ISSN 1725-2466

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 120

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

51o anno
16 maggio 2008


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

III   Atti preparatori

 

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

 

440a sessione plenaria del 12 e del 13 dicembre 2007

2008/C 120/01

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla

1

2008/C 120/02

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 80/181/CEE del Consiglio sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri riguardo alle unità di misura COM(2007) 510 def. — 2007/0187 (COD)

14

2008/C 120/03

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al livello sonoro all'orecchio dei conducenti dei trattori agricoli o forestali a ruote (versione codificata) COM(2007) 588 def. — 2007/0205 (COD)

15

2008/C 120/04

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde sugli strumenti di mercato utilizzati a fini di politica ambientale e ad altri fini connessi COM(2007) 140 def. — SEC(2007) 388

15

2008/C 120/05

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema I lavoratori agricoli transfrontalieri

19

2008/C 120/06

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La situazione occupazionale nel settore agricolo

25

2008/C 120/07

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il ruolo dei consigli nazionali per lo sviluppo sostenibile

29

2008/C 120/08

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde — Per una migliore demolizione delle navi COM(2007) 269 def.

33

2008/C 120/09

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — L'adattamento ai cambiamenti climatici in Europa — quali possibilità di intervento per l'UE COM(2007) 354 def.

38

2008/C 120/10

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio relativo all'organizzazione comune del mercato vitivinicolo e recante modifica di alcuni regolamenti COM(2007) 372 def. — 2007/0138 (CNS)

42

2008/C 120/11

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le prospettive dell'agricoltura nelle aree con svantaggi naturali specifici (regioni montane, insulari e ultraperiferiche)

47

2008/C 120/12

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 998/2003 relativo alle condizioni di polizia sanitaria applicabili ai movimenti a carattere non commerciale di animali da compagnia per quanto riguarda l'estensione del periodo transitorio COM(2007) 572 def. — 2007/0202 (COD)

49

2008/C 120/13

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla

50

2008/C 120/14

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'impatto della territorialità delle norme fiscali sulle trasformazioni industriali

51

2008/C 120/15

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Impatto delle norme ambientali europee sulle trasformazioni industriali

57

2008/C 120/16

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Promuovere la solidarietà fra le generazioni COM(2007) 244 def.

66

2008/C 120/17

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Quarta relazione sulla coesione economica e sociale COM(2007) 273 def.

73

2008/C 120/18

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Migrazione e sviluppo: opportunità e sfide

82

2008/C 120/19

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le relazioni UE-Moldova: il ruolo della società civile organizzata

89

2008/C 120/20

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'attuazione della strategia di Lisbona: situazione presente e prospettive future

96

2008/C 120/21

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio relativa alla struttura e alle aliquote dell'accisa applicata al tabacco lavorato (versione codificata) COM(2007) 587 def.

100

IT

 


III Atti preparatori

COMITATO ECONOMICO E SOCIALE EUROPEO

440a sessione plenaria del 12 e del 13 dicembre 2007

16.5.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che pone norme in materia di accreditamento e vigilanza del mercato per quanto riguarda la commercializzazione dei prodotti,

alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a un quadro comune per la commercializzazione dei prodotti,

e alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce procedure relative all'applicazione di determinate norme tecniche nazionali a prodotti legalmente commercializzati in un altro Stato membro e che abroga la decisione n. 3052/95/CE

COM(2007) 37 def. — 2007/0029 (COD)

COM(2007) 53 def. — 2007/0030 (COD)

COM(2007) 36 def. — 2007/0028 (COD)

(2008/C 120/01)

Il Consiglio, in data 14 marzo 2007, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 95 e 133, paragrafo 3, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che pone norme in materia di accreditamento e vigilanza del mercato per quanto riguarda la commercializzazione dei prodotti,

e alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a un quadro comune per la commercializzazione dei prodotti

Il Consiglio, in data 2 aprile 2007, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 37 e 95, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce procedure relative all'applicazione di determinate norme tecniche nazionali a prodotti legalmente commercializzati in un altro Stato membro e che abroga la decisione n. 3052/95/CE

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 novembre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore PEZZINI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 dicembre 2007, nel corso della 440a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 68 voti favorevoli, 2 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato è pienamente convinto dell'importanza di assicurare la piena operatività del principio della libera circolazione delle merci, sancito dal Trattato e confermato da numerose sentenze della Corte di giustizia, affinché i prodotti legalmente commercializzati in uno Stato membro possano esserlo, senza difficoltà, in tutto il territorio dell'UE.

1.2.

Secondo il Comitato è prioritario garantire certezza, trasparenza ed efficacia negli scambi, eliminando duplicazioni di controlli e test ed assicurando elevati livelli di tutela dei consumatori, dei cittadini e delle imprese: è altrettanto essenziale assicurare una applicazione attiva ed uniforme delle prescrizioni comunitarie nel campo della sicurezza dei prodotti, attraverso il coordinamento ed il rafforzamento delle attività di vigilanza del mercato.

1.3.

Il Comitato sottolinea che la libera circolazione dei beni rappresenta un motore essenziale della competitività e dello sviluppo economico e sociale del mercato unico europeo: il rafforzamento e la modernizzazione delle condizioni di commercializzazione di prodotti sicuri e di qualità costituiscono elementi fondamentali per i consumatori, per le imprese e per i cittadini europei.

1.4.

Il Comitato ritiene che la modernizzazione e la semplificazione della legislazione UE sulle merci sia improcrastinabile, alla luce degli elementi oggettivi seguenti:

i problemi registrati nell'applicazione e nell'attuazione delle norme del Trattato,

l'assenza di un approccio coerente del sistema di vigilanza del mercato negli Stati membri,

carenze degli organismi di valutazione della conformità e della tutela giuridica del marchio CE,

conoscenza lacunosa dei diritti e degli obblighi, da parte delle imprese, delle amministrazioni e dei cittadini.

1.5.

Il Comitato non può che condividere l'iniziativa di un pacchetto normativo della Commissione in materia, nella misura in cui si realizzi pienamente:

un'attuazione efficace e omogenea del principio del mutuo riconoscimento,

il rafforzamento della vigilanza del mercato,

un sistema comune europeo di accreditamento, inteso come un servizio pubblico di interesse generale,

livelli comuni di competenza degli organismi di certificazione accreditati,

dei criteri di selezione più rigorosi e delle procedure di selezione armonizzate per le valutazioni di conformità,

una maggiore cooperazione continua e sistematica tra autorità nazionali,

una tutela giuridica rafforzata del marchio CE, evitando confusioni a causa di eccessivi marchi,

la piena individuazione e definizione di responsabilità, per chiunque immetta prodotti sul mercato,

un quadro normativo più omogeneo e di maggiore coerenza tra i testi esistenti, con elevati livelli di conformità e livelli minimi di carichi amministrativi,

la garanzia di tracciabilità per qualsivoglia prodotto immesso sul mercato,

la piena applicazione del principio di proporzionalità delle procedure e degli oneri di certificazione, specie per le imprese minori e per i prodotti non di serie o a serie limitata,

il pieno coinvolgimento di tutti gli attori del mercato e in particolare dei consumatori,

la previsione esplicita di meccanismi di ricorso extragiudiziale, con tempi e oneri ridotti al minimo indispensabile.

1.6.

Il Comitato ritiene prioritario assicurare livelli elevati di trasparenza e certezza nell'applicazione di procedure comuni, in tema di mutuo riconoscimento, mediante:

l'inversione dell'onere della prova e la possibilità di ricorso ai tribunali nazionali,

la possibilità di composizione extragiudiziale delle vertenze nei punti di contatto prodotti nazionali, attraverso anche un sito web,

tempistiche procedurali ridotte, sia giudiziali che extragiudiziali,

la creazione di strutture tecniche nazionali, capaci e competenti, per produrre in tempi rapidi — anche con procedure d'urgenza — le eventuali prove,

un ruolo attivo degli enti di normazione nella predisposizione di una guida telematica, che consenta di rintracciare su tutto il territorio UE l'insieme delle normative esistenti.

1.7.

Il Comitato condivide i principi base delle proposte, che nascono dalle esperienze positive del nuovo approccio, combinato con l'approccio globale, sulla valutazione di conformità: essi dovrebbero avere applicazione generalizzata nella presente e futura legislazione comunitaria, coprendo tutti gli aspetti dei prodotti commercializzati, specie in tema di sicurezza, salute e tutela ambientale.

1.8.

Il Comitato sottolinea l'importanza che tutti gli operatori economici che intervengono nella catena di fornitura e di distribuzione, siano essi fabbricanti, rappresentanti autorizzati o importatori, prendano le opportune misure ed assumano pari responsabilità per garantire che vengano commercializzati solo prodotti conformi alla normativa.

1.9.

La tracciabilità dei prodotti, per risalire alle responsabilità degli operatori economici che immettono beni sul mercato europeo, deve permettere una chiara identificazione, in vista dell'applicazione effettiva delle prescrizioni comunitarie.

1.10.

Secondo il Comitato, occorrerebbe affrontare anche i problemi dell'immissione sul mercato di prodotti via Internet, dato che il mercato di vendita on-line non è stato ancora completamente regolamentato.

1.11.

Il Comitato ritiene indispensabili indicazioni più chiare, che migliorino il quadro attuale del nuovo approccio, in termini di:

obblighi per gli operatori economici, che dovranno essere giustificati, proporzionati e privi di adempimenti burocratici e amministrativi costosi,

una più efficiente sorveglianza del mercato e una maggiore equivalenza dei livelli di competenza degli enti notificati di valutazione della conformità, per garantire la massima imparzialità ed efficacia in tutto lo Spazio economico europeo e parità di concorrenza tra tutti i produttori.

1.12.

Il Comitato concorda sulla esigenza di rafforzare lo status ed il significato del marchio CE e di conferirgli una maggiore tutela giuridica, attraverso la sua registrazione come marchio collettivo, che permetta alle autorità pubbliche di intervenire rapidamente e di reprimere gli abusi.

1.13.

Il Comitato ribadisce il ruolo fondamentale che esercita in questo campo il processo di normalizzazione tecnica, dato che il nuovo approccio è appunto basato su uno stretto legame tra requisiti essenziali di legge e standard tecnici europei, che devono essere sostenuti e valorizzati.

1.14.

Il Sistema europeo di accreditamento (SEA) — inteso come servizio pubblico di interesse generale — deve, da una parte, assicurare l'accettazione globale dei risultati delle valutazioni di conformità ed evitare inutili duplicazioni di valutazione e, dall'altra, basarsi su standard internazionalmente riconosciuti e su definizioni chiare.

1.15.

Le disposizioni del regolamento relative al SEA devono applicarsi a tutti gli enti di accreditamento ed ai servizi da loro erogati, nell'ambito dello Spazio economico europeo, indipendentemente dal genere d'attività di valutazione di conformità fornita ai propri clienti.

1.16.

Tali disposizioni devono garantire:

un corpo coerente di definizioni comuni, chiare e trasparenti, conformi a standard internazionali, da usare in tutte le direttive del nuovo approccio e direttive per prodotto (1), ivi comprese quelle in tema di valutazione di conformità e di ente deputato alla valutazione della conformità,

l'operatività, sotto l'autorità pubblica, del sistema di accreditamento, che non deve essere oggetto di competizione commerciale,

una copertura generale dell'intera legislazione comunitaria pertinente, senza eccezioni né in materia di sicurezza e salute né in materia di tutela ambientale,

una applicazione generalizzata a tutte le attività soggette ad accreditamento, inclusa la taratura, indipendentemente dal fatto che l'accreditamento sia richiesto per adempiere a valutazioni di conformità ai sensi di legge o in ottemperanza ad accordi contrattuali privati,

il rispetto, da parte degli enti nazionali di accreditamento, degli standard di competenza e di imparzialità, attraverso la loro partecipazione a peer evaluation, realizzate sotto la supervisione di tutte le parti interessate al processo.

1.17.

Il Comitato ritiene necessario stabilire una chiara base giuridica per la European Cooperation for Accreditation (EA) (Cooperazione europea per l'accreditamento), il cui ruolo deve essere rafforzato e meglio definito: tutti gli enti nazionali di accreditamento dovranno essere associati all'EA, allo scopo di assicurare equivalenza, trasparenza, affidabilità ed efficacia, inoltre, la rete EA dovrà essere sostenuta dagli Stati membri.

1.18.

Secondo il Comitato, gli enti di accreditamento, per potersi dimostrare degni della fiducia in loro riposta, dovranno poter provare che partecipano con successo alla revisione paritaria (peer review).

1.19.

Il Comitato ritiene, inoltre, che sia importante coinvolgere tutte le parti interessate prevedendo una loro rappresentanza negli enti d'accreditamento: tale previsione dovrebbe far parte integrante del nuovo regolamento.

1.20.

Il Comitato ritiene, in proposito, che i diritti dei consumatori nel mercato interno debbano essere maggiormente conosciuti e riconosciuti e che un'azione adeguata debba essere prevista al riguardo.

1.21.

L'attività di sorveglianza del mercato deve riguardare anche i prodotti coperti dalla direttiva sulla Sicurezza generale dei prodotti (SGP) poiché numerosi prodotti sono venduti sia per uso professionale sia per l'utilizzo del consumatore finale: il CESE ritiene peraltro pienamente giustificato l'attuale sistema di scambio d'informazione rapida RAPEX, che è in grado di garantire con efficacia la sorveglianza del mercato.

1.22.

È necessario che le autorità doganali cooperino, all'interno di una rete europea, con quelle della sorveglianza del mercato, per assicurare controlli efficaci sui prodotti prima che questi siano immessi per la libera circolazione nel mercato interno europeo.

1.23.

Anche per questo le autorità doganali devono essere dotate di personale qualificato, devono avere mezzi finanziari e poteri adeguati per poter far fronte efficacemente ai compiti loro affidati, e devono possedere strumenti adatti anche ad un'azione rapida, nel caso dei prodotti stagionali o commercializzati per periodi limitati.

1.24.

Da ultimo, il Comitato ritiene che il regolamento dovrebbe prevedere chiaramente che anche le misure, assunte in risposta ad una mancanza dimostrata di conformità, sono tenute a rispettare il principio della proporzionalità.

2.   Introduzione

2.1.

Il mercato interno delle merci non solo è il principale catalizzatore della crescita all'interno della Comunità, ma anche influisce sensibilmente sulle capacità dell'Unione europea di competere sul mercato globale. Come il Comitato ha più volte sottolineato «un elemento che ha visto crescere la propria importanza è la globalizzazione, che costituisce nello stesso tempo una sfida ed un'opportunità. Questa sfida potrà essere affrontata soltanto a condizione di sfruttare appieno il potenziale del mercato unico» (2).

2.2.

Il pilastro centrale del mercato unico è rappresentato dalla libera circolazione delle merci: grazie all'applicazione degli articoli 28-30 (3) del Trattato sono stati realizzati passi avanti essenziali nell'armonizzazione delle norme tecniche a livello UE per eliminare gli ostacoli tecnici agli scambi, specie attraverso le direttive «nuovo approccio» (note anche come direttive «marchio CE»).

2.3.

Sono però emerse delle carenze a livello di applicazione e di attuazione delle norme del Trattato, specie nei settori dei prodotti non armonizzati, con l'imposizione di regole tecniche nazionali: queste si traducono in gravi ostacoli alla libertà degli scambi, soprattutto per le PMI, in presenza di un quadro normativo ancora troppo frammentato ed in assenza di un approccio coerente di vigilanza del mercato da parte degli Stati membri.

2.4.

Il Comitato ha avuto modo di sottolineare «che agli Stati membri spetta una grande responsabilità nel garantire che le misure dell'UE siano correttamente recepite nelle legislazioni nazionali e applicate» e come sia importante «che ne risulti un quadro normativo a livello nazionale quanto più equilibrato nei contenuti e, nello stesso tempo, il più semplice possibile per le imprese, per i lavoratori, per i consumatori e per i diversi attori della società civile» (4).

2.5.

Il Comitato sostiene con forza gli obiettivi di maggiore trasparenza ed efficacia delle norme, di rafforzamento e modernizzazione delle condizioni di commercializzazione di prodotti sicuri e di qualità, in modo da poter garantire:

ai consumatori, livelli elevati di sicurezza e di qualità ed una più ampia libertà di scelta sulla base di valutazioni di conformità attendibili, sui prodotti sia nazionali che importati,

ai produttori, certezza, chiarezza e coerenza della normativa, con un quadro comune per i prodotti industriali; la necessaria snellezza per potersi adeguare allo sviluppo tecnologico; un'effettiva libertà di scambi, senza barriere tecniche ingiustificate, controlli amministrativi e onerosi test supplementari, per l'accesso ai singoli mercati nazionali,

ai cittadini, la tutela della salute e dell'ambiente, l'abbattimento di gravose ed inutili formalità amministrative, la concretezza di una «Europa dei risultati» fondata su parametri di qualità, tangibile e vicina, quale elemento essenziale della cittadinanza europea.

2.6.

Il Comitato, nel suo parere sul tema Strategia per il mercato internoPriorità 2003-2006  (5), ha sottolineato che «gli scambi commerciali con i paesi terzi sono cresciuti più rapidamente di quelli tra Stati membri» e che «una delle ragioni di ciò, risiede nella scarsa applicazione del riconoscimento reciproco, il cui obiettivo è di suscitare la fiducia dei consumatori nei prodotti realizzati in altri Stati. Gli Stati membri dovrebbero fidarsi dei rispettivi sistemi. I migliori presupposti per intensificare gli scambi di merci tra gli Stati membri sono: un valido sistema giuridico, standard di qualità elevati, e iniziative per l'educazione dei consumatori».

2.7.

Il Comitato ha evidenziato, inoltre, come i diritti dei consumatori, nel mercato interno, non siano sufficientemente conosciuti e ha più volte richiamata l'attenzione (6), specie per i paesi periferici e di recente adesione, su tale lacuna e sul modo in cui l'ignoranza in materia viene spesso sfruttata da organi pubblici, a livello nazionale e locale.

2.8.

Il Comitato segnala, inoltre, che i primi quattro ostacoli al buon funzionamento del mercato interno individuati dall'Osservatorio OMU 2007 riguardano proprio:

l'incertezza tra gli operatori economici e le amministrazioni nazionali sui diritti e gli obblighi rispettivi in materia di applicazione del principio del mutuo riconoscimento,

la mancanza di adeguati livelli di fiducia, trasparenza e cooperazione tra Stati membri al fine di facilitare il riconoscimento reciproco e l'accettazione delle certificazioni nonché il libero movimento delle merci, offrendo un quadro più chiaro, in termini di valutazioni di conformità, sistemi di accreditamento e sorveglianza di mercato, trasparenza e protezione del «marchio CE»,

la carenza di misure coerenti, per assicurare alti livelli e requisiti generali ottimali, in termini di sicurezza e salute dei prodotti da immettere sul mercato.

2.9.

Il Comitato ha avuto modo di constatare «con rammarico che, dopo tanti anni di integrazione europea, diversi Stati membri, proprio negli ambiti in cui si sono impegnati a seguire politiche comuni e ad attuare le decisioni scaturite da un processo decisionale comune, non hanno ancora sufficientemente integrato le normative e le politiche dell'UE, nell'elaborazione delle proprie politiche interne» (7).

2.10.

Inoltre, «considerato che i 25 Stati membri, ognuno contraddistinto da tradizioni, culture e procedure amministrative diverse, sono tenuti a rispettare lo stesso acquis comunitario, che comporta, a sua volta, requisiti analoghi in termini di elaborazione, recepimento, attuazione e applicazione della legislazione comunitaria, è indispensabile — secondo il Comitato — che in tutta l'Unione europea le questioni europee siano trattate con efficacia e trasparenza a livello nazionale» (8).

2.11.

Secondo il rapporto Kok (9), «una serie di norme locali, applicate spesso in modo arbitrario ed in netto contrasto con il principio del mutuo riconoscimento, continua ad ostacolare la libera circolazione delle merci all'interno dell'UE» (10).

2.12.

Alla luce di quanto precede, il Comitato ritiene assolutamente prioritario, per garantire il futuro dell'integrazione europea, per la protezione dei consumatori e dei cittadini e lo sviluppo delle imprese europee:

assicurare la piena operatività del principio della libera circolazione delle merci, sancito dal Trattato e confermato da numerose sentenze della Corte di giustizia, affinché i prodotti legalmente commercializzati in uno Stato membro possano esserlo, senza difficoltà, in tutto il territorio dell'UE,

garantire certezza, trasparenza ed efficacia negli scambi, eliminando duplicazioni di controlli e test ed assicurando elevati livelli di tutela dei consumatori, dei cittadini e delle imprese,

eliminare incertezze, cumuli normativi, incoerenze giuridiche ed inutili complessità nelle valutazioni della conformità dei prodotti: queste dovranno essere congrue, autorevoli, indipendenti e imparziali, nonché conformi ad un quadro normativo comune per i prodotti industriali,

assicurare una applicazione attiva ed uniforme delle prescrizioni comunitarie nel campo della sicurezza dei prodotti, attraverso il coordinamento ed il rafforzamento delle attività di vigilanza del mercato,

valorizzare, rafforzare e tutelare meglio il marchio CE questo deve rappresentare un vero e proprio «passaporto di conformità» che autorizza la libera circolazione in tutto il territorio UE, nel rispetto dei livelli di sicurezza e di qualità, stabiliti dalle normative comunitarie.

3.   Le proposte della Commissione

3.1.

La Commissione parte dalla constatazione che «il mercato interno non è ancora completo»:

le norme tecniche nazionali costituiscono ancora gravi ostacoli agli scambi comunitari. Come si è potuto rilevare (11), oltre un terzo degli imprenditori hanno segnalato, nel corso di un'indagine, dei problemi causati dalle norme tecniche di un altro Stato membro, e circa la metà hanno deciso di adattare i propri prodotti a tali norme,

troppe norme comunitarie risultano incoerenti e complesse: definizioni diverse per lo stesso prodotto, procedure di valutazione di conformità sovrapposte, organismi di valutazione di conformità difformi, un quadro di riferimento normativo frammentato, con un mosaico di norme e di procedure diverse,

l'informazione e la consapevolezza dei propri diritti in tema di mercato interno, sia da parte dei consumatori e dei cittadini che delle PMI, sono ancora molto carenti, mentre stanno sorgendo gradualmente nuovi ostacoli e nuove gravose formalità amministrative nell'esercizio di tali diritti.

3.2.

Per far fronte a tali problemi la Commissione propone:

un regolamento [COM(2007) 36 def.] che stabilisce procedure relative all'applicazione di determinate norme tecniche nazionali a prodotti legalmente commercializzati in un altro Stato membro, e che abroga la decisione n. 3052/95/CE,

una decisione [COM(2007) 53 def.] relativa ad un quadro comune per la commercializzazione dei prodotti, mentre parallelamente intende procedere alla registrazione del marchio CE come marchio collettivo, per disciplinarne la sua tutela giuridica,

un regolamento [COM(2007) 37 def.] che pone norme in materia di accreditamento e vigilanza del mercato, per quanto riguarda la commercializzazione dei prodotti.

3.3.

La proposta di regolamento [COM(2007) 36 def.], che propone l'abrogazione della procedura attuale di informazione reciproca, affronta alcuni aspetti nel settore non armonizzato:

una nuova procedura per le autorità nazionali, che intendano imporre una loro norma tecnica e ritengano di non poter applicare il mutuo riconoscimento,

la definizione, a livello UE, dei diritti e degli obblighi delle autorità nazionali e di quelli delle imprese che intendono vendere in uno Stato membro un proprio prodotto, già legalmente commercializzato in un altro Stato membro,

l'istituzione in ciascuno Stato membro di uno o più «punti di contatto prodotti» con il compito di indicare le norme tecniche applicabili e di precisare le autorità/organismi competenti a cui indirizzarsi; è altresì prevista la possibilità di istituire tra questi «punti di contatto» una rete telematica per lo scambio di informazioni, secondo lo schema di interoperatività IDABC.

3.4.

La proposta di decisione [COM(2007) 53 def.] istituisce un quadro generale di coerenza per la futura legislazione settoriale con:

definizioni armonizzate, obblighi comuni per gli operatori economici, criteri per la scelta degli organismi di valutazione della conformità, criteri per le autorità nazionali notificanti e regole per la notificazione,

regole per selezionare le modalità di valutazione di conformità, e una serie di procedure armonizzate, al fine di evitare sovrapposizioni gravose,

una definizione unica del marchio CE (con relative responsabilità e tutele) come marchio comunitario collettivo, per le direttive che già lo prevedano,

una procedura di informazione e di vigilanza del mercato, come prolungamento del sistema creato dalla direttiva sulla sicurezza generale dei prodotti,

disposizioni armonizzate, per i futuri meccanismi di salvaguardia, come complemento a quelle riguardanti la vigilanza del mercato.

3.5.

La proposta di regolamento [COM(2007) 37 def.] dispone il rafforzamento delle norme in materia di accreditamento e di vigilanza del mercato, in modo che i prodotti non conformi possano essere facilmente identificati e ritirati dal mercato. L'obiettivo principale della proposta è quello di assicurare la libera circolazione delle merci nel settore armonizzato, attraverso:

un rafforzamento della cooperazione europea, affinché l'accreditamento possa effettivamente svolgere il suo ruolo di livello finale di controllo, nell'ambito del buon funzionamento della normativa UE,

l'istituzione di un quadro per il riconoscimento di un'organizzazione già esistente, la Cooperazione europea per l'accreditamento (EA), in modo da assicurare una rigorosa valutazione inter pares da parte degli organismi nazionali di accreditamento (12),

un quadro comunitario in materia di vigilanza del mercato e di controllo sui prodotti che entrano nel mercato UE, che assicuri una più stretta cooperazione tra autorità interne ed autorità doganali, lo scambio di informazioni e la cooperazione tra le autorità nazionali relativamente a prodotti presenti sul mercato di più Stati membri,

l'applicazione di norme standardizzate e chiare in tutti i settori, la stabilità giuridica e la coerenza delle misure, un alleggerimento degli obblighi da assolvere prima della commercializzazione e una riduzione degli oneri connessi con la valutazione di conformità,

un sostegno finanziario comunitario per i programmi settoriali di accreditamento, per le attività del segretariato centrale dell'EA, per l'istituzione e il coordinamento di progetti di vigilanza del mercato, per programmi di formazione e per lo scambio di funzionari nazionali, coinvolgendo anche le autorità doganali.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il Comitato è pienamente convinto che la libera circolazione dei beni sia un motore essenziale della competitività e dello sviluppo economico e sociale del mercato unico europeo e che il rafforzamento e la modernizzazione delle condizioni di commercializzazione di prodotti sicuri e di qualità siano elementi fondamentali per i consumatori, le imprese e per i cittadini europei.

4.2.

Negli ultimi cinquanta anni il mercato unico delle merci ha contribuito ad avvicinare sempre di più le economie europee: oggi gli scambi tra gli Stati membri dell'UE-27 costituiscono i due terzi del totale degli scambi commerciali dell'Unione.

4.3.

L'attuazione delle disposizioni degli articoli 28 e 30 (13) del Trattato CE, il processo di armonizzazione delle norme tecniche del vecchio e del nuovo approccio e la corretta applicazione del principio del mutuo riconoscimento, rappresentano pilastri essenziali per lo sviluppo degli scambi intracomunitari.

4.4.

I problemi registrati nell'applicazione e nell'attuazione delle norme del Trattato, l'assenza di un approccio coerente del sistema di vigilanza del mercato negli Stati membri, le carenze degli organismi di valutazione della conformità e quelle della tutela giuridica del marchio CE, le incoerenze e la complessità di normative europee, spesso cumulative e sovrapposte con un mosaico di procedure diverse, insieme ad una conoscenza lacunosa dei propri diritti ed obblighi, da parte delle imprese, delle amministrazioni e dei cittadini, rendono la modernizzazione ed il riassetto della legislazione UE sulle merci improcrastinabile.

4.5.

Il Comitato non può che condividere l'iniziativa della Commissione, come peraltro aveva già evidenziato e richiesto a più riprese, nei suoi pareri in materia di mercato unico (14), ed appoggia le proposte presentate, nella misura in cui vengano accolti i rilievi avanzati nel presente parere.

4.6.

A parere del Comitato, quattro dovrebbero essere i parametri fondamentali, per valutare le iniziative proposte, in modo che esse si integrino nel quadro comunitario preesistente:

il livello di trasparenza, semplificazione, affidabilità, certezza giuridica e comprensibilità per l'utente comunitario, sia esso il consumatore, l'impresa, l'amministrazione pubblica o il semplice cittadino,

il livello di coerenza con gli altri obiettivi e con le politiche dell'Unione,

il livello di comunicazione ed informazione, sui diritti e sugli obblighi, tra i diversi soggetti comunitari in gioco,

il livello di sovraccarico burocratico e degli oneri connessi, specie per i soggetti minori, quali i consumatori, le piccole e medie imprese e i singoli cittadini.

4.7.

Il Comitato ritiene che le proposte della Commissione consentano importanti passi avanti, perché prevedono:

disposizioni relative al rafforzamento della vigilanza del mercato,

un sistema comune di accreditamento,

livelli comuni di competenza degli organismi di certificazione accreditati,

criteri di selezione più rigorosi e procedure di selezione armonizzate per le valutazioni di conformità,

maggiore cooperazione e scambio di informazioni tra autorità nazionali,

un rafforzamento della tutela giuridica del marchio CE, come marchio collettivo comunitario.

4.8.

Il Comitato concorda pienamente sulla necessità di migliorare la qualità del sistema di accreditamento degli organismi notificati e di stabilire criteri più rigorosi di designazione, gestione e supervisione di tali organismi, con un quadro giuridico che garantisca coerenza, comparabilità e coordinamento del sistema decentrato, per garantirne l'affidabilità e rafforzarne la fiducia reciproca.

4.9.

Soprattutto in presenza di una crescente globalizzazione, il sistema di vigilanza del mercato deve garantire un quadro normativo comune, per un'applicazione efficiente e coerente della legislazione, su tutto il territorio comunitario.

4.10.

È necessario evitare che arrivino sul mercato prodotti non conformi e potenzialmente pericolosi, come attesta la relazione annuale 2006 relativa al RAPEX, cioè il sistema di allerta rapido sui prodotti di consumo pericolosi (15).

4.11.

Quanto al marchio CE — inteso come marchio di conformità e non come marchio di qualità — il Comitato ritiene fondamentale recuperare la fiducia nei marchi di conformità. Occorre recuperare il valore intrinseco del marchio CE, e rafforzare così le possibilità di perseguirne le violazioni ad esso e di garantire la tutela giuridica di un elemento che rappresenta il sistema normativo su cui si basano tutte le direttive «nuovo approccio» che coprono ormai 20 settori produttivi.

4.12.

Quanto all'attuale quadro normativo, il Comitato ritiene che le incoerenze, le sovrapposizioni di norme e le incertezze giuridiche costituiscano forse il vulnus più evidente dell'intero sistema, con grave danno per i consumatori, per le imprese, per i cittadini e per la società civile nel suo complesso.

4.13.

La stratificazione normativa e il mancato rispetto dei livelli di coerenza, tra le iniziative che rispondono ad altri obiettivi e le politiche dell'Unione, hanno determinato un sovraccarico burocratico, e notevoli oneri temporali, connessi alla effettiva attivazione di procedure diverse: questo ha avuto un impatto fortemente negativo, specie per i consumatori, per le piccole e medie imprese e per i singoli cittadini.

4.14.

Il Comitato, sostiene quindi pienamente la proposta di un quadro comune di riferimento per la commercializzazione dei prodotti (16): in tale quadro dovrebbero essere indicate definizioni, procedure ed elementi comuni, per il futuro riordino e adattamento delle singole direttive, in modo da poter eliminare dal quadro normativo esistente i difetti e gli oneri burocratici inutili.

4.15.

Il Comitato ritiene importante, come elemento essenziale del mercato interno, mettere a punto una «Guida telematica pratica per la commercializzazione dei prodotti nel mercato interno europeo» (17), che riassuma, in modo user-friendly, l'insieme delle normative e delle procedure, secondo un quadro orizzontale e per grandi settori, con diritti ed obblighi, modalità d'accesso, termini temporali e costi d'attivazione.

5.   Osservazioni particolari

5.1.   La proposta di regolamento COM(2007) 36 def., sul «principio del mutuo riconoscimento» e sui «punti di contatto prodotti»

5.1.1.

Il principio del mutuo riconoscimento, previsto negli articoli 28 e 30 del Trattato, costituisce uno degli elementi cardine del libero movimento di merci e servizi nel mercato interno. A distanza di cinquanta anni, di fronte ad un ampliamento progressivo dell'UE e ad uno sviluppo crescente della globalizzazione dei mercati, occorre, a parere del Comitato, rafforzarne il ruolo e la tutela, assicurarne maggiore certezza giuridica ed uniformità applicativa, valorizzarne appieno tutte le sue potenzialità, presso gli operatori economici e le imprese europee, così come presso le autorità nazionali.

5.1.2.

La proposta della Commissione costituisce un passo avanti positivo in questa direzione, perché:

stabilisce una procedura, per sollevare eccezioni al principio generale,

fissa un quadro comune di diritti e di obblighi per le autorità nazionali e per le imprese,

suggerisce un sistema di informazione e di cooperazione amministrativa, in materia di regolamentazioni nazionali.

5.1.3.

Secondo il Comitato, sussistono, però, vari punti problematici, che dovrebbero essere meglio precisati nella proposta di regolamento:

l'applicazione del principio del mutuo riconoscimento non può essere scollegata dalla reciproca fiducia, tra gli Stati membri, sull'affidabilità dei meccanismi di sorveglianza di mercato, che svolgono un ruolo determinante nel permettere l'accesso di un prodotto al mercato interno europeo, sull'efficacia delle procedure di valutazione di conformità, sul ruolo svolto dai laboratori di prova, sulle competenze dei certificatori e degli organismi di normazione,

nell'attuale proposta di regolamento il ruolo della Commissione si rivela più contenuto, rispetto a quello previsto dalla decisione 3052/95/CE,

i meccanismi di cooperazione amministrativa verrebbero limitati alla cooperazione verticale tra le imprese e le autorità nazionali, mentre sembrerebbe rilevante lo sviluppo di una cooperazione orizzontale, tra autorità amministrative, così come tra i vari punti di contatto prodotti,

il mancato riferimento a meccanismi di soluzione dei conflitti, come Solvit (18), che permetterebbe alle imprese di poter domandare direttamente una procedura rapida e già positivamente collaudata,

l'inversione dell'onere della prova, anche per prodotti extracomunitari, immessi sul mercato comunitario da importatori europei,

l'introduzione di una lista positiva di prodotti, che si può rivelare particolarmente difficoltosa, visto che il principio del mutuo riconoscimento si applica a tutti i prodotti che non sono coperti da legislazione armonizzata.

5.1.4.

A parere del Comitato, sarebbe opportuno richiamare espressamente, nel testo, le basi giuridiche del Trattato, che stabiliscono il principio del mutuo riconoscimento, evidenziando che le salvaguardie di pretesi requisiti nazionali rappresentano solo l'eccezione.

5.1.5.

Il Comitato ritiene prioritario assicurare livelli elevati di trasparenza, certezza giuridica e semplificazione nell'applicazione e nell'attuazione del principio del mutuo riconoscimento:

l'inversione dell'onere della prova, da parte delle autorità nazionali che intendono derogare a tale principio, secondo procedure semplici e tempi certi, per rendere più trasparente e veloce la soluzione dei casi controversi,

possibilità di ricorso ai tribunali nazionali, senza l'aggiunta di costi, tempi e fatica eccessivi,

possibilità di composizione extragiudiziale delle vertenze, secondo meccanismi di comprovata efficacia nell'UE,

maggiore e migliore libertà di movimento dei beni e servizi, anche attraverso campagne di informazione e di formazione congiunta, rivolte alle imprese, ai consumatori e alle amministrazioni,

le tempistiche procedurali vengono ridotte, dopo la notifica scritta e motivata, da parte dell'autorità nazionale, entro un termine di 20 giorni per dare la possibilità all'impresa di presentare le proprie controdeduzioni e, se il conflitto non viene risolto entro tempi certi, dare la possibilità di adire ai tribunali nazionali del mercato potenziale,

messa in rete europea e sul sito web UE dei punti di contatto prodotti (PCP) previsti in ciascuno Stato membro, per assicurare adeguati livelli di comunicazione e di informazione sui diritti e sugli obblighi.

5.1.6.

Secondo il Comitato, è opportuno che i tempi previsti per i ricorsi vengano definiti con termini massimi di deliberazione, al fine di dirimere la questione in prima istanza.

5.1.7.

Gli Stati membri devono dotarsi di strutture tecniche capaci e competenti, per produrre in tempi rapidi, prevedendo anche una procedura d'urgenza, le eventuali prove di deroghe al principio di mutuo riconoscimento, ai sensi dell'articolo 30 del Trattato, che consente agli Stati membri di adottare misure di effetto equivalente a restrizioni quantitative, quando esse siano giustificate da un interesse generale non economico: moralità pubblica, ordine pubblico, pubblica sicurezza, tutela della salute e della vita delle persone e degli animali, preservazione dei vegetali, protezione del patrimonio artistico, e tutela della proprietà industriale e commerciale (19).

5.1.8.

I punti di contatto prodotti (PCP) dovrebbero integrare i meccanismi Solvit, per svolgere un tentativo preliminare di composizione delle vertenze e permettere alle imprese, che si vedessero bloccati i propri prodotti alle frontiere, di ricorrere a questa procedura extragiudiziale di cooperazione amministrativa tra autorità degli Stati membri con risposte entro 10 settimane (20).

5.1.9.

Secondo il Comitato è importante che i PCP svolgano un ruolo proattivo con la messa a disposizione di guide pratiche procedurali, e siti web nazionali, da porre in rete europea e in sito web UE, per raccogliere le pronunce sui casi pregressi risolti, la lista dei prodotti ai quali si applica il principio di mutuo riconoscimento ed una banca dati aperta ai potenziali utenti, collegata alla rete telematica di scambio dati tra PCP, su schemi di interoperabilità IDABC (21).

5.1.10.

La predisposizione ed il funzionamento di tali strumenti non possono essere un optional, ma devono costituire un obbligo, inserito nella proposta. I PCP dovrebbero svolgere con regolarità, insieme con la Commissione, seminari di informazione e formazione congiunta, per gli operatori economici, per i funzionari delle autorità amministrative e doganali e per i consumatori, per assicurare una adeguata comprensione e disseminazione sui diritti e sugli obblighi, sanciti dal Trattato.

5.1.11.

Occorrerebbe, inoltre, predisporre una guida telematica, che consenta di rintracciare, su tutto il territorio UE, l'insieme delle normative esistenti ed in vigore, secondo uno schema organizzativo, concepito in logiche orizzontali e di grandi settori.

5.1.12.

La previsione di una lista positiva di prodotti, che sarebbero coperti dal regolamento, non appare conveniente, così come è inappropriata l'esclusione della procedura d'urgenza, prevista dalla direttiva Sicurezza generale prodotti.

5.1.13.

La Commissione deve mantenere una visione diretta sui meccanismi di notifica, per controllarne il funzionamento: deve essere quindi previsto l'obbligo dello Stato membro dell'invio, in copia, di ciascuna notifica e la stesura di una rapporto annuale sulle misure adottate, ai sensi del regolamento, che permetta alla Commissione di presentare al Parlamento, al Consiglio e al CESE — OMU, una relazione in proposito.

5.2.   La proposta di decisione COM(2007) 53 def., relativa ad un quadro comune per la commercializzazione dei prodotti e il marchio CE

5.2.1.

Il Comitato condivide i principi della proposta, che nasce sulla base delle esperienze positive del nuovo approccio, combinato con l'approccio globale (22) sulla valutazione di conformità. Tali principi dovrebbero avere applicazione generalizzata sulla presente e futura legislazione comunitaria, coprendo tutti gli aspetti dei prodotti commercializzati, specie in tema di sicurezza, salute e tutela ambientale. Il principio chiave del mercato interno, relativo alla non discriminazione tra operatori economici, deve essere rispettato dalla normativa e attuato pienamente dagli Stati membri.

5.2.2.

Il Comitato sottolinea l'importanza che «Tutti gli operatori economici che intervengono nella catena di fornitura e di distribuzione devono prendere le misure necessarie, per garantire che vengano commercializzati solo prodotti conformi alla normativa applicabile» (23), indipendentemente dal fatto che si tratti di fabbricanti, di rappresentanti autorizzati o di importatori (24).

5.2.3.

La tracciabilità dei prodotti, per individuare la responsabilità degli operatori economici che immettono beni sul mercato europeo, è essenziale, per l'effettiva operatività di tutte le prescrizioni comunitarie pertinenti, e non solo per gli obblighi di conformità «limitati a talune misure di controllo», come proposto dalla Commissione (25).

5.2.4.

Per quanto riguarda l'oggetto ed il campo d'applicazione della decisione, il Comitato ritiene che le eccezioni ivi evidenziate debbano essere evitate e che il quadro comune per la commercializzazione dei prodotti debba applicarsi — in coerenza con quanto proposto al punto 5.3.3 per il regolamento relativo al sistema europeo d'accreditamento e meccanismi di sorveglianza del mercato — a tutto il complesso della legislazione comunitaria pertinente, senza eccezioni, né in materia di sicurezza e salute né in materia di tutela ambientale. Il nuovo quadro si deve applicare a tutto il corpus normativo esistente in materia, senza aspettare una possibile revisione generale di ogni singola direttiva e regolamento.

5.2.5.

Il quadro definitorio comune previsto al capo primo della proposta è di importanza vitale, per gli operatori del mercato, dati i casi, troppo numerosi, di talune direttive, che coprono gli stessi prodotti, usando definizioni diverse.

5.2.6.

Il Comitato ritiene indispensabili:

indicazioni più chiare, che migliorino il quadro attuale del nuovo approccio, in termini di obblighi per gli operatori economici,

una più efficiente sorveglianza del mercato,

livelli di competenze più omogenei degli enti notificati di valutazione di conformità.

5.2.7.

Gli obblighi per gli operatori economici debbono essere giustificati, proporzionati e sollevati da costosi gravami burocratici e amministrativi, sia per quanto riguarda la prova a campione dei prodotti commercializzati e il registro reclami (articolo 7, paragrafo 4, secondo comma), sia per quanto attiene all'obbligo di notifica, che dovrebbe essere limitato ai prodotti pericolosi, come definiti nella direttiva SGP.

5.2.7.1.

Il sistema europeo di accreditamento deve essere caratterizzato dalla proporzionalità dei mezzi usati dagli organismi di certificazione della conformità, che devono applicare metodi adatti alle piccole e medie imprese e ai prodotti non di serie o a serie limitata.

5.2.8.

Quanto agli enti notificati, il Comitato ribadisce che essi devono garantire competenza, imparzialità ed efficacia in tutto lo Spazio economico europeo, per assicurare parità di concorrenza a tutti i fabbricanti: occorre che — conformemente all'obbligo di accreditamento, previsto nel regolamento di cui al punto 3 e successivi — la valutazione per l'accreditamento sia svolta dall'ente nazionale d'accreditamento e accettata dall'autorità notificante, evitando inutili e costose duplicazioni.

5.2.9.

Le procedure di valutazione della conformità dovrebbero privilegiare l'uso del modulo A di controllo interno, come metodo normale preferibile di valutazione della conformità, che risponde maggiormente al fatto che, in ogni caso, la responsabilità per il prodotto ricade interamente sul suo produttore o sull'importatore, nello SEE (Spazio economico europeo). Occorre, peraltro, garantire diverse possibilità di scelta tra moduli semplificati, in particolare per le PMI e per le produzioni a serie limitata.

5.2.10.

Cuore della normativa è la disciplina del marchio CE, destinato a certificare la conformità del prodotto alle prescrizioni applicabili, e del quale gli Stati membri sono chiamati a rinforzare la tutela, reagendo contro l'uso improprio, con adeguate e proporzionate sanzioni, anche penali. Come in precedenza, la nuova normativa precisa che la conformità del prodotto, attestata dal marchio CE, non esime il fabbricante dall'obbligo di risarcire il danno eventualmente causato da un prodotto successivamente rivelatosi difettoso.

5.2.11.

Il Comitato sottoscrive pienamente il fatto che una mancanza di credibilità del marchio CE rappresenta «la mancanza di credibilità dell'intero sistema, coinvolgendo l'autorità di sorveglianza di mercato, i produttori, i laboratori e i certificatori, e, in ultima istanza, l'adeguatezza stessa della legislazione impostata sul nuovo approccio» (26).

5.2.12.

Il modo migliore per rafforzare lo status ed il significato del marchio CE, come definito nella decisione del Consiglio 93/465/CEE (27), dovrebbe essere ricercato attraverso una riforma radicale del marchio stesso:

chiarire che non deve essere usato e considerato come un sistema di marcaggio o di etichettatura per il consumo (28), né una garanzia di qualità o di certificazione o di approvazione da parte di terzi indipendenti, ma solo come una dichiarazione di conformità e di documentazione tecnica, che il fabbricante o l'importatore sono tenuti a produrre, in conformità ai requisiti del prodotto, sotto la loro piena responsabilità, di fronte alle autorità ed al consumatore,

razionalizzare le diverse procedure di valutazione della conformità,

rafforzare la tutela giuridica del marchio CE, attraverso la sua registrazione come marchio collettivo, che permetta alle autorità pubbliche di intervenire rapidamente e di reprimere gli abusi, ma mantenere la possibilità di marchi nazionali aggiuntivi,

rafforzare i meccanismi di sorveglianza del mercato ed i controlli doganali di frontiera,

avviare, da parte dei produttori e dei consumatori, uno studio che esamini gli aspetti positivi e negativi di un eventuale codice di condotta volontario sull'efficacia delle proliferazioni dei marchi di qualità e di etichette europei e nazionali — volontari e non — ed i loro rapporti con il marchio CE.

5.2.13.

Per quanto riguarda i meccanismi di sorveglianza del mercato, si rinvia, per le parti comuni al punto 5.3.13 e seguenti, mentre il Comitato sottolinea l'importanza che la Commissione sia coinvolta, non solo in tutti casi di prodotti conformi, ma che comportano rischi per la sicurezza e la salute, ma anche nei casi di non conformità formale, di cui al proposto articolo 38 della decisione.

5.2.14.

Il Comitato ribadisce il ruolo fondamentale che in tutta la materia esercita il processo di normalizzazione tecnica, dato che il nuovo approccio è basato appunto su di uno stretto legame tra requisiti minimi di legge e standard tecnici europei, che devono essere sostenuti e valorizzati. Occorre quindi che, qualora vi sia una obiezione formale contro norme armonizzate (29), l'ente di normazione interessato ne sia immediatamente informato, perchè ne tenga debito conto nel processo di elaborazione delle norme.

5.3.   La proposta di regolamento COM(2007) 37 def., per un sistema europeo d'accreditamento e di meccanismi di sorveglianza del mercato

5.3.1.

Il Comitato ritiene condivisibili le proposte volte a stabilire un sistema europeo di accreditamento, sulla base di fiducia e di cooperazione reciproca, nella misura in cui stabilisce delle regole vincolanti, sia per gli operatori economici che per le autorità pubbliche, per assicurare che tutti i prodotti immessi sul mercato rispettino elevati livelli di protezione di sicurezza e salute, garantendo lo stesso livello di operatività e di regole a tutti i consumatori europei e a tutti gli operatori economici, in un quadro di semplificazione e di snellimento burocratico.

5.3.2.

Il sistema europeo di accreditamento deve assicurare l'accettazione globale dei risultati delle valutazioni di conformità ed evitare duplicazioni di valutazione inutili: al fine d'assicurare una accettazione internazionale del sistema, la competenza della valutazione per l'accreditamento deve essere basata su standard internazionalmente riconosciuti e le definizioni di «valutazione di conformità», di «enti di valutazione di conformità», di «designazione dell'ente» e di «notifica» devono essere esplicitamente riprese nel regolamento.

5.3.3.

Le disposizioni del regolamento devono applicarsi a tutti gli enti di accreditamento ed ai servizi da loro erogati, nell'ambito dello Spazio economico europeo, indipendentemente dal genere d'attività di valutazione di conformità fornita ai propri clienti, e devono garantire:

un corpo coerente di definizioni comuni, chiare e trasparenti, conformi a standard internazionali, da usare in tutte le direttive del nuovo approccio e nelle direttive per prodotto, ivi comprese quelle in tema di valutazione di conformità e di ente deputato alla valutazione di conformità,

l'operatività, sotto autorità pubblica, del sistema d'accreditamento, che non deve essere oggetto di competizione commerciale,

una copertura generale di tutto il complesso della legislazione comunitaria pertinente, senza eccezioni, né in materia di sicurezza e salute, né in materia di tutela ambientale: la complessità crescente della legislazione comunitaria, in materia, deve trovare nelle nuove disposizioni un quadro unitario coerente, sia per i produttori UE che non UE,

una applicazione, generalizzata a tutte le attività soggette ad accreditamento, inclusa la taratura, indipendentemente dal fatto che tale accreditamento sia richiesto per adempiere a valutazioni di conformità, ai sensi di legge, o in ottemperanza ad accordi contrattuali,

il rispetto da parte degli enti nazionali di accreditamento degli standard di competenza e di imparzialità, attraverso la loro partecipazione a peer evaluation, realizzate sotto la supervisione di tutte le parti interessate al processo di accreditamento,

l'efficacia costi-benefici, la proporzionalità, l'affidabilità e la fiducia reciproca nel sistema unico d'accreditamento, sia per l'area regolamentata che per quella non regolamentata.

5.3.4.

La definizione di accreditamento dovrebbe essere modificata, comprendendo le attività di taratura, prova, certificazione, ispezione e altre attività di valutazione di conformità.

5.3.5.

Inoltre, al fine di una regolamentazione uniforme della materia, che ricomprenda tutte le procedure di valutazione di conformità, incluse quelle di assicurazione qualità, taratura e prove valutative ISO 43, non dovrebbero essere previste esenzioni e tutti gli enti di accreditamento e tutti i servizi da essi erogati nello Spazio economico europeo dovrebbero rientrare nel campo d'applicazione della regolamentazione, al di là del tipo di valutazione di conformità fornite ai loro clienti.

5.3.6.

Gli enti nazionali d'accreditamento dovrebbero operare senza scopo di lucro, come proposto nell'articolo 4, paragrafo 6. Tuttavia l'attuale formulazione rischia di impedire la formazione di un capitale di base, che assicuri solide basi finanziarie, per una efficiente erogazione di servizi di qualità. Secondo il Comitato, gli enti nazionali d'accreditamento dovrebbero operare come enti senza scopo di lucro, nel senso che non devono distribuire utili conformemente a quanto stabilito a livello internazionale nell'ISO/IEC 17011 (30).

5.3.7.

Il sistema europeo di accreditamento (SEA) dovrebbe essere considerato il più alto livello di approvazione del sistema e quindi non deve essere soggetto a concorrenza in quanto servizio pubblico di interesse generale: il Comitato ritiene giusta la regola per la quale gli Stati membri debbano avere un unico ente nazionale di accreditamento la cui competenza, obiettività e imparzialità deve essere oggetto di peer review, con eccezioni a certe condizioni (31) per gli Stati membri di dimensioni territoriali ridotte, qualora volessero ricorrere all'ente nazionale di accreditamento di uno Stato membro confinante.

5.3.8.

Il Comitato ritiene che sia necessario stabilire una chiara base giuridica per la Cooperazione europea per l'accreditamento (EA) il cui ruolo deve essere rafforzato e meglio definito: tutti gli enti nazionali di accreditamento devono essere associati all'EA, allo scopo di assicurare equivalenza, trasparenza, affidabilità ed efficacia e la rete EA deve essere sostenuta dagli Stati membri.

5.3.9.

Al fine di rafforzare ulteriormente l'EA, il Comitato ritiene che gli enti d'accreditamento devono essere firmatari degli accordi multilaterali (MLA) operati dall'EA. Inoltre, i meccanismi di finanziamento previsti dal regolamento non dovrebbero riguardare solo l'EA, ma essere estesi a campagne a sostegno di azioni di sorveglianza di mercato ed alla formazione congiunta delle diverse amministrazioni nazionali che vi concorrono.

5.3.10.

La revisione paritaria (peer review), prevista all'articolo 9, paragrafo 1, per facilitare e migliorare il funzionamento del mercato interno, aumentandone il livello di fiducia, deve essere organizzata all'interno del sistema europeo di accreditamento e attuata secondo regole armonizzate, definite nell'ambito dell'EA. I risultati della peer review devono essere resi pubblici e comunicati a tutti gli Stati membri e alla Commissione.

5.3.11.

Secondo il Comitato, dato che gli enti di accreditamento devono dimostrare attivamente che la fiducia loro attribuita è ben riposta, questi debbono provare che partecipano, con successo, alla revisione paritaria (peer review).

5.3.12.

Il Comitato ritiene, inoltre, che sia importante il coinvolgimento delle parti interessate: una loro rappresentanza dovrebbe essere coinvolta negli enti di accreditamento e tale previsione dovrebbe far parte integrante del nuovo regolamento.

5.3.13.

Il Comitato sottolinea l'importanza di meccanismi equivalenti, più coerenti ed efficienti di sorveglianza del mercato, da parte degli Stati membri, attraverso una armonizzazione legislativa comunitaria, che includa il rafforzamento della cooperazione transfrontaliera: occorre un riallineamento delle disposizione in tema di sicurezza generale prodotti — la direttiva SGP 2001/95/CE — e delle altre direttive pertinenti, ai fini di assicurare la piena applicazione del principio «legiferare meglio» al funzionamento del mercato interno. L'attività di sorveglianza del mercato deve riguardare anche i prodotti coperti dalla direttiva Sicurezza generale prodotti (SGP), poiché numerosi prodotti sono venduti sia per uso professionale, che al consumatore: il Comitato ritiene quindi ingiustificata l'esclusione dal campo d'applicazione di cui all'articolo 13, paragrafo 2, della SGP, che porterebbe ad una maggiore confusione e complicazione per gli operatori economici, piuttosto che ad una maggiore coesione delle attività di sorveglianza del mercato interno.

5.3.14.

Il CESE ritiene peraltro pienamente giustificato l'attuale sistema di scambio d'informazione rapida RAPEX (32), che è in grado di assistere con efficacia la sorveglianza del mercato: occorre però che ne venga fatto un uso più omogeneo e coordinato da parte degli Stati membri e delle autorità doganali ed amministrative.

5.3.15.

È necessario che le autorità doganali cooperino, in rete europea, con quelle della sorveglianza del mercato, per assicurare controlli efficaci sui prodotti, prima che siano immessi nel mercato interno europeo, dotando le autorità doganali di risorse umane qualificate, di mezzi finanziari e di poteri adeguati, per far fronte efficacemente ai compiti loro affidati.

5.3.16.

I meccanismi di sorveglianza del mercato e di controllo doganale devono, in particolare, essere dotati di strumenti adatti ad una azione rapida, per quanto riguarda i prodotti stagionali o che sono commercializzati per periodi limitati, in occasione di vendite promozionali, spesso sotto marchi di fantasia evanescenti, per i quali le autorità devono avere poteri e mezzi rapidi d'intervento e l'importatore comunitario deve essere responsabile per intero del fatto che essi soddisfino ai requisiti essenziali UE, in particolare in tema di sicurezza e di tutela ambientale.

5.3.17.

Da ultimo, il Comitato ritiene che il regolamento debba prevedere chiaramente che le misure assunte in risposta ad una mancanza dimostrata di conformità rispettino il principio della proporzionalità, al di là del ricorso alle linee guida previste all'articolo 19, paragrafo 1: secondo il Comitato occorrerebbe modificare l'articolo 17 di conseguenza.

Bruxelles, 13 dicembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Nella legislazione UE sono state usate definizioni diverse per designare gli stessi concetti in differenti legislazioni sulle merci che coprono aspetti quali il design rispettoso dell'ambiente, la sicurezza del prodotto, la responsabilità da prodotti, l'eliminazione dei rifiuti, l'efficienza energetica, ecc. Ciò ha causato confusione nelle parti direttamente interessate, specialmente nel caso di direttive diverse che si applicano allo stesso prodotto.

(2)  GU C 93 del 27.4.2007, Riesame del mercato unico — relatore: CASSIDY.

(3)  Cfr. anche gli articoli 94-95 del Trattato UE.

(4)  GU C 309 del 16.12.2006, Attuazione del programma comunitario di Lisbona — relatore: CASSIDY.

(5)  GU C 234 del 30.9.2003 — relatore: CASSIDY.

(6)  GU C 208 del 3.9.2003 — relatore: PEZZINI.

(7)  GU C 325 del 30.12.2006 — relatore: VAN IERSEL.

(8)  Ibidem, nota 5.

(9)  Report from the high level group chaired by Wim KokFacing the challenge, November 2004 — Commissione europea.

(10)  SEC(2007) 113 del 14.2.2007.

(11)  Secondo rapporto biennale sull'applicazione del principio di mutuo riconoscimento nel mercato interno — COM(2002) 419 def.

(12)  Attualmente gli organismi notificati nell'UE ammontano a circa 1 700.

(13)  Cfr. anche gli articoli 94-95 del Trattato UE.

(14)  Elenco dei pareri recentemente elaborati dal CESE sui temi: semplificazione, legiferare meglio e priorità del mercato unico:

1)

GU C 93 del 27.4.2007, Riesame del mercato unico — relatore: CASSIDY;

2)

parere in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioniAttuazione del programma comunitario di Lisbona: Una strategia per la semplificazione del contesto normativo (COM(2005) 535 def.) — relatore: CASSIDY, GU C 309 del 16.12.2006;

3)

parere esplorativo elaborato su richiesta della presidenza britannica sul tema Legiferare meglio — relatore: RETUREAU, adottato il 28 settembre 2005, GU C 24 del 31.1.2006;

4)

parere di iniziativa sul tema Migliorare l'applicazione e l'attuazione della legislazione dell'UE — relatore: VAN IERSEL, adottato il 28 settembre 2005, GU C 24 del 31.1.2006;

5)

parere in merito alla Comunicazione della Commissione: aggiornare e semplificare l'acquis comunitario (COM(2003) 71 def.) — relatore: RETUREAU, adottato il 31 marzo 2004, GU C 112 del 30.4.2004;

6)

parere di iniziativa in merito alla Semplificazione — relatore: SIMPSON, adottato il 26 marzo 2003, GU C 133 del 6.6.2003;

7)

parere esplorativo in merito alla Comunicazione della CommissioneSemplificare e migliorare la regolamentazione (COM(2001) 726 def.) — relatore: WALKER, adottato il 21 marzo 2002, GU C 125 del 27.5.2002;

8)

parere di iniziativa in merito alla Semplificazione, relatore: WALKER, adottato il 29 novembre 2001, GU C 48 del 21.2.2002.

9)

parere di iniziativa in merito alla Semplificazione della legislazione in seno al mercato unico — relatore: VEVER, adottato il 19 ottobre 2000, GU C 14 del 16.1.2001;

10)

parere di iniziativa sul tema Le priorità del mercato unico 2005-2010, relatore CASSIDY, adottato il 7 aprile 2005, GU C 255 del 14.10.2005;

11)

parere in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni strategia per il mercato internopriorità 2003-2006, relatore CASSIDY, adottato il 16 luglio 2003, GU C 234 del 30.9.2003;

12)

relazione informativa in materia di Semplificazione;

13)

relazione informativa sul tema La situazione attuale della coregolamentazione e della autoregolamentazione nel mercato unico (relatore: VEVER), adottata l'11 gennaio 2005 (CESE 1182/2004 fin).

(15)  Relazione RAPEX 2006 della Commissione europea, http://ec.europa.eu/rapex. Il rapporto presentato il 19 aprile 2007 evidenzia una costante crescita del numero delle notifiche nel corso degli ultimi anni. Il numero delle notifiche di rischio concernenti la sicurezza dei prodotti di consumo diversi dagli alimenti in Europa è più che raddoppiato dal 2004 al 2006, passando da 388 a 924, mentre l'incremento annuo rispetto al 2005 è stato del 32 %, concentrandosi nei settori dei giocattoli, delle apparecchiature elettriche, dei veicoli a motore, dei dispositivi d'illuminazione e dei cosmetici, con rischi di lesioni, folgorazioni, incendio ed ustioni, strangolamento e soffocamento, e rischi chimici.

(16)  Il Quadro comune dovrebbe anche tener conto dei «servizi», sempre più connessi con la commercializzazione dei prodotti stessi.

(17)  Cfr. punto 5.1.11.

(18)  http://ec.europa.eu/solvit/

(19)  Parlamento europeo — Schede sintetiche 3.2.1 — La libera circolazione delle merci. Ultimo aggiornamento: 22 ottobre 2001.

http://www.europe-info.de/facts/it/3_2_1.htm

(20)  SEC(2007) 585. Documento di lavoro della Commissione — Solvit 2006 Report Development and Performance of the Solvit network in 2006 del 30.4.2007.

Tutti gli Stati membri dell'UE, oltre alla Norvegia, all'Islanda e al Liechtenstein, hanno creato un centro Solvit, nella maggior parte dei casi nell'ambito del loro ministero degli Esteri o dell'Economia.

Questi centri cooperano direttamente attraverso una banca di dati on line per risolvere problemi presentati dai cittadini e dalle imprese in modo rapido e pragmatico. Le regole per la cooperazione nel quadro di Solvit sono incluse in una raccomandazione della Commissione del 2001 che è stata approvata nelle conclusioni del Consiglio. Solvit funziona dal luglio 2002. Al di là della raccomandazione, i centri Solvit hanno adottato una serie di norme comuni di qualità e di risultati nel dicembre 2004 per garantire un servizio di elevata qualità in tutta la rete.

(21)  GU C 80 del 30.3.2004. Relatore: PEZZINI.

(22)  L'approccio globale ha introdotto un approccio modulare, suddividendo la procedura di valutazione della conformità in una serie di operazioni, i cosiddetti moduli, che differiscono tra loro in base alla fase di sviluppo del prodotto (ad esempio: progettazione, prototipo, produzione piena), al tipo di valutazione effettuata (controllo della documentazione, approvazione del tipo, garanzia di qualità) e alla persona responsabile della valutazione (fabbricante o terzo).

L'approccio globale è stato ultimato con la decisione 90/683/CEE del Consiglio, abrogata e aggiornata dalla decisione 93/465/CEE: entrambe le decisioni fissano orientamenti generali e procedure dettagliate in materia di valutazione della conformità, da utilizzare nelle direttive di nuovo approccio.

(23)  Considerando 14 della proposta di decisione COM(2007) 53 def.

(24)  Inclusi gli importatori di prodotti cosiddetti «senza nome» da paesi terzi, immessi sul mercato per corti periodi, spesso con nomi di fantasia, secondo il principio del «vendi e fuggi».

(25)  Considerando n. 17 della proposta di decisione COM(2007) 53 def.

(26)  The role and significance of the CE marking, European Commission draft certif. DOC 2005 — 11 del 30.8.2005.

(27)  Decisione 93/465/CE — decisione sui moduli: La marcatura CE concretizza la conformità a tutti gli obblighi che spettano ai fabbricanti in relazione al prodotto ai sensi delle direttive comunitarie che ne contemplano l'apposizione.

(28)  Documento della BEUC 298/2007 del 5.6.2007 sul tema Internal Market package for goods (Pacchetto per la circolazione di prodotti nel mercato interno). Audizione di Jim MURRAY al Parlamento europeo del 5.6.2007.

(29)  Articolo 14 della proposta di decisione COM(2007) 53 def.

(30)  ISO/IEC 17011, The accreditation body shall have the financial resources, demonstrated by records and/or documents, required for the operation of its activities (L'organismo di accreditamento dovrà disporre delle risorse finanziarie, dimostrate da un'adeguata documentazione, richieste per portare avanti le sue attività).

(31)  Articolo 6, paragrafo 1, della proposta di regolamento COM(2007) 37 def.

(32)  A RAPEX si aggiungono: per il comparto agroalimentare, il sistema di allerta RASFF; per le malattie umane, il sistema SARR; per le malattie animali, il sistema ADNS. Confronta la decisione 2004/478/CE e il regolamento (CE) n. 2230/2004.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Qui di seguito si riportano gli emendamenti che, pur essendo stati respinti durante il dibattito, hanno ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi.

Punto 5.2.12

Aggiungere una frase alla fine del primo punto in neretto:

«—

chiarire che non deve essere usato e considerato come un sistema di marcaggio o di etichettatura per il consumo, né una garanzia di qualità o di certificazione o di approvazione da parte di terzi indipendenti, ma solo come una dichiarazione di conformità e di documentazione tecnica, che il fabbricante o l'importatore sono tenuti a produrre, in conformità ai requisiti del prodotto, sotto la loro piena responsabilità, di fronte alle autorità ed al consumatore, . Di conseguenza, visto che il marchio CE non costituisce una garanzia di qualità o di certificazione o di approvazione da parte di terzi indipendenti, è sufficiente apporlo sulla documentazione che accompagna il prodotto anziché sul prodotto stesso, »

Motivazione

Le disposizioni in vigore prevedono che tutti i prodotti di un certo tipo, ad esempio i giocattoli, siano muniti del marchio CE. Di conseguenza, quest'ultimo non segnala al consumatore che un prodotto ha una qualità migliore di quella di un altro, bensì indica (soltanto) che esso risponde ai requisiti di sicurezza richiesti per poter esser commercializzato. Ora, il consumatore presume che la vendita di tutti i prodotti esposti nel negozio sia autorizzata.

Inoltre, se ad esempio è interessato ad attrezzature sportive come i pattini a rotelle e/o tavole a rotelle (skateboard), deve sapere che il marchio CE non è richiesto per gli articoli destinati a bambini il cui peso supera i 20 kg. Se sugli scaffali del negozio sono esposti vari articoli del genere, il consumatore può essere indotto a concludere che quelli muniti del marchio CE sono migliori di altri.

Vari sondaggi condotti in passato indicano che i consumatori non comprendono o fraintendono il marchio CE. Possono essere ad esempio indotti a credere erroneamente che i prodotti offrano una certa qualità (e quindi non si tratti di una semplice garanzia di sicurezza), siano stati certificati da terzi, oppure siano prodotti nell'UE.

È peraltro comprensibile che i consumatori non comprendano il sistema. Basti pensare che per i prodotti alimentari non viene prescritto alcun marchio specifico, ma che nonostante ciò devono ottemperare ai regolamenti e alle direttive UE. Per organizzazioni europee dei consumatori come il BEUC e l'ANEC è sufficiente che il marchio CE, in quanto attestato di sicurezza per la commercializzazione, figuri sui documenti che accompagnano i prodotti, i quali possono essere verificati dalle autorità competenti.

Esito della votazione

Voti favorevoli: 24, voti contrari: 27, astensioni: 10

Punto 5.2.12

Dopo il 5o punto in neretto, aggiungere il seguente:

«—

indurre la Commissione, i produttori e i consumatori a studiare la possibilità di introdurre un vero e proprio sistema di marchi di qualità dei prodotti basato su una certificazione di terzi che non riguardi solo l'osservanza delle norme minime di sicurezza previste dalle direttive, ma copra anche altri aspetti,»

Motivazione

Con il dibattito proposto si potrebbe esaminare la possibilità di introdurre norme non solo in materia di sicurezza, ma anche di qualità, di ambiente e di etica, sì da consentire ai produttori che lo desiderino di sottoporre i loro prodotti a una certificazione che non si limiti all'aspetto della sicurezza.

Se il presente emendamento verrà accolto, la sezione 1 «Conclusioni e raccomandazioni» andrà adattata di conseguenza (ad esempio al punto 1.5, dopo il 7o punto in neretto).

Esito della votazione

Voti favorevoli: 25, voti contrari: 29, astensioni: 12


16.5.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/14


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 80/181/CEE del Consiglio sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri riguardo alle unità di misura

COM(2007) 510 def. — 2007/0187 (COD)

(2008/C 120/02)

Il Consiglio, in data 26 settembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 80/181/CEE del Consiglio sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri riguardo alle unità di misura

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 novembre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore CASSIDY.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 dicembre 2007, nel corso della 440a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 114 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) approva senza riserve la proposta della Commissione.

1.2.

La direttiva indica la fine del 2009 come scadenza per l'uso di «indicazioni aggiuntive», cioè non metriche. Mantenere questa scadenza sarebbe costoso per tutte le imprese UE coinvolte nel commercio transatlantico.

1.3.

La direttiva impone inoltre al Regno Unito e all'Irlanda di fissare una data per porre fine alle esenzioni relative all'uso della pinta, del miglio e dell'oncia troy.

1.4.

La Commissione propone di eliminare tali scadenze, e non già di sostituirle con altre.

1.5.

La direttiva definisce come unità di misura legali nell'UE le unità metriche o unità SI, sigla — quest'ultima — che si riferisce al Sistema internazionale (Système International) adottato nel 1960 dalla Conferenza generale dei pesi e delle misure (CGPM). Per quanto l'Unione europea non sia tra i firmatari della relativa convenzione, tutti gli Stati membri lo sono. Dato che le unità SI vengono regolarmente aggiornate per tenere conto dei progressi tecnici, la Commissione propone di adottare il katal come unità SI per l'attività catalitica.

1.6.

Il CESE accoglie con favore la proposta della Commissione, che rientra nello sforzo di semplificazione e di miglioramento della legislazione, e plaude alla sensibilità della Commissione nel riconoscere l'importanza della sussidiarietà per l'Irlanda e il Regno Unito.

Bruxelles, 12 dicembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


16.5.2008   

IT

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C 120/15


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al livello sonoro all'orecchio dei conducenti dei trattori agricoli o forestali a ruote (versione codificata)

COM(2007) 588 def. — 2007/0205 (COD)

(2008/C 120/03)

Il Consiglio, in data 24 ottobre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al livello sonoro all'orecchio dei conducenti dei trattori agricoli o forestali a ruote (versione codificata)

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e che non richiede commenti da parte sua, il Comitato, in data 12 dicembre 2007, nel corso della 440a sessione plenaria, ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 135 voti favorevoli e 2 astensioni.

 

Bruxelles, 12 dicembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


16.5.2008   

IT

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C 120/15


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde sugli strumenti di mercato utilizzati a fini di politica ambientale e ad altri fini connessi

COM(2007) 140 def. — SEC(2007) 388

(2008/C 120/04)

La Commissione europea, in data 28 marzo 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al:

Libro verde sugli strumenti di mercato utilizzati a fini di politica ambientale e ad altri fini connessi

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 ottobre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore RIBBE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 dicembre 2007, nel corso della 440a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 48 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Sintesi

1.1.

Il CESE prende atto della pubblicazione del Libro verde sugli strumenti di mercato utilizzati a fini di politica ambientale e ad altri fini connessi, avvenuta con notevole ritardo.

1.2.

Condivide le idee della Commissione circa i diversi effetti fiscali e ambientali dei vari strumenti di mercato utilizzati a fini di politica ambientale (imposte, tasse, tariffe, sovvenzioni, diritti/tipologie di certificati, ecc.).

1.3.

Il CESE constata che gli strumenti di mercato sono utilizzati già da tempo nelle politiche e che quindi occorre decidere non più «se» siano opportuni, bensì piuttosto «in qual modo» servirsene.

1.4.

Come giustamente la Commissione riconosce, questi strumenti offrono sì una buona opportunità per trovare soluzioni economicamente ragionevoli a favore della protezione ambientale, ma non sono sempre e comunque un toccasana. Di conseguenza, il dibattito politico, e lo stesso Libro verde, dovrebbero riguardare il rapporto e l'interazione fra, ad esempio, disposizioni prescrittive e divieti, normative e strumenti di mercato (ad es. imposte/tasse/tariffe, sovvenzioni mirate e diritti di emissione negoziabili). Il Comitato si rammarica tuttavia che al riguardo il Libro verde fornisca ben poche indicazioni.

1.5.

Il Comitato invita pertanto la Commissione ad avvalersi del dibattito pubblico avviato dal Libro verde per illustrare con esempi concreti le potenzialità e gli effetti, ma anche i limiti, dei diversi strumenti ai fini della protezione ambientale.

2.   Contenuto del Libro verde

2.1.

Il 28 marzo 2007 la Commissione ha presentato il Libro verde sugli strumenti di mercato utilizzati a fini di politica ambientale e ad altri fini connessi  (1), annunciato sin dal 2004, che forma oggetto del presente parere.

2.2.

Con questo Libro verde la Commissione avvia la riflessione su un maggior ricorso agli strumenti di mercato nella Comunità.

2.3.

Nel Libro verde essa menziona gli obiettivi per la protezione ambientale convenuti nel frattempo a livello europeo, e in particolare la nuova politica energetica e climatica, che a suo giudizio «nell'arco dei prossimi 10-15 anni genererà una vera e propria nuova rivoluzione industriale».

2.4.

La Commissione precisa che «In assenza di un intervento pubblico (…) questi ambiziosi obiettivi non potranno essere raggiunti». Essa ritiene che gli strumenti di mercato dovrebbero essere utilizzati sempre più come strumenti di politica ambientale: essi dovrebbero dare «un contributo importante al conseguimento di un reale cambiamento tramite una modifica degli incentivi alle imprese e ai consumatori».

2.5.

La Commissione puntualizza tuttavia: «Questi strumenti non sono una panacea per tutti i mali».

2.6.

Come «strumenti di mercato» vengono indicati le imposte, le tasse, le tariffe, le sovvenzioni mirate e i diritti di emissione negoziabili.

Argomenti a favore del ricorso agli strumenti di mercato come strumenti di azione politica

2.7.

Secondo la Commissione, l'utilizzo degli strumenti di mercato è giustificato dalla loro capacità di «rimediare ai fallimenti del mercato in maniera efficiente sotto il profilo dei costi. Per fallimento del mercato si intende una situazione in cui o il mercato è del tutto inesistente (dato che le risorse ambientali hanno natura economica di beni pubblici) o non riflette in misura adeguata il “vero” costo o il costo sociale di un'attività economica».

2.8.

La Commissione elenca i seguenti vantaggi:

gli strumenti di mercato riconoscono implicitamente le differenze esistenti tra le imprese,

migliorano i segnali dei prezzi, attribuendo un valore ai costi e ai benefici esterni delle attività economiche,

offrono una maggiore flessibilità alle imprese nel conseguimento dei loro obiettivi e diminuiscono pertanto i costi complessivi da esse sostenuti per conformarsi alla normativa,

incitano le imprese ad impegnarsi, a più lungo termine, sulla via dell'innovazione tecnologica per ridurre ulteriormente gli effetti negativi sull'ambiente («efficienza dinamica»),

sostengono l'occupazione, se impiegati nel quadro di una riforma in senso ambientale della fiscalità o del bilancio.

2.9.

La Commissione precisa tuttavia che gli strumenti di mercato non servono soltanto a conseguire obiettivi ambientali, ma soprattutto sono utili «per evitare le distorsioni nel mercato interno causate da approcci divergenti seguiti dagli Stati membri, per assicurare che uno stesso settore sia soggetto agli stessi oneri in tutta l'UE e per superare gli eventuali effetti negativi sulla competitività nell'UE».

2.10.

Fa inoltre presente che i diversi strumenti di mercato presentano effetti diversi. I sistemi connessi alle quantità (come i sistemi di permessi negoziabili) offrono maggiori garanzie di raggiungimento di obiettivi specifici (ad esempio i limiti delle emissioni) rispetto agli strumenti puramente basati sui prezzi (come le imposte). Questi ultimi offrono però una sicurezza maggiore in relazione ai costi/ai prezzi e sono anche più facili da utilizzare.

2.11.

La Commissione fa inoltre presente un'altra differenza importante: le imposte (e anche le tasse e le tariffe) non solo possono essere utilizzate per influire sui comportamenti, ma sono anche una fonte di entrate per l'erario. Nel caso dei permessi negoziabili ciò vale unicamente «se se le autorità pubbliche mettono all'asta le quote».

2.12.

Il Libro verde menziona anche l'aspetto «Crescita e occupazione» e adduce le ragioni per riformare la fiscalità ambientale (2). Dopo che al vertice del giugno 2006 il Consiglio europeo, nella nuova strategia per la sostenibilità, ha accennato a sistemi fiscali orientati — appunto — alla sostenibilità, senza però esprimersi in termini più concreti, la Commissione dichiara oggi «Una riforma della fiscalità ambientale che sposti il carico fiscale dalle imposte che hanno un effetto negativo sulla qualità della vita (ad esempio, quelle sul lavoro) alle imposte che invece hanno un impatto positivo (ad esempio, imposte sulle attività dannose per l'ambiente, quali l'uso delle risorse o l'inquinamento) può essere una soluzione vincente sia per i problemi ambientali che per i problemi del lavoro. Allo stesso tempo, lo spostamento del carico fiscale a lungo termine richiede un gettito relativamente stabile proveniente dalla base fiscale ambientale».

2.13.

Da ultimo, il documento cita alcuni esempi di strumenti di mercato già consolidati (tassazione dei prodotti energetici, eurobollo, sistemi locali di tariffazione per ridurre la congestione del traffico nei centri urbani) e formula una serie di quesiti, dai più specifici ai più generali, rivolti al pubblico per suscitare un dibattito fra i cittadini.

2.14.

Secondo la Commissione, gli strumenti di mercato possono servire anche per proteggere la biodiversità.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il Comitato ha spesso auspicato un utilizzo ottimale del ventaglio degli strumenti politici ai fini della protezione ambientale, strategia in cui gli strumenti di mercato possono svolgere un ruolo importante, e questo è un punto su cui il Comitato e la Commissione concordano.

3.2.

Pur comprendendo gli argomenti addotti, e pur ritenendoli validi, il Comitato avrebbe auspicato dal Libro verde, che ha conosciuto una lunga gestazione e notevoli rinvii nella sua pubblicazione, maggiore chiarezza circa il futuro impiego degli strumenti di mercato. La lunga procedura di concertazione all'interno della Commissione è stata forse necessaria, ma al Comitato non sembra che essa abbia presentato fino a questo momento alcuna utilità discernibile per il processo di definizione della politica.

3.3.

Sembrerebbe piuttosto che talvolta la realtà politica evolva più rapidamente del processo di concertazione interna.

3.4.

Il Comitato constata che gli strumenti di mercato vengono già utilizzati da tempo per la protezione ambientale, anche se in misura estremamente diversa a seconda degli Stati membri. Stando ad Eurostat, ad esempio, negli Stati membri dell'UE il gettito fiscale medio da prelievi con finalità ambientali è di appena il 7 %.

3.5.

Di conseguenza, né il Libro verde, né il dibattito politico possono più vertere sulla possibile introduzione di strumenti di mercato a favore della protezione ambientale. La questione non riguarda il «se», ma piuttosto il «come»: in quale misura gli strumenti di mercato vadano utilizzati e quale debba essere la loro relazione nei confronti dei divieti, delle norme prescrittive e di altri strumenti ancora.

3.6.

Le affermazioni contenute nel Libro verde non dicono d'altronde nulla di più di quello che è noto e discusso già da tempo nelle imprese e fra le diverse categorie della società. E non c'è neanche alcun confronto sul problema di chi debba essere in via principale il responsabile degli interventi. Ovviamente l'estensione delle competenze dell'UE non è la stessa per tutti gli strumenti concepibili: nel campo fiscale, per esempio, le sue competenze sono estremamente limitate. Non è inoltre chiara la linea politica che seguirà alla presentazione di questo Libro verde: se, cioè, seguirà un Libro bianco e quali conseguenze verranno tratte da questa operazione.

3.7.

Il difetto principale è che non è possibile dedurre a quale strumento, a seconda delle contingenze, la politica dovrebbe dare la precedenza. Ben poco emerge su come s'intendano delimitare o collegare l'aspetto normativo e gli strumenti di mercato.

3.8.

Di conseguenza il CESE può prendere atto con interesse di questo Libro verde, ma constata che il dibattito nell'ambito della società su strumenti più efficaci per la politica ambientale dovrebbe essere condotto con maggiore impegno e sulla scorta di esempi il più possibile concreti, in modo che gli obiettivi ambiziosi dell'UE, cui il documento in esame accenna ad esempio circa le politiche climatica ed energetica, possano essere effettivamente realizzati.

3.9.

Secondo il CESE il criterio da applicare è che gli strumenti di mercato devono basarsi sul principio «chi inquina paga» e quindi offrire degli incentivi a coloro che tutelano l'ambiente attivamente.

4.   Osservazioni particolari del CESE

4.1.

Il Comitato ha costantemente ribadito l'importanza di internalizzare i cosiddetti «costi esterni». E a questo scopo, come illustrato dalla stessa Commissione, possono essere utilizzati degli strumenti di mercato. Occorre però prendere anzitutto una decisione politica chiara determinando l'entità dei costi esterni da internalizzare.

4.2.

Lo strumento di mercato consistente nel cosiddetto «eurobollo», che viene descritto nel Libro verde per i trasporti su strada, costituisce un buon esempio di come in pratica uno strumento considerato idoneo per internalizzare i costi esterni sia stato sinora utilizzato solo con scarsa convinzione. La stessa Commissione afferma che «le tariffe medie possono coprire unicamente i costi delle infrastrutture, e non quindi i costi esterni». Sono di conseguenza necessarie iniziative per, ad esempio, integrare in avvenire tali costi esterni nell'eurobollo.

4.3.

Il Comitato invita la Commissione, il Consiglio e il Parlamento a designare come strumenti di mercato idonei alla protezione ambientale solo quelli che perseguono un obiettivo ambientale effettivo e manifesto. Quanto all'eurobollo, esso può essere considerato solo parzialmente come uno strumento ambientale, visto che non copre i costi esterni. Essenzialmente l'eurobollo serve ad evitare che i costi infrastrutturali vengano coperti esclusivamente dalle finanze pubbliche, associando invece direttamente gli utenti al loro finanziamento. In tal modo si producono beninteso anche effetti ambientali indiretti, ad esempio quando un rincaro induce l'utente a riflettere se sia più economico utilizzare i trasporti su strada o piuttosto la ferrovia (o persino rinunciare a qualsiasi mezzo di trasporto). L'eurobollo potrà essere considerato come uno strumento ambientale solo quando verranno tenuti presenti i costi (ambientali) di cui sinora non veniva considerato il valore di mercato, e che venivano trascurati.

4.4.

I decisori politici dovranno anzitutto spiegare quale obiettivo venga perseguito con una determinata misura politica. Il dibattito dovrebbe cominciare solo dopo che l'obiettivo sarà stato definito.

4.5.

Ne consegue che l'accresciuto ricorso a strumenti di mercato non consentirà ai responsabili politici di evitare decisioni, talvolta assai difficili perché controverse, consistenti nel definire obiettivi (ambientali) ben chiari come i limiti relativi alle emissioni, ecc. Questa è una lacuna constatata in passato, e gli strumenti di mercato non possono sostituirsi a tali decisioni, bensì solo, come risulta dalla loro stessa denominazione, offrire dei mezzi per conseguire gli obiettivi previsti.

4.6.

La Commissione deve sormontare quanto prima le incertezze lasciate dal Libro verde precisando le sue idee circa il futuro impiego dei diversi strumenti politici. Il Comitato la esorta quindi a testare (con e senza strumenti di mercato) le diverse opzioni politiche possibili già nel quadro del più ampio dibattito in programma su questo tema, esaminando alcuni esempi pratici di politiche diverse (ad esempio quella energetica e quella dei trasporti).

4.7.

Ciò le permetterebbe sicuramente di chiarire, ad esempio, che non s'intende utilizzare gli strumenti di mercato per risolvere il problema delle sostanze cancerogene.

4.8.

Tali strumenti potrebbero rivelarsi tuttavia interessanti per affrontare un quesito sempre più attuale: in quale modo in avvenire, se si disporrà della tecnologia necessaria, potranno essere installate centrali elettriche a carbone che non producano biossido di carbonio? Verranno rese obbligatorie (quindi attraverso misure normative) come «stato dell'arte» o se ne favorirà la redditività mediante strumenti di mercato? Si tratta di questioni che in futuro andrebbero dibattute più intensamente al livello della società.

4.9.

Se si rendessero nell'insieme più evidenti il collegamento e/o la delimitazione fra l'aspetto normativo e gli strumenti di mercato, illustrando possibilità d'azione concrete a seconda dei casi, si agevolerebbe forse anche la comprensione delle idee del Libro verde circa l'impiego degli strumenti di mercato per il mantenimento della biodiversità, idee che al Comitato paiono ancora poco convincenti come valide soluzioni per contrastare in maniera efficace il persistente declino della biodiversità.

4.10.

Nel proprio parere riguardante la Relazione biennale sulla strategia dell'UE in materia di sviluppo sostenibile  (3) il Comitato già ha invitato la Commissione a precisare meglio le sue idee, espresse in modo assai vago, circa un nuovo sistema fiscale basato su indicatori di sostenibilità. Secondo l'Eurostat il gettito ottenuto con imposte a carattere ambientale si aggira intorno al 7 %.

4.11.

Il Comitato ritiene urgente un dibattito per ridurre l'imposizione sul lavoro compensando il conseguente minor gettito con le entrate ottenibili dalla tassazione sulle attività dannose per l'ambiente, e insiste sull'opportunità di accelerarlo dopo la presentazione del Libro verde. In tale contesto va però chiarito come l'UE si prospetta tali cambiamenti, considerato che essa, sulla base dei Trattati, ha solo un'influenza estremamente marginale sulla politica fiscale degli Stati membri.

4.12.

Il Comitato ritiene estremamente importante presentare senza indugi l'indagine promessa sulle sovvenzioni dannose per l'ambiente, che andranno soppresse con la massima celerità. Esso ritiene che le sovvenzioni nocive per l'ambiente provochino una notevole distorsione della concorrenza e costituiscano un'allocazione sbagliata, e del tutto inaccettabile, di fondi pubblici. Gli strumenti di mercato potranno rivelarsi efficaci nella protezione dell'ambiente solo dopo che tali sovvenzioni dannose per l'ambiente saranno state totalmente soppresse.

Bruxelles, 13 dicembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  COM(2007) 140 def. del 28.3.2007.

(2)  La Commissione ha già trattato questo tema nel suo Libro bianco del 1993 sulla crescita, la competitività e l'occupazione [COM(93) 700 def., (al capitolo 10)] e più di recente nella sua comunicazione sul modello sociale europeo e in un documento sui legami tra le politiche dell'occupazione e le politiche ambientali, cfr. COM(2005) 525 def. e SEC(2005) 1530. I dati ex post sull'esperienza nei paesi nordici e i risultati di studi basati su modelli indicano l'esistenza di entrambi i tipi di benefici.

(3)  GU C 256 del 27.10.2007, pag. 76.


16.5.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/19


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema I lavoratori agricoli transfrontalieri

(2008/C 120/05)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 febbraio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di formulare un parere sul tema:

I lavoratori agricoli transfrontalieri

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 ottobre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore SIECKER.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 dicembre 2007, nel corso della 440a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 104 voti favorevoli, 3 voti contrari e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

In Europa la migrazione dei lavoratori ha carattere economico ed è la conseguenza della libera circolazione dei lavoratori fra Stati membri caratterizzati da livelli di vita assai diversi. Il flusso costante di persone in cerca di lavoro è imputabile all'elevato tasso di disoccupazione in diversi nuovi Stati membri e alla domanda di manodopera poco costosa e poco qualificata nei 15 vecchi Stati membri.

1.2.

Nel 2004 e nel 2007 sono state convenute misure transitorie per consentire ai vecchi Stati membri dell'Unione europea di regolare l'immigrazione proveniente dai nuovi Stati membri. Tali misure sono state fra l'altro motivate dalla volontà dei vecchi Stati membri di evitare tensioni sul mercato del lavoro per via di un afflusso eccessivo di lavoratori migranti, con il rischio che questi vengano reclutati in maniera illegale.

1.3.

Le misure transitorie hanno finito per provocare proprio i risultati che si volevano evitare. Nella Relazione sul funzionamento delle disposizioni temporanee di cui al Trattato di adesione del 2003, la Commissione constata che le restrizioni al lavoro legale dei lavoratori immigrati dai nuovi Stati membri hanno determinato una proliferazione del lavoro non dichiarato, del lavoro «indipendente» fittizio, nonché della fornitura fittizia di servizi e di subappalti.

1.4.

Nell'UE a 15 si è creata una situazione paradossale in base alla quale per molti lavori agricoli stagionali non si riesce a trovare un numero sufficiente di lavoratori residenti. Per quanto ci siano abbastanza lavoratori migranti dei nuovi Stati membri disposti a fare questi lavori, molti di essi non possono a causa delle restrizioni transitorie. I flussi di manodopera agricola variano a seconda dei paesi d'origine e di accoglienza, e tali variazioni sono legate soprattutto all'esistenza o meno di misure transitorie totali o parziali.

1.5.

Di conseguenza questo tipo di lavoro spesso finisce nel circuito del lavoro informale. Su questo argomento è difficile ottenere informazioni precise, dato che ognuna delle tre parti in causa ha le proprie ragioni per non renderle note. Vi sono datori di lavoro che vogliono pagare meno di quanto prescritto dalla legge o dai contratti collettivi in vigore; vi sono lavoratori che si accontentano di una remunerazione inferiore a quella alla quale avrebbero diritto a norma di legge o in virtù dei contratti collettivi; e vi sono intermediari di pochi scrupoli, fin troppo desiderosi di procacciare questo tipo di affari, i quali possono fruttare loro grossi guadagni.

1.6.

Molti intermediari offrono manodopera a prezzi stracciati, ma a pagare per questa guerra dei prezzi sono in definitiva i lavoratori migranti che devono accontentarsi di redditi al di sotto del minimo sociale. Accade anche che per i lavoratori stagionali i datori di lavoro versino agli intermediari retribuzioni adeguate al mercato, ma che questi non provvedano al versamento né delle imposte sui redditi né dei contributi sociali. Senza dimenticare che, il più delle volte, questi intermediari trattengono anche una parte della remunerazione che spetta ai lavoratori migranti. Esistono inoltre siti Internet con numeri di telefono dell'Europa sia occidentale che orientale, che offrono lavoratori autonomi per i quali non vanno versati né contributi sociali né imposte.

1.7.

Questo stato di cose è deprecabile da molti punti di vista. Si deve anzitutto garantire che i lavoratori migranti ricevano, sotto ogni profilo, lo stesso trattamento di cui godono i loro colleghi residenti. Occorre assicurare che a lavoro uguale corrisponda una remunerazione uguale e che i lavoratori migranti godano di migliori condizioni di accesso alla sicurezza sociale. Va tenuto presente che la questione non riveste un interesse sociale solo per i lavoratori, e che anzi è importante anche per i datori di lavoro sotto il profilo economico (parità di condizioni ai fini di una concorrenza leale) e per gli Stati membri sotto il profilo finanziario (gettito fiscale).

1.8.

Una recente proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio introduce sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente nell'UE. Essa prevede l'armonizzazione delle sanzioni contro i datori di lavoro e misure preventive, come pure l'individuazione e lo scambio di buone prassi fra gli Stati membri sull'applicazione delle sanzioni contro i datori di lavoro.

1.9.

Fintanto che permangono le restrizioni nei confronti dei lavoratori immigrati dai nuovi Stati membri, il Comitato economico e sociale europeo (CESE) chiede che la direttiva summenzionata si applichi anche a quei datori di lavoro che, in violazione della legge, reclutano manodopera degli Stati membri tuttora soggetti a restrizioni. Il Comitato giudica altresì essenziale che l'Unione europea vigili per assicurare che la direttiva sia non solo recepita nelle legislazioni nazionali, ma anche effettivamente applicata in tutti gli Stati membri.

1.10.

La lotta contro il lavoro nero sarebbe agevolata se si definisse in modo univoco a livello europeo il rapporto di lavoro, ossia se si distinguesse chiaramente fra l'assunzione di compiti (prestazione di servizi) e lo svolgimento di un'attività in un contesto gerarchico (contratto di lavoro). In proposito l'OIL si è pronunciata chiaramente in una raccomandazione che riconosce ai veri lavoratori autonomi, le cui capacità vanno ben al di là della fornitura di manodopera non qualificata e a buon mercato, uno status più chiaro nel mondo del lavoro e garantisce al tempo stesso ai lavoratori dipendenti la protezione cui hanno diritto. Il CESE si compiace che la Commissione europea abbia approvato una proposta relativa a uno studio sul lavoro indipendente (fittizio) a cura delle parti sociali europee del settore edilizio. Osserva poi con soddisfazione che tale studio sarà finanziato dalla Commissione stessa.

1.11.

Viste le conseguenze delle restrizioni imposte al lavoro legale, per i futuri allargamenti dell'UE sarà forse preferibile evitare misure transitorie del genere. Il CESE invita inoltre la Commissione ad esaminare la possibilità di sopprimere tutte le restrizioni cui sono assoggettati i lavoratori dei 12 paesi che hanno aderito all'Unione europea nel 2004 e nel 2007. La grande maggioranza delle parti sociali europee è peraltro favorevole a tale mossa, a condizione che a livello comunitario e nazionale, come pure al livello delle stesse parti sociali, ci si attivi realmente per assicurare la parità di trattamento dei lavoratori migranti.

2.   Introduzione

2.1.

La strategia di Lisbona prevede che l'UE in futuro dovrà essere un'economia della conoscenza molto competitiva, basata su produzione e consumo sostenibili e caratterizzata da un grado elevato di coesione sociale.

2.2.

Attualmente l'UE è caratterizzata da un'economia della conoscenza abbastanza competitiva, con modelli di produzione e di consumo non ancora abbastanza sostenibili e con un grado di coesione sociale nient'affatto soddisfacente.

2.3.

Il presente parere tratta soprattutto di quest'ultimo aspetto: la coesione sociale. L'UE è molto attenta allo sviluppo economico e alla sostenibilità, soprattutto della produzione, mentre la coesione sociale, vittima della scarsa attenzione delle politiche comunitarie per il terzo pilastro della strategia di Lisbona, anziché migliorare sta finendo per indebolirsi.

2.4.

I risultati di questo stato di cose sono ben visibili sul mercato del lavoro, dove si assiste ad un aumento del lavoro informale e riappare una tipologia di lavoratori che si credeva ormai estinta da tempo: i lavoratori a giornata.

2.5.

Questa nuova generazione di lavoratori a giornata si offre per strada, in luoghi conosciuti come punti di raccolta per intermediari di pochi scrupoli. Questi lavoratori vengono ingaggiati a giornata senza che per loro si versino imposte sui redditi da lavoro dipendente o contributi sociali, sono costretti a lavorare per un numero eccessivo di ore al giorno per una retribuzione oraria esigua e non godono di alcuna delle tutele garantite dalla legislazione del lavoro, per quel poco che esiste.

2.6.

Fino a pochi anni fa il mercato del lavoro per le mansioni poco o non qualificate aveva una valenza nazionale. Con l'allargamento dell'UE nel 2004 anche questo segmento del mercato del lavoro ha assunto una dimensione europea. Dopo l'allargamento del 2007, l'offerta sul mercato è fortemente aumentata con l'arrivo di lavoratori rumeni e bulgari.

2.7.

Il settore in cui questa tendenza appare più marcata è quello agricolo, tanto più che molte delle persone che cercano lavoro all'estero trovano quasi sempre una prima occupazione proprio in questo settore.

2.8.

Con il presente parere il Comitato desidera mettere questo tema sull'agenda dell'UE, in modo che le istituzioni europee competenti possano cercare soluzioni a questo grande, grave e purtroppo crescente problema insieme agli Stati membri e alle parti sociali.

3.   L'agricoltura

3.1.

Per agricoltura s'intende il complesso delle attività economiche che trasformano l'ambiente naturale per produrre vegetali e animali (1). A seconda del prodotto, del metodo di produzione e del livello di prosperità viene utilizzato un ampio ventaglio di tecniche che va dall'uso di semplici utensili all'impiego di grandi macchine, le quali tendono sempre più a sostituire il lavoro umano.

3.2.

Il settore agricolo comunitario è molto grande: l'UE conta infatti oltre 160 milioni di ettari di terreni coltivati e 11 milioni di aziende agricole che occupano in tutto 15 milioni di persone. Si tratta per lo più degli stessi agricoltori e delle loro famiglie, ma circa 1 milione di aziende occupano un totale di 6,5 milioni di dipendenti. Fra questi, 4,5 milioni sono lavoratori stagionali e non è dato sapere quanti siano occupati in un paese diverso da quello d'origine (2): molti sono polacchi, bulgari e rumeni.

3.3.

Il settore agricolo si articola in tutta una serie di attività: allevamento (produzione di animali), acquacoltura (produzione di pesci), orticoltura (coltivazione in piccole quantità di piante a ciclo breve quali ortaggi, piante ornamentali, frutta, funghi) e agricoltura in senso stretto (la quale, a differenza dell'orticoltura, riguarda le colture vegetali che vengono prodotte in quantità maggiori e richiedono minore manodopera). Nell'UE la silvicoltura commerciale non è classificata ovunque come un'attività agricola, visto che alcuni paesi la considerano come un settore d'attività a sé stante.

3.4.

L'agricoltura non produce unicamente derrate alimentari, bensì anche — e sempre più — beni come fiori, pellicce, cuoio, biocarburanti (biodiesel, etanolo, gas, alberi a crescita rapida per la produzione di legname), enzimi, fibre, ecc. Le piante geneticamente modificate servono anche a produrre medicinali particolari.

3.5.

Stando ai dati forniti sia dall'OIL (3) che da Eurofound (4), quello agricolo è uno dei settori più pericolosi per i lavoratori. Dei circa 335 000 infortuni mortali sul lavoro registrati ogni anno, oltre la metà (170 000) si verifica nel settore agricolo.

4.   Tipologie di lavoro informale

4.1.

La quantità di complicazioni giuridiche esistenti nell'UE non consente una definizione univoca del lavoro informale. Pratiche del tutto correnti in un determinato paese (quando in un determinato ambito nulla è disciplinato, non vi sono disposizioni da rispettare), possono sembrare inconsuete in un altro, o persino essere considerate come una violazione delle normative vigenti.

4.2.

Le definizioni del lavoro informale variano dunque da uno Stato membro all'altro. Si tratta di attività che non figurano nelle statistiche ufficiali dell'economia ufficiale. In realtà le cifre non mancano, ma spesso provengono da un'unica fonte, non sempre sono verificabili e quindi affidabili. Detto ciò, è incontestabile che il lavoro informale sia un fenomeno su vasta scala.

4.3.

Quasi tutte le definizioni nazionali del lavoro informale sottolineano la mancata ottemperanza agli obblighi fiscali, e quasi tutte menzionano anche il non rispetto degli obblighi connessi alla sicurezza sociale. Stranamente, queste definizioni nazionali del lavoro informale non menzionano quasi mai il mancato rispetto di altri obblighi in materia di diritto del lavoro (condizioni di lavoro, orario di lavoro, contratti collettivi a carattere vincolante).

4.4.

Il lavoro informale viene compiuto dai cosiddetti «lavoratori irregolari», che non sempre sono immigrati privi di permesso di lavoro e/o di soggiorno. Hanno occupazioni informali anche le persone provviste di documenti, o quelle che non ne hanno bisogno perché residenti del paese in cui svolgono illecitamente la loro attività. Le persone prive di documenti validi sono fra l'altro molto più vulnerabili, e quindi più facilmente sfruttabili rispetto a quelle che ne sono provviste. In effetti, mentre queste ultime hanno comunque accesso al lavoro formale, le prime non hanno questa possibilità.

4.5.

Oltre alla tipologia classica del lavoro subordinato c'è anche quella degli «autonomi senza personale». Questi lavoratori «autonomi» vengono considerati come imprenditori e non comportano per i datori di lavoro alcun obbligo in termini di imposte sui redditi o di contributi sociali, al cui versamento devono provvedere direttamente.

4.6.

Questi lavoratori non beneficiano delle tutele previste dalla legislazione sul lavoro a favore dei lavoratori dipendenti, come la retribuzione minima, la durata massima settimanale del lavoro, la sicurezza e la salubrità del lavoro. Dato l'elevato rischio di gravi infortuni tipico di questo settore (cfr. punto 3.5), ciò è inaccettabile. Questi lavoratori autonomi considerati come «imprenditori» sono in pratica liberi di lavorare a qualsiasi condizione o tariffa abbiano convenuto con il loro committente.

4.7.

Inizialmente questi lavoratori erano costituiti da personale esperto e competente con capacità comprovate in attività professionali specifiche. In genere avevano impiegato degli anni per raggiungere il livello di professionista qualificato ed esperto necessario per continuare ad esercitare una professione in maniera autonoma.

4.8.

Attualmente la tendenza verso una sempre più crescente esternalizzazione, anche per la rinuncia alle attività non essenziali delle imprese, significa che si esternalizza molto di più del semplice lavoro specializzato. È sufficiente mantenere un nucleo ristretto di dipendenti stabili e pratici dell'azienda, facendo sempre più ricorso al subappalto per le produzioni e i servizi più semplici, tutte mansioni per le quali si può fare appello a un gran numero di nuovi lavoratori autonomi disponibili sul mercato del lavoro. La «specializzazione» principale di molti nuovi lavoratori autonomi consiste nell'offrire manodopera non qualificata e a buon mercato.

4.9.

In realtà si tratta di un tipo di lavoro autonomo fittizio, utilizzato negli anni '80 del secolo scorso per «esportare» la disoccupazione dall'Irlanda e dal Regno Unito. Fino ad allora la legislazione inglese prevedeva una serie di garanzie che consentivano di verificare se i lavoratori autonomi soddisfacevano realmente a una serie di condizioni, ad esempio essere esperti qualificati in un'attività professionale ben precisa. Il governo britannico dell'epoca soppresse i criteri di verifica, con il risultato che di colpo molti più lavoratori poterono farsi registrare come autonomi e trovare un'occupazione nell'Europa continentale, senza dover ottemperare alle legislazioni locali sul lavoro (5).

4.10.

Non si tratta peraltro più di un fenomeno esclusivamente anglosassone, tant'è vero che, ad esempio, durante un convegno sulla libera circolazione dei lavoratori, un portavoce del governo polacco ha dichiarato che il suo governo invita i cittadini in cerca di lavoro a registrarsi come lavoratori autonomi (6). In questo modo essi possono aggirare le restrizioni vigenti negli altri Stati membri in materia di prestazioni di lavoro — per quel che ne resta — e trovare un'occupazione ovunque. Lo status di lavoratore autonomo viene così sfruttato deliberatamente e regolarmente come pretesto per contravvenire al diritto del lavoro e alle condizioni di lavoro attraverso una catena di subappalti ed esternalizzazioni. Attraverso contratti capestro con questi falsi lavoratori autonomi, i cui servizi vengono spesso procurati da agenzie d'intermediazione, s'indebolisce anche la responsabilità circa il rispetto degli obblighi in materia di imposte sui redditi e di sicurezza sociale.

4.11.

Questo fenomeno si osserva su grande scala anche nel settore edilizio, il quale è stato studiato molto più diffusamente di quello agricolo. Le analogie tra i due settori sono numerose; in primo luogo essi sono accomunati dai tre principali fattori di rischio che caratterizzano il lavoro informale: alta intensità di manodopera, carattere temporaneo e il fatto di essere svolto principalmente da lavoratori non residenti. Le parti sociali europee del settore edilizio hanno intanto riconosciuto questi rischi e chiesto finanziamenti alla Commissione europea per condurre uno studio sul fenomeno del lavoro autonomo (fittizio) in 18 Stati membri. La Commissione ha risposto positivamente a questa richiesta e la proposta di studio sarà oggetto di una gara d'appalto al livello dell'UE entro la fine di quest'anno.

4.12.

La perdurante assenza di un quadro normativo europeo sui rapporti di lavoro rende possibili pratiche poco pulite sul mercato della manodopera a basso costo, con gravi ricadute negative a livello europeo. Nella Relazione sul funzionamento delle disposizioni temporanee di cui al Trattato di adesione del 2003, la stessa Commissione riconosce peraltro «la probabilità che le restrizioni abbiano incoraggiato i cittadini dell'UE-8 a cercare altri modi per svolgere un'attività economica negli Stati membri dell'UE-15, visto il flusso eccezionalmente elevato di lavoratori in trasferta o di lavoratori che dichiarano di essere indipendenti» (7).

4.13.

Nel medesimo documento la Commissione rileva poi: «Riconoscendo che i flussi di migrazione dall'UE-8 agli Stati membri dell'UE-15 sono stati modesti, molte parti sociali hanno sottolineato la necessità di evitare l'erosione delle normative sul lavoro e il dumping sociale. [Le parti sociali] hanno inoltre indicato che le restrizioni sul lavoro legale comportano effettivamente una proliferazione del lavoro non dichiarato, del lavoro “indipendente” fittizio, nonché [del]la fornitura di servizi e di subappalti fittizi». Più oltre la Commissione corregge l'idea secondo cui i flussi migratori non sarebbero stati consistenti, osservando che «i flussi effettivi di migrazione nell'UE allargata potrebbero essere superiori rispetto ai dati indicati nella presente relazione, poiché il fenomeno del lavoro non dichiarato non è preso completamente in considerazione dalle statistiche ufficiali». Nell'insieme la Commissione rileva inoltre che i vincoli all'accesso al mercato del lavoro possono determinare un maggiore ricorso al lavoro sommerso.

4.14.

Ad esempio, nei Paesi Bassi l'orticoltura, che è il comparto agricolo con il maggior numero di addetti, contava nel 1992 un totale di 54 200 equivalenti a tempo pieno. Circa l'87 % dei lavoratori erano stabilmente occupati, e oltre il 13 % erano legati a un'impresa in qualche altro modo (lavoratori interinali, lavoro a tempo determinato, [falsi] lavoratori autonomi). Nel 2005 il settore contava invece 59 000 equivalenti a tempo pieno, con oltre il 61 % dei lavoratori stabilmente occupati e quasi il 39 % legati in qualche altro modo a un'impresa. Beninteso, queste sono le statistiche dell'economia ufficiale: si stima infatti che nella primavera 2007 altri 40 000 equivalenti a tempo pieno lavoravano informalmente nel settore (8). Tuttavia, dopo la soppressione delle misure restrittive per i cittadini dei paesi che hanno aderito all'UE nel 2004, vi sono forti segnali che la quota di lavoro informale nell'orticoltura sia in costante calo.

5.   Diritto del lavoro sotto pressione

5.1.

Negli scorsi anni si è constatato che imponendo restrizioni all'accesso al mercato del lavoro si ottengono spesso effetti contrari, ad esempio l'aggiramento delle legislazioni sul lavoro e sulle condizioni di lavoro. Fino al 31 dicembre 2008 i cittadini rumeni e bulgari in cerca di lavoro non sono soggetti a restrizioni nei seguenti Stati membri: Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Slovacchia, Repubblica ceca, Svezia, Finlandia, Cipro e Slovenia, fermo restando che negli ultimi tre paesi essi sono soggetti all'obbligo d'iscrizione. I cittadini rumeni e bulgari in cerca di lavoro sono però soggetti a restrizioni negli altri 15 Stati membri (9). I cittadini dei 10 paesi che hanno aderito all'Unione europea nel 2004 incontrano ancora restrizioni, ma di minore entità e in un numero di paesi inferiore rispetto a quelle applicabili ai cittadini bulgari e rumeni (10).

5.2.

Nell'UE la migrazione dei lavoratori ha carattere economico ed è la conseguenza della libera circolazione dei lavoratori fra Stati membri caratterizzati da livelli di vita assai diversi. Il flusso crescente di persone in cerca di lavoro è imputabile all'elevato tasso di disoccupazione in diversi nuovi Stati membri e alla domanda di manodopera poco costosa e poco qualificata nei 15 vecchi Stati membri.

5.3.

Numerose persone in cerca di lavoro trovano un impiego agricolo perché in questo settore la stagionalità dei raccolti determina una domanda consistente di personale supplementare temporaneo. Il settore agricolo presenta anche maggiori possibilità di dumping sociale rispetto ad altri. Ciò è dovuto fra l'altro al fatto che vari Stati membri sono privi di contratti collettivi per il settore agricolo o che spesso, quando ve ne sono, non hanno un carattere vincolante generale.

5.4.

Il lavoro stagionale è un elemento strutturale dell'agricoltura europea. Una produzione agricola sostenibile ed efficiente non è possibile senza una manodopera flessibile. Nel settore agricolo gran parte dei lavori stagionali viene svolta da lavoratori migranti, il che in certi casi provoca problemi tali da mettere a repentaglio la coesione sociale.

5.5.

Spesso i lavoratori migranti occupati nel circuito formale sono meno costosi di quelli residenti perché il datore di lavoro non è tenuto a versare loro taluni tipi di contributi, ad esempio quelli per i fondi settoriali per la formazione e per i fondi pensioni. Gli immigrati dai 10 paesi che hanno aderito all'UE nel 2004, per i quali alcuni dei vecchi Stati membri mantengono tuttora restrizioni sul mercato del lavoro, hanno spesso un'occupazione informale perché non tutte le ore lavorate vengono dichiarate agli effetti fiscali. Di solito i migranti bulgari e rumeni, soggetti a un numero di restrizioni ancor maggiore, sono destinati a finire nel circuito informale, dove non vengono remunerati per tutte le ore lavorate, percepiscono retribuzioni orarie di gran lunga troppo basse, oppure si trovano costretti ad accettare lavoro come lavoratori autonomi (fittizi) a condizioni capestro.

5.6.

L'OIL ha dedicato varie convenzioni ai problemi trattati nel presente parere. Si tratta delle convenzioni n. 97 (Convenzione sui lavoratori migranti [riveduta], 1949), n. 143 (Convenzione sui lavoratori migranti [disposizioni complementari], 1975), n. 181 (Convenzione sulle agenzie per l'impiego private, 1997) e n. 184 (Convenzione sulla sicurezza e la salute in agricoltura, 2001). Le convenzioni n. 97 e n. 181 non sono state ratificate da 17 dei 27 Stati membri dell'UE. La n. 143 non è stata ratificata da 22 di essi, la n. 184 non è stata ratificata da 24 Stati membri. Nessuno dei 27 Stati membri attuali ha ratificato tutte e quattro le convenzioni (11). Nel 2006 l'OIL ha inoltre formulato una raccomandazione sui rapporti di lavoro (12) che essenzialmente consiglia di migliorare le legislazioni nazionali di tutti i paesi allo scopo di operare una distinzione chiara e comune fra lavoratori autonomi e dipendenti. Ciò è necessario per poter far cessare il crescente numero di pratiche fraudolente intese a mascherare da lavoratori autonomi quelli che invece sono lavoratori dipendenti (13).

6.   Rispetto della legislazione sul lavoro

6.1.

Si deve anzitutto garantire che i lavoratori migranti ricevano, sotto tutti i punti di vista, lo stesso trattamento dei loro colleghi residenti. Occorre assicurare che a lavoro uguale corrisponda anche una remunerazione uguale, e che i lavoratori migranti godano di migliori condizioni di accesso alla sicurezza sociale. Va tenuto presente che la questione non riveste un interesse sociale solo per i lavoratori, e che anzi è importante anche per i datori di lavoro sotto il profilo economico (parità di condizioni ai fini di una concorrenza leale) e per gli Stati membri sotto il profilo finanziario (gettito fiscale). Questo principio però non viene applicato ovunque. All'atto della soppressione delle misure transitorie dirette ai cittadini dei paesi che hanno aderito all'UE del 2004, le parti sociali olandesi si sono dichiarate pronte a collaborare a partire dal 1o maggio 2007 al controllo del rispetto della legislazione e della regolamentazione sociale e del lavoro. Il governo, dal canto suo, si è impegnato ad elaborare una politica di accompagnamento. Finora, tuttavia, non si è visto alcun risultato concreto.

6.2.

Una recente proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio introduce sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente nell'UE (14). Essa prevede l'armonizzazione delle sanzioni contro i datori di lavoro e misure preventive, come pure l'individuazione e lo scambio di buone prassi fra gli Stati membri sull'applicazione delle sanzioni contro i datori di lavoro.

6.3.

Questa proposta è motivata dalla massiccia presenza nell'UE di cittadini di paesi terzi che vi soggiornano illegalmente (stimati fra i 4,5 e gli 8 milioni). La conseguenza di questo stato di cose è il lavoro illegale che, oltre all'agricoltura, tocca principalmente tre settori: l'edilizia, il settore alberghiero e della ristorazione e i servizi di pulizia. Nella proposta il Parlamento europeo e il Consiglio concludono che «il lavoro illegale — come il lavoro sommerso dei cittadini UE — porta a perdite per le finanze pubbliche, può abbattere i salari e deteriorare le condizioni di lavoro, può falsare la concorrenza fra le imprese, e priva i lavoratori non dichiarati di copertura sanitaria e dei diritti alla pensione, che dipendono dal versamento dei contributi».

6.4.

Nella Relazione sul funzionamento delle disposizioni temporanee di cui al Trattato di adesione del 2003 (periodo 1o maggio 2003-30 aprile 2006), le parti sociali europee indicano che «le restrizioni sul lavoro legale comportano effettivamente una proliferazione del lavoro non dichiarato, del lavoro “indipendente” fittizio, nonché la fornitura di servizi e di subappalti fittizia». Vista questa esperienza, sarebbe preferibile rimuovere tutte le restrizioni per i lavoratori dei 12 paesi che hanno aderito all'Unione europea nel 2004 e nel 2007, in modo da mettere tutti su un piano di parità. La stragrande maggioranza delle parti sociali europee è peraltro favorevole a tale mossa, a condizione che a livello comunitario e nazionale, come pure al livello delle parti sociali, ci si attivi realmente per assicurare la parità di trattamento dei lavoratori migranti.

6.5.

Fintanto che le restrizioni permangono, il CESE insiste affinché la direttiva summenzionata, che introduce sanzioni contro i datori di lavoro che impiegano cittadini di paesi terzi soggiornanti illegalmente nell'Unione europea, si applichi anche a quei datori di lavoro che, in violazione della legge, reclutano manodopera degli Stati membri tuttora soggetti a restrizioni. Il Comitato giudica altresì essenziale che l'Unione europea vigili per assicurare che la direttiva sia non solo recepita nelle legislazioni nazionali, ma anche effettivamente applicata in tutti gli Stati membri.

6.6.

Inoltre, la direttiva interviene in merito alle grandi differenze riscontrabili fra gli Stati membri per quanto riguarda la qualità e l'intensità dei controlli e l'entità delle sanzioni: basti pensare che nei Paesi Bassi un datore di lavoro colto a reclutare lavoratori in maniera illegale è passibile di una multa fino ad un massimo di 6 700 euro per lavoratore, importo che sale a 20 000 euro in Belgio e a 50 000 euro nel Lussemburgo. Ci sono però anche Stati membri che non prevedono ancora alcuna sanzione nei confronti dei datori di lavoro che reclutano lavoratori illegali.

6.7.

Lo scambio di buone pratiche è una componente indispensabile del processo destinato ad accrescere la coesione sociale. Durante una recente audizione svoltasi a Plovdiv (15) è stata elencata una serie di buone pratiche, ad esempio:

la creazione di un consiglio sindacale internazionale nel Burgenland (16), regione frontaliera fra l'Austria e l'Ungheria. I sindacati austriaci e ungheresi vi collaborano per vigilare affinché il lavoro transfrontaliero si svolga in maniera conforme alle legislazioni vigenti,

il sistema di autorizzazioni previsto nel Regno Unito per l'esercizio dell'intermediazione di manodopera (17) in taluni ambiti di attività, grazie al quale viene esercitato un controllo rigoroso sulle attività dei cosiddetti gangmaster («caporali»), che nel settore agricolo sono i principali intermediari per far fronte alla domanda di manodopera temporanea. Nelle sue pubblicazioni l'OIL menziona esplicitamente questo sistema come esempio di buona pratica,

un sistema efficiente di controlli amministrativi convenuto dalle parti sociali nel settore agricolo belga per evitare il lavoro nero (18),

un sistema di certificazione introdotto nel 2007 dalle parti sociali olandesi per garantire il rispetto delle norme sociali e del lavoro in caso di lavoro interinale (19). Il sistema è ancora a uno stadio embrionale, ma l'intenzione è lodevole e gli sviluppi sono promettenti,

un vasto programma concordato nel settembre 2007 in Italia dalle parti sociali, dal ministero del Lavoro e dal ministero dell'Agricoltura per contrastare la crescita del lavoro informale e del lavoro autonomo fittizio nel settore agricolo (20),

programmi messi a punto dall'OIL per disciplinare le attività degli intermediari di manodopera privati ed evitare che i lavoratori migranti incappino nel circuito della tratta di esseri umani e del lavoro forzato tramite intermediari di pochi scrupoli. Questi programmi sono destinati ai legislatori, ai servizi responsabili delle ispezioni sul lavoro, ai servizi di polizia, ecc.

6.8.

Le situazioni menzionate in alcuni di tali esempi non sono tutte pienamente comparabili a quella in cui vengono a trovarsi i lavoratori rumeni e bulgari che cercano lavoro negli Stati membri dell'UE a 15. In effetti, mentre i lavoratori ungheresi occupati nel Burgenland tornano a casa ogni sera, quelli rumeni e bulgari restano lontani per mesi dalle loro famiglie. Anche in queste situazioni si verificano abusi, sia pure su scala più ridotta, e comunque agevolmente individuabili e sanzionabili, se le autorità si attivano. Detto ciò, nel complesso si ha l'impressione che nel Burgenland le condizioni sociali per i lavoratori siano accettabili.

Bruxelles, 13 dicembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Nomenclatura generale delle attività economiche nelle Comunità europee (NACE) — Sezione A.

(2)  www.agri-info.eu

(3)  L'Organizzazione internazionale del lavoro, con sede a Ginevra, appartenente alle Nazioni Unite.

(4)  La Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, con sede a Dublino.

(5)  Istituto europeo per la ricerca sulle condizioni di lavoro nell'edilizia (European Institute for Construction Labour Research).

(6)  Convegno della fondazione FAFO sulla libera circolazione dei lavoratori, svoltosi a Oslo il 1o giugno 2006,

http://www.fafo.no/indexenglish.htm

(7)  COM(2006) 48 def.

(8)  Productschap Tuinbouw (organizzazione del comparto orticolo olandese) http://www.tuinbouw.nl/website/ptcontent.nsf/home?readform

(9)  http://ec.europa.eu/employment_social/free movement/enlargement_en.htm

(10)  http://ec.europa.eu/eures/home.jsp?lang=it

(11)  http://www.ilo.org/ilolex/english/convdisp1.htm

(12)  Raccomandazione R198 sui rapporti di lavoro dell'OIL (2006) (trad. provv.).

(13)  Amsterdam Institute of Advanced Labour Studies.

(14)  COM(2007) 249 def.

(15)  Plovdiv (Bulgaria), 18.9.2007.

(16)  www.igr.at

(17)  www.gla.gov.uk

(18)  www.limosa.be e www.ksz.fgov.be/en/CBSS.htm

(19)  www.normeringarbeid.nl

(20)  www.lavoro.gov.it e www.lavoro.gov.it/NR/rdonlyres/7E345511-29CC-4D81-B502-225F85070D3C/0/new_n12ottobre07.pdf


16.5.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/25


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La situazione occupazionale nel settore agricolo

(2008/C 120/06)

L'Ufficio di presidenza del Comitato, in data 13 marzo 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, lettera A, delle Modalità di applicazione del Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema:

La situazione occupazionale nel settore agricolo

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 ottobre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore WILMS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 dicembre 2007, nel corso della 440a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 96 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Sintesi

1.1.

Con la comunicazione intitolata Occupazione nelle zone rurali: colmare il divario occupazionale  (1), la Commissione ha gettato le basi per un dibattito sull'occupazione nel settore agricolo, che costituisce un elemento essenziale per la creazione e la salvaguardia di posti di lavoro nelle zone rurali.

1.2.

La trasformazione strutturale del settore agricolo prosegue. Essa interesserà direttamente centinaia di migliaia di lavoratori, che perderanno il posto di lavoro oppure dovranno far fronte a mutamenti profondi nelle loro condizioni di vita. Nel documento all'esame, tuttavia, la Commissione non approfondisce un aspetto importante dell'occupazione nel settore agricolo, vale a dire la situazione dei lavoratori dipendenti, in particolare stagionali e migranti.

1.3.

Ciò è particolarmente da deplorare alla luce degli sforzi compiuti dalla Commissione nel quadro dell'Anno europeo della mobilità dei lavoratori (2006). I circa 4 milioni di lavoratori stagionali o part-time, di cui 2 milioni circa migranti, impegnati ogni anno nell'agricoltura testimoniano l'elevato grado di mobilità e flessibilità che contraddistinguono il settore.

1.4.

L'impiego stagionale, in particolare nel settore ortofrutticolo, costituisce un elemento strutturale dell'agricoltura, indispensabile per uno sfruttamento efficiente e sostenibile dei terreni. Dal momento che il fabbisogno di lavoratori stagionali spesso non può essere soddisfatto dalla manodopera presente a livello locale, i lavoratori migranti danno il loro contributo allo sviluppo dell'agricoltura in Europa.

1.5.

La produzione di alimenti sani rappresenta un contributo prezioso alle nostre condizioni di vita, che, a loro volta, non possono prescindere da una giusta retribuzione.

1.6.

Nonostante l'elevato tasso di disoccupazione che si registra in molte regioni europee, la domanda di lavoratori stagionali supplementari, che possono provenire dalla Bielorussia, dall'Ucraina o da altri paesi, si sta facendo sempre più evidente. Orbene, il mercato del lavoro nell'UE va sviluppato in maniera sostenibile anche sul piano sociale, vale a dire offrendo a tutti la possibilità di guadagnarsi da vivere grazie al lavoro. Questa possibilità è di fatto limitata dalla manodopera supplementare a basso costo proveniente dai paesi terzi.

1.7.

Gli obiettivi di crescita che l'Unione europea si è posta sono realizzabili solo grazie ad una concorrenza leale. I lavoratori del settore agricolo, indipendentemente dall'origine, hanno diritto alla parità di trattamento sotto tutti i punti di vista.

1.8.

Il mercato del lavoro agricolo presenta un'elevata mobilità, la qual cosa è conforme agli obiettivi della Commissione. Tuttavia, i lavoratori mobili non devono trovarsi in situazione di svantaggio. Per questo motivo è necessario che all'integrazione politica ed economica segua anche l'integrazione sociale. Secondo il CESE, nel breve termine occorre adottare i seguenti provvedimenti:

stabilire delle norme minime in materia di condizioni di lavoro e di alloggio per tutti i lavoratori migranti in Europa,

garantire che i lavoratori migranti, attraverso il loro lavoro, godano di una protezione sociale completa, compresa l'acquisizione di diritti alla pensione di anzianità,

anche i lavoratori stagionali vanno inseriti nelle strategie di qualificazione professionale,

i lavoratori migranti devono disporre di informazioni sulle condizioni di lavoro e sui loro diritti.

1.9.

Il settore dell'agricoltura europea non è abbastanza trasparente per quel che riguarda il volume dell'occupazione e le norme sociali e questo provoca delle distorsioni della concorrenza. Uno degli strumenti che permetterebbe di ristabilire una concorrenza leale sarebbe la certificazione delle imprese in base a criteri sociali.

2.   Introduzione

La situazione del lavoro nel settore agricolo europeo continuerà a modificarsi. L'occupazione a tempo parziale e quella stagionale costituiscono una parte significativa del lavoro dipendente. I lavoratori migranti che si spostano dal luogo di origine a quello dove si trova il posto di lavoro sono soggetti a condizioni specifiche. In linea di principio, questa situazione non dovrebbe subire alcun mutamento in un prossimo futuro.

2.1.   Evoluzione del lavoro stagionale nel settore agricolo

2.1.1.

La situazione dell'occupazione nell'agricoltura ha già formato oggetto di diversi pareri del CESE. Il dibattito sulla situazione dei lavoratori stagionali e migranti sta acquistando importanza sia sul piano europeo che in numerosi Stati membri. I tre attori principali del settore, vale a dire i rappresentanti dei datori di lavoro, le organizzazioni sindacali e i responsabili politici e amministrativi, si sono attivati in numerosi ambiti, avviando diverse azioni. Ricordiamo a titolo di esempio che:

molti sindacati agricoli forniscono informazioni in più lingue sulla situazione giuridica nei paesi di destinazione,

in alcuni paesi le parti sociali concludono contratti collettivi che rispondono alle esigenze dei lavoratori migranti e stagionali,

ai lavoratori migranti viene spesso offerta consulenza legale, in particolare al momento della stipulazione del contratto di lavoro,

alcuni governi organizzano tavole rotonde con le parti sociali per migliorare la situazione dei lavoratori stagionali e migranti,

a seguito degli interventi delle parti sociali, anche la Commissione europea ha incominciato ad occuparsi della questione e offre un crescente sostegno alle iniziative promosse dalle parti sociali nel settore del lavoro migrante, sia sul piano europeo che per mezzo dei propri fondi, ad esempio per migliorare le condizioni di alloggio e di lavoro di questa categoria di lavoratori.

2.1.2.

La ripetuta richiesta di creare un osservatorio del lavoro migrante e stagionale è rimasta inascoltata, sebbene la raccolta, la presentazione e l'analisi di dati chiari sull'occupazione nel settore agricolo costituiscano una base essenziale per gli interventi volti a migliorare la situazione dei lavoratori.

2.2.   Definizioni

2.2.1.

Il tono esitante che caratterizza il dibattito sul tema del lavoro stagionale agricolo è dovuto anche all'assenza di trasparenza e al fatto che viene presentato un quadro incompleto della situazione reale. Continuano a non essere disponibili cifre chiare e dettagliate sul volume del lavoro agricolo stagionale.

2.2.2.

Nell'Unione europea il settore dell'agricoltura occupa circa 2 milioni di lavoratori dipendenti a tempo pieno e circa 4 milioni di lavoratori precari, di cui alcuni lavorano a tempo parziale mentre altri svolgono un'attività stagionale per periodi che vanno da pochi giorni fino a otto mesi all'anno. Gran parte delle persone assunte su base stagionale sono lavoratori migranti, vale a dire lavorano in un luogo diverso da quello di residenza abituale e spesso devono valicare una frontiera per raggiungerlo.

2.2.3.

Nell'analizzare le cifre relative all'occupazione, è assolutamente necessario chiarire i criteri di delimitazione utilizzati, ad esempio per la dimensione delle aziende, per la loro classificazione in settori e sottosettori, e in particolare per la definizione di orticoltura e di agricoltura di servizio.

3.   Urgenza del parere

3.1.

L'elaborazione di un parere sul tema risulta urgente per diversi motivi:

a)

nel suo documento sull'occupazione nelle zone rurali, la Commissione ne esamina da vicino anche l'evoluzione quantitativa. Essa evidenzia il fatto che il settore del lavoro agricolo, pur rappresentando una quota assai limitata, riveste una notevole importanza nelle regioni rurali. Secondo le previsioni della Commissione, di qui al 2014 l'occupazione nel settore agricolo (in equivalente tempo pieno) registrerà una diminuzione di 4-6 milioni degli attuali dieci milioni di unità (2 milioni nell'UE-15, 1-2 milioni nell'UE 15-25 e 1-2 milioni in Romania e Bulgaria);

b)

nell'UE-15 il numero dei lavoratori dipendenti a tempo pieno si stabilizzerà, o addirittura aumenterà lievemente, come è avvenuto, ad esempio, nella Repubblica federale tedesca (vecchi Länder). Nei paesi di recente adesione occorre invece aspettarsi un calo del numero dei lavoratori a tempo pieno. È evidente che, se questa tendenza persisterà, nelle regioni di produzione ortofrutticola il fabbisogno di lavoratori stagionali delle imprese aumenterà;

c)

si prevede che intanto molti paesi registreranno una carenza di manodopera specializzata in grado, ad esempio, di svolgere funzioni direttive nelle imprese oppure di fare uso delle complesse tecnologie adottate da queste ultime;

d)

nel frattempo le imprese esprimono già insoddisfazione per le difficoltà che incontrano nell'assumere lavoratori stagionali; iniziano a farsi sentire le prime voci che reclamano non solo una maggiore libertà di circolazione dei lavoratori all'interno dell'UE (ovvero l'autorizzazione della libera circolazione), ma anche la concessione di un maggior numero di permessi a lavoratori di paesi terzi per svolgere lavori stagionali; la Polonia ha già realizzato una prima apertura concedendo permessi a lavoratori provenienti dalla Bielorussia e dall'Ucraina;

e)

d'altro canto in molte regioni, e in quelle rurali in particolare, persiste un elevato tasso di disoccupazione. La Commissione ha adottato una strategia intesa ad incrementare la mobilità del lavoro. È ovvio, tuttavia, che i posti di lavoro offerti devono essere attraenti;

f)

è innegabile il fatto che il lavoro migrante provoca un certo numero di conflitti e problemi;

g)

è innegabile anche che nel settore agricolo, in coincidenza con i periodi vegetativi, esistono picchi di lavoro stagionali, caratterizzati da una disponibilità di lavoro. Le conclusioni della strategia di Lisbona puntano sì a creare posti di lavoro, ma soprattutto posti di lavoro di qualità;

h)

con la strategia di Göteborg, gli Stati membri hanno raggiunto un accordo sugli obiettivi in materia di sviluppo sostenibile. In questo contesto occorre attribuire alla dimensione sociale la medesima importanza data agli obiettivi economici e ambientali. Ne consegue la necessità di applicare standard sociali identici anche ai lavoratori migranti. Le imprese dovranno pertanto adempiere alla loro responsabilità sociale in quest'ambito. I lavoratori migranti hanno il diritto di esigere parità di trattamento e condizioni di alloggio e di vita dignitose, e devono inoltre essere pienamente integrati nel sistema di sicurezza sociale;

i)

con l'iniziativa adottata dalla Commissione europea contro la discriminazione sorge anche la necessità di avviare un dibattito sulla lotta alla discriminazione dei lavoratori stranieri in materia di condizioni di lavoro e di vita;

j)

l'instaurazione della piena libertà di circolazione nell'UE incide sul margine di manovra degli Stati membri, determinando un aumento della concorrenza non solo tra i lavoratori ma anche tra i datori di lavoro;

k)

alla luce delle previsioni della Commissione secondo cui ben 4-6 milioni di lavoratori abbandoneranno il settore, il dibattito sulla Politica agricola comune non può ignorare gli aspetti qualitativi del lavoro. La situazione dei lavoratori permanenti è destinata a cambiare e, mentre si prevede una carenza di lavoratori qualificati, nel lungo periodo si assisterà alla stabilizzazione numerica della forza lavoro.

4.   Problemi attuali

4.1.

Il fenomeno del lavoro migrante è determinato essenzialmente dalla diversità di tenore di vita tra le regioni europee. Nel lungo periodo l'emigrazione di lavoratori determina una penuria di manodopera, principalmente di quella qualificata, nei paesi di origine. Questi ultimi, tuttavia, cercano di combattere il fenomeno non aumentando le retribuzioni o migliorando il livello d'istruzione, bensì assumendo lavoratori provenienti da regioni ancora più svantaggiate, che in futuro saranno sempre più spesso esterne all'Unione europea.

4.2.

Uno dei motivi della penuria di manodopera in questi settori è costituito dalle condizioni di lavoro, talvolta difficili e insolite, che li contraddistinguono. I lavoratori migranti seguono le leggi del libero mercato e quindi si spostano nel mercato del lavoro laddove le condizioni sono più vantaggiose.

4.3.

Il lavoro migrante comporta una serie di problemi ricorrenti:

la situazione delle lavoratrici migranti nel settore agricolo non è tenuta in sufficiente considerazione. In molti paesi la manodopera ingaggiata è prevalentemente femminile e ciò determina una serie di problemi culturali e sociali sia nei paesi di destinazione che in quelli di origine,

a causa dell'applicazione di misure transitorie relative alla libera circolazione dei lavoratori dopo gli allargamenti del 2004 e del 2007, emergono infrazioni delle norme del diritto del lavoro che si manifestano nelle situazioni di distacco nel quadro della prestazione di servizi. Così, in questi casi talvolta le retribuzioni sono inferiori al minimo previsto dalla legge, nonché a quanto stabilito dai contratti collettivi o dalle consuetudini locali,

nonostante le numerose attività e iniziative promosse dalle organizzazioni sindacali, non si riesce a informare adeguatamente i lavoratori migranti sui loro diritti. Un gran numero di leggi e di norme dei paesi di destinazione non viene rispettato. Questo sfruttamento dell'origine straniera dei lavoratori è in ovvio contrasto con gli sforzi compiuti dall'Unione europea per combattere la discriminazione,

i lavoratori stagionali continuano ad essere finanziariamente svantaggiati sul piano della sicurezza sociale a causa delle lacune nei periodi di contribuzione,

in linea generale, ai lavoratori stagionali non si applicano gli oneri garantiti dai contratti collettivi per i lavoratori agricoli,

in quasi tutti i paesi, gli alloggi destinati ai lavoratori migranti lasciano a desiderare,

una nuova tendenza è costituita dall'assunzione di lavoratori nel settore agricolo attraverso agenzie di lavoro temporaneo. Anche se alcune di tali agenzie non lavorano in modo esemplare, spesso il lavoro temporaneo può essere vantaggioso tanto per il datore di lavoro quanto per il lavoratore,

nei settori con un tasso elevato di rapporti di lavoro di breve durata il lavoro illegale si diffonde facilmente. Inoltre, un regolare contratto stagionale viene spesso sfruttato per poter continuare a lavorare in altri settori, al suo scadere, senza disporre di documenti in regola.

5.   Conclusioni e quadro d'azione

5.1.   Contesto politico generale

5.1.1.

Il CESE accoglie con soddisfazione gli sforzi compiuti dalla Commissione per aumentare l'occupazione nelle zone rurali. Questo comporta però anche la necessità di ulteriori sforzi per accrescere la trasparenza dell'occupazione in agricoltura. A tal fine occorre, da un lato, elaborare statistiche sulla situazione occupazionale e, dall'altro, informare adeguatamente i lavoratori assunti riguardo alle condizioni di lavoro e di vita nel paese interessato.

5.1.2.

La politica agricola condotta finora si riferiva essenzialmente agli aspetti quantitativi e qualitativi dei prodotti, prestando scarsa attenzione all'organizzazione presente e futura del lavoro dei dipendenti.

5.1.3.

È importante concretizzare ulteriormente gli obiettivi della strategia di Lisbona e della strategia di Göteborg. Oltre che degli aspetti economici e ambientali, nel futuro sviluppo di un'agricoltura sostenibile si dovrà tenere conto anche della dimensione sociale.

5.1.4.

Tutti gli attori coinvolti dovranno perseguire l'obiettivo prioritario di rimuovere gli squilibri del mercato del lavoro europeo. Ciò non può essere realizzato continuando a far venire in Europa manodopera a basso costo da regioni sempre più distanti. Il modello europeo implica in particolare che si costruisca in Europa una vita sociale comune. In questo modello non c'è posto per ghetti riservati ai lavoratori migranti, caratterizzati da condizioni di vita e di alloggio precarie e privi di legami sociali o culturali con la vita locale.

5.1.5.

Nei futuri studi e nelle potenziali soluzioni che ne risulteranno bisognerà inoltre tenere maggiormente conto della prospettiva di genere.

5.1.6.

Le condizioni necessarie non sono ancora presenti. Tutti gli attori sono invitati a dare il loro contributo alla realizzazione di questo obiettivo.

5.1.7.

I lavoratori migranti vanno equiparati a quelli locali. La Commissione deve contribuire a questo processo nel quadro delle sue competenze. Un primo passo in questa direzione sarebbe la definizione di una serie di norme minime, che costituirebbero un'ottima base per un ampio dibattito sulla qualità del lavoro.

5.2.   Compiti e iniziative delle parti sociali

5.2.1.

Il CESE accoglie con favore gli sforzi compiuti dalle parti sociali per promuovere, nel quadro del dialogo sociale, lo sviluppo della formazione professionale nel settore agricolo e segnatamente la convalida da parte di organismi abilitati dagli Stati membri delle qualifiche professionali acquisite. Il «passaporto agricolo» europeo di prossima realizzazione ha l'obiettivo di agevolare la mobilità della manodopera agricola nello spazio europeo. Il passaporto agricolo dovrebbe diventare non uno strumento di discriminazione nei confronti dei lavoratori che ne sono sprovvisti, ma un mero incentivo ad ottenere questa qualifica professionale.

5.2.2.

Delle qualifiche professionali trasparenti possono a loro volta accrescere la mobilità e la possibilità, per i lavoratori, di trovare un'occupazione in altri paesi e di stabilirvisi. Il CESE approva le iniziative della Commissione intese a istituire un «passaporto agricolo» con il sostegno delle parti sociali.

5.2.3.

Le parti sociali, in collaborazione con la Commissione europea e con il proprio governo nazionale, dovranno elaborare e applicare una serie di strategie per combattere l'occupazione illegale.

5.3.   Iniziative congiunte in materia di sicurezza sociale

5.3.1.

La sicurezza sociale dei lavoratori stagionali riveste un interesse del tutto particolare. I lavoratori occupati per diversi anni con contratti stagionali non devono ricevere, sul piano della sicurezza sociale, un trattamento meno favorevole rispetto agli altri lavoratori. È pertanto necessario adottare i seguenti provvedimenti:

integrarli nel sistema pensionistico del paese di destinazione e consentire loro di far valere appieno i loro diritti a pensione,

rispettare le disposizioni in materia di protezione del lavoro e della salute e informare i lavoratori migranti nella loro madrelingua riguardo agli eventuali rischi e pericoli,

garantire che i lavoratori migranti dispongano di un'assicurazione malattia che copra tutti i rischi.

5.3.2.

I lavoratori dipendenti vanno informati, nella rispettiva madrelingua, su legislazione, contratti collettivi e consuetudini riguardanti le retribuzioni, l'organizzazione, la sicurezza sociale, il sistema fiscale, la legislazione relativa alle condizioni sul posto di lavoro del paese ospitante, ecc. Per parte sua l'UE dovrà rispettare il ruolo delle parti sociali, evitando di legiferare in ambiti riservati ai contratti collettivi.

5.4.   Miglioramento delle condizioni di vita e di alloggio dei lavoratori migranti

5.4.1.

Nel paese di destinazione, i lavoratori migranti hanno diritto ad un alloggio dignitoso. È pertanto necessario elaborare, sul piano europeo, un quadro di requisiti fondamentali in materia di alloggi per questa categoria.

5.5.   Marchio di qualità per un lavoro stagionale equo

5.5.1.

Da anni, in numerosi pareri, il Comitato si esprime a favore di una conduzione sostenibile. Quest'ultima non ha solo una dimensione ecologica, ma concerne anche aspetti aziendalistici e sociali. Un sistema di certificazione privata e volontaria per un «lavoro stagionale equo» potrebbe rendere la concorrenza più giusta. Tra i criteri per attribuire tale certificazione volontaria possono esservi:

la corresponsione di una retribuzione adeguata,

le forme di tutela del lavoro,

la partecipazione dei lavoratori ai processi interni dell'azienda,

le regole in materia di contratti di lavoro,

l'alloggio,

l'orario di lavoro.

La certificazione deve:

promuovere la concorrenza leale,

fornire ai lavoratori stagionali interessati delle informazioni sulle imprese,

fare pubblicità alle buone pratiche imprenditoriali.

5.6.   Diffusione delle buone pratiche

5.6.1.

Nel settore agricolo europeo è stato lanciato un gran numero di iniziative e di progetti interessanti intesi a migliorare la mobilità nel settore e la situazione dei lavoratori stagionali. Il CESE invita la Commissione ad adottare provvedimenti adeguati per valutare e diffondere gli esempi di buone pratiche.

Bruxelles, 13 dicembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeoOccupazione nelle zone rurali: colmare il divario occupazionale (COM(2006) 857 def.).


16.5.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/29


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il ruolo dei consigli nazionali per lo sviluppo sostenibile

(2008/C 120/07)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 25-26 aprile 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema:

Il ruolo dei consigli nazionali per lo sviluppo sostenibile

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 27 novembre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore HAKEN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 dicembre 2007, nel corso della 440a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 115 voti favorevoli e 3 astensioni.

1.   Conclusioni

1.1.

I consigli nazionali per lo sviluppo sostenibile (CNSS) possono rappresentare una forza vigorosa ed influente nel campo dello sviluppo sostenibile essendo in grado di fornire pareri indipendenti e di promuovere il dialogo su questo tema con la società civile e le parti direttamente interessate.

1.2.

I CNSS nell'intera Unione europea presentano un quadro molto variegato. Mentre in alcuni Stati membri questi consigli non esistono oppure, anche se sono stati istituiti, non svolgono alcuna attività, i consigli nazionali che sono operativi si differenziano in misura considerevole per mandato, composizione, indipendenza, risorse e anche per l'impatto del loro lavoro.

1.3.

Sulla base delle esperienze positive degli Stati membri con un «forte» CNSS, il CESE invita tutti gli Stati membri a rafforzare i loro consigli nazionali per lo sviluppo sostenibile oppure a creare consigli funzionanti ed efficaci laddove essi non esistono ancora.

1.4.

Il CESE raccomanda che i consigli:

includano rappresentanti di tutti i principali settori della società interessati,

abbiano un grado di indipendenza dai governi sufficiente,

svolgano una funzione importante nel delineare delle strategie di sviluppo sostenibile e nel monitoraggio della loro attuazione,

dispongano di finanziamenti sufficienti in modo da poter apportare un reale valore aggiunto ai dibattiti e al processo decisionale,

raccolgano le esperienze, scambino le buone pratiche e mantengano aperto il dialogo tra di loro, in particolar modo attraverso il potenziamento della rete EEAC (European Environment and Sustainable Development Advisory Councils — Consigli europei per l'ambiente e lo sviluppo sostenibile).

2.   Contesto

2.1.

Per sviluppo sostenibile si intende la necessità di soddisfare i bisogni dell'attuale generazione senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i loro. Lo sviluppo sostenibile è uno degli obiettivi generali dell'UE che determina tutte le sue politiche ed azioni e si basa sui principi della democrazia, della parità di genere, della solidarietà, dello Stato di diritto, e del rispetto dei diritti fondamentali, comprese libertà e pari opportunità per tutti.

2.2.

In seguito alla Conferenza delle Nazioni Unite di Rio de Janeiro del 1992, lo sviluppo sostenibile è divenuto un tema politico di rilevanza mondiale. Anche l'idea di creare degli organi consultivi quali i CNNS è nata sulla scia della Conferenza di Rio. L'Agenda 21, anch'essa un risultato della Conferenza di Rio, precisa che una strategia nazionale per lo sviluppo sostenibile dovrebbe essere sviluppata mediante la più ampia partecipazione possibile. Anche le raccomandazioni di Johannesburg del 2002 chiedono l'istituzione di consigli per lo sviluppo sostenibile.

2.3.

L'Unione europea ha adottato la sua prima strategia per lo sviluppo sostenibile nel 2001 a Göteborg. Per allargare il campo di questa strategia e migliorarne l'efficienza, nel 2004 la Commissione ha avviato il processo di revisione e nel giugno 2006 il Consiglio ha adottato la nuova strategia in materia di sviluppo sostenibile per un'Europa allargata (1). Questa nuova strategia mira a dare attuazione concreta all'impegno a lungo termine assunto dall'Europa di raggiungere l'obiettivo dello sviluppo sostenibile.

2.4.

A partire dagli anni Novanta, in seguito alle raccomandazioni delle Nazioni Unite prima e dell'UE poi, alcuni paesi hanno istituito degli organi denominati CNSS, il cui ruolo è di vigilare sull'effettiva attuazione dell'Agenda 21 e sull'applicazione dei principi dello sviluppo sostenibile. Alcuni governi hanno creato organi di coordinamento interministeriali (la Commissione ungherese per lo sviluppo sostenibile, 1993), alcuni hanno scelto organi congiunti, come la Commissione nazionale finlandese per lo sviluppo sostenibile (1993), ed altri hanno creato consigli formati con il concorso della società civile, come il Consiglio nazionale belga (1993) e la tavola rotonda sullo sviluppo sostenibile del Regno Unito (1994). Altri Stati membri hanno seguito l'esempio di questi paesi, alcuni degli organi più vecchi sono stati ristrutturati e altri sono stati soppressi.

2.5.

La nuova strategia per lo sviluppo sostenibile dell'UE afferma che: «Gli Stati membri dovrebbero esaminare l'opportunità di rafforzare o, qualora non esistano ancora, istituire consigli consultivi nazionali sullo sviluppo sostenibile che raggruppino più parti interessate, allo scopo di stimolare un dibattito informato, assistere alla preparazione delle strategie nazionali per lo sviluppo sostenibile e/o contribuire all'esame dei progressi compiuti a livello nazionale e dell'UE. I consigli nazionali per lo sviluppo sostenibile mirano ad aumentare il coinvolgimento della società civile nelle questioni relative allo sviluppo sostenibile e a contribuire a un migliore collegamento delle diverse politiche e livelli politici, utilizzando altresì la rete dei consigli consultivi europei per l'ambiente e lo sviluppo sostenibile (EEAC)».

2.6.

Al momento attuale CNSS sono ufficialmente istituiti in una serie di Stati membri. In considerazione delle loro diverse storie, i CNSS nazionali nell'UE si presentano in differenti forme. In 24 Stati membri vi è una qualche forma di consiglio per la politica dello sviluppo sostenibile o ambientale, 8 Stati membri hanno consigli specifici per lo sviluppo sostenibile e in 6 Stati membri vi sono consigli ambientali formati dalle parti direttamente interessate o da esperti che operano anche nel campo dello sviluppo sostenibile. Altri paesi hanno organi di coordinamento governativi chiamati consigli, in alcuni dei quali è coinvolta la società civile. Alcuni di questi organi non sono operativi. In diversi paesi in cui le regioni hanno poteri importanti oltre ai consigli nazionali sono stati istituiti anche dei consigli regionali (2). Il rapido sviluppo dei CNSS mostra che essi hanno un certo potenziale e potrebbero apportare un valore aggiunto ai processi di definizione della politica e al dibattito in ampi gruppi della società.

2.7.

Scopo del presente parere è di esaminare il ruolo dei CNSS, il loro mandato, la loro composizione, le loro risorse, i loro metodi di lavoro e soprattutto la loro capacità di coinvolgere la società civile. In una certa misura il parere intende anche esaminare l'efficienza dei CNSS, nella consapevolezza che una valutazione del genere è sempre influenzata anche da considerazioni soggettive. Questa valutazione è basata in particolare su una ricerca condotta dalla rete EEAC, sulle risposte a un questionario che il CESE ha inviato a diversi punti di contatto e CNSS nazionali e ad alcune organizzazioni della società civile. Sono state inoltre condotte delle interviste con rappresentanti dei CNSS e della società civile.

3.   Una rassegna dei consigli nazionali per lo sviluppo sostenibile

3.1.

Dalla seguente rassegna dei CNSS emerge una realtà estremamente diversificata:

Il mandato dei consigli

3.2.

Si possono individuare quattro compiti principali dei CNSS:

offrire consulenza a enti governativi (coadiuvandoli nella messa a punto di strategie di sviluppo sostenibile o pubblicando relazioni su politiche specifiche),

monitorare i progressi raggiunti nell'attuazione delle strategie di sviluppo sostenibile o nel conseguimento di determinati obiettivi e attirare l'attenzione sulle aree in cui i progressi non sono stati sufficienti,

incentivare il dialogo con la società civile e la sua consultazione (coinvolgendo i rappresentanti della società civile nel lavoro dei consigli, promuovendo il dialogo tra loro e con il governo),

realizzare la comunicazione sullo sviluppo sostenibile (organizzando eventi pubblici e pubblicando informazioni online sul tema, nei media, ecc.).

3.2.1.

Non tutti i consigli nazionali assolvono questi quattro compiti. In alcuni Stati membri il loro campo d'azione è ben più ristretto; in altri invece, nonostante dispongano di queste competenze, non se ne fanno carico o lo fanno solo in parte. È quanto testimonia anche il fatto che alcuni consigli sono convocati molto di rado (2 o 3 volte l'anno). Altri invece si riuniscono molto più spesso e sono articolati in gruppi di lavoro supplementari (sembra che siano i gruppi di lavoro costituiti come project team che lavorano su un determinato progetto, ad essere particolarmente efficienti piuttosto che i gruppi permanenti concentrati su un solo tema). In alcuni paesi i consigli hanno la possibilità di contribuire fin dall'inizio a definire la strategia nazionale di sviluppo sostenibile; in altri il loro contributo è richiesto solo nella fase finale dei lavori o non è previsto affatto. Il numero delle relazioni prodotte all'anno varia da zero a oltre dieci. I consigli ormai consolidati collaborano regolarmente con le parti direttamente interessate e organizzano periodicamente manifestazioni pubbliche o riunioni di esperti.

Dimensioni e composizione dei consigli

3.3.

I CNSS sono diversi tra loro per dimensioni e composizione; il numero dei membri varia dai 15 della Germania ai 78, 81 e 90 di Belgio, Finlandia e Francia rispettivamente. La maggior parte di loro comprende rappresentanti della società civile (imprese, sindacati, ONG e istituti di ricerca). Altri includono anche rappresentanti di diversi dipartimenti governativi. In certi casi l'organo di coordinamento governativo viene chiamato «consiglio» e può comprendere un numero ristretto di parti direttamente interessate. Spesso sono anche rappresentati i governi regionali e locali. Rappresentanti della società civile hanno espresso la loro insoddisfazione per l'insufficiente coinvolgimento della società civile nel rispettivo consiglio nazionale e più in generale nei processi dello sviluppo sostenibile in generale.

Grado d'indipendenza

3.4.

I consigli sono istituiti e finanziati dai governi e quindi in questo senso si può parlare di «dipendenza». Per acquisire autorevolezza sia nei confronti degli organi di governo che delle organizzazioni della società civile, i consigli devono dimostrare il giusto grado di indipendenza e trovare il punto di equilibrio non è cosa facile. Anche le procedure di selezione non sono uniformi, ma in generale è il governo che nomina i membri del consiglio, di solito sulla base delle designazioni fatte dalle organizzazioni della società civile rappresentate nel consiglio. Un altro problema riguarda il personale del consiglio; in diversi paesi il personale proviene dalle amministrazioni statali. Ciò può limitare il grado d'indipendenza del consiglio. Inoltre, in alcuni paesi il consiglio è presieduto da un membro del governo.

Risorse

3.5.

Le dotazioni dei consigli in termini di risorse sia umane che di bilancio presentano grandi differenze. Nei paesi in cui il segretariato ha sede presso un ministero vi è solo un funzionario che spesso, inoltre, non lavora a tempo pieno per il consiglio. Il numero delle persone in organico varia da meno di 1 a circa 20. Il consiglio con l'organico più folto è quello del Regno Unito, che conta 58 dipendenti. Non tutti i consigli dispongono di un proprio bilancio. La dotazione di bilancio può variare da meno di 0,1 milioni a circa 1 milione di euro, con l'eccezione del consiglio del Regno Unito che dispone di un bilancio di 5,5 milioni di euro.

Impatto

3.6.

Non è ovviamente semplice valutare l'impatto dei lavori dei consigli, ma sulla base delle informazioni ricevute è possibile giungere ad alcune conclusioni. Ad esempio sembrerebbe che in alcuni paesi, nei quali i consigli dispongono di un forte mandato, una grande parte delle raccomandazioni da loro espresse soprattutto in merito alla strategia nazionale di sviluppo sostenibile siano state integrate nelle politiche pubbliche. Alcuni consigli dispongono di buoni contatti con i ministri e i dipartimenti ministeriali e vengono regolarmente consultati in fase di elaborazione delle politiche. Altri invece sono tenuti a una certa distanza. Si può anche affermare che alcuni consigli sono riusciti a stabilire contatti con un grande numero di parti direttamente interessate e a raggiungere il vasto pubblico attirando un gran numero di persone agli eventi da essi organizzati, assicurando così una forte partecipazione della società civile ai processi dello sviluppo sostenibile.

Valutazione

3.7.

I CNSS possono rappresentare una forza vigorosa ed influente nel campo dello sviluppo sostenibile. Essi possono fornire pareri indipendenti e un ampio spettro di conoscenze; sono in grado di promuovere il dialogo con la società civile e le parti direttamente interessate; possono infine svolgere una parte importante nel monitoraggio dei progressi in materia di obiettivi di sostenibilità a lungo termine e una preziosa funzione di stimolo quando tali progressi non sono sufficienti.

3.8.

Mentre in alcuni Stati membri i consigli non esistono oppure, anche se sono stati istituiti, non svolgono alcuna attività, i consigli nazionali che sono operativi si differenziano in misura considerevole per mandato, composizione, indipendenza, risorse e anche per l'impatto del loro lavoro. Ciò dipende da diversi fattori quali le dimensioni e l'organizzazione politica dei paesi, il ruolo che i governi attribuiscono alle politiche di sviluppo sostenibile, la tradizione di partecipazione della società civile, l'esistenza di altri organismi che svolgono in parte gli stessi compiti e la volontà del governo di accettare i pareri di un altro organo, ecc.

3.9.

Non tutti gli Stati membri sembrano sfruttare appieno il potenziale dei CNSS e in alcuni paesi l'istituzione dei consigli sembra più una sorta di operazione di facciata che una vera ricerca di un reale contributo da parte della società civile. Tuttavia, vi è una serie di paesi con consigli ormai consolidati che assolvono pienamente al loro ruolo e hanno un impatto effettivo.

3.10.

La maggior parte dei consigli non sembrano disporre di risorse sufficienti per adempiere a tutti i compiti loro assegnati. Occorrono risorse umane e finanziarie consistenti per raccogliere i dati, analizzare le politiche e i loro impatti, organizzare le riunioni dei consigli e i processi di partecipazione del pubblico, elaborare relazioni ben motivate e autorevoli e diffonderle presso il governo e altri enti.

3.11.

In alcuni Stati membri l'influenza del governo sembra essere forte, ad esempio per quanto riguarda la nomina dei membri dei consigli, nel numero dei rappresentanti del governo nel consiglio e del personale. In questi casi vi è un certo rischio che il punto di vista del governo sia dominante nei lavori del consiglio, rendendo così meno probabile che il consiglio possa svolgere una funzione significativa aiutando il governo a trascendere le considerazioni politiche di più breve periodo e a dirigersi verso obiettivi di sostenibilità di più lungo periodo.

3.12.

I CNSS hanno maturato esperienze di segno diverso per quanto riguarda la promozione del coinvolgimento della società civile nelle questioni relative allo sviluppo sostenibile. Essi potrebbero a livello europeo trarre insegnamenti reciproci per mettere a punto buone pratiche in questa materia.

3.13.

Per molte questioni dello sviluppo sostenibile la competenza è condivisa dall'Unione europea e dagli Stati membri. La maggior parte dei consigli però ha una capacità ridotta di focalizzarsi sugli aspetti europei o esercitare una certa influenza a Bruxelles. Essi hanno cercato di affrontare il problema mediante la creazione della loro rete EEAC, che sta diventando una voce sempre più significativa in favore dello sviluppo sostenibile.

4.   Raccomandazioni

4.1.

Viste le esperienze positive degli Stati membri con CNSS «forti», il CESE invita tutti gli Stati membri a rafforzare i loro consigli o a creare consigli forti dove questi non esistono ancora.

4.2.

La composizione, il mandato e le funzioni dei CNSS differiranno da paese a paese, a seconda delle condizioni e delle strutture politiche locali. Il CESE raccomanda agli Stati membri di prestare grande attenzione alle seguenti raccomandazioni generali riguardanti gli aspetti essenziali dei consigli.

4.2.1.

Composizione: i CNSS hanno maggiore autorità e credibilità se comprendono dei rappresentanti di tutti i principali settori della società che si occupano di questioni legate allo sviluppo sostenibile. Quanto più ampia è la base di composizione, tanto maggiore è la probabilità di trovare soluzioni che raccolgano un ampio consenso.

4.2.2.

Mandato e visione: il conseguimento della sostenibilità esige dai decisori l'elaborazione di una visione di lungo termine e la presa in considerazione delle esigenze delle future generazioni e del pianeta nel suo complesso, oltre che di considerazioni politiche più immediate e di breve termine. I CNSS possono svolgere una parte importante nell'articolare questa visione di lungo periodo. Per svolgere questo ruolo efficacemente essi devono avere membri con una visione, con un'autorevolezza e una posizione riconosciuta nella società, capaci di assumere una prospettiva indipendente e di sfidare le politiche e le pratiche esistenti.

4.2.3.

Indipendenza: i CNSS potrebbero esercitare un'influenza più forte a favore dello sviluppo sostenibile se avessero un grado sufficiente di indipendenza rispetto al governo e fossero capaci di farsi carico di questioni politiche complesse, in cui si possono presentare elementi di conflitto tra gli obiettivi politici a più breve termine e le esigenze della sostenibilità a più lungo termine.

4.2.4.

Campo d'azione: i CNSS dovrebbero, già in una fase iniziale, svolgere una funzione importante nello messa a punto di strategie di sviluppo sostenibile (e strategie collegate) e nel monitoraggio della loro attuazione. Ciò include strategie per affrontare una serie di questioni relative alla sostenibilità come il cambiamento climatico, la politica energetica e dei trasporti, la biodiversità, le questioni rurali e agricole e la gestione complessiva dell'economia secondo i principi della sostenibilità. È verosimile che i CNSS possano raggiungere la massima efficacia se riescono sia a rispondere alle esigenze dei rispettivi governi di studiare casi specifici, sia a trattare di propria iniziativa dei temi ritenuti importanti.

4.2.5.

Accesso alle informazioni: per svolgere bene il loro lavoro, i CNSS devono essere in grado di raccogliere dati provenienti da tutte le fonti pertinenti e, in particolare, devono avere un buon accesso alle informazioni di cui dispone il governo e alle sue posizioni in materia.

4.2.6.

Promozione della partecipazione della società civile sulle questioni relative allo sviluppo sostenibile: un compito importante dei CNSS è quello di aumentare la consapevolezza dei cittadini. Essi possono avere un ruolo prezioso nell'aiutare le autorità competenti ad incorporare la prospettiva dello sviluppo sostenibile nell'istruzione formale e informale. Possono inoltre promuovere una maggiore comprensione dell'argomento a livello dei mezzi di comunicazione. La pubblicazione di relazioni annuali dei CNSS sullo stato della sostenibilità potrebbe richiamare ulteriormente l'attenzione su questo argomento e promuovere il dibattito pubblico.

4.2.7.

Risorse: il CESE invita gli Stati membri ad assicurare un finanziamento sufficiente dei CNSS in modo che essi siano in grado di assolvere i loro compiti e apportare un effettivo valore aggiunto ai dibattiti e al processo decisionale sui problemi della sostenibilità.

4.2.8.

Impegno a livello europeo: il Comitato incoraggia i CNSS a riunire le loro esperienze, a scambiare le buone pratiche e a mantenere un dialogo aperto tra loro, in particolare con il potenziamento della rete dei consigli consultivi europei per l'ambiente e lo sviluppo sostenibile (EEAC). In questo modo vi sarebbe una forte voce europea a favore dello sviluppo sostenibile.

4.3.

Il CESE raccomanda anche ai consigli di cercare di rafforzare la loro capacità a collaborare singolarmente e collettivamente con le istituzioni europee sugli aspetti europei della politica di sviluppo sostenibile inquadrati nell'ottica della società civile. Il CESE (e specificamente l'Osservatorio dello sviluppo sostenibile) potrebbe svolgere un ruolo utile permettendo un più forte impegno dei CNSS sulle questioni di sostenibilità a livello europeo. Il CESE potrebbe cercare di avere contatti regolari con l'EEAC e i suoi membri sulle questioni che si presentino. Potrebbe sostenere studi comparativi a livello UE su questi temi, concentrati in particolare sul contributo e sul ruolo della società civile. Potrebbe cercare inoltre di richiamare l'attenzione sugli esempi di buone pratiche e pubblicizzarli.

4.4.

Il CESE sottolinea che un ampio interessamento dell'opinione pubblica alle questioni relative allo sviluppo sostenibile è essenziale anche al di là e al di sopra delle attività dei consigli nazionali. Invita pertanto i governi e gli enti locali e regionali a coinvolgere rappresentanti della società civile in tutte le decisioni politiche che presentino una dimensione importante di sostenibilità. Non vi sono linee direttrici per definire standard minimi di buone pratiche in materia di coinvolgimento dei cittadini. Per sostenere il processo di partecipazione, il CESE raccomanda di eseguire un'analisi comparativa periodica o di premiare le buone pratiche. I CNSS dovrebbero anche fare in modo di lavorare a stretto contatto con le altre organizzazioni e istituzioni che si occupano di sviluppo sostenibile nel loro paese, tra cui anche con i consigli economici e sociali nazionali laddove essi esistono.

4.5.

Per concludere, il CESE osserva che il lavoro dei CNSS può essere fruttuoso solo se i governi avranno la volontà di ascoltare e terranno conto del loro parere e se prenderanno provvedimenti concreti per indirizzare le politiche nazionali verso un approccio più sostenibile, provvedimenti tra i quali rientra anche la messa a disposizione di finanziamenti adeguati.

Bruxelles, 12 dicembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Nuova strategia dell'UE in materia di sviluppo sostenibile, Conclusioni del Consiglio, 26 giugno 2006.

(2)  Cfr. le fonti alla fine del testo.


16.5.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/33


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde — Per una migliore demolizione delle navi

COM(2007) 269 def.

(2008/C 120/08)

La Commissione europea, in data 22 maggio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al:

Libro verde — Per una migliore demolizione delle navi

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 31 ottobre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore ADAMS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 dicembre 2007, nel corso della 440a sessione plenaria, ha adottato all'unanimità il seguente parere.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore la proposta della Commissione di agire a livello sia internazionale che regionale per cambiare quanto prima le attuali pratiche inaccettabili di smantellamento delle navi.

1.2.

L'industria internazionale della rottamazione navale, nella sua forma attuale, comprende da un lato bacini di carenaggio sicuri e ben regolamentati e dall'altro spiagge dove le navi vengono smontate a mano, con una tutela minima della salute, della sicurezza e dell'ambiente. Attualmente la maggior parte delle navi mercantili finisce il proprio ciclo di vita su una di queste spiagge dell'Asia meridionale. A livello mondiale si riscontra una grave mancanza di impianti di smantellamento compatibili con i principi della sostenibilità ambientale e sociale.

1.3.

Il CESE teme che questa situazione sarà resa più grave dall'accumularsi di navi da ritirare dal servizio nei prossimi anni in seguito alla messa al bando globale delle petroliere monoscafo, per le quali si stima che l'arretrato ammonti attualmente a 15 milioni di tonnellate di dislocamento a vuoto (LDT) (1), nonché a causa del recente boom della cantieristica. La necessità di procedere nei prossimi anni allo smantellamento di navi in eccesso è dovuta in parte alle azioni intraprese dall'Organizzazione marittima internazionale (OMI), sollecitata dall'UE ad agire a favore dell'ambiente: a questo punto l'UE ha il chiaro dovere di intervenire.

1.4.

Alcuni armatori non calcolano nei costi di funzionamento l'importo necessario per lo smantellamento sicuro e controllato delle navi al termine del loro ciclo di vita, sebbene una larga parte (2) di essi ritenga necessario agire e stia avviando misure volontarie.

1.5.

Inoltre, malgrado esistano disposizioni giuridiche dell'UE volte ad evitare che le navi compiano il loro ultimo viaggio per essere smantellate in siti privi di strutture adeguate, tali disposizioni vengono facilmente aggirate. Il CESE ha ribadito più volte, da ultimo nel parere del marzo 2007 sul Libro verde Verso una politica marittima dell'Unione  (3), che gli Stati membri dovrebbero ratificare senza indugio le convenzioni internazionali sulla sicurezza marittima e sulla protezione ambientale, e accertarsi che esse vengano adeguatamente applicate.

1.6.

Lo smantellamento delle navi a fine ciclo di vita è un'operazione complessa, che offre ai paesi in via di sviluppo, dove questa viene realizzata a basso costo, un apporto importante in termini di posti di lavoro e di materie prime. Il CESE nota tuttavia che la povertà endemica e altri problemi sociali e giuridici di talune zone dell'Asia meridionale sono fortemente collegati all'assenza o al mancato rispetto di norme sia pur minime di sicurezza sul lavoro, di standard minimi in materia di lavoro e di tutela ambientale.

Il CESE formula pertanto le seguenti raccomandazioni

1.7.

L'OMI dovrebbe definire un regime internazionale per l'identificazione, il controllo e la rottamazione delle navi a fine ciclo di vita. Detto regime deve prevedere un livello di controllo equivalente a quello garantito dalla Convenzione di Basilea, deve rispettare tutte le norme pertinenti dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL), non deve ammettere deroghe e deve impedire che le navi in disarmo contenenti rifiuti pericolosi finiscano in paesi che non hanno sottoscritto la convenzione e che dispongono di impianti inadeguati.

1.8.

Tuttavia, l'applicazione di un siffatto accordo nel quadro dell'OMI prenderà vari anni, pertanto:

bisognerebbe incoraggiare e sostenere l'attuazione, da parte degli armatori, di programmi volontari efficaci volti a ridurre al minimo i problemi di rottamazione,

l'UE dovrebbe applicare in modo chiaro le disposizioni esistenti, facendo valere il regolamento sulle spedizioni di rifiuti. È urgente intervenire per assicurare che gli Stati di approdo abbiano la facoltà di dichiarare la «fine del ciclo di vita» di una nave e per promuovere una sorta di guida che chiarisca le espressioni «intenzione di smantellare» e «Stato esportatore». Il CESE chiede inoltre alla Commissione di definire e applicare quanto prima ulteriori misure per prevenire comportamenti elusivi, richiedendo ad esempio l'applicazione di vincoli per le navi in uso da oltre 25 anni o per quelle definite ad alto rischio, oppure subordinare il mantenimento dei sussidi al settore dei trasporti all'uso di impianti «verdi» di smantellamento e/o di prepulitura,

l'UE dovrebbe infine sviluppare un regime di certificazione e di revisione da parte di terzi per gli impianti di smantellamento sicuri ed ecologicamente corretti. In tal modo si risponderebbe alla richiesta degli armatori e si creerebbero condizioni eque e trasparenti.

1.9.

Il CESE è estremamente favorevole ad incoraggiare l'adozione delle migliori pratiche di riciclaggio delle navi e l'eliminazione preliminare dei gas e dei residui tossici dalle navi nell'UE. Per promuovere quanto sopra occorre anzitutto che gli Stati membri si impegnino ad applicare questo trattamento a tutte le navi di proprietà dello Stato e che vengano introdotte delle clausole vincolanti riguardo al termine del ciclo di vita delle navi in caso di vendita a terzi. La pulizia preliminare effettuata prima dell'esportazione consentirà ai paesi di destinazione dell'Asia meridionale di ottenere rottami di acciaio puliti, per i quali vi è una forte domanda. Per questa operazione occorrerà elaborare una guida apposita.

1.10.

Per limitare alcuni dei problemi più gravi si dovrebbe fornire ai paesi dell'Asia meridionale assistenza finanziaria e tecnica affinché migliorino gli impianti, trasferendo quanto meno l'attività di smantellamento dalle spiagge a moli circoscritti o a bacini di carenaggio, e garantendo un livello di sicurezza più elevato e impianti di gestione dei residui a valle.

1.11.

Il CESE constata che per agire efficacemente in questo campo occorrerà affrontare ulteriori spese. Accoglie con favore la proposta generale della Commissione di prevedere delle disposizioni atte a far sì che tali costi siano integrati nei normali costi di esercizio dell'attività marittima. In particolare l'OMI e gli armatori chiedono ulteriori interventi volti a dotare ogni nave di un fondo per il riciclaggio, che verrebbe o accumulato nel corso della vita operativa della nave o istituito, sotto forma di garanzia, al momento del varo. Diverse istituzioni finanziarie sono perfettamente in grado di elaborare e di mettere in atto tali misure. Se risulterà impossibile istituire questo fondo, l'UE dovrà ricorrere a meccanismi regionali, ad esempio la tassazione da parte dello Stato di approdo o altro.

1.12.

Una progettazione che sia attenta alla questione del riciclaggio, individui i rischi presenti e rinunci per quanto possibile ai materiali tossici nella costruzione navale è destinata ad avere ripercussioni positive nel lungo periodo; il CESE si compiace degli sforzi compiuti in questo senso dall'UE, dall'OMI, dagli armatori e dal settore della cantieristica.

2.   Introduzione

2.1.

Il contesto del presente parere è costituito dal trasporto marittimo internazionale e dalle spedizioni internazionali di rifiuti. Ogni anno, da 200 a 600 grandi navi vengono demolite e riciclate per ricavarne acciaio e altre materie prime. Gran parte di quest'attività si svolge nei paesi dell'Asia meridionale, su spiagge caratterizzate da escursioni di marea considerevoli, in condizioni di scarsa attenzione alla sicurezza degli addetti e alla protezione dell'ambiente. È stato stimato che nel corso dei prossimi otto anni circa 5,5 milioni di tonnellate di materiali pericolosi giungeranno in questi cantieri di demolizione a bordo di navi in disarmo; si tratterà per lo più di morchie, olii, vernici, PVC e amianto.

2.2.

Nessuno dei siti impiegati per smantellare le navi nel subcontinente indiano è dotato di sistemi di contenimento per impedire l'inquinamento del suolo e delle acque, e il trattamento dei rifiuti è raramente conforme anche a norme ambientali minime. Dato il basso livello di sicurezza, gli incidenti sono frequenti e i lavoratori che, senza adeguata protezione, entrano in contatto con materiali tossici rischiano conseguenze durature per la salute (4).

2.3.

Il trasferimento delle navi da demolire dai paesi industrializzati a quelli in via di sviluppo è disciplinato dalle norme internazionali sulla spedizione dei rifiuti, mentre il regolamento comunitario su tali spedizioni vieta l'esportazione di imbarcazioni contenenti materiali pericolosi al di fuori dell'UE. Tuttavia il trasferimento della nave a intermediari marittimi e l'iscrizione in un diverso registro navale possono rendere più difficili le procedure per rintracciare l'effettivo proprietario e stabilire il vero responsabile, ostacolando così l'applicazione della legge e consentendo agli armatori irresponsabili di sottrarsi ai loro obblighi.

2.4.

Il problema può essere in parte risolto accrescendo la capacità di demolizione nell'UE. Pur trattandosi di un'innovazione positiva, verosimilmente applicabile alla flotta militare e in generale a quella di proprietà pubblica, essa riguarderebbe solo una piccola percentuale delle navi da demolire da qui al 2020, il cui peso totale sarà di 105 milioni di LDT (5).

2.5.

Pertanto il Libro verde cerca con urgenza nuove modalità per migliorare gli standard all'insegna della convenienza economica e della completezza, in conformità della legislazione europea e internazionale menzionata sopra.

3.   Sintesi del Libro verde

3.1.

Secondo le conclusioni del Consiglio del novembre 2006 la gestione ecologicamente corretta della demolizione delle navi è una priorità dell'UE. Nel Libro verde sulla politica marittima del giugno 2006 (6) la Commissione ha già esposto la propria posizione, secondo cui la futura politica marittima dell'UE dovrà sostenere iniziative a livello internazionale per raggiungere standard minimi obbligatori per il riciclaggio delle navi e promuovere la creazione di impianti puliti di riciclaggio.

3.2.

Il Libro verde presenta idee nuove su come proseguire ed intensificare il dialogo con gli Stati membri e le parti in causa, nonché preparare il terreno per azioni future; esso inoltre sollecita risposte ad una serie di questioni di fondo che mettono in evidenza i problemi principali.

3.3.

Questo esercizio è principalmente finalizzato alla tutela dell'ambiente e della salute e non intende riportare artificialmente nell'UE una parte delle attività commerciali di riciclaggio, privando così i paesi dell'Asia meridionale di un'importante fonte di reddito e di materiali necessari. L'obiettivo ultimo è quello di pervenire a soluzioni globalmente sostenibili.

3.4.

Attualmente, nel rispetto delle norme di tutela ambientale e di sicurezza è possibile riciclare al massimo 2 milioni di LDT all'anno in tutto il mondo, pari a circa il 30 % della domanda totale di demolizione prevista in anni normali. Gran parte di queste strutture, situate prevalentemente in Cina ma anche in alcuni Stati membri dell'UE, non può offrire gli stessi prezzi per il rottame e deve sostenere costi molto più elevati rispetto ai concorrenti dell'Asia meridionale. Queste strutture, al pari di tutte le altre, si troveranno ben presto sotto pressione, dato che, entro il 2015, sulla scia delle azioni avviate dopo i disastri delle navi Erika e Prestige, saranno tolte dalla circolazione e destinate alla demolizione circa 1 300 petroliere monoscafo (7). Si teme tuttavia che questo importante aumento della quantità di navi demolite comporti il reclutamento di operai meno qualificati e quindi un abbassamento dei livelli di sicurezza e di tutela dell'ambiente. Si prevede che l'attività raggiungerà una punta massima nel 2010, anno in cui dovranno essere demolite circa 800 navi a scafo unico; è quindi urgente intervenire.

3.5.   Il quadro giuridico

La Convenzione di Basilea del 1989 fornisce un quadro giuridico per il controllo dei movimenti oltre frontiera di rifiuti pericolosi e la loro eliminazione. Nel 1997 è stato integrato nella legislazione comunitaria e reso vincolante per gli Stati membri il divieto assoluto di esportazione di rifiuti pericolosi dai paesi OCSE a quelli non OCSE (divieto di Basilea) (8). Tuttavia è difficile applicare tale divieto di esportazione una volta che la nave ha lasciato le acque europee. Nel quadro del progetto di convenzione in discussione in sede OMI sono state proposte ulteriori disposizioni obbligatorie in materia di demolizioni navali, ma è opinione comune che, quando la convenzione entrerà in vigore, il periodo di massima intensità dell'attività di smantellamento sarà già concluso da tempo.

3.6.   Considerazioni economiche riguardo alla demolizione di navi

Attualmente la grande maggioranza delle navi viene demolita in Asia meridionale a causa dei vantaggi derivanti da vari fattori economici, i più importanti dei quali sono i seguenti:

disposizioni in materia di gestione dei rifiuti, salute e sicurezza meno vincolanti o disattese,

costo del lavoro sensibilmente minore: dato che la demolizione effettuata sulle spiagge non consente di usare macchinari pesanti, il lavoro manuale rimane una componente importante dei costi,

l'afflusso di navi da demolire è vario e irregolare; le navi vengono solitamente ritirate dal servizio quando i noli sono modesti; esse variano inoltre considerevolmente per struttura e composizione,

nei paesi OCSE il mercato dell'acciaio usato e delle attrezzature navali di seconda mano è praticamente inesistente a causa dei requisiti normativi.

In sostanza la Commissione precisa che i mercati dell'Asia meridionale funzionano a causa dell'estrema esternalizzazione dei costi, la quale crea però condizioni sociali e ambientali molto problematiche.

3.7.   Ripercussioni in campo ambientale e sociale

L'attività di demolizione avviene principalmente su spiagge aperte, dove mancano del tutto le attrezzature di contenimento, ritrattamento ed eliminazione dei rifiuti. Una gran varietà di sostanze dannose per l'ambiente si riversa nel suolo, nella sabbia e in mare, mentre la combustione di vernici e di rivestimenti in plastica inquina l'aria. Di frequente si verificano esplosioni che causano vittime, il tasso di incidenti è elevato e le misure di sicurezza appaiono del tutto inadeguate. I lavoratori sono soggetti a malattie croniche irreversibili: per fornire un esempio, circa il 16 % dei lavoratori del sito di demolizione di Alang (India) a contatto con l'amianto soffre di asbestosi. Negli ultimi 20 anni in Bangladesh più di 400 lavoratori sono rimasti uccisi e 6 000 hanno riportato gravi ferite (9).

3.8.   Analisi della situazione internazionale

Dal 2005 l'OMI, insieme con l'OIL e l'UNEP (Programma delle Nazioni Unite per l'ambiente), sta elaborando un regime internazionale vincolante per la rottamazione pulita delle navi. Attualmente sono in corso i negoziati per un progetto di convenzione, che dovrebbe essere adottato nel 2009, ma entrerà in vigore solo qualche anno più tardi. Per il momento tale progetto non prende in considerazione le navi da guerra e quelle di proprietà pubblica. Rimangono ancora da definire alcune questioni riguardanti le norme esterne all'OMI, i criteri di riferimento per gli impianti di riciclaggio di navi, i requisiti in materia di rendiconto, comprese le notifiche tra Stati, e i meccanismi di garanzia della conformità. A giudizio della Commissione è improbabile che la convenzione proposta garantisca un livello di controllo, applicazione e protezione equivalente a quello offerto dalla Convenzione di Basilea.

3.9.   Soluzioni internazionali

Il Libro verde lascia intendere che nel medio-lungo periodo la scelta migliore consista nel sostenere la convenzione dell'OMI in corso di elaborazione. Esprime tuttavia la preoccupazione che la convenzione non sia abbastanza forte e che essa arriverà troppo tardi per risolvere il problema delle petroliere monoscafo messe fuori esercizio. Quest'ultimo problema richiederebbe una soluzione provvisoria. La Commissione formula pertanto alcune opzioni per migliorare la gestione europea delle demolizioni navali, opzioni definite in maniera da completarsi a vicenda al fine di sostenere gli sforzi a livello internazionale; si tratta di una questione urgente, dato che nei prossimi anni sarà avviato alla demolizione un numero particolarmente elevato di navi a fine ciclo di vita.

3.10.   Miglior rispetto della normativa UE sulle spedizioni di rifiuti

Oltre a una migliore cooperazione tra Stati membri e all'elaborazione di orientamenti supplementari riguardo alla definizione dei rifiuti e degli impianti di riciclaggio ammissibili, ciò comporta una migliore applicazione della normativa da parte delle autorità competenti in materia di spedizioni di rifiuti e delle autorità portuali degli scali marittimi europei, in particolare per quanto riguarda le navi che hanno superato una certa età (ad esempio 25 anni) o che si sospetta siano destinate alla demolizione. Occorre inoltre migliorare la rintracciabilità delle navi a fine ciclo di vita e la cooperazione con i paesi terzi che hanno un ruolo particolarmente importante (ad esempio l'Egitto a causa del Canale di Suez). La Commissione propone inoltre di dedicare particolare attenzione alla demolizione delle navi da guerra e di altre navi di proprietà pubblica.

3.11.   Potenziare la capacità di demolizione dell'UE

Dal momento che la capacità di demolizione nell'UE e in altri paesi OCSE (specialmente la Turchia) è appena sufficiente per le navi da guerra e altre navi di proprietà pubblica che saranno messe fuori servizio nei prossimi 10 anni, vi sarà un grave deficit di capacità di demolizione accettabile per il prossimo futuro. Tuttavia, gli impianti «verdi» quali esistono attualmente non possono competere con i rottamatori dell'Asia meridionale. Fintantoché non saranno applicate efficaci misure internazionali che servano a creare condizioni uniformi per tutti, la Commissione raccomanda di concentrare l'azione sulle navi di proprietà pubblica. Gli Stati membri, per agire, come è loro dovere, in maniera esemplare nel campo della rottamazione di navi militari, potrebbero garantire l'utilizzazione di impianti di rottamazione «verdi». Inoltre, se si inseriscono clausole che prevedono la rottamazione a fine ciclo in tutti gli accordi di vendita di navi militari a paesi non comunitari, si può estendere in misura adeguata questa responsabilità.

3.11.1.

Per la flotta mercantile — le cui dimensioni sono ben più importanti — occorrono iniziative per modificare le prassi attualmente in uso nel settore. Si potrebbe per esempio introdurre, come viene specificato più sotto, un sistema di finanziamento grazie al quale gli armatori e altri soggetti contribuiscono alla demolizione sicura ed ecocompatibile delle navi in tutto il mondo.

3.12.   Assistenza tecnica e trasferimento di tecnologie e di buone prassi ai paesi che si occupano del riciclaggio

Malgrado i seri svantaggi sociali ed ambientali, la demolizione di navi fornisce un contributo vitale allo sviluppo economico di alcuni paesi dell'Asia meridionale. È dunque necessario valutare l'opportunità di migliorare gli impianti esistenti in tali paesi attraverso l'assistenza tecnica e una regolamentazione più appropriata. Si riconosce tuttavia che esiste una forte interrelazione tra l'assenza o la mancata applicazione di regole elementari di sicurezza sul lavoro e di protezione dell'ambiente, da un lato, e la povertà strutturale e problemi sociali e giuridici diversi, dall'altro. Se si vuole ottenere un cambiamento sostenibile, qualunque forma di assistenza dovrà inserirsi in un contesto più vasto.

3.13.   Incentivare le iniziative volontarie

Gli armatori possono garantire meglio di chiunque altro che le navi vengano smantellate in condizioni di sicurezza; esistono infatti esempi positivi di accordi volontari tra armatori europei e cantieri di demolizione, incentrati sulla fornitura di aiuti per migliorare le strutture. A breve termine sarà utile anche promuovere codici di condotta e accordi volontari, accompagnati da riconoscimenti e certificati, in un'ottica generale di responsabilità sociale delle imprese (10). Una pratica contabile socialmente responsabile e degli accordi volontari ben congegnati possono essere efficaci e costituiscono il sistema più rapido per mettere a segno dei miglioramenti. Se successivamente risulta che l'impegno assunto non viene poi rispettato nella pratica, può essere comunque necessario ricorrere alla legislazione.

3.14.   Finanziamenti per la demolizione di navi

Si sta attualmente valutando se prevedere un sostegno finanziario diretto agli impianti puliti di demolizione navale nell'UE o agli armatori che inviano le loro navi a cantieri «verdi» per lo smantellamento integrale o per la decontaminazione. Viene sottolineato che tale sostegno avrebbe un costo elevato e sarebbe probabilmente in contrasto con il principio per cui «chi inquina paga». Il Libro verde raccomanda pertanto di introdurre nella prassi ordinaria il computo, tra i costi di esercizio delle navi, delle spese di demolizione sostenibile a fine ciclo di vita.

3.14.1.

Un altro provvedimento utile potrebbe consistere nell'istituzione, da parte dell'OMI, di un fondo di demolizione sostenibile, come elemento obbligatorio nell'ambito del nuovo regime internazionale di demolizione delle navi. Esiste il precedente dei fondi per l'inquinamento da idrocarburi, previsti dalla Convenzione Marpol.

3.15.   Altre possibilità

Numerose altre misure potrebbero rivelarsi utili per favorire il processo di ammodernamento dell'industria della demolizione navale, sia a breve che a medio termine. Si tratta in sostanza di:

a)

normative UE, riguardanti in particolare le petroliere monoscafo;

b)

razionalizzazione degli aiuti all'industria marittima, subordinandoli ad una rottamazione ecologica;

c)

istituzione di un sistema europeo di certificazione della demolizione navale «pulita» e riconoscimenti per attività esemplari di riciclaggio ecologico;

d)

intensificazione delle attività internazionali di ricerca sulla demolizione navale.

4.   Osservazioni generali

4.1.

Gran parte dell'attività di riciclaggio delle navi avviene in condizioni incompatibili con le norme riconosciute a livello internazionale in materia di sicurezza e di salute sul lavoro, nonché di protezione dell'ambiente.

4.2.

L'UE deve garantire che le precauzioni da essa stessa imposte in termini di sicurezza del trasporto marittimo, ad esempio per le petroliere monoscafo, non si traducano in un mero trasferimento del danno ai paesi in via di sviluppo. Occorre invece applicare nella sua totalità il regolamento sulle spedizioni di rifiuti, che ha fatto propri i principi della Convenzione di Basilea, compreso l'emendamento che introduce il divieto assoluto di esportare rifiuti pericolosi.

4.3.

In aggiunta all'assistenza tecnica e finanziaria volta a migliorare le condizioni degli impianti di demolizione nei paesi in via di sviluppo, bisognerà fornire anche finanziamenti per la decontaminazione del suolo e dell'acqua e la correzione degli altri danni causati da un'attività incontrollata di demolizione. Va tuttavia sottolineato che i problemi endemici dei paesi in via di sviluppo non possono essere risolti promuovendo esclusivamente l'avanzamento tecnico.

4.4.

Il CESE condivide le preoccupazioni della Commissione in questo campo e ne approva l'impostazione, che prevede il ricorso ad una vasta gamma di misure. Data l'urgenza di migliorare gli impianti e le condizioni, specie nel Bangladesh, bisognerebbe anzitutto stabilire con urgenza quali siano le forme di assistenza, le regolamentazioni e gli incentivi più efficaci, in modo da poter definire delle proposte in un Libro bianco e avviare un'adeguata valutazione di impatto. Il settore della marina mercantile riconosce inoltre l'esigenza di migliorare le norme in materia di salute e sicurezza nei cantieri di demolizione di tutto il mondo (11), e confida nel ruolo che l'UE può svolgere in tal senso, nonché nella sua capacità di influire sull'OMI.

5.   Osservazioni specifiche

5.1.

Ai fini della chiarezza e della concisione, le osservazioni specifiche del presente parere sono state sintetizzate in proposte concrete di azione e figurano, sotto forma di conclusioni e raccomandazioni, all'inizio del documento (dal punto 1.1 al punto 1.12).

Bruxelles, 13 dicembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Commissione europea, DG ENV: Ship Dismantling and Pre-cleaning of Ships (Smantellamento e pulitura preliminare delle navi), relazione finale, giugno 2007.

(2)  Membri di ICS (Institute of Chartered Shipbroker), BIMCO, ESCA, Intertanko, Intercargo.

(3)  GU C 168 del 20.7.2007, pag. 50.

(4)  Relazione (2005) sui lavoratori addetti alle demolizioni navali, dell'organizzazione Young Power in Social Action (YPSA).

(5)  Commissione europea, DG ENV: Ship Dismantling and Pre-cleaning of Ships (Smantellamento e pulitura preliminare delle navi), relazione finale, giugno 2007.

(6)  COM(2006) 275 def. del 7 giugno 2006.

(7)  Regolamento (CE) n. 417/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 febbraio 2002, sull'introduzione accelerata delle norme in materia di doppio scafo o di tecnologia equivalente per le petroliere monoscafo e che abroga il regolamento (CE) n. 2978/94 del Consiglio.

(8)  Regolamento (CEE) n. 259/93 del Consiglio, del 1o febbraio 1993, relativo alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti all'interno della Comunità europea, nonché in entrata e in uscita dal suo territorio, successivamente modificato, GU L 30 del 6.2.1993, pag. 1.

(9)  Relazione (2005) sui lavoratori addetti alle demolizioni navali, dell'organizzazione Young Power in Social Action (YPSA).

(10)  Cfr. per esempio il codice di condotta in materia di riciclaggio (www.marisec.org/recycling) elaborato dall'organizzazione per la sicurezza marittima Marisec e dall'Associazione degli armatori dell'UE.

(11)  Riciclaggio delle navi — Orientamenti per il futuro, BIMCO, ECSA, Intertanko, Intercargo.


16.5.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/38


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — L'adattamento ai cambiamenti climatici in Europa — quali possibilità di intervento per l'UE

COM(2007) 354 def.

(2008/C 120/09)

La Commissione europea, in data 29 giugno 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al:

Libro verde della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — L'adattamento ai cambiamenti climatici in Europa — quali possibilità di intervento per l'UE

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 27 novembre 2007 sulla base del progetto predisposto dal relatore OSBORN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 dicembre 2007, nel corso della 440a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 127 voti favorevoli, 1 voto contrario e 2 astensioni.

1.   Sintesi e raccomandazioni

1.1.

I cambiamenti climatici rappresentano una delle sfide maggiori che il mondo si trova ad affrontare nel XXI secolo. Le azioni volte a limitare tali cambiamenti riducendo le emissioni di gas serra costituiscono una priorità assoluta. È tuttavia importante anche programmare per tempo le misure necessarie per adattarsi a quei cambiamenti ormai divenuti inevitabili. Il Libro verde rappresenta un utile primo passo dell'Europa per affrontare questo problema.

1.2.

Il CESE raccomanda di elaborare una strategia europea generale che serva da quadro di riferimento e delinei le azioni che andranno intraprese a livello europeo, a livello nazionale e da altri attori.

1.3.

Il CESE ritiene che, nel mettere a punto le strategie di adattamento europee e nazionali, si dovrebbe tenere conto dei seguenti punti chiave:

le strategie dovrebbero affrontare tutti i temi individuati nel Libro verde, fra cui la protezione delle coste, le inondazioni e la siccità, le risorse idriche, gli incendi, la sanità pubblica, l'agricoltura e la biodiversità, l'utilizzazione del suolo e la progettazione delle infrastrutture, l'edilizia,

nei programmi futuri dovrebbe essere destinata all'adattamento ai cambiamenti climatici una quota molto maggiore del bilancio europeo; l'adattamento dovrebbe inoltre entrare a fare parte dei criteri di valutazione dei programmi e dei progetti,

l'Unione europea e i suoi Stati membri dovrebbero stanziare consistenti risorse nuove e supplementari per sostenere l'adattamento nei paesi in via di sviluppo,

le strategie di mitigazione devono essere compatibili e complementari con quelle di adattamento e viceversa; la valutazione e la gestione dei rischi dovrebbero essere strumenti fondamentali per stabilire le priorità,

la ricerca europea in materia di impatto dei cambiamenti climatici e di adattamento a questi ultimi dovrebbe venire considerevolmente incrementata,

la società civile europea, inclusi i consumatori e il grande pubblico, dovrebbe essere più largamente coinvolta per diffondere nell'opinione pubblica una conoscenza più ampia dei problemi connessi al cambiamento climatico e i nuovi comportamenti necessari per limitare ulteriori cambiamenti climatici e per adattarsi a quelli ormai inevitabili,

si dovrebbe istituire un organo indipendente per monitorare i progressi compiuti in Europa nelle misure di adattamento ai cambiamenti climatici e di mitigazione e richiamare al compimento delle azioni necessarie e al mantenimento degli impegni presi.

2.   Osservazioni generali

2.1.

I cambiamenti climatici rappresentano una delle sfide maggiori che il mondo si trova ad affrontare nel XXI secolo.

2.2

Finora a livello mondiale ci si è concentrati innanzitutto sul tentativo di mitigare l'impatto dei cambiamenti climatici limitando le emissioni dei gas serra. Ormai, tuttavia, è sempre più chiaro che le sole emissioni del passato causeranno un ulteriore significativo aumento della temperatura dell'atmosfera e dei mari nell'arco dei prossimi cento anni e anche oltre. Tutto ciò avrà forti ripercussioni su tutti i fenomeni connessi al clima e al tempo atmosferico e sull'ambiente fisico e naturale di tutto il pianeta. Occorre pertanto affrontare in modo più mirato queste inevitabili ripercussioni del surriscaldamento globale e dei cambiamenti climatici e mettere a punto i modi migliori per adattarvisi.

2.3.

Tutto ciò non deve impedire di continuare a impegnarsi per limitare le emissioni in modo tale da mitigare ulteriori cambiamenti climatici. Al contrario, una comprensione reale delle difficoltà che l'adattamento potrebbe comportare in futuro dovrebbe contribuire a rafforzare la determinatezza di tutti a ridurre sensibilmente le emissioni. Lasciando crescere le emissioni senza controllo, si condannerebbero le generazioni future a misure di adattamento molto più dolorose e costose.

2.4.

Le strategie di mitigazione devono essere compatibili e complementari con quelle di adattamento e viceversa. Occorre definire strategie credibili e attuabili per ridurre le emissioni dei gas serra a livelli e dimensioni tollerabili in tempi realistici. Le strategie di adattamento dovranno poi descrivere come il pianeta possa adattarsi al meglio alle dimensioni più probabili dell'inevitabile cambiamento climatico implicite negli stessi obiettivi di mitigazione. La valutazione e la gestione del rischio saranno strumenti fondamentali per definire il livello dell'azione necessaria e l'ordine delle priorità.

2.5.

Il Libro verde della Commissione fornisce un'utile descrizione di molti dei settori che saranno colpiti e dei tipi di problemi che si presenteranno.

2.6.

Il CESE ritiene che attualmente vi siano numerosi argomenti a favore dell'elaborazione di una strategia quadro europea di livello generale che tratti l'insieme dei problemi relativi all'adattamento e delinei le azioni che andranno intraprese a livello europeo e nazionale nonché da altri attori.

2.7.

La stessa strategia europea di adattamento dovrebbe richiedere agli Stati membri di elaborare in tempi ragionevoli strategie nazionali di adattamento e, in seguito, di relazionare regolarmente circa la loro attuazione.

2.8.

La strategia europea di adattamento dovrà presentare una solida dimensione esterna che spieghi come l'Europa intenda aiutare altre parti del mondo a risolvere i loro problemi di adattamento.

2.9.

L'Europa avrà bisogno di strutture istituzionali forti ed indipendenti per organizzare le necessarie attività di ricerca e monitoraggio e per chiedere conto agli organi politici in merito all'attuazione delle misure necessarie nei tempi dovuti. La società civile dovrà essere coinvolta in pieno nel lavoro di queste istituzioni.

3.   Osservazioni specifiche

3.1.

Il CESE ritiene che i campi di azione specifici individuati nel Libro verde siano in linea di massima pertinenti e, in conformità con il Libro verde, raccomanda che l'Unione europea e i suoi Stati membri elaborino immediatamente programmi e interventi concreti relativi ad ognuno di questi settori nel quadro delle loro strategie generali. Occorre definire tempistiche e programmi e stanziare risorse finanziarie appropriate.

3.2.

Nella maggior parte dei settori, la responsabilità principale per l'organizzazione dei lavori necessari compete alle rispettive autorità nazionali e locali. L'Unione europea dovrebbe tuttavia svolgere un ruolo importante per definire il quadro generale e per stimolare e supportare gli sforzi di adattamento compiuti a livello nazionale. Il Comitato propone in particolare che l'UE:

intraprenda specifiche attività di ricerca e di monitoraggio al fine di fornire previsioni più precise e scenari più concreti in merito al ritmo e all'impatto probabile dei cambiamenti climatici in diverse regioni dell'Europa e contribuisca a coordinare le singole ricerche svolte a molti livelli diversi su questi problemi in Europa,

sviluppi metodologie per valutare gli impatti, mettere a punto adeguate strategie di adattamento e promuovere lo scambio di esperienze e delle migliori pratiche in materia,

stimoli lo sviluppo delle strategie di adattamento e dei piani di attuazione a livello nazionale, regionale e locale e incoraggi la diffusione delle migliori pratiche e delle esperienze sulla base di ciò che è già stato realizzato ai diversi livelli,

identifichi problemi transfrontalieri nei quali potrebbe rendersi necessario il coordinamento dell'azione tra paesi vicini o al livello dell'Unione (ad esempio: trasferimento di insediamenti oppure di attività agricole o di altre attività economiche; protezione degli habitat e della biodiversità; sostegno pratico in caso di inondazioni, incendi, pandemie di grave entità, ecc.),

valuti le diverse conseguenze economiche dei cambiamenti climatici nelle diverse regioni dell'Unione e la necessità di sostenere i programmi di adattamento attraverso il Fondo di coesione o i fondi strutturali,

valuti le diverse ripercussioni dei cambiamenti climatici tra i nuclei familiari e le singole persone e tra le PMI, nonché l'adeguatezza delle modalità assicurative e di risarcimento in tutta l'UE,

individui eventuali settori nei quali iniziative o misure legislative dell'Unione potrebbero svolgere una funzione utile, ad esempio definendo standard per la valutazione dell'impatto potenziale legato ai cambiamenti climatici e risposte adeguate.

4.   Considerazioni su aspetti specifici

4.1.

Protezione delle coste — Il livello del mare si innalzerà a causa dello scioglimento dei ghiacciai e dell'aumento delle temperature marine. In alcune aeree potrebbe rendersi necessario costruire o rinforzare barriere fisiche per proteggere territori e insediamenti umani. In altre, la strategia migliore potrebbe rivelarsi il ritiro controllato e il ripristino di zone paludose a scopo protettivo, contestualmente allo spostamento degli abitanti di terreni a rischio.

4.2.

Inondazioni — I cambiamenti climatici probabilmente comporteranno andamenti meteorologici meno stabili di quelli attuali, caratterizzati da periodi di siccità più lunghi interrotti da precipitazioni più violente, che potranno causare fenomeni di deflusso rapido e inondazioni. I piani per la protezione dalle inondazioni devono pertanto essere aggiornati per adeguarsi a queste nuove condizioni meteorologiche. In alcuni casi occorreranno nuovi programmi di costruzione di opere di difesa; in altri, potrebbe rivelarsi necessaria la creazione o il ripristino di bacini idrografici o di zone inondabili atte a ricevere le acque in eccesso. In queste aree occorrerà eventualmente limitare la costruzione e prendere in considerazione il trasferimento degli abitanti.

4.3.

Risorse idriche e scarsità d'acqua — In molte parti d'Europa le risorse idriche scarseggiano già e la situazione rischia di peggiorare ulteriormente, poiché i cambiamenti climatici comportano periodi più lunghi di scarse precipitazioni e di siccità. Sarà eventualmente necessario prendere delle misure per portare nuovi fonti di acqua nelle regioni colpite (ad esempio mediante la desalinizzazione o il trasporto su lunga distanza) e per gestire con maggior efficienza l'uso dell'acqua. Devono essere potenziati gli incentivi per promuovere l'uso efficiente dell'acqua (inclusa la determinazione del prezzo). Nelle zone più duramente colpite potrebbe inoltre essere necessario scoraggiare attività quali l'agricoltura intensiva o il turismo. (Il CESE sta elaborando un parere distinto più dettagliato sulla scarsità d'acqua e la siccità.)

4.4.

In alcune regioni che stanno diventando più calde e più secche, come il Sud dell'Europa, i rischi di incendi gravi e la loro frequenza sono già in aumento e potrebbero ulteriormente intensificarsi di pari passo con l'ulteriore aumento delle temperature. Si dovranno rafforzare e coordinare meglio le misure protettive e le capacità di reazione. (Il CESE sta elaborando un parere distinto più dettagliato sulle catastrofi naturali e la protezione civile).

4.5.

Sanità pubblica — I cambiamenti climatici possono avere conseguenze in termini di sanità pubblica in molteplici modi. Possono causare un'ampia diffusione dei vettori di agenti patogeni, in particolare favorendo lo spostamento verso Nord di talune malattie prima confinate nelle zone tropicali. Gli estremi delle temperature potrebbero anche avere ripercussioni più immediate. È necessario elaborare dei piani per prepararsi a questi cambiamenti.

4.6.

Agricoltura — I cambiamenti climatici avranno ripercussioni molto forti sull'agricoltura. I mutamenti della temperatura e delle precipitazioni pregiudicheranno l'idoneità dei terreni per diversi usi agricoli e modificheranno notevolmente la qualità e quantità dei beni che possono essere prodotti e quindi anche l'economicità di diversi regimi agricoli in diverse parti d'Europa.

4.6.1.

La verifica dello stato di salute (health check) della PAC, che si terrà nel 2008, dovrebbe essere l'occasione per procedere a ulteriori cambiamenti al fine di incoraggiare gli agricoltori ad adattare le pratiche agricole ai cambiamenti climatici previsti.

4.6.2.

Occorre incentivare la ricerca agraria volta a mettere a punto nuove colture e metodi di coltivazione che si adattino meglio alle condizioni climatiche emergenti. Allo stesso modo, occorre valutare le ripercussioni che i cambiamenti climatici possono avere sulle prospettive dell'allevamento nelle varie regioni d'Europa e studiare le possibilità di combattere il propagarsi delle malattie da essi causato. (Il CESE elaborerà a breve un parere distinto più dettagliato sui cambiamenti climatici e l'agricoltura).

4.7.

Biodiversità — I cambiamenti climatici comporteranno mutamenti profondi negli habitat naturali di flora e fauna in Europa. In alcuni casi, determinate specie non saranno più in grado di sopravvivere nell'habitat modificato o saranno fortemente minacciate di estinzione. Alcune specie potrebbero riuscire a migrare in modo naturale verso nuovi habitat. Altre, per sopravvivere, dovranno venir assistite in questa fase di transizione. Le strategie ed i programmi per il mantenimento della biodiversità attualmente esistenti dovranno essere aggiornati e andranno stanziate risorse per la loro attuazione, se si vuole che questa transizione si compia senza grandi perdite di specie viventi.

4.8.

Anche gli alberi e le foreste risentiranno fortemente dei cambiamenti climatici. Alcune regioni potranno divenire meno ospitali per determinate specie arboree, mentre altre potranno di fatto divenire più accoglienti. Si dovranno adattare di conseguenza i programmi di impianto e reimpianto, cure colturali e gestione delle foreste.

4.9.

Pianificazione dell'utilizzazione del suolo — La pianificazione di insediamenti urbani o di altro tipo e quella dei trasporti e delle infrastrutture deve tenere sempre più conto dei cambiamenti di temperatura e di schemi meteorologici. Queste considerazioni devono entrare a far parte degli standard di progettazione e della prassi e formazione professionale. I singoli progetti e programmi di sviluppo dovranno ugualmente tenere conto di queste ripercussioni dei cambiamenti climatici. Si dovranno adattare in modo appropriato anche le metodologie di valutazione dell'impatto.

4.10.

Edilizia — Il settore dell'edilizia e della costruzione in genere sarà fortemente colpito dai cambiamenti climatici. Occorrono norme minime più severe in materia di efficienza energetica degli edifici, migliori standard di costruzione, ecc. Si dovrebbero inoltre rendere più facilmente accessibili ai cittadini le informazioni sulle migliori pratiche nonché su metodi, materiali e sussidi disponibili per la ristrutturazione di vecchi edifici e la costruzione di nuovi al fine di ridurre il consumo di energia e di renderli più adatti a temperature e condizioni meteorologiche variabili.

4.11.

Bilancio UE — Il CESE raccomanda di inserire nel bilancio annuale la rubrica «adattamento» per le politiche che necessitano di investimenti immediati (ad es. nei settori dell'energia, ricerca, agricoltura, trasporti, standard di costruzione, assistenza in caso di catastrofi naturali, protezione della biodiversità, politiche di sanità pubblica, ecc.). Il prossimo quadro finanziario dovrebbe assegnare una quota molto maggiore delle risorse disponibili ai programmi che si occupano di misure di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici. Anche gli Stati membri dovrebbero procedere a cambiamenti simili nei bilanci e programmi di spesa nazionali.

4.12.

Fondi strutturali — Il Fondo europeo di sviluppo regionale, il Fondo di coesione, e lo strumento di assistenza preadesione (IPA) contengono criteri per sostenere progetti nel settore ambientale, ma non menzionano esplicitamente l'adattamento ai cambiamenti climatici e spesso prevedono valutazioni d'impatto inadeguate (molti progetti nei settori dell'energia e dei trasporti sono chiaramente nocivi all'ambiente e al clima). Nelle prossime revisioni di tutti questi programmi si dovrebbe destinare una percentuale molto maggiore dei fondi disponibili al finanziamento di misure di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici.

4.13.

La Banca europea per gli investimenti (BEI) e la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (BERS) dovrebbero inserire i cambiamenti climatici nelle loro procedure di bilancio e nei loro criteri per la valutazione di progetti e programmi.

4.14.

Settore assicurativo — Il settore assicurativo si interessa molto ai cambiamenti climatici e valuta con crescente attenzione gli aspetti connessi a questa problematica per decidere contro quali eventi è disposto ad assicurare e a quali condizioni. L'UE e gli Stati membri dovrebbero istituzionalizzare un dialogo costante con il settore assicurativo per garantire che quest'ultimo svolga in pieno il suo ruolo per sostenere le imprese e gli altri attori sociali nell'adattarsi ai cambiamenti climatici.

4.15.

Paesi in via di sviluppo — Molti paesi in via di sviluppo avranno problemi di adattamento più gravi di quelli dell'Europa e meno risorse per affrontarli. Alcuni dei paesi meno sviluppati hanno contribuito solo in minima parte al cambiamento climatico ma saranno fra quelli che ne subiranno le conseguenze più pesanti e perciò, secondo i principi dell'equità e della giustizia, hanno tutti i diritti a ricevere cooperazione e sostegno. Essi avranno bisogno di aiuto da parte delle nazioni più sviluppate, anche sotto forma di risorse umane, tecnologiche e finanziarie, per riuscire ad adattarsi in modo adeguato. L'Europa dovrebbe assumere un ruolo di leadership sia assegnando alle misure di adattamento fondi supplementari nel contesto dei programmi di aiuto allo sviluppo collettivi e nazionali, sia aiutando la comunità finanziaria internazionale ad affrontare le sfide che l'adattamento comporta.

4.16.

Alcune regioni del mondo diventeranno molto meno adatte ad ospitare insediamenti umani (e in casi estremi potranno addirittura diventare praticamente inabitabili) a causa dell'innalzamento del livello del mare o di condizioni meteorologiche estreme. I cambiamenti climatici potrebbero causare pressioni crescenti e rafforzare il flusso migratorio da altre parti del mondo verso l'Europa o anche gli spostamenti di popolazione all'interno della stessa Europa. Le agenzie di aiuto allo sviluppo e gli altri organismi pubblici responsabili dovranno essere pronti ad aiutare i paesi in via di sviluppo a riconoscere per tempo queste situazioni e ad elaborare i programmi di reinsediamento eventualmente necessari.

4.17.

Disponiamo ancora di conoscenze parziali circa le ripercussioni potenziali e il ritmo probabile dei cambiamenti climatici a livello nazionale e locale in Europa. Saranno necessarie numerose ricerche e analisi supplementari prima di arrivare a previsioni migliori e più precise. L'Agenzia europea dell'ambiente potrebbe svolgere un ruolo utile sia fungendo da centro di coordinamento europeo per tutte le attività pertinenti del settore inerenti ricerca, monitoraggio, analisi e previsione, sia diffondendo le migliori informazioni disponibili ai decisori e ad altri attori impegnati nell'attuazione specifica delle strategie di adattamento. Il CESE stesso è pronto a dare il suo contributo per incoraggiare una comprensione più approfondita e diffusa delle ripercussioni legate ai cambiamenti climatici nelle differenti regioni d'Europa, nonché delle necessarie misure di adattamento.

4.18.

La società civile dovrà essere profondamente coinvolta nel processo di adattamento ai cambiamenti climatici. Le comunità locali, le imprese e altre organizzazioni di ogni tipo, che saranno sempre più colpite dai cambiamenti climatici, dovranno essere coinvolte anche nelle misure da attuare. I cittadini e le organizzazioni di ogni tipo hanno bisogno di acquisire una comprensione più profonda dei cambiamenti in corso e di quelli probabili nell'arco della propria vita e di quella dei loro figli. Essi hanno inoltre bisogno di comprendere molto meglio che cosa implicheranno per loro la mitigazione e l'adattamento climatico. Le conoscenze in materia dovrebbero divenire sempre più parte integrante dei programmi di studio nell'educazione formale e informale.

4.19.

Il CESE sottolinea l'importanza di coinvolgere la società civile a tutti i livelli e di comunicare con i consumatori ed il grande pubblico. Sostiene senza riserve la proposta del Libro verde di creare gruppi di lavoro settoriali con rappresentanti delle parti interessate, i quali dovrebbero contribuire a sviluppare le risposte necessarie nei settori specifici. Un compito importante di questi gruppi dovrebbe essere lo sviluppo di tecniche per valutare i livelli di rischio e verificare se le organizzazioni e le comunità sono pronte e preparate per affrontare condizioni meteorologiche estreme o altre catastrofi che possono presentarsi con maggiore intensità e frequenza man mano che i cambiamenti climatici si intensificano.

4.20.

Gli enti locali e regionali possono contribuire significativamente a questo processo, coordinando e stimolando attività al loro livello e stimolando la reazione e l'impegno dell'opinione pubblica. Le amministrazioni di tutti i livelli, inoltre, possono svolgere un fondamentale ruolo guida mediante un'adeguata progettazione dei propri edifici e delle proprie opere e grazie alle scelte operate nelle loro politiche in materia di appalti pubblici.

4.21.

Il Libro verde consiglia di creare un gruppo consultivo europeo sull'adattamento ai cambiamenti climatici, comprendente rappresentanti della società civile e del mondo scientifico e decisori politici, che fungerebbe da gruppo di esperti durante la fase di elaborazione della strategia. Il CESE può aderire a questa idea.

4.22.

Il Comitato propone inoltre che l'UE consideri la creazione di un organo di monitoraggio indipendente, con un presidente indipendente. Quest'organo sarebbe incaricato di sorvegliare i progressi dell'intera strategia sui cambiamenti climatici (adattamento e mitigazione), di riferire pubblicamente e regolarmente in merito e di segnalare tempestivamente, a seconda delle esigenze della situazione, un'eventuale tendenza a differire gli interventi rispetto agli impegni presi. Il Comitato stesso intende verificare regolarmente i progressi realizzati in questo campo.

Bruxelles, 12 dicembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


16.5.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/42


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio relativo all'organizzazione comune del mercato vitivinicolo e recante modifica di alcuni regolamenti

COM(2007) 372 def. — 2007/0138 (CNS)

(2008/C 120/10)

Il Consiglio, in data 7 settembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 36 e 37 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Consiglio relativo all'organizzazione comune del mercato vitivinicolo e recante modifica di alcuni regolamenti

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 27 novembre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore KIENLE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 dicembre 2007, nel corso della 440a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 109 voti favorevoli, 5 voti contrari e 12 astensioni.

1.   Sintesi delle conclusioni e delle raccomandazioni del Comitato

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) accoglie con favore il fatto che, con il suo progetto di riforma dell'organizzazione comune dei mercati nel settore vitivinicolo (OCM vino), la Commissione europea proponga in sostanza di mantenere un'OCM specifica per tale settore. Avrebbe tuttavia desiderato che la Commissione tenesse maggiormente conto delle proposte da esso formulate nel parere del 14 dicembre 2006 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeoVerso un settore vitivinicolo europeo sostenibile  (1).

1.2.

Il CESE torna a chiedere che l'obiettivo principale della riforma sia il miglioramento della competitività dei vini europei e la loro riconquista di quote di mercato. Nella riforma dell'OCM vino e nelle regole che disciplinano il commercio estero, la Commissione dovrebbe tenere maggiormente conto della posizione di leadership del settore vitivinicolo europeo sul mercato mondiale.

1.3.

Il CESE sottolinea che il vino e la viticoltura sono componenti importanti e fondanti della cultura e dello stile di vita europei, e che la viticoltura permea di sé l'ambiente sociale ed economico di molte regioni vitivinicole europee. Il CESE ritiene quindi importante che, tanto negli obiettivi quanto nelle misure, la riforma tenga conto non solo delle conseguenze per l'economia, ma anche dell'impatto sull'occupazione, sul tessuto sociale e sull'ambiente (in particolare con gli interventi di estirpazione), nonché sulla protezione dei consumatori e sulla salute. Nella proposta della Commissione ciò avviene solo in misura insufficiente.

1.4.

Il CESE fa presente che nell'Unione europea la viticoltura è fonte di sussistenza per 1,5 milioni di aziende, prevalentemente piccole e a conduzione familiare, e offre lavoro, quanto meno stagionale, a oltre 2,5 milioni di persone. Per questo motivo il CESE tiene in modo particolare a che nella riforma si dia priorità alle misure con un'incidenza positiva sul reddito dei viticoltori e sulle possibilità di occupazione nel settore vitivinicolo.

1.5.

Il CESE ritiene che la proposta della Commissione di prevedere una dotazione finanziaria nazionale per gli Stati membri produttori di vino costituisca un importante contributo per una maggiore considerazione del principio di sussidiarietà e delle differenze regionali. Tuttavia, se si vogliono conseguire gli obiettivi della riforma, si deve ampliare la gamma degli strumenti di sostegno.

1.6.

Il CESE giudica insufficienti le misure proposte dalla Commissione in materia di informazione dei consumatori. Pur accogliendo con favore le proposte di promozione commerciale sui mercati di esportazione, ritiene necessario che esse vengano estese al mercato interno.

2.   Le proposte della Commissione

2.1.

La Commissione propone di riformare l'OCM vino soprattutto nei seguenti ambiti:

misure di sostegno: una dotazione finanziaria nazionale per la ristrutturazione e la riconversione delle superfici vitate, la vendemmia verde, i fondi di mutualizzazione, l'assicurazione del raccolto e la promozione sui mercati dei paesi terzi,

trasferimenti di risorse finanziarie a favore delle zone rurali,

modifica delle disposizioni in materia di vinificazione, in particolare per quanto concerne le pratiche enologiche, l'arricchimento e l'acidificazione,

modifica delle regole di etichettatura, in particolare per quanto concerne l'indicazione dell'origine e della provenienza, e adeguamento delle altre disposizioni in materia,

organizzazioni di produttori e organizzazioni interprofessionali,

liberalizzazione degli impianti a partire dal 2013,

programma di estirpazione volontaria,

abolizione degli attuali meccanismi di mercato,

trasferimento di competenze dal Consiglio alla Commissione.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Il CESE appoggia in larga misura gli obiettivi della proposta della Commissione, ma ritiene necessario adattare e migliorare le misure proposte per conseguirli.

3.2.

Il CESE rinnova la richiesta di migliorare la competitività dei produttori vitivinicoli europei nel mercato interno e sui mercati di esportazione, di rafforzare l'Europa in quanto piazza economica, di sostenere gli sforzi volti a migliorare la qualità e di orientarsi maggiormente verso gli sviluppi del mercato e i desideri dei consumatori. La Commissione non tiene sufficientemente conto di tali esigenze nella sua proposta di regolamento.

3.3.

Il CESE continua a ritenere importante che gli obiettivi economici vengano concretizzati e integrati con obiettivi sociali e occupazionali. A tal fine occorrerà anche migliorare la situazione reddituale delle aziende vitivinicole e garantire maggiori possibilità di sviluppo ai giovani viticoltori, nonché possibilità di occupazione stabili e una remunerazione adeguata ai lavoratori a tempo pieno e a quelli stagionali.

3.4.

Il CESE resta contrario a un trasferimento di competenze dal Consiglio alla Commissione, per esempio riguardo all'approvazione di nuove pratiche enologiche: la Commissione infatti, nel corso della negoziazione di accordi bilaterali, non ha difeso a sufficienza gli interessi dei produttori vitivinicoli europei.

3.5.

Il CESE ribadisce la necessità di incrementare l'attuale dotazione finanziaria per tenere conto dell'adesione all'UE di due nuovi paesi produttori.

3.6.

Il CESE torna a sollecitare un monitoraggio più attento ed esauriente del mercato, affinché alla base dell'OCM vino vi siano dati migliori in materia di produzione, commercio e consumo. I dati complessivi utilizzati finora sono importanti, ma non bastano. Servono anche informazioni aggiornate sulle modifiche delle strutture di produzione, sugli sbocchi commerciali e sul comportamento dei consumatori.

3.7.

Il CESE condivide il punto di vista della Commissione secondo cui la nuova OCM dovrebbe entrare in vigore quanto prima. Tuttavia, ritiene necessario prevedere un periodo di phasing out per consentire alle imprese, in caso di bisogno, di adattarsi gradualmente al nuovo quadro regolamentare.

3.8.

Il CESE si compiace che la Commissione abbia modificato la propria proposta concernente un programma di estirpazione. Ritiene tuttavia opportuno che tali misure vengano attuate nel quadro di programmi strutturali regionali o nazionali per ovviare agli effetti negativi di estirpazioni singole (ad esempio, terreni incolti all'interno di un territorio viticolo) e garantire un'applicazione corretta.

3.9.

Il CESE ribadisce la propria contrarietà a una completa liberalizzazione degli impianti: ciò, infatti, rischierebbe di pregiudicare il conseguimento degli obiettivi economici, sociali, ambientali e di tutela del paesaggio perseguiti attraverso la riforma del mercato vitivinicolo.

4.   Osservazioni particolari

4.1.   Titolo II — Misure di sostegno. Capo 1 — Programmi di sostegno

4.1.1.

Il CESE si compiace che la Commissione tenga sostanzialmente conto delle sue richieste per una maggiore considerazione della diversità regionale e per un'applicazione più coerente del principio di sussidiarietà nel settore vitivinicolo con l'introduzione di dotazioni finanziarie nazionali. Ritiene però che le misure di sostegno proposte siano insufficienti.

4.1.2.

Il CESE è d'accordo con la Commissione sulla necessità di mantenere un quadro comunitario coerente e appropriato, all'interno del quale siano gli Stati membri a dover scegliere le misure da applicare alle rispettive zone vitivinicole. In questo contesto un ruolo di spicco può essere attribuito alle organizzazioni di produttori, alle organizzazioni interprofessionali, agli enti di regolamentazione e ad altri organismi con obiettivi analoghi.

4.1.3.

Il CESE è favorevole a un pacchetto di misure più dettagliato, in grado di rispondere meglio agli obiettivi dell'OCM. In proposito rinvia ai suoi pareri precedenti sulla riforma dell'OCM vino (2), nei quali aveva già chiesto, tra le altre cose, programmi intesi a promuovere i prodotti di qualità nella viticoltura, nell'enologia, nella commercializzazione e nell'informazione al consumatore, misure a favore delle zone svantaggiate, come anche la possibilità di aiuti diretti legati alla superficie.

4.1.4.

Il CESE ribadisce la richiesta di misure coerenti e integrate per conseguire la massima efficacia possibile. Tali misure devono pertanto inserirsi in piani globali tali da abbracciare l'intera filiera produttiva, dalla viticoltura alla commercializzazione passando per la vinificazione. Rientrano in questo ambito anche le misure per l'apertura di sbocchi commerciali alternativi per tutti i prodotti viticoli.

4.1.5.

Il CESE torna a insistere sulla necessità di un programma specifico per la promozione delle zone vitivinicole svantaggiate, come ad esempio quelle ripide e in declivio e quelle soggette a condizioni climatiche estreme.

4.1.6.

Il CESE si compiace che, nel quadro delle dotazioni finanziarie nazionali, la Commissione abbia attribuito un ruolo essenziale alle misure di promozione delle esportazioni. Oltre a ciò, servono misure volte a informare i consumatori nell'ambito del mercato interno sulla cultura vitivinicola, e in particolare a spiegare loro i vantaggi di un consumo moderato di vino e i pericoli legati al suo abuso. Rinnova poi la richiesta di sostenere la creazione di un osservatorio del mercato europeo.

4.1.7.

Il CESE ritiene che un abbandono immediato delle misure di intervento non sia praticabile. Raccomanda pertanto che, nel quadro delle dotazioni finanziarie nazionali e per il periodo di phasing out 2008-2010, si preveda la possibilità di concedere aiuti alle distillazioni per la produzione di bevande spiritose e allo stoccaggio privato.

4.1.8.

Il CESE è dell'avviso che, nel quadro delle dotazioni finanziarie nazionali, si debbano prevedere misure di crisi basate sulla corresponsabilità dei produttori. Le misure finora previste (assicurazione del raccolto e fondi di mutualizzazione) non bastano a scongiurare le crisi congiunturali. Bisognerebbe pertanto appurare se le distillazioni di crisi concesse finora abbiano dato esito positivo e se non si possa prevedere una distillazione di crisi all'interno del quadro finanziario nazionale.

4.1.9.

L'attuale divieto di sovrapressione delle uve, del mosto e delle fecce di vino, volto a garantire la qualità delle produzioni vinicole ed evitare possibili abusi, ha dato buona prova di sé e andrebbe quindi mantenuto. Bisognerebbe concedere agli Stati membri la facoltà di innalzare le percentuali di produzione da distillare in determinati anni.

4.1.10.

Il CESE prende atto della proposta elaborata dalla Commissione riguardo alla ripartizione dei fondi destinati alle dotazioni finanziarie nazionali. Per i nuovi Stati membri, per i quali non vi sono dati storici di riferimento, si dovrebbe stabilire un apposito coefficiente di ripartizione in funzione delle rispettive percentuali di superfici vitate.

4.2.   Capo 2 — Trasferimenti di risorse finanziarie

4.2.1.

Il CESE ha sottolineato in numerosi pareri l'importanza che il secondo pilastro riveste per il futuro sviluppo dell'ambiente rurale, di cui fanno parte anche le zone vitivinicole europee. Tuttavia, anche in considerazione di questo obiettivo fondamentale, il CESE ritiene che, per risolvere i problemi specifici del settore vitivinicolo, le misure esaminate nel quadro della riforma dell'OCM vino debbano essere tutte finanziate attingendo agli stanziamenti di bilancio destinati a tale prodotto, i quali non devono quindi essere decurtati né con tagli né con storni.

4.3.   Titolo III — Misure regolamentari. Capo 2 — Pratiche enologiche e restrizioni

4.3.1.

Il CESE ritiene assolutamente necessaria una definizione internazionalmente accettata del prodotto «vino», il che presuppone anche la definizione di metodi di produzione riconosciuti. Bisognerebbe inoltre precisare che i cosiddetti «vini a base di frutta» non rientrano nell'OCM vino.

4.3.2.

Il CESE caldeggia un'integrazione più sistematica del principio della conformità delle pratiche enologiche alle norme OIV nell'orientamento strategico degli accordi commerciali bilaterali o internazionali. Riguardo ai vini di importazione, l'autorizzazione di pratiche accettate in un qualsiasi paese del mondo contraddice l'intento di una maggiore aderenza dei vini europei alle norme OIV e potrebbe condurre a ulteriori distorsioni della concorrenza. Il CESE è altresì contrario alla proposta di autorizzare, per i vini destinati all'esportazione, pratiche enologiche vietate per la commercializzazione nel mercato interno.

4.3.3.

Il CESE ritiene che al regolamento in esame occorra allegare un elenco delle pratiche enologiche autorizzate e che il Consiglio dovrebbe mantenere le competenze relative all'aggiornamento di tale elenco e all'autorizzazione di nuove pratiche.

4.3.4.

Il CESE si compiace che la Commissione sia tornata sulla sua decisione di autorizzare in Europa la produzione di vino da mosti o da concentrati di mosti importati o il taglio di prodotti di paesi terzi con prodotti europei.

4.3.5.

Il CESE esorta la Commissione a tener conto, nelle sue proposte concernenti le regole di produzione, delle diverse condizioni geografiche, climatiche e meteorologiche presenti all'interno dell'Unione europea. Esso fa notare che si tratta di una tematica molto delicata, la quale non deve dar luogo a divisioni in seno al settore vitivinicolo europeo o addirittura a un blocco delle proposte di riforma. Il CESE, tuttavia, condivide l'esigenza di un maggior controllo di tutte le pratiche enologiche al fine di promuovere e garantire la qualità dei vini.

4.3.6.

Il CESE valuta quindi le proposte della Commissione tenendo conto dei propri precedenti pareri, delle analisi presentate dalla Commissione stessa, della proposta di liberalizzare i metodi di vinificazione e del riconoscimento delle pratiche enologiche negli accordi bilaterali, nonché alla luce degli obiettivi della riforma, in particolare l'aumento della competitività e la riduzione dei costi di produzione. Soppesati i pro e i contro della proposta della Commissione, il CESE si pronuncia a favore di un sostanziale mantenimento delle norme vigenti che disciplinano l'uso del saccarosio e degli aiuti all'utilizzo del concentrato di mosto.

4.4.   Capo 3 — Denominazioni di origine e indicazioni geografiche

4.4.1.

Il CESE si compiace che la Commissione abbia precisato le sue proposte in materia di etichettatura dei vini secondo la loro provenienza. Esso ritiene, al pari della Commissione, che nella Comunità la nozione di vini di qualità si fondi tra l'altro sulle particolari caratteristiche risalenti all'origine geografica del vino. La tutela delle denominazioni di origine e delle indicazioni geografiche è un aspetto della più alta importanza. Pertanto anche l'utilizzo di una denominazione di origine o di un'indicazione geografica dovrebbe essere legato alla vinificazione all'interno di zone geografiche delimitate.

4.4.2.

Il CESE si compiace che la Commissione abbia nel frattempo chiarito le proprie proposte, precisando che è possibile mantenere i sistemi consolidati in materia di politica di qualità che non si fondino o non si fondino unicamente sul principio delle denominazioni di origine. In particolare il controllo dei vini di qualità si è dimostrato efficace in numerosi Stati membri dal punto di vista dei produttori e soprattutto dei consumatori.

4.4.3.

Ciò nonostante, molte questioni restano in sospeso per quanto concerne la compatibilità con il regolamento (CE) n. 753/2002 della Commissione, del 29 aprile 2002, che fissa talune modalità di applicazione del regolamento (CE) n. 1493/1999 del Consiglio per quanto riguarda la designazione, la denominazione, la presentazione e la protezione di taluni prodotti vitivinicoli (3). Il CESE chiede quindi l'introduzione di una tavola di concordanza che consenta di verificare l'impatto della riforma sulle denominazioni geografiche e tradizionali.

4.5.   Capo 4 — Etichettatura

4.5.1.

Il CESE considera molto complesse le proposte avanzate in materia e si attende dalla Commissione una attenta simulazione del loro impatto.

4.5.2.

Il CESE fa notare che la normativa in materia di denominazioni è stata modificata solo da poco dopo anni di discussioni, e chiede alla Commissione di presentare i nuovi elementi di cui non si è tenuto conto nel dibattito appena conclusosi.

4.5.3.

Il CESE accoglie con favore la semplificazione delle norme di etichettatura, se ciò consente al consumatore di essere meglio informato. Tali modifiche, tuttavia, non devono accrescere il rischio di distorsioni di concorrenza o di induzione in errore del consumatore, né provocare un'ondata di controversie giudiziarie. Da questo punto di vista, suscita perplessità anche la proposta della Commissione di indicare su base facoltativa il vitigno e l'annata per i vini privi di denominazione di origine o di indicazione geografica. Tale proposta può essere accolta solo se contestualmente si garantisce un sistema di controllo e di certificazione per la tracciabilità di questi vini, sì da tutelare i consumatori e impedire raggiri e concorrenza sleale.

4.5.4.

Il CESE fa presente che il progressivo allargamento dell'Unione europea sta comportando un aumento della diversità linguistica e che da ciò possono derivare ostacoli agli scambi, come attualmente avviene per l'indicazione dei solfiti. È quindi opportuno che, per i dati da indicare obbligatoriamente nelle etichette, quali ad esempio gli ingredienti, si preveda la possibilità di usare simboli comprensibili per tutti.

4.6.   Titolo V — Potenziale produttivo

4.6.1.

Il CESE si compiace che la Commissione abbia modificato le proprie proposte concernenti le regole in materia di estirpazione e ridotto le dotazioni previste a tal fine. Esso riconosce l'importanza dell'estirpazione come strumento di organizzazione del mercato, da proporre in quanto componente dei programmi strutturali regionali e nazionali all'interno del quadro comunitario complessivo per un periodo limitato dai tre ai cinque anni. L'estirpazione andrebbe proposta come misura volontaria per rimuovere le viti dalle superfici inadatte alla viticoltura e mitigare l'impatto sociale legato all'abbandono di attività non redditizie.

4.6.2.

Il CESE si compiace che la Commissione abbia modificato il calendario inizialmente proposto per la liberalizzazione degli impianti. Continua tuttavia a respingere l'ipotesi di una completa liberalizzazione, sia pure rinviata a un momento successivo, poiché ciò rischierebbe di pregiudicare il conseguimento degli obiettivi economici, sociali, ambientali e di tutela del paesaggio perseguiti dalla riforma del mercato vitivinicolo. In considerazione delle responsabilità complessive per l'occupazione, l'economia e l'infrastruttura delle zone vitivinicole, nonché per il tessuto sociale, l'ambiente e la protezione della natura, non si può sostenere lo spostamento della viticoltura dai tradizionali terreni pregiati verso superfici meno costose da coltivare.

4.6.3.

Qualora la normativa europea sugli impianti — unita al divieto di effettuarne di nuovi — non dovesse essere mantenuta, sarebbe opportuno creare un quadro che consentisse alle regioni vitivinicole di mantenere o elaborare le proprie norme in materia di diritti di impianto e regime delle colture in linea con gli obiettivi dell'OCM vino europea.

4.7.   Nuovo titolo: Promozione commerciale e informazione

4.7.1.

Il CESE considera le proposte della Commissione insufficienti per riconquistare le quote di mercato interno occupate da vini di paesi terzi, in particolare quelli del Nuovo Mondo.

4.7.2.

Il CESE esorta la Commissione a prevedere, nel quadro delle dotazioni finanziarie nazionali, un incentivo alle azioni di informazione dei consumatori e di promozione commerciale non solo sui mercati di esportazione ma anche nel mercato interno. Nel far ciò si deve badare in modo particolare a fornire un'informazione completa sui vantaggi di un consumo moderato di vino come parte integrante di un'alimentazione consapevole e di uno stile di vita moderno.

4.7.3.

Il CESE sottolinea che le misure di informazione e di promozione commerciale dovrebbero riguardare tutti i prodotti viticoli.

4.7.4.

Il CESE raccomanda di coniugare le misure di comunicazione relative ai prodotti viticoli con la promozione del turismo, della gastronomia e degli altri prodotti delle regioni interessate.

Bruxelles, 12 dicembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  GU C 325 del 30.12.2006, pag. 29.

(2)  GU C 101 del 12.4.1999, pag. 60, oltre al parere già citato alla nota 1.

(3)  GU L 118 del 4.5.2002, pag. 1.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Punto 4.3.6

Sostituire l'ultimo paragrafo con il testo seguente:

« Soppesati i pro ed i contro della proposta della Commissione, il CESE ritiene che possa essere mantenuta la possibilità di utilizzare il saccarosio, in maniera legale e secondo la tradizione, per i paesi che utilizzano tale pratica. Tuttavia, per garantire l'equità di trattamento ai produttori vinicoli dell'UE, gli aiuti ai mosti concentrati rettificati dovranno essere mantenuti ed adeguati alle nuove condizioni di mercato relative ai minori prezzi dello zucchero. Tali aiuti, necessari a mantenere una sostanziale parità di costi, non dovranno incidere sulle dotazioni nazionali, ma costituire una voce di bilancio vinicolo a sé stante. »

Motivazione

La riforma dell'OCM zucchero già in vigore da una parte, e la complessiva riforma dell'OCM vino dall'altra, cambiano profondamente la struttura dei costi di produzione del vino; è necessario, pertanto, se veramente si vuole conservare lo «status quo ante» e rispettare il principio della non distorsione della concorrenza — considerando che lo zucchero e il mosto sono di fatto concorrenti nei processi di arricchimento dei vini — prevedere sia l'adeguamento degli aiuti ai mosti sia la loro contabilizzazione fuori delle dotazioni nazionali.

Esito della votazione:

voti favorevoli: 25, voti contrari: 54, astensioni: 8

Nuovo punto 4.3.7

Aggiungere il seguente nuovo punto:

«4.3.7.

Il CESE, considerando che l'utilizzo del saccarosio per l'arricchimento dei vini significa aggiungere un prodotto non derivante dalla trasformazione dell'uva, e in coerenza con la sua istituzionale attenzione alla trasparenza dell'etichettatura e alla tutela dei consumatori, ritiene che tale pratica enologica debba essere indicata sulle etichette dei vini arricchiti con tale metodo. »

Motivazione

È nella missione, inalienabile e non negoziabile, del CESE di mantenere sempre e costantemente la massima trasparenza nella comunicazione verso gli utilizzatori dei beni e degli alimenti.

Esito della votazione:

voti favorevoli: 30, voti contrari: 70, astensioni: 21


16.5.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/47


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le prospettive dell'agricoltura nelle aree con svantaggi naturali specifici (regioni montane, insulari e ultraperiferiche)

(2008/C 120/11)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 settembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, lettera A), delle Modalità di applicazione del suo Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema:

Le prospettive dell'agricoltura nelle aree con svantaggi naturali specifici (regioni montane, insulari e ultraperiferiche)

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 27 novembre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore BROS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 dicembre 2007, nel corso della 440a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 127 voti favorevoli, 1 voto contrario e 6 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il 13 settembre 2006 il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ha adottato un parere di iniziativa sul tema Le prospettive dell'agricoltura nelle aree con svantaggi naturali specifici (regioni montane, insulari e ultraperiferiche)  (1).

1.1.1.

Il suddetto parere dedica l'intero capitolo 4 alle problematiche delle regioni montane, sottolineando fra l'altro la necessità di:

definire una politica comunitaria specifica per le zone di montagna,

elaborare una definizione armonizzata all'interno dell'Unione europea,

privilegiare le zone montane nell'assegnazione di finanziamenti nell'ambito del secondo pilastro,

consolidare le misure in materia di indennizzi a favore degli agricoltori montani,

integrare fra loro la politica agricola e quella regionale ai fini di un impatto più positivo sui territori montani.

1.2.

Il 7 dicembre 2006 il Presidente della Commissione europea José Manuel BARROSO, in una sessione di dialogo politico tenutasi alla conclusione della sessione plenaria del Comitato delle regioni, si è detto favorevole all'elaborazione di un Libro verde sulle future politiche per le regioni montane.

1.3.

Per poter prendere posizione sulla necessità o meno di realizzare il suddetto Libro verde, il CESE ha ritenuto opportuno elaborare un supplemento di parere.

1.4.

I cittadini europei beneficiano di molti beni pubblici ed economici nonché di numerosi servizi forniti dalle regioni di montagna, fra cui:

la riduzione dei rischi naturali (di cui beneficiano sia gli abitanti delle zone di montagna che gli abitanti di altre zone, ad esempio grazie alla protezione fornita ai corridoi di trasporto),

grandi spazi per il tempo libero e per il turismo (essenziali per i cittadini di un continente urbanizzato come l'Europa e per la sua competitività),

una grande biodiversità,

riserve di acqua uniche al mondo,

prodotti, soprattutto alimentari, di qualità.

1.5.

La produzione di questi beni e servizi è compromessa se le zone montane non sono gestite in modo appropriato dai loro stessi abitanti.

1.6.

Oggi e in futuro sarà necessario fare fronte a nuove, grandi sfide, quali l'esacerbarsi della concorrenza, la transizione demografica, il cambiamento climatico, ecc. Sebbene tali sfide interessino tutti i territori, il loro impatto si fa sentire ancora di più nelle zone montane, richiedendo quindi l'individuazione di risposte specifiche.

1.7.

La maggior parte delle politiche attuate nelle regioni montane sono però politiche settoriali, spesso decise altrove e senza che sia prestata un'attenzione adeguata alla specificità di queste regioni. Le politiche pubbliche dedicate alla montagna mostrano inoltre una certa tendenza ad appiattirsi, a venire estese ad altri territori e a perdere di specificità. Allo stesso tempo le politiche nazionali ed europee fanno sempre più leva sui vantaggi comparati dei territori, che si vogliono promuovere o sviluppare.

1.8.

Nonostante l'importanza che rivestono a livello europeo, le regioni montane sono soggette ad essere relegate in una posizione marginale nel contesto delle politiche europee e a vedere gravemente misconosciuto il considerevole potenziale che hanno, grazie soprattutto ai loro approcci innovativi, per contribuire alla crescita dell'Europa e all'arricchimento della sua diversità.

1.9.

In considerazione di ciò, il CESE si esprime a favore di un approccio politico ben più coerente e molto meglio integrato: lo sviluppo sostenibile delle regioni montane necessita di un approccio trasversale e territoriale.

1.10.

Un Libro verde europeo sulle future politiche relative alle regioni montane consentirebbe di razionalizzare e consolidare le politiche e le iniziative esistenti a livello europeo al fine di renderle più efficaci nel contesto specifico delle zone montane. Come evidenziato nel presente parere, ciò vale soprattutto per l'agricoltura delle zone montane. Nella maggior parte delle aree montane dell'UE, infatti, l'agricoltura è la base su cui poggiano le altre attività socioeconomiche, agroindustriali e turistiche, ecc., nonché la capacità dei territori di attrarre persone e attività. La politica agricola comune riveste quindi un ruolo di massima importanza e deve essere integrata nel bilancio delle politiche europee destinate alle regioni montane proposto dal Libro verde.

1.11.

Il CESE chiede pertanto che il Libro verde sulle future politiche europee per le regioni montane sia inserito quanto prima nel programma di lavoro della Commissione europea onde poter perseguire i seguenti obiettivi: precisare le tematiche di importanza strategica per le zone montane nei diversi Stati membri; chiarire e coordinare il ruolo dei diversi livelli di potere e settori dell'economia; consolidare i dati statistici specifici su cui poggiano le politiche in queste regioni; esaminare, alla luce degli obiettivi strategici definiti dall'Unione europea, le politiche di accompagnamento e sostegno da attuare nei suddetti territori; proporre, infine, delle prospettive per lo sviluppo delle politiche pubbliche nazionali ed europee.

1.12.

Favorendo la valorizzazione dei vantaggi comparativi delle zone montane, il Libro verde sulle future politiche per le regioni montane andrà inoltre a collocarsi nel contesto della rinnovata strategia di Lisbona e della strategia di Göteborg. Esso contribuirà così a raggiungere gli obiettivi della crescita e dell'occupazione e aiuterà l'economia europea a divenire nei prossimi anni un'economia della conoscenza con maggiore competitività sullo scacchiere mondiale. Le regioni montane possono apportare un contributo significativo a tutta l'Unione ed è importante che in futuro il loro potenziale d'innovazione e di crescita sia messo pienamente a frutto.

1.13.

Nella sessione plenaria del CESE dell'11 e 12 luglio 2007, Danuta HÜBNER, commissaria europea per la politica regionale, ha ricordato l'Agenda territoriale dell'UE, annunciando per il 2008 una relazione sulla coesione territoriale che studierà l'impatto che le grandi sfide future avranno sul territorio nonché i modi migliori per affrontarle. Il CESE chiede che, sia nella definizione attualmente in corso della politica di coesione dell'UE che nell'attuazione dell'Agenda territoriale, si tenga conto in modo adeguato delle specificità territoriali delle regioni montane, insieme a quelle delle regioni insulari e ultraperiferiche.

Bruxelles, 12 dicembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  GU C 318 del 23.12.2006, pag. 93.


16.5.2008   

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C 120/49


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 998/2003 relativo alle condizioni di polizia sanitaria applicabili ai movimenti a carattere non commerciale di animali da compagnia per quanto riguarda l'estensione del periodo transitorio

COM(2007) 572 def. — 2007/0202 (COD)

(2008/C 120/12)

Il Consiglio, in data 23 ottobre 2007, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 37 e 152, paragrafo 4, lettera b), del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 998/2003 relativo alle condizioni di polizia sanitaria applicabili ai movimenti a carattere non commerciale di animali da compagnia per quanto riguarda l'estensione del periodo transitorio

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e dato che esso aveva già formato oggetto del suo parere CES 1411/2000, adottato il 29 novembre 2000 (1), il Comitato, in data 12 dicembre 2007, nel corso della 440a sessione plenaria, ha deciso, con 131 voti favorevoli e 4 astensioni, di esprimere parere favorevole al testo proposto e di rinviare alla posizione a suo tempo sostenuta nel documento citato.

 

Bruxelles, 12 dicembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  GU C 116 del 20.4.2001, pagg. 54-56.


16.5.2008   

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C 120/50


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla

Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 76/768/CEE, 88/378/CEE, 1999/13/CE del Consiglio e le direttive 2000/53/CE, 2002/96/CE e 2004/42/CE allo scopo di adeguarle al regolamento (CE) n. … relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio delle sostanze e delle miscele e recante modifica della direttiva 67/548/CEE e del regolamento (CE) n. 1907/2006,

e alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 648/2004 per adeguarlo al regolamento (CE) n. … relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio delle sostanze e delle miscele e recante modifica della direttiva 67/548/CEE e del regolamento (CE) n. 1907/2006

COM(2007) 611 def. — 2007/0212 (COD)

COM(2007) 613 def. — 2007/0213 (COD)

(2008/C 120/13)

Il Consiglio, in data 13 novembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 76/768/CEE, 88/378/CEE, 1999/13/CE del Consiglio e le direttive 2000/53/CE, 2002/96/CE e 2004/42/CE allo scopo di adeguarle al regolamento (CE) n. … relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio delle sostanze e delle miscele e recante modifica della direttiva 67/548/CEE e del regolamento (CE) n. 1907/2006,

e alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica del regolamento (CE) n. 648/2004 per adeguarlo al regolamento (CE) n. … relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio delle sostanze e delle miscele e recante modifica della direttiva 67/548/CEE e del regolamento (CE) n. 1907/2006

Avendo concluso che il contenuto delle proposte è pienamente soddisfacente e non richiede alcun commento da parte sua, il Comitato, in data 12 dicembre 2007, nel corso della 440a sessione plenaria, ha deciso di esprimere parere favorevole ai testi proposti con 139 voti favorevoli e 3 astensioni.

Il Comitato si pronuncerà sul contenuto di un'ulteriore proposta della Commissione relativa alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio delle sostanze e delle miscele (1) in un parere (2), in corso di elaborazione, da adottare nella sessione plenaria del marzo 2008.

 

Bruxelles, 12 dicembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alla classificazione, all'etichettatura e all'imballaggio delle sostanze e delle miscele e recante modifica della direttiva 67/548/CEE e del regolamento (CE) n. 1907/2006 — COM(2007) 355 def.

(2)  NAT/367 — Relatore SEARS.


16.5.2008   

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C 120/51


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'impatto della territorialità delle norme fiscali sulle trasformazioni industriali

(2008/C 120/14)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 febbraio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema:

L'impatto della territorialità delle norme fiscali sulle trasformazioni industriali

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI), incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 13 novembre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore SCHADECK e dal correlatore GAY.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 dicembre 2007, nel corso della 440a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 102 voti favorevoli, 7 voti contrari e 6 astensioni.

Prima parte — Conclusioni e raccomandazioni

A.

L'economia europea è fortemente integrata nell'economia mondiale. Pur variando a seconda dei settori, il grado di integrazione è particolarmente marcato nell'ambito delle attività industriali più aperte alla globalizzazione. Di conseguenza, la politica economica e quella fiscale dell'Unione europea (UE) vanno definite anche in funzione dell'evoluzione mondiale. Anche se il presente parere esamina l'impatto della territorialità delle norme fiscali sulle trasformazioni industriali nell'UE, quest'ultima non va considerata in maniera isolata dal resto del mondo.

B.

L'UE e i singoli Stati membri hanno la responsabilità di gestire politiche economiche, finanziarie, sociali e ambientali le cui esigenze vanno al di là delle dinamiche di mercato. Occorre quindi far sì che la territorialità delle norme fiscali abbia un impatto positivo sulle trasformazioni industriali a livello europeo che, pur dovendo rispondere alle dinamiche di mercato, traggono beneficio dal fatto di essere inquadrate in un contesto più ampio tramite le suddette politiche. La natura stessa del processo di Lisbona poggia su un equilibrio tra i diversi assi (competitività, dimensione sociale, tutela ambientale), equilibrio che va salvaguardato tenendo conto anche della concorrenza fiscale tra gli Stati membri (1).

C.

Il Comitato constata che la concorrenza fiscale è una delle realtà del mercato interno che può determinare distorsioni della concorrenza. Essa richiede regole che assicurino la trasparenza nonché l'individuazione degli eventuali abusi e delle pratiche dannose (2). Essa presuppone anche la disponibilità di indicatori che costituiscano parametri validi per valutare lo stato della concorrenza fiscale. Il Comitato osserva tuttavia che nelle PMI la fiscalità non costituisce un fattore determinante per le decisioni circa gli investimenti. Essa ha un peso di gran lunga maggiore nelle società multinazionali più mobili.

D.

La concorrenza fiscale non riguarda soltanto la fiscalità delle imprese. In presenza di una mobilità sempre maggiore degli attivi finanziari, questa concorrenza interessa anche i redditi delle persone fisiche e l'imposizione fiscale sui patrimoni.

E.

Secondo il Comitato, il coordinamento dei dispositivi fiscali delle amministrazioni dei vari Stati membri può costituire una leva per rafforzare il funzionamento del mercato interno, eliminando le disfunzioni e i costi che derivano dall'adeguamento necessario alle norme fiscali, in particolare nelle regioni frontaliere. Il Comitato rinnova le raccomandazioni formulate recentemente nel suo parere sul programma Fiscalis 2013 (3).

F.

La mancanza di coordinamento tra i livelli dell'imposizione fiscale diretta dei singoli Stati membri porta, secondo il Comitato, a constatare situazioni di non imposizione (4), di abusi o di distorsioni nel funzionamento del mercato unico. Inoltre, questo stato di fatto determina una destabilizzazione e anche un'erosione delle entrate fiscali complessive dell'UE.

G.

La concorrenza fiscale intracomunitaria senza freni rischia, da un lato, di appesantire gli elementi della base imponibile dei soggetti d'imposta meno mobili, per esempio le piccole imprese o i servizi non delocalizzabili e, d'altra parte, di modificare la ripartizione della pressione fiscale tra contribuenti e consumatori per coprire le spese pubbliche e i trasferimenti sociali. Quest'ultimo aspetto si ripercuoterebbe negativamente sulla coesione sociale.

H.

Le PMI e le società di servizi sono le meno attrezzate per beneficiare della concorrenza fiscale. Il Comitato raccomanda di mettere a punto una serie di misure di sostegno e dei programmi di formazione per i quadri di tali imprese (analogamente a quanto avviene per i funzionari delle pubbliche amministrazioni), nonché di costituire delle banche dati adeguate, particolarmente nelle regioni frontaliere e periferiche dell'UE, per coadiuvare questo tipo di imprese nei loro sforzi d'internazionalizzazione.

I.

Il Comitato reputa che la lotta contro la frode fiscale debba essere una priorità e ricorda le conclusioni del suo recente parere in materia (5).

J.

Il trasferimento della pressione fiscale sui fattori di produzione meno mobili può determinare una minore competitività delle imprese interessate e dei loro impieghi nei confronti dei concorrenti esteri. Il tasso di crescita del PIL nazionale soffrirà di questo trasferimento delle imposte, con la possibile conseguenza di un calo della capacità di effettuare investimenti pubblici in assenza di nuove risorse di bilancio.

K.

La concorrenza fiscale induce così ogni Stato membro a gestire meglio la sua spesa pubblica. Il Comitato chiede che ciò non avvenga a scapito dell'offerta e della qualità dei servizi pubblici. Questi due elementi sono decisivi per mantenere e attrarre attività produttive creatrici di ricchezza, di posti di lavoro e, in ultima istanza, di base imponibile. La concorrenza fiscale non deve pregiudicare il finanziamento e la copertura dei sistemi di protezione sociale collettiva.

L.

Il Comitato sostiene gli sforzi degli Stati membri volti a eliminare la concorrenza fiscale pregiudizievole e il loro impegno a sopprimere una serie di disposizioni fiscali dannose entro il 2010, come previsto dal codice di condotta adottato nel 1997 (6). D'altro canto invita la Commissione a proseguire gli sforzi in questo senso, avviati nel medesimo anno.

M.

Il Comitato appoggia inoltre la politica della Commissione mirante ad assicurare che gli aiuti pubblici, inclusi i vantaggi fiscali concessi in modo selettivo alle imprese, servano a perseguire degli obiettivi sostenibili di trasformazione industriale e di sviluppo territoriale, pur restando compatibili con la politica della concorrenza all'interno dell'UE.

N.

Il Comitato chiede l'istituzione di una base imponibile comune e consolidata dell'imposta sulle società (CCCTB) (7), secondo un principio di semplificazione, equità e trasparenza delle pratiche fiscali applicato in tutti gli Stati membri. Ciò consentirebbe di sfruttare al massimo il potenziale del mercato interno, pur salvaguardando la sovranità in materia di bilancio e in materia fiscale degli Stati membri e mettendoli al riparo dal rischio di conflitti con le disposizioni del Trattato. Poiché è probabile che la CCCTB sia istituita sulla base di una cooperazione rafforzata, il Comitato auspicherebbe che essa fosse adottata dal maggior numero possibile di Stati membri.

O.

Il Comitato chiede, nondimeno, che gli vengano fornite maggiori informazioni sul contenuto, le modalità e l'evoluzione del progetto CCCTB prima di riformulare il suo parere su questo dossier complesso e strategico, limitandosi, per adesso, a ricordare il suo parere esplorativo del 2006, elaborato su richiesta del commissario KOVÁCS (8).

P.

Tuttavia, riguardo alla CCCTB il Comitato formula una serie di riflessioni e di interrogativi. Reputa auspicabile che tale progetto a carattere opzionale sia adottato dal maggior numero possibile di Stati membri (anche a costo di prevedere misure transitorie) e che questi, allo scadere di un periodo di coesistenza, finiscano per applicare un unico sistema di base imponibile a tutti i contribuenti. Occorre inoltre verificare se la base comune applicata alle imprese che operano sui mercati esterni sarà affidata a un organo transnazionale. Infine, è opportuno interrogarsi sulle ripercussioni che questa base potrà avere sulle aliquote, che rischiano di differenziarsi sempre più. In questa eventualità si potrebbe stabilire un'aliquota minima d'imposta, se del caso immediatamente inferiore all'attuale aliquota media adottata dai nuovi Stati membri.

Q.

Il Comitato raccomanda alla Commissione d'intensificare il monitoraggio delle pratiche di alcuni paradisi fiscali che si presume cerchino di sottrarre risorse imponibili ai sistemi fiscali degli Stati membri.

Seconda parte — Motivazione

1.   Obiettivo del parere

1.1.

La fiscalità (ovvero il livello della pressione fiscale e il prelievo tributario) viene spesso citata come uno dei criteri per valutare la capacità di attrazione di un territorio quale sede di un'attività industriale, finanziaria e commerciale. Non c'è invece un consenso quanto al peso relativo di questo criterio rispetto a quello di altri criteri, come la prossimità di potenziale commerciale, i costi di produzione, la disponibilità di personale qualificato, le infrastrutture e le attrezzature pubbliche, gli aiuti pubblici, ecc.

1.2.

I sistemi fiscali sono complessi e raffrontarli non è facile. Eppure è fondamentale poter valutare se gli incentivi fiscali delle varie autorità raggiungono lo scopo che esse si sono fissate, valutare il possibile impatto delle decisioni intese a favorire le trasformazioni industriali positive nel loro territorio e metterle in relazione con i costi stimati.

1.3.

Il presente parere si propone di fornire orientamenti per l'anticipazione e la gestione delle trasformazioni industriali, il perseguimento dell'obiettivo di una maggiore competitività dell'Europa — nell'ambito degli obiettivi di Lisbona — e la costruzione di un vero mercato interno, caratterizzato da una concorrenza equa e non falsata, o per lo meno «ammissibile» (vale a dire compatibile con le regole del mercato interno).

2.   Concorrenza fiscale e mobilità dei fattori economici

2.1.

Questa mobilità aumenta all'interno dell'UE per i seguenti motivi:

agli occhi delle grandi imprese, il mercato interno europeo appare come un mercato unico, il loro mercato «nazionale»,

il commercio elettronico ignora le frontiere,

i fattori di produzione e di distribuzione tendono a una progressiva segmentazione delle loro catene del valore, i cui singoli elementi acquistano una sempre maggiore mobilità (9),

i miglioramenti delle infrastrutture di trasporto e la riduzione dei costi a seguito del raggruppamento del trasporto delle merci incoraggiano le imprese e le loro filiali ad espandersi sul territorio,

le acquisizioni e le fusioni multinazionali di imprese si moltiplicano,

l'allargamento dell'UE contribuisce anch'esso alla mobilità degli investimenti economici, delle persone e dei capitali,

il miglioramento del livello delle conoscenze e della formazione linguistica contribuisce a una maggiore mobilità delle persone.

2.2.

Ogni Stato membro si avvale di tutti gli aspetti del proprio sistema fiscale, siano essi specifici oppure strutturali, per attrarre sul proprio territorio investimenti e attività, sviluppando in tal modo il proprio potenziale occupazionale e le proprie basi fiscali.

Da parte loro, i contribuenti (imprese e cittadini) cercano di ottimizzare la loro situazione economica. L'entità dei prelievi cui sono soggetti a seconda dei diversi regimi fiscali nazionali costituisce necessariamente una parte delle variabili strategiche.

2.3.

Questa concorrenza fiscale per attirare gli investimenti è una realtà che esiste anche all'interno di ogni singolo Stato.

2.4.

Non è facile quantificarne l'intensità e l'impatto reale sulla mobilità dei fattori di produzione e dei capitali. Sull'argomento esistono infatti numerosi studi, ma essi non hanno raggiunto conclusioni del tutto convergenti, se si eccettua che il criterio fiscale rappresenta solo uno dei molti fattori che determinano l'ubicazione degli investimenti «mobili». Questo punto verrà esaminato in dettaglio più avanti nel parere.

2.5.

Con l'allargamento da 15 a 27 Stati membri, l'Unione si è indubbiamente arricchita in termini di diversità. Ciascuno dei nuovi Stati membri è contraddistinto da un contesto geografico, storico, culturale, sociale, politico ed economico particolare, e apporta all'UE il proprio tessuto industriale specifico, oltre alla propria normativa fiscale specifica.

3.   Impatto della fiscalità sulle trasformazioni industriali

a)   L'imposizione sul lavoro e sul capitale investito

3.1.

Per l'insieme dell'Unione europea il gettito fiscale e contributivo complessivo ammonta al 39 % circa del PIL europeo. La totalità dei prelievi può essere disaggregata come segue (10):

Imposta sugli utili delle società

10 %

Imposta sul reddito delle persone fisiche

25 %

Contributi previdenziali

26 %

Imposte indirette

30 %

Altre imposte

9 %

TOTALE del gettito fiscale e contributivo

100 %

3.2.

Le imposte indirette comprendono essenzialmente le imposte generali sui consumi, e in particolare l'imposta sul valore aggiunto (IVA), che è armonizzata a livello dell'UE, nonché alcune imposte e tasse su determinati beni e servizi, quali le accise, che sono parzialmente armonizzate nell'Unione. Visto che le imposte indirette rivestono un'importanza solo secondaria per l'insediamento delle imprese, il presente parere si concentra essenzialmente sulle imposte gravanti sul lavoro (cfr. punto 3.2.1) e sulle imposte sul capitale investito dalle imprese (cfr. punto 3.2.2).

3.2.1.

L'imposta sul reddito dei lavoratori dipendenti e l'insieme dei contributi previdenziali corrispondono alla metà circa del totale del gettito fiscale e parafiscale. Gravando direttamente sul lavoro, tali prelievi fanno naturalmente salire il costo della manodopera salariata. Evidentemente, dato che il costo della manodopera è un fattore finanziario fondamentale per l'industria, i prelievi fiscali e parafiscali — compresa la previdenza sociale — che colpiscono il reddito dei lavoratori dipendenti rischiano di incidere in maniera diretta o indiretta sulla competitività delle imprese industriali dell'UE. L'impatto si dice diretto quando le autorità pubbliche prelevano dalle imprese le imposte o i contributi previdenziali a carico dei datori di lavoro. Quando questi prelievi sono a carico dei lavoratori dipendenti, essi riducono dapprima la loro retribuzione netta e possono successivamente avere un impatto indiretto anche sulle trattative relative alle loro retribuzioni lorde, o addirittura provocare una migrazione verso altre regioni e scoraggiare lo sviluppo di attività diverse da quelle manifatturiere caratterizzate da costi del lavoro modesti.

3.2.1.1.

Il rincaro del costo della manodopera induce ovviamente le imprese ad accrescere la produttività del lavoro aumentando l'intensità del capitale investito. Tale tendenza è particolarmente marcata negli Stati membri in cui il costo del fattore «lavoro» è più elevato. Inversamente, il costo relativo del fattore «lavoro» è una variabile (fra tante) che induce le imprese a insediare le loro operazioni ad alta intensità di lavoro preferibilmente negli Stati membri in cui il costo della manodopera è meno elevato. Dato che i prelievi fiscali e gli oneri previdenziali tendono a essere più elevati negli Stati membri in cui i livelli retributivi dei lavoratori dipendenti (compresi gli oneri sociali per il datore di lavoro e i prelievi fiscali) superano la media europea, le imposte gravanti sul lavoro accrescono il costo della manodopera, con la conseguenza che l'occupazione viene creata prevalentemente negli Stati membri che presentano una struttura dei costi più competitiva.

3.2.1.2.

Dal punto di vista del consumatore, il prezzo finale dei prodotti industriali è chiaramente determinato dai diversi elementi costitutivi del costo, compresa la tassazione. Le imposte indirette gravano sui prodotti al livello della vendita al consumatore, quindi in modo completamente neutrale. L'IVA viene percepita con la medesima aliquota nello Stato membro del consumatore, indipendentemente dal fatto che il prodotto sia stato fabbricato in un'impresa ubicata in questo paese, in un altro Stato membro o al di fuori dell'UE. In compenso, le imposte prelevate nell'Unione ai diversi stadi della produzione, in particolare i prelievi fiscali e parafiscali che riguardano il costo del lavoro, sono oneri puramente nazionali che gravano sui prodotti nel luogo di produzione. Ne consegue che il consumatore può scegliere tra prodotti soggetti a oneri fiscali più o meno significativi, in funzione dello Stato membro di produzione. Inoltre, anche se gli oneri sociali e fiscali sul lavoro fossero armonizzati all'interno dell'Unione europea, il consumatore avrebbe comunque la possibilità di scegliere tra i prodotti ivi fabbricati, con oneri fiscali e sociali più o meno pesanti, e i prodotti provenienti dall'esterno dell'UE, con oneri diversi, per non dire nettamente inferiori. È quindi importante non soltanto coordinare la struttura dei prelievi fiscali e sociali sul lavoro nell'Unione, ma anche incorporare nell'analisi gli aspetti legati agli scambi commerciali tra l'UE e il resto del mondo.

3.2.1.3.

Il Comitato raccomanda alla Commissione d'intensificare il monitoraggio delle pratiche impositive di taluni paradisi fiscali che si presume cerchino di captare risorse imponibili dai sistemi fiscali degli Stati membri.

3.2.2.

Le imposte sul capitale investito si analizzano innanzitutto al livello dell'impresa e poi, in un secondo tempo, al livello dell'investitore, vale a dire essenzialmente dell'azionista.

3.2.2.1.

L'imposta sugli utili delle società viene riscossa con aliquote nominali (11) che variano sensibilmente da uno Stato membro all'altro (cfr. tabella nell'allegato 2). Il Belgio, la Germania, la Spagna e Malta si distinguono per aliquote comprese tra il 34 e il 38 % mentre Cipro, l'Irlanda, la Lituania e la Lettonia presentano aliquote comprese tra il 10 e il 15 %.

In linea generale, nei nuovi Stati membri le aliquote dell'imposta sul reddito delle società sono nettamente inferiori a quelle dei vecchi Stati membri: la media è del 29,5 % per l'UE a 15 e del 20,3 % per l'UE a 10 (12).

3.2.2.2.

Tuttavia, le aliquote d'imposta nominali costituiscono solo un indicatore incompleto del carico fiscale. Il carico fiscale effettivo deve tenere conto delle modalità di determinazione della base imponibile e dei diversi dispositivi tecnici applicati nel calcolare l'imposta. Appare quindi opportuno fare anche riferimento all'aliquota implicita sul capitale, che confronta l'imposta a carico delle imprese con l'utile d'esercizio al lordo degli interessi (13) (cfr. tabella nell'allegato 3).

3.2.2.3.

Lo scarto tra i due strumenti di misura è sorprendente:

taluni Stati membri presentano un'aliquota nominale molto elevata, eppure sembra che esercitino una pressione fiscale relativamente ridotta sulle loro imprese,

altri Stati membri presentano un'aliquota nominale «attraente» (molto bassa), eppure sembra che esercitino una pressione fiscale relativamente elevata sul reddito delle società,

appare chiaro che certi Stati membri applicano in realtà un'aliquota elevata a una base imponibile limitata, mentre altri applicano un'aliquota meno elevata a una base imponibile più ampia. La pressione fiscale effettiva è ovviamente il risultato di queste due variabili, per cui non è possibile limitare l'analisi allo studio delle aliquote d'imposizione ufficiali. Questa tesi è confermata dai dati relativi, ad esempio, all'Irlanda e alla Germania (14).

3.2.2.4.

Queste statistiche bastano, da sole, ad illustrare la complessità della problematica dei regimi fiscali (15). Invece di trarne conclusioni affrettate, a questo stadio ci limiteremo a rilevare le differenze esistenti tra gli Stati membri, differenze che, in talune situazioni specifiche, per un'impresa che eserciti un'attività industriale sul mercato europeo possono comportare oneri fiscali, inclusi i contributi sociali, sensibilmente diversi da uno Stato membro all'altro.

b)   La catena di creazione di valore dell'impresa

3.3.

Le piccole e medie imprese (PMI) tradizionali sono sempre più aperte alla globalizzazione dei mercati, che vi partecipino o la subiscano, in particolare le PMI stabilite nelle regioni frontaliere e periferiche dell'UE. Trattandosi spesso d'imprese basate su capitali personali e familiari, esse non traggono dalla concorrenza fiscale gli stessi vantaggi che, per parte loro, le grandi imprese multinazionali sanno invece cogliere. Non dispongono, infatti, né dell'organizzazione, né delle capacità manageriali, né dei mezzi, né delle conoscenze per beneficiare di questa concorrenza. L'adeguamento delle dichiarazioni fiscali da un paese all'altro, la diversità delle basi imponibili, delle aliquote, delle esenzioni, delle norme d'ammortamento, ecc. tra paesi rappresentano, anzi, per queste PMI dei costi supplementari che ostacolano l'accesso ai mercati esteri. Eppure, questo segmento di PMI internazionalizzate (oppure da internazionalizzare) rappresenta uno dei migliori elementi di crescita in termini di creazione di ricchezza, di valore aggiunto, d'innovazione e, naturalmente, di posti di lavoro in linea con il processo di Lisbona. È necessario prevedere una serie di misure di sostegno che le aiuti a sormontare tali difficoltà. A tal fine occorre fornire ai quadri aziendali di queste imprese una formazione idonea, in modo che sappiano contribuire al cambiamento, come avviene per il personale delle pubbliche amministrazioni.

3.4.

Molte imprese che incidono significativamente sul commercio intracomunitario, e tanto più quelle attive nell'ambito degli scambi internazionali, vale a dire al di fuori dell'UE, operano in generale seguendo un altro modello economico, vale a dire:

si presentano come società di capitali i cui azionisti non risiedono necessariamente nella regione o nello Stato membro in cui è ubicata la sede principale dell'impresa,

in generale si strutturano come società madri e figlie, formando un gruppo di società più o meno integrato,

le diverse entità del gruppo operano in numerosi Stati membri, e

le diverse unità del gruppo assumono una funzione specifica; ogni unità partecipa alla creazione di valore e la catena di creazione del valore è chiaramente segmentata tra le diverse società, dal momento che ogni società assume una funzione specifica in una logica globale.

3.5.

I gruppi industriali moderni svolgono un'ampia gamma di funzioni economiche strettamente legate tra di loro (gestione delle catene di valore e di approvvigionamento, organizzazione delle varie fasi della produzione, valorizzazione di beni immateriali come le competenze, i brevetti e i marchi, ecc.) per giungere alla commercializzazione dei prodotti seguendo una strategia basata su un'analisi sistematica dei mercati. La localizzazione di tutte queste funzioni economiche obbedisce a una logica globale in cui il regime fiscale è solo una delle tante variabili.

3.6.

In una tale struttura di gruppo occorre analizzare sia i singoli soggetti giuridici che il gruppo nel suo insieme. Quest'ultimo assegna determinate funzioni economiche a ognuno dei soggetti che lo compongono in funzione dei dati economici relativi al mercato, ottimizzando l'efficienza e la redditività complessive in una prospettiva globale. È legittimo che gli Stati membri perfezionino il loro regime fiscale per stimolare l'attività economica, ed è altrettanto legittimo che le imprese trattino il carico fiscale allo stesso titolo degli altri oneri che gravano sull'impresa.

3.7.

I singoli soggetti giuridici sono vincolati alla normativa fiscale vigente nel luogo di insediamento e i dati relativi al regime fiscale vengono integrati nella logica di gestione del gruppo nel suo insieme analogamente alle altre variabili che incidono sul processo decisionale.

3.8.

La realtà dei gruppi industriali che operano sui mercati dell'Unione è quindi assai complessa. Anziché parlare di insediamento, delocalizzazione o rilocalizzazione di un gruppo, sarebbe più logico procedere a un'analisi funzionale del tessuto industriale e determinare i fattori di insediamento che intervengono al livello delle diverse funzioni economiche su scala nazionale, comunitaria e addirittura internazionale. Certe funzioni economiche sono più mobili di altre e, per alcune funzioni mobili, l'imposizione fiscale è un criterio di insediamento più pertinente che per altre. Se è evidente che l'imposizione fiscale fa parte delle variabili che concorrono a formare le decisioni, sarebbe tuttavia errato sovrastimare l'importanza dell'imposizione fiscale nella scelta dell'ubicazione.

4.   Il quadro della concorrenza tra Stati membri sul piano della fiscalità delle imprese

4.1.

Al momento la concorrenza fiscale all'interno dell'Unione europea è disciplinata da tre serie di misure:

il codice di condotta e il sistema di comunicazione delle modifiche alle legislazioni fiscali, istituiti nel 1997, hanno instaurato un dialogo attivo a livello dei ministeri delle Finanze per evitare che le misure legislative incoraggino una concorrenza fiscale pregiudizievole (punti da 4.2 a 4.4),

il diritto europeo della concorrenza e, in particolare, la legislazione relativa agli aiuti di Stato, mirano ad evitare che l'introduzione di certi regimi fiscali o l'applicazione del diritto tributario a situazioni concrete consentano a determinate imprese di beneficiare di aiuti di Stato contrari al buon funzionamento del mercato comune (punti da 4.5 a 4.7),

la maggior parte degli Stati membri ha adottato delle misure legislative per evitare che i contribuenti creino strutture artificiali e abusive destinate a far beneficiare le imprese di regimi fiscali privilegiati (punto 4.8).

4.2.

Il codice di condotta, non vincolante sul piano giuridico, impegna gli Stati membri a rispettare i principi di una concorrenza fiscale sana. Questa iniziativa ha permesso di definire una serie di provvedimenti fiscali, a livello legislativo, regolamentare e amministrativo, che hanno o possono esercitare un'influenza notevole sulla localizzazione delle attività economiche in seno all'Unione europea. Gli Stati membri interessati hanno espresso il loro accordo e hanno preso degli impegni concreti per modificare questi regimi nel senso che gli elementi di concorrenza fiscale dannosa dovrebbero essere smantellati senza eccezione al più tardi nel 2010 (16).

4.3.

Il Comitato si compiace dei risultati ottenuti grazie all'adozione del codice di condotta poiché, eliminando le pratiche fiscali dannose (17), gli Stati membri rafforzano la concorrenza fiscale sana all'interno dell'UE, contribuendo in tal modo al completamento del mercato interno.

Il Comitato incoraggia la Commissione a portare avanti tale iniziativa estendendo la portata del codice di condotta e analizzando certi regimi fiscali particolari introdotti negli ultimi anni.

4.4.

Parallelamente è stato istituito un sistema di comunicazione tra gli Stati membri e la Commissione per verificare che i cambiamenti nelle normative fiscali siano coerenti con la politica dell'Unione europea. Gli Stati membri si sono impegnati a non introdurre nuove misure fiscali considerate pregiudizievoli per gli interessi dell'Unione.

4.5.

Il Trattato di Roma prevedeva già disposizioni che vietavano agli Stati membri di concedere alle imprese aiuti, anche sotto forma di vantaggi fiscali, tali da falsare o minacciare di falsare la concorrenza all'interno del mercato comune, e che attribuivano alla Commissione la responsabilità di garantire la sorveglianza e il seguito in materia. Nel 1997, in apertura dei lavori sul codice di condotta, i ministri delle Finanze riuniti nel Consiglio Ecofin hanno esplicitamente incaricato la Commissione di proseguire la sua azione in materia di aiuti di Stato e di contrastare le normative fiscali degli Stati membri non conformi alle suddette disposizioni del Trattato.

4.6.

Nel corso dell'ultimo decennio la Commissione ha progressivamente rafforzato la propria azione in questo ambito. Essa non solo ha avviato un processo di verifica, in consultazione con gli Stati membri, al termine del quale ha precisato i criteri che l'hanno guidata nella sua azione in una serie di ambiti, ma ha altresì avviato azioni specifiche nei confronti di misure fiscali particolari adottate da taluni Stati membri.

4.7.

Contrariamente al codice di condotta, che presenta un carattere politico non vincolante, la normativa in materia di aiuti di Stato è giuridicamente vincolante. La Commissione dispone di ampi poteri e può vietare l'entrata in vigore di un aiuto incompatibile, imporne la modifica, o anche costringere lo Stato membro interessato a recuperare gli aiuti non compatibili con il mercato comune quando non siano stati notificati prima della loro concessione. In questo caso le imprese beneficiarie sono tenute a rimborsare i vantaggi fiscali loro accordati.

4.8.

La maggioranza degli Stati membri dispone di norme fiscali volte a contrastare l'evasione fiscale e il trasferimento di attività verso i paradisi fiscali. Di fatto, tutti gli Stati membri desiderano attirare sul loro territorio attività economiche grazie alle quali generare introiti fiscali ed evitare lo spostamento all'estero delle basi imponibili.

4.8.1.

Sebbene i provvedimenti fiscali adottati varino a seconda degli Stati membri, sorge talvolta il dubbio se queste disposizioni siano compatibili con il mercato interno e con la libera circolazione nell'ambito dell'Unione, visto che le norme fiscali applicate da tutti gli Stati membri sono conformi al diritto comunitario. La Corte di giustizia delle Comunità europee ha avuto modo di chiarire la sua posizione in merito: sostanzialmente le disposizioni intese a combattere l'evasione fiscale e il trasferimento dei redditi verso i paradisi fiscali sono in linea di principio incompatibili con il principio di libera circolazione all'interno dell'UE; tali disposizioni potrebbero tuttavia essere giustificate solo se si limitassero a combattere in maniera proporzionata la creazione di strutture artificiali e abusive.

4.9.

Il Comitato reputa che la lotta contro la frode fiscale debba essere una priorità e ricorda le conclusioni del suo recente parere in materia (18).

4.10.

All'articolo 93 il Trattato CE prevede l'adozione all'unanimità da parte del Consiglio delle «disposizioni che riguardano l'armonizzazione delle legislazioni relative alle imposte sulla cifra d'affari, alle imposte di consumo ed altre imposte indirette, nella misura in cui detta armonizzazione sia necessaria per assicurare l'instaurazione ed il funzionamento del mercato interno (…)».

4.11.

La Commissione europea ha avviato molte iniziative interessanti per completare il mercato interno con misure riguardanti la fiscalità delle imprese. In particolare, il 3 maggio 2007, la Commissione ha confermato che proseguirà i suoi lavori per l'introduzione di una base imponibile comune e consolidata dell'imposta sulle società (CCCTB). Il commissario responsabile per la fiscalità intende presentare, nel primo semestre del 2008, una proposta di direttiva per l'applicazione della CCCTB entro il 2010. Il Comitato conviene con la Commissione nel ritenere la CCCTB un contributo importante al successo del mercato interno, anche se significa maggiore trasparenza e quindi una concorrenza fiscale più vivace. Il Comitato esorta la Commissione a portare avanti i suoi lavori, malgrado la complessità dei problemi. Allo stadio attuale sembra tuttavia prematuro commentare in modo più puntuale questo progetto, tanto più che la Commissione non ha ancora presentato un modello dettagliato per la definizione di una base imponibile comune e consolidata e per l'introduzione di un sistema d'imposizione consolidato a livello dei 27 Stati membri dell'UE. Tuttavia, il Comitato formula una serie di riflessioni e di interrogativi per il futuro riguardo al progetto CCCTB sulla fiscalità delle imprese.

5.   Riflessioni e interrogativi del Comitato sul progetto per una base imponibile comune e consolidata dell'imposta sulle società (CCCTB)

5.1.

Dato che la CCCTB potrebbe essere opzionale per gli Stati membri (probabilmente sulla base di una cooperazione rafforzata), il Comitato auspicherebbe che essa fosse adottata dal maggior numero possibile di Stati membri, anche a costo di prevedere misure transitorie.

5.2.

Se il progetto CCCTB è facoltativo per le imprese, questa scelta porterà le amministrazioni degli Stati membri che vi parteciperanno a trattare due sistemi di dichiarazione e di imposizione. È lecito chiedersi se una situazione del genere sia concepibile in un momento in cui la maggior parte degli Stati membri s'impegna a migliorare la produttività dei servizi pubblici.

5.3.

Se il progetto CCCTB viene accolto dalle multinazionali, non vi è il rischio di disparità di trattamento (formalità, regime contabile e fiscale) tra imprese di uno stesso Stato membro fautore della CCCTB?

5.4.

In riferimento ai due punti precedenti, non si dovrebbe piuttosto auspicare l'applicazione progressiva di un solo sistema a tutti i contribuenti di uno stesso Stato membro?

5.5.

Affinché il progetto CCCTB assicuri maggiore trasparenza, sarà opportuno affidare ad un organo transnazionale il compito di provvedere alla definizione dell'imponibile comune ai fini della dichiarazione dell'imposta?

5.6.

Con il progetto CCCTB, gli Stati membri che hanno optato appunto per la CCCTB ripercuoteranno sulle aliquote le disparità impositive dissimulate nel calcolo delle basi imponibili. La base imponibile comune moltiplicherà ulteriormente il numero delle aliquote (perlomeno di quelle nominali)? La concorrenza fiscale rischia di accendersi a livello dell'annuncio delle aliquote. Uno studio della Commissione risalente al 2001 rilevava che la forte disomogeneità delle aliquote nominali era la principale responsabile delle distorsioni economiche originate dalla concorrenza fiscale!

5.7.

Se gli scarti tra le aliquote d'imposta dovessero persistere (contrariamente alla recente tendenza all'avvicinamento), o persino accentuarsi, tra gli Stati membri che hanno optato per la CCCTB, non si potrebbe prevedere in questi paesi l'istituzione di un'aliquota minima d'imposta? Questa aliquota potrebbe essere, ad esempio, immediatamente inferiore a quella adottata dai nuovi Stati membri. Questi paesi non vedrebbero modificarsi la situazione per quanto riguarda l'importazione di capitali esteri. Quanto agli altri Stati membri, essi potrebbero adottare un'aliquota d'imposta più elevata senza temere una politica fiscale esterna troppo aggressiva nei confronti del loro capitale economico.

Bruxelles, 13 dicembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  «Vi è una situazione di concorrenza fiscale se le decisioni di un'amministrazione (nazionale, regionale o locale) influenzano direttamente le capacità di altre amministrazioni e se i meccanismi di mercato si rivelano insufficienti per regolare quest'interazione» (Fonte: OCSE); per maggiori dettagli, cfr. allegato 1.

(2)  Secondo il Codice di condotta in materia di tassazione delle imprese, le misure fiscali dannose sono quelle «misure che hanno o possono avere una sensibile incidenza sull'ubicazione di attività imprenditoriali nel territorio della Comunità». Sempre in base al Codice, «vanno considerate potenzialmente dannose le misure fiscali che determinano un livello d'imposizione effettivo nettamente inferiore, ivi compresa l'imposizione di entità zero, ai livelli generalmente applicati nello Stato membro interessato».

(cfr. http://ec.europa.eu/taxation_customs/resources/documents/COC_IT.pdf e http://ec.europa.eu/taxation_customs/taxation/company_tax/harmful_tax_practices/index_en.htm).

(3)  GU C 93 del 27.4.2007.

(4)  La doppia assenza d'imposizione (o doppia non imposizione) può derivare da un insufficiente coordinamento tra i sistemi fiscali nazionali. «Discordanze possono anche sorgere, ad esempio, in relazione alla qualificazione da parte degli Stati membri del capitale di prestito e del capitale netto. Uno Stato membro può considerare un'operazione come un apporto di capitale anziché un prestito e quindi non considerare imponibile il reddito del capitale, mentre un altro Stato membro può considerare il prestito come un debito e consentire alla società che paga l'interesse di procedere alla deduzione degli interessi pagati. Tale situazione può tradursi nella deduzione in uno Stato membro senza una corrispondente tassazione in un altro Stato membro. Un altro settore è quello delle entità ibride, ossia entità che sono considerate società di capitali (opache) da uno Stato membro e società di persone (trasparenti) da un altro Stato membro; questa differenza di qualificazione da parte degli Stati membri può dar luogo a doppie esenzioni e doppie deduzioni.» (Fonte: Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeoCoordinamento dei sistemi di imposizione diretta degli Stati membri nel mercato interno, COM(2006) 823 def., punto 3).

(5)  Parere in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo sulla necessità di sviluppare una strategia coordinata al fine di migliorare la lotta contro la frode fiscale (GU C 161 del 13.7.2007, pag. 8).

(6)  Accessibile su http://ec.europa.eu/taxation_customs/resources/documents/COC_IT.pdf e http://ec.europa.eu/taxation_customs/taxation/company_tax/harmful_tax_practices/index_en.htm#code_conduct. Cfr. anche l'allegato 4.

(7)  Comunicazione della Commissione — Attuazione del programma comunitario per l'aumento della crescita e dell'occupazione e il miglioramento della competitività delle imprese europee: ulteriori progressi compiuti nel 2006 e prossimi passi verso una proposta in materia di base imponibile consolidata comune per le società (CCCTB) (COM(2007) 223 def. del 2.5.2007).

(8)  ECO/165 — CESE 241/2006, GU C 88 dell'11.4.2006.

(9)  Cfr. il parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Lo sviluppo della catena del valore e della catena di fornitura (supply chain) nel contesto europeo e mondiale (CCMI/037 — GU C 168 del 20.7.2007, pag. 1).

(10)  Fonte: OCSE, Statistiques des recettes publiques 1965-2005: Edition 2006 (Statistiche relative alle entrate pubbliche 1965-2005: Edizione 2006). I dati si riferiscono all'UE a 15.

(11)  L'aliquota nominale è l'aliquota fissata dalla legge.

L'aliquota effettiva è l'aliquota versata da un individuo o da una società, ivi compresi tutti gli altri pagamenti o compensazioni fiscali nazionali, divisa per il suo reddito totale o imponibile.

L'aliquota fiscale implicita viene stabilita per ogni funzione economica. È calcolata come rapporto tra il gettito fiscale complessivo della categoria (consumo, lavoro e capitale) e l'imponibile potenziale stimato sulla base della contabilità nazionale relativa alla produzione e ai redditi.

L'aliquota globale d'imposta implicita sui capitali è il rapporto tra il gettito di tutte le imposte sul capitale e tutte (in principio) le entrate da capitale e d'impresa dell'economia potenzialmente imponibili. Serve per calcolare l'onere fiscale medio che grava sulle entrate da capitale.

Fonte delle definizioni, vedi sopra: Commissione europea, DG TAXUD — Structures of the taxation systems in the European Union: 1995-2004 (Struttura dei regimi fiscali nell'Unione europea: 1995-2004), Commissione europea.

Gli allegati 2 e 3 riportano le tabelle di raffronto all'interno dell'UE per le aliquote nominali e le aliquote implicite sul capitale. Date le divergenze nei metodi di calcolo delle aliquote effettive, per queste non è possibile presentare una tabella equivalente.

(12)  Fonte: Commissione europea, Structures of the taxation systems in the European Union: 1995-2004 (Struttura dei regimi fiscali nell'Unione europea: 1995-2004), pag. 83 (doc. TAXUD E4/2006/DOC/3201). I dati relativi a Bulgaria e Romania non sono ancora disponibili.

(13)  Per un'analisi metodologica più esaustiva e una presentazione dettagliata dei dati, cfr. op. cit., pagg. 84-87.

(14)  In ordine alla Germania e all'Irlanda, un altro indicatore tende a confermare il paradosso summenzionato. Infatti l'imposta sul capitale rappresenta il 15 % del carico fiscale totale in Germania, mentre questa percentuale è del 28 % in Irlanda (fonte: Structures of the taxation systems in the European Union, 1995-2004, Commissione europea, tavola C.3 T).

(15)  Nel quadro di questo parere non sarà possibile analizzare tali dati per i singoli Stati membri e cercare per ciascuno di essi le spiegazioni precise, né incrociare gli indicatori statistici con altre basi di dati.

(16)  Per determinati regimi è stata decisa una scadenza che può estendersi fino al 2016.

(17)  Cfr. la definizione alla nota 2.

(18)  Parere in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale europeo sulla necessità di sviluppare una strategia coordinata al fine di migliorare la lotta contro la frode fiscale (ECO/187 — GU C 161 del 13.7.2007, pag. 8).


16.5.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/57


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Impatto delle norme ambientali europee sulle trasformazioni industriali

(2008/C 120/15)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 febbraio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema:

Impatto delle norme ambientali europee sulle trasformazioni industriali

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 13 novembre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore PEZZINI e dal correlatore NOWICKI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 dicembre 2007, nel corso della 440a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 137 voti favorevoli, 1 voto contrario e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

La politica dell'ambiente costituisce oggi una delle principali sfide sociali per i poteri pubblici e per i responsabili dell'economia. La lentezza con cui i problemi ambientali vengono affrontati su scala globale non può più costituire un alibi per rinviare i cambiamenti normativi e comportamentali necessari ad assicurare l'obiettivo fondamentale dell'UE, cioè realizzare uno sviluppo sostenibile.

1.2.

L'industria europea dispone di un potenziale rilevante per diventare un'economia sostenibile, ma il suo successo dipenderà sempre più dalle capacità innovative che saprà immettere nelle mutazioni industriali imposte dall'apertura dei mercati, dal processo di globalizzazione e dai cambiamenti tecnologici e cognitivi, accelerati dalle crescenti sensibilità verso i principi di tutela dell'ambiente e delle risorse naturali.

1.3.

Il Comitato ritiene che, sia da parte di tutti gli operatori economici e sociali, pubblici e privati, che da parte dei responsabili politici e delle autorità pubbliche, debba esserci la piena consapevolezza di essere di fronte ad una nuova rivoluzione industriale, che pone al centro dello sviluppo la qualità della vita e dell'ambiente ed impone un nuovo modo, integrato, di progettare, di produrre, di consumare, di conservare e di gestire le risorse naturali.

1.4.

Il Comitato ritiene urgente passare da un atteggiamento difensivo e reattivo ad un atteggiamento convinto e proattivo, che prepari il futuro mediante il varo, a livello dell'UE e degli Stati membri, di un quadro chiaro e stabile di azioni positive su base sostenibile in grado di accelerare:

lo sviluppo e la messa in applicazione di tecnologie pulite di processo e di prodotto,

la promozione di uno spirito imprenditoriale convinto ed attento alle produzioni manifatturiere ecocompatibili,

la formazione di personale tecnico qualificato.

1.5.

Il CESE ritiene importante che questo nuovo approccio proattivo sia basato sulla prevenzione piuttosto che su interventi correttivi a posteriori, così come su procedure unificate per tutti i soggetti, nell'ambito di un codice europeo per l'ambiente, utile per il legislatore, per gli operatori e per i consumatori.

1.6.

Il Comitato è convinto che lo sviluppo tecnologico e l'innovazione debbano ricadere soprattutto nella sfera di responsabilità primaria dell'imprenditore e delle autorità pubbliche: tuttavia, sia gli imprenditori che le autorità devono essere stimolati, incoraggiati e sostenuti da opportune politiche europee, nazionali e locali, e da partenariati pubblico-privati, che semplifichino e liberino risorse, fondamentali, per rispondere a queste sfide.

1.7.

Il Comitato ritiene essenziale che, a livello dell'UE, le nuove e sostenibili iniziative industriali vengano integrate dai fondi strutturali, dai programmi comunitari di innovazione, ricerca e formazione, e dagli strumenti finanziari pertinenti.

1.8.

Il Comitato ricorda alla Commissione e agli Stati membri la necessità di accelerare l'adozione di misure concrete di semplificazione, per eliminare gli adempimenti superflui e per ridurre i crescenti costi economici, connessi agli adempimenti burocratici e tecnici dell'attuale legislazione ambientale, la quale dovrà essere razionalizzata e coerentemente consolidata.

1.8.1.

È necessario uno stretto coordinamento e lo sviluppo, ai vari livelli, di una serie di politiche e di strumenti oltre alla realizzazione di una politica ambientale, che sia il più possibile chiara, user-friendly e senza oneri finanziari supplementari, specie per le piccole e medie imprese. Il principio «legiferare meno e meglio» deve tradursi in testi consolidati e coerenti di prescrizioni ambientali, che diano certezza giuridica e trasparenza al processo di adeguamento delle mutazioni industriali, e siano indirizzati ad una miglior tutela delle risorse e dell'ambiente e all'applicazione di innovazioni tecnologiche sostenibili e competitive sui mercati globali. Le PMI devono essere messe in grado di assorbire i costi di conformità senza compromettere il proprio vantaggio competitivo.

1.9.

Il Comitato sottolinea l'importanza di adottare rapidamente una strategia comunitaria integrata di lungo termine, che dia certezza ai decisori pubblici e privati, per far fronte agli adattamenti tecnologici e organizzativi necessari per rispettare standard avanzati di tutela ambientale.

1.10.

Il Patto di stabilità e di crescita potrebbe eventualmente essere rimodulato, per meglio recepire gli obiettivi delle strategie di Lisbona e di Göteborg, in termini di sostenibilità ambientale, per incoraggiare con chiarezza e trasparenza e senza distorsioni della concorrenza i necessari investimenti pubblici, a lungo termine, escludendoli dalla definizione di «deficit pubblico».

1.11.

Gli Stati membri dovrebbero includere nei loro rapporti annuali, relativi al processo di Lisbona, le specifiche dei piani d'investimento annuali, da loro promossi, in tema ambientale, così come i risultati delle valutazioni ex post dei loro interventi legislativi e finanziari. Tali dati già disponibili, dovrebbero specificare meglio la parte ambientale che dovrebbe divenire parte integrante di una relazione di sintesi della Commissione, da presentare ogni anno al Consiglio europeo di primavera, al Parlamento, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni.

1.12.

Il Comitato ritiene importante che le politiche nazionali evidenzino gli impatti positivi che i diversi strumenti economici e incentivi fiscali hanno sull'ambiente. Questo vale soprattutto per l'imposizione fiscale — con auspicabili soluzioni europee (1) — che si riflette:

sull'attività produttiva e sul lavoro,

sull'uso delle risorse naturali,

sui livelli di inquinamento ambientale,

sulle scelte di elevata protezione ambientale,

sulle innovazioni tecnologiche ambientali di processo, di prodotto e di organizzazione.

1.13.

Occorre accelerare la definizione di obiettivi quantificabili e condivisi, per dare operatività alle decisioni, peraltro ambiziose, prese dal Consiglio europeo di primavera e dal successivo Consiglio Ambiente.

1.14.

Il Comitato riafferma il ruolo fondamentale che le parti sociali, e i rappresentanti della società civile organizzata in sede interprofessionale o settoriale, devono svolgere ai vari livelli, a partire da quello europeo, per affrontare le problematiche della competitività, dell'energia e dell'ambiente: queste incidono infatti in modo significativo su molte industrie, impongono aggiustamenti strutturali importanti, soprattutto nel settore manifatturiero, e necessitano di uno stretto coordinamento e di una impostazione integrata, accompagnati da uno sforzo continuo di semplificazione e snellimento burocratico.

1.15.

Ai problemi ambientali, all'utilizzazione sostenibile delle risorse naturali e alla creazione di nuove opportunità di mercato rispettose dell'ambiente e di nuova e più qualificata occupazione, consapevole dei vincoli ambientali, deve far riscontro, secondo il Comitato, un contesto che sia favorevole all'impresa ed ai lavoratori e che sappia sostenere le capacità innovative di questi ultimi nonché gli sforzi economici, sociali, culturali e formativi ai quali essi sono costantemente sollecitati, per potersi misurare competitivamente sul mercato.

1.16.

Come è stato più volte ribadito dal CESE, dai vertici della Commissione, dal Consiglio e dal Parlamento europeo, è indispensabile ridurre il carico amministrativo e burocratico che grava sulle imprese per poterne liberare le forze economiche e sociali e reindirizzarle all'ammodernamento sostenibile del contesto e delle strutture produttive ed organizzative.

1.17.

Occorre dare seguito ad una politica integrata d'impresa di tipo proattivo, che sappia coniugare l'impegno per la tutela ambientale con il rafforzamento della competitività e salvaguardare la qualità della vita e del lavoro, migliorando i livelli di occupazione e garantendo delle risorse umane consapevoli e qualificate: il potenziamento dei programmi di RST e dei programmi Innovazione e competitività e LIFE+ deve essere realizzato attraverso un miglioramento della facilità d'accesso a, e in sincronia con, gli strumenti di intervento strutturale e di coesione territoriale.

1.18.

A livello dei programmi formativi ed educativi, gli sforzi comunitari di sviluppo della società della conoscenza devono essere indirizzati all'integrazione degli aspetti ambientali, a cominciare dalla scuola primaria, per arrivare alla formazione professionale, manageriale e scientifica.

1.19.

Gli aspetti sociali, economici e ambientali devono essere considerati con coerenza nelle loro implicazioni interne ed internazionali, in modo che le imprese possano misurarsi su un piede di parità con il mercato globale e che la realizzazione dello sviluppo sostenibile tenga conto della nuova e più grande interdipendenza che si è venuta a creare tra paesi e grandi aree economiche continentali.

1.20.

L'Europa deve potersi esprimere con una sola voce nelle sedi bilaterali e multilaterali per assicurare, anche attraverso l'inserimento negli accordi negoziati all'interno dell'OMC e sul piano bilaterale, oltre alla dimensione sociale, anche una forte dimensione di rispetto ambientale.

2.   Introduzione

2.1.

Il Consiglio europeo di Bruxelles dell'8 e 9 marzo 2007 ha dedicato un'attenzione del tutto particolare ai temi dell'ambiente e dei cambiamenti climatici, formulando obiettivi concreti.

2.1.1.

L'obiettivo ipotizzato è quello di ridurre le emissioni di CO2 tra il 20 e il 30 %, entro il 2020, e tra il 60 e l'80 %, entro il 2050, rispetto ai livelli del 1990.

2.2.

Già la relazione annuale 2007 della Commissione sullo stato di avanzamento della strategia di Lisbona per la crescita e l'occupazione ha posto l'accento sull'importanza dei cambiamenti climatici, delle eco-innovazioni, dell'efficienza energetica, delle fonti di energia rinnovabili e dei mercati dell'energia.

2.2.1.

La relazione ha sottolineato che l'impegno in questi settori dovrebbe condurre a soluzioni efficaci dei problemi ambientali, all'utilizzazione sostenibile delle risorse naturali e alla creazione di nuove opportunità di mercato e di nuova occupazione.

2.3.

Dal canto suo, il Consiglio Ambiente del 20 febbraio 2007 ha sottolineato la complementarità tra la rinnovata strategia dell'UE per lo sviluppo sostenibile e la strategia di Lisbona per la crescita e l'occupazione, nonché il contributo essenziale che la seconda fornisce all'obiettivo prioritario dello sviluppo sostenibile. Il Consiglio ha ribadito altresì l'importanza di una tutela dell'ambiente rafforzata, da considerare come uno dei tre pilastri essenziali dello sviluppo sostenibile, e la necessità di integrare gli aspetti ambientali in tutte le politiche.

2.4.

Una politica ambientale ben concepita, che prenda in debita considerazione i necessari periodi d'adattamento e integri i principi di una migliore regolamentazione e di una semplificazione legislativa e burocratica, può contribuire positivamente alla competitività, alla crescita e all'occupazione, attraverso la promozione attiva dell'ecoinnovazione e dell'efficienza delle risorse. Vanno evitate rincorse legislative, che sottopongano a modifiche continue la legislazione esistente.

2.5.

Il Consiglio ha impegnato la Commissione a presentare rapidamente un Libro verde sugli strumenti basati sul mercato come mezzi d'azione in materia ambientale. In esso dovranno essere indicati i possibili nuovi strumenti per la politica ambientale, efficaci sotto il profilo dei costi, da utilizzare insieme alla regolamentazione e agli incentivi finanziari, all'interno dei paesi membri. Tali misure dovrebbero evitare di produrre distorsioni sleali, ma anche perseguire una efficienza ambientale, in tutti i singoli settori produttivi salvaguardando l'adattamento di soluzioni locali a problemi locali.

2.5.1.

Come sottolineato dal Comitato, «perché una strategia per lo sviluppo sostenibile possa davvero dare un impulso reale, essa deve tuttavia venir realizzata mediante obiettivi e progetti concreti e misurabili, basati su analisi rigorose». Il documento del Consiglio di riesame della Strategia dell'Unione per lo sviluppo sostenibile«elenca invece un notevole numero di obiettivi e di misure, senza però porli in relazione con un'analisi quantificata dei dati e delle tendenze né con un'analisi qualitativa delle tematiche e dei problemi» (2).

2.6.

È quindi essenziale che la CCMI affronti l'ampia tematica dell'impatto della regolamentazione europea in materia ambientale sulle mutazioni industriali, tenendo conto dell'esperienza che il CESE e la CCMI stessa hanno sviluppato tramite l'elaborazione di numerosi pareri in proposito.

2.7.

Il Consiglio Competitività del 4 dicembre 2006 aveva sottolineato l'importanza di promuovere l'ecoinnovazione (in particolare nell'industria), la competitività, la ricerca e sviluppo, sfruttando pienamente le potenzialità offerte dai mercati guida in settori quali:

le tecnologie sostenibili con un impatto ridotto sull'ambiente e sicure,

l'eco-progettazione dei prodotti,

le fonti di energia rinnovabili,

l'efficienza energetica, il risparmio delle risorse naturali e

i servizi idrici.

A questi si dovrebbe aggiungere anche l'uso efficiente dei materiali (3).

2.7.1.

L'obiettivo è di far sì che l'Europa sia all'avanguardia nell'eco-innovazione e diventi la zona del mondo più efficiente in materia di utilizzo dell'energia.

2.8.

Negli ultimi anni, l'azione volta al contenimento della domanda ha formato oggetto di approfondite riflessioni da parte della CCMI, in particolare nei pareri del Comitato economico e sociale europeo del settembre 2003 e del settembre 2006 (4) rispettivamente dedicati ai temi Le trasformazioni industriali: situazione attuale e prospettive futureun approccio globale e Lo sviluppo sostenibile come forza trainante delle trasformazioni industriali. Tali pareri erano volti principalmente a studiare la dinamica di «uno sviluppo che soddisfi i bisogni dell'attuale generazione senza compromettere la capacità di quelle future di rispondere alle loro» (5).

2.9.

Nel presente parere d'iniziativa si vorrebbe, invece, approfondire la tematica dal lato dell'offerta di produzioni eco-sostenibili e analizzare le norme europee in materia ambientale, che incidono profondamente sul modus operandi delle industrie produttrici e distributrici, con un impatto crescente sui prodotti, sui processi e sui servizi offerti.

2.10.

La politica integrata dei prodotti (IPP), una volta definita e valutata in tutte le sue conseguenze operative, diventerà parte integrante della strategia comunitaria per lo sviluppo sostenibile. Tutti i prodotti hanno un impatto sull'ambiente, sia durante la loro produzione che durante il loro uso e smaltimento finale. Lo stesso vale anche per i servizi. L'UE cerca inoltre di stimolare la partecipazione degli operatori economici e della società civile alla protezione dell'ambiente tramite misure quali il label ecologico, il sistema comunitario di gestione ambientale e di audit o gli accordi volontari.

2.11.

Un'efficace protezione dell'ambiente passa attraverso una valutazione precisa dell'impatto che le decisioni e le azioni umane hanno sull'ambiente. Le ripercussioni sull'ambiente possono essere esaminate sia preventivamente, grazie al sistema di valutazione dell'impatto ambientale dei progetti pubblici e privati, sia a posteriori, grazie a controlli ambientali da effettuare negli Stati membri coinvolgendo tutti i soggetti interessati.

2.11.1.

La stessa attenzione deve essere riservata alla politica industriale sostenibile e al consumo sostenibile.

2.12.

Inoltre i danni alle aree naturali protette, i danni all'ambiente acquatico e la contaminazione dei suoli sono ormai oggetto di sanzioni. Il principio «chi inquina paga» è stato effettivamente concretizzato con l'adozione, nel 2004, della direttiva sulla responsabilità ambientale, in base alla quale al responsabile dei danni ambientali può essere imposta la riparazione dei danni medesimi. Esistono oramai inoltre normative europee sulla gestione dei rifiuti, sugli imballaggi, sull'inquinamento acustico, idrico e atmosferico, sui cambiamenti climatici, sui rischi naturali e tecnologici, sugli incidenti connessi a determinate sostanze pericolose (6).

2.13.

In un mercato sempre più globalizzato, l'incorporazione sistematica dei requisiti ambientali nella concezione dei prodotti (7) per ridurne l'impatto negativo sull'ambiente durante tutto il ciclo di vita è un obiettivo di ampia portata e forma oggetto di esplicite normative europee. La questione si inserisce nel quadro delle priorità a suo tempo delineate dal Sesto programma d'azione in materia di ambiente (2002-2012) dell'Unione europea, che prevedeva l'elaborazione ed il varo di sette strategie tematiche (8) sulle quali il CESE ha avuto modo di esprimere il proprio parere, e che riguardano, sia in generale che in particolare, il sistema produttivo e distributivo.

2.14.

Una concezione dei prodotti e dei processi produttivi e distributivi rispettosa sin dall'origine delle prescrizioni ambientali è un obiettivo pienamente condivisibile per la CCMI: esso deve essere attuato come parte integrante della strategia di Lisbona, per restituire competitività ad una industria europea in trasformazione, non solo in una dimensione di sviluppo sostenibile e coeso ma anche in quella di una semplificazione e snellimento degli oneri tecnico-amministrativi per le imprese, e specie quelle di minori dimensioni.

2.15.

Definire un quadro di coerenza per l'integrazione dei requisiti ecologici nella concezione, sviluppo, distribuzione e smaltimento di tutti i prodotti che consumano energia, equivale a coprire oltre il 70 % dei prodotti in libera circolazione sul mercato interno (9). Tale quadro non è limitato agli aspetti di rendimento energetico ma si applica a tutti gli aspetti d'impatto ambientale (emissioni solide, gassose, sonore, elettromagnetiche, ecc.).

2.16.

Sul sistema produttivo e distributivo si ripercuotono tuttavia anche una serie nutrita di regolamentazioni con incidenza ambientale, che vanno a trasformare profondamente il modo di produrre e di erogare servizi nell'Unione. Tale corpo legislativo necessita di trasparenza, semplificazione e consolidamento. L'impegno comunitario in materia ambientale incide infatti in modo trasversale su tutte le misure adottate dalle altre politiche: dalla standardizzazione tecnica alla regolamentazione delle sostanze chimiche del regolamento REACH, dalle misure di politica del lavoro a quelle relative al mercato interno ed all'interscambio di beni e servizi.

2.17.

L'attuazione delle politiche deve tener conto dell'impatto degli effetti collaterali, che spesso riducono la portata degli obiettivi principali (10) ma con pesanti conseguenze non volute sulla economia, in assenza di una valutazione complessiva, inserita in un quadro integrato (11).

3.   Il quadro attuale delle misure comunitarie in campo ambientale

3.1.

La politica dell'ambiente costituisce oggi una delle principali sfide sociali per i poteri pubblici e per i responsabili dell'economia. La lentezza con cui i problemi ambientali vengono affrontati su scala globale non può più costituire un alibi per rinviare i cambiamenti normativi e comportamentali che sono necessari per assicurare l'obiettivo fondamentale dello sviluppo sostenibile, che rappresenta una sfida globale a cui sono confrontati anche i nostri partner nel mondo intero.

3.2.

Lo sviluppo sostenibile deve condurre, a parere del Comitato (12), ad una società europea più prospera e più giusta, garante di un ambiente più pulito, più sicuro e più sano, che offra una migliore qualità di vita e di lavoro a noi stessi, ai nostri figli ed ai nostri nipoti: questo implica però una maggiore coerenza tra le politiche e gli strumenti adottati nell'UE, per assicurare un ambiente proattivo e non burocratico, che rispetti le dimensioni economiche e sociali delle mutazioni industriali e rafforzi le capacità delle imprese a competere efficacemente, in un contesto globale.

3.3.

Il progresso della scienza e della tecnologia è indispensabile per conciliare la crescita economica con la sostenibilità sociale e ambientale. Come ha sottolineato il Comitato in un suo recente parere, «per garantire il nostro futuro (ad esempio riguardo alle questioni dell'energia e del clima), per conservare e migliorare la nostra attuale posizione nel contesto globale, come pure per non danneggiare bensì rafforzare il modello sociale europeo è assolutamente necessario ottenere risultati tecnico-scientifici di eccellenza e trasformarli in potenziale economico competitivo» (13).

3.4.

Nel Settimo programma quadro 2007-2013 di attività comunitarie di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione, la priorità attribuita alla tematica ambientale risulta evidente: in proposito il CESE ha evidenziato come «la salvaguardia dell'ambiente riveste un'importanza fondamentale per la qualità della vita e per le condizioni di vita stesse delle generazioni attuali e future. L'obiettivo di individuare e risolvere i problemi in questo campo — siano essi imputabili all'uomo o alla natura — è particolarmente ambizioso, e probabilmente anche imprescindibile. Si tratta di un compito strettamente legato a problemi che interessano le politiche e i settori di ricerca più svariati (politica economica, energetica, sanitaria e agricola), i compiti di monitoraggio e infine, tenuto conto delle implicazioni globali, anche gli accordi internazionali» (14).

3.4.1.

Le Piattaforme tecnologiche europee (15) rappresentano uno strumento importante per sbloccare il potenziale innovativo dell'Europa. A queste si aggiunge il Piano d'azione delle tecnologie ambientali, che fa riferimento ai «Mercati guida».

3.4.2.

Il settore manifatturiero continuerà ad essere significativo per l'attività economica europea, a condizione che la sua evoluzione faccia continuo riferimento ai nuovi parametri di tutela della qualità della vita e dell'ambiente e a una sana gestione delle risorse in termini di:

nuovi modelli di business,

prodotti e servizi a forte valore aggiunto,

ingegneria industriale avanzata, utilizzando processi altamente ecotecnologici,

tecnologie e scienze produttive emergenti, per stabilire standard ecologici e tecnologici,

aggiornamento dei modelli di RST e delle infrastrutture dell'istruzione, integrando in essi i nuovi parametri ambientali,

sviluppo degli appalti verdi,

nuove forme di finanziamento di tecnologie ambientali, previste dal Piano d'azione (16),

migliore applicazione della ricerca e di standard tecniconormativi.

3.5.

Gli strumenti della politica di coesione 2007-2013 dedicano ampio spazio, tra gli obiettivi prioritari, a quelli dello sviluppo sostenibile e mirano a favorire le sinergie tra la dimensione sociale e quella ambientale, con una dotazione globale di 308 miliardi di euro: «Occorre tener conto della protezione dell'ambiente nella preparazione dei programmi e dei progetti volti a promuovere lo sviluppo sostenibile» (17).

3.5.1.

Il FESR sostiene programmi in materia di sviluppo regionale, di cambiamento economico, di potenziamento della competitività e di cooperazione territoriale su tutto il territorio dell'UE. Tra i suoi obiettivi di finanziamento figurano anche la protezione dell'ambiente, la ricerca nonché la prevenzione dei rischi in questo importante settore, soprattutto nelle regioni in ritardo di sviluppo.

3.5.2.

Il Fondo di coesione contribuisce a promuovere interventi nei settori dell'ambiente e delle reti di trasporti transeuropee. Attualmente, esso si attiva per gli Stati membri aventi un reddito nazionale lordo (RNL) inferiore al 90 % della media comunitaria (18), anche se vi è scarsità di fondi per infrastrutture ferroviarie rispetto al trasporto su strada con effetti preoccupanti sull'ambiente e sulla qualità della vita.

3.5.3.

È prevista una nuova concentrazione della spesa per la coesione su tematiche comuni: tra di esse figurano la ricerca e lo sviluppo tecnologico, l'innovazione e l'imprenditorialità, la società dell'informazione, i trasporti, l'energia, comprese le fonti rinnovabili, la protezione dell'ambiente e infine le tematiche legate alle risorse umane e alla politica del mercato del lavoro.

3.5.4.

Peraltro il Comitato ricorda che «i fondi strutturali e di coesione hanno anticipato di molto l'attuazione della strategia di Lisbona in tutte le sue dimensioni (crescita, coesione, occupazione, qualità del lavoro, sostenibilità ambientale) e hanno contribuito a consolidare il modello sociale europeo» (19).

3.5.5.

Il programma quadro per la competitività e l'innovazione PIC 2007-2013, che ha avuto un riscontro più che favorevole da parte del Comitato (20), comprende, tra l'altro, il Programma energia intelligenteEuropa, volto a promuovere lo sviluppo sostenibile nel settore energetico e a migliorare, oltre all'efficienza energetica, la sicurezza degli approvvigionamenti e delle fonti rinnovabili. Dal canto suo, lo strumento finanziario LIFE PLUS, anche se purtroppo con una dotazione finanziaria troppo modesta (21), vuole contribuire allo sviluppo di approcci e strumenti innovativi, al consolidamento della base delle conoscenze per la formulazione, il monitoraggio e la valutazione, allo sviluppo di capacità, allo scambio di buone pratiche, al miglioramento della governance ambientale e relativa diffusione delle informazioni e infine ad una sensibilizzazione alle tematiche ambientali.

3.5.6.

Come ricordato in precedenti pareri del Comitato, sono da menzionare, inoltre, i finanziamenti individuali concessi dalla BEI a favore dei progetti destinati alla protezione dell'ambiente. Essi rappresentavano un terzo del totale dei finanziamenti individuali, che nel 2005 sono stati pari, nell'Unione europea, a 10,9 miliardi di euro.

3.5.7.

Come il Comitato ha avuto modo di sottolineare, «in un contesto come il nostro, aperto alla competizione globale, una strategia di governance per uno sviluppo territoriale socialmente responsabile deve assicurare dinamiche durature di sviluppo economico e di elevata qualità sociale» così da permettere «livelli elevati di sostenibilità ambientale e sociale dello sviluppo, sia sul piano della produzione che su quello del consumo» (22).

3.5.8.

Del resto, sempre a parere del Comitato, dato che il 40 % delle emissioni di CO2 proviene dalle città, è prioritaria una politica in materia di pianificazione urbanistica «anche ai fini del rispetto delle norme e dei valori limite stabiliti dall'UE per la qualità dell'aria nelle città …» (23).

3.6.

Occorre, peraltro, rilevare che l'attuale disciplina sugli aiuti di Stato in tema ambientale, sulla quale il CESE ha avuto modo di pronunciarsi (24), riconosce tre principali tipi di aiuti:

aiuti al funzionamento, concessi per la gestione dei rifiuti e per il risparmio energetico,

aiuti alle attività di assistenza-consulenza in materia ambientale, destinati alle piccole e medie imprese (PMI) (25),

aiuti agli investimenti necessari a soddisfare obiettivi ambientali, a ridurre o ad eliminare l'inquinamento e i fattori inquinanti o ad adattare i metodi di produzione in modo da proteggere l'ambiente.

Tale regime dovrà essere rivisto entro la fine del 2007.

3.7.

Secondo il Comitato, occorre al più presto:

migliorare e potenziare il sistema per lo scambio di quote di emissioni (26),

sviluppare la cattura e lo stoccaggio del carbonio,

limitare le emissioni prodotte dai trasporti,

concentrare l'attenzione sulla crescita sostenibile,

esplorare le possibilità di risparmio energetico offerte dal miglioramento dell'informazione dei consumatori e dall'applicazione delle linee guida relative al consumo energetico degli edifici così come dalla futura carta europea de diritti dei consumatori di energia (27).

3.7.1.

Finora i miglioramenti in termini di efficienza dei carburanti sono stati in parte vanificati soprattutto dall'aumento del trasporto di merci e di passeggeri, che ha prodotto un incremento netto delle emissioni di gas ad effetto serra (cfr. la banca dati dell'International Climate Change Partnership — Agenzia europea dell'ambiente) (28). A livello locale permangono gravi problemi, tra cui in particolare la congestione del traffico, l'inquinamento acustico e le emissioni di particolato, anche se lo sviluppo tecnologico, nel campo dei filtri, potrà dare, in futuro, buoni risultati (29).

3.8.

Sul piano regolamentare e normativo, anche in campo ambientale, la situazione applicativa non appare soddisfacente se è vero che l'ultimo Internal Market Scoreboard, presentato nel febbraio del 2007, indica che il più alto numero di infrazioni alle disposizioni di mercato interno riguardano proprio il settore ambientale. Tali infrazioni sono arrivate a rappresentare oltre il 18 % di tutte le infrazioni: se ad esse si aggiungono quelle in materia di energia e trasporti, si arriva a circa un terzo di tutte le infrazioni (30).

3.8.1.

Il primo atto legislativo comunitario che si è posto tra i suoi obiettivi principali l'applicazione del principio «chi inquina paga» è stato la direttiva 2004/35/CE del 21 aprile 2004, sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale: tale direttiva aveva a suo tempo ottenuto una valutazione molto favorevole da parte del Comitato (31) perché è intesa a prevenire i danni e a riportare la natura alle condizioni originarie.

3.8.2.

Nel 2006, al fine tra l'altro di migliorare, semplificare e snellire l'impianto regolamentare, normativo ed amministrativo, si è avviata la revisione di diversi atti legislativi, tra i quali:

la direttiva 2002/95/CE RoHS, che prevede il divieto e la limitazione di utilizzo di piombo, mercurio, cadmio, cromo esavalente ed alcuni ritardanti di fiamma nelle apparecchiature elettriche ed elettroniche,

la direttiva 2002/96/CE, nota anche come WEEE, volta a prevenire e limitare il flusso di rifiuti di apparecchiature destinati alle discariche, attraverso politiche di riuso e riciclaggio degli apparecchi e dei loro componenti,

la direttiva IPPC Integrated Pollution and Prevention Control , per la prevenzione e riduzione integrate dell'inquinamento,

la direttiva quadro sui rifiuti  (32), tramite la fusione di tre precedenti direttive.

3.8.3.

Ad avviso del Comitato, si tratta di occasioni importanti offerte ai produttori per integrare gli aspetti ambientali nella propria strategia imprenditoriale a lungo termine, e per creare opportunità di mercato, attraverso migliori prestazioni ambientali nei prodotti e nei processi produttivi.

3.8.4.

Nell'ambito della strategia della politica integrata dei prodotti (Integrated product policy — IPP) un'importanza particolare, come è stato sottolineato dal Comitato in un suo parere in proposito (33), deve essere attribuita alla direttiva quadro 2005/32/CE EUP (Ecodesign dei prodotti che consumano energia): tale direttiva, che interessa tutte le apparecchiature che consumano energia, da quella elettrica a quella fossile, si propone l'obiettivo di promuovere un quadro per l'integrazione degli aspetti ambientali nella progettazione di numerosi settori industriali.

3.8.5.

Il regolamento (CE) n. 1907/2006, meglio noto come REACH — Registration, Evaluation and Authorisation of Chemicals — si sostituirà a circa quaranta regolamentazioni, creando un sistema unico per tutte le sostanze chimiche. Su questo regolamento il Comitato aveva, in passato (34), espresso alcune perplessità, a causa della sua complessità e dell'ampiezza degli allegati tecnici.

3.9.

Sul piano delle misure volontarie, sono stati approntati vari strumenti validi, che vanno dagli accordi ambientali e dal marchio di qualità ecologica europeo al sistema comunitario di ecogestione e audit (EMAS): a questi si aggiungono i quadri proposti in tema di responsabilità sociale d'impresa e di sviluppo di un territorio socialmente responsabile.

3.9.1.

Nel Piano d'azione in materia di accordi ambientali, presentato dalla Commissione nel luglio del 2002 (35) e su cui il CESE si è a suo tempo pronunciato (36), era stato indicato come obiettivo principale quello di «semplificare l'ambiente regolamentare, attraverso una nuova azione coordinata», conformemente al mandato ricevuto dal Consiglio europeo di Lisbona, confermato a Stoccolma, a Laeken e quindi a Barcellona, al fine di garantire certezza giuridica e facilitare il dinamismo degli operatori economici.

3.9.2.

Peraltro, già dal 1996 la Commissione aveva lanciato gli accordi volontari ambientali. Si tratta infatti di strumenti di autoregolamentazione e di coregolamentazione che hanno il vantaggio di sfruttare l'attitudine anticipativa dell'industria e di fornire soluzioni efficaci e adeguate ai problemi. Tali strumenti assicurano una maggiore rapidità di realizzazione e un sostanziale «miglioramento delle procedure legislative, nel senso di renderle meno complesse, più snelle, più comprensibili e più vicine ai cittadini dell'Unione», favorendo «l'adozione di accordi volontari ambientali, a livello comunitario» (37).

3.9.3.

Il Comitato sottolinea in proposito che «la Commissione dovrebbe sempre considerare se gli obiettivi che si intende raggiungere necessitino effettivamente di un quadro regolamentare, oppure sia sufficiente un'autoregolamentazione o una coregolamentazione. Il Comitato ritiene che tra diverse opzioni, occorra perseguire quella che possa garantire gli stessi obiettivi a costo inferiore e con minori oneri amministrativi e garantisca la maggior trasparenza e la maggior partecipazione possibile alle parti interessate» (38).

3.9.4.

Quanto al marchio di qualità ecologica europeo, che le imprese possono richiedere ai sensi del regolamento (CE) n. 1980/2000 per promuovere i prodotti aventi un minore impatto ambientale a preferenza di altri prodotti della stessa categoria e per fornire ai consumatori informazioni precise e scientificamente accertate sui prodotti, il suo potenziale successo potrebbe essere appannato solo dal proliferare di marcature comunitarie e di marchi aggiuntivi ecologici nazionali: «il riferimento all'adozione di diversi sistemi di etichettatura ambientale (incluse le dichiarazioni ed autocertificazioni ecologiche) lascia perplessi, rispetto alla necessità di prevedere ulteriori strumenti e tipologie di controllo da dover in seguito effettuare, a livello di Stato membro, per verificarne la veridicità. A questo proposito, il Comitato nel proprio parere sul nuovo regolamento Ecolabel (39) aveva espresso la propria opposizione alla “proliferazione” di etichette ambientali, in quanto fattore di confusione per il consumatore, oltre che di possibile errore» (40).

3.9.5.

Sull'adesione volontaria delle organizzazioni a un sistema comunitario di ecogestione e audit (EMAS), il Comitato si è espresso più che positivamente (41) ritenendolo «strumento utile a perseguire l'obiettivo essenziale di promuovere modelli di produzione e consumo (sviluppo) sostenibili»«ed inteso a riconoscere e a premiare le organizzazioni che, oltre a rispettare le norme di legge, migliorano costantemente le proprie prestazioni ambientali (42). Applicando la certificazione EMAS, le organizzazioni individuali e le istituzioni sperimentano modalità concrete intese a misurare e ridurre l'impatto ambientale di diverse attività, come ad esempio l'impiego di energia e di materiali e gli spostamenti in automobile, per ferrovia o in aereo» (43).

3.9.6.

Quanto alla responsabilità sociale d'impresa, questa, come ha sottolineato a più riprese il Comitato (44), rappresenta «un contributo importante al conseguimento dell'obiettivo strategico definito a Lisbona» e non può essere disgiunta dalla nozione di territorio socialmente responsabile e di governance territoriale delle mutazioni industriali, tramite «la creazione e lo sviluppo di nuove imprese, di nuovi profili professionali e di una maggiore e migliore occupazione, mantenendo il modello sociale europeo (45), orientato verso l'economia della conoscenza» e tramite un approccio territoriale integrato a sostegno della «ottimizzazione della tutela ambientale nelle mutazioni economiche e industriali» (46). Nel corso del periodo (2000-2005), le spese per la protezione dell'ambiente nell'UE hanno raggiunto una media annua di circa l'1,7 % del valore aggiunto dell'industria (47).

3.9.7.

L'integrazione degli aspetti ambientali nel processo di normalizzazione europea è stata trattata a varie riprese dal Comitato (48), che si è detto «convinto della necessità di accelerare, senza peraltro appesantirlo, l'iter di normazione, per garantire sviluppo e alta qualità al mercato interno, sotto tutti gli aspetti, ivi compresi quelli ambientali. Lo scopo è quello di rendere il processo di normazione efficiente, poco costoso e non burocratico, e di adeguare preventivamente le capacità istituzionali degli Stati membri».

3.9.8.

Il Comitato ribadisce in proposito l'esigenza di complementarietà tra le regolamentazioni ambientali cogenti e le norme tecniche volontarie, che nascono da un'accentuata sensibilità verso l'ambiente e la qualità; esso invita inoltre a promuovere codici di condotta più flessibili, che conducano a processi di normalizzazione eco-friendly per le imprese e in particolare per le PMI.

3.9.9.

Un ruolo importante spetta, a parere del Comitato, all'allineamento delle specifiche degli appalti pubblici ai requisiti di tutela e sostenibilità ambientale, sia nei lavori, opere pubbliche e concessioni, che nei cosiddetti «settori esclusi».

4.   Osservazioni generali

4.1.

Il Comitato ritiene che, data la stretta interconnessione esistente tra le problematiche della competitività, dell'energia e dell'ambiente, che incidono in modo significativo su molte industrie di prodotti di base e intermedi e impongono degli aggiustamenti strutturali importanti del settore manifatturiero, sia necessario uno stretto coordinamento e l'impostazione integrata di una molteplicità di politiche e di strumenti, ai vari livelli, accompagnata da uno sforzo continuo di semplificazione e di snellimento burocratico, rivolto soprattutto alle PMI.

4.2.

Per garantire la coerenza delle singole iniziative, migliorandone nel contempo la sostenibilità e la competitività, occorre, secondo il Comitato:

la partecipazione equilibrata di tutte le parti in causa, finalizzata a creare un quadro normativo stabile e affidabile in cui competitività, energia e ambiente vadano di pari passo,

un giusto equilibrio tra normazione, regolamentazione e autoregolamentazione volontaria,

il sostegno di meccanismi che favoriscano l'aggiustamento strutturale e la ricerca di nuove tecnologie pulite competitive,

la formazione e la riqualificazione delle imprese, dei loro quadri gestionali e dei lavoratori, per perseguire mutamenti industriali sostenibili e creatori di nuovi posti di lavoro e di nuove prospettive di concorrenzialità,

una sistematica valutazione d'impatto ex ante ed ex post degli strumenti sia normativi che volontari nonché delle politiche tese a garantirne la coerenza, l'efficacia e la sostenibilità,

un coinvolgimento maggiore dei consumatori, dei produttori e dei distributori sia a monte, nella concezione, che a valle, nella verifica e nel controllo dell'applicazione e del rispetto delle misure attuative,

una tutela del mercato unico europeo, che consenta una reale e comprovata parità di concorrenza — anche sotto il profilo del rispetto degli standard ambientali, sul piano interno ed internazionale.

4.3.

Le misure intese ad integrare le considerazioni ambientali nelle attività industriali hanno consentito di ottenere risultati importanti: nel periodo compreso tra il 1985 e il 2000 esse hanno permesso di realizzare nell'Unione europea una riduzione complessiva delle emissioni di anidride carbonica del settore manifatturiero superiore all'11 %, pur a fronte di un aumento della produzione del 31 % (49). Si è inoltre verificato un disaccoppiamento assoluto tra la produzione e le emissioni di gas acidificanti e precursori dell'ozono e un disaccoppiamento relativo tra la produzione e l'uso di energia e di materie prime.

4.4.

Il Comitato è convinto che la protezione dell'ambiente possa offrire nuove opportunità di dialogo tra le parti sociali e la società civile, sia a livello interprofessionale che a quello settoriale, per avviare processi di mutazioni industriali sostenibili.

4.5.

Occorre dedicare maggiori risorse alla ricerca e allo sviluppo di nuove concezioni, che risolvano i problemi alla fonte mantenendo livelli produttivi ed occupazionali di qualità, piuttosto che ricorrere allo scambio di certificati, senza risolvere i problemi che si pongono.

4.5.1.

Secondo il Comitato, il ricorso a visioni di settore a lungo termine e a tabelle di marcia per fronteggiare le sfide degli obiettivi ambientali permette, come nel caso della Piattaforma europea acciaio, di meglio perfezionare e coordinare gli strumenti e le risorse disponibili, per sfruttare al meglio l'accesso all'eccellenza scientifica e al know-how tecnologico.

4.5.2.

Le norme nazionali di attuazione delle direttive e delle regolamentazioni europee dovrebbero prevedere vari incentivi per incoraggiare un nuovo approccio alla progettazione dei prodotti, rendendone più efficace il riciclaggio.

4.6.

Le politiche della competitività, dell'energia e dell'ambiente sono strettamente interconnesse e incidono in modo significativo, soprattutto su molte industrie dei prodotti di base e di quelli intermedi.

4.7.

Per sostenere un'industria che produca in modo sostenibile, occorre una partecipazione equilibrata di tutte le parti in causa, finalizzata a creare un quadro normativo stabile e affidabile, in cui competitività, energia e ambiente vadano di pari passo. I temi da affrontare dovrebbero comprendere:

l'attuazione concreta dei principi di migliore regolamentazione,

il cambiamento climatico, in particolare l'interazione tra il sistema per lo scambio di emissioni,

le iniziative di promozione dell'efficienza energetica e delle fonti rinnovabili,

il funzionamento dei mercati dell'energia, in particolare del mercato dell'elettricità,

l'attuazione della strategia tematica sulla prevenzione e il riciclaggio dei rifiuti, e la relativa normativa,

una maggiore efficienza nell'uso delle risorse e l'adozione di tecnologie ambientali innovative.

4.8.

Per le politiche ambientali che hanno come obiettivo dei «beni pubblici locali», come la qualità dell'aria e i parchi urbani, è evidente che i cambiamenti nella «qualità ambientale» hanno ripercussioni locali significative sui prezzi degli alloggi, sull'occupazione, sulle capacità di rappresentanza delle classi meno abbienti nelle decisioni di tutela ambientale e infine sulle loro capacità/possibilità di applicare gli standard di efficienza nel risparmio energetico.

4.8.1.

In termini di occupazione, se i posti di lavoro obsoleti vengono in gran parte rimpiazzati da quelli creati dalle attività pubbliche e private, nel settore terziario la riqualificazione dei profili professionali in un'ottica ambientale richiede ingenti sforzi formativi e l'attuazione di una strategia europea per una mobilità sostenibile.

4.9.

Al fine di rafforzare l'efficacia e l'impatto positivo delle misure di tutela ambientale occorre, a parere del Comitato, garantire una dimensione internazionale alle azioni comunitarie di coordinamento: è infatti importante che l'Europa possa assicurare, anche attraverso l'inserimento negli accordi negoziati di apposite clausole di rispetto ambientale, la più vasta adesione e rispetto dei requisiti di tutela ambientale. In particolare le regole del commercio internazionale dovrebbero prendere in considerazione, oltre al dumping sociale, anche quello ecologico (50), favorendo il trasferimento delle tecnologie ambientali e l'applicazione dell'ecoinnovazione a livello mondiale (51).

4.10.

In proposito, occorrerebbe incoraggiare e sostenere iniziative per definire delle tabelle di marcia (roadmap) ambiziose ma percorribili, per sviluppare dei benchmarking internazionali settoriali per l'efficienza energetica e la riduzione delle emissioni nocive, basati sulle migliori tecnologie disponibili (BAT (52)).

4.11.

L'Unione europea deve continuare ad insistere con i paesi industrializzati e con i grandi paesi emergenti, in particolare Cina e India, per trovare nuove strade che coinvolgano tutti i paesi verso uno sviluppo sostenibile, anche attraverso la rimodulazione della politica comunitaria di cooperazione allo sviluppo (53).

Bruxelles, 12 dicembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Cfr. Sistema di Eurovignette — Direttiva 2006/38/CE che modifica la direttiva 1999/62/CE relativa alla tassazione a carico di autoveicoli pesanti adibiti al trasporto di merci su strada per l'uso di alcune infrastrutture.

(2)  Cfr. parere esplorativo NAT/348 — GU C 168 del 20.7.2007, relatore: RIBBE.

(3)  Parere CESE sul tema Lo sviluppo sostenibile come forza trainante delle trasformazioni industriali, CCMI/029 — GU C 318 del 23.12.2006.

(4)  CCMI/002 e CCMI/029 — GU C 318 del 23.12.2006.

(5)  CCMI/029 — GU C 318 del 23.12.2006, paragrafo B.

(6)  Direttiva 96/82/CE del Consiglio del 9 dicembre 1996 sul controllo dei pericoli di incidenti rilevanti connessi con determinate sostanze pericolose (direttiva Seveso II).

(7)  Direttiva 2005/32/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 6 luglio 2005 relativa all'istituzione di un quadro per l'elaborazione di specifiche per la progettazione ecocompatibile dei prodotti che consumano energia e recante modifica della direttiva 92/42/CEE del Consiglio e delle direttive 96/57/CE e 2000/55/CE del Parlamento europeo e del Consiglio.

(8)  Trattasi di strategie tematiche relative a:

inquinamento atmosferico,

ambiente marino,

uso sostenibile delle risorse naturali,

prevenzione e riciclaggio dei rifiuti,

tutela dei suoli,

uso dei pesticidi,

ambiente urbano.

(9)  Cfr. direttiva 2005/32/CE.

(10)  Cfr TEN/274, relatore: IOZIA e TEN/287, relatore: ZBORIL.

(11)  Cfr. parere TEN/286 sull'Uso dei biocarburanti/progressi compiuti, relatore: IOZIA.

(12)  GU C 117 del 30.4.2004, sulla strategia di sviluppo sostenibile.

(13)  GU C 325 del 30.12.2006, parere sul tema Sfruttare e sviluppare il potenziale dell'Europa nel campo della ricerca, dello sviluppo e dell'innovazione, relatore: WOLF (parere esplorativo).

(14)  GU C 185 dell'8.8.2006, sui programmi specifici del VII PQ 2007-2013, relatori: WOLF e PEZZINI.

(15)  Le Piattaforme tecnologiche europee (EPT) sono organizzazioni private informali che raggruppano tutti gli attori rilevanti (stakeholder) intorno ad una visione ed un approccio comune, per lo sviluppo di tecnologie in un particolare settore o di alcune aree, concentrandosi su questioni strategiche in cui la crescita, la competitività e la sostenibilità future dell'Europa dipendono da importanti progressi tecnologici. All'inizio del 2007 sono state rilevate 31 EPT. Cfr. Terzo rapporto sulle Piattaforme tecnologiche europee al lancio del PQ7. Marzo 2007, Commissione europea.

(16)  Cfr. COM(2004) 38 def.: Incentivare le tecnologie per lo sviluppo sostenibile: piano d'azione per le tecnologie ambientali nell'Unione europea.

(17)  2006/702/CE: decisione del Consiglio, del 6 ottobre 2006, sugli orientamenti strategici comunitari in materia di coesione.

(18)  Articolo 2 e segg. del regolamento (CE) n. 1084/2006 del Consiglio, dell'11 luglio 2006, che istituisce un Fondo di coesione e abroga il regolamento (CE) n. 1164/94.

(19)  GU C 93 del 27.4.2007, relatore: DERRUINE.

(20)  GU C 65 del 17.3.2006, relatori: WELSCHKE e FUSCO.

(21)  GU C 255 del 14.10.2005, relatore: RIBBE.

(22)  GU C 318 del 23.12.2006, sul tema La governance territoriale delle trasformazioni industriali, relatori: PEZZINI e GIBELLIERI.

(23)  GU C 168 del 20.7.2007, sul tema Trasporti nelle aree urbane e metropolitane, relatore: RIBBE.

(24)  GU C 318 del 23.12.2006, sulla riforma degli aiuti di Stato, relatore: PEZZINI, ed in particolare il paragrafo 3.10 «In tema di aiuti ambientali, l'inquadramento comunitario degli aiuti di Stato per la protezione dell'ambiente resterà in vigore fino al 2007. Anche in questo caso è importante perseguire gli obiettivi stabiliti dalla strategia di Lisbona, facilitando la realizzazione del sistema di scambio di emissioni di CO2 (ETS National Allocation Plans), nell'ambito degli obiettivi del protocollo di Kyoto».

(25)  Cfr. COM(2007) 379 def. dell'8.10.2007, in particolare i paragrafi: 5.2; 5.3; 5.4; 5.5.

(26)  GU C 221 del 17.9.2003, in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce una disciplina per lo scambio di quote di emissioni dei gas a effetto serra nella comunità e che modifica la direttiva 96/61/CE del Consiglio (COM(2001) 581 def. — 2001/0245 (COD), GU C 221 del 17.9.2002, pag. 27).

(27)  Cfr. COM(2007) 386 def. sul quale il CESE (sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione) sta elaborando un suo parere.

(28)  GU C 80 del 30.3.2004: Meccanismi basati sui progettiProtocollo di Kyoto (II), relatrice: LE NOUAIL MARLIERE.

(29)  GU C 318 del 23.12.2006, sul tema Strategia tematica sull'ambiente urbano, relatore PEZZINI.

(30)  Cfr. Scoreboard 15 bis, Internal Market, December 2006, pag. 21. (http://ec.europa.eu/internal_market/score/docs/score15bis/score15bis_en.pdf) Breakdown of infringement proceedings per sectorFigure 16: «Environment», «energy and transport» and «taxation and customs union» account for half of the infringement proceedings.

(31)  GU C 241 del 7.10.2002, relatrice: SANCHEZ.

(32)  COM(2005) 667 def.

(33)  GU C 117 del 30.4.2004, relatore: PEZZINI.

(34)  GU C 294 del 25.11.2005, relatore: BRAGHIN.

(35)  COM(2002) 412 def. — Comunicazione della Commissione — Gli accordi ambientali a livello di Comunità nel quadro del piano d'azione «Semplificare e migliorare la regolamentazione».

(36)  GU C 61 del 14.3.2003, relatore: GAFO FERNÁNDEZ.

(37)  GU C 61 del 14.3.2003.

(38)  Parere esplorativo del CESE 1238/2007 — INT/347: Semplificazione del contesto normativo nel settore delle macchine — relatore: IOZIA.

(39)  Paragrafo 3.2.4, GU C 296 del 29.9.1997.

(40)  Parere CESE 925/2001, relatore: PEZZINI.

(41)  GU C 258 del 10.9.1999, relatore: PEZZINI, e parere CESE 1160/2006 Cambiamento climaticoil ruolo della società civile, relatore: EHNMARK.

(42)  I consiglieri del CESE si sono ripetutamente espressi perché la loro sede, così come suggerito dalla Commissione per i suoi edifici, venga sottoposta a certificazione EMAS.

(43)  GU C 318 del 23.12.2006, Cambiamento climaticoil ruolo della società civile, relatore: EHNMARK.

(44)  GU C 169 del 6.7.1992, sul Libro verdePromuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese, relatori: HORNUNG-DRAUS, ENGELEN-KEFER e HOFFELT; GU C 223 del 31.8.2005, sugli Strumenti di misura e di informazione sulla responsabilità sociale delle imprese in un'economia globalizzata, relatrice: PICHENOT; GU C 325 del 30.12.2006, sul Partenariato per la crescita e l'occupazione: fare dell'Europa un polo di eccellenza in materia di responsabilità sociale delle imprese, relatrice: PICHENOT.

(45)  GU C 185 dell'8.8.2006, relatore: EHNMARK.

(46)  GU C 318 del 23.12.2006, sul tema La governance territoriale delle trasformazioni industriali: il ruolo delle parti sociali e il contributo del programma quadro per l'innovazione e la competitività (parere d'iniziativa), relatori: PEZZINI e GIBELLIERI.

(47)  Attualmente il VAL dell'industria rappresenta il 22 % del PIL (71 % servizi; 5 % costruzioni e 2 % agricoltura). Fonte Eurostat.

(48)  Parere del 29 novembre 2001, GU C 117 del 30.4.2004 e GU C 74 del 23.3.2005, relatore: PEZZINI.

(49)  Cfr. EIPRO, Commissione, CCR, maggio 2006.

(50)  Cfr. Libro verdePer una migliore demolizione delle navi, COM(2007) 269 def. del 22 maggio 2007.

(51)  Conclusioni del Consiglio Nuovo slancio politica ambientale UE, 28.6.2007.

(52)  BAT = Best Available Technologies.

(53)  Cfr. le valutazioni d'impatto di sostenibilità (Sustainability impact assessment — SIA) nell'ambito degli accordi APE con i paesi ACP (cfr. parere esplorativo REX/189 del 14 dicembre 2005, GU C 65 del 17.3.2006, relatore: PEZZINI, correlatore: DANTIN).


16.5.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/66


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Promuovere la solidarietà fra le generazioni

COM(2007) 244 def.

(2008/C 120/16)

La Commissione, in data 20 giugno 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Promuovere la solidarietà fra le generazioni

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 14 novembre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore JAHIER.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 dicembre 2007, nel corso della 440a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 106 voti favorevoli, 21 voti contrari e 28 astensioni.

1.   Premessa

1.1.

Il principio della solidarietà tra le generazioni è una delle chiavi strutturali del modello sociale europeo: alla luce delle conseguenze dei disequilibri demografici esso richiede un nuovo impegno e nuove soluzioni che ne consentano il rafforzamento, nel quadro di nuovi e necessari equilibri finanziari. Il mantenimento di tale principio della solidarietà tra le generazioni richiede pertanto, ai diversi livelli, un approccio attivo dei poteri pubblici ed un protagonismo di tutti i diversi attori sociali, nel garantire servizi sociali di interesse generale di qualità per le famiglie, i giovani e tutte le persone in condizioni di non autosufficienza e una durabilità dei sistemi di pensionamento e di sicurezza sociale.

1.2.

Sul complesso di questi argomenti, ed in particolare sulla conciliazione tra la vita professionale e familiare, sulla promozione delle pari opportunità e sulla promozione dell'occupazione, con particolare riferimento all'occupazione femminile, il CESE si è già espresso recentemente con una serie articolata di pareri (1) le cui raccomandazioni sono state recepite e vengono riproposte nella loro integrità dal presente parere, sia nella parte di analisi che in quella propositiva.

1.3.

Benché la comunicazione della Commissione abbia per titolo «Promuovere la solidarietà tra generazioni», il suo contenuto si concentra essenzialmente sulla problematica della famiglia, anche in relazione alla novità dell'Alleanza per le famiglie, recentemente decisa dal Consiglio europeo. La dinamica attualmente in corso a livello comunitario costituisce infatti una ripresa importante, dopo una lunga interruzione, di attenzione e di azione sul tema della famiglia, e — come afferma la stessa comunicazione della Commissione — «il primo passo di una risposta europea alle sfide poste dal cambiamento demografico». Il presente parere si concentra pertanto su tali problematiche.

1.4.

Nel 1983, il Parlamento europeo adottò una risoluzione sulla politica familiare europea, dando così per la prima volta visibilità europea alla politica familiare e permettendo soprattutto, l'anno successivo, l'apertura di una linea di bilancio per la promozione di attività a favore delle famiglie.

1.5.

Nel 1989 si tenne la prima riunione del Consiglio dei ministri della famiglia, che adottò alcune importanti misure sulla base delle proposte della Commissione europea. Così, fu richiesto alla Commissione stessa di istituire un osservatorio europeo della situazione sociale, della demografia e della famiglia, oggi denominato Osservatorio della demografia e della situazione sociale, nonché gruppo di alti funzionari governativi sulla famiglia. Infine, la Commissione creò un gruppo Interservizi sulla dimensione familiare delle varie politiche comunitarie. In tale occasione il Consiglio decise anche l'istituzionalizzazione di contatti con le organizzazioni familiari e con l'intergruppo «Famiglia e protezione dell'infanzia» del Parlamento europeo.

1.6.

Nel 1994, 1999 e 2004 il Parlamento adottò delle nuove risoluzioni, mentre già nel 1988 era stato costituito un intergruppo Famiglia.

1.7.

La crisi delle linee di bilancio e della loro base legale, nel 1998, ha purtroppo messo fine anche alla linea dedicata al sostegno alle famiglie.

1.8.

La comunicazione in oggetto costituisce il seguito della riflessione della Commissione sul tema della demografia, iniziata con il Libro verde del 2005 sulle sfide demografiche (2) e portata avanti con la comunicazione Il futuro demografico dell'Europa: trasformare una sfida in un'opportunità  (3). Esso s'inserisce peraltro in una più ampia dinamica istituzionale, avviata dalla presidenza tedesca con le conclusioni del Consiglio europeo di primavera e terminata con le conclusioni del Consiglio dei ministri sull'Alleanza per le famiglie del 30 maggio 2007, poi riprese nelle conclusioni del Consiglio europeo del 21-22 giugno 2007.

1.9.

La comunicazione ricorda come in Europa esistano essenzialmente tre tipologie d'intervento a sostegno della famiglia: compensazioni dei costi, diretti ed indiretti, connessi alla famiglia; servizi di sostegno ai genitori per la custodia e l'educazione dei figli e per la cura delle persone non autosufficienti; adattamento dei tempi e delle condizioni di lavoro e di occupazione e dell'organizzazione dell'accesso ai servizi sociali di interesse generale a livello locale. Tali dimensioni hanno avuto uno sviluppo molto diverso nei vari Stati membri, a seconda delle scelte politiche e degli obiettivi stessi di queste. Se la Commissione ritiene difficile indicare quali siano le politiche più efficaci, essa sottolinea tuttavia come alcuni Stati (i paesi scandinavi) siano riusciti a trovare un mix di politiche che promuovono la conciliazione della vita professionale e della vita familiare nonché la parità di genere in modo da favorire al contempo un tasso di fecondità elevato e un tasso di occupazione femminile ugualmente sostenuto.

1.10.

Benché le politiche familiari stricto sensu siano di esclusiva competenza degli Stati membri, la Commissione ricorda come l'Unione europea abbia sempre cercato, nella sua azione politica, di tener conto della dimensione della famiglia e della qualità della vita dei suoi membri. Peraltro, la conciliazione tra vita familiare e professionale è diventata uno degli assi portanti delle politiche comunitarie di occupazione, nel quadro della strategia di Lisbona.

1.11.

La comunicazione della Commissione passa poi a delineare le caratteristiche dell'Alleanza europea per le famiglie e l'azione comunitaria volta a sostenerla. È in particolare previsto un gruppo ad alto livello di esperti governativi sulle questioni demografiche, l'organizzazione di forum e reti europei, ma anche nazionali, regionali e locali, la creazione presso la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro di un osservatorio delle buone prassi, e quindi una serie di dispositivi di ricerca incentrati in particolare sul Settimo programma quadro. Infine, la Commissione intende mobilitare le risorse dei fondi strutturali europei a sostegno delle pari opportunità e della conciliazione fra vita familiare e professionale.

2.   Constatazioni e sfide

2.1.1.

La questione della solidarietà tra le generazioni è certamente assai ampia e complessa e si inserisce nel più articolato quadro delle sfide poste dai diversi cambiamenti sociali, economici e internazionali in atto, tra cui in particolare l'invecchiamento della popolazione, che avranno un impatto consistente sulla vita futura dei cittadini europei, e segnatamente sulle condizioni di lavoro e sulle condizioni sociali. La Commissione, nella sua comunicazione, osserva che la strategia di Lisbona fornisce le basi per la modernizzazione della politica della famiglia, promuovendo le pari opportunità e soprattutto dando impulso alla conciliazione della vita professionale e familiare e della vita privata, che fa aumentare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro. Questa conciliazione è evidenziata anche negli orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione, in base ai quali la politica occupazionale dovrebbe essere adattata per diventare compatibile con le circostanze della vita familiare e i cambiamenti che queste subiscono durante le diverse fasi. Il metodo di coordinamento aperto, che si applica alla sicurezza sociale e all'integrazione sociale, si concentra sul miglioramento della situazione dei minori poveri e delle loro famiglie, con misure di sostegno per l'assistenza di lungo periodo di persone non autosufficienti e con provvedimenti di modernizzazione delle pensioni.

2.1.2.

L'incontro tra le generazioni, che si realizza e si sviluppa nella famiglia, è diventato una sfida di enorme portata anche per l'Europa. La famiglia è il luogo privilegiato in cui si esplica fisiologicamente la solidarietà di genere e del ciclo di vita. I cambiamenti sociali hanno fatto emergere molte forme diverse di strutture familiari. Quando si concepiscono delle misure si deve tener conto della varietà delle situazioni familiari, con riferimento sia al principio di sussidiarietà che al diritto interno degli Stati membri (4).

2.1.3.

I rapporti più recenti sulla situazione sociodemografica ci dicono che nei vari paesi il numero dei nuclei familiari sta aumentando, mentre la loro ampiezza diminuisce. Al contempo, la struttura delle famiglie muta molto più velocemente di un tempo a causa della diminuzione dei matrimoni (il numero dei matrimoni è diminuito da 8 per 1 000 abitanti negli anni '60 a 5,1 per 1 000 abitanti nel 1999), dell'innalzamento dell'età in cui ci si sposa, dell'aumento delle separazioni e dei divorzi, dell'aumento delle persone che vivono da sole e dell'aumento dei figli nati fuori dal matrimonio. A tale proposito il numero di bambini, all'interno dell'UE, che vivono in una famiglia monoparentale è cresciuto del 50 % dal 1983, e attualmente il 13 % dei bambini dell'Unione vive in una famiglia con un solo genitore (con una punta del 25 % in Gran Bretagna) (5). Un numero crescente di bambini vive in famiglie ricomposte, in cui vi sono nonni e fratelli appartenenti a famiglie precedenti. Crescono le adozioni di bambini non europei e come conseguenza dell'immigrazione sono comparse nuove culture familiari.

2.1.4.

Il tasso di fecondità in Europa è oggi intorno a 1,45 figli per donna, e quindi ben al di sotto del tasso di sostituzione della popolazione. I livelli più bassi si registrano nei paesi mediterranei e nei paesi dell'Est. Il declino della natalità è un fenomeno quasi universale all'interno dell'Unione europea: dagli anni '60 ad oggi la natalità ha conosciuto una caduta di oltre il 45 %.

2.1.5.

Le nostre società contano pertanto sempre meno giovani e bambini e sempre più pensionati e persone anziane in generale. Nel 1950, il 40 % della popolazione dell'UE-25 aveva meno di 25 anni. Nel 2000 tale quota era solo del 30 % e nel 2025 essa scenderà al 25 %. Per contro, nel 1950 solo 1 persona su 10 aveva più di 65 anni, mentre nel 2000 era già 1 su 6 e nel 2025 ci si avvicinerà ad 1 su 4. Queste cifre fanno prevedere cambiamenti profondi nella struttura dei consumi, nei bisogni di alloggio e di cura, nei comportamenti sociali e nelle stesse priorità delle politiche pubbliche.

2.1.6.

Certo oggi, grazie ai diversi modelli di sicurezza sociale esistenti in Europa, delle condizioni di lavoro e dei progressi della medicina, la maggior parte delle persone anziane può contare su un tempo di vita assai più lungo e con un reddito relativamente confortevole. Ma esistono comunque pesanti problemi di povertà, che toccano almeno 1/6 delle donne con più di 65 anni, e in generale circa un quarto delle persone anziane che vivono sole (6). La povertà e l'esclusione tra le donne anziane sono di solito il risultato del fatto che esse hanno avuto percorsi lavorativi limitati o inesistenti. Questa situazione diventa ovviamente più seria per gli ultrasettantenni e gli ultraottantenni, creando un peso sempre più insostenibile per le famiglie, nella misura in cui il sistema di sicurezza sociale e di assistenza sociale non è in grado di fornire servizi adeguati.

2.2.

Secondo l'Eurobarometro (7), il 97 % degli europei considera la famiglia tra gli aspetti più significativi della propria vita, collocandola subito dopo la salute. L'opinione positiva degli europei nei confronti di tale aspetto risulta ancora più diffusa se essi sono chiamati ad esprimere un giudizio in chiave futura (8). L'importanza della famiglia risulta evidente in relazione ai casi in cui si ha bisogno di aiuto: il 70 % dice di rivolgersi al proprio partner, mentre il 25 % si rivolge ad un altro membro della famiglia, in particolare in caso di malattia (88 %), di bisogno di un consiglio (78 %) o di bisogno di soldi (68 %).

2.3.

Le famiglie in Europa vivono sempre più nelle aree periferiche delle grandi città. Questo modello, però, nasconde forti differenze per fascia di età: le persone molto anziane e i giovani sono più legati alla residenza nelle grandi città, mentre le famiglie con figli e le persone in età pensionabile tendono a spostarsi verso piccoli centri. La diversa localizzazione per fasce di età tende a generare nuovi problemi in termini di gestione dei servizi e di coesione sociale nelle grandi aree metropolitane, fenomeno accentuato anche dai movimenti migratori, mediamente più sostenuti nelle città in cui è richiesta una maggiore quantità di forza lavoro.

2.4.

Con riferimento all'età della popolazione, la percentuale di popolazione europea con più di 65 anni è aumentata, toccando nel 2005 il 17,2 % (UE-15). Le donne, per la loro maggiore longevità, rappresentano la quota più rilevante del crescente contingente di anziani e in tutti i paesi europei rappresentano più del 50 % della popolazione con età superiore ai 65 anni.

2.5.

Per quanto concerne la povertà, essa tocca circa 72 milioni di persone nell'UE-25 (cioè il 15 %) mentre 26 milioni sono ai limiti della relativa soglia di rischio (9). Di questi, circa 12 milioni sono persone anziane; il 9 % della popolazione dell'UE ha vissuto in una famiglia a basso reddito per due dei tre ultimi anni della propria vita; il rischio povertà si concentra maggiormente nelle famiglie che hanno più figli. Circa il 20 % dei 94 milioni di giovani con meno di 18 anni in Europa è esposto al rischio di povertà e nel corso degli ultimi tre decenni il tasso di povertà dei bambini è cresciuto in tutti gli Stati dell'Unione ed oggi supera quello della popolazione complessiva, con particolare punte di gravità nel caso delle famiglie monoparentali, delle famiglie che conoscono situazioni durevoli di disoccupazione o sottooccupazione e delle famiglie numerose. I figli delle famiglie povere soffrono di privazioni, sono fortemente svantaggiati, hanno maggiori problemi di salute e risultati scolastici negativi, con evidenti costi sociali, economici e politici per il futuro. Una mancanza di interesse per i diritti dei minori può alimentare un clima favorevole alla delinquenza minorile, allo sfruttamento e alla tratta dei minori.

3.   Osservazioni generali

3.1.

Nonostante quanto richiamato in premessa, le istituzioni dell'Unione europea hanno sinora mostrato forti difficoltà a considerare la famiglia come una struttura sociale che svolge un ruolo essenziale nella società contemporanea e che pertanto merita di essere oggetto di un maggiore interesse comunitario.

3.2.

Seppure il panorama internazionale ed europeo sia ricco di Dichiarazioni ufficiali — da parte dei più svariati organismi pubblici — che attribuiscono alla famiglia un ruolo fondamentale nella società, a livello concreto l'Europa non sembra aver sinora incluso la famiglia nelle sue priorità, che si basano essenzialmente su due pilastri: da un lato, le forze del libero mercato e della concorrenza e, dall'altro, l'uguaglianza di opportunità per tutti i cittadini. Il riferimento a questi due pilastri è evidente per esempio all'interno della strategia di Lisbona e dell'agenda sociale 2005-2010.

3.3.

In linea generale, la Commissione europea affronta il tema della famiglia sotto il profilo della politica sociale, dell'occupazione e delle pari opportunità (10). Di norma, però in molti documenti che toccano aspetti quali i giovani, i diritti dei bambini, le questioni formative, ecc., la nozione stessa di famiglia è quasi sempre assente e l'approccio è prevalentemente orientato alla sola prospettiva dei diritti individuali, ovvero della persona come soggetto economico. Raramente la persona viene considerata nella sua dimensione relazionale, e quindi in primo luogo quale parte di una famiglia e del sistema di relazioni sociali che ruota intorno ad essa, mentre di fatto la famiglia continua a svolgere un ruolo prevalente nel sostenere il percorso di crescita di una persona, nell'accompagnarne l'inserimento sociale e lavorativo e molto spesso anche nel farsi carico della sua malattia, come anche delle sue eventuali condizioni temporanee o durature di disabilità e non autosufficienza. I servizi offerti dalle amministrazioni pubbliche, dal mercato privato o sociale restano fondamentali, specie nel promuovere la conciliazione della vita lavorativa e di quella familiare, evitando la povertà e la disoccupazione nell'ambito della famiglia e sostenendo le famiglie che soffrono di problemi legati a malattie, abuso di sostanze, difficoltà nell'allevare i figli e violenza domestica. Tali servizi, da soli, non costituiscono però una risposta sostitutiva ai bisogni emozionali e affettivi della persona, sia essa quella che è presa in carico che quella che se ne cura (11).

3.4.

La crescente domanda di attenzione alla famiglia da parte dei cittadini europei sembra tuttavia essere stata recepita assai positivamente dalla presidenza tedesca dell'UE, che ha proposto una «grande alleanza» tra le istituzioni al fine di favorire politiche coordinate che possano controbilanciare la riduzione delle nascite e l'aumento degli anziani. Negli ultimi due anni si registra in effetti una fase di rilancio che interessa tutte le istituzioni dell'Unione e si caratterizza per un approccio più sistematico, strategico e prospettico, e dunque con maggiori potenzialità.

3.5.

Questo è evidente a partire dalle importanti disposizioni della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea attinenti alla famiglia (12), anche se sarebbe stato auspicabile che in sede di revisione dei Trattati fosse stato inserito nell'articolo 3 dedicato agli obiettivi dell'Unione europea un esplicito riferimento al «sostegno della vita familiare».

3.6.

Il CESE esprime un ampio apprezzamento per la comunicazione della Commissione, la quale predispone una concreta agenda operativa per dare sostanza alla prospettata Alleanza per le famiglie. Essa rappresenta una piattaforma costruttiva, che recepisce diversi degli orientamenti che il CESE, e più in generale il dibattito di questi anni, ha già formulato, per rispondere alle sfide dei cambiamenti demografici, sostenere la cooperazione e il partenariato tra i vari attori, incoraggiare una migliore risposta ai bisogni delle famiglie nella presa in carico dei figli e delle altre persone in stato di non autosufficienza, migliorare il livello di conciliazione del lavoro con la famiglia e la vita privata anche attraverso un decisivo investimento in un sistema di servizi di qualità per l'infanzia e per le famiglie, contribuendo così a rilanciare una nuova e più solida solidarietà intergenerazionale.

3.7.

Rimane tuttavia deplorevole il fatto che, a causa del mancato sostegno di alcuni Stati membri, non si sia potuto applicare a tale ambito il metodo di coordinamento aperto, dando così maggiore pregnanza strategica e strutturale all'Alleanza. Il CESE riconosce tuttavia che la comunicazione offre basi possibili per sviluppare una piattaforma organica, che non pregiudichi la possibilità di ulteriori sviluppi basati su un più esplicito coordinamento.

3.8.

Si tratterà dunque di vigilare affinché, dopo l'impulso decisivo dato dalla presidenza tedesca dell'Unione, non si verifichi il rischio di una possibile marginalizzazione di tale nuova linea di lavoro. Nel quadro della nuova e sempre più forte attenzione delle diverse istanze europee alle questioni sociali e del benessere dei cittadini, la famiglia comincia ad essere un nuovo centro di attenzione, riflessione e azione. Queste prime e timide aperture devono essere progressivamente rafforzate ed estese, grazie a un piano di lavoro articolato che dovrebbe concludersi con il 3o forum demografico europeo, previsto nel 2010.

3.9.

Più in generale si tratta di riconoscere pragmaticamente il contributo sostanziale che le famiglie continuano a garantire alle nostre società e alla cura, in concreto, delle persone in ogni età della vita, considerando anche da questo punto di vista sia l'utilità sociale ed economica della famiglia sia l'insostenibile aumento dei costi che si avrebbe in termini soprattutto di servizi di welfare, qualora essa non fosse adeguatamente sostenuta ed incoraggiata nello svolgimento del proprio ruolo.

3.10.

In questa prospettiva un ruolo significativo lo stanno già svolgendo i partner sociali ai diversi livelli. Nell'ambito del loro primo programma di lavoro congiunto 2003-2006, i partner sociali europei hanno presentato una griglia di azione in materia di pari opportunità, con un riferimento particolare alla conciliazione tra vita familiare e vita professionale e tutte le materie connesse, mentre il loro secondo programma per il 2006-2008 è basato su un'ampia analisi delle principali sfide del mercato del lavoro (13). Il CESE incoraggia le parti sociali a proseguire in questa direzione.

3.11.

Si deve anche e sempre più considerare la dimensione strutturale del ruolo di produzione e riproduzione del capitale sociale e relazionale, il quale viene vieppiù riconosciuto come fondante per il benessere dei singoli cittadini e della società tutta. Il tempo dedicato ai figli e alla famiglia è certamente un tempo che viene sottratto alla carriera, ma è anche un investimento nella cura o nella formazione delle persone e dunque va riconosciuto e valorizzato. Si deve riflettere quindi sulla possibilità di affiancare alle misure già esistenti (trasferimenti, detrazioni fiscali, congedi parentali, ecc.) anche una qualche forma di riconoscimento pensionistico del tempo dedicato alla cura dei soggetti non autosufficienti che vivono in famiglia (14), evitando così che la solidarietà tra generazioni crei un debito differito (in termini di pensioni inadeguate e conseguente maggiore rischio di povertà), che peserà soprattutto sulle donne.

3.12.

Così si deve anche considerare la dimensione di dono gratuito del tempo, che è difficilmente contabilizzabile e dunque spesso invisibile, ma che tuttavia incide profondamente sulla qualità della vita sociale, fatto che è sempre più ricercato e apprezzato dalla maggior parte delle persone.

3.13.

È necessario pertanto che venga espressa una diversa valorizzazione sociale, esplicita e positiva, verso questa dimensione strutturale e fondante delle persone, originaria e generativa del legame sociale, che accompagni un migliore sviluppo e adeguamento di tutte le altre condizioni di ambiente e di servizi atte a consentire di realizzare le aspettative di creare una propria famiglia, di avere il numero dei figli desiderato e di prendersi cura in modo sereno dei propri cari.

4.   Osservazioni specifiche

4.1.

La comunicazione della Commissione individua già alcune linee di lavoro positive e ben strutturate nelle intenzioni e nelle prime applicazioni (come è il caso dell'insediamento del gruppo di alto livello di esperti governativi sulle questioni demografiche). Il CESE appoggia queste linee di lavoro, ne incoraggia il pieno sviluppo e auspica che ad esse venga costantemente data un'adeguata pubblicità e ne vengano diffusamente comunicati gli stati di avanzamento, per cercare di conseguire la maggiore partecipazione possibile al processo.

4.2.

Per quanto attiene il positivo coinvolgimento degli enti locali e regionali, che ricopre una particolare rilevanza visto il ruolo sempre più significativo e centrale di tali istituzioni nella produzione di servizi sociali e nella realizzazione di sperimentazioni efficaci, sembra opportuno non solo incoraggiare la realizzazione di forum regionali e locali, ma anche invitare la Commissione a svolgere un ruolo proattivo e, d'intesa con i soggetti interessati, a predisporre e sostenere un piano articolato di forum e iniziative in tutti i paesi dell'Unione, al fine di garantire la massima adesione al processo.

4.3.

Il CESE ritiene che la creazione di un osservatorio delle buone prassi in materia di politiche familiari in seno alla Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro vada appoggiata e raccomanda che questa intervenga nel quadro di una stretta consultazione degli attori della società civile, e in particolare delle associazioni familiari, nelle varie fasi del processo sia nell'individuazione di tali buone pratiche, sia in opportuni momenti di confronto e di riflessione.

4.4.

Sarà poi necessario vegliare affinché il focus principale di tale osservatorio non sia limitato alle sole questioni familiari correlate alla vita lavorativa, ma sia piuttosto orientato a sviluppare una puntuale ricognizione sui bisogni della famiglia e delle generazioni, così come sull'offerta e sulla spesa destinata a tutelare e promuovere lo sviluppo di nuove solidarietà tra le generazioni. In questo modo si contribuirebbe alla messa in evidenza dello stato delle infrastrutture di cittadinanza sociale oggi esistenti nei paesi dell'Unione (15).

4.5.

Per quanto attiene la ricerca, il CESE suggerisce anche i seguenti assi specifici di lavoro:

il ruolo e l'impatto che politiche fiscali (sia per quanto attiene i trasferimenti che le deduzioni e le detrazioni fiscali) praticate dai diversi paesi dell'Unione hanno sul sostegno o sulla penalizzazione della vita familiare: questo vale, in particolare per quanto concerne i figli (dalla nascita, alla cura, all'educazione) e le persone adulte a carico dei singoli nuclei familiari, la conciliazione della vita professionale e familiare, l'occupazione femminile e una più equa divisione dei compiti tra uomini e donne,

le politiche e le azioni nel campo della terza età attiva, tenuto conto che esiste un lasso di tempo sempre più significativo tra il momento del pensionamento e le situazioni di dipendenza dovute a malattie o all'età avanzata — anche con riguardo al moltiplicarsi di iniziative e azioni di impegno e coinvolgimento delle persone anziane in attività sociali e culturali a favore della propria comunità, fatto che accresce la qualità del capitale sociale complessivo,

la prospettiva del ciclo di vita, per indagare se rispetto alla dimensione longitudinale attuale della media delle biografie di vita (16) non sia ipotizzabile ricercare una struttura più mobile e alternata, nella quale l'investimento famigliare, le pause per dedicarsi ai figli o altre persone bisognose di cure o per la propria formazione, non siano più considerate una fortunata eccezione oppure non comportino, soprattutto per le donne, un'inevitabile penalizzazione di carriera, ma diventino progressivamente una condizione normale ed ordinaria per la maggior parte degli uomini e delle donne che lo desiderino (17),

a questo proposito, le ricerche dovranno anche tener conto del fatto che il già menzionato forte aumento del numero di famiglie monoparentali rischia di condurre a situazioni di solitudine nella terza età, sulle quali le spese obbligatorie avranno un forte impatto negativo e alle quali una struttura mobile del ciclo di vita potrebbe nuocere pesantemente. Sarà inoltre necessario studiare quali misure dovranno essere prese affinché le pensioni possano garantire a tutti un livello di vita decoroso, esaminando anche la possibilità di personalizzare le pensioni all'interno della famiglia,

l'impatto sociale e i costi della povertà infantile (tra cui la tratta dei minori e i reati commessi contro questi ultimi); il sostegno fornito alle famiglie per far fronte alla disoccupazione, alla malattia, all'abuso di sostanze, ai problemi di salute mentale, alla violenza domestica e alle difficoltà incontrate nell'allevare i figli; gli ostacoli che i giovani di ambo i sessi incontrano nel rendersi indipendenti e dare origine a una famiglia propria.

4.6.

Esistono poi due ambiti ancora poco esplorati, e sui quali il CESE ritiene necessaria una maggiore e più significativa attenzione da parte della Commissione nell'ambito della presente strategia:

le politiche della casa, ancora sostanzialmente concepite all'interno di un ciclo di vita in cui la parte dedicata al lavoro era assolutamente preponderante, ma che non sembra più corrispondere alla realtà attuale (18). In particolare sul fronte dell'housing sociale, con riferimento sia allo sviluppo di asili famigliari che al diritto e alla concreta possibilità di vivere a casa per molte persone non autosufficienti,

la situazione delle persone disabili o in condizione di grande dipendenza, che spesso risiedono al proprio domicilio o nel domicilio della famiglia: questa rappresenta sia una sfida per l'introduzione di quei servizi e prodotti in grado di aiutare tali persone a vivere in modo autonomo a casa propria sia una sfida per le dinamiche della solitudine delle persone e delle famiglie, delle quali ci si accorge solo in occasione dell'esplodere di tragedie sociali.

4.7.

Particolarmente meritevole di attenzione sembra poi la proposta recentemente rilanciata alle diverse istituzioni europee da un ampio cartello di organizzazioni familiari a livello europeo (19). Essa consiste nella richiesta di revisione delle aliquote IVA per gli articoli della prima infanzia, a cominciare dai pannolini per bambini. In proposito vi fu già un preciso impegno politico della Commissione, il 19 luglio 2006, di presentare una proposta di revisione della Sesta direttiva ed in particolare dell'allegato H della direttiva 2006/112/CE, elencante i prodotti e i servizi per cui gli Stati membri sono autorizzati ad applicare eventualmente un'aliquota ridotta non inferiore al 5 % (20). Tali articoli hanno un costo che mediamente incide in modo molto significativo sui bilanci familiari in tutta Europa. Il CESE sostiene tale proposta la quale rientra nelle competenze dell'Unione europea e potrebbe rappresentare un modo concreto per incoraggiare gli Stati membri a varare un sostegno economico delle famiglie di tutto riguardo.

4.8.

Sembra infine opportuno richiamare ancora due linee di lavoro specifiche.

La necessità di stabilire un più preciso Family mainstreaming delle diverse politiche dell'Unione, per tenere conto sistematicamente sia dell'impatto sulle famiglie delle singole misure messe in atto, sia della dimensione familiare all'interno dei diversi settori di azione sociale ed economica dell'Unione. A questo proposito, il CESE ritiene opportuno che la Commissione rilanci il gruppo Interservizi, creato nel 1989 ma poi lasciato cadere, che le consentirebbe di coordinare maggiormente la sua azione in materia.

La necessità di una consultazione sistematica dei cittadini europei e in particolare delle associazioni famigliari e dei partner sociali, per consentire una migliore valutazione in itinere delle misure prese, una più corretta ed efficace diffusione dell'informazione, sostenendo questo processo sia finanziariamente sia attraverso lo stabilimento di procedure e di sedi adeguate. A tale proposito il CESE può rivelarsi un'ottima sede per dare stabilità strutturale a questo compito.

5.   Conclusioni

5.1.

Il tema della solidarietà tra le generazioni non dovrà privilegiare e dunque limitarsi alla sola questione demografica — pur riconoscendo l'importanza della sfida che quest'ultima pone — ma dovrà sempre più essere concepito come un problema prioritario dei prossimi anni, tra centri di responsabilità orizzontali (istituzioni, partner sociali, organizzazioni della società civile, ecc.) e longitudinali (giovani, anziani, ecc.), in quanto determinante per lo sviluppo europeo (economico, sociale e culturale) e per il rinnovo dello stesso patto sociale sul quale si reggono le nostre democrazie.

Infatti, le culture della solidarietà, che hanno sinora caratterizzato lo sviluppo europeo, hanno reso possibili nel tempo soluzioni tanto originali quanto sostenibili, che si sono rivelate determinanti per il suo sviluppo umano, sociale ed economico: dai sistemi nazionali di welfare al rapporto tra diritti e doveri sociali, dallo sviluppo dei diritti di cittadinanza all'incontro e alla continuità di responsabilità tra generazioni nella famiglia.

5.2.

Come diceva lo scrittore francese Antoine de Saint-Exupery, il futuro non si tratta solo di prevederlo, ma di renderlo possibile. Si tratta dunque di operare affinché cresca una nuova fiducia nel futuro da parte di tutti i cittadini, in particolare le famiglie e soprattutto i giovani. Così essi non saranno più costretti a fare i conti con un ambiente sociale così sfavorevole, in termini di risorse, servizi e tempi, da obbligarli a rinviare troppo avanti nel tempo la decisione di realizzare i propri progetti famigliari e di avere il numero desiderato di figli. Ma avvertiranno piuttosto la solidità di una rinnovata alleanza solidale tra le generazioni e saranno messi nelle condizioni di poter dare il proprio contributo e di potersi così misurare con le sfide del nostro tempo.

Bruxelles, 13 dicembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Cfr. il parere del CESE del 16 dicembre 2004 sul tema I rapporti fra le generazioni (relatore: BLOCH-LAINÉ), GU C 157 del 28.6.2005; il parere del CESE del 14 marzo 2007 sul tema La famiglia e l'evoluzione demografica (relatore: BUFFETAUT), GU C 161 del 13.7.2007; il parere del CESE del 14 marzo 2007 sul tema L'impatto dell'invecchiamento della popolazione in termini economici e di bilancio (relatrice: FLORIO), GU C 161 del 13.7.2007 e Il ruolo delle parti sociali nella conciliazione della vita professionale, familiare e privata (relatore: CLEVER), luglio 2007; per non citare che i principali.

(2)  COM(2005) 94 def.

(3)  COM(2006) 571 def., su cui si pronunciò il Comitato, nell'ambito del parere esplorativo richiesto dalla presidenza tedesca, con il parere del CESE del 14 marzo 2007 sul tema La famiglia e l'evoluzione demografica (relatore: BUFFETAUT), GU C 161 del 13.7.2007.

(4)  Cfr. il parere del CESE del 28 settembre 2005 in merito al Libro verde sul diritto applicabile e sulla giurisdizione in materia di divorzio, relatore: RETUREAU (GU C 24 del 31.1.2006), in cui si afferma che «il Libro verde propone saggiamente di non percorrere la strada dell'armonizzazione del diritto sostanziale».

(5)  Eurostat, Population in Europe, 2005. Sebbene la diffusione delle famiglie monogenitoriali sia molto diversa all'interno dei paesi dell'Unione europea (in Italia è meno diffusa, al contrario della Svezia), la composizione per genere è pressoché identica in tutte le realtà nazionali e presenta una netta prevalenza delle donne, con l'unica eccezione della Svezia, dove il 26 % dei genitori soli con figli sono uomini.

(6)  La povertà è qui calcolata in misura relativa ai livelli di reddito di ogni Stato membro, cosicché essa risulta inferiore in alcuni dei nuovi Stati membri (per esempio, solo il 6 % in Polonia), mentre è assai più alta in altri come l'Irlanda (44 %), la Grecia (33 %), il Portogallo (30 %), il Belgio (26 %) o la Gran Bretagna (24 %). La realtà sociale in Europa, documento base per la consultazione predisposto dal BEPA, marzo 2007.

(7)  Special Eurobarometer 273, European Social Reality, February 2007.

(8)  Cfr. in proposito il libro Valori a confronto, a cura di R. Gubert e G. Pollini, Milano 206, il quale si basa sui dati della ricerca dell'European Values Study, condotta presso 40 000 cittadini di 33 Stati europei (agli Stati membri dell'UE si aggiungono alcuni Stati membri del Consiglio d'Europa) ad opera di varie università europee. Anche la ricerca The demografic future of Europe, realizzata dal Robert Bosch Institute, assieme all'Istituto federale tedesco di ricerche demografiche, intervistando 34 000 cittadini di 14 Stati europei conferma il forte attaccamento degli europei all'istituzione familiare.

(9)  Calcolo effettuato sulla base di una soglia di povertà del 60 % del reddito medio. Situazione sociale in Europa 2004 e Eurostat 2003. Cfr. anche l'ultimo Rapporto sulla situazione sociale in Europa 2005-2006, pubblicato nella primavera del 2007 dalla Commissione, avente per tema l'equilibrio tra generazioni in un'Europa che invecchia.

(10)  Le questioni riguardanti la famiglia sono affidate alla direzione generale Occupazione, affari sociali e pari opportunità. È possibile reperire documenti specifici sul portale dell'Alleanza europea per le famiglie, http://ec.europa.eu/employment_social/families/index_en.html. Resta tuttavia da deplorare il fatto che non sia possibile accedere a tutto l'importante insieme di lavoro svolto negli anni precedenti al 2000 dal già citato Osservatorio sulla famiglia istituito nel 1989 e sulle importanti attività svolte per oltre un decennio.

(11)  Susy Giullari e Jane Lewis, The adult Worker Model Family, Gender equality and care; politique sociale et développement, Document de programme 19, Institut de recherche des Nations Unies pour le développement social, avril 2005.

(12)  Si tratta degli articoli 7, 9, 14, 24-3, 33, 34.

(13)  Nel luglio 2007 le parti sociali europee hanno inviato una lettera al commissario ŠPIDLA in cui esprimevano la loro volontà di chiarire la direttiva sul congedo parentale e la situazione relativa alla conciliazione del lavoro e della vita familiare nell'UE. A tal fine è stato istituito un gruppo di lavoro congiunto che deve presentare una relazione al vertice Affari sociali dell'UE che si terrà nel marzo 2008.

(14)  Cfr. per esempio — le nuove misure previste in Finlandia, dove le parti sociali hanno negoziato un'importante riforma del sistema pensionistico nel 2003, poi approvata dal Parlamento nel 2004 ed entrata in vigore nel 2005. Per maggiori informazioni, cfr. le pagine in inglese sul sito

www.tyoelake.fi

(15)  Cfr. il parere del CESE del 10 dicembre 2003 sul tema Agenda per la politica sociale (relatore: JAHIER), GU C 80 del 30.3.2004.

(16)  Una biografia che oggi mediamente prevede un susseguirsi assolutamente rigido dei tempi di crescita, formazione, difficoltoso e prolungato inserimento nel mondo del lavoro, con conseguenze inevitabili sui tempi della famiglia e della possibile natalità, finendo poi nella maturità avanzata con la necessità di dover far fronte al doppio carico del sostegno dei figli e della cura dei propri anziani in condizioni di non autosufficienza.

(17)  A questo proposito sono assolutamente da incoraggiare ed ampliare le linee di ricerca, peraltro già previste, della Fondazione di Dublino.

(18)  A questo proposito si rimanda anche al parere L'abitazione e la politica regionale (relatore: GRASSO, correlatrice: PRUD'HOMME), GU C 161 del 13.7.2007.

(19)  Il 15 maggio scorso, in occasione della Giornata internazionale della famiglia, la ELFAC (Confederazione europea delle famiglie numerose), insieme a molte altre organizzazioni quali la Coface e altre, hanno lanciato un appello ai responsabili delle istituzioni dal titolo Need for reduced VAT on essential items for child raising. Ulteriori documentazioni e informazioni sul sito

www.elfac.org

(20)  Ad oggi, già alcuni Stati membri applicano un'aliquota IVA ridotta ai pannolini per bambini, ma si ritiene che debba essere presa una decisione più significativa, che comprenda tutti i prodotti per la prima infanzia, a partire da quelli destinati all'alimentazione e al vestiario, che sono tutt'ora soggetti alle aliquote massime.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Qui di seguito si riporta l'emendamento che, pur essendo stato respinto durante il dibattito, ha ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi (articolo 54, paragrafo 3, del Regolamento interno).

Punto 4.3

Modificare come segue:

«Il CESE ritiene che la creazione di un osservatorio delle buone prassi in materia di politiche familiari in seno alla Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (Dublino) vada appoggiata e raccomanda che questa intervenga nel quadro di una stretta consultazione degli attori della società civile, e in particolare delle associazioni familiari, nelle varie fasi del processo. Invita pertanto la Commissione europea, il Parlamento europeo e il Consiglio a intraprendere le azioni che si impongono per istituire tale osservatorio, e a rendere disponibili le risorse finanziarie necessarie. »

Esito della votazione

Voti favorevoli: 63, voti contrari: 67, astensioni: 22


16.5.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/73


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Quarta relazione sulla coesione economica e sociale

COM(2007) 273 def.

(2008/C 120/17)

La Commissione, in data 30 maggio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Quarta relazione sulla coesione economica e sociale

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 novembre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore DERRUINE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 dicembre 2007, nel corso della 440a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 88 voti favorevoli, nessun voto contrario e nessuna astensione.

1.   Introduzione

1.1.

Ai sensi dell'articolo 159 del Trattato che istituisce la Comunità europea, la Commissione è tenuta a presentare ogni tre anni una relazione sui progressi compiuti nella realizzazione della coesione economica e sociale.

1.2.

Dal momento che la relazione viene pubblicata nell'anno che precede la revisione degli orientamenti integrati della strategia di Lisbona, il CESE spera che, come ha già richiesto, si tenga conto delle sue riflessioni non soltanto nella prossima generazione di politiche regionali, ma anche nell'elaborazione di questi nuovi orientamenti integrati (OI) (1).

1.3.

Il nuovo Trattato di Lisbona presenta una novità in quanto inserisce tra gli obiettivi generali dell'UE la coesione territoriale (articolo 3), un elemento, questo, che mancava e che è stato aggiunto dalla Convenzione sul futuro dell'Europa e confermato dalla Conferenza intergovernativa (CIG) del 2007.

2.   Osservazioni generali

2.1.

La comunicazione che accompagna la relazione avvia un dibattito sul futuro della politica strutturale formulando una serie di domande. A giudizio del CESE, tra queste domande sono state omesse due questioni di grande interesse che richiedono una risposta concreta:

appare un esercizio inutile esaminare la politica di coesione, che rappresenta circa un terzo del bilancio europeo, se al contempo non si discute dei mezzi disponibili per attuarla. Il CESE tiene a ricordare che il bilancio europeo approvato nell'accordo sulle prospettive finanziarie è di per sé insufficiente a perseguire gli obiettivi ambiziosi attribuiti all'Europa. Tale constatazione vale anche per la politica strutturale: lo 0,36 % del PIL non basta da solo a garantire la coesione economica, sociale e territoriale in Europa (2),

il ruolo delle parti sociali e della società civile organizzata: un gruppo di domande affronta sì la questione della governance, ma la limita alla dimensione politica in senso stretto. Malauguratamente non si parla del ruolo delle parti sociali e di quello della società civile organizzata, mentre essi, da un lato, sono indispensabili per garantire l'adeguatezza dei progetti ai bisogni locali e un ampio sostegno pubblico a questi stessi progetti e, dall'altro, contribuiscono alla trasparenza nell'uso delle risorse.

2.2.

Le cifre presentate nella relazione possono risultare fuorvianti per il lettore attento in quanto non è sempre chiaro se esse riguardino l'UE a 15, 25 o 27. Inoltre, quando si considerano situazioni evolutive, le date di riferimento possono suscitare qualche perplessità. Spesso, ad esempio, la relazione parla della coesione nell'UE a 27 prendendo come riferimento il 1996, anno in cui gli Stati membri erano appena diventati 15. Ne deriva che le tendenze descritte non riguardano soltanto l'UE, ma comprendono anche paesi che (visto l'orientamento dei loro scambi commerciali) non erano affatto — o solo in parte — interessati dalle politiche settoriali europee (mercato interno, concorrenza, politica regionale). In altri termini, ciò offusca le conclusioni che si possono trarre sul contributo specifico delle politiche strutturali alla realizzazione di una maggiore coesione, quando invece il loro apporto è incontestabile (3).

2.3.

Il criterio del 75 % del PIL pro capite per stabilire se una regione è in ritardo di sviluppo o meno è stato falsato dal fatto che, dopo l'allargamento, il PIL pro capite si è ridotto in seguito alla presenza di paesi molto meno ricchi dei precedenti (effetto statistico). Lo stesso è avvenuto con l'adesione della Bulgaria e della Romania. Di conseguenza, non si può effettuare un confronto diretto tra la situazione in materia di coesione prima del 2004 e quella attuale. Occorre relativizzare le prestazioni delle dodici regioni che sono riuscite a superare questa soglia, perché niente garantisce che ciò non sia imputabile all'effetto statistico.

2.4.

La relazione annuncia che, all'inizio del prossimo periodo di programmazione, 9 dei 12 Stati membri che hanno aderito nel 2004 e nel 2007 avranno superato la soglia del 75 % del PIL europeo pro capite. Di conseguenza, questo criterio di riferimento perderà rilevanza, un aspetto sul quale sarebbe opportuno riflettere fin da ora.

2.5.

Benché la relazione sia molto ricca e densa di informazioni, ci si rammarica che queste non vengano sempre incrociate tra loro.

Ad esempio, da una lettura congiunta dei punti 2.1.3, 3.2, 2.2.4 (in particolare il grafico) e 2.2.6 dell'allegato I, emerge la difficoltà di combinare crescita economica e sviluppo armonioso (in questo caso, creazione di posti di lavoro a vantaggio di tutte le regioni). Eppure si tratta di una sfida reale, specialmente per alcuni tra i nuovi Stati membri (Polonia, Ungheria, Romania, Bulgaria e Repubblica ceca).

Se è vero che l'Irlanda, la Grecia e la Spagna, in passato beneficiari per eccellenza della politica di coesione, hanno riassorbito in tutto o in parte il loro ritardo, che ne è della sostenibilità della loro crescita? Come mantenere un certo ottimismo riguardo alle evoluzioni future quando la produttività oraria è in costante calo da 10 anni a questa parte rispetto alla media europea o quando la crescita si basa per lo più sul settore immobiliare (Spagna)? Come spiegare il fatto che in Irlanda, nonostante la forte crescita che ha proiettato questo paese al 2o posto della classifica del PIL reale pro capite e gli ha consentito di avvicinarsi nuovamente alla piena occupazione, quasi un uomo e una donna su cinque siano a rischio povertà?

La dimensione della qualità dell'occupazione, che era stata riconosciuta nel 2000 come un obiettivo centrale della strategia di Lisbona, brilla per la propria assenza in questa ampia relazione (4). Il CESE è dell'avviso che ciascuno Stato membro debba verificare con esattezza se i posti di lavoro sostenuti o creati grazie ai fondi strutturali abbiano consentito un inserimento di persone nel mercato del lavoro, ed offerto condizioni di vita dignitose e un salario adeguato.

2.6.

Il CESE richiama altresì l'attenzione sull'assenza di un riferimento all'economia sociale, in cui opera il 10 % delle imprese europee, e al suo ruolo ai fini della coesione (in particolare l'aiuto offerto ai soggetti più vulnerabili nel mercato del lavoro). Questo settore genera occupazione di qualità e contribuisce a uno sviluppo sostenibile nel senso che ancora l'occupazione al territorio, dinamizza le zone rurali, crea capitale sociale e prevede processi di ristrutturazione settoriale e territoriale. A questo titolo, per migliorare la nostra comprensione del settore sarebbe auspicabile disporre di statistiche comparabili in termini di quantità e qualità tra gli Stati membri.

2.7.

Il CESE ritiene opportuno approfondire ed esaminare diversi aspetti specifici della coesione economica, sociale e territoriale, in particolare le pari opportunità sul mercato del lavoro.

2.8.

Se mai fosse ancora necessario convincere dell'utilità della politica di coesione, la relazione fornisce al proposito alcuni elementi nuovi:

le forze di mercato privilegiano le capitali, verso le quali convergono i flussi di lavoratori e di disoccupati, quando invece l'eldorado che esse lasciano intravedere è spesso ingannevole. Questo elemento non va sottovalutato nei dibattiti intesi a promuovere la mobilità come strumento di lotta contro la disoccupazione,

del resto le capitali sono spesso gli unici motori di crescita. Solo in tre paesi esistono poli di sviluppo secondari dotati di una proiezione internazionale e di una sostenibilità economica. Ciò spiega in parte come mai il tasso di crescita medio a livello regionale vari dallo 0 % all'8,6 % (1997-2004),

se un paese nel suo insieme, trascinato dalla capitale, raggiunge la soglia critica del 75 %, numerose regioni impiegheranno molto più tempo per arrivare a tale livello.

Era quindi urgente che la coesione territoriale, che sembra affermarsi in misura crescente quale fondamento stesso della coesione economica e sociale, venisse pienamente riconosciuta come obiettivo generale dell'UE.

2.9.

Il CESE si compiace della nuova luce che la relazione proietta sulla coesione in Europa, grazie ai confronti con la situazione dei suoi concorrenti a livello mondiale e alle osservazioni riguardanti il ruolo delle capitali e le implicazioni in termini di sostenibilità dello sviluppo (in particolare sviluppo squilibrato e pressioni ambientali), nonché le ripercussioni del cambiamento climatico a livello regionale.

2.10.

Il CESE sostiene l'obiettivo dell'UE di assumere il ruolo di leader nella lotta contro il cambiamento climatico. Tuttavia, se i paesi terzi non seguono questa strada, ciò rischia di compromettere la competitività e la politica di coesione dell'UE. La distorsione della concorrenza che ne deriverà avrà l'effetto di favorire la delocalizzazione verso paesi che non sono attivi nella lotta al cambiamento climatico.

2.11.

Il CESE si compiace altresì della nuova attenzione riservata alla dimensione territoriale della coesione che, nonostante l'adozione dello schema di sviluppo dello spazio comunitario (nel 1999), era restata finora marginale: strategia tematica sull'ambiente urbano, agenda territoriale, Carta di Lipsia contenente una serie di grandi principi di sviluppo urbano e le aree metropolitane evidenziate dal CESE, cluster nel quadro della politica industriale e d'innovazione.

2.12.

L'ultimo capitolo della relazione, che illustra il collegamento tra le politiche comunitarie e la coesione è il meno convincente: esso enumera le azioni condotte nel quadro della strategia di Lisbona senza evidenziare davvero il loro impatto concreto e sicuro sulla coesione.

3.   Raccomandazioni

3.1.

Senza voler precorrere il parere d'iniziativa ancora da elaborare in risposta alla consultazione pubblica della Commissione sul futuro bilancio europeo, il CESE ricorda alcune delle sue precedenti raccomandazioni.

3.1.1.

Attualmente i fondi strutturali si limitano in sostanza alla concessione di sovvenzioni. In un precedente parere (5), il CESE aveva suggerito di rinnovare la loro ingegneria finanziaria per ottenere un effetto moltiplicatore con il contributo del Fondo europeo per gli investimenti (FEI) e della Banca europea per gli investimenti (BEI). Esso proponeva di convertire le sovvenzioni in prodotti finanziari in modo da creare un effetto leva: un euro versato per garantire un prestito in capitale di rischio avrebbe consentito, ad esempio, di finanziare dai 5 ai 10 euro di investimenti di una PMI. L'esempio di Jeremie andrebbe applicato più diffusamente (6).

3.1.2.

Si potrebbero anche mobilizzare risorse, senza per questo aumentare il contributo degli Stati membri, da destinare a progetti che presentino un valore aggiunto europeo (soprattutto per i collegamenti mancanti delle reti transeuropee (RTE) e per il Fondo europeo d'adeguamento alla globalizzazione (FEG)).

3.1.2.1.

In diverse occasioni il CESE ha criticato il sistema dell'IVA che alimenta il bilancio europeo, a motivo dei costi eccessivamente elevati di riscossione, di amministrazione e di controllo (7). Tali costi devono essere ridotti, mobilizzando così risorse da destinare a progetti comuni.

3.1.2.2.

Si dovrebbe porre fine alla pratica di restituire agli Stati membri gli stanziamenti non eseguiti del già esiguo bilancio europeo. Questi stanziamenti costituiscono una percentuale molto limitata del bilancio annuale. Eppure, sul periodo 2000-2005, ammontavano a un totale di circa 45 miliardi che avrebbero potuto essere utilizzati in modo produttivo (8).

3.1.2.3.

In un momento in cui tutti gli Stati membri sono interessati dall'invecchiamento demografico, con conseguente aumento delle spese sociali, ma il Patto di stabilità impone loro restrizioni di bilancio, i partenariati pubblico-privati potrebbero offrire una soluzione alternativa, sempre che le amministrazioni pubbliche (in particolare a livello subnazionale) siano in grado di negoziare accordi equilibrati con il settore privato, il che presuppone un rafforzamento delle loro capacità amministrative.

3.2.

Gli orientamenti strategici che orchestrano la politica regionale sono conformi alla strategia di Lisbona. Il CESE propone che la politica regionale tenga conto in modo più equilibrato della strategia per lo sviluppo sostenibile che punta soprattutto alla coesione in tutti i suoi aspetti, dal momento che la strategia di Lisbona, ad essa complementare, è incentrata sulla competitività (9).

 

LISBONA

SVILUPPO SOSTENIBILE

Orizzonte

2010

Nessuna scadenza, a lungo termine

Spazio

Unione europea

Trascende l'ambito europeo grazie alla sua dimensione esterna

Priorità (10)

Migliorare la crescita e l'occupazione, garantire il dinamismo e il funzionamento regolare della zona euro, trasformare l'Europa in un luogo più attraente per gli investitori e i lavoratori, mettere la conoscenza e l'innovazione al servizio della crescita, attrarre e trattenere un maggior numero di persone sul mercato del lavoro e modernizzare i sistemi di protezione sociale, incrementare la capacità di adattamento dei lavoratori e delle imprese ed accrescere la flessibilità dei mercati del lavoro, investire maggiormente nel capitale umano migliorandone l'istruzione e le competenze

Reagire al cambiamento climatico, promuovere una sanità di qualità/salute pubblica, lottare contro l'esclusione sociale e reagire ai cambiamenti demografici, gestire meglio le risorse naturali, rendere il trasporto più sostenibile, lottare contro la povertà nel mondo, promuovere lo sviluppo

3.2.1.

Le cartine che seguono, realizzate da ORATE (Osservatorio in rete dell'assetto del territorio europeo), mettono in evidenza la polarizzazione e la metropolizzazione crescente previste nel 2030 che derivano da un approfondimento della strategia di Lisbona nel suo orientamento attuale. Uno scenario incentrato piuttosto sulla coesione permetterebbe di allargare l'hub economico e soprattutto di fare emergere altri poli di sviluppo (regioni del Mar Baltico, quadrato orientale delimitato da Vienna, Berlino, Varsavia e Budapest, Sud della Francia e Catalogna).

3.2.2.

A tale riguardo, il CESE ricorda (11) l'importanza di sviluppare e di attuare un policentrismo a due livelli nel quadro di uno sviluppo armonioso, onde evitare gli effetti nefasti della polarizzazione (12): il primo livello favorisce l'emergere di poli di sviluppo distribuiti nello spazio europeo per diffondere crescita ed occupazione al di fuori dell'hub economico (il pentagono), il secondo livello consolida invece i legami e le sinergie tra i grandi centri urbani e le zone (peri)rurali al fine di evitare in particolare le fratture territoriali all'interno dei NUTS (Classificazione comune delle unità territoriali per la statistica).

3.3.

In considerazione della crescente preponderanza delle capitali quali luoghi di creazione di ricchezza, di attività e di occupazione, soprattutto in alcuni nuovi Stati membri (13) e della forte correlazione tra il tasso di crescita del PIL e l'inflazione, i governi e la società civile dei paesi sul punto di adottare l'euro dovrebbero considerare con particolare attenzione l'impatto del passaggio alla moneta unica sulla loro coesione interna. Questa può essere messa a dura prova nel caso in cui le regioni di uno stesso paese presentino dinamiche diverse. Come conseguenza, e senza dimenticare i vantaggi prodotti dall'euro (14), la politica del tasso d'interesse unico non solo potrebbe non rispondere alle esigenze specifiche della loro economia nazionale, ma sarà anche percepita in modo diverso dai grandi centri di attività (tra cui la capitale) e dalle altre regioni. In modo complementare, dovrà essere potenziato il coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri al fine di attenuare questo fenomeno (15).

3.4.

Nella relazione si ribadisce l'importanza dei servizi d'interesse generale (SIG). Sulla scia del nuovo protocollo sui SIG messo a punto dalla CIG nel 2007, il CESE ribadisce la propria richiesta di «definire a livello comunitario riferimenti e norme comuni che valgano per tutti i servizi di interesse generale (siano essi di tipo economico o non economico), compresi quelli sociali, e inserirli in una direttiva quadro, da adottarsi in codecisione, che introduca una disciplina comunitaria adatta alle loro specificità» (16).

3.5.

Secondo il CESE (la cui posizione è stata ripresa dal Parlamento europeo in alcune relazioni elaborate di recente), «la coesione non può essere misurata solo attraverso indicatori relativi al PIL. Il CESE ha auspicato l'elaborazione di un indicatore più rappresentativo della coesione che comprenda oltre al PIL parametri come il tasso di occupazione e di disoccupazione, il grado di protezione sociale, il livello di accesso ai servizi di interesse generale, ecc.» (17). Questi indicatori dovrebbero essere inoltre completati da indicatori relativi alle disuguaglianze di reddito (coefficiente di Gini o rapporto interquintile) e alle emissioni di CO2 (pro capite o relativamente all'evoluzione dal 1990 in poi). In linea generale, è fondamentale consolidare gli strumenti statistici europei, in particolare a livello dei NUTS, e rafforzare i legami tra Eurostat e gli istituti di statistica nazionali per disporre al più presto di dati il più possibile completi e precisi (18).

3.6.

Il CESE invita a valutare se non sarebbe più pertinente, al momento della prossima assegnazione dei fondi strutturali, utilizzare come indicatore economico il reddito nazionale lordo (RNL) piuttosto che il PIL, come avviene già per il Fondo di coesione. Sarebbe così possibile tener conto sia del pendolarismo, le cui ripercussioni economiche contribuiscono ad aumentare le disparità — come si sottolinea in un riquadro della relazione — mentre la mobilità viene incoraggiata a tutti i livelli, sia dei flussi d'investimento diretti all'estero (IDE), di cui una parte dei ricavi ritorna nei paesi d'origine. Contrariamente al PIL, infatti, l'RNL prende in considerazione questi flussi in entrata e in uscita. La differenza può essere notevole per alcuni paesi (Lussemburgo, Irlanda, Repubblica ceca, Estonia, Cipro, Ungheria e, in misura minore, Polonia e Romania), il che può comportare una ripartizione a volte subottimale dei fondi strutturali. Va altresì rilevato che tali dati non sono disponibili a livello di NUTS, lacuna per quanto possibile da colmare.

4.   Risposte ad alcune delle domande della consultazione

4.1.   Come potrebbero le regioni reagire alle pressioni esercitate da concorrenti dinamici in settori debolmente o mediamente tecnici?

4.1.1.

Per quanto riguarda il posizionamento delle imprese europee nella fascia qualitativamente alta del mercato, la logica del Settimo programma quadro di ricerca e sviluppo (7PQ) e del Programma interuniversitario di cooperazione (PIC) che mirano entrambi a stimolare le PMI e le regioni della conoscenza resta ancora troppo top-down. È opportuno invece promuovere «l'inserimento in reti di centri d'eccellenza scientifico-tecnologica, i parchi industriali e le passerelle strutturate mondo accademico-industria-governo». Ciò detto, occorre però far attenzione in quanto l'imperativo dell'innovazione rischia di sfociare in una nuova frammentazione se non si creano nuove competenze per orientare i cittadini verso il cambiamento (19). Ciò significa affrontare più seriamente la dimensione qualitativa dell'occupazione poiché «il miglioramento della qualità della vita professionale è un fattore chiave per promuovere la crescita della produttività e la capacità innovativa delle imprese; altrettanto importante è un incremento degli investimenti per la ricerca e sviluppo, degli investimenti di carattere generale, nonché di quelli nella formazione generale e professionale e nella formazione permanente, necessario per far fronte alle esigenze della società della conoscenza e dell'informazione. Ciò è comprovato da vari studi scientifici condotti sul rapporto che intercorre tra qualità della vita professionale e produttività e sull'importanza che il concetto di “buon lavoro” riveste per i lavoratori interessati in termini di motivazione e di disponibilità ad impegnarsi» (20).

4.1.2.

Quanto alla politica industriale, «l'individuazione di sinergie e (…) [il] coinvolgimento di tutti gli interessati per realizzare con successo le trasformazioni strutturali (…) [possono] assicurare la compatibilità sociale delle trasformazioni industriali purché si garantiscano il coinvolgimento e la partecipazione sistematici delle parti sociali e si persegua il duplice obiettivo della competitività delle imprese e della minimizzazione delle conseguenze sociali» (21).

4.1.3.

Nelle regioni transfrontaliere, le trasformazioni industriali potrebbero essere agevolate «concretizzando il quadro transnazionale opzionale per i negoziati collettivi, come annunciato nell'Agenda sociale 2005-2010» (22).

4.1.4.

Il Comitato appoggia la domanda formulata dal Parlamento europeo relativa ad una valutazione delle delocalizzazioni e al loro monitoraggio a livello territoriale (posti di lavoro soppressi/creati, tipo di occupazione, impatto sulla coesione economica, sociale e territoriale) e alla formulazione di proposte concrete sotto forma di relazioni periodiche (23).

4.1.5.

Una parte degli stanziamenti non eseguiti potrebbe andare a rimpinguare il FEG, questo nuovo strumento che fornisce un sostegno temporaneo in tempi rapidi ai lavoratori licenziati perché «vittime dell'evoluzione delle strutture del commercio internazionale». Al tempo stesso sarebbe opportuno rivedere i criteri di ammissibilità abbassando il numero di lavoratori licenziati richiesto perché intervenga il fondo, dato che le PMI rappresentano il 99,8 % delle imprese (le microimprese il 91,5 %) e il 67,1 % dell'occupazione complessiva.

4.1.6.

Come già previsto dalle disposizioni generali sui fondi strutturali, occorre conservare il requisito del periodo di 7 anni durante il quale un'impresa che abbia ricevuto aiuti deve impegnarsi a mantenere la localizzazione del suo investimento.

4.1.7.

Quanto all'iniziativa Jeremie, essa sarebbe troppo concentrata, secondo una prima valutazione, sui settori di punta e sosterrebbe in misura insufficiente le PMI non attive in questi settori.

4.1.8.

Non tutte le regioni europee saranno in grado di mantenere una posizione di punta nell'economia della conoscenza per mancanza di infrastrutture o di capitale umano, o per le loro dimensioni che non consentono di operare economie di scala. Esse dovranno guadagnarsi una posizione rispetto alle aree metropolitane vicine, sviluppando l'economia «residenziale» o specializzandosi in settori in cui gli effetti di agglomerazione sono meno importanti o in cui la massa critica richiesta è meno elevata. Il CESE respinge l'idea di assimilare le zone rurali a zone agricole, senza altre prospettive.

4.1.9.

Una delle alternative è data invece dal settore turistico e dai suoi derivati. Ciò significa che «in ambito rurale si possono creare per esempio le seguenti attività: commercio specializzato in prodotti locali, artigianato alimentare e tradizionale, servizi sportivi e per il tempo libero nell'ambiente, aule audiovisive e virtuali, promozione culturale, asili e nidi d'infanzia, campi e ostelli per la gioventù, medicina naturale, cosmesi ed estetica, edilizia tradizionale e recupero di antichi mestieri, punti Internet, promozione immobiliare locale, consulenza per le nuove attività, produzione di beni e servizi di largo consumo nelle abitazioni, assistenza specializzata agli anziani» (24). È necessario accordare il massimo dell'attenzione e del sostegno all'ecoturismo, che si basa su una gestione biologica; il suo compito è quello di educare la società allo sviluppo sostenibile rispettoso dell'ambiente che non altera l'equilibrio naturale. Il Fondo sociale europeo ed il FEASR possono fornire un contributo in tal senso.

4.1.10.

Il turismo culturale può offrire spunti interessanti a un grande numero di regioni. A tale riguardo, «l'Unione europea potrebbe promuovere le migliori pratiche nella gestione dei servizi turistico-culturali utilizzando sistemi competitivi e premiali nei propri programmi, a cominciare dal programma Capitali europee della cultura e dal futuro programma Destinazioni europee di eccellenza. L'UE potrebbe inoltre fornire la sua consulenza alle città e ai territori che decidono di candidarsi a questi due programmi e fornire loro un contributo finanziario più consistente dell'attuale, e magari una corsia preferenziale nell'utilizzo dei fondi strutturali» (25).

4.2.   I cambiamenti climatici costituiscono una sfida per la politica di coesione?

4.2.1.

Il CESE condivide il parere di ORATE (26) secondo cui le conseguenze dei cambiamenti climatici varieranno a seconda delle regioni e richiederanno risposte differenziate. Nell'hub economico l'obiettivo sarà quello di mantenere la produttività economica contenendo gli effetti negativi delle economie di agglomerazione (inquinamento atmosferico ed emissioni di CO2), ricorrendo a sistemi di trasporto collettivo innovativi ed efficaci e a una migliore gestione delle aree fondiarie. Nelle regioni dell'Europa meridionale, ma anche nelle zone montane, la principale sfida sarà quella di limitare l'utilizzo caotico dello spazio fondiario e l'espansione edilizia. Nelle aree più remote saranno necessarie soluzioni innovative per migliorare la loro accessibilità adottando misure prive di effetti negativi a lungo termine.

4.2.2.

Il CESE suggerisce di rafforzare dal punto di vista della dotazione di bilancio e di perfezionare il fondo di solidarietà che fornisce attualmente un aiuto urgente in caso di catastrofe naturale. Per testimoniare la preoccupazione dell'UE per i cambiamenti climatici, che esigono misure più a lungo termine, il CESE propone che d'ora in poi il fondo di solidarietà cofinanzi anche progetti riguardanti la gestione preventiva dei rischi.

4.2.3.

Per il finanziamento dei progetti a titolo dei vari programmi e delle diverse voci di bilancio bisogna basarsi su criteri di ammissibilità chiari e allo stesso tempo trasparenti. Questi criteri dovrebbero riguardare in particolare lo sviluppo sostenibile e prendere in considerazione le conseguenze del progetto sull'ambiente, la salute, l'occupazione e la competitività europea (27).

4.3.   Come potrebbe la politica di coesione promuovere ulteriormente uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile tenendo conto della diversità dei territori all'interno dell'UE, come le regioni, le isole e le zone rurali e costiere, ma anche le città più sfavorite, le regioni industriali in declino, altre regioni con particolari specificità geografiche?

4.4.

Il CESE si è pronunciato in varie occasioni a favore del policentrismo sul territorio europeo. La Quarta relazione mette in evidenza la preponderanza dell'hub economico («pentagono») e l'importanza crescente delle capitali, ma anche i relativi costi sociali ed ambientali. Il CESE sostiene anche la formazione di poli di sviluppo secondari, di aree metropolitane con un consolidamento delle sinergie e delle complementarità tra i centri urbani e le regioni più remote (28). Una relazione periodica potrebbe fornire un quadro aggiornato della situazione socioeconomica delle aree metropolitane; a tal fine sarebbe necessario mettere a punto un apposito strumento statistico di verifica (29). Il CESE ritiene peraltro che in questo senso potrebbero rivelarsi utili dei patti territoriali per lo sviluppo nel quadro della globalizzazione, soprattutto se inseriti in un intervento lungimirante volto a contribuire allo sviluppo culturale della società e a coinvolgere tutte le parti in causa (30).

4.4.1.

Soprattutto nel contesto dell'ambiente urbano, il CESE giudica necessario applicare il modello del «territorio socialmente responsabile», cioè di un territorio che, come enunciato nell'accordo di Bristol (31) (dicembre 2005), imperni il proprio sviluppo sui principi di sostenibilità arricchendo le proprie dinamiche di una dimensione economica, sociale ed ambientale, e tenendo conto dell'impatto socioeconomico dell'invecchiamento demografico. A tale riguardo, occorre obbligatoriamente mantenere e sostenere il coinvolgimento degli attori della società civile nella definizione comune degli orientamenti da seguire, incoraggiato dal 6PQ. Il 7PQ prevede attività specifiche nel settore dello sviluppo umano e dell'invecchiamento (32).

4.4.2.

Poiché le aree creatrici d'occupazione e di attività possono andare oltre il quadro nazionale, sarebbe opportuno dotare l'iniziativa Interreg di mezzi più consistenti per promuovere le iniziative di cooperazione transfrontaliera (33).

4.4.3.

Per quanto riguarda le regioni ultraperiferiche, «il CESE accoglie favorevolmente l'intenzione della Commissione di stabilire, nel quadro della Convergenza, un meccanismo specifico per compensare tutti i punti deboli delle regioni ultraperiferiche e delle regioni che presentano handicap strutturali permanenti» (34). «Nel constatare che più del 50 % dei fondi destinati alla R&S si concentra in un numero estremamente ridotto di regioni dell'UE, il CESE insiste (…) [per] rafforzare gli incentivi al trasferimento di tecnologie tra le regioni». Il CESE considera che «una politica europea destinata alle regioni gravate da handicap permanenti deve basarsi su tre grandi principi» vale a dire 1) la «permanenza» (dal momento che la nozione di «recupero» non è pertinente per queste regioni), 2) la «discriminazione positiva», volta ad instaurare un'autentica parità tra le regioni, e 3) la «proporzionalità», in modo da tener conto della diversità delle loro «reali caratteristiche geografiche, demografiche, ambientali» e dei «vincoli che queste ultime comportano». Per rimediare a situazioni di disuguaglianza, risultano necessari interventi di carattere sociale, ad esempio «aiuti diretti a talune attività commerciali o fornitori di servizi, tariffe preferenziali per i residenti sui trasporti marittimi o aerei, servizi pubblici di qualità, ecc.» (35).

4.4.3.1.

La Commissione ha ragione quando afferma che i vincoli di accessibilità delle isole possono tradursi nel fatto che «ai tempi di viaggio in automobile o in treno si vanno ad aggiungere quelli della traversata via mare». L'accessibilità è un «problema particolare» che le isole devono affrontare. La Commissione ha ragione anche quando sottolinea il problema delle ridotte dimensioni della loro popolazione: in realtà la maggior parte delle isole non può fare affidamento sul mercato interno. Tuttavia, anche altri problemi determinano le loro «prospettive di sviluppo a lungo termine», per esempio la limitazione delle risorse, i rischi naturali e l'ambiente fragile.

4.4.3.2.

A norma dell'articolo 16 del Trattato che istituisce la Comunità europea, «gli Stati membri, secondo le rispettive competenze e nell'ambito del campo di applicazione del presente Trattato, provvedono affinché tali servizi funzionino in base a principi e condizioni che consentano loro di assolvere i loro compiti».

4.4.3.3.

Tra i vari strumenti si può menzionare un modello unificato di servizio universale per i settori dei servizi pubblici, la cui applicazione in tali settori è prevista dai documenti politici e dagli atti normativi dell'UE. Tale strumento viene messo in evidenza nel Libro verde sui servizi di interesse generale (36).

4.4.4.

Il CESE ricorda ancora una volta l'importanza di applicare sanzioni alle imprese che, pur beneficiando di sovvenzioni europee, effettuano operazioni di delocalizzazione entro 7 anni. Il denaro pubblico non può essere sprecato concedendo aiuti a chi sopprime posti di lavoro.

4.5.   Quale impatto hanno le sfide individuate dalla presente relazione sugli elementi chiave della coesione sociale quali l'inclusione, l'integrazione, le opportunità per tutti? Sono necessari nuovi sforzi per anticipare e minimizzare tali effetti?

4.5.1.

La parità uomo-donna figura espressamente nei regolamenti dei fondi strutturali quale dimensione trasversale. Tuttavia, sembra che questo principio sia stato considerato quasi esclusivamente in relazione a questioni legate al mercato del lavoro. Gli Stati membri vanno pertanto spinti ad adottare un approccio integrato (eventualmente tramite gli orientamenti integrati di Lisbona, abbinati, se necessario, a raccomandazioni individuali). Per una valutazione dei programmi operativi, è indispensabile disporre di dati ripartiti in base al sesso.

4.5.2.

Per permettere alle coppie di avere il numero di figli desiderato, gli Stati membri dovrebbero dispiegare misure di natura diversa come «prestazioni finanziarie dirette, (…) adeguamento del carico impositivo ed (…) offerta di attrezzature pubbliche o private (varie forme di asili infantili, compresi quelli aziendali o interaziendali, ecc.), di scuole a tempo pieno e di servizi finanziariamente sostenibili; quel che conta, in questo caso, non è soltanto la quantità, ma anche la qualità delle attrezzature offerte» (37). Il CESE ricorda inoltre che al Consiglio europeo di Barcellona (giugno 2002) gli Stati membri avevano concordato di fornire «entro il 2010, un'assistenza all'infanzia per almeno il 90 % dei bambini di età compresa fra i 3 anni e l'età dell'obbligo scolastico e per almeno il 33 % dei bambini di età inferiore ai 3 anni». Occorre altresì «fissare un importo minimo per gli stanziamenti pubblici destinati alla famiglia e ai figli, e quindi agli investimenti per il futuro, onde evitare che essi possano essere eventualmente intaccati dai costi complessivi della gerontocrescita, che rischiano di essere considerati prioritari da un elettorato che invecchia» (38). A tale proposito, sarebbe interessante riflettere sulla possibilità di istituire un fondo demografico. L'obiettivo sarebbe quello di sostenere gli sforzi nazionali che mirano a favorire la natalità e la partecipazione delle donne al mercato del lavoro, permettendo un più elevato finanziamento comunitario delle strutture d'accoglienza dei bambini e degli anziani, come pure investimenti per il rinnovo/ammodernamento delle strutture scolastiche, specialmente nelle zone rurali.

4.5.3.

Oltre al sostegno demografico, «occorre mantenere e migliorare la salute e la sicurezza dei bambini, offrire a tutti un'educazione di qualità elevata, proporre sistemi di assistenza e di sostegno ai genitori perché possano far fronte ai loro bisogni e alle loro difficoltà. Particolare attenzione andrebbe riservata alle famiglie e ai bambini che vivono in condizioni di grande povertà, a chi ha bisogno di un sostegno specifico o è cresciuto in un contesto di immigrazione. Il CESE, pur prendendo atto dell'invecchiamento della popolazione europea e pensando che il ricambio generazionale sia indispensabile per la sopravvivenza del continente, ricorda che il riassorbimento della disoccupazione di massa, l'accesso all'occupazione durevole per la fascia d'età compresa tra i 25 e i 35 anni, e la garanzia reale dei percorsi professionali in generale dovrebbero agevolare il finanziamento del periodo della pensione — attivo o meno che sia» (39). Il Fondo sociale europeo deve fornire un importante contributo in questo senso.

4.5.4.

Il CESE è anche dell'avviso che vadano fissati «a livello europeo, da un lato, una serie di obiettivi comuni sull'accesso a un alloggio e, dall'altro, degli standard minimi di qualità abitativa che consentano di definire il concetto di alloggio dignitoso» (40).

4.5.5.

«Le istituzioni finanziarie europee (…) [dovrebbero destinare] delle risorse, a tassi molto bassi, per programmi di edilizia integrati per giovani, [famiglie con bambini,] immigrati, anziani e portatori di handicap, [gruppi sociali a rischio, ecc.,] favorendo la mobilità dei lavoratori, l'eterogeneità sociale e la sostenibilità dei costi per gli occupanti. (…) Il CESE osserva che lo strumento “Jessica” fornirà gli elementi necessari per la creazione di un fondo di garanzia per i progetti di edilizia popolare di maggiore portata e chiede che tale questione sia analizzata nel quadro della valutazione intermedia dei fondi strutturali» (41).

4.6.   Quali sono le future qualifiche essenziali che i nostri cittadini devono possedere per far fronte alle nuove sfide?

4.6.1.

I patti territoriali per lo sviluppo (menzionati nella risposta alla domanda 2.1) offrono un approccio interessante per rispondere a questa domanda dal momento che la diversità delle situazioni e delle sfide concrete impone la mobilizzazione di strumenti e di competenze diversi (cfr. punto 1.1). Le parti sociali che dal 2002 presentano al Consiglio europeo di primavera una relazione sul loro coinvolgimento nell'apprendimento permanente devono partecipare attivamente.

4.6.2.

Il CESE tiene a ricordare che «nelle zone rurali e nei piccoli centri urbani in modo particolare l'applicazione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione alla formazione permanente è subordinata al sostegno dell'UE e dei governi degli Stati membri alla creazione di connessioni a Internet ad alta velocità (42) che consentano di accedere ai sistemi di apprendimento elettronico. (…) In questo contesto il CESE si rivolge alla Commissione europea chiedendo che venga riconosciuto il fatto che la questione dell'accesso alla connessione ad alta velocità va inserita in una strategia più ampia mirante a conferire all'accesso ai servizi elettronici lo statuto di servizio di pubblica utilità». Il CESE ritiene che «si debba fare particolare attenzione al pericolo della comparsa di un divario generazionale» (43).

4.7.   Considerando la necessità di una gestione efficace dei programmi della politica di coesione, quale sarebbe la ripartizione ottimale delle responsabilità tra i livelli comunitario, nazionale e regionale in un sistema di governance a più livelli?

4.7.1.

Il CESE tiene a ribadire la propria opposizione a qualunque tentativo di rinazionalizzare la politica di coesione che fornisce innegabilmente un valore aggiunto europeo in termini di solidarietà, di crescita e di occupazione e i cui risultati concreti sono ben visibili agli occhi dei cittadini europei.

4.7.2.

Il CESE ricorda che, ai sensi del Trattato (articoli 2, 158 e 159), tutte le politiche — comunitarie, nazionali, trasversali e settoriali — devono contribuire all'obiettivo della coesione. Di qui l'importanza di tener conto della coesione — e in particolare della sua dimensione territoriale — negli orientamenti integrati e nelle analisi d'impatto (44).

4.7.3.

Il CESE accoglie con favore l'inserimento da parte della CIG della coesione territoriale tra gli obiettivi dell'UE e il progetto della Commissione di dotare la DG REGIO di una nuova unità Coesione territoriale, con il compito di garantire che le politiche settoriali mirino tutte all'obiettivo di coesione. In particolare, il CESE ritiene opportuno avviare una riflessione in merito agli orientamenti di bilancio definiti dal Patto di stabilità e di crescita e alle loro conseguenze sul finanziamento delle reti transeuropee, in particolare in merito agli anelli mancanti, nella misura in cui i progetti ammissibili agli aiuti europei devono essere cofinanziati dalle autorità nazionali.

Va ricordato un certo numero di orientamenti generali. Alcuni figurano già nei Trattati, altri sono stati introdotti a seguito della Conferenza intergovernativa del 2007. Essi dispongono che nella definizione e nell'attuazione delle sue politiche e azioni:

l'Unione tiene conto delle esigenze connesse con la promozione di un livello di occupazione elevato, la garanzia di una protezione sociale adeguata, la lotta contro l'esclusione sociale e un livello elevato di istruzione, formazione e tutela della salute umana (nuovo articolo 5 bis del Trattato sul funzionamento dell'UE),

l'Unione mira a combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, la disabilità, l'età o l'orientamento sessuale (nuovo articolo 5 ter del Trattato sul funzionamento dell'UE),

le esigenze connesse con la tutela dell'ambiente devono essere integrate nella definizione e nell'attuazione delle politiche e azioni comunitarie di cui all'articolo 3, in particolare nella prospettiva di promuovere lo sviluppo sostenibile (articolo 6 del TCE, mantenuto nel nuovo Trattato).

Anche le disposizioni della Carta dei diritti fondamentali riconosciuta dal Trattato sull'UE (articolo 6) devono essere prese in considerazione nella definizione delle politiche strutturali e nella loro attuazione.

4.7.4.

Il CESE deplora vivamente che questa consultazione non affronti il ruolo delle parti sociali e della società civile organizzata nella concezione, elaborazione e attuazione dei fondi strutturali. Il loro coinvolgimento è infatti indispensabile al fine di adattare i progetti cofinanziati alle realtà locali e alle loro esigenze nella misura in cui questi rientrano negli orientamenti strategici. «Il CESE auspica, per il futuro, l'elaborazione di indicatori relativi alle procedure di consultazione sui documenti strategici e di programmazione definiti all'interno degli Stati membri. (…) Gli Stati membri dovrebbero illustrare le modalità di feedback concernenti l'attuazione del principio di partenariato per quanto riguarda i comitati di monitoraggio. Il CESE è convinto che gli Stati membri e le autorità regionali dovrebbero sfruttare maggiormente le potenzialità delle organizzazioni della società civile, coinvolgere queste ultime nella elaborazione dei programmi di promozione e sostenere le iniziative che provengono dalla base, assegnando a tale scopo adeguati mezzi finanziari, disponibili per azioni di promozione e d'informazione concernenti i fondi strutturali. Nel caso dei programmi transfrontalieri o interregionali, sarebbe inoltre opportuno promuovere consultazioni congiunte e partenariati socioprofessionali anch'essi transfrontalieri o interregionali» (45).

4.7.5.

Sulla scia della manifestazione Open Days e dell'iniziativa Regioni per il cambiamento economico, il CESE sostiene con convinzione:

la creazione di un'agenzia europea del turismo, che eserciterebbe la funzione di osservatorio incaricato di fornire alla Comunità, agli Stati membri e alle regioni informazioni e dati affidabili e comparabili in materia di turismo (46),

l'istituzione di «premi europei per la città verde» allo scopo di «incentivare l'ottimizzazione degli sforzi e dei comportamenti delle collettività locali e dei soggetti pubblici e privati che le compongono» (47),

la creazione di un dispositivo di assistenza tecnica per progetti abitativi, in collaborazione con i rappresentanti e le reti di enti locali e regionali e con il sostegno della Commissione europea e degli Stati membri (tesaurizzazione di iniziative e metodi necessari per inserire al meglio i progetti abitativi nei programmi di risanamento urbano) (48).

L'accento andrebbe posto in particolare sulla diffusione delle esperienze e delle pratiche migliori.

4.8.   Quali sono le nuove possibilità di cooperazione tra le regioni, sia all'interno che all'esterno dell'UE?

4.8.1.

Il CESE ritiene che un forum di incontro tra le aree metropolitane e la Commissione potrebbe promuovere il policentrismo e migliorare la conoscenza di tali aree. In questo contesto si potrebbe costituire un gruppo di lavoro incaricato di individuare e diffondere le buone pratiche (49).

4.8.2.

Le entità giuridiche istituite nel quadro del regolamento GECT e degli altri fondi strutturali devono essere responsabili del coordinamento delle diverse fonti di finanziamento che offrono la possibilità di elaborare ed attuare un progetto realizzato con il contributo di questi fondi per sostenere una politica industriale nella regione interessata, essendo queste risorse accessibili ai rappresentanti delle diverse parti interessate a livello regionale. «La costituzione di persone giuridiche come queste (…) [contribuirà ad] incentivare la cooperazione transfrontaliera, dare alle regioni coinvolte un più forte senso di identità e rafforzare la loro intenzione di armonizzare le rispettive normative» (50).

4.8.3.

In tale contesto è opportuno promuovere consultazioni congiunte e partenariati socioprofessionali — anche a livello transfrontaliero o interregionale — e incoraggiare a questi livelli le iniziative di dialogo sociale, realizzando in particolare «il quadro transnazionale opzionale per i negoziati collettivi» come annunciato nell'Agenda sociale 2005-2010 (51).

4.8.4.

Un altro settore di collaborazione tra le regioni per favorire la coesione può essere quello energetico, vista la sua influenza sui costi di produzione, sulle famiglie e sullo sviluppo economico. Ciò può essere fatto attraverso forme di interscambio di energia tra le regioni che ne posseggono una maggior quantità e a costi più bassi, rispetto a quelle che ne sono più sprovviste. Oggi ciò è reso possibile utilizzando un sistema di reti regolato, ma più libero, e con l'attivazione della «borsa» elettrica.

Bruxelles, 13 dicembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Parere CESE sul tema L'impatto e le conseguenze delle politiche strutturali sulla coesione dell'Unione europea (GU C 93 del 27.4.2007, pag. 6, punto 1.4).

(2)  Senza voler anticipare il parere d'iniziativa che il CESE dedica a questo tema, si ritornerà più in là nel corso della trattazione su alcune proposte già formulate.

(3)  Parere CESE sul tema L'impatto e le conseguenze delle politiche strutturali sulla coesione dell'Unione (GU C 93 del 27.4.2007, pag. 6).

(4)  La relazione cita questo aspetto, ma le sole informazioni che essa fornisce al riguardo si riferiscono al livello d'istruzione/apprendimento, mentre il documento COM(2003) 728 def. individuava 10 dimensioni della qualità dell'occupazione e le analizzava tramite una batteria di indicatori.

(5)  Parere CESE in merito alla comunicazione della Commissione Politica di coesione a sostegno della crescita e dell'occupazione: linee guida della strategia comunitaria per il periodo 2007-2013 (GU C 185 dell'8.8.2006, pag. 52).

(6)  Ibidem.

(7)  Parere CESE in merito alla proposta di decisione del Consiglio relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee (GU C 267 del 27.10.2005, pag. 57).

(8)  Parere CESE sul tema L'impatto e le conseguenze delle politiche strutturali sulla coesione dell'Unione europea (GU C 93 del 27.4.2007, pag. 6).

(9)  In occasione del rilancio della strategia di Lisbona nel marzo 2005, il Consiglio europeo ha precisato che questa strategia si colloca nel contesto più ampio dello sviluppo sostenibile secondo cui occorre soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri. Il Consiglio europeo ribadisce il suo impegno a favore dello sviluppo sostenibile in quanto principio fondamentale che disciplina il complesso delle politiche e azioni dell'Unione. Conclusioni della presidenza, Consiglio europeo del giugno 2005.

(10)  Orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione (2005-2008) (COM(2005) 141 def.); Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sul riesame della strategia per lo sviluppo sostenibile — Una piattaforma d’azione (COM(2005) 658 def.).

(11)  Cfr. pareri CESE sui seguenti temi: Le aree metropolitane europee: implicazioni socioeconomiche per il futuro dell'Unione (GU C 168 del 20.7.2007, pag. 10); L'impatto e le conseguenze delle politiche strutturali sulla coesione dell'Unione europea (GU C 93 del 27.4.2007, pag. 6) e L'agenda territoriale (GU C 168 del 20.7.2007, pag. 16).

(12)  Cfr. a questo riguardo lo studio elaborato per la commissione REGI del Parlamento europeo dal titolo Les disparités régionales et la cohésion: quelles stratégies pour l'avenir? (Le disparità regionali e la coesione: quali strategie per l'avvenire?) (non disponibile in IT), maggio 2007.

(13)  Nel 2008 è prevista l'elaborazione di un parere che affronterà tale questione in occasione del decimo anniversario dell'UEM.

(14)  Cfr. nota 12.

(15)  In occasione del rilancio della strategia di Lisbona nel marzo 2005, il Consiglio europeo ha precisato che questa strategia si colloca nel contesto più ampio dello sviluppo sostenibile secondo cui occorre soddisfare i bisogni del presente senza compromettere la capacità delle generazioni future di soddisfare i propri. Il Consiglio europeo ribadisce il suo impegno a favore dello sviluppo sostenibile in quanto principio fondamentale che disciplina il complesso delle politiche e azioni dell'Unione. Conclusioni della presidenza, Consiglio europeo del giugno 2005.

(16)  Parere CESE in merito alla comunicazione della Commissione Attuazione del programma comunitario di Lisbona: i servizi sociali d'interesse generale nell'Unione (GU C 161 del 13.7.2007, pag. 80).

(17)  Parere CESE sul tema L'impatto e le conseguenze delle politiche strutturali sulla coesione dell'Unione europea (GU C 93 del 27.4.2007, pag. 6, punto 1.3).

(18)  Cfr. nota 9.

(19)  Parere CESE sul tema La governance territoriale delle trasformazioni industriali: il ruolo delle parti sociali e il contributo del programma quadro per l'innovazione e la competitività (GU C 318, del 23.12.2006, pag. 12).

(20)  Parere CESE sul tema Qualità della vita professionale, produttività e occupazione di fronte alla globalizzazione ed alle sfide demografiche (GU C 318 del 23.12.2006, pag. 157).

(21)  Parere CESE sul tema Il dialogo sociale e il coinvolgimento dei lavoratori: fattori essenziali per anticipare e gestire le trasformazioni industriali, (GU C 24 del 31.1.2006, pag. 90).

(22)  Parere CESE in merito alla comunicazione della Commissione Politica di coesione a sostegno della crescita e dell'occupazione: linee guida della strategia comunitaria per il periodo 2007-2013 (GU C 185 dell'8.8.2006, pag. 52).

(23)  Relazione sulle delocalizzazioni nel contesto dello sviluppo regionale (relatore: HUTCHINSON, 30 gennaio 2006).

(24)  Parere CESE sul tema Il contributo del turismo al rilancio socioeconomico delle zone in declino (GU C 24 del 31.1.2006, pag. 1).

(25)  Parere CESE sul tema Turismo e cultura: due forze al servizio della crescita (GU C 110 del 9.5.2006, pag. 1).

(26)  ORATE, Scenarios on the territorial future of Europe, maggio 2007.

(27)  Parere CESE sul tema Il ruolo dello sviluppo sostenibile nelle prossime prospettive finanziarie (GU C 267 del 27.10.2005, pag. 22).

(28)  Parere CESE sul tema L'impatto e le conseguenze delle politiche strutturali sulla coesione dell'Unione europea (GU C 93 del 27.4.2007, pag. 6).

(29)  Cfr. i due pareri CESE sul tema Le aree metropolitane europee: implicazioni socioeconomiche per il futuro dell'Unione (GU C 302 del 7.12.2004, pag. 101, e GU C 168 del 20.7.2007, pag. 10).

(30)  Parere CESE sul tema La governance territoriale delle trasformazioni industriali: il ruolo delle parti sociali e il contributo del programma quadro per l'innovazione e la competitività (GU C 318, del 23.12.2006, pag. 12).

(31)  www.odpm.gov.uk

(32)  Parere CESE in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo relativa ad una strategia tematica sull'ambiente urbano (GU C 318 del 23.12.2006, pag. 86).

(33)  Parere CESE in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo all'istituzione di un gruppo europeo di cooperazione transfrontaliera (GECT) (GU C 255 del 14.10.2005, pag. 76).

(34)  Parere CESE in merito al Terzo rapporto sulla coesione economica e socialeUn nuovo partenariato per la coesione: convergenza, competitività e cooperazione (GU C 302 del 7.12.2004, pag. 60).

(35)  Parere CESE sul tema Verso una maggiore integrazione delle regioni gravate da svantaggi naturali e strutturali permanenti (GU C 221 dell'8.9.2005, pag. 141).

(36)  COM(2003) 270 def.

(37)  Parere esplorativo CESE sul tema La famiglia e l'evoluzione demografica (GU C 161 del 13.7.2007, pag. 66).

(38)  Ibidem.

(39)  Ibidem.

(40)  Parere CESE sul tema L'abitazione e la politica regionale (GU C 161 del 13.7.2007, pag. 17).

(41)  Ibidem.

(42)  Accesso a Internet ad alta velocità/a banda larga: canale di comunicazione ad alta velocità che consente un accesso flessibile e rapido alle fonti di informazione e ai progetti di e-learning

(fonte: www.elearningeuropa.info).

(43)  Parere CESE sul tema Il contributo della formazione permanente basata sulle tecnologie dell'informazione alla competitività europea, alle trasformazioni industriali e allo sviluppo del capitale sociale (GU C 318 del 23.12.2006, pag. 20).

(44)  Parere CESE sul tema L'impatto e le conseguenze delle politiche strutturali sulla coesione dell'Unione europea (GU C 93 del 27.4.2007, pag. 6).

(45)  Cfr. due pareri CESE in merito alla comunicazione della Commissione Politica di coesione a sostegno della crescita e dell'occupazione: linee guida della strategia comunitaria per il periodo 2007-2013 (GU C 185 dell'8.8.2006, pag. 52) e L'impatto e le conseguenze delle politiche strutturali sulla coesione dell'Unione europea (GU C 93 del 27.4.2007, pag. 6).

(46)  Parere CESE sul tema Turismo e cultura: due forze al servizio della crescita (GU C 110 del 9.5.2006, pag. 1).

(47)  Parere CESE in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo relativa ad una strategia tematica sull'ambiente urbano (GU C 318 del 23.12.2006, pag. 86).

(48)  Parere CESE sul tema L'abitazione e la politica regionale (GU C 161 del 13.7.2007, pag. 17).

(49)  Cfr. due pareri CESE sul tema Le aree metropolitane europee: implicazioni socioeconomiche per il futuro dell'Unione (GU C 302 del 7.12.2004, pag. 101, e GU C 168 del 20.7.2007, pag. 10).

(50)  Parere CESE sul tema La gestione delle trasformazioni industriali nelle regioni transfrontaliere dopo l'allargamento dell'UE (GU C 185 dell'8.8.2006, pag. 24).

(51)  Parere CESE in merito alla comunicazione della Commissione Politica di coesione a sostegno della crescita e dell'occupazione: linee guida della strategia comunitaria per il periodo 2007-2013 (GU C 185 dell'8.8.2006, pag. 52).


16.5.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/82


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Migrazione e sviluppo: opportunità e sfide

(2008/C 120/18)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 febbraio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere sulla:

Migrazione e sviluppo: opportunità e sfide

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 3 ottobre 2007, sulla base del progetto predisposto dal relatore Sukhdev SHARMA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 dicembre 2007, nel corso della 440a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 125 voti favorevoli e 5 astensioni.

1.   Sintesi

1.1.

Il presente parere d'iniziativa contiene una serie di suggerimenti strategici su alcuni aspetti delle tematiche, tra loro strettamente interrelate, della migrazione e dello sviluppo.

1.2.

Se ci si sofferma su esempi concreti, su proposte e su accordi di cooperazione che dovrebbero arrecare vantaggio ad entrambe le parti, la migrazione può essere considerata uno «strumento di sviluppo». Proponendo misure specifiche, il CESE intende portare la discussione dal livello politico a quello programmatico.

1.3.

Per fare sì che le politiche in materia di migrazione e di sviluppo ottengano i migliori risultati, occorre agevolare l'invio delle rimesse (cfr. punti 3.4-3.8) in modo da migliorare il livello di reddito dei beneficiari, come pure regolamentare i flussi migratori a vantaggio dei paesi più arretrati o di talune fasce della popolazione a basso reddito nei paesi in via di sviluppo (4.2). Grazie ai diversi progetti di co-sviluppo le rimesse private possono anche essere convogliate verso progetti infrastrutturali a vantaggio del grande pubblico (5.1-5.2). Altre forme di co-sviluppo sono intese a creare contatti con le organizzazioni della diaspora allo scopo di mobilizzare risorse umane e/o finanziarie per effettuare investimenti esteri diretti, trasferimenti di conoscenze e tecnologie nonché rimesse socioculturali (5.3-5.8). Determinate politiche di migrazione e sviluppo possono alleviare gli effetti negativi della fuga di cervelli (brain drain) creando, al contrario, una concentrazione di cervelli (brain trust) e promuovendo lo sviluppo di modelli di migrazione circolari e virtuali (6.2-6.4). Il CESE, infine, ritiene che le politiche della migrazione e dello sviluppo possano aver successo solo se vengono inserite in altre politiche pertinenti nel rispetto della coerenza (7.1-7.3).

1.4.

Il presente documento va ad integrare il parere d'iniziativa del CESE sul tema Politica comunitaria di immigrazione e di cooperazione con i paesi d'origine per promuovere lo sviluppo (relatore: PARIZA CASTAÑOS) (1). Con esso, inoltre, il CESE esprime il proprio appoggio alla comunicazione della Commissione Migrazione circolare e partenariati per la mobilità tra l'Unione europea e i paesi terzi  (2).

2.   Migrazione e globalizzazione

2.1.

Il processo di globalizzazione ha condotto alla liberalizzazione dei movimenti di capitali, beni e servizi. La circolazione delle persone resta al contrario il settore in cui la globalizzazione è più limitata: è invece proprio su di esso che bisognerebbe concentrarsi per consentire alle economie meno sviluppate di fruire in più ampia misura della crescita economica prodotta dalla globalizzazione. Il presente parere segue la corrente di pensiero secondo cui la migrazione costituisce per i paesi in via di sviluppo un'occasione di partecipare — a condizioni più eque — all'economia globalizzata di oggi. La migrazione ha le potenzialità per ridurre le disparità, ma non può essere vista come un sostituto dei tradizionali aiuti allo sviluppo.

2.2.

Due considerazioni sono alla base di una concezione della migrazione come anello di congiunzione tra globalizzazione e sviluppo. In primo luogo, le tendenze demografiche indicano che le carenze di manodopera già riscontrabili nei paesi dell'Unione europea dovrebbero aumentare nel prossimo futuro, soprattutto nei comparti di servizi ad alta intensità di manodopera. In secondo luogo, la Banca mondiale prevede che una migrazione ben gestita potrebbe, sempre nel prossimo futuro, fornire un sostegno monetario significativo sotto forma di rimesse dei lavoratori migranti provenienti da paesi poveri (3). I flussi di rimesse all'interno dei paesi OCSE, ma anche provenienti dagli OCSE e diretti verso i paesi in via di sviluppo, o tra paesi in via di sviluppo sono in costante aumento (4). La migrazione internazionale può quindi essere un importante fattore per raggiungere gli obiettivi di sviluppo del Millennio. Le rimesse, al pari dei concetti di co-sviluppo e di migrazione circolare presentano un notevole potenziale di sviluppo, che — va sottolineato — è alimentato dalle esigenze del mercato del lavoro dell'Europa occidentale.

2.3.

Il presente parere sottolinea la necessità di definire per le politiche della migrazione e dello sviluppo una strategia ben sviluppata, ampia ed integrata, che abbia le potenzialità per creare una situazione vantaggiosa per tutti e sotto ogni profilo (win win).

2.4.

Una tale strategia deve riconoscere lo squilibrio tra effetti positivi e negativi della migrazione sui paesi in via di sviluppo e affrontare di conseguenza il rapporto costi-benefici. Mentre in alcuni paesi la migrazione allenta la pressione prodotta dalla sovrappopolazione e dalla disoccupazione e l'esportazione volontaria di manodopera qualificata crea fonti di rimesse future, di investimenti diretti e di trasferimenti di conoscenze dall'estero, in altri la continua emorragia di capitale umano costituisce un grave ostacolo allo sviluppo. Una buona gestione della migrazione è quella che ne rafforza gli effetti positivi, mitigandone al tempo stesso quelli negativi.

2.5.

Il CESE appoggia le valutazioni condotte dalle maggiori organizzazioni internazionali per lo sviluppo, come la Banca mondiale, il ministero britannico dello Sviluppo internazionale, OXFAM, ecc., che evidenziano tutte il potenziale rappresentato dalla migrazione internazionale ai fini della lotta contro la povertà e del sostegno dello sviluppo economico nei paesi d'origine. I trasferimenti di rimesse aumentano in misura considerevole il reddito dei nuclei familiari beneficiari, sono un potente strumento di alleviamento a breve termine delle condizioni di povertà e, se gestiti accortamente, possono perfino condurre a uno sviluppo sostenibile a lungo termine. Quest'ultimo trova sostegno nelle diverse forme di co-sviluppo, come le azioni filantropiche prodotte dalla diaspora, le rimesse sociali, i trasferimenti di conoscenze e le reti transnazionali di imprese.

2.6.

Il punto di forza di una buona gestione delle politiche di migrazione e di sviluppo dovrebbe essere la loro capacità di proteggere i paesi vulnerabili, che sono di fatto quasi tutti appartenenti all'Africa subsahariana, dagli ostacoli allo sviluppo creati dalla migrazione stessa. Sono spesso i paesi in via di sviluppo che beneficiano in misura minore delle rimesse e delle azioni filantropiche a sopportare in misura maggiore i costi della migrazione sotto forma di una perdita di manodopera altamente qualificata e di talento. Dei modelli di migrazione circolare e virtuale possono sopperire in una certa misura alle carenze dell'emigrazione incontrollata. Politiche adeguate di migrazione e sviluppo possono venire incontro alle esigenze e alle peculiarità di settori particolarmente vulnerabili alla migrazione, come l'istruzione e l'assistenza sanitaria. Altre iniziative di sviluppo saranno sostenibili solo in presenza di regimi di migrazione severi che impediscano la perdita di personale sanitario qualificato in zone particolarmente colpite dal virus dell'HIV/AIDS. Dei partenariati bilaterali e regionali tra paesi di destinazione e paesi d'origine possono svolgere un ruolo importante proteggendo i settori di questi ultimi fondamentali per lo sviluppo.

2.7.

Il CESE ha preso atto delle tante e profonde ripercussioni del fenomeno migratorio sui paesi d'origine e su quelli di destinazione, che sono in alcuni casi riconoscibili solo dopo diversi anni dall'inizio del flusso. Un aspetto che suscita crescente preoccupazione è costituito dai figli di lavoratori migranti che restano nei paesi d'origine e dalle loro prospettive in termini sanitari e scolastici una volta che si ritrovano in una famiglia divenuta monoparentale. A livello di società, le zone colpite dalla migrazione mostrano segni di distorsione della proporzione tra i due sessi che lasceranno certamente un'impronta sulle condizioni socioeconomiche globali per uno sviluppo a lungo termine. Di queste considerazioni va tenuto conto al momento di pianificare e attuare una politica della migrazione internazionale.

2.8.

Il CESE desidera sottolineare l'interdipendenza socioeconomica che esiste tra il paese d'accoglienza e quello d'origine. I lavoratori migranti che hanno ottenuto una buona riuscita economica nel paese d'accoglienza tendono ad inviare in patria rimesse più sostanziose. Analogamente, quelli ben integrati nella società del paese d'accoglienza hanno maggiori possibilità di contribuire al co-sviluppo del paese d'origine grazie ad azioni filantropiche, rimesse sociali e forme di migrazione circolare o virtuale, rispetto a quelli meno bene integrati. Di conseguenza, i paesi d'accoglienza devono studiare le soluzioni più atte ad evitare uno spreco di cervelli (brain waste): esse vanno da una migliore integrazione sociale in generale alla perequazione delle retribuzioni, fino al miglioramento delle condizioni di lavoro — compreso l'accesso ai sindacati — o alla definizione della posizione giuridica spesso problematica dei migranti. Un approccio di questo tipo è utile da un lato alla società d'accoglienza, che trae così il massimo beneficio dai lavoratori migranti, e dall'altro anche a questi ultimi in quanto ne aumenta il potenziale di sviluppo.

2.9.

Interconnessioni analoghe si riscontrano nelle iniziative destinate a frenare la migrazione clandestina. La migrazione clandestina danneggia in primo luogo i paesi di destinazione perché è collegata con il lavoro illegale. Essa costituisce poi una minaccia per gli stessi migranti (clandestini), che spesso si trovano in una posizione di debolezza, prigionieri di un pericoloso rapporto di sfruttamento che impone loro dure condizioni di lavoro, con scarse garanzie in materia di salute e sicurezza. La migrazione clandestina, inoltre, può produrre conseguenze negative in termini di sviluppo: nei paesi d'accoglienza le occasioni di integrazione sono limitate e gli elevati costi del passaggio riducono le prospettive di rimessa da parte dei migranti clandestini verso i paesi d'origine. Resta tuttavia il fatto che la regolarizzazione degli immigrati che, privi di documenti, si sono integrati nel paese d'accoglienza costituisce un imperativo umanitario e al tempo stesso una necessità economica e sociale. Offrendo maggiori opportunità di migrazione legale si aumenta anche il potenziale in termini di sviluppo della migrazione stessa e, al contempo, si riduce la necessità per gli aspiranti migranti di ricorrere ad organizzazioni criminali attive nel contrabbando e nel traffico di esseri umani. La migrazione legale riduce pertanto al minimo lo sfruttamento.

2.10.

Il CESE riconosce che la migrazione Sud-Sud è la forma più comune di migrazione internazionale e che i paesi vicini o la regione circostante sono le destinazioni preferite dai migranti internazionali (5). Se si considera, poi, che la migrazione comporta dei rischi e necessita di risorse finanziarie, di capacità personali e di reti, risulta evidente che — soprattutto tra la popolazione più povera — i movimenti all'interno dei confini nazionali sono di gran lunga la forma più diffusa di migrazione (6). Pertanto, un approccio globale nei confronti delle politiche di migrazione e di sviluppo deve anche tener conto dell'impatto potenziale della migrazione regionale e interna sulla riduzione della povertà e sullo sviluppo economico.

2.11.

Il CESE sollecita in particolare gli Stati membri ad applicare gli standard codificati dalla Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie (1990).

3.   Migrazione e riduzione della povertà: come agevolare le rimesse

3.1.

Il CESE riconosce il potenziale di sviluppo insito nelle rimesse che il lavoratore migrante invia alla propria famiglia rimasta nel paese d'origine. Gli studi effettuati indicano che le rimesse aumentano in via diretta il livello di reddito di chi le riceve, alleviandone di conseguenza le condizioni di povertà.

3.2.

Una quota imprecisata ma comunque significativa di rimesse — tra uno e due terzi — passa però attraverso canali informali, con conseguenze negative per il lavoratore migrante e per il beneficiario, per il paese d'accoglienza e per quello d'origine. Data la mancanza di concorrenza tra fornitori di servizi finanziari nel settore informale, il lavoratore migrante e il beneficiario non hanno scelta: devono accettare gli elevati costi di transazione che a loro volta erodono il reddito del migrante. Per i paesi in via di sviluppo finanziariamente deboli le rimesse inviate dai migranti costituiscono una fonte primaria di valuta estera e quindi, se trasferite attraverso istituti di credito ufficiali, possono contribuire allo sviluppo finanziario aumentando i livelli globali dei depositi e dei crediti affidati all'intermediazione del settore bancario locale (7). Le rimesse creano pertanto uno sviluppo macroeconomico positivo. Dal canto loro, i paesi d'accoglienza associano in genere il settore bancario informale a problemi di sicurezza: attività come il riciclaggio di denaro sporco o il finanziamento di organizzazioni terroristiche si realizzano infatti — il più delle volte — mediante transazioni finanziarie informali.

3.3.

Varie sono le ragioni per cui i migranti preferiscono affidare le loro rimesse a canali irregolari piuttosto che ai servizi bancari ufficiali. Molti di essi scelgono canali di trasferimento irregolari perché gli erogatori di servizi ufficiali sono troppo costosi, lenti e complessi da un punto di vista burocratico, o semplicemente non sono loro accessibili. Essi nutrono altresì una profonda sfiducia negli istituti di credito del proprio paese d'origine o temono possibili fluttuazioni dei tassi di cambio. Quanto ai beneficiari che vivono in condizioni di povertà, soprattutto quelli stabiliti in remote zone rurali, essi non hanno materialmente accesso ai servizi bancari. Ancora più numerosi, poi, sono quelli che non possono permettersi le spese connesse al fatto di essere titolari di un conto. Le spese di invio delle rimesse hanno un impatto sproporzionato sulle famiglie a basso reddito che spediscono regolarmente piccole somme di denaro. I migranti irregolari non possono accedere ai servizi bancari proprio perché mancano dei documenti essenziali per aprire un conto.

3.4.

Il CESE incoraggia gli Stati membri, la Commissione, il Parlamento e il Consiglio a considerare le iniziative descritte in appresso come uno strumento per promuovere lo sviluppo.

3.4.1.

Gli istituti di credito dei paesi d'origine dovrebbero mettere a disposizione dei migranti che vivono e lavorano all'estero dei libretti di risparmio in valuta straniera.

3.4.2.

Alle famiglie a basso reddito dovrebbero essere offerti servizi bancari a tassi accessibili anche nelle zone attualmente sprovviste di una rete bancaria. Tali servizi potrebbero essere forniti da aziende presenti sul territorio, come le reti di uffici postali o di negozi al dettaglio oppure le cooperative di credito esistenti. Il calo delle commissioni sulle rimesse non dovrebbe però essere controbilanciato da tassi di cambio poco favorevoli, applicati a vantaggio degli istituti di credito.

3.4.3.

Occorre rafforzare la concorrenza tra fornitori di servizi di rimessa per ridurre i costi di trasferimento. Le ONG e gli enti pubblici dei paesi d'accoglienza possono stimolare la concorrenza diffondendo informazioni sui prezzi comparati dei fornitori di servizi. Un'iniziativa esemplare in tal senso è la pagina web www.sendmoneyhome.org. Un'attività di primaria importanza in questo ambito è anche l'alfabetizzazione finanziaria dei migranti, che dovrebbe essere promossa dalla società civile in collaborazione con gli istituti di credito.

3.4.4.

Perfezionando le tecnologie bancarie nei paesi d'origine si potrebbero ridurre in modo significativo i costi di transazione, velocizzare le operazioni e renderle più sicure. L'efficienza di questi servizi potrebbe essere aumentata anche introducendo, nelle zone più remote, una tecnologia satellitare dell'informazione in appoggio a una gestione avanzata e ad un sistema di trasferimento elettronico. L'introduzione delle carte di debito o dei servizi aggiuntivi offerti dalla telefonia mobile costituisce una soluzione innovativa in grado di estendere il raggio di azione di tali servizi. Tutte queste misure di rafforzamento delle capacità richiedono investimenti che potrebbero essere promossi dagli organi ufficiali di assistenza allo sviluppo e da partenariati pubblico-privati.

3.4.5.

I severi requisiti previsti in materia di identificazione costituiscono un deterrente per i migranti privi di documenti che intendano aprire un conto corrente bancario. Gli istituti di credito dovrebbero pensare a come migliorare l'accesso ai loro servizi da parte dei migranti privi dei necessari documenti. Per consentire l'avvio di tale processo gli Stati membri dovrebbero esaminare l'opportunità di modificare in modo accettabile il quadro normativo del settore bancario.

3.5.

La riduzione dei costi costituisce un primo passo necessario per migliorare l'impatto delle rimesse sullo sviluppo. Un secondo passo è costituito dall'agevolazione del flusso: i paesi di destinazione dovrebbero pertanto creare dei partenariati con i paesi d'origine che ricevono considerevoli quantità di rimesse. Tali partenariati potrebbero favorire in modo opportuno le misure atte a migliorare l'accesso agli istituti di credito da parte della popolazione a basso reddito, rafforzare la capacità dei fornitori di servizi finanziari di agevolare i flussi di rimesse e creare incentivi a utilizzare i canali di trasferimento formali.

3.6.

Il CESE sollecita gli istituti di credito che operano nell'UE a sviluppare una politica dei servizi bancari all'insegna della responsabilità sociale dell'azienda, che riconosca il ruolo centrale di tali istituti nel venire incontro alle esigenze dei migranti e delle loro famiglie.

3.7.

Il CESE incoraggia con convinzione la creazione di partenariati che promuovano iniziative volte a favorire l'uso delle rimesse come fonte di sviluppo tramite il contenimento dei costi e l'incremento dell'accesso, e fornisce di seguito due esempi di iniziative già realizzate.

3.7.1.

La GSM Association — l'organismo mondiale della telefonia mobile che raccoglie numerosi operatori — e MasterCard — l'azienda erogatrice di prodotti di pagamento — hanno messo a punto un sistema che consentirà ai migranti di versare denaro sul loro cellulare per poi dare ordine di trasferirlo su un cellulare all'estero, il cui titolare riceverà un messaggio di testo con la comunicazione dell'avvenuto arrivo del denaro.

3.7.2.

La banca Lloyds TSB, con sede nel Regno Unito, in collaborazione con l'indiana ICICI, consente agli indiani non residenti di effettuare gratuitamente rimesse verso l'India purché mantengano una somma minima sul loro conto ICICI.

3.8.

Soprattutto in periodi di conflitti armati o di crisi, oppure dopo una catastrofe naturale, le rimesse si sono dimostrate uno strumento efficace e veloce per far fronte alle esigenze dei rifugiati e delle vittime nei loro paesi d'origine. Le organizzazioni di aiuti umanitari e i primi soccorritori dovrebbero considerare l'opportunità di garantire l'accesso alle rimesse quale parte integrante dei loro pacchetti di aiuti all'indomani di un conflitto o di una catastrofe naturale.

4.   Migrazione e riduzione delle disuguaglianze: regolamentazione dei flussi migratori regolari a vantaggio delle regioni più arretrate

4.1.

Benché possano in teoria alleviare in tempo reale le condizioni di povertà dei destinatari, le rimesse, in quanto transazioni private, presentano un impatto limitato in termini di sviluppo, dal momento che a beneficiarne non è di solito la popolazione più povera poiché le persone in grado di sostenere i costi iniziali della migrazione provengono piuttosto da famiglie a reddito medio-basso. Per giunta, il flusso di rimesse è diretto principalmente verso i paesi a forte emigrazione che attuano politiche volontarie di esportazione del capitale umano e solo meno di un terzo delle rimesse è destinato ai paesi più arretrati. Il continuo afflusso di rimesse dipende direttamente dal continuo esodo di migranti ed è pertanto sensibile al mutare delle politiche della migrazione o alla crescita economica dei paesi d'accoglienza.

4.2.

Per potenziare l'impatto delle rimesse sulla povertà e al tempo stesso colmare le disuguaglianze, i paesi di destinazione devono non soltanto gestirne meglio e favorirne i flussi, come indicato in precedenza, ma anche meglio organizzare le ondate migratorie che li precedono. Delle eventuali restrizioni al numero di migranti regolari accolti nei paesi di destinazione avranno come conseguenza un impatto negativo sul flusso delle rimesse destinate ai paesi d'origine. I paesi di destinazione possono riuscire ulteriormente a orientare la direzione dei flussi di rimesse attribuendo uno «status di immigrazione preferenziale» a gruppi specifici provenienti da paesi o regioni d'origine determinati. Questo impedisce infatti che la presenza in un paese di reti già costituite di migranti porti a privilegiare una regione d'origine in particolare, acuendo così ulteriormente le situazioni di disparità nei luoghi d'origine. Il paese d'accoglienza fornisce così assistenza proattiva alle regioni meno sviluppate nei paesi d'origine e contribuisce a ridurre le disuguaglianze esistenti. Un altro modo ancora di assicurare che le rimesse raggiungano le zone più arretrate è quello di puntare sui migranti che provengono da famiglie a basso reddito agevolandone la migrazione.

5.   Migrazione e (co-)sviluppo

5.1.

Per co-sviluppo si intendono le attività, condotte dai migranti, che completano lo sviluppo, pur senza sostituirlo. Tali attività sono caratterizzate da una programmazione decisa in base alle esigenze specifiche, dalla sostenibilità e dalla capacità di collegare gruppi della diaspora a comunità rimaste nei paesi d'origine. Una forma di co-sviluppo che raggiunge tutte le fasce di reddito della comunità beneficiaria è costituita dagli investimenti basati sulle rimesse e destinati alle infrastrutture per l'istruzione e i servizi sanitari di base. Il CESE sostiene pertanto la proposta di integrare le rimesse nel co-sviluppo.

5.1.1.

Un'iniziativa particolarmente degna di nota è costituita dal programma di cofinanziamento. Ad ogni rimessa che i migranti destinano allo sviluppo della loro comunità nel paese d'origine si associa, come contropartita, una dotazione di uguale importo da parte di ciascuno dei partner istituzionali al programma (8). Idealmente tali partner dovrebbero essere organizzazioni di aiuti allo sviluppo, le quali contribuiscono al programma con la loro esperienza di gestione e con il loro personale qualificato in collaborazione con il governo locale per garantire la sostenibilità dell'iniziativa. Questi programmi dovrebbero essere ampiamente pubblicizzati e risultare facilmente accessibili grazie a piattaforme di informazione che, tra l'altro, promuovano il ricorso, per il trasferimento delle rimesse, ai canali bancari ufficiali. Una volta individuati alcuni esempi riusciti di programmi di cofinanziamento, bisognerebbe sollecitare la partecipazione di altri finanziatori del settore privato. Soprattutto le aziende che impiegano un'elevata percentuale di migranti, nonché i fornitori di servizi finanziari che facilitano i trasferimenti di rimesse andrebbero invitati a partecipare e ad esercitare la loro parte di responsabilità sociale. Questi partenariati pubblico-privati vanno a beneficio di tutti gli interessati: l'impatto sullo sviluppo aumenta grazie alle rimesse collettive più sostanziose, mentre le aziende e le banche instaurano un rapporto di fiducia con i loro clienti. Il CESE però si rende conto che una cooperazione tra paese d'origine e paese d'accoglienza dovrebbe tener conto di tutti i livelli: non solo quindi dei governi e istituzioni, ma anche delle parti sociali e organizzazioni della società civile. In questo modo, grazie ad attività e a dichiarazioni d'impegno anticorruzione, si impedirebbe il diffondersi di pratiche predatrici a danno dei fondi trasferiti.

5.2.

In altre forme di co-sviluppo, le rimesse vengono indirizzate verso attività imprenditoriali o di investimento.

5.2.1.

Gli incentivi che i paesi d'origine possono offrire per potenziare il volume complessivo delle rimesse destinate al co-sviluppo vanno dalle esenzioni dall'imposta sul reddito per i migranti che investono nelle imprese locali all'esenzione dai dazi all'importazione per gli investimenti delle imprese.

5.2.2.

Il CESE incoraggia gli istituti di credito e le agenzie di sviluppo a sperimentare programmi pilota che creino un collegamento tra le rimesse e gli istituti di microfinanza nei paesi in via di sviluppo.

5.2.3.

Gli istituti di credito nei paesi d'origine e d'accoglienza andrebbero incoraggiati a creare partenariati in questo campo per agevolare la vendita incrociata di servizi finanziari complementari, come ad esempio l'offerta di finanziamenti per le piccole imprese o di mutui edilizi insieme ai servizi legati alle rimesse.

5.2.4.

Per sostenere e incrementare queste attività, le agenzie di sviluppo e le organizzazioni della società civile dovrebbero informare le comunità di migranti nei paesi d'accoglienza in merito alle possibilità di investimento esistenti, fornire una formazione d'impresa e promuovere le reti che mettono in contatto i migranti con imprenditori in cerca di capitale nei paesi d'origine. Gli imprenditori migranti nei paesi d'accoglienza e gli imprenditori nei paesi d'origine dovrebbero essere in contatto tra loro nell'ambito di reti strategiche commerciali e di sviluppo.

5.3.

Alcuni degli interventi appena illustrati richiedono la collaborazione delle organizzazioni della diaspora costituitesi nei paesi d'accoglienza. Le reti di collegamento tra tali organizzazioni e i paesi d'origine sono frutto, fondamentalmente, di iniziative individuali o di gruppo. Tali reti sono una fonte primaria di investimenti esteri diretti, di trasferimenti di conoscenze e di tecnologie, di azioni filantropiche come pure di rimesse sociali e culturali. Esse possono perfino contribuire ai processi di pace e di ricostruzione. Purtroppo però i paesi più arretrati non hanno la capacità di rintracciare i propri migranti all'estero e di dare vita a reti della diaspora per attingere a queste risorse di sviluppo (rimesse, investimenti, competenze, conoscenze).

5.4.

La sfida è pertanto quella di rafforzare il potenziale delle organizzazioni della diaspora provenienti dai paesi più arretrati e di puntare allo sviluppo delle fasce a più basso reddito.

5.5.

In questo processo occorre però tenere conto del fatto che le comunità della diaspora sono per lo più organizzate in modo informale e poco strutturato: la loro struttura e funzionamento dipendono dal paese in cui sono insediate e da dinamiche di interazione con il paese d'origine di tipo molto caratterizzato.

5.6.

L'individuazione nella diaspora di gruppi adatti e il rafforzamento della loro capacità di contribuire allo sviluppo dei paesi d'origine può dare origine ad una «concentrazione di cervelli». Questa si ottiene grazie a progetti che coinvolgono capitale umano e che mobilitano i migranti (o i loro discendenti) inserendoli in programmi di sviluppo pubblici o privati. Tali programmi attingono alle capacità linguistiche e alle competenze culturali dei migranti e mettono a disposizione dei paesi in via di sviluppo le competenze professionali di questi ultimi, la loro esperienza e i contatti di recente acquisizione.

5.6.1.

Prima di poter avviare un'iniziativa di rafforzamento delle capacità destinata alle organizzazioni della diaspora e ai paesi d'origine più arretrati, occorre però necessariamente individuare e inventariare le organizzazioni e le reti. Il CESE raccomanda pertanto di creare, su base volontaria, dei registri di migranti qualificati provenienti da paesi colpiti dal fenomeno della fuga di cervelli, e residenti nei paesi d'accoglienza, nonché di imprenditori migranti provenienti da paesi in via di sviluppo piccoli e medi, attualmente attivi nei paesi d'accoglienza.

5.6.2.

Una volta identificate le organizzazioni della diaspora, bisogna consentire loro di mettersi in contatto con i paesi d'origine per contribuire al loro sviluppo. Per agevolare questo processo, i paesi di destinazione e le organizzazioni internazionali di cooperazione allo sviluppo dovrebbero creare piattaforme e forum, organizzare incontri tra imprese nonché erogare indennità di viaggio e borse.

5.7.

L'esistenza di comunità della diaspora non garantisce automaticamente un loro impatto positivo sullo sviluppo dei paesi d'origine: le condizioni politiche e socioeconomiche di questi ultimi e le loro strategie svolgono un ruolo ugualmente importante, se non addirittura decisivo. In generale, tuttavia, le associazioni di migranti dovrebbero prestare maggiore attenzione agli aspetti legati allo sviluppo. Alle organizzazioni che si occupano di questo tema viene pertanto chiesto di contattare le associazioni di migranti per discutere con loro su come attuare una cooperazione realmente efficace.

5.8.

Il CESE sostiene l'istituzione di un fondo specifico per la migrazione e lo sviluppo che consenta di realizzare le attività illustrate fin qui.

6.   Migrazione e contenimento degli effetti della fuga di cervelli: creare concentrazioni di cervelli e agevolare la migrazione circolare e virtuale

6.1.

L'emigrazione volontaria di capitale umano spesso genera conseguenze economicamente vantaggiose per i paesi d'origine. Per molti di questi, la migrazione internazionale costituisce un modo per allentare la pressione prodotta dalla sovrappopolazione e dalla disoccupazione. Alcuni paesi esportano con successo manodopera proprio con l'intenzione di creare all'estero gruppi di riferimento per l'invio delle rimesse, per gli investimenti esteri diretti e per i trasferimenti di conoscenze. Tuttavia, la continua emorragia di risorse umane, soprattutto se altamente qualificate e di talento, ostacola lo sviluppo dei paesi più arretrati, che non posseggono le capacità economiche o istituzionali per garantire le necessarie sostituzioni.

6.2.

Il CESE sollecita pertanto tutti gli attori, in primo luogo, a compiere tutti i passi necessari per mitigare gli effetti della fuga di cervelli e, secondariamente, a mettere a punto dei piani per impedire l'ulteriore impoverimento in capitale umano delle economie e settori vulnerabili. La Commissione ha già sottolineato in una sua recente comunicazione che, per mitigare gli effetti della fuga di cervelli, vanno introdotti i concetti di migrazione circolare e virtuale  (9). Codici di condotta più etici, redditi più elevati e fondi di compensazione servono ad impedire a professionisti qualificati di lasciare il loro paese. Inoltre, un'esternalizzazione misurata di talune attività dai paesi OCSE verso quelli in via di sviluppo può alleviare la pressione migratoria che pesa su questi ultimi. Tuttavia, considerazioni analoghe a quelle formulate per impedire lo spreco di cervelli nei paesi avanzati di destinazione andrebbero applicate ai lavoratori impiegati nelle industrie che praticano l'esternalizzazione nei paesi in via di sviluppo.

6.3.

Per agevolare la migrazione circolare e virtuale occorre avvalersi delle capacità dei gruppi della diaspora menzionate in precedenza e della loro abilità a creare contatti con il paese d'origine — costituendo una concentrazione di cervelli. Migranti qualificati che abbiano acquisito un diploma di studi superiori o una formazione professionale nei paesi di destinazione possono costituire una ricchezza per i paesi d'origine se viene consentito loro di trasferire verso di essi le loro qualifiche e servizi.

6.4.

I due concetti di «concentrazione di cervelli» e di «fuga di cervelli» sono complementari in quanto la perdita per i paesi d'origine viene idealmente compensata dalla concentrazione che si opera, grazie al fenomeno migratorio, nel paese di destinazione. Quel che più conta è che una «concentrazione di cervelli» può mitigare alcuni effetti deleteri della «fuga di cervelli» per i paesi d'origine. I singoli migranti possono offrire le loro qualifiche o capacità organizzative al paese d'origine per un tempo limitato — sotto forma di un ritorno temporaneo — o su base virtuale tramite piattaforme on-line e applicazioni Internet.

6.4.1.

I regimi di visto andrebbero adattati di conseguenza, per consentire ai professionisti di fare più agevolmente la spola tra il paese d'accoglienza e quello d'origine. Le organizzazioni internazionali per lo sviluppo dovrebbero esaminare eventuali programmi di sviluppo che trasferiscano in modo virtuale i servizi e le competenze di migranti altamente qualificati. Ad esempio, i cardiologi attivi nel paese di destinazione potrebbero analizzare via Internet cartelle cliniche provenienti dal paese d'origine; i geologi, invece, potrebbero dare accesso ai laboratori più avanzati del paese d'accoglienza; gli analisti finanziari, infine, potrebbero valutare i piani d'impresa nel quadro di programmi di microfinanza. Il rilascio di visti per più ingressi è un meccanismo che agevola la migrazione circolare.

6.4.2.

Un altro potente incentivo a favore del rientro nel proprio paese e/o della migrazione circolare è costituito dalla trasferibilità dei diritti a pensione e delle prestazioni sociali dal paese d'accoglienza al paese d'origine.

6.4.3.

I paesi in via di sviluppo devono essere informati delle possibilità di co-sviluppo esistenti ed essere inoltre incoraggiati e messi nelle condizioni di prendere contatto in rete con le loro comunità della diaspora all'estero.

6.4.4.

Per realizzare tali progetti è ovviamente necessario che i migranti siano bene integrati nella società d'accoglienza. I paesi di destinazione devono ridurre l'attuale «spreco di cervelli» (per cui i migranti risultano impiegati in occupazioni al di sotto del livello di istruzione e formazione già in loro possesso), valutando più accuratamente le competenze di tali lavoratori e riconoscendone i diplomi e i certificati conseguiti nei paesi d'origine. In questo modo si può rafforzare sia il loro contributo a favore della società d'accoglienza che il loro impatto sullo sviluppo del paese d'origine.

6.5.

Una regolamentazione dell'emigrazione dev'essere una priorità per quanto riguarda determinati settori come l'istruzione e la sanità. Per proteggere tali settori particolarmente vulnerabili dalla fuga di cervelli, occorrono misure in grado di tener conto dei fattori dissuasivi e incentivanti della migrazione.

6.5.1.

Il CESE sollecita i paesi avanzati a non reclutare capitale umano dai paesi in via di sviluppo particolarmente vulnerabili. Il governo britannico ha adottato un codice di condotta esemplare in materia di reclutamento etico che vincola gli organismi sanitari pubblici e privati a non assumere personale che provenga da paesi in via di sviluppo con carenza di risorse umane nel settore sanitario.

6.5.2.

Analogamente, le politiche dell'immigrazione dei paesi di destinazione possono essere regolate in modo da mantenere al minimo il flusso di persone altamente qualificate provenienti da paesi in via di sviluppo a rischio.

6.6.

Per controbilanciare l'impatto della fuga di cervelli per tali paesi particolarmente vulnerabili, esistono diverse opzioni, in funzione delle risorse disponibili in ciascuno di essi.

6.6.1.

Un'opzione è quella di creare un'eccedenza di capitale umano che consenta di perseguire una strategia di sviluppo (umano) orientata all'esportazione. Queste attività di formazione potrebbero essere finanziate da una tassazione in uscita applicabile ai professionisti altamente qualificati che hanno scelto di emigrare. L'imposta potrebbe essere a carico dell'emigrante o del paese di destinazione.

6.6.2.

Un accordo di restituzione (fondi di compensazione) tra migrante e paese d'origine, da stipulare prima della partenza, può scoraggiare la migrazione permanente, e il paese d'origine viene rimborsato per i costi di istruzione e formazione sostenuti inizialmente (10).

6.6.3.

Un'altra opzione sarebbe quella di creare concentrazioni di cervelli nei paesi d'origine particolarmente colpiti dall'esodo di personale qualificato.

6.6.4.

Per i professionisti altamente qualificati che si recano in un paese non in via di sviluppo per acquisire una formazione ulteriore o per seguire una specializzazione, il paese d'accoglienza potrebbe rilasciare un permesso di reingresso o prevedere dei visti di breve durata facilmente ottenibili. Questi meccanismi di migrazione circolare possono incoraggiare il migrante a rientrare nel proprio paese d'origine.

7.   Come integrare le politiche della migrazione e dello sviluppo e garantire coerenza tra le diverse politiche

7.1.

Il CESE riconosce che, come già accennato in precedenza, la migrazione Sud-Sud e quella regionale presentano dimensioni più ampie della migrazione internazionale tra paesi in via di sviluppo e quelli avanzati. Maggiore attenzione andrebbe pertanto riservata alle strategie regionali in materia di migrazione e sviluppo, sull'esempio dell'Unione africana.

7.2.

Il CESE tiene a sottolineare l'esigenza di integrare le «politiche della migrazione e dello sviluppo» nelle politiche in materia di migrazione e integrazione della manodopera dei paesi d'accoglienza e nelle strategie di sviluppo nazionali dei paesi d'origine, nonché in quelle di alleviamento della povertà portate avanti dalle organizzazioni internazionali per lo sviluppo.

7.3.

Il CESE rileva che la coerenza tra le diverse strategie va a tutto beneficio dei risultati attesi dalle politiche della migrazione e dello sviluppo. Gli sforzi a favore dello sviluppo compiuti tramite queste due politiche non dovrebbero essere vanificati dalle politiche per il commercio e la sicurezza. Come ultima raccomandazione, ma altrettanto importante, il CESE sollecita gli Stati membri a puntare alla coerenza tra le strategie astenendosi dal pretendere l'adozione di politiche diverse a livello nazionale e comunitario.

Bruxelles, 12 dicembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Parere CESE 1461/2007 (SOC/268), 2007.

(2)  COM(2007) 248 def., 16 maggio 2007.

(3)  Banca mondiale, Global Economic Prospect, 2006.

(4)  Secondo la Banca mondiale, dal 2001 al 2005 le rimesse sono raddoppiate raggiungendo la cifra record di 249 miliardi di USD: su tale cifra i paesi in via di sviluppo hanno ricevuto 180 miliardi, vale a dire un importo pari da quattro a cinque volte gli aiuti ufficiali allo sviluppo (World Bank, International Migration Agenda and the World BankManaging Risks and Enhancing Benefits, 2006). Secondo le stime fornite da OXFAM, l'afflusso annuo di rimesse verso i paesi in via di sviluppo ammonta a 80 miliardi di USD (International Development Committee Inquiry on Migration and Development, Oxfam, 2003). Secondo le stime fornite dalla Commissione globale per la migrazione internazionale (Global Commission on International Migration) le rimesse totali dirette ai paesi in via di sviluppo ammontano ogni anno a 93 miliardi di USD (Migration and Development, Policy Analysis and Research Programme, 2003). Riassumendo, le rimesse costituiscono il 2,2 % del prodotto interno lordo di tutti i paesi in via di sviluppo (Fondo monetario internazionale, 2005).

(5)  Soprattutto il Sud Africa sopporta il fardello aggiuntivo di essere spesso la destinazione prediletta dei migranti di tutta la regione.

(6)  Cfr. la relazione del Department of International Development (DFID — UK): Moving out of povertymaking migration work better for poor people

(http://www.dfid.gov.uk/pubs/files/migration-policy-paper-draft.pdf).

(7)  Le banche, di conseguenza, sono in grado di ottenere finanziamenti a condizioni più vantaggiose e a più lungo termine dai mercati di capitali internazionali tramite la cartolarizzazione dei futuri flussi di rimesse.

(8)  Un esempio è costituito dalla comunità di messicani emigrati negli Stati Uniti dallo Stato di Zacatecas. In base al programma Three for One (Tre per uno) a ciascun dollaro inviato dalle associazioni di migranti corrisponde un dollaro del governo federale messicano e un dollaro dello Stato di Zacatecas. In ogni caso, perché questo tipo di iniziative riesca, gli immigrati devono essere bene integrati nelle comunità di accoglienza in modo da avere la possibilità di organizzarsi.

(9)  Comunicazione della Commissione — Migrazione circolare e partenariati per la mobilità tra l'Unione europea e i paesi terzi, cfr. nota 2.

(10)  Per ulteriori informazioni riguardo alla possibilità di istituire fondi di compensazione tra migrante e paese d'origine si rimanda al parere esplorativo del CESE sul tema La salute nel contesto del fenomeno migratorio (relatore: SHARMA, correlatore: CSER), GU C 256 del 27.10.2007.


16.5.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/89


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le relazioni UE-Moldova: il ruolo della società civile organizzata

(2008/C 120/19)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 15 febbraio 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema:

Le relazioni UE-Moldova: il ruolo della società civile organizzata

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 15 novembre 2007, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice PICHENOT.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 dicembre 2007, nel corso della 440a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 117 voti favorevoli, 2 voti contrari e 1 astensione.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.   Favorire il ruolo della società civile nelle relazioni UE-Moldova

1.1.1.

Il 2005 ha segnato una svolta nelle relazioni tra l'Unione europea e la Moldova: con l'adozione del piano d'azione UE-Moldova (2005-2008), l'insediamento di una delegazione dell'UE nella capitale Chisinau e la nomina di un alto rappresentante per i negoziati sul conflitto in Transnistria, le condizioni per l'applicazione dell'accordo di partenariato e di cooperazione sono nettamente migliorate. In questo contesto il presente parere del CESE, il primo sulla cooperazione UE-Moldova, intende favorire il ruolo della società civile per rafforzare la dinamica in atto e lanciare un'agenda comune tramite iniziative da attuare nel prossimo futuro.

1.1.2.

Una più stretta collaborazione tra l'Unione europea e la Moldova può solo fondarsi sull'interpretazione condivisa dei valori comuni, soprattutto per quanto riguarda il rispetto delle libertà fondamentali, l'impegno a favore di una società democratica aperta a tutti e l'accettazione del principio di un dialogo fondato sull'indipendenza delle parti della società civile. La società civile costituirà l'elemento decisivo dell'identità stessa della Moldova. Essa ha le sue fondamenta nel patrimonio umano accumulatosi in una terra che è un crocevia di lingue e culture. È una ricchezza che costituisce una risorsa importante.

1.1.3.

Bisogna riconoscere che, come in altri paesi della CSI che hanno vissuto analoghe vicende storiche, non esiste in Moldova una tradizione e un'esperienza di organizzazioni della società civile indipendenti. Tuttavia, tenuto conto degli sviluppi in corso, il Comitato giudica indispensabile avviare dei contatti per individuare dei partner aperti a un'iniziativa di progresso nel rispetto dei summenzionati valori comuni.

1.1.4.

Il CESE insiste nel far presente quanto il successo del piano d'azione UE-Moldova (1) nel quadro della politica di vicinato dipenda dalla capacità di coinvolgere e far partecipare le organizzazioni della società civile alla sua attuazione. Sarebbe quindi auspicabile che la Commissione trasmettesse un segnale chiaro proponendo dei criteri, delle procedure e degli strumenti tali da favorire un maggiore coinvolgimento della società civile. Tuttavia, il CESE accoglie con favore gli sforzi compiuti dalla delegazione dell'UE a Chisinau per approfondire la conoscenza della società civile moldova. Si tratta di una premessa favorevole alla partecipazione ufficiale dei rappresentanti della società civile al bilancio del piano d'azione nell'aprile 2008 e alle prossime tappe di un partenariato rafforzato.

1.1.5.

Il CESE raccomanda di costruire relazioni solide con la società civile moldova nell'ambito di un'iniziativa di progresso, iniziando dalla strutturazione di tali relazioni. A tale proposito nel 2008 occorrerebbe organizzare una conferenza, preparata da una missione preliminare, volta a individuare partner che manifestino il proposito di lavorare nel rispetto della trasparenza. La conferenza, che dovrebbe coinvolgere anche attori locali e regionali, si dovrebbe proporre di mettere a punto congiuntamente un piano di lavoro sulla base delle seguenti proposte:

la valutazione dei meccanismi di informazione e di consultazione esistenti in Moldova, tanto governativi quanto europei, compreso il bilancio dell'attuazione del piano d'azione (2005-2008),

la preparazione e la formazione della società civile al proseguimento del partenariato dopo il 2008,

l'appropriazione, da parte delle organizzazioni moldove, dei meccanismi dello strumento finanziario europeo.

Un siffatto piano di lavoro richiede un impegno di finanziamento delle iniziative della società civile attraverso i programmi dell'Unione europea.

1.1.6.

Dopo aver stilato un bilancio della conferenza del 2008 con la società civile moldova, bisognerà lanciare nuove iniziative e perseguire, in seno al «gruppo di vicinato» del Comitato, relazioni basate su un'iniziativa di progresso, ossia intesa a far sì che in esse si tenga conto dei principi che sono alla base della buona governance e dello sviluppo sostenibile. Questa iniziativa si fonderà sui principi già previsti dall'accordo SPG Plus, vale a dire:

le 16 principali convenzioni dell'ONU e dell'OIL relative ai diritti dell'uomo e a quelli dei lavoratori (2),

le 11 principali convenzioni relative all'ambiente e ai principi di buona governance  (3).

1.1.7.

L'Unione europea incoraggerà così le organizzazioni della società civile moldova a contribuire al raggiungimento degli standard europei di indipendenza, rappresentatività e trasparenza. È opportuno che in ogni relazione intermedia sul piano d'azione la Commissione dedichi una sezione specifica al rispetto dei diritti fondamentali, tra cui la libertà di associazione e di espressione, e la completi con un esame dei diritti sindacali.

1.1.8.

A giudizio del CESE, è necessario in primo luogo che i moldovi si riapproprino progressivamente degli strumenti e delle competenze messe a loro disposizione dalle istituzioni internazionali o europee. Il CESE sostiene la richiesta di sostegno rivolta dal Consiglio d'Europa alla società civile nella lotta alla corruzione (principio su cui si basa l'iniziativa GRECO (4)), e incoraggia la cooperazione transfrontaliera nella lotta contro la grande criminalità.

1.1.9.

Il CESE sostiene l'iniziativa dei donatori europei e internazionali di concertarsi per coordinare le proprie azioni. Raccomanda che nei programmi per la riduzione della povertà vengano inserite delle azioni prioritarie intese a migliorare i servizi sociali di base, e insiste in particolare sul miglioramento delle condizioni di vita negli orfanotrofi, sulla riduzione dei prezzi dei farmaci antiretrovirali, nonché sugli aiuti per il reinserimento delle vittime del traffico di esseri umani.

1.1.10.

La lunga siccità dell'estate 2007 ha precipitato il paese in una situazione difficile dovuta ai cattivi raccolti, che hanno portato a fallimenti e sovraindebitamenti. Il governo fa appello all'aiuto alimentare internazionale e a un sostegno tecnico della FAO. Il CESE giudica molto importante instaurare relazioni con le organizzazioni della società civile attive nel settore agroalimentare. La Commissione europea ha stanziato 3 milioni di euro per gli aiuti umanitari a breve termine alle zone rurali dei paesi più vulnerabili.

1.1.11.

Il CESE, inoltre, attribuisce un'estrema importanza all'esistenza di reti e progetti comuni tra tutti i moldovi, comprese organizzazioni di abitanti della Transnistria, e incoraggia l'UE a continuare ad impegnarsi in vista di una soluzione del conflitto che preservi l'unità territoriale e a portare avanti la sua missione di assistenza alle frontiere (EUBAM).

1.1.12.

Il CESE raccomanda di incoraggiare gli scambi di pratiche democratiche tra organizzazioni della società civile informando gli interlocutori moldovi sulle pubblicazioni del CESE disponibili in Internet (particolarmente quelle in lingua rumena), nonché sui lavori dei CES nazionali disponibili attraverso il CES link. Incoraggia inoltre i CES nazionali degli Stati membri (in particolare di Romania e Bulgaria) e l'Aicesis (5) ad operare congiuntamente per familiarizzare la società moldova con gli strumenti e le pratiche della società civile europea.

1.1.13.

Il CESE auspica una maggiore partecipazione della società civile moldova al dialogo con i Balcani occidentali e al dialogo regionale dell'area del Mar Nero, grazie soprattutto alla cooperazione interregionale e transfrontaliera in questo spazio strategico così importante per il prossimo futuro. La cooperazione tra l'Unione europea e la Moldova si inserisce nel quadro di una cooperazione consolidata con i paesi limitrofi e in particolare con la Russia.

1.2.   Rafforzare il sostegno mirato alle organizzazioni aperte al futuro e alla riconciliazione

1.2.1.   Avviare un dialogo sociale costruttivo

Di fronte alle debolezze del sistema delle relazioni sindacali, il CESE rammenta l'impegno della Moldova a rispettare non solo le convenzioni dell'OIL, ma anche la Carta sociale del Consiglio d'Europa e ad accettare i suoi meccanismi di ricorso. Raccomanda all'OIL di offrire l'assistenza tecnica necessaria per risolvere le vertenze di lavoro attraverso tribunali ad hoc.

1.2.2.   Concretizzare l'impegno di favorire i contatti con la società europea

Il CESE sostiene con determinazione la conclusione degli accordi di riammissione e facilitazione del visto, che creeranno un sistema di agevolazioni per il rilascio dei visti, soprattutto al fine di intensificare i programmi di scambio per i cittadini in grado di contribuire allo sviluppo del paese, come gli studenti e i professori universitari, gli scienziati, i giornalisti e i rappresentanti della società civile. Raccomanda di aprire maggiormente i programmi comunitari, in particolar modo ai giovani attraverso il programma Erasmus Mundus. Gli accordi di riammissione e di facilitazione del visto, firmati nell'ottobre 2007 (6), potranno contribuire anche a risolvere il problema posto dal gran numero di cittadini moldovi che chiedono di ottenere la cittadinanza rumena.

Il CESE invita il governo moldovo a coinvolgere la società civile nelle manifestazioni di portata europea e internazionale (OMC, OSCE, Consiglio d'Europa e Francofonia). Incoraggia inoltre gli Stati membri a ricercare e a finanziare contatti e scambi con la società civile moldova (borse di studio universitarie, gemellaggi, cooperazione transfrontaliera).

1.2.3.   Tenere conto degli aspetti ambientali

Il CESE raccomanda di sostenere le organizzazioni ambientali impegnate nella distruzione delle armi e munizioni non trasportabili, dei rifiuti militari e di quelli industriali e nel trattamento delle acque.

2.   Principali caratteristiche della situazione socioeconomica della Moldova

2.1.

Con un PIL pro capite di circa 1 000 dollari, la Moldova è il paese più povero del continente europeo e l'unico a figurare nella classifica dei paesi a basso reddito stilata dalla Banca mondiale. La popolazione moldova è in diminuzione (meno di 4 milioni nel 2004) a seguito di un aumento del tasso di mortalità (in particolare tra gli uomini), di un calo della natalità e di un consistente flusso di emigrazione.

2.2.

Se la povertà ha toccato livelli drammatici nel periodo compreso tra i1 1999 e il 2005, essa ha successivamente registrato una riduzione, pur situandosi tuttora a un livello elevato con una media del 30 % circa. Il miglioramento, tuttavia, non interessa il paese in maniera omogenea, e si creano così delle sacche di povertà assoluta (2 dollari al giorno), la quale colpisce per lo più minori e anziani. In alcune zone rurali e piccoli centri urbani il 40-50 % della popolazione vive ancora in condizioni di povertà.

2.3.

Un numero eccessivo di minori è potenzialmente esposto al rischio di sfruttamento a causa della mancanza di fissa dimora, del lavoro minorile, dei traffici e della prostituzione. Il grado di povertà che si registra nel paese ha determinato anche un notevole aumento del fenomeno dei cosiddetti «orfani sociali», ovvero dei minori che le famiglie affidano agli orfanotrofi perché non sono in grado di provvedere al loro sostentamento.

2.4.

Le donne sono oggetto di una discriminazione aggravata dal deterioramento della situazione sociale. Esse devono confrontarsi con un tasso di disoccupazione elevato, con problemi di dequalificazione, bassi salari e lavoro stagionale nel settore agricolo. Rispetto agli uomini, sono più esposte al rischio di povertà, in particolare a causa dei tagli apportati alle prestazioni sociali (sanità, istruzione e famiglia) e ai contributi pensionistici. Situazioni di questo genere inducono alcune donne, madri di famiglia, ad accettare proposte illegali o pericolose, esponendosi così al rischio di divenire vittime del traffico di esseri umani. La maggior parte delle vittime sono giovani donne in cerca di lavoro.

2.5.

Nel 2004 la Moldova ha adottato un programma di crescita e di lotta contro la povertà sostenuto dalla Banca mondiale, dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo e da altri donatori. Nel dicembre 2006 i donatori delle diverse istituzioni finanziarie e l'UE hanno messo a punto un quadro di coordinamento, metodo esemplare per assicurare una gestione coerente ed efficace della condizionalità, impegnandosi a mettere a disposizione della Moldova un miliardo di euro sotto forma di donazioni e prestiti per il prossimo quadriennio.

2.6.   Un mercato del lavoro in crisi

2.6.1.

La situazione del mercato del lavoro si è sensibilmente deteriorata in Moldova nel corso degli anni '90, parallelamente al collasso economico che ha colpito il paese. Sulla scia della crisi russa dell'agosto 1998 l'occupazione è crollata, prima di registrare di nuovo un andamento positivo a partire dal 2003. Il tasso di disoccupazione è quindi passato dall'11 % nel 1999 al 7,4 % circa della popolazione attiva ufficialmente registrata alla fine del 2006. Circa il 35 % della popolazione occupata svolge lavori non dichiarati (7).

2.6.2.

Nonostante l'aumento costante dei salari reali, il livello medio resta molto basso, e nel 2006 era pari a 129 dollari (8). Occorre comunque tenere conto anche di altre fonti di reddito: da un lato, una quota elevata di famiglie beneficia delle rimesse in valuta inviate da un parente espatriato e, dall'altro, il lavoro non dichiarato rimane estremamente diffuso. Secondo l'organismo ufficiale per le statistiche, infatti, oltre 200 000 lavoratori (vale a dire il 15 % della popolazione attiva) sono occupati in imprese non registrate, mentre il 35 % del personale delle imprese riconosciute non verrebbe dichiarato dai datori di lavoro (soprattutto nell'edilizia, nell'agricoltura e nella silvicoltura).

2.6.3.

Un gran numero di cittadini moldovi ha lasciato il paese per lavorare all'estero, per lo più illegalmente. Questo esodo, in parte stagionale, stimato a circa 1 milione di adulti, rappresenta il 30 % circa della manodopera complessiva. La perdita di capitale umano e il relativo impatto sul finanziamento della previdenza sociale rappresentano solo alcune delle conseguenze negative di quest'ondata migratoria. Visto il livello di povertà, è del resto probabile che la migrazione economica rimanga una realtà anche negli anni a venire.

2.7.   I punti deboli dell'economia moldova

2.7.1.   Un'economia nella sfera d'influenza russa

2.7.2.

Il disastroso crollo del PIL moldovo negli anni '90 è stato determinato da una serie di cause esogene, tra cui la perdita di mercati, la dipendenza energetica, l'emigrazione di personale qualificato e la secessione della regione industriale della Transnistria.

2.7.3.

Malgrado una sensibile ripresa della crescita iniziata nel 2000 (fino al 6-8 % l'anno), l'economia rimane molto vulnerabile (crescita del 4 % nel 2006) e rischia tendenzialmente di indebolirsi ulteriormente nel 2007. Alla base di questo rallentamento vi è essenzialmente il raddoppio del prezzo del gas nel 2006 imposto dal distributore Gazprom.

2.7.4.

Irritata dalla posizione filoeuropea del Presidente della Moldova, la Russia, come strumento di pressione politica, ha chiuso i propri mercati al vino moldovo. Nel 2006 la Moldova è stata privata di una delle sue principali fonti di reddito da esportazione (il vino moldovo rappresenta infatti il 35 % delle esportazioni totali e l'85 % del vino esportato è destinato al mercato russo).

2.8.   Un'economia dominata dal settore agroalimentare

2.8.1.

La Moldova rimane un paese a carattere prevalentemente rurale. L'agricoltura rappresenta oltre il 30 % del PIL (9) e una quota considerevole delle esportazioni (65 %); l'agricoltura familiare ha una funzione determinante nell'autoapprovvigionamento alimentare delle città e delle campagne. L'industria agroalimentare occupa anch'essa un posto importante nell'economia. La qualità e la quantità dei raccolti incidono sui settori dell'industria leggera sia a monte che a valle (fertilizzanti chimici, bottiglie, imballaggi).

2.9.   Il ruolo decisivo delle rimesse dei migranti alle famiglie

2.9.1.

Dopo questa profonda recessione è innegabile che i limitati risultati economici ottenuti non sono dovuti a una ricostruzione dell'economia, bensì a una massiccia iniezione di valute (pari al 30 % del PIL moldovo) da parte dei cittadini moldovi emigrati all'estero: tra 600 000 e 1 milione di moldovi lavorano nell'Europa occidentale (il 19 % in Italia) o in Russia (il 60 %) e nel 2006 essi hanno inviato nel loro paese un miliardo di euro.

2.9.2.

In assenza di un clima favorevole agli investimenti, questi fondi non servono a finanziare nuove attività economiche. L'afflusso di denaro determina invece un rincaro dei prezzi nel settore immobiliare, una forte domanda di prodotti importati e infine pressioni inflazionistiche.

3.   Democrazia, rispetto dei diritti umani e buona governance

3.1.   Sviluppo umano

3.1.1.

Nel 2006 la Moldova si collocava al 114o posto nella classifica stilata dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo in base all'indice di sviluppo umano, occupando così l'ultimo posto tra i paesi europei e anche uno degli ultimi tra le ex Repubbliche sovietiche.

3.1.2.

La mancanza di indipendenza dei mezzi di comunicazione, lo scarso rispetto dei diritti umani e i problemi relativi al funzionamento del sistema giudiziario compromettono le iniziative dei cittadini moldovi e le capacità organizzative della società civile.

3.1.3.

L'indipendenza dei media è uno dei principali punti evidenziati nel recente rapporto del Consiglio d'Europa (settembre 2007) (10). La riforma della legislazione sul diritto di espressione è sicuramente importante, ma non basta a garantire la libertà di espressione nella pratica. L'imparzialità e la deontologia sono condizioni altrettanto necessarie per la professione dei giornalisti. Questo presuppone che i giornalisti, in particolare quelli dei media audiovisivi, non subiscano pressioni da parte delle autorità politiche.

3.2.   Un livello di corruzione elevato

3.2.1.

La criminalità organizzata costituisce un problema di sicurezza fondamentale che ostacola il funzionamento delle istituzioni e gli investimenti. Le attività delle organizzazioni criminali sono estremamente dannose: promuovono l'evasione fiscale, facilitano il contrabbando e diffondono la corruzione. L'indice di corruzione nel mondo per il 2006 elaborato da Transparency International (in cui la Moldova occupava l'81o posto), assegna al paese un punteggio di 3,2 su 10, cioè pari a quello dei paesi considerati molto corrotti. Tuttavia, il recupero di qualche posizione in questa classifica testimonia della volontà del governo e della società civile di lottare contro la corruzione.

3.3.   Fragilità delle conquiste democratiche in una struttura di potere a tradizione autoritaria

3.3.1.

Il CESE invita le autorità moldove a tenere conto delle conclusioni degli osservatori internazionali (un numeroso contingente di un centinaio di osservatori dell'OSCE inviato in occasione delle elezioni locali di giugno) al fine di correggere tutti gli aspetti che non sono perfettamente in linea con le regole europee in materia di elezioni. Le elezioni legislative del 2009 potrebbero essere così organizzate in condizioni più democratiche.

3.3.2.

Le relazioni del Consiglio d'Europa incoraggiano la Moldova a proseguire gli sforzi, in particolare quelli a favore dell'indipendenza e dell'efficacia della giustizia, del pluralismo dei media e del rafforzamento della democrazia locale. La Moldova ha beneficiato dell'assistenza dell'Iniziativa europea per la democrazia e i diritti dell'uomo (EIDHR) nel quadro dei progetti regionali per il periodo 2002-2004 e a partire dal 2007. Tale iniziativa ha sostenuto le azioni della società civile intese a promuovere la democrazia e i diritti umani.

3.4.   La Transnistria, una sfida geopolitica di vicinato

3.4.1.

La Transnistria, che conta sull'appoggio della Russia e sulla presenza di un contingente militare russo, continua a rappresentare una fonte di tensione e di insicurezza ai confini dell'UE e costituisce una delle tessere del puzzle geopolitico della regione.

3.4.2.

La ricerca di una soluzione politica al problema della secessione della Transnistria costituisce anch'essa una priorità del piano d'azione dell'UE. Quest'ultima ha manifestato un rinnovato interesse per questo conflitto nella prospettiva dell'adesione della Romania e della Bulgaria, adesione che fa ora della Moldova un paese direttamente confinante con l'UE. Su questo problema il coinvolgimento dell'UE nel 2005 è stato rafforzato dalla nomina di un rappresentante speciale (dal marzo 2007 Kálmán MIZSEI) dotato dello status di osservatore nel quadro dei cosiddetti negoziati «5 + 2». Attualmente i negoziati sono in una fase di stallo.

3.4.3.

Inoltre questa zona viene considerata il crocevia di una criminalità organizzata (traffico di armi e di materiale strategico, riciclaggio di denaro sporco, traffico di droga e tratta di esseri umani) di cui si servono non solo le organizzazioni criminali locali ma anche quelle russe, ucraine o di altri paesi.

3.5.   La missione UE di assistenza alle frontiere fra la Moldova e l'Ucraina (EUBAM)

3.5.1.

Le relazioni tra la Moldova, enclave in territorio ucraino, e l'Ucraina sono complicate dal conflitto della Transnistria e dalle relazioni UE-Russia, tanto che questa situazione viene definita il pasticcio moldovo. La Moldova è un luogo sia di transito che di origine di traffici, visto che le sue frontiere sono assai permeabili e offrono uno sbocco sul Mar Nero attraverso il porto di Odessa.

3.5.2.

La creazione, nel dicembre 2005, della missione UE di assistenza e sorveglianza delle frontiere (EUBAM) a seguito della richiesta congiunta dei presidenti dell'Ucraina e della Moldova ha costituito un passo decisivo per la stabilizzazione del paese e per la lotta contro il contrabbando. Un centinaio tra funzionari doganali e guardie di frontiera provenienti da 17 Stati membri dell'UE osservano e assistono i colleghi moldovi e ucraini, esercitando una notevole pressione sul governo della Transnistria autoproclamatasi indipendente. Questa missione, che concentra i propri sforzi sulle persone e sulle zone a rischio, è riuscita a riportare alcuni successi concreti.

3.5.3.

Nel novembre 2006 la missione è stata arricchita di un sistema automatizzato per lo scambio di informazioni inteso ad accrescere l'efficacia dei controlli di frontiera. La missione è stata prorogata fino al novembre 2009. Il CESE auspica che venga mantenuto un impegno costante per rendere sicura questa frontiera.

4.   Quadro generale della società civile moldova e delle sue attività

4.1.   Principali osservazioni della missione del CESE nel 2004

4.1.1.

In questo contesto politicamente ed economicamente difficile le circostanze non sono state favorevoli alle attività della società civile. Il numero di uomini e donne potenzialmente disponibili ad operare all'interno delle organizzazioni della società civile a livello nazionale o locale si è sensibilmente ridotto, essenzialmente a causa dell'immigrazione, soprattutto tra i giovani adulti con un buon livello di istruzione. I rapporti tra tali organizzazioni e gli organismi statali sono stati solo sporadici. La centralizzazione delle strutture amministrative ha ostacolato lo sviluppo di movimenti sociali. In breve, il paternalismo così chiaramente radicato nella società moldova attribuisce allo Stato la principale responsabilità di garantire il benessere della popolazione. Il modo in cui il Presidente assolve la sua funzione incarna manifestamente la volontà della maggioranza della popolazione di essere guidata da un uomo forte.

4.1.2.

Ad eccezione dello statuto dei partiti politici, nella costituzione moldova non vi è alcun accenno alle organizzazioni della società civile né al diritto di riunione. Viene tuttavia menzionato il diritto di creare dei sindacati e di aderirvi (articolo 42), come pure il riconoscimento della libertà di associazione (articolo 40). Le condizioni per la creazione di organizzazioni non governative sono migliorate con la legge sugli organismi pubblici e le fondazioni (1997). Sul piano pratico si sono potute osservare delle sovrapposizioni tra le personalità che rivestono incarichi nell'apparato statale e nei partiti al governo, da un lato, e gli organismi che rappresentano gli interessi economici o politici, dall'altro.

4.1.3.

A giudizio di taluni osservatori, in particolare del Consiglio d'Europa (11), la legislazione sul sistema giudiziario è stata riformata in modo tale da garantire il rispetto del diritto in generale anche per quanto riguarda, più in particolare, la società civile. Tuttavia, la Moldova continua ad essere oggetto di una procedura di monitoraggio del Consiglio d'Europa, rivolta in particolare a garantire l'indipendenza dell'apparato giudiziario.

4.2.   Aggiornamento della situazione della società civile nel 2007 in base ad alcuni studi effettuati da esperti (12)

4.2.1.

In base ai dati forniti da fonti diverse si può constatare un aumento impressionante del numero complessivo di ONG. Esso è passato, secondo le stime contenute nello studio del CESE, da circa 3 000 nel 2004 ad oltre 7 000 nel 2007 (13), ma lo studio precisa che «nel 54 % dei casi non è possibile contattare queste organizzazioni». Secondo tali stime, attualmente meno del 20 % delle organizzazioni registrate sono attive. Inoltre, si osserva una crescita sostanziale delle ONG a livello locale e regionale, anche nella regione della Transnistria.

4.2.2.

La concentrazione geografica delle ONG nella regione della capitale Chisinau rimane predominante, anche se diminuisce in termini relativi: «Negli ultimi 4 anni il 67 % delle ONG registrate sono state create a livello nazionale e l'82 % a livello locale» (14). Queste ONG sono generalmente attive in tutti gli ambiti della società moldova, anche se spesso sono i donatori esterni a determinarne le priorità.

4.2.3.

Sembra che i contatti tra le organizzazioni sindacali e padronali e le ONG che rappresentano diverse attività continuino ad essere limitati, soprattutto a causa di una scarsa conoscenza e di una certa diffidenza reciproche. Si sta tuttavia verificando un'eccezione in Transnistria, con l'emergere di relazioni tra alcune ONG e un gruppo di uomini d'affari.

4.2.4.

L'entrata in vigore nel 2005 del piano d'azione UE-Moldova ha dato un nuovo impulso alla società civile, soprattutto a livello del tessuto associativo per l'attuazione di numerosi progetti, nonostante l'assenza di consultazioni nel corso della preparazione del piano stesso.

5.   Evoluzione della strutturazione delle parti sociali

5.1.   Presentazione delle organizzazioni di datori di lavoro

5.1.1.

La Camera del commercio e dell'industria (CCI), in relazione con Eurochambres, costituisce dal 1999 la principale organizzazione delle imprese. Essa rappresenta oltre 1 500 imprese di tutti i settori. La CCI moldova non rilascia più certificati di origine per i prodotti commercializzati nella CSI e non controlla più le esportazioni verso l'UE, che ormai per poter usufruire dell'SPG sono soggette a controllo. La CCI sta diventando in primo luogo una camera di commercio al servizio delle imprese. In particolare, essa contribuisce al sostegno delle esportazioni di prodotti moldovi e alla creazione di imprese miste con imprese straniere, oltre ad offrire un'ampia gamma di servizi alle imprese (15). Essa fa inoltre parte della rappresentanza ufficiale in seno all'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) ed ospita un centro di informazione europea. Vasile Tarlev, primo ministro dal 2001, ha in passato esercitato funzioni importanti in seno alla CCI moldova. Le piccole e medie imprese con meno di 30 dipendenti hanno fondato un'associazione a parte, strettamente legata alla CCI dal punto di vista organizzativo e finanziario.

5.1.2.

Attualmente in Moldova esiste una Confederazione nazionale dei datori di lavoro che fa parte anche della rappresentanza moldova presso le conferenze internazionali dell'OIL e rappresenta i datori di lavoro negli incontri tra le parti sociali organizzati dalla presidenza moldova. Nel 2006 il governo, rispondendo positivamente a una denuncia presentata all'OIL, ha autorizzato la detraibilità fiscale per i contributi che i datori di lavoro versano alle loro organizzazioni.

5.1.3.

Le parti sociali hanno concluso tre nuovi contratti collettivi a livello nazionale e undici contratti collettivi settoriali e locali. I loro effetti concreti rimangono limitati al dialogo sociale, visto che la CCI, pur essendo riconosciuta dall'OIE, rimane essenzialmente una camera di commercio al servizio delle imprese.

5.2.   Bilancio degli sviluppi a livello sindacale

5.2.1.

Fino al 2000 i lavoratori moldovi erano rappresentati dalla «Federazione generale dei sindacati della Repubblica moldova (FGSRM)», una federazione unitaria costituita nel 1990 sulla base dell'organizzazione dei sindacati dell'Unione sovietica. Questa struttura ha quindi preso il nome di «confederazione» nel 2000, diventando così la «Confederazione dei sindacati della Repubblica moldova» (CSRM). All'interno dell'organizzazione vennero però a crearsi delle tensioni, dovute a contrasti tra i settori dell'agricoltura, dell'industria e dei servizi, tra la popolazione di lingua moldova e quella di lingua russa, tra la destra nazionale e il partito comunista. Nel 2000 un certo numero di federazioni professionali — 14 federazioni industriali oltre a quelle del settore della cultura e della pubblica amministrazione — lasciarono la CSRM per fondare una nuova confederazione, la CSL Solidaritatea. A seguito delle dimissioni della direzione della CSRM, l'organizzazione si è data un nuovo leader, Petru Chiriac. Non ha però avuto successo un tentativo di riunificazione, nonostante gli sforzi di mediazione intrapresi dalla Confederazione internazionale dei sindacati (ex CISL), alla quale la CSRM aveva aderito nel 1997. Tra le cause del fallimento ricordiamo l'esistenza di conflitti personali, ma anche di conflitti sulla divisione del patrimonio sindacale e soprattutto differenze di sensibilità politica tra la CSRM, più vicina ai partiti di lingua moldova, di destra e di ispirazione cristianodemocratica, e Solidaritatea, che si è dichiarata vicina fin dall'inizio al partito comunista, e in cui prevalgono i russofoni.

5.2.2.

La divisione sindacale si è complicata nel 2001, con il successo elettorale del partito comunista e l'elezione del suo leader, Vladimir Voronin, alla presidenza della Repubblica. La scelta da parte di Solidaritatea di assumere un atteggiamento improntato alla cooperazione al fine di ottenere delle conquiste sociali, e l'adozione da parte della CSRM di una posizione più rivendicativa e critica, hanno compromesso i rapporti tra il potere e le due organizzazioni sindacali. Il governo, grazie anche ai suoi legami con il partito comunista e con l'amministrazione pubblica, ha quindi scelto di privilegiare sistematicamente Solidaritatea e di indebolire la CSRM.

5.2.3.

Nel gennaio 2004 le ripetute e sistematiche ingerenze delle autorità pubbliche hanno indotto la CSRM, sostenuta dall'ex CISL, ed alcune federazioni professionali (UITA e ISP) a presentare una denuncia per violazione della libertà di associazione al comitato della libertà sindacale (CLS) dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL). Nella sua relazione intermedia del 2006 il CLS ha chiesto che si svolgessero delle inchieste indipendenti sulle diverse interferenze menzionate dagli autori della denuncia. Esso ha inoltre notato che la Moldova non disponeva di alcun meccanismo per sanzionare in maniera dissuasiva le violazioni dei diritti sindacali e garantire quindi il rispetto delle norme internazionali in materia. Nel 2005 si è deciso di organizzare una missione dell'Ufficio internazionale del lavoro dell'OIL. Nel 2005 la ex CISL ha richiamato l'attenzione della Commissione europea sulla situazione del paese, presentando una relazione critica nel quadro dell'SPG accordato alla Moldova. Finora il governo moldovo non ha preso alcun provvedimento per modificare la legislazione o per conformarsi alle raccomandazioni del CLS. Per le autorità moldove, malgrado i diversi fatti presentati nella denuncia, il tutto si riduceva a una questione di rivalità tra due organizzazioni sindacali.

5.2.4.

In realtà le autorità hanno incoraggiato sempre più apertamente la ricostituzione di una confederazione sindacale unica (cfr. il discorso del Presidente Voronin al congresso di Solidaritatea del 2005). Dal 2005-2006 i rapporti di forza tra le due organizzazioni si sono progressivamente invertiti (nel 2001 la CSRM contava 450 000 affiliati e Solidaritatea200 000). Nel 2006 Solidaritatea è chiaramente diventata l'organizzazione più rappresentativa. Nel giugno 2007 un congresso ha riunificato le due organizzazioni. La Confederazione internazionale dei sindacati (CIS) le ha già informate che non intende trasferire l'affiliazione della CSRM alla nuova organizzazione «riunificata». Questa dovrà prima dimostrare la propria indipendenza dai poteri pubblici e manifestare chiaramente il proprio impegno a favore dei principi di libertà di associazione e di libertà di contrattazione collettiva.

6.   Panoramica su alcuni movimenti associativi e ONG

6.1.   Principali conclusioni dello studio realizzato dal CESE nel 2004

6.1.1.

Dal 1991, anno dell'indipendenza del paese, in Moldova il numero di ONG registrate a livello locale e nazionale avrebbe raggiunto oggi le 2 800 unità circa. Molte delle ONG iscritte nel registro dello Stato, in particolare quelle create da operatori economici o dalle autorità, avevano una missione temporanea da portare a termine nella fase iniziale della transizione. Esse non possono pertanto essere considerate come attori indipendenti della società civile. Occorre inoltre tenere conto delle organizzazioni che dal 2001 si sono associate alle grandi manifestazioni dell'opposizione contro il governo comunista.

Analogamente a quanto avviene in altri paesi in via di transizione, le attività delle ONG moldove si concentrano nella capitale per tentare di influire su coloro che detengono il potere. Nell'attuale contesto politico il numero delle vessazioni alle quali le ONG sono sottoposte è in aumento, in particolare nei loro nuovi ambiti di attività: le politiche per la gioventù come pure la protezione dei consumatori e dell'ambiente. In Transnistria le loro attività sono limitate da un forte controllo politico.

6.1.2.

Alcune delle principali organizzazioni che forniscono aiuti finanziari (Soros, USAID, Eurasia, Hebo, British Peace Building) operano nei settori dell'istruzione, della cultura e dei diritti umani.

6.1.3.

Le organizzazioni giovanili, il cui serbatoio di reclutamento si sta riducendo a seguito dell'aumento dell'emigrazione, chiedono al governo una politica proeuropea che non sia puramente retorica. Esse auspicano che l'UE offra loro la possibilità di partecipare a programmi di scambio. Secondo la maggior parte dei rappresentanti della società civile, i futuri programmi di sostegno dell'UE non dovrebbero essere negoziati e attuati solamente con il governo (come avvenne nel caso di Tacis) ma anche con i rappresentanti delle ONG attive.

6.2.   Osservazioni sulla recente evoluzione del tessuto associativo secondo alcuni studi di esperti

6.2.1.

In occasione delle ultime elezioni del 2005, circa 200 ONG hanno formato per la prima volta una coalizione unita e indipendente che ha avviato una campagna di osservazione nel paese. Questa «Coalizione civica 2005» (16), assai visibile e influente tra i media, è tornata alla ribalta con le elezioni del 2007, contribuendo ad accrescere la credibilità delle ONG presso la popolazione.

6.2.2.

In modo schematico, in Moldova si possono distinguere tre categorie diverse di ONG. La prima raggruppa delle grandi organizzazioni ben attrezzate e conosciute, con sede nella capitale e facenti parte di reti internazionali (17). La seconda comprende la maggior parte delle ONG meno sviluppate, spesso costituite da un'unica persona (one man show), con una capacità operativa limitata, ma alla costante ricerca di fondi. Un terzo gruppo è costituito da alcune «GONGO», ovvero ONG prestanome per personaggi del governo, che, come in altri paesi, vengono create e finanziate interamente dai governi.

6.2.3.

In Transnistria il gruppo di queste «GONGO» è onnipresente, visto che il regime Smirnov continua a cercare alleati nella società civile per sostenere la sua strategia e restare al potere. Uno studio ceco pubblicato di recente e realizzato da una ONG menziona anche altre due categorie tra le 900 ONG della Transnistria (18): delle organizzazioni tradizionali come i movimenti di lavoratori, donne e giovani, nonché ONG minori aperte ai contatti con Chisinau e con le reti internazionali. Alcune di queste scelgono di registrarsi presso le autorità moldove per poter accedere agli aiuti europei.

6.3.   Attuali meccanismi di consultazione della società civile e di negoziato con le parti sociali

6.3.1.

Dal 2005 diversi ministeri moldovi hanno aperto o rafforzato un dialogo con una parte della società civile, adottando le seguenti procedure: una riunione consultiva mensile presso il ministero degli Affari esteri e dell'integrazione europea e una conferenza nazionale tenutasi nell'aprile 2006 che ha portato all'adozione di 18 conclusioni per «migliorare la collaborazione tra il governo e la società civile». Nel contempo, altri ministeri, in particolare quelli della Giustizia, dell'Agricoltura e delle Finanze, hanno avuto regolari contatti con alcuni elementi della società civile. Sono attualmente in corso diversi progetti, in particolare con il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, intesi a semplificare le pratiche per la registrazione e a migliorare la precaria situazione finanziaria di numerose ONG.

6.3.2.

Il Parlamento moldovo, su sollecitazione di Marian Lupu, ha attuato dal 2006 un «concetto di cooperazione tra il Parlamento e la società civile» fissando degli obiettivi estremamente ambiziosi e proponendo una serie di meccanismi e di forme di cooperazione come la «consultazione permanente on-line», riunioni ad hoc o audizioni pubbliche con alcune commissioni parlamentari e una conferenza annuale.

6.3.3.

Da due anni diverse ONG cercano di partecipare concretamente all'attuazione del piano d'azione con l'UE nei suoi diversi ambiti, incoraggiati in particolare dalle esperienze positive dei loro vicini rumeni e ucraini. Questo approccio è stato anche incoraggiato dal Parlamento europeo che, nel maggio 2007, ha adottato una relazione sul tema.

6.3.4.

Per quanto riguarda le relazioni sindacali, non appare sorprendente che il dialogo sociale in Moldova proceda piuttosto a rilento. Esisteva una «commissione repubblicana per la contrattazione collettiva», che però funzionava più come un centro informazioni su decisioni prese in altre sedi che come uno spazio autentico di consultazione e dialogo. Le parti interessate non avevano alcun influenza sull'ordine del giorno di tale commissione: pertanto non è stato possibile esaminare la denuncia né il seguito da dare alle raccomandazioni del CLS. Tale commissione non disponeva di un proprio segretariato, né di strutture decentrate a livello regionale o settoriale. Va inoltre segnalato che la FGSRM (l'attuale CSRM), con il sostegno dell'ex CISL e di organizzazioni sindacali europee, aveva lanciato diversi programmi di cooperazione con la Confederazione della Transnistria.

6.3.5.

Nel 2006 è stata adottata una legge sull'organizzazione e il funzionamento di una commissione nazionale della contrattazione collettiva, con commissioni settoriali e territoriali. Questa commissione nazionale è composta di 18 membri, 12 dei quali designati dalle parti sociali.

In conclusione, è ancora troppo presto per valutare il concreto funzionamento dei meccanismi di consultazione e di negoziazione recentemente istituiti come pure l'efficacia della cooperazione avviata dal governo. Sarà possibile effettuare una valutazione solo nel lungo periodo e in base a principi e a modalità chiaramente definiti.

Per quanto riguarda gli sviluppi in corso nelle relazioni UE-Moldova, tenuto conto del carattere di novità rappresentato da queste forme di dialogo sociale e civile, il CESE vorrebbe avviare degli scambi con la società civile moldova.

Il CESE raccomanda di organizzare una conferenza già nel 2008, affinché l'inizio degli scambi a livello di società civile coincida con la preparazione di un nuovo quadro per le relazioni tra l'UE e la Repubblica moldova.

Bruxelles, 12 dicembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  Cfr. Allegato B.

(2)  Parere del CESE in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio relativo all'applicazione di uno schema di preferenze tariffarie generalizzate, relatore: PEZZINI, adottato il 9 febbraio 2005 (GU C 221 dell'8.9.2005, pag. 71).

(3)  Cfr. elenco in allegato.

(4)  Consiglio d'Europa/Gruppo di Stati contro la corruzione.

(5)  Associazione internazionale dei consigli economici e sociali e istituzioni analoghe.

(6)  La ratifica degli accordi dovrebbe avvenire entro la fine del 2007.

(7)  Dati statistici forniti dagli enti pubblici moldovi.

(8)  Idem.

(9)  Idem.

(10)  Rapporto sulla Moldova presentato nel settembre 2007 dalla Commissione per il rispetto degli obblighi e degli impegni degli Stati membri del Consiglio d'Europa.

(11)  Rispetto degli obblighi e degli impegni della Moldova, Consiglio d'Europa, 14 settembre 2007.

(12)  Studi sulla società civile moldova: L'Unione europea e la società civile in Moldova — conclusioni della conferenza organizzata dall'AETI e dall'ECAS, giugno 2006; Rafforzare il dialogo tra il governo e la società civile moldova in merito all'applicazione del piano d'azione UE-Moldova — conclusioni del convegno organizzato dalla fondazione Eurasia, dal ministero degli Affari esteri moldovo e da USAID, aprile 2006; Rafforzare il settore non governativo nella regione della Repubblica moldova interessata dal conflitto, IMAC febbraio 2007; Studio sullo sviluppo delle organizzazioni non governative in Moldova, elaborato per la conferenza dei donatori, progetto PNUS, maggio 2007; Indagine sulle ONG attive nel settore sociale nella Repubblica moldova, progetto UE, Transtec, maggio-giugno 2006; Migliorare la sostenibilità finanziaria delle organizzazioni della società civile moldova, PNUS e SOROS 2005; Sondaggio sullo sviluppo delle organizzazioni non governative nella Repubblica moldova; Relazione di seguito del Consiglio d'Europa, settembre 2007; Paesi in transizione 2007: Moldova, CEPS, George Dura e Nio Popescu 2007; La situazione in Transnistria, People in Need (CZ), novembre 2006.

(13)  Studio del Programma delle Nazioni Unite sullo sviluppo, maggio 2007.

(14)  Ibidem, pag. 3.

(15)  Cfr. la nota di informazione della CCI, maggio 2007.

(16)  Relazione di valutazione della Fondazione Eurasia (ottobre 2005).

(17)  Cfr. alcuni esempi citati nella relazione NGO Scores for Moldova, 2005, pubblicata da USAID.

(18)  Ondrej Soukop, ONG People in Need, Praga 2007.


16.5.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/96


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'attuazione della strategia di Lisbona: situazione presente e prospettive future

(2008/C 120/20)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 settembre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema:

L'attuazione della strategia di Lisbona: situazione presente e prospettive future

L'Ufficio di presidenza del Comitato ha incaricato il proprio gruppo ad hoc Gruppo di Lisbona di preparare i lavori del Comitato in materia. Il parere è stato predisposto dai relatori VAN IERSEL e BARABÁS.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, in data 13 dicembre 2007, nel corso della 440a sessione plenaria, ha nominato relatore generale VAN IERSEL e correlatore generale BARABÁS, e ha adottato il seguente parere con 122 voti favorevoli, 1 voto contrario e 12 astensioni.

1.   Conclusioni e raccomandazioni

1.1.

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) ritiene auspicabile coinvolgere la società civile organizzata degli Stati membri, e in particolare i consigli economici e sociali (CES) nazionali, laddove esistano (1), come partner attivi nell'attuazione dell'agenda di Lisbona. A tal fine formula le proposte menzionate qui di seguito.

1.1.1.

Oltre ai governi, i vari ambienti della società devono promuovere approcci creativi e adottare misure efficaci, pratiche e concrete in vista dei necessari cambiamenti. Per garantire il buon esito del processo di Lisbona e appoggiarne l'attuazione (2) servono ulteriori partenariati e nuove alleanze. Per questo motivo, il presente parere esamina in primo luogo il contributo dei CES nazionali e della società civile organizzata.

1.1.2.

Le buone pratiche adottate da parecchi Stati membri dimostrano che l'informazione, la consultazione e la trasparenza sono necessarie ovunque per migliorare la concezione e l'attuazione dei programmi nazionali di riforma (PNR), come pure l'attuazione delle raccomandazioni specifiche per paese.

1.1.3.

È anche importante che la società civile organizzata venga coinvolta, già in una fase precoce, nella formulazione delle future prospettive per il prossimo ciclo successivo al 2010, che dovrebbe basarsi sulla crescita, l'occupazione, la coesione sociale e lo sviluppo sostenibile.

1.1.4.

Il CESE sottolinea che un'attuazione efficace accrescerà l'auspicata visibilità dell'agenda di Lisbona e la sua coerenza nel lungo periodo.

1.1.5.

Gli scambi di punti di vista e di prassi tra il CESE e i CES nazionali circa i PNR e l'agenda di Lisbona potrebbero rivelarsi molto utili, e il CESE potrebbe prestare un contributo importante a tale processo.

1.1.6.

Tutti i CES nazionali dovrebbero essere coinvolti nelle tornate di consultazione annuali della Commissione. I CES e le organizzazioni della società civile potrebbero invitare rappresentanti della Commissione a discutere le idee e gli approcci auspicabili nel contesto nazionale.

1.1.7.

In merito ai lavori in sede di Consiglio, il CESE si dichiara interessato a partecipare al gruppo di lavoro Metodologia di Lisbona sotto l'egida del comitato di politica economica del Consiglio.

1.1.8.

Il CESE chiede mandato al Consiglio europeo per pubblicare una relazione annuale che contenga le informazioni disponibili circa la partecipazione della società civile organizzata e, laddove esistano, dei CES nazionali all'avanzamento della strategia di Lisbona, e che indichi anche proposte concrete e miglioramenti auspicabili (3).

1.1.9.

L'approccio del CESE è in linea con le azioni intraprese dal Parlamento europeo e dal Comitato delle regioni nei confronti dei parlamenti nazionali e delle regioni. Il CESE è favorevole a rafforzare ulteriormente la cooperazione.

2.   Introduzione

2.1.

Dal 2005 a oggi il processo di Lisbona ha conseguito progressi sia sul piano dei contenuti che su quello istituzionale. Cresce il consenso tra gli Stati membri sulla necessità di adeguamenti strutturali in materia di competitività (società dell'informazione), crescita sostenibile e occupazione.

2.2.

Sul piano istituzionale, la metodologia della nuova strategia di Lisbona ha subito opportune modifiche, tra cui:

l'adozione di un'agenda chiara riguardo agli orientamenti integrati,

la stesura di PNR dettagliati,

il chiarimento del ruolo della Commissione,

il monitoraggio dei processi nazionali da parte della Commissione,

la formulazione di raccomandazioni specifiche per paese,

la pressione reciproca (peer pressure).

2.3.

I fatti dimostrano che la sinergia tra un'agenda europea chiara e consensuale e il rilancio di un metodo aperto di coordinamento efficace e rispettoso della sussidiarietà sta cominciando a rivelarsi vincente. Tra gli Stati membri si osserva una disponibilità sempre maggiore alla comprensione reciproca e allo scambio critico di punti di vista sugli adeguamenti strutturali. La nuova metodologia fa sì che sempre più Stati membri siano disposti a guardare al di là delle proprie frontiere e ad esaminare le migliori pratiche altrui.

2.4.

Tuttavia, alle parole non sempre fanno riscontro i fatti. Il vero problema è l'attuazione, spesso incompleta o inadeguata. In molti casi mancano finalità concrete, obiettivi misurabili e scadenze.

2.5.

Inoltre, gli Stati membri sono caratterizzati da profonde differenze e non tutti accolgono con favore le critiche dei paesi partner o della Commissione. Ciò detto, nell'ambito della procedura di sorveglianza multilaterale, essi stanno procedendo in qualche misura a un'analisi reciproca dei rispettivi PNR.

2.6.

Nella maggior parte dei governi è stato nominato un «Signor Lisbona» con funzioni di coordinamento. Tale iniziativa dovrebbe contribuire a razionalizzare la cooperazione tra la Commissione e i governi, andando altresì a vantaggio della trasparenza. Nella maggior parte dei casi, tuttavia, il ruolo di questo ministro o sottosegretario di Stato deve ancora essere definito sia all'interno del governo che in relazione al Parlamento e alla società nel complesso.

2.7.

Si dice che la strategia di Lisbona sia il segreto meglio custodito d'Europa, e infatti questa espressione viene usata solo di rado. Tuttavia, da quando essa è stata rilanciata nel 2005, le riforme concordate vengono gradualmente realizzate negli Stati membri, anche grazie ad adattamenti nella metodologia.

2.8.

Il processo è ormai instradato, ma i prossimi due anni saranno decisivi per il suo proseguimento e approfondimento. È soprattutto essenziale che il processo di Lisbona abbia una struttura chiara e accettata da tutti, che venga riconosciuto anche dagli attori non governativi come una strategia che coinvolge l'intera Europa, e che porti ad adeguamenti e a una convergenza delle politiche nazionali.

3.   La corresponsabilità del CESE, dei CES nazionali e della società civile organizzata nel processo di Lisbona

3.1.

Scopo dell'agenda di Lisbona è consentire alla società europea di far fronte alle sfide del XXI secolo, salvaguardando la propria posizione e il proprio ruolo di fronte a un numero crescente di attori mondiali. È anche una questione di spirito e di atteggiamento.

3.2.

Questo processo non può essere limitato ai responsabili politici, ai legislatori e ai gruppi di alto livello, ma dovrebbe essere pensato per tutti, realizzato con tutti e sostenuto da tutti. Questo per due motivi:

l'apporto di molti ambienti della società contribuisce a definire i migliori approcci possibili,

l'attuazione negli Stati membri dipende in larga misura dalla cooperazione fra tutte le parti interessate: il fattore chiave al riguardo è la corresponsabilizzazione.

3.3.

La corresponsabilità e l'impegno attivo delle parti sociali e delle altre organizzazioni della società civile rafforzerebbero l'intero processo, giacché coniugherebbero approcci top-down e bottom-up e favorirebbero inoltre un indispensabile sostegno pubblico di qualità.

3.4.

Finora in molti Stati membri i CES nazionali e la società civile sono stati coinvolti solo in misura limitata nel processo di Lisbona, e a volte non lo sono stati affatto. Servono quindi ulteriori interventi per incoraggiare la loro corresponsabilità. Negli Stati membri in cui non esistono CES nazionali andrebbero sviluppate altre modalità istituzionalizzate di partecipazione.

3.5.

Le parti sociali e le altre organizzazioni della società civile devono partecipare a tutte le fasi del processo previste dal ciclo annuale. Tali fasi sono la valutazione (del ciclo in corso), la preparazione, l'attuazione e le azioni di seguito dei PNR e la formulazione di raccomandazioni specifiche a più lungo termine per paese.

3.6.

Il CESE ritiene auspicabile che i CES nazionali si impegnino in quattro modi nel contesto dell'agenda di Lisbona, ovvero:

garantendo un grado soddisfacente di informazione e di consultazione,

esaminando in modo critico l'attuazione a livello nazionale,

formulando proposte concrete,

migliorando la visibilità dell'agenda di Lisbona innalzando il profilo del dibattito nazionale sul tema.

3.7.

Nei paesi in cui non esistono CES nazionali o commissioni tripartite sarà necessario trovare altri modi per coinvolgere le parti sociali nel processo consultivo. Questo vale anche per la società civile organizzata (4).

3.8.

Occorre sottolineare che lo stesso approccio andrebbe seguito a livello regionale e locale, al quale spesso spetta un ruolo determinante nell'attuazione concreta. A livello regionale vanno anche incoraggiati i partenariati con le parti sociali e le organizzazioni della società civile interessate al fine di garantire la coesione territoriale e sociale.

3.9.

Inoltre, per trasformare in realtà i piani di azione della strategia di Lisbona a livello regionale e locale occorre rinforzarli con una gestione e un'applicazione efficace dei fondi strutturali.

3.10.

Il CESE stesso ha al riguardo un quadruplice ruolo da svolgere. Infatti, esso:

trasmette il punto di vista della società civile organizzata,

potrebbe fungere da canale di informazione, presentando i punti di vista dei CES nazionali e delle altre organizzazioni della società civile e apportando così un valore aggiunto ai dibattiti in sede di Commissione e di Consiglio,

potrebbe costituire un forum per lo scambio di punti di vista e di migliori pratiche, in coordinamento con i CES nazionali, e offrire una sede di discussione tra questi ultimi e la Commissione (5),

può contribuire alla divulgazione degli obiettivi e dei risultati del processo di Lisbona.

4.   L'attività relativa ai temi prioritari decisi dal Consiglio di primavera 2006

4.1.

Nella sessione plenaria del luglio 2007, il CESE ha adottato, come gli era stato richiesto, quattro pareri di iniziativa sui seguenti temi:

L'occupazione per le categorie prioritarie  (6),

Investire nella conoscenza e nell'innovazione  (7),

Il potenziale delle imprese, specie delle PMI  (8),

Definizione di una politica energetica per l'Europa  (9).

I CES nazionali hanno preso parte alla preparazione di questi pareri d'iniziativa e i loro contributi sono allegati ai rispettivi pareri. Successivamente il CESE ha adottato un ulteriore parere su una più adeguata integrazione della strategia relativa ai cambiamenti climatici nella strategia di Lisbona.

4.2.

Questi pareri d'iniziativa, che presentano anch'essi i contributi tematici dei CES nazionali su una serie di questioni cruciali individuate dal Consiglio, hanno dato un apporto concreto alla relazione della Commissione e serviranno a lanciare un più ampio dibattito in vista del vertice di Lisbona del marzo 2008.

4.3.

Il presente parere d'iniziativa rappresenta innanzitutto un contributo al dibattito del Consiglio. Il suo scopo principale è precisare il ruolo delle parti sociali e di altre organizzazioni della società civile nel processo di Lisbona.

4.4.

Nel corso dell'elaborazione del parere, il CESE si è avvalso anche del contributo del proprio gruppo di collegamento con le organizzazioni e le reti europee della società civile. Tale contributo è allegato al presente parere.

5.   Il coinvolgimento delle parti sociali e della società civile organizzata

5.1.

È di grande importanza che l'agenda di Lisbona venga discussa pubblicamente a tutti i livelli della società, in quanto agenda politica «ideale» adeguata alle diverse circostanze, procedure e requisiti giuridici nazionali.

5.2.

Il documento della Commissione dovrebbe essere calibrato in modo tale da stimolare un dibattito più ampio in seno alla società. La ricerca di nuovi e proficui partenariati presuppone un lavoro di messa a fuoco e individuazione, da un lato, e di informazione e comunicazione, dall'altro.

5.3.

Più dibattito e più trasparenza significano maggiore sensibilizzazione dell'opinione pubblica, il che potrebbe anche favorire la formulazione di proposte e soluzioni originali. In diversi paesi, alcune misure, prassi e/o negoziazioni costruttive tra le parti sociali al livello di settore industriale o di impresa conducono spesso a sviluppi microeconomici interessanti.

5.4.

Della massima importanza è il modo in cui le parti sociali e altre organizzazioni della società civile competenti a intervenire nel processo vengono coinvolte nei PNR e nell'attuazione delle raccomandazioni dell'UE.

5.5.

Coinvolgendo tutti questi attori si può anche ottenere una maggiore convergenza tra le agende nazionali, un risultato auspicabile data la crescente interdipendenza economica in Europa e i relativi effetti di ricaduta.

5.6.

L'esperienza mostra che il processo di Lisbona funziona meglio là dove le parti sociali e le altre organizzazioni della società civile assumono una corresponsabilità attiva. Il processo di Lisbona presuppone una cultura della cooperazione non antagonistica, e in tal senso si registrano già dei segnali positivi negli Stati membri.

5.7.

Il grado di coinvolgimento delle parti sociali e delle altre organizzazioni della società civile varia da uno Stato membro all'altro (10). Ciò è dovuto in parte alle diverse regole statutarie dei CES nazionali e organizzazioni analoghe, e in parte al loro grado di informazione e di consultazione, che è ancora limitato.

5.8.

La Commissione dovrebbe incoraggiare tutti gli Stati membri ad associare le organizzazioni della società civile e, negli Stati in cui esistono, i CES, alle consultazioni nazionali.

5.9.

Nel corso delle tornate di consultazione con alcuni Stati membri, la Commissione incontra anche le parti sociali. Questa pratica dovrebbe progressivamente essere estesa e potrebbe consentire alla Commissione di svolgere una più intensa funzione di monitoraggio. Inoltre, in quegli Stati in cui il governo fa parte del CES nazionale o di una commissione tripartita, sarebbe opportuno che la Commissione incontrasse le parti sociali separatamente.

5.10.

Sarebbe inoltre utile per i CES nazionali procedere a uno scambio di esperienze in merito alle modalità di consultazione e di coinvolgimento (11). In tale scambio potrebbe rientrare:

l'informazione e la consultazione sull'agenda di Lisbona nel contesto nazionale,

il modo in cui i CES nazionali esprimono i loro pareri ai rispettivi governi,

il grado in cui le politiche nazionali riflettono tali pareri.

5.11.

Per promuovere prassi convergenti tra i CES nazionali, potrebbero anche servire incontri (forum o tavole rotonde) bilaterali o trilaterali.

5.12.

Il CESE potrebbe contribuire raccogliendo in tutta Europa esempi di buone pratiche in materia di informazione e consultazione, nonché redigendo un elenco delle pratiche e delle misure interessanti promosse dalle parti sociali e da altre organizzazioni della società civile negli Stati membri.

5.13.

Per quanto riguarda i contributi degli Stati membri privi di un CES nazionale, il CESE potrebbe cooperare direttamente con le organizzazioni nazionali della società civile tramite i propri membri: essi potrebbero infatti utilizzare le missioni di informazione in diversi modi, ad esempio tenendo audizioni a livello nazionale.

6.   Condividere le migliori pratiche

6.1.

La diffusione di esempi microeconomici concreti negli ambiti in cui gli obiettivi nazionali sono stati realizzati, o si prevede che lo saranno, con il concorso delle parti sociali e della società civile organizzata degli Stati membri apporta senz'altro un valore aggiunto.

6.2.

Qualche esempio:

Ricerca, innovazione, conoscenza

la promozione della società basata sulla conoscenza,

l'istruzione a tutti i livelli, compresa la formazione professionale: nuove competenze per nuove opportunità,

il rilancio dei patti di apprendimento permanente e dei centri di apprendimento aperti,

la cooperazione tra università/istituti di ricerca e PMI,

l'attivazione dell'Istituto europeo di tecnologia,

la creazione di piattaforme innovative con la partecipazione del settore privato.

Imprenditorialità e competitività

la promozione delle nuove imprese e dell'imprenditorialità,

attenzione particolare alle PMI: p. es. condizioni giuridiche, capitale di rischio, ecc.,

la creazione di sportelli unici per le imprese,

la riduzione degli oneri amministrativi, e in particolare, l'individuazione dei settori in cui tale riduzione sarebbe più efficace,

l'e-government,

incentivi all'innovazione delle PMI (i cosiddetti «assegni di innovazione»),

misure fiscali specifiche.

Mercato del lavoro e occupazione

idee innovative e obiettivi misurabili per creare occupazione tra i giovani e tra i lavoratori più anziani,

l'inclusione sociale per le categorie vulnerabili,

la parità tra i sessi,

misure di incoraggiamento alla creazione di posti di lavoro sostenibili,

l'adozione di approcci adeguati in materia di lavoro a tempo parziale,

nuove idee e metodi di attuazione in materia di flessicurezza,

nuovi partenariati a livello locale e regionale,

la creazione di imprese dell'economia sociale.

Occorre inoltre discutere misure efficaci e concrete, come la fissazione di scadenze relative all'energia e al cambiamento climatico.

In tutti questi ambiti sono in corso discussioni tra le parti interessate in uno o più Stati membri. I CES nazionali e la società civile organizzata hanno una loro visione delle modalità pratiche di attuazione. Il dibattito tra i rappresentanti dei governi e il mondo politico risulterebbe senza dubbio arricchito da proposte, provenienti dal basso e debitamente instradate, volte a illustrare le molteplici potenzialità insite nella società europea.

6.3.

Un dibattito allargato che coinvolga le parti interessate contribuirebbe a definire nuovi obiettivi concreti per il metodo aperto di coordinamento. In tale contesto si potrebbe prevedere un meccanismo di valutazione comparativa, indicatori e controlli incrociati per valutare il grado di impegno della società civile organizzata.

6.4.

Sarebbe inoltre interessante per la Commissione e il Consiglio accertare quali questioni i CES nazionali stiano discutendo tra di loro. Il CESE potrebbe elencare le questioni orizzontali di rilevanza comunitaria. Quanto più queste discussioni riguardano approcci concreti e misure volte alla realizzazione degli obiettivi di Lisbona, tanto maggiore sarà l'attenzione di cui esse beneficeranno a livello governativo.

6.5.

L'elemento fondamentale rimane l'attuazione pratica e il modo in cui essa è garantita attraverso la definizione di finalità concrete, obiettivi misurabili e scadenze. La società civile organizzata nel complesso, e in particolare i CES nazionali, possono svolgere un ruolo efficace nell'individuazione delle carenze e contribuire alla ricerca di soluzioni sostenibili.

Bruxelles, 13 dicembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS


(1)  A questo proposito, il quadro istituzionale nell'UE è quanto mai vario: in un gran numero di Stati membri esistono CES, nella maggior parte dei «nuovi» Stati membri vi sono le cosiddette commissioni tripartite (parti sociali + governo), mentre in un numero limitato di Stati membri non esistono CES. Il CESE sta cercando di raccogliere quanti più contributi possibile da parte degli organi rappresentativi. Tali contributi saranno allegati al presente parere e presentati al Consiglio europeo nel quadro di una relazione congiunta.

(2)  Cfr. la risoluzione del CESE sul tema L'attuazione della strategia di Lisbona rinnovata, GU C 97 del 27.4.2007.

(3)  Il CESE fa notare che così facendo non interferisce in alcun modo con le procedure di consultazione in vigore negli Stati membri, e in particolare in Spagna, né con le competenze e il grado di legittimità delle parti sociali.

(4)  Un esempio potrebbe essere quello della Svezia, dove il governo consulta più volte all'anno sia le parti sociali (in vista della preparazione del PNR) che la società civile organizzata (in riunioni distinte).

(5)  Al riguardo conviene segnalare che di recente anche il Parlamento europeo ha istituito una struttura di coordinamento di concerto con i parlamenti nazionali.

(6)  Parere del CESE sul tema L'occupazione per le categorie prioritarie (strategia di Lisbona), GU C 256 del 27.10.2007, pag. 93

(http://www.eesc.europa.eu/lisbon_strategy/eesc_documents/index_en.asp).

(7)  Parere del CESE sul tema Investire nella conoscenza e nell'innovazione (strategia di Lisbona), GU C 256 del 27.10.2007, pag. 17

(http://www.eesc.europa.eu/lisbon_strategy/eesc_documents/index_en.asp).

(8)  Parere del CESE sul tema Il potenziale delle imprese, specie quello delle PMI (strategia di Lisbona),

GU C 256 del 27.10.2007, pag. 8 (http://www.eesc.europa.eu/lisbon_strategy/eesc_documents/index_en.asp).

(9)  Parere del CESE sul tema Definizione di una politica energetica per l'Europa (strategia di Lisbona),

GU C 256 del 27.10.2007, pag. 31 (http://www.eesc.europa.eu/lisbon_strategy/eesc_documents/index_en.asp).

(10)  Cfr. nota 3.

(11)  Un esempio calzante di monitoraggio dei PNR è il CES greco, che ha creato un osservatorio ad hoc quale strumento tangibile per seguire i progressi o la mancanza di progressi della strategia di Lisbona. Altri CES nazionali si sono detti interessati a seguire questo esempio.


16.5.2008   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/100


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio relativa alla struttura e alle aliquote dell'accisa applicata al tabacco lavorato (versione codificata)

COM(2007) 587 def.

(2008/C 120/21)

Il Consiglio, in data 24 ottobre 2007, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Consiglio relativa alla struttura e alle aliquote dell'accisa applicata al tabacco lavorato (versione codificata)

Avendo concluso che il contenuto della proposta è pienamente soddisfacente e che non richiede commenti da parte sua, il Comitato, in data 12 dicembre 2007, nel corso della 440a sessione plenaria, ha deciso di esprimere parere favorevole al testo proposto con 129 voti favorevoli e 6 astensioni.

 

Bruxelles, 12 dicembre 2007.

Il presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Dimitris DIMITRIADIS