   Liberalizzazione degli scambi

L'Organizzazione mondiale del commercio è lo strumento più importante per realizzare la liberalizzazione degli scambi internazionali. Il ciclo di Doha, se si conclude con successo, sarà in grado di aprire i mercati di oltre cento paesi in tutto il mondo alle esportazioni provenienti dall'UE. La lentezza dei negoziati è pertanto quanto mai deludente. Oltre agli accordi OMC si sono moltiplicati gli accordi commerciali bilaterali. Le imprese e i lavoratori hanno urgente bisogno di nuovi sbocchi sui mercati in forte crescita di importanti partner commerciali dell'Europa. La strategia dell'UE che consiste nel negoziare accordi di libero scambio con la Corea, l'ASEAN e l'India è un passo nella giusta direzione. Questi accordi devono essere il più ampi e ambiziosi possibile e interessare le merci (incluse le barriere non tariffarie), i servizi, gli investimenti, i diritti di proprietà intellettuale, l'agevolazione degli scambi, la politica di concorrenza, le norme ambientali e quelle dell'OIL. È anche opportuno considerare l'inserimento in questi accordi di un meccanismo sul modello di Solvit.

3.2

Oltre agli accordi di libero scambio in senso stretto il CESE individua altre strade innovative per risolvere i problemi attualmente incontrati sul campo in un contesto bilaterale e fa riferimento in particolare agli scambi di opinione in seno al Consiglio economico transatlantico istituito in seguito al vertice UE/Stati Uniti del 30 aprile scorso. La prima riunione di questo Consiglio, tenutasi il 9 novembre, ha conseguito buoni risultati iniziali verso una risoluzione dei problemi che ostacolano il miglioramento delle condizioni commerciali e di investimento con il maggior partner economico dell'UE. Le questioni dibattute non riguardano necessariamente altri blocchi commerciali e da ciò deriva l'importanza di accordi bilaterali di questo genere (da aprile ad oggi sembra che le due parti abbiano compiuto progressi significativi verso l'eliminazione degli ostacoli al commercio e agli investimenti e lo snellimento degli adempimenti normativi).

L'accordo interessa i problemi e i campi seguenti:

le norme contabili accreditate negli Stati Uniti (GAAP — Generally Accepted Accounting Principles): i rendiconti di esercizio dell'UE, elaborati secondo i principi internazionali di informativa finanziaria (International Financial reporting Standards), sono ormai accettati per le imprese UE quotate alle borse americane,

migliorare la sicurezza e le misure che facilitano gli scambi: una tabella di marcia suddivisa in tappe fondamentali basate sul raggiungimento di obiettivi sarà messa a punto al fine di assicurare il riconoscimento reciproco dei programmi di partenariato commerciale fra l'UE e gli Stati Uniti nel 2009,

ridurre gli adempimenti per l'introduzione di nuovi medicinali intesi a curare malattie rare accordandosi su un modulo comune per richiedere la designazione di farmaco orfano,

azione UE su una proposta legislativa per consentire ai pazienti di accedere alle informazioni relative ai farmaci legalmente in commercio,

al fine di ridurre i costi degli scambi transatlantici, la Commissione ha proposto di consentire anche in futuro l'importazione nell'UE di prodotti le cui etichette comprendono misurazioni sia secondo il sistema metrico che secondo quello americano,

prima della prossima riunione del Consiglio economico transatlantico, l'ente americano per la sicurezza e la salute sul lavoro (Occupational Safety and Health Administration — OSHA) incontrerà i suoi interlocutori presso la Commissione. Scopo della riunione è discutere i progressi raggiunti per facilitare gli scambi dei prodotti elettrici rispetto a procedure di valutazione della conformità riguardanti la sicurezza e individuare i campi in cui si potranno realizzare dei progressi l'anno prossimo,

la Commissione federale per le comunicazioni degli Stati Uniti (US Federal Communications CommissionFCC) rivedrà l'elenco dei prodotti soggetti a una certificazione obbligatoria da parte di terzi al fine di consentire la dichiarazione di conformità da parte del fornitore per quei prodotti che hanno dato prova di rispettare le norme pertinenti,

è stato avviato un dialogo sulla regolamentazione dei mercati finanziari che sta esaminando come e in quali settori sarà possibile un riconoscimento reciproco nel campo dei valori mobiliari e l'identificazione di altri approcci capaci di facilitare gli scambi transfrontalieri di servizi finanziari. Il lavoro è appena all'inizio e i prossimi vertici Stati Uniti/UE vedranno la collaborazione delle parti interessate per individuare altre priorità.

3.3

L'Unione europea dovrebbe inoltre approfondire e rafforzare la cooperazione economica con paesi vicini come l'Ucraina e la Russia. L'adesione della Russia all'OMC, lo Spazio economico comune UE-Russia, il nuovo «trattato quadro» sono tutte tappe importanti verso un partenariato economico realmente strategico. Questa cooperazione rafforzata dovrebbe preparare il terreno per i negoziati futuri sulla creazione di uno Spazio economico comune volto a favorire la libera circolazione delle merci e dei servizi, dei capitali e delle persone, delle conoscenze e delle tecnologie.

3.3.1

Dato che le ampie questioni sollevate da un partenariato economico strategico possono essere risolte solo in parte con l'adesione all'OMC, l'UE e la Russia dovrebbero fondare le loro future relazioni economiche, dove possibile, su strutture che vadano oltre l'OMC («OMC+») al fine di creare uno Spazio economico comune per la grande Europa. È qui necessario un forte impegno da parte dell'UE e della Russia per affrontare una serie di questioni ben più ampia e approfondita di quella oggetto dei tradizionali accordi di libero scambio.

3.3.2

L'accordo UE-Russia dovrebbe includere, tra l'altro, disposizioni comuni per l'equiparazione degli investimenti transfrontalieri a quelli nazionali, l'eliminazione dei dazi doganali, lo smantellamento delle barriere non tariffarie, la convergenza normativa, il riconoscimento reciproco delle norme e della valutazione della conformità, l'agevolazione degli scambi e le dogane, la cooperazione in materia di concorrenza, liberalizzazione dei servizi, appalti pubblici, disposizioni sanitarie e fitosanitarie, tutela della proprietà intellettuale, composizione delle controversie e applicazione di principi contabili internazionali. Gli Accordi sullo Spazio economico europeo, tra gli altri, offrono esempi di problematiche coperte da un accordo di tale ampiezza.

3.4   R&S e innovazione

Il funzionamento efficace del mercato unico è anche una delle premesse per rafforzare la capacità d'innovazione dell'Europa. Un vero mercato unico offre il massimo effetto leva e degli sbocchi a merci, prodotti e servizi innovativi. Occorre coordinare a livello europeo gli sforzi fatti in materia di R&S dai raggruppamenti di PMI e di grandi imprese, dagli istituti di ricerca, dalle università e dal nuovo Istituto europeo di innovazione e tecnologia. In tal modo l'industria europea rafforzerà la sua capacità complessiva di raggiungere livelli tecnologici più alti incorporati nei suoi prodotti, nella prospettiva comune di evitare la fuga di investimenti dall'UE e di rendere l'industria europea più competitiva a livello mondiale per prodotti e servizi a più alto valore aggiunto.

3.5

La globalizzazione ha intensificato il ritmo dei cambiamenti non solo nel campo della tecnologia, ma anche in quello delle idee e del nostro stile di vita e di lavoro. Il CESE ha ripetutamente sostenuto questi obiettivi e ritiene che, se l'Europa riuscirà a dare libero corso al suo potenziale di innovazione e creatività, essa potrà imprimere una direzione ai cambiamenti a livello mondiale nel senso di una chiara affermazione dei valori europei e della pluralità culturale.

3.6   Tutela della proprietà intellettuale

L'impegno dell'Europa nel campo dell'innovazione deve essere sostenuto da condizioni idonee volte a tutelare la proprietà intellettuale che ne deriva e richiede consistenti investimenti finanziari e di risorse umane. La messa a punto di uno strumento unico e comune di tutela del brevetto comunitario (9) è una di quelle iniziative auspicabili divenute ormai inderogabili. Raggiungere buoni risultati in questo campo significa acquisire vantaggi di mercato sui mercati mondiali per i prodotti UE.

È inoltre fondamentale garantire un'attuazione decisa dei diritti di proprietà intellettuale e lottare efficacemente contro la contraffazione e la pirateria. Il completamento del quadro giuridico a livello europeo resta una condizione essenziale. Anche una cooperazione internazionale rafforzata è necessaria per affrontare il problema in un contesto globale. I dialoghi bilaterali sui diritti di proprietà intellettuale condotti dalla Commissione europea con la Cina, la Russia e altre regioni sono un utile strumento per affrontare la problematica, ma devono dare anche risultati concreti. Anche il nuovo progetto di Accordo commerciale anticontraffazione è un passo avanti nella direzione giusta.

3.7   Condizioni di lavoro

Il minimo che l'UE possa fare per consentire all'industria europea di competere equamente sui mercati mondiali è vegliare affinché gli altri paesi rispettino le norme minime dell'OIL in materia di condizioni di lavoro e le altre convenzioni internazionali riguardanti i diritti individuali, la libertà sindacale, il diritto di organizzazione e di «negoziazione» collettiva, la parità, l'abolizione del lavoro minorile e del lavoro forzato.

3.8   Sorveglianza del mercato per quanto riguarda i prodotti importati

Alcune relazioni recenti sui prodotti importati che non soddisfano gli standard minimi e sono nocivi alla salute hanno evidenziato che nell'UE manca un'efficace sorveglianza del mercato. È questo un altro esempio di come le pratiche di commercio sleali continuino a falsare i livelli di competitività delle imprese europee. Una più severa sorveglianza del mercato da parte degli Stati membri dovrebbe assicurare il controllo delle informazioni sulle norme di qualità fornite dai produttori al di fuori dell'UE al fine di garantire parità di trattamento tra questi ultimi e i produttori dell'UE e di tutelare i consumatori europei dai prodotti non sicuri e che non soddisfano gli standard minimi.

3.9   Sicurezza dell'approvvigionamento energetico — una politica estera comune dell'UE in materia energetica

I recenti sviluppi in campo energetico hanno evidenziato la necessità per i paesi dell'UE di unirsi per elaborare una politica strategica in questo settore che si basi su accordi bilaterali tra l'UE ed altri paesi. Questi accordi sono necessari se si vuole che l'industria sia in grado di programmare i suoi investimenti nell'UE. Una tale politica contribuirà anche a salvaguardare il tenore di vita dei consumatori europei. Gli Stati membri dovranno sviluppare gli approvvigionamenti energetici alternativi quali l'energia nucleare (10) o le energie rinnovabili, riducendo così la loro dipendenza dalla Russia e dai paesi del Medio Oriente per l'approvvigionamento di gas e petrolio (11). Il CESE esorta la Commissione a garantire che il pacchetto sull'energia e i cambiamenti climatici, da essa di recente pubblicato (12), offra una base affidabile per il futuro, eviti impatti economici negativi, in particolare per la competitività delle industrie europee ad alta intensità energetica, incoraggi lo sviluppo di mercati guida europei in questo settore e promuova le innovazioni ecocompatibili.

3.10   Problematiche ambientali

Le imprese e i lavoratori europei non possono venire svantaggiati rispetto ai loro concorrenti nei paesi terzi solo perché l'UE intende essere l'antesignana delle pratiche ambientali avanzate. La strategia dell'EU di applicare prima di tutti gli altri paesi le norme ambientali più severe è discutibile sotto il profilo economico, e questo per tre motivi:

1.

l'UE da sola non può fermare il riscaldamento climatico: gli effetti finali delle misure da essa attuate andranno sicuramente perduti se gli altri paesi non si attivano per controllare l'uso dell'energia e le emissioni;

2.

l'UE dovrebbe evitare di creare uno squilibrio nella competitività dei suoi stessi produttori di beni che, a causa delle imposte ambientali più elevate, vedrebbero aumentare i loro costi di esercizio e si renderebbero quindi meno competitivi sui mercati internazionali. Tutto ciò significherebbe inoltre aprire la strada alla delocalizzazione di investimenti che potrebbero rivestire un'importanza strategica per il mercato unico dell'UE;

3.

il CESE non trova convincente il ragionamento secondo cui norme ambientali più severe stimolerebbero la ricerca per lo sviluppo di prodotti ecocompatibili. Passerà inevitabilmente un enorme lasso di tempo prima che la ricerca sia in grado di realizzare e immettere sul mercato prodotti di questo genere. Nel frattempo gli altri produttori europei di beni ad alta intensità energetica potrebbero essere esclusi dal mercato dalla concorrenza sleale dei produttori di paesi non particolarmente interessati ad intervenire per tenere sotto controllo le loro emissioni.

3.10.1

La soluzione a questo problema è che, in occasione dei negoziati internazionali sul riscaldamento globale, l'UE parli sempre e coerentemente con una voce sola e che faccia pressione sui paesi inadempienti. Se l'UE decidesse tuttavia di continuare ad innalzare unilateralmente alcune norme ambientali, allora dovrebbe prendere in considerazione l'opportunità di applicare misure alla frontiera conformi all'OMC ai prodotti originari di quei paesi noti per i gravi danni che infliggono all'ambiente, in modo che i produttori europei non si trovino a operare in condizioni concorrenziali svantaggiose.

3.10.2

Un sistema di scambi globale aperto è nell'interesse dell'UE. Un tempo l'UE aveva bisogno di proteggere i suoi cittadini, i suoi interessi e i suoi valori. Oggi il protezionismo non può più rappresentare una valida soluzione. L'UE è il leader mondiale nel campo degli scambi e degli investimenti, quindi la sua apertura consente di ridurre il costo dei fattori di produzione per l'industria, di abbassare i prezzi per i consumatori e di stimolare la competitività delle imprese e nuovi investimenti. Allo stesso tempo è importante che l'UE faccia sentire il suo peso nei negoziati internazionali per richiedere l'apertura anche dagli altri: l'apertura a lungo andare è politicamente difendibile solo se suscita reazioni positive di reciprocità.

3.10.3

La Commissione deve garantire che i paesi terzi offrano adeguati livelli di apertura agli esportatori e agli investitori europei e applicare norme fondamentali tali da non compromettere la capacità dell'Europa di tutelare i suoi interessi e i suoi alti livelli di protezione in campo sociale, ambientale, della salute, della sicurezza e della tutela dei consumatori.

4.   Aumentare l'occupabilità e gli investimenti in capitale umano: creare nuovi e migliori posti di lavoro

4.1

La globalizzazione e i cambiamenti tecnologici rischiano di alimentare l'ineguaglianza, allargando il divario fra lavoratori qualificati e non qualificati, tra nazioni ricche e povere. La soluzione migliore consiste nell'aiutare ogni persona e ogni nazione ad adeguarsi ai cambiamenti, migliorando la qualità e la disponibilità dell'istruzione e della formazione per tutte le fasce d'età.

4.2

Il CESE ha discusso con le parti sociali su come configurare la «flessicurezza» in modo da aiutare le persone a gestire più efficacemente il passaggio a un nuovo lavoro in fasi di cambiamento economico sempre più rapido.

4.3

L'adozione il 5 dicembre scorso di una serie di principi comuni in materia di flessicurezza da parte del Consiglio per l'occupazione e gli affari sociali (13) ha aperto la strada all'integrazione della flessicurezza nei programmi nazionali di riforma (PNR) degli Stati membri e alla successiva attuazione in stretta collaborazione con le parti sociali nazionali.

4.4

Il CESE auspica una maggior attenzione per le politiche attive volte a promuovere l'integrazione e le pari opportunità per le categorie discriminate sul mercato del lavoro, vale a dire gli ultracinquantenni, le donne, le minoranze etniche e le persone che abbandonano la scuola senza un titolo di studio.

5.   L'instabilità del mercato finanziario internazionale

5.1

Attualmente l'UE è alle prese con le ripercussioni di una crisi finanziaria e borsistica globale. L'unione monetaria e la pronta reazione della BCE hanno avuto un effetto positivo. Innanzitutto, immettendo grandi quantità di denaro sui mercati monetari, la BCE ha contribuito ad attenuare la perdita di fiducia nel sistema bancario, riducendo il rischio di un forte inasprimento delle condizioni di credito per le imprese e le famiglie. In secondo luogo, l'assenza di rischi valutari e i moderati premi di rischio nazionali hanno consentito alle economie più fragili dell'UE di affrontare praticamente senza danni le turbolenze del mercato finanziario internazionale.

5.2

Gli effetti di tali turbolenze e l'indebolimento del dollaro americano colpiscono però l'Europa, anche a causa di un significativo apprezzamento dell'euro causato dal mantenimento del tasso d'interesse di riferimento su livelli troppo elevati da parte della BCE e da politiche monetarie assimilabili a svalutazioni concorrenziali in altre parti del mondo; ciò avrà conseguenze nefaste per l'economia dell'UE e per le sue prospettive a medio termine.

5.3

Gli sviluppi recenti dei mercati finanziari internazionali indicano la necessità di rafforzare le regole prudenziali, migliorare il coordinamento e la comunicazione tra le autorità di controllo e le banche centrali e aumentare la trasparenza e l'informazione.

Bruxelles, 12 marzo 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Relatore: RETUREAU, su richiesta della presidenza britannica, GU C 24 del 31.1.2006.

(2)  Relatore: CASSIDY, GU C 93 del 27.4.2007.

(3)  Relatore: JANSON, GU C 256 del 27.10.2007.

Relazione intermedia del gruppo di esperti flessicurezza, 20 aprile 2007: «La flessicurezza è una strategia politica che vuole rafforzare contemporaneamente sia la flessibilità dei mercati del lavoro, l'organizzazione del lavoro e le relazioni lavorative sia la sicurezza — intesa quale sicurezza dell'occupazione e sicurezza sociale. Il principio fondamentale su cui si fonda la strategia della flessicurezza è che la flessibilità e la sicurezza non dovrebbero essere considerate in contrasto tra loro, bensì come due principi capaci di rafforzarsi a vicenda. Sarà possibile promuovere mercati del lavoro flessibili e assicurare alti livelli di sicurezza solo se si forniranno ai lavoratori i mezzi per adeguarsi ai cambiamenti, accedere a un'occupazione, rimanere sul mercato del lavoro e migliorarsi nella vita professionale. Il concetto di flessicurezza pone quindi una forte enfasi sulle politiche attive del mercato del lavoro e su misure volte a promuovere l'istruzione e la formazione durante tutto l'arco della vita, ma anche su sistemi forti di sicurezza sociale che sostengano i redditi e consentano ai cittadini di conciliare il lavoro con la vita privata e familiare. Ciò andrebbe anche a favore delle pari opportunità e della parità di genere».

(4)  COM(2007) 581 def. del 3 ottobre 2007.

(5)  Cfr. il pacchetto sulla revisione del mercato unico adottato dalla Commissione nel novembre del 2007, COM(2007) 724 def.

(6)  GU C 44 del 16.2.2008, relatore: IOZIA.

(7)  Parti sociali: ETUC/CES, CEIP, Ueapmi e Businesseurope, Key challenges facing European labour markets: a joint analysis of European social partners, (Le principali sfide che dovranno affrontare i mercati del lavoro europei: un'analisi congiunta delle parti sociali europee — NdT) ottobre 2007.

(8)  Cfr. nota 4.

(9)  Per ulteriori informazioni sull'azione svolta dalla DG Imprese e industria in merito a Keeping better guard on intellectual property (NdT: Come salvaguardare meglio la proprietà intellettuale), cfr. http://ec.europa.eu/enterprise/library/ee_online/art34_en.htm.

(10)  Alcuni paesi che, come ad es. l'Italia, si sono detti contrari a ogni tipo di energia nucleare e non consentono la costruzione di centrali nucleari sul loro territorio, importano tuttavia grandi quantità di elettricità generata da centrali nucleari.

(11)  Relatrice: SIRKEINEN, GU C 318 del 23.12.2006.

(12)  Il piano d'azione della Commissione sull'energia e sul cambiamento climatico è stato pubblicato il 23 gennaio 2008 (cfr. http://ec.europa.eu/energy/climate_actions/index_en.htm).

(13)  Comunicato stampa del Consiglio n. 16139/07, http://register.consilium.europa.eu/pdf/it/06/st10/st10117.it06.pdf


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Qui di seguito si riportano due emendamenti votati insieme che, pur essendo stati respinti durante il dibattito, hanno ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi:

1.   Punto 2.4

Modificare la penultima frase:

(…) Un rapido e marcato apprezzamento dell'euro, favorito da un tasso d'interesse di riferimento della BCE troppo elevato e collegato a politiche monetarie assimilabili a svalutazioni concorrenziali in altre parti del mondo, costituisce un pericolo per la prosperità dell'Europa. (…).

Una così aperta e pesante critica alla politica della BCE, introdotta quasi come se si trattasse di una «precisazione», non può essere formulata senza la preventiva approvazione di un apposito parere del CESE su questo preciso argomento. La questione dei tassi è oggetto di un vivo dibattito e le opinioni — tutte rispettabili — sono contrastanti; occorre tuttavia ricordare che con la manovra dei tassi la BCE assolve ad un compito che le è assegnato dal Trattato, e cioè la difesa contro l'inflazione.

Motivazione

2.   Punto 5.2

Modificare come segue:

Gli effetti di tali turbolenze e l'indebolimento del dollaro americano colpiscono però l'Europa, anche a causa di un significativo apprezzamento dell'euro causato dal mantenimento del tasso d'interesse di riferimento su livelli troppo elevati da parte della BCE e da politiche monetarie assimilabili a svalutazioni concorrenziali in altre parti del mondo; ciò avrà conseguenze nefaste per l'economia dell'UE e per le sue prospettive a medio termine.

Motivazione

La stessa di cui al punto 2.4, ma ancora a maggior ragione: prima si diceva che l'apprezzamento dell'euro era «favorito» dalla politica della BCE, ora si dice addirittura che è «causato» da essa. Una presa di posizione così pesante da parte del CESE non è ammissibile, oltre che non corretta dal punto di vista procedurale.

Esito della votazione

Voti contrari: 29 Voti favorevoli: 22 Astensioni: 8


9.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 204/9


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione europea — Un'Europa dei risultati — applicazione del diritto comunitario

COM(2007) 502 def.

(2008/C 204/02)

La Commissione, in data 5 settembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione europea — Un'Europa dei risultati — applicazione del diritto comunitario

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 27 febbraio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore RETUREAU.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 marzo 2008, nel corso della 443a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 59 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Nella comunicazione del 5 settembre 2007 intitolata Un'Europa dei risultatiapplicazione del diritto comunitario (COM(2007) 502 def.) la Commissione segnala che, su oltre 9.000 atti normativi, 2.000 sono direttive, ciascuna delle quali necessita da 40 a 300 misure di recepimento e che, considerato il numero elevato di cittadini europei in grado di far valere diritti derivanti dalla legislazione comunitaria, occorre — nel perseguire l'obiettivo «legiferare meglio» — prestare particolare attenzione all'applicazione del diritto, individuando i motivi delle persistenti difficoltà di applicazione del diritto e di controllo di tale applicazione.

Propone quindi di migliorare l'approccio attuale in materia di applicazione del diritto comunitario e del relativo controllo.

1.2

La Commissione ha individuato quattro possibili direttrici per una migliore applicazione del diritto:

a)

prevenzione: valutazioni d'impatto migliori, analisi dei rischi incluse nelle proposte della Commissione, inserimento sistematico di una tavola di concordanza in tutte le proposte, formazione delle autorità nazionali in diritto comunitario;

b)

risposta efficace ed appropriata: miglioramento dello scambio di informazioni non solo con le imprese e i cittadini ma anche con le autorità nazionali — un obiettivo per la cui realizzazione è particolarmente importante il ricorso generalizzato alle «riunioni pacchetto»;

c)

perfezionamento dei metodi di lavoro: designazione di un punto di contatto centrale in ciascuno Stato membro con il compito di fare da tramite tra l'autorità nazionale competente e la Commissione, miglioramento della gestione dei procedimenti per infrazione grazie soprattutto alla definizione di priorità;

d)

rafforzamento del dialogo e della trasparenza: miglioramento del dialogo interistituzionale e diffusione di informazioni generali sui risultati della «nuova impostazione» adottata.

1.3

Il Comitato condivide la volontà della Commissione di potenziare gli strumenti utili per garantire una migliore applicazione del diritto comunitario da parte degli Stati membri.

A tale proposito desidera formulare le seguenti osservazioni.

2.   Individuazione del problema

2.1

La maggior parte dei problemi di cattiva applicazione e attuazione del diritto comunitario è dovuta al mancato recepimento delle direttive. Il recepimento può essere definito come l'operazione con cui uno Stato membro destinatario di una direttiva adotta tutte le misure necessarie per un'efficace integrazione di quest'ultima nell'ordinamento giuridico interno mediante gli opportuni strumenti normativi.

2.2

Il recepimento esige che lo Stato membro assolva due obblighi:

da un lato, l'integrazione nel diritto interno dell'intero contenuto normativo della direttiva,

dall'altro, l'abrogazione o la modifica di tutte le preesistenti norme di diritto interno non conformi alla direttiva.

2.3

Lo stesso vale per l'integrazione nel diritto interno delle decisioni-quadro di cui all'articolo 34 del Trattato sull'Unione europea (TUE), che — al pari delle direttive di cui all'articolo 249 del Trattato che istituisce la Comunità europea (TCE) — «sono vincolanti per gli Stati membri quanto al risultato da ottenere, salva restando la competenza delle autorità nazionali in merito alla forma e ai mezzi».

2.4

Anche il recepimento delle decisioni-quadro può dare origine a difficoltà: tuttavia, a differenza della procedura per inadempienza prevista agli articoli 226 e 228 del TCE, il TUE non prevede un analogo meccanismo di controllo su iniziativa della Commissione in caso di mancato o non corretto recepimento — il che, ovviamente, non rende meno vincolante per gli Stati membri l'obbligo di recepire le direttive-quadro.

2.5

È giocoforza constatare che per gli Stati membri l'adattamento dei processi di elaborazione delle norme di recepimento continua ad essere fonte di difficoltà: infatti, malgrado le apparenze, tali norme comportano complessi vincoli giuridici e pongono talvolta in seria difficoltà le tradizioni legistiche nazionali.

3.   Elementi essenziali dell'obbligo di recepimento e difficoltà incontrate dagli Stati membri

3.1

Spetta unicamente agli Stati membri scegliere la forma da dare al recepimento delle direttive, nonché stabilire, sotto il controllo del giudice nazionale — che è il giudice naturale in materia di diritto comunitario — gli strumenti atti a garantire l'efficacia della direttiva nel diritto interno. In proposito va sottolineato l'obbligo della Commissione di garantire, in quanto custode dei Trattati, la corretta applicazione del diritto comunitario e il buon funzionamento del mercato unico, avvalendosi, se del caso, degli strumenti di reazione graduale di cui dispone a tal fine nei confronti degli Stati membri (parere motivato; ricorso alla Corte di giustizia per ottenere una sentenza di condanna e, in caso di mancata conformità, l'irrogazione di una sanzione pecuniaria). Infine, il recepimento tardivo, scorretto o incompleto di una direttiva non impedisce ai cittadini interessati di farne valere in giudizio la prevalenza sul diritto interno, in virtù del principio del primato del diritto comunitario.

3.2

Un corretto recepimento presuppone quindi l'adozione di norme nazionali che siano provviste di carattere vincolante e che formino oggetto di una pubblicazione ufficiale (1), tanto è vero che la Corte di giustizia censura il recepimento sotto forma di un mero rinvio generico al diritto comunitario (2).

3.3

È possibile che l'esistenza di principi generali di diritto costituzionale o amministrativo renda superfluo il recepimento mediante l'adozione di provvedimenti legislativi o regolamentari ad hoc, ma in questo caso bisogna che tali principi garantiscano la piena applicazione della direttiva da parte dell'amministrazione nazionale.

3.4

Il recepimento di una direttiva deve essere quanto più fedele possibile. Le direttive di armonizzazione delle normative nazionali devono essere recepite nel modo più letterale possibile, al fine di garantire un'interpretazione e un'applicazione uniformi del diritto comunitario (3).

3.5

Sebbene teoricamente questo sembri non comportare alcuna difficoltà, nella pratica accade che nozioni autonome proprie del diritto comunitario (4) non trovino un equivalente nella terminologia giuridica dello Stato membro, o ancora che tali nozioni non consentano alcun richiamo al diritto degli Stati membri ai fini della determinazione del loro senso e della loro portata (5).

3.6

La direttiva può altresì contenere un articolo in forza del quale le disposizioni nazionali di recepimento devono includere un riferimento alla direttiva stessa o essere corredate di un siffatto riferimento all'atto della loro pubblicazione. L'inosservanza di questa clausola, detta «di interconnessione», è sanzionata dalla Corte, che rifiuta di prendere in considerazione l'eccezione sollevata dagli Stati membri che affermano che il loro diritto interno è già conforme alla direttiva (6).

3.7

La difficoltà di recepire correttamente le direttive è anche dovuta alla loro variabilità in termini di forza normativa. Le disposizioni contenute nelle direttive, infatti, si possono distinguere in due categorie principali:

disposizioni «facoltative», che si limitano a enunciare obiettivi di carattere generale, lasciando agli Stati membri un margine di manovra abbastanza ampio nella scelta delle misure nazionali di recepimento,

disposizioni «prescrittive/incondizionate», che impongono agli Stati membri un obbligo di conformità delle misure nazionali di recepimento alle disposizioni della direttiva: ad esempio, le definizioni, le disposizioni prescrittive/incondizionate che impongono precisi obblighi agli Stati membri, gli allegati delle direttive in cui figurino elenchi o tabelle riguardanti sostanze, oggetti o prodotti oppure modelli di formulari applicabili a tutti gli Stati membri dell'Unione europea.

3.8

Nel caso delle «disposizioni facoltative», la valutazione della completezza, conformità ed effettività del recepimento non si basa sulla formulazione delle misure nazionali di recepimento bensì sul contenuto di queste ultime, le quali devono consentire di realizzare gli obiettivi stabiliti dalla direttiva.

3.9

Nel caso invece delle disposizioni «prescrittive/incondizionate», la valutazione della Commissione e della Corte riguarda piuttosto l'identità tra la formulazione delle misure nazionali di recepimento e quella delle disposizioni della direttiva.

3.10

Alcuni Stati membri, tuttavia, incontrano gravi difficoltà a redigere in modo soddisfacente le norme di recepimento delle disposizioni «prescrittive/incondizionate», difficoltà che si possono così riassumere: «ai fini di una chiara formulazione del diritto, l'emanazione di nuove disposizioni deve essere accompagnata da una sistematica» pulizia «dei testi da eventuali disposizioni ridondanti o, peggio ancora, contraddittorie. È quindi necessario trovare il giusto equilibrio tra una trascrizione troppo vicina all'originale e una revisione troppo estesa delle disposizioni in questione e questo può essere una fonte di difficoltà» (7).

4.   Metodi di recepimento a cui ricorrono gli Stati membri

4.1

La tecnica redazionale da scegliere per le misure di recepimento è diversa a seconda che si tratti di recepire «disposizioni facoltative» o «disposizioni prescrittive/incondizionate»:

nel caso delle «disposizioni prescrittive/incondizionate», il metodo di recepimento al quale gli Stati membri ricorrono in misura sempre maggiore sembra essere quello della «mera trascrizione» del testo della direttiva. Ciò in quanto il recepimento di questo tipo di disposizioni non lascia alcun margine di manovra agli Stati membri, cosicché l'attenzione della Commissione e della Corte è rivolta anzitutto alla coincidenza, quando non addirittura all'identità, tra la formulazione delle misure di recepimento e quella delle norme incondizionate della direttiva. Tuttavia, la Corte non si è mai spinta fino a statuire che l'obbligo di fedele recepimento delle direttive implichi necessariamente quello di procedere a una mera trascrizione.

La Commissione è piuttosto favorevole al metodo della «mera trascrizione», pur verificando con particolare attenzione che le definizioni contenute nella direttiva vengano riprodotte fedelmente nel testo di recepimento, onde evitare qualsiasi discrepanza semantica o concettuale che possa nuocere sia all'applicazione uniforme del diritto comunitario negli Stati membri che alla sua efficacia.

Il controllo del recepimento delle «disposizioni facoltative» appare invece più problematico. Ricordiamo infatti che si tratta dell'ipotesi in cui, conformemente alla lettera dell'articolo 249 CE, la direttiva si limita a fissare obiettivi generali, lasciando agli Stati membri la scelta discrezionale della forma e dei mezzi con cui conseguirli. La valutazione della completezza e della fedeltà del recepimento deve allora riguardare il contenuto — e non la stessa formulazione — delle misure di diritto interno. La Corte statuisce quindi che il controllo delle misure di recepimento deve privilegiare un approccio pragmatico, modulato caso per caso in funzione degli obiettivi della direttiva e del settore che essa disciplina, il che può disorientare la Commissione (8).

4.2

Infine, gli Stati membri possono anche adottare il metodo del «recepimento mediante riferimento» nel caso di disposizioni di carattere tecnico, quali ad esempio gli allegati di una direttiva in cui figurino elenchi di oggetti o modelli di formulari, oppure siano oggetto di frequenti modifiche.

4.3

Paesi Bassi, Slovacchia, Austria, Finlandia ed Estonia ricorrono al recepimento mediante riferimento nel caso di allegati tecnici di direttive che vengono spesso modificate dalle direttive adottate con la procedura di comitato.

4.4

Non è difficile constatare che l'operazione di recepimento è meno semplice di quanto sembri, in ragione del contenuto normativo variabile delle direttive — una diversità che comporta procedure di recepimento diverse nei vari Stati membri.

4.5

Così, ad esempio, il Regno Unito ricorre per l'adozione delle leggi di recepimento, a una procedura accelerata detta negative declaration, che prevede che il governo depositi in parlamento il testo della legge di recepimento — frutto di una concertazione interministeriale -, il quale non viene discusso se non su espressa richiesta.

4.6

Il Belgio ricorre a una procedura d'urgenza, applicabile a qualsiasi legge, qualora l'avvicinarsi della scadenza del termine per la trasposizione della direttiva imponga l'adozione in tempi rapidi di una legge di recepimento.

4.7

L'ordinamento di altri Stati membri — tra cui Germania, Austria e Finlandia — non prevede invece una simile procedura legislativa accelerata per l'adozione delle leggi di recepimento.

4.8

In Francia non esiste un trattamento normativo differenziato — cioè con procedura legislativa semplificata o con provvedimento regolamentare — a seconda del rilievo delle direttive che occorre recepire.

5.   Quali soluzioni raccomandare per un più efficace recepimento delle direttive?

Il punto cruciale è stabilire come elaborare a livello comunitario normative più semplici da recepire e dotate della coerenza concettuale e della relativa stabilità indispensabili per l'attività delle imprese e la vita dei cittadini.

Va anticipata la scelta dello strumento normativo di recepimento, predisponendo fin dall'avvio del dibattito sul progetto di direttiva una tavola di concordanza accurata e continuamente aggiornata, sull'esempio del Regno Unito.

Occorre accelerare il processo di recepimento fin dalla pubblicazione della direttiva nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea, affidando il coordinamento interno a un punto di contatto nazionale che — come proposto nella comunicazione della Commissione — disporrebbe a tal fine di una banca dati specifica ed eventualmente persino di un meccanismo di allerta in grado di attivarsi pochi mesi prima della scadenza del termine per il recepimento. Belgio, Ungheria e Paesi Bassi si sono già dotati di un sistema di questo tipo.

Si deve privilegiare il metodo di recepimento mediante «mera trascrizione» nel caso di disposizioni precise e incondizionate o di definizioni.

Bisogna ammettere il recepimento mediante rinvio specifico alle disposizioni prescrittive/incondizionate della direttiva, quali gli elenchi o le tabelle riguardanti sostanze, oggetti o prodotti contemplati dalla direttiva stessa, oppure i modelli di formulari o di certificati figuranti negli allegati. Il rinvio deve necessariamente essere specifico, poiché la Corte di giustizia ha statuito che un testo di diritto interno che operi un mero rinvio generico alla direttiva non può costituire una valida normativa di recepimento (9). Paesi Bassi, Slovacchia, Austria, Finlandia ed Estonia fanno ricorso a questo metodo per il recepimento degli allegati tecnici delle direttive.

Occorre adattare le procedure di recepimento nei singoli Stati membri in funzione della portata della direttiva in questione ricorrendo a procedure accelerate, senza tuttavia trascurare le consultazioni interne obbligatorie legate all'adozione di testi normativi.

6.   Conclusioni

6.1

Se l'obiettivo di migliorare l'applicazione del diritto comunitario, secondo l'esortazione della Commissione, appare ispirato al buon senso, la sua realizzazione dipende in larga misura dagli Stati membri, i quali, come si può constatare, devono far fronte a problemi più complessi di quanto non sembri a un primo, superficiale esame.

6.2

Gli Stati membri non dovrebbero servirsi del processo di recepimento delle direttive come pretesto per una revisione di parti delle rispettive normative nazionali su cui il diritto comunitario non ha alcuna incidenza diretta (cosiddetto gold plating), né per livellare verso il basso determinate disposizioni dei rispettivi diritti interni in modo tale da ridurre diritti dei cittadini o delle imprese (downgrading), attribuendo in seguito a «Bruxelles» la responsabilità delle modifiche apportate.

6.3

Gli Stati membri dovrebbero ricorrere in modo più sistematico alla possibilità offerta dal diritto primario/dai Trattati di recepire le direttive — in particolare quelle in materia sociale ed economica — mediante una negoziazione collettiva; in funzione delle materie, le organizzazioni della società civile andrebbero consultate, nel corso del processo di preparazione del recepimento (10), sulle modifiche o aggiunte da apportare al diritto interno. Tali procedure di negoziato e di consultazione servirebbero a promuovere e agevolare, grazie al sostegno della società civile, la successiva applicazione del diritto comunitario. Infatti, la consultazione della società civile prima dell'adozione delle misure interne di recepimento rende più consapevole il processo decisionale consentendo all'amministrazione nazionale di raccogliere i pareri delle parti sociali, degli esperti e dei rappresentanti degli operatori del settore cui dette misure si applicheranno. Essa ha un chiaro valore informativo consentendo agli attori coinvolti di conoscere meglio il contenuto delle future riforme. Così, segnatamente nel Regno Unito, in Danimarca, in Finlandia e in Svezia, le amministrazioni pubbliche consultano le parti sociali e i rispettivi organismi consultivi inviando loro il progetto delle misure di recepimento accompagnato da un questionario dettagliato sul testo del progetto.

6.4

Sarebbe opportuno tenere maggiormente conto dell'ordinamento costituzionale interno di un cospicuo numero di Stati membri (Stati federali, con decentramento regionale o con altre modalità di trasferimento di competenze sovrane a un livello substatale), prevedendo talvolta una proroga del termine per il recepimento delle disposizioni comunitarie che incidono soprattutto sui poteri delegati ad enti locali o regionali (politica regionale, regioni ultraperiferiche e insulari, ecc.).

6.5

I parlamenti nazionali e i parlamenti o le assemblee regionali (ad esempio in Scozia, in Belgio o nei Länder tedeschi) sono particolarmente coinvolti e responsabili in caso di recepimento di norme di diritto comunitario rientranti nelle materie in cui dispongono di competenza decisionale o consultiva. Le commissioni o i comitati che essi istituiscono a tale scopo dovrebbero procedere ad audizioni di esperti e rappresentanti dei settori interessati della società civile e disporre di poteri specifici per programmare il vaglio delle proposte di misure di recepimento, in modo da evitare che le «urgenze» legislative interne determinino il rinvio dell'esame di tali proposte oltre il termine stabilito. Per contro, nel caso in cui si accumuli ritardo in relazione a un certo numero di proposte di misure di recepimento sulle quali non vi sia un disaccordo sostanziale tra i partiti politici, si potrebbero adottare provvedimenti d'urgenza (delega legislativa all'esecutivo) per ridurre drasticamente l'arretrato delle direttive non recepite entro i termini.

6.6

Alcuni Stati membri hanno già istituito meccanismi intesi ad accelerare le procedure di adozione delle norme di recepimento; altri hanno messo a punto tecniche volte a migliorare la qualità del recepimento, mentre qualche altro Stato è soltanto alla fase iniziale e deve ancora adattarsi. I ministeri e i parlamenti dei singoli paesi potrebbero, ad esempio, istituire al loro interno un ufficio studi sul recepimento, incaricato di dirigere/orientare i lavori di recepimento. Per gli Stati membri questa è un'opportunità di modernizzare l'azione pubblica e non una costrizione imposta loro dalle istituzioni comunitarie, prima fra tutte la Commissione. In altre parole, è necessario che ciascuno si assuma pienamente il ruolo e le responsabilità che gli competono nella costruzione europea (11).

Bruxelles, 12 marzo 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Pour une meilleure insertion des normes communautaires dans le droit national (Per un migliore recepimento delle norme comunitarie nel diritto nazionale), studio adottato dall'adunanza generale del Consiglio di Stato francese in data 22 febbraio 2007, Documentation française, Parigi, 2007.

(2)  Corte di giustizia delle Comunità europee (CGCE), sentenza del 20 marzo 1997 nella causa C 96/95, Commissione/Germania, Racc. 1997, pag. I-1653.

(3)  (relatore: VAN IERSEL), GU C 24 del 31.1.2006.

(4)  Cfr. ad esempio: CGCE, sentenza del 26 giugno 2003 nella causa C 233/2000, Commissione/Francia, Racc. 2003, pag. I-6625.

(5)  CGCE, sentenza del 19 settembre 2000 nella causa C 287/98, Granducato del Lussemburgo/Linster, Racc. 2000, pag. I-6917.

(6)  Giurisprudenza costante della CGCE: cfr. le sentenze del 23 maggio 1985 nella causa 29/84, Commissione/Repubblica federale di Germania, Racc. 1985 pag. 1661; dell'8 luglio 1987 nella causa 262/85, Commissione/Repubblica italiana, Racc. 1987 pag. 3073; del 10 maggio 2001 nella causa C-144/99, Commissione/Regno dei Paesi Bassi, Racc. 2001 pag. I-3541.

(7)  Contributo del Consiglio di Stato francese al XIX convegno dell'Associazione dei Consigli di Stato e delle giurisdizioni superiori amministrative dell'Unione europea (L'Aia, 14-15 giugno 2004).

(8)  CGCE, sentenza del 15 giugno 2006 nella causa C 459/04, Commissione/Svezia, con cui la Corte ha rigettato un ricorso in carenza proposto dalla Commissione, secondo il quale la Svezia non avrebbe adempiuto gli obblighi impostile dalla direttiva 89/391/CEE del Consiglio, del 12 giugno 1989, concernente l'attuazione di misure volte a promuovere il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori durante il lavoro. In tale occasione, infatti, la Corte ha statuito che tale direttiva andava considerata una «direttiva quadro», che, in quanto tale, non prescriveva un'armonizzazione completa della normativa degli Stati membri in materia di ambiente di lavoro.

(9)  CGCE, sentenza del 20 marzo 1997 nella causa C 96/95, Commissione/Germania, Racc. 1997, pag. I-1653, cit.

(10)  (relatore: RETUREAU) e (relatore: VAN IERSEL), entrambi nella GU C 24 del 31.1.2006.

(11)  È, a grandi linee, la conclusione dello studio del Consiglio di Stato francese Pour une meilleure insertion des normes communautaires dans le droit national, cit.


9.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 204/13


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 76/769/CEE del Consiglio per quanto riguarda le restrizioni in materia di immissione sul mercato e di uso di talune sostanze e preparati pericolosi [2-(2-metossietossi)etanolo, 2-(2-butossietossi)etanolo, diisocianato di metilendifenile, cicloesano e nitrato di ammonio]

COM(2007) 559 def. — 2007/0200 (COD)

(2008/C 204/03)

Il Consiglio, in data 23 ottobre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 76/769/CEE del Consiglio per quanto riguarda le restrizioni in materia di immissione sul mercato e di uso di talune sostanze e preparati pericolosi [2-(2-metossietossi)etanolo, 2-(2-butossietossi)etanolo, diisocianato di metilendifenile, cicloesano e nitrato di ammonio]

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 27 febbraio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore SEARS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 marzo 2008, nel corso della 443a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 125 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

La proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio in esame, presentata dalla Commissione, modifica la direttiva 76/769/CEE aggiungendo restrizioni in materia di immissione sul mercato e di uso di cinque sostanze che non hanno alcuna relazione tra di loro. Quattro di queste figuravano negli elenchi delle priorità inizialmente compilati fra il 1994 e il 2000. Le misure proposte riguardano unicamente i rischi cui è esposta la popolazione. L'ultima sostanza, ossia il nitrato di ammonio, viene contemplata in questo contesto per migliorare la sicurezza dei fertilizzanti a base di nitrato di ammonio nella loro manipolazione da parte di agricoltori e distributori e per combattere il terrorismo, in particolare limitando l'accesso ai precursori degli esplosivi. In quest'ultimo caso, vi saranno conseguenze per le vendite ai dettaglianti e al pubblico.

1.2

Il CESE sostiene alcune delle proposte, ma non tutte. Le argomentazioni relative a ciascuna sostanza e ai preparati in cui sono contenute vengono esposte ai punti da 5 a 9.9.

1.3

Il CESE prende atto del fatto che questa è in pratica l'ultima modifica della direttiva del Consiglio 76/769/CEE, prima della sua sostituzione, il 1o giugno 2009, con il regolamento (CE) n. 1907/2006 (REACH). Tuttavia, come nel caso di precedenti modifiche, si rammarica che siano stati raggruppati insieme in questo modo sostanze e preparati senza alcuna relazione fra di loro e rileva i notevoli ritardi intervenuti da quando essi sono stati indicati come «prioritari» a norma del regolamento del Consiglio (CEE) n. 793/93. Se questo è dovuto a carenze di risorse o di capacità al livello della Commissione o di altri organi competenti, compresa la nuova Agenzia europea per le sostanze chimiche di Helsinki, allora occorre ovviarvi al più presto, e comunque entro il 1o giugno 2009. I fabbricanti devono anche riconoscere il loro obbligo di fornire tempestivamente le necessarie informazioni durante la valutazione dei rischi. Senza queste regole i risultati perdono rapidamente qualsiasi valore.

1.4

Infine, il CESE appoggia decisamente la dichiarazione del Consiglio sulla lotta al terrorismo e le numerose singole iniziative che ne derivano. Esso ritiene di avere un ruolo fondamentale da svolgere in questo processo e sta preparando alcuni pareri sull'argomento. Per conseguire la sicurezza a lungo termine sarà cruciale decidere quali azioni siano proporzionate e quali iter legislativi vadano seguiti per assicurare reazioni tempestive ed efficaci da parte di tutti i soggetti interessati.

2.   Introduzione

2.1

Il regolamento (CE) n. 1907/2006, del 18 dicembre 2006, del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la registrazione, la valutazione, l'autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche (REACH) entrerà in vigore il 1o giugno 2009. Esso abrogherà e sostituirà diversi regolamenti e direttive del Consiglio e della Commissione attualmente in vigore, compresa la direttiva 76/769/CEE del Consiglio, del 27 luglio 1976, concernente le restrizioni in materia di immissione sul mercato e di uso di talune sostanze e preparati pericolosi. Tale direttiva, che viene modificata da quella ora in esame, è diretta a preservare il mercato interno garantendo nel contempo un livello di protezione elevato della salute umana e dell'ambiente.

2.2

L'allegato I della direttiva 76/769/CEE definisce le restrizioni specifiche in materia di immissione sul mercato e di uso di talune sostanze e preparati pericolosi che sono state convenute e adottate negli ultimi 30 anni. Il 1o giugno 2009 esse diventeranno la chiave di volta dell'allegato XVII del regolamento (CE) n. 1907/2006 (REACH).

2.3

Precedenti modifiche alla direttiva 76/769/CEE (dirette ad aggiungere ulteriori misure restrittive) hanno assunto la forma di direttive da recepire e applicare negli Stati membri. Quella in esame è una proposta di decisione della Commissione, che non richiederà la sua attuazione con leggi degli Stati membri, le quali, altrimenti, avrebbero dovuto essere abrogate il 1o giugno 2009 al momento dell'entrata in vigore del regolamento (CE) n. 1907/2006 (REACH).

2.4

Per i prossimi mesi è attesa una proposta definitiva di decisione nel quadro della direttiva del Consiglio 76/769/CEE sulle restrizioni all'immissione sul mercato e sull'uso del diclorometano. Tutte le proposte successive riguardanti restrizioni in materia di immissione sul mercato e di uso di talune sostanze e preparati pericolosi verranno presentate nel quadro del regolamento (CE) n. 1907/2006 (REACH).

2.5

Le sostanze (e tutti i preparati che le contengono) per le quali si è ritenuto necessario introdurre restrizioni circa l'immissione sul mercato e l'uso sono state in genere stabilite sulla base della valutazione di talune «sostanze prioritarie» di cui al regolamento del Consiglio (CEE) n. 793/93. Sono stati redatti quattro elenchi di priorità (l'ultimo il 30 ottobre 2000), la cui applicazione incombe alle autorità competenti degli Stati membri. Le sostanze elencate sono 141 e per 83 di esse sono disponibili relazioni definitive sulla valutazione dei rischi. 39 di queste sono state valutate dagli appositi comitati scientifici dell'UE e i risultati della valutazione sono stati pubblicati nella Gazzetta ufficiale. Sono state decise misure restrittive per 22 di queste sostanze. La proposta in esame prevede misure restrittive per altre 4 sostanze (individuate ed esaminate qui di seguito ai punti da 5 a 9.9 come DEGME, DEGBE, MDI e cicloesano).

2.6

La lentezza dei progressi compiuti con questo regolamento è stata citata come una delle ragioni principali per introdurre un nuovo approccio per tutte le sostanze «esistenti» contemplate dal regolamento (CE) n. 1907/2006 (REACH). Anche il regolamento del Consiglio (CEE) n. 793/93 sarà pertanto abrogato dal 1o giugno 2009.

2.7

Anche varie sostanze non previste nei primi quattro elenchi di priorità hanno formato oggetto di una valutazione d'impatto sulla salute umana e sull'ambiente, e/o sono state avanzate proposte per limitarne l'immissione sul mercato e l'uso dopo che, su richiesta degli Stati membri, erano stati analizzati nuovi problemi. Il nitrato di ammonio è una di tali sostanze.

2.8

Esso rappresenta un caso a sé stante e del tutto particolare in quanto le sue particolarità sono ben note e quindi non si è reso necessario valutarne gli effetti sulla salute umana o l'ambiente. Per molti anni è stato utilizzato in tutto il mondo in grandi quantità nei fertilizzanti a base di azoto e non presenta alcun rischio inatteso né sul posto di lavoro o per quanti ne fanno un uso professionale né per i consumatori nelle applicazioni a livello domestico. Purtroppo è anche un componente efficace, poco costoso e di largo impiego per produrre esplosivi, per scopi sia legittimi (settore minerario o militare) sia illegittimi (terrorismo). Per queste ragioni vengono previste restrizioni alla sua immissione sul mercato e al suo uso nel quadro della direttiva del Consiglio 76/769/CEE.

2.9

Per la legislazione contro il terrorismo o sui precursori degli esplosivi si sarebbero potute scegliere altre basi, ma il Trattato attualmente in vigore avrebbe richiesto l'unanimità degli Stati membri. La situazione cambierà quando il Trattato di Lisbona sarà pienamente ratificato, ma ciò richiederà ancora del tempo.

2.10

Questo modo di procedere viene giudicato opportuno in questo momento poiché sembra probabile che all'allegato XVII del regolamento (CE) n. 1907/2006 (REACH) saranno aggiunti altri precursori di stupefacenti e di esplosivi.

2.11

Quanto detto sinora riguarda le sostanze «esistenti», ossia le 100.195 che si pensava fossero state presenti nel mercato della Comunità europea tra il 1o gennaio 1971 e il 18 settembre 1981. Esse sono elencate nell'inventario europeo delle sostanze chimiche esistenti a carattere commerciale (Einecs), pubblicato nella Gazzetta ufficiale nel 1990. Le sostanze immesse sul mercato dopo il 18 settembre 1981 sono considerate «nuove» e, a norma della legislazione comunitaria in materia, sono soggette all'obbligo di notifica dettagliata prima della commercializzazione a tutela della salute umana e dell'ambiente.

3.   Sintesi della proposta della Commissione

3.1

La proposta della Commissione mira a proteggere la salute umana, e in particolare quella dei consumatori, preservando al tempo stesso il mercato interno per tre sostanze (DEGME, DEGBE e cicloesano) che figurano nel primo elenco di priorità, risalente al 25 maggio 1994, e una (MDI) del terzo elenco, del 27 gennaio 1997, come previsto dal regolamento del Consiglio (CEE) n. 793/93.

3.2

Conformemente con la raccomandazione della Commissione 1999/721/CEE del 12 ottobre 1999 e con raccomandazioni analoghe successive sui risultati della valutazione dei rischi e sulle strategie relative alla riduzione dei rischi, si propone tutta una serie di restrizioni specifiche e molto particolareggiate che varranno unicamente per la vendita al pubblico e non influiranno sulle condizioni sul posto di lavoro o sull'ambiente. Si ritiene che il costo per l'industria e la società in genere sarà minimo, per cui le azioni proposte sono giudicate proporzionali ai rischi individuati. Per i preparati contenenti MDI vengono richieste ulteriori informazioni sotto il profilo sanitario.

3.3

Una quinta sostanza, il nitrato di ammonio, ampiamente utilizzato come fertilizzante, viene aggiunta per la sua capacità di servire da ossidante, e in particolare di esplodere se mescolato con determinate altre sostanze. Le restrizioni proposte mirano ad assicurare che tutti i fertilizzanti a base di nitrato di ammonio ottemperino a uno standard comune di sicurezza, e anche a restringere la gamma di prodotti a base di nitrato di carbonio venduti al pubblico, allo scopo di limitare le quantità che possono essere facilmente dirottate verso usi illegali. Si può quindi affermare che le restrizioni torneranno a vantaggio della salute e della sicurezza del pubblico. Quanti ne fanno uso professionale (agricoltori e produttori legittimi di esplosivi) non risentiranno di queste restrizioni. Benché i costi (e i benefici) siano difficilmente quantificabili, si ritiene che siano proporzionali ai rischi individuati (e alle misure proposte).

3.4

La decisione in esame entra in vigore il terzo giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea.

3.5

La proposta è preceduta da una relazione e corredata di un documento di lavoro dei servizi della Commissione (relazione sulla valutazione dell'impatto) e, per le quattro sostanze oggetto di valutazione a norma del regolamento del Consiglio (CEE) n. 793/93, anche di lunghe e dettagliate relazioni sulla valutazione dei rischi, pubblicate dall'Agenzia europea per le sostanze chimiche, nonché di altro materiale, sia a sostegno che critico, emanante dai vari comitati scientifici e da altri organi che hanno contribuito alla preparazione o alla valutazione dei dati pertinenti.

4.   Osservazioni generali

4.1

Come nel caso di numerose precedenti modifiche alla direttiva del Consiglio 76/769/CEE, questa proposta riguarda sostanze senza alcuna relazione fra di loro che, per ragioni di chiarezza, saranno esaminate separatamente.

5.   2-(2-metossietossi)etanolo (DEGME)

5.1

Il DEGME è un etere glicolico a punto di ebollizione elevato, solubile in acqua, tipicamente utilizzato come prodotto chimico intermedio nella chimica sintetica, come co-solvente in numerosi prodotti decorativi per la casa, come antigelo per le basse temperature, ad esempio nei carburanti dei motori a reazione. Stando alla relazione sulla valutazione dei rischi predisposta per il governo olandese e completata nel luglio 1999, la produzione complessiva in Europa all'inizio degli anni '90 era di circa 20.000 tonnellate, di cui poco più della metà destinata all'esportazione.

5.2

I consumatori vengono a contatto col DEGME perché esso è usato nelle vernici e nei decapanti venduti per applicazioni «fai da te» ad uso domestico, non professionale. Come le sue stesse proprietà fisiche lasciano prevedere, il DEGME è facilmente assorbito dalla pelle, e se non si usano regolarmente indumenti protettivi efficaci vi è un rischio per i consumatori legato all'esposizione cutanea.

5.3

Gli studi più recenti rivelano che il DEGME è stato ora sostituito da altri solventi in tutte le vernici e i decapanti venduti al pubblico. Di conseguenza, è opportuno assicurare che questa situazione non cambi per i prodotti fabbricati, o importati, nell'UE. La proposta assicura quindi che 18 mesi dopo l'entrata in vigore della decisione il DEGME non potrà più essere immesso sul mercato come componente di vernici o di decapanti in concentrazioni pari o superiori allo 0,1 % in massa (ossia in nessun prodotto in cui, per contaminazione o coproduzione, sia presente in altri componenti autorizzati in misura superiore a tale livello). Questa sembra costituire una risposta ragionevole a parere dei settori industriali interessati. Il CESE approva pertanto questa restrizione all'immissione sul mercato e all'uso del DEGME.

6.   2-(2-butossietossi)etanolo (DEGBE)

6.1

Anche il DEGBE è un etere glicolico, con proprietà fisiche analoghe, compresa la solubilità nell'acqua, ma con un punto di ebollizione più elevato di quello del DEGME. È ampiamente utilizzato come solvente in vernici a base acquosa, in cui facilita la formazione di una pellicola e la durata. A sua volta ciò riduce la frequenza delle verniciature e limita l'esposizione complessiva. La relazione sulla valutazione dei rischi ha stimato che in Europa la produzione complessiva era di circa 46.000 tonnellate nel 1994, passate a 58.000 nel 2000, di cui 33.000 utilizzate nelle vernici.

6.2

La valutazione dei rischi ha individuato alcuni rischi per i consumatori, consistenti nell'inalazione di minuscole gocce al momento dell'uso di vernici a spruzzo a base acquosa contenenti DEGBE. L'inalazione di vapori originati dalle applicazioni con pennello o a rullo non desta preoccupazioni sotto il profilo tossicologico.

6.3

Sulla base della relazione sulla valutazione dei rischi del 1999, e riconoscendo la difficoltà di sostituire un componente essenziale delle vernici a base acquosa come il DEGBE, si è concluso che per proteggere la salute dei consumatori sarebbe stato appropriato stabilire per il DEGBE un livello massimo del 3 % in massa nelle vernici destinate ad applicazioni a spruzzo. Le vernici con concentrazioni superiori di DEGBE possono essere immesse sul mercato per la vendita al pubblico ma solo se provviste della dicitura «Non utilizzare in dispositivi di verniciatura a spruzzo». Nulla cambia per le vendite agli utilizzatori professionali, dato che in tale contesto è molto più probabile l'uso di dispositivi di protezione. Si ritiene che i canali di distribuzione siano abbastanza differenziati per permettere l'applicazione di tale misura.

6.4

Le suddette misure prenderanno effetto 18-24 mesi dopo l'entrata in vigore della decisione, in modo da dare tempo sufficiente per qualsiasi modifica necessaria della composizione e dell'etichettatura. I settori industriali interessati giudicano tali misure una risposta ragionevole e, di conseguenza, il CESE approva questa restrizione all'immissione sul mercato e all'uso del DEGBE, ritenendola idonea a proteggere la salute dei consumatori e a preservare il mercato interno.

7.   Diisocianato di metilendifenile (MDI)

7.1

MDI è il nome dato a una serie di prodotti simili (isomeri) che se puri avrebbero la consistenza di cere solide, ma sono in generale disponibili sotto forma di un liquido viscoso marrone molto reattivo. Stando alla relazione sulla valutazione dei rischi, nel 1996 la produzione mondiale superava i 2 milioni e mezzo di tonnellate, di cui 500 000 prodotte nell'UE. In presenza di polioli o di glicoli poco pesanti (o persino di acqua) e di un agente espandente l'MDI reagisce con grande rapidità producendo schiume di poliuretano. Queste possono essere sia rigide che flessibili e vengono utilizzate nel settore delle costruzioni e anche in altri comparti come componenti strutturali, isolanti, fondi riempitivi, stampi e adesivi.

7.2

I consumatori vengono esposti a queste sostanze principalmente quando utilizzano schiume a un componente (OCF), vendute in barattoli spray agli appassionati del «fai da te» per colmare fessure irregolari negli intonaci o nei rivestimenti in mattoni o per sigillare le nuove intelaiature di porte o finestre. Le vendite complessive annue di MDI si aggirano sulle 10.000 tonnellate, sufficienti per produrre ogni anno circa 36 milioni di barattoli per i consumatori e altri 134 milioni di barattoli per i professionisti. I prodotti alternativi, ad es. la fibra di vetro per sigillare le intelaiature delle finestre, sono meno pratici da utilizzare e comporterebbero altri problemi.

7.3

Non è stato facile quantificare i rischi che l'esposizione e la sensibilizzazione cutanea e respiratoria comportano per i consumatori basandosi sui dati relativi all'esposizione negli ambienti di lavoro. È difficile trovare campioni puri di isomeri. La rapidissima reazione dell'MDI all'acqua, che lo trasforma in un solido inerte non solubile in acqua complica le normali verifiche dei rischi. Peraltro, nella pratica la quantità complessivamente disponibile ai consumatori è limitata dal sistema utilizzato per l'applicazione pratica, che consiste in uno spruzzatore munito di cannuccia direzionale innestato su un piccolo contenitore. Un barattolo normale si vuota nel giro di 2-4 minuti. In presenza di vapore acqueo nell'aria l'MDI nello stato originale viene meno solidificandosi rapidamente, e il prodotto solido finale è inerte e non pericoloso. L'uso è in genere sporadico (per colmare o sigillare un buco o una fessura, o l'intelaiatura di una porta o di una finestra) e non frequente (per la maggior parte degli utilizzatori) e non è certamente equiparabile all'esposizione nelle officine. Come avviene in genere per il «fai da te», i dispositivi di protezione non vengono sempre utilizzati sistematicamente.

7.4

Per quanto detto sopra, non sorprende che, benché esista un rischio teorico, sia risultato difficile o persino impossibile identificare casi di effettiva sensibilizzazione cutanea o respiratoria nella popolazione (e peraltro nemmeno in ambienti di lavoro dove siano previste appropriate misure protettive). A sua volta ciò rende difficile mettere a punto misure proporzionate, economiche e pratiche.

7.5

Sotto questo profilo la valutazione d'impatto indica che mentre con ogni barattolo venduto al pubblico per impieghi occasionali possono, e dovrebbero, essere forniti guanti di polietilene leggeri, non costosi e perfettamente adeguati, non è invece possibile fornire i guanti pesanti di neoprene o nitrile necessari per le applicazioni industriali. D'altro canto, anche se con ogni barattolo è possibile fornire maschere antipolvere di cotone leggero, queste sarebbero insufficienti in caso di rischio effettivo, mentre una vera e propria maschera antigas per proteggere da qualsiasi tipo di aerosol comporterebbe un costo almeno dieci volte superiore a quello del barattolo, senza alcuna garanzia che venga effettivamente utilizzata quando necessario.

7.6

La Commissione propone pertanto che tutti i barattoli venduti al pubblico vengano muniti di guanti di polietilene (ripiegati ad esempio all'interno del coperchio) con apposite avvertenze circa i rischi di reazioni allergiche (anomale) all'MDI per quanti vi sono già sensibili o di reazioni asmatiche (per quanti già soffrono d'asma) ovvero cutanee (per quanti già soffrono di problemi della pelle).

7.7

Il CESE appoggia la prima di queste misure, ossia la fornitura di guanti di polietilene, che andrebbero comunque utilizzati per la maggior parte delle operazioni di «fai da te». Tuttavia, proprio per assicurare l'effettiva applicabilità di questo provvedimento, non giudica opportuno prevedere condizioni più severe per i guanti, perché altrimenti questi non verrebbero inseriti nelle confezioni del prodotto.

7.8

Il Comitato esprime tuttavia delle riserve riguardo alla proposta di aggiungere avvertenze sull'etichetta, anche se verrà concesso tempo sufficiente per la loro introduzione a costi ragionevoli. Non è infatti chiaro come una persona non del settore possa sapere se è «già sensibilizzata ai diisocianati diversi dall'MDI», o per quale motivo ciò sia particolarmente importante. Come ben sanno quanti soffrono di asma o dermatiti croniche (di lunga durata), quasi tutti i prodotti utilizzati in casa o nel «fai da te» possono scatenare una reazione negativa acuta (di breve durata). In casi del genere sono essenziali una buona ventilazione e l'uso di indumenti protettivi (guanti), unitamente alla raccomandazione di sospendere immediatamente l'uso del prodotto al manifestarsi dei sintomi. Questo consiglio è utile per qualsiasi tipo di utilizzatore e va aggiunto sull'etichetta. Visto che i barattoli, e le loro etichette, sono piccoli, tutte queste raccomandazioni devono essere chiare, concise e leggibili nelle normali condizioni d'uso. Qualora occorrano ulteriori istruzioni circa la manipolazione o la sicurezza, esse andrebbero incluse in un foglietto illustrativo.

7.9

Il CESE esprime anche delle riserve riguardo al punto (6) che recita «Le persone fisiche o giuridiche che immettono sul mercato per la prima volta preparati contenenti MDI sono tenute, entro 3 anni (…), a rilevare dati su eventuali casi di persone colpite da allergia respiratoria nel corso dell'impiego di preparati contenenti MDI e a mettere tali dati a disposizione della Commissione (…) conformemente a un protocollo di studio (…) con la partecipazione di centri specializzati (…)» per dimostrare che «non sono necessarie ulteriori misure restrittive diverse da quelle già applicate». Dato che l'MDI è normalmente utilizzato sin dagli anni '70 e che, come osservato più sopra, le vendite annue superano attualmente i 36 milioni di barattoli, prodotti da fabbricanti esentati dal rispetto di questo requisito, è difficile non considerare questa misura nient'altro che un ostacolo poco giustificato all'accesso al mercato.

7.10

La relazione della Commissione sulla valutazione d'impatto spiega che questa proposta trova la sua origine in una preoccupazione espressa nella relazione sulla valutazione dei rischi, secondo cui alcuni rischi di allergie respiratorie per i lavoratori (…) potrebbero riguardare i consumatori. Nello stesso capoverso è detto che l'informazione attualmente disponibile dai centri antiveleni sembrano indicare che i casi di allergie respiratorie provocati ai consumatori da prodotti contenenti MDI sono pochi o inesistenti. A prescindere dalle supposte limitazioni di tali relazioni, non è chiaro se la proposta della Commissione sarebbe definitiva. Rispetto a un rischio che si riconosce essere ipotetico e che non è suffragato da alcuna prova malgrado l'ampio uso delle sostanze considerate, questa proposta risulta in effetti sproporzionata.

7.11

Il CESE chiede pertanto che questa restrizione circa l'immissione sul mercato e l'uso venga ritirata. Qualora permangano validi dubbi circa la sicurezza di questi prodotti (che non possono essere sostituiti da altri nel breve periodo), essi dovranno essere esaminati con i produttori applicando procedure adeguate per la raccolta dei dati e per la relativa valutazione.

8.   Cicloesano

8.1

Il cicloesano è un liquido incolore ottenuto in grandi quantità mediante idrogenazione catalitica del benzene. Viene utilizzato quasi esclusivamente (oltre il 95 % dei casi) per la sintesi dell'acido adipico, che a sua volta serve alla produzione del nylon. Attualmente la capacità di produzione mondiale supera i 5.000.000 di tonnellate, di cui 1.500.000 t nell'UE. Si tratta di processi produttivi in sistemi chiusi e con bassi livelli di esposizione. Fonti di esposizione al cicloesano sono i prodotti di combustione, incluso il fumo del tabacco, il petrolio greggio, taluni impianti e i vapori della benzina.

8.2

Il cicloesano viene anche utilizzato come solvente, fra l'altro, per gli adesivi di contatto a base di neoprene impiegati per il cuoio (calzature), gli autoveicoli e il settore delle costruzioni. Questi includono la posa su larga scala di moquette da parte di professionisti e lavori di minore entità per riparazioni o altre applicazioni «fai da te» da parte del pubblico. Nell'UE l'uso totale negli adesivi è inferiore alle 10.000 tonnellate all'anno.

8.3

Come per tutti gli idrocarburi, sono essenziali una corretta ventilazione e l'uso di indumenti protettivi adeguati o di dispositivi per la protezione respiratoria. Ciò può essere ragionevolmente garantito per l'uso professionale ma non per il pubblico. Ad ogni modo, come già nel caso dei preparati contenenti MDI, le caratteristiche fisiche dei prodotti immessi sul mercato sono tali da limitare notevolmente i rischi. Gli adesivi di contatto istantanei sono ideali per piccole applicazioni, ma le persone non esperte incontrano grandi difficoltà a utilizzarli in maniera soddisfacente su vasta scala. Sembra pertanto appropriato, e in genere accettabile, limitare le dimensioni delle confezioni dei prodotti destinati al pubblico.

8.4

La Commissione propone pertanto che gli adesivi a base di neoprene contenenti cicloesano vengano immessi sul mercato per la vendita al pubblico in confezioni non superiori ai 650 grammi. Tutte le confezioni in vendita dovrebbero essere munite dell'avvertenza «Non utilizzare per la posa di moquette» e «Non utilizzare in condizioni di scarsa ventilazione».

8.5

I test effettuati con simulazioni nelle condizioni peggiori, ad esempio la fissazione di grandi pannelli di sughero a una parete interna, indicano che per questo tipo di operazioni la misura proposta limiterebbe abbastanza l'esposizione dei consumatori, e analogamente si può ritenere che anche per gli altri casi considerati più sopra l'esposizione sarebbe in genere poco frequente e di breve durata. Malgrado gli adesivi a base di neoprene siano utilizzati già da vario tempo e abbastanza diffusi, non sembra dimostrato che il loro impiego abbia dato luogo a problemi reali. Ad ogni modo, le misure proposte possono essere introdotte senza provocare gravi inconvenienti né ai produttori né ai consumatori. Il CESE approva pertanto questa restrizione all'immissione sul mercato e all'uso del cicloesano ritenendola proporzionata ai rischi in esame.

9.   Nitrato di ammonio

9.1

Il nitrato di ammonio è una sostanza solida bianca, venduta in pellet, prodotta da oltre 100 anni a partire dall'ammoniaca, che a sua volta è ottenuta dal gas naturale. La produzione mondiale supera i 20 milioni di tonnellate. È importante come fertilizzante azotato e come base per fabbricare esplosivi. Questa seconda proprietà, unitamente alla sua ampia diffusione e basso costo hanno attirato l'interesse dei terroristi. Per fabbricare esplosivi occorrono anche altre sostanze (ad esempio gasolio), che sono però anch'esse facilmente reperibili. Il nitrato di ammonio è stato per anni l'esplosivo preferito dell'IRA nell'Irlanda del Nord ed è stato utilizzato in famosi attacchi dinamitardi a Oklahoma, al World Trade Centre e a Bali. Di recente lo hanno usato gruppi di estremisti attivi a Londra e in altre capitali europee. Le istruzioni per produrre questi ordigni dinamitardi sono facilmente reperibili su Internet. Bastano 2 kg per provocare effetti devastanti. Chiunque, se ben deciso, sembra potersi procurare quantità superiori ai 500 kg, eventualmente acquistando più volte piccole quantità da specialisti per il giardinaggio o negozi al dettaglio. È manifestamente difficile esercitare dei controlli.

9.2

Per quanti ne fanno un uso professionale (gli agricoltori) i controlli vengono effettuati prevedendo che il prodotto sia venduto in lotti minimi di dimensioni tali da impedire che una singola confezione possa essere facilmente trasportata o asportata in maniera illegale, e anche disponendo un'accurata supervisione in tutte le fasi della catena di approvvigionamento. Il nitrato di ammonio in commercio è generalmente instabile e può decomporsi diventando inutilizzabile. Deve essere quindi immagazzinato con cura e utilizzato quanto prima nel terreno. Questo limita le quantità che possono essere dirottate verso impieghi diversi.

9.3

Il nitrato di ammonio può essere venduto in diverse concentrazione ( % di tenore d'azoto) e unito o meno ad altri elementi essenziali (in genere derivati del fosforo e del potassio). Allo stato puro contiene circa il 35 % di azoto. Esso va diluito per evitare danni alla vegetazione. Possono essere prodotte qualità diverse mescolando materiali reattivi o sostanze inerti (come la calce) oppure mediante reazioni chimiche per ottenere la proporzione desiderata di componenti essenziali. I prodotti venduti agli agricoltori possono avere un tenore di azoto pari o superiore al 28 %. Questi fertilizzanti ad elevato tenore di azoto sono soggetti ai controlli previsti dal regolamento (CE) n. 2003/2003, per assicurare che contengano la quantità di azoto necessaria e possano essere utilizzati in maniera sicura senza rischi di esplosioni. I fertilizzanti che soddisfano a queste norme possono essere etichettati come «concimi CE» e commercializzati all'estero. Quelli che invece non soddisfano a queste norme non possono essere venduti all'estero e sono denominati «concimi nazionali». I prodotti destinati ai consumatori presentano in genere un tenore di azoto del 20-25 %. Quanto più bassa è la percentuale di azoto tanto maggiori sono i costi di trasporto unitari del fertilizzante e il volume da applicare ad una determinata superficie. I fertilizzanti a base di nitrato di ammonio sono considerati essenziali per l'agricoltura commerciale, ma non altrettanto per le piccole quantità vendute al dettaglio al pubblico, che possono essere sostituite da altri prodotti.

9.4

Per chi sia interessato alla produzione illegale di esplosivi, l'ideale è disporre di un tenore di azoto il più elevato possibile. Miscele ottenute in maniera meccanica possono essere concentrate nuovamente attraverso una soluzione o cristallizzazione, mentre è più difficile, o persino impossibile, fare altrettanto con miscele ottenute mediante procedimento chimico. In Danimarca degli esperti governativi sono riusciti a far esplodere concentrazioni di appena il 16 %. Se si dispone di tempo e di mezzi tutto è possibile, anche se alla lunga possono risultare più interessanti formule concorrenti basate su materie prime reperibili con altrettanta facilità. I relativi metodi sono illustrati nel Manuale del terrorista e altri strumenti disponibili al pubblico su Internet.

9.5

Dopo gli attacchi dinamitardi del marzo 2004 a Madrid il Consiglio dell'Unione europea ha approvato una dichiarazione sulla lotta al terrorismo. Contestualmente è stata creata una task force di esperti incaricati di mettere a punto un piano d'azione per contrastare l'uso di ordigni dinamitardi da parte di terroristi, la quale ha concluso i suoi lavori nel giugno 2007. Una delle 47 azioni specifiche in programma prevedeva la costituzione di un Comitato permanente di esperti sui precursori degli esplosivi. A questi lavori partecipano numerosi esperti del settore privato e pubblico, con l'apporto della CEFIC e della FECC, che rappresentano rispettivamente i settori dell'industria chimica e della distribuzione dei prodotti chimici, e l'EFMA, che rappresenta i produttori di fertilizzanti.

9.6

La proposta di decisione ora in esame mira a fare in modo che tutti i fertilizzanti a base di nitrato di ammonio venduti agli agricoltori (o distributori) ottemperino alle norme previste dal regolamento (CE) n. 2003/2003 e che si limiti il contenuto di azoto dei prodotti venduti al pubblico. Ove questa proposta venga adottata, 18 mesi dopo l'entrata in vigore della decisione il nitrato di ammonio non potrà più essere immesso sul mercato per la vendita al pubblico «come sostanza o in preparati contenenti il 20 % o più in massa di azoto in relazione al nitrato di ammonio».

9.7

Il CESE appoggia pienamente la prima parte della proposta, la quale prevede che tutti i fertilizzanti «ad elevato tenore di azoto» venduti agli agricoltori dovranno ottemperare al regolamento n. 2003/2003, a prescindere dal fatto che siano o no commercializzati attraverso le frontiere.

9.8

Per quanto riguarda la seconda limitazione, relativa alle vendite al pubblico, il CESE rileva che i volumi interessati potrebbero essere superiori a quelli inizialmente previsti (oltre 50.000 tonnellate) e che l'EFMA, in rappresentanza dei produttori di fertilizzanti, ha accettato il limite del 20 % per le miscele (che potrebbero essere nuovamente concentrate senza grande difficoltà) proponendo però un limite del 24,5 % per le miscele ottenute con procedimento chimico (per le quali una nuova concentrazione è meno agevole). Tenuto conto delle discussioni nell'ambito del Comitato permanente di esperti sui precursori degli esplosivi, prima di arrivare a una decisione definitiva occorrerà studiare appieno sia le possibilità summenzionate, sia altre possibilità connesse. A prescindere da altre eventuali misure utili a contrastare il terrorismo, è chiaro che per conseguire progressi nella limitazione dell'accesso ai precursori degli esplosivi saranno essenziali il pieno accordo e impegno di tutte le diverse parti interessate, che in questo caso comprendono i produttori, i distributori, il settore delle vendite al dettaglio e il pubblico.

9.9

Il CESE prende atto con varie riserve del fatto che la direttiva del Consiglio 76/769/CEE costituisce l'unica base legislativa disponibile alla Commissione nel breve periodo e che quindi le misure vanno proposte e discusse in questo modo. È auspicabile che una volta ratificato il Trattato di Lisbona possa essere messo a punto un sistema migliore.

10.   Osservazioni specifiche

10.1

Come già nei pareri su precedenti modifiche alla direttiva del Consiglio 76/769/CEE, il CESE si rammarica che si continui a trattare insieme, nello stesso testo, sostanze che non hanno alcuna relazione tra loro, e in merito alle quali vanno prese decisioni del tutto separate. Questa prassi non è né buona né utile, e nemmeno costituisce un modello di buona governance. Si può solo auspicare che a partire dal 1o giugno 2009, con il regolamento (CE) n. 1907/2006 (REACH), venga introdotta una procedura migliore.

10.2

Il CESE rileva anche il tempo eccessivo necessario per attuare le disposizioni in esame. Basti pensare che il primo elenco di priorità è stato pubblicato nel maggio 1994. Anche se, come auspicato, questa proposta beneficerà di una procedura accelerata, i suoi effetti sul mercato saranno ridotti fino al 2010 (anzi, anche allora sarà difficile ottenere effettivi miglioramenti per la salute umana). È peraltro anche difficile addebitare questi ritardi interamente ai fabbricanti tenuti a fornire i dati utilizzati per le relazioni sulla valutazione dei rischi, visto che essi erano disponibili già da tempo. Se questo problema dipende dalla scarsità di mezzi al livello della Commissione o dei suoi comitati scientifici, o di altri organi responsabili della sicurezza del pubblico, manifestamente esso va affrontato prima che emerga un carico di lavoro ancor maggiore, per il quale non vi è ancora una graduatoria delle priorità, dopo il 1o giugno 2009.

10.3

Il CESE appoggia decisamente sia la dichiarazione sulla lotta al terrorismo adottata dal Consiglio nel 2004 sia le diverse azioni che vi hanno fatto seguito, e ritiene che la società civile debba svolgere un ruolo chiave in proposito. Spera pertanto di essere considerato sia un interlocutore valido e utile sia parte direttamente interessata e fa presente che sta preparando vari pareri su questa tematica. Per conseguire la pace e la sicurezza a lungo termine sia all'interno dell'UE che nel mondo circostante sarà cruciale decidere quali azioni siano proporzionate e quali iter legislativi vadano seguiti per assicurare reazioni tempestive ed efficaci da parte di tutti i soggetti interessati.

Bruxelles, 12 marzo 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


9.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 204/19


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce l'Impresa comune «Celle a combustibile e idrogeno»

COM(2007) 571 def. — 2007/0211 (CNS)

(2008/C 204/04)

Il Consiglio, in data 30 novembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce l'Impresa comune «Celle a combustibile e idrogeno»

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 27 febbraio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore DANTIN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 marzo 2008, nel corso della 443a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 117 voti favorevoli e 7 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato approva la decisione di creare l'Impresa comune «Celle a combustibile e idrogeno». Ritiene infatti che il fatto di rilanciare, in questo modo, gli investimenti nella ricerca e sviluppo, possa fornire alle imprese un quadro di riferimento sicuro, che consenta di superare l'attuale frammentazione dei finanziamenti comunitari e di coordinare ricerche troppo spesso dispersive, rendendole più efficaci.

1.2

Approva inoltre la scelta del settore che consente, al tempo stesso, di iscriversi nella strategia di Lisbona, di rispondere agli obiettivi di Barcellona sulle risorse da assegnare alla ricerca e sviluppo e di seguire altre politiche comunitarie rivolte in particolare all'ambiente e allo sviluppo sostenibile.

1.3

Nel dare parere favorevole alla decisione in esame, il CESE intende innanzi tutto sottolineare quanto sia importante per l'UE la strategia proposta in materia di investimenti e di coordinamento della ricerca. Detta strategia rappresenta, a suo avviso, un valido contributo alla creazione di uno spazio europeo della ricerca.

1.4

Tuttavia, a causa delle molteplici fonti di finanziamento, dell'eterogeneità dei partecipanti e delle importanti risorse comunitarie in gioco, occorrerebbe definire meglio l'utilizzo e l'attribuzione dei prodotti finali della ricerca, soprattutto per quanto concerne i diritti di proprietà intellettuale e la questione dei brevetti. È una lacuna che il Comitato ha già segnalato nei pareri concernenti la creazione delle imprese comuni IMI e Clean Sky. Nell'ambito dell'Iniziativa tecnologica congiunta (ITC) all'esame, tale lacuna potrebbe rivelarsi un nodo ancor più sensibile, considerando che il prodotto finale interesserà imprese concorrenti sul mercato, e in particolare le industrie automobilistiche.

1.5

Il Comitato giudica infine necessario:

operare una reale semplificazione delle procedure, soprattutto considerando il ruolo negativo svolto dalla complessità amministrativa nell'ambito dei precedenti programmi di ricerca e sviluppo. A tale proposito, il CESE si rammarica che non siano state attentamente valutate le cause che hanno determinato le eventuali difficoltà incontrate dalle PTE (Piattaforme tecnologiche europee), il che avrebbe permesso di evitarne delle altre,

elaborare un programma d'informazione che contribuisca alla mobilitazione delle necessarie risorse economiche pubbliche e private,

mettere a punto programmi di formazione professionale che permettano di adeguare le qualifiche dei lavoratori ai posti di lavoro creati da tale ITC.

2.   Introduzione

2.1

La proposta di regolamento in esame mira a lanciare uno dei primi partenariati europei pubblico-privato nel settore della R&S e definisce uno dei sei settori atti a un'iniziativa tecnologica congiunta (ITC). Tale partenariato, denominato Impresa comune «Celle a combustibile e idrogeno», riguarda un settore assolutamente strategico per la diversificazione e per la disponibilità futura di energia.

2.2

L'obiettivo delle ITC è in generale quello di consentire all'industria, agli Stati membri e alla Commissione di mettere in comune le rispettive risorse a favore di programmi di ricerca mirati.

2.3

Contrariamente all'approccio tradizionale, consistente nel destinare ai progetti finanziamenti pubblici concessi caso per caso, le ITC riguardano programmi di ricerca su vasta scala, con obiettivi strategici di ricerca comuni. Questo nuovo approccio dovrebbe generare una massa critica per la ricerca e l'innovazione europee, consolidare la comunità scientifica nei principali settori strategici e armonizzare il finanziamento dei progetti affinché i risultati della ricerca possano essere sfruttati più rapidamente. Le ITC riguardano settori determinanti in cui gli strumenti attuali non hanno né la consistenza finanziaria né la rapidità di azione necessarie affinché l'Europa possa mantenere o conquistare una posizione di vantaggio nella concorrenza mondiale. Si tratta di settori in cui un finanziamento nazionale, europeo e privato della ricerca può apportare un valore aggiunto considerevole, segnatamente incoraggiando l'aumento delle spese private per la ricerca e lo sviluppo.

2.4

Le celle a combustibile sono dei convertitori di energia estremamente efficaci che permettono di ridurre considerevolmente la produzione di gas a effetto serra e di altri inquinanti. Esse permettono inoltre una maggiore flessibilità del mix energetico in quanto possono funzionare a idrogeno oppure ad altri combustibili quali il gas naturale, l'etanolo ed il metanolo, proponendosi così come un contributo importante alla difesa dell'ambiente e alla lotta contro l'inquinamento.

2.5

Per il settore delle celle a combustibile e idrogeno, l'ITC denominata Impresa comune«Celle a combustibile e idrogeno» ha l'obiettivo generale di contribuire allo sviluppo delle competenze essenziali per il settore e di rafforzare così la competitività dell'Europa. La proposta in esame fornisce il quadro giuridico necessario per costituire tale Impresa comune.

2.6

L'Impresa comune contribuisce inoltre alla messa in atto del piano d'azione a favore delle tecnologie ambientali (EPAT), come previsto dalla comunicazione COM(2004) 38 def., che includeva questa piattaforma tecnologica tra le azioni prioritarie dell'EPAT.

3.   Contesto e considerazioni di carattere generale

3.1

La scarsità di energia e la costante insicurezza delle fonti di approvvigionamento mettono a repentaglio la qualità della vita dei cittadini e la salvaguardia delle condizioni di competitività delle imprese europee. Questi fattori avranno prevedibilmente in futuro delle notevoli implicazioni, anche a fronte della continua instabilità e dell'incremento dei prezzi delle fonti energetiche.

3.2

Per queste ragioni le celle a combustibile che funzionano a idrogeno presentano un grande interesse per il futuro: oltre infatti a permettere una diversificazione delle fonti energetiche disponibili, esse costituiscono dei convertitori di energia non inquinanti dato che il loro funzionamento genera solo vapore. D'altronde, anche gli altri tipi di celle a combustibile che utilizzano gas naturale o altri combustibili fossili permettono di ridurre le emissioni inquinanti, e questo grazie al loro superiore rendimento.

3.3

L'adozione dell'idrogeno come vettore energetico flessibile può contribuire ad assicurare la sicurezza energetica e a stabilizzare i prezzi dell'energia in quanto tale elemento può essere prodotto a partire da diverse fonti di energia primaria permettendo così di diversificare il mix dei combustibili per i trasporti, che oggi dipendono ancora per il 98 % dal petrolio.

3.4

Nel 2005 il settore delle celle a combustibile presentava a livello mondiale una cifra di affari pari a circa 300 milioni di euro, di cui però solo il 12 % riguardava l'Europa; quanto agli investimenti nel campo della ricerca, che sono stimati a circa 700 milioni di euro, essi vedono l'Europa presente solamente per un 10 % del totale, contro il 78 % del Nord America.

3.5

La struttura attuale del settore di attività delle celle a combustibile e idrogeno in Europa risulta quindi del tutto insoddisfacente, malgrado l'UE abbia già investito una notevole quantità di fondi pubblici, essendo questo tema già presente nel portafoglio delle attività di ricerca Energia e trasporti del Settimo programma quadro (7PQ). L'impegno nella ricerca in Europa è assai lontano da quello che caratterizza altre aree a livello mondiale, e secondo uno studio comunitario (progetto HyLights della DG TREN) l'Europa accusa attualmente un ritardo di almeno cinque anni rispetto al Giappone e all'America del Nord per quanto riguarda i veicoli equipaggiati di celle a combustibile.

3.6

Senza una nuova e concreta spinta nel campo della R&S esiste un ragionevole rischio che lo sviluppo industriale di un campo fondamentale come quello delle celle a combustibile e idrogeno accumuli ulteriori ritardi rispetto alla concorrenza mondiale, con ovvi effetti negativi sullo sviluppo industriale del settore e sull'occupazione.

3.7

I principali problemi che emergono dall'analisi e dalle consultazioni effettuate dalla Commissione derivano dalla complessità delle ricerche necessarie al settore e dal fatto che non esiste un accordo concreto a livello comunitario per un piano di investimenti a lungo termine.

3.8

In questa situazione, a fronte dei necessari interventi nel campo dell'innovazione che richiedono un livello di risorse molto elevato, appare evidente che nessuna impresa o singola istituzione può portare avanti da sola le indispensabili ricerche.

3.9

I fondi attualmente disponibili, oltre che insufficienti, non sono utilizzati al meglio in ragione di lacune nei programmi e/o di inutili doppioni e sono del tutto inadeguati per finanziare un programma su grande scala a livello europeo.

3.10

Il settore europeo delle celle a combustibile risulta inoltre inadeguatamente coordinato tra diversi paesi e diversi settori di attività (università, nuove imprese industriali, PMI ad alta tecnologia, ecc.). Ciò impedisce, oltre alla messa in comune di conoscenze e di esperienze, anche gli avanzamenti tecnologici indispensabili per migliorare la performance dei materiali e per conseguire quella riduzione dei costi capace di rispondere alle aspettative dei nuovi clienti potenziali.

3.11

Conferire una dimensione europea alla ricerca nel campo delle celle a combustibile e idrogeno costituisce una scelta obbligata, in quanto appare essere la sola strada possibile per affrontare le difficili sfide con cui il settore deve cimentarsi.

3.12

La scelta di un'impresa comune pubblico-privata dovrebbe invece permettere alla R&S comunitaria del settore di fare un salto in direzione di quel tipo di ricerca efficace che attualmente incontra problemi per raggiungere l'indispensabile massa critica. Ciò appare essenziale per superare l'attuale frammentazione dei programmi di ricerca distribuiti tra i vari Stati membri, che non possono raggiungere tale massa critica non disponendo delle risorse per finanziare i necessari programmi.

4.   Coerenza

4.1

Il punto di riferimento per i programmi di ricerca è costituito dal 7PQ. Bisogna essere consapevoli del fatto che se si vuole un'economia competitiva e dinamica è indispensabile rilanciare gli investimenti in R&S.

4.2

Il regolamento in esame appare coerente con la politica comunitaria in materia di ricerca, con la strategia di Lisbona (competitività) e con gli obiettivi di Barcellona (spese destinate alla ricerca) che prevedono che l'UE investa nell'R&S il 3 % del suo PIL entro il 2010.

4.3

Esso appare inoltre coerente con la comunicazione della Commissione in merito all'iniziativa lanciata nel gennaio del 2007 Una politica dell'energia per l'Europa e con il Piano strategico europeo per le tecnologie energetiche (piano SET), che forma attualmente oggetto di un parere del Comitato (1), e che deve servire di base per orientare nel prossimo decennio le tecnologie energetiche. Il programma è infine coerente con altri capitoli dell'azione comunitaria, ad esempio l'ambiente e lo sviluppo sostenibile.

5.   La proposta della Commissione

5.1

La Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce l'Impresa comune «Celle a combustibile e idrogeno» (COM(2007) 571 def.), fa riferimento alle disposizioni del Settimo programma quadro (7PQ) di ricerca e sviluppo, oggetto della decisione n. 1982/2006/CE, le quali prevedono un contributo comunitario alla costituzione di partenariati publico-privati a lungo termine su scala europea nel settore della ricerca.

5.2

Tali partenariati, che si configurano come ITC (iniziative tecnologiche congiunte), derivano dalle vecchie piattaforme tecnologiche europee (PTE).

5.3

Il Consiglio, nella decisione 2006/971/CE, concernente il programma specifico Cooperazione, ha sottolineato la necessità di istituire dei partenariati pubblico-privati e ha individuato sei settori in cui la creazione di iniziative tecnologiche congiunte è atta a rilanciare la ricerca in Europa:

celle a combustibile e idrogeno,

aeronautica e trasporto aereo (2),

medicinali innovativi (3),

sistemi informatici incorporati (4),

nanoelettronica (5),

GMES (sistema globale di osservazione per l'ambiente e la sicurezza).

5.4

Nel contesto di questa strategia generale, la proposta di regolamento in esame (COM(2007) 571 def.) prevede l'attuazione di un'iniziativa tecnologica congiunta sulle celle a combustibile e l'idrogeno tramite la creazione dell'Impresa comune «Celle a combustibile e idrogeno».

5.5

L'Impresa comune è considerata un organismo internazionale dotato di personalità giuridica ai sensi dell'articolo 22 della direttiva 2004/17/CE del Parlamento e del Consiglio del 31 marzo 2004 e dell'articolo 15 della direttiva 2004/18/CE. Essa avrà sede a Bruxelles e le sue attività si concluderanno il 31 dicembre 2017, salvo proroga decisa dal Consiglio tramite revisione del regolamento.

5.6

I principali obiettivi che la Commissione si propone con la creazione dell'Impresa comune, esposti in modo dettagliato all'articolo I. 2 dello statuto dell'Impresa comune allegato al regolamento, sono i seguenti:

mettere l'Europa all'avanguardia mondiale delle tecnologie delle celle a combustibile e idrogeno,

permettere la penetrazione commerciale delle celle a combustibile e idrogeno, affinché le forze di mercato possano generare vantaggi pubblici significativi,

raggiungere la massa critica degli sforzi di ricerca necessari per dare fiducia all'industria, agli investitori pubblici e privati, ai responsabili politici e alle altre parti interessate affinché si impegnino in un programma a lungo termine,

suscitare nuovi investimenti nella RST&D da parte delle imprese così come a livello nazionale e regionale,

costruire lo Spazio europeo della ricerca,

favorire l'innovazione e l'emergere di nuove catene di valore includendo le PMI,

facilitare l'interazione fra le imprese, le università ed i centri ricerca in materia di ricerca fondamentale,

incoraggiare la partecipazione dei nuovi Stati membri e dei paesi candidati,

sostenere l'elaborazione di nuove regolamentazioni e norme per eliminare le barriere artificiali frapposte al commercio dell'idrogeno,

fornire al grande pubblico informazioni affidabili sulla sicurezza dell'idrogeno, e sui vantaggi delle nuove tecnologiche per l'ambiente, la sicurezza dell'approvvigionamento, i costi energetici e l'occupazione.

6.   Base giuridica

6.1

La proposta consiste in un regolamento del Consiglio, cui è allegato lo statuto dell'Impresa comune. Essa si basa sull'articolo 171 del Trattato. L'Impresa comune sarà un organismo comunitario, con un bilancio disciplinato dall'articolo 185 del regolamento (CE, Euratom) n. 1605/2002 del Consiglio. Bisognerà comunque tenere conto del fatto che questa iniziativa rientra per sua natura tra i partenariati pubblico-privati, che beneficiano di un contributo del settore privato pari almeno a quello del settore pubblico.

7.   Costituzione

7.1

Sono membri fondatori dell'Impresa comune:

a)

la Comunità europea, rappresentata dalla Commissione;

b)

il Gruppo industriale europeo per l'iniziativa tecnologica congiunta sulle celle a combustibile e l'idrogeno.

7.2

In futuro potrebbe divenire membro anche un gruppo scientifico di ricerca che rappresenti gli organismi di ricerca senza scopo di lucro, sempre che venga istituita un'entità che rappresenti la comunità scientifica.

8.   Finanziamento

8.1

I costi amministrativi dell'Impresa comune, esposti in dettaglio all'articolo 5 del regolamento, sono finanziati in parti uguali dai membri fondatori.

8.2

I costi operativi per le attività di R&S sono finanziati congiuntamente dal contributo finanziario comunitario e dai contributi in natura dei soggetti giuridici di diritto privato che partecipano alle attività. Il contributo di questi ultimi dovrà corrispondere ad un importo almeno equivalente al contributo comunitario.

8.3

Il contributo massimo della Comunità, per i costi sia amministrativi che operativi dell'Impresa, è di 470 milioni di euro. Il Comitato ritiene che l'importo di detto contributo avrebbe potuto essere superiore, vista l'importanza delle ricerche oggetto di questa ITC. I costi amministrativi sono inoltre stimati ad un importo massimo di 20 milioni di euro. I contributi provengono dal programma specifico Cooperazione che attua il Settimo programma quadro della Comunità europea per azioni di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione, conformemente a quanto disposto dall'articolo 54, paragrafo 2, lettera b) del regolamento (CE, Euratom) n. 1605/2002 del Consiglio.

8.4

Qualora venga istituito un gruppo scientifico di ricerca (cfr. punto 7.2), il suo contributo è fissato a 1/12 dei costi amministrativi, con conseguente riduzione del contributo della Commissione.

8.5

Salvo che ne venga garantito il finanziamento dopo il 2013 (data di scadenza del 7PQ), solo i progetti con una convenzione di sovvenzione firmata entro il 31 dicembre 2013 proseguiranno nel periodo 2014-2017.

9.   Osservazioni generali

9.1

Il CESE esprime parere favorevole alla decisione di costituire l'Impresa comune «Celle a combustibile e idrogeno» ed approva la relativa proposta di regolamento (COM(2007) 571 def). Nell'esprimere tale parere favorevole, il CESE tiene a sottolineare innanzitutto l'importanza per l'UE della strategia proposta in materia di investimenti e di coordinamento della ricerca: nel caso specifico di questa ITC, tale strategia consente di diversificare maggiormente il mix energetico, specie nel settore dei trasporti (6).

9.2

Infatti, come già affermato nei pareri in merito ad altri regolamenti facenti capo alla decisione 2006/971/CE del Consiglio relativa al programma specifico Cooperazione, il CESE ritiene che il rilancio degli investimenti in R&S sia uno strumento appropriato per fornire alle imprese un quadro di riferimento sicuro, che consenta di superare l'attuale frammentazione dei finanziamenti comunitari e di evitare una ripartizione scoordinata dei programmi.

9.3

Il CESE ha da sempre sostenuto con grande forza, in un notevolissimo numero di pareri, l'esigenza improrogabile di un impegno sempre maggiore dell'UE nel campo della R&S. Nell'impossibilità di citare tutti gli interventi di sostegno, ci limitiamo a ricordare in appresso gli ultimi due, approvati a larga maggioranza nella sessione plenaria del 24-25 ottobre 2007 e concernenti le imprese comuni Clean Sky ed ENIAC.

9.4

Sul piano generale: nel parere in merito al Libro verdeNuove prospettive per lo spazio europeo della ricerca  (7), il CESE ha confermato che «mentre appoggia l'obiettivo di creare infrastrutture di ricerca in campo tecnico-scientifico, alle quali bisognerà però fornire un sostegno costante ed affidabile», non può non ribadire «l'esigenza, quale presupposto per la validità ed il successo delle stesse attività, di una presenza congiunta, oltre che della Commissione, anche degli Stati membri e degli istituti e poli universitari e quella, sul piano tecnico, di un coinvolgimento impegnato dell'industria».

9.5

Sul piano specifico: nel parere in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeoRelazione sui progressi compiuti nell'uso dei biocarburanti e di altri combustibili provenienti da fonti rinnovabili  (8), il CESE ha sostenuto con forza l'importanza dello sviluppo dei programmi di ricerca relativi alla materia trattata nel regolamento in esame.

9.5.1

In particolare, il CESE ha definito «necessario riservare una particolare attenzione alla ricerca nel settore dei biocarburanti, soprattutto di seconda generazione, senza sacrificare quella connessa con lo sviluppo dell'idrogeno solare o derivato dal trattamento delle biomasse».

9.5.2

Ha poi proseguito affermando che «nonostante il recente sviluppo della ricerca per produrre idrogeno dalla biomassa o da fonti rinnovabili, la possibile diffusione e commercializzazione di automobili a idrogeno è condizionata anche dai costi connessi con l'acquisto delle celle a combustibile. Concludendo, ha affermato che perché l'idrogeno diventi un'alternativa energetica economicamente compatibile e praticabile è necessario che i costi di produzione vengano abbattuti. Il Comitato ritiene sia opportuno sostenere la ricerca delle tecnologie collegate alle celle a biocombustibili (biofuel cells), ossia delle celle a combustibile biologico che utilizzano biocatalizzatori per convertire energia chimica in energia elettrica».

10.   Osservazioni particolari

10.1

Tenendo conto del sistema di finanziamento proposto, che prevede fonti molteplici e diverse, e considerando il volume di risorse comunitarie in gioco, il Comitato giudica opportuno definire con maggior precisione l'utilizzo e l'attribuzione dei prodotti finali della ricerca. A tale proposito, la questione dei brevetti e dei diritti di proprietà intellettuale, di cui all'articolo 17 della proposta di regolamento o all'articolo 1, paragrafo 24, dell'allegato relativo allo statuto dell'Impresa comune, i quali si limitano ad evocare una serie di principi, dovrebbe essere più precisa e particolareggiata, altrimenti rischia di diventare uno dei punti sensibili dell'attuazione e del funzionamento dell'ITC «Celle a combustibile e idrogeno». Il CESE aveva già sottolineato questa lacuna nel parere relativo alla creazione delle imprese comuni IMI e Clean Sky. Nell'ambito della ITC all'esame, tale lacuna rischia di rivelarsi un nodo ancor più sensibile considerando che il prodotto finale interesserà imprese concorrenti sul mercato, e in particolare le industrie automobilistiche, molte delle quali presenti nell'Impresa comune. Dato il volume degli investimenti comunitari previsti, è indispensabile definire meccanismi che permettano che l'investimento europeo abbia un ritorno, o per lo meno sottolineare questa preoccupazione nel documento all'esame.

10.2

Come già osservato al punto 5.2, le ITC derivano dalle vecchie piattaforme tecnologiche europee (PTE). A volte queste ultime non hanno conseguito l'obiettivo, loro assegnato, di un rilancio strategico delle ricerca in Europa. L'iniziativa di creare le ITC è essenzialmente dovuta proprio alle eventuali difficoltà incontrate dalle PTE, il cui ruolo fondamentale era di dare un sostanziale contributo all'industria in termini di competitività.

10.2.1

A tale proposito, il CESE si rammarica che nella proposta all'esame la Commissione non abbia condotto un'analisi più dettagliata sui lavori effettuati in precedenza dalle piattaforme tecnologiche europee (PTE), valutandone l'attività, illustrando i risultati ottenuti e citando gli opportuni riferimenti bibliografici. Un bilancio serio, condotto allo scopo di stabilire con precisione le cause delle eventuali difficoltà incontrate dalle PTE, avrebbe evitato difficoltà analoghe nel nuovo strumento.

10.3

Per realizzare gli obiettivi assegnati all'ITC «Celle a combustibile e idrogeno» e sfruttare al massimo tutte le potenzialità rappresentate dal nuovo strumento, il CESE giudica necessario:

operare una reale semplificazione delle procedure, specie considerando il ruolo negativo svolto dalla complessità amministrativa nell'ambito dei precedenti programmi di ricerca e sviluppo. Il Comitato inoltre intende concentrarsi maggiormente sulla necessità di coinvolgere tutte le parti nella scelta degli obiettivi e nell'analisi dei risultati finali,

elaborare un ampio programma d'informazione sulle possibilità offerte dalla ITC, in particolare sulla sua capacità di mobilitare le risorse necessarie tenendo conto delle nuove forme di finanziamento,

mettere a punto programmi adeguati di formazione professionale, in modo da formare una manodopera altamente qualificata che disponga delle conoscenze necessarie in materia di ricerca e sviluppo previste da tale Impresa comune, conoscenze che si riveleranno strategicamente importantissime per il futuro industriale dell'UE. Queste qualifiche di alto livello, rispondenti alle elevate capacità tecniche richieste per occupare i posti di lavoro nel campo della ricerca e sviluppo che saranno creati in tale contesto, metteranno inoltre un freno alla fuga dei ricercatori e rappresenteranno, al tempo stesso, una delle condizioni indispensabili per garantire la leadership in questi settori fondamentali dal punto di vista industriale ed ambientale.

Bruxelles, 12 marzo 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  TEN/332 — Piano strategico europeo per le tecnologie energetiche, relatore: ZBORIL.

(2)  GU C 44 del 16.2.2008, pag. 11 (INT/369).

(3)  GU C 44 del 16.2.2008, pag. 1 (INT/363).

(4)  GU C 44 del 16.2.2008, pag. 15 (INT/364).

(5)  GU C 44 del 16.2.2008, pag. 19 (INT/370).

(6)  TEN/297 — Mix energetico nel trasporto (relatore IOZIA).

(7)  GU C 44 del 16.2.2008, pag. 1 (INT/358).

(8)  GU C 44 del 16.2.2008, pag. 34 (TEN/286).


9.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 204/24


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva …/…/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla tutela giuridica dei programmi per elaboratore (versione codificata)

COM(2008) 23 def. — 2008/0019 (COD)

(2008/C 204/05)

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 13 febbraio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva …/…/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla tutela giuridica dei programmi per elaboratore (versione codificata)

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, in data 12 marzo 2008, nel corso della 443a sessione plenaria, ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 126 voti favorevoli e 2 astensioni.

 

Bruxelles, 12 marzo 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


9.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 204/24


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle fusioni delle società per azioni (versione codificata)

COM(2008) 26 def. — 2008/0009 (COD)

(2008/C 204/06)

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 14 febbraio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle fusioni delle società per azioni (versione codificata)

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, in data 12 marzo 2008, nel corso della 443a sessione plenaria, ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 117 voti favorevoli, 1 voto contrario e 7 astensioni.

 

Bruxelles, 12 marzo 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


9.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 204/25


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva …/…/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del […] intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società a mente dell'articolo 48, secondo comma, del trattato per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi (versione codificata)

COM(2008) 39 def. — 2008/0022 (COD)

(2008/C 204/07)

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 14 febbraio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva …/…/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del […] intesa a coordinare, per renderle equivalenti, le garanzie che sono richieste, negli Stati membri, alle società a mente dell'articolo 48, secondo comma, del trattato per proteggere gli interessi dei soci e dei terzi (versione codificata)

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, in data 12 marzo 2008, nel corso della 443a sessione plenaria, ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 125 voti favorevoli e 6 astensioni.

 

Bruxelles, 12 marzo 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


9.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 204/25


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione Le reti transeuropee: verso un approccio integrato

COM(2007) 135 def.

(2008/C 204/08)

In data 21 marzo 2007, la Commissione europea ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione — Le reti transeuropee: verso un approccio integrato

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 19 febbraio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore KRZAKLEWSKI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 marzo 2008, nel corso della 443a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 64 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) fa notare che un approccio integrato in materia di reti transeuropee (RTE) rappresenta uno dei metodi per realizzare l'obiettivo dello sviluppo sostenibile dell'Unione europea.

1.2

Il CESE è convinto che l'adozione di un approccio integrato per le RTE consenta di accelerare la realizzazione delle infrastrutture previste nel settore e di ridurre le spese di costruzione di tali reti rispetto a quelle che si dovrebbero sostenere se si adottasse un approccio che non tiene conto del possibile effetto delle sinergie fra le diverse reti.

1.2.1

Alla luce di quanto precede, il Comitato chiede alla Commissione europea di presentare delle proposte di estensione del campo del sostegno finanziario per gli approcci integrati, sotto forma di un «fondo per approcci integrati» concernente le RTE (intese in senso ampio, cioè comprese le loro ramificazioni) prima dell'imminente revisione intermedia.

1.3

Analizzando le condizioni in cui si può attuare efficacemente un approccio integrato per le RTE nella loro dimensione globale, il CESE ritiene che tale effetto sinergico si possa realizzare con successo solo in presenza di un processo di convergenza dei vari settori (1). Una condizione altrettanto importante, secondo il CESE, per rendere più efficace tale approccio integrato è rappresentata dal completamento, nel più breve tempo possibile, della struttura fondamentale di questo tipo di reti.

1.4

Riferendosi direttamente al contenuto della comunicazione della Commissione, il CESE raccomanda di ampliarlo con un'analisi dell'impatto che la recente adesione all'UE di 12 nuovi paesi può avere sulla possibilità e sulla sfera di applicazione dell'approccio integrato in quegli Stati.

1.5

Il CESE fa notare che l'approccio integrato per le RTE riveste una particolare importanza in quanto può:

limitare i danni causati all'ambiente nel corso della costruzione e dell'esercizio delle reti,

diminuire il numero delle controversie e agevolarne la risoluzione in situazioni di conflitto di interessi sopravvenute nel corso della costruzione e dell'esercizio delle reti.

1.6

Il CESE è del parere che gli studi scientifici, comprendenti iniziative sia a livello europeo che a livello nazionale, svolgano un ruolo fondamentale nell'ottimizzare gli effetti dell'approccio integrato per le RTE. Tenuto conto di ciò, il CESE afferma che tali studi sono attualmente caratterizzati da una dispersione tematica e settoriale, e invita quindi la Commissione e il Consiglio a programmare e avviare su tutto il territorio programmi europei di ricerca scientifica e applicativa sulle sinergie fra tutti i tipi di reti che costituiscono la struttura di insieme delle RTE.

1.7

Considerato che, in alcuni paesi dell'UE, esistono reti dorsali di fibre ottiche realizzate per applicazioni tecnologiche di altre infrastrutture nazionali (quali le reti elettriche o ferroviarie), il CESE è convinto che, nel quadro dell'attuazione di un approccio integrato, occorra sfruttare maggiormente tali reti di fibre ottiche a fini commerciali (servizi di telecomunicazione, trasmissione di dati, ecc.).

1.7.1

Parallelamente, il CESE ritiene che, tenuto conto dello sviluppo intensivo delle infrastrutture locali (comunali) in numerosi Stati membri dell'UE e dell'approccio integrato, occorra trarre profitto dalla costruzione di queste nuove infrastrutture per rafforzare lo sviluppo delle reti di accesso di fibre ottiche e realizzare infrastrutture comunali intelligenti (2). Parte integrante di questa infrastruttura comunale intelligente dovrebbe essere una mappa integrata dei SIG (3). In questo modo sarà possibile attuare un approccio integrato per la rete dell'infrastruttura comunale, utilizzando un sistema informatico («Sistema intelligente di gestione dell'infrastruttura»).

1.8

Il Comitato raccomanda alla Commissione di tener conto, nei suoi progetti relativi a un approccio integrato per le RTE, delle tecnologie integrate rinnovabili del gas nonché delle tecnologie energetiche rispettose dell'ambiente. Grazie a queste tecnologie, che avvicinano la produzione di energia elettrica all'utente finale, è possibile ridurre le emissioni di anidride carbonica.

1.8.1

Nel quadro di queste misure, occorre perseguire gli effetti di sinergia, coordinamento ed economia ottenibili nel processo di sviluppo delle biotecnologie e delle tecnologie energetiche del gas.

1.9

Analizzando la questione delle sinergie possibili in materia di RTE dell'energia sullo sfondo della situazione dei paesi baltici, recentemente divenuti membri dell'UE, il CESE ritiene che, nel quadro di un approccio integrato, occorra adottare una delle misure realizzabili in tempi brevi e condurre a buon fine l'integrazione dei sistemi dei paesi baltici con i sistemi del resto dell'UE mediante un ponte energetico. Nel far ciò, non si può tuttavia accettare, in una più lunga prospettiva (2020), la prassi degli stranded cost (costi «incagliati» o non recuperabili) (4) nel campo delle reti di trasmissione.

2.   Introduzione

2.1

Sviluppo, connessione, migliore integrazione e coordinamento delle infrastrutture europee dell'energia, dei trasporti e delle telecomunicazioni sono tutti obiettivi ambiziosi che figurano nel Trattato (5) e negli orientamenti per la crescita e l'occupazione basati sulla strategia di Lisbona (6).

2.2

Negli articoli 154, 155 e 156 del Trattato e negli Orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione sono stati stabiliti degli obiettivi riguardanti lo sviluppo delle infrastrutture europee dell'energia, dei trasporti e delle telecomunicazioni, la loro interconnessione e il miglioramento della loro integrazione e del loro coordinamento.

2.3

Sulla base delle suddette disposizioni contenute nel Trattato e negli Orientamenti, è stata formulata l'idea delle reti transeuropee dei trasporti, dell'energia e delle telecomunicazioni, che possono essere considerate come il «sistema circolatorio» dell'economia dell'UE.

2.4

Allo scopo di trarre i migliori risultati dal funzionamento delle reti transeuropee, in particolare dal punto di vista del rafforzamento della competitività dell'Unione europea, nel luglio 2005, la Commissione europea ha affidato ad un gruppo di indirizzo istituito a tale scopo il compito di definire un approccio comune destinato a migliorare il coordinamento dei diversi interventi comunitari in modo da fornire un sostegno sostanziale alla realizzazione delle reti transeuropee dei trasporti, dell'energia e delle telecomunicazioni.

2.4.1

Il gruppo di indirizzo si è dedicato in particolare alle questioni seguenti:

le sinergie tra le reti transeuropee,

il rispetto dell'ambiente nel quadro delle reti transeuropee,

l'utilizzo delle nuove tecnologie nelle reti transeuropee di trasporto,

il finanziamento delle reti transeuropee e, in tale contesto:

la combinazione tra i vari fondi,

il finanziamento dei grandi progetti prioritari,

il ricorso ai partenariati pubblico-privati (PPP) per finanziare le reti transeuropee.

2.5

Il presente parere ha per oggetto la comunicazione della Commissione (COM(2007) 135 def.) intitolata Le reti transeuropee: verso un approccio integrato, elaborata in seguito ai lavori del gruppo di indirizzo.

3.   Osservazioni generali

Lo stato di realizzazione delle reti transeuropee

3.1   Le reti transeuropee di trasporto (RTE-T)

3.1.1

Dall'ultimo allargamento dell'Unione europea nel 2007, la RTE-T comprende ormai 30 progetti prioritari da realizzare entro il 2020. La Commissione ha inoltre recentemente sottolineato la necessità di estendere queste reti ai paesi confinanti (7).

3.1.2

La realizzazione di questi grandi progetti ha subito ritardi rispetto al calendario iniziale. Anche se alcuni di tali cantieri sono stati completati o stanno per esserlo (8), il ritmo di realizzazione degli assi di trasporto considerati prioritari è ancora troppo lento. Il CESE ne descrive in dettaglio le cause in un parere d'iniziativa (9).

3.1.3

Di questi trenta progetti prioritari, diciotto sono progetti ferroviari e due riguardano la navigazione interna e marittima. È stata pertanto data la priorità ai modi di trasporto più rispettosi dell'ambiente. Le mappe che figurano nel documento elaborato per la Commissione dalla società Ecorys (10) illustrano l'attuale stato di avanzamento dei trenta progetti prioritari e lo stato previsto al termine del periodo di finanziamento pluriennale nel 2013. Da un'analisi di questi documenti emerge fino a che punto la rete sia ancora incompleta.

3.1.4

La comunicazione della Commissione oggetto del presente parere fa il bilancio delle risorse finanziarie destinate alla realizzazione della RTE-T nel periodo di programmazione finanziaria 2000-2006 e presenta i meccanismi di finanziamento per il quadro finanziario pluriennale 2007-2013, nell'ambito del quale sono stati stanziati 8,013 miliardi di euro per lo sviluppo della RTE-T.

3.1.5

Le principali fonti di finanziamento comunitario per i progetti della rete transeuropea dei trasporti per il periodo di programmazione 2007-2013 continueranno ad essere il FESR e il Fondo di coesione. In genere, il contributo comunitario alla realizzazione della RTE-T dovrà concentrarsi sulle sezioni transfrontaliere e sulle strozzature.

3.1.6

La Banca europea per gli investimenti continuerà a finanziare le infrastrutture di trasporto erogando prestiti e attivando uno strumento specifico di garanzia dotato di 500 milioni di euro provenienti dai fondi propri della banca stessa e di altri 500 milioni di euro provenienti dal bilancio della RTE-T (6,25 % della dotazione totale).

3.2   Le reti transeuropee dell'energia (RTE-E)

3.2.1

Nel gennaio 2007, la Commissione ha valutato nel suo «Programma prioritario per le interconnessioni» lo stato di avanzamento dei progetti dichiarati di interesse europeo. Per quanto riguarda l'energia elettrica, pochi sono i progetti (12 su 32) realizzati conformemente al programma e solo cinque quelli effettivamente completati (11).

3.2.2

Per quanto riguarda il gas, la situazione sembra migliore: su dieci progetti, sette dovrebbero essere terminati nel corso del periodo 2010-2013. In compenso, però, registra ritardo la realizzazione di 29 terminali di GNL (12) e impianti di stoccaggio del gas: si è rinunciato a costruirne nove e i lavori di altri cinque sono stati sospesi.

3.2.2.1

Come causa principale dei ritardi e delle mancate realizzazioni, la Commissione ha evocato la complessità della pianificazione e delle procedure di ottenimento dei permessi. Fra le altre ragioni, si rileverà l'opposizione dell'opinione pubblica, l'insufficienza delle fonti di finanziamento e la struttura delle imprese del settore energetico caratterizzata da un'integrazione verticale.

3.2.3

Entro il 2013 l'UE dovrà investire almeno 30 miliardi di euro in infrastrutture (6 miliardi per la trasmissione di energia elettrica, 19 miliardi per i gasdotti e 5 miliardi per i terminali di GNL), se vuole rispettare integralmente le priorità individuate negli orientamenti RTE-E. Gli investimenti sono indispensabili non solo nel settore dei collegamenti transfrontalieri, ma anche nel settore della produzione di energia.

3.2.4

Gli investimenti relativi alla RTE-E beneficiano di un aiuto finanziario che può essere accordato soltanto in casi specifici e strettamente giustificati e proviene dal bilancio comunitario. Si tratta della linea di bilancio esclusivamente destinata al finanziamento delle reti transeuropee o di risorse provenienti dal Fondo di coesione e dai fondi strutturali (i fondi rappresentano oltre un terzo del bilancio e sono destinati al finanziamento dello sviluppo regionale, fra l'altro nel settore delle reti dell'energia).

3.2.5

Il ricorso ad altri strumenti finanziari (fondo, prestiti) permette di finanziare la fase legata allo stanziamento degli investimenti. La Banca europea per gli investimenti è la fonte principale di finanziamento delle reti transeuropee. Accumulati, i diversi contratti di prestiti destinati al finanziamento dell'insieme delle reti transeuropee hanno raggiunto per il periodo dal 1993 alla fine del 2005 un importo pari a 69,3 miliardi di euro, di cui 9,1 miliardi destinati alle reti dell'energia.

3.3   Le reti transeuropee delle telecomunicazioni

3.3.1

Fra tutte le reti che compongono le RTE, la costruzione delle infrastrutture per la rete delle telecomunicazioni è quella più avanzata. L'apertura progressiva dei servizi di telecomunicazioni alla concorrenza, iniziata nel 1988, ha avuto effetti considerevoli. L'intensificazione della concorrenza ha stimolato gli investimenti, l'innovazione e la nascita di nuovi servizi e ha comportato una notevole riduzione dei prezzi per i consumatori.

3.3.2

Attualmente gli investimenti si concentrano soprattutto sull'ammodernamento delle reti esistenti per il passaggio alla generazione successiva, sullo spiegamento della terza generazione di telefonia mobile e su altre infrastrutture wireless, nonché sull'impianto della banda larga nelle zone rurali dell'Unione.

3.3.2.1

Gli investimenti possono anche consistere nella posa di cavi di fibre ottiche, nel qual caso le opere di ingegneria e il cablaggio all'interno degli edifici rappresenta il 70 % della spesa totale. La costruzione di linee ferroviarie, strade e linee elettriche può ovviamente facilitare l'istallazione di queste reti nelle aree meno equipaggiate o meno servite.

3.3.3

Uno dei problemi principali per le reti transeuropee di telecomunicazione consiste nel ridurre le disparità nell'accesso alla banda larga. Emergono delle differenze fra le zone urbane e quelle rurali e in questa situazione gli Stati membri sono tenuti ad adottare misure concrete e definire obiettivi per colmare questo divario entro il 2010.

3.3.4

Per organizzare una pianificazione coerente e completare la copertura territoriale a banda larga, è necessario coordinare ed integrare meglio le varie fonti di finanziamento (fondi strutturali, Fondo di sviluppo rurale, fondi RTE e finanziamenti nazionali).

Settori coperti dall'approccio integrato delle reti transeuropee

3.4   Le sinergie tra le reti transeuropee

3.4.1

Un primo esempio di sinergia nel settore delle RTE consiste nella combinazione strada-ferrovia (13). I vantaggi che ne derivano sono illustrati nella comunicazione della Commissione Estensione dei principali assi di trasporto transeuropei ai paesi confinantiOrientamenti per i trasporti in Europa e nelle regioni confinanti  (14). I più significativi sono: un migliore utilizzo dello spazio, la realizzazione comune di lavori di costruzione, un minore impatto visivo e una minore frammentazione del paesaggio, misure per ridurre l'impatto ambientale delle infrastrutture comuni (protezioni antirumore, viadotti per consentire il passaggio della piccola e grande fauna). Le infrastrutture combinate offrono effettivamente la possibilità di ridurre i costi e le ripercussioni negative sull'ambiente.

3.4.2

È stata effettuata una ricerca (15) per studiare la possibilità di dar vita ad altre e diverse combinazioni (ad esempio, far passare una linea ad alta tensione nelle gallerie ferroviarie, aggiungere un cavo per telecomunicazioni ad una linea ferroviaria). Un'analisi della fattibilità tecnica, dell'impatto sulle spese di progetto e della complessità delle procedure ha dato le seguenti conclusioni.

3.4.2.1

Fatta eccezione per la combinazione gasdotti-infrastrutture diverse (la cui fattibilità tecnica risulta difficile vista l'ampiezza dei perimetri di sicurezza necessari) lo studio citato ha messo in luce gli effettivi vantaggi che risulterebbero da una combinazione di varie RTE.

3.4.2.2

Le sinergie tra le reti di telecomunicazione e le reti di trasporto sembrano essere le più promettenti: ogni rete di trasporto potrebbe essere «ottimizzata» qualora venisse corredata della propria rete di comunicazione, da utilizzare per la gestione della rete stessa. Nella maggior parte dei casi le strade ferrate e le reti autostradali già dispongono di queste reti di comunicazione; in altri casi la capacità in eccesso di queste reti viene utilizzata per altri scopi, ad esempio per la trasmissione di dati.

3.4.2.3

Sono ancora rari i casi in cui si ricerca sistematicamente una sinergia tra una rete per la gestione dell'infrastruttura e una rete di telecomunicazioni.

3.4.2.4

Potrebbe risultare interessante testare la fattibilità di soluzioni consistenti nel creare interconnessioni tra le reti elettroenergetiche, le infrastrutture di trasporto e di telecomunicazione quali la posa di cavi ad alta tensione lungo le sponde di canali e fiumi, interconnessioni a bassa tensione (2 volte 25 kV) lungo le linee ferroviarie ad alta velocità, interconnessioni più sistematiche delle linee sotterranee ad alto voltaggio (300-700 kV) lungo i tracciati delle reti di trasporto. Tali proposte non sostituiscono la necessità immediata di una interconnessione delle reti nazionali ad alta tensione, ma spingono piuttosto a una strutturazione più capillare delle reti elettriche nazionali su un orizzonte temporale più lungo, corrispondente alla durata di realizzazione dei grandi progetti infrastrutturali.

3.5   Integrazione di ambiente e reti transeuropee

3.5.1

La strategia di Lisbona per la crescita e l'occupazione invita a realizzare le RTE in modo compatibile con lo sviluppo sostenibile.

3.5.2

I progetti prioritari della RTE-T sono, nella loro grande maggioranza, progetti che favoriscono modi di trasporto più rispettosi dell'ambiente e meno avidi di energia, come la ferrovia e le idrovie. Il completamento della rete transeuropea dei trasporti avrà sicuramente un impatto positivo sull'ambiente. Se le emissioni di CO2 generate dai trasporti continueranno a crescere al tasso attuale, nel 2020 saranno superiori del 38 % ai livelli attuali. La Commissione ritiene che, completando i 30 progetti prioritari, si potrà ridurre questo incremento del 4 % circa, il che equivale, in termini assoluti, a ridurre le emissioni di CO2 di 6,3 milioni di tonnellate all'anno.

3.5.3

Grazie all'interconnessione dei sistemi nazionali di energia elettrica e all'allacciamento a fonti di energia rinnovabili sarà possibile ottimizzare l'utilizzo delle capacità in tutti gli Stati membri, attenuando quindi l'impatto negativo sull'ambiente.

3.5.4

La legislazione comunitaria per la tutela dell'ambiente ha fissato un quadro chiaro per la realizzazione dei grandi progetti. Gli orientamenti comunitari per lo sviluppo delle reti transeuropee di trasporto vi fanno esplicito riferimento (16). Infatti, ogni nuovo programma di infrastrutture deve essere sottoposto ad un'analisi strategica ambientale (17) ed ogni nuovo progetto deve essere valutato caso per caso (18). Queste analisi possono servire come base per studiare l'esistenza di possibili sinergie.

3.5.5

Ogni singolo progetto deve osservare la normativa comunitaria in materia di inquinamento acustico, protezione delle acque e tutela della flora e della fauna (19).

3.5.6

Se nessuna delle alternative di un progetto dichiarato di pubblica utilità costituisce una soluzione ottimale e conforme alla normativa comunitaria, possono essere assunte misure compensatorie che consentano di realizzare il progetto ma, al tempo stesso, compensino i suoi possibili aspetti negativi.

3.6   Un approccio integrato per il finanziamento delle reti transeuropee

3.6.1

La questione della combinazione dei fondi per la realizzazione delle RTE è all'origine di problemi seri e addirittura di conflitti. La Commissione si è sempre preoccupata di evitare il cumulo di finanziamenti comunitari provenienti da varie fonti per uno stesso progetto. La Corte dei conti ha messo in evidenza la questione nelle sue relazioni sulla realizzazione delle reti transeuropee ad opera della Commissione.

3.6.2

Nella comunicazione che è oggetto del presente parere, il gruppo di indirizzo giunge alla conclusione che è necessario escludere ogni possibilità di cumulare sovvenzioni provenienti da più fondi comunitari. Per garantire la trasparenza del bilancio, e nell'interesse della sana gestione finanziaria, il Regolamento finanziario e/o gli atti di base settoriali adottati o in corso d'adozione devono escludere il cumulo di strumenti finanziari comunitari diversi sulla stessa iniziativa.

3.6.3

La comunicazione fornisce un'informazione essenziale che ha un'incidenza fondamentale sugli investimenti relativi alle RTE, ovverosia che le spese sostenute per realizzare un progetto rientrante in un programma operativo che fruisce del contributo dei fondi strutturali o di coesione non possono beneficiare di finanziamenti provenienti da altri strumenti comunitari.

3.6.3.1

Conseguentemente, quando determinate spese (ad esempio per l'acquisto di attrezzature ERTMS o per l'elettrificazione di una linea ferroviaria) non fruiscono del contributo finanziario dei fondi strutturali o di coesione, possono allora attingere alle dotazioni del bilancio RTE. La costruzione di una linea ferroviaria può ricevere finanziamenti dal FESR o dal Fondo di coesione. Vi è anche la possibilità di frazionare i progetti in segmenti regionali, che possono beneficiare di un cofinanziamento da parte del FESR o del Fondo di coesione, oppure, in alternativa, dalle dotazioni RTE.

4.   Osservazioni particolari

4.1   Un approccio integrato per lo sviluppo delle reti energetiche elettriche e del gas

4.1.1

Lo sviluppo delle tecnologie di produzione del gas (tecnologie combi  (20), cogenerazione (21)) fa aumentare i rischi per gli investitori nel campo delle reti di energia elettrica (la trasmissione di quest'ultima è infatti sostituita dal trasporto del gas naturale e dallo sviluppo della cogenerazione locale del gas, della cogenerazione su piccola scala e della microcogenerazione).

4.1.2

Lo sviluppo delle nuove tecnologie di trasporto del gas fa aumentare i rischi per gli investitori nel campo delle reti del gas (la trasmissione del gas naturale per mezzo di gasdotti è infatti sostituita dal trasporto marittimo e su strada effettuato grazie alle tecnologie del GNC (22) e del GNL).

4.1.3

La convergenza dei settori dell'energia elettrica e del gas (o meglio delle rispettive imprese), ossia la convergenza in materia di proprietà, gestione e organizzazione, rappresenta una condizione indispensabile per un approccio tecnologico integrato nel campo dello sfruttamento del gas naturale nonché della produzione di energia elettrica e di calore. È quindi necessario e urgente superare l'approccio settoriale (ponendo fine al reciproco isolamento della produzione di energia elettrica e di quella di gas). È particolarmente importante accelerare la convergenza dei settori dell'energia elettrica e del gas nei nuovi Stati membri dell'Europa centrale ed orientale, tenendo conto delle ripercussioni sociali che inevitabilmente ne derivano per gli Stati membri interessati, sia «vecchi» che «nuovi».

4.2   Un approccio integrato per lo sviluppo delle reti di fibre ottiche

4.2.1

In taluni paesi dell'UE, tra i quali anche alcuni dei nuovi Stati membri (come la Polonia), si sono realizzate reti molto estese di fibre ottiche destinate a determinate applicazioni tecnologiche, quali la trasmissione di energia elettrica (23) e il trasporto ferroviario (24). L'utilizzo di queste reti a fini commerciali è senz'altro in aumento (25), ma vi è un enorme potenziale di integrazione che non viene ancora sfruttato. Tale potenziale inutilizzato riguarda per es. il settore del gas. Si tratta però soprattutto di un potenziale di integrazione delle reti tecnologiche di fibre ottiche destinate a infrastrutture diverse (rete elettrica, rete ferroviaria) con la rete di telecomunicazione al fine di realizzare una rete di accesso efficace.

4.2.2

Numerosi paesi dell'UE, e in particolare i nuovi Stati membri, si trovano in una fase di intensa costruzione di infrastrutture comunali, quali le condotte idriche e le canalizzazioni, e beneficiano perciò di un cofinanziamento comunitario, in particolare tramite il FESR e il Fondo di coesione. Si tratta di un'opportunità unica per integrare in queste infrastrutture le reti di accesso in fibra ottica. Per le zone rurali e i piccoli centri urbani europei, ciò consentirebbe di compiere un vero e proprio salto di civiltà. La realizzazione pratica di tale integrazione potrebbe essere sostenuta in modo efficace introducendo degli incentivi nei sistemi di assegnazione dei fondi comunitari per lo sviluppo di infrastrutture comunali, ad esempio attraverso la promozione della costruzione di infrastrutture integrate.

4.2.3

La rete di accesso in fibra ottica può costituire la struttura di base per la realizzazione di un'infrastruttura comunale intelligente, che comprenda il pilotaggio (tecnico) degli elementi (intelligenti) di tale infrastruttura sparsi nel territorio (condotte idriche, canalizzazioni, trasporti, reti di calore, sicurezza pubblica) nonché la loro gestione (in materia di controllo tecnico e sul mercato dei servizi). Parte integrante di questa infrastruttura comunale intelligente dovrebbe essere una mappa integrata dei SIG (gestita dal comune o dalla provincia e accessibile alle imprese interessate dalle infrastrutture operanti in un dato territorio): proprio in questo strumento, infatti, risiede oggi il maggiore potenziale di integrazione delle strutture in rete di una tale infrastruttura.

4.3   L'approccio integrato e la questione delle tecnologie rinnovabili del gas e delle tecnologie energetiche rispettose dell'ambiente

4.3.1

Le tecnologie di produzione di gas da fonti rinnovabili (tecnologie di cogenerazione (26) su piccola scala, che sfruttano la gassificazione della biomassa derivante dalle colture agricole su larga scala) consentono di limitare l'estensione delle reti elettriche e le perdite sulle reti, di sfruttare meglio l'energia primaria e al tempo stesso di ridurre le emissioni di anidride carbonica.

4.3.2

Una categoria molto importante di tecnologie integrate è costituita dalle tecnologie energetiche rispettose dell'ambiente (cogenerazione ecologica), destinate alla produzione di energia (elettrica e termica) nonché al riciclaggio dei rifiuti (riciclaggio dei rifiuti comunali, degli scarti della produzione agricola e dei residui della trasformazione dei prodotti agroalimentari).

4.4   L'approccio integrato al finanziamento delle strutture in rete delle infrastrutture sotto forma di partenariato pubblico-privati

4.4.1

Il finanziamento integrato delle infrastrutture mediante un partenariato pubblico-privati mira a rendere più efficace l'utilizzo delle risorse finanziarie comunitarie destinate allo sviluppo delle infrastrutture stesse, in particolare nei nuovi Stati membri.

4.4.2

Le esperienze dei partenariati pubblico-privati acquisite nei paesi dell'UE-15 riguardano il finanziamento di grandi investimenti in infrastrutture. Nei nuovi Stati membri (e più precisamente nei PECO) è necessario utilizzare i partenariati pubblico-privati per finanziare investimenti infrastrutturali di modesta entità nei comuni. La trasposizione delle esperienze in materia di partenariati pubblico-privati dai paesi dell'UE-15 ai nuovi Stati membri assume quindi un particolare rilievo, anche se occorre considerare che non è possibile una trasposizione automatica di tali esperienze, così come non è possibile un raffronto diretto tra il finanziamento di singoli grandi progetti infrastrutturali e quello di progetti di modesta entità, ma di massa.

4.4.3

La disponibilità di risorse finanziarie comunitarie fa sì che i comuni di alcuni Stati membri (compresi i PECO) spesso consentano investimenti eccessivi in infrastrutture settoriali (soprattutto reti idriche e canalizzazioni), ma non sfruttino il potenziale di integrazione di tali infrastrutture nella fase dell'investimento. Si tratta di un fenomeno molto pericoloso, in quanto rende impossibile ridurre i costi degli investimenti destinati alle infrastrutture (e rende quindi meno efficiente l'uso delle risorse comunitarie) e anzi comporta per i comuni un aumento degli oneri futuri a causa degli ingiustificati costi di esercizio delle infrastrutture oggetto di sovrainvestimenti (aumentano per i cittadini i costi fissi di utenza di tali infrastrutture). La partecipazione del capitale privato al finanziamento delle infrastrutture è un mezzo efficace per trarre vantaggio dal potenziale di integrazione e limitare nel contempo il rischio di investimenti eccessivi.

Bruxelles, 13 marzo 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Convergenza organizzativa dei settori, comprendente le imprese.

(2)  L'infrastruttura intelligente presenta elementi annessi o incorporati in grado di raccogliere e trasmettere a un computer centrale informazioni sullo stato dell'infrastruttura stessa, nonché, in certi casi, di ricevere da tale computer istruzioni che attivano dispositivi di controllo (Fonte: Dipartimento di ingegneria civile dell'Università di Torontoultimo aggiornamento: 9.11.2001).

(3)  Cfr. la sezione Osservazioni particolari, punto 4.2.3.

(4)  Gli stranded cost sono i costi degli investimenti e degli impegni, sostenuti solo in passato (costi storici) e non ancora recuperati dagli investitori grazie alla fornitura di elettricità e di altri servizi, che non potranno essere recuperati su un mercato in regime di concorrenza. La data di riferimento per determinare tali costi è in genere quella dell'instaurazione di un mercato dell'energia o della sua liberalizzazione.

(5)  Articoli 154, 155 e 156 del Trattato.

(6)  Orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione per il periodo 2005-2008, n. 9, 10, 11 e 16.

(7)  COM(2007) 32 def. del 31 gennaio 2007.

(8)  Il collegamento fisso tra Svezia e Danimarca (terminato nel 2000), l'aeroporto di Malpensa (terminato nel 2001), la linea ferroviaria della Betuwe che collega Rotterdam alla frontiera tedesca (terminata nel 2007) e la linea PBKAL (il TGV Parigi-Bruxelles/Bruxelles-Colonia-Amsterdam-Londra, terminata nel 2007).

(9)  GU C 157 del 28.6.2005, pag. 130.

(10)  Synergies between Trans-European Networks, Evaluations of potential areas for synergetic impacts (Sinergie tra reti transeuropee — Valutazioni delle aree di potenziale impatto sinergico), Ecorys, agosto 2006.

(11)  Aleksandra Gawlikowska-Fryk, Transeuropejskie sieci energetyczne (Le reti transeuropee dell'energia), 2007.

(12)  Gas naturale liquefatto.

(13)  Alcuni Stati membri hanno istituito, per legge, l'obbligo di realizzare queste sinergie; è il caso della Germania dove la legge federale per la tutela della natura (Bundesnaturschutzgesetz) prevede, all'articolo 2, l'obbligo di costruire infrastrutture comuni (Bündelungsgebot).

(14)  COM(2007) 32 def. del 31 gennaio 2007.

(15)  Synergies between Trans-European Networks, Evaluations of potential areas for synergetic impacts (Sinergie tra reti transeuropee — Valutazioni delle aree di potenziale impatto sinergico), Ecorys, agosto 2006.

(16)  Decisione n. 884/2004/CE menzionata sopra, articolo 8.

(17)  Valutazione ambientale strategica (SEA) — Direttiva 2001/42/CE concernente la valutazione degli effetti di determinati piani e programmi sull'ambiente.

(18)  Valutazione dell'impatto ambientale (VIA) — Direttiva 85/337/CEE, modificata dalle direttive 97/11/CE e 2003/35/CE, concernente la valutazione dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e privati.

(19)  Direttiva Uccelli (79/409/CEE), direttiva Habitat (92/43/CEE) e direttiva quadro in materia di acque (2000/60/CE).

(20)  Unità a gas e vapore, capaci di generare una potenza unitaria da poche decine a 200 MW (Jan Popczyk, Co dalej z elektroenergetyką? (Quale futuro per l'elettricità?), Rivista mensile dell'Associazione degli elettricisti polacchi, VI, 2000).

(21)  Cfr. nota 26.

(22)  Gas naturale compresso, ossia combustibile (gas naturale) compresso fino a una pressione di 20-25 MPa.

(23)  Per esempio, in Polonia una rete di fibre ottiche di questo tipo è stata realizzata dalla società TelEnergo.

(24)  Per esempio, in Polonia una rete di fibre ottiche di questo tipo è stata realizzata dalla società Telekomunikacja Kolejowa, appartenente al gruppo PKP.

(25)  Per esempio, in Polonia, le società TelEnergo e Telbanku si sono fuse per costituire Exatel, un'impresa moderna che opera nel mercato dei servizi teleinformatici.

(26)  La cogenerazione è la produzione combinata di calore ed elettricità (PCCE), ossia un processo tecnologico di produzione simultanea di energia elettrica e di energia termica in una stessa centrale (fonte: Wikipedia).


9.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 204/31


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa norme comuni per l'accesso al mercato del trasporto internazionale di merci su strada (rifusione)

COM(2007) 265 def. — 2007/0099 (COD)

(2008/C 204/09)

Il Consiglio, in data 16 luglio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 71 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che fissa norme comuni per l'accesso al mercato del trasporto internazionale di merci su strada (rifusione)

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 19 febbraio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore CHAGAS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 marzo 2008, nel corso della 443a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 65 voti favorevoli, 21 voti contrari e 6 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE accoglie con interesse la proposta di regolamento riguardante l'accesso al mercato del trasporto internazionale di merci su strada. La scelta della Commissione di privilegiare, per l'attuazione del regolamento, l'opzione «armonizzazione», che consente di introdurre una definizione di «cabotaggio» chiara e di facile applicazione nonché di migliorare sensibilmente le regole di conformità e di controllo dell'attuazione, risponde infatti alle richieste della maggioranza degli operatori del settore.

1.2

Tuttavia, il CESE ritiene che la dimensione sociale dell'accesso al mercato del trasporto internazionale di merci su strada meriti una maggiore attenzione. Il cabotaggio, come il «traffico terzi» (1), può infatti comportare forme di concorrenza sleale e di dumping sociale, a causa del divario retributivo tra i conducenti dei vecchi e quelli dei nuovi Stati membri.

1.3

Il CESE è dell'avviso che l'obbligo di effettuare le operazioni di cabotaggio entro un termine di sette giorni possa facilitare il controllo di tali attività, le quali sono ammissibili soltanto se sono successive a un trasporto internazionale.

1.4

Il controllo del cabotaggio va inserito in una strategia nazionale di controllo dell'applicazione delle norme relative alle attività di trasporto su strada, e dovrebbe essere coordinato dalla Commissione. Il CESE si oppone alla proliferazione dei comitati a livello europeo e chiede che sia costituito un unico comitato, composto dai rappresentanti degli Stati membri e delle parti sociali in qualità di osservatori.

1.5

A più lungo termine il CESE incoraggia la Commissione a intraprendere ulteriori analisi allo scopo di realizzare meglio il mercato interno, proseguendo al tempo stesso l'armonizzazione degli standard di qualità, della protezione dei lavoratori e del quadro fiscale e sociale, compresa la riduzione del divario retributivo.

2.   Introduzione

2.1

La proposta di regolamento in esame, riguardante l'accesso al mercato del trasporto internazionale di merci su strada, riguarda elementi che fanno parte dei pilastri del mercato interno dei trasporti stradali.

2.2

Tali pilastri sono costituiti, più precisamente, da un quadro giuridico che fissa una serie di norme europee, denominate norme comuni applicabili al trasporto internazionale su strada di merci e passeggeri all'interno dell'UE (vale a dire, ai trasporti effettuati in partenza dal territorio di uno Stato membro o con destinazione in uno Stato membro, ovvero trasporti che attraversano il territorio di uno o più Stati membri).

2.3

Tale quadro:

prescrive requisiti minimi di qualità che è necessario soddisfare per accedere alla professione,

liberalizza il trasporto internazionale di merci su strada e i servizi occasionali di trasporto passeggeri,

istituisce condizioni di concorrenza regolamentata fra i servizi regolari di trasporto di passeggeri e per le operazioni di cabotaggio nel trasporto merci da parte di trasportatori non residenti.

2.4

Questo quadro giuridico è stato stabilito nell'intento di garantire il buon funzionamento del mercato interno dei trasporti: nel fissarlo, quindi, non sempre si è tenuto conto dell'impatto sociale delle norme adottate, vale a dire del loro impatto sulle condizioni d'occupazione e di lavoro dei conducenti professionali — uomini e donne — di autocarri o di autobus. All'epoca (la prima direttiva risale al 1962), la dimensione sociale del mercato interno dei trasporti stradali e la sostenibilità dei trasporti non rientravano nelle preoccupazioni della politica in materia.

3.   La proposta della Commissione

3.1

La proposta della Commissione in esame individua cinque opzioni di intervento che vanno dal «mantenimento dello status quo» alla «liberalizzazione»; quest'ultima non imporrebbe praticamente nessuna restrizione quantitativa al cabotaggio. Il CESE ritiene che allo stato attuale le regole siano troppo divergenti all'interno dell'Europa perché si possa procedere alla completa liberalizzazione senza erodere standard e qualità dei servizi, nonché norme ormai consolidate a tutela delle condizioni di salute, sicurezza e lavoro in questo settore. Propone pertanto l'opzione intermedia, più limitata, dell'«armonizzazione», che comprenderebbe una definizione chiara e applicabile delle circostanze in cui le operazioni di cabotaggio dovrebbero essere consentite, assieme con procedure perfezionate volte a garantire la conformità e il controllo dell'applicazione, nonché a normalizzare e semplificare gli adempimenti amministrativi richiesti.

3.2

La proposta in esame fa parte di un pacchetto legislativo comprendente tre proposte di regolamento, intese ad aggiornare, semplificare e snellire le norme sull'accesso alla professione e al mercato del trasporto su strada di merci e passeggeri, e una relazione sull'applicazione agli autotrasportatori autonomi della direttiva sull'orario di lavoro. Sarà quindi opportuno darle un'adeguata collocazione all'interno di tale pacchetto.

3.3

In quest'ottica, la Commissione motiva la proposta in esame con la necessità di migliorare la chiarezza, la comprensibilità e l'applicabilità delle norme in vigore. Alcune misure del quadro legislativo in questione sono infatti applicate e fatte rispettare in misura diseguale a causa di disposizioni imprecise o incomplete.

3.4

Più precisamente, i problemi riscontrati in sede di applicazione e/o di verifica del rispetto delle norme sono i seguenti:

il campo di applicazione del regolamento sui trasporti da parte di operatori comunitari da e verso paesi terzi,

le difficoltà di applicazione del concetto di «cabotaggio temporaneo». Nonostante la comunicazione interpretativa pubblicata nel 2005, fondata sulla definizione di «temporaneo» fornita dalla Corte di giustizia in relazione alla libertà dei servizi, le difficoltà persistono e gli Stati membri tendono ad applicare norme che sono divergenti e difficili da controllare o che impongono ulteriori oneri amministrativi,

l'inefficacia dello scambio di informazioni fra Stati membri, per cui le imprese che operano sul territorio di uno Stato membro diverso dal loro Stato membro di stabilimento quasi non rischiano di incorrere in sanzioni amministrative. Ciò potrebbe provocare una distorsione della concorrenza fra le imprese meno propense a rispettare le regole e le altre,

l'eterogeneità dei vari documenti (licenza comunitaria, copie certificate e attestati di conducente) causa problemi durante le ispezioni a bordo strada e, spesso, perdite di tempo prezioso per gli operatori.

3.5

La proposta in esame è intesa a rivedere e consolidare il regolamento (CEE) n. 881/92, il regolamento (CEE) n. 3118/93 e la direttiva 2006/94/CE. Non si tratta, tuttavia, di una semplice rifusione, in quanto il testo contiene anche elementi nuovi, ad esempio per quanto riguarda il cabotaggio. Essa si fonda sull'articolo 71 del Trattato, che fa riferimento alle norme comuni applicabili ai trasporti internazionali e alle condizioni per l'ammissione di vettori non residenti ai trasporti nazionali in uno Stato membro (2).

3.6

La Commissione ritiene che la proposta sia coerente con la necessità di assicurare un buon funzionamento del mercato interno e che essa contribuisca alla realizzazione degli obiettivi della strategia di Lisbona, al rafforzamento della sicurezza stradale e al processo di miglioramento normativo («Legiferare meglio»); ritiene inoltre che essa concorrerà a migliorare l'osservanza delle norme in materia di protezione sociale.

3.7

L'atto proposto riguarda una questione che presenta interesse per il SEE (Spazio economico europeo) e deve quindi essere esteso a quest'ultimo.

4.   Osservazioni generali

4.1

Il CESE accoglie con interesse la proposta di regolamento relativa all'accesso al mercato del trasporto internazionale di merci su strada. In linea di principio ritiene che l'obiettivo di lungo termine dovrebbe essere passare nell'UE a un mercato del trasporto di merci su strada più liberalizzato, insieme ad una corretta applicazione degli standard europei in materia di salute, sicurezza e protezione dei lavoratori, e a una maggiore armonizzazione fiscale e sociale, compresa la riduzione del divario retributivo. Ci si dovrebbe pertanto orientare verso l'opzione 5 della Commissione, che è in linea con il regolamento (CEE) n. 3118/93 e con la politica del mercato interno. Ciò potrebbe rendere l'industria più competitiva, portando vantaggi a tutte le imprese europee in quanto utenti dei servizi di trasporto, e potrebbe presentare vantaggi ambientali, riducendo il numero di viaggi a vuoto o parzialmente a vuoto effettuati a causa delle attuali restrizioni sul cabotaggio.

4.2

Il CESE conviene tuttavia con la Commissione nel ritenere che una liberalizzazione totale del mercato del trasporto di merci su strada in Europa sarebbe in questo momento troppo destabilizzante, e rischierebbe seriamente di compromettere le norme sociali e gli standard di qualità, nonché il rispetto di queste norme. Ritiene che la Commissione dovrebbe essere incoraggiata a procedere all'analisi più approfondita, che, come suggerito, è necessaria per proseguire, in futuro, sulla strada della liberalizzazione. È tuttavia d'accordo con la Commissione sul fatto che, nel futuro immediato, l'opzione «armonizzazione» sia la strada migliore da seguire.

4.3

In particolare, il CESE ritiene che:

la nuova definizione di «cabotaggio», che regola le condizioni di ammissione degli autotrasportatori non residenti al trasporto nazionale di merci su strada in un altro Stato membro,

l'obbligo di presentare la licenza comunitaria, le copie conformi e gli attestati del conducente in un formato semplificato e normalizzato e

il rafforzamento delle norme vigenti al fine di obbligare uno Stato membro ad adottare misure, previa richiesta in tal senso da parte di un altro Stato membro, qualora un trasportatore al quale esso abbia rilasciato una licenza comunitaria commetta un'infrazione nello Stato membro di stabilimento o in un altro Stato membro

contribuiscano a migliorare la chiarezza e l'applicabilità delle misure.

4.4

Il CESE ricorda che, stando alla consultazione organizzata dalla Commissione prima della presentazione del pacchetto legislativo e in particolare della proposta in esame, la maggioranza degli operatori del settore ritiene che occorrano norme chiare, semplici, applicabili, identiche in tutti gli Stati membri e facilmente controllabili. La scelta della Commissione di optare, nella proposta in esame, per un'armonizzazione che consenta di applicare una definizione di «cabotaggio» chiara e di facile applicazione, nonché di migliorare sensibilmente le regole sulla conformità e sul controllo dell'attuazione, risponde infatti alle loro richieste.

4.5

Di fatto, sebbene il preambolo del regolamento 881/92 faccia riferimento all'eliminazione di «qualsiasi restrizione nei confronti del prestatore di servizi basata sulla nazionalità o sul fatto di essere stabilito in uno Stato membro diverso da quello in cui la prestazione deve essere fornita», il mantenimento, seppure temporaneo, della deroga è pienamente giustificato ai sensi dell'articolo 71, paragrafo 2 del Trattato, in quanto una liberalizzazione totale del mercato «potrebbe gravemente pregiudicare il tenore di vita e l'occupazione in talune regioni, come pure l'uso delle attrezzature relative ai trasporti [. .. ]».

4.6

Tuttavia, il CESE è dell'avviso che la dimensione sociale dell'accesso al mercato del trasporto internazionale di merci su strada meriti maggiore attenzione. Se è vero infatti che nei considerando, e più in particolare nel considerando 12, viene citata la direttiva sul distacco dei lavoratori nell'ambito di una prestazione di servizi (direttiva 96/71/CE), che va applicata nel caso in cui, per la prestazione di servizi di cabotaggio, i trasportatori distacchino dallo Stato membro dove essi abitualmente lavorano soggetti legati da un rapporto di lavoro con l'impresa, va detto tuttavia che quanto affermato nel considerando non trova poi riscontro né all'interno dell'articolato né all'interno della relazione iniziale.

4.7

Questo aspetto è tanto più importante in quanto le norme comunitarie per il settore stradale, in particolare quelle riguardanti il capitolo sociale, non vengono adeguatamente applicate in tutti gli Stati membri.

5.   Osservazioni specifiche

5.1   Campo d'applicazione (articolo 1)

5.1.1

Il CESE deplora il fatto che il regolamento proposto non si applichi ai trasporti internazionali dal peso inferiore alle 3,5 tonnellate. Vista l'espansione del settore dei corrieri espressi e dei servizi di consegna a domicilio, anche nelle regioni frontaliere, sarebbe stato opportuno estendere il regolamento ai veicoli inferiori alle 3,5 tonnellate, molto utilizzati in questo settore, per evitare situazioni di concorrenza sleale.

5.1.2

Il CESE esprime preoccupazione per il fatto che il regolamento non verrà applicato ai trasporti internazionali da uno Stato membro verso un paese terzo e viceversa fintantoché la Comunità non concluderà accordi in merito con i paesi terzi in questione. Pertanto, il CESE chiede alla Commissione di adoperarsi in ogni modo per concludere tali accordi, in particolare quelli con gli Stati che hanno un confine in comune con l'Unione europea.

5.2   Definizioni (articolo 2)

5.2.1

Il CESE apprezza che nel regolamento siano state inserite nuove e più chiare definizioni dei termini «Stato membro ospitante», «trasportatore non residente» e «trasporto di cabotaggio».

5.3   Definizione operativa del cabotaggio (articoli 2 e 8)

5.3.1

In base alla proposta della Commissione, i trasportatori sono autorizzati a effettuare fino a tre trasporti di cabotaggio successivi a un trasporto internazionale una volta consegnate le merci trasportate nel corso del viaggio internazionale verso l'interno. Le ultime operazioni di cabotaggio devono avere luogo entro sette giorni.

5.3.2

Il vantaggio di questa definizione operativa risiede nel fatto che essa vieta espressamente ai trasportatori non residenti di entrare in un altro Stato membro con un veicolo vuoto. Il cabotaggio è ammesso soltanto quando precede o segue un viaggio internazionale a carico.

5.3.3

Lo svantaggio risiede invece nel fatto che, teoricamente, il trasportatore può ripetere l'operazione, passati sette giorni, per la stessa compagnia, per lo stesso tipo di merci, sullo stesso tragitto. Come garantire, in tal caso, la temporaneità dei trasporti di cabotaggio?

5.3.4

Per questo motivo, il CESE chiede che venga specificato e sottolineato nel nuovo testo che il «carattere temporaneo» è un requisito essenziale del cabotaggio (3).

5.3.5

Anche se il cabotaggio rappresenta solo il 3 % del trasporto internazionale di merci (4), esso resta comunque importante per gli Stati membri più piccoli, dove l'esiguità dei mercati dei trasporti nazionali su strada induce i trasportatori a cercare possibilità di trasporto all'estero. Le statistiche potrebbero non essere completamente attendibili, dato che il cabotaggio viene dichiarato dal paese in cui è immatricolato il trasportatore, ma evidenziano che si tratta di un fenomeno in aumento (5).

5.3.6

Per quanto opinabili, le statistiche evidenziano che il cabotaggio rappresenta una quota notevole del trasporto internazionale di merci, soprattutto tra i più piccoli dei vecchi Stati membri. I trasportatori più attivi in termini di cabotaggio sono gli olandesi, seguiti dai lussemburghesi e dai tedeschi. Questi tre paesi erano responsabili per il 50 % di tutte le operazioni di cabotaggio effettuate dai trasportatori dell'UE a 25 nel 2005. Viceversa il tasso di penetrazione del cabotaggio per paese (cioè la percentuale delle operazioni di cabotaggio nel mercato interno di un paese: in altri termini, trasporto nazionale più cabotaggio), per quanto abbia conosciuto una crescita lenta ma costante, resta a livelli trascurabili. I tassi più elevati di penetrazione dal 1999 a oggi riguardano il Belgio (2,87 %), la Francia (2,50 %) e il Lussemburgo (1,99 %) (6). Nei nuovi Stati membri, il tasso di penetrazione del cabotaggio è generalmente inferiore allo 0,3 %, tranne che in Lettonia (0,8 %).

5.3.7

Tuttavia, il CESE nutre preoccupazione per gli effetti negativi del cabotaggio sulle piccole e medie imprese del settore, effetti che saranno importanti nel caso di servizi prestati nei vecchi Stati membri da operatori dei nuovi Stati membri utilizzando conducenti che percepiscono retribuzioni molto inferiori a quelle degli Stati ospitanti (7).

5.3.8

Chiaramente, il CESE non si oppone all'entrata sul mercato di operatori provenienti dai nuovi Stati membri. Questa però solleva la questione della necessità di limitare e controllare il cabotaggio, allo scopo di evitare episodi di concorrenza sleale e di dumping sociale. Si pronuncia pertanto a favore della scelta della Commissione di istituire un quadro giuridico che favorisca una concorrenza regolamentata, anziché una liberalizzazione totale del cabotaggio.

5.3.9

La valutazione dell'impatto delle misure proposte dalla Commissione mette altresì in rilievo l'aumento del traffico terzi (da alcuni definito «grande cabotaggio») (8). Sono inoltre sempre più numerose le imprese di trasporto e logistica che aprono filiali nei nuovi Stati membri e da lì inviano conducenti a effettuare trasporti internazionali tra i vecchi Stati membri a prezzi che sfidano qualsiasi concorrenza, risultando dal divario retributivo esistente tra i vecchi e i nuovi paesi. Questo aspetto della concorrenza sleale e del dumping sociale non viene affrontato nella proposta di regolamento in esame.

5.3.10

Anche per questo motivo, il CESE deplora l'assenza della dimensione sociale nel pacchetto legislativo, e in particolare nella proposta in esame. Non vi si tiene conto, infatti, dell'elevato divario retributivo esistente tra i nuovi e i vecchi Stati membri in questo settore, né degli effetti negativi sulle piccole e medie imprese, sull'occupazione e sulle retribuzioni degli autotrasportatori.

5.3.11

Per quanto riguarda il controllo del cabotaggio (articolo 8), secondo la Commissione gli organismi di controllo possono verificare più facilmente la legittimità di un cabotaggio esaminando le lettere di vettura CMR (Convention des Marchandises par Route, convenzione per il trasporto di merci su strada) indicanti le date di carico e scarico di un trasporto internazionale. Inoltre, per ogni operazione di cabotaggio vanno specificati i dati del mittente, del trasportatore e del destinatario, il luogo e la data del passaggio di consegna delle merci e il luogo di consegna previsto, la denominazione corrente della natura della merce e la modalità d'imballaggio e, per le merci pericolose, la denominazione generalmente riconosciuta nonché il numero di colli, i contrassegni speciali e i numeri riportati su di essi, il peso lordo o la quantità altrimenti espressa delle merci, il numero di targa del veicolo a motore e del rimorchio. Questi dati consentono effettivamente di controllare meglio l'operazione di cabotaggio, che andrebbe effettuata entro sette giorni.

Tuttavia, il CESE è del parere che introdurre l'obbligo di effettuare l'operazione entro sette giorni possa in ogni caso facilitarne il controllo.

6.   Come si inserisce in questo contesto la direttiva sul distacco dei lavoratori?

6.1

La direttiva sul distacco dei lavoratori nell'ambito della prestazione di servizi (direttiva 96/71) si applica qualora, per la prestazione di servizi di cabotaggio, i trasportatori distacchino soggetti legati da un rapporto di lavoro con l'impresa dallo Stato membro dove essi abitualmente lavorano.

6.2

La difficoltà risiede nella forma in cui questa direttiva è stata recepita nelle legislazioni nazionali degli Stati membri, forma che ha comportato, in questo caso specifico, differenze nell'applicazione per quanto riguarda i settori interessati e la durata della prestazione del servizio. Di conseguenza, alcuni paesi applicano la direttiva unicamente al settore edilizio, mentre altri ne richiedono l'applicazione fin dal primo giorno di prestazione del servizio (9). Inoltre la direttiva autorizza gli Stati membri a concedere deroghe settoriali tramite contratti collettivi qualora la durata del distacco non sia superiore a un mese (10).

6.3

Nel caso del cabotaggio, dato che oggi la direttiva è applicata in modo diverso a seconda degli Stati membri, anche se verrà effettivamente applicata essa non risolverà i problemi legati alla concorrenza sleale e al dumping sociale.

6.4

Inoltre, i controlli sull'applicazione della direttiva sono inesistenti (11). Si tratta di un'omissione da non sottovalutare, dato che ciascuno Stato membro è tenuto, ai sensi della direttiva, ad assicurare la cooperazione tra le autorità pubbliche competenti in base alla legislazione sociale (12).

6.5

Per questo motivo, il CESE prenderà nota dei risultati che saranno ottenuti su questo tema dal dialogo sociale europeo nel settore del trasporto stradale.

7.   Attestato del conducente (articolo 5)

7.1

Il CESE chiede che nell'attestato dei conducenti che sono cittadini di paesi terzi sia certificata anche l'iscrizione dei conducenti stessi alla sicurezza sociale.

8.   Controllo (articoli 10-15)

8.1

Il regolamento proposto obbliga gli Stati membri a scambiarsi le informazioni attraverso i punti di contatto nazionali che devono essere istituiti in conformità al regolamento sull'accesso alla professione di trasportatore su strada. Si tratta di determinate autorità o organismi amministrativi incaricati di effettuare lo scambio di informazioni con le controparti degli altri Stati membri.

8.2

Il regolamento stabilisce inoltre che gli Stati membri devono inserire nel proprio registro nazionale delle imprese di trasporto su strada tutte le infrazioni gravi, e quelle minori se ripetute, che sono state commesse dai loro trasportatori e hanno dato luogo all'applicazione di una sanzione.

8.3

Il testo proposto introduce una nuova procedura per lo Stato membro che constata un'infrazione commessa da un trasportatore non residente. Lo Stato membro in questione ha un mese di tempo per trasmettere le informazioni utilizzando un formato minimo standard. Esso può chiedere allo Stato membro di stabilimento del trasportatore interessato di imporre sanzioni amministrative. Lo Stato membro di stabilimento ha tre mesi di tempo per informare l'altro Stato membro circa il seguito dato alla notifica.

8.4

Il CESE ritiene che queste nuove disposizioni costituiscano un progresso. Esso deplora tuttavia la frammentazione e la diversità dei principi e delle procedure in uso nel controllo e nell'applicazione della legislazione europea relativa al trasporto su strada. Per il CESE il principio dell'extraterritorialità, applicabile nel caso della legislazione sui periodi di guida e di riposo (regolamento (CE) n. 561/2006), dovrebbe essere applicato anche nei casi di infrazione della legislazione sul cabotaggio. Questo sarebbe un incentivo più efficace al rispetto della normativa.

8.5

La direttiva 2006/22/CE impone l'adozione di una strategia nazionale di controllo coerente e chiede agli Stati membri di designare un organismo che coordini il controllo dell'applicazione della normativa sui periodi di guida e di riposo. Per il CESE, il controllo del cabotaggio deve far parte di questa strategia.

8.6

Ciò vale anche per il comitato che dovrebbe assistere la Commissione: il CESE si oppone alla proliferazione dei comitati e chiede che il compito di assistere la Commissione nel controllo e nell'applicazione della normativa europea relativa al trasporto stradale sia affidato a un unico comitato, composto dai rappresentanti degli Stati membri e dalle parti sociali in qualità di osservatori.

Bruxelles, 12 marzo 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Per «traffico terzi» si intende il trasporto da un paese A a un paese B effettuato da un trasportatore con sede in un paese C.

(2)  L'articolo 71 del Trattato CE (GU C 325 del 24.12.2002, pag. 61, recita:

«1.

Ai fini dell'applicazione dell'articolo 70 e tenuto conto degli aspetti peculiari dei trasporti, il Consiglio, deliberando secondo la procedura di cui all'articolo 251 e previa consultazione del Comitato economico e sociale e del Comitato delle regioni, stabilisce:

a)

norme comuni applicabili ai trasporti internazionali in partenza dal territorio di uno Stato membro o a destinazione di questo, o in transito sul territorio di uno o più Stati membri;

b)

le condizioni per l'ammissione di vettori non residenti ai trasporti nazionali in uno Stato membro;

c)

le misure atte a migliorare la sicurezza dei trasporti;

d)

ogni altra utile disposizione.

2.

In deroga alla procedura prevista al paragrafo 1, le disposizioni riguardanti i principi del regime dei trasporti e la cui applicazione potrebbe gravemente pregiudicare il tenore di vita e l'occupazione in talune regioni, come pure l'uso delle attrezzature relative ai trasporti, sono stabilite dal Consiglio, che delibera all'unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo e del Comitato economico e sociale, avuto riguardo alla necessità di un adattamento allo sviluppo economico determinato dall'instaurazione del mercato comune.»

(3)  Ai sensi del regolamento (CEE) n. 3118/93 del Consiglio, del 25 ottobre 1993, che fissa le condizioni per l'ammissione di vettori non residenti ai trasporti nazionali di merci su strada in uno Stato membro (GU L 279 del 12.11.1993, pag. 1) e della comunicazione interpretativa della Commissione sul carattere temporaneo del cabotaggio stradale nel trasporto di merci, dicembre 2004.

(4)  Yves Mathieu, Highlights of the Panorama of Transport 1990-2005, Eurostat, Statistics in Focus, 77/2007, pag. 4.

(5)  Simo Pasi, Highlights of the Panorama of Transport 1990-2005, Eurostat, Statistics in Focus, 77/2007, pag. 6. Stando a questa fonte, il 2005 ha segnato un aumento del 2 % rispetto al 2004.

(6)  Simo Pasi, Highlights of the Panorama of Transport 1990-2005, Eurostat, Statistics in Focus, 77/2007, pag. 6. Stando a questa fonte, il 2005 ha segnato un aumento del 2 % rispetto al 2004.

(7)  Il documento di lavoro dei servizi della Commissione contenente la valutazione d'impatto del regolamento proposto (SEC(2007) 635/2) spiega che il costo della manodopera (conducenti) può variare da 1 a 3 e persino, in alcuni casi, da 1a 6 (pag. 6, versione inglese).

(8)  Il succitato documento di lavoro dei servizi della Commissione, sempre a pagina 6 (versione inglese), afferma che dal 1999 al 2003 il traffico terzi è aumentato costantemente del 4,4 % all'anno, mentre dal 2004 al 2005 il tasso di incremento è stato superiore al 20 %.

(9)  Jan Cremers and Peter Donders, Editors, The Free Movement of Workers in the European Union, European Institute for Construction Labour Research, CLR Studies 4, 2004. È il caso, in particolare, dei Paesi Bassi, che applicano la direttiva sul distacco al settore edilizio ed escludono gli altri, mentre il Belgio applica la direttiva fin dal primo giorno della prestazione del servizio.

(10)  Articolo 3, paragrafo 4, della direttiva 96/71/CE.

(11)  Ecorys, Study on Road Cabotage in the Freight Transport Market, relazione elaborata per la DG TREN, pag. 8.

(12)  Direttiva 96/71/CE, articolo 3.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

I seguenti emendamenti, che hanno ottenuto più di un quarto dei voti espressi, sono stati respinti nel corso dei dibattiti.

Punti 4.5 e 4.6

Cancellare entrambi i punti:

4.5

Tuttavia, il Comitato è dell'avviso che la dimensione sociale dell'accesso al mercato del trasporto internazionale di merci su strada meriti maggiore attenzione. Se è vero infatti che nei considerando, e più in particolare nel considerando 12, viene citata la direttiva sul distacco dei lavoratori (direttiva 96/71/CE) nell'ambito di una prestazione di servizi, che va applicata nel caso in cui, per la prestazione di servizi di cabotaggio, i trasportatori distacchino, dallo Stato membro dove essi abitualmente lavorano, dei lavoratori che hanno con loro un rapporto di lavoro, va detto tuttavia che quanto affermato nel considerando non trova poi riscontro né all'interno dell'articolato né all'interno della relazione iniziale .

4.6

Questo aspetto è tanto più importante in quanto le disposizioni giuridiche comunitarie per il settore stradale, in particolare quelle riguardanti il capitolo sociale, non vengono effettivamente applicate in tutti gli Stati membri.

Motivazione

Nell'ambito dei servizi di cabotaggio, la dimensione sociale è già ampiamente disciplinata dal regolamento 561/2006, che regola i tempi di guida e di riposto dei conducenti, dalle varie trasposizioni della direttiva 2002/15/CE sull'orario di lavoro nell'ordinamento giuridico dei diversi Stati membri e infine dalla natura temporale che caratterizza lo stesso cabotaggio.

Esito della votazione

Voti contrari: 41 Voti favorevoli: 27 Astensioni: 5

Punto 4.6

Sostituire con il testo seguente:

4.6

Questo aspetto è tanto più importante in quanto le disposizioni giuridiche comunitarie per il settore stradale, in particolare quelle riguardanti il capitolo sociale, non vengono effettivamente applicate in tutti gli Stati membri. Infine, sarebbe stato opportuno fare un breve cenno al presunto fenomeno di cabotaggio che coinvolge trasportatori dei nuovi Stati membri, nella misura in cui in quest'ambito esistono misure transitorie concordate con tali Stati al momento della loro adesione. Sennonché, tutte le misure transitorie scadranno al più tardi nel 2009 e allora il cabotaggio sarà consentito.

Motivazione

Poiché le misure transitorie in vigore nei nuovi Stati membri scadranno nel 2009, il regolamento in esame, che realisticamente dovrebbe entrare in vigore dopo il 2009, si applicherà indifferentemente a tutti gli Stati membri. È importante specificare questo fatto, in quanto dovrebbe contribuire a porre fine alle speculazioni circa la concorrenza sleale e il dumping sociale da parte dei nuovi Stati membri.

Esito della votazione

Voti contrari: 47 Voti favorevoli: 27 Astensioni: 4

Punto 5.3.9

Sostituire con il testo seguente:

5.3.9

Chiaramente, il CESE non si oppone all'entrata sul mercato di operatori provenienti dai nuovi Stati membri. Questa però solleva la questione della necessità di limitare e controllare il cabotaggio, allo scopo di evitare episodi di concorrenza sleale e di dumping sociale. Si pronuncia pertanto a favore della scelta della Commissione di istituire un quadro giuridico che favorisca una concorrenza regolamentata, anziché una liberalizzazione totale del cabotaggio. La valutazione dell'impatto delle misure proposte dalla Commissione mette in rilievo l'aumento del traffico terzi nel mercato interno  (1) . Sono inoltre sempre più numerose le imprese di trasporto e logistica che aprono filiali nei nuovi Stati membri e da lì inviano conducenti a effettuare trasporti internazionali tra i vecchi Stati membri. Per il CESE, tuttavia, si tratta di uno sviluppo intrinseco all'ampliamento dell'UE e agli obiettivi del mercato interno.

Motivazione

Sollevando, ancora una volta, la questione del timore della concorrenza sleale e del dumping sociale, il paragrafo non fa che ripetere affermazioni già fatte più volte. È preferibile invece menzionare il fatto che l'Europa deve sviluppare di più il suo mercato interno.

Esito della votazione

Voti contrari: 61 Voti favorevoli: 31 Astensioni: 0

Punto 5.3.10

Sopprimere l'intero punto:

5.3.10

La valutazione dell'impatto delle misure proposte dalla Commissione mette altresì in rilievo l'aumento del traffico terzi (da alcuni definito «grande cabotaggio»)  (2) . Sono inoltre sempre più numerose le imprese di trasporto e logistica che aprono filiali nei nuovi Stati membri e da lì inviano conducenti a effettuare trasporti internazionali tra i vecchi Stati membri a prezzi che, risultando dal divario retributivo esistente tra i vecchi e i nuovi Stati membri, sfidano qualsiasi concorrenza. Questo aspetto della concorrenza sleale e del dumping sociale non viene affrontato nella proposta di regolamento in esame.

Motivazione

Se l'intento è quello di dare maggiore attenzione alla dimensione sociale, la ragione per farlo non devono essere i nuovi Stati membri.

Esito della votazione

Voti contrari: 58 Voti favorevoli: 33 Astensioni: 5

Punto 5.3.11

Sopprimere l'intero punto:

5.3.11

Anche per questo motivo, il CESE deplora l'assenza della dimensione sociale nel pacchetto legislativo, e in particolare nella proposta in esame. Non vi si tiene conto, infatti, dell'elevato divario retributivo esistente tra i nuovi e i vecchi Stati membri in questo settore, né degli effetti negativi sulle piccole e medie imprese, sull'occupazione e sulle retribuzioni degli autotrasportatori.

Motivazione

Se l'intento è quello di dare maggiore attenzione alla dimensione sociale, la ragione per farlo non devono essere i nuovi Stati membri.

Esito della votazione

Voti contrari: 62 Voti favorevoli: 27 Astensioni: 1

Punto 6

Cancellare l'intero punto 6:

6.   Come si inserisce in questo contesto la direttiva sul distacco dei lavoratori?

6.1

La direttiva sul distacco dei lavoratori (direttiva 96/71) nell'ambito della prestazione di servizi si applica qualora, per la prestazione di trasporti di cabotaggio, i trasportatori distacchino, dallo Stato membro dove essi abitualmente lavorano, dei lavoratori che hanno con loro un rapporto di lavoro.

6.2

La difficoltà risiede nella forma in cui questa direttiva è stata recepita nelle legislazioni nazionali degli Stati membri, forma che ha comportato, in questo caso specifico, delle differenze nell'applicazione per quanto riguarda i settori interessati e la durata della prestazione del servizio. Di conseguenza, alcuni paesi applicano la direttiva unicamente al settore edilizio, mentre altri ne richiedono l'applicazione della direttiva fin dal primo giorno di prestazione di un servizio. Inoltre la direttiva autorizza gli Stati membri a concedere deroghe settoriali tramite contratti collettivi qualora la durata del distacco non sia superiore a un mese.

6.3

Nel caso del cabotaggio, tenuto conto del fatto che oggi l'applicazione della direttiva varia a seconda degli Stati membri, anche se viene veramente applicata essa non risolverà i problemi legati alla concorrenza sleale e al dumping sociale.

6.4

Inoltre, i controlli sull'applicazione della direttiva sul distacco sono inesistenti . Si tratta di un'omissione da non sottovalutare, degna di nota, dato che ciascuno Stato membro è tenuto, ai sensi della direttiva, ad assicurare la cooperazione tra le autorità pubbliche competenti in base alla legislazione sociale.

6.5

Per questo motivo, il CESE prenderà nota dei risultati del dialogo sociale europeo nel settore del trasporto stradale sul questo tema.

Motivazione

Date le caratteristiche specifiche del settore, gli aspetti sociali dei trasporti vengono già disciplinati dalla direttiva 2002/15/CE sull'orario di lavoro, dal regolamento 561/2006 concernente il tempo di guida e di riposo dei conducenti e infine dall'uso del tachigrafo digitale.

Per quanto concerne altri aspetti sociali, la direttiva 96/71 si applica in maniera distinta a seconda che si tratti di un settore come quello edilizio, che prevede un distacco stabile di lavoratori, o di un settore come i trasporti di merci, che prevede singoli servizi di cabotaggio nell'ambito dei trasporti internazionali. In questo caso, non si tratta di un distacco vero e proprio di lavoratori bensì di un'attività che rientra nell'ambito del lavoro di conducenti che effettuano trasporti internazionali in base ad un'apposita licenza comunitaria.

Esito della votazione

Voti contrari: 63 Voti favorevoli: 24 Astensioni: 2

Punto 6.3

Modificare come segue:

6.3

Nel caso del cabotaggio, t Tenuto conto del fatto che oggi l'applicazione della direttiva varia a seconda degli Stati membri, anche se viene veramente applicata essa non risolverà i problemi legati alla concorrenza sleale e al dumping sociale.

Motivazione

Se l'intento è quello di dare maggiore attenzione alla dimensione sociale, la ragione per farlo non devono essere i nuovi Stati membri.

Esito della votazione

Voti contrari: 57 Voti favorevoli: 32 Astensioni: 2

Punto 1.2

Modificare come segue:

1.2

Tuttavia, il CESE ritiene che la dimensione sociale dell'accesso al mercato del trasporto internazionale di merci su strada meriti potrebbe meritare una maggiore attenzione. Il cabotaggio, come il traffico terzi  (3) , può infatti comportare forme di concorrenza sleale e di dumping sociale, a causa del divario retributivo tra gli autotrasportatori dei vecchi e quelli dei nuovi Stati membri.

Motivazione

Se l'intento è quello di dare maggiore attenzione alla dimensione sociale, la ragione per farlo non devono essere i nuovi Stati membri. La concorrenza sleale può esistere ovunque e provenire da qualsiasi Stato membro. Il dumping sociale non sussiste se le imprese o le persone agiscono in modo perfettamente legale, indipendentemente dal luogo.

Esito della votazione

Voti contrari: 61 Voti favorevoli: 28 Astensioni: 1


(1)  Il documento di lavoro dei servizi della Commissione contenente la valutazione d'impatto del regolamento proposto (SEC(2007) 635/2), afferma a pagina 6 (versione inglese) che dal 1999 al 2003 il traffico terzi è aumentato costantemente del 4,4% all'anno, mentre dal 2004 al 2005 il tasso di incremento è stato superiore al 20%.

(2)  Il succitato documento di lavoro dei servizi della Commissione, sempre a pagina 6 (versione inglese), afferma che dal 1999 al 2003 il traffico terzi è aumentato costantemente del 4,4% all'anno, mentre dal 2004 al 2005 il tasso di incremento è stato superiore al 20%.

(3)  Per traffici terzi si intende il trasporto da un paese A a un paese B effettuato da un trasportatore con sede in un paese C.


9.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 204/39


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Riduzione delle emissioni di CO2 degli aeroporti tramite una nuova gestione aeroportuale

(2008/C 204/10)

Con lettera del 4 luglio 2007, nel quadro dei lavori previsti per il semestre di presidenza portoghese del Consiglio UE, il ministero portoghese dei Trasporti ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di elaborare un parere esplorativo sulla:

Riduzione delle emissioni di CO2 degli aeroporti tramite una nuova gestione aeroportuale.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 19 febbraio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore MCDONOGH.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 marzo 2008, nel corso della 443a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 103 voti favorevoli e 5 astensioni.

1.   Raccomandazioni

Incoraggiare gli aeroporti ad adottare strategie di gestione intese a ridurre le emissioni aeroportuali di biossido di carbonio (CO2) tramite l'introduzione di un modello di qualità dell'aria nel quale vengano identificate tutte le fonti di Nox e vengano definiti degli obiettivi per la riduzione delle emissioni di CO2. Tale modello dovrebbe essere calibrato su punti di monitoraggio della qualità dell'aria situati in loco e dovrebbe comprendere i seguenti aspetti fondamentali: aeroscalo, edifici aeroportuali (terminal e strutture di servizio associate), parcheggi per autoveicoli e accessi di superficie.

Incoraggiare l'adozione di standard riconosciuti per l'edilizia e di migliori pratiche a livello internazionale per la costruzione e il funzionamento delle infrastrutture aeroportuali al fine di ridurne al minimo l'«impronta ecologica». Esempi significativi al riguardo sono l'isolamento, il massimo utilizzo della luce solare e dell'accumulo termico solare, la raccolta di acqua piovana, l'energia solare, i sistemi di produzione combinata di energia elettrica e termica (CCHP), i sistemi di gestione intelligente degli edifici e gli scambiatori di calore.

Incoraggiare gli aeroporti a utilizzare energia prodotta a partire da fonti rinnovabili.

Favorire l'impiego di veicoli di servizio ecologici negli aeroporti caratterizzati da un'ampia concentrazione di veicoli impegnati in operazioni di turnaround (tra l'arrivo e la successiva partenza di un aeromobile). Gli aeroporti potrebbero anche incoraggiare i passeggeri ad utilizzare veicoli ecologici, introducendo tariffe differenziali per il parcheggio e destinando a tali veicoli aree di parcheggio preferenziali.

Incoraggiare gli aeroporti a ridurre al minimo la produzione di rifiuti creando al loro interno impianti di riciclaggio potenziati. Sarebbe utile adottare come indicatore ambientale fondamentale la quantità di rifiuti prodotti per passeggero.

Ridurre al minimo l'impatto degli spostamenti di autoveicoli da e per l'aeroporto, fornendo alternative di trasporto sostenibili sia per i passeggeri che per il personale, ad esempio collegamenti ferroviari o servizi di autobus, iniziative di car-sharing e spostamenti in bicicletta.

Incoraggiare gli aeroporti, per quanto possibile, a migliorare le procedure di gestione del traffico aereo nello scalo e nelle zone circostanti al fine di ridurre il consumo di carburante.

Evitare, laddove possibile, di lasciare accesi i motori ausiliari a terra. Il terminal dovrebbe fornire l'alimentazione e l'aria precondizionata.

Scoraggiare o vietare l'uso di aeromobili con una motorizzazione obsoleta, inefficienti per quanto riguarda il consumo di carburante, aumentando le tasse di atterraggio e di decollo per quel tipo di aerei tramite una tariffazione differenziale.

Dissuadere dall'uso degli aeromobili più rumorosi adottando schemi di classificazione dell'inquinamento acustico generato dagli aerei e sistemi di contingentamento delle emissioni sonore negli aeroporti.

Ridurre le emissioni tramite un approccio sistemico, in base al quale, pur mantenendo la sicurezza quale priorità fondamentale, vengano considerati tutti i fattori, compresi il progetto e il funzionamento della cellula e del motore, i possibili compromessi, i carburanti alternativi, i servizi a terra, la capacità aeroportuale e la gestione del traffico aereo (ATM, Air Traffic Management).

Favorire l'avvicinamento in «discesa continua» (CDA, Continuous Descent Approach), in base al quale l'aeromobile inizia una discesa costante ad un'altitudine più elevata, dirigendosi gradualmente verso terra, invece dell'avvicinamento con discesa non continua che, imponendo agli aeromobili di volare livellati (di fermare cioè la discesa) per periodi più lunghi, richiede una spinta maggiore per mantenere una velocità costante e determina quindi un più elevato consumo di carburante. La discesa continua fa sì che l'aeromobile scenda di quota ad una velocità più efficiente, riducendo così il consumo di carburante. Questo tipo di avvicinamento dovrebbe influire sulla qualità dell'aria in un perimetro di 25-30 chilometri intorno all'aeroporto.

Prevedere l'utilizzo di aeromobili a turboelica per tutti i voli inferiori a 500 km, nonché per le rotte meno frequentate (fino a 70 passeggeri per tratta) e per le quali vi è una sufficiente autonomia di volo.

Ridurre il consumo di carburante spegnendo 1-2 motori nella fase di rullaggio da e verso la pista.

2.   Introduzione

2.1

L'aviazione contribuisce notevolmente alle emissioni di gas a effetto serra. Le emissioni prodotte dal trasporto aereo corrispondono attualmente al 3 % circa (1) delle emissioni complessive dell'UE e dal 1990 sono aumentate dell'87 %. Questa rapida crescita contrasta con la riduzione delle emissioni ottenuta da molti altri settori dell'economia. Se non si interviene, entro il 2012 la crescita delle emissioni prodotte dai voli che partono da aeroporti dell'UE non consentirà di raggiungere neanche tre quarti della riduzione dell'8 % delle emissioni che l'UE-15 deve realizzare nel quadro del protocollo di Kyoto. Entro il 2020 è probabile che le emissioni di questo settore saranno più che raddoppiate rispetto ai livelli attuali.

2.2

L'aviazione stimola l'economia, il commercio e il turismo, crea opportunità economiche e aumenta le possibilità di migliorare la qualità di vita tanto nei paesi avanzati che in quelli in via di sviluppo.

2.3

Ogni anno vengono trasportati per via aerea 2 miliardi di passeggeri e il 40 % (in valore) dei beni esportati da una regione del mondo all'altra. Il 40 % dei turisti che si spostano su rotte internazionali viaggia in aereo. L'aviazione occupa 29 milioni di persone in tutto il mondo, e l'impatto economico complessivo del settore è stimato in 2.960 miliardi di dollari USA, pari all'8 % del PIL mondiale.

2.4

L'aeroporto dovrebbe essere parte integrante dell'infrastruttura locale e svolgere un ruolo guida nella protezione dell'ambiente circostante.

2.5

L'efficienza e l'utilizzo massimo delle infrastrutture aeroportuali dipendono largamente dal controllo del traffico aereo. L'introduzione di procedure efficienti di controllo del traffico e l'attenzione per tali procedure sia all'interno che nei dintorni degli aeroporti può ridurre lo spreco di carburante nelle fasi di decollo, atterraggio e rullaggio in aeroporto.

2.6

Molti aeroporti, come Gatwick a Londra, Orly a Parigi, Milano Linate ecc., sono già disperatamente a corto di capacità. Entro il 2010 una quindicina di aeroporti europei si troverà nelle stesse condizioni. L'autorità dell'aviazione civile del Regno Unito, insieme con altri, ritiene che gli slot dovrebbero essere venduti all'asta alle compagnie aeree e quindi rivenduti in un mercato secondario trasparente al fine di incoraggiare un migliore utilizzo di tale risorsa limitata.

2.7

Le infrastrutture aeroportuali e le strutture a terra collegate potrebbero essere utilizzate in modo più efficiente facendo ricorso, ove possibile, ad aeromobili più grandi. Anche se molti voli sono al completo, una media di 68 passeggeri soltanto risulta imbarcata sugli aeromobili che fanno scalo in più aeroporti. Gli aeromobili sono troppo piccoli e le compagnie sono scarsamente incentivate ad utilizzarne di più grandi e moderni, poiché agli aeroporti non si possono applicare tariffe tali da premiare questo tipo di efficienza. Per migliorare la situazione si dovrebbe mettere in atto una combinazione di meccanismi di mercato e di norme di efficienza, ad esempio imponendo ai vettori di utilizzare le loro uscite d'imbarco almeno una volta l'ora, a seconda del tipo di aeromobile utilizzato, o di metterle a disposizione di un altro operatore.

2.8

La proposta della Commissione di creare in Europa un cielo unico aperto per armonizzare le diverse disposizioni nazionali vigenti in materia di ATM (SESAR) offre il potenziale di un notevole aumento nell'efficienza di utilizzo dello spazio aereo nelle fasi di avvicinamento e di decollo, abbreviando così le procedure di attesa (rispettivamente in volo e a terra) degli slot di atterraggio e decollo. Secondo le stime della IATA, l'Associazione internazionale dei trasporti aerei, sistemi più efficienti di controllo del traffico aereo potrebbero far risparmiare il 12 % delle emissioni globali di CO2 degli aeromobili. Il Comitato esorta tutte le parti coinvolte a portare avanti rapidamente i negoziati per la creazione di questo nuovo sistema e ad impedire che la sua realizzazione sia rallentata dagli interessi settoriali con tattiche dilatorie.

3.   L'aviazione: una fonte di inquinamento acustico e di emissioni

3.1

A livello mondiale si valuta che il trasporto aereo produca il 2 % della quota complessiva di emissioni di gas a effetto serra. Tale quota potrebbe raddoppiare entro il 2050.

3.2

Nel corso degli anni, l'industria aeronautica ha superato la maggior parte degli altri settori nel ridurre l'inquinamento acustico e le emissioni per unità di produzione. Attualmente, l'efficienza dei carburanti registra un incremento annuo pari all'1-2 % e le emissioni corrispondono al 2 % del totale. Il settore dell'aviazione cresce del 5 % annuo, mentre l'efficienza energetica consente un risparmio inferiore all'1,5 %. Si prevede tuttavia che il trasporto aereo aumenterà ad un ritmo più sostenuto, e pertanto i progressi tecnologici non basteranno da soli a risolvere il problema.

4.   Inquinamento acustico e qualità dell'aria intorno agli aeroporti

4.1

L'industria aeronautica si è impegnata ad attuare l'approccio equilibrato definito dall'Organizzazione per l'aviazione civile internazionale (ICAO) per la gestione del rumore, inteso ad alleviare l'esposizione delle comunità locali nel modo più efficiente in termini di costi.

4.2

A questo proposito è fondamentale ridurre il rumore alla fonte grazie ai progressi tecnologici: negli ultimi decenni vi sono stati notevoli miglioramenti e altri se ne prevedono nei prossimi 15 anni. La Commissione ha adottato una direttiva (2) intesa a stabilire dei principi per la gestione dell'inquinamento acustico prodotto dagli aeromobili, introducendo restrizioni operative negli aeroporti dell'UE, tra cui il graduale ritiro degli aeromobili troppo rumorosi a norma del capitolo 3. I risultati ottenuti dalla direttiva dovrebbero essere ora sottoposti a revisione.

4.3

Gli aeroporti e i fornitori di servizi di navigazione aerea si sono impegnati ad adottare per gli aeromobili, ove possibile, l'avvicinamento in «discesa continua» e altre procedure di volo a basso inquinamento acustico, mantenendo al tempo stesso la capacità delle piste. Questo tipo di procedura è stato identificato come un importante fattore di riduzione delle emissioni di CO2 negli aeroporti e nelle zone circostanti.

4.4

I governi devono adottare misure preventive di pianificazione e gestione del territorio intorno agli aeroporti.

4.5

Il problema della qualità dell'aria locale richiede un'azione globale che interessi tutte le fonti di emissione aeree e terrestri, comprese attività, quali l'industria e il traffico stradale, che non sono direttamente collegate con il trasporto aereo, ma sono un prodotto collaterale dei servizi destinati agli aeroporti. Bisognerebbe incoraggiare il collegamento degli aeroporti con le reti ferroviarie offrendo così opzioni sostenibili di trasporto verso l'aeroporto: a questo proposito un fattore chiave è costituito dal potenziamento delle reti di autobus e treni. Anche nella gestione dei parcheggi, gli aeroporti dovrebbero incoraggiare l'utilizzo di autoveicoli ecologici, applicando tariffe differenziali e destinando a tali veicoli aree di parcheggio preferenziali. I veicoli di servizio degli aeroporti dovrebbero quantomeno funzionare con energie più pulite quali il gas e l'elettricità. Molti tipi di veicoli sono alimentati attualmente a batteria, e il loro utilizzo dovrebbe essere rafforzato laddove ciò sia possibile in funzione degli specifici requisiti operativi. Il trasporto del personale da e verso l'aeroporto può contribuire notevolmente ad aumentare il traffico stradale: andrebbero quindi incoraggiate opzioni alternative come autobus per il personale, car-sharing, turni scaglionati per evitare le ore di punta e, laddove possibile, spostamenti in bicicletta del personale aeroportuale.

4.6

Grazie ai progressi tecnologici, sono stati praticamente eliminati i fumi visibili e gli idrocarburi, mentre gli ossidi di azoto emessi dai motori degli aeromobili sono stati progressivamente ridotti del 50 % negli ultimi 15 anni. Un'ulteriore riduzione dell'azoto, pari all'80 %, è prevista entro il 2020 grazie alle nuove tecnologie nel campo dei motori.

4.7

Sono in corso di progettazione dei sistemi di celle a combustibile che potrebbero sostituire i motori ausiliari a bordo (APU), riducendo così le emissioni fino al 75 % per unità.

4.8

Gli aeroporti e le compagnie aeree si sono impegnati ad utilizzare attrezzature e veicoli più puliti ed efficienti per i servizi a terra, facendo al contempo pressione sui governi e gli enti locali affinché mettano a disposizione vie di superficie meno inquinanti per l'accesso agli aeroporti, come i treni o le metropolitane.

4.9

Di regola, quando sono a terra, gli aeromobili parcheggiati tengono acceso uno dei motori per produrre energia.

5.   Il contributo del trasporto aereo al cambiamento climatico

5.1

L'aviazione è responsabile di circa il 2-4 % delle emissioni europee di CO2 di origine fossile. Secondo le previsioni del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC), tale quota potrebbe attestarsi attorno al 5 % o anche superarlo entro il 2050. È stato altresì osservato che entro il 2012 l'aumento delle emissioni prodotte dal trasporto aereo può annullare oltre un quarto del contributo ambientale apportato dall'UE nel quadro del protocollo di Kyoto. Nonostante le difficoltà che ostano alla conclusione di un accordo internazionale sulle misure da adottare in materia, la proposta di direttiva intende fungere da modello per azioni a livello mondiale, ed è, ad oggi, la sola iniziativa ad offrire questa possibilità.

5.2

L'80 % delle emissioni di gas a effetto serra in aviazione è legato ai voli passeggeri che percorrono distanze superiori ai 1.500 km/900 miglia, per i quali non esiste, in pratica, alcuna alternativa.

5.3

L'aviazione è impegnata ad esplorare attivamente la possibilità di introdurre gradualmente combustibili alternativi come i BTL (biomass to liquid) per ridurre ulteriormente le emissioni di CO2.

5.4

Il progresso tecnologico, i miglioramenti delle infrastrutture e le buone pratiche operative negli aeroporti sono attualmente considerati i mezzi più efficienti ed economici per affrontare il problema del cambiamento climatico, accanto ad adeguate misure basate sul mercato.

5.5

Gli aeroporti necessitano di norme internazionali e di politiche globali, e non di posizioni frammentarie o miopi.

5.6

La progettazione degli aeroporti potrebbe dare un contributo positivo alla riduzione delle emissioni, in particolare la riprogettazione delle piste di rullaggio e dei moli per ridurre la congestione nell'aeroscalo. Gli edifici dei terminal dovrebbero essere progettati in modo tale da ridurne al minimo il fabbisogno energetico per il riscaldamento e il condizionamento dell'aria e, ove possibile, andrebbe considerata la possibilità di installare pannelli solari, sfruttando al massimo la luce naturale e l'accumulo termico, di utilizzare sistemi di produzione combinata di energia elettrica e termica (CCHP) e di trasferimento del calore, di inserire nel progetto degli edifici dispositivi per la raccolta dell'acqua piovana da utilizzare per i bagni, il lavaggio degli aeromobili, ecc. Le temperature nei terminal dovrebbero essere controllate in modo efficiente per ridurre gli sprechi energetici dovuti all'eccessivo riscaldamento e raffreddamento.

5.7

La gestione operativa degli aeroporti dovrebbe puntare alla riduzione della quantità di rifiuti prodotti per passeggero tramite iniziative di potenziamento del riciclaggio controllate direttamente dagli aeroporti oppure inserite in contratti sul livello dei servizi conclusi con le compagnie aeree ed altri importanti partner di servizio.

5.8

La proposta di direttiva intesa a includere il trasporto aereo nel sistema comunitario di scambio delle quote di emissione dei gas a effetto serra (Emissions Trading Scheme — ETS) (3) può contribuire in modo efficace a sensibilizzare l'opinione pubblica, offrire nuove e importanti risorse per la riduzione del carbonio e fornire un metodo per internalizzare i costi ambientali esterni che finora il settore del trasporto aereo ha potuto permettersi di ignorare. Di fronte però al livello e alla volatilità dei prezzi del carbonio, è improbabile che tale provvedimento abbia un impatto di rilievo sulla continua crescita del traffico aereo e delle relative emissioni.

6.   Conclusioni: i prossimi passi

6.1

Per affrontare l'impatto ambientale degli aeroporti in modo proattivo, tempestivo ed economico occorrono la piena cooperazione e l'accordo degli organismi internazionali, dei governi e delle industrie del settore.

6.2

Bisogna ridurre le emissioni tramite un approccio sistemico in cui, mantenendo la sicurezza quale priorità fondamentale, vengano esaminati tutti i fattori, compresi il progetto e il funzionamento della cellula e del motore, i possibili compromessi, i carburanti alternativi, i servizi a terra, la capacità aeroportuale e l'ATM.

6.3

È urgente definire degli obiettivi ambientali generali a lungo termine per gli aeroporti, sulla base di dati e requisiti affidabili e verificabili. Questi obiettivi dovrebbero tenere conto di tutti gli aspetti delle attività aeroportuali (traffico aereo, edifici, accessi di superficie, ecc.).

6.4

La creazione di nuove infrastrutture aeroportuali che consentano di ridurre il consumo di carburante prima del decollo e dopo l'atterraggio dovrebbe costituire un parametro fondamentale di progettazione per tutti gli aeroporti futuri. Si dovrebbero studiare ulteriormente e, ove possibile, lanciare iniziative quali la creazione, negli aeroporti più grandi, di «griglie di attes»a (holding grids), verso le quali gli aerei commerciali verrebbero trainati a motori spenti; i motori sarebbero poi accesi solo 10 minuti circa prima del decollo.

6.5

È opportuno favorire la procedura di avvicinamento in «discesa continua», in base al quale l'aeromobile inizia la discesa ad un'altitudine più elevata, dirigendosi gradualmente verso terra, invece dell'avvicinamento con discesa non continua che produce un consumo troppo elevato di carburante. Questa procedura fa sì che l'aeromobile scenda di quota ad una velocità più efficiente, riducendo così il consumo.

Bruxelles, 13 marzo 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Cfr. http://ec.europa.eu/environment/climat/aviation_en.htm

(2)  Direttiva 2002/30/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 marzo 2002, che istituisce norme e procedure per l'introduzione di restrizioni operative ai fini del contenimento del rumore negli aeroporti della Comunità (Testo rilevante ai fini del SEE), GU L 85 del 28.3.2002, pagg. 40-46.

(3)  COM(2006) 818 def. — 2006/0304 (COD). Cfr. anche il parere nella GU C 175 del 27.7.2007, pag. 5 .


9.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 204/43


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alle Linee direttrici sull'applicazione dell'articolo 81 del Trattato CE ai servizi di trasporto marittimo

(2008/C 204/11)

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo, in data 20 novembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, lettera A) delle Modalità d'applicazione del proprio Regolamento interno, di elaborare un supplemento di parere in merito alle:

Linee direttrici sull'applicazione dell'articolo 81 del Trattato CE ai servizi di trasporto marittimo

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 19 febbraio 2008, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice unica BREDIMA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 marzo 2008 nel corso della 443a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 117 voti favorevoli e 6 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1

Il CESE ritiene di poter accogliere in linea di massima la struttura e l'attuale formulazione del progetto di linee direttrici sull'applicazione dell'articolo 81 del Trattato CE ai servizi di trasporto marittimo. Constata tuttavia un diverso livello di approfondimento tra il capitolo sul trasporto marittimo di linea e quello sui servizi di trasporto con navi da carico non regolari (pool). La parte dedicata agli scambi di informazioni tra concorrenti nel trasporto marittimo di linea è piuttosto dettagliata e sembra relativamente utile quando descrive e interpreta la giurisprudenza comunitaria sull'argomento e le prassi più ricorrenti in fatto di decisioni. Complessivamente le linee direttrici per il trasporto marittimo di linea appaiono chiare e si basano sulla giurisprudenza esistente e su lunghe e approfondite discussioni con gli operatori del settore. Di converso, le parti dedicate al trasporto con navi da carico non regolari in generale (anche detto trasporto non di linea) e ai pool in particolare sono meno dettagliate. Il CESE presume che questo scarso approfondimento sia in gran parte dovuto alla mancanza di giurisprudenza e, pertanto, di esperienza da parte delle autorità della concorrenza — ivi compresa la Commissione europea — in fatto di trasporto non di linea e di pool di operatori, visto che non sono stati finora presentati ricorsi formali da parte di noleggiatori.

1.2

Come aveva già fatto in precedenti pareri (del 2004, 2006 e 2007) il CESE chiede ancora una volta all'UE di avviare una consultazione mirata con altre giurisdizioni allo scopo di determinare la compatibilità tra gli attuali regimi che disciplinano i trasporti di linea in tutto il mondo. Il CESE rinnova inoltre la raccomandazione già rivolta alla Commissione negli stessi pareri, perché questa tenga conto anche dell'aspetto delle risorse umane (ad es. impatto sull'occupazione per i marittimi europei) oltre che dei fattori puramente concorrenziali, quando si applicano le regole di concorrenza nel trasporto marittimo.

1.3

Il CESE suggerisce di introdurre alcuni esempi illustrativi per precisare il contenuto delle linee direttrici quando si riferiscono al trasporto di linea, soprattutto nei casi in cui i dati sono considerati «storici».

1.4

Dal momento che le parti dedicate al trasporto non di linea e a pool di operatori sono meno dettagliate per i possibili motivi esposti sopra, il CESE si chiede se tali linee direttrici saranno sufficienti a fornire agli operatori l'orientamento richiesto per effettuare un'autovalutazione degli accordi di cooperazione che sottoscrivono. Può pertanto essere necessaria una maggiore chiarezza per quanto riguarda alcune parti delle linee direttrici che si occupano del trasporto non di linea (pool). Analogamente, si potrebbe pensare di estendere il campo di applicazione del regolamento (CE) n. 823/2000 sui consorzi (con cui si intendono due o più vettori esercenti una nave), che allo stato attuale è limitato in modo specifico al trasporto in container, in modo da coprire altri segmenti rilevanti del mercato del trasporto marittimo mondiale.

1.5

Il CESE sottolinea che i pool non rappresentano la parte preponderante dei mercati per il trasporto non di linea. Al contrario, buona parte dei servizi svolti con navi da carico non regolari è gestita da tante compagnie di piccole o medie dimensioni in concorrenza tra di loro. Per questa ragione il CESE sostiene la necessità di inserire una precisazione nelle linee direttrici, in modo da riconoscere questa realtà. La Commissione avrebbe dovuto inoltre fornire maggiori chiarimenti riguardo all'applicazione della regola de minimis ai pool di dimensioni troppo limitate per incidere in modo significativo sui mercati.

1.6

Si constata con delusione che gli orientamenti forniti riguardo ai pool di operatori con navi da carico non regolari non soddisfano completamente gli interrogativi che provocano incertezza e addirittura preoccupazione tra gli operatori. Il CESE conviene con l'idea che si ricava dalle linee direttrici, vale a dire che i pool di operatori con navi da carico non regolari non sono di per sé in conflitto con la normativa comunitaria in materia di concorrenza, ma sollecita la Commissione a introdurre un orientamento più specifico nella versione finale delle linee direttrici quanto all'applicazione ai pool dell'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato CE, in modo da fornire a tali pool gli strumenti necessari per effettuare le autovalutazioni.

1.7

È degno di nota il fatto che le linee direttrici non definiscono che cosa si intende con «trasporto con navi da carico non regolari» e che, quindi, non risulta chiaro se esse si applichino anche al trasporto marittimo di passeggeri e/o al trasporto marittimo specializzato di merci. Potrebbe valer la pena precisare anche questo punto.

1.8

Per quanto riguarda inoltre il capitolo sui servizi di trasporto con navi da carico non regolari, il CESE suggerisce di chiarire nelle linee direttrici che, in materia di fissazione dei prezzi, le attività di un mediatore marittimo non differiscono sostanzialmente da quelle di un gestore di pool. I mercati dei servizi di trasporto con navi da carico non regolari, compresi quelli in cui operano i pool, sono mercati di offerta, nel senso che i prezzi vengono determinati dalle parti negoziali in base alla domanda e all'offerta. Il semplice fatto che un gestore di pool concordi un prezzo con un noleggiatore per l'utilizzo di una nave non equivale pertanto a «fissare il prezzo», e non è quindi una restrizione grave della concorrenza.

2.   Introduzione

2.1

Il 13 settembre 2007 la Commissione europea ha pubblicato il suo tanto atteso progetto di linee direttrici sull'applicazione dell'articolo 81 del Trattato CE ai servizi di trasporto marittimo. Queste si applicano agli accordi di cooperazione nell'ambito dei servizi di trasporto marittimo direttamente interessati dai cambiamenti introdotti dal regolamento (CE) n. 1419/2006 in materia di cabotaggio, trasporto marittimo di linea e non di linea. Le linee direttrici sono volte ad aiutare le compagnie di navigazione ad autovalutare gli accordi di cooperazione che sottoscrivono, a stabilire cioè se tali accordi siano compatibili con l'articolo 81 del Trattato CE. Le linee direttrici saranno applicate per un periodo iniziale di cinque anni.

2.2

Esse sono volte in particolare a chiarire le condizioni in cui gli operatori del trasporto di linea possono in tutta legalità scambiarsi informazioni sui noli e gli operatori di navi da carico non regolari possono concludere accordi per la costituzione di pool. A tal fine viene presentata una serie complessa di parametri. Tuttavia, il reale valore aggiunto delle linee direttrici nella pratica si dovrà valutare in futuro, quando per esempio si potrà rispondere alla domanda se esse offrano agli operatori l'orientamento necessario a determinare la legalità della condotta che intendono tenere sul mercato.

3.   Osservazioni di carattere generale

Servizi di trasporto marittimo di linea

3.1

Le linee direttrici che si applicano al trasporto marittimo di linea — oltre a confermare quanto è già noto, vale a dire che a partire dal 18 ottobre 2008«le compagnie marittime di linea che operano verso o da un porto o porti dell'Unione europea devono sospendere tutte le attività relative alle conferenze marittime contrarie all'articolo 81 del Trattato» — disciplinano anche le modalità di scambio di informazioni sul mercato tra operatori di trasporto. Benché alcuni dettagli richiedano forse ancora qualche precisazione, nella loro attuale formulazione le linee direttrici riusciranno probabilmente ad offrire al settore del trasporto marittimo di linea il tipo di scambio di informazioni di cui ha bisogno per funzionare correttamente.

3.2

A partire dal 18 ottobre 2008 le compagnie marittime di linea che operano verso o da un porto o porti dell'UE devono sospendere tutte le attività relative alle conferenze marittime contrarie alle regole di concorrenza, anche se a livello internazionale altre giurisdizioni permettono tali attività. Secondo il CESE sarà difficile per vettori che operano su scala mondiale garantire che attività condotte nell'ambito di conferenze marittime giudicate illegali nell'UE non abbiano un'incidenza rilevante sul mercato dell'UE.

3.3

Nel caso del trasporto marittimo di linea, le linee direttrici si concentrano in via prioritaria sullo scambio di informazioni. Alle compagnie di navigazione che operano in tale settore è stata accordata una certa libertà di scambiarsi informazioni. Tra gli elementi importanti figurano la struttura del mercato, il tipo di informazioni scambiate, il periodo a cui si riferiscono tali informazioni e la frequenza con cui avvengono gli scambi. L'accento viene posto a giusto titolo sullo scambio di dati futuri, in particolare delle previsioni relative alla capacità e agli indici dei prezzi. Lo scambio di previsioni relative alla capacità è a prima vista verosimilmente sempre illecito. Il CESE riconosce che gli effetti dello scambio di informazioni vanno considerati caso per caso.

3.4

Quanto agli indici dei prezzi, un indice aggregato non infrange probabilmente la normativa, a meno che le informazioni non possano essere disaggregate consentendo così alle compagnie di individuare in modo diretto o indiretto le strategie adottate dai loro avversari in materia di concorrenza. Sarebbe pertanto opportuno valutare il livello di aggregazione, il carattere «storico» o «recente» dei dati e la frequenza di pubblicazione; le linee direttrici, però, non stabiliscono con precisione quanta importanza attribuire a questi fattori.

3.5

Riguardo al trasporto marittimo di linea, le linee direttrici non contengono alcun elemento veramente nuovo, ma sembrano riproporre i criteri generali già sviluppati dalla Commissione, dalla Corte di giustizia e dal Tribunale di primo grado delle Comunità europee.

3.6

Ancora una volta il CESE, come aveva già fatto in precedenti pareri (1), chiede all'UE di avviare una consultazione mirata con altre giurisdizioni allo scopo di determinare la compatibilità degli attuali regimi che disciplinano i trasporti di linea in tutto il mondo. Il CESE rinnova inoltre la raccomandazione già rivolta alla Commissione in questi stessi pareri perché questa tenga conto anche dell'aspetto delle risorse umane (ad es. impatto sull'occupazione per i marittimi europei) oltre che dei fattori puramente concorrenziali nell'applicare le regole di concorrenza al trasporto marittimo.

Servizi di trasporto con navi da carico non regolari

3.7

I servizi di trasporto con navi da carico non regolari hanno una dimensione globale, sono altamente competitivi e presentano molte delle caratteristiche del modello di concorrenza perfetta. Le merci trasportate sono omogenee e i costi di ingresso sul mercato sono in genere molto limitati. Numerose compagnie sono in concorrenza tra loro, e sono possibili sostituzioni tra navi di dimensioni e tipi diversi a seconda delle circostanze del mercato. Il flusso di informazioni contribuisce anch'esso a rendere il mercato più trasparente. Per le attività di trasporto si ricorre a contratti di noleggio a viaggio, a contratti di noleggio per viaggi consecutivi, noleggio a tempo oppure a contratti di trasporto marittimo. Le tariffe di nolo su questi mercati possono variare sensibilmente a seconda delle circostanze del mercato. I mercati dei servizi di trasporto con navi da carico non regolari sono in grado di reagire rapidamente all'evoluzione dei mercati e alle esigenze dei caricatori (2).

3.8

I pool operano in ogni settore di attività del trasporto marittimo non di linea. Per «pool» si intende un insieme di navi dalle caratteristiche simili, ma di proprietari diversi, gestite da un'unica amministrazione. Il responsabile dell'amministrazione gestisce le navi come se costituissero un'unica flotta coesa, raccoglie le entrate delle navi e le ridistribuisce secondo una «ponderazione» predefinita, mentre di competenza dei singoli proprietari resta la sola funzionalità nautica/tecnica delle navi. I pool vengono creati di solito per due ragioni: in primo luogo per consentire ai partecipanti di fornire il livello di servizi chiesto, in misura crescente, dai loro maggiori clienti e, in secondo luogo, per migliorare l'efficienza del trasporto grazie ad investimenti specifici e a un maggior utilizzo della nave. I pool operano in un ambiente all'insegna della domanda e dell'offerta, in cui i contratti vengono conclusi sulla base di offerte per la fornitura di servizi, le tariffe sono in gran parte determinate da un mercato spot, gli acquirenti sono importanti ed esigenti e gli intermediari offrono una visibilità eccezionale in termini di tonnellaggio e di condizioni in qualunque momento.

3.9

Il CESE sottolinea che i pool non rappresentano la parte preponderante dei mercati per il trasporto non di linea. Al contrario, gran parte dei servizi svolti con navi da carico non regolari è gestita da tante società di piccole o medie dimensioni in concorrenza tra di loro. Per questa ragione il CESE sostiene la necessità di inserire un chiarimento puntuale nelle linee direttrici, in modo da riconoscere questa realtà.

3.10

Il CESE rileva che i servizi di trasporto con navi non regolari e i pool di operatori che utilizzano tali navi sono stati sempre disciplinati dalla normativa comunitaria in materia di concorrenza, ben prima cioè dell'adozione del regolamento (CE) n. 1419/2006 che conferisce alla Commissione poteri esecutivi riguardo a tali servizi. In questo periodo, tuttavia, i noleggiatori non hanno presentato ricorsi formali per tale settore e di conseguenza non esiste una giurisprudenza al riguardo. Il CESE presume che lo scarso approfondimento delle parti delle linee direttrici dedicate al trasporto marittimo non di linea (e ai pool) — rispetto a quelle dedicate invece al trasporto marittimo — sia in gran parte dovuto alla mancanza di giurisprudenza e, pertanto, di esperienza da parte delle autorità (della concorrenza), compresa la Commissione europea. Si osserva inoltre che, dal momento che le linee direttrici non definiscono cosa si intende con «trasporto con navi da carico non regolari», non risulta chiaro se esse si applichino anche al trasporto marittimo di passeggeri e/o al trasporto marittimo specializzato. Sarebbe forse utile chiarire questo punto.

3.11

Le linee direttrici non tengono sufficientemente conto delle caratteristiche specifiche del settore del trasporto con navi da carico non regolari e sembrano seguire le linee direttrici sulla cooperazione orizzontale che non si riferiscono ad un settore in particolare. I pool di operatori dovranno conformarsi alle linee direttrici applicabili ad altri settori industriali per esser sicuri di non ostacolare la libera concorrenza o di non agire come un cartello.

3.12

Le linee direttrici in esame sono alquanto generali e non offrono un'assoluta certezza giuridica. Esse non dichiarano espressamente che i pool sono incompatibili con la normativa comunitaria in materia di concorrenza, ma non forniscono neanche orientamenti per affermare quando essi lo sono.

3.13

La parte cruciale delle linee direttrici è quella dedicata alla valutazione e alla classificazione dei pool di trasporto marittimo Si parte dalla constatazione che i pool generalmente comportano una «commercializzazione congiunta» e «alcuni aspetti di produzione in comune».

3.14

Per quanto riguarda il mercato rilevante, il CESE è dell'avviso che le linee direttrici dovrebbero tenere maggiormente conto del fatto che il trasporto non di linea presenta un forte elemento di sostituibilità o intercambiabilità dal lato della domanda, ma anche dell'offerta (in termini ad es. di tipo o di dimensioni della nave, contratto di trasporto e mercato geografico). Inoltre, se un pool deve effettuare un'autovalutazione, le quote di mercato non possono essere definite per ogni singolo contratto, ma vanno valutate nell'arco di un certo periodo.

3.15

Il CESE ritiene necessari alcuni miglioramenti per quanto concerne la rilevanza e le definizioni della quota di mercato detenuta dai pool, nonché la «sostituzione» tra rotte commerciali e tipi di navi. Il CESE rileva che non viene fornito alcun orientamento pratico quanto alla definizione del mercato rilevante. Eppure, le quote di mercato potrebbero essere alquanto diverse a seconda del metodo impiegato.

3.16

Nel valutare gli accordi di pool per il trasporto non di linea alla luce dell'articolo 81, andrebbe sottolineato che il gestore «amministra» la flotta appartenente al pool dal punto di vista sia operativo che commerciale ed offre pertanto un prodotto comune nell'ambito di un unico pool. Il fatto di offrire le navi sul mercato è in realtà accessorio al compito del gestore di amministrare il servizio offerto. I singoli proprietari restano, da parte loro, competenti in materia di semplice funzionalità nautica/tecnica delle navi. I pool forniscono un servizio «prodotto» congiuntamente, che è il risultato di un grado elevato di integrazione tra le attività delle varie parti (3). Gli accordi di pool andrebbero pertanto valutati alla stregua di altre forme di accordi di specializzazione o produzione in comune.

3.17

Il CESE sostiene che non è ammissibile nelle linee direttrici alcun riferimento alla «fissazione dei prezzi» quale caratteristica del funzionamento di un pool (e di conseguenza quale restrizione grave della concorrenza), in quanto il prezzo convenuto tra gestore del pool e cliente è parte integrante del servizio offerto ed è il risultato di una negoziazione del prezzo per l'utilizzo di una nave nell'ambito di una procedura d'offerta.

3.18

Il CESE ritiene che, se si considerano lo scopo degli accordi di pool e le loro caratteristiche fondamentali, le quattro condizioni di cui all'articolo 81, paragrafo 3, del Trattato CE risultano in genere soddisfatte, il che esenta i pool dall'applicazione di questa disposizione. A sostegno del giudizio appena formulato vi è il fatto che i pool sono stati creati per rispondere alle esigenze e ai requisiti dei noleggiatori ed hanno funzionato per decine di anni senza dar adito a ricorsi.

3.19

Il CESE spera che la Commissione sottoporrà le linee direttrici ad una continua revisione alla luce dell'esperienza maturata, fornendo all'occorrenza orientamenti supplementari o chiarimenti man mano che questi si renderanno disponibili, senza cioè attendere lo scadere dei cinque anni.

3.20

La Commissione dovrebbe avviare quanto prima una revisione del campo di applicazione dell'esenzione per categoria applicata ai consorzi marittimi di linea, esaminando in tale occasione l'opportunità di coprire altri segmenti rilevanti del mercato del trasporto marittimo mondiale, con particolare riferimento ai servizi con navi da carico non regolari offerti con cadenza e su rotte regolari, una caratteristica questa di numerosi servizi commerciali specializzati (ad es. navi frigorifere convenzionali, navi per il trasporto di legname, traghetti per il trasporto di auto e ro-ro).

Bruxelles, 12 marzo 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  GU C 256 del 27.10.2007, pagg. 62-65. GU C 309 del 16.12.2006, pagg. 46-50, GU C 157 del 28.6.2005, pagg. 130-136 .

(2)  Rapporto Fearnleys, The Legal and Economic Analysis of Tramp Maritime Services, febbraio 2007, pagg. 14-31. http://ec.europa.eu/comm/competition/antitrust/legislation/maritime/tramp_report.pdf.

(3)  Nel rapporto Fearnley (2007) gli autori raggiungono la medesima conclusione.


9.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 204/47


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul reciproco riconoscimento degli attestati di navigabilità rilasciati per le navi della navigazione interna (versione codificata)

COM(2008) 37 def. — 2008/0021 (COD)

(2008/C 204/12)

Il Consiglio dell'Unione europea, in data 13 febbraio 2008, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 80, paragrafo 2, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sul reciproco riconoscimento degli attestati di navigabilità rilasciati per le navi della navigazione interna (versione codificata)

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, in data 12 marzo 2008, nel corso della 443a sessione plenaria, ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 121 voti favorevoli e 6 astensioni.

 

Bruxelles, 12 marzo 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


9.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 204/47


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio delle sostanze e delle miscele e recante modifica della direttiva 67/548/CEE e del regolamento (CE) n. 1907/2006

COM(2007) 355 def. — 2007/0121 (COD)

(2008/C 204/13)

Il Consiglio, in data 13 luglio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio delle sostanze e delle miscele e recante modifica della direttiva 67/548/CEE e del regolamento (CE) n. 1907/2006

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 febbraio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore SEARS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 marzo 2008, nel corso della 443a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 124 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Sintesi e raccomandazioni

1.1

Agendo per conto dei suoi Stati membri, l'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) ha proposto un modello di «sistema mondiale armonizzato» (Globally Harmonised System — GHS) relativo ai criteri e ai processi usati per «la classificazione, l'imballaggio e l'etichettatura delle sostanze chimiche». Tale proposta intende sostenere gli scambi commerciali a livello internazionale e coadiuvare gli sforzi delle economie meno sviluppate per proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori e dei consumatori.

1.2

Il CESE sostiene con vigore tale obiettivo di armonizzazione mondiale, la forma e la base giuridica della normativa di attuazione proposta a tal fine dalla Commissione, e il fatto che il calendario di attuazione proposto per i produttori e i fornitori coincida con la prima importante scadenza per la registrazione delle «sostanze» prevista dal regolamento (CE) n. 1907/2006 (REACH).

1.3

Il CESE condivide altresì la valutazione della Commissione secondo la quale, benché le modifiche messe a punto dall'UE negli ultimi 40 anni siano inevitabili e godano di ampio sostegno, è probabile che i benefici a breve termine per l'UE saranno minimi e i costi potenzialmente alti. Il CESE ritiene pertanto che la valutazione d'impatto iniziale avrebbe dovuto tenere maggiormente conto di queste circostanze piuttosto inconsuete. In assenza di vantaggi significativi di ordine generale, qualsiasi integrazione o modifica della normativa esistente che non sia strettamente necessaria per l'attuazione della proposta ONU andrebbe corredata delle considerazioni economiche o di salute e sicurezza che l'hanno resa necessaria. Occorrerà soprattutto compiere ogni sforzo per evitare che le norme vigenti siano messe in discussione durante il periodo necessariamente lungo di transizione fra questi due sistemi in gran parte equivalenti. Essenziale a tal fine sarà l'informazione dei consumatori ai punti vendita.

1.4

Il CESE ritiene inoltre che, viste le scadenze molto ravvicinate e la necessità di limitare i costi di lancio, la proposta e la sua attuazione immediata debbano essere all'insegna della flessibilità. Ci sono voluti molti anni per mettere a punto il sistema attuale che protegge in modo adeguato la salute e la sicurezza dei lavoratori e dei consumatori in tutta l'UE e ce ne vorranno probabilmente altrettanti per il nuovo sistema mondiale armonizzato. Il punto essenziale è tuttavia che l'ONU e la Commissione abbiano previsto finanziamenti a lungo termine per garantire che il processo di armonizzazione vada avanti e finisca per applicarsi alla classificazione e all'etichettatura effettive di beni con ampio mercato, anziché solo ai criteri sui quali si basano queste classificazioni.

1.5

Il CESE rileva con preoccupazione la lunghezza della proposta in esame e quella di altre recenti proposte come REACH, i numerosi altri atti normativi comunitari collegati a entrambe le suddette proposte e la crescente quantità di note orientative ritenute ormai necessarie. È essenziale un nuovo approccio se si vuole che l'industria europea (per non parlare dei processi di monitoraggio e di modifica della legislazione) non subisca conseguenze irreparabili. Infatti non è semplicemente pensabile che tutte le parti interessate, dal proprietario della più piccola PMI ai responsabili degli enti nazionali competenti, che in genere sono più numerosi, debbano fare riferimento nel loro lavoro quotidiano alle oltre 20.000 pagine collegate di documentazione che esistono solo sull'argomento in questione. Serve un sistema migliore.

1.6

Allo stesso modo il CESE si rammarica per la mancata definizione dei concetti chiave e, in particolare, per l'abbandono del termine «preparazione», che ha un preciso significato tossicologico, a favore di «miscela», privo invece di tale significato. Il fatto che a tutt'oggi non esista una definizione europea di «prodotto chimico» o dell'aggettivo «chimico» è motivo di confusione per i lavoratori, i consumatori, i responsabili e i legislatori. La presente proposta, che si vuole neutra e consensuale nei contenuti, rappresenta una grande opportunità per correggere gli errori al livello di dettaglio, come è già stato fatto per gli allegati tecnici, e per fornire una serie di definizioni standard applicabili a tutta la normativa di riferimento. Si dovrebbe affrontare subito la questione e arrivare a realizzare in tutte le lingue un glossario delle parole chiave che riporti i termini con lo stesso significato (come, presumibilmente, «prodotto chimico», «sostanza chimica» e «sostanza») e quelli che differiscono sul piano semantico o non sono correlati tra loro (ad esempio, «articolo» e «prodotto»). In alcune lingue si dovrebbero inoltre individuare ed evitare possibili confusioni o associazioni di matrice culturale tra i termini «sostanza» (usato per droghe, prodotti alcolici e tabacco) e «prodotto chimico» (usato per indicare attività terroristiche o illegali).

1.7

Il CESE evidenzia inoltre il doppio pericolo legato, da un lato, all'eccesso di classificazione e di etichettatura, che finiscono col ridurre l'impatto delle avvertenze assolutamente necessarie, e, dall'altro, all'uso delle etichette quale unica fonte di informazione per i lavoratori e i consumatori. Indubbiamente le informazioni fondamentali devono figurare sull'etichetta e anche i riferimenti ad altre fonti facilmente accessibili sono importanti. Il numero crescente degli acquisti via Internet e delle ricerche in linea riguardo sia ai vantaggi che ai rischi di determinati prodotti indica che è necessario approfondire questo aspetto. I lunghi elenchi di denominazioni standardizzate e poco note per definire i componenti di miscele complesse non sono di grande aiuto per i servizi di soccorso e i centri antiveleni. La migliore protezione che si possa offrire al riguardo consiste nell'indicare i rischi generali di un prodotto e le precauzioni da prendere, insieme al recapito di un centro raggiungibile 24 ore su 24 in caso di necessità. Questo approccio, conforme del resto alla legislazione in vigore, protegge i produttori anche nei casi in cui si applica una tecnologia proprietaria.

1.8

Il CESE rileva che non è prevista alcuna etichettatura per le quantità spesso esigue trasferite fra laboratori a fini di studio (dalle università) o di ricerca e sviluppo (dalle imprese). Un'etichetta per queste quantità potrebbe essere aggiunta senza problemi alla lista proposta dall'ONU: si tratterebbe di una soluzione preferibile all'esenzione estremamente restrittiva, sproporzionata e costosa attualmente proposta.

1.9

Il CESE rileva infine che sarà sempre più necessario controllare la qualità dei dati utilizzati e le decisioni prese in tutte le giurisdizioni del mondo. La pressione per giungere a un accordo sui risultati della classificazione, e non solo sui criteri e sui processi su cui essi si fondano, sicuramente non si allenterà. La necessità di un approccio globale e i relativi benefici sono infatti sotto gli occhi di tutti.

2.   Introduzione

2.1

La proposta in esame intende allineare la normativa comunitaria esistente al modello adottato recentemente dall'ONU di un «sistema mondiale armonizzato» per la classificazione, l'etichettatura e l'imballaggio delle materie prime e dei prodotti intermedi e finiti, definiti «pericolosi» e qualificati di volta in volta come «prodotti chimici», «sostanze», «miscele» o «preparati». La normativa europea risalente al 1967 sarà così sostituita e molti altri regolamenti e direttive attualmente in corso di applicazione, incluso il regolamento REACH, dovranno di conseguenza essere modificati. Gli effetti a lungo termine per l'UE dovrebbero essere positivi, sempre che sia possibile contenere i costi e conseguire alcuni benefici di minore importanza. Nell'insieme la proposta dovrebbe facilitare gli scambi commerciali, mantenendo allo stesso tempo un alto livello di protezione per la salute umana e per l'ambiente.

2.2

Il testo legislativo da sostituire, risalente a 40 anni fa, è la direttiva 67/548/CEE sulle sostanze pericolose, ritenuta il primo atto normativo paneuropeo sui prodotti chimici volto in particolare a proteggere la sicurezza dei lavoratori. Questa direttiva, insieme alle numerose altre che l'hanno modificata e ai vari adeguamenti ai progressi tecnici, costituisce ormai per i produttori, i venditori, i lavoratori, i distributori e i consumatori, sia all'interno che all'esterno dell'UE, un sistema armonizzato per la classificazione delle «sostanze pericolose» attraverso prove specifiche effettuate sulla base di appositi criteri finali e criteri di pericolosità, per la loro etichettatura appropriata, attraverso un numero limitato di pittogrammi e di espressioni standardizzate che consentono di individuare i rischi potenziali e di raccomandare le procedure per una manipolazione sicura, e per il loro imballaggio, al fine di proteggere gli utilizzatori abituali e le categorie vulnerabili, in particolare i bambini in tenera età.

2.3

A 21 anni dall'adozione della direttiva 67/548/CEE, la direttiva 88/379/CEE sui preparati pericolosi ha esteso tali procedure dalle «sostanze» (un numero relativamente limitato di «elementi e dei loro componenti») alla lista teoricamente infinita dei «preparati»«(miscele di due o più sostanze»). Riconoscendo che è poco opportuno o impossibile effettuare sperimentazioni su animali su così larga scala, la direttiva ha introdotto per la prima volta nel diritto comunitario una relazione teorica tra i rischi conosciuti o determinabili delle sostanze e i rischi più probabili delle eventuali miscele. È stato così possibile classificare, etichettare e imballare un preparato senza effettuare prove supplementari.

2.4

Dato che la grande maggioranza dei prodotti venduti ai consumatori sono in realtà «preparati» (o addirittura «articoli»), la suddetta direttiva ha compiuto un passo importante per salvaguardare la sicurezza dei consumatori relativamente a quei prodotti non ancora coperti da direttive specifiche e più restrittive, ad esempio quelle concernenti la vendita dei pesticidi, detergenti o cosmetici. La direttiva del 1988 è stata inoltre notevolmente modificata nel 1999 dalla direttiva 1999/45/CE.

2.5

Le suddette direttive, insieme alla direttiva 91/155/CEE sulla scheda dei dati di sicurezza, anch'essa modificata in seguito, hanno costituito per molti anni la pietra angolare per la protezione di lavoratori e consumatori di tutta l'UE. Inoltre, esse sono strettamente collegate e contribuiscono a praticamente tutti gli altri atti legislativi comunitari in materia di protezione della salute umana, della sicurezza e dell'ambiente. Un aggiornamento costante si è reso necessario per stare al passo con i cambiamenti sopraggiunti riguardo al campo d'applicazione, alle tecnologie di fabbricazione, ai metodi di sperimentazione, alla disponibilità dei prodotti e al loro uso potenziale, oltre che per tenere conto delle più recenti acquisizioni scientifiche relative agli effetti di tutti questi cambiamenti e alle modalità per limitarne gli effetti indesiderati.

2.6

Queste direttive, di pari importanza, perseguono obiettivi del mercato interno nel senso che cercano di creare un mercato unico europeo per i vari prodotti in questione, i quali — si tratti di materie prime, prodotti naturali o sintetici, sostanze intermedie o rifiuti, prodotti finiti o articoli — possono essere importati o venduti in tutta sicurezza negli Stati membri o all'interno dell'Unione europea, a condizione che siano conformi a queste direttive e agli altri atti legislativi comunitari pertinenti.

2.7

Nel 2001 la Commissione europea ha pubblicato il Libro bianco dal titolo Strategia per una politica futura in materia di sostanze chimiche. Il processo così avviato è sfociato l'anno scorso nell'adozione del regolamento (CE) n. 1907/2006 concernente la registrazione, la valutazione, l'autorizzazione e la restrizione delle sostanze chimiche, comunemente noto come REACH. La direttiva 2006/121/CE, pubblicata e adottata contemporaneamente al regolamento, ha apportato ulteriori modifiche alla direttiva 67/548/CEE al fine di armonizzare i due testi. Questo processo proseguirà presumibilmente man mano che saranno accessibili nuovi dati o al mutare delle esigenze legislative.

2.8

Tutti gli strumenti summenzionati riguardano la fabbricazione, la distribuzione e la commercializzazione di determinati prodotti all'interno dell'UE e il loro scambio fra l'UE e i suoi partner commerciali, sia importatori che esportatori. Come era inevitabile, sistemi analoghi, anche se non identici, sono stati messi a punto nello stesso lasso di tempo in molte altre economie mondiali con cui l'UE intrattiene regolari scambi commerciali attraverso le tante grandi, piccole o medie imprese situate sia entro che fuori i suoi confini.

2.9

Alcuni altri paesi, generalmente dotati di strutture economiche e/o legislative meno sviluppate, hanno riconosciuto la necessità di un tale sistema di classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze pericolose, ma aspettano che venga concordato un modello riconosciuto a livello mondiale per poi attuarlo a livello locale.

2.10

Riconoscendo, nei primi anni '90, che questi sistemi messi a punto a livello nazionale o regionale, sebbene fondamentali per proteggere la salute, la sicurezza e l'ambiente, avrebbero anche potuto ostacolare gli scambi commerciali internazionali, l'ONU chiese che gli venisse assegnata la competenza di elaborare una proposta di «sistema mondiale armonizzato» (GHS) per la classificazione, l'imballaggio e l'etichettatura dei prodotti chimici, nonché per la messa a punto delle schede dei dati di sicurezza. Modelli per questo tipo di armonizzazione esistevano già nel settore dei trasporti, in particolare per quanto riguarda i pericoli fisici e la tossicità acuta.

2.11

Il via libera alla messa a punto di questo approccio allargato venne infine con il capitolo 19 dell'Agenda 21, adottato nel 1992 dalla Conferenza delle Nazioni Unite sull'ambiente e lo sviluppo (UNCED). Il contributo tecnico sarebbe provenuto dall'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE), dall'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) e dal Sottocomitato di esperti ONU sul trasporto di merci pericolose (Unscetdg).

2.12

Nel dicembre del 2002, dopo quasi un decennio di lavori, i rappresentanti dei circa 160 paesi ONU partecipanti raggiunsero un accordo sul contenuto tecnico del nuovo GHS. Il vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile, tenutosi a Johannesburg nel settembre dello stesso anno, incoraggiò i paesi firmatari ad applicare quanto prima il GHS per rendere il sistema pienamente operativo entro il 2008. Nel luglio del 2003, il GHS dell'ONU, provvisto ormai di una data limite di attuazione, venne adottato dal Consiglio economico e sociale dell'ONU e i relativi accordi furono firmati dai rappresentanti di tutti gli attuali 27 Stati membri dell'Unione europea.

2.13

Nel 2004 fu poi adottata una serie di modifiche alla proposta originaria dell'ONU, incluse in seguito nelle raccomandazioni relative a un sistema mondiale armonizzato per la classificazione e l'etichettatura dei prodotti chimici, pubblicate dall'ONU nel 2005. Questo documento di 540 pagine, e le sue successive versioni rivedute, è comunemente designato con il nome di «Libro viola» (Purple Book), dal colore della copertina. Il resoconto dei progressi realizzati dai 65 paesi partecipanti, fra cui i 27 Stati membri UE, in vista della scadenza del 2008 sono consultabili sul sito web dell'ONU dedicato all'argomento.

2.14

Ulteriori modifiche tecniche vennero adottate dall'ONU nel 2006 e incluse in un'edizione riveduta del Libro viola apparsa nel 2007. Come era da aspettarsi per un processo di tale ampiezza e complessità finalizzato all'armonizzazione mondiale dei sistemi esistenti, in queste proposte confluisce un insieme di vecchi e nuovi criteri di sperimentazione, risultati, pittogrammi, espressioni concordate e definizioni di etichette. Un approccio modulare è stato utilizzato per consentire la coesistenza di diversi punti di vista e far sì che si potesse raggiungere un accordo tra i paesi partecipanti (anche se un ricorso eccessivo a questa prassi eliminerebbe ovviamente gran parte dei benefici ricercati).

2.15

Il modello proposto dall'ONU non ha tuttavia la necessaria forza di legge e i paesi che intendono seguirne le raccomandazioni devono adottare una normativa di attuazione per poterlo recepire. Per gli Stati membri dell'UE è necessaria una proposta in tal senso da parte della Commissione.

2.16

La Commissione ha iniziato a lavorare nel 2004 a una proposta di attuazione, e nel 2006 ha pubblicato un primo progetto per un sistema comunitario conforme al GHS. Nello stesso periodo sono state effettuate e pubblicate le relative valutazioni d'impatto. Nel terzo trimestre del 2006 una consultazione via Internet delle parti interessate, insieme a tutta una serie di preoccupazioni espresse dai servizi giuridici della Commissione, ha portato a rielaborare profondamente la proposta originaria, che è stata infine adottata e pubblicata dalla Commissione nel giugno 2007. Il relativo gruppo di lavoro del Consiglio ha già avviato una serie di esami tecnici. Come sempre a questo punto dei lavori, si attendono ora i pareri del Parlamento europeo, del CESE e del Comitato delle regioni.

2.17

Da più parti si esprime il desiderio che le revisioni in corso non ritardino né modifichino significativamente le proposte di armonizzazione. È opinione corrente che i benefici saranno ad ampio spettro, riguarderanno soprattutto gli scambi commerciali internazionali e diminuiranno se non si riuscirà a raggiungere un'armonizzazione. I costi all'interno dell'UE (o per i suoi partner commerciali) aumenteranno drasticamente se il calendario di attuazione differirà da quello già concordato per REACH. I vantaggi per la salute, la sicurezza o l'ambiente saranno particolarmente avvertiti al di fuori dell'UE in quei paesi che al momento non dispongono di sistemi efficaci propri.

2.18

L'attuazione del GHS avrà ripercussioni sulla normativa comunitaria in materia di trasporti e su tutta una serie di atti legislativi comunitari «a valle» concernenti i prodotti di consumo, la manipolazione di prodotti chimici per usi specifici, il controllo di prodotti chimici pericolosi, la salute e la sicurezza sul lavoro, i rifiuti e i prodotti alla fine del ciclo di vita. Nei prossimi anni saranno avanzate ulteriori proposte per coprire, se necessario, questi ambiti. La lista completa degli atti legislativi che saranno probabilmente interessati è stata pubblicata dai servizi della Commissione nell'agosto del 2006. Le modifiche al regolamento REACH sono incluse nella proposta in esame.

3.   Sintesi della proposta della Commissione

3.1

La proposta in esame è esposta in 3 volumi e 7 allegati. La versione inglese conta in totale poco più di 2.100 pagine. Sebbene gli elementi principali della proposta siano compresi nel relativamente succinto primo volume (64 pagine), l'intero documento è disseminato di materiale nuovo o di versioni nuove o riviste di vecchio materiale. La proposta va quindi considerata nel suo insieme come elemento essenziale del diritto comunitario primario e delle normative nazionali concernenti le autorità di regolamentazione, i fabbricanti, i fornitori, i distributori, gli operatori commerciali, i lavoratori e i consumatori, all'interno e all'esterno dell'UE.

3.2

Il volume II (154 pagine), che comprende l'allegato I, espone in modo dettagliato le prescrizioni relative alla classificazione e all'etichettatura delle sostanze e delle miscele pericolose.

3.3

Il volume III (430 pagine), che comprende gli allegati II-VII, contiene una serie di disposizioni particolari per determinate sostanze e miscele, un elenco di nuove indicazioni di pericolo e consigli di prudenza, nuovi pittogrammi di pericolo, i dettagli relativi alla classificazione e all'etichettatura armonizzate di talune sostanze pericolose e una tabella di conversione per gli utenti che mostra i cambiamenti intervenuti nelle disposizioni per la classificazione e l'etichettatura nel passaggio dalla vecchia direttiva 67/548/CEE alle nuove disposizioni e le indicazioni di pericolo di cui alla proposta di regolamento. Una «scheda finanziaria legislativa» relativa all'intera proposta e necessaria ai fini della sua adeguata valutazione, ma di poco valore o interesse a lungo termine ai fini della legislazione primaria, è inclusa, o meglio nascosta, alla fine del volume.

3.4

I volumi IIIa e IIIb comprendono le tabelle 3.1 e 3.2 dell'allegato VI e fanno quindi parte del volume III. Insieme, questi volumi costituiscono la trasposizione dell'allegato 1 della direttiva 67/548/CEE nel nuovo quadro normativo: si tratta di quasi 1.500 pagine che riportano le decisioni relative alla classificazione e all'etichettatura di sostanze pericolose specifiche accumulate in oltre 40 anni di valutazione dei prodotti nell'UE.

3.5

La valutazione d'impatto della Commissione, da leggere unitamente ai documenti suddetti, si basa sui rapporti delle società di consulenza RPA e London Economics ed è relativamente concisa (34 pagine).

3.6

La proposta, presentata in forma di regolamento conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato CE, intende «garantire l'uguaglianza delle condizioni di concorrenza di tutti i fornitori di sostanze e miscele nel mercato interno, nonché un grado elevato di tutela della salute, dell'ambiente e dei consumatori».

3.7

La proposta riconosce che il campo di applicazione della normativa comunitaria esistente e quello della proposta GHS dell'ONU non sono identici. Entrambi differiscono per alcuni particolari dalle disposizioni, già in gran parte armonizzate, relative alla classificazione e all'etichettatura nei trasporti. Le modifiche formulate nella proposta in esame sono state limitate al minimo indispensabile; in alcuni casi serviranno quindi ulteriori proposte, in particolare nella fase di attuazione del regolamento REACH.

3.8

La proposta mutua alcuni nuovi termini e definizioni dal GHS dell'ONU, in particolare l'uso della voce «miscela» al posto di «preparato».

3.9

La proposta riconosce che ogni nuovo sistema di classificazione potrebbe implicare l'uso su larga scala di animali da laboratorio e aggiunge che in tutti i casi possibili si dovrebbe ricorrere all'uso di metodi alternativi. Gli esperimenti su esseri umani e altri primati sembrano espressamente vietati per i fini della classificazione proposta (l'incertezza dipende dalla tuttora irrisolta distinzione, in termini sia giuridici che linguistici, nelle diverse lingue ufficiali UE tra le formule «non dovrebb»e e non «dovrà»), benché una tale sperimentazione sia consentita dal modello GHS dell'ONU.

3.10

I problemi legati alla classificazione delle «miscele» sono riconosciuti. È prevista una serie di «principi ponte» finalizzati ad agevolare le corrispondenze con prodotti dai probabili effetti analoghi.

3.11

La proposta prevede la possibilità di utilizzare nomi comuni abbreviati per le singole sostanze o per i componenti delle miscele nei casi in cui la denominazione ufficiale dell'Unione internazionale della chimica pura e applicata (IUPAC) superi i 100 caratteri. Inoltre, si continueranno ad usare gli identificatori del prodotto (numero e denominazione) forniti dal Chemical Abstracts Service (CAS) della società chimica americana. Rispetto alla normativa vigente è mantenuto l'uso controllato di denominazioni generiche che identificano correttamente i probabili pericoli di rischio senza arrecare pregiudizio ai diritti di proprietà intellettuale legati alla composizione precisa di una miscela.

3.12

Il periodo di transizione necessario tra i due sistemi è analizzato dettagliatamente. La proposta riconosce chiaramente che i nuovi criteri si devono applicare dapprima alle «sostanze» e in un secondo momento alle «miscele». Onde evitare oneri superflui per le imprese, queste ultime non saranno obbligate a richiamare o a rietichettare i prodotti (sia «sostanze» che «miscele») già presenti nella catena di approvvigionamento quando entreranno in vigore le disposizioni concernenti l'etichettatura.

3.13

Gli Stati membri dovranno designare le autorità competenti per l'attuazione e l'esecuzione del regolamento, oltre che per stabilire le sanzioni appropriate nei casi di inosservanza. Viene evidenziato che «è fondamentale la fattiva cooperazione di tutte le autorità competenti».

3.14

Il regolamento si applicherà in via di principio a tutte le sostanze e le miscele, tranne nei casi in cui altre normative comunitarie prevedano disposizioni più specifiche. Non rientrano nel campo di applicazione del regolamento i prodotti cosmetici, gli aromi, gli additivi autorizzati nei prodotti alimentari, gli alimenti per animali e i medicinali veterinari, taluni dispositivi medici, i prodotti che sottostanno alle procedure concernenti i settori dell'aviazione civile, del trasporto di merci su strada o per ferrovia e le munizioni (ma non «i prodotti esplosivi ad effetto decorativo», come i fuochi d'artificio).

3.15

Secondo la proposta in esame, i rifiuti, così come definiti dalla direttiva 2006/12/CE, non possono essere classificati né come «sostanze» né come «miscele» o «articoli» ai sensi del regolamento e sono pertanto esclusi dal campo di applicazione di quest'ultimo.

3.16

Le leghe, tuttavia, essendo definite come «miscele» all'articolo 3, punto 41 del regolamento REACH, rientrano nel regolamento in esame, così come probabilmente le «miscele» vere (in contrapposizione ai «preparati») di sostanze presenti in natura quali i minerali, metallici e non, e gli estratti vegetali.

3.17

Le prescrizioni relative all'etichettatura sono modificate rispetto al sistema comunitario in vigore per quanto riguarda sia la forma che il contenuto. Alcuni pittogrammi esistenti vengono sostituiti, altri invece vengono introdotti per la prima volta. Le espressioni standardizzate in materia di «rischio» e s«icurezza» sono sostituite da nuove «avvertenze», «indicazioni di pericolo» e c«onsigli di prudenza».

3.18

Tutte le menzioni e le indicazioni citate sono definite in tutte le lingue ufficiali dell'UE e devono essere usate, se del caso, su ogni etichetta a seconda del paese nel quale il prodotto sarà venduto al consumatore finale. Si possono anche inserire informazioni in più lingue, benché lo spazio a disposizione sia sempre più ridotto (naturalmente, in alcuni casi specifici può anche darsi che le etichette e la documentazione allegata debbano essere tradotte in lingue non ufficiali ma necessarie da un punto di vista legale, come il gallese, oppure in altre lingue — quali ad esempio il russo, il turco, l'arabo e l'hindi — per andare incontro alle esigenze di specifici gruppi etnici o di immigrati).

3.19

La proposta riconosce che il processo di classificazione, e quindi di etichettatura e di imballaggio, è soggetto a un aggiornamento continuo nell'UE man mano che si rendono disponibili nuove informazioni o conoscenze o al mutare degli obblighi legislativi. Le modifiche tali da richiedere interventi specifici e le procedure da seguire a tal fine sono definite nel documento in esame.

3.20

Si prevede che il regolamento entrerà in vigore dopo 20 giorni dalla pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea. La legislazione attuale in materia di classificazione, etichettatura e imballaggio delle sostanze dovrebbe applicarsi al più tardi entro il 1o dicembre 2010 (in modo da coincidere con la scadenza per la registrazione di cui al regolamento REACH). Per i miscugli, invece, la legislazione vigente dovrebbe valere fino al 1o giugno 2015, dopo di che si applicherà solo la nuova normativa.

4.   Osservazioni generali

4.1

Agendo per conto dei suoi Stati membri, l'ONU ha proposto un modello di «sistema mondiale armonizzato» relativo ai criteri e ai processi usati per la classificazione, l'imballaggio e l'etichettatura delle «sostanze chimiche». Gli Stati membri dell'UE hanno convenuto che questo modello dovrebbe essere attuato idealmente entro il 2008. La Commissione ha proposto come normativa di attuazione il regolamento attualmente in esame.

4.2

Il CESE sostiene con vigore tale obiettivo dell'armonizzazione mondiale, la forma e la base giuridica della normativa di attuazione proposta a tal fine e il fatto che il calendario di attuazione proposto coincida con la prima importante scadenza per la registrazione delle «sostanze» prevista dal regolamento REACH.

4.3

Il CESE evidenzia altresì che sarà necessaria una certa flessibilità per gestire i due sistemi in parallelo; ciò vale in particolare per le «miscele», che in molti casi sono a loro volta «miscele» di «miscele», con una durata di conservazione precisa che varia da prodotto a prodotto e che talvolta può essere di mesi se non di anni. È improbabile che la transizione si concluda entro il limite di tempo proposto, ma questo per fortuna non significa che il processo nel suo insieme risulterà inefficace. In mancanza di tale flessibilità i costi di lancio aumenteranno e i vantaggi previsti a lungo termine potrebbero non materializzarsi.

4.4

Il CESE, inoltre, evidenzia e condivide le osservazioni iniziali della valutazione d'impatto della Commissione, secondo cui «a lungo termine l'attuazione del GHS sembra redditizia […] poiché i benefici economici conseguiti negli scambi commerciali saranno superiori ai costi di attuazione», anche se «occorre mantenere sotto controllo i costi d'attuazione per far sì che si producano benefici a breve termine e per evitare procedure e oneri amministrativi superflui per le PMI».

4.5

Il CESE rileva inoltre le osservazioni espresse dalla Commissione nella scheda finanziaria legislativa, dove si dice che «la presente proposta legislativa concerne l'attuazione di un accordo internazionale. Nemmeno una valutazione ex ante negativa tratterrebbe la Commissione dal presentare la sua proposta legislativa, poiché non esistono altre alternative politiche. Una valutazione ex post negativa non indurrà la Commissione a rinunciare all'impegno preso di attuare il sistema di classificazione ed etichettatura, frutto di un accordo internazionale».

4.6

In pratica, la Commissione ritiene di non avere avuto altra scelta che presentare la proposta, indipendentemente dal saldo previsto o effettivo tra costi e benefici finali. Il CESE ritiene che si tratti di una constatazione realistica, date le circostanze, ma deplora che, per quanto ciò non sia un elemento fondamentale del processo decisionale, la valutazione d'impatto non abbia esaminato meglio i costi probabili dell'attuazione per cercare di mitigarne le conseguenze sin dalla fase preparatoria. Il fatto che gli stessi consulenti (RPA) abbiano messo a punto un'analisi dettagliata (e contraddittoria) per uno solo dei settori interessati (taluni prodotti di consumo) indica che se ci fossero stati denaro, tempo e volontà sufficienti, sarebbe stato possibile realizzare una simile ricerca su più ampia scala e in modo sicuramente più efficace. Come per tutti i processi di armonizzazione, anche in questo caso il pericolo di un aumento incontrollato dei costi e del relativo vanificarsi dei vantaggi è quanto mai evidente.

4.7

È ad esempio difficile comprendere perché mai il passaggio da un sistema ormai consolidato e pienamente funzionante a un altro, altrettanto valido ma sconosciuto, dovrebbe apportare vantaggi in termini di salute, sicurezza e ambiente all'interno dell'UE. Nel breve periodo, l'esistenza parallela di due sistemi che si avvalgono di termini, definizioni e pittogrammi differenti potrebbe addirittura nuocere alla protezione dei consumatori. Un programma coordinato di istruzione e formazione incentrato sul settore della distribuzione contribuirebbe in certa misura a ridurre tale rischio.

4.8

Anche da un punto di vista teorico non è facile comprendere come si possano ottenere effettivi vantaggi per gli scambi commerciali, dato che la proposta ONU sarà attuata dai vari paesi sulla base di calendari e di interpretazioni divergenti riguardo ai requisiti fondamentali. Una prima attuazione da parte del Giappone e della Nuova Zelanda ha già dato adito a preoccupazioni in Europa. Negli Stati Uniti, dove coesistono quattro o cinque sistemi paralleli, l'attuazione è ancora lontana dal completamento. È inoltre evidente che, nonostante l'armonizzazione delle necessarie etichette e schede dei dati di sicurezza, continueranno a occorrere versioni linguistiche differenti per i beni scambiati a livello mondiale.

4.9

Nel migliore dei casi si può quindi affermare che ci troviamo all'inizio di un processo di armonizzazione globale all'insegna di quanto è già stato realizzato negli Stati membri dell'UE e che richiede adesso lo stesso sforzo in termini di risorse, nonché di sistemi e processi di supporto per poter funzionare a livello mondiale. Si tratta di un ruolo inconsueto per la Commissione ed è importante che essa devolva risorse sufficienti affinché alla proposta in corso di discussione possano essere apportati in modo tempestivo ed efficace gli inevitabili cambiamenti, aggiornamenti e adeguamenti ai progressi tecnici. Non è chiaro se la scheda finanziaria o le proposte relative alla comitatologia e ai successivi esami siano o meno strumenti adeguati a tal fine.

4.10

Osservazioni analoghe andrebbero rivolte all'ONU per garantire che al più presto si realizzi un'armonizzazione completa non solo dei criteri di classificazione, ma anche delle classificazioni effettivamente definite e usate come base per le successive operazioni di etichettatura e imballaggio sia per «le sostanze chimiche di base» ad alto volume di scambi in tutto il mondo che, infine, per la maggior parte dei prodotti di consumo con un volume mondiale di scambi parimenti elevato. In entrambi i casi sarà fondamentale che i fabbricanti dei prodotti e i responsabili della regolamentazione operino in stretta e costante cooperazione.

4.11

Nell'UE la Commissione deve ancora affrontare un duplice problema: da un lato, regolare le tante interazioni, definite solo parzialmente, della propria legislazione «a valle»; dall'altro, riconoscere e soddisfare le esigenze di settori specifici, in particolare in relazione ai prodotti di consumo. Dandosi per scontato che i due sistemi siano efficaci in pari misura, si dovrebbe poter prevedere una certa flessibilità per garantire che il quadro generale della proposta possa essere definito il prima possibile.

4.12

Allo stesso modo, i «lavoratori» (sul luogo di lavoro) e i «consumatori» (nei punti di vendita al dettaglio, quando acquistano via Internet o, successivamente, a casa loro) dovrebbero ovviamente continuare a beneficiare del più alto livello di protezione possibile in materia di salute e sicurezza. Sta di fatto, tuttavia, che i due sistemi, come anche le esigenze di informazione e i servizi di sostegno messi a disposizione degli interessati, differiscono considerevolmente, il che è riconosciuto solo in parte dalla proposta in esame. Non serve un approccio universalmente valido. Si dovrebbe tener conto dei recenti cambiamenti nelle abitudini d'acquisto dei consumatori, in particolare via Internet. Inoltre, anche le esigenze dei servizi di soccorso, come i servizi che offrono assistenza sanitaria d'urgenza e i centri antiveleni dovrebbero essere tenute in considerazione per quanto riguarda il contenuto delle etichette e la pertinenza delle informazioni fornite.

4.13

Si dovrebbe altresì riconoscere l'esistenza e il valore di altre fonti di informazione oltre alle etichette; questo vale in particolare per i consumatori che possono compiere scelte informate grazie ai consigli delle organizzazioni dei consumatori o alle informazioni fornite on line dalla maggior parte dei fabbricanti e dei fornitori. La laconica affermazione della Commissione secondo cui «l'etichetta è il solo strumento per comunicare con i consumatori» appare pertanto troppo semplicistica. Per quanti fanno affidamento solo sulle informazioni dell'etichetta, magari molto tempo dopo l'acquisto, è fondamentale disporre di informazioni precise, comprensibili e pertinenti. Chiunque invece desideri un quadro più approfondito può facilmente ottenere informazioni complementari ai sensi della normativa comunitaria vigente o in virtù delle buone pratiche commerciali. Le molte scelte personali in materia di acquisti che si fondano esclusivamente sulla fedeltà a un marchio funzionano in entrambi i sensi: il consumatore può pensare che un prodotto sia sicuro semplicemente perché l'ha fabbricato la ditta x, e il valore della fiducia accordata dal consumatore alla ditta x è tale a sua volta da garantire che i prodotti di tale ditta siano davvero sicuri o, in caso contrario, riprogettati, rifabbricati ed eventualmente ritirati dal mercato (ne è un chiaro esempio il recente ritiro volontario e sicuramente molto costoso su scala mondiale di giocattoli e altri beni di consumo dovuto al mancato rispetto di norme di qualità interne).

4.14

Per i lavoratori e per chiunque acceda a un luogo di lavoro nel quale le esposizioni sono in genere più consistenti e/o più prolungate, e dove la necessità di garantire le più elevate norme di salute e sicurezza rappresenta una priorità quotidiana, gli imballaggi e le quantità in essi contenute sono in genere di dimensioni maggiori e le etichette possono essere più dettagliate. Nemmeno in questi casi mancano informazioni supplementari, molte delle quali devono essere fornite ai sensi del diritto comunitario (o di altre normative) al momento o prima della fornitura delle materie prime o dei prodotti intermedi destinati a essere trasformati. Un sito Internet americano citato in una relazione informativa del CESE sul regolamento REACH (febbraio 2005), che all'epoca disponeva di 1,4 milioni di schede tecniche sulla sicurezza della sostanze, ne conta oggi più di 3,5 milioni e afferma di aggiungere circa 10.000 nuove schede al giorno. Le schede di dati di sicurezza sia per le sostanze che per i preparati, in formato europeo e nelle rispettive lingue nazionali, possono essere ottenute dalla maggior parte dei fabbricanti e dei fornitori, come pure da talune fonti centralizzate, e devono ovviamente essere fornite ai consumatori europei prima che un prodotto possa essere venduto. Poiché questi documenti devono essere forniti da tutti i fabbricanti e i fornitori per ogni loro prodotto e in tutte le lingue interessate, occorre elaborare tantissime schede diverse di dati di sicurezza che vanno aggiornate periodicamente o ogniqualvolta una nuova normativa, come ad esempio la proposta in esame, lo renda necessario.

4.15

In aggiunta alle fonti citate sopra, l'OCSE ha lanciato (giugno 2007) il portale eChem che consente un facile accesso a tutta una serie di basi di dati gestite dai governi e dalle agenzie dei suoi Stati membri, compreso, per l'UE, l'Ufficio europeo delle sostanze chimiche. Queste basi di dati, che forniscono informazioni su molte decine di migliaia di sostanze diverse prodotte e vendute nell'UE, utilizzano tutta una serie di acronimi, tra cui: ESIS (UE), CHRIP (Giappone), HPV (OCSE), SIDS HVPC (Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente — UNEP), HPVIS (Agenzia per la protezione dell'ambiente degli Stati Uniti — US EPA), Inchem (Programma internazionale sulla sicurezza chimica — IPCS), nonché alcune fonti comunitarie più note e usate abitualmente quali Iuclid, ORATS, HPVCS, LPVCS, Elincs e Einecs, e siti dedicati a settori specifici quali SEED, Europhyt, Physan e CAT. I programmi di sostegno coordinati a livello mondiale come pharmacovigilance e cosmetovigilance vigilano affinché ogni eventuale effetto nocivo di un prodotto venga tempestivamente registrato a livello centrale. Si dovrebbe incoraggiare l'estensione di questi programmi di allarme precoce, che associano industria e autorità di regolamentazione, anche ad altri prodotti di largo consumo.

4.16

È chiaramente un bene che queste fonti di dati esistano e siano facilmente accessibili, ed è ancora meglio quando è possibile aggiornare una ad una sia le schede che le descrizioni di prodotto per adeguarle alle singole modifiche rese necessarie dalle diverse attuazioni del GHS a livello nazionale o regionale, senza dover imporre costi inaccettabili a tutti gli interessati. Anche in questo caso però non è chiaro se la valutazione d'impatto abbia tenuto pienamente conto di questi aspetti.

4.17

Questa profusione di informazioni on line, alla quale si aggiunga la lunghezza della normativa d'attuazione, sta tuttavia diventando gravosa e anche problematica sotto il profilo giuridico e intellettuale sia per le autorità di regolamentazione che per gli utenti. Il regolamento REACH, nella sua versione definitiva inglese, comprendeva 850 pagine. I progetti di attuazione di tale regolamento, i cosiddetti RIP (REACH Implementation Projects), e le note orientative, a tutt'oggi in fase di elaborazione, dovrebbero superare le 10 000 pagine. Le versioni definitive e il loro status giuridico finale non sono ancora conosciuti. La proposta GHS attualmente in esame supera le 2 000 pagine. Ci vorranno altre note orientative sia per il regolamento in esame sia per accompagnare l'attuazione di una ventina di importanti atti legislativi a valle, tra cui la direttiva 1996/82/CE (Seveso II), a esso collegati. Le istituzioni e gli organi competenti dell'UE si troveranno così a breve a dover produrre o rivedere quasi 20 000 pagine di testi normativi o di documenti di accompagnamento solo in questo ambito. È difficile vedere in ciò un esempio di come si possa legiferare meglio o il modo ideale per promuovere gli obiettivi di Lisbona o addirittura per avvalorare l'idea di una UE amministrata a livello centrale, attenta e vicina alle esigenze dei cittadini europei.

4.18

Se però si riuscirà a superare in tempo utile questi problemi fondamentali di comunicazione, si conseguiranno grandi benefici (al riguardo si potrebbe forse suddividere la normativa nei suoi moduli essenziali: definizioni dal contenuto preciso e approvato, metodi di prova, criteri finali, risultati, processi e procedure necessarie, ecc.; tutti questi moduli si potrebbero pubblicare e aggiornare separatamente secondo calendari adeguati ma differenti, dato che qui, al contrario degli atti legislativi primari, non è obbligatoria una pubblicazione simultanea). Il GHS, che si basa su dati concreti ed è universalmente applicabile, dovrebbe in definitiva influenzare e orientare tutti gli attori chiamati a esprimersi sui modi migliori per proteggere la salute umana, la sicurezza e l'ambiente. Le ripercussioni positive potrebbero in tal caso essere ben maggiori del modesto incremento degli scambi internazionali o del tasso di occupazione a livello locale, argomenti attualmente apportati a giustificazione economica della proposta in esame.

5.   Osservazioni specifiche

5.1

Il CESE rileva le scadenze ravvicinate previste per l'adozione della proposta di regolamento in esame, il che ne consentirebbe l'attuazione negli stessi tempi definiti dal regolamento REACH al fine di contenere i costi unici di lancio. Il CESE rileva inoltre che questo è solo l'inizio di un processo globale che richiederà adeguamenti continui da parte di tutti gli organi di regolamentazione coinvolti, delle industrie e di tutti gli altri attori direttamente interessati. È quindi evidente la necessità di comprendere e risolvere quanti più possibile dei problemi rilevati, nonché attuare le parti essenziali della proposta in esame all'insegna della massima flessibilità possibile. Dato che un sistema di qualità e ben rodato sarà presto sostituito da un altro, che si spera altrettanto valido, i rischi collegati alla concessione di deroghe particolari, volte a guadagnare tempo per risolvere eventuali problemi, sono irrilevanti.

5.2

A titolo d'esempio, l'elaborazione e l'inclusione di una tabella di conversione che traspone l'allegato 1 della direttiva vigente nell'allegato VI del nuovo regolamento, effettuata dai servizi della Commissione e dagli esperti nazionali, costituisce certamente un'utile guida per il passaggio dalle vecchie alle nuove disposizioni, ma ha eluso tutti i necessari processi di revisione e consenso su cui era originariamente fondato quel migliaio e più di pagine di decisioni. Se è vero che questo documento è destinato a entrare in vigore con effetto immediato, in tal caso si dovranno investire delle risorse ai fini di una verifica dettagliata della situazione, in una fase in cui la maggior parte delle imprese saranno impegnate in pieno per adempiere alle disposizioni di registrazione del regolamento REACH. Poiché succede spesso che le normative comunitarie siano adottate senza i relativi allegati o parte di essi, anche in questo caso si potrebbe seguire un simile approccio al fine di rispettare il calendario generale d'attuazione. Ciò eliminerebbe anche i problemi legati alla responsabilità in caso di «traduzione e conversione» o di «recepimen»to non corretti delle disposizioni, responsabilità che al momento incombe poco opportunamente ai servizi della Commissione. Il fatto che questo processo abbia portato a individuare numerosi errori presenti nella legislazione vigente, in particolare dopo l'introduzione di molte nuove lingue, per le quali la «traduzione», nell'accezione più comune del termine, riveste un'importanza fondamentale, è una magra consolazione. Visto il volume dei dati, è probabile che allo stesso tempo si introducano nuovi errori, i quali potranno essere via via scoperti solo dal fabbricante o dal fornitore del prodotto stesso.

5.3

Osservazioni analoghe valgono per tutti i casi in cui, senza che le conseguenze siano state tenute nella dovuta considerazione, il nuovo GHS renderà più rigide le classificazioni attuali, e quindi le modalità di etichettatura e di imballaggio, oltre a produrre altri eventuali effetti per effetto delle normative collegate in materia di trasporti o di altri settori a valle. Potrebbe essere il caso, ad esempio, di taluni prodotti di largo consumo come i detergenti per uso domestico, per i quali il nuovo GHS sembra imporre un'etichettatura eccessiva e per certi versi assurda. Una frase citata spesso a titolo di esempio è: «chi si versa addosso un detergente che usa abitualmente, dovrebbe togliersi gli abiti per lavarli con quello stesso prodotto». Una tale menzione non farebbe altro che discreditare il sistema e coloro che lo applicano; certamente non condurrebbe ai massimi standard di protezione per la salute umana, la sicurezza e l'ambiente. Sembra essenziale fare un uso accorto della deroga di cui all'articolo 30, paragrafo 1, secondo la quale talune «menzioni manifestamente superflue […] possono essere omesse dalle etichette».

5.4

Anche le disposizioni relative all'eccesso di classificazione destano preoccupazione. Si tratta di una pratica che, in alcuni sistemi giuridici, dovrebbe limitare la responsabilità dei fabbricanti, ma che in realtà non porta a una protezione adeguata dei lavoratori e dei consumatori. La proposta in esame non opera una distinzione adeguata tra i prodotti potenzialmente «irritanti» (ovvero che possono causare rossori o gonfiori cutanei temporanei e reversibili) e i prodotti «corrosivi» (vale a dire che possono causare un'abrasione cutanea permanente ed eventualmente irreversibile, come gli acidi forti, gli alcali o l'ossigeno). I rischi di lesione ai soli occhi sono naturalmente molto più frequenti e in alcuni casi possono essere più gravi, tanto da causare la cecità; andrebbero pertanto indicati, se necessario, con un simbolo apposito e facilmente riconoscibile. La situazione è aggravata dalle limitazioni, imposte o volontarie, relativamente all'impiego di sperimentazioni su animali per prodotti ormai prossimi a soddisfare un nuovo criterio finale e per i quali l'etichettatura e l'imballaggio prima della vendita ai consumatori dipendono dalla classificazione adottata. Poiché è probabile che questo tipo di prodotti siano più l'eccezione che la regola, alcune deroghe temporanee permetterebbero l'attuazione senza ritardi della proposta nel suo insieme.

5.5

L'eccesso di etichettatura ha anche effetti indesiderati in relazione all'imballaggio, visto che le chiusure di sicurezza per i bambini sono difficili da aprire anche per le persone anziane o meno valide. I consigli su come maneggiare e conservare i prodotti usati quotidianamente sono in genere più utili dei dispositivi che li rendono inaccessibili agli utenti, con la possibile conseguenza che gli imballaggi vengano lasciati aperti o che il loro contenuto venga trasferito in contenitori alternativi meno sicuri. Grazie a un'etichettatura razionale, al semplice buon senso e all'osservazione quotidiana, i consumatori sanno chiaramente che i prodotti per pulire il forno o per liberare le tubature devono essere maneggiati con grande precauzione; nella maggior parte dei casi essi sono altresì capaci di usare il detersivo in polvere o le pastiglie per la lavastoviglie senza ferirsi. Etichettare tutti questi prodotti come «corrosivi» con la menzione «PERICOLO» non è di alcuna utilità e ancora una volta compromette l'intero processo.

5.6

Gli esempi suddetti sollevano anche un'altra questione, cioè in quale misura i vari nuovi (e vecchi) pittogrammi, menzioni ed espressioni siano stati testati rispetto alla percezione dei diversi gruppi di utenti in tutto il mondo. Sebbene sia troppo tardi per cambiare l'attuale proposta dell'ONU in merito al GHS, potrebbero rivelarsi utili alcune menzioni supplementari o in alternativa si potrebbero proporre delle modifiche ai fini di una maggiore chiarezza. La scomparsa del notissimo pittogramma rappresentante la «croce di Sant'Andrea» in nero su sfondo arancione è particolarmente deplorevole. Ci vorrà un considerevole lasso di tempo prima che i nuovi pittogrammi vengano adeguatamente riconosciuti e ciò accrescerà i rischi per i consumatori, in particolare finché i nuovi simboli non si saranno del tutto affermati. Si dovrebbero pertanto attuare quanto prima (e finanziare a livello centrale) programmi di informazione ai punti di vendita al fine di aiutare tutti coloro che acquistano sistematicamente questi prodotti al dettaglio. Si dovranno inoltre esaminare più attentamente le esigenze di quanti acquistano beni di consumo on line, dove un'etichetta è raramente visibile al momento dell'acquisto.

5.7

Per quanto riguarda l'identificazione dei componenti di un preparato o di una miscela, la proposta in esame prevede ragionevolmente l'uso del numero CAS (che individua attualmente più di 32 milioni di sostanze organiche e inorganiche con strutture definite per intero o parzialmente, di cui 13 milioni sono classificate come disponibili sul mercato, spesso in quantità minime) e l'uso delle nomenclature IUPAC, CAS o altre per completare l'identificazione. È opportuno tuttavia ricordare che questa nomenclatura serve a definire delle strutture, e non a individuare pericoli o rischi, ed è raramente utile per i servizi d'urgenza o i centri antiveleni, dato che in genere non esistono antidoti specifici. La decisione se provocare il vomito o neutralizzare un prodotto nello stomaco può tuttavia rivelarsi critica nell'ambito dei primi soccorsi da portare in caso di inserimento. In seconda battuta potrebbe anche essere fondamentale mettersi in contatto con il fabbricante, 24 ore su 24 e 7 giorni su 7, per chiedere consigli più specifici. Sono queste le informazioni che dovrebbero figurare sull'etichetta per i casi di emergenza, e non tanto la denominazione chimica ufficiale e la struttura molecolare di uno o più componenti di una miscela complessa.

5.8

Ne segue che quando la denominazione di un componente specifico, fino alla definizione della sua struttura chimica assoluta, riveste interesse solo per i concorrenti e comporta la perdita dei diritti di proprietà intellettuale per il fabbricante iniziale, si dovrebbero mantenere le misure di tutela previste dall'attuale direttiva sui preparati. Questo problema si pone in genere solo con i fluidi ad alto rendimento come i lubrificanti o altri preparati di alta tecnologia, riguardo ai quali l'esposizione dei consumatori è di regola limitata e i pericoli generali sono manifesti indipendentemente dai componenti specifici.

5.9

Quanto detto solleva inoltre il problema dell'uso proposto del termine «miscela», che dovrebbe riferirsi solo a un sistema di sostanze separabili con mezzi meccanici, a differenza di un «composto» o di una «sostanza», che invece non possono venire separati in questo modo. Questa definizione sembra mettere sullo stesso piano tutta una serie di sistemi materiali di natura quanto mai eterogenea (minerali metallici e non metallici, concentrati ed estratti vegetali) e i «preparati», concetto — quest'ultimo — che esprime l'idea fondamentale di miscela costruita artificialmente a partire da componenti conosciuti e la cui pericolosità può essere ragionevolmente determinata. Le leghe (e i vetri) non fanno ovviamente parte di nessuna delle due categorie suddette e dovrebbero essere regolamentate separatamente e in maniera più specifica, sia nell'ambito della proposta in esame che del regolamento REACH. Né è chiaro per quale motivo i flussi di rifiuti siano esclusi in quanto categoria, nonostante facciano parte in alcuni casi dell'inventario Einecs in quanto «sostanze» nelle rubriche «melma» e «fanghi». Ciò sembrerebbe implicare che un minerale misto allo stato naturale debba essere classificato (senza alcun motivo comprensibile, dato che non vi è la probabilità che entri in contatto con i consumatori né la possibilità di trovare un sostituto), mentre i rottami di ferro o la carta usata, che devono essere trattati in quanto tali attraverso processi continui e operazioni di riciclaggio, sono esclusi. Tutti questi prodotti devono essere maneggiati con precauzione sul luogo di lavoro, ma non è questa la ratio principale della classificazione e, peraltro, questi prodotti sono impacchettati ed etichettati solo di rado. In genere la normativa relativa a un settore o a un luogo di lavoro offre una protezione maggiore.

5.10

Le definizioni, indipendentemente dal genere, dovrebbero essere incluse nella loro forma completa nella proposta in esame, e non semplicemente riprese dal GHS o attraverso rimandi ad altri documenti. Sarebbe tra l'altro una buona occasione per dare per la prima volta una definizione del termine «prodotto chimico» e dell'aggettivo «chimico». Se «prodotto chimico» equivale a «sostanza», come è probabile, lo si dovrebbe dire in modo esplicito. Ciò avrebbe anche il merito di precisare il campo di applicazione della proposta in oggetto e di altre direttive e regolamenti la cui portata va ben al di là dei prodotti dell'industria «chimica» in senso stretto. Ciò indicherebbe inoltre chiaramente che il fatto di tradurre il sostantivo inglese chemical (in italiano «prodotto chimico») con «sostanza chimica» nelle lingue in cui non esiste un sostantivo equivalente non significa che esista una sostanza alternativa «non chimica» (e magari non tossica). È da sperare che ciò contribuisca anche a limitare l'uso di espressioni senz'altro benintenzionate, ma prive di senso come «la maggior parte degli articoli contiene prodotti chimici» (1) (e gli altri che cosa contengono?) oppure «i prodotti chimici sono usati in quasi tutti i luoghi di lavoro» (2) (e negli altri luoghi che cosa si utilizza?). Il CESE comprende naturalmente che tutte le definizioni debbano essere usate con coerenza in tutte le varie normative; a suo giudizio è però inaccettabile che un atto normativo risulti più «fondamentale» di un altro (nel qual caso la proposta in esame appartiene chiaramente a questa categoria), né è tanto meno accettabile che tutti gli attori interessati debbano leggere tutta l'intera normativa vigente connessa solo per determinare quale significato abbia o non abbia un singolo termine. Questo aspetto diventa importante nella misura in cui la traduzione in lingue diverse crea differenze che non esistevano nell'originale o, viceversa, annulla distinzioni che erano fondamentali. Ad esempio, nel testo in oggetto il termine «prodotto» ha un significato neutro e designa tutti i beni che possono essere acquistati dai consumatori o utilizzati sul luogo di lavoro; pertanto, non va assolutamente inteso come sinonimo del termine «articolo», che ha un significato specifico nella legislazione comunitaria e in altre normative. In inglese tale differenza è sufficientemente chiara, ma in altre lingue forse lo è di meno. In ogni caso, questa distinzione deve essere mantenuta. Si dovrebbero inoltre individuare ed evitare altre possibili fonti di fraintendimenti linguistici e culturali. Per esempio, in Europa l'espressione substance-free environment (ambiente senza sostanze) potrebbe essere interpretata in riferimento allo spazio extra-atmosferico, mentre negli Stati Uniti essa indica un ambiente, ad esempio una scuola, dove è vietato bere e fumare. Ancora, in molti paesi, se nella stampa a larga diffusione si legge che si sono trovate tracce di «sostanze chimiche» sulle mani e sugli abiti di una persona, si pensa subito a un terrorista.

5.11

In ogni caso, il significato specifico denotato dai differenti termini usati deve essere reso chiaro per tutti, compreso il vasto pubblico. Il divieto di usare il termine «pericolo» insieme alla voce «avvertenza» può avere un qualche interesse per gli esperti di etichettatura, ma i due termini sono spesso usati insieme in altre comunicazioni volte a diminuire i rischi. Si dovrebbe inoltre chiarire se i termini inglesi dangerous e hazardous, e le relative traduzioni nelle altre lingue ufficiali dell'UE (e dei suoi partner commerciali), presentino o meno una differenza semantica, visto che sicuramente è difficile distinguerli in inglese. Sarebbe anche bene evitare l'uso di abbreviazioni come «fattore m», espressione che ha un senso solo nelle lingue in cui la traduzione di «moltiplicatori» comincia effettivamente con la lettera «m» (il fatto che la normativa in vigore faccia di continuo uso degli acronimi «R» e «S», rispettivamente per risk [«rischio»] e safety [«sicurezza»], altro non indica se non che è stata redatta in inglese e che tiene in poco conto le esigenze di chi parla altre lingue).

5.12

Per quanto riguarda il campo di applicazione generale della proposta in esame, sarebbe opportuno prevedere una soglia, determinata sulla base delle vendite annuali, del volume o del peso dell'imballaggio o della tossicità conosciuta, per evitare che il processo finisca sommerso dai dati relativi ai milioni di sostanze trasferite in qualità piccole o piccolissime. Allo stesso modo sarebbe utile aggiungere alla serie di etichette attualmente esistenti un'etichetta specifica per il trasferimento di quantità minime destinate alla ricerca e sviluppo, in genere come campioni da un laboratorio all'altro, indicante che «il prodotto non è ancora stato testato e classificato» e che è «riservato esclusivamente ad usi professionali». (La proposta alternativa attualmente avanzata di escludere «le sostanze e le miscele per la ricerca e lo sviluppo scientifici», ma solo se utilizzate in condizioni tali da far supporre che «siano cancerogene, mutagene sulle cellule germinali o tossiche per la riproduzione», è inadeguata e dovrebbe essere soppressa. Non vi è nessun elemento tale da giustificare un trattamento prioritario dei pericoli in laboratorio o da indicare che, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, chi lavora in laboratorio è a rischio per mancanza di conoscenze sufficienti. Tuttavia, se anche si adducessero prove in tal senso, una strada migliore sarebbe quella di modificare la normativa comunitaria in materia di buone pratiche da impiegare nei laboratori).

5.13

Si dovrebbe inoltre vigilare affinché il processo di classificazione e di etichettatura proposto tenga pienamente conto, come avviene attualmente, delle proprietà pericolose di ogni singola sostanza, preparato o miscela disponibile sul mercato. Ogni estensione alle piccole valutazioni di rischi informali e non regolamentate realizzate dai fabbricanti e dai fornitori al fine di coprire futuri usi, possibili o previsti, andrebbe soppressa in quanto non conforme né alla normativa comunitaria in vigore né alla proposta ONU in materia di GHS.

5.14

Per quanto riguarda l'attuazione, le relazioni e le sanzioni in caso di inadempimento, la proposta in esame assegna molto ragionevolmente tale responsabilità agli Stati membri ed esige che le disposizioni in materia siano «efficaci, proporzionate e dissuasive», e che siano notificate alla Commissione entro 18 mesi dall'entrata in vigore del regolamento. Il CESE rileva tuttavia che la proposta in esame è finalizzata, come peraltro la normativa in vigore, ad armonizzare i criteri e i processi usati in tutte le classificazioni, ma non i risultati delle stesse. È probabile che le sanzioni risultino così poco incisive, in termini di portata, effetti e applicabilità, rispetto al desiderio dei fabbricanti di proteggere pienamente e adeguatamente i lavoratori e i consumatori, dai quali dipende la loro attività. Di conseguenza, la funzionalità dell'intera proposta, in connessione con altri atti legislativi come REACH, resta un elemento critico.

5.15

Sarà infine necessario valutare la qualità dei dati relativi a ordinamenti giuridici diversi, al fine di garantire che siano comparabili tra loro e che permettano di determinare i rischi intrinseci di nuove sostanze complesse, comprese quelle a «composizione non nota o variabile». A questo riguardo esistono appositi sistemi di classificazione, per esempio quello della Society of Chemical Hazard Communications. Dati sottoposti a verifiche incrociate (peer review) sono disponibili anche nel Register of Toxic Effects of Chemical Substances. Non sembra che sia stato messo a punto un processo adeguato a tal fine, il quale andrebbe presumibilmente realizzato a livello ONU, né che si siano definiti i relativi bilanci e risorse.

Bruxelles, 12 marzo 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  FAQ della Commissione in merito al regolamento REACH.

(2)  Note orientative del DEFRA (ministero britannico per l'Ambiente, l'alimentazione e gli affari rurali) per i membri del PE in merito alla proposta in esame.


9.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 204/57


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Indicazioni e denominazioni geografiche

(2008/C 204/14)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 settembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema:

Indicazioni e denominazioni geografiche.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 febbraio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore CAMPLI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 marzo 2008, nel corso della 443a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 124 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE considera di importanza strategica approfondire e rilanciare il dibattito sulla politica di qualità dell'UE nella sua globalità, secondo un'armonica simbiosi tra le esigenze regolamentari in materia di sicurezza degli alimenti, ambiente e preoccupazioni sociali, anche in relazione agli obiettivi di un possibile marchio di qualità UE, e quella tesa a valorizzare le specificità produttive e alimentari dei diversi territori dell'Unione basate su standard più elevati.

1.1.1

In tema di efficienza del sistema delle indicazioni e denominazioni geografiche (IG), il CESE considera che vi sia l'esigenza di:

una maggior chiarezza e semplificazione delle procedure di richiesta,

riconoscere per le attività di controllo enti pubblici e/o privati, soltanto se indipendenti ed accreditati (in conformità a quanto previsto anche dalle norme ISO/EN (1) in merito all'accreditamento degli organismi di certificazione),

ulteriori modifiche del quadro normativo in tema di opposizioni, finalizzate a prevenirne e/o gestirne le problematiche e ad evitare lunghe ed estenuanti battaglie in sede giudiziaria, anche prevedendo, ad esempio, che gli Stati membri debbano agire qualora sia accertata una violazione delle norme comunitarie (2), la creazione di istanze di conciliazioni extragiudiziarie, ecc.

Il CESE ritiene che tali criticità, siano state solo parzialmente prese in considerazione nel riesame che ha portato al regolamento (CE) n. 510/2006 e considera che esse dovranno essere corrette, in quanto potranno rivelarsi ancor più rilevanti a fronte dell'allargamento del sistema ai paesi extra UE.

1.1.2

In tema di efficacia, il CESE propone che siano previste misure per garantire la necessaria reputazione del prodotto nei confronti del mercato, attraverso il rafforzamento delle organizzazioni preposte alla gestione delle IG e per l'adozione di disciplinari ben definiti e credibili, supportati da azioni di controllo effettivamente indipendenti, efficienti ed efficaci.

1.1.3

Il CESE raccomanda, pertanto, che la necessaria condivisione dei contenuti dei disciplinari, sia assicurata in sede di domanda di registrazione da criteri definiti di rappresentatività dell'associazione richiedente, tale da poter garantire che anche aspetti complessi e controversi trovino un'adeguata concertazione.

1.1.4

In tema di efficacia, inoltre, il CESE sottolinea che le IG debbano essere annoverate, sempre più, tra gli strumenti fondamentali di sviluppo rurale nei paesi membri, collegando in ogni modo possibile l'adozione delle IG e le azioni previste nel secondo pilastro, con particolare riferimento ai paesi di nuovo ingresso ed alle aree svantaggiate in genere.

1.1.5

In tema di efficacia, infine, il CESE ritiene che il sistema IG — inteso come opportunità di sviluppo rurale — si debba porre in sintonia con le crescenti aspettative, anche di natura etica, sociale ed ambientale, del consumatore. Questo approccio, se tradotto in una strategia di partenariato con altre aree del mondo, anche attraverso una ben regolata e controllata apertura all'importazione di prodotti IG dai paesi in via di sviluppo, potrebbe allargare i consensi sulle denominazioni di origine e favorire il tavolo negoziale multilaterale.

1.1.6

In tema di valorizzazione dei prodotti IG, il CESE ritiene che si debba intensificare il sostegno alle azioni di promozione dei marchi comunitari tese ad una maggior informazione agli operatori ed una migliore comunicazione ai consumatori, soprattutto in quei paesi dove essi sono meno sviluppati, al fine di ottenere un incremento delle IG, una loro diffusione più omogenea nell'UE ed un aumento della domanda del mercato.

1.1.7

In tema di ricerca e diffusione delle conoscenze, relative all'impatto del sistema nei territori dell'Unione e sui mercati, il CESE raccomanda un'adeguata ed uniforme diffusione dei risultati delle positive ricerche effettuate dai diversi servizi della Commissione, in tutti i paesi membri e verso tutti i soggetti interessati.

1.1.8

Il CESE raccomanda di collocare le azioni negoziali del commercio internazionale, relative alle indicazioni e denominazioni geografiche, nell'ambito di una più ampia politica di cooperazione internazionale. In questo ambito considera necessario rilanciare con più forza e convinzione il pacchetto negoziale a livello multilaterale (estensione dell'articolo 23 dell'Accordo sugli aspetti della proprietà intellettuale legati al commercio, TRIPS/ADPIC, a tutti i prodotti IG; registro internazionale; assistenza tecnica ai paesi in via di sviluppo), mentre proseguono contestualmente ed efficacemente anche i complementari negoziati bilaterali.

1.2

Con particolare riferimento ai seguenti sei Temi indicati dalla Commissione come oggetto del futuro riesame politico (cfr. 2720a sessione del Consiglio dell'UE — 20 marzo 2006):

1.2.1

Primo tema: «Identificazione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine protette come ingredienti». Il CESE ritiene necessario che siano stabiliti con l'accordo di tutte le parti in causa coinvolte nelle associazioni richiedenti (Consorzi di tutela, ecc.) i criteri ed i parametri sul contenuto di ingredienti IG, per poter utilizzare la denominazione di indicazione e denominazione geografica sul prodotto finito.

1.2.2

Secondo tema: «Utilizzazione di strumenti alternativi quali i marchi per proteggere indicazioni geografiche e denominazioni d'origine». Il CESE ritiene che l'utilizzo di marchi registrati per tutelare le IG al di fuori dell'UE è certamente una via percorribile, che tuttavia non può rappresentare la soluzione del problema della tutela internazionale delle denominazioni, in quanto complessa (considerando la quantità di paesi potenzialmente interessati), costosa (quindi praticabile solo dalle grandi organizzazioni commerciali con adeguate disponibilità finanziarie) e non pienamente tutelante.

1.2.3

Terzo tema: «Campo di applicazione dei prodotti contemplati dal regolamento, con particolare attenzione al sale, alle miscele di erbe, ai prodotti di vimini e ai condimenti». Il CESE considera positivamente l'evoluzione dell'ordinamento comunitario verso l'accoglimento di richieste di certificazioni di origine anche per prodotti non propriamente agricoli (sale, miscele di erbe, prodotti di vimini, condimenti, ecc.), in un'ottica di valorizzazione della cultura rurale di un territorio. Nello stesso tempo, ne raccomanda l'estensione a tutti i prodotti agricoli non ancora considerati.

1.2.4

Quarto tema: «Identificazione dell'origine delle materie prime». Il CESE, in un contesto generale di accordi volontari interprofessionali tra tutte le parti in causa previsto dalla attuale procedura di richiesta della denominazione, raccomanda che, nel caso delle DOP, siano valutati più attentamente gli aspetti connessi all'uso delle materie prime, anche considerando l'obbligatorietà che queste provengano tutte dal territorio denominato.

1.2.5

Quinto tema: «Criteri utilizzati per valutare lo status generico di una denominazione». Il CESE, anche alla luce dei contenziosi occorsi finora, raccomanda di definire strumenti maggiormente dettagliati, tali da consentire una più facile individuazione della storicità e/o della reputazione di una denominazione, quali, ad esempio, un'autorità (un giurì) che possa fare da polmone, e/o da monitoraggio delle potenziali denominazioni di origine già esistenti nei diversi Stati dell'Unione europea o di altre istanze di conciliazione extragiudiziale.

1.2.6

Sesto tema: «Progettazione dei simboli comunitari che identificano le indicazioni geografiche e le denominazioni d'origine protette» Il CESE ritiene che l'unificazione di DOP e IGP in un unico marchio possa rappresentare un pericolo di sperequazione tra due realtà di pari dignità, effettivamente esistenti e radicate nei territori. Tuttavia, data la necessità di una comunicazione più efficace nei confronti dei consumatori, andrebbe realizzata una distinzione grafica tra DOP e IGP più accentuata di quella attuale (ad esempio, colori differenti), mentre per gli altri marchi europei (STG e Agricoltura Biologica), la differenza dovrebbe essere ulteriormente evidenziata (anche con simboli diversi).

1.3

Il CESE auspica, dunque, che nella ripresa del confronto sulla evoluzione della PAC, verso il 2013, la strategia globale dell'UE sia indirizzata secondo una visione completa e organica di tutte le sfide che attendono l'agricoltura e l'alimentazione europee: una politica di mercato che dovrà restare comune e che dovrà essere finalizzata anche a contrastare i crescenti rischi di reddito a causa della volatilità dei mercati agricoli, sempre più aperti e globalizzati; una politica di sviluppo rurale più forte e incisiva; una politica della qualità percepita come un pilastro fondamentale per il futuro di tutta l'agricoltura europea; una politica delle risorse naturali ed energetiche equilibrata e non episodica.

1.4

Il CESE, infine, invita gli Stati membri a sviluppare la loro iniziativa tesa alla massima valorizzazione del sistema europeo delle IGP e DOP al fine di meglio promuovere sia i prodotti agricoli del loro territorio sia il modello agricolo europeo.

2.   Introduzione — Il sistema europeo delle indicazioni e denominazioni geografiche: nascita ed evoluzione

2.1

Nella società civile europea, da tempo, si registra una crescita progressiva e continua della sensibilità dei consumatori nei confronti delle caratteristiche dei prodotti agroalimentari, il che si traduce in una richiesta di prodotti di qualità. A tale richiesta, l'UE risponde con una propria politica normativa e di valorizzazione per i prodotti agroalimentari di qualità, nell'ambito della quale vengono compresi sia gli aspetti della sicurezza alimentare («pacchetto igiene», rintracciabilità, ecc.), che quelli della distintività di talune produzioni (marchi di qualità: agricoltura biologica, IG). Ed in tal senso viene pertanto inteso il termine qualità nel presente parere.

2.2

In questo contesto, la politica europea ha sviluppato una regolamentazione specifica tesa al riconoscimento delle specialità locali, legate ad un luogo di origine. Ad esempio, prodotti locali la cui qualità o reputazione è legata a un'area o regione specifica di produzione, o alle materie prime o ai metodi di produzione presenti all'interno di un'area geografica delimitata.

2.3

In paesi europei dell'area mediterranea, la protezione delle denominazioni legate al luogo di origine come modalità di identificazione di un prodotto alimentare risale agli inizi del XX secolo ed è stata inizialmente introdotta nel settore del vino e poi estesa ad altri prodotti agroalimentari.

2.4

Nel 1992 la Commissione europea ha per la prima volta fornito un quadro legislativo comune relativo alle denominazioni dei prodotti agro-alimentari, applicabile a tutti i paesi membri dell'UE. Questa nuova legislazione ha mutuato definizioni, requisiti e procedure da pre-esistenti legislazioni nazionali, come è evidente dalla stretta corrispondenza tra il termine europeo denominazione di origine protetta e il francese appellation d'origine contrôlée, lo spagnolo denominación de origen, o ancora l'italiano denominazione di origine controllata.

2.5

Si tratta del regolamento (CEE) n. 2081/92 relativo alla protezione delle indicazioni geografiche e delle denominazioni d'origine dei prodotti agricoli ed alimentari, e il regolamento (CEE) n. 2082/92 relativo alle attestazioni di specificità dei prodotti agricoli ed alimentari. Entrambi i regolamenti sono stati recentemente riformulati, rispettivamente con i regolamenti (CE) nn. 510/2006 e (CE) 509/2006 del marzo 2006.

2.6

Il regolamento (CE) n. 510/2006 riguarda la protezione delle denominazioni di prodotti il cui carattere specifico è determinato dalla loro origine geografica, e cioè le denominazioni di origine protetta (DOP) e le indicazioni geografiche protette (IGP).

2.6.1

I prodotti con etichetta DOP possiedono delle caratteristiche che risultano esclusivamente dall'ambiente naturale e dalle competenze dei produttori della regione dalla quale derivano. Di conseguenza, nel caso delle DOP, è necessario che tutte le fasi del processo produttivo — produzione della materia prima, trasformazione e preparazione — si svolgano nella zona interessata e che ci sia un legame molto stretto tra le caratteristiche del prodotto e la sua origine geografica. L'huile d'olive de Nyons, il parmigiano reggiano e lo Shetland lamb sono degli esempi di DOP.

2.6.2

Per quanto riguarda i prodotti con il logo IGP, anch'essi possiedono una caratteristica particolare che li associa a una regione determinata, ma è sufficiente che solo una fase del processo produttivo si svolga in tale zona, mentre per esempio le materie prime usate possono provenire da un'altra regione. Esempi di IGP sono il Clare Island salmon, l'arancia rossa di Sicilia, la Dortmund Bier.

2.7

Il regolamento (CE) n. 509/2006 riguarda le specialità tradizionali garantite (STG), il cui logo è utilizzato per i prodotti che presentano delle caratteristiche particolari dovute a degli ingredienti o dei metodi di produzione tradizionali, e non all'origine geografica. Esempi di STG sono il jamón serrano, la birra kriek, o il pane kalakukko.

2.8

I regolamenti (CE) n. 509/2006 e (CE) n. 510/2006 sono stati adottati dal Consiglio il 20 marzo 2006. All'interno della stessa sessione, la Commissione ha effettuato una dichiarazione sul futuro riesame politico del funzionamento del regolamento (CE) n. 510/2006 e della sua futura evoluzione (3).

2.9

La nuova legislazione sulle denominazioni di qualità ha considerevolmente semplificato il sistema. Prima, ad esempio, i richiedenti presentavano la domanda di registrazione alle autorità competenti del proprio paese, e queste, dopo averla esaminata, trasmettevano il dossier completo alla Commissione europea, che procedeva di nuovo a un esame completo. Adesso sta invece agli Stati membri procedere all'esame delle domande, nel quadro dei regolamenti e delle linee direttrici stabiliti a livello comunitario. Il ruolo della Commissione si limita ad un'analisi dei principali elementi, raggruppati in un documento unico che è in seguito pubblicato sulla GU. Un'altra novità è che produttori di paesi terzi possono inviare domande di registrazione direttamente alla Commissione. Prima, invece, le domande dovevano necessariamente passare per le autorità nazionali, che non sempre erano disposte o preparate a esaminarle.

2.10

Il 5 febbraio 2007 la Commissione ha organizzato una conferenza sulla certificazione della qualità alimentare, estendendo notevolmente lo spettro delle tematiche affrontabili (sistemi di certificazioni, sistemi di marchio) e includendo la questione fondamentale della sanità degli alimenti, ossia della qualità intesa come sistema di sicurezza alimentare dell'Unione europea. Non a caso, la prima conclusione della conferenza recita: «Ogni alimento (europeo), che sia prodotto all'interno dell'UE o sia importato, risponde a degli alti standard produttivi di sicurezza e igiene» (4).

2.10.1

Bisogna rilevare, ciò nonostante, che il comitato permanente della catena alimentare e della sanità animale, composto dalla Commissione europea e dagli Stati membri, ha concluso il 20 dicembre 2004 che la rintracciabilità non è un requisito «pertinente» per gli alimenti importati. Il CESE non condivide questa affermazione.

2.11

Alla luce dei risultati e delle conclusioni raggiunte al termine della conferenza del febbraio 2007, la Commissione ha deciso di preparare un Libro verde sulla politica di qualità della produzione agricola europea, annunciato per il mese di ottobre 2008, nel quale si prevede che il tema delle IG avrà un peso importante. Al Libro verde potranno seguire delle proposte legislative.

2.12

Allo stesso tempo, la Commissione (precisamente la DG Agricoltura e sviluppo rurale) sta portando avanti una valutazione interna del sistema attuale di protezione delle indicazioni geografiche, i cui risultati sono attesi per il mese di luglio 2008.

2.13

Il CESE si inserisce in questo contesto generale con il presente parere di iniziativa, che tuttavia non ha l'ambizione di analizzare le molteplici sfaccettature e problematiche della politica di qualità riassunte nei punti precedenti, bensì di concentrarsi sugli aspetti dell'efficienza e efficacia del sistema europeo delle indicazioni e denominazioni geografiche, e sulla questione dei negoziati multilaterali e bilaterali del commercio correlati.

2.14

I lavori compiuti fino ad oggi, e la posizione del CESE sul tema in oggetto, si riflettono nel parere di iniziativa sul tema La valorizzazione dei prodotti tipici di qualità in quanto strumento di sviluppo nel contesto di una nuova PAC (relatrice: SANTIAGO) (5). Inoltre, nel parere sul tema Il futuro della PAC (relatore: RIBBE) (6), il CESE insiste sulla necessità di orientare l'agricoltura europea verso una produzione sicura e di elevata qualità.

3.   Osservazioni generali

3.1   L'applicazione e i risultati del sistema: efficienza ed efficacia

3.1.1

Il sistema messo in atto con il regolamento (CEE) n. 2081/92 si è mostrato complessivamente efficiente. Tuttavia, dal punto di vista funzionale, il CESE intende porre all'attenzione della Commissione alcune criticità evidenziatesi nel tempo, con particolare riferimento a tre aree:

l'iter di approvazione dei disciplinari, spesso eccessivamente lento, incompatibile con le esigenze dei richiedenti (difficoltà di pianificazione delle vendite, strategie di comunicazione, ecc.), quindi dannoso soprattutto per quelle denominazioni di origine potenzialmente più penetranti e visibili sul mercato,

i controlli, talvolta affidati a enti non sempre esenti da potenziali conflitti di interesse, o comunque non dimostranti quella terzietà necessaria per il corretto espletamento delle funzioni di controllo indipendente,

i criteri di valutazione delle denominazioni, basati sulla storicità, sulla reputazione, sulla diffusione, e la questione dell'eventuale status generico, mostrano frequentemente problemi di successive contestazioni o ricorsi, a livello sia interno che esterno all'UE.

3.1.2

Il sistema dimostra una sua efficacia complessiva. I prodotti interessati appartengono praticamente a tutte le categorie merceologiche, vegetali ed animali, fresche e trasformate, oltre a bevande, prodotti della pesca, spezie, ecc., come risulta dalla tabella seguente, con dati aggiornati al dicembre 2007, da dove si evince che il numero totale delle DOP e IGP ha raggiunto le 772 unità. Analizzando in particolare il numero dei prodotti registrati, ad esempio, nel periodo 2000 — 2006, le DOP sono aumentate del 22 % e le IGP del 40 %, per un aumento medio totale del 29 % nell'arco di soli 5 anni.

TABELLA I — Indicazione e denominazioni registrate dalla DG AGRI fino al 15.12.2007 (http://ec.europa.eu/agriculture/qual/it/1bbaa_it.htm)

 

DE

AT

BE

CY

DK

ES

FI

FR

EL

HU

IE

IT

LU

NL

PL

PT

CZ

UK

SK

SI

SE

CO

Tot.

Ortofrutticoli e cereali

3

3

0

0

1

34

1

27

32

0

0

53

0

2

0

22

0

1

0

0

0

0

179

Formaggi

4

6

1

0

2

19

0

45

20

0

1

33

0

4

1

12

0

12

0

0

1

0

161

Carne fresca (e frattaglie)

3

0

0

0

0

13

0

50

0

0

1

2

1

0

0

27

0

7

0

0

0

0

104

Oli e grassi/Olio di oliva

1

1

1

0

0

20

0

9

26

0

0

38

1

0

0

6

0

0

0

1

0

0

104

Prodotti a base di carne

8

2

2

0

0

10

0

4

0

1

1

29

1

0

0

28

0

0

0

0

0

0

86

Acque minerali

31

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

31

Prodotti della panetteria, pasticceria, confetteria e biscotteria

4

0

1

1

0

7

0

3

1

0

0

3

0

0

0

0

4

0

1

0

1

0

26

Altri prodotti di origine animale (uova, miele, lattiero-caseari di vario tipo, escluso il burro, ecc.)

0

0

0

0

0

3

0

6

1

0

0

2

1

0

0

10

0

1

0

0

0

0

24

Altri prodotti dell'Allegato I (spezie, …)

0

0

0

0

0

4

0

7

1

0

0

4

0

0

0

0

1

3

0

0

0

1 (7)

21

Birre

12

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

3

2

0

0

0

0

17

Pesci, molluschi e crostacei

3

0

0

0

0

1

0

2

1

0

1

0

0

0

0

0

2

3

0

0

0

0

13

Oli essenziali

0

0

0

0

0

0

0

1

1

0

0

1

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

3

Gomme e resine naturali

0

0

0

0

0

0

0

0

2

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

2

Fieno

0

0

0

0

0

0

0

1

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

0

1

TOTALE

69

12

5

1

3

111

1

155

85

1

4

165

4

6

1

105

10

29

1

1

2

1

772

3.1.3

Il sistema delle IG è stato oggetto di specifici studi e ricerche (cfr. progetti Dolphins 1999-2003 e SINER-GI 2004-2008 finanziati dalla DG Ricerca) (8), che lo hanno analizzato sotto diversi punti di vista. Tali progetti, susseguenti nel tempo, hanno evidenziato aspetti importanti riguardo all'efficacia delle IG comunitarie.

3.1.3.1

A tal riguardo il CESE sottolinea innanzitutto una problematica, attinente all'organizzazione e al «governo» delle IG (ricerche e studi specifici, a tale proposito, sono stati coordinati dal prof. Bertil SYLVANDER dell'INRA di Parigi e dal prof. Filippo ARFINI dell'Università degli studi di Parma, in partenariato con la Commissione europea), secondo la quale si individuano tre tipologie di gestione:

gestione «territoriale», che privilegia il coinvolgimento di tutti gli attori del territorio (istituzioni, imprese, associazioni, ecc.),

gestione «settoriale», che privilegia i soli attori della filiera (il territorio è solo un «contenitore»),

gestione «corporativa», che privilegia solo alcuni attori della filiera, che possono aderire anche solo per puro fine opportunistico.

Ma, ai fini dell'efficacia, si distingue tra gestione «forte» e «debole», dove per «forte» si intende una gestione in grado di garantire la reputazione del prodotto nei confronti dei diversi utilizzatori e, in particolare, dei consumatori.

3.1.3.2

Il CESE rileva inoltre che il successo commerciale delle IG risulta ancora marginale e riesce ad essere significativo solo laddove, a monte, vi sono realtà ben strutturate, con prodotti di elevato contenuto, e gestite da organizzazioni capaci di creare reti di imprese ed efficaci strategie commerciali. La trasmissione dei contenuti e dei valori qualitativi, ed eventualmente territoriali, di un prodotto IG risulta, infatti, elemento determinante per il successo di una denominazione d'origine. Naturalmente, la «storicità» di una IG aiuta in tal senso, ma non sostituisce la necessità di azioni più incisive di sostegno alle organizzazioni e di comunicazione IG.

3.1.3.3

Il CESE, tuttavia, sottolinea che il peso e la valenza economica e sociale del sistema delle IG non possono essere misurati unicamente con indicatore numerico-statistici di partecipazione alla produzione lorda vendibile, in quanto gli effetti e gli impatti rilevabili sia in rapporto ai territori sia in rapporto alla bilancia commerciale di un paese e dell'UE, vanno ad interessare un ampio spettro di componenti della realtà socioeconomica, che va ben oltre lo specifico comparto agricolo.

3.1.4

Un aspetto di grande interesse inerente alle IG è, a giudizio del CESE, la relazione tra queste e lo sviluppo rurale. Da iniziali strumenti di tutela del prodotto, infatti, i marchi di origine sono diventati, spesso, vere e proprie opportunità di valorizzazione della tipicità culturale di un'intera area geografica. Ciò fa comprendere facilmente le opportunità che l'estensione delle IG, anche a prodotti di origine non agricola, potrà creare e di quanto ciò si trovi in piena sintonia con gli orientamenti comunitari da tempo indicati in merito allo sviluppo rurale (Libro verde del 1985; comunicazione sul tema Il futuro del mondo rurale del 1988; dichiarazione di Cork del 1995).

3.1.4.1

Il prodotto tipico, in questo ruolo di promotore culturale, può e deve tradursi in volano del rilancio economico delle aree rurali, soprattutto quelle più svantaggiate. Ma non è solo in un'ottica comunitaria che occorre considerare questo aspetto. Il CESE sottolinea che nel contesto dell'attuale sistema europeo e del possibile utilizzo dei marchi UE da parte dei paesi extra UE, l'associazione concettuale tra IG e sviluppo rurale e la sua conseguente messa in pratica risultano essere particolarmente attrattive per i paesi ancora in via di sviluppo. Vi sono infatti pareri rilevanti ed autorevoli, a livello internazionale (FAO, Banca mondiale) che vedono un logico parallelismo tra il concetto di IG e quello che nei paesi in via di sviluppo viene chiamato «conoscenza locale» o, più semplicemente, tradizione. In questa direzione vanno le «Guide all'uso delle IG» (secondo le procedure e l'impianto normativo UE) che FAO e Banca mondiale stanno realizzando e diffondendo nei paesi in via di sviluppo.

3.1.5

Secondo il Comitato, un ulteriore aspetto da non trascurare è la ricaduta positiva delle IG sugli aspetti ambientali nei territori ove esse si originano. Infatti, le produzioni tipiche comportano pratiche di produzione e/o trasformazione in larga parte basate su procedure che, rifacendosi alle tradizioni, prevedono uno scarso o nessun utilizzo di mezzi tecnici potenzialmente pericolosi per l'ambiente, e/o sistemi agricoli non intensivi e pertanto favorevoli alla biodiversità e alla tutela del paesaggio e dell'ambiente.

3.1.6

In termini di efficacia occorre anche tenere presente i possibili cambi di scenari futuri. Vi sono infatti, a giudizio del CESE, segnali che fanno presupporre una possibile evoluzione di situazioni finora ritenute non modificabili. Molte industrie e catene distributive alimentari multinazionali, ad esempio, intraprendono iniziative che vedono l'inserimento nella propria offerta di prodotti IG, superando in parte politiche internazionali di marchio e strategie di mercato globale che avevano finora contestato la necessità, oltre che la liceità, delle denominazioni di origine. Questo fenomeno segna un precedente di grande interesse, i cui sviluppi potrebbero essere molto importanti ai fini dello sviluppo delle IG.

3.1.7

In questo contesto, alcuni studi rilevano che l'opposizione degli Stati Uniti al modello IG europeo (indotta da una realtà agroalimentare molto differente e da strategie commerciali spesso opposte) ora vede aprirsi una breccia, sulla spinta di una evoluzione nella tipologia produttiva interna. Iniziano a esservi, anche sul territorio statunitense, i primi casi di aziende di produzione, che hanno legato il successo dei loro prodotti anche alla provenienza e che ora lamentano la mancanza di tutele adeguate. È noto, per esempio, il caso dei vini della Napa Valley in California, cui più recentemente si sono aggiunti altri casi di prodotti provenienti da diversi Stati degli USA e del Canada (Florida Orange, Bleuet du Lac Saint-Jean), che si scontrano con pratiche di plagio di denominazione e di distorsioni della concorrenza interna o limitrofa.

3.1.8

Il CESE rileva infine una tendenza generalizzata che vede i consumatori attribuire importanza all'origine dei prodotti, considerata come una caratteristica che influenza le loro scelte di acquisto (cfr. per esempio alcuni risultati del progetto europeo TYPIC-2005 e Dolphins-2002). Allo stesso modo, i consumatori sembrano essere disposti a pagare un prezzo più alto per la certificazione dei prodotti di origine, considerati, in linea generale, di qualità e sicurezza superiore. In questo contesto possono essere considerati anche i temi emergenti dell'identificazione dell'origine delle materie prime e dell'utilizzo di prodotti IG come ingredienti nelle preparazioni alimentari.

3.1.8.1

Il CESE constata, tuttavia, che il riconoscimento degli schemi di certificazione europei, dei loro loghi, e delle etichette è ancora basso e molto disomogeneo. Una ricerca del Centro internazionale degli alti studi agronomici mediterranei — Ciheam (Identità e qualità dei prodotti alimentari mediterranei — Parigi, 2007), rileva che l'80 % dei cittadini europei, non ha mai sentito parlare di DOP e l'86 % delle IGP. Tuttavia, quando la stessa domanda viene posta con riferimento alle denominazioni nazionali corrispondenti (ad esempio, denominación de origen in Spagna o appellation d'origine contrôlée in Francia) il grado di conoscenza aumenta in modo significativo. Tale situazione pone un evidente problema di comunicazione e di promozione al consumatore a livello comunitario.

3.2   Il sistema europeo e i negoziati multilaterali e bilaterali del commercio

3.2.1   Un interesse strategico

3.2.1.1

Nel settembre del 2003, lo svolgimento e, in seguito, la negativa conclusione della conferenza ministeriale di Cancun ha dimostrato che ormai i negoziati commerciali non sono più soltanto la sede per trattare di prezzi e di tariffe ai fini di un più agevole accesso nei diversi e reciproci mercati, ma sono anche e contemporaneamente il luogo dove si confrontano modelli produttivi (cioè storie, tradizioni e tipologie di produzione e di alimentazione). La conoscenza e l'apprezzamento reciproci delle rispettive tradizioni produttive ed alimentari costituiscono una premessa indispensabile anche per il successo dei negoziati commerciali.

3.2.1.2

La Comunità europea, pertanto, quando siede ai tavoli del negoziato del commercio, confronta il suo specifico modello sociale ed economico con altri legittimi modelli. Il CESE, pertanto, considera che la forza e la spendibilità delle iniziative negoziali della Comunità europea possano risultare efficaci se sono parte integrante di una politica delle relazioni esterne che comprende anche il negoziato sulla protezione della proprietà intellettuale e sul commercio. Se inserite in questo ambito, anche le politiche di qualità possono configurarsi come un sistema di regole compatibile con una più ampia e generale impostazione di politica di cooperazione internazionale, oggi sempre più vitale per la stabilità del mondo.

3.2.2   Il processo normativo

3.2.2.1

Uno dei principi basilari dell'ordinamento comunitario riguarda, come è noto, la libertà di circolazione dei prodotti nel mercato unico europeo (articolo 23 del Trattato CE). Tale principio ha trovato una difficile applicazione in presenza di normative molto diversificate degli Stati membri. Questa differenziazione, peraltro, si colloca storicamente in un quadro di accordi e norme su scala internazionale, complesso, contraddittorio, non armonico, ancor più preoccupante nel contesto di mercati globalizzati. La necessità pertanto, di garantire una concorrenza leale tra gli attori economici in un mercato sempre più aperto, diventa più strategica; a tal fine, un contributo positivo può scaturire anche da una coerente regolamentazione delle IG.

3.2.2.2

Sul piano interno, importanti passi verso una armonizzazione sono stati via via compiuti, col metodo giurisprudenziale, attraverso le sentenze della Corte di giustizia dell'UE, impostate originariamente sul principio del mutuo riconoscimento.

3.2.2.3

Sul piano internazionale, il percorso per un approccio comune in materia di indicazioni geografiche si colloca all'interno di negoziati e accordi per la protezione della proprietà industriale prima, e intellettuale in seguito. Dalla convenzione di Parigi (1883, 169 Stati membri), all'accordo di Madrid (1891, 34 Stati membri), all'accordo di Lisbona (1958, 23 Stati membri) il principio che il prodotto ha un collegamento con una sorgente territoriale viene riconosciuto, ma in un quadro che rimane largamente insoddisfacente per quanto attiene alla certezza delle norme, ai controlli e alla possibilità di fraudolenti imitazioni.

3.2.3   TRIPS/ADPIC: punto di arrivo e punto di stallo di questo processo

3.2.3.1

L'accordo TRIPS/ADPIC, nato nel 1994, contiene una sezione specifica sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale attinenti al commercio, dedicata alle indicazioni geografiche:

a)

definizione delle IG (articolo 22)

b)

standard di protezione generale per le IG di tutti i prodotti (articolo 22, paragrafi 2 e 4)

c)

protezione aggiuntiva per le IG dei vini e degli alcolici (articolo 23)

d)

negoziati futuri ed eccezioni (articolo 24).

3.2.3.2

Gli accordi internazionali adottano una terminologia relativa al rapporto tra un «luogo» e un «prodotto» secondo una graduazione crescente del «tasso di legame»: l'indicazione di provenienza (Madrid 1891), l'indicazione geografica (TRIPS/ADPIC 1994), la denominazione di origine (Lisbona 1958). In estrema sintesi si potrebbe dire che tutte le denominazioni di origine sono indicazioni geografiche; mentre non tutte le indicazioni geografiche sono denominazioni di origine. Una ricostruzione della tassonomia dei diversi tipi di prodotti legati al territorio, secondo i diversi accordi internazionali, è stata effettuata in Analisi della politica di riconoscimento internazionale delle indicazioni geografiche, tesi di dottorato di Sabrina CERNICCHIARO (Università degli studi di Parma).

3.2.3.3

L'accordo TRIPS ha costituito nella storia degli accordi per la protezione della proprietà intellettuale dei prodotti nel commercio internazionale una tappa importante, ma, nello stesso tempo, ha lasciato irrisolti molti e decisivi aspetti. Ha introdotto una definizione comune di IG valida, ora, per 151 Stati aderenti e ha definito un sistema unitario di risoluzione delle controversie. Nello stesso tempo, occorre sottolineare almeno tre gravi carenze:

a)

l'introduzione di un principio di protezione negativa (gli Stati hanno i mezzi per impedire un uso non corretto di IG);

b)

una debole e indeterminata introduzione del «sistema multilaterale di notifica e registrazione» (al punto che ancora oggi permangono due differenti ed opposte concezioni delle norme: una componente le ritiene cogenti e vincolanti; mentre un'altra considera quel sistema a carattere volontario);

c)

la definizione, in pratica, di una disparità di trattamento (nell'ambito di una stessa fonte giuridica!) tra una protezione generale dei prodotti agricoli e una protezione aggiuntiva.

3.2.3.4

Vi sono anche altri accordi regionali che attengono alla protezione delle IG, come ad esempio l'accordo dell'Organizzazione africana della proprietà intellettuale (OAPI) del marzo 1977; il protocollo di Banjul sui marchi dell'Organizzazione regionale africana per la proprietà intellettuale (ARIPO) del marzo 1997.

3.2.4   Le difficoltà dei produttori europei e i punti nodali per una corretta competizione internazionale

3.2.4.1

Il CESE sottolinea che l'inadeguatezza delle norme a livello internazionale è causa di rilevanti difficoltà per i produttori europei di IG. Il crescente uso improprio di marchi di IG e un quadro giuridico per la protezione delle IG molto differenziato da paese a paese, costituiscono una grave distorsione della concorrenza e dei commerci tra i paesi membri dell'Organizzazione mondiale del commercio (OMC).

3.2.4.2

Spesso, la prima difficoltà consiste nella corretta interpretazione delle norme interne al mercato interessato. Alcuni produttori europei di IG sono riusciti ad ottenere la protezione del proprio nome al di fuori della UE, ma anche in questi casi, permangono esempi di abusi, contraffazioni e difficoltà burocratiche importanti nella gestione del commercio. L'abuso risulta direttamente proporzionale alla notorietà del prodotto IG. L'impatto economico negativo è elevato e non risulta possibile alcuna strategia di marketing da parte dell'impresa europea finalizzata ad una fidelizzazione dei consumatori verso il prodotto. Questa situazione costituisce, sul piano generale, una frode ai consumatori dei paesi extra UE e genera un danno complessivo all'immagine del modello agricolo e alimentare europeo.

3.2.4.3

Nei paesi con un sistema sui generis di registrazione delle IG i produttori europei incontrano minori difficoltà; tuttavia restano rilevanti problematiche quando la protezione riguarda nomi in congiunzione con termini, quali: «tipo», «stile», ecc. In generale i produttori europei incontrano spese onerose e importanti difficoltà di ordine legale per dimostrare che la propria IG non è un nome generico.

3.2.4.4

In assenza di un quadro giuridico internazionale chiaro e riconosciuto, i produttori europei perseguono altresì la prassi dell'accesso ai mercati con la protezione dei marchi (marchi privati aziendali, marchi collettivi e marchi di certificazione). Anche questa strategia incontra rilevanti difficoltà. Infatti, spesso nei mercati internazionali si trovano marchi depositati che contengono già il nome della IG che i produttori europei vorrebbero registrare (in questo caso occorre intraprendere la difficile strada della contestazione legale dell'uso del marchio). Inoltre, pur avendo ottenuto la registrazione del proprio marchio, i produttori possono perderne la protezione se, per motivi sanitari, il relativo mercato viene chiuso e il marchio non può essere utilizzato in maniera continuativa.

3.2.5   Negoziati e accordi bilaterali

3.2.5.1

Di fronte alla crisi o allo stallo — che occorre assolutamente superare — del metodo multilaterale, gli accordi bilaterali stanno via via occupando la scena dei negoziati commerciali internazionali. A livello mondiale sono circa 300 gli accordi bilaterali; e potrebbero arrivare a 400 entro il 2010. Il fenomeno suscita preoccupazione, in quanto questa tipologia di accordi dovrebbe avere per sua natura la funzione di una complementarietà con il multilateralismo espresso a livello dell'OMC, secondo una ripartizione strategica del tipo: al sistema multilaterale il compito di risolvere questioni molto complicate come i sussidi, l'antidumping e le regole della protezione della proprietà intellettuale; al sistema bilaterale, invece, le questioni più semplici e l'adozione di criteri preferenziali nel commercio tra Stati.

3.2.5.2

Il CESE considera, tuttavia che l'UE non possa «restare alla finestra» mentre i grandi protagonisti mondiali negoziano e scrivono pagine importanti delle regole e degli scambi, bilateralmente. Per quanto attiene, in particolare, ai prodotti alimentari, in generale si constata che la flessibilità della relazione bilaterale costituisce una buona base di partenza per intavolare un negoziato e giungere ad una soluzione accettabile e verificabile. L'esperienza, inoltre, sta dimostrando che tali risultati sono conseguiti anche perché gli accordi bilaterali includono un'assistenza tecnica ai sistemi amministrativi ancora inadeguati di alcuni paesi che sottoscrivono gli accordi stessi per l'elaborazione degli atti legislativi necessari. Tale esigenza, peraltro, è presente anche nel negoziato multilaterale.

3.2.5.3

L'UE ha iniziato da tempo a intessere negoziati e sottoscrivere accordi bilaterali sui prodotti agroalimentari IG, che ad oggi possono considerarsi aperti con quasi tutti i partner commerciali extra-europei e per ogni categoria di prodotto alimentare, con l'inserimento della tematica della protezione delle IG oramai divenuto sistematico.

3.2.6   Le IG nel Doha Round: una protezione adeguata è un obiettivo che interessa tutti

3.2.6.1

La dichiarazione di Doha (novembre 2001) presenta al punto 18 una duplice e diversificata posizione negoziale:

a)

per quanto riguarda l'istituzione di un sistema multilaterale di notifica e registrazione delle IG per vini e bevande alcoliche, essa prevede esplicitamente («Concordiamo di negoziare, entro la quinta conferenza ministeriale …») un inserimento nell'agenda dei negoziati TRIPS;

b)

per quanto riguarda invece l'estensione della protezione delle IG ai prodotti diversi dal vino, la dichiarazione si limita semplicemente a rinviare al Consiglio TRIPS/ADPIC la discussione in merito («Osserviamo che le questioni relative alla estensione … saranno trattate nel Consiglio TRIPS/ADPIC»).

3.2.6.2

Riguardo al primo punto, l'impegno negoziale assunto a Doha non ha avuto alcun seguito, nonostante l'azione negoziale della Commissione UE. Si confrontano ancora due opposte concezioni della dichiarazione stessa: quella (di UE, Svizzera, India, Turchia e altri paesi) che considera necessario raggiungere un accordo sull'introduzione obbligatoria del registro in tutti i paesi membri dell'OMC, l'altra (di USA, Australia, Nuova Zelanda, ecc.) che vuole limitare il negoziato e l'accordo sull'istituzione volontaria di tale strumento e solo nei paesi che hanno istituito al loro interno un sistema legale di protezione delle denominazioni di origine: una sorta di banca dati.

3.2.6.3

Riguardo al secondo punto — l'estensione della protezione ai prodotti diversi dal vino -, un vero e proprio negoziato non è ancora iniziato.

3.2.6.4

L'Unione europea, immediatamente prima della conferenza di Cancun del 2003, in assenza di una prospettiva realistica dell'evoluzione del negoziato TRIPS/ADPIC, ha provato, senza successo, ad inserire nell'agenda del negoziato agricolo la protezione multilaterale di 41 denominazioni di origine, tesa a ristabilire la legalità nell'accesso ai mercati di prodotti alimentari i cui nomi sono più di frequente oggetto di abusi sul piano internazionale. Il fallimento della conferenza ministeriale di Cancun ha fermato i negoziati a questo punto.

3.2.6.5

Gli ultimi tentativi ufficiali a livello dell'OMC per avanzare nell'ambito del registro multilaterale, e nell'estensione della protezione rafforzata per i vini e gli spiriti anche agli altri prodotti, datano al 2005 (9). Le discussioni tecniche proseguono anche attualmente sulla base di documenti non ufficiali presentati dalla UE, incentrandosi principalmente sulla proposta secondo la quale l'iscrizione nel registro multilaterale dovrebbe costituire una «presunzione» che la IG sia protetta in tutti gli altri paesi, con la possibilità di opporsi nell'arco dei 18 mesi. In forza di tale «presunzione», l'onere della prova contraria alla protezione è a carico del contestatore. In particolare, per quanto riguarda il registro ci sono due ostacoli: gli Stati Uniti ed altri paesi anglosassoni considerano i suoi effetti giuridici contrari al principio di territorialità; mentre, il problema per i paesi in via di sviluppo è la loro difficoltà sul piano amministrativo a rispettare la scadenza per opporsi all'iscrizione, limitata ad un tempo considerato troppo breve. La Commissione dell'Unione europea ha formalmente richiesto, nel dicembre 2007 la presentazione di un testo base di Registro internazionale.

3.2.6.6

Il CESE considera necessario rilanciare il pacchetto negoziale (estensione dell'articolo 23 TRIPS/ADPIC a tutti i prodotti IG; registro internazionale; assistenza tecnica ai paesi in via di sviluppo) confidando nelle nuove sensibilità rispetto ai prodotti di origine che stanno emergendo nei mercati interni di alcuni paesi terzi e nei paesi in via di sviluppo; come pure, un certo dinamismo riscontrato al tavolo negoziale, dove per iniziativa della Svizzera, è nato un raggruppamento spontaneo di Stati — denominato GI Friends — che spinge verso il superamento dell'impasse.

3.2.6.7

Il CESE sottolinea, infatti, che le indicazioni geografiche sono l'unica forma di proprietà intellettuale che le comunità locali, in ogni parte del mondo, sono in grado di possedere. Su questo versante, quindi, sarebbe incomprensibile una divisione Nord-Sud nella OMC.

Bruxelles, 12 marzo 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  International Organisation for Standardization.

(2)  Cfr. la sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee del 26 febbraio 2008 (caso «Parmesan»).

(3)  Cfr. documento del Consiglio dell'UE n. 7702/06 ADD 1 (Addendum al progetto di processo verbale; 2720a sessione del Consiglio dell'UE (Agricoltura e Pesca) tenutasi a Bruxelles il 20 marzo 2006.

(4)  Cfr.: http://ec.europa.eu/agriculture/events/qualityconference/conclusions_en.pdf.

(5)  GU C 284 del 14.9.1998, pag. 62.

(6)  GU C 125 del 27.5.2002, pag. 87.

(7)  Caffè di Colombia

(8)  Cfr.: www.origin-food.org.

(9)  Documento OMC rif. TN/IP/W/11 del 14 giugno 2005.


9.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 204/66


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Migliorare il meccanismo comunitario di protezione civile: una risposta alle catastrofi naturali

(2008/C 204/15)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 settembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, lettera A) delle Modalità d'applicazione del proprio Regolamento interno, di elaborare un supplemento di parere su:

Migliorare il meccanismo comunitario di protezione civile: una risposta alle catastrofi naturali

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 26 febbraio 2008, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SÁNCHEZ MIGUEL.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 marzo 2008, nel corso della 443a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 108 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

In quanto rappresentante della società civile, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene suo dovere contribuire al dibattito in corso nell'UE sul trattamento delle catastrofi naturali in termini di prevenzione, di intervento e della necessaria assunzione di responsabilità, quando derivino dall'azione o dalla mancanza di azione da parte dell'uomo.

1.2

In tal senso occorre considerare che la legislazione europea vigente contiene un numero sufficiente di disposizioni tali da evitare o mitigare le eventuali conseguenze di alcune catastrofi naturali, e sarebbe quindi opportuno tornare a insistere presso le autorità responsabili affinché ne controllassero l'applicazione su tutto il territorio dell'UE. In tale contesto il CESE ritiene che l'attuazione della direttiva quadro sulle acque e disposizioni collegate, in particolare la direttiva sulle inondazioni, potrebbe attenuare tali conseguenze: queste ultime, infatti, se pure non possono essere evitate, possono essere mitigate attraverso l'elaborazione dei piani di gestione delle inondazioni previsti nei piani dei bacini idrografici. Altrettanto dicasi per le norme relative alla prevenzione degli incendi boschivi.

1.3

Un aspetto da sottolineare è la relazione intercorrente tra la prevenzione delle catastrofi e la formazione e l'istruzione, come pure la necessaria realizzazione di un adeguato sistema d'informazione che informi operatori del settore e cittadini su come reagire in caso di catastrofe in un dato territorio. In tal senso il CESE considera altamente positivo il sistema di centri interterritoriali di formazione per la protezione civile messo a punto dalla Commissione europea.

1.4

Per quanto riguarda la protezione civile, il CESE tiene a congratularsi con la Commissione che in breve tempo ha messo a punto un sistema europeo di solidarietà a livello interterritoriale, anzi internazionale, dotandolo di risorse proprie che gli consentono di intervenire efficacemente non solo al verificarsi di una catastrofe, ma anche ai fini della ricostruzione delle aree colpite. In questo senso, il nuovo articolo 176 C del Trattato di Lisbona rafforza gli obiettivi fissati in materia dal Parlamento europeo e dal Consiglio.

1.5

Infine, il CESE considera necessario applicare il sistema di responsabilità ambientale, così come previsto dalla direttiva sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, in maniera tale che si possano accertare chiaramente le responsabilità di coloro che causano certi tipi di catastrofi, come gli incendi dolosi. Ritiene infatti che una migliore applicazione delle disposizioni nazionali e l'informazione sulle conseguenze derivanti dal mancato rispetto delle norme di prevenzione o da atti dolosi, da parte non solo dei cittadini ma anche delle autorità competenti, possano contribuire a ridurre gli effetti delle catastrofi naturali.

2.   Introduzione

2.1

Le catastrofi si verificano con sempre maggiore frequenza non solo entro i confini dell'UE, ma in tutto il mondo. Alcune dipendono da fenomeni naturali quali inondazioni, terremoti, incendi, ecc., mentre altre sono legate ad azioni terroristiche che seminano il panico tra la popolazione civile. In entrambi i casi l'uomo detiene un certo grado di responsabilità, più o meno diretta, anche se i gradi d'intenzionalità non sono certo paragonabili.

2.2

L'UE si è impegnata a prendere misure preventive per far fronte al cambiamento climatico, non solo attraverso l'attuazione del protocollo di Kyoto ma anche tramite tutta una serie di decisioni finalizzate alla salvaguardia del suolo, dell'acqua e dell'aria. Quest'azione di tipo preventivo potrebbe servire non solo a mantenere e rigenerare il nostro territorio, i nostri mari e la nostra atmosfera, ma anche a incoraggiare altri paesi ad agire. Inoltre, la Commissione sta lavorando alla definizione di un approccio integrato europeo alla prevenzione delle catastrofi naturali, la cui presentazione è prevista entro fine 2008.

2.3

Oltre a queste misure preventive, l'UE ha creato un sistema comunitario di aiuto nell'evenienza di catastrofi sul territorio europeo. Si tratta di un sistema di assistenza reciproca pensato non solo per gli Stati membri dell'UE, dove è stato attivato in numerose occasioni, ma anche per le catastrofi verificatesi nell'Oceano Indiano, in Sudamerica, ecc.

2.4

È importante precisare le complementarità esistenti tra gli interventi in caso di catastrofe e gli aiuti umanitari. Entrambi hanno in gran parte lo stesso obiettivo primario: attenuare l'impatto delle catastrofi e di altri eventi calamitosi sulla popolazione. Gli interventi in caso di catastrofe rientrano nella sfera di competenza della protezione civile, la quale contribuisce inoltre a ridurre l'impatto delle catastrofi sull'ambiente e sulle proprietà, all'interno come all'esterno dell'UE, con risorse materiali e umane fornite dagli Stati membri dell'UE. Gli aiuti umanitari, dal canto loro, riguardano specifici paesi terzi e coinvolgono ONG e altre organizzazioni umanitarie. Per entrambi gli strumenti esiste una cooperazione con le agenzie dell'ONU.

2.5

È da osservare che il fondo per le catastrofi creato in seguito alle gravi inondazioni verificatesi nel bacino dell'Elba è effettivamente servito a migliorare gli interventi nell'UE. Altrettanto importante si è rivelato il meccanismo comunitario di protezione civile creato nel 2001 (1) e successivamente modificato (2) per permettere una reazione rapida alle catastrofi che potrebbero colpire gli Stati membri o i paesi terzi.

3.   Misure preventive

3.1

La prevenzione — fattore essenziale nella protezione e nella conservazione dell'ambiente, oltre che nell'evitare danni alla popolazione civile — mira a un utilizzo sostenibile delle risorse naturali. Le previsioni sul deterioramento e sulla perdita di biodiversità su ampia scala si sono realizzate al di là degli scenari più pessimistici. Se a ciò si aggiungono gli interventi umani, spesso intenzionali, si ottiene la situazione attuale caratterizzata da catastrofi ricorrenti che, per quanto naturali, non sono normali in termini di frequenza e soprattutto di impatto.

3.2

Le misure preventive a cui si fa cenno in questo parere sono quelle previste dall'attuale legislazione, quelle cioè che avrebbero dovuto essere attuate e monitorate dalle autorità competenti di ciascuno Stato membro. In generale è possibile affermare che alcune catastrofi sono evitabili o che il loro impatto può essere ridotto al minimo, e si può quindi concludere che l'applicazione delle disposizioni vigenti dovrebbe portare a ottenere condizioni analoghe di tutela ambientale in tutta l'UE.

3.2.1

Tra le misure legislative preventive che più hanno influito sul contenimento delle catastrofi naturali figurano quelle relative all'inquinamento dei mari e degli oceani dovuto allo scarico di idrocarburi; dette misure non solo hanno inciso sulle condizioni di trasporto (petroliere a doppio scafo), ma hanno anche facilitato la limitazione degli effetti nocivi, grazie alle disposizioni in materia marittima previste dai pacchetti Erika I e Erika II.

3.3

Un tema legato alla prevenzione è la ricerca ambientale. Il CESE si è già pronunciato (3) a favore di un migliore e maggiore coordinamento tra i programmi di ricerca e i programmi ambientali, in modo tale che una parte dei fondi della ricerca possa essere destinata alla ricerca applicata nel settore ambientale.

3.4

La prevenzione è anche correlata alla formazione e all'informazione non solo dei membri delle squadre di protezione civile, ma dell'insieme dei cittadini, al fine di migliorare l'efficacia degli interventi in caso di catastrofe naturale. In tutti gli Stati membri bisognerebbe intensificare la promozione e la conoscenza delle politiche ambientali, le quali dovrebbero essere insegnate nelle scuole e non solo all'università.

3.5   Misure di prevenzione delle inondazioni

3.5.1

Il primo elemento di cui si occupa il presente parere è l'acqua. Le catastrofi naturali spesso hanno a che vedere con l'acqua, il che è vero non solo in caso di inondazioni e tsunami o altri fenomeni marini, ma anche in relazione alla sua carenza (4), che può essere all'origine di trasformazioni sostanziali come la desertificazione di vaste aree dell'Europa meridionale.

3.5.2

Vi è sempre stata una lacuna nella direttiva quadro sull'acqua (5): il fatto cioè che non fosse previsto alcun obiettivo in materia di prevenzione, protezione e preparazione in caso di inondazioni. Dato il numero elevato di catastrofi succedutesi in meno di dieci anni e le loro numerose vittime, la Commissione ha presentato una comunicazione e una proposta di direttiva (6) volte a disciplinare la valutazione e la gestione dei rischi di inondazione attraverso un'analisi della situazione e dei rischi futuri, da un lato, e un piano d'azione e prevenzione concertato su scala UE, dall'altro.

3.5.3

Le inondazioni sono in aumento sul territorio dell'UE per due motivi principali: in primo luogo, è ormai opinione corrente che il cambiamento climatico abbia un impatto sull'intensità e sulla frequenza delle inondazioni in tutta Europa (7), in parte a causa delle piogge torrenziali irregolari e del potenziale aumento dei livelli del mare; in secondo luogo, attività umane come i lavori di costruzione nei bacini fluviali, i progetti per deviare e canalizzare il flusso dei corsi d'acqua, e altre ancora, condotte senza che si sia proceduto ad alcuna valutazione del loro impatto ambientale o che si siano prese misure correttive, hanno l'effetto di impermeabilizzare il suolo, riducendone così la capacità naturale di immagazzinare l'acqua in eccesso durante un'inondazione. I rischi, inoltre, crescono anche in un altro senso: data, infatti, la crescente edificazione nelle zone ad alto rischio di inondazione, i danni provocati da tali catastrofi si fanno sempre più consistenti.

3.5.4

In linea con la posizione espressa altrove (8), il CESE considera necessario realizzare le misure previste dalla direttiva relativa alla valutazione e alla gestione delle alluvioni. Il fatto che la Commissione abbia accolto la proposta del CESE (nel parere sulla comunicazione del 2004) di integrare tutte le misure relative alle inondazioni nell'attuazione della direttiva quadro sulle acque contribuirà a promuovere l'inclusione dei piani di gestione delle inondazioni nei piani di gestione dei bacini idrografici, garantendo così la pianificazione degli interventi necessari per gli interi bacini e l'adozione di misure efficaci da parte di tutte le autorità competenti (locali, nazionali e transnazionali).

3.5.5

Il CESE insiste anche sulla necessità di procedere a una valutazione preliminare del rischio d'inondazione per ciascun bacino, individuando le aree dove tale rischio appare probabile, in modo da tracciare una mappa degli interventi che faciliti l'adozione di misure preventive, in particolare per quanto riguarda il rimboschimento e l'afforestazione delle zone montuose e la protezione delle zone umide e degli ecosistemi associati. Importanti in tale contesto appaiono l'informazione e il coinvolgimento della società civile, giacché in tal modo si semplificherà l'adozione di tutte le misure precauzionali.

3.6   Misure di prevenzione degli incendi

3.6.1

Le politiche in materia di prevenzione vanno rafforzate. Per quanto la prevenzione sia per lo più di competenza degli Stati membri, la Comunità può aiutare questi ultimi a prevenire le catastrofi naturali, compresi gli incendi boschivi, e ridurne l'impatto.

3.6.2

La Comunità dovrebbe continuare a prevedere misure che vadano dalla sensibilizzazione dei cittadini alla gestione del territorio. Tali misure avrebbero anche altri effetti positivi, come quello di favorire l'adattamento ai cambiamenti climatici.

3.6.3

Occorre un approccio integrato che tenga conto delle modalità di interazione dei diversi settori. L'urbanizzazione di aree tradizionalmente dedicate alla silvicoltura non solo accresce il rischio di incendi e, quindi, di distruzione dell'ambiente, ma può anche indurre a rivolgere maggiore attenzione all'evacuazione degli abitanti piuttosto che alla perdita del patrimonio boschivo.

3.6.4

I vari strumenti finanziari UE disponibili per sostenere gli sforzi degli Stati membri in materia di prevenzione andrebbero riveduti e aggiornati non solo in vista di un adeguamento alla situazione attuale, ma anche per individuare le possibili sinergie tra di loro ai fini di una più efficace protezione delle vite e dell'ambiente, come pure del patrimonio culturale. Qualora vengano concessi fondi comunitari per la ricostruzione di un territorio colpito da un incendio boschivo o per attività di afforestazione e di rimboschimento, gli Stati membri dovrebbero essere tenuti a dimostrare che applicheranno misure razionali di prevenzione degli incendi.

3.6.5

Parimenti, la Commissione dovrebbe continuare a promuovere lo scambio di informazioni e di esperienze tra gli Stati membri, in modo da garantire l'ampia diffusione delle buone pratiche. Bisognerebbe inoltre tenere conto delle differenze tra le situazioni dei vari paesi e rafforzare gli interventi nell'ambito di gruppi regionali.

3.6.6

Le misure preventive dovrebbero anche riportare le disposizioni giuridiche relative alle responsabilità civili e penali di coloro che, intenzionalmente o meno, provocano incendi.

4.   La protezione civile

4.1

Il CESE accoglie favorevolmente l'inclusione nel Trattato di Lisbona (9) di un nuovo articolo 176 C che disciplina la protezione civile in quanto sistema di «cooperazione tra gli Stati membri al fine di rafforzare l'efficacia dei sistemi di prevenzione e di protezione dalle calamità naturali o provocate dall'uomo». È importante sottolineare che il fine non è solo sostenere gli Stati membri, ma anche favorire la coerenza delle azioni intraprese dall'UE su scala internazionale.

4.2

Il quadro che disciplina l'azione nel campo della protezione civile consta di due strumenti: il meccanismo comunitario di protezione civile e lo strumento finanziario per la protezione civile (10). All'interno della Commissione europea esiste poi un Centro di monitoraggio e di informazione per il meccanismo di protezione civile, attivo 24 ore su 24. Il Centro dispone di una banca dati sui servizi di protezione civile di ciascuno Stato membro, in cui vengono raccolte le utilissime informazioni provenienti dalle banche dati militari; inoltre, esso gestisce i programmi comunitari di preparazione alle catastrofi, in cui rientrano programmi di formazione ed esercitazioni.

4.3

L'esperienza degli ultimi anni (e, recentemente, in occasione degli ultimi incendi in Grecia) mostra chiaramente l'importanza del lavoro di coordinamento svolto dal Centro di monitoraggio e di informazione per il meccanismo di protezione civile. Ciò non toglie che tale lavoro sia ancora perfettibile: per questo, il CESE ha chiesto di incrementare il bilancio del Centro, in modo che quest'ultimo possa dotarsi di maggiori e migliori risorse per portare avanti la propria attività. Il Centro di monitoraggio e di informazione dovrebbe diventare un vero e proprio centro operativo provvisto di più personale, in modo da poter svolgere un ruolo dinamico nel prevenire lo sviluppo delle crisi e monitorarne l'evoluzione, organizzare attività di preparazione e agevolare e coordinare meglio l'aiuto fornito dalla protezione civile UE all'interno come all'esterno dell'Unione.

4.4

Per migliorare la preparazione alle gravi catastrofi occorre intensificare gli sforzi dell'UE nel settore della formazione alla protezione civile e delle relative esercitazioni. Il modo migliore per farlo sarebbe la creazione di un istituto europeo di formazione alla protezione civile che collegasse i centri di competenza nazionali. Le istituzioni europee dovrebbero esaminare con urgenza le proposte per la creazione di una tale rete strutturata.

4.5

Esistono in Europa sistemi di allarme precoce per la maggior parte delle calamità naturali ma non per gli tsunami, il che rappresenta una lacuna considerevole. Anche l'assenza di sistemi di allarme e protocolli comuni è un altro grave motivo di preoccupazione, vista la crescente mobilità dei cittadini in tutta Europa e nei paesi terzi.

4.6

I miglioramenti apportati dalla Commissione nel 2005 hanno contribuito a rendere più efficace il meccanismo di protezione civile nell'UE, consentendo di utilizzarlo come strumento di solidarietà interregionale e internazionale. Di conseguenza bisognerebbe adoperarsi nella misura del possibile per reagire a tutti i generi di catastrofi con la massima rapidità ed efficacia. A tal fine è essenziale disporre di procedure o piani d'assistenza predefiniti che andrebbero in ogni caso sperimentati nel corso di esercitazioni e aggiornati sulla base delle esperienze acquisite.

4.7

Questi piani devono comprendere comunicazioni via satellite, mappe aggiornate e risorse adeguate ai fini di un coordinamento soddisfacente, le quali dovrebbero essere di proprietà dell'UE. Inoltre, questi piani dovrebbero definire uno standard tale da rafforzare l'immagine della solidarietà e dell'efficacia a livello internazionale.

4.8

La rifusione del meccanismo di protezione civile comunitaria prevede la creazione, da parte degli Stati membri, di moduli d'intervento per la protezione civile dotati di risorse nazionali. Ciò favorirebbe la messa a punto di una forza di reazione rapida nell'UE per far fronte alle catastrofi gravi. Gli Stati membri dovrebbero quanto prima definire tali moduli, soprattutto nell'ambito della lotta antincendio, e prevedere apposite formazioni. Inoltre, dovrebbero assicurarsi che tali moduli possano essere impiegati rapidamente in caso di attivazione del meccanismo comunitario.

4.9

Alcune recenti catastrofi hanno mostrato che, nonostante la solidarietà dell'UE, le risorse messe a disposizione non sempre sono adeguate. È necessario procedere senza indugio a un'analisi basata su scenari catastrofici per individuare le lacune esistenti. Qualora tale analisi rivelasse che talune risorse sono disponibili in misura insufficiente nell'UE o che la costituzione di una riserva europea di risorse per la protezione civile si rivelerebbe vantaggiosa in termini di efficacia e di efficienza economica, l'UE dovrebbe iniziare a costituirla.

4.10

Inoltre, per la ricostruzione delle aree colpite è necessario consultare le squadre di valutazione e i coordinatori dell'UE, viste le loro conoscenze in materia. Ciò contribuirebbe a prevenire quelle attività speculative che purtroppo si verificano dopo certi incendi.

4.11

Per quanto riguarda l'attività nei paesi terzi, gli interventi a titolo del meccanismo vanno considerati come parte integrante della politica estera dell'UE e degli aiuti umanitari e come segno tangibile della solidarietà dell'Unione verso i paesi colpiti.

4.12

Infine, è importante definire il ruolo di cooperazione che le organizzazioni umanitarie dovrebbero svolgere nel campo della protezione civile. Gli interventi al di fuori dell'UE devono essere coordinati con gli interlocutori che dispongono di mandati specifici nell'ambito degli aiuti umanitari, come le Nazioni Unite, la Croce Rossa e la Mezzaluna Rossa, le organizzazioni internazionali e le ONG.

5.   La responsabilità ambientale

5.1

È importante osservare che la legislazione in materia di prevenzione non ha prodotto l'effetto desiderato per quanto riguarda i danni causati dalle catastrofi naturali. Vi sono stati infatti eccessivi ritardi nell'elaborazione di un sistema giuridico in materia di responsabilità ambientale (11), mentre la legislazione penale ambientale (12) è ancora alla seconda versione.

5.2

Le legislazioni nazionali in questo settore sono quanto mai eterogenee, il che può provocare distorsioni nelle norme in materia. In pratica non esiste un'armonizzazione di livello comunitario in materia di responsabilità ambientale, né tanto meno esistono disposizioni generalizzate riguardanti la ricostruzione o il recupero delle aree colpite da catastrofi naturali, poiché ciò non è di competenza del diritto comunitario. Per giunta, il principio «chi inquina paga» non è applicabile in numerose regioni dell'UE.

5.3

Possono poi intervenire altri fattori, il fatto ad esempio che certi tipi di danni possono colpire più di un paese, nel qual caso si applicherebbero diversi sistemi giuridici. Un altro grave problema è la ripartizione delle competenze tra varie autorità (dal livello locale a quello nazionale), il che può generare conflitti sul piano delle responsabilità nel caso in cui tali autorità siano coinvolte anche nella riparazione dei danni.

5.4

Il campo d'applicazione della legislazione sulla responsabilità, così come è prevista dalla direttiva, riguarda soprattutto la prevenzione e la riparazione dei danni ambientali — sulla base delle leggi in vigore nell'UE in materia di biodiversità, acque e contaminazione del suolo -, i quali sono definiti in gran parte, ma non esclusivamente, facendo riferimento alla vigente legislazione comunitaria. È quindi importante sottolineare che le richieste di risarcimento nei confronti degli autori dei danni possono fondarsi solo sull'inosservanza delle disposizioni in vigore di cui all'Allegato III della direttiva.

5.5

Il primo regime di responsabilità si applica alle attività professionali pericolose o potenzialmente pericolose elencate all'Allegato III della direttiva. Si tratta soprattutto di attività agricole o industriali che necessitano di un permesso ai sensi della direttiva sulla prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento, di attività che scaricano metalli pesanti nell'acqua o nell'aria, di impianti che producono sostanze chimiche pericolose, di attività di gestione dei rifiuti (in particolare discariche e inceneritori), come pure di attività riguardanti organismi e microrganismi geneticamente modificati. In base a questo primo regime si può essere ritenuti responsabili anche se non si è commessa alcuna infrazione. Il secondo regime di responsabilità si applica a tutte le attività professionali diverse da quelle elencate all'Allegato III della direttiva, ma solo se vi è danno o rischio imminente di danno alle specie o agli habitat naturali protetti dalla legislazione comunitaria. In questo caso, si sarà ritenuti responsabili solo se si è commessa un'infrazione o se ci si è mostrati negligenti. La direttiva prevede anche un certo numero di esenzioni in materia di responsabilità ambientale.

5.6

Il risarcimento dei danni può avvenire secondo due modalità: o il responsabile intraprende le necessarie misure di riparazione, assumendole direttamente a proprio carico, o l'autorità competente incarica un terzo di procedere alla riparazione e di recuperarne i costi rivalendosi sul responsabile. È anche possibile coniugare i due approcci ai fini di una maggiore efficacia.

5.7

Quando il responsabile di un danno è più di uno, la direttiva lascia agli Stati membri la facoltà di decidere come ripartire i costi. Le due principali opzioni al riguardo sono la responsabilità in solido o la responsabilità per quota. Sebbene questo duplice sistema sia inteso ad adattarsi ai sistemi giuridici degli Stati membri, va fatto presente che definire le quote in caso di danno ambientale è cosa ardua e che pertanto nella pratica potrebbero incontrarsi delle difficoltà.

5.8

Occorre infine precisare che il requisito di una garanzia finanziaria per i responsabili di un danno al quale si applichino le disposizioni in materia di acqua, suolo e biodiversità contribuisce a rendere più efficace la riparazione, evitando nel contempo le conseguenze negative dell'insolvenza.

Bruxelles, 13 marzo 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Decisione 2001/792/CE, Euratom del Consiglio.

(2)  In precedenza esisteva un programma d'azione comunitario a favore della protezione civile, istituito con la decisione 1999/847/CE del Consiglio, del 9 dicembre 1999, e modificato dal regolamento del Consiglio n. 2005/52 del 6 aprile 2005. L'8 novembre 2007 è stata infine adottata la decisione del Consiglio che istituisce un meccanismo comunitario di protezione civile (rifusione).

(3)  Parere CESE 578/2003, GU C 208 del 3.9.2003, pag. 16.

(4)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio — Affrontare il problema della carenza idrica e della siccità nell'Unione europea (COM(2007) 414 def.).

(5)  GU L 327 del 22.12.2000, pag. 72.

(6)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Gestione dei rischi di inondazionePrevenzione, protezione e mitigazione delle inondazioni (COM(2004) 472 def.); GU C 221 dell'8.9.2005, pag. 35.

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla valutazione e alla gestione delle alluvioni (COM(2006) 15 def. del 18 gennaio 2006).

Direttiva 2007/60/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 23 ottobre 2007, relativa alla valutazione e alla gestione delle alluvioni; GU C 195 del 18.8.2006, pag. 37.

(7)  Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico — Relazione del gruppo di lavoro II Impatti, adattamento e vulnerabilità.

(8)  Cfr. nota 6.

(9)  GU C 306 del 17.12.2007.

(10)  In aggiunta a ciò alcuni Stati membri dispongono di istituti di ricerca e di informazione sulle catastrofi, che svolgono un ruolo importante nella prevenzione delle stesse.

(11)  Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale.

(12)  Una prima proposta di regolamento era stata presentata nel 2001 e ritirata poi dal Consiglio. Il CESE è stato consultato in merito a una nuova proposta (COM(2007) 51 def. — 2007/0022 (COD)) la quale accoglie la giurisprudenza della Corte di giustizia, e in particolare la sentenza del 13 settembre 2005, confermata da un'altra sentenza del 27 ottobre 2007, sulla competenza della Commissione a legiferare in merito ai crimini ambientali.


9.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 204/70


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che introduce sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente nell'UE (parere d'iniziativa)

(2008/C 204/16)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 settembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che introduce sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente nell'UE

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 febbraio 2008, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice ROKSANDIĆ e dal correlatore ALMEIDA FREIRE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 marzo, nel corso della 443a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 118 voti favorevoli, 56 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il CESE si rammarica di non essere stato consultato sulla proposta di direttiva in esame, sebbene nell'introduzione del documento si affermi che la consultazione è stata effettuata. Anche se l'argomento della proposta non rientrerebbe di fatto nei settori di consultazione obbligatoria del CESE, quest'ultimo giudica tuttavia necessario che i rappresentanti delle organizzazioni della società civile vengano consultati su questo tema e su eventuali altri ad esso correlati. Si tratta infatti della regolamentazione di settori fondamentali, che non solo fanno parte dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia, ma incidono sulla politica occupazionale e sociale.

1.2

Il CESE ha quindi deciso di sua iniziativa di elaborare un parere sulla proposta di direttiva che introduce sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente nell'UE. Esso ritiene infatti che alla società civile organizzata, e soprattutto alle parti sociali, spetti un ruolo di grande importanza nella concezione e nell'attuazione della direttiva proposta.

1.3

Nei pareri (1) adottati finora in materia il CESE ha fatto presente la necessità di intraprendere azioni per creare delle opportunità di immigrazione legale e, al tempo stesso, per gestire le cause dell'immigrazione «irregolare».

1.4

Il CESE approva la proposta della Commissione in quanto essa promuove il rispetto dei diritti umani nella pratica. Tuttavia, esprime perplessità sul contenuto della direttiva proposta, sul momento in cui è stata elaborata e sull'ordine in cui sono state adottate le proposte legislative. L'impiego di immigrati irregolari è una questione strettamente collegata con il funzionamento del mercato del lavoro e con l'occupazione illegale in generale e, quindi, non può essere impedita solo sanzionando i datori di lavoro.

1.5

Considerato il legame esistente tra i due ambiti di intervento della Commissione europea che si ripercuotono sull'immigrazione a livello dell'UE — e cioè: da un lato, lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia e, dall'altro, la politica occupazionale e sociale — il CESE sottolinea l'importanza di armonizzare con le normative in vigore qualunque nuova disposizione legislativa in materia di immigrazione legale e illegale. Il CESE ritiene che non si possa risolvere il problema dell'immigrazione illegale semplicemente chiudendo le frontiere e applicando misure coercitive.

1.6

È urgente in primo luogo regolamentare la migrazione e l'immigrazione legale all'interno e a destinazione dell'UE, come pure le azioni volte a combattere il lavoro sommerso. Il CESE raccomanda quindi alla Commissione di esaminare attentamente la possibilità di intraprendere nuove azioni di lotta al lavoro sommerso.

1.7

Le esperienze internazionali indicano che la lotta al lavoro sommerso dà i risultati migliori quando si basa su diversi tipi d'azione condotti in parallelo. Perciò, oltre a creare possibilità di immigrazione legale per coloro che desiderano lavorare nei settori dell'economia caratterizzati da una concentrazione particolarmente elevata di lavoratori immigrati illegali, è necessario realizzare campagne d'informazione e di educazione che illustrino le conseguenze del lavoro non dichiarato. Dovrebbe inoltre essere adottata una politica di sanzioni uniformi contro i datori di lavoro, indipendentemente dalla cittadinanza del lavoratore illegale. La direttiva proposta dovrebbe costituire quindi un elemento di un pacchetto più ampio di azioni di lotta al lavoro non dichiarato, anche fra gli immigrati illegali, e non lo strumento politico fondamentale proposto dalla Commissione.

1.8

Il CESE sottolinea l'importanza che la direttiva trovi un'attuazione efficace negli Stati membri e fa presente che il loro compito non sarà semplice poiché i) gli organi di monitoraggio non dispongono di sufficiente personale qualificato; ii) vi sono difficoltà nella ripartizione delle responsabilità tra i diversi organi interessati e iii) le imprese su cui si prevede di effettuare il monitoraggio sono molto numerose.

1.9

Il CESE ritiene che dovrebbero essere rafforzate le disposizioni della direttiva in grado di produrre effetti positivi nella pratica. Le modifiche e le aggiunte proposte dal CESE, elencate nella sezione Osservazioni specifiche, sono intese a garantire una ripartizione più adeguata delle responsabilità e a migliorare la situazione dei lavoratori non dichiarati. Se queste proposte venissero ignorate, tali lavoratori rischierebbero di essere sottoposti ad uno sfruttamento persino maggiore.

2.   Introduzione

2.1

La proposta di direttiva fa seguito alle proposte legislative presentate dalla Commissione europea in linea con la comunicazione Piano d'azione sull'immigrazione legale  (2) e con la comunicazione riguardante le Priorità politiche nella lotta contro l'immigrazione clandestina di cittadini di paesi terzi (luglio 2006) (3). In questi documenti la Commissione proponeva di ridurre i fattori che incoraggiano l'immigrazione illegale nell'UE, il più importante dei quali è la possibilità di trovare lavoro. Proponeva quindi che tutti gli Stati membri introducessero sanzioni equivalenti per i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente nell'UE e che le mettessero in atto in modo efficace. Il Consiglio europeo ha approvato la proposta (4) della Commissione nel dicembre 2006.

2.2

Nel 2007 alla proposta di direttiva hanno fatto seguito i documenti elencati in appresso:

comunicazione della Commissione Migrazione circolare e partenariati per la mobilità tra l'Unione europea e i paesi terzi  (5),

Proposta di direttiva del Consiglio sulle condizioni di ingresso e soggiorno di cittadini di paesi terzi che intendano svolgere lavori altamente qualificati (6),

Proposta di direttiva del Consiglio relativa a una procedura unica di domanda per il rilascio di un permesso unico che consente ai cittadini di paesi terzi di soggiornare e lavorare nel territorio di uno Stato membro e a un insieme comune di diritti per i lavoratori di paesi terzi che soggiornano legalmente in uno Stato membro (7),

comunicazione della Commissione Rafforzare la lotta al lavoro sommerso  (8) .

3.   Sintesi della proposta di direttiva

3.1

Lo scopo della direttiva è quello di rendere meno attraenti le opportunità lavorative offerte dai datori di lavoro agli immigrati sprovvisti dei permessi necessari (ridurre il «fattore di richiamo»). Partendo dai provvedimenti già esistenti negli Stati membri, la proposta vuole garantire che ciascuno di essi i) introduca sanzioni equivalenti nei confronti dei datori di lavoro che impiegano questi immigrati e ii) le applichi effettivamente.

3.2

La direttiva riguarda la politica dell'immigrazione e non la politica del lavoro o la politica sociale. Essa ha come base giuridica l'articolo 63, paragrafo 3, lettera b), del Trattato CE ed è intesa a ridurre l'immigrazione illegale nell'UE.

3.3

La proposta non riguarda l'immigrazione legale e l'occupazione dei cittadini di paesi terzi che lavorano in violazione del loro status (ad esempio studenti o turisti), né il lavoro sommerso svolto da cittadini di paesi terzi.

4.   Contenuto della proposta

4.1

La direttiva vieta l'impiego di cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente nell'UE. Essa prevede che le violazioni siano oggetto di sanzioni di natura pecuniaria (che possono essere di carattere amministrativo) e contempla, nel caso delle imprese, anche la possibilità di altri provvedimenti, fra cui l'esclusione dalle sovvenzioni pubbliche e il loro rimborso, nonché l'esclusione dalla partecipazione agli appalti pubblici. Per i casi più gravi sono previste sanzioni penali.

4.2

L'articolo 2 elenca le definizioni applicate ai fini della direttiva. In particolare, i datori di lavoro sono definiti come «le persone, anche giuridiche, per il cui conto e sotto la cui direzione un cittadino di un paese terzo esercita un'attività retribuita».

4.3

Quando assumono un cittadino di un paese terzo, i datori di lavoro hanno l'obbligo i) di verificare che questi possieda un permesso di soggiorno o altra autorizzazione equivalente valido per la durata del lavoro e ii) di tenere successivamente una copia del documento a disposizione delle autorità competenti degli Stati membri a fini d'ispezione. Se queste due condizioni sono rispettate, l'obbligo si considera assolto, a meno che il documento presentato non sia manifestamente falso. Soltanto i datori di lavoro che sono imprese o comunque persone giuridiche hanno l'obbligo di informare le autorità competenti, entro il termine di una settimana, dell'inizio e della fine dell'impiego di un cittadino di un paese terzo.

4.4

I datori di lavoro che non rispettano il divieto di impiegare cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente nell'UE sono passibili di sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive. Per ogni violazione sono previste sanzioni finanziarie e l'obbligo di sostenere i costi del rimpatrio del lavoratore impiegato illegalmente (il datore di lavoro è tenuto a versare al lavoratore ogni retribuzione arretrata nonché tutti i contributi di previdenza sociale e le tasse). Ai sensi dell'articolo 10, in talune circostanze una violazione, se commessa intenzionalmente, può costituire reato.

4.5

Gli Stati membri devono prevedere anche sanzioni finanziarie (che includano sanzioni pecuniarie e il costo del rimpatrio degli immigrati illegali) e di altro tipo (esclusione dal beneficio di prestazioni, sovvenzioni o aiuti pubblici; esclusione dalla partecipazione ad appalti pubblici; rimborso dei fondi UE già ottenuti; chiusura temporanea o permanente degli stabilimenti in cui ha avuto luogo la violazione). Vengono anche stabilite la responsabilità delle persone giuridiche e le possibili sanzioni a loro carico. Le disposizioni vigenti negli Stati membri in materia di responsabilità delle persone giuridiche possono essere mantenute.

4.6

Se il datore di lavoro è un subappaltatore, gli Stati membri devono adottare le misure necessarie affinché l'appaltante principale e tutti i subappaltatori intermedi siano considerati solidalmente responsabili del pagamento delle sanzioni e degli arretrati dovuti.

4.7

Il datore di lavoro è tenuto a versare al cittadino di un paese terzo impiegato illegalmente ogni retribuzione arretrata per il lavoro svolto e tutti i contributi di previdenza sociale e le tasse dovuti. Inoltre gli Stati membri devono predisporre dei meccanismi per garantire l'avvio automatico delle necessarie procedure di recupero delle retribuzioni arretrate, senza che il cittadino dei paesi terzi debba presentare domanda. A questo proposito si presuppone l'esistenza di un rapporto di lavoro di almeno sei mesi, salvo prova contraria fornita dal datore di lavoro. Gli Stati membri devono adottare le misure necessarie per garantire che i cittadini di paesi terzi impiegati illegalmente percepiscano tutte le retribuzioni arretrate, anche nei casi di rimpatrio volontario o forzato. Quando la violazione si configura come reato, il cittadino del paese terzo non può essere rimpatriato prima di aver percepito tutti gli arretrati dovuti.

4.8

Gli Stati membri devono garantire che ogni anno almeno il 10 % delle imprese stabilite sul loro territorio sia oggetto di ispezioni ai fini del controllo dell'impiego di cittadini di paesi terzi in posizione irregolare. La selezione delle imprese oggetto delle ispezioni deve essere basata su un'analisi di rischio che tenga conto di fattori come il settore in cui operano e le eventuali violazioni precedenti.

4.9

Gli Stati membri sono tenuti a recepire la direttiva nella rispettiva legislazione nazionale entro due anni dalla sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale dell'Unione europea.

5.   Osservazioni di carattere generale

5.1

La proposta di direttiva interessa due settori di intervento della Commissione nell'ambito della politica di immigrazione, distinti ma correlati: da un lato, lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia e, dall'altro, la politica occupazionale e sociale. Il CESE non è contrario all'idea, sottesa alla proposta, di mettere sotto pressione sia i datori di lavoro disonesti sia le organizzazioni illegali che effettuano la tratta di persone sprovviste di documenti. Il CESE approva la proposta della Commissione in quanto è intesa a promuovere il rispetto dei diritti umani.

5.2

Il CESE ricorda la necessità che le istituzioni europee tengano conto delle decisioni già adottate e che:

garantiscano che qualunque nuova disposizione legislativa sull'immigrazione legale e illegale sia conforme alla legislazione vigente dell'UE,

chiariscano le implicazioni e le ripercussioni di tali misure, sia per i migranti all'interno dell'UE che per quelli provenienti da paesi terzi.

Bisogna fare grande chiarezza su questi temi delicati, poiché essi non riguardano soltanto le politiche in materia di sicurezza, giustizia e concorrenza, ma anche i diritti umani, e ciò a sua volta incide sul mercato, sulle quattro libertà fondamentali e sulla forza lavoro, da un punto di vista sia collettivo che individuale. Si deve inoltre ricordare che l'immigrazione è necessaria per l'UE. Nei pareri adottati finora in relazione a tale problematica, il CESE ha fatto presente la necessità di intraprendere azioni per creare delle opportunità di immigrazione legale e, allo stesso tempo, per affrontare le cause dell'immigrazione «irregolare».

5.3

È urgente anche regolamentare la migrazione e l'immigrazione legale sia all'interno che a destinazione dell'UE. Le restrizioni imposte all'immigrazione in alcuni Stati membri hanno creato una serie di problemi, ostacolando la libera circolazione dei lavoratori tra alcuni Stati e facendo sì che in certi casi dei cittadini di paesi terzi, o anche dell'UE, venissero impiegati in violazione delle normative e in condizioni di sfruttamento. Gli sforzi volti a combattere il lavoro sommerso nell'UE e nei singoli Stati membri dovrebbero rivolgersi allo stesso modo a tutti i lavoratori impiegati illegalmente, indipendentemente dal fatto che siano cittadini dell'UE o di un paese terzo. Il CESE raccomanda quindi alla Commissione di esaminare attentamente la possibilità di estendere la base giuridica della proposta di direttiva affinché possa comprendere anche la lotta al lavoro illegale svolto da chiunque sia sprovvisto dei permessi o dei documenti necessari.

5.4

Il CESE ritiene che il «fattore di richiamo» per i migranti, che la direttiva menziona come elemento centrale e si propone di ridurre, non sia tanto la possibilità di svolgere un lavoro illegale in quanto tale bensì piuttosto quella di trovare lavoro in un altro paese. È per questo che, per ridurre tale fattore, sarebbero utili delle azioni intese a semplificare le procedure per il rilascio di un permesso unico di soggiorno e di lavoro. Anche gli stessi Stati membri, tuttavia, dovrebbero contribuire a tale semplificazione.

5.5

I datori di lavoro sottolineano la necessità di combattere il lavoro illegale e la concorrenza sleale, poiché alcuni di essi, e cioè quelli che impiegano lavoratori illegalmente, creano una concorrenza illegale e sleale nei confronti di altri datori di lavoro onesti.

5.6

Anche se l'attuazione della direttiva spetta agli Stati membri, bisogna che la Commissione sia consapevole del fatto che questo non sarà un compito facile poiché i) non vi è un numero sufficiente di organi di monitoraggio; ii) vi sono difficoltà per decidere la ripartizione delle responsabilità tra gli organi interessati e iii) le imprese su cui si prevede di effettuare il monitoraggio sono molto numerose. La forza della direttiva risiederà comunque nella sua effettiva applicazione.

5.7

Le istituzioni europee dovrebbero impiegare gli stessi termini utilizzati dalle organizzazioni internazionali e regionali nonché nel diritto internazionale, e quindi internazionalmente riconosciuti, come ad esempio quelli di «lavoratore irregolare», oppure «lavoratore migrante non dichiarato», invece di «lavoratori illegali» e «immigrazione illegale» o «clandestina». Il termine «immigrato illegale» o «clandestino» ha infatti una connotazione estremamente negativa e la proposta di direttiva potrebbe contribuire ad esacerbarla aumentando i fenomeni di discriminazione e xenofobia nei confronti di tutti i lavoratori immigrati, che rischierebbero di essere sottoposti a ispezioni unicamente in base al loro aspetto.

5.8

Pur nutrendo alcuni dubbi in merito alla proposta della Commissione, il CESE ritiene che dovrebbero essere rafforzate le disposizioni in grado di produrre effetti positivi nella pratica. Tali disposizioni sono elencate nella sezione Osservazioni specifiche.

6.   Osservazioni specifiche

6.1

Articolo 1 — Questo articolo dovrebbe prevedere anche la possibilità, per gli Stati membri che hanno già legiferato in materia di immigrazione irregolare, di mantenere le normative nazionali più favorevoli ai lavoratori.

6.2

Articolo 2 — Le definizioni fornite dovrebbero essere integrate come segue:

lettera b) «lavoro»: l'esercizio di attività retribuite o svolte in circostanze di dipendenza economica per conto e sotto la direzione di un'altra persona,

nella definizione dei termini «datore di lavoro» alla lettera e) e «subappaltatore» alla lettera f) dovrebbero essere aggiunte anche le agenzie di lavoro interinale, poiché la definizione proposta non è chiara. Molti lavoratori di paesi terzi, infatti, sono impiegati da organismi caratterizzati da uno status intermedio, tra cui le agenzie.

6.3

Articolo 4, paragrafo 1, lettera c) — Il datore di lavoro dovrebbe conservare una copia del permesso di soggiorno per un periodo più lungo del periodo di lavoro, dato che in alcuni settori l'impiego è generalmente di breve durata e il datore di lavoro cambia spesso.

6.4

Articolo 5

Il fatto che un datore di lavoro abbia i) adempiuto ai suoi obblighi per quanto riguarda il lavoro illegale e ii) controllato i permessi di soggiorno conservandone copia come previsto, non incide sul suo obbligo di versare al cittadino di paese terzo ogni retribuzione arretrata e di ottemperare agli altri obblighi di cui all'articolo 7 della direttiva qualora venga successivamente accertato che quest'ultimo non è in possesso di un permesso di soggiorno valido. Pertanto alla fine dell'articolo andrebbe aggiunta la seguente frase: «Ciò non pregiudica l'obbligo dei datori di lavoro di versare tutte le retribuzioni arretrate e di adempiere agli obblighi di cui all'articolo 7».

Si dovrebbe aggiungere una disposizione che imponga ai datori di lavoro di rispettare le procedure in materia di occupazione adottate dagli Stati membri. È infatti ipotizzabile che i datori di lavoro si limitino a controllare i permessi di soggiorno senza chiedere i permessi di lavoro, che pure sono obbligatori in molti Stati membri. In questo caso, l'impiego non dichiarato di cittadini di paesi terzi rischierebbe comunque di aumentare anche se i datori di lavoro rispettassero tutte le disposizioni della direttiva.

6.5

Articolo 6

Per quanto riguarda le sanzioni elencate al paragrafo 5, lettera a), si dovrebbe stabilire che le sanzioni finanziarie siano di entità sufficiente a coprire anche i profitti realizzati dal datore di lavoro grazie ad ogni cittadino di un paese terzo impiegato illegalmente. In questo modo la sanzione finanziaria sarebbe pari alla cifra stabilita per un cittadino di un paese terzo fino ad un importo predeterminato e aumenterebbe in funzione del numero di tali cittadini impiegati illegalmente. Vi è infatti una chiara differenza, in termini di utili conseguiti, tra i datori di lavoro privati che impiegano illegalmente un lavoratore per es. come collaboratore domestico o aiuto in un'azienda agricola e quelli che ne impiegano tre, quattro o più in attività specificamente intese a realizzare un profitto.

Si dovrebbe prevedere che la sanzione finanziaria venga aumentata nel caso di datori di lavoro che persistono nell'impiegare illegalmente cittadini di paesi terzi o che risultino recidivi. La sanzione dovrebbe subire un aumento sostanziale ad ogni caso di prolungamento o reiterazione della violazione, in modo da fungere da deterrente.

Sarebbe illogico che i datori di lavoro, oltre a pagare le sanzioni finanziarie, dovessero anche coprire il costo del rimpatrio di ogni cittadino di paesi terzi impiegato illegalmente. Questo significherebbe, in pratica, trasferire ai datori di lavoro le responsabilità che sono proprie delle autorità di immigrazione dei singoli paesi. I datori di lavoro dovrebbero dunque essere tenuti a rimborsare quei costi soltanto nei casi in cui fosse stato commesso un reato, ai sensi dell'articolo 10.

6.6

Articolo 7

Si dovrebbe altresì prevedere che l'obbligo di pagamento degli arretrati si applichi a partire dalla data in cui è presentata la richiesta e non da quella in cui prende effetto la relativa decisione.

I diritti previsti dal contratto di lavoro dovrebbero continuare ad essere validi indipendentemente dal fatto che il lavoratore sia in possesso di un permesso di soggiorno o di lavoro.

Potrebbero però sorgere delle difficoltà pratiche, di cui va tenuto conto, per versare delle retribuzioni arretrate ad un lavoratore già rimpatriato. Occorre inoltre garantire che le retribuzioni vengano pagate all'effettivo avente diritto.

Infine si dovrebbe chiarire che il datore di lavoro deve calcolare ogni retribuzione arretrata nel rispetto delle leggi, dei regolamenti, delle decisioni amministrative e/o dei contratti collettivi normalmente applicabili all'occupazione in questione.

6.7

L'articolo 8 fa riferimento ad altre misure che gli Stati membri devono adottare.

Sarebbe utile aggiungere un elenco obbligatorio di tali misure.

La disposizione di cui alla lettera d), riguardante la chiusura temporanea o permanente degli stabilimenti in cui ha avuto luogo la violazione, non appare ragionevole, specialmente se si considera che essa rischia di penalizzare anche lavoratori impiegati legalmente. Per applicare una misura di questo tipo bisognerebbe consultare i lavoratori degli stabilimenti interessati e i loro rappresentanti.

6.8

L'articolo 9 definisce la responsabilità dell'appaltante principale e di tutti i subappaltatori intermedi per quanto riguarda il pagamento delle sanzioni e delle retribuzioni arretrate. Sarebbe utile chiarire le circostanze in cui questa disposizione può essere applicata. Tuttavia, in taluni settori caratterizzati da una lunga catena di subappaltatori (ad esempio l'industria automobilistica) risulterebbe difficile far valere la responsabilità solidale degli appaltanti principali e dei subappaltatori che producono parti diverse in siti e paesi diversi. Il CESE ritiene che l'appaltante principale dovrebbe avere la possibilità di liberarsi da qualsiasi responsabilità adottando le opportune misure precauzionali.

6.9

Articolo 10

Ai sensi dell'articolo in oggetto, una violazione del divieto di cui all'articolo 3 costituisce reato se è commessa «intenzionalmente». Dato tuttavia che una tale «intenzionalità» è difficile da dimostrare, sarebbe meglio prevedere che la violazione del divieto costituisce un reato quando si possa provare che il datore di lavoro «era a conoscenza» o «avrebbe potuto essere a conoscenza» del reato.

Con riferimento al paragrafo 3, lettera a), qualunque violazione reiterata del divieto di cui all'articolo 3 andrebbe considerata un reato.

Nel caso di una violazione considerata intenzionale, come descritto al paragrafo 12, lettera a), è importante tenere conto della possibilità che i procedimenti giudiziari richiedano tempi molto lunghi. Vi è poi il rischio che la disposizione non venga applicata affatto se tutti gli Stati membri decidono che per accertare l'avvenuta violazione occorre che un tribunale o un'autorità nazionale decida in tal senso entro due anni. Tenuto conto della prevedibile lunghezza dei procedimenti e del fatto che nel presentare appello sarebbero impiegati tutti i possibili mezzi di ricorso, la disposizione rischia di non essere mai applicata.

Nell'applicazione di questo articolo, al fine di evitare potenziali conflitti di competenza, occorre che gli Stati membri effettuino una chiara ripartizione delle competenze tra gli organi amministrativi che comminano le sanzioni e i singoli tribunali competenti.

6.10

Articolo 14

Gli Stati membri dovrebbero mettere in atto meccanismi efficaci per garantire che i procedimenti si svolgano in tempi brevi e senza comportare costi eccessivi.

Allo stesso modo gli Stati membri dovrebbero garantire che gli organi che irrogano le sanzioni informino immediatamente gli interessati in merito all'avvio delle procedure.

Con riferimento al paragrafo 21, sarebbe utile concedere uno status particolare non soltanto ai cittadini di paesi terzi che sono o sono stati oggetto di sfruttamento e cooperano nei procedimenti contro i datori di lavoro, ma anche ai testimoni.

6.11

Articolo 15

Il CESE accoglie con favore la disposizione in oggetto, che impone agli Stati membri di garantire che ogni anno almeno il 10 % delle imprese sia oggetto di ispezione. Esso fa notare che l'efficacia della proposta di direttiva dipenderà proprio dall'effettiva attuazione di questa disposizione. Nella maggior parte degli Stati membri, per portare a termine questo compito, sarà necessario prevedere risorse umane e finanziarie supplementari. In caso contrario, gli obblighi supplementari imposti dall'articolo darebbero inevitabilmente luogo a disparità di trattamento per i cittadini interessati.

Bruxelles, 12 marzo 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Cfr. il parere CESE del 15 dicembre 2004 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniStudio sulle connessioni tra migrazione legale e illegale, relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 157 del 28.6.2005).

Cfr. il parere CESE del 9 giugno 2005 in merito al Libro verde sull'approccio dell'Unione europea alla gestione della migrazione economica, relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 286 del 17.11.2005).

Cfr. il parere CESE del 15 dicembre 2005 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeoIl programma dell'Aia: dieci priorità per i prossimi cinque anniPartenariato per rinnovare l'Europa nel campo della libertà, sicurezza e giustizia, relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 65 del 17.3.2006).

(2)  COM(2005) 669 def.

(3)  COM(2006) 402 def.

(4)  Comunicazione della Commissione riguardante le priorità politiche nella lotta contro l'immigrazione clandestina di cittadini di paesi terzi (COM(2006) 402 def.)

(5)  COM(2007) 248 def.

(6)  COM(2007) 637 def.

(7)  COM(2007) 638 def.

(8)  COM(2007) 628 def.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Qui di seguito si riportano gli emendamenti che, pur essendo stati respinti durante il dibattito, hanno ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi (articolo 54, paragrafo 3, del Regolamento interno):

Punto 1.7

Modificare come segue:

Le esperienze internazionali indicano che la lotta al lavoro sommerso dà i risultati migliori quando si basa su diversi tipi d'azione condotti in parallelo. Perciò, oltre a creare possibilità di immigrazione legale per coloro che desiderano lavorare nei settori dell'economia caratterizzati da una concentrazione particolarmente elevata di lavoratori immigrati illegali, è necessario realizzare campagne d'informazione e di educazione che illustrino le conseguenze del lavoro non dichiarato. Dovrebbe inoltre essere adottata una politica di sanzioni uniformi contro i datori di lavoro, indipendentemente dalla cittadinanza del lavoratore illegale. La direttiva proposta dovrebbe costituire quindi un elemento di un pacchetto più ampio di essere coordinata con delle azioni di lotta al lavoro non dichiarato, ivi compreso fra gli immigrati illegali, e non lo strumento politico fondamentale proposto dalla Commissione.

Esito della votazione

Voti contrari: 101 Voti favorevoli: 64 Astensioni: 9

Punto 5.3

Modificare come segue:

È urgente anche regolamentare la migrazione e l'immigrazione legale sia all'interno che verso l'UE. Le restrizioni imposte all'immigrazione in alcuni Stati membri hanno creato una serie di problemi, ostacolando la libera circolazione dei lavoratori tra alcuni Stati e facendo sì che in certi casi dei cittadini di paesi terzi, o anche dell'UE, venissero impiegati in violazione delle normative e in condizioni di sfruttamento. Gli sforzi volti a combattere il lavoro sommerso nell'UE e nei singoli Stati membri dovrebbero rivolgersi allo stesso modo a tutti i lavoratori impiegati illegalmente, indipendentemente dal fatto che siano cittadini dell'UE o di un paese terzo. Il Comitato raccomanda quindi alla Commissione di esaminare attentamente la possibilità di estendere la base giuridica della proposta di direttiva, affinché questa possa comprendere anche la lotta al lavoro illegale svolto da chiunque sia sprovvisto dei permessi o dei documenti necessari. figurano ora nel programma della Commissione e delle parti sociali, e sono in discussione delle misure per combattere questi fenomeni negativi. Il Comitato raccomanda che i provvedimenti intesi ad eliminare la migrazione illegale e il lavoro non dichiarato siano strettamente coordinati.

Esito della votazione

Voti contrari: 102 Voti favorevoli: 56 Astensioni: 10

Punto 6.6

Integrare come segue:

Articolo 7

Si dovrebbe altresì prevedere che l'obbligo di pagamento degli arretrati si applichi a partire dalla data in cui è presentata la richiesta e non da quella in cui prende effetto la relativa decisione.

I diritti previsti dal contratto di lavoro dovrebbero continuare ad essere validi indipendentemente dal fatto che il lavoratore sia in possesso di un permesso di soggiorno o di lavoro.

Potrebbero però sorgere delle difficoltà pratiche, di cui va tenuto conto, per versare delle retribuzioni arretrate ad un lavoratore già rimpatriato. Inoltre occorre garantire che le retribuzioni vengano pagate all'effettivo avente diritto.

Inoltre si dovrebbe chiarire che il datore di lavoro deve calcolare ogni retribuzione arretrata nel rispetto delle leggi, dei regolamenti, delle decisioni amministrative e/o dei contratti collettivi normalmente applicabili all'occupazione in questione.

Nella maggior parte degli Stati membri dell'UE i lavoratori sono tenuti a sporgere reclamo presso gli organi competenti per ottenere il pagamento delle retribuzioni arretrate. La disposizione di cui all'articolo 7, paragrafo 2, lettera a), secondo cui non è necessario che il cittadino di un paese terzo assunto illegalmente presenti un reclamo al fine di avviare le necessarie procedure di recupero delle retribuzioni arretrate, introdurrebbe una distinzione ingiustificata tra quei cittadini di paesi terzi e altri cittadini dell'UE o di paesi terzi assunti legalmente.

Nondimeno, il Comitato concorda sul fatto che gli Stati membri possano fornire ai lavoratori di paesi terzi in situazione irregolare tutto l'aiuto di cui necessitano per reclamare i loro arretrati, e che l'articolo dovrebbe contenere una garanzia a tal fine.

Il Comitato ritiene che il fatto di presupporre una certa durata del rapporto di lavoro (in questo caso, sei mesi), come previsto all'articolo 7, paragrafo 2, lettera b), possa avere l'effetto di incoraggiare l'immigrazione irregolare nell'UE e introduca una distinzione ingiustificata, nella misura in cui mette il lavoratore irregolare in una situazione molto vantaggiosa rispetto agli altri lavoratori. Si tratta inoltre di una soluzione chiaramente inadeguata nel caso dei rapporti di lavoro di breve e molto breve durata (ad esempio, i lavori agricoli stagionali).

Esito della votazione

Voti contrari: 111 Voti favorevoli: 59 Astensioni: 11

Punto 6.8

Integrare come segue:

L' articolo 9 definisce la responsabilità dell'appaltante principale e di tutti i subappaltatori intermedi per quanto riguarda il pagamento delle sanzioni e delle retribuzioni arretrate. Sarebbe utile chiarire le circostanze in cui questa disposizione può essere applicata. Gli appaltanti principali e i subappaltatori che non impiegano direttamente cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente dovrebbero essere tenuti solidalmente al pagamento delle sanzioni di cui agli articoli 6 e 7 solo qualora fosse provato che erano al corrente del fatto che il loro subappaltatore impiegava cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente. Tuttavia, in taluni settori caratterizzati da una lunga catena di subappaltatori (ad esempio l'industria automobilistica) risulterebbe difficile far valere la responsabilità solidale degli appaltanti principali e dei subappaltatori che producono parti diverse in siti e paesi diversi. Altrettanto dicasi per il settore dell'edilizia. Il Comitato ritiene che l'appaltante principale dovrebbe avere la possibilità di liberarsi da qualsiasi responsabilità adottando le opportune misure precauzionali.

Esito della votazione

Voti contrari: 106 Voti favorevoli: 57 Astensioni: 8

Punto 6.9

Modificare come segue:

Articolo 10

Ai sensi di questo articolo, una violazione del divieto di cui all'articolo 3 costituisce reato se è commessa «intenzionalmente». Dato tuttavia che una tale «intenzionalità» è difficile da dimostrare, sarebbe meglio prevedere che la violazione del divieto costituisce un reato quando si possa provare che il datore di lavoro «era a conoscenza» o «avrebbe potuto essere a conoscenza» del reato.

Con riferimento al paragrafo 12, lettera a) qualunque violazione reiterata del divieto di cui all'articolo 3 andrebbe considerata come un reato.

Nel caso di una violazione considerata intenzionale, come descritto al paragrafo 12, lettera a), è importante tenere conto della possibilità che i procedimenti giudiziari richiedano tempi molto lunghi. Vi è poi il rischio che la disposizione non venga applicata affatto se tutti gli Stati membri decidono che per accertare l'avvenuta violazione occorre la decisione di un tribunale o di un'autorità nazionale da prendersi entro due anni. Tenuto conto della prevedibile lunghezza dei procedimenti e del fatto che nel presentare appello sarebbero impiegati tutti i possibili mezzi di ricorso, la disposizione rischia di non essere mai applicata.

Nell'applicazione di questo articolo occorre che gli Stati membri effettuino una chiara ripartizione delle competenze tra gli organi amministrativi che comminano le sanzioni e i singoli tribunali competenti al fine di evitare potenziali conflitti di competenze.

Esito della votazione

Voti contrari: 100 Voti favorevoli: 66 Astensioni: 10

Punto 6.11

Modificare come segue:

Articolo 15

Il Comitato accoglie con favore tale disposizione, L'efficacia della disposizione proposta, che impone agli Stati membri di garantire che ogni anno almeno il 10 % delle imprese sia oggetto di ispezione , . Esso fa notare che l'efficacia della proposta di direttiva dipenderà proprio dall'effettiva attuazione di questa disposizione. Gli Stati membri devono scegliere le imprese da sottoporre a ispezione sulla base di una valutazione di rischio che tenga conto, tra gli altri criteri giudicati adeguati, di fattori come il grado di vulnerabilità del relativo settore al fenomeno dell'impiego di immigrati irregolari o l'esistenza di precedenti relativi alle stesse imprese in materia. L'articolo dovrebbe riflettere tali criteri qualitativi e affermare che sarebbe auspicabile che gli Stati membri riuscissero a garantire ogni anno l'ispezione di almeno il 3 % di tutte le imprese così selezionate. Nella maggior parte degli Stati membri per portare a termine questo compito sarà potrebbe essere necessario prevedere risorse umane e finanziarie supplementari. In caso contrario, gli obblighi supplementari imposti dall'articolo darebbero inevitabilmente potrebbero dar luogo a disparità di trattamento per i cittadini interessati.

Esito della votazione

Voti contrari: 105 Voti favorevoli: 65 Astensioni: 8


9.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 204/77


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde sul futuro regime comune europeo in materia di asilo

COM(2007) 301 def.

(2008/C 204/17)

La Commissione, in data 6 giugno 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al:

Libro verde sul futuro regime comune europeo in materia di asilo

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 febbraio 2008, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice LE NOUAIL MARLIÈRE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 marzo 2008, nel corso della 443a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 118 voti favorevoli, 1 voto contrario e 9 astensioni.

1.   Introduzione della consultazione in merito al Libro verde sul futuro regime comune europeo in materia di asilo

1.1

Le fonti giuridiche del futuro regime comune europeo di asilo sono il Titolo IV (visti, asilo, immigrazione e altre politiche connesse con la libera circolazione delle persone) del Trattato di Amsterdam del 1999, le decisioni adottate dal Consiglio europeo di Tampere (Finlandia) dello stesso anno e, più di recente, quelle del vertice dell'Aia. Va inoltre ricordato che le origini del regime sul piano «funzionale» sono i regolamenti di Dublino I (1997) e Dublino II (2003, entrato in vigore nel 2006), nonché il primo accordo di Schengen del 1985, al quale nel 2007 ha aderito un certo numero di nuovi Stati membri. Non si deve dimenticare che l'obiettivo principale del futuro regime è dare attuazione ed esecuzione alla Convenzione internazionale di Ginevra del 1951 relativa allo status dei rifugiati — ratificata dalla maggior parte degli Stati membri — in modo uniforme su tutto il territorio dell'Unione europea, garantendo la concessione di un'efficace protezione internazionale alle persone che ne hanno bisogno. Un simile obiettivo nasce dalla volontà di fare dell'Unione uno spazio di protezione unico per i rifugiati, basato sull'applicazione della Convenzione di Ginevra in ogni suo aspetto e sui valori umanitari comuni a tutti gli Stati membri. Il piano d'azione per attuare il programma dell'Aia prevede che la proposta relativa al regime comune sia adottata entro il 2010.

1.2

Per dare il via alla seconda fase della creazione del regime e prima del lancio del piano d'azione — la cui pubblicazione è prevista nel luglio del 2008 — la Commissione ha avviato con il Libro verde un ampio processo di consultazione grazie al quale si propone di individuare le possibili scelte nell'ambito dell'attuale ordinamento giuridico dell'UE.

1.3

Il programma di Tampere, in seguito confermato da quello dell'Aia, è riassumibile nei seguenti punti: instaurare una procedura comune, definire uno status uniforme, un quadro omogeneo e un livello elevato e armonizzato di protezione in tutti gli Stati membri, prevedendo la garanzia di un'attuazione uniforme della Convenzione di Ginevra.

1.4

Nel corso della prima fase — tra il 1999 e il 2006 — sono stati adottati quattro importanti strumenti legislativi che costituiscono l'attuale acquis e pongono le basi per instaurare un regime comune europeo in materia di asilo. La Commissione vigila affinché gli strumenti giuridici già adottati vengano recepiti e attuati entro i termini stabiliti.

1.5

Sebbene la valutazione degli strumenti della prima fase sia tuttora in corso, tenuto conto della necessità di presentare per tempo le proposte per il varo della seconda fase previsto nel 2010, la Commissione ritiene indispensabile avviare fin d'ora un'analisi e un dibattito approfonditi sulla futura struttura del regime comune di asilo europeo.

1.6

Essa si prefigge inoltre di realizzare una maggiore solidarietà tra gli Stati membri, di potenziare la capacità di tutte le parti coinvolte e di migliorare la qualità generale del processo, di rimediare alle attuali carenze dell' acquis e di armonizzare le pratiche vigenti, attuando una serie di misure di accompagnamento relative alla cooperazione pratica fra Stati membri.

1.7

Il Libro verde della Commissione è suddiviso in 4 capitoli (e 35 domande): strumenti legislativi, attuazione, solidarietà e ripartizione degli oneri, dimensione esterna.

2.   Sintesi delle conclusioni e delle raccomandazioni del Comitato

2.1

Il Comitato, tenuto conto dei numerosi pareri precedentemente adottati in materia, delle raccomandazioni formulate da ONG attive nell'assistenza ai rifugiati, nonché delle osservazioni rivolte dall'UNHCR (1) alle presidenze portoghese e slovena del Consiglio dell'UE.

2.2

Ricordando che l'asilo è già materia oggetto di voto a maggioranza qualificata in sede di Consiglio, mentre le decisioni sulle tematiche dell'immigrazione dipendono tuttora da un voto all'unanimità e dovrebbero essere adottate con voto a maggioranza qualificata una volta entrato in vigore il Trattato di Lisbona, raccomanda che, nel dare attuazione a una procedura comune, la Commissione e il Consiglio si adoperino per eliminare o evitare le clausole nazionali di esclusione cui ricorrono di frequente determinati Stati membri (cosiddetto opt-out).

2.3

Il Comitato appoggia l'adozione di un regime di asilo equo, ossia «dal volto umano», che consideri le esigenze di protezione dei richiedenti asilo un autentico traguardo da raggiungere, alla pari con gli altri obiettivi di costruzione dell'Europa, che sia anche un'Europa sociale. Il CESE ricorda che questi obiettivi di ordine sociale non si contrappongono né agli interessi in campo economico e di sicurezza delle popolazioni dei paesi ospitanti né a quelli degli Stati membri, e neppure pregiudicano tali interessi.

2.4

Il Comitato auspica la realizzazione di condizioni che favoriscano il rispetto delle convenzioni internazionali, delle direttive comunitarie in conformità con il diritto internazionale e umanitario, nonché della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del Consiglio d'Europa; una migliore ripartizione delle responsabilità che spettano agli Stati membri; il reinsediamento e l'integrazione in tempi rapidi dei rifugiati e dei beneficiari di protezione sussidiaria; un'autentica politica di cooperazione e di co-sviluppo, in grado di rafforzare il livello di democrazia effettiva in alcuni paesi terzi e di contribuire alla solidarietà internazionale in risposta alle esigenze nel settore dell'asilo.

2.5

Raccomanda a tal fine una serie di misure, che vanno considerate al tempo stesso indissociabili e complementari tra loro:

2.5.1

le persone bisognose di protezione internazionale devono poter entrare in ogni caso nel territorio dell'Unione, a prescindere dal livello di rafforzamento dei controlli alle frontiere, affinché sia rispettato quantomeno il loro diritto a presentare domanda di asilo — in qualunque forma — e ad avere accesso a una procedura equa ed efficiente;

2.5.2

prima dell'esame per decidere in merito alla protezione sussidiaria, l'autorità competente deve vagliare tutte le domande di riconoscimento dello status di rifugiato — incluse quelle presentate alla frontiera — motivando per iscritto la decisione adottata;

2.5.3

i richiedenti asilo devono poter scegliere liberamente il paese alle cui autorità presentano domanda di asilo;

2.5.4

i minori non accompagnati e le donne devono beneficiare, di fatto, di una protezione particolare, allo stesso titolo delle persone vulnerabili (2): richiedenti asilo svantaggiati sotto il profilo fisico, psicologico o mentale che richiedono un'assistenza particolare, ossia donne in stato di gravidanza, minori, anziani, malati, disabili, ecc.;

2.5.5

occorre tener conto delle persecuzioni di tipo specifico di cui sono vittime alcune donne e considerarle altrettanti motivi che ne giustificano la protezione a titolo personale, a prescindere cioè dalle persone che sono al loro seguito (figli minori o coniugi, genitori o familiari, altri …) (3);

2.5.6

ciascun richiedente asilo deve avere il diritto a un effettivo esame individuale della sua domanda e disporre di un lasso di tempo sufficiente per presentarla; deve inoltre poter beneficiare dei servizi di un interprete e di un'assistenza legale gratuita;

2.5.7

i principi fondamentali di un'equa procedura di asilo devono applicarsi a tutte le domande, incluse quelle manifestamente infondate;

2.5.8

il ricorso presentato contro una decisione di mancato riconoscimento dello status di rifugiato o di beneficiario di protezione sussidiaria deve sempre avere un effetto sospensivo della decisione di espulsione, segnatamente nel caso di persone la cui espulsione verso un paese terzo potrebbe comportare dei rischi per la loro vita o la loro libertà personale;

2.5.9

è necessario garantire l'integrazione e il reinsediamento in condizioni di vita normali e dignitose mediante un accesso all'autonomia che dovrebbe essere reso possibile quanto prima a partire dal momento dell'arrivo del richiedente asilo e in accordo con questi: accesso all'assistenza sanitaria, apprendimento della lingua del paese d'accoglienza; contatti con le associazioni di assistenza ai rifugiati e con la popolazione locale; formazione; valutazione e riconoscimento delle qualifiche; autorizzazione a svolgere un lavoro ecc.;

2.6

il Comitato raccomanda che alle ONG e alle associazioni di assistenza legale, materiale e umanitaria ai rifugiati sia sempre consentito l'accesso ai centri di trattenimento, aperti o chiusi; per quanto riguarda le soluzioni per il reinsediamento delle persone cui è stato riconosciuto lo status di rifugiati — in una prospettiva di ripartizione delle responsabilità tra gli Stati membri — rimanda al parere CESE 1643/2004 del 15 dicembre 2004, segnatamente al punto 2.4, in cui viene formulata la seguente raccomandazione: «occorrerebbe inoltre migliorare le condizioni di presenza delle ONG e delle associazioni di assistenza ai rifugiati nei centri di accoglienza, stipulando accordi di partenariato con le autorità dei paesi ospitanti o quantomeno definendo più chiaramente i diritti dei rifugiati»;

2.6.1

questi standard di accoglienza rispettosi della persona dovrebbero applicarsi, senza distinzioni, a tutti i richiedenti asilo ammissibili al riconoscimento dello status di rifugiato o al beneficio della protezione sussidiaria;

2.6.2

è necessario privilegiare soluzioni alternative (ad esempio, l'accoglienza in centri aperti) rispetto al trattenimento sistematico dei richiedenti asilo in centri completamente chiusi, ai quali non possono accedere le ONG e, talvolta, neppure la Croce Rossa;

2.7

il Comitato sconsiglia il ricorso a liste di paesi cosiddetti «sicuri» (per garantire il rispetto delle procedure di esame individuale cui i richiedenti asilo hanno diritto in conformità della Convenzione di Ginevra) e raccomanda di rivedere la qualifica di «paesi terzi sicuri» conferita a Stati terzi di origine o di transito, qualifica che priva i richiedenti asilo della possibilità di un esame della loro situazione individuale e dei diritti che ne derivano (4);

2.8

raccomanda tuttavia che, qualora debbano essere mantenute, le liste di paesi considerati «sicuri» siano comuni a tutta l'Unione e vengano approvate — tenendo conto delle informazioni fornite da ONG consultate in debita forma a tale scopo — dai parlamenti nazionali e dal Parlamento europeo; raccomanda in ogni caso di sospendere temporaneamente il ricorso a tali liste;

2.9

raccomanda che i guardacoste, i funzionari delle forze dell'ordine e dei servizi pubblici o privati destinati a entrare in contatto con i richiedenti asilo, in prima battuta o in seguito (nell'ambito di controlli di polizia o doganali, ai fini della prestazione di assistenza sanitaria, nei settori dell'istruzione o dell'occupazione) ricevano una formazione in diritto di asilo e umanitario;

2.10

ribadisce la raccomandazione di tener conto delle esigenze espresse dagli enti locali e regionali in materia di prima assistenza e di integrazione duratura dei richiedenti asilo ai quali viene riconosciuto lo status di rifugiati o di beneficiari di protezione internazionale; insiste pertanto sulla necessità di garantire un'equa partecipazione di tali enti all'elaborazione di una politica comune di asilo, come pure di continuare a impiegare e assegnare le risorse del FER (Fondo europeo per i rifugiati) rafforzandone la trasparenza delle regole, come viene precisato più avanti;

2.11

approva l'idea di istituire un Ufficio europeo di sostegno agli Stati membri, a condizione che la sua attività sia di complemento all'operato delle antenne regionali e locali dell'UNHCR e si prefigga due obiettivi: migliorare la qualità e la coerenza delle decisioni al fine di assicurare la protezione internazionale alle persone che ne hanno bisogno, indipendentemente dal luogo sul territorio dell'Unione in cui presentano domanda, e offrire un monitoraggio permanente della legislazione comunitaria per garantirne la piena conformità al diritto internazionale relativo ai rifugiati e al diritto umanitario. L'Ufficio di sostegno potrebbe incaricarsi di addestrare le guardie di frontiera a distinguere tra rifugiati e altri migranti — in collaborazione con l'UNHCR, che fino ad oggi ha dispensato queste azioni di formazione e vi ha preso parte — soprattutto, benché non esclusivamente, alle frontiere orientali dell'UE, dato che l'area Schengen comprende oggi anche Ungheria, Polonia, Slovacchia e Slovenia;

2.12

raccomanda che le misure di controllo dei flussi migratori non determinino violazioni dei diritti fondamentali, con particolare riguardo al diritto di presentare domanda di asilo e di beneficiarne a motivo delle persecuzioni subite;

2.13

chiede che venga dato rilievo all'obbligo imprescindibile che incombe ai comandanti di navi, in caso di intercettazione e salvataggio in mare, di soccorrere le persone in difficoltà, risolvere il problema del mancato riconoscimento delle loro responsabilità per lo sbarco delle persone soccorse in mare, provvedere quanto prima a far esaminare le domande di asilo e, se necessario, offrire una protezione internazionale;

2.14

rimanda, in merito al dibattito specifico sull'introduzione di una procedura europea unica comune, al parere CESE 1644/2004 del 15 dicembre 2004, segnatamente alle raccomandazioni e avvertimenti ivi formulati circa la riduzione del livello degli standard di protezione che si sarebbe potuta verificare nel periodo 2004-2008, cioè quello intercorrente tra la consultazione lanciata sulla procedura unica e il Libro verde su una politica comune in materia di asilo;

2.15

ricorda agli Stati membri che tutte le fasi di una procedura, che sia di tipo amministrativo o giudiziario, devono essere ispirate a una logica di protezione e non basarsi su un presupposto accusatorio;

2.16

raccomanda alla Commissione e al Consiglio di garantire la comprensibilità e la trasparenza delle regole di impiego e assegnazione delle risorse del Fondo europeo per i rifugiati per il periodo 2008-2013 nell'ambito del programma generale «Solidarietà e gestione dei flussi migratori», ribadendo le raccomandazioni già formulate in un precedente parere (5), e in particolare nelle conclusioni in cui «chiede che vengano prese disposizioni concrete, nel contesto delle decisioni per istituire i diversi fondi in esame, affinché gli operatori non statali siano coinvolti il più a monte possibile nei quadri annuali e pluriennali di orientamento definiti dagli Stati membri e dalla stessa Commissione»;

2.17

raccomanda che la ripartizione degli incentivi finanziari in misura proporzionale al notevole impegno dimostrato da alcuni Stati membri — ad esempio, la Svezia — o alle ridotte capacità (dimensioni geografiche o percentuale di richiedenti rispetto alla popolazione) di altri — come Malta e Cipro — non induca altri Stati membri a venir meno a determinati obblighi o responsabilità in materia sia di accesso al loro territorio che di esame delle domande, o ancora di reinsediamento interno (solidarietà e ripartizione) o esterno (contributo agli sforzi extraregionali) di gruppi di rifugiati.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1

Il Comitato accoglie con favore l'avvio, con la pubblicazione del Libro verde, di una consultazione pubblica sul futuro regime comune europeo di asilo. Si compiace altresì del fatto che la Commissione ne approfitti per porre l'accento sui metodi per rimediare alle carenze del quadro normativo dell'UE nonché alle discrepanze tra la legislazione comunitaria e le pratiche degli Stati membri.

3.2

Il Comitato esorta la Commissione e il Consiglio a fare in modo che il dibattito sulla gestione delle frontiere non vada a detrimento del diritto fondamentale di chiedere asilo o una protezione internazionale: questo vale anche per le misure vigenti per la gestione delle frontiere terrestri, aeree o marittime, segnatamente in caso di intercettazione e salvataggio in mare, all'interno delle acque territoriali degli Stati membri o al di fuori di esse.

3.3

Nel quadro della lotta al terrorismo, in particolare, come pure della lotta contro la criminalità e la tratta di esseri umani, il Comitato esorta vivamente la Commissione e il Consiglio ad adoperarsi affinché l'insicurezza — fenomeno ormai globale — non abbia ripercussioni negative sull'atteggiamento dell'opinione pubblica nei confronti dei rifugiati e dei richiedenti asilo, né comprometta l'integrità e la natura del regime di asilo.

4.   Osservazioni specifiche

4.1   Strumenti legislativi — Trattamento delle domande di asilo — Clausole nazionali di esclusione

Secondo la Commissione, che si basa su numerose relazioni di ONG e dell'UNHCR, la «direttiva sulle procedure di asilo» ha stabilito una serie di norme procedurali sulla base di criteri comuni minimi, lasciando quindi un ampio margine di flessibilità all'adeguamento di tali norme al contesto nazionale e all'introduzione di clausole di esclusione da parte dei singoli Stati membri. Di conseguenza, le persone bisognose di protezione nell'UE beneficiano di garanzie diverse a seconda dello Stato membro nel quale presentano domanda di asilo, anzi, talvolta persino a seconda del luogo dello Stato membro in cui la presentano. Questa discrezionalità ha comportato inoltre una progressiva diminuzione del livello dei diritti dei richiedenti asilo, come risulta evidente dalle riforme legislative attuate in alcuni Stati membri.

Il Comitato condivide l'obiettivo di realizzare un regime comune europeo di asilo che si prefigga sostanzialmente di garantire a tutti i richiedenti asilo l'accesso a procedure eque ed efficienti. Data questa premessa, l'applicazione di una procedura comune non appare compatibile con le clausole nazionali di esclusione, cui gli Stati membri ricorrono con notevole frequenza. Il CESE vigilerà sull'effettiva presenza di un carattere comune alle procedure specifiche proposte nel piano d'azione della Commissione, come pure quanto al fatto che l'armonizzazione delle norme procedurali e dei criteri comuni non si realizzi al livello più basso possibile di protezione dei rifugiati.

4.2   Paesi di origine sicuri

Il Comitato esprime preoccupazione per via degli ostacoli che alcuni richiedenti asilo incontrano nell'avere accesso a una procedura equa, in violazione del principio di non discriminazione sancito dalla Convenzione di Ginevra (articolo 3).

Accade infatti che domande di asilo presentate da persone provenienti da paesi considerati «sicuri» o «paesi terzi sicuri» — esaminate nel quadro di una procedura rapida, «accelerata» o «prioritaria» — possano essere ritenute «infondate» senza che venga garantita al richiedente la possibilità di presentare un ricorso con effetto sospensivo. Il mancato accordo degli Stati membri su una lista comune di paesi comporta delle disparità di fatto, in particolare nell'applicazione del regolamento «Dublino II»: «lo Stato competente» può quindi dichiarare irricevibile una domanda di asilo in base alla sua propria lista di «paesi sicuri» quando, invece, il paese di origine in questione non figura sull'analoga lista dello Stato che gli ha chiesto di prendere o riprendere in carico il richiedente.

Il Comitato raccomanda agli Stati membri di arrivare rapidamente alla redazione di una lista unica.

Ricordando che «l'accesso libero e illimitato al territorio e alle procedure di asilo è una garanzia fondamentale che gli Stati membri devono sforzarsi di realizzare» (6), il Comitato ritiene inoltre che il riferimento a un paese di origine cosiddetto «sicuro»«non [possa] giustificare di per sé l'esito negativo di una richiesta di asilo» (7) ma debba essere accompagnato da un esame specifico, come previsto dalla Convenzione di Ginevra. Difatti, l'obbligo di esaminare singolarmente tutte le domande di asilo o di protezione non consente di ritenere «sicuro» per chiunque un determinato paese, né di escludere che una persona possa essere vittima di persecuzioni in ragione di un suo particolare status (appartenenza a un gruppo sociale, persecuzioni da parte di soggetti non statuali o altre motivazioni).

Si può inoltre sottolineare che il quadro normativo proposto non consente di garantire che il paese verso il quale il richiedente asilo verrebbe respinto gli offra una protezione efficace e duratura.

4.3   Ricorso con effetto sospensivo

Conformemente ai principi di efficienza ed equità, le decisioni adottate non dovrebbero impedire la presentazione di un ricorso dinanzi a un'autorità amministrativa o giudiziaria imparziale e indipendente. Nel constatare che — in una determinata casistica — alcuni Stati membri applicano questo diritto in modo restrittivo o artificioso, il Comitato insiste sul fatto che il ricorso deve sempre avere effetto sospensivo e chiede alla Commissione e al Consiglio di vigilare sul rispetto di tale principio.

4.4   Informazioni sui paesi di origine

Il Comitato ritiene che l'esame di una domanda di asilo debba includere la valutazione di informazioni attendibili sui rischi concreti che il richiedente incorre nel paese di origine. Nel suo parere del 26 aprile 2001 il Comitato auspica che «le informazioni del paese di origine del richiedente e dei paesi in cui è transitato [possano] essere fornite anche da organizzazioni della società civile di provata rappresentatività all'interno dello Stato membro che esamina la richiesta di asilo» (8).

Nella prospettiva di un regime comune europeo di asilo, il Comitato ritiene che la qualità e la coerenza delle decisioni adottate in prima istanza dipenderanno in larga misura dalla qualità e dalla coerenza delle informazioni sui paesi di origine di cui potranno disporre le autorità amministrative o giudiziarie degli Stati membri.

4.5   Domande di asilo presentate alla frontiera

Il Comitato prende atto che il Libro verde esorta gli Stati membri a rendere più efficiente l'accesso alle procedure, ma esprime nel contempo preoccupazione sia per la scarsità delle informazioni che i richiedenti asilo ricevono sui loro diritti sia per le garanzie di cui beneficiano.

Dal momento che il numero delle domande di asilo presentate sul territorio dell'Unione è in costante diminuzione (9) — contrariamente a quanto lasciano intendere certe campagne mediatiche — il CESE fa osservare che ciascun richiedente asilo, a prescindere dalla situazione o dal luogo in cui si trovi, deve avere il diritto a un effettivo esame della sua domanda e, per poter esercitare tale diritto, deve disporre di un lasso di tempo sufficiente per presentarla, oltre a beneficiare dei servizi di un interprete e di un'assistenza legale gratuita. Ricorda di aver avanzato la proposta che «il richiedente [debba altresì] avere il diritto di rivolgersi anche ad organizzazioni non governative (ONG) riconosciute che abbiano come obiettivo la difesa e la promozione del diritto di asilo» (10).

Nella stessa prospettiva, il Comitato ricorda le riserve già espresse quanto all'ampio ricorso alla valutazione «manifestamente infondate» nell'esame delle domande da parte dagli Stati membri. Osserva che il numero eccessivo di casi in cui viene espressa questa valutazione deriva dalla genericità della formulazione dell'articolo 23, paragrafo 4, della direttiva sulle procedure di asilo e, pertanto, ritiene necessario ridefinire tale nozione. Ribadisce l'auspicio, in sintonia con l'opinione dell'UNHCR in proposito, che «i principi fondamentali per un'equa procedura di asilo (…) si [applichino] a tutte le domande, incluse quelle manifestamente infondate»  (11).

Il Comitato accoglie quindi con interesse la proposta della Commissione di un «rafforzamento delle garanzie giuridiche che accompagnano l'importantissima fase iniziale delle procedure alla frontiera e in particolare il processo di registrazione e controllo».

4.6   Procedura unica

La Commissione ritiene che «l'inserimento nel regime comune di una procedura unica quale elemento vincolante per valutare le richieste di concessione dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria potrebbe consentire poi di compiere progressi significativi (…)» (12). A quanto risulta, nei casi in cui è già stata applicata la «procedura unica» ha effettivamente permesso di ridurre in misura significativa i tempi di attesa della decisione e, quindi, di ovviare alla situazione di incertezza dei richiedenti asilo.

Una simile procedura implica, per il richiedente, la presentazione della domanda a uno «sportello unico» e, per l'autorità decisionale competente, l'obbligo di pronunciarsi in primo luogo sul riconoscimento dello status di rifugiato in conformità della Convenzione di Ginevra e soltanto in un secondo momento — e a titolo complementare — sul beneficio della protezione sussidiaria. Per conseguire questo obiettivo la procedura dovrebbe potersi applicare ovunque, anche nel caso di domande presentate alla frontiera  (13).

Secondo la formula utilizzata nel suo parere del 29 maggio 2002, il Comitato insiste tuttavia sul fatto che «la protezione sussidiaria non può essere un mezzo per indebolire la protezione conferita dallo status di rifugiato» (14) e perviene alla stessa constatazione dell'UNHCR (15), ossia che gli Stati membri sembrano ricorrere in larga misura alla protezione sussidiaria, senza che questa tendenza possa essere effettivamente ricollegata agli sviluppi della situazione nei paesi di origine e senza motivare sufficientemente nelle loro decisioni — secondo le legittime aspettative dei richiedenti — un tale ricorso alla protezione sussidiaria.

4.7   Condizioni e standard di accoglienza dei richiedenti asilo

Il Comitato riscontra notevoli disparità tra le condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo nei singoli Stati membri e constata che alcuni Stati auspicano piuttosto un'armonizzazione delle norme giuridiche in senso più restrittivo, ad esempio con l'introduzione di contraintes géographiques (…) en matière de dépôt de la demande et de résidence [vincoli geografici (…) in materia di presentazione della domanda e di dimora] (16), nell'intento di rendere determinati paesi meno attraenti di altri per i richiedenti.

Benché sia cosciente che l'esistenza di norme non omogenee nei vari Stati membri è all'origine di flussi migratori secondari, il Comitato non è comunque indotto a concludere che si debba ridurre il livello dei diritti dei richiedenti asilo. Non occorre esigere un livello di protezione più elevato del necessario per eliminare le suddette disparità se si dispone di norme comuni e applicate in modo uniforme in tutti gli Stati membri.

4.8   Accesso alla formazione e al mercato del lavoro

Alcuni Stati membri si oppongono all'accesso al mercato del lavoro dei richiedenti asilo sostanzialmente per due ragioni: anzitutto, perché vogliono disporre di un margine di manovra per far fronte alla situazione occupazionale interna, e, in secondo luogo, perché — dato che la percentuale di domande di asilo respinte deve rimanere elevata e le procedure di esame devono essere accelerate — l'accesso dei richiedenti al mercato del lavoro non potrebbe che essere temporaneo.

Il Comitato ritiene che la quantità e la natura delle domande presentate dai richiedenti asilo possano — malgrado ci si prefigga un trattamento in tempi rapidi — comportare notevoli ritardi nell'esame delle domande stesse da parte di alcuni Stati membri. Osserva quindi che, anche se la «direttiva sull'accoglienza» stabilisce che gli Stati membri devono prendere provvedimenti che «garantiscano una qualità di vita adeguata per la salute e la sussistenza dei richiedenti asilo» (art. 13), un fattore fondamentale dell'integrazione dei rifugiati nei paese ospitanti è il loro accesso all'autonomia: tale autonomia sarà tanto più effettiva quanto primaa partire dall'arrivo del rifugiato nel paese ospitantesaranno riunite le condizioni per realizzarla.

Nel suo parere del 28 novembre 2001 il Comitato formulava la riflessione che «è evidente il vantaggio materiale e morale che derivasia per lo Stato ospitante che per i richiedenti asilodalla possibilità di accedere al mercato del lavoro»  (17) ; ribadisce tale considerazione e insiste altresì sul fatto che, oltre ad accordare ai richiedenti l'accesso all'assistenza sanitaria, occorre in particolare dispensare loro una formazione e l'insegnamento della lingua del paese d'accoglienza.

Il fatto che alcuni richiedenti asilo, se respinti, non possano rimanere sul territorio del paese ospitante non è un argomento valido per opporsi all'adozione di misure capaci di accrescerne l'autonomia e che rappresentino «il miglior viatico per un buon processo d'integrazione o per un giusto ritorno nei paesi d'origine, sussistendone le condizioni (18)». Vi sono invece ottimi motivi per ritenere che l'esclusione dei rifugiati dal mercato del lavoro favorisca la crescita del lavoro clandestino.

Il CESE concorda con la Commissione sul fatto che questi standard di accoglienza rispettosi della persona potrebbero essere applicati, senza distinzioni, a tutti i richiedenti asilo ammissibili al riconoscimento dello status di rifugiato o al beneficio della protezione sussidiaria.

4.9   La detenzione

Il Comitato esprime la sua preoccupazione nel constatare che l'orientamento prevalente in alcuni Stati membri è quello di ospitare i richiedenti asilo in «centri chiusi» che somigliano più a strutture di detenzione che di accoglienza.

Il CESE — condividendo le raccomandazioni formulate dal Consiglio d'Europa — ha già osservato che la detenzione dei richiedenti asilo deve essere presa in considerazione soltanto in casi eccezionali e per il tempo strettamente necessario  (19) e che si deve optare per soluzioni alternative  (20).

In ogni caso, il richiedente asilo trattenuto non deve essere considerato come una persona che ha commesso «un reato» e deve avere accesso, come tutti gli altri richiedenti, a un'assistenza legale gratuita, indipendente e qualificata; le ONG devono avere la possibilità di accedere ai centri di trattenimento per fornire assistenza ai richiedenti; in tali centri, inoltre, le persone «vulnerabili» (21) — compresi i minori, in particolare i minori non accompagnati — devono beneficiare di una protezione specifica.

Occorre tener conto delle persecuzioni di tipo specifico di cui sono vittime alcune donne e considerarle altrettanti motivi che ne giustificano la protezione a titolo personale, a prescindere cioè dalle persone che sono al loro seguito (figli minori o coniugi, genitori o familiari, altri …).

Il CESE ritiene inoltre che i centri «chiusi» dovrebbero essere sottoposti a una valutazione periodica ad opera del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o di trattamenti inumani o degradanti (CPT).

4.10   Concessione della protezione

Persone che non sono né protette né passibili di espulsione

La Commissione prende in considerazione l'ipotesi di uno status armonizzato delle persone che, per motivi specifici, non possono essere allontanate dal territorio del paese ospitante malgrado la loro domanda di asilo sia stata respinta. Un simile status verrebbe introdotto in applicazione di principi sanciti dagli strumenti internazionali sui diritti dei rifugiati o sui diritti umani, strumenti che corroborano in modo costante la giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell'uomo.

Poiché le pratiche degli Stati membri in materia sono divergenti, il Comitato ritiene necessario definire le basi di un tale status armonizzato in modo effettivamente uniforme su tutto il territorio dell'Unione: infatti, particolarmente discutibile appare il fatto che in alcuni paesi vi sia chi si ritrova «privo di status» — ossia, senza titolo di soggiorno ma non passibile di espulsione — in condizioni di tale precarietà, sul piano sia giuridico che socioeconomico, da risultare incompatibili con il rispetto della dignità della persona, semplice pedina dell'applicazione di politiche di allontanamento dei migranti in situazione irregolare. Senza voler sottovalutare la difficoltà del problema, il Comitato ritiene che dovrebbe essere possibile rilasciare alle persone in situazioni di questo tipo un titolo di soggiorno temporaneo, il quale dovrebbe contemplare anche il diritto a svolgere un lavoro.

4.11   Solidarietà e ripartizione degli oneri

Ripartizione delle responsabilità — Il sistema di Dublino

In un parere del 12 luglio 2001 sul tema Verso una procedura comune in materia di asilo e uno status uniforme  (22), il Comitato si è pronunciato sull'applicazione concreta della convenzione di Dublino, constatando che il sistema causa più problemi di quanti ne risolva e genera costi non proporzionali ai risultati, senza tuttavia impedire che i richiedenti asilo si rendano irreperibili prima del loro trasferimento verso il primo paese di arrivo.

Sulla scorta di quelle considerazioni, il CESE osserva che il sistema di Dublino (regolamento di Dublino e regolamento Eurodac) ha avuto il grande merito di affrontare la questione del trattamento delle domande di asilo a livello comunitario. Osserva però anche che tale sistema, il cui obiettivo principale era «determinare in tempi brevi lo Stato membro cui compete esaminare una domanda d'asilo», non ha conseguito l'obiettivo che ne è il corollario, cioè «evitare i movimenti secondari tra Stati membri» (23) e, per di più, ha comportato oneri aggiuntivi — talvolta molto pesanti — per alcuni Stati membri, segnatamente quelli le cui frontiere coincidono con le frontiere esterne dell'UE.

D'altra parte — in base alle valutazioni effettuate dalla Commissione (24) — la percentuale di trasferimenti di richiedenti asilo tra determinati paesi è più o meno equivalente, tanto che si sta esaminando «la possibilità per gli Stati membri di concludere accordi bilaterali per 'annullare' lo scambio di uno stesso numero di richiedenti asilo in circostanze ben determinate» (25). La conservazione delle impronte digitali dei richiedenti nella banca dati Eurodac dovrebbe servire, già di per sé, a limitare ulteriormente il fenomeno del cosiddetto asylum shopping e la pratica di presentare domande multiple.

Il Comitato constata quindi che l'applicazione del sistema di Dublino comporta un costo umano non proporzionato agli obiettivi tecnici prefissati. Ritiene inoltre che — se è vero che l'adozione di norme comuni, riducendo le disparità nel trattamento delle domande da parte degli Stati membri, dovrebbe limitare l'importanza di questo criterio tra quelli alla base della scelta del richiedente asilo di preferire uno Stato membro a un altro per la presentazione della domanda — le considerazioni culturali e sociali continueranno pur sempre ad avere un indubbio rilievo per l'integrazione del rifugiato nel paese ospitante.

Come già nei precedenti pareri (26), il Comitato raccomanda pertanto che venga concessa al richiedente asilo la libertà di scelta del paese al quale presentare la domanda e che, in questa prospettiva, si esortino fin d'ora gli Stati membri ad applicare la clausola umanitaria prevista dall'articolo 15, paragrafo 1, del regolamento di Dublino. Dal momento che le persone con uno status di rifugiato dispongono della facoltà di trasferirsi in un paese diverso da quello che ha riconosciuto loro tale status, si tratta in realtà soltanto di anticipare l'applicazione di questo diritto.

In ogni caso, il CESE ritiene che le disposizioni del regolamento di Dublino non dovrebbero applicarsi ai minori non accompagnati, tranne quando si tratti della soluzione migliore nell'interesse superiore del minore.

4.12   Solidarietà finanziaria

Una riforma del sistema di Dublino secondo gli orientamenti illustrati dovrebbe servire soprattutto a ridurre l'onere che grava sugli Stati membri che costituiscono attualmente la meta privilegiata dei richiedenti asilo. Tuttavia, è pur vero che permangono notevoli disparità tra gli Stati membri quanto al peso relativo delle domande registrate in ciascuno di essi: appare quindi necessario introdurre un meccanismo efficiente di ripartizione degli oneri per ovviare alle difficoltà dei paesi nei quali affluisce il maggior numero di richiedenti.

Benché una soluzione parziale sia offerta dal reinsediamento «interno» (all'Unione europea), quest'ultimo non può costituire la regola né rappresentare una soluzione universalmente valida, tanto più che non andrebbe mai organizzato senza l'accordo esplicito e informato del rifugiato interessato e neppure senza garantirgli l'inserimento a un livello già elevato di integrazione nel nuovo paese ospitante.

4.13   Dimensione esterna dell'asilo

Aiutare i paesi terzi a rafforzare la protezione — I programmi di protezione regionale

Sulla scorta delle iniziative condotte nel quadro dei programmi di protezione regionale — il cui obiettivo è proteggere i rifugiati nelle regioni di origine o nei paesi di transito — la Commissione valuta l'ipotesi di consolidarli e renderli permanenti, un orientamento conforme ai principi guida del programma dell'Aia.

Il Comitato appoggia tutte le misure in grado di migliorare le condizioni di accoglienza dei richiedenti asilo nei paesi terzi, ma si interroga sullo scopo effettivo della creazione di centri di accoglienza in alcuni paesi — quali i nuovi Stati indipendenti (Ucraina, Repubblica moldova, Bielorussia) — che appaiono ben lontani dall'offrire le garanzie necessarie quanto all'adeguatezza di tali condizioni. Pone l'accento sul fatto che i programmi in questione, più che prefiggersi di rafforzare la protezione dei rifugiati, sembrano destinati a limitarne la possibilità di presentarsi alle frontiere dell'Unione.

L'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa (27) ha precisato che, qualora si continuasse a realizzarli, questi centri «dovrebbero anzitutto venire istituiti sul territorio dell'Unione europea prima che sia possibile aprirne di nuovi al di fuori dei confini dell'UE o dell'Europa». Il Comitato insiste affinché i paesi che non hanno ratificato la Convenzione di Ginevra del 1951 siano esclusi dai programmi di protezione regionale; si dichiara invece a favore del sostegno che l'Unione potrebbe eventualmente fornire a determinati paesi terzi che si trovino a fronteggiare un afflusso — massiccio o anche di entità inferiore — di richiedenti asilo.

4.14   Flussi misti alle frontiere esterne

Il Comitato ricorda che nel precedente parere su Frontex aveva già sottolineato l'esigenza che l'efficacia dei controlli alle frontiere non pregiudicasse il rispetto del diritto di asilo. Osservava che «tra i compiti dell'Agenzia occorre annoverare anche il coordinamento con i servizi di salvataggio — soprattutto di quelli marittimi — al fine di fare opera di prevenzione e di assistere le persone in pericolo per avere fatto ricorso a canali di immigrazione illegale rischiosi» (28) e chiedeva che ai guardacoste fosse dispensata una formazione in diritto umanitario.

Il Comitato osserva inoltre che, in caso di operazioni di intercettazione in mare, non esistono procedure di esame delle domande di accesso al territorio né, a maggior ragione, delle domande di asilo: chiede quindi le risorse e gli strumenti necessari per l'introduzione di tali procedure, in particolare affinché le domande di asilo possano essere registrate quanto più possibile vicino al luogo di intercettazione.

4.15   Il ruolo dell'UE quale protagonista mondiale nelle questioni relative ai rifugiati

Nella prospettiva del futuro regime comune europeo di asilo, il Comitato ritiene che esso andrebbe definito e attuato dall'Unione europea in modo tale da costituire un modello per il resto del mondo: l'UE dovrebbe quindi servire da esempio con la sua partecipazione al sistema di protezione internazionale dei rifugiati, garantire la piena conformità delle normative comunitarie al diritto internazionale in materia di rifugiati e al diritto umanitario e farsi carico delle responsabilità che le sono proprie.

4.16   Strumenti di controllo

Il Comitato osserva che la Commissione ha sollecitato l'elaborazione di un parere in merito alla futura struttura del regime comune europeo di asilo, malgrado non siano ancora stati portati a termine né la valutazione di tutti gli strumenti e di tutte le iniziative della prima fase né il recepimento delle direttive negli ordinamenti nazionali di tutti gli Stati membri. Al fine di rispettare la scadenza del 2010, raccomanda altresì l'introduzione di meccanismi di adeguamento sulla base delle future valutazioni e propone che l'attuazione dei nuovi strumenti e/o la revisione degli strumenti in vigore sia accompagnata da un sistema di analisi e monitoraggio dell'impatto del regime comune di asilo sulla situazione dei rifugiati: il compito di svolgere le analisi e i controlli potrebbe essere affidato all'Ufficio europeo di sostegno — la cui creazione è caldeggiata dal Libro verde — eventualmente in collaborazione con l'UNHCR, le ONG operanti nel settore e l'Agenzia dell'Unione europea dei diritti fondamentali; l'Ufficio potrebbe inoltre incaricarsi di redigere una relazione annuale destinata alle istituzioni comunitarie e agli Stati membri.

Il Comitato chiede alla Commissione di prevedere in seguito la stesura di una relazione annuale sull'applicazione del regime comune di asilo da trasmettere agli organi consultivi (lo stesso CESE e il CdR) e al Parlamento europeo.

Bruxelles, 12 marzo 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR -ACNUR).

(2)  In base alla definizione dell'UNHCR (Master Glossary of Terms, giugno 2006).

(3)  Stupri, violenze sessuali e stupri commessi nel corso di conflitti, persecuzioni di tipo fisico, mentale o sociale dovute al rifiuto di obbedire a ordini impartiti da uomini, ecc. Cfr. il punto 2.5.1 del parere del CES in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio concernente le norme sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi ed apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, e relative al contenuto dello status di protezione, relatrice: LE NOUAIL MARLIÈRE (GU C 221 del 17.9.2002): «Anche se non esplicitamente previste dalla Convenzione di Ginevra del 1951, le forme specifiche di persecuzione» di genere «(mutilazioni genitali, matrimoni forzati, lapidazione per presunzione d'adulterio, stupri sistematici di donne o ragazze come strategia di guerra, per non nominarne che alcune) dovrebbero essere riconosciute come ragioni fondate per una richiesta di asilo, e come motivi legittimi per la concessione dell'asilo negli Stati membri».

(4)  Parere del CESE del 15 dicembre 2004 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento EuropeoUn sistema di asilo comune europeo più efficiente: la procedura unica come prossima fase, relatrice: LE NOUAIL MARLIÈRE (GU C 157 del 28.6.2005), punto 2.7.

(5)  Parere del CESE del 14 febbraio 2006, relatrice: LE NOUAIL MARLIÈRE (GU C 88 dell'11.4.2006), punto 2.4 e Conclusioni, quarto trattino.

(6)  Parere del CES del 26 aprile 2001 in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, relatore: MELICÍAS (GU C 192 del 10.7.2001), punto 3.2.2.

(7)  MELICÍAS, punto 3.2.12.3.

(8)  Parere del CES del 26 aprile 2001 in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, relatore: MELICÍAS (GU C 192 del 10.7.2001), punto 2.3.

(9)  Nel 2006 nell'UE composta di 27 Stati membri si sono registrate 192.300 domande di asilo, il che equivale a un calo del 50 % rispetto al 2001 e del 70 % rispetto al 1992 (UE a 15) — Fonte: Eurostat, Statistiques en bref n. 110/2007.

(10)  MELICÍAS, punto 3.2.4.4.

(11)  MELICÍAS, punto 3.2.15.2; conferenza stampa dell'UNHCR e raccomandazioni rivolte dall'Alto Commissariato alla presidenza portoghese e alla presidenza slovena del Consiglio dell'UE (rispettivamente, il 15 giugno e l'11 dicembre 2007).

(12)  Libro verde, pag. 4.

(13)  Asylum in the European Union, A study of the implementation of the Qualification Directive, UNHCR, novembre 2007.

(14)  Parere del CES del 29 maggio 2002 in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio concernente le norme sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi ed apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, e relative al contenuto dello status di protezione, relatrice: LE NOUAIL MARLIÈRE (GU C 221 del 17.9.2002), punto 2.3.5.

(15)  Cfr. lo studio dell'UNHCR citato del novembre 2007. Il CESE segnala inoltre, nello stesso documento, le proposte di modifiche della direttiva 2004/83/CE («direttiva sulla qualifica di rifugiato»): articolo 8, paragrafi 1 e 3; considerando 26; articolo 15, lettera c); articoli 12 e 14 (conformità con la Convenzione di Ginevra del 1951); articoli 17 e 19; rimanda altresì alle seguenti raccomandazioni rivolte alla Commissione europea: Richieste di interpretazioni e sentenze della Corte di giustizia europea; Garanzia e controllo della qualità delle decisioni in tutta l'UE; Formazione; Adozione di linee guida; infine, alle seguenti raccomandazioni rivolte agli Stati membri: Applicazione delle linee guida dell'UNHCR; Questioni pregiudiziali sottoposte dai tribunali nazionali alla Corte di giustizia europea; Motivazione scritta delle decisioni; Controllo della qualità delle decisioni adottate a livello nazionale; Analisi del potenziale dei soggetti che offrono protezione; Protezione all'interno del paese d'origine («sur place»); Accesso e ammissibilità; Rischi effettivi; Motivazioni; Esclusioni.

(16)  Francia: Rapport d'information déposé par la délégation de l'Assemblée nationale pour l'UE, presentato dal presidente della Delegazione Pierre Lequiller, n. 105 del 25 luglio 2007.

(17)  Parere del CES del 28 novembre 2001 in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri, relatori: MENGOZZI e PARIZA CASTAÑOS (GU C 48 del 21.2.2002), punto 4.3.

(18)  Ibid., punto 3.1.

(19)  Parere del CES, del 26 aprile 2001, in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato, relatore: MELICÍAS (GU C 192 del 10.7.2001), punto 3.2.11.

(20)  Relazione della missione informativa internazionale Enfermer les étrangers, dissuader les réfugiés: le contrôle des flux migratoires à Malte, Federazione internazionale delle leghe per i diritti dell'uomo, Catherine TEULE, punto 4-1.1.

Cfr. anche la modernizzazione dei centri di accoglienza, sorvegliati ma aperti, realizzata dalla Romania in preparazione dell'adesione all'UE e constatata nel corso della missione svolta per elaborare i pareri CESE del 15.12.2004 in merito alla comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo relativa all'ingresso gestito nell'Unione europea delle persone bisognose di protezione internazionale e al rafforzamento della capacità di protezione nelle regioni di origine: Migliorare l'accesso a soluzioni durature e in merito alla comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo Un sistema di asilo comune europeo più efficiente: la procedura unica come prossima fase, relatrice: LE NOUAIL MARLIERE (GU C 157 del 28.6.2005).

(21)  In base alla definizione dell'UNHCR (Master Glossary of Terms, giugno 2006): persone svantaggiate sotto il profilo fisico, psicologico o mentale che richiedono un'assistenza particolare, ossia donne, soprattutto se in stato di gravidanza, minori, anziani, malati, disabili, ecc.

(22)  Parere del CES del 12 luglio 2001 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio ed al Parlamento europeo: Verso una procedura comune in materia di asilo e uno status uniforme e valido in tutta l'Unione per le persone alle quali è stato riconosciuto il diritto d'asilo, relatori: MENGOZZI e PARIZA CASTAÑOS (GU C 260 del 17.9.2001).

(23)  Libro verde, punto 4.1.

(24)  Relazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio sulla valutazione del sistema di Dublino — COM(2007) 299 def. — 6 giugno 2007.

(25)  COM(2007) 299 def., pag. 8.

(26)  Parere del CES del 12 luglio 2001 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio ed al Parlamento europeo: Verso una procedura comune in materia di asilo e uno status uniforme e valido in tutta l'Unione per le persone alle quali è stato riconosciuto il diritto d'asilo, relatori: MENGOZZI e PARIZA CASTAÑOS (GU C 260 del 17.9.2001); e parere del CES del 29 maggio 2002 in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio concernente le norme sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi ed apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, e relative al contenuto dello status di protezione, relatrice: LE NOUAIL MARLIÈRE (GU C 221 del 17.9.2002).

(27)  Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa: Une évaluation des centres de transit et de traitement en tant que réponse aux flux mixtes de migrants et de demandeurs d'asile («Un'analisi dei centri di transito e di trattamento come risposta ai flussi misti di migranti e richiedenti asilo») — Doc. 11304, 15 giugno 2007.

(28)  Parere del CESE del 29 gennaio 2004 in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne, relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 108 del 30.4.2004), punto 3.2.


9.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 204/85


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma d'azione comunitaria per il miglioramento della qualità nell'istruzione superiore e la promozione della comprensione interculturale mediante la cooperazione con i paesi terzi (Erasmus Mundus) (2009-2013)

COM(2007) 395 def.

(2008/C 204/18)

Il Consiglio, in data 10 settembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma d'azione comunitaria per il miglioramento della qualità nell'istruzione superiore e la promozione della comprensione interculturale mediante la cooperazione con i paesi terzi (Erasmus Mundus) (2009-2013)

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 febbraio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore SOARES e dal correlatore RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 marzo 2008, nel corso della 443a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 125 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Sintesi e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo accoglie favorevolmente il testo della proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma d'azione comunitaria per il miglioramento della qualità nell'istruzione superiore e la promozione della comprensione interculturale mediante la cooperazione con i paesi terzi (Erasmus Mundus) (2009-2013), volto ad ampliare e migliorare l'attuale programma d'azione Erasmus Mundus, sul quale il CESE si era già in precedenza espresso positivamente.

1.2

Il Comitato ritiene che l'obiettivo di fare delle università europee un polo di attrazione per studenti di tutto il mondo sia un obiettivo della maggiore importanza e debba contribuire a illustrare l'eccellenza dello spazio europeo dell'istruzione superiore e della ricerca. Tuttavia, è del parere che il programma non debba contribuire alla fuga di cervelli dai paesi terzi. In questo senso, incoraggia la Commissione ad analizzare, in collaborazione con le autorità e le università di paesi terzi, strategie che spingano gli studenti e professori a sfruttare le possibilità messe a disposizione da Erasmus Mundus per rientrare nei propri paesi di origine al fine di contribuire al loro sviluppo sostenibile. Il Comitato sottolinea che per conseguire tale obiettivo è fondamentale un collegamento stretto tra le politiche di cooperazione allo sviluppo dell'UE e il programma Erasmus Mundus.

1.3

Il Comitato prende atto dello sforzo compiuto nell'ambito del nuovo programma di azione per aumentare la mobilità del corpo accademico, attribuendo ai docenti il 40 % delle borse previste contro il 16,6 % nel quadro del programma ancora in vigore. Questo scambio va considerato una fonte di arricchimento non solo scientifico, ma anche culturale ed educativo. Il Comitato sottolinea, in questo senso, che la mobilità del corpo docente e degli studenti deve cessare di essere, in buona parte, una responsabilità individuale per trasformarsi sempre più in una responsabilità istituzionale.

1.4

Il Comitato incita gli Stati membri e la Commissione a eliminare, nel modo più rapido ed efficace possibile, gli ostacoli alla mobilità di professori e studenti creati dalle normative nazionali, sia per quanto riguarda l'accesso ai diversi Stati dell'Unione sia in riferimento al riconoscimento e alla convalida delle competenze acquisite, in modo tale da non impedire o rendere difficile spostarsi a chi voglia partecipare alle azioni del programma.

1.5

A parere del Comitato le procedure di selezione devono stabilire meccanismi di compensazione su scala europea allo scopo di prevenire gravi squilibri tra i campi di studio e le regioni di provenienza degli studenti e dei professori universitari e gli Stati membri di destinazione. In questo modo il Comitato fa proprio testualmente il contenuto dell'allegato della decisione n. 2317/2003/CE con la quale si istituiva il programma Erasmus Mundus e suggerisce e raccomanda al Parlamento europeo e al Consiglio la sua inclusione nelle presente proposta.

2.   Proposta di decisione

2.1

L'obiettivo generale della proposta è di migliorare la qualità dell'istruzione superiore europea e promuovere il dialogo e la comprensione tra i popoli e le culture, grazie ad una cooperazione con i paesi terzi, promuovendo nel contempo gli obiettivi di politica estera dell'UE e lo sviluppo sostenibile dei paesi terzi in materia d'istruzione superiore. Il programma abbraccia il quinquennio 2009-2013.

2.2

La proposta persegue gli obiettivi specifici seguenti:

a)

rafforzare la cooperazione strutturata tra gli istituti di istruzione superiore e il personale accademico in Europa e nei paesi terzi;

b)

contribuire all'arricchimento reciproco delle società, tramite la promozione della mobilità per i migliori studenti e accademici dei paesi terzi — al fine di ottenere qualifiche e/o esperienza nell'Unione europea — nonché verso i paesi terzi per i migliori studenti e accademici europei;

c)

contribuire allo sviluppo delle risorse umane e della capacità di cooperazione internazionale degli istituti di istruzione superiore nei paesi terzi;

d)

migliorare l'accessibilità e rafforzare il profilo e la visibilità dell'istruzione superiore europea nel mondo nonché la sua attrattiva per i cittadini di paesi terzi.

2.3

Linee di azioni che permetteranno di concretizzare l'iniziativa:

programmi di master comuni Erasmus Mundus e programmi di dottorato comuni,

partnership tra istituti d'istruzione superiore europea e di paesi terzi,

misure che rafforzano l'attrattiva dell'Europa in quanto meta educativa,

sostegno allo sviluppo di programmi educativi congiunti e di reti di cooperazione intesi a facilitare gli scambi di esperienze e buone prassi,

sostegno rafforzato alla mobilità delle persone nel campo dell'istruzione superiore tra la Comunità e i paesi terzi,

promozione delle conoscenze linguistiche offrendo di preferenza agli studenti la possibilità di imparare almeno due delle lingue parlate nel ventaglio di paesi in cui sono situati gli istituti d'istruzione superiore,

sostegno a progetti pilota basati su partnership a dimensione esterna intese allo sviluppo dell'innovazione e della qualità nell'istruzione superiore,

sostegno all'analisi e al controllo delle tendenze nel settore dell'istruzione superiore internazionale e della sua evoluzione.

2.4

Questo programma mira a proseguire le attività della prima fase del programma (2004-2008), pur essendo più ambizioso dal momento che incorpora più direttamente l'aspetto cooperazione esterna, allarga il suo campo d'azione a tutti i livelli dell'istruzione superiore, migliora le opportunità di finanziamento per gli studenti europei e rafforza le possibilità di cooperazione con gli istituti d'istruzione superiore dei paesi terzi.

3.   Osservazioni generali

3.1

Come per il programma Erasmus World (2004-2008) (1), il Comitato accoglie favorevolmente la proposta di decisione del Parlamento e del Consiglio e si rallegra per le iniziative adottate o che saranno adottate allo scopo di contribuire ad un'istruzione di qualità nell'Unione europea e di favorire la cooperazione con i paesi terzi, ai sensi dell'articolo 149 del Trattato CEE.

3.2

Nel suo parere sul programma summenzionato, il Comitato si rallegrava «per il concretarsi di iniziative volte a promuovere un'istruzione superiore di qualità grazie, fra l'altro, al rafforzamento della cooperazione con i paesi terzi da raggiungere attraverso la collaborazione con i loro migliori istituti universitari, il coinvolgimento dei loro studiosi di maggior fama e la partecipazione dei loro studenti più validi. Questa sinergia, di reciproco vantaggio, consentirà di stringere legami e di improntare le relazioni future fra l'Unione europea e i paesi di provenienza di detti studenti e studiosi ad una maggiore comprensione e spirito di collaborazione» (2).

3.3

Dato che si tratta dello stesso tipo di programma, con leggere ma importanti modifiche, il CESE ribadisce le osservazioni allora formulate, alle quali aggiunge le osservazioni seguenti:

3.3.1

il programma Erasmus Mundus coincide sotto il profilo temporale con l'obiettivo centrale del processo di Bologna che consiste nel creare uno spazio europeo dell'istruzione superiore e della ricerca entro il 2010 grazie all'attuazione di riforme convergenti nei sistemi nazionali d'istruzione superiore.

3.3.2

Esso coincide però anche con un altro obiettivo esterno: quello di fare conoscere al mondo l'Europa come spazio d'istruzione superiore e della ricerca di qualità. Per questo il successo del processo di Bologna si rivela essenziale per riuscire a far diventare le università europee, e non soltanto alcune di esse, un polo d'attrazione per i giovani studenti di paesi terzi.

3.3.3

È proprio questo che la Commissione mostra di riconoscere accettando che il processo di Bologna faccia parte integrante della sua politica d'istruzione e di formazione con lo stesso statuto dello spazio di ricerca dell'Unione europea.

3.3.4

Quest'obiettivo, ovvero la creazione di uno spazio europeo dell'istruzione superiore, ne implica un altro, quello di attirare gli studenti ed i professori di paesi terzi. Trattandosi di un obiettivo importante, e addirittura essenziale per l'affermazione dell'Europa nel mondo, il CESE richiama l'attenzione, come ha già fatto varie volte, sulla necessità di evitare la fuga dei cervelli dei paesi in via di sviluppo (3).

3.3.5

L'azione 2 denominata Partenariati Erasmus Mundus con istituti di istruzione superiore di paesi terzi costituisce un buon esempio in questo senso, in quanto, oltre a tener conto delle esigenze specifiche di sviluppo del(i) paese(i) terzo(i), prevede soggiorni limitati e di breve durata. A parere del CESE, tutte le azioni proposte devono permettere tanto ai professori che agli studenti dei paesi terzi di trascorrere un soggiorno proficuo e formativo nelle università europee, ma il loro rientro nel paese d'origine deve essere fortemente incentivato, in modo che possano contribuire allo sviluppo sostenibile ed alla coesione sociale di questi, ed essere uno straordinario elemento di promozione delle nostre università all'estero.

3.3.6

Il rischio che aumenti la fuga dei cervelli dai paesi che appunto ne hanno più bisogno — soprattutto per ragioni di mancanza di opportunità sul mercato o, molto semplicemente, perché non esistono le condizioni perché queste persone continuino a svolgere il loro lavoro scientifico — può anche essere ridotto al minimo grazie alla messa in atto di programmi di master e di dottorati nei paesi terzi. Questi programmi dovrebbero includere corsi o tirocini nei paesi europei per periodi di durata tale da evitare lo sradicamento di queste persone dai loro paesi d'origine.

3.3.7

Questo rischio può essere attenuato anche attraverso il coinvolgimento delle stesse università, prevedendo nei protocolli firmati strategie di rientro con eventuali misure compensative.

3.3.8

D'altro canto, il programma Erasmus Mundus, che si inserisce nella prospettiva globale delle politiche dell'Unione europea e che si svolge nell'ambito della strategia di Lisbona volta a fare dell'Europa l'economia basata sulla conoscenza più dinamica e competitiva al mondo, sia nel quadro della cooperazione con i paesi con cui l'UE ha già stipulato degli accordi, sia in una prospettiva più ampia di cooperazione strategica con i paesi terzi, deve considerare anche il tema della fuga dei cervelli come un problema grave per lo sviluppo equilibrato dei paesi con cui si porta avanti la collaborazione (4).

3.3.9

Inoltre, occorre sottolineare che questo programma persegue un altro obiettivo, vale a dire quello di promuovere gli scambi culturali nel quadro di un'istruzione di più grande qualità e di un più grande rigore scientifico (5). È quindi importante che questo programma non funga da pretesto per introdurre una visione mercantile dell'istruzione superiore, ma serva piuttosto a promuovere la qualità dell'istruzione, la ricerca indipendente, il rispetto della libertà accademica e, come si dice nella proposta, a rafforzare la lotta contro tutte le forme d'esclusione sociale.

3.4

Infine, sull'esempio di ciò che avviene con il processo di Bologna, è necessario che il sistema interno ed esterno di valutazione delle università si basi su criteri che tengano conto della realtà accademica e agisca come stimolo al raggiungimento di livelli d'eccellenza, condizione sine qua non perché le università possano costituire poli d'attrazione per gli studenti ed i professori di paesi terzi, conservando al tempo stesso la loro identità.

4.   Osservazioni particolari

4.1

Uno degli aspetti essenziali del programma Erasmus Mundus è la mobilità degli studenti e dei professori. L'esperienza di Bologna mostra che si è prestata maggiore attenzione alla mobilità degli studenti e meno a quella dei professori, sebbene nelle dichiarazioni fosse sottolineata l'importanza della mobilità di questi ultimi per il successo della strategia di Bologna. Il Consiglio europeo ha del resto sottolineato questa situazione affermando nel 2006 che tale strategia era incompleta ed incoerente.

4.1.1

Sulla base di questa constatazione, occorre che Erasmus Mundus favorisca la mobilità dei docenti e come si afferma nel quadro di uno dei sei obiettivi principali del processo di Bologna relativo ai professori e ai ricercatori, occorre anche superare gli ostacoli che impediscono l'esercizio effettivo della mobilità del corpo docente, prestando particolare attenzione al riconoscimento ed alla valorizzazione dovuti dell'attività di ricerca, d'istruzione e della formazione svolti durante l'assenza dal loro luogo di lavoro abituale.

4.1.2

È fondamentale tener conto di vari fattori che non possono essere minimizzati cioè:

le asimmetrie esistenti tra i sistemi educativi dei paesi di accoglienza e quelli dei paesi d'origine,

la necessità di valorizzare e riconoscere la formazione ricevuta, gli anni d'istruzione e la ricerca realizzata,

il riconoscimento non soltanto del contributo scientifico ma anche dei valori socioculturali,

lo scambio dei professori e di ricercatori, considerato come una ricchezza culturale ed educativa e non soltanto come un mezzo per scegliere i docenti, gli studenti ed i ricercatori più qualificati di paesi terzi come se si trattasse di un'immigrazione «qualificata».

4.1.3

In questo contesto particolare, occorre fare in modo che lo scambio dei professori sia vantaggioso per i paesi che li ricevono come per quelli che li inviano, per gli studenti ma anche per le università stesse. Permettere ai cittadini di paesi terzi di acquisire qualifiche e conoscenze mediante un periodo di formazione in Europa può essere un modo per stimolare la circolazione dei cervelli che è così vantaggiosa sia per i paesi da cui provengono che per quelli che li accolgono. Fra le varie forme di scambio, le visite o i tirocini di breve durata, gli anni sabbatici e i programmi di ricerca specifica sono i più conosciuti, ma non esauriscono il ventaglio di possibilità a questo livello.

4.2

La comunicazione cita alcuni aspetti con i quali il CESE è totalmente d'accordo e che meritano di essere sottolineati data la loro importanza.

4.2.1

La sfida alla diversità linguistica dell'Europa posta da tutta questa tematica deve essere considerata come un'opportunità supplementare per chi sceglie l'Europa come destinazione. Riconoscere che una lingua data è sulla via di diventare la «lingua di lavoro delle scienze» non significa ignorare il valore che per l'istruzione e per la ricerca realizzate in un mondo globalizzato ha l'apprendimento di altre lingue, il quale garantisce una maggiore ricchezza linguistica e maggiori opportunità per tutti, compresi i cittadini ed i residenti dell'Unione europea che parlano soltanto la loro lingua materna.

4.2.2

Le complicate legislazioni relative all'immigrazione, soggette a continue modifiche (e sempre meno flessibili), sono un altro problema da prendere in considerazione quando ci si riferisce a professori e studenti di paesi terzi. Ciò non deve in alcun caso costituire una ragione per ostacolare la mobilità di docenti, ricercatori e studenti. In particolare, va messa in atto la risoluzione del Consiglio europeo per quanto riguarda la concessione di visti per studenti e docenti che partecipano a questo tipo di programmi.

4.2.3

Erasmus Mundus deve raggiungere in pieno uno degli obiettivi che si propone: essere uno strumento di lotta contro tutte le forme d'esclusione, compreso il razzismo e la xenofobia, e contribuire all'eliminazione delle disuguaglianze tra uomini e donne.

4.3

I risultati di uno studio realizzato tra il 2004 ed il 2005, su richiesta della Commissione, dalla Academic Cooperation Association, dimostrano la necessità di definire una strategia europea di affermazione dello spazio europeo dell'istruzione superiore, combattendo l'idea che in Europa un'istruzione superiore di qualità si possa trovare solo nelle università dei paesi più sviluppati o con una maggiore tradizione in questo campo.

4.3.1

Questa strategia è basata sul requisito (che è già realtà nel programma in vigore), dell'obbligatorietà dell'istituzione di partenariati tra almeno 3 università di almeno 3 paesi per la presentazione delle candidature. Il programma per il periodo 2009-2013 mantiene questo requisito che il CESE approva senza riserve (6).

4.3.2

Tuttavia, altri elementi si dimostrano essenziali per aumentare la capacità di attrazione delle università europee e si tratta di elementi attinenti al loro prestigio a livello internazionale, alla qualità del corpo docente, al costo degli studi, all'importo delle borse concesse, al prestigio di diplomi, alle possibilità d'integrazione sul mercato del lavoro, alla conoscenza nei paesi terzi delle diverse università dei paesi dell'UE, ma anche al costo della vita e al conseguimento più o meno facile dei visti d'ingresso. Per la concessione delle borse deve essere determinante la considerazione di tutti questi fattori, in particolare del livello di vita e dell'importo delle tasse d'iscrizione.

4.3.3

Questa nuova fase del programma Erasmus Mundus dovrà quindi essere l'occasione di discutere con i rappresentanti delle università, degli insegnanti e degli studenti dei mezzi per contribuire a valorizzare l'immagine di altre università di altri paesi dell'Unione europea, per allargare la domanda da parte degli studenti e degli insegnanti dei paesi terzi.

4.3.4

Uno dei modi di realizzare quest'obiettivo è, prendendo ad esempio il processo di Bologna, rafforzare la presenza dello spazio universitario europeo come un tutto unico nelle fonti d'informazione esistenti che sono consultate da coloro che vogliono studiare al di fuori del loro paese d'origine (Internet, siti web, rappresentanze dell'UE).

4.3.5

Per esempio si potrebbe creare, nel quadro di una collaborazione istituzionale stretta tra gli Stati membri, la Commissione e le autorità universitarie, un portale universitario accuratamente progettato, aggiornato costantemente, facilmente accessibile con un contenuto interessante e ampiamente pubblicizzato. Questo portale dovrebbe permettere di accedere ai portali delle diverse università europee. Occorrerebbe anche creare servizi specifici di diffusione dello spazio universitario europeo presso le rappresentanze dell'UE.

4.4

Affinché lo spazio universitario europeo sia attraente, è cruciale l'esistenza di un corpo docente molto qualificato, ben remunerato e professionalmente riconosciuto.

4.5

Il CESE ribadisce la sua convinzione che il programma Erasmus Mundus sia un'opportunità eccellente per individuare tra i giovani studenti, i professori e ricercatori dei paesi terzi i più promettenti, quelli che saranno certamente molto utili per lo sviluppo dello stesso spazio europeo. Tuttavia, non si può passare sotto silenzio il fatto che molti giovani laureati europei hanno molte difficoltà a trovare lavoro nel loro paese. Quest'osservazione non è una riserva sul programma Erasmus Mundus, ma deve servire a lanciare una riflessione su questo problema.

4.6

Occorre sottolineare che, in numerosi paesi in via di sviluppo, solo le università pubbliche hanno la capacità di democratizzare l'istruzione superiore eliminando le discriminazioni e disuguaglianze (uno degli obiettivi proclamati del programma Erasmus Mundus). In questo senso, e indipendentemente dal fatto che il programma non deve fare distinzioni tra settore pubblico e settore privato, il programma dovrebbe contribuire, in questi casi, a consolidare e rafforzare le università pubbliche dei paesi terzi aiutandole a raggiungere gli obiettivi d'istruzione e di ricerca di qualità in un quadro di libertà accademica.

4.7

All'articolo 5, lettera f) del testo della proposta, occorrerebbe citare le parti sociali (rappresentanti dei lavoratori e dei datori di lavoro), che conoscono la situazione reale e i fabbisogni reali in termini di qualificazioni che presenta il mercato del lavoro. Anche nell'elaborazione dei contenuti dei master e dei dottorati si dovrebbe tener conto delle necessità di sviluppo economico e sociale dei paesi terzi.

4.8

L'allegato della decisione n. 2317/2003/CE (GU L 345 del 31.12.2003, pag. 1), che istituisce il programma Erasmus Mundus in vigore, (procedure di selezione, lettera b)) precisa: «Le procedure di selezione prevedono un meccanismo di compensazione a livello europeo volto ad evitare gravi squilibri tra le varie discipline nonché tra le regioni di provenienza e gli Stati membri di destinazione degli studenti e degli studiosi». Questo riferimento è stato eliminato dall'allegato della proposta relativa al nuovo programma Erasmus Mundus. Ora, se una delle priorità del programma è quella di rendere visibili le università europee e farvi partecipare le università degli Stati membri, si ritiene che l'applicazione di questo principio nella selezione dei centri partecipanti sia imprescindibile per evitare che il sostegno accordato nel quadro del programma sia diretto sempre agli stessi Stati membri ed alle stesse università.

Bruxelles, 12 marzo 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Cfr. il parere d'iniziativa del CESE del 26 febbraio 2003 in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma per il miglioramento della qualità nell'istruzione superiore e la promozione della comprensione interculturale mediante la cooperazione coi paesi terzi (Erasmus World) (2004-2008), relatore: RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO (GU C 95 del 23.4.2003).

(2)  Idem.

(3)  Cfr. il parere del CESE del 12 dicembre 2007 sul tema Migrazione e sviluppo: opportunità e sfide, relatore: Sukhdev SHARMA (CESE 1713/2007 — REX/236).

(4)  Cfr. il parere del CESE del 25 ottobre 2007 sul tema Politica comunitaria di immigrazione e di cooperazione con i paesi d'origine per promuovere lo sviluppo, relatore: PARIZA CASTAÑOS (GU C 44 del 16.2.2008).

(5)  Cfr. il parere del CESE del 20 aprile 2006 in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l'Anno europeo del dialogo interculturale (2008), relatrice: Agnes CSER (GU C 185 dell'8.8.2006).

(6)  I dati divulgati dalla Commissione mostrano che nel programma Erasmus Mundus sono stati finora coinvolte più di 350 università di praticamente tutti i paesi dell'Unione europea; il coordinamento dei progetti svolti è stato assicurato da università di 12 dei 27 paesi dell'UE e la maggioranza dei progetti ha comportato partenariati con più di 4 università di paesi distinti.


9.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 204/89


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Piano d'azione in materia di educazione degli adulti — È sempre il momento di imparare

COM(2007) 558 def.

(2008/C 204/19)

La Commissione europea, in data 27 settembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Piano d'azione in materia di educazione degli adulti — È sempre il momento di imparare

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 febbraio 2008, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice HEINISCH (correlatrice: LE NOUAIL MARLIÈRE, correlatore: RODRÍGUEZ GARCÍA-CARO).

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 marzo 2008, nel corso della 443a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 117 voti favorevoli, 0 voti contrari e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo si compiace che la Commissione europea, con il suo primo piano d'azione a favore dell'educazione degli adulti 2007-2010 È sempre il momento di imparare, illustri una dimensione nuova del suo programma di lavoro in materia di politica della formazione e appoggia il suddetto piano d'azione, fatte salve le osservazioni formulate nel presente parere.

1.2

Il Comitato si compiace del fatto che per la prima volta, 13 anni dopo la loro introduzione, si conferisca una base di lavoro politica distinta ai programmi europei di sostegno alla formazione degli adulti. La comunicazione della Commissione sull'educazione degli adulti (1) che ha preceduto il piano d'azione perseguiva, secondo quanto dichiarato nel documento stesso, un duplice scopo: da un lato, preparare il programma di sostegno Grundtvig  (2) e, dall'altro, mettere a punto un piano d'azione politico corrispondente per l'educazione degli adulti.

1.3

Il Comitato si rammarica che tra i punti principali di questo primo piano d'azione non figuri ancora lo sviluppo della formazione non professionale degli adulti e dell'apprendimento non formale e informale finalizzato alla realizzazione personale generale e al rafforzamento della cittadinanza attiva, ossia dell'impegno civico di cui hanno bisogno sia coloro che lavorano sia gli altri. Osserva che nel piano d'azione viene dato uno spazio molto ampio agli obiettivi noti — e da lui stesso appoggiati — di una migliore cooperazione in Europa nel campo della formazione professionale.

1.4

Esorta a creare condizioni generali attraenti anche per gli interessi di apprendimento particolari di coloro che non svolgono un'attività professionale, affinché possano «partecipare attivamente» all'apprendimento permanente.

1.5

Considerati i cambiamenti demografici, il Comitato reputa necessario modificare a fondo sia il modo in cui l'educazione degli adulti è organizzata, sia i temi affrontati in tale contesto.

1.6

Al medesimo tempo, esorta a una riflessione su tutti i settori dell'istruzione onde stabilire per quale motivo, nel modo in cui si suddividono i compiti, diversi livelli competenti per la politica dell'istruzione continuino ancora a concentrarsi sui giovani creando in parte delle duplicazioni. In tale contesto, propone di creare apposite strutture specializzate per la formazione degli adulti in tutti gli Stati membri e a livello europeo.

1.7

Il Comitato chiede di evitare assolutamente che, nel campo dell'educazione degli adulti, le iniziative e gli organismi più piccoli vengano ulteriormente marginalizzati o addirittura rimpiazzati, quando invece andrebbero potenziati.

1.8

Il Comitato osserva che il compito principale assegnato all'educazione degli adulti non può essere quello di rimediare alle lacune di un sistema di istruzione formale non abbastanza efficiente. È inoltre preoccupato del fatto che la percentuale degli abbandoni scolastici abbia superato il 15 %. Fa quindi appello agli Stati membri e alla Commissione affinché portino avanti con decisione riforme di stampo sociopedagogico del sistema di istruzione, sulla base dei molti esempi di buone pratiche presenti in Europa e nei paesi dell'OCSE.

1.9

Il Comitato chiede alla Commissione di mettere a punto un piano di accompagnamento a favore dell'integrazione orizzontale della dimensione di genere.

1.10

Il Comitato deplora la mancanza di indicazioni chiare in merito agli investimenti necessari.

1.11

Raccomanda di tener maggiormente conto della dimensione territoriale dell'educazione degli adulti e del contributo che essa fornisce alla coesione sociale proprio nelle regioni in declino.

1.12

Si rammarica che non siano state prese in considerazione le particolari forme di insegnamento e di apprendimento per adulti utilizzate nelle università popolari che dispongono di uno studentato (Heimvolkshochschulen) e sono attive a livello sovraregionale ed europeo.

1.13

Raccomanda di promuovere centri locali di formazione per adulti che siano multifunzionali e di nuova concezione e tengano conto anche delle nuove tecnologie e dell'e-learning.

1.14

Auspica vivamente condizioni di lavoro dignitose per i docenti e il personale amministrativo degli organismi di formazione per adulti, come pure condizioni di apprendimento dignitose e tali da rendere l'istruzione accessibile a tutti gli adulti.

1.15

Propone che, nel quadro del piano d'azione in esame, venga condotto uno studio di fattibilità sulla creazione di un'infrastruttura specificamente europea specializzata nella ricerca e nella formazione continua nel settore dell'educazione degli adulti in Europa. Sottolinea inoltre che in tale contesto sarebbe assolutamente necessario anche un lavoro sui metodi specifici riguardanti l'educazione degli adulti e sulla loro diffusione.

1.16

Invita a promuovere dei festival europei dell'apprendimento nel contesto dei numerosi festival organizzati in questo settore a livello internazionale e raccomanda di promuovere campagne di informazione e di motivazione per invogliare maggiormente gli adulti ad apprendere.

1.17

Propone alla Commissione europea di accordare in futuro un'attenzione maggiore alla dimensione internazionale dell'educazione degli adulti, e di coinvolgerlo negli sviluppi sopraindicati. Chiede inoltre di partecipare ai preparativi dell'Unione europea in vista della prossima conferenza internazionale delle Nazioni Unite sull'educazione degli adulti (Confintea VI) in programma nel 2009 in Brasile.

1.18

Approva infine gli sforzi compiuti dalla Commissione europea per creare una serie di dati fondamentali relativi all'Europa e per garantire una maggiore convergenza del linguaggio; deplora tuttavia che gli indicatori previsti non contemplino priorità più chiare concernenti specificatamente gli adulti.

2.   Introduzione

2.1

In molti paesi europei l'educazione degli adulti vanta una lunga tradizione. A causa del suo legame stretto con movimenti sociali come quello operaio e quello per i diritti delle donne, come pure con movimenti nazionali e per il diritto di voto, essa ha perseguito a lungo obiettivi di carattere sociale o intesi ad emancipare attraverso l'istruzione. In molti paesi europei si sono sviluppati centri di formazione popolare e università popolari provviste di uno studentato i quali vantano una dimensione al tempo stesso culturale e pedagogica e promuovono lo sviluppo personale e l'impegno civico di tutti i cittadini (cittadinanza attiva). Col tempo vi si sono aggiunti anche le scuole della «seconda opportunità», i corsi di formazione professionale e gli istituti di livello universitario che hanno voluto aprirsi consapevolmente anche ai gruppi fino ad allora svantaggiati.

2.2

A livello europeo, per molto tempo la formazione professionale è stata al centro dell'interesse e sono stati istituiti e potenziati comitati e istituzioni specializzate come il Cedefop e la Fondazione europea per la formazione (ETF). Fin dagli anni Settanta sono stati messi a punto ed attuati programmi europei di sostegno alla formazione di disabili, migranti, giovani privi di diploma scolastico o di qualifiche professionali, nonché a favore delle pari opportunità per le donne sul mercato del lavoro. In seno al Cedefop si è proceduto alla valutazione e allo scambio di esempi di buone pratiche in materia.

2.3

Solo con la politica dell'apprendimento permanente la Commissione europea ha schiuso delle possibilità per settori fino ad allora trascurati, come l'educazione degli adulti che è la Cenerentola della politica di formazione. L'avvio di programmi di sostegno specifici per il miglioramento della qualità e l'innovazione anche nel campo della formazione degli adulti (dal 1995 in poi), l'Anno europeo dell'istruzione e della formazione lungo tutto l'arco della vita 1996 e i principi di una strategia per l'apprendimento durante tutto l'arco della vita enunciati nelle conclusioni del Consiglio del 20 dicembre 1996 hanno dato il via a una nuova fase caratterizzata da molteplici attività politiche. Il 30 ottobre del 2000 la Commissione europea ha pubblicato il Memorandum sull'istruzione e la formazione permanente, in cui formulava una strategia di sviluppo del sistema dell'apprendimento durante tutto l'arco della vita e proponeva per il dibattito sei messaggi chiave che avrebbero dovuto definire il quadro di sviluppo del sistema di apprendimento permanente (3).

2.4

Nel quadro della strategia di Lisbona sono stati adottati la risoluzione del Consiglio sull'apprendimento permanente (4) e il programma di lavoro Istruzione e formazione 2010  (5) (nella sua fase iniziale questo non ha però prestato un'attenzione particolare alla formazione degli adulti). Per rafforzare la politica europea comune in materia di formazione professionale, nel quadro del programma Istruzione e formazione 2010 è stato avviato anche il processo di Copenaghen, la cui prima tappa si è conclusa alla fine del 2006 con il Comunicato di Helsinki (6).

2.5

Al medesimo tempo, pur essendo anch'essa contemplata nel programma di lavoro, la politica universitaria, nel quadro del processo di Bologna — dal 1999 in poi — si è concentrata sulle profonde ristrutturazioni intese a promuovere uno «spazio europeo dell'istruzione superiore», che all'inizio hanno fatto passare in secondo piano sia l'apertura degli istituti di insegnamento superiore ai gruppi svantaggiati sia i loro compiti di formazione continua.

2.6

Oltre alle attività del programma di lavoro Istruzione e formazione 2010, negli ultimi anni sono state intraprese a livello europeo delle iniziative per una promozione integrata del «pieno coinvolgimento dei giovani nell'istruzione, nell'occupazione e nella società» (7). Nessuna iniziativa del genere è ancora da segnalare per gli adulti di varie fasce d'età.

2.7

La comunicazione della Commissione europea Un nuovo quadro strategico per il multilinguismo  (8) e quella su un'agenda europea per la cultura in un mondo in via di globalizzazione (9) hanno aperto indirettamente anche nuovi orizzonti per l'educazione degli adulti.

2.8

Nell'insieme il CESE ha accolto con favore e appoggiato le attività svolte negli ultimi anni dalla Commissione europea nel campo della formazione permanente adottando pareri su questo argomento.

3.   Sintesi del piano d'azione

3.1

Il piano d'azione in materia di educazione degli adulti È sempre il momento di imparare fa seguito alla comunicazione della Commissione Educazione degli adulti: non è mai troppo tardi per apprendere  (10) e indica cinque priorità a livello europeo nel quadro del miglioramento delle strutture di governance: qualità, efficienza, responsabilità dei risultati (accountability) del sistema di educazione degli adulti, sostegno all'apprendimento e riconoscimento dei risultati dell'apprendimento.

3.2

Il piano d'azione deve inoltre contribuire a realizzare gli obiettivi della precedente comunicazione della Commissione (11), ovvero ad «eliminare gli ostacoli alla partecipazione, migliorare la qualità e l'efficienza del settore, accelerare il processo di convalida e riconoscimento, garantire investimenti sufficienti e monitorare il settore».

3.3

A tal fine esso si concentra su coloro che, a causa di un basso livello di istruzione, di qualifiche professionali insufficienti e/o di competenze inadeguate, hanno poche prospettive di una proficua integrazione nella società.

4.   Osservazioni generali

4.1

Il Comitato si compiace che la Commissione abbia predisposto un primo piano d'azione a favore dell'educazione degli adulti per il periodo 2007-2010, e lo approva pienamente, fatte salve le osservazioni formulate nel presente parere. Con il piano d'azione viene precisato ancora una volta che il programma di lavoro politico Istruzione e formazione 2010 ha come obiettivo anche l'educazione degli adulti intesa a promuovere la coesione sociale, una cittadinanza attiva, la possibilità di realizzarsi nella vita privata e professionale piena, nonché l'adattabilità e l'occupabilità.

4.2

Il Comitato mette in guardia da sovrapposizioni poco proficue con gli obiettivi e le finalità della formazione professionale nel quadro del «processo di Copenaghen», degli orientamenti europei per l'occupazione 2005-2008, del Fondo sociale europeo e del programma Leonardo di sostegno alla formazione professionale. In questo contesto, già ora viene prestata un'attenzione particolare al potenziamento dei servizi di informazione e consulenza, alla convalida delle competenze acquisite in modo informale, allo sviluppo e attuazione del quadro europeo delle qualifiche e alla governance nelle istituzioni relative alla formazione professionale.

4.3

Il CESE resta dell'avviso che tutti i cittadini europei dovrebbero avere accesso, lungo tutto l'arco della vita, a una formazione per adulti moderna. Tutti, nel corso degli anni, dovrebbero acquisire nuove competenze, rinfrescarle o aggiornarle. Anche la dinamica demografica, i cambiamenti climatici, le nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione e le sfide e opportunità della globalizzazione modificano le nostre professioni e la nostra vita. A loro volta tali cambiamenti richiedono anche conoscenze e competenze completamente nuove, che gli adulti di varie fasce d'età non hanno avuto modo di apprendere nelle diverse fasi dei loro studi e della loro formazione.

4.4

Il Comitato deplora quindi la mancanza di una visione integrata e strategica, che tenga conto sia delle opportunità di apprendimento che delle esigenze di formazione di tutti gli adulti. Esso si è sempre adoperato anche a favore di condizioni di apprendimento che offrano possibilità a tutti, anche alle persone con disabilità. In questo modo si creano molteplici sinergie per tutte le parti coinvolte e vengono facilitati anche l'apprendimento intergenerazionale, interculturale e multilingue.

4.5

Il Comitato esorta la Commissione a far elaborare da un gruppo di esperti in materia di educazione degli adulti un piano a favore del «mainstreaming di genere» che integri il piano d'azione in esame, sia imperniato sulla necessità dell'apprendimento lungo tutto l'arco della vita e contempli anche azioni positive.

4.6

Il Comitato ricorda il quadro europeo di riferimento per le competenze chiave (12) che anche ciascun adulto dovrebbe poter acquisire. In tale contesto viene ripetutamente ribadita tutta una serie di concetti centrali che possono ispirare nuove forme di organizzazione e metodi di insegnamento innovativi anche nel campo dell'educazione degli adulti: riflessione critica, creatività, iniziativa, capacità di risolvere i problemi, valutazione dei rischi, capacità di decisione e gestione costruttiva delle emozioni.

4.7

Il Comitato raccomanda alla Commissione di valutare la possibilità di arricchire il piano d'azione per l'educazione degli adulti con un festival europeo dell'apprendimento di grande richiamo, da organizzare annualmente e con campagne d'informazione e motivazione sull'apprendimento permanente nella stampa, alla radio e alla televisione. Il CESE invita la Commissione a tener conto della necessità di adottare un approccio proattivo per incoraggiare quanti non hanno familiarità con lo studio a impegnarsi nella formazione continua. Secondo il Comitato, il contatto diretto con le persone socialmente svantaggiate è importante per innalzare il livello di istruzione, potenziare le capacità di adattamento di tutti i cittadini e migliorare la parità di accesso all'apprendimento permanente.

5.   Osservazioni specifiche

5.1

Il Comitato si compiace che nel suo capitolo introduttivo (punto 1 della comunicazione all'esame) il piano d'azione non solo evidenzi l'obiettivo di un'economia basata sulla conoscenza competitiva, ma ponga alla base anche la prospettiva di una società della conoscenza per tutti, che tenga conto dell'integrazione e della coesione sociale. È quindi anche dell'avviso che, nelle valutazioni delle esigenze di perfezionamento professionale e nelle riflessioni sull'integrazione mediante la formazione permanente vadano coinvolte anche le parti sociali attive a livello locale, le imprese, le organizzazioni della società civile, nonché gli adulti svantaggiati sul piano formativo e le loro famiglie.

5.1.1

Il Comitato sottolinea che, per fornire un sostegno a quelli che la Commissione definisce gruppi «scarsamente qualificati», non solo occorrono dei cambiamenti da parte dei diretti interessati, ma è altresì necessario superare le barriere di apprendimento tuttora esistenti. Inoltre, reputa che, nella scelta dei «gruppi destinatari», la Commissione non abbia tenuto conto in misura sufficiente delle barriere di apprendimento che affliggono le persone plurisvantaggiate, i poveri e quanti abitano in regioni e località depresse o in centri, istituti e istituzioni chiuse.

5.1.2

Il Comitato mette in guardia dal pericolo di un'ulteriore discriminazione dovuta al «commercio» locale e sovraregionale dei servizi prestati a tali adulti, ad esempio quando le autorità responsabili dei servizi sociali e gli uffici del lavoro commissionano a terzi talune attività di formazione specifiche. Il Comitato ritiene che gli adulti troverebbero le opportunità di formazione ancor più interessanti se venissero informati in maniera responsabile della situazione del mercato del lavoro a livello regionale e transregionale e se il loro accesso ai posti di lavoro non fosse impedito da limiti di età o da ostacoli di ordine giuridico o pratico.

5.1.3

Il Comitato sottolinea che la molteplicità linguistica e culturale che gli immigrati provenienti da altri paesi europei o extraeuropei apportano costituisce un'importante ricchezza per l'Europa. Il riconoscimento dei diplomi e certificati dei paesi europei ed extraeuropei andrebbe migliorato ulteriormente. Il Comitato fa notare che la situazione giuridica molto varia dei migranti (p. es. richiedenti asilo, rifugiati riconosciuti, lavoratori che migrano all'interno dell'Europa, persone provenienti da paesi terzi, ecc.) da un lato ne limita spesso l'accesso alla formazione permanente ma, dall'altro, rende anche obbligatorie attività come i corsi di lingue.

5.1.4

Il Comitato deplora che non si siano indicate con maggiore chiarezza le conseguenze del cambiamento demografico per le opportunità di apprendimento permanente offerte alla generazione più anziana che non partecipa più alla vita lavorativa. A questo proposito rimanda alle molteplici raccomandazioni formulate nel proprio parere d'iniziativa sul cambiamento demografico (13), nel quale si è affermato chiaramente che le persone di ogni età devono continuare ad imparare, a livello sia privato che professionale, per poter influenzare questa evoluzione, assumersi responsabilità per gli altri e condurre una vita autonoma quanto più a lungo possibile. In molti ambiti professionali sono necessarie ulteriori qualifiche, mentre in altri si stanno sviluppando tipologie di servizi completamente nuove, per le quali è necessario organizzare per tempo misure di formazione o di perfezionamento.

5.1.5

Il Comitato raccomanda di tener conto, anche nel contesto del piano d'azione all'esame, dei discenti con esigenze speciali e di considerare in modo specifico le necessità particolari delle persone con disabilità, soprattutto adottando misure per favorirne l'integrazione nel sistema generale d'istruzione e di formazione professionale (14) e promuovendo l'accesso alla formazione a distanza anche sotto forma di e-learning.

5.1.6

Il Comitato deplora che non venga prestata sufficiente attenzione alle esigenze individuali di apprendimento degli adulti che pur non essendo attivi sul piano economico sono impegnati a livello sociale e della collettività. In molti casi tali persone non dispongono di risorse sufficienti per poter accedere all'educazione degli adulti.

5.1.7

Il Comitato ritiene che l'intero sistema di istruzione formale dovrebbe essere più aperto alle esigenze di apprendimento degli adulti. Ribadisce quindi che è giunto il momento «di superare i limiti di età in materia di apprendimento che sono stati imposti ai cittadini dai sistemi di istruzione e formazione europei» (15). Eventuali risultati positivi conseguiti in precedenza andrebbero riconosciuti nel quadro di strutture del sistema d'istruzione formale aperte e più flessibili. L'accesso generalizzato alle attrezzature informatiche degli istituti d'istruzione e di formazione potrebbe favorire la formazione lungo tutto l'arco della vita e l'apprendimento mediante l'Internet.

5.1.8

Nel quadro della politica per l'istruzione superiore è rimasto in secondo piano il ruolo degli istituti universitari in quanto fornitori di corsi di riqualificazione, nonostante essi abbiano responsabilità in materia di apprendimento permanente. Il Comitato sottolinea che l'educazione degli adulti negli istituti di istruzione superiore e la riqualificazione dei laureati devono essere strettamente collegate allo sviluppo dell'educazione degli adulti e vanno integrate nei sistemi di apprendimento permanente.

5.2

Il Comitato osserva che l'obiettivo generale del piano d'azione in materia di educazione degli adulti dovrebbe essere quello di dare attuazione pratica ai cinque messaggi chiave della comunicazione della Commissione Educazione degli adulti: non è mai troppo tardi per apprendere. Riguardo al quarto messaggio chiave («garantire sufficienti investimenti»), il Comitato deplora che non si sia proposta alcuna azione e reputa che tale messaggio vada assolutamente inserito nel piano d'azione.

5.2.1

Propone che il settore privato e quello pubblico creino inoltre incentivi interessanti per la formazione permanente. Le aspettative di «redditività» (punto 2.2 del piano d'azione) degli istituti della formazione continua non possono essere l'unica motivazione per migliorare le pari opportunità nell'accesso all'apprendimento permanente.

5.2.2

Ritiene inoltre che manchino ancora stime affidabili dei costi della convalida delle competenze acquisite in modo informale. Per precauzione fa notare che ciò non può in alcun caso indurre a rinunciare all'ulteriore potenziamento dell'educazione degli adulti. In molti Stati membri, durante il periodo coperto dal piano d'azione (2007-2010), il Quadro europeo delle qualifiche e dei titoli (16) e i quadri nazionali, destinati a servire come riferimento per il riconoscimento delle qualifiche, saranno ancora in una fase di sviluppo iniziale.

5.2.3

Il CESE tiene inoltre a sottolineare i costi sociali ed economici che l'esistenza di gruppi sociali così numerosi con scarsi livelli d'istruzione e di formazione professionale determina nel lungo periodo.

5.2.4

Il Comitato invita a riflettere sul fatto che gli accenni all'eventuale gradita apertura del Fondo sociale europeo e del programma di apprendimento permanente presuppongono sostanziali redistribuzioni delle risorse a detrimento delle attuali priorità, nonché lo stanziamento di fondi propri da parte dei singoli Stati nel campo della formazione degli adulti. Fa notare che solo pochi Stati membri e regioni europee possono attingere in larga misura al FSE per l'innovazione, ma non possono utilizzarlo come regolare fonte di finanziamento per la formazione degli adulti. L'attuale redistribuzione delle risorse del FSE nei nuovi Stati membri imporrà anche limitazioni in altre regioni.

5.3

Il Comitato si compiace che le parti sociali europee e le organizzazioni non governative, dopo aver partecipato al processo di consultazione (punto 1.1 del piano d'azione) nella fase preparatoria, possano partecipare anche all'attuazione del piano d'azione, apportando le proprie conoscenze specialistiche. Il CESE sottolinea che è importante adoperarsi affinché vengano assicurate agli operatori del settore delle condizioni di lavoro dignitose e agli adulti discenti delle condizioni di apprendimento dignitose e tali da consentire l'accesso a tutti, nonché la garanzia dei loro diritti in quanto utenti, indipendentemente dal fatto che i costi di tali servizi siano a loro carico o no.

5.4

Per gli ulteriori lavori relativi al piano d'azione, il Comitato raccomanda di coinvolgere le diverse direzioni generali della Commissione europea e gli organismi europei competenti. Questa cooperazione favorirebbe la coerenza, al livello delle politiche, tra gli obiettivi e le azioni delle singole direzioni generali.

5.5

Il Comitato si compiace che nelle consultazioni siano state coinvolte anche le organizzazioni internazionali (punto 1.1 del piano d'azione). A questo proposito raccomanda alla Commissione europea di predisporre, come prossima tappa, in cooperazione con le direzioni generali competenti, un piano d'azione internazionale complementare a favore dell'educazione degli adulti.

5.6

Il Comitato chiede che, nel definire le norme per una buona governance (punto 2.2 del piano d'azione) degli organismi di formazione per adulti, venga lasciato spazio sufficiente alla diversità e alla molteplicità, in modo che anche gli organismi più piccoli senza scopo di lucro che presentano un grande «valore aggiunto» culturale e utilizzano metodi di lavoro innovativi abbiano l'opportunità di ricevere dei finanziamenti.

5.7

Il Comitato reputa che centri locali di apprendimento multifunzionali e dotati di strumenti moderni siano essenziali per una buona governance (punto 2.2 del piano d'azione).

5.7.1

Si rallegra dell'accenno introduttivo ai «partenariati» utili (punto 2) a livello locale e regionale; si rammarica tuttavia della mancanza di raccomandazioni concrete circa la necessità di coordinamento nel potenziamento sistematico dell'educazione degli adulti a livello territoriale. A tale proposito il Comitato rammenta, come modello esemplare, il movimento europeo delle città e regioni che apprendono (17).

5.7.2

Il Comitato raccomanda che nel quadro del piano d'azione si presti maggiore attenzione anche alla costruzione, in tutte le regioni europee, di nuovi centri di apprendimento per tutti gli adulti, con un'impostazione strategica per l'avvenire, capaci di esercitare un forte richiamo e vicini ai luoghi di residenza. Una parte considerevole della formazione degli adulti dipende ancora dal duplice uso di locali costruiti, in realtà, per altri scopi e disponibili solo per un tempo limitato.

5.7.3

Il Comitato deplora che non siano state prese espressamente in considerazione le università popolari provviste di studentati (Heimvolkshochschulen); sul piano didattico-metodologico esse sono infatti dei fari nel campo dell'educazione degli adulti in Europa. Con i loro pensionati esse sono importanti luoghi d'incontro per docenti e discenti mobili provenienti da tutta Europa. Nell'ultimo decennio essi lamentano però un ingente calo dei finanziamenti e in questi ultimi anni numerosi istituti — anche di fama europea — sono stati chiusi.

5.8

Il Comitato osserva che si dovrebbe riflettere meglio sulle opportunità e i problemi delle nuove tecnologie della comunicazione nel quadro dell'attuazione del piano d'azione, tenendone maggiormente conto nel piano d'azione stesso. L'impossibilità di accedere alle tecnologie dell'informazione è un altro fattore di esclusione sociale che acquista un'importanza sempre maggiore. In Europa, ad esempio, il 46 % dei nuclei familiari non dispone di un accesso ad Internet (18) e il 40 % delle persone dichiara di non possedere competenze di alcun genere nell'uso di Internet (19). Per quanto riguarda un'ulteriore offerta di programmi di formazione accessibili gratuitamente su Internet e destinati a tutti gli adulti, non si registrano ancora grandi progressi; al medesimo tempo, però, già si discute di brevetti per i modelli di insegnamento e se ne richiede il rilascio (20).

5.9

Il Comitato riconosce che i datori di lavoro sono responsabili di gran parte delle attività di formazione destinate agli adulti (punto 2.2 del piano d'azione). Anche i sindacati, però, promuovono l'educazione degli adulti, ad esempio organizzando corsi locali e transnazionali presso le proprie organizzazioni o fornendo servizi di orientamento e assistenza motivanti in materia di formazione nelle imprese. È importante che il piano d'azione abbia cura di creare un equilibrio tra le misure formative e di garantire condizioni d'accesso equo per tutti i discenti.

5.10

Il Comitato giudica importante il principio secondo cui, anche quando gli organismi percepiscano un finanziamento statale di base o legato a determinati progetti, non debbano venir compromessi né la libertà degli operatori del settore di stabilire autonomamente i piani di studi e i programmi, né il loro diritto di scegliere liberamente il personale, fermo restando che devono essere rispettate determinate norme di qualità e di efficienza.

5.11

Il Comitato reputa altresì importante l'affermazione secondo cui al centro di una buona governance dovrebbero esserci i discenti e il fatto che vengano raccomandati «stretti rapporti con (…) le [loro] organizzazioni». Ritiene tuttavia che nel settore dell'educazione degli adulti questo non sia sufficiente.

5.11.1

Il Comitato deplora la mancanza di affermazioni chiare in merito al coinvolgimento dei discenti adulti e delle loro organizzazioni rappresentative nel settore della formazione degli adulti. Nella maggior parte dei paesi europei i diritti democratici dei giovani studenti delle scuole e delle università appartenenti al sistema di istruzione formale sono stati finora garantiti decisamente meglio, sul piano giuridico, di quelli dei discenti che seguono una formazione per adulti.

5.11.2

Il CESE propone di mettere al centro delle valutazioni il giudizio personale dei discenti. In particolare, i modelli di miglioramento della qualità orientati alla domanda e agli studenti dovrebbero formare oggetto di scambi e avere la priorità rispetto all'applicazione di nuove misure statali per il «controllo» della qualità degli operatori del settore (21).

5.11.3

Il Comitato propone di riflettere in modo particolare anche sulla tutela dei diritti degli utenti adulti («consumatori») dei servizi di formazione offerti a pagamento. È altresì necessario definire i loro diritti, ad esempio in caso di necessità di interrompere il corso, di rinuncia qualora il corso non sia di gradimento, di cambiamento di data o di annullamento del corso. Potrebbero servire da modello le raccomandazioni relative ai diritti dei passeggeri in Europa.

5.12

Il Comitato conferma che gli Stati membri e la Commissione dovrebbero prestare un'attenzione maggiore alla formazione di base e al perfezionamento professionale, nonché allo status e al trattamento economico del «personale coinvolto nell'educazione degli adulti» (punto 3.2 del piano d'azione).

5.12.1

Il Comitato riconosce che l'educazione degli adulti, ponendo al centro i discenti, necessita di personale altamente flessibile; chiede però che gli elevati requisiti in materia di flessibilità vadano di pari passo con un elevato livello di protezione sociale. Le parti sociali potrebbero adottare iniziative di accompagnamento per ridurre la precarietà dei docenti in questo settore e migliorare i loro diritti di partecipazione.

5.12.2

Il Comitato raccomanda che, nel quadro del miglioramento della professionalità, si tenga conto non solo della capacità di tenere lezioni adeguate agli adulti, ma anche delle competenze specialistiche in determinate materie, dato che il successo dell'apprendimento dipende in modo davvero fondamentale da questo fattore.

5.12.3

Il Comitato raccomanda altresì di analizzare lo status dei volontari socialmente impegnati nel settore dell'educazione degli adulti e di formulare raccomandazioni al riguardo.

5.13

Il Comitato prende atto dell'obiettivo prioritario consistente nell'offrire a quanti più adulti possibile la possibilità di «salire di un gradino» (punto 3.2 del piano d'azione). Ripartire gli individui e i loro obiettivi di apprendimento in base al grado di formazione ha un'utilità limitata nell'istruzione degli adulti, anche se, ovviamente, a livello dei singoli corsi va prestata un'attenzione particolare alla coerenza con le conoscenze preesistenti. Non si può nemmeno garantire che, dopo aver raggiunto un gradino di formazione formale più elevato, i lavoratori ottengano anche un maggiore riconoscimento sociale o addirittura un posto di lavoro. L'elemento stimolante di molti corsi di formazione per adulti, ovvero, in termini economici, il loro «capitale sociale», è piuttosto l'incontro tra studenti completamente diversi tra loro.

5.14

Andrebbe infine specificato quali degli indicatori previsti tengono conto anche della formazione non professionale degli adulti, della disponibilità sul territorio dei servizi considerati e, in misura maggiore di quanto avvenuto finora, anche dell'istruzione e formazione, senza limiti di età, di chi non svolge un'attività lavorativa.

Bruxelles, 13 marzo 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Educazione degli adulti: non è mai troppo tardi per apprendere (COM(2006) 614 def.).

(2)  Con le sue idee democratiche e sociali N. F. S. Grundtvig, pedagogo danese del XIX secolo specializzato nell'educazione degli adulti, ha ispirato la tradizione delle università popolari provviste di internato. Nel 2001 la Commissione ha battezzato con il suo nome il secondo programma di promozione dell'educazione degli adulti, vale a dire l'azione Grundtvig del nuovo programma Socrate 2001-2006.

(3)  SEC(2000) 1832, del 30 ottobre 2000.

(4)  Risoluzione del Consiglio, del 27 giugno 2002, sull'apprendimento permanente, GU C 163 del 9.7.2002.

(5)  Cfr. programma di lavoro dettagliato del Consiglio, del 14 giugno 2002, sul follow-up circa gli obiettivi dei sistemi di istruzione e formazione in Europa, GU C 142 del 14.6.2002.

(6)  Comunicato di Helsinki sul rafforzamento della cooperazione europea in materia di istruzione e formazione professionale (Helsinki, 5 dicembre 2006), consultabile all'indirizzo http://ec.europa.eu/education/policies/2010/doc/helsinkicom_en.pdf (in inglese) e http://ec.europa.eu/education/policies/2010/doc/helsinkicom_fr.pdf (in francese).

(7)  COM(2007) 498 def.

(8)  COM(2005) 596 def. A questo proposito cfr. parere CESE (relatrice: LE NOUAIL), GU C 324 del 30.12.2006.

(9)  COM(2007) 242 def. [SEC(2007) 570].

(10)  COM(2006) 614 def.

(11)  Ibidem.

(12)  COM(2005) 548 def. Cfr. anche il parere del CESE in merito alla comunicazione sulle competenze chiave (relatrice: HERCZOG), GU C 195 del 18.8.2006. Accanto alla conoscenza della propria lingua madre e delle lingue straniere, alle competenze in matematica, scienza e tecnologia e informatica e alla capacità di imparare, sono altrettanto importanti anche le competenze sociali, la competenza civica, lo spirito d'iniziativa, l'imprenditorialità, la consapevolezza culturale e l'espressione culturale.

(13)  A questo proposito cfr. il parere d'iniziativa del CESE, del 15 settembre 2004, sul tema Verso il Settimo programma quadro per la ricerca: Le esigenze di ricerca nel campo dei cambiamenti demograficiQualità di vita degli anziani ed esigenze tecnologiche (relatrice: HEINISCH), GU C 74 del 23.3.2005.

(14)  Cfr. al riguardo il parere CESE, del 10 febbraio 2005, in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma d'azione integrato nel campo dell'apprendimento permanente (relatore: KORYFIDIS), GU C 221 dell'8.9.2005.

(15)  Ibidem.

(16)  COM(2006) 479 def. Cfr. anche il parere CESE, del 30 maggio 2007, in merito alla Proposta di raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio sulla costituzione del Quadro europeo delle qualifiche e dei titoli per l'apprendimento permanente (relatore: RODRIGUEZ GARCÍA-CARO), GU C 175 del 27.7.2007.

(17)  Per consultare esempi al riguardo cfr. Commissione europea, DG Istruzione e cultura (ed.): European Networks to promote the local and regional dimension of lifelong learning (The «R3L initiative») [Reti europee per promuovere la dimensione locale e regionale dell'apprendimento lungo tutto l'arco della vita, l'iniziativa «R3L»], marzo 2003.

(18)  Nuclei familiari che comprendono almeno una persona di età compresa tra i 16 e i 74 anni (Eurostat, situazione all'8.2.2008).

(19)  Fascia di età compresa tra i 16 e i 74 anni, UE-27 (Eurostat, situazione all'8.2.2008).

(20)  A livello politico è fondamentale, tra l'altro, la risoluzione del Consiglio «e-Partecipazione»Sfruttare le possibilità offerte dalla società dell'informazione ai fini dell'inclusione sociale (GU C 292 del 18.10.2001); tuttavia, i risultati delle attività che hanno fatto seguito a tale risoluzione non sono stati valutati ai fini del piano d'azione.

(21)  In Germania vengono incentivati i lavori della fondazione indipendente Stiftung Bildungstest.


9.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 204/95


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il ruolo delle parti sociali nel migliorare la situazione dei giovani sul mercato del lavoro

(2008/C 204/20)

La futura presidenza slovena, in data 19 settembre 2007, ha consultato il Comitato economico e sociale europeo su:

Il ruolo delle parti sociali nel migliorare la situazione dei giovani sul mercato del lavoro

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 febbraio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore SOARES e dalla correlatrice PÄÄRENDSON.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 marzo 2008, nel corso della 443a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 119 voti favorevoli, 1 voto contrario e 2 astensioni.

1.   Sintesi delle proposte del CESE

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) esprime soddisfazione per la priorità che la presidenza slovena (primo semestre del 2008) ha deciso di accordare all'integrazione dei giovani nel mondo del lavoro, che costituisce oggi una delle sfide principali dell'Unione europea.

1.2

Tale priorità è perfettamente conforme agli obiettivi della strategia riveduta di Lisbona per la crescita e l'occupazione, la quale con l'aggiornamento degli Orientamenti per l'occupazione è entrata ormai nel suo secondo ciclo. Con la scelta della piena occupazione come obiettivo strategico, la strategia di Lisbona dava un chiaro segnale della possibilità di conciliare la competitività dell'economia e delle imprese con il benessere dei cittadini, la gratificazione professionale e la garanzia di posti di lavoro di qualità e di condizioni di lavoro dignitose. In questo senso, gli Stati membri dovrebbero affrontare in maniera più sistematica e approfondita le cause della disoccupazione giovanile nei rispettivi piani nazionali di riforma (PNR), tenendo conto del Patto europeo della gioventù.

1.3

Il CESE concorda con l'opinione della Commissione secondo cui per mantenere la crescita e la prosperità in Europa, promuovendo al tempo stesso la coesione sociale e lo sviluppo sostenibile, occorrono il pieno contributo e la partecipazione di tutti i giovani. Bisogna garantire ai giovani condizioni adeguate per l'esercizio della cittadinanza attiva, tanto più che il loro numero va diminuendo rispetto alla popolazione totale.

1.4

I giovani versano oggigiorno in una situazione critica a più livelli, ma in modo particolare per quanto riguarda la loro integrazione sul mercato del lavoro, visto che, stando alle statistiche europee, la disoccupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni (1) supera di 2,4 volte quella delle persone dai 25 ai 54 anni, anche se i dati del 2007 mostrano un lieve miglioramento.

1.5

Il CESE ritiene che il lavoro, oltre a essere un fattore di produzione essenziale per lo sviluppo socioeconomico delle società, sia oggi una delle fonti di dignità e valorizzazione della persona, e che esso offra possibilità di socializzazione.

1.6

L'aspetto essenziale del lavoro nel XXI secolo consiste nella capacità degli individui di apprendere e adattarsi durante tutto l'arco della vita attiva. Il CESE individua due percorsi principali per migliorare la situazione dei giovani sul mercato del lavoro: offrire loro una maggiore e una migliore istruzione, e migliorare la transizione tra la fine del periodo scolastico e l'inserimento definitivo nella vita attiva.

1.7

Il CESE è del tutto consapevole delle complessità di tale compito e raccomanda perciò uno sforzo congiunto di tutta la società in tal senso, tanto più che la nuova generazione è quella che più potrebbe soffrire per le conseguenze di un'evoluzione negativa dei mercati.

1.8

In effetti, i giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni, oltre a far registrare un tasso di disoccupazione superiore al doppio di quello dei lavoratori adulti, sono anche la categoria più colpita dalla precarietà dei rapporti di lavoro. Tale precarietà, che in alcuni paesi interessa oltre il 60 % dei giovani, ha conseguenze profonde sulla loro autonomia, sulle condizioni necessarie per mettere su famiglia, sulle decisioni relative a quando avere figli, come pure sull'espansione e sul finanziamento dei sistemi di sicurezza sociale.

1.9

Se il ruolo delle parti sociali, che sono i principali attori sul mercato del lavoro nella misura in cui ne conoscono il funzionamento e le esigenze, è determinante per individuare percorsi tali da favorire l'integrazione dei giovani nel mondo del lavoro, il CESE ritiene ancora una volta opportuno sottolineare il ruolo fondamentale che spetta anche ai sistemi educativi e di formazione professionale nel dotare i giovani — tenendo conto della loro diversità — delle capacità e competenze necessarie ad affrontare un mondo in costante trasformazione.

1.10

D'altro canto, è solo in cooperazione con i governi nazionali, regionali e locali, con i diversi attori della società civile — con particolare riferimento al ruolo delle organizzazioni dei giovani e delle università in quanto poli di ricerca e di scienza — e con l'appoggio attivo delle famiglie e delle reti sociali allargate dei giovani, che le parti sociali potranno agire ai fini di una migliore integrazione dei giovani nel mercato del lavoro.

1.11

Tenendo in mente il documento congiunto delle parti sociali europee dal titolo Framework of Actions for the Lifelong Development of Competencies and Qualifications  (2) (Quadro di azioni per lo sviluppo di competenze e qualifiche lungo tutto l'arco della vita) e alcune recenti analisi delle principali sfide per i mercati del lavoro, che corroborano gli sforzi della Commissione per rendere i mercati del lavoro al tempo stesso più adattabili e inclusivi, il CESE individua alcuni obiettivi specifici e alcuni ambiti d'intervento rispetto ai quali il ruolo delle parti sociali deve essere più decisivo.

1.12

L'intervento delle parti sociali deve farsi guidare dai seguenti obiettivi fondamentali:

incoraggiare i governi nazionali a realizzare riforme adeguate e a sviluppare politiche nazionali che contribuiscano a migliorare la situazione dei giovani sul mercato del lavoro,

utilizzare tutti i mezzi a disposizione, in particolare i programmi del Fondo sociale europeo (3), per offrire a tutti i giovani la possibilità di realizzarsi attraverso un impiego stabile, qualitativamente adeguato e adeguatamente retribuito, ricorrendo a nuove e più progressive forme di lavoro e di gestione degli orari di lavoro, accompagnate da nuove forme di sicurezza del lavoro, al fine di assicurare una transizione più morbida, una migliore mobilità e un maggiore equilibrio tra vita professionale e privata,

ridurre il periodo di transizione tra la fine degli studi e l'inserimento definitivo nella vita attiva e offrire ai giovani, durante tale periodo transitorio, una prima opportunità lavorativa in una prospettiva di sicurezza per il futuro,

riempire in modo costruttivo i periodi di inattività dei giovani disoccupati o in cerca di prima occupazione,

facilitare l'integrazione delle categorie più vulnerabili di giovani (ad esempio, giovani con problemi sociali, disabili, coloro che hanno abbandonato precocemente gli studi, giovani immigrati, ecc.),

garantire la conciliazione della vita professionale con la vita privata e familiare,

assicurare un equilibrio adeguato tra flessibilità e sicurezza, distinguendo tra coloro che possono optare per la flessibilità perché dispongono della sicurezza e quanti invece sono vittime della flessibilità perché manca loro la sicurezza,

migliorare la sinergia tra imprese, scuole secondarie e università,

incoraggiare lo spirito d'impresa, la creatività e l'innovazione e aiutare i giovani a capire che hanno la responsabilità di continuare ad apprendere; dal canto loro, i poteri pubblici devono farsi carico delle proprie responsabilità nel mantenere rapporti efficaci tra sistema di istruzione e mercato del lavoro,

accrescere la qualità e l'attrattiva dell'apprendimento sul luogo di lavoro (apprendistato),

promuovere misure volte a prevenire la disoccupazione di lunga durata tra i più giovani,

informare i giovani dei loro diritti economici e sociali, e rispettare e far rispettare il principio di parità e di non discriminazione.

1.13

Gli ambiti dell'intervento delle parti sociali, molteplici ed eterogenei, possono essere suddivisi in sette grandi gruppi:

Istruzione e insegnamento: intervenire al livello nazionale, regionale e locale per sensibilizzare le scuole e gli insegnanti all'importanza di un più stretto collegamento con il mondo del lavoro, aprire le imprese e i sindacati alla scuola, promuovere e/o partecipare a iniziative scolastiche con questo obiettivo, come pure istituire partenariati con le scuole per offrire ai giovani esperienze di apprendistato in impresa.

Formazione professionale: partecipare alla concezione e all'organizzazione dei sistemi di formazione professionale, incoraggiare il perfezionamento personale e l'acquisizione di abilità sociali, mettere a punto programmi di promozione dello spirito d'impresa, promuovere e sostenere azioni di formazione che consentano di anticipare le esigenze del mercato in termini di competenze e di qualifiche necessarie, diffondere tra i giovani la conoscenza delle professioni tecniche e del loro potenziale sul piano occupazionale.

Tirocini professionali: offrire tirocini integrati nel percorso scolastico dei giovani, elaborare codici di condotta sulle condizioni di lavoro e forme retributive tali da impedire la concorrenza tra imprese, e definire il concetto del tutoraggio dei giovani tirocinanti e le buone pratiche in materia.

Negoziazione collettiva: integrare i diritti dei giovani — in quanto cittadini a pieno diritto — nel piano di concertazione e di dialogo sociale, negoziare forme di organizzazione del lavoro che offrano ai giovani prospettive di sicurezza nel percorso di transizione verso la vita attiva, creare opportunità per consentire ai giovani lavoratori di proseguire o di completare gli studi.

Associazionismo: collaborare con le organizzazioni dei giovani, promuovere e far conoscere le reti di contatti tra i giovani e il mondo del lavoro, stimolare lo spirito associativo sia nei giovani imprenditori che nei lavoratori all'interno dei rispettivi organismi rappresentativi, riconoscendo le competenze e capacità da loro acquisite attraverso l'istruzione non formale.

Buone pratiche: promuovere lo scambio di buone pratiche, in particolare attraverso la creazione di piattaforme per lo scambio di esperienze, buone pratiche e informazioni su progetti realizzati dalle imprese, dalle università e dalle associazioni imprenditoriali e sindacali.

Mobilità (tanto nell'Unione europea quanto nelle imprese): favorire l'apprendimento di lingue straniere (4), offrire scambi di esperienze professionali basati sul principio di tutela dei diritti dei giovani in quanto lavoratori. Le parti sociali dovranno prestare particolare attenzione alla cooperazione transfrontaliera, ambito in cui la mobilità dei giovani assume maggiore importanza.

1.14

Il CESE, in quanto rappresentante istituzionale europeo della società civile organizzata, e nel quadro delle sue competenze, si ripropone di indire un convegno che veda riuniti i rappresentanti di imprese, sindacati, scuole e ONG della gioventù, con l'obiettivo di agevolare lo scambio delle migliori pratiche e migliorare così l'integrazione dei giovani nel mercato del lavoro.

2.   La situazione attuale

2.1

Data l'attuale situazione dei giovani sul mercato del lavoro, il CESE accoglie con favore l'invito rivoltogli dalla presidenza slovena del Consiglio a elaborare un parere esplorativo sul tema Il ruolo delle parti sociali nel migliorare la situazione dei giovani sul mercato del lavoro.

2.2

Il problema della disoccupazione dei giovani e, più generalmente, quello dell'inserimento dei giovani nella società presentano una rilevanza mondiale (5).

2.3

Un'altra tendenza su scala planetaria delle società industrializzate riguarda l'invecchiamento della popolazione, che tende a ripercuotersi negativamente sulla stabilità, la competitività e la crescita dell'economia. Questo fenomeno si traduce in un aggravio dei costi per i regimi sanitari e pensionistici (6), poiché meno persone partecipano al loro finanziamento (7). Appare dunque necessario non solo trovare misure per promuovere l'«invecchiamento attivo» della popolazione, ma soprattutto stimolare l'accesso dei giovani al mercato del lavoro e prevedere misure di sostegno al rinnovo generazionale, processo — quest'ultimo — al quale i giovani non prendono parte per timore di cadere nel precariato. Si tratta di effettuare uno sforzo congiunto al livello europeo, nazionale, regionale e locale, coinvolgendo il settore pubblico e le parti sociali, in modo da porre la questione giovanile al centro delle politiche economiche, sociali, educative e demografiche.

2.4

Per quanto nell'UE si siano creati sette milioni di posti di lavoro nel periodo 2005-2007, il «ciclo di Lisbona» non è riuscito finora a ridurre la disoccupazione dei giovani. Secondo dati della Commissione, il tasso medio di disoccupazione nei giovani dai 15 ai 24 anni ha raggiunto il 17,4 % nel 2006, il che significa quasi 4,7 milioni di giovani in una situazione instabile dal punto di vista socioprofessionale. In alcuni paesi, il tasso di disoccupazione giovanile ha superato il 25 % (8). Stando all'ultimo rapporto trimestrale del mercato del lavoro dell'UE (Quarterly EU Labour Market Review — autunno 2007), nel terzo trimestre del 2007 il tasso di disoccupazione giovanile è sceso al 15,2 %, ma è pur sempre pari al doppio della disoccupazione totale.

2.5

Inoltre, non avviene di regola che i suddetti 4,7 milioni di giovani disoccupati nell'UE trovino un nuovo lavoro nei primi sei mesi di disoccupazione, il che illustra bene come, nonostante l'adozione nel 2005 del Patto europeo per la gioventù, la strategia di Lisbona non sia ancora riuscita a migliorare la situazione dei giovani sul mercato del lavoro. Una più incisiva applicazione sul terreno del Patto europeo per la gioventù assume così maggiore importanza.

2.6

Nondimeno, le tendenze in materia di occupazione e disoccupazione giovanile variano da uno Stato membro all'altro (9). Infatti, se è vero che i Paesi Bassi, l'Irlanda e la Danimarca sono riusciti a portare la disoccupazione giovanile al di sotto del 10 %, in altri paesi come la Francia, l'Italia, la Spagna, la Grecia, il Belgio, la Polonia, la Slovacchia e persino la Svezia i tassi di disoccupazione si mantengono intorno al 20 % (10).

2.7

La possibilità che la disoccupazione giovanile si trasformi in disoccupazione di lunga durata o persino in inattività è molto elevata (circa un terzo dei disoccupati di lunga durata sono giovani) (11), in particolare per le donne, e la situazione tende ad aggravarsi con l'aumentare dell'età.

2.7.1

Non sorprende che i giovani che hanno abbandonato precocemente la scuola (uno su sei) o che non hanno concluso gli studi secondari (un giovane su quattro nella fascia d'età 25-29 anni (12)) abbiano più difficoltà a trovare lavoro rispetto ai giovani più qualificati.

2.7.2

Ciò che invece sorprende è che giovani con un elevato livello di qualifiche e competenze abbiano difficoltà a trovare lavoro. In alcuni Stati membri, il tasso di disoccupazione appare più elevato tra i giovani con i più alti livelli d'istruzione che tra quelli con un livello basso o intermedio (13). La realtà è che a un livello d'istruzione più elevato di quello delle generazioni precedenti corrisponde oggi un più difficile inserimento nel mercato del lavoro. A questo proposito è importante sottolineare che se un diploma resta pur sempre uno strumento prezioso per combattere la disoccupazione, è altrettanto vero che averne uno al giorno d'oggi non offre alcun tipo di garanzia.

2.7.3

Il divario tra qualifiche possedute e mansioni svolte riguarda un gran numero di giovani (negli Stati membri, le percentuali di giovani fino ai 35 anni che lavorano in un settore diverso dal proprio ambito di studi vanno dal 29 % al 47 %), e la situazione appare tanto più preoccupante quanto più basso è il livello d'istruzione raggiunto.

2.8

Tale situazione favorisce inoltre la partenza di numerosi giovani verso altri paesi che offrono loro migliori condizioni in termini di lavoro, retribuzioni da quattro a cinque volte superiori, carriere più interessanti e maggiori possibilità di realizzazione personale (14).

2.9

Molti dei giovani che trovano lavoro vivono una situazione di grande incertezza per la precarietà della loro occupazione. Il 41 % dei giovani tra i 15 e i 24 anni (15) lavora con contratti a termine, e in alcuni paesi questa percentuale supera il 60 % (16). Se è vero che, in molti casi, si tratta di una precisa scelta da parte di giovani in cerca di un'occupazione di breve durata, significativo è il numero di quelli (uno su quattro) che non hanno scelto di trovarsi in tale situazione (17).

2.10

È il gruppo dei giovani lavoratori, inoltre, che fa registrare il maggior numero di infortuni e di lesioni sul lavoro (18): pertanto, nell'analizzare la situazione lavorativa dei giovani è anche opportuno tenere conto delle condizioni di igiene e di sicurezza nel luogo di lavoro.

2.11

Le giovani donne sono le maggiori vittime della disoccupazione (19), ed è più probabile che esse occupino posti di lavoro di bassa qualità, precari e mal retribuiti, malgrado in generale presentino livelli di scolarità superiori a quello dei giovani di sesso maschile. Inoltre, sono discriminate sessualmente, specie quando sono in età di procreare. Le giovani donne dell'UE guadagnano in media il 6 % in meno degli uomini di età inferiore a 30 anni (20).

2.12

Ancora troppo frequenti sono le situazioni di esclusione o di povertà di cui sono vittime i giovani per via delle loro basse retribuzioni (fenomeno — questo — che interessa il 40 % dei giovani) (21).

2.13

Numerosi giovani vivono oggi situazioni che rappresentano un regresso ai fini della loro integrazione sociale e, soprattutto, ai fini dell'affermazione della loro autonomia individuale e sociale. Tali situazioni possono riassumersi nelle seguenti caratteristiche:

una sempre maggiore dipendenza finanziaria dalla famiglia e/o dallo Stato,

una coabitazione sempre più lunga con i genitori o lo svilupparsi di situazioni intermedie (doppia residenza, ritorno dopo una prima partenza o, ancora, residenza esterna ma strettamente legata alla casa paterna),

la creazione sempre più tardiva di una vita familiare propria (matrimonio o convivenza, decisioni sull'opportunità di avere figli, ecc.),

una manifesta frustrazione e un aggravamento dello stress dovuto a un sentimento di impotenza (aumento dei suicidi e consumo di stupefacenti).

3.   Il lavoro come fattore di dignità individuale e collettiva

3.1

Oltre a essere uno dei fattori essenziali dello sviluppo economico della società in generale, il lavoro ingloba una serie di aspetti le cui radici affondano nella Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. In tale contesto, il diritto dei giovani all'occupazione e alla sicurezza del posto di lavoro deve essere visto come diritto universale e come strumento con cui l'individuo costruisce il proprio futuro.

3.2

Occorre quindi (ri)affermare la centralità del lavoro nella società, analizzandone alcune delle componenti attuali, e cioè:

il lavoro dignitoso in quanto fonte di reddito per vivere oggi e in futuro e come elemento della solidarietà tra le generazioni,

il lavoro come diritto universale e come ambito capace di conferire dignità e valore all'individuo,

il lavoro come fattore di produzione,

il lavoro come elemento di cittadinanza attiva e attività socialmente utile,

il lavoro come fattore essenziale di socializzazione,

il lavoro come espressione delle qualifiche e della creatività personali,

il lavoro come condizione per accedere ai vari modelli di consumo e stili di vita,

il lavoro come attività umana che si adatta e assume valore in una società dove cresce l'attenzione rivolta all'ambiente e ai valori ecologici,

il lavoro come spazio di conoscenza e sviluppo del sé, e di realizzazione personale.

3.3

Ci troviamo oggi di fronte a nuove forme di lavoro che sono il frutto di profonde trasformazioni nel mondo del lavoro e che non necessariamente tengono conto di aspetti sociali importanti o forniscono le indispensabili garanzie giuridiche.

3.4

La precarietà delle relazioni di lavoro dei giovani, come pure la mancanza di regolamentazione dei ritmi e degli orari di lavoro, sono fattori che complicano la conciliazione tra vita professionale, vita privata e vita familiare. In tale contesto, i giovani sono particolarmente penalizzati poiché spesso sono costretti a rinunciare a una carriera professionale gratificante. I giovani genitori dovrebbero essere consultati in special modo sulla creazione di strutture di assistenza alla prima infanzia.

3.5

I giovani possono dare un contributo considerevole alla costruzione di una società della conoscenza più coesa e democratica. Essi tuttavia esigono prospettive di vita che vadano al di là dell'immediato futuro e siano all'insegna della sicurezza individuale, familiare e collettiva.

4.   L'istruzione e la formazione: fattori essenziali per l'integrazione nel mercato del lavoro e per un'integrazione e un coinvolgimento efficace nella società

4.1

Nel proprio parere sul tema L'occupazione per le categorie prioritarie (strategia di Lisbona) (22), il CESE ha ribadito l'importanza dell'istruzione e della formazione, affermando in particolare la necessità di:

«garantire qualifiche di elevata qualità dalla formazione iniziale fino alla formazione professionale e continua, che consentano di accedere il più agevolmente possibile al mercato del lavoro e di rimanervi in pianta stabile. A questo proposito la responsabilità non è solo del settore pubblico, ma anche dello stesso sistema economico,

fornire un sostegno precoce e attivo ai giovani in cerca di tirocinio o occupazione (possibilmente già dopo 4 mesi), programmi specifici rafforzati nonché formazioni individuali e coaching per l'inserimento di categorie svantaggiate, come i giovani disoccupati di lungo periodo e coloro che abbandonano prematuramente gli studi o le azioni di formazione, ad esempio attraverso progetti occupazionali e iniziative di formazione di interesse generale,

sviluppare una rete capillare di servizi facilmente accessibili di orientamento professionale e di informazione per i giovani a tutti i livelli di formazione, e migliorare in misura corrispondente gli uffici di collocamento sul piano della qualità e delle risorse umane,

ridurre il divario esistente tra qualifiche offerte e qualifiche richieste sul mercato del lavoro; aumentare l'efficienza dell'insegnamento primario (tra l'altro, riducendo il tasso di abbandoni scolastici (23) e combattendo l'analfabetismo) e la permeabilità tra insegnamento professionale e formazione continua; ridurre la segregazione tra i sessi nel quadro dell'orientamento professionale».

4.2

La scuola deve continuare ad avere come principale missione la formazione di cittadini liberi, dotati di spirito critico e autonomi. Ciò detto, essa deve anche trovare nuove forme di intervento, soprattutto per quanto riguarda il collegamento con il mondo del lavoro e delle imprese, dal quale è in genere distante. Questo collegamento è oggi praticamente imprescindibile per rendere più riuscita la transizione tra scuola e lavoro.

4.3

D'altro canto, avere le competenze per far fronte ai cambiamenti comporta che lo spirito d'impresa e d'iniziativa figuri chiaramente fra i compiti della scuola in quanto fonte di responsabilizzazione, anche personale, per consentire ai giovani di cercare soluzioni ai problemi che inevitabilmente incontreranno una volta terminati gli studi. È evidente che anche il sistema di istruzione non formale può dare un contributo a tal fine.

4.4

La formazione continua assume anche per i giovani un'importanza maggiore nella misura in cui può fornire loro gli strumenti necessari per adeguarsi alle nuove circostanze e acquisire nuove competenze e qualifiche.

4.5

Anche i modelli di formazione professionale possono essere innovati: in alcuni paesi è possibile trovare esperienze di inserimento nel mercato del lavoro attraverso tirocini in impresa. Anche in questo caso è importante concepire modelli che siano attraenti per i giovani e accettabili da parte loro e delle rispettive famiglie in quanto fonte di valorizzazione (24).

4.6

Nel quadro specifico delle azioni personalizzate di mediazione al lavoro (job coaching) per giovani disoccupati di lunga durata, si può citare un progetto austriaco che ha permesso di ridurre del 43,5 % il tasso di disoccupazione giovanile di lunga durata di un determinato gruppo bersaglio (25). Dei 2.000 giovani che hanno preso parte al progetto, 820 hanno trovato lavoro e 293 hanno partecipato a formazioni in impresa come apprendisti, il che corrisponde a una percentuale di successo del 60 % (26).

4.7

D'altro canto, le politiche e i programmi europei di ricerca dovrebbero coordinare gli sforzi profusi al livello nazionale ed europeo nel campo dell'istruzione, tanto quella di base quanto la formazione professionale/specifica.

5.   Il ruolo delle parti sociali

5.1

Le politiche relative ai giovani necessitano di un'impostazione integrata. In questo senso, la Commissione europea ha elaborato una comunicazione dal titolo Favorire il pieno coinvolgimento dei giovani nell'istruzione, nell'occupazione e nella società, su cui il Comitato si è espresso favorevolmente (27). Analogamente, la Commissione ha insistito sulla necessità di fare buon uso del Fondo sociale europeo, il cui regolamento prevede espressamente il finanziamento di azioni per migliorare l'integrazione dei giovani nel mercato del lavoro (28).

5.2

L'obiettivo di migliorare l'integrazione dei giovani nel mercato del lavoro deve essere concepito come una responsabilità collettiva che richiede il coinvolgimento di tutta la società: cioè non solo delle parti sociali, ma anche di altri attori quali le autorità pubbliche, i governi nazionali, regionali e locali, le famiglie e le organizzazioni dei giovani.

5.3

Nel caso specifico dell'inserimento dei giovani nel mercato del lavoro, appare decisivo il ruolo delle parti sociali: sono loro, infatti, che conoscono il funzionamento e le esigenze del mercato, come pure lo scarto tra tali esigenze e la forza lavoro disponibile, e sono sempre loro che conoscono e vivono in prima persona i problemi derivanti dall'evoluzione dello stesso mercato e delle nuove forme di organizzazione del lavoro.

5.4

Le parti sociali dovrebbero intensificare gli sforzi a favore dell'occupazione giovanile. A tal fine dovrebbero rafforzare e sviluppare ulteriormente la cooperazione con le organizzazioni rappresentative dei giovani e gli istituti di insegnamento, indicare le qualifiche necessarie nel mercato del lavoro in quel momento, individuare le competenze necessarie per determinati posti di lavoro, unire gli sforzi in vista della creazione di nuovi impieghi per i giovani, avere il coraggio di puntare sulle loro capacità senza chiedere loro di avere esperienza prima ancora che abbiano cominciato, ecc.

5.5

Il coinvolgimento delle parti sociali ha, tra gli altri, i seguenti obiettivi specifici:

fare leva sui governi nazionali affinché realizzino riforme adeguate e mettano a punto politiche nazionali tali da contribuire al miglioramento della situazione dei giovani sui mercati del lavoro,

garantire a tutti i giovani la possibilità di una realizzazione personale attraverso un'occupazione stabile e qualitativamente adeguata,

ridurre il periodo di transizione tra la fine degli studi e l'inserimento definitivo nella vita attiva,

offrire ai giovani, durante tale periodo transitorio, una prospettiva di sicurezza per il futuro,

riempire in modo costruttivo i periodi di inattività dei giovani disoccupati o in cerca di prima occupazione,

facilitare l'integrazione delle categorie più vulnerabili di giovani, in particolare quelli che abbandonano precocemente gli studi,

garantire la conciliazione della vita professionale con la vita privata e familiare,

garantire un equilibrio adeguato tra flessibilità e sicurezza.

Esso copre inoltre diversi ambiti, per ognuno dei quali si indicano qui di seguito i possibili tipi di intervento.

5.5.1   Istruzione e insegnamento:

sensibilizzare le autorità scolastiche, le scuole e i docenti alla necessità di un più stretto collegamento con il mondo del lavoro,

promuovere, a livello locale, un insieme di iniziative organizzate dalle scuole o dalle imprese e dai sindacati che permettano ai giovani di entrare in contatto con la realtà del mondo lavorativo,

creare partenariati con le scuole in modo da offrire ai giovani periodi di tirocinio in impresa,

incoraggiare la creatività e lo spirito d'impresa in collaborazione con tutti gli interessati (compreso il mondo imprenditoriale e sindacale) (29),

informare gli istituti d'istruzione superiore sulle necessità dell'occupazione locale e alle relative esigenze in termini di formazione e qualificazione,

coinvolgere le associazioni giovanili rilevanti a tutti i livelli nel dialogo sull'integrazione dei giovani nel mercato del lavoro.

5.5.2   Formazione professionale:

partecipare attivamente alla concezione e all'organizzazione dei sistemi di formazione professionale per venire incontro al fabbisogno di nuove competenze e nuovi saperi e anticipare così le necessità inerenti alla formazione continua,

contemplare, al livello della contrattazione collettiva, la conclusione di accordi generali su scala regionale e/o locale in materia di formazione professionale e continua e, di conseguenza, garantire che i sistemi fiscali degli Stati membri sostengano gli investimenti in capitale umano effettuati,

diffondere tra i giovani la conoscenza delle professioni tecniche e del loro potenziale sul mercato del lavoro,

contribuire all'applicazione e alla valutazione del Quadro europeo delle qualifiche (30), in maniera tale da agevolare il riconoscimento delle qualifiche dei giovani e la loro mobilità in Europa.

5.5.3   Tirocini professionali:

offrire tirocini integrati nel percorso scolastico dei giovani, che consentano un primo contatto tra questi ultimi, da un lato, e l'impresa e i lavoratori, dall'altro,

elaborare codici di condotta sulla qualità e sulle condizioni di lavoro e di retribuzione dei tirocinanti, e concludere accordi collettivi a tale scopo,

istituire la figura del collega tutore con il compito di assistere i giovani tirocinanti, in modo da rendere i tirocini dei veri e propri progetti formativi, e contribuire alla definizione di codici di buone pratiche di tutoraggio nei diversi settori.

5.5.4   Contrattazione collettiva e diritti dei giovani:

tenere conto — nel quadro della contrattazione collettiva su scala europea, nazionale, regionale, locale o interna all'impresa — della necessità di definire strategie concrete volte a sostenere l'integrazione dei giovani nel mercato del lavoro e di informare questi ultimi dei loro diritti,

nel quadro del dibattito sull'organizzazione del lavoro e delle modalità che possono essere negoziate e formare oggetto di contratti, rivolgere particolare attenzione ai giovani lavoratori, in modo tale che la flessibilità sia disciplinata da regole concertate tali da garantire loro la necessaria sicurezza. La prospettiva della sicurezza nel percorso di transizione dei giovani verso la vita attiva può e deve essere prevista al livello della contrattazione collettiva,

nell'ambito della contrattazione collettiva, contribuire a negoziare condizioni di lavoro per gli studenti, che prevedano orari di lavoro flessibili, una retribuzione adeguata, in particolare per i tirocini, e tempo per la formazione,

nello stesso ambito, prevedere la possibilità di conciliare la vita professionale con quella privata, in particolare al livello delle condizioni e degli orari di lavoro.

5.5.5   Associazionismo:

svolgere un ruolo di primo piano nel sostenere l'associazionismo giovanile, sia favorendo la creazione di associazioni di giovani imprenditori sia integrando i lavoratori nelle loro organizzazioni di categoria,

promuovere, diffondere e sostenere reti che consentano la comunicazione tra i giovani e le diverse parti sociali (31),

collaborare con le organizzazioni dei giovani per comprendere le preoccupazioni e le aspirazioni di questi ultimi e per partecipare alla ricerca di soluzioni, specie per quanto riguarda il mercato del lavoro,

riconoscere le competenze e le capacità acquisite attraverso l'istruzione non formale nelle organizzazioni dei giovani come elemento importante delle qualifiche necessarie all'ingresso nel mercato del lavoro.

5.5.6   Buone pratiche:

creare piattaforme nazionali ed europee per lo scambio di informazioni sulle buone pratiche (32) su progetti realizzati da imprese, università, scuole, enti locali e regionali, associazioni imprenditoriali e sindacati.

5.5.7   Mobilità:

sostenere la mobilità nell'Unione europea e nelle imprese presenti in vari paesi europei, informare i giovani sui loro diritti in materia di mobilità intracomunitaria e, in questo ambito, favorire l'apprendimento di lingue straniere e offrire scambi di esperienze professionali basati sul principio di tutela dei diritti dei lavoratori (33).

Bruxelles, 12 marzo 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  È opportuno tenere conto del fatto che in alcuni Stati membri l'età minima per poter lavorare è 15 anni.

(2)  Disponibile all'indirizzo Internet http://www.etuc.org/IMG/pdf/Fram_of_actions_LLL_evaluation_report_FINAL_2006.pdf (solo in EN).

Sul dialogo sociale europeo in tale ambito, v. anche http://ec.europa.eu/employment_social/dsw/dspMain.do?lang=en.

(3)  Cfr.

i seguenti siti: http://ec.europa.eu/employment_social/social_dialogue/docs/lf_070227_donnelly.pps e

http://ec.europa.eu/employment_social/esf/fields/education_en.htm. Un'esauriente scheda informativa sarà presto disponibile al seguente sito: http://ec.europa.eu/employment_social/esf/fields/partnership_en.htm.

(4)  Cfr. il parere del CESE del 26 ottobre 2006 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni: Un nuovo quadro strategico per il multilinguismo, relatrice: LE NOUAIL MARLIÈRE (GU C 324 del 30.12.2006, pag. 68).

http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2006:324:0068:0073:EN:PDF

(5)  Mettendo a confronto l'Europa con alcuni altri paesi industrializzati, nel 2006 l'occupazione dei giovani dai 15 ai 24 anni era del 35,9 % nell'UE a fronte del 54,2 % negli Stati Uniti, del 58,7 % in Canada e del 41,4 % in Giappone.

(6)  Il finanziamento dei regimi di sicurezza sociale costituirà una sfida particolarmente importante nei prossimi 25 anni, quando 20 milioni di persone usciranno dal mercato del lavoro dell'UE.

(7)  In Europa si passerà da un rapporto di 4 persone in età lavorativa per 1 anziano, nel 2004, a un rapporto di 2 a 1. A partire dal 2015, la diminuzione della popolazione attiva costituirà un ostacolo alla potenziale crescita economica dell'Unione, che passerà dall'attuale tasso del 2,6 % nella zona euro e del 2,9 % nell'UE a 27 ad appena l'1,25 % nel 2040. Tale impatto sarà ancora più percettibile nei nuovi Stati membri.

(8)  Studio Eurostat sulla forza lavoro in Europa, in Employment in Europe 2007, Commissione europea.

(9)  Il CESE è conscio del fatto che il tasso di disoccupazione giovanile non è sufficiente, di per sé, ad avere un quadro completo della situazione dei giovani sul mercato del lavoro. Qualsiasi analisi deve tenere conto anche del rapporto giovani disoccupati/popolazione giovanile totale e di un raffronto tra il tasso di disoccupazione giovanile e quello complessivo in un paese particolare. Le cifre citate al punto 2.6 hanno scopo puramente illustrativo. Per una discussione più approfondita sul problema, cfr. la relazione Employment In Europe 2007.

(10)  Economic Outlook, autunno 2007, Businesseurope, pag. 14.

(11)  Studio Eurostat sulla forza lavoro in Europa, in Employment in Europe 2007, Commissione europea.

(12)  Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniFavorire il pieno coinvolgimento dei giovani nell'istruzione, nell'occupazione e nella società (COM(2007) 498 def.).

(13)  Documento di lavoro della Commissione che accompagna la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniFavorire il pieno coinvolgimento dei giovani nell'istruzione, nell'occupazione e nella società (SEC(2007) 1093).

(14)  Si consideri, a titolo di esempio, che negli Stati Uniti vivono circa 400 000 cittadini europei con formazione in discipline scientifiche e tecnologiche e che quasi il 10 % degli 1,45 milioni di persone che hanno conseguito un dottorato negli USA ha studiato nell'UE.

(15)  È opportuno tenere conto del fatto che in alcuni Stati membri l'età minima per poter lavorare è 15 anni.

(16)  Studio Eurostat sulla forza lavoro in Europa.

(17)  Id.

(18)  Cfr. il progetto di parere del CESE sul tema Salute e sicurezza nel mercato del lavoro (trad. provv.), relatrice: CSER (SOC/258).

(19)  Il tasso di occupazione femminile è del 15 % inferiore a quello maschile.

(20)  Cfr. il parere CESE in fase di elaborazione sulla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniCombattere il divario di retribuzione tra donne e uomini (SOC/284).

(21)  Documento di lavoro della Commissione che accompagna la Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniFavorire il pieno coinvolgimento dei giovani nell'istruzione, nell'occupazione e nella società (SEC(2007) 1093).

(22)  Parere del CESE del 12 luglio 2007 sul tema L'occupazione per le categorie prioritarie (strategia di Lisbona), relatore: GREIF (GU C 256 del 27.10.2007, pagg. 93-101).

http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2007:256:0093:0101:EN:PDF

(23)  Nell'UE quasi il 16 % dei giovani abbandonano gli studi, il che mostra uno scarto notevole rispetto al 10 % registrato nel 2000. Il numero di abbandoni scolastici varia da uno Stato membro all'altro ed è particolarmente elevato nei paesi mediterranei, mentre lo è meno nei paesi scandinavi e in alcuni paesi dell'Europa centrorientale.

(24)  Cfr, ad esempio, i progetti francesi di promozione delle discipline tecnico-scientifiche tra i giovani (http://halde-prod.gaya.fr/repertoire-bonnes-pratiques-initiatives-86/consulter-90/bonne-pratique-91/scientifiques-techniques-9109.html), di «passaporto per l'occupazione» (http://halde-prod.gaya.fr/repertoire-bonnes-pratiques-initiatives-86/consulter-90/initiatives-92/autres-95/emploi-pour-9154.html?var_recherche=d %E9favoris %E9s), di «pedagogia attraverso l'azione» della Scuola superiore di commercio di Digione (http://halde-prod.gaya.fr/repertoire-bonnes-pratiques-initiatives-86/consulter-90/bonne-pratique-91/action-ecole-9207.html), di Forum dell'occupazione volti a facilitare il collegamento tra le imprese e i giovani laureati provenienti da aree svantaggiate (http://halde-prod.gaya.fr/repertoire-bonnes-pratiques-initiatives-86/consulter-90/initiatives-92/autres-95/emploi-pour-9192.html), o i progetti austriaci di mediazione occupazionale per i disoccupati di lungo periodo (http://portal.wko.at/wk/format_detail.wk?AngID=1&StID=314163&DstID=0, o http://portal.wko.at/wk/sn_detail.wk?AngID=1&DocID=729805&StID=345901).

(25)  http://portal.wko.at/wk/format_detail.wk?AngID=1&StID=314163&DstID=0.

(26)  http://portal.wko.at/wk/sn_detail.wk?AngID=1&DocID=729805&StID=345901.

(27)  Cfr. il parere emesso dal CESE su tale comunicazione il 17 gennaio 2008, relatore: TRANTINA.

(28)  Cfr. la nota 3 a piè di pagina.

(29)  Cfr., al riguardo, il parere del CESE del 25 ottobre 2007 sul tema Spirito imprenditoriale e agenda di Lisbona (CESE 892/2007, parere d'iniziativa), di cui è stata relatrice SHARMA e correlatore OLSSON (GU C 44 del 16.2.2008, pag. 84). http://eur-lex.europa.eu/LexUriServ/LexUriServ.do?uri=OJ:C:2008:044:0084:0090:PT:PDF.

(30)  Cfr. la Proposta di raccomandazione del Parlamento europeo e del Consiglio sulla costituzione del Quadro europeo delle Qualifiche e dei Titoli per l'apprendimento permanente (COM(2006) 479 def.).

(31)  Si considerino, ad esempio, i casi della Confederazione europea dei giovani imprenditori (http://www.jadenet.org/), JA-YE Europe (Junior Achievement Young Enterprise — http://www.ja-ye.org/Main/Default.aspx?Template=TTitle.ascx) e l'iniziativa Starpro di Eurocadres per studenti e giovani laureati (http://www.eurocadres.org/en/p_ms_in_europe/students_and_young_graduates).

(32)  Un esempio di buona pratica è il lancio, da parte di Businesseurope e dei suoi partner, di un laboratorio dal titolo «Stimolare lo spirito d'impresa e promuovere la formazione in imprenditorialità». Tale laboratorio non solo fornisce esempi di buone pratiche esistenti in questo ambito in Europa, ma contribuisce altresì agli obiettivi fissati nella strategia per la crescita e l'occupazione e nella comunicazione della Commissione europea Stimolare lo spirito imprenditoriale attraverso l'istruzione e l'apprendimento e nelle sue raccomandazioni di Oslo.

(33)  Le parti sociali si sono sempre espresse favorevolmente sui principi dei programmi Erasmus ed Erasmus Mundus, come pure sull'iniziativa della Commissione europea Erasmus per i giovani imprenditori.


9.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 204/103


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Garantire l'accesso universale alle cure di lunga durata e la sostenibilità finanziaria dei sistemi di cura di lunga durata per gli anziani (parere esplorativo)

(2008/C 204/21)

Con lettera del 19 settembre 2007 la futura presidenza slovena dell'Unione europea ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo, conformemente all'art. 262 del Trattato CE, di elaborare un parere esplorativo sul tema:

Garantire l'accesso universale alle cure di lunga durata e la sostenibilità finanziaria dei sistemi di cura di lunga durata per gli anziani

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 febbraio 2008, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice KLASNIC.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 marzo 2008, nel corso della 443a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 99 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1   Conclusioni

1.1.1

La necessità di essere curati è un rischio che si può presentare nell'arco della vita e le cui conseguenze possono difficilmente essere affrontate dagli individui da soli e che richiede pertanto una responsabilità condivisa e solidale fra le generazioni (1).

1.1.2

La forma che tale responsabilità condivisa assume deve essere determinata in primo luogo a livello nazionale e regionale, tenendo conto dei rispettivi sistemi familiari e fiscali, del contesto occupazionale, della mobilità, della situazione abitativa, della densità di popolazione, delle tradizioni e degli atteggiamenti consolidati.

1.1.3

Dato che però tale problematica non solo si presenta in modo analogo negli Stati membri dell'Unione europea, ma solleva anche questioni transfrontaliere, è ragionevole e necessario trattarla nel quadro delle istituzioni dell'Unione europea. In tale ambito assume un'importanza particolare lo scambio di esperienze, per esempio nel quadro del metodo aperto di coordinamento (MAC), mentre in alcuni casi sono necessarie anche misure legislative.

1.1.4

Come avviene per il sistema sanitario, anche nel campo delle cure di lunga durata gran parte dei costi riguarda gli ultimi anni di vita delle persone. Da quando sono stati concepiti gli attuali sistemi di sicurezza sociale (sistemi sanitari e pensionistici), l'aspettativa di vita si è notevolmente allungata. I nuovi bisogni che ne derivano sollevano difficili questioni di giustizia e solidarietà intergenerazionali che richiedono un lavoro di sensibilizzazione, formazione e informazione, nonché misure politiche (2).

1.1.5

L'obiettivo finale deve essere quello di consentire alle persone anziane e molto anziane in Europa di invecchiare in modo dignitoso e in condizioni di sicurezza anche quando sono bisognosi di cure, senza tuttavia gravare le generazioni future di oneri che non potranno sostenere.

1.2   Raccomandazioni

1.2.1

Il Comitato economico e sociale europeo invita il Consiglio europeo e la Commissione ad affrontare con urgenza, insieme con gli Stati membri, i problemi legati all'invecchiamento della popolazione per garantire a tutti gli anziani il sostegno e la qualità assistenziale di cui hanno bisogno.

1.2.2

Per affrontare le sfide poste dalla problematica delle cure di lunga durata, è necessaria una serie di misure che dovranno anzitutto tener conto dei seguenti aspetti:

 

Finanziamento e sostenibilità dei costi

L'accesso universale ad un'offerta assistenziale di qualità deve essere garantito nella pratica anche alle persone con particolari difficoltà o con un reddito modesto,

si devono mettere a punto sistemi di finanziamento sostenibili che non lascino le persone sole ad affrontare questi rischi, ma che non comportino costi eccessivi né per la società, né per le generazioni successive,

la promozione di misure previdenziali e di prevenzione deve contribuire a contenere il più possibile l'aumento futuro del fabbisogno. Si deve partire da un ampio concetto di previdenza che coniughi aspetti riguardanti la previdenza sanitaria e la sostenibilità finanziaria con aspetti relativi alla previdenza sociale e al rafforzamento dell'autonomia degli anziani nella vita quotidiana,

si deve esaminare la possibilità di creare maggiori incentivi (ad es. fiscali) per la previdenza privata ove ciò appaia necessario per conseguire l'obiettivo d'interesse generale costituito dalla salute pubblica.

 

Offerta assistenziale e di servizi

Si deve garantire lo sviluppo di un'offerta assistenziale orientata ai bisogni e differenziata anche nelle regioni attualmente svantaggiate da questo punto di vista,

le reti familiari e di vicinato esistenti, che attualmente svolgono gran parte del lavoro di assistenza, vanno promosse e rafforzate per esempio attraverso la formazione e il sostegno ai loro membri,

le ONG, le associazioni socioeconomiche e le cooperative andrebbero maggiormente coinvolte nella prestazione di cure e assistenza,

si deve promuovere in modo particolare il lavoro volontario nel settore delle cure non-mediche e dell'assistenza — specie mediante un'apposita formazione dei volontari,

una sana concorrenza fra gli operatori che prestano cure deve aumentare la libertà di scelta per gli interessati e contribuire a sviluppare l'offerta mediante la definizione di determinati standard qualitativi, obiettivi, compiti e capitolato d'oneri nel quadro del regime di previdenza sociale, sotto la responsabilità del legislatore in ciascuno Stato membro, dato che tali prestazioni rientrano nell'ambito dei servizi sociali di interesse generale (3),

le persone anziane e bisognose di cure devono essere maggiormente integrate in reti sociali, anche ai fini della prevenzione contro gli abusi e i maltrattamenti,

si dovrebbero sviluppare modelli di buone pratiche nel campo delle cure palliative nelle case di cura e nella cura a domicilio,

si dovrebbe estendere il lavoro dei centri per le cure palliative ai malati terminali (hospice).

 

Personale di cura e assistenziale

Si devono garantire le risorse umane per la cura e l'assistenza, in particolare mediante una buona formazione degli operatori, migliori condizioni di lavoro e la valorizzazione delle loro professioni,

occorre agevolare il riconoscimento delle qualifiche conseguite all'interno dell'UE,

si invita la Commissione a verificare le regolamentazioni relative agli aspetti transfrontalieri della cura, per es. il diritto a prestazioni assistenziali all'estero o la migrazione di personale di cura,

per eliminare il lavoro nero, devono essere adottate misure per riportare in un quadro legale le prestazioni di cura finora irregolari — tenendo conto della particolarità delle attività assistenziali svolte nelle case di privati.

 

Assistenza e cura in famiglia

Si dovrebbero rafforzare gli incentivi a fornire prestazioni di cura e di assistenza non mediche, sia all'interno della famiglia che come attività di volontariato (4),

occorre mettere a punto strategie e servizi per la demenza e la depressione senile che attualmente rappresentano due dei maggiori problemi per le famiglie e per i sistemi di cura,

si dovrebbe migliorare la conciliabilità tra famiglia e lavoro con misure che sostengano le persone che lavorano e curano i propri familiari e ne rendano meno pesanti i compiti (per es. centri diurni per anziani nelle grandi aziende, offerta di aiuti, assistenza a domicilio).

 

Regolamentazioni, standard e qualità

Occorre definire standard qualitativi per tutti i settori delle cure agli anziani e garantire un effettivo controllo al riguardo mediante organizzazioni o organi di vigilanza indipendenti e istituzioni riconosciute per la protezione dei diritti dell'uomo,

così facendo si deve anche garantire che nelle strutture di cura private come in quelle pubbliche vengano salvaguardati i diritti e la dignità dell'uomo e che la limitata libertà d'azione delle persone bisognose di cure e la loro dipendenza dalle prestazioni non vengano sfruttate a loro svantaggio.

 

Utilizzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione

L'utilizzo delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, della telematica e degli ausili tecnici nel settore della cura e della sorveglianza va promosso tenendo conto degli aspetti etici.

2.   Contesto

2.1

La presidenza slovena del Consiglio dell'Unione vorrebbe proseguire il dibattito europeo sui modi per risolvere i problemi legati ai cambiamenti demografici e dedicherà una particolare attenzione alla solidarietà fra le generazioni. Il rapporto percentuale fra generazioni giovani, di mezza età e anziane sta cambiando. La percentuale delle persone anziane cresce sempre più. In alcuni luoghi l'attuale generazione di giovani è la metà di quella nata dopo la seconda guerra mondiale. Tale situazione solleva una serie di problemi relativi alla solidarietà e alla convivenza fra generazioni. L'attuale stile di vita e la divisione del lavoro (in particolare nelle città) incide sui rapporti fra le generazioni e indebolisce e muta sensibilmente i legami fra di esse. Le diverse generazioni vengono sempre più trattate separatamente e dal punto di vista dei loro diritti acquisiti. Una reazione sbagliata in questo ambito può anche portare ad un conflitto generazionale.

2.2

La presidenza slovena del Consiglio ha in programma una conferenza sulla solidarietà e la convivenza fra generazioni (28-29 aprile 2008) che sarà incentrata sui seguenti temi:

1.

solidarietà fra le generazioni in relazione all'assistenza sanitaria, alla vita familiare e all'edilizia residenziale;

2.

cure di lunga durata per gli anziani.

2.3

È in tale contesto che la presidenza slovena ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di stilare un parere esplorativo sul tema Garantire l'accesso universale alle cure di lunga durata e la sostenibilità finanziaria dei sistemi di cura di lunga durata per gli anziani.

3.   Le cure di lunga durata: una sfida europea

3.1

Il tema delle cure di lunga durata è uno dei problemi cruciali di ordine sociale che tutti gli Stati dell'Unione europea devono affrontare. Deve pertanto figurare anche all'ordine del giorno delle istituzioni europee.

3.2

Le istituzioni europee — ferme restando le competenze nazionali in materia — hanno affrontato il tema in numerose iniziative (5) e, in particolare, hanno promosso lo scambio di esperienze reciproco con il metodo aperto di coordinamento (MAC) (6). Sono sforzi che vanno proseguiti e intensificati, e nel quadro di questo metodo il Comitato insiste sul coinvolgimento delle parti sociali e degli attori della società civile.

3.3

Le relazioni nazionali predisposte dai singoli Stati membri in tale contesto indicano che — nonostante le diverse situazioni di partenza e i diversi contesti — molti dei problemi presentano analogie nella maggior parte dei paesi. È pertanto utile anche lavorare insieme a soluzioni comuni.

3.4

Tali relazioni confermano anche gli obiettivi concordati a livello UE su un accesso universale ai servizi, un'elevata qualità dei servizi e la sostenibilità finanziaria dei sistemi — obiettivi che sono anche alla base del presente parere.

4.   Il contesto demografico e sociale

4.1

Le crescenti sfide nel settore delle cure di lunga durata sono il risultato di sviluppi che aggravano il problema su più fronti.

4.2

Grazie ad un'aspettativa di vita in costante crescita, nelle nostre società il numero degli ultraottantenni aumenta sensibilmente. L'aumento previsto è del 17,1 % fra il 2005 e il 2010, e del 57 % fra il 2010 e il 2030. Nel 2030 gli ultraottantenni saranno pertanto quasi 34,7 milioni contro i 18,8 milioni di oggi. Mentre nel 1975 la percentuale degli ultraottantenni rispetto al totale della popolazione era del 2,0 %, nel 2050 essa sarà pari all'11,8 % (7).

4.3

Nonostante i trend comuni, si riscontrano forti differenze sia all'interno degli Stati membri che fra di essi. L'aspettativa di vita negli Stati membri dell'UE varia da 65,4 a 77,9 anni per gli uomini e da 75,4 a 83,8 per le donne.

4.4

Nel contempo sempre più anziani vivono da soli, perché i loro familiari abitano altrove o perché hanno perso il coniuge. La mobilità promossa in altri ambiti della politica europea e nazionale — anche oltre le frontiere nazionali — pone ulteriori sfide per il settore delle cure e dell'assistenza.

4.5

Con i modesti tassi di natalità (nel 1960 quasi tutti gli Stati dell'UE erano al di sopra del necessario tasso di fertilità del 2,1 %, mentre nel 2003 nessuno di essi, senza alcuna eccezione, lo raggiungeva) non solo si ridurrà il potenziale di sostegno intergenerazionale (il rapporto fra persone bisognose di cura e persone che le accudiscono) — e quindi anche il potenziale di cure familiari -, ma diverrà anche sempre più difficile coprire il fabbisogno di personale di cura sul mercato del lavoro. Tale sviluppo è aggravato dal problema del finanziamento nell'ambito delle cure di lunga durata.

4.6

Un altro aspetto del cambiamento demografico e sociale, ovvero il cambiamento della struttura delle famiglie e la maggiore occupazione femminile, fa sì che in futuro molte prestazioni assistenziali precedentemente fornite dalle famiglie — e in particolare dalle donne — non saranno più disponibili o non potranno più esserlo nella stessa misura (8).

4.7

I progressi in campo medico sono un fattore essenziale dell'allungarsi dell'aspettativa di vita e del miglioramento della qualità di vita. Spesso delle cure mediche possono accrescere sensibilmente l'aspettativa di vita, senza garantire tuttavia la guarigione. Aumentano quindi le malattie di lunga durata o quelle croniche che necessitano di cure intensive.

4.8

In questo contesto una sfida particolare è posta dal numero crescente di casi di demenza, che richiedono un'assistenza particolarmente onerosa in termini di tempo e di denaro, e dei casi di depressione senile, spesso accompagnata da fenomeni di demenza, che pongono sfide analoghe ai servizi di assistenza. Occorrono a tal fine prestazioni e istituti specializzati, in cui i pazienti vengano curati con rispetto e dignità. Ciò è tanto più importante in quanto il rischio della demenza senile aumenta proporzionalmente con l'allungarsi dell'aspettativa di vita. Un'ulteriore fonte di preoccupazione è costituita dall'aumento dei suicidi fra gli anziani.

4.9

Oltre ai cambiamenti nel contesto sociale, man mano che nel circuito delle cure entrano nuove generazioni, mutano anche le mentalità, le esigenze e le capacità delle persone bisognose di cure. Sono sviluppi di cui occorre tener conto per poter predisporre progetti lungimiranti.

5.   Garanzia di accesso ad un'offerta assistenziale differenziata

5.1

Le cure di lunga durata consistono nell'accudire persone che non sono più in grado di vivere in maniera autonoma, e che quindi dipendono dagli altri per la loro vita quotidiana. La loro dipendenza dall'aiuto di terzi va dall'assistenza per agevolare la loro mobilità all'assistenza pratica di carattere sociale per fare la spesa, cucinare e sbrigare altre incombenze domestiche, fino all'igiene personale e l'assunzione di cibi. Per prestare questo tipo di cure di lunga durata non occorrono necessariamente qualifiche mediche. Perciò in molti Stati membri questi compiti vengono svolti, nella maggior parte dei casi, dai familiari, in genere il coniuge, i figli o i nipoti.

5.2

Per i motivi esposti più sopra, in avvenire non ci si potrà più aspettare che i familiari continuino a prestare le stesse cure. Ne consegue che un numero crescente di persone molto anziane e fragili dipenderà dalle cure prestate da operatori professionisti (che dovranno ricevere una formazione ad hoc), a domicilio o in apposite strutture.

5.3

Questo tipo di cure di lunga durata può essere prestato in diversi modi. A prescindere da quelle offerte dai familiari, le cure professionali possono essere prestate in casa, in centri diurni, in residenze per anziani, in apposite strutture di cura o in ospedali. Gli interessati hanno normalmente bisogno di vari tipi di assistenza, medica e non, il che presuppone una buona collaborazione tra la famiglia, il personale di cura e il personale medico. A tale scopo è importante coordinare queste prestazioni (gestire i rapporti fra i vari soggetti coinvolti e le specificità dei singoli casi).

5.4

Nel caso delle cure di lunga durata l'offerta non può puntare su una strategia unica da utilizzare in tutti i casi, perché le diverse esigenze degli interessati presuppongono un'offerta differenziata di prestazioni assistenziali. Ciò rende tanto più importante attingere alle esperienze di altri paesi per quanto riguarda il tipo, l'organizzazione e l'efficacia di questa offerta.

5.5

Idealmente, occorre lasciare ai singoli interessati la massima libertà circa le forme di assistenza e la scelta degli erogatori di servizi. Ciò impone non solo di disporre di un'offerta molto varia, ma anche di creare condizioni adeguate per consentire l'iniziativa di una pluralità di operatori privati, senza fine di lucro e pubblici e per promuovere una concorrenza fra questi soggetti onde migliorare costantemente l'offerta. Per evitare che questa concorrenza avvenga a spese degli interessati, i servizi devono rispondere a norme di qualità ben definite, il cui rispetto deve formare oggetto di opportuni controlli. E, dato che si tratta di servizi di interesse generale, la responsabilità di definire i compiti da svolgere, gli obiettivi da raggiungere e la valutazione dei risultati spetta al legislatore.

5.6

I meccanismi di protezione sociale esistenti nei diversi paesi incidono sui servizi di cura forniti: ad esempio, se le strutture in cui l'assistenza viene prestata godono di finanziamenti maggiori rispetto all'assistenza a domicilio, accoglieranno anche un maggior numero di anziani.

5.7

Sostanzialmente l'assistenza a domicilio appare preferibile per molte ragioni. Molte persone desiderano poter continuare a vivere nella propria casa anche quando sono anziane e malate. L'assistenza a domicilio, quando si avvale delle risorse assistenziali della famiglia, costa di meno di quella in strutture apposite. Ma questo non deve essere una ragione per far pressione sui membri della famiglia — e in particolare sulle donne — affinché si addossino da soli questo onere.

5.8

Lo scopo dovrebbe essere quello di trovare la soluzione di volta in volta migliore, a seconda delle circostanze e tenendo conto degli interessi di tutte le parti in causa. In taluni casi il ricovero in un istituto è l'unica soluzione possibile.

6.   Finanziamento dei sistemi di cura

6.1

Attualmente i tipi e le modalità del finanziamento dei sistemi di cura variano notevolmente a seconda degli Stati membri, e talvolta anche al loro interno, perché le cure di lunga durata vengono spesso suddivise fra strutture pubbliche diverse e bilanci diversi, vengono spesso prestate a livello locale, e sussistono sistemi diversi per quanto riguarda la sicurezza sociale, la fiscalità e le assicurazioni private.

6.2

Si prevede che anche nel prossimo futuro i sistemi di finanziamento delle cure di lunga durata resteranno differenziati a causa della loro dipendenza dal contesto generale, a livello nazionale e regionale, e dalle strategie politiche. Dato che in vari paesi essi sono oggetto di dibattiti, è utile e importante procedere a scambi di esperienze circa i diversi tipi e il diverso funzionamento dei singoli strumenti di finanziamento (ad es. sistemi assicurativi, incentivi fiscali) e circa i sistemi di prestazioni (ad es. stanziamenti destinati alle cure personali, prestazioni in denaro o in natura).

6.3

Nel finanziamento delle cure di lunga durata, il problema di fondo è come contenere le ulteriori lievitazioni dei costi in questo campo. Le misure e le strategie possibili al riguardo sono:

mantenere e rafforzare le risorse che la famiglia offre in tema di cure, specie attraverso incentivi e predisporre misure per alleggerire le incombenze (ad es. prestazioni di cure di breve durata, cure durante le vacanze, centri di assistenza diurna),

potenziare e migliorare costantemente l'offerta di assistenza e di cure anche sotto il profilo delle possibilità di scelta, dei costi, della qualità e dell'efficienza,

creare (ove possibile e utile) strutture competitive, in modo che la concorrenza renda maggiormente consapevoli dei costi e stimoli il dinamismo,

applicare alle cure un concetto completo di previdenza sociale, che abbracci, oltre all'assistenza sanitaria e alle misure antinfortunistiche (le cadute in casa), anche la previdenza privata, la creazione — nella vecchiaia — di nuove reti sociali in grado di assumere compiti di sostegno, fino al rafforzamento dell'autonomia degli anziani (capacità di assolvere alcuni compiti quotidiani per la gestione della casa),

incoraggiare forme di volontariato per l'assistenza pratica (ad es. collaborazione tra vicini, visite a domicilio o accompagnamento, assistenza nella prestazione di cure, assistenza pratica agli ospiti di centri per cure palliative), nel senso di sensibilizzare anche gli adolescenti e i giovani, non da ultimo in ambito scolastico, ai problemi delle altre generazioni,

impiegare maggiormente gli ausili tecnici nell'assistenza e utilizzare le tecnologie dell'informazione e della comunicazione (ad es. smart housing/domotica, assistenza a distanza, apprendimento delle tecniche di comunicazione elettronica da parte delle persone anziane).

7.   Qualità delle cure di lunga durata

7.1

Anche coloro che hanno bisogno di aiuto hanno diritto di ricevere servizi di qualità. In proposito l'Unione europea si è appunto prefissa l'obiettivo di garantire l'accesso a cure di qualità e sostenibili (9).

7.2

Le relazioni dei singoli Stati membri evidenziano che attualmente esistono notevoli differenze sotto il profilo della definizione degli standard di qualità, della loro obbligatorietà giuridica e della loro validità a livello nazionale o regionale. In generale, la maggior parte degli Stati membri ha affermato che gli standard di qualità e i regolamenti esistenti sono insufficienti.

7.3

Come per il finanziamento, anche in questo campo continuano a sussistere le normative nazionali e regionali. Proprio nell'ambito della qualità delle prestazioni, però, lo scambio a livello dell'UE potrebbe offrire agli Stati membri spunti utili e termini di raffronto preziosi. Il Comitato suggerisce pertanto che, nel quadro di un progetto comune a livello dell'UE, si definiscano degli standard di qualità per le cure di lunga durata che possano offrire agli Stati membri utili linee guida nella definizione delle rispettive norme e che tengano conto della crescente mobilità delle persone bisognose di cure e del personale di cura.

8.   Il mercato del lavoro e le cure di lunga durata

8.1

Il comparto dell'assistenza sanitaria e delle cure di lunga durata rappresenta una quota rilevante dell'occupazione complessiva dell'Unione europea (9,7 % del totale dei posti di lavoro dell'UE nel 2001) e nell'UE-15 ha creato 1,7 milioni di nuovi posti di lavoro fra il 1997 e il 2002. Nel settore delle cure e dell'assistenza esiste un vasto mercato del lavoro europeo, basato in parte sull'occupazione legale e, in alcuni ambiti, sul lavoro non dichiarato.

8.2

Il comparto assistenziale offre opportunità di lavoro anche a gruppi di persone che incontrano spesso difficoltà a trovare un impiego (ad es. persone che cercano un reinserimento occupazionale o migranti). Il Comitato suggerisce di tener conto di questa situazione sia nei programmi adottati a livello nazionale per promuovere l'occupazione, sia nei programmi dell'UE a favore dell'occupazione riqualificazione e acquisizione di qualifiche).

8.3

I servizi prestati a domicilio in case private costituiscono un mercato con possibilità di crescita. In una società caratterizzata dalla divisione del lavoro essi consentono spesso di scegliere più liberamente una professione e possono anche aiutare alcune persone a conciliare il lavoro con gli obblighi familiari. I servizi prestati nelle famiglie sono un tipo di occupazione un po' diversa dal classico rapporto datore di lavoro/lavoratore: occorre eliminare il lavoro nero e creare condizioni adeguate per un quadro legale.

8.4

Circa le misure di formazione il Comitato giudica auspicabile il ricorso al Fondo sociale europeo, anche per migliorare a lungo termine la qualità dei posti di lavoro nel comparto dell'assistenza sanitaria e delle cure di lunga durata, per evitare l'abbandono precoce della vita lavorativa e per migliorare la qualità, la flessibilità e quindi l'efficienza del sistema previdenziale. Queste iniziative di formazione devono essere rivolte anche alle persone attive nel volontariato.

8.5

Ai fini del mercato del lavoro europeo occorre far sì che le azioni formative in questo ambito possano essere riconosciute reciprocamente con la massima sollecitudine e riducendo al massimo le formalità burocratiche.

8.6

Dato che prestare sia cure mediche e non mediche sia assistenza è un compito faticoso sotto il profilo fisico e psichico, è importante che gli operatori del settore godano di sufficiente sostegno e riposo non solo per assicurare la qualità dell'assistenza, ma anche per invogliarli a proseguire l'attività. In questo settore, infatti, il rischio di superlavoro è elevato. Le mansioni da svolgere sono assai impegnative e richiedono condizioni di lavoro ottimali, una retribuzione equa e un riconoscimento a livello sociale.

8.7

Sono prevalentemente le donne a lavorare nel settore delle cure e dell'assistenza: l'Unione europea deve tenerne conto nelle sue iniziative a favore delle donne e per l'integrazione della dimensione di genere nelle sue politiche.

9.   Conciliare cure, famiglia e lavoro

9.1

Con il parere sul tema La famiglia e l'evoluzione demografica  (10) il Comitato ha illustrato nel dettaglio i cambiamenti demografici nell'Unione europea e le loro conseguenze per le famiglie: in avvenire aumenterà il numero di coloro che all'attività lavorativa dovranno aggiungere le cure a familiari anziani. Il potenziamento dei servizi nel comparto delle cure andrebbe quindi previsto per attenuare il carico che grava sui familiari responsabili delle cure e offrire loro la possibilità di conciliare meglio questi compiti assistenziali con l'esercizio di una professione.

9.2

In proposito le parti sociali possono promuovere gli scambi d'informazioni sui metodi già dimostratisi validi nella pratica per alleggerire le incombenze dei familiari che, oltre a compiti di cura, abbiano anche un'attività professionale (11).

10.   Lavoro nei centri per le cure palliative (hospice) e morte dignitosa

10.1

Il dibattito sull'invecchiamento della società non dovrebbe trascurare la fase finale dell'esistenza. Conformemente ai principi dell'ONU riguardo agli anziani, tutti gli esseri umani dovrebbero aver diritto a una morte quanto più possibile dignitosa, in sintonia con i valori del rispettivo contesto culturale.

10.2

Il Comitato si è occupato di questa problematica nel parere sul tema L'esperienza Hospice: un esempio di volontariato in Europa  (12) e rimanda alle proposte formulate in tale occasione (13).

11.   La violenza nel contesto assistenziale

11.1

Di recente, nel parere sul tema I maltrattamenti alle persone anziane  (14) il Comitato ha affrontato il problema della violenza in relazione alle cure prestate sia a domicilio che in strutture e ha formulato suggerimenti cui si rimanda.

12.   Scambio di esperienze attraverso il metodo aperto di coordinamento, progetti di ricerca e attività supplementari

12.1

Fermo restando che giuridicamente una politica comune nel contesto delle cure di lunga durata non sarà possibile, il Comitato fa presente l'estrema importanza del metodo aperto di coordinamento come strumento per sostenere gli obiettivi di modernizzazione e di sviluppo di cure di qualità elevata e sostenibili che siano accessibile a tutti.

12.2

In un precedente parere menzionato più sopra (15) il Comitato ha già indicato i temi che devono essere al centro delle analisi e dello scambio di esperienze.

12.3

Nel suo parere sul tema Verso il Settimo programma quadro per la ricerca: Le esigenze di ricerca nel campo dei cambiamenti demograficiQualità di vita degli anziani ed esigenze tecnologiche  (16) il Comitato ha individuato un notevole fabbisogno in materia di ricerca nei seguenti ambiti: prevenzione e cure, qualifiche del personale di cura, offerta di cure, soluzioni tecniche come pure sostegno ai familiari. Tutti questi temi di ricerca permangono attuali, al pari della richiesta, anch'essa formulata nel suddetto parere, di coordinare a livello europeo le definizioni dei concetti usati nel settore delle cure.

12.4

Occorre poi organizzare seminari, convegni, ecc. per promuovere lo scambio di esperienze e la messa a punto di strategie d'azione.

12.5

Si deve altresì stimolare la collaborazione con organizzazioni internazionali come l'OCSE e l'OMS.

13.   La legislazione europea

13.1

Pur non avendo una competenza diretta in materia di cure di lunga durata, la legislazione europea influisce su questo settore per il tramite di altri ambiti giuridici. Da un lato, le conseguenze della direttiva sui servizi nel mercato interno, specie per i servizi sociali di interesse generale, sono incerte e, dall'altro, la Corte di giustizia di Lussemburgo interpreta strictu sensu la libera prestazione di servizi (17). I fornitori di servizi di cura, i loro dipendenti e le persone che beneficiano di cure di lunga durata possono trovarsi in situazioni di incertezza giuridica, mentre il bisogno di questo tipo di cure andrà aumentando in tutti gli Stati dell'UE. L'offerta e anche i prezzi varieranno notevolmente da uno Stato membro all'altro e ciò rischia, almeno nelle zone frontaliere, di aumentare il turismo medico che esiste già e pone notevoli problemi agli enti locali interessati. Sviluppando tali ambiti giuridici occorre pertanto tener presenti le loro ricadute sulle cure di lunga durata.

13.2

In particolare, il comparto delle cure di lunga durata deve conciliare imperativi ben diversi: concorrenza e garanzia di assistenza. Si dovrà pertanto tenerlo nel debito conto nei dibattiti sui servizi transfrontalieri, sul diritto del lavoro e sui servizi d'interesse generale.

Bruxelles, 13 marzo 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Cfr. la relazione congiunta della Commissione e del Consiglio. Testo francese: Rapport Conjoint Commission/ConseilSoins de santé et soins pour les personnes âgées: soutenir les stratégies nationales visant un degré élevé de protection sociale. http://ec.europa.eu/employment_social/soc-prot/healthcare/healthcare_fr.htm CS 7166/03, marzo 2003, e testo inglese: Joint Commission/Council Report on supporting national strategies for the future of health care and care for the elderly http://ec.europa.eu/employment_social/soc-prot/healthcare/healthcare_en.htm CS 7166/03, marzo 2003.

(2)  Cfr. il parere del CESE, del 13 dicembre 2007, in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniPromuovere la solidarietà fra le generazioni, relatore: JAHIER (CESE 1711/2007 — SOC/277).

(3)  Cfr. il parere del CESE, del 14 febbraio 2008, sul tema I servizi di interesse generale, relatore: HENCKS (TEN/289).

(4)  Sulla promozione del volontariato si veda anche il parere del CESE, del 13 dicembre 2006, sul tema Le attività di volontariato, il loro ruolo nella società europea e il loro impatto, relatrice: KOLLER (GU C 325 del 30.12.2006).

(5)  Per esempio, Consiglio dell'Unione europea: Relazione congiunta sulla protezione sociale e sull'inclusione sociale 2007, Conference on Long-Term Care, with Cross Atlantic Exchange to advance long-term care, Bruxelles 2006, Long-term Care for Older Persons, 2005 e molte altre iniziative.

(6)  Cfr. la Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniModernizzare la protezione sociale per sviluppare un'assistenza sanitaria ed un'assistenza a lungo termine di qualità, accessibili e sostenibili: come sostenere le strategie nazionali grazie al «metodo aperto di coordinamento» (COM(2004) 304 def. del 20 aprile 2004), nonché il relativo parere del CESE, del 28 ottobre 2004, relatore: BRAGHIN (GU C 120 del 20.5.2005).

(7)  Comunicazione della CommissioneLibro verde: «Una nuova solidarietà tra le generazioni di fronte ai cambiamenti demografici» (COM(2005) 94 def. del 16 marzo 2005).

(8)  Cfr. il parere del CESE, del 14 marzo 2007, sul tema La famiglia e l'evoluzione demografica, relatore: BUFFETAUT (GU C 161 del 13.7.2007).

(9)  Cfr. Programma d'azione comunitario nel campo della sanità pubblica (2008-2013).

(10)  Cfr. il parere esplorativo del CESE, del 14 marzo 2007, sul tema La famiglia e l'evoluzione demografica, relatore BUFFETAUT (GU C 161 del 13.7.2007).

(11)  Cfr. il parere esplorativo del CESE, dell'11 luglio 2007, sul tema Il ruolo delle parti sociali nella conciliazione della vita professionale, familiare e privata, relatore: CLEVER (GU C 256 del 27.10.2007).

(12)  Cfr. il parere d'iniziativa del CESE, del 20 marzo 2002, sul tema L'esperienza Hospice: un esempio di volontariato in Europa, relatrice: ZU EULENBURG (GU C 125 del 27.5.2002).

(13)  Cfr. in proposito la Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeoLa risposta dell'Europa all'invecchiamento della popolazione mondialePromuovere il progresso economico e sociale in un mondo che invecchiaUn contributo della Commissione europea alla seconda assemblea mondiale sull'invecchiamento (COM(2002) 143 def. del 18 marzo 2002)

(14)  Cfr. in proposito il parere esplorativo del CESE, del 24 ottobre 2007, sul tema I maltrattamenti alle persone anziane, relatrice: HEINISCH (SOC/279 — GU C 44 del 16.2.2008).

(15)  Ibid. 3.

(16)  Cfr. il parere d'iniziativa del CESE, del 15 settembre 2004, sul tema Verso il Settimo programma quadro per la ricerca: Le esigenze di ricerca nel campo dei cambiamenti demograficiQualità di vita degli anziani ed esigenze tecnologiche, relatrice: HEINISCH (GU C 74 del 23.3.2005).

(17)  Sentenza della CGCE C-341/05 del 18 dicembre 2007 (Laval un Partneri Ltd contro Svenska Byggnadsarbetareförbundet et alii).


9.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 204/110


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2004/40/CE sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici) (diciottesima direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE)

COM(2007) 669 def. — 2007/0230 (COD)

(2008/C 204/22)

Il Consiglio, in data 21 novembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2004/40/CE sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici) (diciottesima direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE)

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 febbraio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore PATER.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 marzo 2008, nel corso della 443a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 66 voti favorevoli, 1 voto contrario e 11 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1

Il CESE ritiene che la tutela della salute dei lavoratori dagli effetti negativi, diretti e indiretti, dei campi elettromagnetici debba quanto prima formare oggetto delle disposizioni di una direttiva europea. Tuttavia, alla luce degli argomenti addotti dalla Commissione e di quelli esposti nel presente parere, valuta positivamente la proposta di direttiva in esame.

1.2

Una mera proroga del termine per il recepimento della direttiva 2004/40/CE non risolverà i problemi posti dall'applicazione pratica delle sue disposizioni. Il CESE condivide quindi l'affermazione della Commissione secondo cui è necessario e urgente mettersi all'opera per migliorare tale direttiva.

1.3

Il CESE sottolinea che la Commissione, proponendo da un lato di rinviare di quattro anni la data di entrata in vigore dell'attuale direttiva e affermando dall'altro la necessità di modificarne prima di allora il contenuto, invia ai lavoratori e ai datori di lavoro un messaggio ambiguo quanto alle sue intenzioni legislative. Stando così le cose, il Comitato si aspetta che la Commissione intraprenda in tempi rapidi azioni volte a limitare le conseguenze negative di questa situazione di incertezza per l'ordinamento giuridico dell'UE.

1.4

Il Comitato raccomanda alla Commissione di tener conto, nel prosieguo dei suoi lavori, delle proposte e delle osservazioni particolari contenute nel presente parere.

2.   Sintesi della proposta della Commissione

2.1

L'obiettivo della proposta della Commissione è rinviare di quattro anni, ossia al 30 aprile 2012, il termine per il recepimento della direttiva 2004/40/CE sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici).

2.2

Il principale argomento addotto dalla Commissione per motivare tale proposta è il timore che i valori limite attualmente stabiliti dalla direttiva per l'esposizione dei lavoratori ostacolino lo sviluppo della tecnica diagnostica medica RMI (risonanza magnetica per immagini). Inoltre, la Commissione vuole sfruttare tale lasso di tempo supplementare per procedere a una valutazione dettagliata dell'impatto della direttiva sulla sicurezza delle altre categorie di lavoratori e sullo sviluppo degli altri settori economici che utilizzano campi elettromagnetici.

2.3

Nel contempo, la Commissione promette l'elaborazione di proposte volte a modificare la direttiva 2004/40/CE per tener conto dei risultati di nuovi studi scientifici, la cui pubblicazione è attesa per il 2008 e il 2009, nonché delle raccomandazioni rivedute dell'Icnirp (1) e dell'OMS (2), che, secondo la Commissione, potrebbero indicare valori limite di esposizione diversi da quelli attualmente stabiliti dalla direttiva.

2.4

La proposta in esame non ha formato oggetto di un parere delle parti sociali europee.

2.5

La direttiva 2004/40/CE, che la proposta in esame mira a modificare, è la diciottesima direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE e concerne la protezione di tutte le categorie di lavoratori dai rischi derivanti dall'esposizione a campi elettromagnetici sul luogo di lavoro (3). La Commissione non ha richiesto il parere del CESE in merito, in quanto ha ritenuto sufficiente quello adottato nel 1993 in merito alla proposta di direttiva concernente l'esposizione a quattro agenti fisici sul luogo di lavoro (4)  (5).

2.6

Attualmente, la protezione contro l'esposizione eccessiva ai campi elettromagnetici varia notevolmente da uno Stato membro all'altro: sette Stati membri (Austria, Repubblica ceca, Slovacchia, Lituania, Lettonia, Estonia e Italia) (6) hanno già comunicato alla Commissione di aver recepito le disposizioni della direttiva nel proprio ordinamento giuridico interno, mentre altri (fra cui Svezia, Finlandia, Polonia, Bulgaria, Romania, Regno Unito e Francia) applicano ancora normative più vecchie o sono tuttora sprovvisti di disposizioni specifiche in materia (7).

3.   Osservazioni generali

3.1

Considerate le disposizioni della direttiva quadro 89/391/CEE e la gran mole di dati scientifici disponibili, non c'è dubbio che questa problematica vada affrontata al più presto con una direttiva europea, per garantire una protezione adeguata della salute dei lavoratori (e in particolare di quella delle potenziali madri) dagli effetti negativi, diretti e indiretti, dei campi elettromagnetici e consentire loro di espletare correttamente le proprie mansioni professionali.

3.2

Tuttavia, alla luce degli argomenti addotti dalla Commissione e di quelli esposti nel presente parere, il CESE valuta positivamente la proposta di direttiva in esame.

3.3

Il CESE condivide l'affermazione della Commissione secondo cui è necessario e urgente mettersi all'opera per migliorare la direttiva 2004/40/CE allo scopo di garantire l'applicazione pratica delle sue disposizioni. In particolare, il CESE ritiene che la nuova versione della direttiva debba riflettere un approccio più approfondito al problema della tutela dai rischi derivanti dall'esposizione ai campi elettromagnetici e tener conto delle osservazioni particolari contenute nel prosieguo del presente parere.

3.4

Il Comitato deplora che la Commissione abbia, per la prima volta nella sua storia, rinviato di molto l'entrata in vigore delle norme di un atto vincolante in materia di prescrizioni minime di sicurezza per la protezione dei lavoratori dai rischi professionali.

3.5

Se si considera che la Commissione ha annunciato la necessità di modificare il contenuto della direttiva 2004/40/CE e lanciato un appello agli Stati membri affinché ne sospendano il recepimento (8), si può ben dire che siamo di fronte al ritiro de facto di tale direttiva nella sua forma attuale. Tuttavia, sul piano formale la sola modifica apportata dalla proposta in esame è la proroga del termine per l'entrata in vigore della direttiva. Una siffatta situazione provoca quindi incoerenza nel quadro giuridico, poiché gli attori interessati ricevono segnali contraddittori quanto alla portata delle azioni da intraprendere per limitare l'esposizione ai campi elettromagnetici sul mercato europeo del lavoro. Il CESE sottolinea pertanto l'importanza di stabilire quanto prima un quadro normativo coerente.

3.6

L'analisi delle disposizioni della direttiva 2004/40/CE, effettuata in diversi Stati membri nell'ambito dei preparativi per il suo recepimento, ha evidenziato una serie di carenze che ne hanno reso quantomeno difficile la piena attuazione. Il CESE si aspetta che la Commissione sottoporrà al suo parere il progetto di direttiva «migliorata», annunciato per il 2009, e che esaminerà con attenzione le eventuali osservazioni da esso formulate in merito.

3.7

Il Comitato constata che attualmente il livello di protezione dei lavoratori dai rischi derivanti da un'esposizione ai campi elettromagnetici varia da uno Stato membro all'altro. L'elaborazione in tempi rapidi di un testo migliorato della direttiva, che garantisca a tutti i lavoratori un livello adeguato di sicurezza in caso di esposizione a campi elettromagnetici, andrebbe dunque considerata una priorità.

4.   Osservazioni particolari

4.1

Le motivazioni addotte dalla Commissione per la proroga del termine per il recepimento della direttiva appaiono parziali e concentrate su una categoria molto ristretta di lavoratori (comprendente, a livello europeo, solo qualche centinaio di persone) particolarmente esposti a determinati rischi, come gli operatori di apparecchiature per RMI. La Commissione non tiene conto degli effetti di tale proroga per un gruppo molto più ampio di lavoratori che si trovano esposti ai campi elettromagnetici utilizzati in vari settori economici (nei campi della saldatura, degli apparecchi di elettrolisi, delle antenne trasmittenti, degli impianti energetici, ecc.) e il cui numero è di almeno alcuni milioni in tutta Europa.

4.2

Il CESE sottolinea che la sola proroga del termine per il recepimento della direttiva non risolverà i problemi, recentemente riscontrati, dovuti all'imprecisione delle definizioni ivi contenute, problemi che sarebbe necessario risolvere per garantire condizioni uniformi sia per i datori di lavoro che per i lavoratori.

4.3

Secondo il CESE, è importante che le regole da adottare abbiano un solido fondamento scientifico. La storia degli studi scientifici sugli effetti dell'esposizione ai campi elettromagnetici risale alla metà del ventesimo secolo e fornisce una base scientifica ormai consolidata alle norme minime di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori esposti. Il CESE ritiene pertanto che l'adozione della direttiva migliorata non vada prorogata oltre il periodo di quattro anni proposto dalla Commissione.

4.4

Il CESE ritiene che la Commissione debba dar prova di maggiore iniziativa e autonomia nel definire attivamente una politica di tutela dei lavoratori dall'esposizione eccessiva ai campi elettromagnetici sul luogo di lavoro (tanto più che, ai sensi della raccomandazione 1999/519/CE (9), i cittadini in genere godono già di tale tutela). Alcuni paesi hanno già messo a punto dei dispositivi di tutela giuridica dei lavoratori dall'esposizione ai campi elettromagnetici (10).

4.5

Il Comitato è convinto che, consultando a livello europeo esperti e istituzioni scientifici e giuridici di tutti i 27 Stati membri, la Commissione potrà trarre un effettivo vantaggio dalle esperienze concrete e tener conto della specificità delle diverse opzioni normative adottate nelle varie regioni per risolvere i problemi, recentemente riscontrati, che attualmente impediscono il recepimento e l'effettiva attuazione della direttiva 2004/40/CE.

4.6

Come già nel parere del 1993 (11), il CESE invita la Commissione a effettuare studi per individuare i rischi causati alla salute dei lavoratori dalle condizioni presenti sul luogo di lavoro quali l'esposizione ai campi magnetostatici o a quelli elettromagnetici di media frequenza (compresa l'esposizione protratta per molti anni).

4.7

Tenuto conto dei miglioramenti che la Commissione prevede di apportare a tale direttiva e dell'invito da essa rivolto agli Stati membri a sospendere ogni attività di recepimento formale delle norme della direttiva stessa, è necessario che le norme del Cenelec (12) non includano riferimenti alla loro «armonizzazione con la direttiva 2004/40/CE» fino a quando il testo migliorato di quest'ultima non sia stato adottato. Ciò consentirà di mantenere la dovuta coerenza nel sistema giuridico dell'UE.

4.8

Considerato che l'adeguamento delle condizioni di esposizione dei lavoratori alle disposizioni della nuova direttiva può necessitare, in alcuni casi, notevoli adeguamenti tecnici (inclusa la sostituzione delle apparecchiature utilizzate), il processo di attuazione della direttiva nelle imprese dovrebbe tener conto, in certa misura, di considerazioni di ordine economico. In tale contesto vale la pena di esaminare l'esperienza già acquisita con l'attuazione delle norme della direttiva sulle attrezzature di lavoro (13), che stabiliva un adeguato periodo di tempo per adattare le postazioni di lavoro alle sue disposizioni.

4.9

Dal punto di vista dei datori di lavoro, è particolarmente importante che siano introdotte in primo luogo disposizioni in materia di nuove attrezzature, poiché sono i produttori a poter realizzare con la massima efficacia e il minimo costo soluzioni tecniche che riducono o addirittura eliminano del tutto l'esposizione dei lavoratori. Il CESE sottolinea che le misure di questo tipo proteggono da tale esposizione anche coloro che, utilizzando le attrezzature in qualità di lavoratori autonomi, non rientrano formalmente nell'ambito di applicazione delle norme di tutela di cui alla direttiva sulla protezione dei lavoratori (è il caso, ad esempio, dei lavori di saldatura realizzati in imprese artigiane familiari o in aziende agricole).

4.10

Inoltre, se il produttore o il distributore delle attrezzature forniranno una documentazione appropriata riguardo alla natura e all'estensione dei campi elettromagnetici generati dalle stesse, sarà possibile ridurre drasticamente i costi connessi alla valutazione dei rischi derivanti dall'esposizione a tali campi sul luogo di lavoro. Attualmente, l'assenza di una normativa efficace a livello paneuropeo fa sì che spesso tale documentazione non venga fornita. Ciò è particolarmente oneroso per le PMI, che spesso non possono permettersi di far effettuare in maniera professionale la valutazione di tale rischio.

4.11

L'accesso alla documentazione appropriata fornita dai produttori consentirebbe ai sindacati e alle imprese di assicurazione di intraprendere varie attività per la tutela dei lavoratori, indipendentemente dal termine per il recepimento della direttiva e dalle sue future disposizioni (in linea con la prassi generalmente raccomandata di evitare, ovunque possibile, rischi non necessari).

4.12

Il CESE manifesta preoccupazione per il fatto che, a causa della proroga del termine per il recepimento della direttiva, nei prossimi anni le nuove attrezzature possano essere usate sui luoghi di lavoro senza essere corredate da alcuna documentazione sui rischi derivanti dal loro utilizzo o dalla loro riparazione.

Bruxelles, 12 marzo 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  International Commission on Non-Ionising Radiation Protection (Commissione internazionale per la protezione dalle radiazioni non ionizzanti).

(2)  Organizzazione mondiale della sanità.

(3)  Le fonti di campi elettromagnetici generalmente usate nei diversi settori dell'economia sono, tra le altre, le apparecchiature industriali elettrotermiche (caldaie e forni a induzione), le saldatrici dielettriche o a resistenza, gli apparecchi di saldatura, gli impianti di elettrolisi, le apparecchiature di trasmissione e distribuzione di energia elettrica, i trasmettitori radiofonici e televisivi, le apparecchiature di telecomunicazione senza fili, tra cui le stazioni di base di telefonia cellulare, gli impianti radar, gli strumenti medici diagnostici e terapeutici come quelli utilizzati per l'elettrochirurgia, la fisioterapia mediante diatermia, la tomografia a risonanza magnetica, la stimolazione magnetica transcranica, ecc.

(4)  Proposta di direttiva del Consiglio sulle norme minime di sicurezza e di salute relative all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (GU C 77 del 18.3.1993, pag. 12).

(5)  Parere del Comitato economico e sociale in merito alla proposta di direttiva del Consiglio sulle norme minime di sicurezza e salute relative all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (GU C 249 del 13.9.1993, pag. 28).

(6)  Secondo le informazioni fornite dalla DG Occupazione, affari sociali e pari opportunità della Commissione.

(7)  Secondo le informazioni pubblicate (in lingua inglese) sul sito Internet dell'OMS (http://www.who.int/docstore/peh-emf/EMFStandards/who-0102/Worldmap5.htm).

(8)  Comunicato stampa IP/07/1610 del 26.10.2007 (non disponibile in italiano).

(9)  Raccomandazione del Consiglio 1999/519/CE, del 12 luglio 1999, relativa alla limitazione dell'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici da 0 Hz a 300 GHz (GU L 199 del 30.7.1999, pag. 59).

(10)  La già citata Icnirp, che da anni svolge un ruolo importante nell'elaborazione delle norme comunitarie nel settore in questione, basa il proprio lavoro sugli studi di un gruppo composto da una dozzina di esperti di 9 paesi europei, senza alcun rappresentante delle parti sociali né di esperti di paesi che hanno aderito all'UE a partire del 2004.

(11)  Parere del Comitato economico e sociale in merito alla proposta di direttiva del Consiglio sulle norme minime di sicurezza e salute relative all'esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (GU C 249 del 13.9.1993, pag. 28).

(12)  Comitato europeo di normalizzazione elettrotecnica.

(13)  Direttiva 89/655/CEE del Consiglio, del 30 novembre 1989, relativa ai requisiti minimi di sicurezza e di salute per l'uso delle attrezzature di lavoro da parte dei lavoratori durante il lavoro (seconda direttiva particolare ai sensi dell'articolo 16, paragrafo 1, della direttiva 89/391/CEE), modificata dalle direttive 95/63/CE e 2001/45/CE.


9.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 204/113


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La riforma del bilancio dell'UE e le future modalità di finanziamento

(2008/C 204/23)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25 settembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema:

La riforma del bilancio dell'UE e le future modalità di finanziamento

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 20 febbraio 2008, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice FLORIO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 marzo 2008, nel corso della 443a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 113 voti favorevoli, 18 voti contrari e 15 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1

Alla luce dei radicali cambiamenti realizzatisi nel corso degli ultimi decenni, l'Unione europea rilancia un'agenda politica che vede tra le sue priorità cambiamenti climatici, energia, e immigrazione: nuovi problemi a cui occorrerà rispondere rapidamente. Il CESE ritiene per questo di dovere partecipare alla riflessione aperta dalla Commissione sulle politiche di bilancio, che sono lo strumento fondamentale per fronteggiare queste sfide.

1.2

La revisione del bilancio dell'Unione europea va contestualizzata nel delicato periodo di recepimento del Trattato di Lisbona e direttamente connessa al dibattito relativo alle politiche di coesione, di ricerca ed allo «stato di salute» della PAC. A breve scadenza si terranno le elezioni del Parlamento europeo e verrà insediata la nuova Commissione. Per questa ragione il CESE sottolinea la difficoltà di affrontare un dibattito così rilevante in un periodo di rinnovo di due importanti istituzioni. Il CESE si augura inoltre che i governi dei 27 paesi dell'Unione siano disponibili ad affrontare scelte strategiche senza alcuna reticenza. Si invita anche la Commissione a chiarire con quali strumenti intenderà proseguire nel percorso di consultazione.

1.3

La concezione delle politiche di bilancio non può prescindere da una scelta di fondo: federalismo o sistema intergovernativo. È chiaro che il grado di avanzamento dell'integrazione europea si misura anche sulla base delle modalità di finanziamento del bilancio.

1.4

Prima ancora di valutare quali risorse economiche e quali modalità di reperimento saranno utilizzate, sarà necessario verificare l'attualità delle politiche comunitarie, in particolare quelle che hanno una lunga storia e che, pur avendo rivelato aspetti positivi per lo sviluppo e la crescita economica, andranno adeguate e rafforzate per rispondere alle nuove sfide. Si dovrà coraggiosamente riaprire un'analisi approfondita sui fondi strutturali, fondi di coesione, politiche regionali, ecc. per analizzarne, in particolare, l'impatto e l'efficacia nei paesi di nuova adesione, tenendo conto della Quarta relazione sulla coesione economica e sociale (COM(2007) 273 def.), sulla quale il CESE ha espresso recentemente il suo parere (1).

1.5

La revisione dovrà ispirarsi ai principi sui quali si regge l'integrazione europea a partire dall'idea di sviluppo sostenibile: solidarietà, proporzionalità, pace, prosperità, libertà, sicurezza, benessere collettivo e diffuso, equità e ridistribuzione. Una risposta efficace ai gravi rischi legati ai cambiamenti climatici deve essere il quadro di riferimento di ogni proposta relativa alle prospettive finanziarie del futuro. Allo stesso tempo deve essere fatto un grande sforzo nella direzione di una indispensabile maggiore informazione, trasparenza e leggibilità delle modalità con le quali sono raccolti e spesi i contributi dei cittadini europei, anche al fine di contrastare l'euroscetticismo.

1.6

Occorre valutare la possibilità di superare definitivamente tutti gli sconti, le prerogative e le deroghe che contraddistinguono il bilancio attuale: la revisione deve prevedere un significativo passo in avanti rispetto a queste disposizioni che non sono coerenti con lo spirito di solidarietà dell'integrazione europea.

1.7

Il CESE ritiene che il finanziamento del bilancio comunitario debba essere rivisto in linea con l'articolo 269 del Trattato (2). Prendendo in considerazione varie opzioni di riforma, il Comitato sottolinea che qualunque soluzione venga privilegiata, andrà attuata con gradualità. Si dovrà ricercare un ampio consenso con i parlamenti nazionali e le amministrazioni regionali e locali e, soprattutto, dovrà essere privilegiato il principio di capacità contributiva di ciascuno Stato membro, tenendo anche conto dell'accresciuto volume degli obiettivi di spesa. A questo proposito il CESE ribadisce la posizione già assunta nel precedente parere Sfide e mezzi finanziari dell'Unione allargata 2007-2013  (3).

1.8

Di fronte ad un fenomeno quale la rinazionalizzazione diffusa delle politiche, la fase di esecuzione del bilancio diventa ancor più delicata per quanto riguarda il rapporto tra le istituzioni comunitarie e i cittadini, nonché la percezione che questi hanno dell'azione comunitaria. Una maggiore co-responsabilità della Commissione e degli Stati membri nell'esecuzione del bilancio è un elemento importante anche nel coinvolgimento di tutti gli attori economici e sociali (come stabilito dal nuovo articolo 274 del Trattato di Lisbona). Il CESE ritiene che le strategie a lungo termine debbano essere perseguite con continuità finanziaria, mentre un certo margine di flessibilità potrebbe rivelarsi necessario in caso di rapida reazione o di circostanze mutate.

1.9

Il principio di partecipazione e contribuzione che è alla base dei sistemi fiscali di molti paesi dell'Unione europea, fondato su equità e ridistribuzione, ci sembra quello che meglio abbia dimostrato efficacia ed efficienza.

1.10

Tutti i soggetti coinvolti, ad ogni livello, dai governi nazionali fino ai singoli cittadini, sono responsabili e beneficiari dei fondi comunitari.

1.11

Per poter ben calibrare le nuove e le vecchie politiche alle sfide internazionali e quindi per poter meglio esaminare il volume di risorse necessarie, andrà rafforzato tutto il sistema di valutazione ex ante ed ex post. Deve essere assicurata l'indipendenza e la trasparenza dell'organismo valutatore.

1.12

Nella valutazione si dovrà tenere conto dell'efficacia e dell'interazione di vari sistemi di spesa pubblica: comunitaria, nazionale e regionale ed inoltre della possibilità che, nel processo, interagiscano più soggetti (Banca europea per gli investimenti, partnership pubblico-privati, ecc.).

1.13

Andrà garantita la coerenza con gli strumenti di politica macroeconomica: ad esempio, il patto di stabilità e crescita prevede criteri severi relativi alla stabilità, ma non concede quasi nulla in termini di crescita e quindi di investimenti pubblici. Bisognerà inoltre migliorare il coordinamento delle politiche di bilancio nazionali.

1.14

Nuovi fenomeni economici e finanziari globali sono intervenuti nel corso degli ultimi anni: maggiore è la concorrenza tra mercati e più a rischio l'occupazione nell'Unione europea. Fondi come quello di aggiustamento alla globalizzazione sono un esempio di strumenti necessari ma non ancora sufficienti a fronteggiare questo tipo di fenomeni.

2.   Premessa

2.1

Con la comunicazione SEC(2007) 1188 def., la Commissione europea ha lanciato una consultazione pubblica di tutti gli attori interessati in vista della revisione del bilancio 2008-2009. Sulla base dei risultati di questa prima consultazione, che si concluderà il 15 aprile 2008, la Commissione presenterà presumibilmente alla fine del 2008 o all'inizio del 2009 un testo (non è stato ancora chiarito se si tratterà di un Libro bianco) che rappresenterà la proposta per valutare, rivedere e modificare il regime delle risorse proprie dell'Unione e le modalità di finanziamento e spesa dell'attività comunitaria.

2.2

Dopo la scadenza della consultazione, prevista per il 15 aprile 2008, le conclusioni saranno presentate dalla Commissione nel corso di una conferenza (27 maggio 2008). Per la fine del 2008, inizio 2009, la Commissione presenterà un nuovo documento di revisione, mentre la proposta concreta sarà presentata nella terza e ultima fase (2010-2011).

2.3

Il CESE ha il compito e l'opportunità di dare una sua risposta agli interrogativi posti dalla consultazione della Commissione, nonché di esprimersi sulle proposte concrete che altri attori istituzionali avanzano per la riforma del sistema budgetario dell'UE.

2.4

La necessità di una riforma seria del bilancio europeo è di fondamentale e primaria importanza non solo per assicurare un funzionamento e un finanziamento equo e trasparente dell'Unione e delle sue politiche, ma anche per superare la crisi istituzionale manifestatasi recentemente e sfruttare al meglio il risultato raggiunto con il Trattato di Lisbona.

3.   Cenni di storia del bilancio dell'UE

3.1

Il bilancio dell'Unione europea è da considerarsi uno degli strumenti fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi politici dell'Unione. Nonostante il suo peso in termini assoluti sia imponente, in termini percentuali il bilancio UE è modesto e negli ultimi anni, malgrado l'allargamento a 27 paesi, si è costantemente ridotto (4).

3.2

Alcune politiche dell'Unione europea, come ad esempio la politica di coesione, hanno bisogno, per la loro realizzazione, di un supporto finanziario, mentre altre politiche, come la politica della concorrenza, si avvalgono di strumenti diversi per il raggiungimento dei propri scopi. Il finanziamento e il funzionamento del bilancio devono essere quindi tali da consentire il raggiungimento degli obiettivi delle politiche che proprio nel bilancio hanno le loro basi fondamentali.

3.3

Sin dalle sue origini, il bilancio dell'UE ha subito modifiche e trasformazioni che hanno seguito le tappe dell'integrazione europea: il mercato unico, gli allargamenti e, in particolare, l'ampliamento dello spettro delle politiche dell'Unione europea. Una parte importante del bilancio è stata tradizionalmente assegnata ad un numero relativamente limitato di politiche, ma gli obiettivi politici perseguiti hanno anche subito modificazioni ed evoluzioni che giustificano una revisione del bilancio.

3.4

La Comunità europea del carbone e dell'acciaio (CECA), istituita nel 1952, era finanziata da un vero e proprio sistema di risorse proprie derivanti da una quota fissa su ciascuna tonnellata di acciaio prodotto, che le imprese carbosiderurgiche versavano direttamente al bilancio della Comunità. Sulla base del principio di solidarietà e per garantire l'indipendenza da rivendicazioni nazionali, il Trattato CE ribadiva che «il bilancio, fatte salve le altre entrate, è finanziato integralmente tramite risorse proprie» (articolo 269).

3.5

Un sistema autentico di finanziamento attraverso le risorse proprie, che si definiscono come entrate assegnate definitivamente alla Comunità per finanziare il bilancio e che le spettano di diritto senza che occorra un'ulteriore decisione degli Stati membri, entra in vigore con la decisione del 21 aprile 1970 del Consiglio europeo di Lussemburgo. Ad oggi il quadro finanziario è composto da risorse proprie costituite da diritti agricoli e dazi doganali percepiti sulle importazioni alle frontiere esterne, una aliquota prelevata sulla base imponibile armonizzata dell'imposta sul valore aggiunto (IVA) e un'ultima aliquota prelevata sul reddito nazionale lordo (RNL), da attivare se e quando le prime tre risorse non siano sufficienti a coprire gli impegni finanziari presi dalla Comunità.

3.6

Il calcolo della risorsa dell'aliquota sull'IVA, basato su un tasso medio ponderato sul gettito totale netto (cosiddetto «metodo del gettito») ha fatto sì che quella risorsa si trasformasse da «propria» in uno strumento statistico per determinare il contributo di ciascuno Stato membro, allontanandosi dallo spirito col quale era stata introdotta.

3.7

Con il passare degli anni la provenienza delle risorse proprie ha vissuto una vera e propria rivoluzione. Secondo gli stessi dati forniti dalla Commissione nel documento di consultazione (5), se nel 1988 la risorsa basata sul RNL rappresentava una percentuale inferiore all'11 %, a fronte di un 28 % generato da dazi doganali e diritti agricoli e un 57 % proveniente dall'IVA, nel 2013 si prevede che la risorsa RNL arriverà al 74 % delle entrate del bilancio, mentre dazi doganali e diritti agricoli rappresenteranno il 13 % e la risorsa basata sull'imponibile IVA il 12 %.

3.8

Ciò significa che la maggioranza delle risorse che vengono attribuite all'Unione europea passano già oggi, e lo faranno ancor di più nel prossimo futuro, attraverso i bilanci dei singoli Stati membri e vengono a volte mostrate come «voci di spesa». Basti solo pensare che nel 2013 le risorse proprie in quanto tali saranno ridotte ad un 12 %, contraddistinguendo un finanziamento del bilancio che si distacca completamente dalla lettera e dallo spirito del Trattato.

3.9

Anche la struttura di spesa del bilancio, oltre alle sue fonti di finanziamento, ha subito notevoli cambiamenti nel corso del tempo. I pagamenti destinati alla politica agricola comune (PAC), ad esempio, raggiungevano un picco del 70,8 % nel 1985 e nel 1988 si assestavano comunque ad un 60 % di spesa sul totale; nel 2013 le spese per la PAC saranno quasi dimezzate per arrivare al 32 %. La politica di coesione, d'altra parte, ha vissuto un trend opposto: se nel 1965 la quota di spesa attribuitale era solo un 6 %, nel 1985 era il 10,8 % e nel 1988 il 17,2 %, nel 2013 rappresenterà il 35,7 % del bilancio UE. Nella prevista revisione della PAC bisognerà tener conto non solo del sostegno all'agricoltura, ma anche dei benefici che, soprattutto in termini di qualità e controllo, questa ha assicurato ai cittadini dell'Unione.

3.10

In particolare, dal Trattato di Maastricht in avanti, si rileva un problema di coerenza: nuove competenze sono state attribuite all'Unione europea e sono stati dichiarati via via nuovi obiettivi (ad esempio, recentemente, l'impegno sulle questioni ambientali), ma ciò non ha avuto conseguenze sul volume del budget dell'UE, che è fondamentalmente rimasto lo stesso.

3.11

Vi sono una serie di strumenti tra i quali, per esempio, il recentemente introdotto «Fondo europeo di adeguamento alla globalizzazione» che non sono inseriti nel bilancio: essi non hanno una specifica copertura finanziaria, ma il loro funzionamento e la loro conseguente utilizzazione sono subordinati agli avanzi di bilancio degli altri tetti di spesa e altri fondi comunitari disimpegnati. Questo meccanismo, in pratica, assegna a detti strumenti un'importanza minore e un finanziamento e funzionamento che nei fatti è residuale.

3.12

Altri elementi, quali l'introduzione nel 1985 della cosiddetta «eccezione britannica», estesa poi successivamente anche ad altri Stati e le numerose deroghe e squilibri che alimentano l'incomprensibilità e la mancanza di trasparenza del bilancio, contribuiscono a rendere ancora più urgente e vitale l'assoluta necessità di una revisione del bilancio e delle sue modalità di funzionamento e finanziamento.

4.   Necessità di una revisione del bilancio per un'Unione europea pronta alle sfide del futuro

4.1

Il CESE ritiene che i presupposti di un bilancio di una realtà unica al mondo come l'Unione europea debbano corrispondere ai principi fondamentali dell'integrazione europea cui sono ispirati i Trattati, specie quelli istitutivi. Gli obiettivi di pace, prosperità, libertà, sicurezza, benessere collettivo e diffuso, equità, ridistribuzione devono essere il punto di riferimento principale nel momento in cui verranno adottate le decisioni. L'esistenza di sfide quali il cambiamento climatico e il degrado ambientale impone di includere anche la sostenibilità tra i principi fondamentali che regolano tutte le spese previste nell'ambito del futuro bilancio.

4.2

Le soluzioni che verranno adottate dovranno essere all'insegna della trasparenza e della leggibilità del quadro completo che andrà a regolare il bilancio, contribuendo così a creare un legame più diretto tra i cittadini europei e le istituzioni dell'Unione.

4.3

La revisione del bilancio dovrà assicurare che il principio dell'equità tra i diversi Stati membri sia rispettato, superando ogni deroga, concessione e prerogativa. Il finanziamento del bilancio da parte di ciascuno Stato membro dovrà tener conto del livello generale di prosperità ed attenersi anche a principi di solidarietà.

4.4

La revisione del bilancio dovrà prevedere speciali misure per uscire dal sistema di deroghe, privilegi ed eccezioni per i singoli Stati membri che ne usufruiscono, all'insegna di un principio di non discriminazione e di uguaglianza di tutti i cittadini europei.

5.   Per un superamento dell'attuale sistema di finanziamento

5.1

Il documento di consultazione proposto dalla Commissione europea deve essere l'occasione per avviare una discussione seria tra tutti gli attori, istituzionali, politici e sociali al fine di superare le contraddizioni che caratterizzano il bilancio europeo e soprattutto il suo finanziamento.

5.2

Il CESE sottolinea che, data la delicatezza della materia, andrà ricercato un ampio consenso tra tutti i soggetti interessati, dai parlamenti nazionali alle parti sociali e alla società civile, durante il processo che implementerà le modifiche decise, e andrà ricercata una gradualità che garantisca una adesione diffusa al progetto di riforma, nell'intenzione di evitare trattamenti di favore verso uno Stato membro piuttosto che verso un altro.

5.3

Sulla base del nuovo Trattato di Lisbona, il CESE ritiene che la revisione del bilancio debba portare ad un sistema di finanziamento del budget attraverso nuove forme di risorse proprie. Devono essere risolte anzitutto due incongruenze che contraddistinguono l'attuale situazione: il fatto che il 70 % delle risorse provenga dalla fonte del reddito nazionale lordo che, almeno formalmente, ha carattere residuale e che una percentuale intorno all'85 % del totale provenga da risorse che, nei fatti, non sono «proprie» e quindi assegnate direttamente all'Unione.

5.4

Si auspica quindi un ritorno alla lettera e allo spirito dell'articolo 269 del Trattato, il quale stabilisce inequivocabilmente il primato delle risorse proprie per il finanziamento del budget. Ci sembra interessante il dibattito aperto dalla relazione LAMASSOURE del Parlamento europeo (6) in cui, tra gli altri aspetti, si ricordano ad esempio le idee relative alla revisione del sistema di risorse proprie:

IVA,

accise sul carburante destinate al trasporto e altre tasse sull'energia,

accise sul tabacco e alcool,

imposte sui profitti d'impresa.

5.5

I cittadini europei dovranno beneficiare della maggiore e migliore informazione, trasparenza ed efficienza del sistema. Inoltre devono essere messi in condizione di controllare e valutare la destinazione dei contributi che versano all'UE per il suo funzionamento e le sue politiche, partecipandovi nel modo più consapevole possibile. Tale modalità è tra i fondamenti di ogni governo democratico.

5.6

È chiaro che il grado di avanzamento dell'integrazione europea si misura anche sulla base delle modalità di finanziamento del bilancio. In un sistema più federale una tassa europea sarebbe giusta e più trasparente. Tuttavia immaginare che nella situazione attuale gli economisti europei non riescano a trovare una soluzione è sbagliato e tradisce la mancanza di una volontà politica.

6.   Politiche e ruolo dell'Unione europea

6.1

La Commissione europea, nella comunicazione SEC(2007) 1188 def., elenca una serie di fattori (7) che incidono in maniera diretta e indiretta sulle scelte strategiche e sull'agenda politica dell'Unione. Questi fattori vanno dall'invecchiamento della popolazione al progresso scientifico e tecnologico, dalla competitività dei mercati globali ai cambiamenti climatici, dalla solidarietà come impegno dell'Europa alle politiche in materia di sviluppo rurale.

6.2

Essendo il bilancio uno degli strumenti essenziali per il raggiungimento degli obiettivi alla base del progresso dell'UE, la sua revisione dovrà essere fatta alla luce di un'ampia ed approfondita riflessione sul ruolo e sugli scopi dell'Unione a 27.

6.3

Il CESE sostiene che in questa fase di consultazione occorrerà perciò, dentro e fuori le istituzioni, costruire un consenso intorno alle politiche, che si considerano di fondamentale importanza per il futuro europeo. Occorrerà poi determinare come l'Unione europea abbia rafforzato il suo ruolo ed il suo ambito di intervento in quei settori. Tutto ciò andrà fatto a maggior ragione alla luce del nuovo Trattato.

6.4

Nelle decisioni riguardanti le politiche che dovranno essere al centro dell'azione dell'Unione nei prossimi anni, bisognerà fare un'analisi attenta di tutte le incongruenze e i ritardi avvenuti nel passato, soprattutto nel sistema di finanziamento, in modo da evitare di ripetere gli stessi errori.

6.5

Nella serie di ambiti di intervento e di politiche più specifiche descritti come sfide del futuro dalla Commissione nel documento di consultazione, andranno particolarmente valorizzati, anche in termini economici, gli interventi a favore della coesione economica e sociale. In particolare dopo il recente allargamento dell'Unione, le disparità sono cresciute e la revisione del bilancio deve essere anche l'occasione per continuare a promuovere lo sviluppo delle regioni meno avanzate, per l'ovvia ragione che un progresso economico e sociale anche delle regioni meno ricche dell'Unione si ripercuote positivamente su tutti gli Stati membri e le loro economie.

6.6

Inoltre, solidarietà e giustizia sociale devono essere, come già ricordato, valori ai quali si deve continuare ad ispirare l'azione dell'UE. Di fronte a sfide quali, ad esempio, l'immigrazione, l'UE deve sapere proiettare il suo ruolo e il suo modello sociale anche all'esterno dei suoi confini, avendo a disposizione strumenti, anche finanziari, che abbiano lo scopo di rimuovere le cause dell'immigrazione nei paesi di origine.

6.7

Affrontare la sfida del cambiamento climatico diventa, ogni giorno di più, una questione di capitale importanza per l'Europa e dovrebbe trovare riscontro nelle future priorità di spesa dell'UE. È necessario impegnare fondi aggiuntivi nella ricerca e nello sviluppo di tecnologie di punta nel settore dell'energia e dei trasporti nonché nello sviluppo di metodi per la cattura e lo stoccaggio del carbonio. Importanti risorse andrebbero inoltre messe a disposizione per sostenere le misure di adattamento e di mitigazione nei paesi meno avanzati e gli investimenti nelle tecnologie a basso consumo di carbonio nelle economie emergenti.

7.   Avvicinare i cittadini europei alle politiche di bilancio

7.1

Alla crisi istituzionale dell'Unione europea ha contribuito la struttura stessa del bilancio, che necessita di riforme indispensabili: il dibattito non lungimirante scaturito sulle risorse proprie negli ultimi anni contribuisce a dare, nella situazione attuale, una cattiva immagine dell'Unione. La complessità, l'illeggibilità e l'esistenza di deroghe ed eccezioni sono tutti elementi che si allontanano dai principi dell'integrazione europea e concorrono a mantenere vivo l'euroscetticismo.

7.2

Di fronte anche alle difficoltà del percorso del Trattato costituzionale prima e del Trattato di Lisbona poi, il bilancio e la sua necessaria revisione non devono essere un ulteriore elemento che contribuisce a dare l'idea che il denaro dei cittadini europei vada a finanziare un «pozzo senza fondo». Proprio in questo senso è necessario un più esplicito collegamento tra le spese e i risultati conseguiti.

8.   Quale futuro per le risorse proprie?

8.1

Il dibattito sulle modalità di finanziamento dell'Unione è uno degli aspetti che più anima la discussione sulla revisione del bilancio. Il quadro attuale del finanziamento del bilancio (ricordato nel punto 3.7) si distanzia obiettivamente da un finanziamento basato sostanzialmente su risorse proprie. In vista della revisione, le opzioni vanno dall'introduzione di una nuova risorsa propria che sostituisca le precedenti forme di finanziamento a soluzioni che privilegino il RNL degli Stati membri.

8.2

Il Parlamento europeo, con la Relazione sul futuro delle risorse proprie dell'Unione europea, approvata nel marzo scorso (relatore: LAMASSOURE) (8), ha criticato l'assetto attuale del bilancio e il suo finanziamento e ne ha proposto una riforma in due fasi, facenti comunque parte di un'unica decisione. La prima fase, transitoria, porterebbe ad un miglioramento dell'attuale sistema di contributi nazionali, mentre la seconda deve portare, secondo il PE, alla creazione di una risorsa propria che si sostituisca ai meccanismi attuali.

8.3

Nel ribadire che l'introduzione di una tassa europea non sarebbe nulla di rivoluzionario in quanto non cambierebbe nulla nelle tasche dei contribuenti, il Parlamento europeo elenca i criteri cui il nuovo sistema dovrebbe attenersi: sufficienza, stabilità, visibilità e semplicità, bassi costi di funzionamento, ripartizione efficace delle risorse, equità verticale (ridistribuzione), equità orizzontale (stesso impatto su tutti i contribuenti europei) ed equità dei contributi (coerenza con la ricchezza e il benessere dei diversi Stati).

8.4

Il CESE, sulla base della constatazione fatta a più riprese dell'insufficienza del bilancio europeo, tenuto conto degli obiettivi che l'UE persegue e delle sfide che essa deve affrontare, vuole avviare una riflessione intorno alla questione di una tassa europea. Valutando i diversi gradi di importanza della legislazione comunitaria, una delle idee potrebbe essere quella di utilizzare le eventuali sanzioni per i paesi che non rispettano la trasposizione di alcune direttive di fondamentale importanza, per finanziare progetti di interesse europeo.

8.5

Il CESE apprezza la coerenza e la ricchezza di proposte della relazione del Parlamento e ne condivide l'analisi sullo stato attuale di salute del bilancio e sulla necessità di una sua riforma. Allo stesso modo però, si desidera richiamare l'attenzione sulle difficoltà che avrebbe l'introduzione di un sistema come quello descritto. L'introduzione di un finanziamento basato su una «tassa europea» incontrerebbe senza dubbio notevoli resistenze, anzitutto per problemi di comunicazione con i cittadini.

8.6

A questo proposito l'Unione europea dovrà con più forza sviluppare appieno, accanto ad un sostegno alla competitività, la salvaguardia e la promozione della coesione, dell'ambiente, dell'occupazione e del modello sociale europeo.

8.7

Il CESE auspica che, nelle decisioni che si adotteranno per la riforma del finanziamento del bilancio dell'UE, andranno ricercate soluzioni che, superando deroghe ed eccezioni, andranno a privilegiare la capacità contributiva di ciascuno Stato membro, all'insegna dell'equità, uguaglianza e solidarietà. Inoltre, si afferma che il dibattito sulle risorse, seppur di primaria importanza, non deve offuscare o lasciare in secondo piano la discussione sulle scelte strategiche dell'Unione, il suo ruolo e le sue politiche.

9.   Per forme di esecuzione del bilancio trasparenti ed efficaci

9.1

L'esecuzione del bilancio è un altro degli importanti temi sottoposti alla revisione. Trasparenza, affidabilità e leggibilità sono criteri che devono intervenire particolarmente in questa fase e, inoltre, è specialmente nell'esecuzione che i cittadini europei vengono a contatto con l'azione dell'UE e ne giudicano i risultati concreti. Bisognerà inoltre garantire la sincronizzazione del ciclo di bilancio con quella dei mandati istituzionali di Parlamento europeo, Commissione e Consiglio europeo.

9.2

Il CESE ritiene che debba essere fatto un ulteriore sforzo di informazione, nei confronti dei cittadini europei, dei risultati raggiunti dalle politiche e dai fondi europei principalmente per due ragioni: 1) per una questione di trasparenza; 2) per combattere l'euroscetticismo e un'informazione che, in maniera spesso tendenziosa, tende a privilegiare i meno numerosi insuccessi rispetto ai successi.

9.3

Per quanto riguarda la stabilità dei quadri finanziari e la flessibilità al loro interno, il CESE ritiene che le strategie a lungo termine dell'Unione europea (ad esempio occupazione, ricerca e sviluppo, ambiente, energia) debbano essere valorizzate da una certa continuità, mentre un certo margine di flessibilità, allo scopo di adeguarsi alle mutevoli circostanze e garantire una rapida reazione, dovrebbe essere riservato alle priorità di breve periodo, lasciando soprattutto spazio, in questi casi, all'azione degli Stati membri.

9.4

La discussione sull'esecuzione del bilancio deve inevitabilmente riguardare anche la gestione dello stesso e la conseguente responsabilità. Allo stato attuale, l'80 % del bilancio viene gestito direttamente dagli Stati membri, mentre il rimanente 20 % dalla Commissione europea, la quale ha però la responsabilità dell'intera esecuzione del bilancio. Il CESE evidenzia che anche questa ripartizione deve essere oggetto di una discussione per valutarne l'attualità.

9.5

A questo proposito occorre tenere in alta considerazione il nuovo Trattato, che modifica l'articolo 274 come segue: al primo comma, la parte di frase iniziale «La Commissione cura l'esecuzione del bilancio» è sostituita da «La Commissione dà esecuzione al bilancio, in cooperazione con gli Stati membri»; il secondo comma è sostituito da «Il regolamento prevede gli obblighi di controllo e di revisione contabile degli Stati membri nell'esecuzione del bilancio e le responsabilità che ne derivano. Esso prevede inoltre le responsabilità e le modalità particolari secondo le quali ogni istituzione partecipa all'esecuzione delle proprie spese».

Bruxelles, 12 marzo 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Cfr. il parere del CESE in merito alla Quarta relazione sulla coesione economica e sociale (CESE 1712/2007).

(2)  Al primo comma l'articolo 269 recita: «Il bilancio, fatte salve le altre entrate, è finanziato integralmente tramite risorse proprie».

(3)  Cfr. il parere del CESE sul tema Costruire il nostro avvenire comuneSfide e mezzi finanziari dell'Unione allargata 2007-2013 (GU C 74 del 23.5.2005, pag. 32).

(4)  Cfr. grafici allegati.

(5)  SEC(2007) 1188 def. — Comunicazione della CommissioneRiformare il bilancio, cambiare l'Europa: documento di consultazione pubblica in vista della revisione del bilancio 2008/2009.

(6)  Parlamento europeo, Relazione sul futuro delle risorse proprie dell'Unione europea (A6-0066/2007), del 13 marzo 2007, relatore: Alain LAMASSOURE.

(7)  Cfr. punto 2.1 della comunicazione SEC(2007) 1188 def.

(8)  http://www.europarl.europa.eu/sides/getDoc.do?pubRef=-//EP//NONSGML+REPORT+A6-2007-0066+0+DOC+WORD+V0//EN


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Qui di seguito si riportano gli emendamenti che, pur essendo stati respinti durante il dibattito, hanno ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi (articolo 54, paragrafo 3, del Regolamento interno):

Punto 1.3

Sopprimere l'intero punto:

La concezione delle politiche di bilancio non può prescindere da una scelta di fondo: federalismo o sistema intergovernativo. È chiaro che il grado di avanzamento dell'integrazione europea si misura anche sulla base delle modalità di finanziamento del bilancio.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 40 Voti contrari:87 Astensioni: 10

Punto 7.3

Dopo il punto 7.2 inserire un nuovo punto:

Una delle principali preoccupazioni riguardo all'attuale sistema di finanze comunitarie nasce dall'incapacità di gestirle in modo che i revisori convalidino poi i conti. La farsa che si ripropone di anno in anno — con i revisori che si rifiutano di convalidare gran parte delle spese dell'UE — crea una pubblicità molto negativa negli Stati membri. Qualunque nuovo sistema deve risolvere questo problema.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 37 Voti contrari: 94 Astensioni: 12


9.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 204/119


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica talune disposizioni della direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto

COM(2007) 677 def.

(2008/C 204/24)

Il Consiglio, in data 22 novembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 93 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Consiglio che modifica talune disposizioni della direttiva 2006/112/CE del Consiglio del 28 novembre 2006 relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 20 febbraio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore unico BURANI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 marzo 2008, nel corso della 443a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 123 voti favorevoli, 1 voto contrario e 6 astensioni.

1.   Premessa

1.1

Nel 2007 è entrata in vigore la «direttiva IVA» (1) che ha riunito in un unico testo le disposizioni in materia di IVA emanate e modificate nel corso degli anni. La sua applicazione ha rivelato alcune difficoltà pratiche o aspetti problematici che hanno fatto oggetto di rilievi o proposte da parte di aziende e di alcuni Stati membri. La Commissione li ha esaminati e ha deciso di presentare le proposte di modifica che sono oggetto della proposta in esame.

1.2

Le modifiche sono di diversa natura e si riferiscono a questioni differenti; onde evitare appesantimenti burocratici e procedurali, la Commissione ha ritenuto — correttamente, ad avviso del Comitato — di raggrupparle in una sola proposta.

2.   I contenuti della proposta

2.1

Alcune modifiche riguardano il settore dell'energia, il cui regime fiscale fu stabilito in origine da una direttiva del 2003 (2) e quindi trasposto nella direttiva IVA: a causa dei termini tecnici adottati, il suo campo di applicazione si è rivelato troppo ristretto e non corrispondente alla realtà economica. In particolare, fra i «prodotti energetici» soggetti ad accisa figuravano il gas naturale fornito mediante gasdotto o nave gasiera, l'energia elettrica e il calore o il freddo fornito mediante reti di calore o di freddo (la cosiddetta «teledistribuzione»). La Commissione propone di esentare questi prodotti dall'applicazione del tributo.

2.2

Sulle predette fonti di energia, la proposta prevede la tassazione nello Stato membro di destinazione delle prestazioni di servizi relative alla fornitura di un accesso. Viene inoltre introdotta una semplificazione delle procedure che consentono agli Stati membri di applicare un tasso ridotto di IVA.

2.3

In materia di deroghe, all'atto della loro adesione la Bulgaria e la Romania erano state autorizzare a concedere una franchigia d'imposta alle piccole imprese, e a continuare ad esentare dall'IVA i trasporti internazionali di persone. In materia nulla cambia: solo si è ritenuto utile far rientrare queste deroghe nel testo della direttiva IVA, come è avvenuto per gli altri Stati membri.

2.4

Per quanto riguarda il diritto di detrazione, la proposta introduce, o meglio chiarisce, un principio ovvio e insito nello spirito delle linee ispiratrici dell'IVA: se dei beni immobili adibiti ad uso promiscuo sono attribuiti al patrimonio d'impresa, l'esercizio iniziale del diritto alla detrazione è limitato alla parte di effettiva utilizzazione professionale. Viene anche previsto un sistema di rettifica per tener conto delle variazioni nel tempo delle proporzioni di utilizzo professionale e non professionale.

3.   Considerazioni e conclusioni

3.1

Le proposte di cui ai punti 2.3 e 2.4 non richiedono particolari commenti: si tratta soltanto, nel primo caso, della regolarizzazione di una precedente omissione e, nel secondo, di una puntualizzazione — necessaria, anche se ovvia — di un principio di fondo ampiamente conosciuto e applicato.

3.2

Circa i punti 2.1 e 2.2, il CESE ritiene valida la proposta, che mira a fare aderire la normativa alla realtà economica e riconosce una parità di trattamento fiscale alle diverse fonti di energia.

3.3

In conclusione, il CESE manifesta il proprio accordo sulla proposta della Commissione.

Bruxelles, 12 marzo 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Direttiva del Consiglio 2006/112/CE del 28 novembre 2006 relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto.

(2)  Direttiva del Consiglio 2003/92/CE del 7 ottobre 2003.


9.8.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 204/120


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le relazioni fra l'Unione europea e l'ex Repubblica iugoslava di Macedonia: il ruolo della società civile

(2008/C 204/25)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 febbraio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema:

Le relazioni fra l'Unione europea e l'ex Repubblica iugoslava di Macedonia: il ruolo della società civile.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 30 gennaio 2008, sulla base del progetto predisposto dal relatore Miklós BARABÁS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 marzo 2008, nel corso della 443a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 125 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Sintesi e principali conclusioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) riconosce i notevoli progressi compiuti dall'ex Repubblica iugoslava di Macedonia per lo sviluppo e la stabilizzazione delle sue relazioni con l'Unione europea (UE), nell'ottica di una futura adesione a quest'ultima. Lo status di paese candidato è il riconoscimento dei progressi compiuti sinora. Il CESE valuta positivamente questi sviluppi positivi alla luce delle conseguenze politiche, economiche e sociali dei conflitti nella regione ed è pienamente consapevole delle sfide insite nel periodo transitorio e nell'applicazione dell'accordo quadro di Ohrid.

1.2

Il CESE è pronto a sostenere l'ex Repubblica iugoslava di Macedonia nei suoi sforzi per avviare quanto prima i negoziati di adesione, di preferenza nel 2008.

1.3

Tenuto conto dell'impegno del CESE e dei rappresentanti dei gruppi d'interesse economico e sociale dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia a rafforzare il dialogo e la cooperazione fra la società civile organizzata dell'UE e dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia, è necessario preparare il terreno per l'adesione del paese all'UE, e in proposito è estremamente importante creare un comitato consultivo misto con il CESE. La selezione dei membri dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia che faranno parte di questo organo congiunto dovrebbe essere il risultato di un processo aperto, trasparente e democratico.

1.4

Nell'ottica dell'adesione all'UE, il CESE evidenzia il ruolo chiave della società civile dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia nella fase di definizione, attuazione, applicazione e monitoraggio delle politiche pubbliche e della legislazione (calendario delle riforme), al fine di preparare l'adozione dell'acquis comunitario. Per promuovere tale processo, la società civile del paese dovrebbe essere associata ai negoziati di adesione.

1.5

Le diverse federazioni sindacali dovrebbero coesistere su un piede di parità. Per creare condizioni idonee a tal fine è indispensabile prevedere una legislazione specifica sui sindacati e rivedere al ribasso la norma attuale per cui, per poter partecipare alla contrattazione collettiva, un sindacato deve rappresentare almeno il 33 % dei lavoratori del settore. Si tratterebbe di un importante passo avanti verso il rafforzamento del dialogo sociale e il pieno rispetto dei diritti sindacali.

1.6

Occorre facilitare lo sviluppo e la cooperazione tra le attuali organizzazioni dei datori di lavoro, e modificare il quadro giuridico in modo da definire criteri chiari per la loro partecipazione al Consiglio economico e sociale (CES).

1.7

Il ruolo del CES dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia va rafforzato: in particolare, dovrebbe essere reso più rappresentativo grazie alla partecipazione di tutte le parti interessate, comprese le organizzazioni della società civile. In questo modo si creeranno basi istituzionali solide per condurre un dialogo concreto sulle questioni economiche e sociali nell'ambito di un autentico partenariato. Perché ciò avvenga occorre definire un nuovo quadro giuridico con la partecipazione di tutti i soggetti interessati, e adottarlo in tempi rapidi.

1.8

Il CESE esprime viva preoccupazione per i livelli di povertà e di disoccupazione estremamente elevati, ed esorta il governo dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia a porre in essere politiche efficienti per combattere la povertà e rafforzare la coesione sociale.

1.9

L'allocazione delle risorse dello Stato e dei fondi dell'UE dovrà essere maggiormente diretta a favore delle fasce più povere della popolazione e improntata a criteri di solidarietà e coesione sociale, in modo da ridurre le attuali disparità fra le regioni e fra i gruppi etnici. A questo proposito occorrono provvedimenti specifici a favore dei rom.

1.10

Il CESE accoglie con favore l'impegno dimostrato e l'adozione, da parte del governo, della strategia per la cooperazione con la società civile, che vede come un passo avanti verso la creazione di un contesto favorevole allo sviluppo della società civile organizzata e come contributo all'avvio di un dialogo civile concreto e costruttivo.

1.11

Parallelamente all'incremento della partecipazione civica occorrerà anche rafforzare la capacità dei partner sociali e civili: in questo avranno un peso i meccanismi di sostegno finanziario diretto e indiretto predisposti dal governo. Inoltre, bisognerà introdurre nelle scuole specifici programmi educativi sul ruolo della società civile.

2.   Introduzione

2.1

Il 9 aprile 2001 l'ex Repubblica iugoslava di Macedonia è stato il primo paese dei Balcani occidentali a firmare, tramite scambio di lettere, un accordo di stabilizzazione e di associazione entrato in vigore il 1o aprile 2004.

2.2

L'ex Repubblica iugoslava di Macedonia ha presentato ufficialmente la propria domanda di adesione all'UE il 22 marzo 2004. Il 9 novembre 2005 la Commissione europea ha espresso al riguardo un parere favorevole, dopo di che il Consiglio europeo del 16 dicembre 2005 ha deciso di attribuire all'ex Repubblica iugoslava di Macedonia lo status di paese candidato.

2.3

Nella sua quarta riunione, svoltasi il 24 luglio 2007, il Consiglio di stabilizzazione e di associazione UE-ex Repubblica iugoslava di Macedonia ha preso atto del deciso impegno del paese balcanico ad accelerare il ritmo delle riforme. Il Consiglio si è inoltre detto favorevole all'istituzione di comitati consultivi misti con il CESE e il Comitato delle regioni.

2.4

L'ultima relazione sui progressi compiuti dall'ex Repubblica iugoslava di Macedonia, pubblicata il 6 novembre 2007, presenta una valutazione dei passi avanti fatti in diversi campi, ma anche un elenco delle importanti sfide che il paese deve ancora affrontare.

2.5

Nel quadro del previsto avvio dei negoziati di adesione, il CESE tiene a sottolineare il ruolo cruciale della società civile. Il presente parere si concentra quindi su tre temi: la società civile dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia vista in rapporto all'ambiente circostante, nonché alle opportunità e alle sfide che la caratterizzano; il dialogo sociale e civile nel paese e, infine, le relazioni con l'UE e con gli altri paesi dei Balcani occidentali.

3.   Alcune caratteristiche specifiche della società civile dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia

3.1

La società civile ha fatto la sua comparsa nel paese tra la fine del XIX e l'inizio del XX secolo, esercitando un forte influsso sul suo intero sviluppo sociale. I circoli culturali e letterari, le associazioni di beneficenza e altre iniziative civiche hanno posto le basi per lo sviluppo di organizzazioni culturali, sportive e professionali di vario tipo. Nel periodo socialista tali organizzazioni erano tenute sotto controllo politico. L'indipendenza, conseguita nel 1990, e il periodo di transizione alla democrazia parlamentare hanno costituito un potente incentivo per il rafforzamento del ruolo della società civile nel paese.

3.2

La rinascita della società civile dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia nei primi anni '90 del secolo scorso è stata fortemente e positivamente influenzata dagli sviluppi politici nel paese, i quali hanno spianato la strada alla creazione di una società civile indipendente, pluralista e orientata ai servizi. L'altra peculiarità sta nella matrice valoriale della società civile del paese, la quale è per lo più regolamentata secondo un approccio fortemente normativo.

3.3

La società civile dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia è caratterizzata da una partecipazione limitata dei cittadini sia in termini numerici che come grado di coinvolgimento. Se è vero che va crescendo l'impegno politico non partitico, è altrettanto vero che alle attività della società civile (opere caritative, affiliazione a organizzazioni della società civile, volontariato, azioni collettive nell'ambito delle rispettive comunità, ecc.) partecipa a tutt'oggi solo una minoranza dei cittadini (meno del 30 %).

4.   Contesto generale

4.1   Il contesto politico: l'accordo quadro di Ohrid e lo Stato di diritto

4.1.1

L'accordo quadro di Ohrid (1), siglato nell'agosto 2001, e lo Stato di diritto sono tra i fattori chiave della stabilità politica del paese. L'accordo quadro di Ohrid ha contribuito ad affrontare i problemi legati alla diversità etnica dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia, come anche a creare le basi della stabilità e dello sviluppo e ha impresso un nuovo ritmo alla vita politica, sociale, economica e interetnica.

4.1.2

Dopo le elezioni parlamentari del 2006 e la formazione del nuovo governo di centro-destra è emersa la necessità di un nuovo equilibrio. Occorre che il governo si adoperi a favore del dialogo sociale e si assicuri il sostegno di tutte le forze politiche nell'attuazione dell'agenda del paese per l'adesione all'UE. Anche se il dialogo politico costruttivo su questioni nazionali di importanza chiave segna dei progressi, questo processo rischia di essere ostacolato dalle continue tensioni politiche che si frappongono al miglioramento della governance e alla creazione di istituzioni democratiche funzionanti.

4.1.3

Notevoli sono i progressi compiuti nell'applicazione della parte legislativa dell'accordo quadro di Ohrid, le cui disposizioni sono state incluse nella Costituzione dopo l'adozione di emendamenti in Parlamento, e nel garantire un'equa rappresentanza delle comunità nazionali nella pubblica amministrazione. La percentuale della popolazione secondo cui le relazioni interetniche rappresentano il problema più grave del paese è calata dal 41,4 % nel luglio 2001 all'1,4 % nel marzo 2007. Se le relazioni interetniche venivano giudicate «molto negative» dal 19,7 % dei cittadini nel gennaio 2005, solo il 7,6 % esprimeva tale giudizio nel marzo 2007 (2).

4.1.4

Si registrano inoltre passi avanti su altri tre fronti: l'istruzione per le diverse comunità, la rappresentanza equa delle diverse etnie e il decentramento amministrativo. In quanto accordo «quadro», l'accordo di Ohrid consente un margine di interpretazione e la possibilità di richiedere misure integrative. Nuove difficoltà potrebbero sorgere circa l'uso delle lingue (legge sulle lingue, bilinguismo di Skopje), lo status degli ex combattenti di etnia albanese, l'assetto territoriale (Kičevo 2008) e la posizione delle comunità più piccole e disseminate nel paese: turchi, rom, serbi, bosniaci e valacchi, che costituiscono il 10,6 % della popolazione totale.

4.1.5

La situazione della comunità rom continua a destare preoccupazione, anche se il paese è una delle parti impegnate nell'iniziativa Il decennio dell'inclusione dei rom 2005-2015.

4.1.6

I provvedimenti adottati in passato per il rafforzamento dello Stato di diritto si sono rivelati di (troppo) corto respiro, soprattutto a causa delle debolezze strutturali nell'attuazione delle leggi e nel sistema giudiziario, di una pubblica amministrazione politicizzata e debole, come pure della corruzione e della criminalità organizzata. Oggi si possono constatare evidenti progressi in questi campi. Il quadro giuridico per il rafforzamento dell'autonomia e dell'efficienza della magistratura già esiste in gran parte grazie alle modifiche apportate alla Costituzione nel dicembre 2005. La lotta alla corruzione è in cima alle priorità del governo dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia. Nel maggio 2007 è stato adottato il nuovo programma statale per la prevenzione e la repressione della corruzione, ma resta necessaria una forte volontà politica se si vogliono intensificare gli sforzi per lottare efficacemente contro la corruzione.

4.2   Il contesto socioeconomico: crescita senza occupazione

4.2.1

L'ex Repubblica iugoslava di Macedonia era la meno sviluppata delle repubbliche della ex Federazione iugoslava, e nei sei anni precedenti all'indipendenza la sua economia ha segnato un costante declino. Gli anni immediatamente successivi sono stati tipicamente all'insegna dell'instabilità macroeconomica e dell'aumento del disavanzo pubblico: la crisi nella regione, l'embargo greco, le sanzioni imposte dall'ONU alla Repubblica federale di Iugoslavia e la crisi del Kosovo hanno inciso negativamente sulla situazione economica e politica del paese e hanno contribuito direttamente alla sua incapacità di concentrarsi sulle riforme politiche ed economiche.

4.2.2

Oggi il paese gode di una relativa stabilità macroeconomica basata su un ampio consenso sulle politiche economiche e procede verso una maggiore liberalizzazione degli scambi (è membro dell'OMC e dell'accordo centroeuropeo di libero scambio [CEFTA]), anche se non si può ancora parlare di un vero e proprio sviluppo economico.

4.2.3

Di conseguenza, il tasso di povertà nel paese è molto elevato e il 29,8 % dell'intera popolazione dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia si colloca al di sotto della soglia della povertà. La povertà è direttamente collegata a un tasso di disoccupazione estremamente elevato (36 %).

4.2.4

La povertà, l'esclusione sociale e un alto tasso di disoccupazione, unitamente al cattivo funzionamento del mercato del lavoro sono il risultato (negativo) dei seguenti fattori: bassa crescita economica (circa il 4 %), inadeguatezza delle strutture societarie (soprattutto PMI dalle prestazioni insoddisfacenti), rigidità del mercato del lavoro, un sistema educativo debole e robusta crescita demografica. Finora, per far fronte alla povertà, il governo ha fatto spesso ricorso ad ammortizzatori sociali, senza però adottare alcuna politica attiva a favore dell'occupazione.

4.2.5

Ciononostante, la crescita del PIL pari al 7 % registrata nel primo trimestre del 2007 potrebbe essere l'inizio, atteso da tempo, di un ciclo di sviluppo economico più dinamico.

4.3   Il contesto socioculturale: una sfiducia diffusa

4.3.1

Le relazioni sociali sono caratterizzate da una diffusa mancanza di fiducia, di tolleranza e di senso civico. Nonostante la notevole diffidenza nei confronti delle istituzioni, l'anno scorso si è registrato un aumento della fiducia nel governo.

4.3.2

L'osservatorio World Values Survey (Indagine mondiale sui valori) attribuisce alla società dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia un basso livello di tolleranza, rappresentato dall'indice 2,08. L'intolleranza è in effetti molto elevata nei confronti di gruppi emarginati come i tossicodipendenti, gli alcolisti, gli omosessuali e i rom. Anche il senso civico, misurato attraverso il mancato pagamento dei servizi pubblici (trasporti, acqua, ecc.) e delle imposte o l'(ab)uso dei sussidi statali, appare poco sviluppato.

5.   La società civile dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia

5.1   Il contesto giuridico

5.1.1

La libertà di associazione è garantita dalla Costituzione (articolo 20) ed è disciplinata dalla legge del 1998 sulle associazioni di persone e sulle fondazioni.

5.1.2

Manca una normativa specifica sulle associazioni sindacali e imprenditoriali, che sono disciplinate unicamente da alcuni articoli della legislazione sul lavoro e sulle società. È necessario stabilire quanto prima condizioni di equità per le parti sociali, specie al fine di garantirne l'indipendenza. Le camere di commercio sono disciplinate da una normativa apposita.

5.1.3

Nonostante i recenti miglioramenti (legge sulle donazioni e sulle sponsorizzazioni, ecc.), la legislazione fiscale applicabile alle organizzazioni della società civile e le agevolazioni fiscali per i contributi filantropici si frappongono a ogni ulteriore loro sviluppo.

5.1.4

È in fase di preparazione una nuova legge sulle associazioni di persone e sulle fondazioni. I principali cambiamenti previsti sono: un ulteriore miglioramento del diritto di costituire organizzazioni della società civile, norme volte a disciplinarne le attività economiche e l'introduzione dello status di organizzazione non lucrativa di utilità sociale (ONLUS).

5.2   Panoramica della società civile dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia

5.2.1   Diversità e rappresentatività delle organizzazioni della società civile

5.2.1.1

La società civile organizzata dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia si articola in sindacati, organizzazioni civiche e camere di commercio, insieme a chiese e comunità confessionali. Le associazioni dei datori di lavoro e le camere di commercio (a livello nazionale ne esistono due: la Camera macedone dell'economia [SKM] e l'Unione delle camere di commercio macedoni [USKM]) costituiscono una novità per il paese e le camere di commercio sono ancora viste come rappresentanti del settore privato.

5.2.1.2

Le relazioni tra le organizzazioni di datori di lavoro sono ulteriormente complicate dal fatto che solo una di esse (l'Associazione dei datori di lavoro della Macedonia [ZRM]) fa parte del Consiglio economico e sociale (CES) dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia. L'altra, la Confederazione dei datori di lavoro della Repubblica di Macedonia (KRM), propugna un atteggiamento più aperto e inclusivo da parte del CES dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia.

5.2.1.3

I sindacati fanno capo a quattro confederazioni: la Federazione dei sindacati di Macedonia (SSM), la Confederazione dei sindacati indipendenti (KNS), la Confederazione delle organizzazioni sindacali della Macedonia (KSS) e l'Unione dei sindacati liberi e autonomi (UNS). Le relazioni tra queste organizzazioni sono caratterizzate da un atteggiamento di rivalità che talvolta degenera in un'ostilità dovuta a motivazioni personali. Ciò indebolisce notevolmente la loro posizione contrattuale, specialmente nei confronti del governo.

5.2.1.4

Nel paese sono registrate 5.289 organizzazioni della società civile (2003). Quasi tutte le categorie della popolazione sono rappresentate come componenti della società civile, mentre più esigua è la rappresentanza delle comunità povere e rurali e delle comunità etniche, specie quella albanese. Numerose organizzazioni (43 %) si concentrano nella capitale Skopje, mentre mancano quasi del tutto nelle aree rurali.

5.2.2   Livello organizzativo e relazioni

5.2.2.1

Nel paese esistono all'incirca 200 organismi centrali della società civile. Le organizzazioni sono in maggioranza affiliate a un'unione, una federazione, una piattaforma o un altro organismo centrale in base alla loro tipologia o alle fasce della popolazione cui si rivolgono. Questi organismi svolgono una funzione importante nel consolidare il settore della società civile del paese.

5.2.2.2

Per la società civile dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia la partita si gioca sulla comunicazione, sul coordinamento e sulla cooperazione. L'interazione e il dialogo tra datori di lavoro, sindacati e altre organizzazioni della società civile sono praticamente inesistenti. Nondimeno, un esempio positivo a questo riguardo è stato dato dalla Piattaforma civica di Macedonia con i suoi 29 membri.

5.3   Punti di forza e debolezze della società civile dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia

5.3.1

I punti di forza della società civile dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia si riassumono così: legittimazione (empowerment) dei cittadini, alti ideali di pace, parità tra i sessi e sostenibilità ambientale.

5.3.2

La società civile esercita il suo impatto più significativo nella legittimazione dei cittadini, in particolare le donne e i gruppi emarginati. La partecipazione delle donne alla vita pubblica (Parlamento, comuni e associazioni della società civile) è aumentata in maniera consistente.

5.3.3

Le organizzazioni ambientaliste sono state il fiore all'occhiello degli anni 1996-2001: in quegli anni infatti, grazie alle loro pressioni, il governo è riuscito a integrare il principio della sostenibilità ambientale in tutte le sue politiche. Esse dispongono ancora di un effettivo potenziale per svolgere un ruolo positivo in futuro.

5.3.4

Tutti i principali soggetti della società civile organizzata dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia hanno attuato e praticano il pluralismo, anche se la capacità di portare avanti un dialogo intersettoriale andrebbe sviluppata e rafforzata.

5.3.5

Le debolezze della società civile riguardano i seguenti aspetti: eliminazione della povertà, trasparenza e autoregolamentazione, l'esercizio della democrazia, i rapporti di reciproca indifferenza con il settore privato, l'insufficienza delle risorse e la scarsa diversificazione delle fonti di finanziamento (attualmente vi è una forte dipendenza dai donatori esteri).

5.3.6

Il retaggio del passato, a cui si aggiungono le disparità in termini di posizionamento e di atteggiamento reciproco (e nei confronti dello Stato) delle varie organizzazioni, spesso caratterizzate da una certa connotazione emotiva, costituisce un notevole ostacolo al dialogo e all'azione.

5.3.7

L'opinione pubblica macedone nutre molta fiducia nelle chiese e nelle comunità confessionali, una fiducia moderata nelle organizzazioni civiche e una scarsa fiducia nelle camere di commercio e nei sindacati, ascrivibile — nel caso di questi ultimi — alla sensazione diffusa di un deterioramento nelle condizioni dei lavoratori e di una mancanza di azione.

6.   Il dialogo sociale e civile e la creazione di un comitato consultivo misto con il CESE

6.1   Il dialogo sociale

6.1.1   Il contesto

L'ex Repubblica iugoslava di Macedonia è membro dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) e ne ha ratificato la maggior parte delle convenzioni. Fra le più recenti sono da segnalare la C182 (Convenzione sulle forme peggiori di lavoro minorile), ratificata nel 2002, e la C144 (Convenzione sulle consultazioni tripartite relative alle norme internazionali del lavoro), ratificata nel 2005.

6.1.2   Il Consiglio economico e sociale dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia

Il quadro istituzionale per il dialogo sociale, in particolare il dialogo tripartito condotto attraverso il Consiglio economico e sociale dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia (CES), è ancora nella fase embrionale. Il CES, creato nel 1996, gestisce il dialogo tripartito (sindacati e datori di lavoro come interlocutori del governo) a livello nazionale. Tuttavia, esso ha un margine limitato di intervento visto che il dialogo coinvolge unicamente i rappresentanti della Federazione sindacale della Macedonia (SSM) e dell'Associazione dei datori di lavoro della Macedonia, ed è presieduto dal ministro del Lavoro e delle politiche sociali.

6.1.3

La situazione è seriamente minacciata dalle organizzazioni imprenditoriali e sindacali che non sono membri del CES e muovono forti critiche al suo operato. Sembra esservi un accordo generale, che include anche il governo, sul fatto che l'attuale quadro giuridico andrebbe modificato in modo da definire più chiaramente i criteri di partecipazione al CES. Si può tuttavia prevedere che il dibattito inteso a trovare una soluzione soddisfacente e un nuovo quadro giuridico per il CES durerà ancora a lungo.

6.1.4   La contrattazione collettiva

Esistono due contratti collettivi generali, per il settore pubblico e privato, e circa 24 contratti collettivi a carattere settoriale. Attualmente, per essere ammessi alle contrattazioni collettive i sindacati devono contare fra i loro membri il 33 % dei lavoratori interessati a un determinato contratto. Tale disposizione è fortemente criticata da numerosi sindacati, che chiedono un sostanziale abbassamento di questa soglia. Peraltro, finora è stato difficile dimostrare con certezza che un'organizzazione ha effettivamente raggiunto tale soglia.

6.2   Il dialogo civile alla luce della nuova strategia governativa

6.2.1

Inizialmente le relazioni fra il governo e le organizzazioni della società civile sono state caratterizzate da contatti e accordi intermittenti. Il primo passo verso relazioni istituzionalizzate è stato compiuto nel novembre 2004 con la creazione di un'unità della società civile presso il governo.

6.2.2

Nel gennaio 2007 è stata approvata la strategia governativa per la cooperazione con la società civile, corredata di un piano di azione per la sua attuazione. Questo documento è il risultato di un autentico processo di consultazione.

6.2.3

I principali obiettivi delineati nella suddetta strategia sono: la partecipazione della società civile al processo di definizione delle politiche, l'inclusione della società civile nel processo di adesione all'UE, la creazione di condizioni più favorevoli per il funzionamento della società civile, il potenziamento e il perfezionamento del quadro giuridico per migliorare le condizioni della società civile, e lo sviluppo della cooperazione interistituzionale e intersettoriale.

6.3   Creazione di un comitato consultivo misto (CCM) con il CESE

6.3.1

Tutte le parti interessate del paese annettono grande importanza alla creazione di un CCM con il CESE e chiedono che essa abbia luogo al più presto.

6.3.2

Un CCM con una composizione adeguata può costituire uno strumento efficace non solo per avvicinare il paese e la sua società civile organizzata all'UE, ma anche per promuovere il dialogo tra le organizzazioni della società civile a livello nazionale.

6.3.3

È necessario un grande impegno da parte di tutti i soggetti interessati per garantire che i membri dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia del CCM vengano selezionati secondo modalità aperte, trasparenti e democratiche e che siano dotati di legittimità e rappresentatività.

7.   L'ex Repubblica iugoslava di Macedonia, l'UE e i Balcani

7.1   Lo stato delle relazioni tra l'ex Repubblica iugoslava di Macedonia e l'UE

7.1.1   Paese candidato

L'ex Repubblica iugoslava di Macedonia, primo paese dei Balcani occidentali a firmare, nell'aprile 2001, un accordo di stabilizzazione e associazione (ASA), ha attualmente lo status di paese candidato e si sta preparando ai negoziati di adesione con l'UE. Dopo che il vertice di Salonicco del 19-21 giugno 2003 ebbe previsto ulteriori misure di sostegno per l'adesione all'UE dei paesi dei Balcani occidentali, il 14 febbraio 2005 il governo dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia presentò le proprie risposte al questionario della Commissione europea. Tali risposte sono state alla base del parere positivo espresso dalla Commissione il 9 novembre 2005 e, successivamente, della decisione del Consiglio europeo del 16 dicembre 2005 che ha assegnato al paese lo status di candidato.

7.1.2   Gli scambi con l'UE

Nel 2006 le esportazioni dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia verso l'UE sono ammontate complessivamente a 1,43 miliardi di euro, mentre le importazioni sono state di 2,25 miliardi di euro, il che ha rappresentato, rispettivamente, il 51,85 % del volume totale delle esportazioni e il 44 % delle importazioni. I cinque principali partner commerciali comunitari sono la Germania, la Grecia, l'Italia, la Slovenia e la Polonia.

Alcuni dei problemi commerciali ancora aperti sono la mancata integrazione dei servizi frontalieri, la mancata introduzione delle nuove tecnologie e delle operazioni doganali senza supporto cartaceo, la dichiarazione delle merci, e l'assenza di laboratori di riferimento per la certificazione (ad es. di prodotti agricoli).

7.1.3   I visti

La mobilità dei cittadini, soprattutto per i contatti commerciali, l'istruzione e gli scambi culturali, è cruciale per la capacità del paese di intessere rapporti con l'UE. Il 18 settembre 2007 è stato firmato con l'UE un accordo in materia di riammissione e di semplificazione del rilascio dei visti, il quale costituisce una tappa verso un regime di esenzione reciproca dall'obbligo del visto. Un dialogo sull'istituzione di un siffatto regime è stato varato il 20 febbraio 2008.

7.1.4   Gli aiuti dell'UE

Fra il 1992 e il 2006 l'UE ha fornito al paese aiuti per 800 milioni di euro. Per il periodo 2007-2009 si è impegnata a fornire 210 milioni di euro.

7.2   Il ruolo della società civile nel processo di integrazione all'UE

7.2.1

L'integrazione europea costituisce una sfida importante per la società civile dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia. Con il processo di adesione, l'integrazione europea offre un impulso vigoroso all'ulteriore sviluppo della società civile. Le organizzazioni della società civile sono portatrici di nuovi valori, come la democrazia partecipativa, l'inclusione, le pari opportunità, la trasparenza e la responsabilità democratica. Le organizzazioni della società civile svolgono anche un importante ruolo di tramite fra una società balcanica tradizionalistica, multiculturale (e multietnica) e l'Europa postmoderna.

7.2.2

Il governo dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia ha incominciato a riconoscere il ruolo della società civile nel processo d'integrazione con l'UE facendone uno dei suoi obiettivi strategici.

7.2.3

Il contributo dell'UE alla società civile è aumentato dopo l'introduzione del programma CARDS (Assistenza alla ricostruzione, allo sviluppo e alla stabilizzazione) nel 2001. Molte iniziative civili hanno beneficiato del sostegno dell'UE, fra cui l'assistenza tecnica alla definizione della strategia del governo per la cooperazione con la società civile e il supporto alla Piattaforma civica di Macedonia.

7.3   I collegamenti con i vicini balcanici

7.3.1

L'ex Repubblica iugoslava di Macedonia svolge un ruolo attivo nell'ambito della cooperazione regionale grazie alla sua mobilitazione a favore delle relazioni bilaterali e della politica di buon vicinato. Partecipa fattivamente a processi a livello regionale come la creazione del Consiglio per la cooperazione regionale (il processo di cooperazione nell'Europa sudorientale, Southeast European Co-operation Process — SEECP), il trattato che istituisce la Comunità dell'energia, lo Spazio aereo comune europeo, l'iniziativa di cooperazione nell'Europa sudorientale (SECI) e l'accordo centroeuropeo di libero scambio (CEFTA). In tale contesto, alla stampa nazionale e locale spetta la speciale responsabilità di influenzare positivamente lo sviluppo di tali processi.

7.3.2

I collegamenti e le interazioni su scala regionale s'intensificano anche in altri ambiti, compreso quello della società civile. Si possono citare esempi positivi di azioni congiunte condotte con la partecipazione attiva di organizzazioni di datori di lavoro, sindacati e altre organizzazioni della società civile dell'ex Repubblica iugoslava di Macedonia.

Bruxelles, 12 marzo 2008

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Agli inizi del 2001, l'ex Repubblica iugoslava di Macedonia ha vissuto una fase di conflitti armati e crisi nelle relazioni interetniche. La soluzione politica a tali crisi è giunta con l'accordo quadro (noto anche come Accordo di Ohrid) sottoscritto a Ohrid il 13 agosto 2001 dai quattro principali partiti politici e avente per garanti il Presidente della Repubblica e la comunità internazionale (UE e USA). L'accordo quadro si prefigge di preservare l'integrità e l'unità dello Stato, di incoraggiare la democrazia e sviluppare la società civile, di promuovere l'integrazione euro-atlantica e di sviluppare una società multiculturale alla quale tutte le comunità etniche siano associate a parità di diritti. L'applicazione della parte legislativa dell'accordo quadro è stata portata a termine nell'arco di circa quattro anni, nel luglio 2005.

(2)  UNDP, Early Warning ReportEx Repubblica iugoslava di Macedonia, Skopje, giugno 2007.