ISSN 1725-2466

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 65

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

49o anno
17 marzo 2006


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

II   Atti preparatori

 

Comitato economico e sociale europeo

 

422a Sessione plenaria del 14 e 15 dicembre 2005

2006/C 065/1

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Piano d'azione nel settore degli aiuti di Stato — Aiuti di Stato meno numerosi ma più mirati: itinerario di riforma degli aiuti di Stato 2005-2009 COM(2005) 107 def. — SEC(2005) 795

1

2006/C 065/2

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio concernente il Settimo programma quadro di attività comunitarie di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione (2007-2013) e alla Proposta di decisione del Consiglio concernente il Settimo programma quadro della Comunità europea dell'energia atomica (Euratom) per le attività di ricerca e formazione nel settore nucleare (2007-2011) COM(2005) 119 def. — 2005/0043 (COD) — 2005/0044 (CNS)

9

2006/C 065/3

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma quadro per la competitività e l'innovazione (2007-2013) COM(2005) 121 def. — 2005/0050 (COD)

22

2006/C 065/4

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull'accesso al sistema d'informazione Schengen di seconda generazione (SIS II) dei servizi competenti negli Stati membri per il rilascio delle carte di circolazione COM(2005) 237 def. — 2005/0104 (COD)

27

2006/C 065/5

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 69/169/CEE per quanto riguarda i limiti quantitativi temporanei per le importazioni di birra in Finlandia COM(2005) 427 def. — 2005/0175 (CNS)

29

2006/C 065/6

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La sicurezza dei modi di trasporto

30

2006/C 065/7

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un'azione finanziaria della Comunità per l'attuazione della politica comune della pesca e in materia di diritto del mare COM(2005) 117 def. — 2005/0045 (CNS)

38

2006/C 065/8

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Migliorare il meccanismo comunitario di protezione civile COM(2005) 137 def.

41

2006/C 065/9

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le società miste nel settore della pesca comunitaria: situazione presente e futura

46

2006/C 065/0

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio che stabilisce la tabella comunitaria di classificazione delle carcasse di bovini adulti COM(2005) 402 def. — 2005/0171 (CNS)

50

2006/C 065/1

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il ruolo dei parchi tecnologici nel mutamento industriale dei nuovi Stati membri dell'UE

51

2006/C 065/2

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione — Ristrutturazioni e occupazione — Anticipare e accompagnare le ristrutturazioni per ampliare l'occupazione: il ruolo dell'Unione europea COM(2005) 120 def.

58

2006/C 065/3

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Consiglio che istituisce il programma specifico Prevenzione, preparazione e gestione delle conseguenze in materia di terrorismo per il periodo 2007-2013 — Programma generale Sicurezza e tutela delle libertàCOM(2005) 124 def. — 2005/0034 (CNS)

63

2006/C 065/4

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'Anno europeo delle pari opportunità per tutti (2007) — Verso una società giusta COM(2005) 225 def. — 2005/0107 (COD)

70

2006/C 065/5

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Come integrare la dimensione sociale nei negoziati sugli accordi di partenariato economico

73

2006/C 065/6

Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della commissione — Documento di consultazione sugli aiuti di Stato all'innovazione COM(2005) 436 def.

86

2006/C 065/7

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Il contributo della Commissione al periodo di riflessione e oltre: Un Piano D per la democrazia, il dialogo e il dibattito COM(2005) 494 def.

92

2006/C 065/8

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Verso la società europea della conoscenza — Il contributo della società civile organizzata alla strategia di Lisbona

94

2006/C 065/9

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 77/388/CEE per quanto riguarda talune misure aventi lo scopo di semplificare la riscossione dell'imposta sul valore aggiunto e di contribuire a contrastare l'evasione e l'elusione e recante abrogazione di talune decisioni che autorizzano misure derogatorie COM(2005) 89 def. — 2005/0019 (CNS)

103

2006/C 065/0

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le fonti energetiche rinnovabili

105

2006/C 065/1

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde: Il credito ipotecario nell'UE COM(2005) 327 def.

113

2006/C 065/2

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo — Il programma dell'Aia: dieci priorità per i prossimi cinque anni — Partenariato per rinnovare l'Europa nel campo della libertà, sicurezza e giustizia COM(2005) 184 def.

120

2006/C 065/3

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alle seguenti proposte

131

2006/C 065/4

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde sulla politica in materia di servizi finanziari (2005-2010) COM(2005) 177 def.

134

2006/C 065/5

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Norme di igiene ed imprese artigiane di trasformazione

141

IT

 


II Atti preparatori

Comitato economico e sociale europeo

422a Sessione plenaria del 14 e 15 dicembre 2005

17.3.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 65/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Piano d'azione nel settore degli aiuti di Stato — Aiuti di Stato meno numerosi ma più mirati: itinerario di riforma degli aiuti di Stato 2005-2009

COM(2005) 107 def. — SEC(2005) 795

(2006/C 65/01)

La Commissione, in data 8 giugno 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al documento di consultazione di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 novembre 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore PEZZINI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 dicembre 2005, nel corso della 422a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 117 voti favorevoli, 2 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo ha più volte ribadito l'importanza del controllo degli aiuti pubblici, quale elemento fondamentale per:

una corretta politica di concorrenza intesa anche come strumento di convergenza tra le economie degli Stati membri,

il rafforzamento dell'innovazione e della competitività dell'Unione,

la coesione e la crescita sostenibile di tutte le regioni comunitarie.

1.2

La disciplina relativa agli aiuti di Stato trova i suoi fondamenti nei testi all'origine stessa della Comunità, e cioè nelle disposizioni del Trattato CECA e del Trattato CEE. A differenza però del Trattato CECA, oramai scaduto, il Trattato CE non contiene, in materia di aiuti di Stato, un divieto assoluto: infatti, accanto all'enunciazione del divieto sono previste deroghe (1) e alcune eccezioni (2), che conferiscono alla Commissione — ed eccezionalmente anche al Consiglio — un ampio potere discrezionale di autorizzare degli aiuti, in deroga alla norma generale.

1.3

D'altro canto gli articoli 87, 88, e 89, che regolano la complessa materia, sono compresi nella Sezione II del Titolo VI relativo alle norme comuni sulla concorrenza, sulla fiscalità e sul ravvicinamento delle legislazioni, proprio per sottolineare come la questione degli aiuti di Stato debba essere presa in considerazione per gli effetti che può generare sul mercato concorrenziale.

1.3.1

In proposito il Comitato ha avuto già modo di sottolineare come qualsiasi nuovo piano d'azione sugli aiuti di Stato debba collocarsi nel quadro tracciato dall'articolo 2 del Trattato CE per poter garantire, tra l'altro, il corretto funzionamento del mercato unico, l'applicazione di regole non discriminatorie, lo sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche, una crescita sostenibile e non inflazionistica, un alto grado di competitività e di convergenza, il miglioramento della qualità della vita, nonché la coesione economica e sociale e la solidarietà tra gli Stati membri.

1.4

Di fatto, per aiuto di Stato si intende, come indicato dalla Commissione stessa, «una forma di intervento statale usata per promuovere una determinata attività economica. La concessione di un tale aiuto implica dunque il fatto che taluni settori o attività economiche sono trattati più favorevolmente di altri, falsando così il gioco della concorrenza nell'operare una discriminazione tra le imprese che ricevono assistenza e le altre» (3).

1.4.1

Ai sensi dell'articolo 87, paragrafo 1, del Trattato, la nozione di aiuto di Stato riguarda non solo tutti gli aiuti accordati da autorità pubbliche e finanziati con il pubblico denaro, ma anche gli interventi finalizzati alla riduzione di oneri che, normalmente, gravano sul bilancio d'impresa.

1.5

Il Consiglio europeo del marzo 2005 ha ribadito l'obiettivo di proseguire sulla via della riduzione del livello generale degli aiuti di Stato concedendo però delle deroghe per le eventuali carenze dei mercati. Questa posizione è in linea con quanto era stato deliberato al vertice di Lisbona del 2000 e a quello di Stoccolma del 2001 e risponde alla necessità di orientare gli aiuti verso obiettivi orizzontali di interesse comune, inclusi quelli della coesione.

1.5.1

La Commissione, peraltro, nella sua recente comunicazione sulla revisione a medio termine della strategia di Lisbona, ha fatto proprio tale obiettivo, finalizzato a ridurre gli aiuti di Stato, ad orientarli verso le carenze del mercato, soprattutto in settori con alto potenziale di crescita, e a stimolare l'innovazione (4).

1.6

Anche il Parlamento europeo si è pronunciato recentemente sugli aiuti di Stato (5), sottolineando che questi devono essere utilizzati in modo responsabile ed efficace, dal momento che:

rappresentano più del 50 % del bilancio annuale dell'Unione,

hanno ripercussioni sulle finanze pubbliche, sulla concorrenza e sulla capacità delle imprese private di investire in un ambiente economico globalizzato,

sono finanziati dal contribuente europeo.

1.6.1

D'altra parte il PE ha adottato, il 12 maggio 2005, una risoluzione intitolata Rafforzare la competitività europea: conseguenze delle trasformazioni industriali sulla politica e sul ruolo delle PMI  (6), nella quale sostiene, tra l'altro, l'obiettivo della riduzione del volume globale degli aiuti alle imprese, ma ricorda l'utilità di taluni aiuti per mitigare alcune carenze del mercato, come per esempio gli aiuti per la R&S, per la formazione e per la consulenza alle imprese.

1.6.2

Prendendo atto dell'importanza degli aiuti per le PMI negli Stati membri, il PE chiede alla Commissione di mantenere, all'interno dei fondi strutturali, l'insieme degli strumenti di aiuto alla riconversione economica e socioeconomica per le regioni colpite dalle delocalizzazioni industriali e insiste affinché si tengano in considerazione le esigenze delle piccole imprese e delle microimprese (7) in tali regioni e, più generalmente, nell'ambito delle politiche di coesione.

1.6.3

Nell'ambito del disegno di riforma dei regimi di aiuti di Stato, il PE propone l'individuazione di una chiara linea di azione a favore dell'innovazione, che investa trasversalmente tutti i settori, nel contesto degli obiettivi di Lisbona.

1.7

Dal canto suo, nel corso degli anni anche la Corte di giustizia si è pronunciata in molteplici occasioni in tema di aiuti di Stato, creando un vero e proprio case-by-case-law e stabilendo una giurisprudenza caratterizzata da linee direttrici coerenti e molto dettagliate, da ultimo con la sentenza relativa ai servizi d'interesse generale e con la sentenza Altmark, del 24 luglio 2003 (8).

1.8

Nel suo «Rapporto sulla tabella di marcia relativa agli aiuti di Stato» dell'aprile 2005 (9), la Commissione traccia un quadro positivo della reazione degli Stati membri alla strategia lanciata a Lisbona, evidenziando livelli di aiuti leggermente decrescenti, rispetto al PIL e risposte ancor più positive sul riorientamento degli aiuti nel senso suggerito dai Consigli europei: molto, tuttavia, resta ancora da fare.

1.8.1

Quale base di discussione per una strategia volta a ridurre il livello generale degli aiuti di Stato e a riorientarli verso obiettivi orizzontali, la Commissione aveva messo a punto, nel 2001, il repertorio degli aiuti di Stato e il relativo quadro di valutazione e li ha ulteriormente sviluppati nel corso del 2002. Il Comitato ha già espresso il suo apprezzamento per l'impegno della Commissione per raggiungere una maggiore trasparenza nel settore, cosa che appare particolarmente importante in relazione ai paesi di nuova adesione.

1.9

Il Comitato prende nota con compiacimento del fatto che nel 2003 il totale annuo di aiuti pubblici è diminuito del 3,6 % rispetto al 1999 e di quasi il 30 % rispetto al 1996; esso rileva tuttavia che l'importo di 53 miliardi di euro (10), di cui oltre il 60 % destinato all'industria manifatturiera e ai servizi, continua ad essere elevato. Esso ribadisce altresì la sua preoccupazione per le distorsioni di concorrenza che potrebbero derivare dalle divergenze riscontrabili negli aiuti pubblici tra i vari Stati membri e, all'interno di ciascuno di essi, tra le varie regioni.

1.9.1

Il Comitato (11) ha a suo tempo accolto favorevolmente il sistematico lavoro di chiarificazione e precisazione delle regole fatto dalla Commissione, con particolare attenzione al regolamento di esenzione per categoria e agli aiuti a favore dell'occupazione intesi a facilitare la creazione di posti di lavoro da parte degli Stati membri.

1.9.2

Il Comitato concorda pienamente con la Commissione sul fatto che le regole sugli aiuti di Stato devono formare oggetto di aggiustamenti, con il passare del tempo, poiché devono prendere in considerazione gli sviluppi intervenuti a livello politico, economico e legale. È per questo motivo che gli strumenti di valutazione degli aiuti di Stato sono soggetti a revisioni periodiche e, quindi, hanno spesso durata limitata  (12).

1.10

Il Comitato si compiace che la Commissione abbia presentato proposte volte a delineare una riforma generale della materia (13), basata su un approccio integrato che tenga in forte considerazione i «fallimenti del mercato».

1.10.1

Esso ritiene che l'adozione di un nuovo quadro che tenga nel debito conto il necessario equilibrio tra la politica degli aiuti e la necessità di sviluppo, debba essere subordinata a una revisione, tesa ad una semplificazione e ad una valutazione esaustiva dell'impatto.

1.10.2

Tale revisione dovrà basarsi su obiettivi chiari, ampie consultazioni, informazioni complete e il nuovo quadro dovrà assicurare, oltre ad un chiaro sistema di controllo, una coerenza tra le politiche, una concentrazione delle azioni e infine una maggiore semplificazione, trasparenza e certezza giuridica.

1.10.3

Il quadro proposto dovrebbe essere in linea con:

gli imperativi di approccio integrato alla competitività, decisi dal Consiglio europeo del novembre 2004, per il rilancio dell'Agenda di Lisbona, in termini di sviluppo economico, di crescita occupazionale e di rafforzamento delle imprese,

le esigenze di semplificazione della politica comunitaria degli aiuti di Stato, le cui stratificazioni successive hanno prodotto crescente complessità e aumento dei carichi amministrativi, sia per gli Stati membri, sia per i soggetti beneficiari,

la necessità di assicurare certezza giuridica e trasparenza amministrativa, con regole chiare, semplici e predeterminate, di facile comprensione ed utilizzo da parte delle aziende e dei loro consulenti,

il principio della validità economica degli aiuti, finalizzati a porre rimedio ai fallimenti del mercato, riducendo le incertezze e assicurando un sufficiente grado di prevedibilità per gli operatori,

i meccanismi e le procedure di rilevazione e notifica delle misure incompatibili con il mercato interno EUR-25; questi devono assicurare concrete possibilità di coinvolgimento attivo dei soggetti cointeressati, della magistratura, del mondo accademico, delle imprese e della società civile.

1.10.4

Altre esigenze impongono una considerazione particolarmente attenta a:

le dimensioni e la localizzazione dei soggetti beneficiari d'aiuto, così come la dimensione dell'aiuto stesso (cfr. regolamento De minimis),

la compatibilità del nuovo quadro con la politica comunitaria dell'ambiente (nuove regole in materia di Emission Trading Scheme),

la politica dell'innovazione (Vademecum novembre 2004 e nuova comunicazione 2005), della ricerca e dello sviluppo tecnologico (nuovo quadro di aiuti R&S 2006),

la politica industriale settoriale,

la politica di coesione (revisione delle Guidelines on Regional Aid - RAG 2006),

la politica dell'impresa (regolamento De minimis e revisione della disciplina sul capitale di rischio),

la sensibilità dei consumatori e i benefici per i cittadini europei.

1.11

Secondo il Comitato, però, la questione più importante che la definizione di un quadro comune per gli aiuti di Stato deve affrontare è quella di rilanciare una politica moderna, che sia capace di raccogliere il consenso unanime di tutti gli Stati membri, dal momento che la globalizzazione impone dei processi di transizione e ristrutturazione a tutte le economie dell'Unione.

1.12

Le imprese, in quanto concorrenti e destinatarie ultime dei regimi di aiuto, sono, insieme al settore pubblico, in una posizione privilegiata per valutare l'efficacia degli strumenti posti in essere. Esse possono offrire un contributo concreto per il monitoraggio di soluzioni, adatte ad una moderna politica europea degli aiuti di Stato e possono dare utili suggerimenti sull'articolazione di nuove guidelines.

1.12.1

Inoltre, le imprese sono esposte in prima persona, sia alle incertezze giuridiche e alle lunghezze dei tempi d'approvazione dei regimi di aiuto, sia alle gravi conseguenze del recupero degli aiuti dichiarati illegali. Esse figurano, quindi, tra i soggetti più interessati alla diffusione di una conoscenza univoca della normativa comunitaria e al superamento delle difficoltà e difformità interpretative ed applicative.

2.   Verso un quadro equilibrato di riforma degli aiuti di Stato

2.1

Il Comitato è convinto che le proposte di riforma della Commissione rappresentino una opportunità preziosa, per fondere in una sintesi equilibrata:

le esigenze di sviluppo di tutti gli Stati membri nei termini di un'economia sostenibile, basata sulla conoscenza, su una maggiore e migliore occupazione e su standard elevati di qualità della vita,

i vincoli della globalizzazione, anche in termini di pieno rispetto delle regole della OMC,

la parità di condizioni, nel grande mercato comune dell'Europa allargata, per le imprese, per i consumatori, per i contribuenti e per la società civile nel suo complesso.

2.2

Il Comitato condivide pienamente il principio ispiratore della riforma «Aiuti meno numerosi ma più mirati», in quanto questo è finalizzato a rafforzare la competitività delle imprese sui mercati interni ed internazionali, e a creare le condizioni perché le imprese più efficienti siano premiate.

2.3

Il Comitato condivide pienamente la linea indicata dalla Commissione, per una semplificazione delle regole, con il fine di dare maggiore certezza agli operatori e di alleggerire gli oneri amministrativi degli Stati. Il Comitato è infatti convinto che l'incertezza su che cosa rappresenti un aiuto di Stato lecito e che cosa non lo sia rischia di mettere in discussione la legittimità del controllo stesso sugli aiuti di Stato operato dalla Commissione.

2.4

A parere del Comitato, il progetto di riforma della disciplina comunitaria degli aiuti dovrebbe essenzialmente permettere:

un maggior coinvolgimento istituzionale dei vari soggetti interessati, a cominciare dalle imprese, nei processi decisionali e attuativi delle politiche,

un adattamento delle regole esistenti alle nuove sfide, per sostenere gli obiettivi della strategia di Lisbona ed aumentarne i benefici per i cittadini,

la creazione di strumenti specifici, per stimolare la crescita dimensionale delle imprese, permettendo incentivi adeguati,

l'adozione di nuove regole per gli aiuti statali all'innovazione e alla R&S,

condizioni più chiare per la concessione di aiuti fiscali, rivedendo gli inquadramenti relativi alle misure di aiuto attraverso la «fiscalità di vantaggio», per garantire un level-playing field alle aree sfavorite, tramite uno strumento attraente, semplice e di impatto limitato sulla concorrenza,

l'introduzione di meccanismi di valutazione ex post e di un monitoraggio sull'efficacia economica delle misure, che prendano in considerazione la loro validità in relazione al funzionamento del mercato interno,

una maggiore cooperazione internazionale per poter coordinare la politica comunitaria con quelle dei paesi terzi, specie di quelli i cui ordinamenti non prevedono alcun limite in materia di aiuti di Stato.

2.5

La politica in materia di aiuti statali è parte integrante di quella della concorrenza e, in quanto tale, è fra le politiche comunitarie che esercitano maggiore influenza sull'andamento dell'economia. Occorre quindi, a parere del Comitato, che essa venga utilizzata in maniera più concreta per garantire la qualità dello sviluppo e la coerenza con gli obiettivi del processo di Lisbona, in modo da poter svolgere un ruolo propulsivo, per assicurare sane dinamiche di sviluppo dell'economia e dell'occupazione.

2.6

La competitività misura le capacità del mercato di creare efficacemente beni e servizi di valore, in un mondo globalizzato, con il fine di migliorare il tenore di vita della società e di assicurare un livello elevato di occupazione. Dobbiamo tuttavia ammettere che abbiamo fallito nel tentativo di promuovere la crescita delle imprese europee e delle risorse umane, verso livelli più qualificati di ricerca tecnologica, di innovazione, di formazione e di internazionalizzazione, come era stato invece ipotizzato dalla strategia di Lisbona.

3.   La riforma e la strategia di Lisbona (Less & Better State Aid Policy)

3.1

Il Comitato esprime il proprio sostegno a un nuovo inquadramento generale comunitario degli aiuti di Stato che si ispiri a una politica degli aiuti:

più concentrata e selettiva,

coerente e perfettamente integrata con la strategia di Lisbona, con il completamento del mercato unico e con le altre politiche comunitarie,

basata sulla semplificazione, la trasparenza e la certezza giuridica di procedure e di regole,

caratterizzata da un maggiore coinvolgimento istituzionale delle imprese e del mondo del lavoro nei processi decisionali e di attuazione, nonché nelle fasi di valutazione e di monitoraggio dell'efficacia,

basata su responsabilità condivise, grazie all'attivazione di livelli nazionali di coordinamento,

raccordata con le politiche delle istanze internazionali e dei principali partner europei sui mercati globali,

rispettosa delle regole del mercato interno,

che garantisca la compatibilità degli aiuti pubblici dell'Unione europea.

3.2

Secondo il Comitato, quindi, la politica comunitaria degli aiuti di Stato deve dare un contributo attivo per rendere l'Europa più attraente per gli investimenti e per l'occupazione, per rafforzare la dimensione competitiva delle imprese e la coesione sociale, per stimolare la propensione alla ricerca e all'innovazione, e infine per promuovere la creazione e la diffusione delle nuove conoscenze e la formazione delle risorse umane.

3.3

L'inquadramento comunitario di esenzione relativo agli aiuti alla formazione e all'occupazione dovrebbe, a parere del CESE, essere ampliato e semplificato con un regolamento generale di esenzione per categoria, privilegiando le misure di aiuto più trasparenti e focalizzate su obiettivi precisi, da identificare in stretta consultazione con le imprese e le parti sociali che, in quanto destinatarie dei regimi di aiuto, sono quelle più effettivamente in grado di valutare l'efficacia degli strumenti proposti.

3.4

Per quanto riguarda il regime degli aiuti a finalità regionale, nel nuovo quadro programmatico 2007-2013, il Comitato condivide la volontà di rilanciare lo sviluppo delle regioni sfavorite (regioni NUTS II «ad effetto statistico», regioni NUTS II «in crescita economica», regioni NUTS III «a bassa densità di popolazione») nonché delle isole e delle zone montane di marginalità territoriale, superando la logica assistenziale, riducendo i massimali di intensità d'aiuto, contenendo entro il 10 % il differenziale tra le classi estreme di regioni in ritardo di sviluppo, e contrastando i possibili fenomeni di delocalizzazione causati da sproporzionati differenziali d'aiuto (non oltre il 20 %, per regioni NUTS III) tra le regioni transfrontaliere.

3.4.1

Il Comitato condivide l'approccio della Commissione in tema di intensità d'aiuto a finalità regionale per diverse tipologie di imprese, ma ritiene che debba essere evitato il rischio di frenare la crescita dimensionale delle imprese minori assicurando un'unica maggiorazione (20 %) sia per le piccole che per le medie imprese. I limiti proposti per il sostegno agli investimenti delle grandi imprese, nelle regioni comprese nelle nuove deroghe, dovrebbero tener conto della nuova classificazione delle imprese, prevista dalla raccomandazione della Commissione del 2003 (14).

3.5

Proprio in tema di aiuti di lieve entità, il Comitato è favorevole all'aumento del plafond previsto per il De minimis, anche ai fini di una maggiore concentrazione e semplificazione dell'azione comunitaria.

3.6

Secondo il Comitato, la Commissione dovrebbe potersi concentrare sull'esame degli aiuti di Stato che hanno un impatto significativo sugli scambi, senza disperdere le proprie risorse nell'esaminare una molteplicità di casi, di interesse prevalentemente locale, chiarendo il significato e l'interpretazione del concetto di local concern.

3.7

Il Comitato ritiene che il controllo sugli aiuti di Stato debba essere proporzionato ed efficace, e che si debbano evitare complesse procedure di notifica nei casi di importanza economica marginale per la concorrenza comunitaria.

3.8

Il Comitato sostiene con forza la proposta sugli aiuti di Stato di lieve entità, a suo tempo presentata dalla Commissione (febbraio 2004), nell'ottica di garantire agli Stati membri maggiore flessibilità, procedure più semplici, nonché uno spazio sufficiente per le misure di aiuto destinate al conseguimento degli obiettivi previsti dalla strategia di Lisbona, sempre salvaguardando adeguate possibilità di controllo da parte della Commissione.

3.9

Quanto agli aiuti settoriali, sulla strada indicata dalla Commissione per le esenzioni in blocco per categoria, occorre assicurare la coerenza tra le politiche UE di settore e i regimi di aiuto nei settori dei trasporti, dell'energia, dell'informazione e della comunicazione. Nel settore culturale, dell'audiovisivo, del cinema e dello sport, dove esistono ampie potenzialità di innovazione, di crescita e di nuova occupazione, la strategia di Lisbona ha indicato obiettivi precisi.

3.10

In tema di aiuti ambientali, l'inquadramento comunitario degli aiuti di Stato per la protezione dell'ambiente resterà in vigore fino al 2007. Anche in questo caso è importante perseguire gli obiettivi stabiliti dalla strategia di Lisbona, facilitando la realizzazione del sistema di scambio di emissioni di CO2 (ETS National Allocation Plans), nell'ambito degli obiettivi del Protocollo di Kyoto.

3.11

Aiuti all'innovazione (secondo la definizione del Libro verde (15)). A parere del Comitato, si dovrebbe estendere l'inquadramento esistente a tipologie d'aiuto rivolte ad attività innovative non coperte dalle linee direttrici attuali, e si dovrebbero individuare criteri chiari e generali di compatibilità, che lascino più ampi margini d'intervento agli Stati membri, senza obbligo di notifica.

3.11.1

Per ottenere un miglioramento in questo campo, il Comitato chiede alla Commissione di precisare meglio, con l'aiuto di Eurostat, quali attività di produzione e di servizi possano essere comprese tra quelle che è possibile oggi definire innovative. Sarebbe infatti estremamente utile poter avere delle linee guida in questo sensibile settore.

3.11.2

In quest'ottica, il Comitato si rallegra della presentazione, il 21 settembre 2005, della comunicazione sul regime degli aiuti di Stato all'innovazione, volta a dare un inquadramento comunitario a questo settore cruciale e ad individuare, da un lato, le situazioni più evidenti di fallimento del mercato e, dall'altro, gli interventi di contesto attuabili nei casi in cui sia possibile porvi rimedio.

3.12

Occorre, peraltro, individuare con chiarezza anche criteri predefiniti in grado di indicare quali siano le carenze del mercato suscettibili di ostacolare l'ottimizzazione delle misure e degli strumenti di innovazione nell'attuazione della strategia di Lisbona: si dovrà tuttavia al contempo lasciare adeguati margini agli Stati membri e alle loro regioni per modulare interventi proporzionati ed efficaci, idonei a trasformare la ricerca precompetitiva in innovazione commerciale e di mercato.

3.13

Per quanto riguarda gli aiuti destinati a incentivare gli investimenti in progetti innovativi da parte delle PMI, occorre che essi siano tesi a promuovere lo sviluppo anche dimensionale delle imprese, e che prevedano in particolare:

il sostegno alle reti di innovazione regionali e transregionali,

la promozione della politica dei distretti e dei parchi tecnologici industriali,

l'attivazione di business angels e di intermediari di servizi, quali i venture technologists, i brokers ed i consulenti in materia di brevetti,

la creazione di centri di trasferimento di tecnologia e di venture capital,

la formazione e l'assunzione di personale tecnico qualificato.

3.14

Secondo il Comitato, il nuovo regime d'inquadramento dovrebbe considerare anche l'insieme dei fattori di contesto ambientale, che influenzano il processo innovativo, quali:

la cultura d'impresa orientata all'innovazione,

il sistema di relazioni e interrelazioni con altre imprese, organismi ed enti pubblici, essenziali per la creazione e diffusione delle conoscenze e dell'innovazione,

il quadro normativo e regolamentare di riferimento, specie in tema di proprietà intellettuale,

l'accesso al mercato dei capitali, specie per quanto riguarda capitale di rischio e start-up (revisione della comunicazione sul capitale-investimento),

i servizi di istruzione e di formazione ed i rapporti tra il mondo accademico e scientifico e l'impresa,

le strutture di supporto (come gli incubatori, le reti distrettuali, i parchi industriali e tecnologici) e di intermediazione per l'innovazione.

3.14.1

Più in generale, esso considera che nel processo di revisione degli orientamenti in tema di aiuti orizzontali, quali la ricerca, l'innovazione, l'ambiente e il capitale umano, sarebbe opportuno:

innalzare le intensità attualmente previste nelle discipline orizzontali,

mantenere i bonus territoriali per gli interventi attuati in aree in ritardo di sviluppo,

prevedere per le aree non ammissibili, o che perdono la qualifica ex articolo 83, lettera c, un «bonus di coesione» per interventi cofinanziati dai fondi strutturali.

3.15

Quanto al regime di aiuti nel settore dei servizi di interesse economico generale, occorre sottolineare che tali servizi costituiscono un elemento fondamentale della coesione sociale e territoriale: è dunque necessario che, secondo i criteri stabiliti dalla sentenza Altmark (16), e la relativa decisione della Commissione del 13 luglio 2005, venga chiarito il riferimento al concetto di «impresa media, gestita in modo efficiente», e che si garantisca la certezza giuridica per le compensazioni accordate a titolo di missione di servizio pubblico, che costituiscono aiuti di Stato compatibili con il Trattato.

3.16

Secondo il Comitato, nella futura normativa si dovrebbe tener conto del fatto che spetta alle istituzioni aventi legittimità democratica in materia, a livello nazionale, regionale e locale, la responsabilità di definire i servizi di interesse economico generale (17).

4.   Semplificazione e trasparenza delle procedure

4.1

Il Comitato ritiene che possano essere fatti passi importanti verso una migliore semplificazione e trasparenza, rafforzando l'azione intrapresa dalla Commissione per rendere la politica comunitaria degli aiuti più concentrata sugli elementi suscettibili di determinare distorsioni rilevanti della concorrenza.

4.2

Occorre, altresì, rimediare alle lungaggini nel trattamento dei casi, migliorando e snellendo le pratiche amministrative, nonché attivando le responsabilità a livello di Stati membri per garantire trasparenza ed efficacia.

4.3

Anche l'elaborazione di codici di buone pratiche, con il pieno coinvolgimento di tutte le parti interessate, ed in particolare delle imprese, in quanto destinatarie delle misure d'aiuto, appare, secondo il Comitato, fortemente auspicabile.

5.   La riforma e l'Europa a 25

5.1

I nuovi scenari dell'allargamento richiedono degli adattamenti alla politica degli aiuti di Stato, per permettere a tutte le regioni europee, di essere parimenti attraenti per nuove localizzazioni e investimenti e per assicurare una concorrenza leale tra le regioni confinanti.

5.2

Attualmente i 10 nuovi Stati membri dell'Unione erogano alle imprese, a titolo di aiuti di Stato, degli importi nettamente maggiori - in percentuale del loro PIL - rispetto a quelli erogati nell'Europa a 15, anche se tale rapporto mostra la tendenza a un progressivo riequilibrio. Nel periodo 2000-2003, in media nei nuovi Stati membri gli aiuti di Stato hanno infatti rappresentato l'1,42 % del PIL, rispetto ad una media dello 0,4 % nell'UE a 15.

5.3

La strategia di Lisbona ha previsto l'utilizzo degli aiuti per il raggiungimento di obiettivi orizzontali. Nel 2002, questi ultimi rappresentavano il 73 % nell'UE a 15, contro il 22 % nei nuovi Stati membri (18).

5.4

D'altronde, occorre riconoscere che i nuovi Stati hanno saputo adattarsi molto bene all'economia di mercato, anche se l'Europa allargata deve fare ancora dei passi importanti per ridurre il livello generale degli aiuti e per favorire la competitività, lo sviluppo sostenibile e coeso, e la nuova economia europea della conoscenza.

6.   Coinvolgimento dei soggetti interessati: imprese e società civile

6.1

Il Comitato ritiene che sia necessario migliorare la governance delle prassi e delle procedure nel settore degli aiuti di Stato, coinvolgendo maggiormente i soggetti direttamente interessati. Tra questi figurano in primissimo luogo le imprese e la società civile, che sono esposte, in prima persona, sia alle incertezze giuridiche e ai tempi lunghi dell'approvazione comunitaria dei regimi di aiuto, sia alle gravi conseguenze del recupero degli aiuti inammissibili o illegali.

6.2

Le imprese, in quanto destinatarie dei regimi di aiuto e, allo stesso tempo, competitors, sono in una posizione privilegiata per:

valutare, grazie al loro bagaglio di conoscenze ed esperienze dirette, l'efficacia degli strumenti messi in opera, monitorare le soluzioni adottate e definire le «migliori pratiche» possibili,

favorire una migliore diffusione della normativa comunitaria, in forme chiare, trasparenti e direttamente accessibili agli utenti, siano essi erogatori o beneficiari degli aiuti,

contribuire al superamento delle difficoltà ed incertezze interpretative ed applicative, che rischiano di mettere in discussione la legittimità del controllo sugli aiuti di Stato,

realizzare forme di private enforcement, facilitando il rispetto e la piena applicazione delle normative europee.

6.3

Occorre quindi, a parere del Comitato:

un maggior coinvolgimento istituzionale delle imprese nei processi decisionali e di attuazione delle politiche,

l'introduzione di meccanismi di valutazione ex post e di un monitoraggio sull'efficacia economica delle misure,

una integrale accessibilità, su Internet, alle decisioni della Commissione non solo nella lingua dello Stato membro interessato, ma anche in una delle lingue di lavoro della Commissione,

una regolare informazione delle imprese sui processi di notifica in corso, per consentire loro di verificare se le norme agevolative approvate a livello nazionale o locale siano conformi con le norme sostanziali e le procedure UE in materia di aiuti, e di interagire con le autorità, ai vari livelli, per una migliore applicazione della politica UE in materia di aiuti,

un controllo proattivo dell'applicazione normativa, coinvolgendo il mondo delle imprese e le rappresentanze della società civile nell'analisi economica dei fallimenti del mercato e dei deficit di performance di un settore o di una industria,

la messa in opera di meccanismi sistematici e condivisi, basati su criteri definiti e trasparenti, di identificazione delle carenze del mercato - market failure watch - e delle misure di aiuto prive di incidenza significativa sulla concorrenza nel mercato interno e conformi con la strategia di Lisbona.

7.   Per una politica degli aiuti di Stato intesa come strumento di crescita, proiettato in una visione comune di sviluppo economico integrato e coeso a 25-27 Stati membri, generatore di nuovi posti di lavoro e di nuove imprese

7.1

Occorre, a parere del Comitato, dare una chiara visione del valore aggiunto che rappresentano gli aiuti di Stato per il futuro dell'Unione europea, nel quadro degli obiettivi di sviluppo competitivo, sostenibile e coeso degli Stati membri sottoscritti a Lisbona e ribaditi a più riprese - dal 2000 ad oggi - da diversi vertici europei.

7.1.1

I settori chiave individuati da tale strategia richiedono sforzi finanziari consistenti e mirati, che devono poter trovare nelle politiche di bilancio e strutturali degli Stati membri, una piena possibilità di espressione: il tutto in un quadro di coerenza e compatibilità delle politiche, preventivamente definito, al quale tutte le componenti, ivi compresa la politica comunitaria della concorrenza, dovranno far riferimento e conformarsi.

7.2

La realizzazione piena di un mercato unico europeo, in grado di competere ad armi pari con gli altri partner del mercato globale richiede, a parere del Comitato, una forte modernizzazione sia dei comportamenti che delle concezioni delle politiche europee in materia di economia, ed in particolare di aiuti di Stato; questo si impone anche per rendere possibile la realizzazione delle grandi infrastrutture e dei grandi investimenti immateriali richiesti per il funzionamento di un mercato efficiente, tecnologicamente avanzato e competitivo.

7.3

Occorre, secondo il Comitato, spingere gli Stati membri e le regioni, tramite la definizione dei criteri di compatibilità generale, ad attuare politiche di sostegno ispirate all'obiettivo di un'economia competitiva e rispettosa delle regole di libera concorrenza.

7.4

Qualora il mercato fallisca nel rendere competitive le imprese europee e si riveli incapace di rafforzarne le capacità di innovazione tecnologica, di formazione e di internazionalizzazione, la politica europea degli aiuti di Stato deve agevolare e non ostacolare le politiche e gli interventi volti a stimolare la crescita delle imprese e ad accrescerne le capacità di attrarre in Europa nuovi investimenti, nuove intelligenze e nuovi capitali.

8.   Raccomandazioni conclusive

8.1

Il Comitato esprime il proprio sostegno alla modernizzazione della politica europea degli aiuti di Stato basata su un nuovo approccio proattivo e su un nuovo inquadramento generale comunitario. Esso raccomanda in particolare, al riguardo:

una politica in grado di fornire risposte adeguate e di porre rimedio o eliminare i fallimenti del mercato,

una politica che dia un forte contributo alla piena realizzazione del mercato interno, senza provocare distorsioni di concorrenza,

una politica più coerente e integrata che incentivi la realizzazione dei vari aspetti della strategia di Lisbona, per rendere più competitivi, ed avanzati sul piano globale, il livello di sviluppo delle imprese nonché la qualità del lavoro e della vita dei cittadini,

il rafforzamento del tessuto industriale e dei servizi, ottenuto facendo crescere l'impresa e adeguando il mondo industriale e del lavoro ai nuovi obiettivi della politica industriale e alle nuove esigenze imposte della mondializzazione,

un forte sostegno all'innovazione, in tutti i suoi aspetti, di prodotto e di processo (19),

un orientamento proattivo, per rendere l'Europa più attraente per gli investimenti e più capace di produrre occupazione, per rafforzare la dimensione competitiva delle imprese, per stimolare la propensione alla ricerca e all'innovazione, e infine per promuovere la creazione e la diffusione delle nuove conoscenze e la formazione delle risorse umane,

una maggiore concentrazione sui fattori che realmente distorcono la concorrenza nel mercato interno e in quello internazionale, senza perdersi in inutili e costose pratiche burocratiche su fenomeni limitati, locali e senza alcun effetto distorsivo rilevante,

un'impostazione ispirata alla semplificazione, alla trasparenza e alla certezza di procedure e regole, e in parallelo un'azione basata su criteri certi, non discrezionali, e altresì compatibili con l'Agenda di Lisbona, in termini di sviluppo armonico, coeso e competitivo sul piano mondiale,

un maggiore coinvolgimento istituzionale delle imprese nei processi decisionali e di attuazione, nonché nelle fasi di valutazione e monitoraggio dell'efficacia, e di enforcement applicativo,

un raccordo più stretto delle regolamentazioni e normative europee con quelle delle istanze internazionali dell'OMC e dei principali partner europei sui mercati globali,

la definizione di una visione comune, tramite la realizzazione di un esercizio di foresight partecipativo, al quale tutti gli attori e i livelli politico-decisionali, economici e sociali possano concorrere, per verificare preventivamente le effettive compatibilità di sviluppo e di intervento.

Bruxelles, 14 dicembre 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Articolo 87, paragrafo 2.

(2)  Articolo 87, paragrafo 3.

(3)  COM(2005) 147 def. del 20.4.2005.

(4)  La società della conoscenza non è sempre facilmente comprensibile. In questa società i prodotti contengono un'alta percentuale di intelligenza. La capacità di produrre beni e servizi sempre più innovativi e intelligenti va stimolata e sostenuta, anche con gli aiuti di Stato.

(5)  Risoluzione PE n. P6-TA(2005) 0033 del 22.2.2005.

(6)  Risoluzione PE n. A6-0148/2005 del 12.5.2005.

(7)  Cfr. raccomandazione 2003/361/CE (GU L 124 del 20.5.2003).

(8)  Causa C-280/00, Altmark Trans e Magdeburg - Nahverkehrsgesellschaft Altmark (2003) CGCE I-7747.

(9)  Cfr. nota 3.

(10)  A livello UE.

(11)  GU C 108 del 30.4.2004.

(12)  SEC(2005) 795 del 7.6.2005.

(13)  COM(2004) 293 def. del 20.4.2004.

(14)  GU L 124 del 20.5.2003.

(15)  COM(1995) 688.

(16)  Causa C-280/00, Altmark Trans e Magdeburg - Nahverkehrsgesellschaft Altmark 2003 CGCE I-7747.

(17)  L'esenzione delle compensazioni per servizio pubblico, ex articolo 86, paragrafo 2, dovrebbe essere abbastanza elevata da consentire una flessibilità sufficiente, un'adeguata dinamica e oneri amministrativi minimi.

(18)  A livello UE, circa il 73 % degli aiuti totali del 2002 (esclusi agricoltura, pesca e trasporti) è stato destinato ad obiettivi orizzontali quali R&S, PMI, ambiente e sviluppo economico regionale. Il restante 27 % ha favorito settori specifici (in particolare i settori manifatturiero, carbonifero e dei servizi finanziari) e ha incluso gli aiuti al salvataggio e alla ristrutturazione. La quota di aiuti destinata ad obiettivi orizzontali è aumentata di 7 punti percentuali nel periodo compreso fra il 1998-2000 e il 2000-2002: ciò è in gran parte dovuto al notevole aumento di aiuti a favore dell'ambiente (+ 7 %) e della ricerca e sviluppo (+ 4 %). Questa tendenza positiva è stata osservata, in gradi diversi, nella maggior parte degli Stati membri. In effetti, in alcuni Stati - Belgio, Danimarca, Grecia, Italia, Paesi Bassi, Austria e Finlandia - quasi tutti gli aiuti concessi nel 2002 sono stati destinati ad obiettivi orizzontali (COM(2004) 256 def.)

(19)  Così come indicato nel Libro verde sull'innovazione (1995).


17.3.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 65/9


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio concernente il Settimo programma quadro di attività comunitarie di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione (2007-2013) e alla Proposta di decisione del Consiglio concernente il Settimo programma quadro della Comunità europea dell'energia atomica (Euratom) per le attività di ricerca e formazione nel settore nucleare (2007-2011)

COM(2005) 119 def. — 2005/0043 (COD) — 2005/0044 (CNS)

(2006/C 65/02)

Il Consiglio, in data 25 aprile 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 novembre 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore WOLF e dal correlatore PEZZINI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 dicembre 2005, nel corso della 422a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 123 voti favorevoli, nessun voto contrario e 4 astensioni.

Indice:

1.

Sintesi e raccomandazioni

2.

Introduzione

3.

Sintesi delle proposte della Commissione

4.

Osservazioni generali

5.

Osservazioni specifiche

6.

Il Settimo programma quadro Euratom (7PQ Euratom)

1.   Sintesi e raccomandazioni

1.1

Gli obiettivi di Lisbona (1) riguardano la posizione dell'Europa nell'ambito della concorrenza mondiale, la cui caratteristica essenziale è la gara planetaria a chi investe di più nella ricerca e nello sviluppo. A questa corsa partecipano sia i paesi industrializzati tradizionali (come gli Stati Uniti, l'Unione europea e il Giappone), sia le nuove potenze economiche in rapida espansione (come la Cina, l'India, il Brasile e la Corea), che dispongono di manodopera meno costosa.

1.2

Un'attività di ricerca e sviluppo adeguatamente finanziata, efficiente e di eccellenza è infatti base e premessa determinante per l'innovazione, la competitività e il benessere, quindi anche per lo sviluppo culturale e la fornitura di prestazioni sociali. Gli investimenti in ricerca e sviluppo, con il loro forte effetto moltiplicatore, danno più forza all'economia. Rientra in questa logica anche l'obiettivo del 3 % fissato a Barcellona (2) nel 2002, che però, data la gara planetaria in atto, rappresenta un bersaglio in movimento.

1.3

L'attività di R&S sovvenzionata dalla Comunità crea un considerevole valore aggiunto europeo, offre potenzialità decisamente superiori alle capacità dei singoli Stati membri e ha già consentito di realizzare in Europa progressi di importanza mondiale; inoltre ha un effetto leva e di integrazione corroborante e decisivo sui programmi nazionali di ricerca degli Stati membri, necessari e più estesi, cosa che consente anche di mettere in comune le risorse. Crea altresì legami tra le élite della ricerca europea, l'industria europea e i decisori politici ed è un catalizzatore per l'integrazione, la coesione e la formazione di un'identità europea. È insomma l'elemento chiave dello Spazio europeo della ricerca.

1.4

La proposta della Commissione di incrementare la spesa attualmente destinata a questi obiettivi per portarla a poco meno dell'8 % del bilancio generale dell'UE è un primo passo nella giusta direzione, apprezzabile e assolutamente necessario. Per il Comitato rappresenta un impegno minimo, ancora incrementabile più a lungo termine, per fare in modo che l'Europa, culla della scienza e della tecnica moderne, non comprometta la sua posizione nel settore ma, al contrario, la mantenga e la rafforzi. Senza questo contributo, anch'esso a lungo termine, gli obiettivi di Lisbona non potranno essere raggiunti.

1.5

L'efficienza tecnico-scientifica, tuttavia, non determina solo la competitività economica, ma anche il prestigio e l'influenza sul piano culturale e politico e la conseguente capacità di attrarre investitori, scienziati e ingegneri («fuga di cervelli»!). L'UE deve continuare ad essere un partner decisivo e ricercato per la cooperazione e non deve perdere la sua importanza politica nell'ambito della rete globale.

1.6

Di conseguenza il Comitato esorta il Parlamento europeo, il Consiglio europeo e in particolare i capi di Stato e di governo degli Stati membri a rendere disponibile la totalità degli stanziamenti nella ricerca e nello sviluppo proposti dalla Commissione e assolutamente necessari, e ad impedire che essi siano lasciati in balia dei negoziati sul futuro bilancio generale dell'UE o che vengano sacrificati. Questa decisione sarà un banco di prova determinante per la capacità della politica europea di porre le basi giuste per il futuro.

1.7

Inoltre il Comitato esorta i capi di Stato e di governo degli Stati membri e l'industria europea a contribuire, anche con i programmi nazionali di ricerca e le attività di ricerca industriale, affinché l'obiettivo del 3 % sia raggiunto prima possibile.

1.8

Il Comitato è favorevole alla concezione di base di entrambi i programmi quadro proposti dalla Commissione (7PQ e 7PQ-Euratom). Ciò vale non solo per il contenuto tematico e l'articolazione strutturale, ma anche, in larga misura, per l'equilibrio tra i singoli obiettivi ed elementi dei programmi.

1.9

Il Comitato si compiace che siano stati aggiunti i nuovi sottoprogrammi «Energia», «Sicurezza» e «Spazio». Assicurare all'UE un approvvigionamento energetico sufficiente, conveniente e sostenibile è uno dei problemi più importanti e prioritari nella dialettica tra sostenibilità, impatto ambientale e competitività. La soluzione sta in una sufficiente attività di ricerca e sviluppo. La grande pertinenza del tema della sicurezza è stata dimostrata in modo particolarmente chiaro dagli spregevoli attentati terroristici degli ultimi tempi.

1.10

Molti dei problemi da risolvere sono compiti trasversali che interessano al medesimo tempo più sottoprogrammi, comprese le scienze umanistiche ed economiche. In questi casi il Comitato raccomanda di prevedere un coordinamento sovraordinato e i collegamenti necessari nella fattispecie. Ciò potrebbe influenzare ancora l'attuale assegnazione finanziaria ai singoli sottoprogrammi nonché gli stanziamenti, forse troppo modesti, previsti per le ricerche in campo economico.

1.11

Il Comitato saluta l'intenzione della Commissione di semplificare le procedure amministrative e di ridurre i relativi oneri, aumentando così l'efficienza dei programmi di ricerca europei. Il fatto che attualmente le procedure di presentazione e approvazione delle proposte siano troppo onerose in termini di lavoro e di costi crea problemi agli utenti provenienti dal mondo scientifico e dall'industria. È fondamentale che la partecipazione al programma europeo di ricerca basti a ripagare, tra l'altro, il rischio legato alla presentazione di una proposta. Questo vale soprattutto per le entità di dimensioni più modeste, come le PMI o i gruppi di ricerca più piccoli a livello di università e centri di ricerca.

1.12

Uno degli aspetti essenziali è una sufficiente continuità nelle modalità di presentazione delle proposte e di finanziamento dei progetti nonché nelle strutture di cooperazione e nelle forme organizzative (strumenti). Nuovi strumenti come le iniziative tecnologiche congiunte andrebbero introdotti solo dopo una profonda riflessione e, inizialmente, solo in via sperimentale.

1.13

Considerato il ruolo decisivo delle piccole e medie imprese per il processo di Lisbona, il Comitato saluta l'intenzione della Commissione di coinvolgerle in misura ancora maggiore nel processo di ricerca, sviluppo e innovazione. Raccomanda quindi di aumentare ulteriormente, se necessario, la dotazione finanziaria prevista allo scopo, qualora non dovessero essere sufficienti gli stanziamenti previsti nel programma quadro per la competitività e l'innovazione (2007-2013), che non viene esaminato in questa sede ma ha un importante ruolo di sostegno e di facilitazione.

1.14

Le prospettive di successo delle PMI create appositamente per sviluppare e commercializzare prodotti innovativi ad alta tecnologia dipendono soprattutto da un'adeguata dotazione di capitale di avviamento e capitale di rischio che permetta loro di superare con buoni risultati i primi 5-10 anni di attività.

1.15

Il Comitato appoggia il ruolo attribuito al Centro comune di ricerca (CCR), il suo importante spettro di attività in molti settori, compresa l'analisi delle future tendenze in campo scientifico-tecnologico, economico e sociale, e la sua importanza per la consulenza politica.

1.16

Per numerose altre osservazioni e raccomandazioni particolareggiate il Comitato rimanda alle sezioni 2, 4 e 5 del parere, più dettagliate.

2.   Introduzione

2.1

Il futuro economico, sociale e culturale dell'Europa. Il futuro sviluppo dell'Europa e la sua posizione nell'assetto di potere a livello globale saranno determinati soprattutto dalla concorrenza sul mercato mondiale, nel quale la struttura industriale ed economica, la situazione del mercato del lavoro e quella delle materie prime sono in mutamento. In questo contesto la crescita, il successo e la forza dell'economia, nonché la conseguente capacità di fornire prestazioni sociali e garantire lo sviluppo culturale, dipendono in misura decisiva dalle conoscenze disponibili e quindi dagli investimenti nella ricerca e nello sviluppo tecnologico. Questi ultimi, con il loro forte effetto moltiplicatore, danno più forza all'economia.

2.2

La situazione concorrenziale nel mondo. Da un lato, in questo contesto, l'Europa è in concorrenza con i paesi industrializzati tradizionali come gli Stati Uniti, il Giappone e la Russia. Soprattutto gli investimenti degli Stati Uniti  (3) in tutti i settori pertinenti alla ricerca e allo sviluppo superano nettamente quelli dell'UE e determinano il continuo ampliamento del divario già esistente. Dall'altro lato, l'Europa è in concorrenza con potenze economiche in rapida espansione come la Cina, l'India, il Brasile, la Corea, ecc.

2.3

La gara globale nel campo della ricerca. Rispetto all'UE questi ultimi paesi, tra l'altro, non solo dispongono di manodopera molto meno costosa, ma ormai si distinguono anche per uno standard tecnico-scientifico elevato e in rapida crescita e per i loro notevoli investimenti in formazione, ricerca e sviluppo. Per l'UE diventa quindi sempre più difficile continuare a garantire le sue retribuzioni molto più elevate e a salvaguardare le sue norme sociali e ambientali molto più severe mediante ulteriori progressi tecnico-scientifici e i prodotti e processi di qualità superiore che ne derivano. L'Europa deve allora impegnarsi al massimo per non essere sconfitta in questa gara planetaria a chi investe di più nella ricerca e nello sviluppo, decisiva per il suo futuro.

2.4

Riconoscimento generale e capacità d'attrazione - cooperazione internazionale. L'efficienza tecnico-scientifica, tuttavia, non determina solo la competitività economica e la conseguente capacità di attrarre investitori, scienziati e ingegneri (fuga di cervelli!), ma anche il prestigio e l'influenza sul piano culturale e politico. L'UE deve continuare ad essere un partner decisivo e ricercato per la cooperazione e non deve perdere la sua importanza politica nell'ambito della rete globale.

2.5

La strategia di Lisbona. Alla luce di queste considerazioni, il Consiglio europeo di Lisbona (marzo 2000) ha deciso di fare dell'Unione l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo (4). Da allora la realizzazione della strategia di Lisbona, che comprende la creazione di un forte Spazio europeo della ricerca, è dichiaratamente il fulcro della politica europea. Il Consiglio europeo di Barcellona (primavera 2002) ha definito gli obiettivi del sostegno alla ricerca anche dal punto di vista quantitativo: entro il 2010 la spesa complessiva per la ricerca nell'UE andrà portata al 3 % del PIL e i finanziamenti dovranno provenire per i due terzi dal settore privato (obiettivo del 3 %). Il Comitato fa però notare che, data la gara globale a chi investe di più, quest'obiettivo rappresenta un bersaglio in movimento; chi lo raggiunge troppo tardi rimarrà sempre più indietro.

2.6

Necessità di un forte programma di ricerca comunitario. L'attività di R&S sovvenzionata dalla Comunità non solo integra i programmi di ricerca degli Stati membri, ma apporta anche un considerevole valore aggiunto europeo, offre potenzialità decisamente superiori alle capacità dei singoli Stati membri e ha già consentito di realizzare in Europa progressi di importanza mondiale (5). Inoltre, ha un effetto di leva e di integrazione corroborante e decisivo sui programmi nazionali di ricerca degli Stati membri, necessari e più estesi, ed è in linea con il carattere internazionale della scienza, della ricerca e della produzione e con il mercato del lavoro internazionale che ciò rende necessario.

2.7

Catalizzatore dell'integrazione e della coesione in Europa. Infine, la R&S comunitaria crea legami tra le élite della ricerca europea, l'industria europea e i decisori politici ed è un catalizzatore fondamentale per l'integrazione, la coesione e la formazione di un'identità europea.

2.8

Le proposte della Commissione. Le proposte della Commissione riguardano le azioni tematiche e le misure finanziarie assolutamente necessarie a livello comunitario per promuovere la ricerca e lo sviluppo e realizzare quindi gli obiettivi della strategia di Lisbona. Nonostante l'incremento, rappresentano ancora una quota relativamente modesta, oggi poco meno dell'8 %, del bilancio generale dell'UE proposto per il periodo 2007-2013.

2.9

Le proposte della Commissione, inoltre, sono legate alla proposta relativa all'istituzione di un programma quadro per la competitività e l'innovazione (2007-2013), non trattata in questa sede. Questo programma, tra l'altro, potrebbe assumere un ruolo di intermediario tra il programma quadro in esame e i necessari processi d'innovazione di molte PMI.

2.10

Il banco di prova: la definizione delle priorità. Il fatto che le misure proposte dal Parlamento europeo, dal Consiglio e, per quanto riguarda le prospettive finanziarie, anche e soprattutto dagli Stati membri vengano o meno approvate e che venga accordata loro la priorità necessaria sarà un banco di prova decisivo per la serietà, l'efficienza e la credibilità della politica europea (cfr. anche i punti 4.2 - 4.6).

3.   Sintesi delle proposte della Commissione

3.1

Il Settimo programma quadro di attività comunitarie di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione (2007-2013) (in prosieguo: 7PQ) si contraddistingue da quello precedente per le seguenti caratteristiche:

comprende fin dall'inizio l'Europa dei Venticinque,

la durata è stata estesa di due anni,

prevede un aumento significativo della dotazione finanziaria complessiva, nonché delle dotazioni annuali,

presenta una ripartizione chiara e comprensibile dei programmi proposti e delle singole parti,

sono stati inseriti i temi della ricerca in campo energetico, della sicurezza e dello spazio sotto forma di nuovi sottoprogrammi appositi.

3.2

Il Settimo programma quadro della Comunità europea dell'energia atomica (Euratom) per le attività di ricerca e formazione nel settore nucleare (2007-2011) (in prosieguo: 7PQ-Euratom) ha invece una durata invariata ma, naturalmente, comprende anch'esso l'Europa dei Venticinque.

3.3

Il 7PQ sarà articolato in quattro programmi specifici che corrispondono ai quattro obiettivi fondamentali della politica europea di ricerca:

Cooperazione

Questo programma specifico, al quale è destinato circa il 61 % della dotazione finanziaria, rappresenta la parte principale del 7PQ ed è inteso a promuovere la cooperazione transnazionale fra le attività di ricerca, compresa la cooperazione tra l'UE e i paesi terzi.

Idee

Sotto la guida di un Consiglio europeo della ricerca autonomo e nel quadro di un approccio competitivo a livello europeo, verrà sostenuta la «ricerca di frontiera». Potranno essere interessati tutti i settori scientifici e tecnologici, comprese le scienze umane.

Persone

Le misure di sostegno alla formazione e allo sviluppo professionale dei ricercatori, denominate «azioni Marie Curie», verranno potenziate e ampliate e prevederanno anche collegamenti più stretti con i sistemi nazionali.

Capacità

Questo programma specifico è destinato a finanziare vari aspetti delle capacità europee di ricerca e innovazione: costruzione di nuove infrastrutture di ricerca e potenziamento di quelle già esistenti, ricerca a vantaggio delle PMI, cluster regionali orientati alla ricerca, valorizzazione dell'intero potenziale di ricerca nelle «regioni di convergenza» dell'UE, questioni legate alla tematica «La scienza nella società» e attività «orizzontali» di cooperazione internazionale.

Centro comune di ricerca

È previsto inoltre un programma specifico per le azioni non nucleari del Centro comune di ricerca.

3.4

L'importo globale proposto per la partecipazione finanziaria della Comunità al 7PQ ammonta a 72 726 milioni di euro. Tale importo è ripartito come segue tra le azioni di cui all'articolo 2, paragrafi da 2 a 6 (in percentuale):

Cooperazione

61,1%

Idee

16,3%

Persone

9,8%

Capacità

10,3%

Azioni non nucleari del Centro comune di ricerca

2,5%

3.5

Il programma «Cooperazione», per il quale viene proposta una dotazione finanziaria complessiva di 44 432 milioni di euro, è suddiviso in sottoprogrammi tematici prioritari. Verrà però garantita la coesione tra i sottoprogrammi e saranno consentiti approcci interdisciplinari. Il programma comprende i seguenti nove temi di ricerca, che andranno trattati nel quadro della cooperazione transnazionale a livello comunitario. Anche in questo caso viene indicata l'allocazione delle risorse proposta (in percentuale).

Salute

18,7%

Prodotti alimentari, agricoltura e biotecnologie

5,5%

Tecnologie dell'informazione e della comunicazione

28,5%

Nanoscienze, nanotecnologie, materiali e nuove tecnologie di produzione

10,9%

Energia

6,6%

Ambiente (ivi compresi i cambiamenti climatici)

5,7%

Trasporti (ivi compresa l'aeronautica)

13,3%

Scienze socioeconomiche e scienze umane

1,8%

Sicurezza, spazio

8,9%

3.6

Il 7PQ-Euratom si articola in due programmi specifici.

3.6.1

Il primo riguarda le seguenti aree tematiche:

ricerca sull'energia da fusione: sviluppare una tecnologia che consenta di ottenere una fonte energetica sicura, sostenibile, rispettosa dell'ambiente ed efficiente sotto il profilo economico, e

fissione nucleare e radioprotezione: promuovere un uso sicuro della fissione nucleare e delle altre possibili applicazioni della radioattività nell'industria e in medicina.

3.6.2

Il secondo programma verte sulle attività del Centro comune di ricerca nel settore dell'energia nucleare.

3.6.3

L'importo globale proposto per l'esecuzione del 7PQ-Euratom per il periodo 2007-2011 è pari a 3 092 milioni di euro. Tale importo è ripartito come segue (in percentuale):

(a)

Ricerca sull'energia da fusione

69,8%

(b)

Fissione nucleare e radioprotezione

12,8%

(c)

Attività nucleari del Centro comune di ricerca

17,4%

3.7

Il documento della Commissione contiene infine una presentazione e una spiegazione dettagliate dei principi e degli strumenti di sostegno, come annunciato già in una precedente comunicazione (6) sulla quale il Comitato, a suo tempo, aveva formulato un parere (7) circostanziato.

4.   Osservazioni generali

4.1

La proposta presentata dalla Commissione è un documento molto vasto e comprende un programma di ricerca e sviluppo di tutto rispetto, per il quale vengono indicati molti particolari, sfaccettature e interconnessioni. Per questo motivo nel presente parere non è possibile presentare in modo esplicito né commentare tutte le procedure e gli elementi del programma proposto. Il Comitato, quindi, limiterà le sue osservazioni particolareggiate agli aspetti a cui riserva un'attenzione particolare. Il Comitato richiama qui le sue precedenti raccomandazioni (8) su importanti temi specifici e ne conferma la pertinenza anche per il 7PQ. Formulerà ulteriori osservazioni nei suoi futuri pareri in merito alle comunicazioni della Commissione sui programmi specifici (9) e sulle modalità di partecipazione (10).

4.2

Il Comitato considera entrambe le dotazioni finanziarie proposte un impegno minimo, ancora incrementabile più a lungo termine, per fare in modo che l'Europa, culla della scienza e della tecnica moderne, non comprometta la sua posizione nel settore ma, al contrario, la mantenga e la rafforzi. Reputa che si tratti di un primo passo apprezzabile e assolutamente necessario per avvicinarsi all'obiettivo politico del 3 %  (11) propugnato dai capi di Stato e di governo al vertice di Barcellona.

4.3

Senza una dotazione finanziaria adeguata, il 7PQ e il 7PQ-Euratom non riusciranno a realizzare i compiti che incombono loro ai fini della strategia di Lisbona. Esiste perfino il rischio che l'Europa perda ulteriori posizioni nella gara planetaria. La ricerca e lo sviluppo sono il punto di partenza e il motore del processo di innovazione che porta a prodotti e tecniche competitivi. Possono generare un forte effetto moltiplicatore che poi inciderà anche sulla dinamica economica e sulla situazione occupazionale.

4.4

La proposta della Commissione rappresenta inoltre un chiaro segnale agli Stati membri affinché seguano a loro volta questo esempio e facciano tutto il possibile per rendere realizzabile quanto prima l'obiettivo del 3 % anche nell'ambito dei bilanci nazionali per la ricerca.

4.5

Per questo motivo il Comitato reputa che l'importo complessivo delle due dotazioni finanziarie, ancora da approvare, sia un banco di prova decisivo per la politica europea, la sua credibilità e capacità di azione. Proprio qui, infatti, si vedrà se la politica europea intende davvero fissare le priorità necessarie e porre le basi giuste per impedire che l'UE perda posizioni nella gara globale e per mantenere le promesse degli obiettivi di Lisbona.

4.6

Appello. Di conseguenza il Comitato esorta il Parlamento europeo, il Consiglio europeo e in particolare i capi di Stato e di governo degli Stati membri a rendere disponibili gli investimenti in ricerca e sviluppo proposti dalla Commissione e assolutamente necessari, e ad impedire che essi siano lasciati in balia dei negoziati sul futuro bilancio generale dell'UE o vengano sacrificati. In caso contrario non solo ne deriverebbero gravi danni, ma non verrebbero neanche realizzati gli obiettivi della strategia di Lisbona e il prestigio e la credibilità della politica europea ne risentirebbero.

4.7

Inoltre il Comitato esorta i capi di Stato e di governo degli Stati membri e l'industria europea a contribuire decisamente affinché l'obiettivo del 3 % sia raggiunto prima possibile, anche con i programmi nazionali di ricerca quantitativamente più significativi e le attività di ricerca industriale.

4.8

Il Comitato è favorevole alla concezione di base di entrambi i programmi quadro proposti dalla Commissione (7PQ e 7PQ-Euratom). Ciò vale non solo per il contenuto tematico e l'articolazione strutturale, ma anche, in larga misura, per l'equilibrio tra i singoli obiettivi ed elementi dei programmi.

4.9

Il Comitato si compiace che molte delle sue raccomandazioni siano state inserite o abbiano avuto un peso particolare nella proposta della Commissione. Nelle aree tematiche del programma specifico «Cooperazione» questo vale per esempio per i suoi pareri sulle nanotecnologie  (12), la biotecnologia  (13), la ricerca biomedica  (14), le tecnologie dell'informazione  (15), la ricerca energetica  (16) (compresa quella relativa alla fusione nucleare (17)), lo spazio  (18) e la ricerca nel campo della sicurezza  (19). In questa sede va ribadito che il Comitato annette una grande importanza a tutti questi temi e, di conseguenza, appoggia fermamente il fatto che essi vengano trattati. Più avanti il Comitato segnalerà le lacune ancora identificabili o aspetti particolari.

4.10

Per quanto riguarda la ricerca nel campo spaziale e della sicurezza, il Comitato aveva raccomandato di collocarne il finanziamento e la gestione al di fuori del 7PQ e aveva anche motivato questa sua proposta. D'altro canto, però, comprende anche i vantaggi di collocare questi settori all'interno del PQ: per esempio un'amministrazione più semplice e una maggiore coerenza e sinergia con altre parti del programma. Per questo motivo ora è favorevole al tentativo di sperimentare dapprima la collocazione di queste aree tematiche all'interno del 7PQ per poi trarre, se necessario, delle conseguenze dall'esperienza acquisita, eventualmente in occasione della valutazione intermedia o nell'Ottavo programma quadro.

4.10.1

All'interno del sottoprogramma relativo allo spazio, l'attività «Applicazioni basate sulla tecnologia spaziale al servizio della società europea», essendo un tipico tema trasversale (cfr. sezione 5), presenta sinergie con i temi della sicurezza, dell'ambiente e delle tecnologie dell'informazione.

4.10.2

Le tematiche su cui verte la ricerca nel campo della sicurezza oggi sono, purtroppo, estremamente attuali: ambiti di ricerca quali «Protezione contro il terrorismo e la criminalità», «Sicurezza delle infrastrutture e servizi pubblici», «Sicurezza alle frontiere», «Sicurezza e società» ecc., hanno carattere trasversale e andrebbero integrati da altri ambiti attinenti alla ricerca socioeconomica e umanistica, quali la «Ricerca sui conflitti e sulla pace» e la «Ricerca culturale», perché si possa apprendere di più sui retroscena dei conflitti e sulle possibilità di evitarli o prevenirli. Andrebbe posta un'enfasi particolare sulla lotta al terrorismo e sul controllo delle insidiose armi di distruzione di massa (cfr. anche il punto 6.4.3).

4.11

Per quanto riguarda il programma specifico «Idee», il Comitato si compiace che si sia dato seguito anche alle sue raccomandazioni (20), che riguardavano soprattutto la gestione autonoma di questo programma da parte di un Consiglio europeo della ricerca composto da insigni scienziati riconosciuti a livello internazionale; a tale proposito il Comitato ribadisce la sua raccomandazione di coinvolgere anche eccellenti scienziati provenienti dal mondo della ricerca industriale. A maggior ragione, quindi, il Comitato raccomanda al Parlamento europeo e al Consiglio di approvare questo nuovo tipo di sostegno alla ricerca, che andrebbe gestito seguendo il modello di organismi quali il Medical Research Council britannico o la Deutsche Forschungsgemeinschaft tedesca.

4.11.1

Orientato alla promozione dell'eccellenza in tutti i campi scientifici e tecnologici, il programma specifico «Idee» apporterà un valore aggiunto europeo e contribuirà alla competitività dell'UE nel contesto globale. Il Comitato fa notare soprattutto che (21)«solo una ricerca di base libera e indipendente, una ricerca senza vincoli ma non senza limiti, è in grado di fornire la materia prima più importante per il futuro benessere: nuove conoscenze». Anche l'industria (22) sottolinea l'importanza della ricerca di base e ne promuove il sostegno.

4.11.2

Questo è in linea anche con le ripetute raccomandazioni del Comitato di dare il dovuto peso a tutti e tre i pilastri indispensabili nel triangolo dell'innovazione: la ricerca di base, quella applicata e lo sviluppo (dei prodotti e dei processi), creando così le condizioni ottimali per un successo completo. Da un altro punto di vista, questo approccio è necessario anche ai fini della multidisciplinarità proposta dalla Commissione. Il Comitato, inoltre, ricorda nuovamente che i confini tra i concetti di ricerca di base, ricerca applicata e sviluppo, essendo sempre stati fluidi e arbitrari, non dovrebbero assolutamente essere sottolineati artificialmente da misure amministrative.

4.12

Il Comitato si compiace altresì che siano state rafforzate le misure previste nell'area tematica «Persone» e nelle azioni Marie Curie che ne fanno parte. Questo programma si è già rivelato uno strumento importante ed estremamente efficace per formare e sostenere i «ricercatori europei» e rendere lo Spazio europeo della ricerca più attraente per i ricercatori di tutto il mondo. Il Comitato ribadisce che i ricercatori non solo creano nuove conoscenze, ma sono anche i principali vettori (per il trasferimento) di queste conoscenze tra i diversi paesi e continenti, nonché tra gli organismi di ricerca e l'industria, e quindi anche tra la ricerca e l'applicazione.

4.12.1

All'interno di questo programma vanno sottolineati anche i seguenti obiettivi: «Formazione continua e evoluzione delle carriere» e «Partenariati e passerelle tra industria e università». Mentre il primo obiettivo è dedicato alla qualificazione dei giovani ricercatori e, in particolare, al loro ulteriore sviluppo professionale nonché a quello dei ricercatori esperti (cfr. anche il punto seguente), il secondo obiettivo è consacrato all'importante compito di creare e promuovere a lungo termine dei programmi di cooperazione tra gli istituti universitari e l'industria (e in particolare le PMI), e cioè di sostenere il summenzionato triangolo dell'innovazione. Per questo motivo andrebbe promossa in modo particolare la mobilità tra il settore pubblico e quello privato, ivi compresi, per esempio, la mobilità e i partenariati con il settore agricolo e con le istituzioni politiche.

4.12.2

Con questo il Comitato tocca al tempo stesso la funzione centrale delle università quali istituti di ricerca e formazione. Tuttavia, affinché le università possano svolgere il proprio compito, è necessario che le loro attrezzature tecniche e materiali, la dotazione finanziaria per le risorse umane e la struttura organizzativa siano adeguati a questo obiettivo (cfr. anche il punto 4.15.4). Qui però vi sono gravissimi deficit, soprattutto rispetto alle migliori università p.es. statunitensi. Il Comitato si compiace pertanto che su questa importante questione la Commissione stia preparando una comunicazione specifica sulla quale il Comitato si pronuncerà. In questa sede viene anticipato solo un aspetto, importante per il 7PQ: la necessità di strumenti di sostegno adatti alle dimensioni usuali dei progetti di gruppi di ricerca universitari.

4.13

Il Comitato si compiace altresì degli sforzi della Commissione di creare un profilo coerente per la professione di «ricercatore europeo», mettendo a punto a tal fine un percorso professionale sicuro e adeguando di conseguenza le regole del mercato interno. Il Comitato ha segnalato già in precedenza (23) che il capitale umano è la risorsa più sensibile ed importante per la ricerca e lo sviluppo e ha sostenuto la Commissione nel suo impegno inteso a mantenere e accrescere la quantità di risorse umane. Il Comitato concorda con la Commissione sul fatto che sia necessario migliorare sia la situazione contrattuale individuale dei ricercatori che l'adeguamento/trasferibilità di tutti gli elementi della sicurezza sociale e dei regimi pensionistici, importante per qualsiasi tipo di mobilità.

4.13.1

Se non si riuscirà ad offrire ai giovani ricercatori capaci un percorso professionale interessante e pianificabile (come il « tenure-track », ossia il modello di titolarizzazione statunitense), essi svolgeranno la propria attività di ricerca fuori dall'Europa o si orienteranno verso altre attività. La mobilità dei ricercatori è necessaria ed auspicabile, non solo all'interno dell'UE ma anche tra l'UE e molti paesi terzi, tuttavia questo non deve portare a una perdita netta dei ricercatori più brillanti («fuga di cervelli»). Un aspetto particolare di tutto ciò, data l'importanza della coesione familiare, è l'opzione delle «coppie a due carriere».

4.13.2

A questo proposito il Comitato rinvia anche alla raccomandazione della Commissione dell'11 marzo 2005 riguardante la Carta europea dei ricercatori  (24) e un codice di condotta per l'assunzione dei ricercatori, intesa a contribuire alla realizzazione dei summenzionati obiettivi. Il Comitato è estremamente favorevole all'intenzione che traspare da tale documento e a molti dei dettagli specifici previsti per concretizzarla. Si duole perciò che il quadro normativo proposto, in alcuni punti, sia troppo ampio e che quindi risulti più difficile l'accettazione del quadro stesso e del suo obiettivo, che è fondamentalmente giusto, da parte della comunità scientifica. Reputa che alcune formulazioni e raccomandazioni siano addirittura fuorvianti, o quantomeno poco chiare o equivoche (25). Ciò, tra l'altro, può compromettere la semplificazione delle procedure (cfr. il punto seguente) o indurre a prendere decisioni sbagliate. Il Comitato raccomanda perciò di rivedere di conseguenza, all'occasione, questo importante quadro normativo.

4.14

Anche in questo contesto il Comitato si compiace dell'esplicita intenzione della Commissione di rendere meno complesse, nel quadro della «semplificazione», numerose misure e disposizioni relative alla presentazione delle proposte e al processo di decisione, facilitando così in modo notevole i proponenti. Dopotutto, il fatto che le procedure di presentazione e approvazione delle proposte siano alquanto onerose in termini di lavoro e di costi è uno dei principali ostacoli per gli utenti provenienti dal mondo scientifico e dall'industria. Questo vale soprattutto per le PMI e il loro potenziale di innovazione, nonché per i gruppi di ricerca più piccoli in ambito universitario. Procedure più favorevoli alla ricerca aumenterebbero notevolmente l'efficienza del sostegno europeo al settore, contribuendo inoltre a migliorare l'immagine che i cittadini europei hanno di Bruxelles, in cui purtroppo domina soprattutto l'aspetto della burocrazia e dell'eccesso di regolamentazione. Il Comitato ricorda le sue precedenti raccomandazioni al riguardo e ribadisce il suo appoggio alla relazione Marimon (26). È fondamentale che la partecipazione al programma europeo di ricerca sia conveniente e ripaghi, tra l'altro, l'impegno e il rischio legati alla presentazione di una proposta.

4.14.1

Il Comitato è consapevole del fatto che questo obiettivo riguarda anche la dialettica tra la necessaria trasparenza, le disposizioni della Corte dei conti europea e il margine di discrezionalità tecnica di tutti i decisori. Ciò può e deve fare in modo che la Commissione o le agenzie da essa incaricate conferiscano maggiori responsabilità alle parti coinvolte (a tal fine, tuttavia, andrà riesaminato anche il rischio della loro responsabilità personale). Allo stesso tempo, di conseguenza, le conoscenze specialistiche delle parti coinvolte dovranno soddisfare requisiti molto elevati. Il Comitato ribadisce pertanto quanto raccomandato in precedenza, e cioè che a questo fine sono necessari esperti specifici con un'esperienza pluriennale. A questo proposito esso ricorda le raccomandazioni formulate in passato (27).

4.14.2

Un aspetto particolarmente importante per realizzare delle innovazioni e superare la mediocrità è la necessità di essere disponibili ad accettare anche l'incertezza e il rischio dell'insuccesso. L'avanzamento su un nuovo terreno tecnico-scientifico e la ricerca dell'ignoto non possono essere pianificati o illustrati in modo tale da poter garantire il successo. Al contrario, se si sa già tutto prima non si possono ottenere nuove conoscenze. L'«insuccesso», quindi, non va valutato come tale, ma come una conoscenza utile nel quadro del processo «per tentativi ed errori». L'opportunità e il rischio sono due facce della stessa medaglia.

4.14.3

Il Comitato raccomanda la creazione di agenzie esterne solo se in questo modo si potrà garantire un netto miglioramento delle procedure amministrative e si potrà dimostrare un abbassamento dei costi. Eventuali costi amministrativi ulteriori o esterni non devono in alcun caso ridurre la dotazione finanziaria disponibile per la ricerca vera e propria.

4.15

Il Comitato approva in modo particolare anche le importanti azioni previste nel quadro del programma specifico «Capacità», che comprendono gli aspetti: infrastrutture di ricerca, ricerca a vantaggio delle PMI, regioni della conoscenza, potenziale di ricerca, scienza nella società e attività di cooperazione internazionale.

4.15.1

Va sottolineato l'importante obiettivo di integrare maggiormente le piccole e medie imprese (PMI) nel processo di ricerca e innovazione e di creare un contesto favorevole e strumenti idonei a tal fine.

4.15.2

Il sostegno finanziario a titolo del programma per l'innovazione può diventare un ulteriore e valido strumento di supporto alle PMI  (28); tuttavia, anche in questo caso le procedure devono avere proporzioni accettabili e adeguate alle PMI. Il Comitato ritiene che, a seconda del successo del programma per l'innovazione, sia opportuno prendere in considerazione un ulteriore aumento del sostegno esplicito alle PMI, che attualmente è del 15 %, soprattutto se si considerano le esigenze dei nuovi Stati membri. A questo proposito il Comitato ricorda di aver già rilevato che le prospettive di successo delle PMI fondate appositamente per sviluppare e commercializzare prodotti innovativi ad alta tecnologia dipendono soprattutto da un'adeguata dotazione di capitale di avviamento e di capitale di rischio che permetta loro di superare con buoni risultati i primi 5-10 anni di esistenza. A tal fine, un contributo importante può venire dagli studi economici e dalla politica economica.

4.15.3

Altrettanto importanti sono gli obiettivi di ottimizzare e sviluppare l'infrastruttura per la ricerca, di sviluppare cluster regionali orientati alla ricerca nonché di sostenere e valorizzare il potenziale di ricerca esistente nelle regioni di convergenza e in quelle periferiche dell'UE. Potenziando le infrastrutture di ricerca esistenti e creandone di nuove verrà favorita e portata avanti la creazione di cluster regionali orientati alla ricerca. Anche in questo caso, però, uno degli elementi più determinanti per avere successo è la necessità di disporre di un'adeguata dotazione di capitale di rischio.

4.15.4

Il Comitato sottolinea soprattutto l'importanza di misure infrastrutturali sufficienti per il potenziamento delle università (cfr. punto 4.12.2). In questo contesto ricorda che in varie parti dell'UE sono già stati creati cluster di successo che raggruppano imprese ad alta tecnologia, sono concentrati attorno a determinate università e/o centri di ricerca e generano crescita e innovazione anche nello spazio economico limitrofo (poli di crescita economica). A questo proposito si rimanda anche al punto 4.16.2.

4.15.5

Più sotto ci si soffermerà nuovamente sull'importanza dei centri di calcolo europei ad alte prestazioni, un'altra misura infrastrutturale estremamente rilevante (cfr. punto 5.8).

4.15.6

Il Comitato raccomanda peraltro di scorporare l'area tematica «La scienza nella società» dal programma specifico «Capacità» in cui si trova attualmente (29) - con riserva di un'eventuale incorporazione di questo tema nel programma specifico «Idee» - e di inserirla nel sottoprogramma prioritario Scienze socioeconomiche e scienze umane facente parte del programma Cooperazione. In tal modo si potrebbero sfruttare meglio i potenziali effetti sinergici tra queste tematiche e si potrebbero stabilire i necessari collegamenti trasversali. Inoltre, risulterebbe più chiaro che la dotazione di bilancio di queste aree tematiche parzialmente sovrapposte ammonta complessivamente al 3 % degli stanziamenti per i programmi tematici prioritari.

4.15.7

Una buona e proficua cooperazione internazionale nel campo della ricerca e della formazione è un elemento fondamentale del partenariato globale ed è in sintonia con l'essenza della ricerca scientifica e dello sviluppo. Nel quadro del programma Capacità, le azioni di cooperazione internazionale  (30) contribuiscono all'importante obiettivo della cooperazione con i paesi candidati, i paesi confinanti con l'UE, i paesi in via di sviluppo e quelli emergenti (cfr. anche il punto 4.13.1). Il Comitato si compiace che, nell'ambito dei programmi «Cooperazione» o «Persone», sia possibile la cooperazione, almeno altrettanto importante, con i paesi più sviluppati sul piano tecnico-scientifico, come gli Stati Uniti o il Giappone, e che in singoli casi tale cooperazione sia addirittura istituzionalizzata mediante speciali trattati bilaterali. Pur riconoscendo che questa cooperazione deve nascere dalle esigenze delle singole discipline, il Comitato raccomanda di mettere in rilievo e rendere maggiormente visibili questi aspetti nel quadro della presentazione del PQ.

4.16

Continuità e strumenti di sostegno alla ricerca (meccanismi di finanziamento). In merito ad entrambi gli aspetti il Comitato, in un suo precedente parere, ha già formulato raccomandazioni che ora ribadisce con fermezza. Considerato l'urgente bisogno di una maggiore continuità, il Comitato ricorda nuovamente che mantenere gli strumenti di provata efficacia costituisce un importante contributo in tal senso e che ai proponenti andrebbe concessa flessibilità nella scelta degli strumenti. Tuttavia, nella procedura di valutazione non va poi sanzionata la scelta di uno strumento (se non è tra i preferiti dalla Commissione) e non va stabilita una gerarchia degli strumenti. Il Comitato considera anche la maggiore durata del 7PQ un contributo a una maggiore continuità, a condizione però che sia prevista una dotazione finanziaria adeguata.

4.16.1

Alcuni degli strumenti hanno una nuova denominazione o sono completamente nuovi. Anche a questo proposito il Comitato ribadisce in questa sede le sue raccomandazioni generali: da un lato, essere molto cauti sia nell'introdurre nuovi strumenti che nel modificarne la denominazione (considerata l'esigenza di continuità); dall'altro, spiegare chiaramente, in occasione delle necessarie sperimentazioni, che la prima fase può essere considerata di prova.

4.16.2

Oltre alle già citate piattaforme tecnologiche, anche le iniziative tecnologiche congiunte rappresentano un nuovo strumento volto alla costituzione di partnership di lungo periodo tra il pubblico e il privato. Anche se il Comitato attende ancora che la Commissione spieghi più chiaramente come concepisce tali iniziative, e tra l'altro che cosa le distingue dalle piattaforme tecnologiche, l'industria e in modo particolare le PMI nutrono grandi aspettative in merito. Le iniziative tecnologiche congiunte, fra l'altro, potrebbero portare anche a reti di cooperazione comprendenti grandi aziende e PMI come pure università e centri di ricerca, nonché, in generale, a maggiori investimenti nella R&S da parte del settore privato (cfr. anche il punto 4.15.4). Sarebbe perciò opportuno non solo dare maggiore risalto al contesto e ai modi di funzionamento di tali iniziative ma anche, passato un certo periodo, verificare se le aspettative suscitate da questo strumento si siano realizzate.

4.16.3

Introducendo nuovi strumenti, la Commissione dovrebbe aver cura di non ripetere gli errori commessi quando sono state introdotte le reti di eccellenza (nel 6PQ). In quell'occasione, infatti, una politica di informazione sbagliata ha creato confusione e dato adito a interpretazioni diverse da parte di tutti i soggetti coinvolti, anche all'interno della Commissione. Il Comitato presume che avrà l'occasione di affrontare singoli aspetti della questione in un futuro parere. È favorevole alla proposta della Commissione di inserire fra i meccanismi di finanziamento anche gli articoli 169 e 171 del Trattato CE.

5.   Osservazioni specifiche

5.1

Le presenti osservazioni specifiche riguardano principalmente le varie aree tematiche del programma specifico Cooperazione, che costituiscono il nucleo del programma quadro. A questo proposito va ribadito che il Comitato, nel complesso, è favorevole alle proposte della Commissione e ne raccomanda l'attuazione.

5.2

Il Comitato affronta anzitutto l'importante aspetto dei temi orizzontali trasversali, che per loro natura hanno bisogno di un coordinamento o di una direzione sovraordinati e, in quanto tali, spesso interessano anche il sottoprogramma Scienze socioeconomiche e scienze umane (cfr. anche il punto 5.8). Pertanto, benché una suddivisione interna dei singoli programmi sia inevitabile anche per motivi amministrativi, bisognerebbe fare attenzione a riconoscere, elaborare e sfruttare il nesso superiore che collega molti dei problemi da risolvere. Il Comitato raccomanda quindi di prevedere un coordinamento sovraordinato e i collegamenti necessari nella fattispecie.

5.2.1

Il tema della ricerca in materia di sicurezza e lotta al terrorismo, che fa parte di questi temi orizzontali, è stato già trattato nella sezione 4.

5.2.2

Come ulteriore esempio al riguardo si può citare l'evoluzione demografica  (31). Qui il campo delle ricerche da effettuare spazia dalla rilevazione di fenomeni demografici e delle loro cause e tendenze alle conseguenze del continuo incremento tendenziale della speranza media di vita, passando per il basso tasso di natalità, che in alcuni Stati membri ha raggiunto livelli preoccupanti. Nel caso della speranza di vita si tratta della ricerca necessaria in medicina e geriatria e delle tecniche di assistenza (32). In questo contesto sono particolarmente importanti le questioni socioeconomiche legate a tutta questa complessa problematica.

5.2.3

Anche il tema della salute (cfr. punto 5.9), in fin dei conti, è un tema trasversale, in quanto influenzato dallo stile di vita, dalle condizioni lavorative, dagli influssi ambientali, dal tipo di alimentazione, dalla disponibilità alla vaccinazione, dalle situazioni di dipendenza, ecc.

5.3

Anche alcuni dei sottoprogrammi sono di per sé di natura particolarmente orizzontale. I loro risultati, infatti, non vanno a diretto beneficio solo dell'efficienza dell'industria europea, ma anche degli altri sottoprogrammi grazie al loro collegamento tematico (a questo proposito cfr. di nuovo il punto 5.2).

5.4

Questo vale in modo particolare per i sottoprogrammi Tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC); Nanoscienze, nanotecnologie, materiali e nuove tecnologie di produzione e per quello relativo alle Biotecnologie. Anche il sottoprogramma Energia, però, è strettamente collegato con i sottoprogrammi Ambiente e Trasporti. Per questo motivo una valutazione dell'equilibrio tra i diversi sottoprogrammi è possibile al massimo sul piano qualitativo. Pertanto, nel quadro delle seguenti osservazioni si deve tener presente questo limite.

5.5

Le tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) sono effettivamente delle tecnologie chiave per tutti i settori dell'industria, dell'economia, dei servizi, della scienza e della tecnica, comprese la sicurezza e la difesa. Sono inoltre un elemento decisivo della concorrenza internazionale. Anche a causa della rilevanza dei computer ad alto rendimento per molte questioni importanti (dalla ricerca sul clima, sulla sicurezza e sui materiali fino, ad esempio, alla sintesi di nuovi principi attivi farmaceutici), in Europa c'è una forte necessità di recuperare terreno soprattutto rispetto al Giappone e agli Stati Uniti. Questo vale sia per la creazione di centri di calcolo europei ad elevata capacità (un compito che spetta piuttosto ai programmi Capacità o Infrastrutture), sia per uno sviluppo europeo indipendente degli appositi software e hardware.

5.5.1

Tuttavia colpisce che, anche nella proposta all'esame come già nel 6PQ, si preveda di destinare al sottoprogramma relativo alle TIC la quota di risorse di gran lunga maggiore. Considerata l'importanza - anche macroeconomica - di altri temi, soprattutto l'energia o p. es. la salute, c'è da chiedersi se su questo punto, nell'ottica della coesione tra i sottoprogrammi, vada lasciata anche la possibilità di determinati spostamenti di accento. La risposta a questa domanda dipende fra l'altro dalla misura in cui il programma relativo alle TIC fornirà un contributo preliminare agli altri programmi di ricerca, ad esempio nel settore della sicurezza e dello spazio.

5.5.2

Alla luce di questo esempio, il Comitato raccomanda in generale di consentire, nell'esecuzione del 7PQ, una sufficiente flessibilità nell'allocazione delle risorse finanziarie ai singoli sottoprogrammi e di sfruttare il fatto che la coerenza sia tra gli obiettivi perseguiti, ad esempio pubblicando bandi comuni per diversi sottoprogrammi. L'osservazione formulata in merito alle TIC vale per analogia anche per i sottoprogrammi relativi ai trasporti e allo spazio (per es. aeronautica).

5.5.3

Il Comitato esprime nuovamente la propria soddisfazione per l'inizio dei lavori di costruzione nel quadro del progetto Galileo, che rappresenta un caso esemplare di applicazione del principio di sussidiarietà. Anche nella tecnologia utilizzata per tale sistema e soprattutto nel suo impiego, il Comitato ravvisa elementi tipici di un progetto trasversale multidisciplinare che, al tempo stesso, ha un elevato valore innovativo sul piano tecnico.

5.6

Il Comitato ribadisce il proprio parere molto favorevole all'inserimento nel 7PQ dell'importante sottoprogramma Energia. Del resto questo è in linea con quanto esso aveva già raccomandato più volte. Tuttavia, pur considerando che anche il 7PQ-Euratom è fortemente incentrato sulla ricerca energetica, il Comitato reputa che a questo tema cruciale ed estremamente attuale andrebbe dato un peso ancor maggiore. L'energia è la linfa vitale di un'economia competitiva. In questo campo non solo oggi l'UE dipende in misura particolarmente preoccupante dalle importazioni, ma a medio termine si profila anche una diminuzione delle risorse a livello globale. Il segreto per risolvere il problema energetico sta nella ricerca e nello sviluppo.

5.6.1

Il Comitato si compiace, pertanto, che venga attribuito tanto peso allo sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili, che svolgono un ruolo determinante nella problematica complessiva dell'energia e dell'ambiente (riscaldamento del pianeta). Su questo punto il Comitato rinvia ai suoi numerosi pareri (33)che coprono l'intera gamma dei bisogni di ricerca in materia di fonti di energia rinnovabili, dalla geotermia alle tecniche di accumulo passando per la biomassa, l'energia solare e l'energia eolica. Con il sostegno a titolo del 7PQ le fonti rinnovabili percepiranno ulteriori importanti aiuti che integreranno le diverse misure di sostegno all'immissione sul mercato (per esempio alimentazione della rete pubblica), misure che, a loro volta, dovranno contribuire allo sviluppo di prodotti commerciabili. Il Comitato raccomanda anche di effettuare studi per verificare il bilancio energetico dei sistemi ad energia rinnovabile: ultimamente, ad esempio, sono stati espressi dubbi sull'efficienza energetica positiva di alcuni biocarburanti (34).

5.6.2

Il Comitato, però, richiama l'attenzione in modo particolare sul fatto che l'impiego delle«tradizionali» fonti energetiche fossili (carbone, petrolio e gas naturale)  (35) continua ad essere la spina dorsale dell'approvvigionamento energetico europeo e mondiale e lo sarà anche in futuro, ancora per alcuni decenni. Per questo motivo tutte le misure di ricerca e sviluppo che contribuiscono ad aumentare l'efficienza di queste fonti energetiche a livello della produzione, del trasporto e dello sfruttamento - e quindi, direttamente o indirettamente, anche a diminuire le emissioni di gas a effetto serra - hanno la massima importanza sia sul piano economico che su quello della politica ambientale. Questi punti, in effetti, sono contemplati nella parte del sottoprogramma Energia dedicata alla riduzione delle emissioni di CO2 (compresa la cattura e lo stoccaggio del CO2) e all'aumento dell'efficienza. Si dovrebbe però garantire che essi ricevano poi anche la dotazione finanziaria necessaria. Questa area tematica presenta peraltro una sinergia trasversale con i sottoprogrammi Materiali e Trasporti. Il Comitato accoglie inoltre con favore il programma di ricerca sul carbone e sull'acciaio, ad essa collegato (36).

5.6.3

Il Comitato raccomanda pertanto di dare un peso commisurato alla loro importanza anche alle tecniche energetiche che sfruttano le fonti fossili, oltre che alle attività di ricerca e sviluppo relative alle energie rinnovabili. Questo vale a maggior ragione se si considera che nei prossimi vent'anni gran parte delle attuali centrali che utilizzano la combustione di fonti fossili andrà sostituita o integrata con altre centrali nuove (nell'UE sono alcune centinaia!). In tale contesto, l'uso delle tecniche più moderne è molto importante dal punto di vista economico e della politica ambientale. Non da ultimo, considerato l'elevato prezzo del petrolio, ci si chiede a partire da quando le tecniche per ricavare carburanti dal carbone potranno offrire un'alternativa economicamente concorrenziale.

5.6.4

Per ulteriori dettagli il Comitato rimanda ai suoi precedenti e attuali pareri (37) in merito alla ricerca sull'approvvigionamento energetico e alla problematica dell'energia.

5.7

Alla fin fine il miglioramento delle tecniche energetiche è anche una delle principali misure contro il cambiamento climatico e altri effetti indesiderati sull'ambiente (38).

5.7.1

Pertanto, questo collegamento tematico tra i due sottoprogrammi dovrebbe essere utilizzato anche per ottimizzarli entrambi. Mentre nel sottoprogramma Ambiente (compresi i cambiamenti climatici) l'attività di ricerca è volta soprattutto a fornire una diagnosi, il sottoprogramma Energia serve soprattutto a individuare una terapia.

5.7.2

Ciononostante, anche all'interno del sottoprogramma Ambiente andrebbero evidenziate e sfruttate le connessioni e le sinergie principali tra analisi/diagnosi (per es. «Geologia del fondo marino») e possibile terapia (per es. «Protezione del fondo marino»).

5.8

Anche il sottoprogramma Scienze socioeconomiche e umane, integrato dall'inserimento del programma La scienza nella società come raccomandato al punto 4.15.5, dovrebbe essere inteso come tema trasversale. Il Comitato ribadisce altresì la sua raccomandazione di collegare maggiormente le scienze naturali e quelle umanistiche (comprese le scienze sociali), i rispettivi attori ma anche i rispettivi metodi e criteri (39). Le scienze sociali e le scienze umane dovrebbero essere coinvolte anche nelle attività di ricerca relative alla sicurezza, sotto il profilo degli aspetti causali.

5.8.1

A questo proposito il Comitato si compiace della particolare importanza attribuita agli studi economici per sviluppare i migliori procedimenti per il mercato interno e la strategia di Lisbona, tenuto conto della concorrenza globale e degli altri effetti della globalizzazione. Evidenzia l'urgenza di elaborare studi e fornire consulenza politica (a questo proposito cfr. anche il programma del Centro comune di ricerca, punto 5.10.1) in merito alle cause della disoccupazione, ai punti di forza e di debolezza dei diversi sistemi economici nonché alle cause, alle conseguenze e alle possibili inversioni di tendenza dello sviluppo demografico. Non da ultimo, il Comitato sottolinea la necessità di studi approfonditi sul rapporto causale tra ricerca, innovazione e benessere.

5.8.2

Questo aspetto non riguarda solo le scienze giuridiche ma, in fin dei conti, anche le basi scientifiche di tutte le politiche dell'UE, ad esempio la politica sociale, giuridica ed economica (politica economica e monetaria, fiscale, dell'innovazione, ecc.) e quella di sicurezza. Si tratta però soprattutto delle questioni politico-economico-giuridiche legate all'evoluzione interna dell'UE, tra cui il mercato interno, la coesione, l'integrazione e la governance.

5.8.3

Il Comitato sottolinea altresì la questione particolarmente attuale dell'identità politica e culturale dell'Unione europea e dei suoi confini. In questo contesto andrebbero anche evidenziati i punti in comune di una cultura europea non solo nell'arte, nella scienza, nell'architettura, nella tecnica e nella moda, ma anche nella storia del pensiero, nel diritto, nel sistema di valori e nella gestione della cosa pubblica. La concezione moderna dello Stato è nata in Europa (ed è stata realizzata per la prima volta negli Stati Uniti). Tutto questo richiede però anche studi approfonditi sul concetto di cultura, sui suoi risvolti, le sue imprecisioni, le sue gerarchie di valori e i suoi equivoci.

5.8.4

Considerata la molteplicità di questioni specifiche importanti, la dotazione finanziaria prevista per il sottoprogramma «Scienze socioeconomiche e scienze umane» potrebbe risultare scarsa, nonostante la proposta di farvi confluire anche gli stanziamenti destinati all'area tematica «La scienza nella società». Ai fini di una valutazione definitiva occorre tener conto degli aspetti umanistici della ricerca effettuata nel quadro di altri sottoprogrammi, come ad esempio quello relativo all'energia.

5.8.5

Non da ultimo, il Comitato sottolinea tutte le questioni etiche nella dialettica tra conoscenza, ricerca e applicazione, tra rischi e opportunità. Una questione importante, anche per la strategia di Lisbona, riguarda i collegamenti e i contrasti tra le posizioni ideologiche/dogmatiche, la disponibilità al rischio e il progresso.

5.8.6

Questo ci porta nuovamente all'area tematica La scienza nella società. Il Comitato ha già elaborato un parere (40) molto ampio in materia. Anche nello spirito del precedente parere, il Comitato accoglie con favore la gamma di temi proposta dalla Commissione, tra cui figura il desiderio di avvicinare maggiormente la ricerca e la conoscenza scientifica ai cittadini, di migliorare la comprensione reciproca e di motivare soprattutto i giovani a scegliere un percorso scientifico. A tal fine può servire anche un forum per mettere in contatto i cittadini e i consumatori con il mondo della scienza e della ricerca e fare in modo che essi apportino il proprio punto di vista.

5.8.6.1

A questo proposito il Comitato reputa particolarmente importanti le misure che consentono di avere contatti diretti o perfino di «partecipare»: bei musei della tecnica, laboratori speciali, presenza attiva per un giorno ecc. In primo luogo, però, è necessario ridare un peso sufficiente, nei programmi scolastici, a un insegnamento di qualità e di tipo pratico delle materie scientifiche, soprattutto con l'intenzione di promuovere l'interesse per le scienze naturali e la tecnica e migliorare la comprensione di tali materie. Solo una conoscenza sufficiente, infatti, consente di acquisire una capacità di giudizio.

5.8.6.2

Le conoscenze scientifiche sono indispensabili anche per formare al ragionamento e per sviluppare una concezione chiara del mondo.

5.8.6.3

Tuttavia è altrettanto importante, nell'ambito di questo programma, che i ricercatori stessi vengano coinvolti maggiormente nella discussione e nei processi decisionali e che si tenga conto delle loro posizioni.

5.9

Un sottoprogramma particolarmente importante è quello che riguarda la tematica molto vasta della salute, già affrontata più volte dal Comitato, e comprende tutti i lavori di ricerca e sviluppo legati agli aspetti della diagnosi, della terapia, dell'alleviamento e della prevenzione delle malattie.

5.9.1

Qui la priorità dovrebbe spettare in primo luogo al trattamento o alla prevenzione delle malattie caratterizzate da un tasso di mortalità e di morbosità particolarmente elevato (sia nei bambini che negli adulti e negli anziani) o di quelle che comporterebbero un'alta mortalità in caso di epidemia incontrollabile.

5.9.2

Il costante incremento della speranza di vita media è dovuto sia ai successi ottenuti con il progresso della medicina, sia all'offerta di alimenti sempre migliori e più sani. Di conseguenza, però, vengono sempre più alla ribalta le malattie legate allo stile di vita (p. es. obesità (41), fumo) nonché le malattie e le infermità professionali e legate all'invecchiamento. Quest'ultimo tema, la cui importanza è stata già sottolineata più volte (42), comprende non solo aspetti medici e umani, ma anche una dimensione macroeconomica - per quanto attiene alla capacità lavorativa o al costo dell'assistenza. Questo vale anche per tutta la questione dell'organizzazione e del finanziamento dei sistemi sanitari e per l'applicazione dei progressi della medicina. Lo stesso dicasi per l'attività di ricerca volta ad alleviare gli handicap, ovvero a migliorare la qualità della vita dei portatori di handicap e le loro possibilità d'integrazione nel mondo del lavoro.

5.9.3

Le problematiche legate agli handicap, tuttavia, non coincidono interamente con le questioni relative alla salute e andrebbero pertanto prese in considerazione in tutti i pertinenti settori del programma.

5.9.4

Il Comitato segnala inoltre la dimensione internazionale del tema Salute: da una parte la cooperazione con quei paesi che fanno ricerca intensiva ed efficace nel settore, dall'altra alcuni aspetti dell'aiuto allo sviluppo in campo sanitario. Questo conferisce un'importanza particolare alla cooperazione con l'Organizzazione mondiale della sanità (OMS).

5.9.5

Anche la diffusione planetaria di nuovi patogeni è un tema internazionale, nel quadro del quale la cooperazione con l'OMS è altrettanto importante.

5.9.6

Inoltre, la cooperazione internazionale offre la possibilità di effettuare studi clinici approfonditi non solo sulla popolazione in generale, ma anche prendendo in considerazione la fascia di età: bambini, adulti e anziani.

5.9.7

La notevole attività di ricerca e sviluppo svolta in campo sanitario da soggetti privati (industria farmaceutica e produttori di apparecchiature sanitarie) è un valido esempio dell'applicazione dell'articolo 169 TCE per le partnership tra ricerca privata e ricerca finanziata con risorse pubbliche (anche degli Stati membri).

5.10

Centro comune di ricerca CCR (azioni non nucleari)

5.10.1

Il CCR opera in ambiti idonei a fornire un supporto tecnico-scientifico alle politiche dell'UE. Tra questi ricordiamo settori come lo sviluppo sostenibile, la lotta al cambiamento climatico, i prodotti alimentari, l'energia, i trasporti, i prodotti chimici, le alternative agli esperimenti sugli animali, la politica di ricerca, le tecnologie dell'informazione, i procedimenti e materiali di riferimento nonché i rischi, pericoli ed effetti socioeconomici connessi alla biotecnologia, così come pure le tecniche di analisi e modellizzazione econometrica. Un ulteriore compito è lo sviluppo di dati di riferimento scientifico-tecnologici per diversi ambiti della vigilanza ambientale e alimentare, che costituisce anche un prezioso contributo all'elaborazione di norme comunitarie.

5.10.2

Il Comitato ravvisa un ulteriore compito comunitario in un'opera di coordinamento degli istituti nazionali di metrologia e standardizzazione, sulla base della divisione del lavoro e di una contemporanea partecipazione ai loro programmi. Ai fini del mercato interno e dell'integrazione europea in genere, si dovrebbe riflettere alla creazione di un Ufficio europeo di standardizzazione che veda la partecipazione degli analoghi istituti esistenti attualmente a livello nazionale, delle industrie del settore e del CCR. La varietà attuale offrirebbe la possibilità di applicare metodi paralleli, di confrontare metodi diversi e di introdurre novità in un contesto estremamente affidabile in termini di attrezzature e di coordinamento.

5.10.3

Il Comitato rileva con soddisfazione che le attività del CCR sono integrate in quelle della comunità scientifica internazionale. Ritiene però che una tale integrazione sarebbe estremamente importante anche per le scienze sociali, economiche e umanistiche di cui al punto 5.8.

6.   Il Settimo programma quadro Euratom (7PQ Euratom)

6.1

Fusione controllata. Il Comitato ribadisce quanto affermato in un suo recente parere (43) sul tema «L'energia di fusione», cioè che «l'uso pacifico dell'energia di fusione racchiude il potenziale per poter contribuire in modo davvero fondamentale alla soluzione a lungo termine della questione dell'approvvigionamento energetico in termini di sostenibilità, impatto ambientale, e competitività». Come la fissione nucleare, anche la fusione non produrrebbe emissioni di gas nocivi per il clima, ma in più avrebbe anche altri importanti vantaggi.

6.1.1

Il Comitato si congratula con la Commissione e le altre parti coinvolte per il successo dei negoziati, raccomandati anche dal Comitato, grazie ai quali è stato possibile ottenere che l'importante progetto internazionale ITER venisse realizzato in Europa. Con ITER  (44) viene compiuto il passo decisivo verso il futuro reattore dimostrativo DEMO. Tuttavia questo comporta anche l'obbligo di finanziare ITER conformemente al contratto e di attuare i necessari programmi di preparazione e di accompagnamento, nonché quelli preparatori per DEMO.

6.1.2

A questo proposito il Comitato esorta anche gli Stati membri a partecipare a loro volta in misura determinante al programma di fusione europeo e a sostenere di conseguenza i propri laboratori associati al programma. Il Comitato è consapevole del fatto che, con questo, il programma di fusione è entrato in una fase che, per l'attuazione, richiede anche un impiego di risorse notevole e più elevato rispetto al passato. Reputa tuttavia che questo sia necessario e giustificato, considerato il potenziale di questa fonte di energia e la gravità del problema energetico.

6.1.3

Per ulteriori dettagli il Comitato rimanda al suo recente parere sul tema (45), in cui mette in evidenza i lavori di sviluppo per la preparazione di DEMO (sviluppo dei materiali, sviluppo del mantello, concezione del sistema, ecc.) e gli studi volti a migliorare la concezione dei sistemi di confinamento.

6.2

Fissione nucleare e radioprotezione. L'energia nucleare costituisce la più importante fonte attualmente disponibile per la produzione di elettricità a basso carico senza emissioni di carbonio. Una parte della popolazione nutre però timori circa i rischi operativi e la sicurezza dello smaltimento del combustibile nucleare esaurito. Il Comitato richiama l'attenzione sul suo parere in merito all'energia nucleare (46) (fissione) e su quello relativo al cosiddetto pacchetto nucleare (47). Già in quest'ultimo aveva infatti affermato che «sostiene l'intenzione della Commissione di continuare a promuovere con determinazione e a coordinare a livello comunitario la ricerca nel settore della sicurezza degli impianti nucleari e della gestione dei residui radioattivi». Le misure proposte dalla Commissione servono a realizzare questo compito e il Comitato ne appoggia il contenuto.

6.2.1

Filiere di reattori. Si tratta di attività di ricerca volte, da un lato, a garantire il mantenimento della sicurezza di esercizio delle filiere di reattori esistenti (compresi gli impianti del ciclo del combustibile) e, dall'altro, a valutare il potenziale e gli aspetti della sicurezza di futuri modelli di reattore.

6.2.1.1

A giudizio del Comitato quest'ultimo punto è particolarmente importante e dovrebbe portare allo sviluppo di filiere di reattori innovative. La storia della tecnica ha mostrato che il massimo progresso si può ottenere con lo sviluppo innovativo o con il susseguirsi di più generazioni di sistemi e di approcci. Considerata l'importanza dell'energia nucleare per la politica energetica, si dovrebbe rendere accessibile e sfruttare il potenziale ancora esistente, il che equivarrebbe a un aumento della sicurezza, alla riduzione delle scorie radioattive (dalla vita particolarmente lunga), al razionamento delle risorse esistenti e allo sfruttamento di nuove risorse.

6.2.2

Radioprotezione. L'obiettivo è quello di approfondire la base scientifica per la protezione della popolazione dalle radiazioni ionizzanti, come quelle derivanti dall'uso della radioattività o di altre fonti radianti in medicina, nella ricerca e nell'industria (ivi compresa la produzione di energia nucleare). Un ambito di ricerca particolarmente importante è l'effetto dell'esposizione a dosi di radiazioni molto basse, il quale, essendo difficile da determinare a livello statistico, è tuttora oggetto di opinioni contrastanti.

6.2.3

Sono particolarmente importanti anche gli sviluppi finalizzati al controllo tecnico dell'applicazione delle misure di non proliferazione riguardanti materiali o tecniche per la costruzione di armi nucleari.

6.3

Sia per lo sviluppo delle centrali a fusione nucleare che per un funzionamento sicuro e un ulteriore sviluppo dei reattori a fissione, è urgentemente necessario formare nuove leve altamente qualificate in numero sufficiente e addestrarle in impianti sperimentali adeguati. Questo sarà possibile solo se l'ingegneria nucleare, in Europa, avrà nuovamente un'importanza superiore e, di conseguenza, l'interesse delle nuove generazioni di scienziati aumenterà. Anche qui la ricerca e la formazione devono entrare in simbiosi secondo modalità sperimentate.

6.3.1

Per ulteriori dettagli il Comitato rimanda ai suoi recenti pareri su questo tema (48).

6.4   Centro comune di ricerca - Programma Euratom

6.4.1

Il Comitato si compiace del fatto che il Centro comune di ricerca (CCR) fornisca un supporto all'assunzione di decisioni politiche nel settore nucleare, compresa l'attuazione delle strategie esistenti, la loro sorveglianza e la reazione alle nuove esigenze.

6.4.2

Il Comitato ritiene logico che il programma «nucleare» del CCR abbia individuato come tematiche principali la gestione dei rifiuti, la sicurezza e i sistemi di protezione. È proprio in questi ambiti, infatti, che si concentrano sia le preoccupazioni dei cittadini che la necessità di trovare soluzioni affidabili. Il Comitato suppone che anche queste attività saranno messe in rete e coordinate con quelle degli Stati membri.

6.4.3

A suo giudizio un altro compito importante è lo sviluppo (ulteriore) di procedimenti che consentano una sorveglianza ancora più efficace sulla non proliferazione di materiali o tecniche per la costruzione di armi nucleari (cfr. anche il punto 4.10.2).

Bruxelles, 14 dicembre 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Ciò vale anche per gli obiettivi della strategia di Lisbona dopo il suo rilancio (Consiglio europeo del 23 marzo 2005).

(2)  Entro il 2010 la spesa complessiva dell'UE per la ricerca e lo sviluppo andrà portata al 3 % del PIL e il suo finanziamento dovrà provenire per i due terzi dal settore privato. Cfr. anche GU C 95 del 23.4.2003.

(3)  In questo contesto, un contributo particolarmente importante viene dagli ingenti stanziamenti per la R&S erogati a titolo del bilancio statunitense della difesa (Dipartimento della Difesa) e destinati non solo alla ricerca militare.

(4)  Questo obiettivo è stato espressamente ribadito e precisato dal Consiglio europeo di Bruxelles del marzo 2005, nelle conclusioni relative al rilancio della strategia di Lisbona.

(5)  Esempi di una cooperazione europea riuscita sono Ariane, Airbus, il CERN, l'Osservatorio australe europeo (ESO), Galileo e JET/Iter.

(6)  La scienza e la tecnologia, chiavi del futuro dell'Europa - Orientamenti per la politica di sostegno alla ricerca dell'Unione - COM(2004) 353 def.

(7)  GU C 157 del 28.6.2005.

(8)  A questo proposito cfr. le note a pie' di pagina 14-21.

(9)  COM(2005) 440-445 def.

(10)  La presentazione dovrebbe essere imminente.

(11)  GU C 95 del 23.4.2003.

(12)  GU C 157 del 28.6.2005.

(13)  GU C 234 del 30.9.2003; GU C 61 del 14.3.2003; GU C 94 del 18.4.2002.

(14)  GU C 74 del 23.3.2005; GU C 133 del 6.6.2003.

(15)  GU C 302 del 7.12.2004.

(16)  GU C 241 del 7.10.2002.

(17)  GU C 302 del 7.12.2004.

(18)  GU C 220 del 16.9.2003; GU C 112 del 30.4.2004.

(19)  GU C 157 del 28.6.2005.

(20)  GU C 110 del 30.4.2004.

(21)  Citazione dal discorso dell'ex cancelliere tedesco Gerhard Schröder in occasione dell'apertura dell'anno delle celebrazioni di Einstein, 2005. Nel medesimo discorso il cancelliere ha affermato che «al medesimo tempo, però, la ricerca di base ha bisogno della certezza di poter prescindere dalla pressione della sfruttabilità immediata e dall'obbligo di dover dimostrare continuamente la propria utilità (…)».

(22)  Cfr. The Economic Returns to Basic Research and the Benefits of University-Industry Relationships. A literature review and update of findings. Report for the UK Office of Science and Technology* by SPRU - Science and Technology Policy Research. Alister Scott, Grové Steyn, Aldo Geuna*, Stefano Brusoni, Ed Steinmueller, 2002.

(23)  A questo proposito cfr. anche GU C 110 del 30.4.2004.

(24)  GU L 75 del 22.3.2005, pag. 67.

(25)  Secondo la Commissione non va dimenticato, per esempio, (a) che il primo compito della ricerca è di creare nuove conoscenze, mentre chiedersi che cosa serva all'umanità o che cosa sia pertinente per la società non fornisce criteri idonei alla valutazione dei singoli casi (a questo proposito cfr. GU C 221 del 7.8.2001, sezioni 4 e 6, per es. punto 6.7.1, nonché la nota 14). Inoltre non va dimenticato che (b) la riproduzione di ricerche già effettuate altrove è molto importante non solo per l'acquisizione di nuove conoscenze, ma giusto appunto anche per la loro diffusione e il loro approfondimento e ampliamento. (a questo proposito cfr. per esempio GU C 221 del 7.8.2001, punti 4.7.5 e 4.7.6). Con regole troppo restrittive non si può ottenere una ricerca di qualità. Quest'ultima ha infatti bisogno di libertà d'azione.

Le misure più efficaci per addentrarsi in nuovi territori e ottenere buoni risultati sono: la designazione dei migliori ricercatori - specie se con esperienza - alle cariche direttive, l'acquisizione e l'incentivazione dei migliori scienziati e una dotazione adeguata e affidabile di apparecchiature e di mezzi per la ricerca (massa critica). A questo proposito cfr. anche GU C 204 del 18.7.2000 e GU C 110 del 30.4.2004. Il grado di qualificazione di un ricercatore non si può quantificare né oggettivare. La sua valutazione va inevitabilmente rimessa alla discrezionalità dei suoi colleghi esperti.

(26)  Relazione del gruppo di esperti presieduto dal professor Marimon, Sesto programma quadro, 21 giugno 2004.

(27)  GU C 204 del 18.7.2000 (CES 595/2000, punto 9.8.4).

(28)  COM(2005) 121 def. - 2005/0050 (COD).

(29)  Questa raccomandazione riguarda solo quegli studi sul tema «Scienza e società» che rivestono un carattere prevalentemente sociologico. Invece la quota di bilancio destinata ad attività (mostre, musei, congressi) intese a comunicare la scienza («Communicating Science»), ossia i suoi risultati e modi di funzionamento, dovrebbe continuare ad essere compresa nel programma specifico «Capacità».

(30)  Cfr. anche il numero speciale della rivista della Commissione europea RTD Info, del luglio 2005, dedicato al programma INCO.

(31)  CESE 818/2005 fin.

(32)  GU C 74 del 23.3.2005.

(33)  Per es. GU C 241 del 7.10.2002, GU C 221 dell'8.9.2005 e GU C 286 del 17.11.2005.

(34)  David Pimentel e Ted. W. Patzek, Natural Resources Research, vol. 14, n. 1, 2005.

(35)  GU C 120 del 20.5.2005.

(36)  GU C 294 del 25.11.2005.

(37)  (GU C 241 del 7.10.2002); GU C 133 del 6.6.2003; GU C 108 del 30.4.2004 GU C 110 del 30.4.2004 GU C 302 del 7.12.2004 GU C 286 del 17.11.2005 GU C 120 del 20.5.2005.

(38)  A questo proposito cfr. anche: Deutsche Physikalische Gesellschaft, settembre 2005, Klimaschutz und Energieversorgung in Deutschland 1990-2020 (Protezione del clima e approvvigionamento energetico in Germania 1990-2020).

(39)  Si tratta di una problematica molto complessa, affrontata in parte nella GU C 221 del 7.8.2001, punto 3.9 e sezione 6.

(40)  GU C 221 del 7.8.2001.

(41)  GU C 24 del 31.1.2005.

(42)  Cfr. le note riferite al punto 5.2.2.

(43)  GU C 302 del 7.12.2004.

(44)  ITER produrrà 500 MW di potenza di fusione. Si tratta di una tappa per passare dagli odierni esperimenti della fisica del plasma, come p.es. JET, a DEMO, il futuro reattore dimostrativo in grado di produrre elettricità. È un progetto internazionale realizzato in partenariato da Cina, UE, Svizzera, Giappone, Corea, Russia e USA. Il reattore sarà ubicato a Cadarache (Francia).

(45)  Cfr. nota 44.

(46)  GU C 110 del 30.4.2004

(47)  GU C 133 del 6.6.2003.

(48)  Cfr. le note precedenti.


17.3.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 65/22


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma quadro per la competitività e l'innovazione (2007-2013)

COM(2005) 121 def. — 2005/0050 (COD)

(2006/C 65/03)

Il Consiglio, in data 25 aprile 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 156, dell'articolo 157, paragrafo 3, e dell'articolo 175, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 20 ottobre 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore WELSCHKE e dalla correlatrice FUSCO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 dicembre 2005, nel corso della 422a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 125 voti favorevoli, 2 voti contrari e 1 astensione.

1.   Osservazioni preliminari

1.1

Numerosi indicatori riguardanti la crescita, l'occupazione e l'innovazione rivelano che negli ultimi anni l'Unione europea ha perso terreno nella concorrenza mondiale e che questo stato di cose persiste. La massima sfida che si profila per l'UE sul fronte economico e sociale consiste nel combattere la disoccupazione, creare nuovi posti di lavoro e promuovere su base sostenibile la crescita economica necessaria a tal fine.

1.2

Alle imprese spetta un ruolo fondamentale in proposito. In Europa il 98 % delle imprese è costituito da piccole e medie imprese (PMI): esse rappresentano il 55 % dei posti di lavoro del settore privato e hanno un notevole potenziale innovativo per quanto riguarda i processi di produzione, i prodotti e i servizi.

1.3

Molte sono le imprese che beneficiano dei vantaggi del mercato interno europeo, ma spesso esse non possono sfruttarne appieno il potenziale per via delle restrizioni che tuttora permangono, delle loro limitate capacità in termini di personale e finanze, e della scarsità di informazioni. A questa situazione si può rimediare attuando in modo coerente la strategia di Lisbona, completando il mercato interno e aprendo maggiormente il mercato, legiferando meglio e introducendo programmi di finanziamento diretti a creare valore aggiunto europeo.

1.4

Anche amministrazioni strutturate con criteri moderni e servizi pubblici efficienti possono contribuire notevolmente alla promozione della competitività e dell'innovazione in Europa. Partenariati transfrontalieri a tutti i livelli fra le amministrazioni pubbliche possono migliorare la sempre più necessaria cooperazione fra le amministrazioni, agevolare lo scambio di esperienze e divulgare esempi delle migliori pratiche in modo che tutti possano beneficiarne.

2.   Sintesi della proposta della Commissione

2.1

Il Programma quadro per la competitività e l'innovazione (qui di seguito «programma quadro») dovrà contribuire ad attuare la strategia di Lisbona rinnovata e la strategia comunitaria per lo sviluppo sostenibile durante il periodo 2007-2013.

2.2

Il programma quadro costituisce il seguito di una serie di programmi comunitari di sostegno in vari ambiti, che esso raggruppa adottando una base giuridica coerente. La Commissione propone una dotazione finanziaria di 4.212,6 milioni di euro.

2.3

Il programma quadro è destinato a tutti gli Stati membri, ai paesi candidati all'adesione, ai paesi dello Spazio economico europeo (SEE) e ai paesi dei Balcani occidentali. Possono partecipare anche altri paesi terzi purché ciò sia previsto dagli accordi bilaterali.

2.4

Il programma quadro è destinato a favorire la competitività delle imprese, in particolare delle PMI, a promuovere e rendere commerciabili le innovazioni, ad accelerare lo sviluppo della società dell'informazione e l'efficienza energetica, e a sfruttare meglio le fonti energetiche nuove e rinnovabili.

2.5

A norma dell'articolo 156, dell'articolo 157, paragrafo 3, e dell'articolo 175, paragrafo 1, del Trattato CE occorre creare una base giuridica completa e organica per specifici programmi comunitari di sostegno e per le parti pertinenti di altri programmi comunitari in settori essenziali alla promozione della produttività, della capacità d'innovazione e della crescita sostenibile europea, e allo stesso tempo dare risposta ai problemi ambientali che vi si accompagnano. Il programma quadro si articola in tre sottoprogrammi specifici.

2.6

Il Programma per l'innovazione e l'imprenditorialità è destinato a inquadrare misure a favore dell'iniziativa imprenditoriale, l'innovazione e la competitività. È diretto alle imprese di tutti i settori economici, siano essi tradizionali o a tecnologia avanzata, e punta a un migliore finanziamento delle PMI nelle fasi iniziali e di espansione. Tra gli altri elementi chiave del programma figurano la collaborazione fra le imprese, l'incoraggiamento all'innovazione e la promozione delle tecnologie ambientali. Sono previsti finanziamenti per 2.631 milioni di euro.

2.7

Il Programma di sostegno alla politica in materia di TIC è inteso a incoraggiare l'introduzione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) nelle imprese, presso le amministrazioni e nelle imprese pubbliche di servizi. Le misure proposte concretano e affiancano la nuova iniziativa i2010 dell'Unione europea, che nei prossimi anni costituirà la cornice idonea sia per la creazione di uno spazio unico europeo dell'informazione sia per il rafforzamento del mercato interno dei prodotti e dei servizi dell'informazione. La dotazione prevista per il programma è di 801,6 milioni di euro.

2.8

Il Programma Energia intelligenteEuropa mira a promuovere lo sviluppo sostenibile nel settore energetico, migliorare la sicurezza degli approvvigionamenti e l'efficienza energetica, ridurre la dipendenza dalle importazioni di energia e portare al 12 % la quota delle energie rinnovabili nel consumo interno lordo. In tale contesto, rivestono importanza prioritaria quei progetti intesi a promuovere e diffondere le tecnologie energetiche sostenibili, a migliorare le strutture amministrative e intensificare le attività in rete, e a sensibilizzare maggiormente i cittadini alla necessità di un utilizzo sostenibile dell'energia. L'Agenzia esecutiva per l'energia intelligente, istituita dalla Commissione, verrà mantenuta. Per questo programma sono stanziati 780 milioni di euro.

2.9

Il programma quadro viene realizzato sulla base di programmi di lavoro annuali, di cui la Commissione intende assicurare l'attuazione. I comitati di gestione provvederanno a dare seguito alle misure prese dagli Stati membri e assicureranno la coerenza delle attività a livello nazionale.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1

La proposta relativa al programma quadro è ampia e copre tutta una serie di politiche e di programmi. Le presenti osservazioni si limitano agli aspetti cui il Comitato annette particolare importanza o su cui desidererebbe ascoltare altri punti di vista.

3.2

Il Comitato accoglie con favore il programma quadro poiché esso costituisce un elemento importante per creare sinergie nel promuovere sia la competitività e l'innovazione delle imprese sia uno sviluppo sostenibile. Le misure e gli strumenti proposti possono fornire un contributo significativo al rafforzamento della coesione sociale, alla costante promozione dell'economia e al conseguimento degli obiettivi in materia di crescita e occupazione stabiliti dalla strategia di Lisbona. Perciò anche in riferimento al piano d'azione per il rilancio della strategia di Lisbona a livello comunitario (COM(2005) 330 def.) la Commissione ravvisa nel programma quadro qui in esame un elemento importante della politica comunitaria.

3.3

La relazione KOK del 2004 ha richiamato l'attenzione sulle principali condizioni determinanti per la competitività dell'economia europea. Essa ha giustamente raccomandato di promuovere un migliore sviluppo della società della conoscenza, completare il mercato interno, migliorare il clima economico, modernizzare il mercato del lavoro, anche mediante strategie della formazione permanente e dell'invecchiamento attivo, e promuovere la sostenibilità ambientale. Il Comitato ritiene che soprattutto gli Stati membri abbiano il compito di fare tutto il necessario per accrescere la competitività delle imprese mediante condizioni quadro adeguate. A suo giudizio, il loro impegno trova un importante ed efficace complemento nei programmi d'aiuto dell'Unione europea. Oltre al programma quadro in esame, sono particolarmente importanti il programma quadro di ricerca, la strategia dell'apprendimento lungo tutto l'arco della vita e i fondi strutturali.

3.4

Le imprese non rafforzano la loro capacità innovativa solo grazie ai progressi tecnologici: l'innovazione è favorita anche da un più profondo radicamento dell'impresa nella società e nella cultura di ciascun paese, da una conoscenza più approfondita del management, da una gestione d'impresa responsabile e dal perseguimento di attività transfrontaliere. Per gli obiettivi del programma quadro sarebbe sbagliato interpretare il concetto di innovazione in senso troppo restrittivo, sprecando così le possibilità di una maggiore crescita, occupazione e coesione sociale. Le imprese sono protagoniste del processo di innovazione, nella cui attuazione le parti sociali devono essere adeguatamente coinvolte.

3.5

L'innovazione nasce nella mente umana: per questo motivo il costante sviluppo della capacità innovativa dell'Unione europea dipende da un livello elevato d'istruzione e di formazione. I datori di lavoro, i lavoratori, i governi, le università, le scuole e tutte le altre istituzioni interessate sono tenuti a impegnarsi in eguale misura per accrescere ulteriormente il potenziale innovativo delle nostre società. I progetti transnazionali si prestano a integrare le iniziative intraprese a livello nazionale per promuovere la società della conoscenza. Il Comitato si compiace che l'Unione europea promuova in maniera mirata, fra l'altro, l'istruzione e la formazione nel quadro dei programmi Socrate (istruzione di carattere generale), Tempus (insegnamento di livello universitario) e Leonardo da Vinci (formazione professionale). Il programma d'azione integrato per l'istruzione, la formazione e la formazione permanente per il periodo 2007-2013 può offrire parimenti un contributo utile al rafforzamento della capacità innovativa nelle imprese e al successo del programma quadro.

3.6

Il Comitato si compiace che la Commissione intenda rafforzare la capacità innovativa e la competitività delle imprese mediante una migliore legislazione e una revisione sistematica dell'acquis comunitario per individuare adempimenti eccessivamente onerosi. Prima di adottare nuove disposizioni è particolarmente importante valutarne le conseguenze in modo efficace: in questo la Commissione dovrebbe collaborare maggiormente con il Consiglio Competitività e con il Parlamento europeo.

3.7

Il Comitato condivide l'idea della Commissione secondo cui le misure orizzontali e di coordinamento dell'UE possono generare un considerevole valore aggiunto. Sarà particolarmente importante mettere a disposizione delle imprese informazioni quanto più possibile concrete e agevolare il loro accesso alle misure e agli strumenti del programma quadro.

3.8

Il Comitato appoggia l'obiettivo della Commissione di assicurare che il programma quadro favorisca non solo i settori a tecnologia avanzata, ma anche i settori economici tradizionali. In effetti, questi possono contribuire in misura molto maggiore alla creazione di occupazione e al rafforzamento della coesione sociale quando viene loro consentito di accrescere la loro competitività e innovatività. Anche i settori dei servizi e della logistica mostrano un notevole potenziale d'innovazione.

3.9

Il Comitato esorta la Commissione a non dare una definizione troppo restrittiva delle categorie destinatarie del programma quadro, in modo da generare quanto più valore aggiunto possibile e su una scala quanto più possibile ampia, a livello regionale e settoriale. Anche le società cooperative, le imprese consociate e le cooperative mutualistiche, oltre alle imprese in fase di avvio e alle microimprese innovative, possono contribuire al rafforzamento della competitività e della capacità innovativa nell'UE. Ad esempio, è possibile utilizzare i vantaggi dimensionali offerti dalle cooperative in modo tale che abbiano un impatto positivo sull'accesso al mercato (compresa la partecipazione ad appalti pubblici di notevole entità), sulla posizione occupata in seno al mercato, sullo sviluppo del potenziale manageriale, sulla formazione permanente e sulla capacità di ricerca. L'accesso ai progetti del programma quadro dovrebbe essere legato alla misura in cui le categorie destinatarie sviluppano progetti sostenibili che siano capaci di favorire la competitività e l'innovazione e meritino di essere appoggiati. Per quanto riguarda la diffusione del programma quadro, un ruolo significativo spetta alle fondazioni, alle associazioni e alle camere di commercio e dell'industria.

3.10

La dotazione del programma quadro è limitata dai vincoli cui sono soggetti i bilanci a livello nazionale e comunitario. Il Comitato si attende che, nel quadro del processo decisionale ancora in corso sulle future prospettive finanziarie, il programma in esame venga dotato di risorse sufficienti. Allo stesso tempo bisogna assicurare un utilizzo delle risorse disponibili in maniera quanto più possibile mirata, efficiente e finalizzata ai risultati a favore delle categorie destinatarie. La Commissione dovrebbe appurare entro quale misura le risorse finanziarie attualmente assegnate alla gestione del programma possano essere impiegate a favore di progetti.

3.11

Il Comitato si compiace che la Commissione intenda valutare le esperienze compiute con i programmi preesistenti, rimediare a possibili punti deboli e puntare su prassi collaudate. Un benchmarking e un monitoraggio accettabili per tutte le parti interessate favoriranno il successo del programma quadro. Nella programmazione annuale dei lavori occorrerà tener conto sollecitamente delle esperienze e dei dati utili all'ottimizzazione del programma quadro. La Commissione e i servizi responsabili dell'attuazione dei programmi dovrebbero procedere ad un'analisi critica per stabilire se la valutazione intermedia evidenzi la necessità di adeguamenti. In proposito occorrerà tener presenti le esperienze delle imprese e delle altre categorie di destinatari. In nessun momento, comunque, si dovrà ledere il principio della certezza della pianificazione per tutti i partecipanti ai progetti.

3.12

Il Comitato auspica vivamente che gli Stati membri tengano presente il concetto di «addizionalità» e li invita espressamente a mantenere gli aiuti nazionali al livello previsto, indipendentemente dall'entità delle sovvenzioni comunitarie. Il Comitato reputa che gli Stati membri debbano attenersi all'obiettivo convenuto di destinare il 3 % del PIL alla ricerca e allo sviluppo. L'attuazione del programma quadro non deve in alcun modo tradursi in un attenuamento degli sforzi degli Stati membri in vista del raggiungimento di tale obiettivo.

3.13

La Commissione evidenzia giustamente la necessità di uno stretto collegamento degli strumenti e delle misure del programma quadro con altri programmi e iniziative dell'Unione europea. Particolarmente importanti sono i punti di contatto con il 7o programma di ricerca, con la strategia dell'apprendimento lungo tutto l'arco della vita e con i programmi della politica strutturale. La Commissione dovrebbe accertarsi che tutte le direzioni generali coinvolte perseguano obiettivi coerenti fra loro e allo stesso tempo garantire la trasparenza riguardo all'operato e alle decisioni di tutti gli organi interessati. Le sinergie orizzontali e quelle verticali fra l'UE e gli Stati membri, come anche fra il mondo economico e scientifico e le pubbliche amministrazioni, potranno esplicarsi appieno solo assicurando la coerenza degli indirizzi di contenuto e organizzativi di tali programmi.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Nella fase di attuazione del programma le categorie destinatarie dovranno avere facile accesso ai programmi previsti, cosa in passato non sempre garantita. L'assegnazione dei fondi deve procedere in maniera efficiente, realistica ed evitando al massimo gli adempimenti burocratici (per quanto riguarda ad esempio la produzione di relazioni e di documentazione).

4.2

La Commissione dovrebbe gestire il programma quadro in maniera coerente ed efficiente, e renderlo di facile accesso. Per poter lavorare efficacemente, tutti i soggetti coinvolti nell'attuazione del programma quadro fanno affidamento su una programmazione a lungo termine e sulla trasparenza. Creare un'agenzia esterna con il compito di gestire la parte amministrativa del programma sarebbe una mossa utile se ciò servisse a semplificare le procedure amministrative e a tagliare i costi di gestione.

4.3

L'attuazione del programma quadro dovrebbe beneficiare di un accompagnamento ancor più intensivo da parte dell'Osservatorio delle PMI della Commissione: ciò consentirebbe di migliorare ulteriormente lo scambio di conoscenze e di esperienze fra gli Stati membri, fra le imprese e fra il mondo economico e scientifico e le amministrazioni pubbliche. Le relazioni predisposte dell'Osservatorio dovrebbero servire a valutare la praticabilità degli interventi e la loro rispondenza alle necessità delle categorie destinatarie. Sarebbe utile definire l'ambito di competenze dell'Osservatorio in modo da far risaltare l'apporto di ciascuna categoria di destinatari (nel senso indicato al punto 3.9).

4.4   Programma per l'innovazione e l'imprenditorialità

4.4.1

L'accesso ai capitali rimane molto limitato per le piccole, medie e microimprese innovative, anche se il problema è ormai noto da anni. Su questo fronte occorre dunque intervenire senza indugi. Gli strumenti finanziari previsti in questo programma per le imprese sono di importanza cruciale per il successo della politica industriale europea e il Comitato ritiene che possano produrre un notevole effetto di mobilitazione e di leva.

4.4.2

Il Comitato è favorevole all'attribuzione di risorse a intermediari finanziari adeguati onde ridurre i costi di finanziamento (comprese le spese per il personale e le spese amministrative) e i rischi di finanziamento. Lo «strumento a favore delle PMI innovative e a forte crescita (SIC)», lo «strumento relativo alle garanzie per le PMI (strumento GPMI)» e il «piano per lo sviluppo di capacità (PSC)» dovrebbero contribuire a facilitare alle imprese il finanziamento tramite prestiti e il loro accesso ai capitali di rischio. La concessione di crediti alle piccole, medie e microimprese orientate all'innovazione ne favorirà la crescita e il potenziale occupazionale soprattutto durante le fasi di costituzione e di sviluppo. Bisognerebbe inoltre prevedere la concessione di piccoli e microcrediti per appositi progetti.

4.4.3

Il Comitato raccomanda di considerare l'avvio e lo sviluppo di attività transfrontaliere come un elemento integrante della politica europea e un'importante strategia delle PMI per accrescere la loro competitività e innovazione. Tutte le misure e gli strumenti previsti nel programma dovrebbero essere compatibili con questo obiettivo. La Commissione dovrebbe sostenere attivamente le imprese a questo riguardo attraverso l'organizzazione di eventi volti alla creazione di partenariati, la diffusione di informazioni pratiche e altre misure appropriate.

4.4.4

La complessità del sistema degli aiuti comunitari e del quadro normativo rendono necessario fornire informazione e consulenza mirate alle imprese e alle altre categorie di destinatari. Il modo migliore per farlo è attraverso una rete di canali informativi su scala paneuropea che collaborino in modo efficiente. Ciò consentirà di accrescere la consapevolezza sul valore aggiunto dei programmi e dei progetti europei tra i cittadini e le imprese, anche in linea con la nuova strategia di comunicazione dell'UE.

4.4.5

Per il Comitato è importante che il bando di concorso progettato per i membri delle reti ai fini della fornitura di servizi a supporto delle imprese e dell'innovazione segua regole trasparenti e sia accessibile a tutte le organizzazioni operanti a livello regionale e settoriale che, per la loro struttura e per la gamma dei servizi offerti, siano in grado di venire incontro direttamente alle esigenze delle imprese. Sarebbe opportuno che la Commissione tenesse conto di come viene giudicato il lavoro di strutture già esistenti quali l'Euro-Info-Centre (EIC), il Centro di collegamento per l'innovazione (Innovation Relay Centre — IRC) e il Business Innovation Centre (BIC).

4.5   Programma di sostegno alla politica in materia di TIC

4.5.1

Il Comitato accoglie con favore l'indirizzo di questo programma. Esso riguarda un ambito capace di dare impulso al necessario incremento della produttività in tutti i settori economici, e le misure proposte sembrano poter offrire un importante valore aggiunto europeo.

4.5.2

Promuovendo la società dell'informazione in Europa si contribuirà allo sviluppo sostenibile dell'economia, ad una migliore integrazione sociale in Europa e al miglioramento della qualità della vita dei cittadini. In fase di attuazione del programma occorrerà soprattutto assicurare che tutte le imprese ne possano beneficiare, comprese quelle dei settori economici tradizionali.

4.5.3

I progetti finalizzati, le azioni raggruppate, come pure lo sviluppo e il completamento delle reti e dei cluster transfrontalieri possono favorire progressi nel trasferimento tecnologico e nell'impiego di soluzioni TIC innovative e sensibili alle esigenze del mercato. Il Comitato si compiace che si preveda la messa a punto di specifiche tecniche e di calendari di attuazione per facilitare l'aggiudicazione di appalti in questo comparto.

4.5.4

Il programma di sostegno alla politica in materia di TIC dovrebbe essere coordinato quanto più strettamente possibile, sotto il profilo strutturale e programmatico, con l'iniziativa «i2010 — Una società europea dell'informazione per la crescita e l'occupazione» (COM(2005) 229). In merito a questo nuovo quadro strategico «i2010» il Comitato ha in preparazione un proprio parere.

4.6   Programma Energia intelligente — Europa

4.6.1

Il Comitato si compiace dell'indirizzo del programma proposto. L'efficienza energetica, la promozione di energie rinnovabili e la diversificazione dell'approvvigionamento energetico sono fondamentali per uno sviluppo economico sostenibile e per la difesa dell'ambiente in Europa. Il programma dovrebbe contribuire alla valorizzazione dell'intero potenziale innovativo del settore energetico, che è possibile anche nel campo dell'ingegneria dei sistemi e della conversione di energia.

4.6.2

Per realizzare gli obiettivi del programma sarà decisivo disporre di prodotti competitivi e di tecnologie sensibili alle esigenze del mercato. Il Comitato accoglie pertanto con favore il previsto sostegno a progetti volti a facilitare il passaggio dall'innovazione alla creazione di prodotti commercializzabili, fermo restando che tali attività possono avere un senso solo in una fase precoce dell'innovazione. Essenzialmente, le migliori tecnologie e i prodotti o i servizi competitivi vengono sviluppati solo in un regime di concorrenza.

4.6.3

Il Comitato accoglie con favore l'intenzione della Commissione di promuovere un consumo intelligente dell'energia e di diramare informazioni a tal fine, ma fa presente che le attività previste al riguardo dovrebbero rivolgersi non solo agli specialisti, ma anche al grande pubblico. L'attuale campagna «Energia sostenibile per l'Europa» apporta un importante contributo in tal senso: essa è destinata a diffondere le pratiche consolidate e a sensibilizzare maggiormente i cittadini su temi come l'efficienza energetica e la tutela ambientale. Il Comitato reputa che tale campagna e il programma «Energia intelligente — Europa» si integrino utilmente a vicenda.

5.   Raccomandazioni conclusive

5.1

Il Comitato esorta la Commissione a illustrare gli obiettivi e le strutture dei programmi quadro in modo ancor più chiaro e comprensibile. Un buon esempio al riguardo è l'elenco delle misure di attuazione previste all'articolo 6 del programma quadro. In modo altrettanto sistematico si potrebbero presentare i singoli programmi e strumenti: ciò permetterebbe di far conoscere meglio il programma quadro alle categorie destinatarie. Al riguardo sarebbe opportuno coinvolgere le organizzazioni della società civile.

5.2

Il Comitato si attende che il raggruppamento di una serie di programmi e di singole misure produca un certo valore aggiunto. Ciò riuscirà solo se si assicureranno un coordinamento ottimale, la coerenza delle singole misure e la sintonia con altri programmi connessi dell'Unione europea: tutto ciò rientra in particolare nelle competenze della Commissione e degli organi di gestione.

5.3

Il Comitato si compiace che il programma quadro faccia riferimento agli obiettivi economici, sociali, ambientali e di politica energetica dell'Unione europea. Al livello dell'attuazione sarà importante che i programmi di lavoro annuali siano ideati in un'ottica di concretezza e tenendo ben conto delle categorie destinatarie, e in particolare delle imprese innovative. Ciò potrà essere unicamente garantito coinvolgendo opportunamente le categorie destinatarie sin dalla fase di pianificazione.

5.4

Ai fini di una migliore attuazione e della continuità strategica, il Comitato invita la Commissione a chiarire il nesso tra il programma quadro e altre iniziative analoghe già in corso o di futura adozione, in particolare la Carta europea delle piccole imprese del 2000, il Piano d'azione per l'imprenditorialità in Europa del 2003 e la comunicazione sulla nuova politica a favore delle PMI, di prossima pubblicazione. Ciò sarebbe di grande utilità per gli esponenti dell'imprenditoria e per i responsabili politici nazionali, regionali e locali.

5.5

Il Comitato seguirà con attenzione l'attuazione del programma quadro e si riserva di presentare ulteriori raccomandazioni alla luce delle esperienze acquisite o nel quadro della revisione intermedia.

Bruxelles, 14 dicembre 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


17.3.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 65/27


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sull'accesso al sistema d'informazione Schengen di seconda generazione (SIS II) dei servizi competenti negli Stati membri per il rilascio delle carte di circolazione

COM(2005) 237 def. — 2005/0104 (COD)

(2006/C 65/04)

Il Consiglio, in data 16 settembre 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 20 ottobre 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore RANOCCHIARI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 dicembre 2005, nel corso della 422a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 123 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Premessa

1.1

La convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen (di seguito convenzione di Schengen), intesa a consentire la libera circolazione delle persone e delle merci, è stata firmata nel 1990 ed è divenuta operativa nel 1995. Essa stabilisce quali autorità hanno accesso al sistema d'informazione Schengen (SIS) e per quali scopi i dati ivi contenuti possono essere utilizzati. Questo primo testo della convenzione non consentiva alle autorità preposte all'immatricolazione dei veicoli di accedere al SIS.

1.2

Il 21 agosto 2003 la Commissione ha presentato una «Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la convenzione di applicazione dell'accordo di Schengen, del 14 giugno 1985, relativo all'eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, con riferimento all'accesso al sistema d'informazione Schengen da parte dei servizi degli Stati membri competenti per il rilascio dei documenti di immatricolazione dei veicoli» (1). Lo scopo di tale proposta era quello di consentire l'accesso ai dati del SIS relativi a diverse categorie di oggetti rubati (veicoli, rimorchi, documenti ufficiali vergini e documenti d'identità — come passaporti, carte d'identità o patenti di guida — già rilasciati), per verificare se i veicoli che si chiede di reimmatricolare sono stati rubati, altrimenti sottratti o smarriti, nonché se coloro che richiedono la carta di circolazione utilizzano a tal fine documenti di identità o di immatricolazione rubati.

1.3

Il 25 febbraio 2004 il Comitato economico e sociale europeo ha adottato un parere in merito alla predetta proposta (2). Il CESE concordava con la Commissione circa l'opportunità di estendere l'accesso ai dati SIS alle autorità nazionali responsabili del rilascio e del controllo dei documenti di immatricolazione. Il Comitato, inoltre, si compiaceva del fatto che la proposta di regolamento prevedesse, per i servizi privati cui in vari Stati membri è affidata l'immatricolazione dei veicoli, la possibilità di ottenere, per via indiretta e tramite una delle autorità pubbliche aventi accesso al SIS, le informazioni necessarie al corretto svolgimento del loro lavoro con tutte le dovute garanzie per la protezione dei dati.

1.4

In seguito, e dopo l'allargamento dell'Unione, è emersa chiaramente la necessità di sviluppare un SIS di seconda generazione (cioè un «SIS II») per consentire ai nuovi Stati membri di accedere al sistema, e all'area Schengen di estendersi ai loro territori.

1.5

Dato che il SIS II necessita di un quadro giuridico appropriato e considerato che la materia rientra nell'ambito di più di una politica comunitaria, la Commissione europea ha dovuto presentare tre proposte: la prima riguarda la libera circolazione delle persone e la seconda la cooperazione giudiziaria e di polizia in materia penale, mentre la terza è complementare alle prime due e mira a consentire l'accesso al SIS II anche alle autorità competenti per l'immatricolazione dei veicoli.

1.6

Il CESE è ora consultato in merito a questa terza proposta, che rappresenta un necessario complemento al regolamento summenzionato (3), adottato dal Consiglio il 6 luglio 2005.

2.   Osservazioni generali

2.1

La nuova proposta della Commissione mira a garantire la coerenza con la nuova normativa sull'istituzione, l'esercizio e l'uso del sistema d'informazione Schengen di seconda generazione (SIS II). La Commissione afferma che il principale obiettivo di questa proposta è lo stesso di quella presentata nell'agosto 2003, cioè rafforzare la cooperazione fra Stati membri sulla base di uno scambio effettivo di informazioni per la lotta alla frode e al commercio illegale di veicoli rubati. Inoltre, la Commissione aggiunge che la proposta si prefigge altresì l'obiettivo di garantire che i servizi competenti per il rilascio delle carte di circolazione possano, nel nuovo quadro giuridico applicabile al SIS II, accedere agli stessi dati del SIS cui hanno accesso dal giugno 2005, quando è entrata in vigore la proposta di regolamento del 2003.

2.2

La questione riveste ancora un certo rilievo, dato che attualmente nell'Unione europea ogni anno vengono rubati circa 1.300.000 veicoli e circa 500.000 scompaiono per sempre (4). Inoltre, i reati riguardanti i veicoli sono in relazione con altri reati come i traffici illeciti, il contrabbando e il terrorismo (attentati con autobombe).

2.3

Il CESE ribadisce che esso concorda con la Commissione circa l'opportunità di estendere l'accesso ai dati SIS alle autorità nazionali responsabili del rilascio e del controllo dei documenti di immatricolazione (cfr. sopra, punto 1.2). Inoltre, il Comitato ritiene che i servizi privati cui è affidata l'immatricolazione dei veicoli dovrebbero avere la possibilità di ottenere determinate informazioni, per via indiretta e tramite una delle autorità pubbliche aventi accesso al SIS II, con tutte le dovute garanzie per la protezione dei dati. In particolare, è importante rendere sicuri i meccanismi volti a restringere l'accesso ad altre informazioni contenute nel sistema, riservato alle autorità indicate nell'articolo 101 della convenzione di Schengen.

2.4

Le osservazioni generali e le altre considerazioni formulate dal CESE nel parere del 25 febbraio 2004 dovrebbero tuttora essere tenute presenti. Alcune considerazioni possono essere ripetute in questa sede. Ad esempio, il CESE ritiene che anche la proposta attuale comporti vantaggi in termini di sicurezza e celerità della giustizia. La proposta, inoltre, servirà da incentivo agli Stati membri affinché consentano una maggiore libertà di circolazione dei veicoli all'interno dell'Unione. Tuttavia, è importante che la proposta sia compatibile con le norme e i regolamenti interni degli Stati membri. Inoltre, occorre concedere l'accesso anche agli Stati membri che non sono firmatari della convenzione di Schengen e rafforzare la cooperazione con l'Interpol ed Europol nella lotta al traffico dei veicoli rubati o altrimenti sottratti al di fuori dei paesi le cui autorità hanno accesso al SIS II. Infine, il CESE sottolinea l'importanza di raccogliere, elaborare e pubblicare dati statistici su questo tipo di reato al fine di migliorare l'approccio adottato per fronteggiarlo.

3.   Osservazioni specifiche

3.1

La proposta della Commissione è coerente con la decisione del Consiglio del 22 dicembre 2004 relativa alla lotta contro la criminalità connessa con veicoli e avente implicazioni transfrontaliere (2004/919/CE) (5). Nella decisione si afferma che «rivestono particolare importanza la cooperazione tra le autorità incaricate dell'applicazione della legge e gli uffici della motorizzazione nonché la comunicazione di informazioni alle parti interessate». L'articolo 7 della stessa decisione prevede che gli uffici nazionali della motorizzazione siano informati dalle autorità incaricate dell'applicazione della legge del fatto che un veicolo in fase di immatricolazione risulta rubato, e che l'accesso a tal fine alla base dati abbia luogo nel debito rispetto del diritto comunitario. Il CESE si compiace del fatto che i principi enunciati nella decisione del Consiglio siano ora incorporati nella proposta della Commissione.

3.2

Benché tale proposta riguardi solo l'accesso delle autorità preposte all'immatricolazione ad alcuni dati immessi nel SIS II, il CESE ritiene opportuno sottolineare l'esigenza di una maggiore cooperazione nella lotta alla criminalità connessa con veicoli. Come previsto nell'articolo 4 della decisione del Consiglio, «gli Stati membri adottano le misure necessarie per organizzare consultazioni periodiche, se del caso, tra le autorità nazionali competenti, conformemente alla legislazione nazionale, alle quali possono partecipare rappresentanti del settore privato (quali i gestori di registri privati di veicoli scomparsi, il settore assicurativo e quello automobilistico) al fine di coordinare le informazioni e le attività di ciascuno in questo settore». Il CESE ritiene che la Commissione debba prendere in considerazione idee come questa nella sua futura attività di contrasto di quella criminalità.

3.3

Un esempio di tali idee è costituito, secondo il CESE, dal precedente progetto dell'Interpol Stop Register Stolen Cars (StoreSto Car), poi denominato Vehicle Identification, Research and Analysis (VIRA 17). Lo scopo di questo progetto era raccogliere in un'unica banca dati tutte le informazioni relative agli autoveicoli, fornite da un numero di identificazione del veicolo (Vehicle Identification Number o VIN), in modo da sapere se questo era stato immatricolato, esportato o importato, prodotto, rottamato, o ne era stato denunciato il furto. Tale banca dati costituisce una base su cui fondare la cooperazione tra le autorità incaricate dell'applicazione della legge, quelle preposte all'immatricolazione, quelle doganali, le case costruttrici e le imprese assicurative.

3.4

Per quanto concerne la presente proposta, inoltre, il CESE desidera far notare come vi siano in genere ben poche possibilità di esaminare fisicamente un veicolo per accertarne l'identità e scoprire se ne sia stato denunciato il furto. In molti paesi i veicoli di cui si chiede l'immatricolazione vengono ispezionati, cosicché in questa fase è possibile verificare se sono stati rubati. È quindi importante fornire alle autorità preposte all'immatricolazione questo strumento per individuare i veicoli rubati, altrimenti sottratti o smarriti.

3.5

Come osservato sopra al punto 3.2, è necessaria una maggiore cooperazione nella lotta alla criminalità connessa con i veicoli. Un'altra opportunità di ispezionare un veicolo si presenta quando questo viene esportato o importato. Il CESE ritiene che le autorità doganali dovrebbero consultare, all'atto sia dell'importazione che dell'esportazione di un veicolo, gli stessi dati del SIS II disponibili per le autorità preposte all'immatricolazione.

3.6

Inoltre, nell'ispezionarlo per verificare se ne sia stato o meno denunciato il furto, si deve poter accertare l'identità del veicolo. Questa è spesso accertata in base al suo numero di identificazione (il citato VIN). Tuttavia, non è infrequente che tale identità sia stata falsificata o clonata. Il CESE, quindi, ritiene importante che in futuro vengano approntati strumenti più efficaci per identificare i veicoli: proposte come quella di un'identificazione elettronica del veicolo (Electronic vehicle identification o EVI) o di una migliore marcatura dei pezzi di ricambio devono essere esaminate e valutate con attenzione.

3.7

Infine, il CESE propone un ulteriore passo da compiere nel prossimo futuro per estendere il campo di applicazione del regolamento in esame. In realtà, la proposta della Commissione in discorso, intesa a verificare se i veicoli siano stati rubati, altrimenti sottratti o smarriti, dovrebbe essere accompagnata dalla possibilità di rimpatriarli. Oggi tale possibilità varia in misura considerevole tra gli Stati membri, a seconda delle rispettive disposizioni di diritto interno in materia di buona fede. Infatti, in alcuni paesi è possibile diventare legittimi proprietari di un veicolo rubato, se questo è stato acquistato in buona fede, mentre in altri ciò non è permesso. Inoltre, in futuro si dovranno esplorare e valutare le possibilità di rimpatriare i veicoli che risultino essere stati rubati.

Bruxelles, 14 dicembre 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  COM(2003) 510 def. - 2003/0198 (COD).

(2)  GU C 110 del 30.4.2004.

(3)  Cfr. nota 1.

(4)  Fonte: Statistiche Europol, l'Aia, 27.6.2005.

(5)  GU L 389 del 30.12.2004.


17.3.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 65/29


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 69/169/CEE per quanto riguarda i limiti quantitativi temporanei per le importazioni di birra in Finlandia

COM(2005) 427 def. — 2005/0175 (CNS)

(2006/C 65/05)

Il Consiglio, in data 30 settembre 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 93 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 novembre 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore BYRNE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 dicembre 2005, nel corso della 422a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 115 voti favorevoli, 3 voti contrari e 14 astensioni.

1.   Sintesi

1.1

La Finlandia ha chiesto di prorogare oltre il 1o gennaio 2006 le restrizioni vigenti sulle importazioni di birra da parte di viaggiatori provenienti da paesi che non siano Stati membri. La richiesta è intesa a far fronte a problemi fiscali, economici, sociali, sanitari e di ordine pubblico.

1.2

Con la modifica si propone di autorizzare la Finlandia a prorogare la restrizione fino al 31 dicembre 2006, innalzando però il limite massimo, portandolo da 6 litri a 16 litri, che è d'altronde il limite attualmente applicato dalla Finlandia.

1.3

Il Comitato approva la proposta di modifica.

2.   Contesto

2.1

Nel 2000 è stata concessa alla Finlandia una deroga fino al 31 dicembre 2005, intesa a limitare a un massimo di 6 litri le importazioni personali di birra da parte di viaggiatori provenienti da paesi diversi dagli Stati membri. In particolare La Finlandia confina con la Russia dove il prezzo dell'alcole è molto più basso e se si applicasse la franchigia monetaria, il limite massimo per l'importazione personale sarebbe di 200 litri.

2.2

A causa delle forti disparità di prezzi, gli effetti negativi dell'abolizione delle restrizioni delle importazioni sarebbero gravi per il commercio al dettaglio, le entrate fiscali e dal punto di vista dei problemi di carattere sociale e sanitario.

2.3

La Finlandia ha provveduto a ridurre in misura significativa l'imposta sulle bevande alcoliche nel 2004 ed ha anche applicato un limite massimo di 16 litri anziché di 6 litri, cercando di trovare una soluzione a lungo termine.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il Comitato prende atto delle misure già adottate dalla Finlandia per affrontare il problema e ritiene pertanto che sia giusto concedere una proroga della deroga fino al 31 dicembre 2006.

Bruxelles, 14 dicembre 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


17.3.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 65/30


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La sicurezza dei modi di trasporto

(2006/C 65/06)

La Commissione, con lettera del 2 giugno 2005, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato CE, un parere sul tema: La sicurezza dei modi di trasporto

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 novembre 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore SIMONS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 dicembre 2005, nel corso della 422a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 124 voti favorevoli e 4 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Dopo gli attentati di New York dell'11 settembre 2001, di Istanbul del novembre 2003, di Madrid dell'11 marzo 2004 e di Londra del 7 luglio 2005, l'attenzione al tema della sicurezza è cresciuta enormemente. Ovunque vengono introdotte misure preventive e operative per proteggere al meglio persone, mezzi di trasporto e merci, mentre a livello politico la sicurezza è diventata un argomento scottante.

1.2

In questo contesto per «sicurezza» si intende l'insieme di misure intese a prevenire gli attacchi terroristici e gli atti criminali, in particolare i furti.

1.3

Anche il Comitato economico e sociale europeo (CESE) non è rimasto inerte. Ha adottato infatti diversi pareri in materia di sicurezza, tra i quali risalta il parere esplorativo del 24 ottobre 2002 (1) (relatrice: BREDIMA-SAVOPOULOU), che si sofferma in maniera approfondita sulla sicurezza della navigazione marittima e dell'aviazione civile.

1.4

Il 23 dicembre 2003 la Commissione europea ha pubblicato un documento di consultazione relativo alla sicurezza dei trasporti merci, nel quale invita le parti interessate a esprimere il proprio punto di vista sul tema della sicurezza. Nella sua successiva comunicazione al Consiglio e al Parlamento europeo (2) la Commissione ha anche proposto la creazione di un programma quadro in materia di sicurezza, e il 12 agosto 2005 sulla Gazzetta ufficiale dell'Unione europea (3) è stato pubblicato un programma di lavoro in materia di sicurezza contro il terrorismo. Diversi elementi contenuti in queste pubblicazioni sono serviti all'elaborazione del presente parere esplorativo.

1.5

Il presente parere mira per lo più a precisare il ruolo e la responsabilità delle parti interessate, a livello sia nazionale che internazionale, nei seguenti settori:

la sicurezza delle persone (viaggiatori e personale delle catene di trasporto),

la sicurezza di mezzi di trasporto, merci e infrastrutture, con il fine ultimo di migliorare la sicurezza di persone, merci, mezzi di trasporto e infrastrutture.

1.6

Il parere verte sulla sicurezza dei modi di trasporto intesa esclusivamente come protezione dal terrorismo e dalla criminalità, e non nel senso della loro affidabilità tecnica. In molti Stati membri dell'UE non vi è distinzione linguistica tra questi due concetti, il che è fonte di complicazioni.

1.7

Per quanto riguarda la sicurezza delle infrastrutture utilizzate per i modi di trasporto terrestre, è necessario distinguere tra corridoi TEN, inclusi i punti di innesto, e infrastrutture nazionali. Peraltro, in materia di modi di trasporto terrestre non è sempre chiaro dove cominci e dove finisca la sussidiarietà.

Per quanto riguarda le disposizioni in materia di sicurezza per i modi di trasporto terrestre, si deve prendere atto che nella catena logistica esiste una fortissima interdipendenza tra tutti i modi di trasporto, terrestri e non, e che serve quindi un ampio consenso per la definizione di misure in materia di sicurezza. In materia di sicurezza è inoltre indispensabile adottare un approccio intermodale per evitare distorsioni di concorrenza tra i diversi modi di trasporto. A questo proposito si deve ricordare che i costi legati alla sicurezza possono variare considerevolmente da un modo di trasporto all'altro.

Si dovrà inoltre insistere sugli aspetti in rapporto diretto con l'incremento delle misure di sicurezza. Al riguardo ci si potrebbe soffermare tra l'altro sui seguenti interrogativi:

qual è l'impatto delle misure di sicurezza sui lavoratori?

I programmi di formazione in materia di gestione devono comprendere la «gestione delle crisi»?

Chi dovrà sostenere i costi delle misure di sicurezza?

Qual è il ruolo delle compagnie di assicurazione?

Data la vastità dell'argomento, è opportuno procedere con ordine e precisare la struttura del presente parere. La sezione 2 (Osservazioni di carattere generale) sarà dedicata alle questioni più generali in materia di sicurezza. Si parlerà tra l'altro della suddivisione delle responsabilità e delle competenze dell'Unione europea, delle autorità nazionali, dei modi di trasporto, dei viaggiatori, del personale e dei dirigenti d'impresa. In questa stessa sezione saranno poi esaminati gli aspetti legislativi. La sezione 3 (Osservazioni specifiche) si aprirà con un quadro generale delle iniziative prese a diversi livelli per migliorare la sicurezza, per soffermarsi poi più dettagliatamente sulla questione della sicurezza dei modi di trasporto. La sezione 4 avrà come oggetto i costi legati alla sicurezza ed esaminerà chi debba sostenerli, nonché il ruolo delle compagnie di assicurazione. Nella sezione 5 si riassumeranno le osservazioni precedenti e si trarranno le debite conclusioni.

2.   Osservazioni di carattere generale

2.1   La sicurezza: aspetti generali

2.1.1

L'importanza di garantire la sicurezza delle persone e delle merci in tutti i modi di trasporto appare ormai fondamentale tanto per i responsabili politici e gli organi decisionali quanto per le imprese. In questo documento per «sicurezza» si intende l'attuazione di misure volte a contrastare il terrorismo e la criminalità. Non si può fare a meno di notare che si è ancora lontani da un approccio coordinato. Tale approccio riveste un carattere di urgente necessità, visto che è proprio l'anello più debole a determinare la forza di una catena.

2.1.2

Data la sua complessità, la questione della sicurezza dei modi di trasporto non è facilmente né chiaramente definibile. Essa infatti investe la questione della sussidiarietà in tutta la sua complessità, in relazione alla ripartizione delle competenze tra Unione e autorità nazionali per quanto riguarda sia le misure da prendere che il finanziamento di queste ultime, e alle responsabilità e alle competenze dei modi di trasporto: quelle dei viaggiatori, dei lavoratori e dei dirigenti.

2.2   La sicurezza nel trasporto marittimo e aereo

2.2.1

Dopo l'11 settembre 2001 si sono compiuti diversi progressi in materia di sicurezza nel trasporto marittimo e aereo. Il Consiglio europeo, ad esempio, ha adottato una serie di misure, basate tra l'altro sul parere del CESE del 24 ottobre 2002, che verteva essenzialmente sul settore del trasporto aereo e marittimo. Tra le misure adottate a livello comunitario si ricordano in particolare il regolamento (CE) n. 2320/2002, che istituisce norme comuni per la sicurezza dell'aviazione civile, il regolamento (CE) n. 725/2004, relativo al miglioramento della sicurezza delle navi e degli impianti portuali, e la proposta di direttiva relativa al miglioramento della sicurezza dei porti (COM(2004) 76 def.). Tutti questi documenti contengono disposizioni sulla necessità di prevedere ispezioni UE in base a verifiche di qualità nei settori interessati. La regolamentazione riguardante il trasporto marittimo è fissata inoltre nella direttiva del 10 maggio 2005.

2.3   La sicurezza dei modi di trasporto terrestre

2.3.1

Riguardo ai modi di trasporto terrestre, la situazione nei diversi Stati membri si presenta molto eterogenea. Grandi città come Madrid o Londra, ma anche Parigi, hanno adottato nuove misure di sicurezza a seguito degli attentati terroristici che ne hanno colpito i trasporti pubblici. In altre città e paesi ciò non è ancora stato fatto, ma l'impatto dei recenti attentati ha fatto comunque prendere coscienza dell'importanza di tali misure (4).

2.3.2

Il primo interrogativo che si pone al riguardo è chi sia competente per l'adozione di misure di sicurezza che riguardano più di un modo di trasporto terrestre: l'Unione europea o le autorità nazionali? Se si tratta di queste ultime, qual è allora il ruolo dell'UE?

2.3.3

Il Comitato ritiene che la responsabilità della sicurezza debba essere condivisa tra gli Stati membri e l'UE, mentre spetterebbe agli Stati membri garantire che i vari modi di trasporto terrestre adottino realmente le misure di sicurezza del caso. A tale scopo gli Stati membri devono creare un quadro contenente una serie di norme minime che i modi di trasporto terrestre sono tenuti a rispettare. Dato che non si tratterebbe di una misura facoltativa, bensì di un'azione di armonizzazione, le autorità nazionali dovrebbero istituire un organo specializzato con l'incarico di coordinare le misure che i modi di trasporto terrestre e le autorità locali desiderano adottare. Tale organo dovrebbe anche assicurare che le misure previste vengano effettivamente applicate.

2.3.4

Secondo il Comitato, il ruolo dell'Unione europea consiste essenzialmente nel coordinamento di misure su scala internazionale. L'Unione dovrebbe inoltre incoraggiare gli Stati membri a definire un approccio unico e comune a tutti. Visto il carattere transfrontaliero del trasporto di persone e merci e tenuto conto della necessità di coordinare le misure di sicurezza nazionali, è indispensabile una stretta cooperazione tra le autorità nazionali e l'Unione europea.

2.3.5

Le autorità nazionali devono essere consapevoli che molto resta ancora da fare nel settore dei modi di trasporto terrestre, e al riguardo deve farsi strada l'idea che si tratta di una situazione urgente. Le autorità nazionali devono incoraggiare i vari modi di trasporto a esaminare e applicare le varie misure di sicurezza. Come primo passo, si potrebbero stabilire norme minime di sicurezza a livello europeo, definendo una piattaforma per i modi di trasporto. Ogni modo di trasporto dovrà prendere coscienza del fatto che, senza le appropriate misure di sicurezza, esso è estremamente vulnerabile.

2.3.6

Bisognerà inoltre far comprendere la necessità di una cooperazione tra i diversi modi di trasporto: si dovranno ad esempio uniformare i provvedimenti relativi ai treni, alle metropolitane e agli autobus, nonché le campagne informative rivolte ai viaggiatori e al personale sui comportamenti da adottare nei casi di emergenza.

2.3.7

Per quanto riguarda il trasporto di merci, si dovrà accordare una grande attenzione ai punti nodali vulnerabili come i terminali e le stazioni di smistamento. A tale scopo si dovrà creare una stretta cooperazione tra le autorità nazionali e locali, i singoli modi di trasporto e i gestori dei punti di trasbordo e dei terminali.

2.4   Il ruolo dei diversi attori

2.4.1

Il Comitato ritiene che la protezione delle infrastrutture fisiche sia di competenza delle autorità nazionali, regionali o comunali.

2.4.2

L'organo specializzato di cui al punto 2.3.3 agirà invece da autorità di coordinamento. Per facilitare il coordinamento su scala UE, esso dovrà evitare ogni frammentazione al livello nazionale e diffondere nel contempo la politica a livello internazionale.

2.4.3

Il Comitato prende atto con soddisfazione che, al di là della funzione di coordinamento dell'UE, al livello comunitario sono stati stanziati 3,5 milioni di euro per misure di sicurezza nel settore del trasporto di persone, merci ed energia nell'ambito del Sesto programma quadro.

2.4.4

I modi di trasporto sono un concetto astratto il cui funzionamento viene garantito dalle persone che ne fanno uso (viaggiatori, clienti) o che lavorano nel settore (dipendenti), per la qual cosa appare indispensabile condurre un'azione mirata nei confronti di tali gruppi. Per quanto riguarda viaggiatori e clienti, ciò dovrebbe essenzialmente tradursi in un'informazione permanente: essi, in altri termini, dovranno cessare di essere utenti passivi e adottare un atteggiamento reattivo e consapevole. Ai dipendenti del settore spetta invece un ruolo chiave nell'elaborazione e nell'applicazione delle misure di sicurezza: perché possano svolgerlo al meglio, il Comitato ritiene importante che essi ricevano una formazione specifica incentrata sulla loro funzione in materia di sicurezza.

2.4.5

Il ruolo dei dirigenti consiste nell'integrare le idee in materia di sicurezza nella filosofia e nella cultura delle imprese, oltre che nell'offrire ai loro collaboratori la possibilità di seguire azioni di formazione specifiche. Per quanto riguarda invece la formazione destinata agli stessi dirigenti, il Comitato ritiene opportuno che includa una parte relativa alla gestione delle crisi, in modo che essi possano rivelarsi all'altezza del loro compito in caso di emergenza.

2.5   Come devono configurarsi le misure di sicurezza?

2.5.1

Alla domanda se le misure di sicurezza nei vari modi di trasporto terrestre debbano assumere un carattere più facoltativo, in forma ad esempio di certificazione o di marchio di qualità, o più vincolante, ad esempio attraverso un'apposita legislazione, il Comitato risponde che l'argomento è troppo importante per essere affrontato in maniera informale.

2.5.2

Il Comitato ritiene in ogni caso opportuno fissare norme minime di sicurezza a livello nazionale, ma raccomanda di non limitarsi allo stretto necessario. Sarà opportuno inoltre imporre l'obbligo di garantire uno scambio di informazioni sulle misure di sicurezza attuate o previste. A livello internazionale i paesi interessati dovranno armonizzare le rispettive misure e informarne le competenti istituzioni internazionali.

3.   Osservazioni specifiche

3.1

Prima di esaminare se e quali misure di sicurezza siano state adottate o dovrebbero esserlo nei singoli modi di trasporto terrestre, è opportuno procedere a un esame delle misure adottate su scala internazionale dai vari organismi di coordinamento.

3.1.1

L'Organizzazione marittima internazionale (IMO)

L'IMO viene qui citata perché nel settore della navigazione marittima si sono già presi diversi provvedimenti che potrebbero servire da modello per i modi di trasporto terrestre.

a)

L'IMO ha adottato il cosiddetto codice ISPS (International Ship and Port Facility Security — Codice internazionale relativo alla sicurezza delle navi e degli impianti portuali), che stabilisce un quadro di cooperazione internazionale tra i poteri pubblici, le amministrazioni locali, le società armatrici e le autorità portuali, con l'obiettivo di individuare i rischi e prendere le misure adeguate. Il codice, che comprende disposizioni inerenti alla sicurezza delle navi e degli impianti portuali, è entrato in vigore il 1o luglio 2004;

b)

le modifiche apportate alla convenzione SOLAS (Safety of Life at Sea — Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare), le quali hanno anche comportato la revisione del codice obbligatorio IMDG (International Maritime Dangerous Goods — Codice marittimo internazionale per il trasporto delle merci pericolose). Il codice IMDG contiene raccomandazioni dettagliate in materia di imballaggio, etichettatura e stoccaggio di materiali pericolosi.

Le modifiche sono entrate in vigore il 1o gennaio 2004.

3.1.2

L'Organizzazione internazionale dell'aviazione civile (ICAO)

Nel settore della navigazione aerea i primi accordi internazionali vincolanti in materia di criminalità e terrorismo risalgono al 1971. In seguito a una serie di dirottamenti alla fine degli anni '60, l'ICAO decise di elaborare l'accordo di base che disciplina la navigazione aerea: il risultato fu l'allegato 17 della convenzione di Chicago, che prevede la perquisizione sistematica di tutti i passeggeri di voli commerciali civili. Questa misura si applica dal 1972 ed è difficile immaginare che un tempo la situazione sia stata diversa. Dopo l'attentato alle Torri gemelle nel 2001, l'allegato 17 è stato profondamente rimaneggiato: si sono introdotte nuove norme obbligatorie, ad esempio per quanto riguarda il rafforzamento e il blocco delle porte delle cabine di pilotaggio e il trasporto merci per via aerea, e anche i requisiti di formazione e di qualità in materia di controllo sono stati resi più rigidi.

3.1.3

La Conferenza europea dell'aviazione civile (CEAC)

Anche al livello europeo, nel quadro della Conferenza europea dell'aviazione civile (CEAC), è stata sviluppata e messa a punto una politica in materia di sicurezza del trasporto aereo, in base alle norme internazionali stabilite dall'ICAO. Ciò ha portato all'elaborazione di un manuale europeo della sicurezza aerea, il cosiddetto «documento 30»: esso contiene disposizioni in materia di sicurezza che, pur nella loro autorevolezza, non sono vincolanti, visto lo statuto della CEAC. È per questo che il 14 settembre 2001, cioè tre giorni dopo gli attentati di New York, il Consiglio europeo ha deciso che l'UE avrebbe assunto le competenze in materia di sicurezza aerea. Questa decisione ha portato all'adozione del regolamento n. 2320/2002 del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce norme comuni per la sicurezza dell'aviazione civile, entrato in vigore il 19 gennaio 2003. Sempre in occasione del Consiglio europeo del 14 settembre 2001 si è deciso di conferire alla Commissione la possibilità di effettuare direttamente il controllo di qualità negli Stati membri.

3.1.4

L'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL)

Il riferimento è qui alla revisione della convenzione sui documenti d'identità della gente di mare, volta a rendere più affidabile l'identificazione della gente di mare per meglio garantire la sicurezza dei passeggeri e dell'equipaggio, e rafforzare quindi la sicurezza delle navi. La convenzione riveduta, che si basa soprattutto sugli orientamenti in materia di rilascio dei documenti di identità per la gente di mare, non limita la libertà di movimento dei marittimi, i quali hanno così la facoltà di sbarcare senza ostacoli. L'OIL e la convenzione potrebbero fungere da modello per i modi di trasporto terrestre, ed è per questo che se ne fa qui menzione.

3.1.5

L'Organizzazione mondiale delle dogane (OMD)

a)

Convenzione di Kyoto riveduta dell'OMD

Nel giugno 1999 il consiglio dell'OMD ha riveduto e adottato la convenzione del 1974 nota con il nome di Convenzione di Kyoto. Uno degli aspetti più importanti di tale convenzione, che ha per oggetto la semplificazione e l'armonizzazione dei regimi doganali, è la particolare attenzione rivolta alla trasparenza e alla prevedibilità della catena. Tra i principali elementi della nuova convenzione figurano:

l'utilizzo delle informazioni prima dell'arrivo delle merci in modo da consentire selezioni preliminari,

le tecniche di gestione dei rischi,

l'ottimizzazione dei sistemi automatizzati,

il ricorso a interventi coordinati con altri uffici,

il controllo e l'accessibilità permanente delle informazioni relative ai requisiti doganali e alla legislazione,

gli orientamenti in materia.

b)

Il modello dei dati doganali dell'OMD

Questo modello contiene una serie di dati internazionali normalizzati che ottemperano alle norme vincolanti in materia di trasporti internazionali, e rappresenta un passo avanti verso la realizzazione di informazioni doganali armonizzate e utilizzabili ai fini della sicurezza. Esso è stato concepito per funzionare in un ambiente completamente automatizzato.

c)

Il riferimento unico di invio dell'OMD

Il vantaggio di questo sistema consiste nell'assegnazione di un unico numero di riferimento a ciascuna spedizione, il che ne semplifica l'identificazione e la registrazione dei dati.

d)

Gli orientamenti dell'ACIS (Advanced Cargo Information System — Sistema di informazione anticipata sulle merci) mirano, in linea con la Convenzione di Kyoto riveduta, a reperire dati in materia di sicurezza e a fornire orientamenti alle autorità doganali per una rapida raccolta degli stessi.

e)

La convenzione doganale sui container (Customs Convention on Containers) contiene le specifiche tecniche per i container usati nel trasporto internazionale su cui viene apposto un sigillo doganale, nonché le procedure per l'approvazione di questo tipo di container. La convenzione, che risale al 1972, è attualmente oggetto di una revisione maggiormente orientata all'aspetto della sicurezza.

Le informazioni qui fornite sull'OMD vanno considerate potenzialmente vantaggiose anche per i modi di trasporto terrestre: è importante quindi estrapolarne gli elementi che possano applicarsi a tali modi di trasporto.

3.1.6

L'Organizzazione internazionale per la normalizzazione (ISO)

Nel 2003 l'ISO ha adottato una serie di direttive che stabiliscono le norme per la sigillatura meccanica dei container destinati al trasporto merci.

Ha inoltre elaborato una norma per l'uso di etichette di identificazione via onde radio sui container destinati al trasporto merci, e un protocollo comune di comunicazione per la sigillatura digitale.

3.1.7

L'Unione europea (UE)

a)

Le iniziative assunte dall'UE riguardano essenzialmente la sicurezza della navigazione marittima, dei porti e del settore aereo. Qualche esempio è fornito al punto 2.3.

Nel settore del trasporto intermodale, nel dicembre 2003 la Commissione europea ha pubblicato un documento di consultazione relativo alla sicurezza del trasporto merci, nel quale vengono enumerate le possibili minacce e le eventuali misure da adottare per proteggere la catena dei trasporti.

In tale documento la Commissione precisa che per ogni misura proposta bisognerebbe elaborare un profilo di rischio valido per ciascuno dei modi di trasporto e per l'intera catena.

Le misure proposte nel documento di consultazione sono le seguenti:

rendere sicure le infrastrutture di interesse europeo attraverso azioni condotte dagli Stati membri (elaborazione di un piano di sicurezza da aggiornare su base annua, individuazione dei rischi, designazione di un punto di contatto e nomina dei responsabili della sicurezza delle infrastrutture, designazione di un organo pubblico incaricato di procedere a un audit dell'insieme delle azioni),

mettere a punto norme di sicurezza per i fornitori di servizi (a livello comunitario, elaborazione di norme minime di sicurezza per i fornitori di servizi internazionali, introduzione nelle catena di trasporti terrestre dei concetti di «agente autorizzato» (regulated agent) e di «spedizioniere abilitato» (known shipper)),

ricorrere al concetto di «informazioni anticipate» in formato elettronico: tale concetto potrebbe essere imposto obbligatoriamente o meno per certi itinerari o merci, previe apposite analisi dei rischi,

applicare misure speciali di sigillatura e chiusura per spedizioni sensibili sotto il profilo del rischio e della sicurezza,

vigilare affinché gli Stati membri non introducano norme differenti, ostacolando così il buon funzionamento del mercato. A questo scopo il documento della Commissione propone una serie di misure.

b)

La comunicazione della Commissione del 24 luglio 2003 e la proposta di regolamento, pubblicata nella stessa data, con cui la Commissione propone di adattare il codice delle dogane comunitario. Tale proposta mira a ridefinire il ruolo delle autorità doganali alle frontiere esterne dell'UE, affinché esse possano applicare le nuove norme di sicurezza per l'importazione e l'esportazione di merci.

3.1.8

La Commissione economica per l'Europa delle Nazioni Unite (UNECE)

Nel febbraio 2003 il gruppo di lavoro incaricato di studiare le questioni doganali (Gruppo di lavoro 30) e il comitato amministrativo del TIR (Transports Internationaux Routiers — Trasporti internazionali su strada) hanno convenuto di procedere a una progressiva informatizzazione del regime TIR, all'epoca quasi interamente in forma cartacea. Su presentazione di un carnet TIR, un documento doganale riconosciuto a livello internazionale, le merci possono essere trasportate verso paesi extracomunitari riducendo al massimo i tempi di sosta alle frontiere.

Queste informazioni riguardano la sicurezza del trasporto di merci su strada. Il Comitato raccomanda di esaminare l'eventualità di estendere tali misure ad altri modi di trasporto.

3.1.9

Le misure prese dagli Stati Uniti

Va da sé che, dopo gli attentati dell'11 settembre, gli Stati Uniti sono in prima linea nell'elaborazione di norme di sicurezza. Ad esempio, la legge sul bioterrorismo (Bioterrorism Act) entrata in vigore nel 2002 impone la notifica di determinate informazioni relative all'importazione di prodotti alimentari prima del loro arrivo negli Stati Uniti. I produttori alimentari e gli impianti di stoccaggio devono inoltre essere registrati presso la Federal Food and Drug Administration (FDA) e designare un rappresentante locale negli Stati Uniti.

3.1.10

Per mantenere la leggibilità del presente parere, ci si limita a menzionare alcune delle azioni intraprese negli USA, senza scendere nei dettagli.

Al momento di adottare misure in Europa, è ovviamente opportuno conoscere e considerare l'esperienza degli USA. In tale contesto si ricordano in particolare:

a)

l'iniziativa sulla sicurezza dei container (Container Security InitiativeCSI);

b)

l'associazione dogana-commercio contro il terrorismo (Customs-Trade Partnership against TerrorismC-TPAT);

c)

il manifesto con 24 ore di anticipo (24 Hour Advance Manifest);

d)

la legge sul bioterrorismo (Bioterrorism Act).

3.2

Iniziative prese individualmente dal settore o di concerto con le autorità pubbliche

a)

la coalizione di imprese contro il contrabbando (Business Anti-Smuggling CoalitionBASC);

b)

il memorandum d'intesa sul commercio elettronico (Memorandum of Understanding on Electronic Business);

c)

la risoluzione dell'Unione internazionale dei trasporti su strada (International Road Transport UnionIRU) in materia di sicurezza del trasporto stradale;

d)

gli orientamenti dell'IRU in materia di sicurezza del trasporto stradale (Guidelines for Road Transport Security);

e)

il piano standard di sicurezza (Standard Security Plan) dell'IRU, in corso di elaborazione,

f)

l'operazione «Commercio sicuro» (Operation Safe CommerceOSC);

g)

l'iniziativa «Rotte commerciali intelligenti e sicure» (Smart and Secure Tradelanes).

3.3

La maggioranza delle iniziative menzionate ai precedenti paragrafi riguarda misure di sicurezza relative al trasporto merci in generale e al trasporto di container in particolare. Secondo il Comitato, alcune di queste misure potrebbero essere applicate anche al settore del trasporto viaggiatori.

3.4

Le misure di sicurezza adottate per i diversi modi di trasporto sono piuttosto eterogenee. Come già detto, i settori del trasporto aereo e della navigazione marittima, compresi i porti, sono i più avanzati nell'attuazione di questo tipo di misure. La loro situazione è descritta in maniera molto circostanziata nel parere del Comitato del 24 ottobre 2002 (5) (relatrice: BREDIMA-SAVOPOULOU), ragion per cui il presente documento non approfondirà l'analisi di questi modi di trasporto.

3.5

Particolare attenzione, data la loro vulnerabilità, meritano i terminali e i punti di stoccaggio e di trasbordo terrestre. Anche il pipeline può rientrare tra i modi di trasporto specifici. Pur essendo vero che i proprietari di terminali dedicano molta energia alla sicurezza dei loro siti, il Comitato ha comunque l'impressione che non vi sia sufficiente consapevolezza della grande vulnerabilità dei punti di stoccaggio e di trasbordo e della necessità assoluta di una stretta cooperazione con i modi di trasporto che fanno uso delle infrastrutture di trasbordo.

3.6

Il Comitato reputa inoltre che non sia sufficientemente avvertita la gravità dei rischi legati al trasporto e al trasbordo via pipeline. Per questo motivo insiste sulla necessità di una rapida presa di coscienza in tal senso e sull'opportunità che le autorità competenti adottino misure di sicurezza a tutela sia del personale che delle infrastrutture.

3.7

Il settore del trasporto ferroviario attribuisce tradizionalmente enorme importanza alla sicurezza del personale, dei viaggiatori e del materiale, ed è auspicabile che tale cultura della sicurezza conduca a un livello altrettanto elevato anche sul piano della protezione. Sarà opportuno dedicare maggiore attenzione a luoghi vulnerabili quali le stazioni e le zone di smistamento. Inoltre l'Unione internazionale delle ferrovie (Union internationale des chemins de fer — UIC) dovrà formulare raccomandazioni intese a garantire il necessario coordinamento a livello internazionale.

Le società ferroviarie nazionali dovranno predisporre l'opportuno materiale informativo per i viaggiatori e il personale, affinché essi sappiano come reagire in caso di emergenza. Per quanto riguarda il personale, la diffusione di queste informazioni dovrà fare parte integrante della loro formazione.

3.8

Il settore della navigazione interna si appoggia generalmente ai porti marittimi per le operazioni di carico e scarico, nel qual caso il codice ISPS si applica anche a questo settore. Il Comitato ritiene necessario evitare che l'applicazione rigida di tale codice conduca a una distorsione della catena logistica. Spetta ai porti, alle società armatrici e ai servizi di ispezione vigilare sul suo rispetto. Per quanto riguarda infine il personale delle imbarcazioni adibite alla navigazione interna, il Comitato ritiene che la questione della sicurezza debba essere parte integrante della formazione di tali lavoratori.

3.9

In seguito agli attentati di Madrid e Londra, il settore dei trasporti pubblici ha preso coscienza della propria vulnerabilità: sono state quindi introdotte misure di sorveglianza e di controllo per migliorare tanto il livello di sicurezza tecnica quanto il senso di sicurezza dei viaggiatori e del personale.

3.10

Anche il settore professionale dei trasporti su strada appare estremamente vulnerabile, dato il gran numero di società di bus turistici e di trasporto merci esistenti (si parla di svariate centinaia di imprese caratterizzate da grande mobilità). Già da tempo questo settore è costretto a confrontarsi con il fenomeno della criminalità: ad esempio, i furti di camion con o senza carico sono ormai all'ordine del giorno e spesso determinano gravi conseguenze psicologiche per i conducenti. Anche l'IRU fa tutto il possibile per sensibilizzare le autorità e gli attori del mercato e incoraggiarli a prendere misure in materia di sicurezza: basti ricordare ad esempio l'appello lanciato a favore di un aumento del numero di parcheggi custoditi. Dato l'alto livello di rischi esistente nel settore, l'IRU ha elaborato, come si è detto al punto 3.2, una serie di orientamenti in materia di sicurezza che contengono raccomandazioni rivolte ai dirigenti, ai conducenti e agli addetti alla manutenzione. Ha inoltre definito un quadro per la conclusione di contratti di cooperazione su base volontaria con le autorità doganali.

3.11

L'elaborazione degli orientamenti menzionati al punto precedente si fonda sui seguenti presupposti:

le misure di sicurezza non devono essere rigide al punto tale da danneggiare il buon funzionamento dell'impresa,

le nuove misure di sicurezza devono essere commisurate all'obiettivo perseguito, ai costi generati e all'impatto sul traffico,

le misure adottate unilateralmente da singoli Stati non sono ammissibili,

le misure di sicurezza devono essere comprensibili e accettabili,

vista la natura internazionale del trasporto, le misure di sicurezza dovrebbero essere applicate in maniera uniforme, proporzionale e non discriminatoria, evitando nella misura del possibile di ostacolare i flussi commerciali più efficienti.

In generale è indispensabile, prima di adottare misure di sicurezza, che i destinatari siano coscienti della loro necessità. Ciò significa che nessuna misura di sicurezza andrebbe adottata fintanto che i diretti interessati non ne siano stati informati. Il Comitato esorta quindi a far sì che tale informazione venga diffusa in maniera tempestiva.

3.12

Per quanto riguarda il settore del trasporto privato, il Comitato raccomanda che, a prescindere dal modo di trasporto utilizzato, i responsabili delle imprese, del personale, dei mezzi di trasporto e delle infrastrutture adottino misure di sicurezza adeguate.

3.13

Il Comitato dà atto che le autorità e i modi di trasporto terrestre sono sempre più consapevoli della necessità di integrare le misure di sicurezza con l'attività quotidiana, ma aggiunge che si è ancora molto lontani da un approccio coerente. Dall'esame dei singoli modi di trasporto emerge che molto si è già fatto, in particolare nel settore della navigazione marittima e aerea, dato il loro carattere internazionale. Se è vero che il settore dei trasporti pubblici è diventato più sensibile al tema della sicurezza, è vero anche che le iniziative prese nel trasporto merci sono state per lo più circoscritte a tale settore. In altri termini, non si sono ancora prese misure riguardanti l'intera catena logistica, malgrado il fatto che i punti più vulnerabili sono proprio i punti di trasbordo da un modo all'altro. Il Comitato invita pertanto i poteri pubblici a designare un organo a livello nazionale che sia responsabile dell'intera catena logistica.

4.   Il costo delle misure di sicurezza

4.1

Che l'aumento della criminalità e del terrorismo abbiano reso necessaria l'adozione di misure di sicurezza a tutela dei viaggiatori, del personale, dei mezzi di trasporto e delle merci, è un fatto evidente per tutti. Meno chiaro è invece stabilire chi debba sostenere i costi legati alle misure di sicurezza, i quali sono notoriamente elevati. Per il trasporto via mare di un container, ad esempio, tali costi sono stimati fra i 30 e i 40 dollari USA.

4.2

Per stabilire con chiarezza a chi siano da imputare i vari costi, è necessario esaminarne le diverse categorie. Ecco una possibile classificazione:

a)

costi legati all'elaborazione della legislazione e al controllo sulla sua attuazione;

b)

costi legati alla classificazione e all'analisi dei livelli di sicurezza, e spese sostenute per aiutare i paesi terzi a creare un livello di sicurezza pari a quello degli Stati membri dell'Unione europea;

c)

costi assimilabili ai costi di investimento: ad esempio, quelli legati alla selezione e alla formazione del personale nel settore della sicurezza e all'acquisizione del materiale necessario per la sicurezza;

d)

spese correnti relative alla sicurezza quali i costi del personale, le spese di manutenzione del materiale di sicurezza, le spese di informazione, i costi assicurativi, i costi delle misure di ordine pubblico che dovranno garantire un adeguato rispetto della legislazione.

Si deve inoltre tener conto dei costi legati alle misure prese prima o dopo il verificarsi di un evento straordinario, ad esempio un attentato terroristico, per la cui imputazione si dovrà trovare una soluzione specifica. Secondo il Comitato, questi costi dovranno per lo più essere a carico delle autorità pubbliche.

4.3

Per rispondere alla domanda su chi o quale autorità sia da considerare primariamente responsabile dei costi, sembra logico indicare le autorità nazionali o locali per quanto riguarda le prime due categorie di costi, e le imprese per le altre due categorie.

4.4

Da un punto di vista economico, i costi devono essere sostenuti dall'attività che li genera, in modo che si riflettano sul prezzo (il biglietto nel caso dei trasporti pubblici o la tariffa nel caso del trasporto merci). I prezzi delle merci e dei servizi, tuttavia, devono coprire per quanto possibile i costi sociali marginali, compresi quelli legati alla sicurezza. Talvolta, però, le misure da attuare possono rivestire un interesse generale tale da rendere necessario che se ne faccia carico l'intera collettività.

4.5

Ammettere tale distinzione significa che i costi legati alla sicurezza verrebbero in definitiva sostenuti dai consumatori, i quali li pagherebbero in forma di prezzo più elevato per il prodotto finale, o dai cittadini che, in qualità di contribuenti, sosterrebbero le spese legate al finanziamento delle misure di sicurezza di interesse generale da parte dei pubblici poteri.

4.6

Il Comitato reputa che le compagnie di assicurazione svolgano un ruolo secondario a questo riguardo. Infatti, a meno che le condizioni della polizza non escludano gli atti terroristici, le eventuali prestazioni saranno sempre imputate all'assicurato sotto forma di premi più elevati. Esiste ovviamente un nesso causale tra il grado di sicurezza e l'ammontare del premio: più elevato è il livello delle misure di sicurezza, più basso dovrà essere il premio da pagare.

4.7

Date le sue funzioni e le sue competenze, l'Unione europea non può che svolgere un ruolo di coordinamento e di controllo o tutt'al più stanziare fondi destinati a campagne di informazione e comunicazione. Nel Sesto programma quadro, ad esempio, il capitolo della sicurezza ha ottenuto finanziamenti per 3,5 milioni di euro.

5.   Sintesi e raccomandazioni

5.1

Il Comitato constata che, in seguito agli attentati terroristici degli ultimi anni, l'attenzione al tema della sicurezza è cresciuta enormemente.

5.2

Soprattutto nel settore della navigazione marittima e aerea si sono presi gli opportuni provvedimenti che, dopo essere stati incorporati in regolamentazioni internazionali, vengono attuati attraverso ispezioni da parte dell'UE.

5.3

Per quanto riguarda la sicurezza dei modi di trasporto terrestre, il Comitato ritiene che si debbano ancora adottare le necessarie misure, visto soprattutto l'elevato grado di interdipendenza tra i vari modi di trasporto e tenuto conto della vulnerabilità dei punti di stoccaggio e di trasbordo intermodali. Serve con urgenza un approccio coordinato: è infatti l'anello più debole a determinare la forza dell'intera catena.

5.4

Il Comitato fa osservare che in molte lingue UE non si distingue tra «sicurezza», intesa nel senso di protezione dal terrorismo, e «sicurezza», nel senso di affidabilità tecnica. Dato che ciò ingenera confusione, il Comitato raccomanda l'uso di una terminologia univoca.

5.5

Secondo il Comitato la responsabilità dell'adozione di misure di sicurezza spetta agli Stati membri. Essi devono definire un quadro di norme minime che i modi di trasporto sono tenuti a rispettare. I pubblici poteri dovrebbero istituire un'autorità speciale che assicuri l'uniformità di tali misure e ne garantisca l'applicazione.

5.6

Il Comitato reputa che il ruolo dell'Unione europea consista soprattutto nel coordinamento di misure su scala comunitaria e internazionale, mentre quello delle autorità nazionali e locali è più orientato verso la definizione di misure specifiche, la verifica della loro applicazione, la diffusione di informazioni e la sensibilizzazione in materia di terrorismo e criminalità a tutti i livelli. Le autorità nazionali e locali devono inoltre vigilare sul rafforzamento della cooperazione tra i modi di trasporto. Il Comitato ritiene infine che tra le funzioni di queste ultime rientri anche la protezione delle infrastrutture fisiche.

5.7

Un ruolo essenziale in materia di sicurezza spetta agli utenti dei modi di trasporto. I viaggiatori e i clienti dovranno essere incoraggiati, attraverso apposite campagne informative, ad assumere un atteggiamento più attento e attivo, mentre gli addetti ai vari modi di trasporto terrestre dovranno ricevere una formazione specifica incentrata sul loro possibile ruolo nel promuovere la sicurezza. Secondo il Comitato, il ruolo dei dirigenti d'impresa consiste principalmente nell'integrare le idee relative alla sicurezza nella filosofia e nella cultura delle imprese interessate, nell'offrire ai dipendenti la possibilità di seguire formazioni in materia e nel garantire che la formazione destinata ai tecnici di gestione comprenda la gestione della crisi.

5.8

Il Comitato ritiene che la situazione dei diversi modi di trasporto terrestre sia piuttosto eterogenea. Per quanto le autorità e i modi di trasporto siano sempre più consapevoli della necessità di integrare le misure di sicurezza nel quotidiano, è inevitabile constatare che si è ancora lontani dal poter parlare di coerenza. La situazione dei trasporti pubblici può dirsi migliore rispetto a quella del trasporto merci, visto che le iniziative adottate in quest'ultimo settore si sono limitate per lo più a tale modo di trasporto. Di conseguenza, il Comitato raccomanda alle autorità pubbliche di designare un'organizzazione responsabile per l'intera catena dei trasporti.

5.9

Per quanto riguarda il settore del trasporto privato, il Comitato raccomanda, a prescindere dal modo di trasporto utilizzato, che i responsabili delle imprese adottino le necessarie misure di sicurezza a tutela del personale, dei mezzi di trasporto e delle infrastrutture.

5.10

Il Comitato reputa che i costi legati alla sicurezza debbano riflettersi nel prezzo del prodotto finale, in modo che siano sostenuti dai consumatori o, attraverso i bilanci nazionali, dai contribuenti in forma di imposte, per quanto riguarda le misure adottate dai pubblici poteri.

5.11

Il Comitato ritiene che le compagnie di assicurazione svolgano un ruolo secondario al riguardo e che le eventuali prestazioni saranno pagate in definitiva dagli assicurati, in forma di premi più elevati. Il premio da pagare dovrà essere tanto più basso quanto più elevato sarà il livello al quale vengono attuate le misure di sicurezza. È inoltre necessario accertarsi che l'entità dei premi rifletta i rischi del mercato.

5.12

Il ruolo di finanziatore dell'Unione europea dovrà essere orientato soprattutto ai programmi di ricerca, informazione e sensibilizzazione nel settore in questione.

Bruxelles, 14 dicembre 2005

La presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  GU C 61 del 14.3.2003, pag. 174.

(2)  COM(2005) 124 def, del 6.4.2005.

(3)  GU C 198 del 12.8.2005, pag. 1.

(4)  Il tema della sicurezza dei trasporti pubblici nelle grandi città è stato affrontato in maniera particolareggiata nel parere di prospettiva del Comitato delle regioni dal titolo «La sicurezza di tutti i modi di trasporto, compresa la questione del finanziamento» (CdR 209/2005 fin – Relatore: NEILL, membro dell'assemblea dell'area metropolitana di Londra).

(5)  GU C 61 del 14.3.2003, pag. 174.


17.3.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 65/38


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un'azione finanziaria della Comunità per l'attuazione della politica comune della pesca e in materia di diritto del mare

COM(2005) 117 def. — 2005/0045 (CNS)

(2006/C 65/07)

Il Consiglio, in data giovedì 19 maggio 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 37 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 9 novembre 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore Sarró IPARRAGUIRRE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 dicembre 2005, nel corso della 422a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 122 voti favorevoli, nessun voto contrario e 4 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

La Commissione europea ha chiesto al Comitato di elaborare un parere in merito alla Proposta di regolamento che istituisce un'azione finanziaria della Comunità per l'attuazione della politica comune della pesca (PCP) e in materia di diritto del mare, per cui è prevista una dotazione finanziaria di 2.583 milioni di euro; la proposta di regolamento integra la proposta di regolamento del Consiglio sul Fondo europeo per la pesca (FEP) (1) il cui bilancio è di 4.963 milioni di euro.

1.2

Uno degli obiettivi della PCP è quello di realizzare un intervento finanziario più efficace. La presente proposta di regolamento intende contribuire a migliorare le condizioni di applicazione degli interventi finanziari in ambiti concreti, definendo alcuni obiettivi specifici per ciascun ambito di intervento.

1.3

Nell'attuale situazione, il Comitato desidera manifestare la sua profonda preoccupazione per la mancanza di decisioni circa l'approvazione del bilancio per il periodo 2007-2013. L'Unione europea si trova in una situazione di estrema gravità, che richiederà uno sforzo politico assai considerevole per poter essere risolta. Il finanziamento della PCP potrà venir assicurato soltanto se verranno garantiti i bilanci destinati alla proposta di regolamento in esame ed al Fondo europeo per la pesca. Il Comitato esorta il Consiglio ad adottare decisioni politiche che non mettano a repentaglio il finanziamento della PCP, garantendo così uno sfruttamento sostenibile delle risorse alieutiche e promovendo così condizioni sostenibili sul piano economico, ambientale e sociale. Il CESE lamenta in tale contesto che il Consiglio non abbia sino ad oggi adottato alcuna decisione in merito alla proposta di regolamento sul Fondo europeo per la pesca.

1.4

La proposta di regolamento in esame riguarda quattro ambiti ai quali si applicheranno le misure finanziarie comunitarie:

controllo ed esecuzione delle norme della PCP,

misure di conservazione, raccolta di dati e miglioramento della consulenza scientifica in materia di gestione sostenibile delle risorse della pesca nell'ambito della PCP,

gestione politica della PCP,

relazioni internazionali nell'ambito della PCP e del diritto del mare.

1.5

Il Comitato considera necessaria la proposta di regolamento in esame ed approva i quattro ambiti di applicazione previsti.

2.   Misure finanziarie comunitarie nei quattro ambiti di applicazione

2.1   Controllo ed esecuzione delle norme della PCP

2.1.1

Le misure finanziarie che verranno applicate al controllo ed esecuzione delle norme della PCP sono intese a migliorare il controllo delle attività di pesca effettuate dagli Stati membri e le attività di valutazione e controllo da parte dei servizi della Commissione. Gli Stati membri potranno far ricorso ai contributi finanziari della Comunità per le spese relative a nuove tecnologie di controllo, a programmi di formazione, a programmi pilota di ispezione e osservazione, ad audit e seminari di informazione.

2.1.2

Verranno altresì finanziate le spese della Commissione relative ad accordi amministrativi con il centro comune di ricerca, allo svolgimento delle ispezioni da essa effettuate, e quelle relative all'Organismo comunitario di controllo della pesca (OCCP).

2.1.3

Il Comitato approva le misure proposte in materia di controllo ed esecuzione.

2.2   Misure di conservazione, raccolta di dati e miglioramento della consulenza scientifica in materia di gestione sostenibile delle risorse della pesca nell'ambito della PCP

2.2.1

La proposta di regolamento prevede nel secondo ambito di applicazione un sostegno finanziario agli Stati membri perché creino su basi scientifiche, serie pluriennali di dati aggregati che contengano informazioni biologiche, tecniche, ecologiche ed economiche allo scopo di valutare lo stato delle risorse, il volume di catture, l'impatto delle attività di pesca sulle risorse e sull'ecosistema marino e l'operatività del settore alieutico, dentro e fuori delle acque comunitarie.

2.2.2

Queste informazioni si otterranno mediante la raccolta di dati di base da parte degli Stati membri e di dati complementari da parte della Commissione.

2.2.3

Tenendo conto del fatto che la gestione della pesca dipende dalla disponibilità di dati riguardanti lo stato biologico delle popolazioni alieutiche e l'impatto delle flotte di pesca, il CESE approva il pacchetto finanziario proposto, destinato alla raccolta di dati di base da parte degli Stati membri. Il Comitato approva inoltre il finanziamento della raccolta dei dati complementari da parte della Commissione tenendo conto del fatto che questi servono ad ottimizzare e normalizzare la raccolta dei dati di base da parte degli Stati membri. Ciononostante, il Comitato ritiene che per migliorare la gestione delle attività di pesca bisognerebbe poter finanziare — attraverso gli Stati membri — anche le spese che deve sostenere il settore comunitario della pesca per realizzare gli studi necessari a valutare gli effetti delle attività di pesca sull'ambiente e ad esaminare la situazione socioeconomica del settore.

2.2.4

La riforma della PCP ha dato origine a nuove richieste di consulenze scientifiche, soprattutto in seguito all'adozione di una strategia basata sugli ecosistemi e sulla gestione di attività di pesca multispecifiche. Per tale motivo il Comitato ritiene giustificata l'ammissibilità delle spese nell'ambito del miglioramento della consulenza scientifica.

2.2.5

Il CESE ribadisce tuttavia che, conformemente a quanto detto nel parere sul Fondo europeo per la pesca (2), gli aiuti finanziari dovrebbero coprire anche le attività di consulenza scientifica nel settore della pesca. Lo sforzo economico in tale ambito è cruciale per la corretta applicazione della normativa della PCP.

2.3   Gestione politica della PCP

2.3.1

Per quanto riguarda questo terzo ambito di applicazione, le risorse devono permettere la partecipazione degli interessati a tutte le fasi della PCP, e fornire loro informazioni circa gli obiettivi della PCP e delle misure collegate. La canalizzazione di tali aiuti finanziari verrà effettuata mediante il comitato consultivo per la pesca e l'acquacoltura (CCPA) dell'Unione, i consigli consultivi regionali (CCR) e l'organizzazione — da parte della Commissione europea — di seminari di informazione e di formazione.

2.3.2

Il Comitato approva le misure in questione e ritiene che per quanto riguarda i consigli consultivi regionali, come suggerito al punto 5.3. del Legislative financial statement allegato alla proposta di regolamento, la Commissione dovrebbe contemplare la possibilità di estendere il periodo di finanziamento dei costi di funzionamento dei CCR.

2.4   Relazioni internazionali nell'ambito della PCP e del diritto del mare

2.4.1

Nell'ambito delle relazioni internazionali le misure finanziarie copriranno le spese derivanti dagli accordi di pesca, tra cui gli accordi di partenariato nel settore della pesca, nonché la partecipazione della Comunità europea alle organizzazioni internazionali. Il CESE ritiene che nell'ambito delle relazioni internazionali i principali obiettivi specifici siano, da un lato, il contributo allo sfruttamento sostenibile ed alla conservazione delle risorse alieutiche nelle acque dei paesi terzi ed in quelle internazionali e, dall'altro, il mantenimento dell'occupazione nelle regioni che dipendono dalla pesca.

2.4.2

Il Comitato considera fondamentale per il complesso delle politiche comunitarie la presenza dell'Unione europea in tutte le organizzazioni internazionali collegate con le attività di pesca delle flotte e con il diritto del mare, dato che il futuro delle risorse internazionali della pesca dipende da una gestione responsabile da parte delle organizzazioni internazionali. Pertanto il Comitato approva il pacchetto finanziario comunitario previsto in materia di relazioni internazionali.

2.4.3

Il CESE ritiene che le misure finanziarie previste per tale ambito dovrebbero servire anche a coprire la partecipazione di rappresentanti del settore della pesca alle riunioni delle organizzazioni internazionali, su richiesta degli Stati membri o della Commissione.

2.5   Assistenza tecnica

2.5.1

Il Comitato approva le misure finanziarie comunitarie destinate a coprire le spese inerenti alle attività di preparazione, sorveglianza, monitoraggio, controllo e valutazione necessarie per conseguire gli obiettivi della proposta di regolamento in esame.

3.   Tassi di cofinanziamento, procedure di finanziamento, assegnazione di fondi e controllo e valutazione

3.1

La proposta di regolamento fissa i tassi di cofinanziamento con gli Stati membri delle misure finanziarie applicabili alle diverse spese effettuate in ciascun ambito di applicazione. Il CESE non esprime alcuna obiezione rispetto ai tassi previsti.

3.2

La proposta di regolamento proibisce il cumulo degli aiuti comunitari e stabilisce che gli interventi che verranno finanziati a norma del regolamento non potranno beneficiare di aiuti da parte di altri strumenti finanziari comunitari. Il Comitato ritiene che gli strumenti finanziari di altre politiche comunitarie, come per esempio le politiche nel campo dello sviluppo, della ricerca, del commercio e dell'ambiente, dovrebbero anch'essi contribuire alle azioni nell'ambito delle relazioni internazionali previste nella proposta in esame. La Commissione stessa indica con chiarezza, nella sua Comunicazione relativa ad un quadro integrato applicabile agli accordi di partenariato con i paesi terzi nel settore della pesca, che l'obiettivo principale dell'Unione europea è quello di contribuire ad un'attività di pesca sostenibile attraverso la PCP e mediante gli obiettivi di altre politiche comunitarie come quelle della ricerca, del commercio con i paesi terzi, dell'ambiente.

3.3

La proposta di regolamento elenca infine le procedure di finanziamento per ciascuno degli ambiti di applicazione. La proposta specifica come e quando gli Stati membri debbano presentare alla Commissione le domande di contributo finanziario comunitario e stabilisce le modalità di decisione della Commissione stessa, la quale deve fissare l'importo globale, il tasso di partecipazione finanziaria per lo Stato membro richiedente e le altre eventuali condizioni che si applichino al contributo finanziario. Tenendo conto del fatto che il regolamento prevede inoltre la tutela degli interessi finanziari della Comunità mediante l'applicazione di misure di prevenzione contro le frodi, la corruzione e qualsiasi altra attività illecita, nonché attraverso ispezioni, controlli e audit relativi agli aiuti finanziari concessi, il Comitato reputa appropriato il sistema di finanziamento e di controllo previsto dal regolamento in esame.

4.   Conclusioni

4.1

Il CESE approva la proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un'azione finanziaria della Comunità per l'attuazione della politica comune della pesca e in materia di diritto del mare, ed invita la Commissione a tener conto delle osservazioni che seguono.

4.2

Il Comitato considera necessaria la presente proposta di regolamento che istituisce un'azione finanziaria della Comunità per l'attuazione della politica comune della pesca e in materia di diritto del mare, poiché completa la proposta di regolamento del Consiglio sul Fondo europeo per la pesca (FEP).

4.3

Il Comitato esprime il proprio profondo disappunto nel constatare che — a tutt'oggi — non è stata ancora presa alcuna decisione circa l'adozione del bilancio per il periodo 2007-2013, periodo nel quale è prevista l'applicazione integrale delle misure finanziarie esaminate dal presente parere. Inoltre, il CESE deplora che il Consiglio non abbia ancora preso alcuna decisione circa la proposta di regolamento sul Fondo europeo per la pesca.

4.4

Il CESE esorta la Commissione ad evitare che qualsiasi eventuale modifica del bilancio, nel quadro delle prospettive finanziarie, possa provocare una diminuzione percentuale del bilancio della PCP, dato che ciò renderebbe impossibile conseguire gli obiettivi di riforma della PCP.

4.5

Gli ambiti di applicazione previsti sono necessari e sufficienti, dato che la proposta di regolamento offre agli Stati membri e alla Commissione risorse adeguate per un più efficace intervento finanziario nell'ambito della PCP.

4.6

Il Comitato desidera sottolineare, tra gli ambiti di applicazione previsti dal regolamento, la cruciale importanza del miglioramento della consulenza scientifica. Lo sviluppo sostenibile delle risorse alieutiche, e di conseguenza il successo della PCP, dipendono dalla conoscenza scientifica approfondita, esatta ed aggiornata dello stato delle diverse specie oggetto delle attività di pesca. L'enorme sforzo che stanno realizzando il settore della pesca e le amministrazioni preposte alle attività di pesca, sia a livello comunitario che negli Stati membri, impone all'Unione europea di avvalersi delle migliori consulenze scientifiche sulle sue risorse alieutiche e su quelle delle acque internazionali.

4.7

In tal senso e allo scopo di migliorare la consulenza scientifica, a parere del Comitato bisognerebbe poter finanziare — attraverso gli Stati membri — le spese che il settore comunitario della pesca sostiene per realizzare gli studi volti a valutare gli effetti delle attività di pesca sull'ambiente e ad esaminare la situazione socioeconomica del settore. Il Comitato ritiene inoltre che gli aiuti finanziari dovrebbero coprire anche le attività di consulenza scientifica al settore della pesca.

4.8

Il Comitato approva il pacchetto finanziario previsto per l'ambito della gestione politica, dato che tali misure contribuiranno all'obiettivo di far partecipare gli interessati a tutte le fasi della PCP, tenendoli informati circa il conseguimento dei suoi obiettivi.

4.9

Il Comitato ritiene necessario estendere il periodo di finanziamento dei costi di funzionamento dei consigli consultivi regionali (CCR).

4.10

La presenza dell'Unione europea nelle organizzazioni internazionali collegate con le attività di pesca delle flotte e con il diritto del mare risulta — a parere del Comitato — della massima importanza. Il CESE è pertanto d'accordo con i contributi finanziari previsti a tal fine e con gli accordi di pesca, compresi gli accordi di partenariato nel settore della pesca con i paesi terzi, in quanto essi sono cruciali per contribuire alla conservazione e allo sfruttamento sostenibile delle risorse alieutiche nelle acque dei paesi terzi ed in quelle internazionali, nonché per il mantenimento dell'occupazione nelle regioni che dipendono dalla pesca.

4.11

Il CESE ritiene comunque che anche la partecipazione — su richiesta degli Stati membri o della Commissione — di rappresentanti del settore della pesca alle riunioni delle organizzazioni internazionali dovrebbe venir coperta dai contributi finanziari previsti per l'ambito delle relazioni internazionali.

4.12

Il Comitato ritiene infine che anche gli strumenti finanziari di altre politiche comunitarie, come quelle di sviluppo, ricerca, commercio con i paesi terzi e dell'ambiente, dovrebbero contribuire alle azioni previste dalla proposta in esame nell'ambito delle relazioni internazionali.

Bruxelles, 14 dicembre 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  (GU C 267 del 27.10.2005)

(2)  Idem 1, punto 3.5.3.6.


17.3.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 65/41


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Migliorare il meccanismo comunitario di protezione civile

COM(2005) 137 def.

(2006/C 65/08)

La Commissione, in data 3 giugno 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 9 novembre 2005, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SÁNCHEZ MIGUEL.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 dicembre 2005, nel corso della 422a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 133 voti favorevoli e 1 voto contrario.

1.   Introduzione

1.1

Nel territorio dell'Unione europea e nel mondo intero si stanno verificando catastrofi sempre più frequenti; alcune di esse sono dovute a fenomeni naturali quali inondazioni, terremoti, incendi, siccità, uragani, ecc., altre invece ad azioni terroristiche che colpiscono la popolazione innocente. In tutti i casi l'intervento umano è l'elemento scatenante, in maggiore o in minor grado, sebbene l'intenzionalità non sia paragonabile. L'Unione europea si è impegnata a svolgere azioni preventive contro i cambiamenti climatici, non soltanto rispettando gli obblighi assunti con il Protocollo di Kyoto, ma adottando numerose disposizioni che incidono sui provvedimenti di tutela del suolo, delle acque e dell'atmosfera. Si tratta di un impegno a fini preventivi il quale può rivelarsi utile per mantenere e rigenerare il nostro territorio, i nostri mari e la nostra atmosfera, e al contempo può contribuire a generalizzare questa rigenerazione in tutto il pianeta. D'altronde gli sforzi profusi per contrastare le azioni terroristiche (1) hanno dato origine a molteplici strumenti di coordinazione, sia a livello di polizia che di giustizia, i quali hanno consentito di migliorare i rapporti di cooperazione fra Stati membri.

1.2

Nonostante quanto detto in precedenza, l'Unione europea ha dovuto creare un sistema comunitario destinato a prestare aiuto allorquando nel suo territorio avviene una catastrofe di qualche tipo. Questo sistema non è altro che il meccanismo di protezione civile, il quale sostiene e agevola la mobilitazione di aiuti essenziali per soddisfare le necessità più immediate dei territori colpiti da una calamità, ivi compresi quelli non comunitari. Obiettivo della comunicazione in esame è di migliorare il meccanismo di protezione civile creato nel 2001 (2), nonché di integrare il programma d'azione comunitario a favore della protezione civile (3) mediante una proposta di regolamento del Consiglio che istituisce uno strumento di risposta rapida e preparazione alle emergenze gravi (4).

1.3

Va segnalata la necessità di definire che cosa si intende per protezione civile, visto che quest'ultima si sovrappone molte volte agli aiuti umanitari. A questo proposito la Commissione separa nettamente il contenuto della prima dagli altri, dal momento che entrambi servono a «salvare vite e ad alleviare gli effetti di una calamità nei primissimi giorni». A tal fine stabilisce quali sono le differenze: innanzitutto, la protezione civile può attenuare le conseguenze delle calamità sull'ambiente e non soltanto sulla popolazione; in secondo luogo, essa viene prestata attraverso mezzi e squadre appartenenti agli Stati membri e non mediante organismi umanitari, ovvero ONG; in terzo luogo, gli interventi possono essere attuati tanto all'interno quanto all'esterno dell'Unione europea, sebbene le procedure siano diverse allorquando si opera nei paesi terzi (5).

1.4

La funzione specifica del meccanismo è di intervenire in ambito comunitario su richiesta dello Stato membro in cui si verifica la catastrofe. Occorre tuttavia segnalare che il meccanismo può operare anche su scala internazionale in coordinamento con altri organismi, in particolare l'Ufficio delle Nazioni Unite per il coordinamento degli affari umanitari (UN-OCHA) con il quale sono state definite alcune procedure operative, e in collaborazione con la Croce Rossa e le ONG che operano sul territorio.

1.5

La posizione assunta dall'Unione europea rispetto alle calamità verificatesi, le quali sembrano purtroppo non avere fine, ha indotto il Consiglio Affari generali e relazioni esterne, nella riunione straordinaria del 7 gennaio 2005, a proporre di migliorare il meccanismo comunitario e di sviluppare una capacità di risposta rapida in caso di calamità. Il 13 gennaio 2005, pochi giorni dopo, il Parlamento europeo ha adottato una Risoluzione sulla recente catastrofe provocata dallo tsunami nell'Oceano Indiano, nella quale si chiede che vengano approntati i mezzi umani, materiali e formativi per intervenire in qualsiasi tipologia di disastro.

1.6

Al momento, il quadro che regola gli interventi di protezione civile è costituito dai due strumenti menzionati: il meccanismo comunitario di protezione civile e il programma d'azione comunitario a favore della protezione civile. L'elemento operativo centrale del primo, oggetto della comunicazione in esame, è il Centro di informazione e monitoraggio (CMI), di stanza presso la Commissione europea a Bruxelles, operativo 24 ore su 24. Esso dispone di una banca dati contenente informazioni relative ai servizi di protezione civile di ciascuno Stato e può anche contare sui dati contenuti nella banca dati militare.

2.   Contenuto della proposta della Commissione

2.1

Migliorare il meccanismo comunitario di protezione civile. I recenti avvenimenti hanno messo in evidenza la necessità di migliorare il meccanismo comunitario di protezione civile, nonché di ottimizzare il coordinamento fra Stati membri e con gli altri organismi che intervengono in queste eventualità. La comunicazione propone quattro settori in cui perfezionare il meccanismo.

2.1.1

Rafforzare la preparazione, mediante la formazione delle squadre e mediante esercitazioni: a tal fine occorre innanzitutto valutare le attuali capacità; in secondo luogo si tratta di definire un approccio modulare che individui una serie di moduli da poter mobilitare rapidamente; occorre infine prevedere corsi di formazione e simulazioni destinate a rafforzare l'interoperabilità e a creare una cultura d'intervento comune.

2.1.2

Analisi e valutazione delle necessità, mediante un sistema di allarme che sfrutti i mezzi a disposizione del CMI e centralizzi tutte le informazioni che consentano di intervenire in maniera coordinata insieme ad altri organismi e in particolare all'ONU. Potenziare la valutazione delle necessità sul luogo di un disastro permette di determinare le esigenze di ciascun caso, garantendo quindi un intervento più efficace. La Commissione propone di aumentare il numero delle persone che compongono il CMI, nonché di riesaminare i metodi e gli standard di valutazione.

2.1.3

Maggior coordinamento: rappresenta uno dei progressi di maggiore portata. Si tratta di migliorare tanto il coordinamento dei contributi degli Stati membri, ai fini dell'assistenza europea, quanto la complementarietà e il coordinamento con le Nazioni Unite, con le altre organizzazioni che intervengono negli aiuti umanitari, nonché con il personale militare. Questo coordinamento deve rafforzare la capacità di pianificazione operativa in loco, nonché tra i servizi della Commissione.

2.1.4

Maggiore assistenza ai cittadini. L'esperienza dello tsunami ha evidenziato che la protezione dei cittadini dell'UE è garantita dalla cooperazione tra le autorità responsabili della protezione civile e le autorità consolari dei paesi colpiti; la cooperazione fra questi ultimi e gli Stati membri va pertanto rafforzata.

2.2

Le misure di miglioramento prospettate dalla Commissione devono essere accompagnate da un potenziamento delle risorse a disposizione della protezione civile. Per questo motivo, il Consiglio ha invitato a formulare proposte tese a sviluppare le capacità attuali. Nel piano d'azione dell'UE del 31 gennaio 2005 vengono già descritti gli aspetti più rilevanti da prendere in considerazione a tal fine.

2.2.1

Innanzitutto, si propone di mettere in comune le risorse di protezione civile; così facendo, quando gli strumenti e le capacità nazionali non sono sufficienti a far fronte alle necessità, si potranno adottare provvedimenti a livello europeo per aumentare l'efficacia degli interventi.

2.2.2

Il rafforzamento della capacità di analisi del CMI comporta un approccio più proattivo del Centro, specie se incaricato di informare un paese terzo. Risultano pertanto necessarie relazioni fluide che consentano di usufruire agevolmente delle risorse disponibili per un intervento, a seguito della richiesta di assistenza da parte del paese colpito.

2.2.3

I moduli in stand-by svolgono una funzione importante, essendo destinati ad intervenire in caso di disastri di notevole portata, ovvero ogni volta che vi sia una richiesta da parte di uno Stato membro o di un paese terzo. È dunque importante attuare il sistema proposto nella comunicazione, dal momento che vi potrebbero così essere in ciascun paese dei moduli principali in stand-by permanente, pronti ad intervenire sul territorio dell'UE o di paesi terzi.

2.2.4

Potenziare la base logistica, nonché le capacità, onde consentire al CMI di intervenire rapidamente ed efficientemente. Per finanziare i costi relativi al noleggio delle attrezzature necessarie si potrà disporre di risorse fornite dall'UE (6), mentre per gli interventi al di fuori dell'Unione occorrerà esaminare le possibili sinergie con le Nazioni Unite.

2.2.5

Promuovere il coordinamento internazionale costituisce infine uno degli elementi fondamentali per garantire risposte rapide alle calamità. Il meccanismo comunitario dispone di risorse che, coordinate con quelle di altri organismi, garantiscono una migliore capacità di risposta. Bisogna tenere in considerazione tanto gli organismi dell'ONU, quanto le varie organizzazioni che forniscono aiuti umanitari.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1

Il CESE accoglie favorevolmente il contenuto della proposta, volta a migliorare il meccanismo comunitario di protezione civile, vista la necessità di rafforzare e ottimizzare tutte le risorse disponibili per attuare interventi in caso di calamità all'interno e all'esterno dell'Unione europea. L'esperienza acquisita nel corso degli anni ha messo in luce diversi elementi del meccanismo comunitario che possono essere perfezionati; in proposito riteniamo necessarie alcune osservazioni previe, affinché siano effettivamente attuate le misure proposte per migliorare il suddetto meccanismo.

3.2

Innanzitutto è necessario potenziare la capacità di risposta dell'Unione europea, basandosi sui sistemi nazionali di protezione civile, in vari ambiti:

3.2.1   Sistemi territoriali d'informazione e comunicazione

3.2.1.1

Sarebbe necessario potenziare il sistema CECIS (7), predisponendo una struttura in grado di utilizzare connessioni via satellite per la trasmissione sicura di immagini, voce e dati, che sia inoltre collegata attraverso il CMI (8) a strutture o centri specializzati che forniscano dati, esperti e modelli (ad esempio sulle conseguenze prevedibili) adeguati alle circostanze dell'emergenza specifica. Alcuni esempi sono l'Agenzia spaziale europea e il Centro comune di ricerca, per una cartografia completa dei paesi terzi e una valutazione dei danni, o per una cartografia aggiornata dopo una calamità (ad esempio terremoti e inondazioni); questi organismi possono infatti utilizzare una rete di infrastrutture per instradare gli aiuti. Questa rete si baserebbe sui punti di contatto di ciascuno Stato membro, i quali potrebbero contribuire a risolvere l'emergenza.

3.2.1.2

Il flusso di informazioni fra le unità di assistenza dell'UE e il CMI dev'essere costante, sicuro e libero da interferenze:

le comunicazioni con le zone colpite da calamità risultano spesso carenti, a causa della distruzione delle infrastrutture (reti fisse e mobili) ovvero della loro saturazione,

d'altra parte, non si possono escludere interventi da parte dei governi, tesi a controllare le informazioni relative a un disastro avvenuto sul territorio nazionale, così come si controllano gli spostamenti delle unità di intervento.

3.2.1.3

Il problema può essere risolto, in maniera apparentemente ovvia, ricorrendo alle comunicazioni via satellite. L'esperienza insegna infatti che queste comunicazioni:

appaiono sostanzialmente immuni alle distruzioni verificatesi sul posto (per poter trasmettere è sufficiente una valigetta e la capacità di generare elettricità autonomamente),

risultano affidabili se sottoposte a controlli e a monitoraggio dell'informazione da parte di terzi.

3.2.1.4

Anche queste comunicazioni dispongono tuttavia di una limitata capacità di trasmissione dei dati e, in determinati casi, sono saturate a causa di altre necessità o per la presenza di altri utenti (fra i quali, i media). È dunque opportuno predisporre canali riservati, ovverosia permanenti, per la trasmissione via satellite a banda larga, che consentano comunicazioni soddisfacenti fra la zona o le zone colpite e il CMI, nonché fra i diversi settori di intervento.

3.2.1.5

Per quanto riguarda la copertura, si potrebbe ritenere sufficiente limitarla a un'area geografica ridotta (l'UE e le zone prossime); in realtà si dovrebbe invece ricercare una copertura mondiale. Il caso del recente tsunami dimostra chiaramente che l'attuale soluzione è carente; è stato necessario garantire non soltanto le comunicazioni con il CMI, ma anche fra zone operative remote come le Maldive, lo Sri Lanka, la Thailandia e l'Indonesia.

3.2.1.6

Per garantire comunicazioni efficaci, è quindi necessario che l'Unione si doti di un sistema di trasmissione satellitare riservato (ossia, esclusivo), sicuro (esente da interferenze) e affidabile, che abbia inoltre una portata mondiale. Tale sistema dovrebbe consentire la comunicazione di voce e dati (fax, posta elettronica, nonché immagini ad alta definizione) e la realizzazione di videoconferenze.

3.2.1.7

Il Centro comune di ricerca, l'Agenzia spaziale europea, la Commissione (DG Società dell'informazione e media) dispongono delle capacità sufficienti a soddisfare le esigenze evidenziate dal comitato di gestione del piano d'azione e del meccanismo, il quale dipende dalla direzione generale responsabile per la protezione civile (DG Ambiente).

3.2.2   Requisiti minimi atti a garantire la capacità d'intervento

3.2.2.1

Relativamente agli interventi delle squadre di assistenza:

le squadre di intervento sono attrezzate dagli Stati membri con mezzi che permettono loro un'autonomia sufficiente e sistemi di comunicazione appropriati in loco,

a capo di queste squadre vi è un coordinatore dell'Unione europea il quale svolge fra l'altro i seguenti compiti: coordinamento delle diverse squadre inviate dagli Stati membri, collegamento con le autorità del paese colpito dal disastro, collaborazione con l'Ufficio delle Nazioni Unite per gli affari umanitari (OCHA) e così via,

finora l'UE non ha fornito i mezzi necessari al coordinatore, il quale dispone infatti soltanto di alcuni impianti di comunicazione. L'UE dovrà dotarsi dei mezzi e delle attrezzature adeguate per agevolare il compito del coordinatore e della sua équipe di appoggio; si tratta di mezzi che vanno dagli impianti di comunicazione alle tende da campo e sono destinati tanto a garantire il coordinamento con altre squadre e autorità del paese colpito, quanto ad assicurare l'efficacia del lavoro svolto dal coordinatore in condizioni talvolta difficili,

questi mezzi e queste attrezzature dovrebbero inoltre recare chiaramente l'emblema dell'Unione europea, onde indicare la presenza e l'impegno di quest'ultima nei confronti della popolazione colpita. Se all'interno dell'UE questa iconografia trasmetterà un messaggio di solidarietà interterritoriale, al suo esterno essa riaffermerà la posizione dell'Unione sul piano internazionale.

3.2.2.2

Relativamente al sostegno agli Stati membri in caso di emergenza:

in determinati casi gli Stati membri non possono fornire il sostegno necessario perché, pur disponendo di mezzi e di attrezzature adeguate, ne hanno bisogno per far fronte ad un'emergenza prevedibile o dichiarata, oppure perché l'utilizzo di queste attrezzature in casi eccezionali non ne giustifica l'acquisto,

gli incendi forestali costituiscono un paradigma del primo caso: i paesi che dispongono dei velivoli necessari per intervenire si trovano nella medesima situazione nel medesimo periodo dell'anno; inviare attrezzature a un altro paese costituisce quindi una scelta delicata, considerato il pericolo esistente sul territorio nazionale. La solidarietà tra i paesi mediterranei dell'Unione è notevole; solitamente vengono spostati mezzi da una zona all'altra per casi estremamente difficili,

le inondazioni gravi, per le quali sono necessarie pompe di notevole portata, costituiscono un esempio del secondo tipo; queste pompe infatti non figurano solitamente nelle attrezzature in dotazione nella maggior parte dei paesi dell'Unione,

anche in situazioni di altro tipo, connesse alle nuove forme di terrorismo, si richiedono mezzi e attrezzature che consentano di intervenire in casi che, seppur eccezionali, continuano a essere potenzialmente gravi,

considerato quanto precede, l'Unione dovrebbe procurarsi mezzi e attrezzature di sua proprietà o fornite mediante contratti, che le consentano di potenziare le capacità di risposta degli Stati membri.

3.2.3   Centralizzare le basi operative

3.2.3.1

Le attuali strutture del meccanismo sono basate sulla messa a disposizione, a livello globale dell'UE, di squadre di intervento, di mezzi e di squadre di valutazione. Sebbene ciò abbia costituito un passo avanti rispetto alla situazione precedente, non significa che questa soluzione sia pienamente soddisfacente.

3.2.3.2

La stessa estensione geografica dell'Unione e la diversità dei rischi a cui essa deve far fronte rendono possibile considerare, all'interno del meccanismo, strutture di sostegno a livello regionale presso le quali verrebbero predisposti squadre e mezzi che sarebbero dunque rapidamente disponibili e si rivelerebbero più adeguati alle specificità di rischio su scala regionale nel territorio dell'UE.

3.2.3.3

Questi mezzi potrebbero essere disponibili in stagioni determinate (come per i velivoli destinati a contenere gli incendi forestali) oppure in maniera permanente.

3.2.3.4

Sarebbe inoltre possibile migliorare la ripartizione delle risorse raccolte dagli Stati vicini, le quali verrebbero messe a disposizione di tutti i paesi della regione. L'Unione potrebbe valutare di potenziare l'acquisto di attrezzature condivise da paesi di medie dimensioni o interessati da un rischio comune (inondazioni in un determinato bacino, sismi, ecc.).

3.2.4   Allestimento di un organo tecnico centralizzato d'intervento, operativo 24 ore su 24

3.2.4.1

Al momento il CMI, pur essendo operativo 24 ore su 24, non dispone di risorse umane e tecniche adeguate, come è il caso invece dei centri di emergenza esistenti nella maggior parte degli Stati membri. La Commissione si deve impegnare a correggere questa situazione.

3.2.4.2

L'approccio attualmente seguito dalla Commissione prevede nondimeno di limitarsi ad ottenere determinate risorse in funzione dell'emergenza del caso. Bisogna quindi domandarsi se questa impostazione risponda adeguatamente agli obiettivi che la situazione impone.

3.2.4.3

Per definizione, il CMI non è un centro di decisione, né di coordinamento operativo di un'emergenza; questo non va messo in discussione. Ciononostante, allorquando occorre agevolare l'adozione di decisioni o prevedere un'assistenza, è necessario evitare soluzioni improvvisate e seguire una determinata procedura di condotta, la quale varierà a seconda delle circostanze di emergenza. Non si reagisce infatti nella stessa maniera a un'inondazione, a uno smottamento, a un sisma o a un'eruzione vulcanica. Anche i mezzi utilizzati differiscono.

3.2.4.4

È quindi necessario che il CMI, oltre a disporre dei dati più affidabili in caso di emergenza (a tal fine la Commissione prevede contatti con gli organi specializzati all'interno e all'esterno dell'UE), possa contare anche su piani di assistenza predefiniti finalizzati a garantire una risposta efficace e rapida, in funzione del tipo di emergenza, della gravità e del paese, ecc. In questi piani andrebbero senza dubbio inseriti i moduli in stand-by presenti in ciascun paese.

3.2.4.5

È opportuno stabilire se il CMI, oltre ad essere un centro per il monitoraggio, possa acquisire funzioni di coordinamento degli organismi nazionali, delle organizzazioni specializzate negli aiuti umanitari e, in particolare, delle associazioni di volontariato che prestano aiuto in qualsiasi catastrofe. Il coordinamento è un compito necessario e deve essere portato avanti da organismi che dispongano di tutte le informazioni e dei mezzi necessari a tale scopo.

3.2.5   Formazione delle squadre di intervento

3.2.5.1

Le squadre di intervento preselezionate dagli Stati membri sanno certamente come agire di fronte alle emergenze. L'attuale programma di formazione sta infatti dando buoni risultati relativamente alla capacità di intervento comune. Bisogna però aumentare il numero di corsi e cercare di organizzarli in altre lingue diverse dall'inglese; si può infatti pensare a interventi in paesi culturalmente vicini ad altre lingue, come il francese o lo spagnolo.

3.2.5.2

I piani di assistenza, una volta definiti, dovranno essere noti alle squadre di intervento: bisognerà dunque includerli nei programmi di formazione.

3.2.5.3

Va considerata la possibilità di ricorrere alle nuove tecniche di formazione a distanza per dispensare questi nuovi corsi.

4.   Osservazioni specifiche in merito alla proposta della Commissione

4.1

Pur essendo certamente positiva, la proposta può essere migliorata, considerando che il meccanismo è stato pensato per gli interventi all'interno dell'UE e costituisce dunque, al momento, uno strumento (se non addirittura lo strumento) di solidarietà interterritoriale dell'Unione.

4.2

Quest'ultima non deve pertanto lesinare i mezzi atti a garantire la risposta più rapida ed efficace alle diverse tipologie di emergenza. Risultano quindi fondamentali procedure di condotta predefinite o piani di assistenza da testarsi nel corso di simulazioni e da adeguarsi in base all'esperienza acquisita in dette simulazioni o negli interventi reali.

4.3

I piani dovranno prevedere strumenti di comunicazione, una cartografia completa e i mezzi adeguati per ottenere un coordinamento soddisfacente; questi ultimi dovranno inoltre essere di proprietà dell'Unione. I piani europei d'intervento costituirebbero un modello da seguire e rafforzerebbero l'immagine e l'influenza dell'Unione a livello internazionale.

4.4

Andrà inoltre ascoltata l'opinione delle squadre di valutazione e dei coordinatori dell'Unione in merito al recupero della zona colpita e ai piani di intervento successivi.

4.5

Il CESE ritiene che tutte le azioni realizzate dal meccanismo comunitario dovrebbero beneficiare di adeguate risorse finanziarie che garantiscano un'adeguata disponibilità non solo di tecnici ma anche di mezzi propri per migliorare l'intervento dell'Europa e la sua visibilità, soprattutto nel caso delle catastrofi che si verificano fuori del territorio dell'UE. Tra i mezzi propri occorre insistere soprattutto sui trasporti, per far sì che la dotazione di una flotta disponibile permetta di condurre un'azione rapida riducendo il più possibile le conseguenze delle catastrofi.

4.6

È necessario infine considerare gli eventuali interventi sul territorio di paesi terzi nell'ambito del meccanismo comunitario come parte integrante della politica estera dell'UE, attribuendo loro l'importanza che meritano, in quanto dimostrazione della solidarietà immediata dell'Unione con paesi che attraversano situazioni tragiche.

5.   Conclusioni

5.1

Il CESE approva il contenuto della comunicazione sul miglioramento del meccanismo comunitario di protezione civile. Ritiene tuttavia che alcuni aspetti concreti possano essere perfezionati e sottolinea in particolare che alcune delle osservazioni formulate nel presente parere sono frutto di una valutazione da parte dei rappresentanti della società civile organizzata, membri del CESE.

5.2

Come punto di partenza, e tenendo conto della necessità di rendere obbligatoria l'osservanza delle misure proposte, si dovrebbe ricorrere ad un adeguato strumento giuridico. A tale scopo, il CESE giudica il regolamento (9) lo strumento in grado di svolgere una funzione armonizzatrice e coercitiva in tutti gli Stati membri dell'UE.

5.3

È opportuno inoltre precisare che le risorse finanziarie da assegnare al meccanismo devono essere sufficienti a coprire l'aumento del personale e l'acquisto di materiale di proprietà. Inoltre, nonostante nella comunicazione non venga specificato il sostegno finanziario concesso agli Stati membri, la nuova proposta relativa al Fondo di solidarietà (10) deve prendere in considerazione e citare tutte le catastrofi naturali, compresa la siccità.

5.4

Tra i miglioramenti a favore del meccanismo proposti dal CESE e illustrati nel presente parere, figurano in particolare i seguenti:

creazione di un sistema di comunicazione via satellite,

istituzione di squadre d'intervento proprie al meccanismo,

identificazione del personale e delle squadre dell'UE, soprattutto nel corso di interventi al di fuori del territorio dell'UE,

regionalizzazione delle basi operative e coordinamento tra di esse,

formazione tecnica delle squadre, da assicurare in diverse lingue.

5.5

In quanto rappresentante della società civile, il CESE esprime pubblicamente il suo sostegno alle azioni di volontariato portate avanti in caso di catastrofi. Il lavoro dei volontari, non retribuito e molto spesso permanente, non è solo una prova di solidarietà ma anche un mezzo per intervenire attivamente nelle zone colpite e rimediare ai danni personali e materiali causati dalle catastrofi.

Bruxelles, 14 dicembre 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne–Marie SIGMUND


(1)  La Commissione ha presentato il documento COM(2005) 124 def. del 6.4.2005, nel quale sono contenuti i seguenti strumenti: comunicazione che istituisce il programma quadro «Sicurezza e tutela delle libertà» per il periodo 2007-2013; proposta di decisione del Consiglio che istituisce il programma specifico «Prevenzione, preparazione e gestione delle conseguenze in materia di terrorismo» per il periodo 2007-2013; proposta di decisione del Consiglio che istituisce il programma specifico «Prevenzione e lotta contro la criminalità» per il periodo 2007-2013 (SEC(2005) 436).

(2)  Decisione 2001/792/CE, Euratom del Consiglio.

(3)  Decisione 1999/847/CE del Consiglio, del 9.12.1999.

(4)  COM(2005) 113 def. - 2005/0052 (CNS) del 6.4.2005.

(5)  Decisione 2001/792/CE, citata, articolo 6.

(6)  Proposta di regolamento del Consiglio del 6.4.2005, citata in precedenza.

(7)  Sistema comune di comunicazione e informazione in caso di emergenza, relativo al meccanismo comunitario.

(8)  Centro di informazione e monitoraggio.

(9)  Ad esempio la Commissione ha proposto un regolamento che istituisce uno strumento di risposta rapida e preparazione alle emergenze gravi (COM(2005) 113 def.) del 6.4.2005.

(10)  Adottata il 6 aprile 2005 (COM(2005) 108 def.).


17.3.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 65/46


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le società miste nel settore della pesca comunitaria: situazione presente e futura

(2006/C 65/09)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 luglio 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema: Le società miste nel settore della pesca comunitaria: situazione presente e futura.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 9 novembre 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore SARRÓ IPARRAGUIRRE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 dicembre 2005, nel corso della 422a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 122 voti favorevoli e 10 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

La politica comune della pesca (PCP) ha introdotto per la prima volta le società miste, come strumento di politica strutturale, nel regolamento 3944/90, dandone la seguente definizione: «per società mista s'intende una società di diritto privato che raggruppi uno o più armatori comunitari e uno o più partner di un paese terzo con il quale la Comunità abbia delle relazioni e che siano vincolati da un contratto di società mista, destinata a sfruttare e, se del caso, a valorizzare le risorse alieutiche situate nelle acque sotto sovranità e/o giurisdizione di detti paesi terzi, nella prospettiva di approvvigionare in via prioritaria il mercato della Comunità» (1). Negli anni '90, periodo in cui la PCP ha registrato un importante sviluppo rispetto al passato, si è diffuso l'uso del termine «Europa blu». Tale concetto torna attualmente di attualità addirittura in un senso più ampio, come conseguenza dei dibattiti avviati in merito alla elaborazione di una politica marittima comune.

1.2

L'evoluzione della PCP non ha comportato una revisione del concetto di società miste le quali, dunque, hanno continuato ad essere considerate solo uno strumento di politica strutturale nel settore della pesca, alternativo allo smantellamento o alla definitiva esportazione dei pescherecci. I relativi articoli dei regolamenti citati al successivo punto 2.1.2 del presente parere illustrano perfettamente questa situazione. La normativa applicabile, pertanto, aveva esclusivamente un carattere di controllo finanziario.

1.3

Tuttavia, le società miste sono molto di più che un semplice strumento di politica strutturale nel settore della pesca. Esse sono un mezzo per raggiungere una serie di obiettivi chiaramente definiti nei diversi documenti e nelle varie norme esistenti nell'Unione europea e che vanno dall'approvvigionamento dei mercati alla politica di cooperazione, passando per le politiche in materia di occupazione e di sviluppo regionale, la promozione di una pesca responsabile, l'intervento dell'Unione europea nelle varie organizzazioni regionali nel settore della pesca (ORP) e, in generale, la presenza del capitale e della forza lavoro qualificata degli Stati membri nei progetti di investimento sostenibile in altri paesi e su altri mercati.

1.4

È chiaro che la visione delle società miste come semplice strumento di politica strutturale è stata definitivamente superata con la riforma della PCP. Tuttavia, come vedremo più avanti, è anche vero che questo ha portato, attualmente, alla mancanza quasi totale di una regolamentazione che fornisca un quadro specifico alle società miste nell'ambito delle competenze specifiche dell'UE e delle sue politiche.

1.5

È vero inoltre che il Comitato ha sempre sostenuto, nei pareri richiesti dalla Commissione, la necessità di adeguare le società miste nel settore della pesca alla nuova PCP. Lo ha affermato nel parere in merito alla proposta di regolamento del Consiglio sull'attuazione della riforma della PCP (2) e lo ha ribadito nel parere (3) relativo alla proposta di regolamento del Consiglio concernente il Fondo europeo per la pesca (4). La posizione del Comitato è stata poi comunicata pubblicamente, in occasione della sua visita alla sezione specializzata NAT il 16 giugno 2005, al commissario responsabile, il quale ha deciso di prenderla in considerazione.

1.6

Con il presente parere, il Comitato economico e sociale europeo intende approfondire ulteriormente la linea già tracciata, apportando gli elementi di giudizio necessari per promuovere una nuova definizione del ruolo delle società miste nel settore della pesca e modificando, di conseguenza, il contenuto delle norme che le disciplinano, sulla base dei documenti ufficiali e dei fatti in essi contenuti.

1.7

Un'eventuale accettazione di questo nuovo concetto potrebbe rendere necessari gli sforzi per dare a questo tipo di società un riconoscimento ampio e specifico. Le società miste costituiscono infatti una realtà particolare e unica nell'ambito del commercio internazionale e forniscono all'Unione europea una linea d'azione ben precisa nelle relazioni con i paesi terzi.

2.   Osservazioni generali

2.1   L'inserimento delle società miste nella normativa dell'Unione europea

2.1.1

Le società miste operanti nel settore della pesca sono state inserite nel diritto comunitario con il regolamento 3944/90 del Consiglio, che ha modificato il regolamento 4028/86 del Consiglio. Esse sono viste come uno strumento in grado di ridurre la capacità di pesca della flotta comunitaria e di garantire al tempo stesso l'approvvigionamento del mercato dell'UE, tenendo conto della penuria di risorse presenti nelle acque comunitarie e del divieto di accesso alle zone economiche esclusive dei paesi terzi. Si tratta di un approccio basato su quattro punti: eliminazione dell'eccesso di capacità, garanzia dell'approvvigionamento, mantenimento parziale dell'occupazione e realizzazione degli accordi politici e commerciali con i paesi terzi (5). Le modalità di applicazione di detti regolamenti sono state fissate nel regolamento 1956/1991 della Commissione (6).

2.1.2

Con l'adozione dei regolamenti (CEE) 2080/93 (7) e 3699/93 (8) del Consiglio, la gestione e il finanziamento delle società miste nel settore della pesca sono stati integrati nello Strumento finanziario di orientamento della pesca (SFOP). Il principio di sussidiarietà rende gli Stati membri responsabili della scelta dei progetti, della loro gestione e controllo, e infine del pagamento delle sovvenzioni. Queste ultime all'inizio erano identiche a quelle relative allo smantellamento o all'esportazione e alla fine corrispondevano all'80 % del premio previsto in caso di smantellamento dei pescherecci. Gli armatori comunitari possono dunque legittimamente pensare che la differenza di sovvenzioni tra il premio allo smantellamento e quello relativo al trasferimento a società miste sia dovuta al mantenimento di un rapporto favorevole tra la nuova società mista cui l'armatore cede il suo o i suoi pescherecci e l'Unione europea. Tali principi hanno continuato ad essere in vigore nel regolamento 2468/98 del Consiglio del 3 novembre 1998 (9), che deroga al regolamento 3699/93, e nel regolamento 2792/1999 del Consiglio del 17 dicembre 1999 (10). È tuttavia importante sottolineare che quest'ultimo ha introdotto un concetto più semplice di società mista, definita come «una società commerciale con uno o più soci del paese terzo di iscrizione della nave» (11).

2.2   Antecedenti

2.2.1

Nel Libro verde sul futuro della politica comune della pesca  (12) la Commissione ha riconosciuto sia l'eccesso di capacità della flotta comunitaria sia la globalizzazione del settore della pesca e la legittima aspirazione di molti paesi in via di sviluppo ad ampliare la loro propria industria in questo settore. Su queste tre idee, e sulla necessità di consistenti capitali di investimento nel settore (in termini di flotta, porti, frigoriferi, impianti, ecc.) anch'essa riconosciuta nel Libro verde, si sarebbe dovuto avviare un dibattito specifico sull'importanza delle società miste nel settore della pesca, che avesse una portata più ampia rispetto a quella evidenziata nei documenti ufficiali di quel periodo (13).

2.2.1.1

Le società miste sono lo strumento con cui l'Unione europea è presente nei paesi in via di sviluppo e può investire a favore dello sviluppo del settore ittico di questi paesi consentendo la formazione o la crescita di un settore economico a tutti gli effetti. Il trasferimento di pescherecci a tali società miste permette non solo di promuovere la pesca come attività di cattura, ma è anche vantaggioso per altri settori, ad esempio quello portuario. Esso favorisce inoltre il miglioramento di alcuni servizi (riparazioni, ingegneria, rifornimento di viveri, consegna, trasbordo, carico e scarico, assistenza agli equipaggi, viaggi, ecc.), il mantenimento effettivo delle condizioni di raffreddamento (come richiesto dalle norme di sicurezza alimentare dell'Unione europea) attraverso investimenti in costosi impianti frigoriferi, l'osservanza delle norme sanitarie in materia di prodotti alimentari e, infine, la creazione di industrie di trasformazione.

2.2.1.1.1

Oltre a mantenere posti di lavoro di qualità tra gli ufficiali e i gradi medi degli equipaggi di numerosi pescherecci, le società miste rappresentano uno strumento in grado di creare un gran numero di posti di lavoro sulle navi stesse e nelle imprese di servizi complementari. Questi posti di lavoro possono offrire una valida alternativa, in termini di condizioni di lavoro e di introiti, ai pescatori locali i quali avrebbero altrimenti come unica soluzione la pesca tradizionale, in molti casi inefficiente e pregiudizievole per le stesse risorse, a causa della mancanza o della penuria di meccanismi di controllo, conservazione, commercializzazione, ecc.

2.2.1.2

A sua volta, la creazione di ricchezza locale e l'esportazione delle catture, soggette o no a trasformazione, permette da un lato di creare catene di valore internazionali, in cui i vantaggi vengono ripartiti in modo più equo, e dall'altro di incrementare in maniera esponenziale il PIL e il reddito pro capite attribuibile al settore nei paesi in questione. Poco per volta, questo crea una industria della pesca in luoghi dove prima esisteva una pesca essenzialmente costiera, che non godeva delle adeguate condizioni sanitarie e commerciali.

2.2.1.3

Le società miste nel settore della pesca sono state obbligate a sottoscrivere l'impegno di rifornire in via prioritaria i mercati europei, in modo da garantire la realizzazione e il mantenimento degli investimenti da parte degli armatori, degli industriali del settore, degli Stati membri e della stessa Unione europea (attraverso le sovvenzioni) e di rifornire un mercato comunitario in situazione deficitaria, nel quale il consumo di pesce è aumentato in quanto i cittadini, rispondendo alle ripetute raccomandazioni da parte sia degli organi scientifici sia delle autorità pubbliche, tendono sempre più a seguire una dieta sana e varia. Tale rifornimento deve inoltre basarsi sulla rigorosa osservanza della normativa alimentare dell'Unione europea.

2.2.1.4

L'attività delle società miste nelle zone dell'Unione europea che dipendono dalla pesca permette di garantire non solo i livelli occupazionali in questo settore, mantenendo in funzione gli uffici centrali, tecnici e commerciali delle imprese con sede in Europa, ma anche i posti di lavoro creati nelle industrie complementari, vuoi direttamente, quando le grandi navi rientrano nei porti di base europei per la loro manutenzione quadriennale, vuoi indirettamente, in quanto si creano catene di servizi know-how con le industrie locali di servizi cui si è fatto riferimento in precedenza.

2.2.1.5

Le società miste nel settore della pesca consentono all'Unione europea di raccogliere dati importanti per il monitoraggio e il controllo delle catture nelle acque dei paesi terzi e internazionali, mantenendo un legame giuridico con le società di pesca con sede nelle zone di origine. L'Europa può in tal modo svolgere un ruolo di leader nell'attività svolta all'interno delle apposite Organizzazioni regionali della pesca, create o gestite sotto l'egida della FAO, l'organizzazione delle Nazioni Unite competente in materia (14). Le società miste hanno infatti l'obbligo di comunicare agli Stati membri i dati semestrali relativi alle loro catture, affinché la Commissione, gli Stati membri e la Corte dei conti possano effettuare il necessario controllo finanziario.

2.2.1.6

Le società miste inoltre assicurano la presenza dell'Unione europea e la salvaguardia dei suoi interessi nelle acque e nei fondali internazionali. La qualità della presenza dell'UE è garantita dai requisiti in termini di pesca responsabile, conservazione e gestione delle risorse, sicurezza a bordo delle navi, controllo e sicurezza della catena alimentare imposti dai regolamenti comunitari. In tal modo, si evita o si riduce al minimo l'effetto dannoso di alcune flotte pescherecce straniere che non favoriscono lo sviluppo del paese terzo sul piano industriale e della pesca, non garantiscono la qualità della pesca di prodotti destinati al consumo nell'Unione europea e non consentono un controllo adeguato e responsabile delle risorse.

2.2.1.7

Grazie alle società miste, infine, l'Unione europea può contribuire in modo efficace e duraturo allo sviluppo di una industria di pesca locale in quei paesi con cui ha sottoscritto accordi nel settore e nei quali operano società miste o società locali controllate da imprenditori europei. Tale industria ha prodotto benefici sia nei paesi terzi sia nella stessa UE, in quanto ha permesso l'approvvigionamento costante di prodotti ittici.

2.2.2

A tutto questo il già più volte citato Libro verde non fa neppure un riferimento indiretto, né al punto 3.9 (La dimensione internazionale della PCP) (15) né al punto 5.8 (Relazioni esterne) (16). Le società miste nel settore della pesca non vengono citate nemmeno una volta come strumento idoneo per la realizzazione dei principi della politica di pesca propugnati dallo stesso «Libro verde». Eppure, fino al 2002, tali società erano state prese in considerazione in una lunga serie di norme comunitarie, come il presente parere dimostra ampiamente.

2.2.3

La quasi totale scomparsa delle società miste dalla nuova PCP è dimostrata dal fatto che l'ultima relazione eseguita su incarico della Commissione contenente dati completi su questo aspetto specifico risale al 2001 e non precisa quali navi appartengano a società miste (17). La relazione precedente a questa era datata 16 giugno 2000 e intitolata Étude de bilan des sociétés mixtes dans le contexte des interventions structurelles dans le domaine de la pêche (Analisi delle società miste nel contesto degli interventi strutturali nel settore della pesca). Tali documenti segnalano attualmente la presenza di circa 300 società miste che possiedono più di 600 pescherecci. Tali società sono rimaste escluse dal quadro normativo comunitario in materia di pesca e trovandosi in una situazione di vuoto giuridico divengono semplici imprese straniere a partecipazione comunitaria, che hanno nei confronti dell'UE l'obbligo di approvvigionamento prioritario e di trasmissione regolare di informazioni. La loro unica protezione è quella garantita dai trattati bilaterali di tutela reciproca degli investimenti tra lo Stato membro di origine e il paese terzo destinatario.

2.3   La situazione attuale

2.3.1

Nel corso della stesura definitiva del già citato Libro verde, sono stati adottati due regolamenti: il regolamento (CE) n. 1263/1999 del Consiglio del 21 giugno 1999 relativo allo Strumento finanziario di orientamento della pesca (18) e il regolamento (CE) n. 2792/1999 del 17 dicembre 1999 che definisce modalità e condizioni delle azioni strutturali nel settore della pesca (19). Questi due regolamenti continuano a dare alle società miste valore giuridico all'interno dello SFOP fino al 31 dicembre 2006, data in cui non saranno più in vigore.

2.3.2

Dal 31 dicembre 2004, tuttavia, in base al regolamento (CE) n. 2369/2002 del Consiglio del 20 dicembre 2002, che modifica il regolamento n. 2792/1999 che definisce modalità e condizioni delle azioni strutturali nel settore della pesca (20), le società miste sono rimaste praticamente escluse dalla politica strutturale dell'Unione europea in materia di pesca. Esse comunque continuano a far parte dell'acquis comunitario in quanto devono soddisfare le norme applicabili al momento della loro creazione, ma non dispongono di un apposito quadro regolamentare a medio e lungo termine.

2.3.3

Il principio su cui si basa l'eliminazione degli aiuti alle società miste nel settore della pesca e dunque la soppressione di quasi tutti i riferimenti giuridici in merito, è contenuto al quinto considerando del regolamento (CE) n. 2369/2002, secondo cui lo SFOP dovrebbe essere mirato principalmente alla riduzione delle capacità mediante demolizione dei pescherecci. La semplice riduzione della capacità di pesca è solo uno dei tanti obiettivi delle politiche comunitarie ai quali hanno contribuito e possono continuare a contribuire le società miste, come sarà illustrato più avanti.

3.   Osservazioni particolari

3.1

L'opportunità di mantenere una politica specifica per le società miste del settore della pesca nell'ambito della PCP

3.1.1

Le società miste del settore della pesca non devono essere escluse dalla normativa in vigore in quanto rispondono ad una logica economica particolarmente adeguata in un contesto caratterizzato dalla globalizzazione. Tale logica consiste da un lato in un risparmio dei costi, che nel paese di destinazione sono generalmente più contenuti rispetto a quelli dello Stato membro di origine, e dall'altro nel trasferimento di tecnologie, nella creazione e nella ripartizione di valore aggiunto, nell'accesso alle risorse e nell'approvvigionamento dei mercati.

3.1.2

Oltre a garantire, nella zone dell'UE dipendenti dalla pesca, il mantenimento parziale dell'occupazione tanto a mare quanto a terra, le società miste consentono di creare nuovi posti di lavoro di maggiore qualità nei paesi terzi in cui trovano sede. Detta creazione di posti di lavoro prevede la formazione e la qualificazione dei lavoratori locali.

3.1.3

Le società miste del settore della pesca sono state introdotte nell'ordinamento comunitario nel 1990, nell'ambito della politica strutturale della pesca. Per quindici anni, pertanto, esse sono state uno strumento riconosciuto valido. La loro ingiusta eliminazione dalla nuova PCP proposta dalla Commissione e la loro scomparsa dalla normativa in vigore a partire dal 1o gennaio 2005 hanno per effetto la mancanza di un sostegno comunitario ad un meccanismo utile di cooperazione economica dell'Unione europea nei paesi terzi, normalmente paesi in via di sviluppo. Questo inoltre può essere visto come una violazione del principio di legittima fiducia che normalmente presiede alle relazioni tra gli operatori europei e le istituzioni comunitarie.

3.1.4

Le società miste possono e devono essere oggetto di un capitolo specifico dei trattati multilaterali o bilaterali di cooperazione con i paesi terzi, in cui occorre definire norme concrete che tengano conto delle loro particolarità, sia dal punto di vista dell'attività di pesca in quanto tale, sia sotto il profilo della promozione e protezione degli investimenti europei all'estero, e infine sul piano doganale, professionale, fiscale, ecc.

3.1.5

Anche se, in base alla normativa vigente, le società miste possono rientrare nei cosiddetti «accordi di partenariato», finora non è stato possibile osservare risultati pratici di una certa importanza. È dunque necessaria una norma che coordini le diverse competenze all'interno della Commissione (direzioni generali Sviluppo, Cooperazione e Pesca e affari marittimi) e precisi agli imprenditori e agli altri operatori del settore in che modo bisogna agire nel quadro di tali accordi o di qualsiasi altro strumento esistente per raggiungere detti risultati.

4.   Conclusioni

4.1

Il Comitato raccomanda che, nell'ambito dei lavori di revisione della PCP e conformemente a quanto è già emerso nelle conclusioni del Consiglio del 19 luglio 2004 (21), le società miste, non più considerate un fattore di regolamentazione strutturale delle capacità di pesca alternativo allo smantellamento dei pescherecci, siano riconosciute come un mezzo di approvvigionamento dei mercati e come uno strumento di azione settoriale a disposizione dell'Unione europea nel quadro delle sue competenze proprie, degli accordi internazionali e regionali e dei Trattati bilaterali, ai fini di una corretta applicazione delle politiche di pesca dell'UE conformemente ai principi della FAO e dell'OMC. Occorre ovviamente fare attenzione a non produrre un incremento delle capacità di pesca che possa portare ad uno sfruttamento eccessivo delle risorse.

4.2

Per il Comitato è necessario:

4.2.1

effettuare, ad opera della Commissione, un'analisi particolareggiata e aggiornata sulla realtà e sulle potenzialità delle società miste nel settore della pesca, trasmettendone le conclusioni alle altre istituzioni dell'Unione e ai settori interessati;

4.2.2

introdurre nella legislazione comunitaria vigente le norme e le procedure necessarie per dare sicurezza giuridica alle società miste in un quadro d'azione a lungo termine, specifico e stabile, basato sugli accordi bilaterali o multilaterali conclusi con i paesi terzi e che tenga conto delle particolarità di questa attività, dei suoi effetti positivi dal punto di vista della gestione delle risorse ittiche, dell'approvvigionamento dei mercati, della creazione di posti di lavoro nelle zone dipendenti dalla pesca, della creazione di valore aggiunto, della cooperazione e degli scambi internazionali.

Bruxelles, 14 dicembre 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Articolo 21 bis del regolamento 3944/90.

(2)  (GU C 85 dell'8.4.2003).

(3)  GU C 267 del 27.10.2005. (punti 3.5.1.1.2.1. e 5.5., secondo trattino).

(4)  COM(2004) 497 def. - 2004/0169 (CNS).

(5)  Analisi delle società miste nel contesto degli interventi strutturali nel settore della pesca, Cofrepeche 16.6.2000 (http://europa.eu.int/comm/fisheries/doc_et_publ/liste_publi/bilansm.pdf).

(6)  Regolamento (CEE) 1956/91 della Commissione del 21 giugno 1991 che fissa le modalità d'applicazione del regolamento (CEE) n. 4028/86 del Consiglio per quanto riguarda le azioni di incentivazione alla costituzione delle società miste - GU L 181 dell'8.7.1991, da pag. 1 a pag. 28.

(7)  GU L 193 del 31.7.1993, pag. 1.

(8)  GU L 346 del 31.12.1993, pag. 1.

(9)  GU L 312 del 20.11.1998, pag. 19.

(10)  GU L 337 del 30.12.1999, pag. 10.

(11)  Articolo 8, paragrafo 1, secondo capoverso, del Regolamento 2792/1999 del Consiglio del 17 dicembre 1999.

(12)  COM(2001) 135 def. del 20.3.2001.

(13)  Cfr. la Comunicazione della Commissione relativa ad un quadro integrato applicabile agli accordi di partenariato con i paesi terzi nel settore della pesca - COM(2002) 637 def. del 23.12.2002, pag. 7 e nota 15 riportata nella stessa pagina.

(14)  http://www.fao.org/fi/inicio.asp

(15)  Pag. 18.

(16)  Da pag. 37 a pag. 41.

(17)  «European Distant Water Fishing Flee»t some principles and some data, aprile 2001, disponibile in francese e in inglese sul sito Internet della direzione generale Pesca e affari marittimi della Commissione europea.

(18)  GU L 161 del 26.6.1999.

(19)  GU L 337 del 30.12.1999, pag. 10.

(20)  GU L 258 del 31.12.2002, pag. 49.

(21)  Cfr. il documento 11234/2/04 riv. 2 (presse 221) disponibile sul sito www.consilium.eu.int


17.3.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 65/50


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio che stabilisce la tabella comunitaria di classificazione delle carcasse di bovini adulti

COM(2005) 402 def. — 2005/0171 (CNS)

(2006/C 65/10)

Il Consiglio, in data 7 ottobre 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 9 novembre 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore Frank ALLEN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 dicembre 2005, nel corso della 422a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 127 voti favorevoli, nessun voto contrario e 5 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Lo scopo della presente proposta è quello di avviare la codificazione del regolamento (CEE) n. 1208/81 del Consiglio, del 28 aprile 1981, che stabilisce la tabella comunitaria di classificazione delle carcasse di bovini adulti (1); il nuovo regolamento sostituisce i vari regolamenti che esso incorpora (2), preserva in pieno la sostanza degli atti oggetto di codificazione e pertanto non fa altro che riunirli apportando unicamente le modifiche formali necessarie ai fini dell'opera di codificazione.

2.   Osservazioni generali

2.1

Il Comitato ritiene estremamente utile che tutti i testi vengano incorporati in un unico regolamento. Nel contesto dell'Europa dei cittadini, infatti, al pari della Commissione il Comitato attribuisce grande importanza alla semplificazione e alla chiara formulazione della normativa comunitaria, perché questa diventi più comprensibile e accessibile al cittadino comune e gli offra nuove opportunità e la facoltà di far valere i diritti specifici che gli sono conferiti.

2.2

Dal momento che il legislatore si è adoperato perché questa versione codificata non contenesse alcuna modifica di carattere sostanziale ed avesse l'unico scopo di presentare la normativa comunitaria in maniera chiara e trasparente, il Comitato esprime il proprio sostegno incondizionato a tale iniziativa e, di fronte alle garanzie così fornite, accoglie favorevolmente la proposta.

Bruxelles, 14 dicembre 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Eseguita ai sensi della comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio - Codificazione della normativa comunitaria, COM(2001) 645 def.

(2)  Allegato III della proposta.


17.3.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 65/51


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il ruolo dei parchi tecnologici nel mutamento industriale dei nuovi Stati membri dell'UE

(2006/C 65/11)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 10 febbraio 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema Il ruolo dei parchi tecnologici nel mutamento industriale dei nuovi Stati membri dell'UE.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 novembre 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore TÓTH e dal correlatore KUBÍČEK.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 dicembre, nel corso della 422a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 127 voti favorevoli, 0 voti contrari e 6 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Nel vertice di marzo 2005, il Consiglio europeo ha deciso di rilanciare la strategia di Lisbona, incentrandola sulla crescita e sull'occupazione.

1.2

Con la raccomandazione n. 10667/05, del giugno 2005, il Consiglio ha proposto gli indirizzi di massima per le politiche economiche per il periodo 2005-2008, nel quadro degli orientamenti integrati di politica economica.

1.3

L'orientamento n. 8 verte sull'esigenza di agevolare l'innovazione in tutte le sue forme negli Stati membri. Tra i mezzi suggeriti per realizzare tale obiettivo, il CESE segnala i parchi tecnologici, oggetto del presente parere, i quali soddisfano tutti i requisiti indicati dal Consiglio e corrispondono ai «poli di innovazione» indicati al punto 2 del succitato orientamento, in quanto mettono in contatto università, istituti di ricerca e imprese, integrando il livello regionale e quello locale e contribuendo a colmare il divario tecnologico tra le regioni.

1.4

Il CESE sottolinea inoltre che i parchi oggetto del presente parere contribuiscono ampiamente, già nello stadio attuale di sviluppo, alla realizzazione dell'obiettivo dell'orientamento n. 10, in quanto forniscono gli elementi di base del «tessuto» industriale che il Consiglio ritiene necessario sul territorio comunitario e, grazie alla loro forte competitività, rafforzano la base industriale dell'Unione.

1.5

I parchi dei nuovi Stati membri sono organizzati secondo principi analoghi a quelli dell'UE dei 15 e di numerose altre regioni del mondo. Le denominazioni sono variabili: i termini più ricorrenti nella terminologia e nelle formulazioni giuridiche sono «parco industriale», «parco scientifico», «parco tecnologico», «tecnopoli», «parco di ricerca», «parco commerciale», «centro di innovazione», e «incubatrice tecnologica». Il contenuto però rimane uguale: il parco costituisce il luogo di interazione tra la scienza, la tecnologia e lo sviluppo economico. Esso concentra le sinergie derivanti dalla collaborazione tra istituzioni e imprese per facilitare l'accesso al mercato e centralizza i servizi specializzati di alto livello che ne favoriscono lo sfruttamento, dedicando particolare attenzione all'incubazione di imprese, alle attività di spin off e alla creazione di reti di contatti.

1.6

Hanno altresì legiferato in materia di parchi industriali e tecnologici i due paesi che stanno attualmente negoziando l'adesione all'UE, la Bulgaria e la Romania.

1.7

I parchi offrono un quadro globale e strumenti per agevolare, incentivare e favorire l'innovazione e lo sviluppo territoriale. Le loro attività comprendono solitamente l'incubazione di imprese, la promozione del trasferimento di tecnologia e i programmi in favore degli investitori informali (business angel). Essi offrono inoltre eccellenti opportunità di predisporre e di eseguire le transazioni con capitali di rischio. I parchi concorrono in maniera apprezzabile all'avviamento, alla strutturazione e all'esecuzione di programmi comunitari con identiche o analoghe finalità. Essi costituiscono partner efficaci, in grado di operare in rete.

1.8

Nei dieci nuovi Stati membri i parchi tecnologici sono stati in genere creati e sviluppati mettendo in pratica i principi del rispetto dell'ambiente. Nel caso dei nuovi impianti questo è stato garantito dall'esigenza di conformarsi, nel quadro delle condizioni di adesione, a rigorose norme ambientali. Quando i parchi vengono costituiti nel contesto di una riorganizzazione o di una mutazione industriale, il loro avvio costituisce spesso il primo passo verso l'introduzione di soluzioni rispettose dell'ambiente.

1.9

I parchi nascono grazie all'effetto congiunto di differenti tendenze di sviluppo. Essi costituiscono una risposta regionale o locale alla mondializzazione, rispondono alla necessità di sormontare diversi problemi culturali, nazionali ed etnici e all'esigenza pressante di colmare importanti divergenze di sviluppo economico.

1.10

Le soluzioni fornite dai parchi hanno visibilmente un'incidenza occupazionale favorevole: in Ungheria, per esempio, dal 1997 ad ora sono stati creati più di 140 000 posti di lavoro. Un'influenza altrettanto positiva si è avuta in termini di insediamento di imprese e di prevenzione della deindustrializzazione; sempre in Ungheria dal 1997 ad ora oltre 2 500 imprese si sono stabilite nei parchi industriali. I posti di lavoro creati in tal modo sono generalmente correlati a tecnologie di punta e richiedono competenze di livello superiore per rispondere alle esigenze derivanti dal cambiamento strutturale.

1.11

Nei paesi comunitari più sviluppati, i 15 vecchi Stati membri, il sistema istituzionale, giuridico e finanziario della regionalizzazione si è sviluppato nel corso di decenni, insieme a strutture e a una terminologia dello sviluppo industriale corrispondenti alle mutevoli condizioni della crescita economica e del sistema di aiuti nazionali e comunitari. Nei nuovi Stati membri è prioritario azzerare il ritardo che si è creato in questi campi e pervenire ad un allineamento con i paesi più avanzati. Nel quadro di questi sforzi si è dedicata, e si continua a dedicare, particolare attenzione ai parchi industriali in quanto tali strutture servono a migliorare la competitività, a risolvere i problemi occupazionali e a ridurre i divari di sviluppo territoriale. Un elemento caratteristico di tale situazione è una certa dualità delle strutture socioeconomiche esistenti al momento dell'adesione; permangono, seppure generalmente in declino, gli elementi amministrativi, istituzionali e finanziari preesistenti, mentre si affermano in modo sempre più deciso le nuove strutture amministrative e gestionali.

Nei paesi in via di adesione i parchi industriali sono nati come espressione di nuove ambizioni nel campo della politica economica e industriale e dello sviluppo territoriale.

1.12

Il presente parere di iniziativa è inteso a esporre, nella prospettiva degli interventi di competenza comunitaria, le potenzialità dei parchi industriali e gli elementi che li collegano tra loro. Tali infrastrutture, che promuovono la coesione economica e sociale, meritano infatti, dopo l'allargamento dell'UE, un'attenzione particolare per quanto riguarda i mutamenti industriali. Va sottolineato che è stato proprio l'apparire di una regolamentazione interna comunitaria a rafforzare il ruolo dei parchi industriali nell'UE, e proprio a tale evoluzione hanno risposto, già vari anni fa, alcuni paesi di recente adesione o in via di adesione. Nondimeno in taluni casi non sono state formulate delle strategie di politica economica che tengano conto delle potenzialità dei parchi industriali e indichino un orientamento da seguire in funzione delle esigenze di integrazione internazionale.

1.13

Nel comunicato IP/05/1252 della Commissione europea, il commissario responsabile per le imprese e la politica industriale e quello competente per la scienza e la ricerca hanno sottolineato che l'innovazione e la ricerca sono l'elemento centrale dell'attività economica. In tale contesto si collocano i poli di innovazione, come pure i distretti orientati alla ricerca e quelli industriali. Il punto 3.2 del relativo piano di azione prevede il sostegno dell'Unione alle succitate strutture e invita gli Stati membri ad avvalersi pienamente, a tal fine, delle possibilità offerte dai i fondi strutturali (MEMO/05/366).

1.14

I parchi industriali, tecnologici, scientifici e le altre strutture che rientrano in tale denominazione svolgono il ruolo di poli di innovazione e contribuiscono così alla realizzazione delle priorità proprie della fase attuale di attuazione della strategia di Lisbona e degli orientamenti di politica economica 2005-2008. Con il presente parere di iniziativa il Comitato desidera favorire lo sviluppo di strutture di questo tipo nell'Europa dei 15 da un lato, e nei dieci nuovi Stati membri dall'altro, nonché la loro cooperazione reciproca. Il Comitato cerca inoltre di rendere più accessibili gli aiuti concessi dalla Commissione europea e dalle altre istituzioni dell'UE ai parchi industriali, tecnologici, scientifici e ad altre strutture analoghe in tutti gli Stati membri.

2.   Il parco come polo di innovazione: tipi di parco e loro sviluppo nel mondo

2.1   I tipi di parco

L'esperienza internazionale, come anche le osservazioni che precedono, indicano che non esistono due parchi industriali identici. È inoltre normale che un medesimo parco sia in costante mutamento. Le reti in fase di sviluppo mostrano bene la diversità dei parchi, come pure la loro capacità di adattamento al mutare delle esigenze. Nel seguito faremo quindi riferimento all'interpretazione globale del concetto di polo di innovazione, non limitando tale concetto alle sole attività condotte nei parchi e collegate in senso stretto all'innovazione nel settore industriale, tecnologico, scientifico e in altri campi, ma estendendolo ad una vasta gamma di attività che creano valore aggiunto.

Questo approccio è coerente con i termini utilizzati dalla Commissione europea per indicare i poli di competitività e di innovazione. Secondo la definizione della Commissione, i poli si formano attraverso una stretta collaborazione tra le imprese, i centri di formazione e gli istituti di ricerca pubblici o privati di una determinata zona. Il polo mette in pratica dei progetti comuni caratterizzati dall'innovatività, favorendo così la creazione di sinergie tra i differenti soggetti locali. Queste collaborazioni si concentrano su settori tecnologici o scientifici ben definiti e devono apportare una massa critica allo scopo di garantire la competitività e la visibilità internazionale.

2.2

A seconda della loro funzione (compiti) i parchi sono classificati in: parchi scientifici, parchi tecnologici, centri di innovazione e parchi commerciali.

Si caratterizzano invece per la loro struttura organizzativa più generale le tecnopoli, i poli tecnologici, i distretti tecnologici, le zone imprenditoriali e i metadistretti.

Sulla base della loro struttura, i parchi possono essere distinti in due categorie: i parchi industriali del tipo greenfield e i parchi impiantati su siti in via di riabilitazione.

2.3

I parchi si evolvono in modo continuo, attraversando diverse fasi di sviluppo. Le infrastrutture industriali monumentali tendono a lasciare il posto a stabilimenti più sofisticati per la produzione di beni di alto valore aggiunto, in cui svolgono un ruolo sempre più importante le tecnologie dell'informazione e della comunicazione e un'ampia gamma di servizi innovativi offerti dall'amministrazione del parco alle imprese che vi si insediano.

3.   La situazione nei nuovi Stati membri

3.1

In genere nei dieci Stati membri che sono entrati nell'Unione il 1o maggio 2004 si trovano parchi industriali corrispondenti a taluni tipi di infrastruttura descritti in dettaglio al punto 2.1. Cipro dispone di varie strutture chiamate «incubatrici di imprese». Finanziati parzialmente dal governo, questi enti privati gestiscono vari progetti concreti.

3.2

Nella Repubblica ceca sono state create 82 zone industriali, attraverso l'agenzia governativa CzehInvest, responsabile per la promozione degli investimenti, nel quadro del programma governativo inteso a sostenere lo sviluppo delle zone industriali. Nel 2001 tale programma è stato integrato da nuovi sottoprogrammi, intitolati «Rigenerazione delle zone industriali», «Costruzione e rigenerazione di proprietà da concedere in affitto» e «Accreditamento delle zone industriali».

3.3

In Estonia si trovano vari tipi di parchi industriali, con caratteristiche e denominazioni differenti. Molti di questi parchi industriali hanno preso vita grazie al sostegno delle amministrazioni locali/regionali e di altre organizzazioni. Essi si occupano principalmente di ricerca e sviluppo e collaborano con le grandi università. Vi sono attualmente due parchi di questo tipo, uno a Tartu e uno a Tallinn. I parchi industriali insediati su iniziativa di privati sono costituiti da imprese che perseguono fini di lucro e sono attive per lo più nel settore logistico, in quello commerciale, industriale o nei servizi.

3.4

In Polonia la maggior parte dei «parchi industriali» ha visto la luce negli ultimi anni. Tuttavia la loro importanza economica è trascurabile, perché attualmente la maggior parte degli investimenti, e specialmente di quelli provenienti dall'estero, si dirige verso le 14 «zone economiche speciali». Queste zone sono state istituite tra il 1995 e il 1997, con decreti governativi e per una durata di 20 anni, in aree industrialmente poco sviluppate o bisognose di ristrutturazione, allo scopo di favorire lo sviluppo regionale. In una prima fase gli investitori hanno beneficiato di un'esenzione dall'imposta sulle società pari al 100 % per i primi 10 anni e al 50 % per i successivi dieci, nonché di un esonero totale dalle tasse sugli edifici. A partire dal 1o gennaio 2001 questo sistema preferenziale è stato conformato alle disposizioni comunitarie. Lo statuto speciale delle zone economiche dovrà avere termine entro il 2017 ed è verosimile che in futuro il numero, l'importanza e la superficie dei parchi industriali aumentino.

3.5

In Lettonia i parchi sono chiamati «parchi commerciali». Le imprese decidono di insediarvisi attratte dalle infrastrutture e dalle condizioni amministrative vantaggiose di cui possono beneficiare. In Lettonia il programma nazionale di ricerca e sviluppo è disciplinato dalla legge sull'innovazione.

3.6

In Lituania i decisi sforzi fatti dal governo per promuovere lo sviluppo di industrie a forte intensità di mano d'opera e ad elevato valore aggiunto, come l'industria elettronica e l'elettronica automobilistica, o settori industriali e dei servizi che richiedono un forte capitale intellettuale, come le biotecnologie, le tecnologie dell'informazione o la tecnica laser, hanno contribuito alla costruzione della struttura industriale del paese. Il programma di sviluppo «parchi industriali», avviato a metà degli anni '90 e incentrato sulle zone periferiche delle città principali, è dotato di un'infrastruttura organizzata e costituisce uno degli strumenti di sviluppo economico del paese. Le attività finalizzate allo sviluppo industriale si concentrano nelle vicinanze delle città principali per sfruttare la disponibilità di mano d'opera qualificata.

3.7

In Ungheria il governo ha avviato un sistema di sviluppo di parchi industriali nel 1997. Nell'ambito di tale sistema le prospettive di sviluppo a lungo termine relative a ciascun progetto di parco industriale devono essere sottoposte al vaglio del ministero dell'Economia: se le strutture proposte risultano essere di livello adeguato, esse ottengono la denominazione di parchi industriali. L'obiettivo dei parchi industriali è quello di accrescere la competitività e la creazione di posti di lavoro, nonché di predisporre le condizioni necessarie per un'attività industriale, logistica e di servizi conforme alle norme comunitarie e rispettosa dell'ambiente. I parchi industriali ungheresi ospitano circa 2 500 multinazionali straniere e PMI nazionali, che danno lavoro a oltre 140 000 persone.

3.8

A Malta le statistiche relative all'anno scorso indicano il peso relativamente importante della produzione industriale nell'economia. L'agenzia per la promozione degli investimenti, Malta Enterprise, ha creato un «Centro di incubazione di imprese» allo scopo di favorire lo sviluppo di progetti innovativi, in particolare nel campo delle tecnologie dell'informazione, delle telecomunicazioni, della progettazione nel settore della meccanica e dell'ingegneria elettrica, del design industriale, delle energie rinnovabili e delle biotecnologie. Il centro di incubazione mette a disposizione delle imprese attive nei suddetti campi strutture di investimento e di finanziamento, come pure le diverse infrastrutture necessarie per il loro funzionamento.

3.9

In Slovacchia gli aiuti destinati ai parchi industriali sono regolamentati dalla legge sui parchi industriali (193/2001), modificata nel 2003 e nel 2004. In base a questa legge sono considerati parchi industriali le zone definite nei piani urbanistici e al cui interno una o più imprese svolgono un'attività di produzione industriale. Le amministrazioni locali o regionali possono insediare un parco industriale su un terreno di loro proprietà. La legge garantisce d'altro canto la possibilità che due o più comuni creino insieme un parco industriale nel quadro di un contratto.

3.10

In Slovenia i parchi industriali sono chiamati «parchi tecnologici». Il loro obiettivo è quello di stimolare la nascita e di favorire lo sviluppo di progetti imprenditoriali che richiedono tecnologie avanzate e una rilevante preparazione scientifica. Questi parchi tecnologici creano inoltre le infrastrutture fisiche e intellettuali necessarie per l'attuazione delle suddette iniziative, dedicando particolare attenzione alle esigenze delle PMI. Essi fungono altresì da elementi di raccordo tra le imprese e gli istituti di insegnamento superiore. Il ministero dell'Economia definisce un parco tecnologico come una persona giuridica che interviene anche nella realizzazione di progetti, a differenza di un'incubatrice la quale, pur essendo anch'essa una persona giuridica, si limita a creare le condizioni necessarie per il loro avvio.

4.   Obiettivi strategici e modelli

4.1

Malgrado le differenze che li separano, i parchi stanno progressivamente formando una rete le cui attività si inseriscono nella politica economica, industriale e dell'innovazione portata avanti da un determinato paese nel perseguimento dei propri obiettivi pubblici. Dall'analisi delle priorità delle pubbliche amministrazioni si evidenzia l'esistenza di politiche incentrate sui compiti, vale a dire tematiche e basate su risorse pubbliche, e di politiche incentrate sulla diffusione, ossia orientate principalmente ai risultati e alle sinergie, come pure di politiche di tipo misto.

4.2

I due modelli non sono sempre nettamente distinguibili in base ai loro obiettivi generali in quanto, per esempio, sostenere finanziariamente attraverso i parchi industriali le tecnologie di punta in una regione serve non soltanto a migliorare la situazione di tale regione, ma anche a far progredire l'innovazione in termini generali. Si tratta quindi di una questione di priorità.

5.   Il processo di Lisbona e i parchi industriali

5.1

Il processo di Lisbona annette grande importanza allo sviluppo dell'innovazione come metodo per stimolare la crescita, l'occupazione e la sostenibilità, nonché per promuovere la diffusione delle tecnologie e l'utilizzazione e la valorizzazione commerciale dei risultati della ricerca e dello sviluppo. I parchi industriali e le strutture ad essi collegate svolgono un ruolo essenziale nel contesto delle condizioni organizzative, finanziarie e giuridiche del processo di Lisbona.

5.2

I parchi industriali si caratterizzano per il loro speciale ruolo di promozione dell'innovazione. Nella formazione della rete dei parchi industriali non basta pertanto concentrarsi soltanto sugli aspetti relativi all'industria in senso stretto e all'agricoltura: per affrontare le sfide che l'economia ha davanti a sé, diviene sempre più indispensabile mobilitare le risorse intellettuali del mondo universitario. Per migliorare la competitività, accrescere la flessibilità economica e sfruttare il potenziale delle risorse umane è essenziale mobilitare le risorse intellettuali e promuovere l'innovazione.

6.   Trasferimento di conoscenze e innovazione

6.1   Centri di innovazione e agenzie di trasferimento

6.1.1

Questi organismi hanno un raggio d'azione che non si riduce a un settore ben delimitato: attraverso i servizi che offrono (senza fini di lucro o su base commerciale) alle imprese di una regione o di un paese, essi creano dei ponti tra la scienza e l'economia. La principale differenza tra le varie categorie consiste nelle modalità di funzionamento, che possono essere quelle di un prestatore di servizi («donatore») oppure quelle di un'impresa («beneficiario»). I centri e le agenzie incoraggiano le imprese e le aiutano ad avvalersi dei risultati della ricerca, svolgendo in questo processo un ruolo di intermediario. Gli enti che forniscono servizi connessi alla ricerca e allo sviluppo comprendono invece al loro interno istituti di ricerca, che in alcuni casi sono inglobati nelle stesse unità di cui fanno parte le imprese beneficiarie.

6.1.2

I principali servizi forniti dai centri e dalle agenzie sono la consulenza, la mediazione tecnologica, la gestione di banche dati contenenti informazioni commerciali, l'organizzazione di incontri d'affari e fiere, il contatto con specialisti, la fornitura dell'infrastruttura necessaria per la sperimentazione, il sostegno alle attività di diffusione delle imprese, la creazione di contatti con i business angel e il collegamento in rete.

6.1.3

La principale attività di tali organismi è la consulenza alle imprese. Per esempio il centro di innovazione dei Paesi Bassi e la rete di ricerca e sviluppo presente in Norvegia svolgono un ruolo di mediazione. Il loro servizio alle imprese consiste nel fare conoscere i risultati della ricerca e favorirne l'assimilazione. In Germania i centri di trasferimento e le agenzie effettuano il trasferimento di tecnologia in maniera più diretta: essi operano secondo il modello dei centri di servizi dell'industria della trasformazione che esistono negli Stati Uniti. Tra i loro servizi figurano i prestiti per la ricerca finanziati da programmi pubblici: essi forniscono alle imprese un sostegno finanziario per consentire loro di assumere ricercatori universitari coprendo una parte della relativa remunerazione.

6.1.4

In genere le agenzie di questo tipo vengono create sulla base di iniziative pubbliche (o eventualmente con l'intermediazione delle camere di commercio, come nel caso della Germania) in considerazione del fatto che lo sviluppo tecnologico non può essere reso efficace, per i beneficiari dei programmi, se non attraverso un aiuto esterno (generalmente pubblico); d'altro canto l'efficacia di questo genere di programmi riveste nel lungo periodo un particolare interesse economico. Le disparità più rilevanti si registrano, già adesso, nel quadro del finanziamento: i centri dei Paesi Bassi, per esempio, hanno un bilancio finanziato dal ministero dell'Economia e i loro servizi sono in parte gratuiti (le prime 16 ore di consulenza). Anche in Norvegia l'attività degli addetti alla ricerca e allo sviluppo è finanziata con fondi pubblici. In Germania e negli Stati Uniti, invece, i centri ottengono un sostegno finanziario che proviene da un fondo specifico e viene erogato in proporzione decrescente, in Germania nell'arco di tre anni, negli Stati Uniti a partire dal 50 % su un periodo di sei anni. I loro servizi vengono prestati in parte a titolo non lucrativo e in parte su base commerciale.

6.2   Gli organismi fornitori di servizi nel settore ricerca e sviluppo

6.2.1

Gli enti meglio organizzati, che consolidano il legame tra la scienza e l'industria, sono caratterizzati dal fatto di mettere in rete il settore della ricerca, in particolare quella di tipo industriale, gli istituti di sviluppo e le imprese. Grazie a un sostegno finanziario pubblico essi forniscono inoltre servizi nel settore ricerca e sviluppo rivolti specialmente alle piccole e medie imprese, sulla base di contratti corrispondenti a missioni ben precise. Le loro attività sono strettamente connesse a quelle delle università, ma è comunque necessario prenderli in considerazione a parte e distinguerli dalle agenzie e dai parchi universitari.

6.2.2

Inoltre questi organismi vengono istituiti sulla base di iniziative pubbliche e funzionano in parte essi stessi come organismi pubblici. La loro attività consiste nel diffondere i risultati della ricerca scientifica nel quadro di incarichi conferiti loro in parte dal settore privato (industria) e in parte dal settore pubblico (ministeri). Tra i due tipi di incarico sussistono differenze importanti per quanto riguarda il finanziamento, il quale può variare, a seconda dei casi, dal 10 al 100 %.

6.3   La relazione tra università e industria attraverso i parchi

6.3.1

I parchi vengono dislocati in prossimità di fonti di conoscenza, per lo più università e centri di ricerca, con i quali hanno relazioni contrattuali o di cui fanno parte (come in Ungheria l'InfoPark oppure il parco di innovazione dell'Università tecnica di Budapest, chiamato Innotech). In ogni caso il loro funzionamento è reso possibile da risorse pubbliche, erogate a livello nazionale o locale. Attraverso infrastrutture tecniche di livello elevato, questi parchi creano, in maniera sempre più completa, le condizioni necessarie per l'innovazione. Grazie al trasferimento tecnologico il processo di innovazione investe sempre più fasi e l'attività si può estendere a parchi differenti, fino alla realizzazione di prodotti pronti per la commercializzazione, alla loro fabbricazione in serie o addirittura all'insediamento di un nuovo comparto industriale.

6.3.2

Numerosi parchi di ricerca e parchi scientifici hanno favorito la prosperità delle zone in cui sono stati fondati e creato numerose opportunità scientifiche. Aree del genere si trovano tra l'altro in Francia, per esempio a Lione. In altri parchi francesi prevale il modello «tecnopoli», visto come incarnazione di una nuova concezione dello spazio urbano. I primi parchi giapponesi erano strutturati in modo analogo, ma nel quadro di un programma basato su una versione del modello «tecnopoli» simile a quello francese. Il più conosciuto tra questi parchi giapponesi è quello di Tsukala, concepito come città nuova interamente dedicata alla scienza e come investimento di tipo greenfield. Attualmente le tecnopoli vengono fondate sulla base di iniziative locali. Negli Stati Uniti, dove sono nati i primi parchi di innovazione, esse sono localizzate in aree di questo genere (ad esempio la Silicon Valley o i dintorni della Route 128 a Boston).

6.3.3

Attualmente vi sono parchi di innovazione in tutti gli Stati membri, da Lisbona ad Atene. I parchi che abbiamo esaminato sinora sono, tra gli organismi orientati all'innovazione, i più complessi e quelli dotati della maggior capacità di organizzazione, perché vi contribuiscono con tutti i vantaggi elencati sopra.

7.   Raccomandazioni

7.1

Il Comitato è del parere che l'Unione europea debba svolgere un ruolo attivo nel promuovere la creazione e lo sviluppo, negli Stati membri e nelle loro regioni, di reti di parchi industriali e tecnologici in quanto poli di attrazione, al fine di integrare pienamente le economie dei vecchi e nuovi Stati membri nel mercato interno allargato. Questo costituisce infatti uno degli elementi chiave del nuovo partenariato per la crescita e lo sviluppo nel quadro della nuova Agenda di Lisbona. Gli obiettivi sono:

rafforzare la competitività dei nuovi Stati membri riducendo gli squilibri territoriali ed assicurando una migliore performance dell'economia dell'UE nel suo insieme,

affrontare la sfida di portare la competitività e la crescita ai livelli locale e regionale, garantendo così una gestione più efficace delle trasformazioni industriali, della rivalorizzazione delle risorse naturali, finanziarie ed umane, e di una strategia economica e tecnologica che sia in grado di rispondere alle complesse sfide e opportunità economiche e tecnologiche offerte dall'integrazione europea e dal mercato globale,

assicurare il pieno utilizzo delle potenzialità offerte dal completamento del mercato interno e allargato, anche attraverso la messa in rete di parchi tecnologici e industriali a livello transregionale sulla base di obiettivi globali,

innalzare il livello generale della ricerca e dell'innovazione, nonché della loro applicazione di mercato e commercializzazione. A questo fine si dovrà agire promovendo dei legami più stretti tra PMI, mondo accademico e ricerca, garantendo la formazione di risorse umane altamente qualificate a livello sia operativo che organizzativo, la modernizzazione della pubblica amministrazione e del quadro legislativo di riferimento, nonché la sensibilizzazione di tutti gli attori implicati nel processo decisionale dei parchi, e aiutando così l'Unione europea a diventare la regione più dinamica del mondo, con investimenti nell'innovazione pari al 3 % del PIL,

migliorare, attraverso le reti europee di parchi tecnologici industriali, l'interazione tra industria, servizi e finanza, le interconnessioni tecnologiche e le capacità di diffusione e assorbimento delle nuove conoscenze: questo allo scopo di aumentare le capacità di innovazione e competitività e di assicurare la compatibilità tra i differenti obiettivi — crescita, competitività, occupazione, sviluppo sostenibile e pari opportunità — in particolare attraverso il ricorso all'interazione e al consenso,

sottoporre regolarmente a monitoraggio e valutazione le performance dei parchi tecnologici industriali e le loro capacità tecniche effettive, così come i loro risultati reali e gli altri benefici che essi producono, sulla base di criteri standardizzati predefiniti,

garantire il rispetto del quadro regolamentare comunitario, comprese le disposizioni in materia di concorrenza e di aiuti di Stato, tenendo conto al tempo stesso dello sviluppo continuo di tali disposizioni.

7.2.1

Secondo il Comitato occorre dotarsi di una politica europea per lo sviluppo effettivo di reti di parchi tecnologici industriali articolata su tre livelli — comunitario, nazionale e regionale/locale — nel pieno rispetto del principio di sussidiarietà stabilito dai Trattati, come pure della legislazione europea, compresa quella in materia di concorrenza.

7.2.2

Il Comitato raccomanda di applicare un approccio integrato omnicomprensivo, che comprenda il Settimo programma quadro di ricerca, sviluppo tecnologico e dimostrazione, gli strumenti finanziari del Fondo europeo per gli investimenti (FEI) e della Banca europea per gli investimenti (BEI), l'Iniziativa per lo sviluppo, i fondi strutturali, il Programma pluriennale per le imprese e l'imprenditorialità, il Nuovo strumento di politica di prossimità così come il Programma quadro per la competitività e l'innovazione (CIP) ed i programmi comunitari di istruzione e formazione, tenendo conto al tempo stesso degli indirizzi di massima per le politiche economiche per il periodo 2005-2008. In tal modo si potrà assicurare una maggiore flessibilità nella scelta degli strumenti, un migliore coordinamento, nonché una coerenza ed una semplificazione maggiori, onde facilitare la partecipazione ai programmi e consentire di affrontare le proposte da molteplici prospettive. Ciò contribuirebbe allo sviluppo di reti paneuropee sostenendo azioni integrate di cooperazione a livello interregionale e transregionale tra parchi tecnologici industriali e distretti regionali.

7.2.3

Per quanto riguarda i meccanismi previsti dal nuovo Programma quadro per la competitività e l'innovazione (cfr. gruppo di studio INT/270), il Comitato raccomanda che nell'ambito dei due programmi specifici «Innovazione e imprenditorialità» e «Sostegno alla politica in materia di TIC» sia inserito un riferimento esplicito alla promozione di reti di parchi tecnologici industriali e distretti regionali: questo in particolare sotto il profilo del finanziamento delle fasi iniziali e di espansione dei parchi stessi attraverso una più grande facilità d'accesso al venture capital e sotto forma di misure in grado di incentivare l'introduzione ed il miglior utilizzo delle tecnologie dell'informazione e comunicazione, attraverso le iniziative «eEurope» e il «2010». I nuovi meccanismi del Programma quadro per la competitività e l'innovazione dovranno prevedere il sostegno delle reti di parchi tecnologici industriali e di distretti regionali, anche al fine di aiutare la partecipazione delle PMI al Settimo programma quadro.

7.2.4

Con riferimento ai programmi specifici del Settimo programma quadro ed in particolare ai programmi «Capacità», «Persone» e «Centro comune di ricerca», il Comitato raccomanda di:

rafforzare le azioni a favore delle PMI, specie per quanto concerne la ricerca, e le relative associazioni e raggruppamenti, riconoscendo alle reti paneuropee di parchi tecnologici industriali e ai cluster/distretti regionali piena ammissibilità per la presentazione di proposte di ricerca,

rafforzare il potenziale di ricerca e conoscenze delle regioni europee, per promuovere lo sviluppo di parchi e cluster tecnologici industriali e delle loro reti europee e paneuropee, nonché finanziare attività partecipative di previsione tecnologica al fine di definire piani e strategie a medio-lungo termine, come pure attività di previsione connesse al tema delle scienze socioeconomiche ed umanistiche, che fa parte del programma specifico relativo alla «Cooperazione»,

assicurare che nelle attività di partenariato e scambio industria/università del programma «Persone» siano stanziate risorse finanziarie ed umane appropriate per soddisfare le necessità dei parchi e cluster tecnologici e industriali, con ricercatori esperti nelle esigenze specifiche di sviluppo delle PMI,

permettere ai parchi e ai distretti tecnologici e industriali il pieno accesso all'esperienza accumulata dal Centro comune di ricerca attraverso il finanziamento della loro partecipazione alle azioni indirette per la creazione di reti, per la formazione e la mobilità, per le piattaforme tecnologiche, sfruttando l'alto livello di valore aggiunto europeo accumulato dal CCR e dai suoi istituti, specie quello di Prospettiva tecnologica di Siviglia (IPTS).

7.2.5

Per quanto riguarda il FEI, la BEI, l'Iniziativa per la crescita, i fondi strutturali e il Fondo di coesione occorre, come è stato stabilito nel marzo 2005 dal vertice europeo, assicurare tra di essi maggiori e migliori sinergie nel campo della ricerca e innovazione. Al tempo stesso il Consiglio europeo ha sottolineato che gli attori regionali e locali dovrebbero fare maggiormente propria la strategia di Lisbona in tutte e tre le sue dimensioni (economica, sociale e ambientale). Il Comitato raccomanda quindi di potenziare gli sforzi per lo sviluppo della politica di coesione — che punta sui tre obiettivi della convergenza, della competitività e della cooperazione territoriale — dedicando maggiori risorse all'innovazione e allo sviluppo della società della conoscenza, in modo da anticipare e promuovere i cambiamenti economici che favoriscono la competitività e i vantaggi competitivi; raccomanda altresì di rafforzare le qualifiche professionali della manodopera, specie nei nuovi Stati membri. A questo fine sarà opportuno sviluppare l'attività di parchi e distretti tecnologici industriali, e delle loro reti, in particolare attraverso l'azione di cooperazione territoriale europea e i partenariati pubblico-privato, nonché con il finanziamento di programmi quali l'iniziativa Innovazione 2010 del FEI.

7.2.6

Il Quinto programma pluriennale per l'impresa e l'imprenditorialità e la Carta europea della piccola e media impresa indicano tra le azioni importanti da portare avanti l'istruzione e la formazione all'imprenditorialità, la riduzione di tempi e costi per la creazione di nuove imprese, il miglioramento del quadro legislativo e regolamentare, una maggiore disponibilità di lavoro qualificato, un più facile accesso ai servizi on-line, il miglioramento delle condizioni fiscali e finanziarie, il rafforzamento delle capacità tecnologiche delle PMI e la disponibilità di modelli e pratiche di servizi e-business di successo. Il Comitato ha sempre sostenuto con forza le attività comunitarie particolarmente rilevanti per i parchi e i distretti tecnologici industriali.

7.2.7

A parere del Comitato, il nuovo strumento della politica di vicinato — ed in particolare la parte riguardante le attività che prima rientravano nelle priorità d'azione 2 e 3 del programma Interreg — dovrebbe comprendere, tra le attività finanziate a sostegno delle reti interregionali, transregionali, europee e paneuropee, anche misure per i parchi e i distretti tecnologici e industriali.

7.2.8

Il Comitato è a favore della cooperazione negli Stati membri con i centri per l'occupazione e con tutti i soggetti istituzionali di livello comunitario interessati alla creazione di posti di lavoro, allo scopo di garantire che i parchi tecnologici rimangano in condizioni di generare nuovi posti di lavoro, avvalendosi delle opportunità offerte dalla creazione di reti. I rappresentanti delle imprese, dei sindacati, delle amministrazioni locali e delle ONG devono essere coinvolti, onde assicurare che vengano creati posti di lavoro con un adeguato contenuto di conoscenze innovative di elevata qualità. Coloro che lavorano nei parchi devono poter partecipare in modo regolare alle attività di formazione e di riqualificazione professionale finalizzate alla ristrutturazione industriale. In linea con il parere CESE 1073/2005, adottato nella sessione plenaria del 28-29 settembre (CCMI/019), occorre sottolineare che il dialogo sociale e la partecipazione dei lavoratori sono essenziali per predisporre le mutazioni industriali e per orientare tale processo nella giusta direzione.

7.2.9

Il Comitato raccomanda di adottare misure per migliorare i sistemi europei di istruzione e formazione, e sostenere lo sviluppo di nuovi modelli di produzione e di consumo ecocompatibili, attraverso azioni indirizzate alla formazione di reti di parchi e distretti tecnologici industriali. Nell'ambito di questi ultimi, la realizzazione di nuovi programmi formativi potrebbe altresì contribuire ad orientare i giovani europei verso professioni industriali e tecnologiche altamente qualificate.

7.2.10

Coerentemente con quanto ha già affermato in proposito — ed in particolare nel suo parere CESE 374/2005 del 6 aprile 2005 sui distretti industriali europei — il Comitato sottolinea l'estrema importanza di creare parchi e distretti industriali in quanto poli di innovazione e piattaforme europee (Piattaforme europee dei poli di innovazione) per garantire una visione strategica comune delle azioni di capacity building, lo sviluppo culturale dei sindacati e delle associazioni professionali industriali, in collaborazione con i soggetti della società civile. In tale contesto bisogna utilizzare tutti gli strumenti atti a promuovere l'innovazione e il trasferimento delle conoscenze. Tra essi lo scambio di buone pratiche, la definizione di requisiti di base armonizzati per l'identificazione, il ricorso a misure comuni di formazione, l'accesso diretto all'esperienza e alle competenze del Centro comune di ricerca, lo sviluppo di una terminologia e di classificazioni comuni, la creazione e l'utilizzazione di possibili sinergie tra le risorse dei parchi e dei distretti tecnologici in vari paesi, allo scopo di dare loro un accesso diretto ai programmi ed alle iniziative comunitarie. Si dovrà in parallelo promuovere lo sviluppo di sistemi comuni di valutazione, monitoraggio e benchmarking dei parchi e distretti industriali e tecnologici europei.

Bruxelles, 14 dicembre 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


17.3.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 65/58


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione — Ristrutturazioni e occupazione — Anticipare e accompagnare le ristrutturazioni per ampliare l'occupazione: il ruolo dell'Unione europea

COM(2005) 120 def.

(2006/C 65/12)

La Commissione europea, in data 28 aprile 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 novembre 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore ZÖHRER e dal correlatore SOURY-LAVERGNE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 dicembre 2005, nel corso della 422a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 121 voti favorevoli, 1 voto contrario e 9 astensioni.

Sintesi

Il Comitato economico e sociale europeo accoglie con favore l'approccio ampio e trasversale scelto dalla Commissione, che nella comunicazione in esame solleva un problema che riveste pari importanza per le imprese e per i lavoratori. Le trasformazioni industriali e la capacità degli interessati di adattarsi ad esse sono considerate fattori essenziali per il mantenimento della competitività. Hanno però un esito positivo solo se si riesce a far fronte alle loro conseguenze sul piano sociale.

Il Comitato, pur essendo sostanzialmente d'accordo con l'analisi del fenomeno presentata dalla Commissione, vedrebbe con favore un maggiore approfondimento.

Le ristrutturazioni sono sempre associate, specialmente da parte dei lavoratori, a timori di conseguenze negative. Se una ristrutturazione è ben gestita, però, genera anche nuove sfide e opportunità. I fattori decisivi sono essenzialmente: il modo in cui l'impresa affronta il processo, il modo in cui ne gestisce le singole fasi, la collaborazione tra i soggetti interessati e lo sviluppo di uno spirito di comunanza che metta in condizioni di sfruttare le opportunità esistenti.

Il Comitato condivide la valutazione secondo cui le risposte al fenomeno delle ristrutturazioni devono inserirsi nel contesto più generale della strategia di crescita e occupazione.

Il Comitato accoglie con favore le proposte di un coordinamento più stretto in seno alla Commissione, da ottenere con la creazione di una task force interna, e di un dialogo regolare con il Parlamento europeo e il Consiglio.

Per quanto riguarda la revisione della strategia europea a favore dell'occupazione, il Comitato concorda sostanzialmente con le priorità indicate dalla Commissione. Nell'analizzare questa strategia non si può prescindere dal contesto macroeconomico e dalla politica industriale.

Riguardo alla riforma degli strumenti finanziari, il Comitato concorda con la proposta di finalizzarli maggiormente all'anticipazione e alla gestione delle ristrutturazioni.

Nell'ambito della politica industriale, a giudizio del Comitato, oggi occorre soprattutto approfondire l'impostazione settoriale, che consente di individuare soluzioni su misura per i singoli settori. Il miglioramento della disciplina giuridica delle imprese è un punto essenziale, ma richiede un esame più concreto e ulteriori precisazioni.

Il Comitato considera le iniziative tecnologiche, e in particolare le piattaforme tecnologiche, una delle principali strade da percorrere per migliorare la situazione. Occorrerà inoltre fare attenzione a creare un contesto propizio all'innovazione.

Per quanto riguarda la politica di concorrenza, ci si può chiedere se siano sufficienti gli strumenti attualmente disponibili. In merito agli aiuti di Stato, il Comitato sottolinea che occorre studiare più attentamente il nesso che intercorre tra questi ultimi e le ristrutturazioni/delocalizzazioni.

Il Comitato concorda con la proposta della Commissione di attribuire un ruolo di spicco all'Osservatorio europeo del cambiamento di Dublino.

Anche il potenziamento del dialogo sociale settoriale merita un'attenzione particolare. Il Comitato condivide l'idea della Commissione secondo cui le parti sociali, sulla base della conoscenza del proprio settore, possono svolgere un ruolo informativo e richiamare l'attenzione dei poteri pubblici. Questo strumento, tuttavia, non dovrebbe essere riservato solo ai casi di crisi.

Il Comitato attende con interesse l'annunciata comunicazione della Commissione sulla responsabilità sociale delle imprese.

In linea di principio il Comitato è favorevole alla creazione del forum «Ristrutturazioni». I suoi compiti dovranno essere la descrizione delle migliori prassi e l'analisi degli ostacoli (di natura normativa) che ne impediscono l'applicazione locale.

Oltre agli interventi di ammodernamento e semplificazione delle normative, già genericamente previsti dal programma d'azione di Lisbona e sempre accolti con favore dal Comitato, la Commissione annuncia un Libro verde sull'evoluzione del diritto del lavoro. Proprio nel contesto delle ristrutturazioni, l'evoluzione del diritto del lavoro deve tendere a conseguire un rapporto equilibrato tra flessibilità e certezza dell'occupazione.

A giudizio del Comitato, per promuovere la mobilità intracomunitaria non basterà l'unica proposta di direttiva avanzata, inerente a una migliore trasferibilità dei diritti alla pensione complementare. Andrà invece vagliata l'introduzione di un pacchetto di incentivi alla mobilità, attinenti per esempio alle qualifiche, al mercato del lavoro e alla legislazione sociale o tributaria, che comprenda anche la rimozione degli ostacoli amministrativi alla libera circolazione della forza lavoro.

Il Comitato auspica che le parti sociali possano proseguire e concretizzare i loro lavori in materia di ristrutturazioni.

I comitati aziendali europei (CAE) svolgono un ruolo non marginale nelle ristrutturazioni. La consultazione in merito alla revisione della direttiva sui comitati aziendali deve pertanto tener conto delle ristrutturazioni, ma va inserita in un contesto più ampio.

Anche il Comitato, come la Commissione, è convinto che le ristrutturazioni non debbano essere sinonimo di regresso sociale e di perdita di sostanza economica.

Non sarà possibile, però, scongiurare completamente ogni conseguenza negativa per i lavoratori. Le normative da adottare a livello comunitario, pertanto, oltre a soddisfare i requisiti elencati dalla Commissione, dovranno essere finalizzate ad accordare ai lavoratori la tutela necessaria nelle fasi di transizione.

1.   Introduzione

1.1

Secondo l'Agenda sociale adottata il 9 febbraio 2005 e la comunicazione sulla revisione della strategia di sviluppo sostenibile (1), la Commissione è tenuta ad elaborare una strategia di gestione delle ristrutturazioni fondata su una migliore interazione delle politiche europee pertinenti, su una maggiore partecipazione delle parti sociali, su una sinergia più forte fra le politiche e gli strumenti finanziari e sull'adeguamento del contesto giuridico e contrattuale.

1.2

Nella comunicazione presentata il 31 marzo 2005, Ristrutturazioni e occupazione  (2), la Commissione illustra gli interventi che l'Unione dovrà avviare o consolidare se vuole sfruttare le potenzialità a sua disposizione. Nel far ciò, adotta sia una prospettiva orizzontale che una prospettiva settoriale e propone una serie di interventi in diverse politiche comunitarie.

1.3

Essendo indirizzata a un vasto pubblico, la comunicazione della Commissione contiene osservazioni di carattere generale. Queste riguardano principalmente il fenomeno della ristrutturazione, che può interessare qualsiasi impresa alle prese con la necessità di adattarsi.

2.   Sintesi del documento della Commissione

2.1

La Commissione è convinta che le ristrutturazioni non debbano essere sinonimo di regresso sociale e di perdita di sostanza economica. Ritiene anzi che possano essere una garanzia di progresso economico e sociale, a patto però che siano correttamente anticipate, che le imprese riescano a gestirle in modo rapido ed efficace e che l'azione pubblica contribuisca a fare in modo che si svolgano in condizioni ottimali.

2.2

Spesso, però, avviene che le ristrutturazioni aziendali abbiano un costo anche molto elevato, non solo per i lavoratori coinvolti, ma anche per l'economia locale o regionale. Per mantenere la coesione che contraddistingue il modello sociale europeo, infatti, si rendono necessarie politiche di accompagnamento volte a minimizzare i costi sociali e a promuovere la ricerca di fonti alternative di impiego e di reddito.

2.3

Gli interventi da attuare a livello comunitario devono quindi soddisfare quattro requisiti fondamentali:

la coerenza tra le strategie interessate, affinché la crescita e le ristrutturazioni che essa implica non comportino una distruzione di capitale umano,

una visione a lungo termine, nella quale collocare le varie politiche comunitarie affinché gli operatori economici e sociali dispongano della prevedibilità necessaria alla loro attività,

la partecipazione di tutte le parti in causa, in primo luogo delle parti sociali,

la presa in considerazione della dimensione territoriale, poiché è a questo livello che l'anticipazione del cambiamento è particolarmente efficace. Qui la politica regionale e di coesione dell'Unione europea deve assumere un ruolo di catalizzatore.

2.4

Nella comunicazione in esame la Commissione illustra gli interventi che l'Unione dovrà avviare o consolidare se vuole sfruttare le potenzialità a sua disposizione e, nel farlo, adotta una prospettiva sia orizzontale che settoriale. Nel realizzare tali interventi, sarà importante limitare il più possibile gli adempimenti a carico delle imprese, garantendo però allo stesso tempo una migliore anticipazione e gestione dei processi di ristrutturazione.

2.5

Concretamente, in allegato alla comunicazione, la Commissione propone un pacchetto di dodici misure, tra le quali sono da rilevare soprattutto le seguenti:

la revisione della strategia europea a favore dell'occupazione,

la riforma degli strumenti finanziari e la creazione di un fondo di adeguamento alla crescita,

la creazione di un forum «Ristrutturazioni»,

un monitoraggio più attento dei settori che, a breve termine, potrebbero essere maggiormente interessati da ristrutturazioni.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il Comitato economico e sociale europeo accoglie con favore l'approccio ampio e trasversale scelto dalla Commissione, che, nella comunicazione in esame, solleva un problema che riveste pari importanza per le imprese e per i lavoratori. Il Comitato ha già affrontato l'argomento in diversi pareri. Le trasformazioni industriali e la capacità degli interessati di adattarsi ad esse sono considerate fattori essenziali per il mantenimento della competitività. Hanno però un esito positivo solo se si riesce a far fronte alle loro conseguenze sul piano sociale.

3.2

Dal momento che nella comunicazione la Commissione fa riferimento al concetto di «ristrutturazione», viene anche spontaneo chiedersi quale ne sia la definizione. In diversi pareri il Comitato ha operato una distinzione tra «trasformazione industriale» — il continuo processo di evoluzione di un'impresa o di un settore — e «ristrutturazione» — una forma particolare di trasformazione industriale che, di norma, costituisce un processo di adeguamento repentino, spesso ineludibile, al contesto economico e ha per scopo il ripristino della competitività.

3.2.1

Anche se la Commissione non applica questa distinzione terminologica, che faciliterebbe la comprensione, il Comitato raccomanda di adottare un'ottica analogamente differenziata. Nel caso della trasformazione la soluzione risiede senza dubbio nella capacità di anticiparla e di influire proattivamente sulle sue modalità. La ristrutturazione, invece, in un contesto economico globalizzato rappresenta una sfida sempre più complessa e diversificata. I due fenomeni, insomma, richiedono approcci e interventi differenziati.

3.2.2

Promuovere le trasformazioni non può essere un fine di per sé. Una politica industriale lungimirante e chiaramente definita sul lungo periodo può però incidere positivamente sulle trasformazioni e influenzarne le conseguenze in modo tale da far sorgere nuove opportunità. È in tale ottica che il Comitato si occuperà anche della nuova comunicazione della Commissione Una nuova politica industriale … (COM(2005) …).

3.3

Il Comitato è sostanzialmente d'accordo sull'analisi del fenomeno presentata dalla Commissione, che essenzialmente riconduce le ristrutturazioni a quattro cause principali:

l'evoluzione del mercato interno europeo e l'apertura internazionale delle economie nazionali,

l'innovazione tecnologica,

l'evoluzione del quadro normativo,

le variazioni nella domanda dei consumatori.

3.3.1

Con ciò la Commissione limita la sua analisi ai fattori generali ampiamente noti. È però altrettanto decisivo capire se la ristrutturazione sia frutto di una pianificazione di lungo periodo volta ad anticipare determinati sviluppi, o se invece sia determinata da vincoli esterni o da errori di gestione sul breve periodo. Si può fare l'esempio del rapporto tra potenzialità di mercato e capacità produttive: se non si tiene conto della sua evoluzione si svilupperà una sovraccapacità che, a sua volta, darà luogo prima o poi a una ristrutturazione. Il Comitato vedrebbe con favore un'analisi più approfondita, dato che l'approccio da adottare varia in funzione della situazione.

3.3.2

Le ristrutturazioni sono sempre associate, specialmente da parte dei lavoratori, a timori di conseguenze negative. Se una ristrutturazione è ben gestita, però, genera anche nuove sfide e opportunità. Esistono numerosi esempi di ristrutturazioni realizzate con esito — più o meno — positivo. I fattori decisivi sono essenzialmente: il modo in cui l'impresa affronta il processo, il modo in cui ne gestisce le singole fasi, la collaborazione tra i soggetti interessati e lo sviluppo di uno spirito di comunanza che metta in condizioni di sfruttare le opportunità esistenti.

3.4

Il Comitato ritiene che la comunicazione proponga poche misure concrete, alcune delle quali vengono semplicemente annunciate. Al tempo stesso si rende conto che, allo stato attuale, la Commissione non può fare molto di più. In ogni caso considera la comunicazione un valido punto di partenza per l'elaborazione di una politica comunitaria in materia, che richiederà un coordinamento tra le direzioni generali interessate e tra gli Stati membri.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Il Comitato condivide la valutazione secondo cui le risposte al fenomeno delle ristrutturazioni devono inserirsi nel contesto più generale della strategia di crescita e occupazione. La gestione delle trasformazioni può contribuire notevolmente al raggiungimento degli obiettivi della strategia di Lisbona.

4.1.1

In questo contesto l'UE si deve chiedere che cosa potrà aggiungere alle misure adottate sul piano locale, regionale e nazionale. Potrà per esempio svolgere un ruolo cruciale nel promuovere il dibattito negli Stati membri, contribuendo così alla presa di coscienza del fenomeno. Oppure, allo stesso tempo, potrà sfruttare gli strumenti a sua disposizione per anticipare le trasformazioni e accompagnare i cambiamenti che comportano.

4.2   L'attivazione delle misure comunitarie orizzontali

4.2.1

Il Comitato accoglie con favore le proposte di un coordinamento più stretto in seno alla Commissione, da ottenere con la creazione di una task force interna, e di un dialogo regolare con il Parlamento europeo e il Consiglio. Un coinvolgimento di tutte le direzioni generali interessate potrà contribuire allo sviluppo di sinergie tra le diverse politiche che, a loro volta, favoriranno il comune obiettivo dell'anticipazione e della gestione delle trasformazioni. Secondo il Comitato va però garantito che la task force si concentri sulla sua funzione di coordinamento e che la Commissione conservi chiare competenze in sede legislativa e di attuazione degli interventi comunitari.

4.2.2

Per quanto riguarda la revisione della strategia europea a favore dell'occupazione, il Comitato concorda sostanzialmente con le priorità indicate dalla Commissione. In questo contesto va prestata una particolare attenzione alla formazione professionale, all'apprendimento permanente e alla qualità dell'organizzazione del lavoro, inclusa la buona gestione delle risorse umane. Nell'analizzare questa strategia non si può prescindere dal contesto macroeconomico e dalla politica industriale. Un coordinamento delle politiche economiche con la politica industriale e con la strategia per l'occupazione consentirebbe di gestire meglio le trasformazioni.

La stabilità, la prevedibilità e l'armonizzazione delle componenti del quadro economico generale in Europa sono premesse essenziali per una gestione efficace degli interventi di ristrutturazione.

Sono determinanti anche le condizioni locali in cui la ristrutturazione si inserisce, che vanno perciò prese in considerazione nell'ambito di una politica complessiva.

4.2.3

Riguardo alla riforma degli strumenti finanziari, il Comitato concorda con la proposta di finalizzarli maggiormente all'anticipazione e alla gestione delle ristrutturazioni, anche se vanno mantenuti gli obiettivi generali dei fondi esistenti.

4.2.4

Inizialmente gli strumenti finanziari proposti dalla Commissione a sostegno della capacità d'intervento comunitaria in caso di crisi hanno incontrato un certo scetticismo in sede di Consiglio. Non per questo, secondo il Comitato, si dovrebbe però rinunciare a un dibattito di fondo sulle possibilità di intervento finanziario per favorire la transizione in caso di avvenimenti imprevisti con pesanti ripercussioni regionali o settoriali e sociali. Il Comitato, pertanto, sostiene la Commissione nel suo tentativo di creare un complesso di strumenti di questo tipo.

4.2.5

In tema di politica industriale, il Comitato si è già espresso nel suo parere del dicembre 2004 (3). A suo giudizio, oggi occorre soprattutto approfondire l'impostazione settoriale, che consente di individuare soluzioni su misura per i singoli settori. Non si devono però prendere in esame solo i rami dell'economia attualmente in crisi, bensì analizzare il maggior numero possibile di settori rilevanti per l'Europa, in modo da affrontare tempestivamente le trasformazioni e gestirle in modo proattivo. In quest'ambito spetta un ruolo cruciale al dialogo sociale.

Il miglioramento della disciplina giuridica delle imprese è un punto essenziale, ma richiede un esame più concreto e ulteriori precisazioni. L'obiettivo dovrà infatti essere quello di ridurre gli adempimenti gravanti sulle imprese senza che ciò vada a scapito delle norme sociali e ambientali.

4.2.6

Il Comitato considera le iniziative tecnologiche, e in particolare le piattaforme tecnologiche, una delle principali strade da percorrere per migliorare la situazione. Le relative innovazioni contribuirebbero infatti a sbloccare situazioni apparentemente irrigidite nei settori dell'energia, delle emissioni nocive e del riciclaggio. Consentirebbero inoltre ai comparti industriali interessati di compiere progressi tecnologici in grado di renderli di nuovo competitivi.

4.2.6.1

A questo proposito, peraltro, occorrerà fare attenzione a creare un contesto propizio all'innovazione, di cui sono premesse fondamentali gli incentivi fiscali e la tutela della proprietà intellettuale. Nell'affrontare una ristrutturazione, però, si dovrebbe tener conto anche della necessità di innovazione in campo organizzativo e sociale.

4.2.7

Per quanto riguarda la politica di concorrenza, ci si può chiedere se siano sufficienti gli strumenti attualmente disponibili. Sempre più spesso, infatti, sono in primo piano anche fattori concorrenziali che questa politica non prende in considerazione, per esempio il trattamento fiscale delle imprese.

In tema di aiuti di Stato, la Commissione annuncia che sta riformando la sua politica in materia nel senso di un maggiore orientamento verso i settori che contribuiscono in modo più decisivo alla crescita e all'occupazione. Per il momento, tuttavia, quest'annuncio manca di concretezza. A questo proposito il Comitato sottolinea che va studiato più attentamente anche il rapporto che intercorre tra gli aiuti di Stato e le ristrutturazioni/delocalizzazioni. Le regole sugli aiuti di Stato dovranno continuare a essere non discriminatorie e la coesione sociale dovrà essere ulteriormente promossa. In questo campo il Comitato raccomanda di prestare particolare attenzione alle pratiche applicate al di fuori dell'Unione europea.

4.2.8

Sulla politica estera il Comitato ha già avuto modo di esprimersi in diversi pareri.

4.2.9

Il Comitato concorda con la proposta della Commissione di attribuire un ruolo di spicco all'Osservatorio europeo del cambiamento di Dublino, affinché sviluppi gli strumenti analitici necessari al monitoraggio delle ristrutturazioni. La CCMI dovrebbe approfondire ulteriormente la sua collaborazione con l'Osservatorio.

4.3   Rafforzare la partnership per il cambiamento

4.3.1

Anche il potenziamento del dialogo sociale settoriale merita un'attenzione particolare. Il Comitato condivide l'idea della Commissione secondo cui le parti sociali, sulla base della conoscenza del proprio settore, possono svolgere un ruolo informativo e richiamare l'attenzione dei poteri pubblici. Questo strumento però non andrebbe riservato solo ai casi di crisi. Dovrebbe invece essere usato in tutti i casi in cui le parti sociali ne ravvisano la necessità, non solo in quelli in cui rilevano «una tendenza preoccupante». Sarebbero così meglio soddisfatte le esigenze di anticipazione e accompagnamento dei processi di ristrutturazione.

4.3.2

Il Comitato attende con interesse l'annunciata comunicazione sulla responsabilità sociale delle imprese, che si soffermerà soprattutto sulle iniziative positive che queste ultime attueranno, di concerto con le parti interessate, in caso di ristrutturazione. Oltre a sviluppare ulteriormente il quadro giuridico, però, occorre anche rendere pubbliche e promuovere le buone pratiche di gestione delle trasformazioni che prescindono da quest'ultimo. Il Comitato ricorda in particolare che in questi processi si deve tener conto anche dei soggetti colpiti dalla ristrutturazione di una data impresa in via indiretta (ad es. fornitori, prestatori di servizi, ecc.).

Tra l'altro il Comitato si è già espresso sulla responsabilità sociale delle imprese in un suo precedente parere.

4.3.3

In linea di principio il Comitato è favorevole alla creazione del forum «Ristrutturazioni». I suoi compiti dovranno essere la descrizione delle migliori prassi e l'analisi degli ostacoli (di natura normativa) che ne impediscono l'applicazione locale. Una valutazione dei risultati è però ancora prematura. Il Comitato è comunque pronto e disponibile ad apportare le proprie competenze in questo forum e a collaborare per far sì che ne scaturisca un valore aggiunto per la politica europea. Premessa fondamentale è un metodo di lavoro che non generi un appesantimento burocratico e consenta di concentrarsi sulle questioni non ancora trattate a sufficienza. Anche le organizzazioni interessate della società civile dovranno poter partecipare ai lavori.

4.4   L'adeguamento del quadro normativo e contrattuale

4.4.1

Oltre agli interventi di ammodernamento e semplificazione delle normative, già genericamente previsti dal programma d'azione di Lisbona e sempre accolti con favore dal Comitato, la Commissione annuncia un Libro verde sull'evoluzione del diritto del lavoro. Proprio nel contesto delle ristrutturazioni, l'evoluzione del diritto del lavoro deve tendere a conseguire un rapporto equilibrato tra flessibilità e certezza dell'occupazione.

4.4.2

A giudizio del Comitato, per promuovere la mobilità intracomunitaria non basterà l'unica proposta di direttiva avanzata, inerente a una migliore trasferibilità dei diritti alla pensione complementare. Nel contesto delle ristrutturazioni il tema della mobilità dei lavoratori assume un'articolazione molto più complessa, di cui la mobilità transfrontaliera non è che un aspetto accessorio. I lavoratori devono avere la possibilità di adattarsi alle nuove condizioni create dalla ristrutturazione, cosa che in certi casi può comportare una riconversione professionale o la ricerca di un nuovo posto di lavoro. Si dovrebbe quindi valutare quali interventi sarebbero opportuni a livello comunitario e nazionale, oppure regionale, per facilitare ai lavoratori questa transizione. Andrà inoltre vagliata l'introduzione di un pacchetto di incentivi alla mobilità, attinenti per esempio alle qualifiche, al mercato del lavoro e alla legislazione sociale o tributaria, che comprenda anche la rimozione degli ostacoli amministrativi alla libera circolazione della forza lavoro.

4.5   La seconda fase della consultazione delle parti sociali europee sulle ristrutturazioni e sui comitati aziendali europei

4.5.1

È la prima volta che la Commissione avvia una consultazione delle parti sociali, su due diversi temi, in una comunicazione rivolta a un vasto pubblico. È un'opzione che suscita qualche perplessità e resta da verificare se sia stata scelta la procedura più opportuna per consultare le parti sociali.

4.5.2

A prescindere da questi aspetti formali, il Comitato auspica che le parti sociali possano proseguire e concretizzare i loro lavori relativi alle ristrutturazioni.

4.5.3

I comitati aziendali europei (CAE) svolgono un ruolo non marginale nelle ristrutturazioni. La consultazione in merito alla revisione della direttiva sui comitati aziendali deve pertanto tener conto delle ristrutturazioni, ma va inserita in un contesto più ampio. Il diritto dei lavoratori di essere informati e consultati, sancito dalla direttiva sui comitati aziendali, non è circoscritto ai casi di ristrutturazione.

4.6   Conclusioni della Commissione

4.6.1

Anche il Comitato, come la Commissione, è convinto che la ristrutturazione non debba essere sinonimo di regresso sociale e di perdita di sostanza economica. Ritiene anzi che possa fornire un notevole contributo al progresso economico e sociale. Come rileva giustamente la Commissione, ciò che fa la differenza sono le circostanze in cui si svolge.

4.6.2

Non sarà possibile, però, scongiurare completamente ogni conseguenza negativa per i lavoratori. Le normative da adottare a livello comunitario, pertanto, oltre a soddisfare i requisiti elencati dalla Commissione, dovranno essere finalizzate ad accordare ai lavoratori la tutela necessaria nelle fasi di transizione.

Bruxelles, 14 dicembre 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Valutazione 2005 della strategia dell'UE per lo sviluppo sostenibile: bilancio iniziale e orientamenti futuri (COM(2005) 37 def.), anch'essa del 9.2.2005.

(2)  COM(2005) 120 def.

(3)  GU C 157 del 28.6.2005 Accompagnare le trasformazioni strutturali: una politica industriale per l'Europa allargata (COM(2004) 274 def.).


17.3.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 65/63


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Consiglio che istituisce il programma specifico «Prevenzione, preparazione e gestione delle conseguenze in materia di terrorismo» per il periodo 2007-2013 — Programma generale «Sicurezza e tutela delle libertà»

COM(2005) 124 def. — 2005/0034 (CNS)

(2006/C 65/13)

Il Consiglio, in data 25 luglio 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 14 novembre 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore CABRA DE LUNA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 dicembre 2005, nel corso della 422a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 126 voti favorevoli e 10 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

La commissione ha presentato al Consiglio e al Parlamento europeo la sua proposta di decisione per un programma quadro sulla sicurezza e la tutela delle libertà articolato in due strumenti: un programma specifico «Prevenzione, preparazione e gestione delle conseguenze in materia di terrorismo» e un programma specifico «Prevenzione e lotta contro la criminalità», entrambi per il periodo 2007-2013. Ambedue i programmi specifici nascono dalla volontà della Commissione di sostenere lo sviluppo dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia nel quadro delle prospettive finanziarie 2007-2013, ampliandone la denominazione a «Cittadinanza, libertà, sicurezza e giustizia», ed estendendo di conseguenza il quadro concettuale tradizionale degli affari riguardanti la giustizia e degli affari interni per inserirlo in un contesto più vasto che include la cittadinanza, in sintonia con le nuove linee di riflessione delle Nazioni Unite sulla sicurezza umana e su un concetto più ampio di sicurezza (1). Questa innovazione è estremamente interessante e rappresenta un passo importante verso la definizione di un concetto di sicurezza condivisa da tutti i soggetti che agiscono nella società. Il valore aggiunto di questo programma quadro risiede nella sua dimensione europea che permette di creare sinergie tra l'ambito di azione europeo e quello nazionale.

1.2

La Commissione afferma che nello spazio europeo gli elementi della cittadinanza, della libertà e della sicurezza e della giustizia devono svilupparsi parallelamente e con pari intensità, mantenendo l'equilibrio tra i principi democratici, il rispetto dei diritti umani, delle libertà fondamentali e dello Stato di diritto. L'Unione europea sta progressivamente intensificando le sue azioni in questo settore; a cominciare dal piano d'azione di Vienna (2) e seguendo le linee d'azione fissate dal Consiglio europeo di tampere dell'ottobre 1999, l'Unione europea ha via via articolato proposte di tipo legislativo e programmi di sostegno finanziario. Inoltre, le menzionate linee d'azione sono state chiarite nel Trattato sull'Unione e dal Programma dell'Aia istituito dal Consiglio europeo del novembre 2004. La lotta antiterrorista nell'ambito dell'Unione europea è guidata anche dalla politica europea di sicurezza e difesa (PESD) e dal piano d'azione dell'UE contro il terrorismo.

1.3

In un'ottica di salvaguardia delle libertà in relazione alle politiche proposte e adottate nell'UE, è necessario un maggiore coinvolgimento in tutti questi temi da parte del Parlamento europeo e della Corte di giustizia di Lussemburgo.

1.4

Nondimeno, fino a questo momento, nello sviluppo dello spazio di Libertà, sicurezza e giustizia, l'Unione europea si è piuttosto concentrata sull'attività legislativa, con un livello di impegno finanziario relativamente modesto; per questa ragione adesso gli sforzi dell'Unione devono essere incentrati sugli aspetti operativi, specie in relazione alla lotta contro il terrorismo in quanto fenomeno criminale particolarmente insidioso e che richiede misure urgenti (3).

1.5

Il terrorismo, in quanto fenomeno criminale, costituisce una delle maggiori minacce che i cittadini devono fronteggiare. La premessa da cui parte il programma quadro è che gli atti criminali minacciano le libertà e i diritti degli individui, le società democratiche e lo Stato di diritto, poiché la libertà è possibile solo all'interno di una cornice di sicurezza e garanzie legali. Gli organismi pubblici e la società civile devono di conseguenza dotarsi delle capacità necessarie per tenere il passo con i metodi sempre più sofisticati usati dai terroristi e dai criminali, che agiscono in forma organizzata e a livello transnazionale, in modo da poter finanziare progetti bilaterali e nazionali allo scopo di stimolare l'innovazione e trasferire così le esperienze acquisite a livello transnazionale o comunitario.

1.6

Il crimine organizzato rappresenta una sensibile minaccia per l'UE. Secondo Europol, circa la metà dei gruppi di criminalità organizzata dell'Unione è formata da cittadini degli Stati membri e molti di loro hanno vincoli con paesi terzi collegati ad una serie di attività criminose, come per esempio il narcotraffico, l'immigrazione illegale e il traffico di esseri umani, i reati finanziari, il contrabbando e diversi tipi di reati contro la proprietà.

1.7

La lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata non deve mettere in discussione ma, al contrario, deve preservare le libertà individuali e lo Stato di diritto. La costituzione democratica, l'evoluzione del concetto di libertà individuali e la presunzione di innocenza non devono perdere importanza, né essere messe in dubbio dalle politiche di lotta contro il terrorismo e la criminalità organizzata.

1.8

L'intensificazione della cooperazione transfrontaliera di questi gruppi criminali costituisce un motivo di preoccupazione, non solo perché essa fornisce loro più opportunità per l'attività criminosa, ma anche perché rende difficile l'azione delle forze di polizia e della magistratura. Non si può lottare contro il crimine transfrontaliero se le forze di polizia non possono oltrepassare i confini dei rispettivi Stati. Il crimine organizzato sfrutta questa debolezza e i suoi esponenti risiedono in Stati membri diversi da quelli in cui svolgono le proprie attività illegali. La libertà di movimento dei beni, delle persone, dei capitali e dei servizi ha portato con sé molti aspetti positivi, ma il crimine organizzato ha saputo far tesoro delle opportunità che tale libertà offriva e della flessibilità di uno spazio giuridico inadeguato a frenare le sue attività.

1.9

Attualmente, secondo Europol, operano attivamente nel territorio dell'Unione europea circa 3 000 gruppi di criminalità organizzata, che conterebbero su circa 30 000 persone. Queste cifre, basate sui dati forniti dagli Stati membri, sono solo «puramente illustrative», perché le cifre reali sono molto maggiori. La dimensione, la struttura, l'organizzazione e le altre caratteristiche differiscono sia all'interno degli Stati membri, sia tra i diversi stati membri. Le organizzazioni criminali nell'UE svolgono tutti i tipi di attività criminose, specialmente traffico di droga, immigrazione illegale, traffico di persone, contrabbando, furto di opere d'arte in musei e chiese, frode e reati finanziari.

1.10

Il Comitato si è già pronunciato su questa materia con il parere (4) in merito al Documento di lavoro della CommissioneLa relazione tra la salvaguardia della sicurezza interna ed il rispetto degli obblighi e strumenti internazionali in materia di protezione  (5). Vale la pena mettere in evidenza alcune delle conclusioni di questo parere:

a.

il Comitato, che sostiene appieno un'azione coordinata contro il terrorismo su scala comunitaria e sottoscrive il metodo aperto di coordinamento raccomandato dalla Commissione, invita tuttavia alla massima prudenza e ad una profonda riflessione sui metodi di lotta preventiva e di repressione, al di là della profonda e legittima emozione per gli odiosi attentati commessi negli Stati Uniti lo scorso 11 settembre, come pure per gli altri atti di terrorismo perpetrati in diversi Stati membri e paesi terzi;

b.

pur ribadendo che il rispetto dei diritti dell'uomo e degli strumenti internazionali di protezione deve prevalere su qualunque altra considerazione, il Comitato è consapevole della necessità di migliorare la politica comune di sicurezza interna e di lotta al terrorismo: ciò deve però avvenire senza rimettere in questione tali principi e tale etica politica e umanistica, assicurando l'effettiva protezione delle persone e dei beni, e ricercando a tal fine un equilibrio tra le varie esigenze legate alla tutela dei singoli diritti e delle singole libertà.

2.   Sintesi della proposta della Commissione

Gestire meglio i rischi per la sicurezza cui sono soggetti i cittadini dell'UE, garantendo i loro diritti e le loro libertà,

1)

attraverso la promozione e lo sviluppo del coordinamento, della cooperazione e della comprensione reciproca tra forze di polizia, autorità nazionali e altri organi interessati,

2)

mediante l'incentivazione, la promozione e lo sviluppo di metodi e strumenti orizzontali per creare strategie di lotta contro il terrorismo e il crimine, quali partenariati pubblico-privato, codici di comportamento e buone pratiche, statistiche comparative, tecniche criminologiche e

3)

attraverso lo scambio di informazioni, conoscenze e standard per la protezione di infrastrutture critiche e la gestione delle conseguenze del terrorismo e del crimine, sia nella protezione civile, sia nella protezione delle vittime del terrorismo e dei testimoni.

2.1   Tipi di azioni proposte:

progetti di dimensione europea promossi e gestiti dalla Commissione, tra cui meccanismi e reti di coordinamento, studi, analisi e ricerche per individuare soluzioni strettamente correlate a progetti strategici di natura concreta,

progetti transnazionali promossi e gestiti da almeno due Stati membri (oppure da uno Stato membro e un paese candidato),

progetti nazionali all'interno dei singoli Stati membri,

sovvenzioni a organizzazioni non governative che sviluppino compiti di dimensione europea.

2.2   In particolare verranno finanziate:

azioni mirate alla cooperazione e al coordinamento operativo (potenziamento delle reti, fiducia e comprensione reciproca, scambio e diffusione di informazioni, esperienze e migliori pratiche),

attività di analisi, di controllo e di valutazione,

elaborazione e trasferimento di tecnologie e metodologie,

formazione e scambio di personale e di esperti,

attività di sensibilizzazione e divulgazione.

2.3   Rispetto dei principi di sussidiarietà e proporzionalità

Per quanto concerne la sussidiarietà, il programma quadro non intende intervenire nei settori coperti dai programmi nazionali elaborati dalle autorità nazionali in ogni Stato membro, ma intende concentrarsi sui settori in cui si prevede che possa esservi un valore aggiunto a livello europeo. In questo senso è complementare ai programmi nazionali e massimizza le sinergie delle azioni bilaterali o multilaterali.

Per quanto concerne la proporzionalità, le definizioni delle azioni nel testo normativo sono quanto più generiche possibili e i requisiti amministrativi e finanziari per la loro applicazione sono semplificati al massimo.

2.4   Semplificazione e razionalizzazione

L'obiettivo è quello di semplificare gli strumenti proposti sia sul piano giuridico che su quello della gestione, razionalizzando il finanziamento, introducendo una maggiore flessibilità nella fissazione delle priorità e aumentando la trasparenza generale. I potenziali beneficiari potranno presentare le domande di finanziamento utilizzando un sistema standardizzato.

2.5   Incidenza finanziaria

La proposta di programma quadro ha una dotazione totale di bilancio pari a 745 milioni di euro, di cui 137,4 milioni di euro da destinarsi al programma Prevenzione, preparazione e gestione delle conseguenze in materia di terrorismo e 597,6 milioni di euro al programma Prevenzione e lotta contro la criminalità.

2.6   Tipologie di intervento e metodi di applicazione

Sovvenzioni concesse in seguito ad inviti a presentare proposte,

contratti di appalto pubblico.

3.   Osservazioni generali — La portata della criminalità e il terrorismo in quanto minaccia al benessere dei cittadini dell'UE

3.1

Secondo Europol, le organizzazioni criminali sfruttano l'instabilità politica ed economica nei paesi terzi per realizzare più facilmente le loro attività illegali, soprattutto nei paesi di origine e transito. L'affiliazione a queste organizzazioni, come soggetti attivi o passivi, può avvenire attraverso la corruzione e la promessa di un futuro migliore. L'arricchimento ottenuto con mezzi illeciti perpetuerà proprio alcune di quelle carenze strutturali che hanno creato le premesse per l'attività criminale, per esempio ritardando l'introduzione di riforme democratiche ed economiche.

3.2

Il terrorismo, a sua volta, attenta direttamente contro la dignità umana e i principi più elementari del diritto internazionale, è una minaccia per tutti gli Stati e tutti i popoli che può concretizzarsi ovunque e in qualsiasi momento, attacca direttamente i valori basilari delle società che formano l'UE e altre organizzazioni internazionali (6): lo Stato di diritto, la sicurezza dei cittadini, il rispetto e la tolleranza. I crimini terroristici sono crimini contro l'umanità, la democrazia e i diritti dell'uomo; creano odio e paura e alimentano le divisioni tra gruppi religiosi, ideologici ed etnici.

3.3

Questo fenomeno da decenni sconvolge le vite di cittadini di tutto il mondo, dal momento che, nella geografia mondiale, città di tutti i continenti sono punti segnati da attacchi di diversa entità che perseguono lo stesso obiettivo: deliberatamente assassinare o causare il maggior danno fisico possibile a esseri umani, distruggere beni e infrastrutture, danneggiare gli affari e l'economia come forma di intimidazione della popolazione o di un gruppo di persone e piegare la volontà dei governi o delle organizzazioni internazionali.

3.4

L' attacco alle torri gemelle del World Trade Center a new York nel settembre del 2001 ha rappresentato il culmine di una nuova manifestazione del terrorismo planetario che aveva esordito con il tentativo di far saltare le stesse due torri nel 1993. Il terrorismo che attualmente ci troviamo di fronte è inedito nella sua portata e nella sua capacità di dar vita a un conflitto grave (7) e nella sua determinazione a impiegare strumenti di morte indiscriminati e massicci contro la popolazione civile. L'aviazione civile, le infrastrutture critiche e i sistemi di gestione elettronica che reggono la maggior parte dei processi che fanno normale e moderna la nostra vita, sono bersagli esposti agli atti di gruppi terroristi guidati da una volontà totale di infliggere il maggior danno possibile alle nostre società nel fianco più vulnerabile: i cittadini.

3.5

L'Europa ha subito duri attacchi terroristici, tra cui si conta la più recente espressione della campagna terroristica globale, a Londra il 7 e 21 luglio 2005. La possibilità che si verifichino nuovi attacchi è reale e costante e bisogna quindi essere preparati. In primo luogo per evitarli e secondariamente per gestire in tutti i loro aspetti le conseguenze degli attacchi che non si siano potuti evitare. Ci stiamo abituando ad attentati con esplosivi che causano decine o centinaia di morti e caos nelle città; tuttavia, i gruppi terroristici responsabili di questi attentati posseggono la determinazione, la pazienza e le risorse necessarie per compiere azioni di enorme portata, come abbattere aerei di linea o diffondere agenti chimici, batteriologici o radiologici in zone densamente popolate.

3.6

La situazione descritta non deve pregiudicare l'integrità dello Stato di diritto e le garanzie costituzionali che tutelano ogni individuo. Le autorità, che continuano a essere soggette alla tutela e alla sanzione giudiziaria, non possono in alcun modo oltrepassare certi limiti nella loro azione di prevenzione e repressione del terrorismo.

3.7

Le misure di politica sociale ed economica possono contribuire ad attenuare l'esclusione e l'impatto negativo dei cambiamenti socioeconomici rapidi che favoriscono il rancore, elemento sfruttato con frequenza dai terroristi. Per questa ragione è opportuno:

adottare politiche commerciali, di sovvenzioni e di investimenti nel lungo periodo per contribuire a integrare gruppi marginali e a incoraggiare la loro partecipazione,

compiere nuovi sforzi per ridurre le disuguaglianze strutturali nelle società, eliminando la discriminazione di gruppi determinati,

incentivare programmi incentrati sulla promozione dell'istruzione dei bambini e delle donne, sull'occupazione e la rappresentatività degli esclusi,

realizzare gli obiettivi di sviluppo del Millennio entro l'anno 2015.

3.8

La prevenzione degli attacchi terroristici occupa un posto privilegiato nel settore delle politiche di Libertà, sicurezza e giustizia dell'UE. Secondo l'eurobarometro, 8 cittadini europei su 10 temono il terrorismo e circa l'83 % della popolazione dell'Unione europea crede nel valore aggiunto dell'azione dell'UE contro il terrorismo e di conseguenza la richiede. Il documento centrale che presenta il quadro concettuale antiterrorismo dell'UE è il Piano d'azione dell'UE per la lotta al terrorismo (8). Le sue principali linee d'azione sono le seguenti:

1.

approfondire il consenso internazionale e potenziare gli sforzi internazionali per la lotta al terrorismo;

2.

avviare prioritariamente azioni di politica estera dell'UE verso i paesi terzi in cui sia necessario potenziare le capacità antiterroristiche o l'impegno verso la lotta al terrorismo;

3.

intervenire sui fattori che contribuiscono a sostenere il fenomeno e a reclutare i terroristi;

4.

ridurre l'accesso dei terroristi alle risorse finanziarie e economiche;

5.

massimizzare la capacità degli organi preposti dell'UE e degli Stati membri in materia di identificazione, investigazione, di persecuzione di questo tipo di attività e massimizzare la capacità di evitare gli attacchi terroristici;

6.

proteggere la sicurezza dei trasporti internazionali e garantire l'esistenza di sistemi effettivi di controllo alle frontiere;

7.

potenziare la capacità dell'UE e degli Stati membri di gestire le conseguenze di un attacco terrorista.

3.9

La risposta al terrorismo in quanto fenomeno globale deve essere anch'essa globale, non solo nel senso dell'indispensabilità della cooperazione internazionale, tra Stati e organizzazioni e corpi internazionali, ma anche perché deve coinvolgere tutti i settori della società: società civile organizzata (soggetti economici e sociali, organizzazioni di interesse generale o attività diverse), istituzioni di governo di ogni tipo e in generale i cittadini. Nel quadro generale di sicurezza e difesa delle libertà deve instaurarsi un processo di dialogo politico e civile in questa materia.

3.10

A tal fine, la società civile organizzata ha la capacità e la responsabilità particolare di svolgere un ruolo centrale nella risposta integrata alla sfida terrorista. Il fatto che la società civile organizzata abbia le sue fondamenta nella cittadinanza attiva, le conferisce una posizione più flessibile, creativa e diversa per svolgere compiti di prevenzione più efficaci di quanto possano fare le amministrazioni pubbliche. La società civile organizzata può stimolare orizzontalmente e dal basso verso l'alto le conoscenze e la comprensione, elementi indispensabili per costruire società all'insegna dell'inclusione e della partecipazione di tutti attraverso la collaborazione civile, l'attività economica e l'istruzione.

Inoltre, i poteri pubblici competenti dovrebbero tener conto delle proposte della società civile organizzata che segnalano la necessità di trovare un equilibrio tra le misure di sicurezza e quelle di salvaguardia delle libertà.

3.11

Gli attori non statali con tutta la loro varietà di movimenti e i soggetti economici e sociali, gli organi d'informazione, le organizzazioni di interessi diversi, la comunità accademica, i leader religiosi, il mondo dell'arte e della cultura, l'opinione pubblica mondiale, tutti devono svolgere un ruolo attivo in questo campo.

3.12

Una società civile dinamica può avere una funzione strategica nella protezione delle comunità locali, facendo fronte alle ideologie estremiste e affrontando la questione della violenza politica. La società civile è uno spazio libero nel quale i cittadini possono occuparsi del proprio destino, è una forma di resistenza e di lotta, una fonte di conoscenze, un'arena di discussione pubblica e di riflessione sociale e rappresenta un meccanismo di mediazione, di riconciliazione e d'impegno. La società civile dà voce ai differenti gruppi e alle diverse cause di ordine sociale, fornisce un canale di espressione alle minoranze e ai gruppi dissidenti e promuove, per la sua stessa diversità, una cultura di tolleranza e pluralismo. La società civile comprende tutti, i radicali e i moderati, coloro che se ne collocano al di fuori e quelli che vi sono dentro, coloro che oppongono resistenza come coloro che negoziano.

3.13

La società civile può assumere un ruolo critico nella ricostruzione di una nuova prospettiva di azione globale e coordinata, finora resa difficile dagli atteggiamenti unilateralistici e dalle divergenze politiche internazionali nel recentissimo passato. Nell'arco degli ultimi decenni, molti rappresentanti della società civile hanno messo a punto alleanze transnazionali dinamiche — con la partecipazione di persone e gruppi di tutto il mondo — per portare avanti cause globali, quali le questioni relative alla parità di genere, alla pace e ai diritti umani, la lotta contro l'AIDS, l'ambiente, i movimenti per il commercio equo e la giustizia globale, ecc.

3.14

Esiste un convincimento sempre più condiviso secondo cui, nella lotta contro il terrorismo, l'azione degli Stati non basta se non si unisce a un impegno attivo della società civile e dei suoi attori. In quanto forum della società civile organizzata, il Comitato ha l'opportunità e la responsabilità di agire, negli ambiti che gli sono propri, nel quadro delle azioni contro il terrorismo che si stanno promuovendo nel seno dell'UE e in altri forum pertinenti. Inoltre, gli sforzi rivolti in questa direzione dovrebbero permettere in modo naturale al Comitato, nel suo ruolo anticipativo, di cooperazione e dialogo, di contribuire a configurare le politiche antiterroristiche che riguardano la sua sfera di attività. La proposta di decisione del Consiglio con cui si istituisce il programma specifico di prevenzione, preparazione e gestione delle conseguenze del terrorismo e quello per la prevenzione del crimine offrono un quadro ampio e flessibile per includere iniziative di ogni tipo.

3.15

In sintesi, sono queste le considerazioni generali che emergono:

3.15.1

Il Comitato condanna con fermezza ogni tipo di terrorismo e prende posizione in questa materia.

3.15.2

Il Comitato appoggia vigorosamente la lotta contro la criminalità e il terrorismo e mette in luce la grande importanza della nomina del coordinatore della lotta contro il terrorismo dell'UE, Gijs de VRIES.

3.15.3

Il processo di consolidamento della lotta antiterrorista e anticriminalità nell'UE deve continuare a fare progressi.

3.15.4

Va inoltre raggiunto un livello di cooperazione e coordinamento realmente efficace tra Stati membri a livello di forze di polizia e intelligence (mettendo in evidenza il principio di disponibilità delle informazioni pertinenti) e a livello giudiziario, oltre a un livello di cooperazione efficace e permanente con i paesi terzi.

3.15.5

Sono inoltre molto importanti i partenariati strategici tra il settore pubblico e quello privato, nel quadro della proposta della Commissione.

3.16

Il ruolo della società civile organizzata si può strutturare su due livelli: la prevenzione degli attacchi e la gestione delle loro conseguenze, che siano fisiche, psicologiche o economiche. Secondo i tipi di azioni previsti nella proposta e, sfruttando la genericità delle definizioni, il Comitato può stimolare, nell'ambito delle sue competenze, vari tipi di iniziative che, anche in forma generica e sommaria, potrebbero cominciare a configurarsi intorno agli stessi temi su cui si è incentrato il dibattito della Conferenza internazionale su democrazia, terrorismo e sicurezza, conclusasi a Madrid l'11 marzo 2005. In questo incontro si è istituito un piano d'azione noto con il nome di Agenda di madrid che prevede un quadro di applicazione per una serie di raccomandazioni (9).

4.   Osservazioni particolari

4.1

Proposta di decisione del Consiglio 2005/0034 (CNS) che istituisce il programma specifico Prevenzione, preparazione e gestione delle conseguenze in materia di terrorismo per il periodo 2007-2013.

4.1.1

Il Comitato condivide gli obiettivi generali del programma definiti agli articoli 3 e 4 della proposta.

4.1.2

Nel quadro delle azioni sovvenzionabili di cui all'articolo 5 della proposta, il Comitato pensa che si debba rivolgere un'attenzione particolare alle:

4.1.2.1

«Attività di studio, monitoraggio, valutazione, controllo e ispezione» (articolo 5, paragrafo 2, lettera b)), senza togliere niente al fatto che la ricerca di base in questo campo sarà canalizzata attraverso il 7o programma quadro di ricerca, il quale destina a questo scopo, in base all'attuale proposta della Commissione, 1 miliardo di euro; il programma in esame deve promuovere la ricerca applicata collegata al dibattito e alla diffusione delle conoscenze che si sviluppano nei think tank, nelle istituzioni accademiche, nei diversi forum e nelle varie organizzazioni che fungono da centri di riflessione e di proposta di politiche volte a rafforzare i vincoli formali e informali tra investigatori, analisti e intellettuali, da un alto, e decisori, dall'altro.

4.1.2.2

«Attività di formazione e scambio di personale e di esperti» (articolo 5, paragrafo 2, lettera d)), collegate con le attività precedenti, soprattutto però con quelle che consentano l'avvio, lo sviluppo e il mantenimento sostenibile di programmi di qualità per la formazione e la specializzazione di linguisti, traduttori e interpreti per lingue conosciute a fondo solo da pochi e che sono usate per veicolare messaggi legati alla realizzazione di attività criminali, atti terroristici e propaganda che li giustifica e attrae nuovi adepti.

4.1.2.3

«attività di sensibilizzazione e divulgazione» (articolo 5, paragrafo 2, lettera e)), in cui sono comprese le attività del punto 4.2.2.1, ma conferendo un particolare rilievo al ruolo dei mezzi di comunicazione, che possono essere uno strumento di delegittimazione della violenza, ma che a volte permettono la divulgazione, senza alcun ostacolo della propaganda di gruppi terroristici e criminali riconosciuti come tali, mescolando l'inalienabile diritto alla trasmissione della notizia alla comunicazione senza restrizioni del contenuto, con l'effetto perverso di servire da cassa di risonanza alle intenzioni terroristiche dei gruppi criminali, per esempio attraverso la diffusione di immagini di attentati, sequestri e assassinii in diretta di persone sequestrate e terrorizzate.

4.1.3

Sarebbe auspicabile che nell'articolo 6, si precisasse con maggiore chiarezza e con maggiori dettagli quali sono i soggetti che possono presentare domanda, come avviene all'articolo 5 dell'altro programma specifico che viene esaminato qui di seguito. Dato che la loro azione interessa settori molto delicati, la commissione ogni anno approverà un elenco dei beneficiari delle sovvenzioni.

4.1.4

L'articolo 14, paragrafo 3 stabilisce che la Commissione presenterà al Parlamento europeo e al Consiglio una valutazione intermedia e una comunicazione sulla continuazione del programma. Anche il Comitato dovrà essere preso in considerazione come parte interessata nel corso del processo di valutazione.

4.2

Proposta di decisione del Consiglio 2005/0035 (CNS) che istituisce il programma specifico Prevenzione e lotta contro la criminalità per il periodo 2007-2013.

4.2.1

IL CESE condivide gli obiettivi generali e specifici del programma (articoli 2 e 3).

4.2.2

Fatto salvo il fatto che l'assistenza sociale e legale delle vittime è prevista nel programma relativo ai diritti fondamentali, il Comitato attribuisce un interesse speciale agli aspetti della protezione delle vittime e dei testimoni e alla promozione e allo sviluppo delle migliori pratiche in questa materia dal punto di vista dei servizi di polizia (articolo 3, paragrafo 1, lettera c) e paragrafo 2, lettera c)), e agli aspetti collegati alla criminologia applicata alla prevenzione della criminalità e allo sviluppo dei metodi e degli strumenti orizzontali necessari per una strategia di prevenzione e lotta contro la criminalità (articolo 3, paragrafo 1, lettera b) e paragrafo 2, lettera b)): in tal senso il Comitato sostiene i lavori della Commissione sui progetti pilota relativi alla lotta contro il terrorismo, contro il traffico di esseri umani, e al sostegno finanziario alle vittime del terrorismo. Il Comitato ritiene che, sulla base della valutazione dell'attuazione di questi progetti pilota, si dovrebbe arrivare all'istituzione di un fondo permanente di compensazione per le vittime del terrorismo.

4.2.2.1

In riferimento alla protezione delle vittime del terrorismo e dei loro familiari e delle persone che ne dipendono in tutti i suoi aspetti: la dimensione umana nella lotta contro il terrorismo, incentrata sulla protezione delle vittime e sulla promozione del ruolo della società civile, deve formare parte integrante di ogni strategia di lotta contro il terrorismo. Le vittime subiscono in prima persona una violenza che è diretta verso la società nel suo complesso e contro i valori che questa rappresenta. Per questo la società deve loro un riconoscimento e una risposta, come dovere morale e politico che si esprime nell'obbligo di ciascuno Stato di proteggere i diritti e le libertà dei suoi cittadini e garantire il loro libero godimento, cominciando dal diritto alla vita e a vivere liberi da paure di fronte a qualsiasi minaccia. Le vittime rappresentano la faccia autentica e la realtà del terrorismo e sono la prima voce e la prima linea della società contro il terrorismo. Le vittime sono la testimonianza più efficace per sensibilizzare e generare il necessario impegno della società di fronte al fenomeno terrorista e per articolare una risposta civica. Esse sono anche il maggior fattore di delegittimazione e isolamento politico e morale del terrorismo. Per tutte queste ragioni sono necessari:

il riconoscimento e la solidarietà da parte della comunità internazionale, attraverso un messaggio da cui risulti chiara la centralità del rispetto dei diritti umani nella lotta contro il terrorismo,

misure e meccanismi internazionali di protezione e assistenza per le vittime del terrorismo,

uno stretto collegamento tra il dibattito sulle vittime e quello sui diritti umani e l'ampliamento della discussione sul rispetto di tali diritti e delle libertà fondamentali degli individui nella lotta contro il terrorismo. Nell'ambito di tale lotta si devono conciliare e rendere complementari l'obbligo degli Stati di rispettare i diritti dell'uomo e quello che gli Stati hanno di adottare tutte le misure necessarie per proteggere i diritti umani delle persone di fronte alla minaccia terrorista; purtroppo questo dibattito non è presente nel documento della Commissione,

provvedimenti per stimolare l'impegno della società civile nella lotta contro il terrorismo per dar modo agli attori della società civile, e in particolare alle vittime, di far sentire la propria voce e di svolgere un ruolo attivo sulla scena internazionale.

4.2.2.2

In riferimento alla prevenzione della criminalità: il narcotraffico è il maggior problema di criminalità transnazionale nell'UE. Gruppi criminali ben radicati in tutti gli Stati membri assicurano la distribuzione su grande scala in tutta l'Unione europea. Inoltre, la tendenza a svolgere traffici che interessano contemporaneamente più di una sostanza è in aumento.

Il traffico di esseri umani sta diventando un problema sempre più grave nell'Unione europea. I profitti che se ne ricavano sono astronomici. L'UE deve rafforzare la sua capacità operativa per iniziare e appoggiare le inchieste sul traffico degli esseri umani e su tutti gli aspetti ad esso collegati, come lo sfruttamento sessuale dei minori e la prostituzione in senso lato. A tal fine, il Comitato considera altamente necessarie iniziative come la Proposta di direttiva del Consiglio riguardante il titolo di soggiorno di breve durata da rilasciare alle vittime del favoreggiamento dell'immigrazione illegale e alle vittime della tratta di esseri umani le quali cooperino con le autorità competenti  (10), la quale è diretta a rafforzare gli strumenti di lotta contro l'immigrazione illegale, istituendo un permesso di soggiorno destinato alle vittime del favoreggiamento dell'immigrazione illegale e della tratta di esseri umani (11).

La corruzione, il riciclaggio di capitali, i reati finanziari e la falsificazione del denaro sono tutti motivi di inquietudine per l'UE. Il riciclaggio di capitali è un'attività centrale dei gruppi della criminalità organizzata che operano nell'Unione europea in quanto è usato come fonte di finanziamento. La convergenza di tutti i fattori succitati (diverse manifestazioni criminali e finanziamento del terrorismo) non fa che rafforzare le sinergie nello sfruttamento delle persone e negli abusi di cui sono vittime (12). Occorre in particolare:

incentivare la cooperazione e le alleanze strategiche tra il settore pubblico e quello privato, specie negli aspetti relativi allo sviluppo delle buone pratiche, nella lotta contro il riciclaggio di capitali e contro il finanziamento del terrorismo, nonché nel rispetto di standard di trasparenza e integrità professionale nel settore finanziario e delle organizzazioni senza scopo di lucro, conformemente alle raccomandazione del GAFI (13) (l'organismo internazionale di tutela del sistema finanziario internazionale contro il riciclaggio di denaro e contro il finanziamento del terrorismo più importante) e con il piano d'azione dell'UE (14),

sviluppare quadri comparativi di statistica e criminologia applicata utilizzandoli per l'elaborazione di misure e politiche concrete.

4.3

Per quanto riguarda l'articolo 4, paragrafo 2, (attività che possono essere finanziate):

4.3.1

Andrebbe esplicitamente menzionato il dialogo interreligioso e intergenerazionale per individuare se vi siano impostazioni di tipo integralista, valorizzando le buone pratiche in grado di rafforzare la comprensione reciproca, la moderazione e la tolleranza democratica, limitando in tal modo la radicalizzazione e il reclutamento di nuovi adepti. La lotta contro il terrorismo esige che il fenomeno sia privato della sua legittimazione morale e questo è possibile solo con il dialogo e la comprensione dell'altro. Vanno portate avanti le azioni che consentano ai gruppi di diversa confessione e ai loro leader di gettare ponti di comprensione e intesa per approfondire la concordia e la tolleranza e per contribuire a creare un corpus di conoscenze capaci di spiegare le cause dell'odio ed eliminarle. Le diverse comunità religiose devono conoscersi meglio e non vi è niente di meglio a tal fine di misure che consentano la creazione di reti tra i loro membri.

4.3.2

Fatto salvo l'intervento del programma relativo ai flussi migratori in materia di integrazione sociale e professionale di persone appartenenti a gruppi minoritari di tipo etnico, religioso, culturale o a gruppi di migranti, specie di persone giovani, il programma in esame dovrebbe anche sviluppare buone pratiche sulle metodologie vincenti in questo campo, specie per quanto riguarda le attività di formazione e scambio di personale ed esperti (articolo 4, paragrafo 2).

4.3.3

Per quanto riguarda le organizzazioni della società civile, si deve esprimere un giudizio negativo sulla recente proposta preliminare della Commissione europea relativa a un codice di comportamento per promuovere la trasparenza e la responsabilità finanziaria delle organizzazioni senza scopo di lucro. Si tratta di una proposta che corre il rischio di produrre effetti negativi per le ONG europee nel loro complesso e di screditarle, compromettendo il loro capitale sociale più prezioso: la fiducia dell'opinione pubblica e delle istituzioni locali, nazionali ed europee.

Il comitato comprende che ci si preoccupi di prevenire il possibile uso delle organizzazioni senza scopo di lucro per finanziare il terrorismo e altre attività criminali. Tuttavia, a tal fine vanno usati gli strumenti ordinari di prevenzione e repressione delle autorità dei diversi Stati membri. Sarebbe però soprattutto auspicabile continuare il lavoro, purtroppo interrotto, sull'adozione degli statuti dell'associazione europea e della mutua europea.

4.3.4

Si ribadisce quanto detto ai punti 4.1.2.2 e 4.1.2.3 riguardo alle attività di formazione e scambio di personale ed esperti e alle attività di sensibilizzazione e divulgazione.

4.3.5

Anche l'arte e la cultura devono occupare un posto privilegiato nella strutturazione di una risposta civica alla criminalità e al terrorismo, anche come mezzo di espressione e di comprensione di altri punti di vista che non sono parte della visione dominante nei nostri paesi.

4.4

Per quanto riguarda l'articolo 14 (Valutazione) si ribadisce quanto affermato al punto 4.1.4.

5.   Conclusioni

5.1

Il Comitato ritiene necessarie le due proposte comprese nel programma quadro la cui dotazione finanziaria andrebbe aumentata in futuro se la valutazione intermedia stabilirà che si sta avanzando nella buona direzione.

5.2

È inoltre necessario che il Comitato partecipi, nell'ambito delle sue specifiche competenze, al processo di dialogo con la Commissione e con il Parlamento europeo nel quadro della messa a punto dei piani annuali del programma e nei processi di valutazione corrispondenti.

5.3

D'altra parte il Comitato desidera rammentare che nei programmi europei in corso per la difesa delle libertà e la sicurezza si dovrebbe trovare il giusto equilibrio tra le risorse utilizzate per la sicurezza e quelle per la difesa delle libertà, conformemente a quanto si afferma nel parere in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeoIl programma dell'Aia: dieci priorità per i prossimi cinque anniPartenariato per rinnovare l'Europa, doc COM(2005) 184 def. (SOC/209).

5.4

La protezione dei diritti fondamentali, delle libertà e della sicurezza è responsabilità di tutti i cittadini. Essa inizia con l'insegnamento dei valori comuni sin dai primi anni di scuola e si realizza attraverso la ricerca costante di un equilibrio fra i tre pilastri: libertà, democrazia e sicurezza.

Bruxelles, 14 dicembre 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Rapporto Human security now, Nazioni Unite http://www.humansecurity-chs.org (NdT: documento non disponibile in italiano).

(2)  GU C 19 del 23.1.1999, pag 1.

(3)  http://www.europol.eu.int/index.asp?page=publar2004#introduction.

(4)  Parere del CESE del 24.4.2002 (relatore unico: RETUREAU) (GU C 149 del 21.6.2002).

(5)  In relazione al documento di lavoro della Commissione - La relazione tra la salvaguardia della sicurezza interna ed il rispetto degli obblighi e strumenti internazionali in materia di protezione (COM(2001) 743 def.).

(6)  Discorso del Segretario generale delle Nazioni Unite alla Conferenza internazionale su democrazia, terrorismo e sicurezza organizzata dal Club di Madrid, Madrid, Spagna, 11 marzo 2005. http://www.safe-democracy.org.

(7)  Rohan Gunaratna, Al Qaeda, viaje al interior del terrorismo islamista, pag. 27, Editorial Servi Doc., Barcellona, 2003.

(8)  Nota all'attenzione del Consiglio europeo, 16 e 17 giugno 2005, sottoposta dalla presidenza e dal coordinatore antiterrorismo dell'UE:

http://consilium.eu.int/uedocs/cmsupload/newWebre01.en05.pdf.

(9)  http://cumbre.clubmadrid.org/agenda/la-agenda-de-madrid.html.

(10)  Parere del CESE del 29.5.2002 (relatore: Pariza CASTANOS (GU C 221 del 17.9.2002).

(11)  COM(2002) 71 def. dell'11.2.2002.

(12)  http://www.europol.eu.int/index.asp?page=publar2004#INTRODUCTION.

(13)  http://www.fatf-gafi.org/document/28/0,2340,en_32250379_32236930_33658140_1_1_1_1.00html#Introduction.

(14)  Nota all'attenzione del Consiglio europeo, 16 e 17 giugno 2005, sottoposta dalla Presidenza e dal Coordinatore antiterrorismo dell'UE:

http://consilium.eu.int/uedocs/cmsupload/newWebre01.en05.pdf..


17.3.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 65/70


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'Anno europeo delle pari opportunità per tutti (2007) — Verso una società giusta

COM(2005) 225 def. — 2005/0107 (COD)

(2006/C 65/14)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 ottobre 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere in merito alla: proposta di cui sopra.

La sezione Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 dicembre 2005, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice HERCZOG.

Il Comitato economico e sociale europeo in data 14 dicembre 2005, nel corso della 422a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 123 voti favorevoli, nessun voto contrario e 7 astensioni.

1.   Sintesi della posizione del Comitato

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo ribadisce il proprio sostegno al programma elaborato per l'Anno europeo delle pari opportunità per tutti (2007) e il proprio impegno a favore delle pari opportunità, della coesione sociale e dei diritti fondamentali per tutti in Europa.

1.2

Nei suoi precedenti pareri sull'argomento, il Comitato ha sottolineato la necessità di compiere progressi ben più significativi di quelli realizzati finora per poter eliminare qualunque forma di discriminazione ai sensi dell'articolo 13 del Trattato che istituisce la Comunità europea (1). Va riconosciuto che sono state adottate numerose misure correttive per promuovere le pari opportunità, ma molto resta ancora da fare e non può essere rimandato. A tale riguardo l'Anno europeo delle pari opportunità (2007) può costituire un'occasione preziosa per individuare e porre in rilievo le categorie di persone interessate.

1.3

Il Comitato reputa che a tutte le persone residenti nell'UE andrebbero garantite la non discriminazione e le pari opportunità nel godimento di tutti i diritti umani: civili, politici, economici, sociali e culturali. L'Anno europeo dovrebbe pertanto essere un'occasione per compiere passi avanti verso l'eliminazione di ogni forma di discriminazione. Anche se va prestata una particolare attenzione alle discriminazioni di cui all'articolo 13 del Trattato, l'Anno europeo dovrebbe essere considerato un'opportunità per sensibilizzare sulla discriminazione nei confronti di categorie specifiche che generalmente non vengono prese in considerazione, come ad esempio i bambini, e su questioni collegate alla discriminazione che non sono state ancora affrontate.

1.4

Il Comitato appoggia l'Agenda sociale 2005-2010 che elabora una strategia di azione in materia di pari opportunità e di coesione sociale, dimostrando così di attribuire un'attenzione prioritaria a questi due aspetti. Ad eccezione di alcune aggiunte e modifiche specificate qui di seguito, il Comitato accoglie e sostiene gli obiettivi dell'Anno europeo, che si articolano attorno ai diritti, alla rappresentanza, al riconoscimento, al rispetto e alla tolleranza e all'integrazione degli aspetti menzionati nelle idee dominanti.

2.   Motivazione del parere e osservazioni

2.1   Sintesi del documento della Commissione

2.1.1

La comunicazione della Commissione sull'Agenda sociale 2005-2010 (COM(2005) 33 def.) evidenzia l'importanza di promuovere le pari opportunità per tutti come strumento per realizzare una società più solidale. Annuncia inoltre l'intenzione della Commissione (cfr. comunicazione che accompagna la proposta in esame (2)) di elaborare un nuovo approccio strategico incentrato sulla non discriminazione e sulle pari opportunità per tutti. Una delle principali iniziative proposte dalla comunicazione è quella di indire, nel 2007, l'Anno europeo delle pari opportunità per tutti. L'obiettivo dell'Anno europeo sarà quello di sensibilizzare i cittadini ai vantaggi di una società giusta e solidale che offra pari opportunità a tutti. In questo contesto sarà necessario eliminare gli ostacoli che non consentono di integrarsi nella società e promuovere l'instaurarsi di un ambiente in cui la diversità dell'Europa venga percepita come fonte di vitalità sociale e culturale. Gli obiettivi specifici dell'Anno europeo sono i seguenti:

diritti: sensibilizzare il grande pubblico al diritto alla parità e alla non discriminazione,

rappresentanza: stimolare il dibattito sulle possibilità di incrementare la partecipazione alla vita civile, politica, economica, sociale e culturale,

riconoscimento: valorizzare e accogliere la diversità,

rispetto e tolleranza: promuovere una società più solidale.

La proposta in esame definisce le disposizioni relative all'Anno europeo delle pari opportunità per tutti e gli stanziamenti da destinare a questa iniziativa. La proposta si fonda sull'articolo 13 del Trattato CE (3).

2.2   Osservazioni generali e specifiche

2.2.1

Le pari opportunità costituiscono una priorità della politica europea e tali devono restare. Nonostante i significativi cambiamenti legislativi introdotti a livello europeo e nazionale in fatto di lotta contro le discriminazioni, specie quelle menzionate all'articolo 13, si rendono necessarie azioni supplementari per garantire una realizzazione più coerente delle pari opportunità e della non discriminazione. Esistono forme di discriminazione indiretta che sono rilevabili nel momento in cui vengono poste in atto, ma sono poi difficili da dimostrare. Di qui l'opportunità di tener conto di tale aspetto nell'ambito del programma dell'Anno europeo 2007.

2.2.2

Un altro aspetto da considerare è costituito dal diverso livello e dalla diversa portata della protezione contro le varie forme di discriminazione. Il Comitato raccomanda con vigore di proibire qualunque forma di discriminazione — fondata su sesso, razza o origine etnica, religione o convinzioni personali, handicap, età o tendenze sessuali — nel campo dell'occupazione, della formazione, dell'istruzione, della protezione sociale, dei vantaggi sociali e dell'accesso ai beni e ai servizi. Si rischia altrimenti di creare una gerarchia tra le diverse categorie.

2.2.3

Dall'adozione della Carta europea dei diritti fondamentali, l'Unione europea non si può più considerare solo come un'associazione di Stati fondata su motivazioni economiche. È opportuno di conseguenza esaminare le ragioni per cui determinate categorie sociali, come conseguenza di forme diverse di esclusione, non possono accedere al mercato del lavoro e prendere parte alla vita economica o vivono in povertà pur esercitando un'attività lavorativa.

2.2.4

La necessità di garantire pari opportunità per tutti e soprattutto per le persone che sono discriminate o svantaggiate a causa delle loro condizioni sociali, economiche, culturali, geografiche, ecc. è motivata da considerazioni sociali ed economiche. Se provviste di un sostegno adeguato, queste persone potrebbero partecipare a pieno titolo alla società, fornendo il loro contributo non solo sociale, ma anche economico.

2.2.5

Il Comitato è dell'avviso che il programma dell'Anno europeo 2007 offra l'opportunità di dare risalto a coloro che finora possono essere stati trascurati, ad esempio i giovani, compresi i bambini, discriminati a causa dell'età, le persone vittime di discriminazioni multiple di diversa forma, quelle discriminate in quanto residenti in regioni o insediamenti isolati o poco popolati, le quali potrebbero non aver accesso ai servizi necessari.

2.2.6

Il Comitato reputa che l'Anno europeo dovrebbe anche offrire l'opportunità di soffermarsi ulteriormente sulle sfide prioritarie, quali ad esempio la discriminazione multipla di cui sono spesso vittime alcune categorie di persone (p. es. bambini disabili, emigrati, anziani, donne Rom). È altresì necessario che in tutte le iniziative attuate nel campo della lotta alla discriminazione si tenga conto della natura varia ed eterogenea dei gruppi maggiormente discriminati.

2.2.7

L'Anno europeo dovrebbe essere un'opportunità per migliorare la situazione di un maggior numero di categorie di persone. Indicando il cammino da percorrere, andrebbe prestata un'attenzione particolare alla Convenzione sui diritti del fanciullo dell'ONU, un documento che è stato ratificato da tutti gli Stati membri dell'UE e che, di conseguenza, può essere considerata parte integrante dei principi riconosciuti dalla comunità degli Stati membri. Ciò consentirà altresì in futuro di far assurgere il rispetto dei diritti dell'infanzia ad esigenza internazionale.

2.2.8

È ancora prematuro fare un bilancio del primo impatto dell'Anno europeo delle persone con disabilità (2003) destinato a promuovere le pari opportunità per i disabili nel quadro del piano d'azione 2004-2010 adottato nel 2003 (4). Si constata comunque (5) che questa categoria di persone, proprio grazie all'Anno europeo, ha potuto beneficiare di una maggiore attenzione negli Stati membri, e che i cittadini europei dispongono ora di informazioni più approfondite sulle condizioni dei loro simili affetti da disabilità. Tuttavia, affinché vi siano dei veri cambiamenti, è fondamentale effettuare una valutazione adeguata di quanto già è stato fatto finora e assicurare il follow-up dell'Anno europeo. Attualmente il Comitato sta elaborando un parere in merito alla valutazione e al seguito dell'Anno europeo delle persone con disabilità.

2.2.9

Riguardo alle conseguenze indirette dell'Anno europeo 2007, al momento di elaborare la normativa in materia sarebbe opportuno che nel capitolo dedicato al seguito da riservare a questa iniziativa non figurasse soltanto il criterio della percentuale di popolazione europea che ha ottenuto maggiori informazioni riguardo alle categorie discriminate sistematicamente. È infatti importante esaminare anche i cambiamenti concreti intervenuti nella vita quotidiana e nella prassi amministrativa.

2.2.10

La considerazione orizzontale dei diversi tipi di discriminazione in tutte le politiche e le iniziative comunitarie e l'attenzione alle esigenze specifiche delle persone vittime di un determinato tipo di discriminazione nel quadro dell'elaborazione di azioni concernenti altri tipi di discriminazione (p. es. tener conto delle questioni legate alla disabilità anche quando si affrontano le altre cause di discriminazione) sono fondamentali per compiere dei progressi nella lotta alla discriminazione e nella promozione delle pari opportunità. L'esperienza maturata in questo campo, ad esempio per quanto riguarda le questioni di genere, potrebbe essere applicata ad altri tipi di discriminazione

2.2.11

Oltre all'inaccettabilità della discriminazione, della xenofobia e del razzismo, è fondamentale porre in rilievo i valori di un'Europa multiculturale e l'importanza di dare applicazione alle direttive già adottate nel quadro della politica europea di lotta contro le discriminazioni.

2.2.12

Il Comitato ha già ribadito in svariati pareri (6) l'importanza, a suo giudizio, della partecipazione delle organizzazioni non governative (ONG), delle categorie minoritarie sopra elencate, dei datori di lavoro pubblici e privati, degli attori dell'economia sociale, dei lavoratori dipendenti e dei rappresentanti delle regioni. Le persone discriminate e i gruppi e gli organismi che le rappresentano vanno inoltre coinvolte a tutti i livelli e in tutte le fasi di attuazione concreta. Al momento di programmare, attuare e controllare gli aiuti, occorre verificare con maggior attenzione (e, se necessario, anche tramite relazioni provenienti da altra fonte) se esista, ad esempio, una comunicazione adeguata con le ONG.

2.2.13

Occorrerebbe prestare un'attenzione particolare e riconoscere il ruolo delle ONG e delle organizzazioni che rappresentano le categorie discriminate. Andrebbe garantito il loro coinvolgimento nell'Anno europeo a tutti i livelli (locale, regionale, nazionale ed europeo) e in tutte le fasi (pianificazione generale, attuazione, applicazione, valutazione e follow-up dell'Anno europeo). In particolare, andrebbe preso in considerazione e sottolineato il ruolo delle imprese e delle organizzazioni dell'economia sociale (cooperative, associazioni, fondazioni e fondi mutualistici) nella lotta contro la discriminazione.

2.2.14

Il Comitato nota con piacere che la Commissione riconosce l'importanza di collaborare con i datori di lavoro e i lavoratori allo scopo di favorire e sostenere l'introduzione di politiche all'insegna della non discriminazione e della diversità sul posto di lavoro. Il Comitato raccomanda di approfittare dell'Anno europeo per:

individuare e promuovere lo scambio di informazioni e gli esempi di buone prassi,

sensibilizzare le aziende al valore aggiunto costituito dal rispetto e dall'inserimento del principio delle pari opportunità nelle loro politiche di assunzione e di avanzamento delle carriere,

creare partenariati e reti sostenibili tra datori di lavoro ed altri diretti interessati, ivi comprese ONG e organizzazioni a contatto con le categorie vittime di discriminazione,

agganciarlo al piano della Commissione in materia di responsabilità sociale d'impresa (la cui pubblicazione è prevista nel gennaio 2006), e addirittura anticipare tale piano.

2.2.15

L'Anno europeo delle pari opportunità per tutti va preparato attentamente, sulla scorta delle esperienze precedenti. È necessario fornire informazioni in una lingua e in un linguaggio comprensibili a tutti, garantire opportunità di insegnamento e formazione, assicurare una copertura mediatica adeguata e la partecipazione delle altre politiche, nonché l'assistenza tecnica necessaria. Occorre altresì utilizzare, diffondere e adattare in maggior misura i risultati delle ricerche ora disponibili, le buone prassi e i programmi dimostratisi efficaci.

2.2.16

Il Comitato giudica le risorse di bilancio stanziate molto limitate rispetto alle ambizioni e alle esigenze dimostrate. Sarebbe pertanto opportuno vigilare sull'allocazione delle risorse disponibili per fare in modo che ne usufruiscano le persone direttamente interessate.

2.2.17

In occasione dell'Anno europeo 2007 occorre ribadire inoltre la necessità di garantire che nei paesi dell'Unione chiunque — al di là delle categorie indicate all'articolo 13 del Trattato CE e nel presente parere — possa sviluppare ulteriormente le proprie capacità e il proprio potenziale tramite in primo luogo l'inclusione sociale e l'istruzione.

Bruxelles, 14 dicembre 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  GU C 24 del 31.1.2006; GU C 294 del 25.11.2005; parere CESE in merito alla proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al Fondo sociale europeo (relatrice: Ursula ENGELEN-KEFER), GU C 234 del 22.9.2005; GU C 234 del 22.3.2006; parere CESE in merito alla comunicazione della Commissione che definisce gli orientamenti per la seconda fase dell'iniziativa comunitaria Equal relativa alla cooperazione transnazionale per promuovere nuovi mezzi di lotta contro tutte le forme di discriminazione e di disparità connesse al mercato del lavoro «Libera circolazione delle buone idee» (relatore: Sukhdev SHARMA), SOC/167, GU C 241 del 28.9.2004; parere CESE in merito alla comunicazione della Commissione Pari opportunità per le persone con disabilità - un piano d'azione europeo (relatore: Miguel Ángel CABRA DE LUNA), GU C 110 del 30.4.2004.

(2)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Una strategia quadro per la non discriminazione e le pari opportunità per tutti (COM(2005) 224 def.).

(3)  L'articolo 13 recita come segue: 1. Fatte salve le altre disposizioni del presente trattato e nell'ambito delle competenze da esso conferite alla Comunità, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa consultazione del Parlamento europeo, può prendere i provvedimenti opportuni per combattere le discriminazioni fondate sul sesso, la razza o l'origine etnica, la religione o le convinzioni personali, gli handicap, l'età o le tendenze sessuali. 2. In deroga al paragrafo 1, il Consiglio delibera secondo la procedura di cui all'articolo 251 quando adotta misure di incentivazione comunitarie, ad esclusione di qualsiasi armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri, destinate ad appoggiare le azioni degli Stati membri volte a contribuire alla realizzazione degli obiettivi di cui al paragrafo 1.

(4)  Cfr. parere CESE SOC/163, GU C 110 del 30.4.2004.

(5)  Cfr. Eurobarometro.

(6)  Cfr. SOC/189, GU C 234 del 22.9.2005.


17.3.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 65/73


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Come integrare la dimensione sociale nei negoziati sugli accordi di partenariato economico

(2006/C 65/15)

La Commissione, con lettera della commissaria Loyola de PALACIO in data 2 luglio 2004, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, ha richiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere sul tema Come integrare la dimensione sociale nei negoziati sugli accordi di partenariato economico (APE).

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 novembre 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore Antonello PEZZINI, correlatore Gérard DANTIN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 dicembre 2005, nel corso della 422a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 125 voti favorevoli, 2 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Introduzione

1.1   Il contesto del parere

1.1.1

Il presente parere viene elaborato su richiesta dell'ex commissario Loyola de Palacio. Nella lettera del 2 luglio 2004 con cui consultava il Comitato, dopo aver indicato che la Commissione apprezza il ruolo attivo svolto dal Comitato economico e sociale nella promozione di un dialogo aperto tra i soggetti non statali degli ACP e l'Unione europea, il commissario invitava il Comitato a predisporre un parere esplorativo sulla possibile maniera di includere gli aspetti sociali nelle trattative sugli accordi di partenariato economico, con particolare riguardo all'occupazione, alle norme sul lavoro, alla sicurezza sociale e alle questioni di genere.

1.1.2

Gli accordi di partenariato economico (APE), disciplinati dall'art. 37 dell'Accordo di Cotonou, devono essere negoziati entro il 31 dicembre 2007. Essi mirano a favorire l'integrazione graduale e armoniosa degli Stati ACP nell'economia mondiale, nel rispetto delle loro scelte politiche e delle loro priorità di sviluppo, e, così facendo, a promuovere lo sviluppo sostenibile e a contribuire all'eliminazione della povertà nei paesi ACP (art. 34, par. 1). Più in generale essi partecipano all'attuazione della strategia di sviluppo esposta agli articoli 19-27 (Titolo 1) dell'Accordo di Cotonou.

1.1.3

La richiesta di consultazione della Commissione fa capo all'articolo 37 e al Titolo I dell'Accordo di Cotonou, che definisce il quadro in cui si colloca il presente parere esplorativo.

1.2

Tale richiesta dimostra l'importanza attribuita dalla Commissione a che si tenga conto della dimensione sociale nell'ambito dei negoziati degli accordi di partenariato economico.

1.2.1

Il Comitato si compiace quindi della sollecitudine e dell'iniziativa della Commissione.

1.2.2

In effetti non può esservi sviluppo economico ottimale senza un parallelo sviluppo sociale. Questi due concetti devono andare di pari passo se si vuole che il progresso economico risulti pienamente efficace e determini quindi un miglioramento del tenore di vita e del benessere dei cittadini.

1.2.3

Inoltre, l'attuazione degli APE condurrà inevitabilmente all'adozione di opportune riforme strutturali, stravolgendo per molti versi l'attuale stile di vita delle popolazioni degli ACP. Tali riforme, che spesso saranno vissute con difficoltà, dovranno accompagnarsi a progressi sociali per evitare che gli accordi di partenariato economico vengano respinti dalle popolazioni.

1.2.4

Sotto questo profilo, la partecipazione della società civile alle varie fasi del processo soggiacente agli accordi di partenariato economico assume un'importanza centrale.

1.3

In generale, l'Accordo di Cotonou prevede la soppressione graduale delle barriere agli scambi bilaterali e considera il periodo di negoziazione utile e opportuno per sviluppare le capacità dei settori pubblico e privato.

1.3.1

Gli obiettivi di base dei negoziati APE, i quali rientrano nell'attuazione dell'Accordo di Cotonou, vertono essenzialmente sugli aspetti seguenti: l'eliminazione della povertà, lo sviluppo sostenibile, l'effettiva partecipazione delle donne, il coinvolgimento degli attori non statali e l'impegno per il mantenimento di un livello sufficiente di risorse pubbliche nei settori sociali (1).

1.3.2

L'Accordo di Cotonou prevede che gli APE coprano una vasta serie di settori: la politica di concorrenza (2), i diritti di proprietà intellettuale (3), le misure sanitarie e fitosanitarie (4), le considerazioni commerciali e ambientali (5), le norme commerciali e del lavoro (6), la protezione dei consumatori (7), la sicurezza alimentare (8) e gli investimenti (9).

1.4

Gli APE, il cui quadro coinvolge diverse dimensioni (cfr. Allegato II), vengono considerati come accordi di libero scambio reciproci da negoziare su base bilaterale tra l'UE e i paesi o le regioni ACP. A questo proposito va sottolineato il principio secondo cui gli APE devono essere conformi alle regole dell'OMC.

1.4.1

A tal fine, sia gli ACP che l'UE sono convinti della necessità di instaurare un sistema commerciale multilaterale più equilibrato e giusto sotto l'egida dell'OMC, fondato su una chiara relazione tra commercio e sviluppo, basato su un trattamento realmente differenziato dei paesi in via di sviluppo — soprattutto i cosiddetti paesi meno avanzati (PMA) e i piccoli paesi insulari — e improntato alla trasparenza e a un'effettiva integrazione nel processo decisionale.

1.5

I negoziati condotti fino a oggi (cfr. Allegato II) hanno messo in evidenza alcune serie divergenze tra i paesi ACP e l'Unione europea, come ha opportunamente sottolineato l'Assemblea parlamentare paritetica ACP-UE.

1.5.1

Non bisogna dimenticare che il debito estero costituisce, per molti paesi ACP, un ostacolo insormontabile allo sviluppo economico e sociale (10). Questo è d'altronde uno dei motivi per cui la prima fase dei negoziati APE non è sfociata in un accordo quadro vincolante, come auspicavano invece gli ACP.

2.   Osservazioni generali

2.1

Numerosi ACP, in particolare quelli dell'Africa australe, reputano che le prospettive di integrazione regionale condurranno in un primo tempo a una diminuzione delle entrate, soprattutto in seguito alla riduzione dei dazi doganali. In questa fase appare quindi necessario prevedere un maggiore impegno finanziario in base alle diverse quote di contribuzione. In un secondo momento, dato che in molti paesi africani il gettito dei dazi doganali rappresenta una quota importante delle entrate pubbliche, sarà necessario mettere a punto quanto prima un regime fiscale in grado di compensare tali perdite. Occorre pertanto aiutare i paesi interessati a realizzare regimi fiscali efficaci. Oltre a ciò, i paesi ACP hanno fatto registrare solo scarsi progressi verso concrete forme di cooperazione commerciale regionale. Gli accordi esistenti o in via di completamento, oltre a essere limitati ad alcune regioni, non hanno generalmente raggiunto l'obiettivo di incrementare l'interscambio regionale. Di fatto, poche delle aree di integrazione attualmente esistenti presentano scambi commerciali significativi di livello infraregionale.

2.1.1

Attualmente, in tutti e sei i cantieri regionali, le trattative sono risultate lunghe e complesse. La prevista scadenza del 2007 sicuramente non sarà rispettata. Il periodo di transizione sarà più lungo e andrà ben al di là del 2008. Le maggiori difficoltà si manifestano in particolare nell'Africa australe e orientale. Gli Stati africani, infatti, mostrano molto più interesse per i problemi infrastrutturali (strade, ospedali, centri di formazione, sviluppo agricolo, ecc.) che per quelli riguardanti gli aspetti della società civile (11).

2.1.2

Ogni regione dispone di task force che seguono costantemente i negoziati commerciali (12). Tali task force devono necessariamente consultare le organizzazioni rappresentative della società civile per ascoltarne le analisi e le proposte sugli aspetti sociali e, più in generale, sull'insieme delle problematiche inerenti allo sviluppo. A tal fine i rappresentanti della società civile devono darsi una struttura a livello regionale e organizzarsi in modo da elaborare le proprie posizioni su base collegiale. L'Unione europea deve contribuire all'attuazione pratica di tale iniziativa sul piano sia finanziario che tecnico.

2.1.3

Il Comitato si è già espresso per un forte coinvolgimento della società civile (13), anche in considerazione del fatto che nell'Accordo di Cotonou le disposizioni relative alla partecipazione degli attori non statali interessano più di trenta articoli, una dichiarazione finale e l'allegato IV relativo alle procedure di attuazione e di gestione. Le affermazioni che meglio esprimono questo approccio figurano nei «Principi fondamentali» (art. 2) e nel capitolo 2, che è interamente dedicato agli «attori del partenariato».

2.1.4

Il CESE ritiene importante estendere alle regioni ACP le esperienze maturate in Europa, soprattutto nelle regioni dell'Obiettivo 1, con l'utilizzo dei fondi strutturali (14).

2.2

La partecipazione della società civile alla realizzazione degli accordi di partenariato economico è una delle condizioni essenziali perché questi ultimi diano risultati efficaci.

2.2.1

L'Accordo di Cotonou, all'art 6, definisce così gli «attori non statali»: il settore privato, i partner economici e sociali, comprese le organizzazioni sindacali, e la società civile in tutte le sue forme, in base alle caratteristiche nazionali (15).

2.2.2

Il richiamo alla società civile è molto frequente in tutto l'accordo (16): in particolare, l'art. 4 definisce il modo in cui essa deve essere coinvolta (17).

2.2.3

Nella maggior parte degli ACP, la società civile è poco organizzata. Di conseguenza, la negoziazione degli accordi di partenariato economico rappresenta un'occasione per accrescerne l'organizzazione e quindi la capacità propositiva. È solo a tale condizione che essa potrà svolgere un ruolo di spicco, sul campo, nell'attuazione degli orientamenti adottati, e contribuire così a promuovere la crescita attraverso l'aumento della competitività e il miglioramento degli aspetti sociali.

2.2.4

A questo proposito è importante fissare alcuni criteri vincolanti validi per l'insieme dei paesi ACP, che comprendano in particolare, oltre a una ragionevole integrazione nell'economia mondiale, lo sviluppo del commercio accompagnato dai relativi diritti sociali, la riduzione della povertà e il rispetto dei diritti dei lavoratori  (18). Tali criteri sono quelli che dovrebbero guidare i negoziati regionali.

2.2.5

Va sottolineato che molti aspetti inerenti all'occupazione, alla sicurezza sociale e alle questioni di genere, così come lo stretto legame esistente tra lo sviluppo del commercio e le norme del lavoro, sono menzionati in modo piuttosto generico e solamente nel preambolo del mandato di negoziazione dato alla Commissione sugli APE.

2.2.6

I documenti predisposti dalla Commissione sui risultati della prima fase dei negoziati tra l'UE e le diverse regioni ACP non affrontano in modo sufficientemente approfondito lo sviluppo delle tematiche sociali e i problemi di genere.

2.2.7

Ciò contrasta con il principio secondo cui gli APE rappresentano la dimensione economica dell'Accordo di Cotonou, per cui i valori relativi a tutti gli aspetti della vita umana, che sono ben evidenziati nell'accordo, dovrebbero essere inclusi e sostenuti nelle trattative di partenariato economico.

2.3

Affinché gli accordi di partenariato economico possano produrre risultati efficaci in materia sociale bisognerà creare per le categorie socioprofessionali un quadro tale da generare un'unità di luogo e di tempo.

2.3.1

Inoltre, per giungere a risultati soddisfacenti riguardo sia ai negoziati sia all'attuazione dei loro contenuti, il suddetto quadro dovrà favorire la creazione di una metodologia partecipativa effettiva che associ gli attori economici e sociali sin dalla fase di elaborazione degli interventi.

2.3.2

Per il momento, tuttavia, i negoziati in corso si concentrano sulle gravi e crescenti disparità tra le due parti sia a livello di sviluppo, di qualità della vita e di diritti sociali, sia in termini di scambi, ma più ancora di capacità autonoma di proposta, di gestione e di controllo. Queste disparità e squilibri rendono i negoziati sugli APE estremamente complessi e delicati. Una tale complessità non deve tuttavia ostacolare la necessaria inclusione degli aspetti sociali nei negoziati, vuoi in maniera diretta vuoi come risultato certo e chiaramente individuato delle opzioni economiche e/o commerciali adottate. L'accento va posto più in particolare sull'occupazione e sull'imprenditorialità, sulle norme in materia di lavoro, sulla sicurezza sociale e sulle questioni di genere (19).

2.3.3

Al livello regionale, alcune tabelle di marcia prevedono la presenza della società civile nelle fasi delle negoziazioni e all'interno dei comitati nazionali e regionali. Tuttavia, non è ancora dato conoscere i livelli di coinvolgimento e il grado di soddisfazione dei rappresentanti della società civile nel processo di partenariato.

2.3.4

Il CESE, attraverso i suoi incontri periodici con i rappresentanti socioeconomici dei paesi ACP è comunque in grado di valutare il loro grado di coinvolgimento nelle varie fasi dei processi.

3.   La partecipazione della società civile

3.1

Nella maggior parte degli ACP, la società civile è spesso poco o male organizzata. Di conseguenza, la negoziazione degli accordi di partenariato economico può rappresentare un'occasione per accrescerne l'organizzazione e quindi la capacità propositiva. È anche a questa condizione che essa potrà svolgere un ruolo di spicco, sul campo, nell'attuazione degli orientamenti adottati, contribuendo così a promuovere la crescita attraverso l'aumento della competitività e lo sviluppo dei contenuti sociali. Il miglioramento dell'organizzazione della società civile e quindi della sua capacità di intervento non può avvenire senza la determinazione della Commissione e la volontà dei paesi interessati.

3.1.1

Una valutazione periodica e costante della partecipazione degli attori socioeconomici a tutte le fasi che compongono la realizzazione degli APE potrebbe innescare processi positivi in direzione di un continuo miglioramento. Tale valutazione andrebbe condotta dai negoziatori istituzionali.

3.1.2

La consultazione e il coinvolgimento dei diversi settori della società civile durante i negoziati e le fasi di controllo delle attività svolte servirebbero anche a dare senso e concretezza al lavoro comune che, attraverso gli APE e secondo i principi dell'Accordo di Cotonou, ha come obiettivo il miglioramento della qualità della vita dell'intera società.

Gli esempi di buone pratiche dovrebbero essere tradotti nelle lingue locali e circolare più diffusamente.

3.2

Per attuare e valorizzare una metodologia partecipativa efficace, premessa indispensabile per l'efficacia e la qualità del contributo della società civile, bisogna creare le condizioni che consentano agli attori non statali di riunirsi, discutere, elaborare obiettivi congiunti, proporli nel quadro dei negoziati APE, monitorarne la realizzazione e soprattutto assicurarne e seguirne l'applicazione sul campo e valutarne l'impatto.

3.2.1

La concomitanza di queste condizioni è necessaria per creare uno spazio destinato alle categorie socioprofessionali che assicuri nel contempo un'unità di tempo e un'unità di luogo.

3.2.2

A tal fine, come indicato nella dichiarazione finale del 24 o incontro degli ambienti economici e sociali ACP-UE , svoltosi a Bruxelles a fine giugno, il Comitato economico e sociale europeo propone di creare dei comitati regionali per il dialogo sociale che raggruppino le categorie socioprofessionali per contribuire a elaborare, proporre e assicurare l'attuazione e il seguito dei programmi di sviluppo sociale.

3.2.3

In generale, le competenze dei comitati regionali per il dialogo sociale dovrebbero riguardare essenzialmente:

l'applicazione e il controllo delle convenzioni dell'OIL, specie quelle relative ai diritti sociali fondamentali,

la promozione del lavoro decoroso e dello sviluppo sociale,

l'impatto economico e sociale prodotto su scala regionale dagli APE, e quello dell'integrazione regionale.

3.2.3.1

Più precisamente, i comitati regionali potrebbero concentrarsi, eventualmente con l'ausilio di gruppi specializzati, sull'elaborazione di proposte riguardanti:

la promozione dell'occupazione: obiettivi e metodi; decorosità del lavoro (retribuzioni, condizioni di lavoro, ecc.),

l'istruzione,

la formazione professionale iniziale e continua,

i dispositivi di protezione sociale,

l'evoluzione negoziata dei settori informali,

le pari opportunità,

lo sviluppo sostenibile con particolare attenzione all'ambiente,

le infrastrutture e gli investimenti.

3.2.4

L'OIL potrebbe collaborare alla creazione dei comitati regionali per il dialogo sociale in termini di metodologia organizzativa e operativa. In effetti, esso ha acquisito una notevole esperienza in materia con il programma PRODIAF (Programma regionale di promozione del dialogo sociale in Africa francofona), e potrebbe ora attingere a tale esperienza per rendere i comitati più efficaci.

3.2.5

Riguardo alla composizione dei comitati regionali, i criteri di ammissibilità potrebbero ispirarsi all'accordo sottoscritto tra gli Stati ACP e il Consiglio dell'Unione europea per quanto concerne l'accesso alle risorse del FES (Fondo europeo di sviluppo).

3.2.6

Qualora, nell'ambito di regioni omogenee (Caraibi, ecc.), esistessero già piattaforme, forum o altri raggruppamenti strutturati degli attori non statali, creati per rispondere alle esigenze relative all'elaborazione dei programmi indicativi nazionali e regionali, bisognerebbe riflettere a come modificarli in modo che possano contribuire alla realizzazione degli obiettivi dei comitati regionali per il dialogo sociale.

3.2.7

Ai fini di una maggiore efficacia, i comitati regionali per il dialogo sociale potrebbero essere opportunamente associati al lavoro delle task force di preparazione regionale (TFPR). Come è noto, le TFPR svolgono un ruolo determinante in quanto assicurano che i bisogni espressi nelle fasi dei negoziati vengano poi soddisfatti all'interno della programmazione dell'aiuto.

3.2.7.1

Il coinvolgimento di tali comitati consentirebbe alla società civile organizzata di acquisire un ruolo più importante e di monitorare lo sviluppo sostenibile, all'interno dei negoziati, e nelle fasi degli interventi concreti, a livello regionale.

3.2.7.2

Come è stato più volte ribadito, i problemi legati all'agricoltura e ai diversi aspetti ambientali rivestono particolare rilevanza nei paesi ACP, ed è importante che vengano inseriti costantemente nelle fasi dei negoziati, anche attraverso l'esperienza diretta dei rappresentanti locali del settore.

3.2.7.3

I comitati regionali per il dialogo sociale potranno svolgere un ruolo tanto più concreto e propositivo quanto più, chiariti i problemi di disponibilità economiche e di organizzazione, saranno in grado di confrontarsi con il comitato di monitoraggio ACP/UE e potranno arricchirsi nello scambio di esperienze con il Comitato economico e sociale europeo.

4.   Lo sviluppo dell'occupazione

4.1

Il lavoro decoroso è lo strumento essenziale per lottare contro la povertà, in quanto:

genera reddito, quindi potere d'acquisto e di conseguenza mercato,

libera individui e fasce della popolazione dal bisogno di assistenza,

produce beni e servizi accessibili alle popolazioni e necessari per soddisfare i loro bisogni,

contribuisce a finanziare i benefici sociali: istruzione e formazione, pensioni, sussidi di disoccupazione, cure mediche, in sostanza ciò che viene definita «sicurezza sociale».

4.1.1

Le politiche per l'occupazione devono infondere dinamismo, combinando l'apporto del settore pubblico e privato con le realizzazioni dell'economia sociale e solidale.

4.1.2

I programmi a favore dell'occupazione dovrebbero prevedere, da un lato, un inserimento progressivo e negoziato delle economie informali nel settore pubblico o privato, anche attraverso la promozione delle norme internazionali sul lavoro (in particolare i diritti fondamentali); dall'altro, l'impegno, da parte delle imprese che beneficiano di fondi provenienti da appalti pubblici (investimenti, opere varie), a rispettare le norme internazionali sul lavoro e le regole sulla protezione ambientale (clima, biodiversità, Protocollo di Kyoto, protezione delle foreste, ecc.). Tutto ciò rientra in parte nella sfera della responsabilità sociale delle imprese.

4.1.3

Tali programmi dovrebbero inoltre tracciare orientamenti circa le necessarie riforme economiche, fiscali e amministrative, la lotta alla corruzione, la creazione ad esempio di sistemi di crediti di imposta e di altri servizi rivolti in particolare alle PMI e all'artigianato.

4.1.4

Gli obiettivi del partenariato sono, come è noto, promuovere e accelerare lo sviluppo economico, culturale e sociale degli Stati ACP. Il fine principale è la riduzione e la definitiva eliminazione della povertà. Gli APE dovrebbero arricchire il partenariato, aiutando le economie ad aprirsi soprattutto sull'asse sud-sud e a raggiungere una maggiore liberalizzazione, con regole chiare e interessanti per gli investitori nazionali e esteri.

4.1.5

Per permettere ai paesi ACP di aprirsi culturalmente ed economicamente, deve essere compiuto un grande sforzo, cogliendo soprattutto l'opportunità offerta dagli APE di realizzare un'unione doganale che soddisfi i reciproci interessi e favorisca sempre più l'integrazione regionale.

4.2

Purtroppo, all'inizio dei negoziati non è stato realizzato alcuno studio di impatto sull'occupazione per fotografare la situazione ab origine. Un tale studio avrebbe consentito di valutare meglio i progressi conseguiti.

4.2.1

La cooperazione mira a sostenere le riforme e le politiche economiche e istituzionali, necessarie per creare un contesto favorevole agli investimenti e allo sviluppo di un settore privato dinamico, efficiente e competitivo. Parallelamente occorre rafforzare in particolar modo il settore pubblico, grazie tra l'altro a interventi nel campo dell'istruzione, dell'assistenza sanitaria e dei servizi sociali in generale, in maniera da sostenere il settore privato.

4.2.2

È altresì compito della cooperazione sostenere:

la promozione del dialogo tra il settore pubblico e il privato,

lo sviluppo di competenze imprenditoriali e di una cultura economica,

il superamento dell'attività informale nel rispetto dello Stato di diritto.

4.2.3

Gli interventi effettuati durante gli accordi precedenti (20) hanno dato alcuni risultati, ma evidentemente non tutti quelli auspicabili, soprattutto nel campo della promozione del settore privato e del suo ruolo di stimolo alla crescita e alla diversificazione dell'economia.

4.2.4

Gli attori socioprofessionali, in sede di impostazione del programma di sviluppo, dovrebbero procedere ad analisi puntuali delle difficoltà incontrate nell'attività di promozione, protezione e sostegno degli interventi rivolti alle micro, piccole e medie imprese.

4.3

Le opzioni fondamentali dello sviluppo, soprattutto in Africa, sono basate sull'agricoltura. Questa rimarrà ancora per lungo tempo la principale linea di azione attorno alla quale costruire interventi riguardanti:

l'evoluzione delle pratiche agricole tradizionali e nella loro efficacia,

la realizzazione di infrastrutture e di servizi sociali diffusi,

lo sviluppo di attività artigianali e imprenditoriali di piccola scala, spesso legate all'agroalimentare.

4.3.1

Per consentire al sistema agricolo di svilupparsi e di consolidarsi, è necessario che il commercio tra i paesi ACP e l'UE sia improntato, soprattutto nei prossimi anni, a regole flessibili che consentano di fare proprie le regole sanitarie e fitosanitarie e diano l'opportunità alle nuove piccole imprese di nascere, di rafforzarsi e di diversificarsi, grazie alla protezione offerta da opportune clausole di salvaguardia.

4.3.2

Gli interventi nel settore agricolo dovrebbero, col tempo, riuscire a:

sviluppare standard di sicurezza agroalimentare per sbocchi all'esportazione,

migliorare gli accessi al mercato agricolo, anche attraverso il marketing,

rimuovere gli ostacoli burocratici e migliorare la logistica,

promuovere la formazione nei servizi e nella ricerca,

sviluppare istituti di credito agrario e cooperativo,

adottare regole certe e condivise per la proprietà fondiaria,

favorire il progressivo passaggio dell'occupazione dall'agricoltura allo sviluppo di servizi rurali.

4.3.2.1

Il raggiungimento di tali obiettivi si potrà ottenere attraverso una cooperazione, inserita in parte negli APE e in parte nei progetti di aiuto, che si incentri su:

progetti integrati di sviluppo rurale,

formazione e rafforzamento delle organizzazioni degli agricoltori, dei lavoratori e delle donne impegnate nei processi agricoli, nell'agroindustria e nel credito agricolo,

creazione di registri delle proprietà agricole,

una legislazione sulla certificazione alimentare, integrata da istituti di certificazione, dalla creazione di standard fitosanitari e dall'analisi dei suoli, tale da concorrere alla protezione ambientale,

interventi sulle acque irrigue e potabili,

capacity building per organizzazioni e istituzioni pubbliche e private.

4.3.3

Vasti territori agricoli sono ancora oggi soggetti a fenomeni di siccità, pur trovandosi vicino a laghi o ad acque dolci, per il semplice motivo che mancano, oltre alle infrastrutture irrigue, figure professionali capaci di organizzare con pompe il trasporto delle acque.

4.3.4

Spesso i sistemi idraulici acquistati grazie alle risorse della cooperazione giacciono inutilizzati, perché manca chi è in grado di metterli in funzione o il più delle volte di ripararli.

4.3.4.1

In altri casi, i limiti allo sviluppo delle piccole imprese sono rappresentati dalla lentezza delle trasformazioni tecnologiche possibili e da vincoli di carattere culturale (21) e istituzionale.

4.3.5

In altri casi ancora, i risultati sono stati limitati dalla presenza concomitante di forti squilibri nella distribuzione delle risorse e di modelli organizzativi deboli, il che potrebbe mantenere ancora a lungo molte popolazioni in uno stato di precarietà e crescente pressione migratoria.

4.4

Le fasi dei negoziati APE dovrebbero servire a potenziare le capacità di analisi della realtà del settore privato. Ma le capacità di azione del settore privato andrebbero potenziate anche al di là dei tavoli negoziali, attraverso la cooperazione decentrata, e sempre con il coinvolgimento diretto dei rappresentanti della società civile.

4.4.1

Il processo di formazione di nuove imprenditorialità, di creazione di imprese, di valorizzazione della componente di genere e di qualificazione e valorizzazione delle risorse umane è stato oggetto di relazioni informative e di pareri, anche recenti, del CESE.

4.5

Negli ACP l'industria, soprattutto quella di trasformazione, è poco o niente affatto sviluppata. Il 70 % dei posti di lavoro nel settore produttivo fa capo in sostanza al settore informale e a quello delle PMI artigianali. Data la loro importanza, questi due settori richiedono un'attenzione molto particolare e politiche tali da favorire forme adeguate di sviluppo e di assistenza.

4.5.1

Molti dei problemi tradizionali ai quali le PMI devono far fronte — mancanza di finanziamenti, difficoltà di sfruttamento delle tecnologie, limitate capacità manageriali, scarsa produttività e vincoli normativi — si aggravano in un sistema globalizzato e dominato dalla tecnologia, specie se calati in un contesto come quello dei paesi ACP, contraddistinto da gravi carenze strutturali e infrastrutturali.

4.5.2

L'obiettivo dell'integrazione regionale, attraverso gli accordi di partenariato economico, dovrebbe essere quello di favorire la nascita e il consolidamento di alcune strutture che risultano fondamentali per favorire l'accesso delle micro e delle piccole imprese ai finanziamenti, alla raccolta di informazioni, all'accesso ai mercati, alla formazione e all'aggiornamento tecnologico. Ma queste strutture sono gestite con l'apporto dei rappresentanti delle organizzazioni socioprofessionali, e questi rappresentanti devono avere l'opportunità di formarsi, di crescere, di aumentare il loro bagaglio di esperienze nel confronto con gli altri. Anche a questo servono gli APE.

4.5.3

Le organizzazioni di categoria rappresentano uno degli elementi primordiali a questo riguardo. Così come la produttività del lavoro aumenta man mano che aumenta la qualità della presenza sindacale, anche l'efficienza della micro e della piccola impresa non può crescere se non crescono adeguatamente anche i suoi organismi di rappresentanza.

4.5.4

Attraverso le associazioni di categoria è possibile, all'esterno, difendere i valori dell'impresa e la cultura dell'imprenditorialità e, all'interno, rafforzare le capacità di gestione, l'aggiornamento e il rispetto di tutti coloro che contribuiscono allo sviluppo dell'impresa e della società.

4.5.5

In sostanza, i valori propri della responsabilità sociale delle imprese potranno essere condivisi, nei tempi necessari, anche dai paesi ACP solo se negli accordi di partenariato economico verranno introdotti gli elementi che hanno consentito all'Europa di divenire un esempio di «economia sociale di mercato». Questo tipo di economia presuppone organizzazioni forti e mature di rappresentanza sia dei lavoratori sia dei datori di lavoro.

4.6

Vista la portata delle disparità descritte sopra, alcuni temi relativi ai negoziati APE rivestono una particolare importanza strategica. Al riguardo è da sottolineare che il commercio e l'integrazione economica, in quanto motori della competitività e della crescita , devono favorire il miglioramento, e non il deterioramento, del tenore di vita, delle condizioni lavorative e dei diritti sociali.

4.6.1

Da questo punto di vista si impone la necessità di effettuare studi di impatto economico e sociale (ex ante ed ex post) con la partecipazione degli attori socioeconomici della regione (22).

4.7

Il primato dei diritti umani, in particolare i diritti dei lavoratori. Gli APE devono garantire il primato dei diritti umani e in particolare di quelli sociali, nel senso inteso dall'OIL, sotto qualsiasi aspetto commerciale o finanziario. Questi diritti devono essere integrati sistematicamente in tutti i negoziati APE a livello regionale.

4.7.1

Bisognerebbe instaurare legami visibili tra la riduzione del debito estero e l'aumento degli investimenti nella protezione sociale, ricorrendo alle risorse del settore pubblico che si renderanno disponibili con la riduzione degli interessi passivi.

4.7.2

In effetti, i paesi con debiti consistenti dispongono di poco margine di manovra per lanciare azioni di lotta alla povertà (23). Bisogna quindi promuovere nuovi sforzi volti ad alleviare i debiti della maggior parte dei paesi indebitati. Tali misure dovrebbero tuttavia accompagnarsi all'impegno da parte dei governi a realizzare obiettivi di portata nazionale.

4.7.3

Un concreto piano di sviluppo sociale. Bisogna sfruttare il periodo dei negoziati per attuare un concreto programma di sviluppo sociale che riprenda gli obiettivi di sviluppo di Cotonou (24), coinvolgendo altresì le forze economiche e sociali. Questo programma dovrebbe fare parte integrante degli APE per quanto riguarda sia la scelta degli orientamenti e degli obiettivi sia la strategia di attuazione e gli studi di impatto. Deve inoltre essere la risultante, ma anche il necessario complemento, del probabile aumento di competitività e di crescita conseguente alla liberalizzazione del commercio.

4.8

Serve, a questo proposito, un programma multidimensionale di ampio respiro: questo potrebbe prevedere in particolare la riqualificazione dei servizi di istruzione e dei servizi sanitari, misure di garanzia del reddito a favore di piccoli produttori agricoli e pescatori artigianali, politiche attive per promuovere la tutela e lo sviluppo di posti di lavoro dignitosi (25), e infine un approccio autenticamente partecipativo aperto alla società civile organizzata.

4.8.1

Il programma, orientato alle risorse umane, potrebbe seguire l'esempio e l'esperienza maturati nell'UE con la gestione del Fondo sociale europeo (FSE). Gli interventi, finalizzati a una qualificazione e a una riqualificazione verso una cultura commerciale più aperta, dovrebbero essere concordati con i rappresentanti della società civile organizzata.

5.   Diritti individuali e diritti sociali

5.1

In molti paesi ACP la situazione permane difficile per quanto riguarda gli indicatori sociali fondamentali e l'attività economica. I negoziati in corso sugli APE rappresentano dunque una grande opportunità per i paesi ACP, e la qualità degli accordi sarà determinante per lo sviluppo futuro.

5.1.1

In questa fase è anche importante ricordare che i negoziati APE, così come quelli legati all'aiuto umanitario, hanno come obiettivo principale lo sviluppo dei paesi ACP e la riduzione della povertà. Le due parti negoziali devono agire in sintonia e assicurarsi che le rispettive posizioni rispecchino effettivamente queste priorità. Da ciò la necessità di un coordinamento costante.

5.2

La storia della civiltà mostra che, alla base dello sviluppo, vi è l'educazione e la formazione professionale. La prima consente all'uomo di leggere, capire e inserirsi nella storia, la seconda di procurarsi di che vivere e trasformare la materia, contribuendo con ciò a continuare l'attività tesa alla continua costruzione del mondo (26).

5.2.1

L'esperienza della cooperazione ha messo in evidenza che tra i principali fattori d'insuccesso delle iniziative vi sono spesso:

la mancata centralità della formazione nelle politiche di sviluppo,

la difficoltà dei paesi beneficiari di attuare riforme che permettano di utilizzare razionalmente sia le risorse interne sia quelle internazionali,

lo scarso coinvolgimento dei soggetti direttamente interessati, soprattutto quando si tratta di assimilare tecnologie, tecniche innovative e spirito imprenditoriale.

5.2.2

L'approccio formativo, nelle fasi di preparazione e di attuazione degli APE, è indispensabile per la riuscita delle iniziative di cooperazione. Alla base degli insuccessi dei progetti di cooperazione spesso vi è una carenza di trasferimento di conoscenze pratiche, di tecniche di gestione, di una serie di elementi necessari ai potenziali operatori locali per valutare, per prendere decisioni operative o per cogliere opportunità di inserimento nei mercati regionali in continua evoluzione.

5.2.3

Le scelte della modernizzazione, dell'affermazione del mercato e della competitività, del potenziamento delle strutture economiche formali, dello sviluppo di una agricoltura moderna, dell'integrazione tra agricoltura e industria si sono dovute confrontare, prima che con la base economica, con la mancanza di risorse umane e culturali.

5.3

È indispensabile incidere sulle esili strutture produttive con interventi di formazione programmati in un approccio di lungo periodo. Si tratta, in sostanza, di integrare tre linee di intervento: politiche settoriali — in particolare l'agricoltura —, interventi sul sistema produttivo e azioni rivolte alla distribuzione.

5.3.1

Occorre un impegno orientato a dinamizzare il settore privato attraverso:

investimenti nelle risorse umane e nella ricerca, per introdurre conoscenze in grado di avviare processi di trasformazione, accettabili socialmente e sostenibili nel lungo periodo,

il potenziamento della capacità organizzativa e istituzionale, che comporta misure di institution building dell'amministrazione pubblica centrale e periferica, dei soggetti economici, ma in modo particolare delle associazioni degli imprenditori e dei lavoratori,

lo sviluppo e la diffusione di «pacchetti tecnologici» (27),

corsi pratici che contribuiscano a migliorare il funzionamento del mercato, attraverso informazioni sullo stoccaggio, sul trasporto e sulla trasformazione dei prodotti. Un contributo importante in tal senso può provenire soprattutto dallo sviluppo di forme associative che traggano esperienza dalle numerose realtà europee e siano sostenute da un sistema di incentivi al settore privato, il quale consenta, oltre all'introduzione di nuovi processi, la riduzione dei costi di trasporto e di trasformazione.

5.3.2

L'investimento nel capitale umano è la componente più importante nei processi di sviluppo e deve agire come punto di riferimento nelle trattative previste dagli APE. L'istruzione di base consente di recepire e di diffondere la formazione nei vari settori, favorisce l'associazionismo e consente l'aggiornamento tecnologico.

5.3.3

Il livello dell'istruzione è inoltre molto utile per le donne, le quali svolgono un ruolo socialmente ed economicamente importante. Nella maggior parte dei paesi ACP le donne rappresentano spesso l'unica fonte di reddito sicuro e continuativo all'interno dei villaggi. In considerazione di ciò, l'intera economia può trarre beneficio da una formazione rivolta in particolare alle donne (28).

5.3.4

Gli APE dovrebbero essere in grado di garantire e di migliorare in ogni regione:

l'accesso senza discriminazione all'istruzione,

lo sviluppo e la diffusione di un'istruzione professionale rivolta alle materie tecniche,

una stretta collaborazione tra gli attori non statali e le ONG per una maggiore e migliore distribuzione delle opportunità formative,

scambi di esperienze tra organizzazioni europee (29) e dei paesi ACP (30).

5.3.5

Vi è una stretta relazione tra il livello di istruzione e la possibilità di trovare un'occupazione stabile. Ma è altresì necessario creare un ambiente che induca i giovani istruiti a mettere le loro competenze al servizio dei paesi e delle regioni d'origine (31).

5.3.6

L'esempio dei tirocini di giovani presso aziende private o istituzioni pubbliche ha dato ottimi risultati nei paesi europei, per cui andrebbe esteso agli ACP e discusso nell'ambito dei negoziati APE.

5.3.7

In sostanza, il tema generale dell'educazione e della formazione dovrebbe assurgere a elemento fondamentale nel processo delle trattative.

5.4

In un'epoca caratterizzata dai noti fenomeni della globalizzazione, la società civile ha prodotto una cultura imperniata sui valori e sui concetti che caratterizzano un'economia sociale di mercato: responsabilità individuale, riconoscimento dello Stato di diritto, rispetto della persona e della proprietà, trasparenza, dignità umana, uguaglianza e libertà, riconoscimento dei diritti fondamentali sindacali e dei lavoratori, solide relazioni sindacali, accesso all'istruzione e alla formazione per tutti indipendentemente dal sesso, e un livello elevato di protezione sociale. Tali valori e concetti costituiscono la base dell'approccio alla globalizzazione adottato dall'UE.

5.4.1

Questi valori si sono affermati e consolidati negli ultimi decenni grazie al processo di regionalizzazione che ha coinvolto l'Europa dopo l'ultimo conflitto mondiale. Oltre a essere alla base della pace e del progresso, essi costituiscono la piattaforma e la concreta esperienza sulla quale è necessario costruire il processo degli APE con i paesi ACP.

5.4.2

L'interscambio tra le autorità di governo e la società civile dei paesi in via di sviluppo, oltre a creare un elevato ritorno in termini di consenso politico, ha una valenza specifica, in quanto consente di avvicinare i centri decisionali alle differenti istanze provenienti dalle molteplici realtà esistenti sul territorio.

5.4.3

Tale esercizio di partenariato incrementa notevolmente la capacità della politica del paese di rispondere all'esigenza di diffondere, quanto più ampiamente possibile, i benefici della democrazia sociale ed economica tra la popolazione residente, con un conseguente sensibile impatto sulla riduzione della povertà e, di ritorno, sull'efficacia delle politiche sociali.

5.4.4

Ma l'evoluzione della società civile e la pratica della «democrazia di prossimità» non nascono spontaneamente: esse sono il frutto della cultura della partecipazione, la quale discende da pratiche e da modelli consolidati ma che tendono continuamente a perfezionarsi. La validità e l'utilità di questi modelli e il loro esercizio nella vita quotidiana costituiscono il messaggio forte da inserire negli accordi di partenariato.

5.4.5

Se i paesi ACP avessero la possibilità, attraverso profondi processi culturali e continui interscambi con le organizzazioni della società civile europea, di fare propri questi modelli e di calarli nelle loro realtà sociali, probabilmente riuscirebbero molto più rapidamente a superare i forti disequilibri oggi esistenti.

5.4.6

In quest'ottica, e nella sua veste di rappresentante della società civile organizzata in seno all'UE, il Comitato ribadisce «il ruolo fondamentale delle donne, protagoniste nei processi di sviluppo, e insiste sulla necessità di sostenere le organizzazioni femminili e di assicurare loro una partecipazione equa agli organi consultivi e decisionali» (32).

5.4.6.1

L'obiettivo non è solo integrare meglio le donne nella società civile, ma anche creare i presupposti per una loro partecipazione, valorizzazione e sostegno reale, affinché godano di condizioni di parità rispetto agli uomini (33) e possano contribuire allo sviluppo dei rispettivi paesi grazie alle specificità del loro ruolo in seno alla società.

5.5

In uno studio condotto dalla Banca mondiale nel febbraio 2003 si afferma che la riduzione delle disparità di reddito e delle discriminazioni salariali, nonché il miglioramento delle prestazioni economiche, dipendono da un'elevata sindacalizzazione e da solide relazioni sindacali (34), e si sottolinea altresì l'esigenza di intervenire per ottenere un migliore equilibrio tra i valori economici e quelli sociali (35).

5.6

La dimensione sociale dell'Accordo di Cotonou e la sua ricaduta sugli APE deve articolarsi intorno alle convenzioni fondamentali dell'OIL e, in particolare, su quelle riguardanti:

la libertà di associazione, di azione e di contrattazione,

il divieto del lavoro forzato,

la soppressione del lavoro minorile,

la non discriminazione e la parità tra uomini e donne.

5.6.1

A queste si possono aggiungere:

la Convenzione n. 183/2000 sulla protezione della maternità,

la Convenzione n. 102/1952 sulle norme minime di sicurezza sociale,

la Convenzione n. 122/1964 sulla promozione dell'occupazione,

la Convenzione n. 142/1975: raccomandazione sulla valorizzazione delle risorse umane,

le Convenzioni nn. 81 (settori industriali) e 129 (agricoltura) concernenti l'ispezione del lavoro,

la Convenzione n. 97 sui lavoratori migranti.

5.6.2

Il criterio del vantaggio sociale (impegno a garantire almeno le otto Convenzioni sui diritti fondamentali dell'OIL) dovrebbe essere una condizione obbligatoria per qualsiasi investimento nei paesi ACP. Altrettanto dicasi per gli appalti pubblici nel settore dei servizi finanziati dal FSE o da altri fondi dell'Accordo di Cotonou.

5.6.3

Alcuni interventi finanziari, finalizzati a promuovere lo spirito imprenditoriale e la nascita e lo sviluppo delle imprese, dovrebbero essere legati a concrete realizzazioni orientate alla responsabilità sociale delle imprese. Per esempio, si potrebbero incentivare sia le imprese che organizzano corsi di qualificazione del personale, sia le micro e piccole imprese i cui titolari dimostrino di conoscere e di applicare i principi previsti per l'igiene e la sicurezza nei luoghi di lavoro.

6.   Questioni di genere

6.1

Le questioni di genere (36) devono sempre essere tenute presenti sia negli aiuti allo sviluppo sia nei negoziati APE.

6.1.1

Le analisi condotte finora e le esperienze concrete dei paesi ACP mostrano:

l'accesso limitato delle ragazze e delle donne all'educazione e alla formazione (37),

l'accesso limitato alle risorse finanziarie, soprattutto ai microcrediti (38),

gli ostacoli che si frappongono alla proprietà fondiaria da parte delle donne,

la disparità di accesso al mercato del lavoro dichiarato,

la differenza di retribuzioni tra uomo e donna,

l'aumento del tasso di infezione da HIV tra le ragazze e le donne,

la violenza e l'arroganza, spesso troppo frequente, nei confronti delle donne.

6.2

Nel quadro dei negoziati APE servono studi mirati, commissionati e seguiti dalle delegazioni della Commissione, nelle regioni e nei paesi ACP, per individuare le organizzazioni femminili e valutarne l'attività e l'incidenza.

6.2.1

La cultura e il dibattito sulle questioni di genere devono coinvolgere costantemente i funzionari delle delegazioni della Commissione. Alle delegazioni bisognerebbe affidare una responsabilità specifica per promuovere il mainstreaming di genere (39) e per formulare una strategia di capacity building rivolta in modo specifico alle donne (40).

6.2.2

Dal momento che sia gli interventi programmati dalle delegazioni dell'UE e dalle task force di preparazione regionale facenti seguito ai lavori degli APE, sia gli interventi previsti dalla cooperazione allo sviluppo devono ispirarsi all'acquis comunitario (41), il CESE chiede che gli studi di impatto contengano statistiche suddivise per sesso, per verificare meglio l'impatto delle diverse misure commerciali sugli uomini e sulle donne nei paesi e nelle regioni ACP.

6.3

Se si vuole affrontare la dimensione di genere negli accordi di partenariato economico, bisogna riconoscere che la transizione verso il libero scambio con l'Unione europea avrà un impatto particolare per le donne in quanto produttrici e consumatrici, e quindi parti importanti in questo processo (42). Attraverso un'analisi di impatto si potrà determinare in quale settore economico l'introduzione del libero scambio darà vantaggi alle donne come consumatrici e non le penalizzerà come produttrici.

6.3.1

Le donne occupano, come è noto, una posizione centrale nell'agricoltura nella maggior parte dei paesi ACP, soprattutto in Africa. Sarebbero quindi più vulnerabili a un eventuale aumento delle esportazioni agricole comunitarie verso i mercati locali e regionali.

6.3.2

Tenuto conto che le donne, di fatto, sono già penalizzate dalle regole dell'OMC relative alla liberalizzazione dell'agricoltura (43), può essere utile analizzare i settori che rivestono particolare importanza per loro, con lo scopo di:

introdurre eventuali misure di salvaguardia semplici ed efficaci,

escluderli eventualmente dai prodotti previsti dalla transizione verso il libero scambio,

prevedere disposizioni particolari che rispondano a interessi specifici di alcune regioni.

6.3.3

L'analisi dei problemi legati allo sviluppo trattati dagli APE secondo una prospettiva di genere dovrebbe impegnarsi a evidenziare i settori nei quali le donne si trovano particolarmente svantaggiate da un punto di vista dell'accesso alle risorse produttive, e individuare il percorso per renderne più agevole l'accesso, in modo che le donne si attrezzino per affrontare con migliori possibilità il libero scambio con l'UE.

6.3.4

Un altro aspetto essenziale dell'analisi consiste nel sottolineare in che modo le donne beneficiano già di programmi governativi e dell'UE mirati a migliorare le loro condizioni di accesso alle risorse.

6.3.5

Gli studi che potranno essere promossi consentiranno di focalizzare i tipi di aiuto dei quali le donne hanno maggiormente bisogno per affrontare la sfida del libero scambio.

6.4

Le questioni di genere coinvolgono, oltre alle donne e alle persone più bisognose, anche i piccoli produttori, che rappresentano gli elementi deboli all'interno delle trattative degli APE. In termini di problemi economici e di bilancio, due settori sono vitali per le donne e per i piccoli produttori e vanno per questo tenuti presente negli accordi:

i servizi sociali, ad esempio l'educazione, la salute, l'utilizzo dell'acqua e l'aiuto alla maternità,

i servizi economici, soprattutto l'agricoltura, le infrastrutture, le strade agricole, le politiche finanziarie, l'accesso ai microcrediti e l'innovazione.

6.4.1

In genere, le dotazioni previste dagli APE per i servizi sociali ed economici sono piuttosto deboli se l'obiettivo è proteggere i mercati interni regionali o offrire un aiuto alternativo alle limitazioni legate all'offerta. Un'approfondita analisi di impatto dovrebbe indicare a quale livello si dovrebbero collocare gli aiuti, dato che la transizione al libero scambio con l'UE comporterà minori entrate per gli ACP.

6.5

Per consentire una migliore integrazione e partecipazione delle donne alla vita sociale ed economica dei paesi ACP è inoltre necessario programmare interventi specifici, quali:

creazione di canali privilegiati, che consentano l'accesso delle sole donne a fondi europei destinati a progetti diversi (capacity building, imprenditorialità, microcrediti, associazionismo femminile, formazione, ecc.) (44),

un appoggio maggiore ai progetti di formazione rivolti alle donne,

ulteriori interventi tesi a sviluppare l'imprenditorialità femminile.

6.6

L'aspetto più importante è comunque l'affermazione del diritto delle donne di accedere all'istruzione e alla formazione al pari dell'uomo, come previsto anche dal terzo punto degli Obiettivi del Millennio.

7.   Conclusioni e raccomandazioni

7.1

Tutti i paesi sviluppati si trovano oggi in difficoltà nel gestire i molteplici aspetti della globalizzazione. Ovviamente, la progressiva apertura dei mercati che è alla base di tale fenomeno si ripercuoterà in modi diversi su di essi.

7.1.1

Le nazioni con un sistema di servizi ben sviluppato e un'economia nella quale si è ridotto il valore aggiunto (45) del comparto manifatturiero (VAL 2) si trovano in una posizione di vantaggio in un sistema globalizzato. In questa fase storica — più che in passato — è la capacità di fornire servizi avanzati che contribuisce a determinare il successo di un'economia.

7.1.2

I paesi ACP hanno notoriamente strutture produttive deboli o inesistenti e il loro sistema di servizi è in uno stato anche peggiore. Si tratta quindi di aiutarli affinché riescano a procurarsi, tramite un uso più diffuso del commercio e della produzione, strumenti per ridurre la fame e la povertà. Ciò significa tuttavia che i processi di liberalizzazione e di riduzione delle tariffe doganali saranno lunghi e dovranno protrarsi anche più del previsto.

7.1.3

Significa anche che tale processo potrà riuscire solo coinvolgendo la società e trasmettendole delle motivazioni. Ma le risposte e il consenso si esprimono attraverso gli organismi e le associazioni, elementi questi ancora molto fragili e, in molti Stati, ancora ostacolati.

7.1.4

Il primo, fondamentale impegno da realizzare tramite gli accordi di partenariato consiste nel rafforzare nelle varie regioni le associazioni dei lavoratori, degli imprenditori, dei consumatori, delle pari opportunità e le numerose altre che contribuiscono a produrre cultura e a pilotare il consenso verso gli interventi volti ad accelerare il progresso umano, sociale e economico.

7.2

I paesi ACP si differenziano molto tra loro per lingua, cultura e religione, e quindi anche i comportamenti delle rispettive società civili variano notevolmente. Su queste differenze esistono vari studi (46) che potrebbero divenire importanti nelle fasi di trattativa del partenariato.

7.2.1

Tali disparità dovrebbero condurre a un trattamento differenziato delle varie regioni e alla definizione di APE diversi sul piano dei contenuti.

7.2.2

Se è vero che la divisione degli ACP in sei macroaree consente di sviluppare i rapporti sud-sud e quindi estendere la positiva esperienza fin qui condotta dall'Unione europea, è da sottolineare che i livelli di sviluppo raggiunti dai diversi paesi ACP, chiamati a stringere tra loro rapporti economici e sociali, sono molto eterogenei. Ciò rende necessario uno sforzo notevole da parte della Commissione per cercare alcune identità specifiche alle singole regioni, attorno alle quali far convergere l'attenzione e gli interessi della società civile.

7.2.3

I grandi progetti discussi a Johannesburg e alla base anche del piano d'azione per il nuovo millennio — assistenza sanitaria, accesso all'acqua, riduzione della fame, sviluppo sostenibile, capacity building, ecc. — rappresentano i primi elementi su cui richiamare l'attenzione della società civile perché si senta protagonista dei processi di cambiamento.

7.2.4

L'atteggiamento, sia durante le trattative sia nelle fasi di realizzazione dei progetti, deve essere improntato soprattutto all'ascolto e alla sensibilità. Uno degli obiettivi su cui si dovranno in particolare concentrare gli sforzi consiste nel riuscire a integrare i diversi aspetti sociali con quelli economici, culturali e ambientali.

7.3

Durante i negoziati degli APE, il commercio deve essere utilizzato come uno dei fattori dello sviluppo, secondo anche quanto sostenuto dal commissario Peter Mandelson. Per quanto indubbiamente il libero scambio non sia di per sé il rimedio contro la fame e la povertà, né lo strumento ottimale per realizzare lo sviluppo sostenibile, esso deve essere considerato, all'interno di un progetto di partenariato, come uno dei fattori in grado di promuovere la competitività.

7.3.1

Il CESE chiede che un'appropriata dotazione di fondi venga destinata al rafforzamento delle rappresentanze della società civile nelle sei aree dei paesi ACP e nei rapporti, peraltro già esistenti, tra la società civile organizzata dei paesi dell'UE e quella dei paesi ACP.

7.3.2

Di conseguenza, tutte le complesse fasi che si riferiscono alle regole del commercio dovrebbero essere discusse e decise coinvolgendo i rappresentanti della società civile, perché su di essa che si avranno le ricadute delle decisioni.

7.3.3

La Commissione europea dovrebbe in particolare sostenere con urgenza il finanziamento di strutture di cooperazione regionale di attori della società civile dei paesi ACP, in primo luogo le parti sociali, onde favorirne l'associazione e la partecipazione diretta al processo di integrazione regionale degli ACP e alla preparazione degli APE. Dal canto suo, il comitato di monitoraggio ACP/UE del Comitato economico e sociale europeo ha deciso di assegnare la priorità alla promozione dello sviluppo di tali reti di cooperazione regionale della società civile, parallelamente all'elaborazione degli APE.

7.4

Gli APE saranno pienamente efficaci e positivi solo nella misura in cui sarà assicurata la partecipazione degli attori socioeconomici alla loro progettazione, elaborazione e attuazione — in particolare gli studi di impatto -, così come alla contrattazione e alla definizione degli aspetti sociali insiti in essi.

7.4.1

Gli aspetti positivi degli APE (sviluppo regionale, creazione di mercati interni nazionali e regionali, ecc.) possono essere ostacolati:

da un lato, dalle notevoli disparità di sviluppo tra l'UE e i paesi ACP,

dall'altro, dalle disuguaglianze tra i partner nel grado di controllo tecnico e finanziario dei mercati.

7.5

In base ai risultati degli studi di impatto sarà possibile determinare se proseguire il processo di integrazione, modificarlo o rinviarlo nel tempo, con clausole di salvaguardia o moratorie che consentano riesami regolari.

7.6

Gli studi di impatto potranno suggerire i correttivi da apportare alle regole dell'OMC, affinché gli APE possano essere adattati ai bisogni dei PMA.

7.6.1

È evidente che i PMA dovranno subire notevoli costi sociali ed economici nella fase di transizione verso il libero scambio. La maggior parte dei guadagni conseguenti agli APE saranno difficilmente quantificabili. La Commissione dovrebbe quindi valutare, assieme ai rappresentanti della società civile degli ACP, i costi e i vantaggi che realmente discenderanno dalla conclusione degli APE con l'UE.

7.7

In ogni caso, il successo degli accordi APE è strettamente legato al coinvolgimento della società in tutte le fasi del negoziato.

7.8

Il CESE è disponibile ad accrescere la sua collaborazione con la Commissione e a mettere a disposizione la sua esperienza, come del resto ha fatto finora, per intensificare il dialogo e lo scambio di buone pratiche con i rappresentanti delle regioni ACP, programmando incontri, seminari di lavoro e organizzando tirocini per figure professionali ben definite che operino nelle associazioni della società civile.

7.9

All'interno delle task force di preparazione regionale operanti in ciascuna regione bisognerebbe inserire alcuni rappresentanti della società civile ACP, soprattutto esponenti del mondo imprenditoriale e dei sindacati dei lavoratori.

7.10

Come raccomandato dal 24o incontro degli ambienti economici e sociali ACP-UE, il CESE, con l'accordo espresso, durante tale incontro, dal commissario Mandelson, propone la creazione di comitati regionali per il dialogo sociale che riuniscano le categorie socioprofessionali per contribuire a elaborare, proporre e assicurare il controllo e l'attuazione dei programmi di sviluppo sociale. I compiti di tali comitati potrebbero riguardare l'impatto economico, sociale e regionale degli APE, l'applicazione e il controllo delle convenzioni OIL sui diritti sociali fondamentali, la promozione dell'occupazione e dello sviluppo sociale, lo sviluppo dell'istruzione e della formazione professionale, i dispositivi di protezione sociale e l'evoluzione negoziata dell'economia informale.

7.11

È anche convinzione del Comitato economico e sociale europeo che, sulla base del mandato legato all'Accordo di Cotonou, i principali aspetti sociali e di genere, lo sviluppo delle opportunità legate all'occupazione e le garanzie della protezione sociale debbano essere integrati nei negoziati e tradursi in risultati concreti.

7.12

Gli aspetti sopra menzionati, fondamentali ai fini di un corretto sviluppo economico e sociale, devono in ogni caso essere presi in seria considerazione nel quadro della politica di sviluppo che deve accompagnare e integrare i negoziati degli APE.

7.13

Si è giunti probabilmente in una fase del processo di globalizzazione in cui occorre prestare maggiore attenzione alle preferenze e sensibilità collettive espresse dai cittadini, al fine di ridurre le tensioni interne e internazionali ed evitare quei conflitti commerciali «ideologici» che sono in costante aumento e non sembrano trovare soluzione con i meccanismi e le regole imposte dall'esterno o dai soli tecnici.

7.14

In sostanza, l'opinione del CESE, peraltro espressa anche in altri pareri precedenti, è che gli APE rappresentano una sfida molto difficile per l'UE e per l'economia mondiale. Essi si realizzeranno oltre i tempi previsti (47) e potranno avere successo solo se riusciranno a coinvolgere la società civile e, al suo interno, a valorizzare il ruolo della donna nei processi decisionali e nell'attuazione degli interventi concreti.

Bruxelles, 14 dicembre 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Accordo di Cotonou, art. 25.

(2)  Risoluzione di Addis Abeba dell'Assemblea parlamentare paritetica, considerando Q (3643/04/def.).

(3)  Accordo di Cotonou, art. 46.

(4)  Id., art. 48, che riprende gli accordi dell'OMC.

(5)  Id., art. 49.

(6)  Id., art. 50.

(7)  Id., art. 51.

(8)  Id., art. 54.

(9)  Id., art. 75.

(10)  Accordo di Cotonou, art. 45.

(11)  Valutazioni espresse negli incontri con i funzionari della Commissione.

(12)  Esse sono costituite da rappresentanti di ciascuno Stato e da rappresentanti della Commissione, tramite le delegazioni.

(13)  Cfr., tra gli altri, i pareri CESE 521/2002 (relatore: BAEZA SANJUAN).

(14)  Al partenariato verticale si affianca il partenariato orizzontale, che prevede la partecipazione obbligatoria della società civile nell'impostazione e nella gestione dei piani operativi regionali.

(15)  I documenti della Commissione (DG Sviluppo) precisano le categorie, oltre ai lavoratori e ai datori di lavoro: organizzazioni di difesa dei diritti dell'uomo, organizzazioni di base, organizzazioni femminili, associazioni di giovani, organizzazioni per la protezione dell'infanzia, rappresentanti delle popolazioni autoctone, organizzazioni di protezione ambientale, organizzazioni agricole, associazioni dei consumatori, rappresentanti di organismi religiosi, ONG, associazioni culturali e media.

(16)  Cfr., in particolare, gli articoli seguenti: artt.: 2, 4-7, 8, 9, 10, 15, 17, 19-24, 25, 33, 37, 56, 57, 58, 65, 70, 71, 72, 74-78, 81. La società civile viene inoltre richiamata nella Dichiarazione comune relativa agli attori del partenariato (Dichiarazione 1 annessa all'Atto finale), nell'Allegato IV, art. 4, nel Compendium sulle strategie di cooperazione e nelle linee direttrici di programmazione.

(17)  Gli attori della società civile devono essere costantemente informati, beneficiare di risorse finanziarie, essere coinvolti nella realizzazione dei progetti e godere di un appoggio culturale ed economico perché possano organizzarsi sempre meglio.

(18)  Accordo di Cotonou, art. 50, e norme fondamentali dell'OIL.

(19)  GU C 74 del 23.3.2005.

(20)  Convenzione di associazione del Trattato di Roma (art. 131), Yaoundé I e II, Lomé I, II, III, IV e IV bis.

(21)  In molte culture africane la proprietà dei beni non appartiene alla singola famiglia, ma alla mbumba, cioè a tutta la famiglia patriarcale estesa, che comprende molte decine di persone. Ciò ostacola l'accumulazione di ricchezza, perché diventa patrimonio di tutti, anche di chi non l'ha prodotta.

(22)  Cfr. nota 17.

(23)  Relazione informativa sul tema La lotta alla povertà mediante la promozione dello sviluppo sostenibile: per un approccio di partenariato (relatore: EHNMARK) (CES 104/2003).

(24)  Cfr. artt. 19-27.

(25)  Cfr. anche la strategia dell'OIL sul lavoro dignitoso (Decent Work).

(26)  Secondo Aristotele, l'uomo, attraverso la mente e la cultura coglie le idee dal mondo; attraverso la formazione e la mano, cala le idee nel mondo.

(27)  Tipi di sementi, tecniche produttive, macchinari, trasporto, conservazione e gestione dell'acqua.

(28)  GU C 74 del 23.3.2005.

(29)  Organizzazioni di datori di lavoro, di lavoratori, di consumatori, in materia di pari opportunità, di protezione degli animali, ecc.

(30)  Le esperienze europee di gestione della formazione professionale, in centri retti pariteticamente tra rappresentanti delle forze sociali e amministrative, hanno dato validi risultati sia per i giovani sia per il mercato del lavoro.

(31)  Recenti studi dell'OCSE denunciano che il 50 % dei giovani che abbandonano i paesi in via di sviluppo sono in possesso di titoli di formazione professionale e sarebbero quindi molto utili allo sviluppo del loro paese.

(32)  Libro verde sulle relazioni tra l'Unione europea e gli Stati ACP all'alba del XXI secolo - Sfide e opzioni per un nuovo partenariato (relatore: MALOSSE) (REX/152).

(33)  GU C 74 del 23.3.2005 Il ruolo delle organizzazioni femminili in quanto attori non statali nell'ambito dell'Accordo di Cotonou (Relatrice: FLORIO) (REX/154).

(34)  Sindacati e contrattazione collettiva. Effetti economici in un ambiente globalizzato, Banca mondiale, Washington, 2003.

(35)  GU C 221 dell'8.9.2005 La dimensione sociale della globalizzazione - Il contributo della politica dell'UE perché tutti possano beneficiare dei vantaggi (Relatori: ETTY e HORNUNG-DRAUS) (REX/182).

(36)  Le questioni di genere coinvolgono le donne in modo particolare, ma anche coloro che possono essere discriminati per motivi economici, religiosi, di razza, di età e per aspetti culturali.

(37)  Cfr. parere 1205/2004 (relatrice: FLORIO): nei paesi in via di sviluppo il 61 % degli uomini ha almeno una scolarizzazione di base, contro il 41 % delle donne.

(38)  Secondo studi della FAO, in Africa le donne ricevono solo il 10 % dei prestiti destinati ai piccoli proprietari terrieri.

(39)  Cfr. parere 1205/2004.

(40)  Cfr. art. 3 del Trattato: «In tutte le sue attività, inclusa quella della cooperazione allo sviluppo, l'UE deve operare per eliminare ogni forma di ineguaglianza e per promuovere la parità tra uomini e donne».

(41)  Programma d'azione per l'integrazione della parità tra i generi nella cooperazione allo sviluppo della Comunità (2001/2006) (COM(2001) 295 def.).

(42)  Convegno Aprodev sul tema La dimensione di genere negli APE, Dakar, ottobre 2003.

(43)  Programma GERA, Fase II/Rete Terzo mondo-Africa.

(44)  L'UE ha una vasta esperienza in materia: cfr. il programma OIL rivolto alle donne europee negli anni '80 e i numerosi progetti finanziati dall'allora DG V per l'affermazione delle pari opportunità tra uomo e donna, oltre che l'attuale programma EQUAL.

(45)  Il VAL 6 è il valore aggiunto lordo dei sei comparti economici più significativi che, sommati, determinano il PIL: VAL 1 -Agricoltura; VAL 2 - Settore manifatturiero; VAL 3 - Edilizia; VAL 4 - Commercio e turismo; VAL 5 - Credito e servizi alle imprese; VAL 6 - Amministrazione.

(46)  Si possono citare, fra gli altri, quelli promossi dalla Banca di sviluppo africana.

(47)  Basti vedere le difficoltà che l'Europa incontra ancora oggi, a 50 anni dalla sua nascita.


17.3.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 65/86


Parere del Comitato economico e sociale europeo sulla Comunicazione della commissione — Documento di consultazione sugli aiuti di Stato all'innovazione

COM(2005) 436 def.

(2006/C 65/16)

La Commissione europea, in data 21 settembre 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione — Documento di consultazione sugli aiuti di Stato all'innovazione

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo ha incaricato la sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo di preparare i lavori in materia.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 422a sessione plenaria del 14 dicembre 2005, ha nominato relatore generale PEZZINI e ha adottato il seguente parere con 80 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Sintesi e raccomandazioni

1.1

Il Comitato accoglie con favore il documento di consultazione sugli aiuti di Stato all'innovazione, attraverso il quale la Commissione si propone di elaborare un quadro giuridico certo, oltre a definire criteri per l'erogazione di aiuti più mirati e arrivare ad una semplificazione del contesto normativo.

1.1.1

Il CESE è consapevole che il documento della Commissione apre, per la prima volta, un dibattito approfondito su temi oggi estremamente attuali:

cosa intendiamo per innovazione,

qual è il limite oltre il quale si passa dalla fase di innovazione, che può essere destinataria del sostegno, a quella della commercializzazione,

quali interventi sono opportuni, per consentire alle PMI di compensare i noti limiti, che ne condizionano la crescita,

nell'attuale processo della globalizzazione, come si comportano i nostri maggiori partner, in tema di innovazione, e quali sono i limiti che ci siamo imposti aderendo alle regole dell'OMC.

1.2

Anche dall'esito delle risposte dipenderà il nuovo quadro giuridico, che verrà proposto dalla Commissione, e sul quale dovrà convergere l'impegno degli Stati membri, per coniugare lo sviluppo e il progresso, da una parte, e il rispetto delle regole, soprattutto quelle della concorrenza, dall'altra.

1.3

L'insufficiente competitività dell'Europa è, in buona parte, dovuta a un modesto grado di innovazione, che spesso dipende dai fallimenti del mercato. In questi casi gli aiuti di Stato possono contribuire a stimolare gli attori del mercato stesso ad investire maggiormente nell'innovazione di prodotto e di processo (1).

1.4

L'alternativa all'innovazione è il declino dell'Unione, in campo culturale ed economico. Di ciò è pienamente consapevole il CESE che, attraverso la partecipazione dei suoi membri ai vari settori della società civile organizzata, si batte perché (anche attraverso un opportuno uso degli aiuti di Stato):

le esternalità del mercato vengano superate o orientate,

si rafforzi lo spirito imprenditoriale,

si individuino le azioni opportune, nei diversi campi, per aiutare e rendere innovative le micro, le piccole e le medie imprese,

si aiutino gli imprenditori e gli operatori, che operano nel sociale, a capire e a utilizzare le continue innovazioni, che intervengono nel processo di globalizzazione dei mercati,

si realizzino forme di private enforcement, facilitando il rispetto e la piena applicazione delle normative (2),

si realizzi concretamente lo Spazio europeo della ricerca (SER), attraverso l'azione coordinata dei poli tecnologici e delle scuole di alta formazione, in modo da divulgare e concretizzare i risultati della ricerca (3),

si intervenga, con strumenti e mezzi, nella formazione iniziale e continua, per adattare le capacità professionali alle richieste, costantemente innovative, del mercato; per aiutare la società a capire i continui cambiamenti e per diffondere e consolidare i principi della responsabilità sociale delle imprese (RSI) (4).

1.5

Fino ad ora la Commissione non ha varato specifiche regole in materia di aiuti di Stato per l'innovazione. Sulla scorta degli articoli 87 e 88 del Trattato, essa ha tenuto conto dell'innovazione nel contesto di altre categorie di aiuti: aiuti a finalità regionali, aiuti alla formazione, interventi dei capitali di investimento, aiuti per l'occupazione, interventi a favore delle PMI.

1.5.1

L'innovazione rientrava, in un certo modo, nella disciplina degli aiuti di Stato alla ricerca e allo sviluppo (5), la quale è stata prorogata, dal 30.6.2002, fino al 31.12.2005 (6).

1.6

Il CESE, su molti quesiti posti dalla Commissione si è già espresso, all'unanimità o a larga maggioranza, in precedenti pareri:

consentire gli appropriati aiuti di Stato per sanare i fallimenti del mercato,

intervenire per compensare i limiti delle esternalità,

concordare criteri condivisi per elaborare criteri di valutazione ex ante, soprattutto nel campo delle PMI,

considerare importanti i processi innovativi, non solo nel campo tecnologico, ma anche nel campo dei servizi, del commercio e dell'amministrazione. Innovazione di prodotto e di processo,

prevedere maggiorazioni di aiuto all'innovazione, per le regioni della coesione, e per le zone a difficoltà geografica (zone di montagna, isole e zone rurali isolate), anche attraverso un giusto utilizzo della «fiscalità di vantaggio» (trattamento fiscale meno oneroso), a carattere regionale (7),

elaborare e sostenere nuove forme di aiuto finanziario per le PMI, come lo sviluppo dei microcrediti e il sostegno al credito d'esercizio, oltre alla cartolarizzazione dei crediti e alle controgaranzie fideiussorie per le micro e le piccole imprese, che difficilmente possono accedere a forme di capitale di rischio, tenuto conto della loro forma societaria, generalmente a carattere personale,

sostenere gli organismi che affiancano, con consulenze e con azioni concrete, i percorsi di innovazione delle micro, delle piccole e delle medie imprese,

formare, anche con l'intervento pubblico, figure professionali, esperte nei vari campi della conoscenza, in grado di affiancare le micro e le piccole imprese negli orientamenti, verso i processi di innovazione,

potenziare i centri di eccellenza, con investimenti pubblico/privati e favorirne i legami con le imprese e con «il mondo accademico».

1.7

Il Comitato ha già avuto modo di sottolineare che gli aiuti di Stato destinati ad incentivare gli investimenti in progetti innovativi, attuati dalle PMI devono tener conto anche dello sviluppo dimensionale delle imprese e devono prendere in considerazione:

il sostegno alle reti di innovazione regionali e transregionali,

la promozione della politica dei distretti e dei parchi tecnologici industriali,

l'attivazione di business angels e di intermediari di servizi, quali i venture technologists, i brokers ed i consulenti in materia di brevetti,

la creazione di centri di trasferimento di tecnologia e di venture capital,

la formazione e l'assunzione di personale tecnico qualificato (8).

2.   Motivazione

2.1   Sintesi della comunicazione

2.1.1

Lo scopo della Commissione è quello di aprire un dibattito che porti ad un miglioramento delle norme comunitarie in materia di aiuti di Stato destinati a progetti di innovazione.

2.1.2

La Commissione anticipa ed esplicita la sua posizione su sei settori generali:

il sostegno alla creazione delle imprese innovative e alla loro crescita nella fase iniziale,

l'utilizzo dei capitali di rischio,

le modalità per integrare, nel regime vigente, l'innovazione che viene inserita nei progetti di ricerca e sviluppo,

aiuti alle PMI perché siano in grado di acquisire servizi, erogati da enti specializzati nell'intermediazione dell'innovazione,

aiuti alle PMI perché possano avvalersi della collaborazione di ricercatori e di ingegneri altamente qualificati e per consentire scambi effettivi con università e con grandi imprese,

promozione e sviluppo di poli d'eccellenza, utili per tutte le aziende, e interessanti per gli investitori privati.

2.1.3

A condizione che:

l'aiuto sia destinato a colmare una carenza specifica del mercato,

l'aiuto costituisca lo strumento più idoneo,

l'aiuto sproni i beneficiari a innovare e risulti proporzionato rispetto all'obiettivo perseguito,

le distorsioni della concorrenza siano contenute.

2.2   La situazione attuale

2.2.1

Nei suoi precedenti pareri il CESE ha sempre sottolineato l'importanza del controllo degli aiuti di Stato al fine di concretizzare all'interno dell'UE:

una politica di concorrenza, che porti ad una convergenza tra le diverse economie degli Stati membri,

uno spirito imprenditoriale improntato all'innovazione e all'imprenditorialità,

una politica di coesione attenta e sensibile alle regioni meno favorite,

una crescita sostenibile rispettosa delle esigenze di miglioramento del mondo del lavoro, dell'impresa e dell'ambiente.

2.2.2

Se, da una parte, la politica di concorrenza (9) è essenziale per il corretto funzionamento del mercato interno, affinché esso si sviluppi senza condizionamenti provocati da regole discriminatorie, dall'altra, l'intervento dello Stato può risultare opportuno e necessario per sanare i limiti e i fallimenti del mercato.

2.2.2.1

La stessa strategia di Lisbona, rivisitata e arricchita di nuovo pragmatismo nella primavera del 2005 (10), invita a prestare un'attenzione particolare:

ai fallimenti del mercato,

alla coesione economica e sociale,

allo sviluppo sostenibile,

all'innovazione.

2.2.3

Gli aiuti di Stato sono leggermente diminuiti negli ultimi anni (11) e, soprattutto, si sono orientati, prevalentemente, verso obiettivi orizzontali. Nel 2003 gli aiuti orizzontali hanno rappresentato il 79 % di tutti gli aiuti; all'interno di questa percentuale, il 14 % è stato destinato alla ricerca e allo sviluppo (12). Di ciò ha preso atto anche il Consiglio europeo del marzo 2005, che ha ribadito la necessità di concedere le opportune deroghe, nei casi in cui si rendano necessarie per sanare le carenze del mercato.

2.2.3.1

Anche il Parlamento europeo, nella sua risoluzione «Rafforzare la competitività europea: conseguenze delle trasformazioni industriali sulla politica e sul ruolo delle PMI» (13) si compiace della riduzione del volume globale degli aiuti e ribadisce l'utilità degli aiuti destinati alla ricerca, allo sviluppo, alla formazione e alla consulenza per le piccole imprese.

2.2.4

Nell'ambito del processo di riforma del regime degli aiuti (14), sul quale si è pronunciato anche il CESE (15), il Parlamento europeo ribadisce la necessità di elaborare una linea d'azione chiara in materia di riforma degli aiuti di Stato all'innovazione, intesa nel suo senso più ampio e non ristretta agli aspetti tecnologici (16) e che sia in grado di operare, orizzontalmente, in tutti i settori, ivi compreso quello commerciale e dei servizi, che sono in grado di dare un fattivo contributo alla strategia di Lisbona.

2.2.5

Il CESE sottolinea il fatto che nel 2004 la Commissione ha presentato varie proposte strutturate per una riforma generale degli aiuti, che tengono conto delle insufficienze del mercato. Tali proposte, favorevolmente accolte anche dal Comitato, stanno diventando realtà, attraverso le comunicazioni già emanate.

2.2.6

D'altra parte il CESE è perfettamente consapevole che la materia presenta una situazione fortemente dinamica, perché è soggetta a variazioni nel quadro politico, sociale, economico e giuridico e all'accelerazione del processo di globalizzazione dei mercati. Sono quindi necessarie opportune variazioni periodiche (17), pur salvaguardando chiarezza e trasparenza del quadro giuridico di riferimento.

2.2.7

Sul piano della globalizzazione dei mercati particolare attenzione va data, da un lato, al quadro multilaterale di riferimento OMC, dall'altro, a quello dei principali partner commerciali dell'Europa.

2.2.8

Negli Stati Uniti d'America, l'United States Small Business Administration (SBA) eroga alle piccole e medie imprese, attraverso un certo numero di programmi pubblici federali, una serie di aiuti all'innovazione, ai quali si devono aggiungere gli aiuti erogati dagli Stati federati oltre all'iniziativa federale Small Business Innovation Research Program — SBIR.

2.2.8.1

La SBA sviluppa una serie di programmi:

Basic Loan Program, che prevede garanzie (fino al 75 %) per prestiti che possono arrivare fino a 2 milioni di dollari per singola impresa,

SBA Investment Program, per investimenti di Angels capital e Venture capital,

Certified Development Company «504» Loan Program, con interventi per innovazione e modernizzazione, fino a 4 milioni di dollari,

Microloan Program, con interventi a breve termine, fino a 35 mila dollari, tramite intermediari,

Prequalification Loan Program, con interventi fino a 250 000 dollari, sempre tramite intermediari,

Export Working Capital Program, con garanzia al 90 %, fino ad un massimo di 1 milione e mezzo di dollari,

SBA Express, con interventi fino a 350 000 dollari e garanzia al 50 %,

SBA Community Express, con interventi fino a 250 000 dollari, garantiti al 75 %,

SBA Secondary Market Program e SBA Asset Sales Program, per facilitazioni d'accesso al mercato azionario,

SBA Women's Network for Entrepeneurial Training Initiative, per l'imprenditorialità femminile.

2.2.8.2

L'iniziativa SBIR, dedicata all'erogazione di aiuti pubblici all'innovazione ed alla ricerca nell'impresa minore, prevede interventi di seed capital per studi di fattibilità fino a 100 000 dollari in una prima fase; interventi fino a 750 000 dollari nella seconda fase di sviluppo dei prototipi; per la terza fase, non è previsto l'intervento dei fondi SBIR, ma agiscono meccanismi di ricerca di fondi pubblici e privati per la fase della commercializzazione.

2.2.9

Recenti raccomandazioni dell'EURAB, organismo consultivo della Commissione europea, che riunisce il mondo accademico e imprenditoriale europeo, hanno sostenuto la necessità di adottare un meccanismo simile a livello sia comunitario sia degli Stati membri, a complemento degli interventi del Programma quadro di RSTD, sottolineando che: «questo può richiedere un cambiamento delle regole per gli aiuti di Stato» (18).

2.2.10

In Giappone, l'Agenzia per le piccole e medie imprese fornisce vari tipi di supporto pubblico all'innovazione, come:

il programma Start Up, che sostiene parte dei costi d'applicazione pratica della R&S, di valutazione tecnologica, di ottenimento di brevetti (abbattimento del 50 % delle spese di registrazione e rinnovo per 3 anni),

il programma di R&S di tecnologie creative,

il programma di rivitalizzazione locale di R&S,

il programma di promozione della collaborazione tra industria, mondo accademico, responsabili pubblici e di governo,

lo Small Business Innovation Research System, lo SBIR giapponese, che ha lo scopo di attivare lo sviluppo delle capacità tecnologiche delle PMI, erogare sostegno pubblico alle loro attività creative e finanziare la commercializzazione dei risultati della ricerca,

il programma che sostiene, con fondi pubblici, l'introduzione e lo sviluppo delle tecnologie dell'informazione nelle imprese,

il programma Subsidies for SMEs Business Innovation,

il programma Subsidies for Strengthening SMEs Business Resource,

il programma di esenzione di garanzie di credito,

misure di abbattimento dei tassi d'interesse sui crediti ad opera della Japan Finance Corporation for Small and Medium Enterprise (JASME), della National Life Finance Corporation (NLFC) e della Shoko Chukin Bank,

il piano di fiscalità di vantaggio per le PMI,

il piano di investimenti fino a 300 000 yen, da parte delle Small and Medium Business Investment and Consultation Companies

il piano di incentivi, previsto dalla legge Promotion of Improvement of Employment Management in Small and Medium sized Enterprises for Securing Manpower and Creating Quality Jobs.

2.2.11

Sul piano degli Accordi multilaterali OMC, viene definito il concetto di aiuto di Stato specifico, come sussidio attribuibile solo ad una impresa, ad una industria o ad un gruppo di industrie in uno Stato erogante il sussidio. Le regole OMC si applicano solo a tali aiuti, con l'eccezione del settore agricolo, e sono previste due categorie: aiuti proibiti ed aiuti attivabili.

2.2.12

Sono proibiti gli aiuti diretti a favorire l'export o a favorire beni nazionali rispetto ai beni importati, distorcendo il commercio internazionale e quindi ostacolando il commercio di altri paesi: tali aiuti sono sottoposti al vaglio OMC con procedura accelerata per l'abolizione della misura d'aiuto o per contromisure di dazi, da adottare da parte del paese o dei paesi lesi.

2.2.13

Quanto agli aiuti attivabili, il paese che introduce un reclamo contro un aiuto attivato in un altro paese deve dimostrare che tale aiuto ha avuto un effetto negativo sui suoi interessi legittimi, sulla base di tre tipologie di danno (19). In caso contrario la misura di aiuto di Stato è consentita. In caso di danno, provato e riconosciuto dal Dispute Settlement Body, il paese che ha attivato l'aiuto deve abolirlo, altrimenti il paese leso ha la facoltà di imporre dazi compensativi.

2.3   Osservazioni generali

2.3.1

Il Comitato accoglie con favore la proposta della Commissione volta a individuare il rapporto che esiste, e che può essere migliorato, tra gli aiuti di Stato e l'innovazione in Europa. È evidente che l'insufficiente competitività dell'UE, rispetto ad altre realtà mondiali deriva, in buona parte, da un debole processo di innovazione, debolezza resa più acuta dai processi della globalizzazione.

2.3.1.1

Esso si compiace anche che la problematica che lega gli aiuti di Stato all'innovazione faccia l'oggetto di una consultazione pubblica in grado di coinvolgere, su questo delicato argomento, l'opinione dei soggetti più direttamente interessati.

2.3.1.2

I quesiti inseriti nella comunicazione sono ampi, ben formulati e abbracciano la maggior parte delle problematiche, che possono riguardare i fallimenti del mercato e la possibilità di semplificare le procedure. La brevità del tempo a disposizione e la mancanza di confronto nei gruppi di studio non consente al relatore di entrare nel merito delle singole domande e di dare risposte motivate a ciascuna di esse.

2.3.2

Il Comitato è consapevole del fatto che gli aiuti di Stato all'innovazione non rappresentano, da soli, la soluzione al problema della competitività dell'UE. Numerosi documenti comunitari e diversi pareri del Comitato hanno evidenziato i limiti in cui si realizza l'azione dell'Unione europea:

insufficiente livello di innovazione, non solo tecnologica,

insufficienza di regole e di azioni comuni,

debolezza dei mercati finanziari, ancora troppo frazionati,

insufficiente tasso di occupazione,

cattivo funzionamento del mercato dei prodotti,

scarso coordinamento delle politiche,

difficoltà nell'accesso ai servizi del mercato,

insufficiente sostegno a nuove produzioni o combinazioni produttive, creatrici di valore aggiunto e di posti di lavoro di qualità e in grado di garantire un vantaggio comparativo europeo (20).

2.3.3

Ciò ha portato ad una certa incertezza giuridica, che può essere superata solo attraverso un esame approfondito dei limiti e delle opportunità offerte dagli aiuti di Stato in questo settore.

2.3.4

L'innovazione, in tutti i suoi aspetti, di prodotto e di processo (21) si ripercuote, alla fine, sul mercato ed è quindi in grado di influenzare attività che potrebbero incidere sulla concorrenza e sugli scambi, anche in modo significativo.

2.3.5

Quindi, per poter autorizzare ex ante, bisogna essere in grado di determinare un quadro specifico di riferimento, trasparente e condiviso, in uno spirito di partenariato e di collaborazione proattiva, tra la Commissione e gli Stati membri.

2.3.6   La definizione di innovazione e il processo innovativo

2.3.6.1

Il CESE è consapevole che la definizione di innovazione, a suo tempo formulata dal Libro verde, andrebbe aggiornata, tenuto conto dei cambiamenti intervenuti in questi dieci anni. D'altro canto è anche necessario approfondire le fasi che intercorrono tra i processi di innovazione e il limite oltre il quale inizia la fase della commercializzazione. E ciò per non distorcere, oltre misura, le regole della concorrenza.

2.3.6.2

Una volta l'evoluzione della società era troppo lenta, per essere percepita nello spazio di una vita. Oggi è così rapida, che è difficile da capire. Le società, nel loro complesso, ma soprattutto le imprese, le amministrazioni e i servizi subiscono, oggi, una serie formidabile di cambiamenti, che tendono a confondere le conoscenze acquisite.

2.3.6.3

L'innovazione diviene quindi un processo sociale, attraverso il quale le persone, gli enti e gli organismi più dotati di conoscenza, perché deputati ad esplorarla, aiutano gli altri a coglierne le implicazioni e a trasferirle nella loro attività professionale e nelle reciproche relazioni.

2.3.6.4

Se l'utopia è un progetto che si realizzerà nel futuro, l'Innovazione è la verifica di tutte le utopie (22).

2.3.6.5

Dopo il Libro verde, la Commissione ha opportunamente definito l'innovazione come: «La produzione di successo, l'assimilazione e lo sfruttamento della novità nelle sfere economiche e sociali» (23).

2.3.6.6

L'innovazione è un processo complesso. Accanto allo sviluppo delle attività di ricerca e a una migliore applicazione della tecnologia, numerosi altri fattori e condizioni, talvolta mutevoli, concorrono a generare innovazione, e tra questi si possono citare:

la cultura d'impresa orientata all'innovazione,

il sistema di relazioni e interrelazioni con altre imprese, con organismi ed enti pubblici, essenziali per la creazione e diffusione delle conoscenze e dell'innovazione,

il quadro normativo e regolamentare di riferimento, specie in tema di proprietà intellettuale,

l'accesso al mercato dei capitali, specie per quanto riguarda il capitale di rischio e la fase di start-up,

i servizi di istruzione e di formazione ed i rapporti tra il mondo accademico e scientifico e l'impresa,

le strutture di supporto (come gli incubatori, le reti distrettuali, i parchi industriali e tecnologici) e di intermediazione per l'innovazione.

2.3.6.7

Il Comitato ha già avuto modo di affermare che l'innovazione è un processo sociale (24), che si alimenta nella ricerca, si attua in un regime di concorrenza e acquista spazio quando esiste in modo diffuso, un atteggiamento positivo verso il cambiamento e il rischio. Il risultato si presenta con un aumento della competitività, con una migliore coesione e con un maggiore benessere socioeconomico.

2.3.6.8

Per potersi basare su criteri obiettivi, il Comitato chiede alla Commissione di precisare meglio, con l'aiuto degli organismi rappresentativi della società civile, e con il coordinamento di Eurostat, quali attività di produzione e di servizi possano essere comprese tra le attività che è possibile oggi definire innovative. Sarebbe infatti estremamente utile poter avere delle linee guida in questo settore, complesso e mutevole.

2.3.6.9

Aiuti all'innovazione (secondo la definizione del Libro verde (25)). A parere del Comitato, che ha già avuto occasione di esprimersi in tal senso (26), l'inquadramento esistente dovrebbe essere esteso a nuove tipologie di aiuti, non contemplate dalle linee attuali e si dovrebbero individuare ulteriori criteri di compatibilità, che lascino maggiori margini d'intervento agli Stati membri, senza l'obbligo di notifica.

2.3.6.10

La comunicazione pone l'accento sulle particolari esigenze delle PMI, più volte richiamate dai documenti del Parlamento europeo, dal Consiglio, dal CESE e dalla stessa Commissione. È anche convinzione del CESE che un impulso reale alla competitività possa provenire, soprattutto, da interventi innovativi, concreti e mirati, rivolti alle micro, alle piccole e alle medie imprese.

2.3.6.11

I processi di innovazione, nelle piccole come nelle grandi aziende, hanno bisogno dell'adesione di tutto il personale, con un impegno nei vari livelli. Ciò può avvenire se vi è un ambiente sensibile alla cooperazione e se si è in grado di accettare, con interesse, gli stimoli al nuovo. Per ottenere ciò è fondamentale il ricorso alla formazione continua.

2.3.6.12

A parere del CESE è necessario che tutti gli Stati aumentino i loro sforzi per rendere più comprensibile la scienza e per aumentare il numero dei giovani che si avvicinano ad essa (27). Anche i programmi televisivi potrebbero dare un forte contributo alla cultura dell'innovazione (28). Attraverso la formazione, anche televisiva, possono essere potenziate le capacità di saper comunicare, per meglio informare e, quindi, per innovare e competere. Un'informazione mirata ed espressa in termini accessibili contribuisce a sensibilizzare maggiormente le persone alla scienza e a generare innovazione.

Bruxelles, 14 dicembre 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Nel 2003 l'esportazione di prodotti ad alta tecnologia, in percentuale del totale delle esportazioni, è stata: per l'UE-25 17,8 %; per il Giappone 22,7 %; per gli USA 26,9 % (Fonte: Eurostat, Scienza e tecnologia 8/2005).

(2)  INT.268.

(3)  L'obiettivo è il superamento del «Paradosso europeo»: siamo all'avanguardia nella ricerca, ma deboli nell'utilizzo commerciale dei risultati della ricerca.

(4)  Cfr. Libro verde sulla RSI.

(5)  GU C 45 del 17.2.1996 modificata dalla GU C 48 del 13.2.1998.

(6)  GU C 111 dell'8.5.2002.

(7)  Cfr. l'ingegneria finanziaria e la funzione sociale del credito.

(8)  INT.268.

(9)  Trattato, Titolo VI, Sezione II: Concorrenza, fiscalità, ravvicinamento delle legislazioni.

(10)  COM(2005) 24 def. del 2.2.2005.«Gli Stati membri dovrebbero ridurre e riorientare gli aiuti di Stato per superare le carenze del mercato nei settori che presentano un potenziale di crescita e per stimolare l'innovazione».

(11)  Nel periodo 1999/2001 essi rappresentavano lo 0,61 % del PIL comunitario. Nel periodo 2001/2003 lo 0,59 %. COM(2005) 147 def. del 20.4.2005.

(12)  Fonte: COM(2005) 147 def., del 20.4.2005, Tavola 7: 23 % all'ambiente e economia d'energia; 21 % allo sviluppo regionale; 13 % alle PMI; 3 % alla formazione; 3 % all'occupazione; 2 % alla cultura e difesa del patrimonio.

(13)  Risoluzione PE_6TA(2005)0230 (Relazione PE A6-0148/2005 del 12.5.2005, punto 36).

(14)  COM(2005) 107 def. «Piano d'azione sulla riforma degli aiuti di Stato».

(15)  INT.268.

(16)  Cfr. nota 5, Risoluzione PE, punto 50.

(17)  Cfr. SEC(2005) 795 del 7.6.2005.

(18)  EURAB - European Research Advisory board, 02.053 final «improving innovation» 2005 (doc. non disponibile in italiano).

(19)  L'aiuto concesso da un determinato paese può danneggiare l'industria nazionale di un paese importatore. Gli aiuti possono danneggiare gli esportatori concorrenti di un altro paese quando i due paesi competono in mercati terzi. Infine, gli aiuti nazionali concessi da un determinato paese possono danneggiare gli esportatori che cercano di competere nel mercato interno di questo paese.

(20)  PE, commissione per l'occupazione e gli affari sociali. Parere per la Commissione ITRE A-6 0148/2005, punto 4.

(21)  Cfr Libro verde sull'innovazione COM(95) 688 def.

(22)  Oscar Wilde.

(23)  COM(2003) 112 def. - Politica dell'innovazione: aggiornare l'approccio dell'Unione europea nel contesto della strategia di Lisbona.

(24)  Cfr. parere relativo al Libro verde sull'innovazione, Sirkeinen, Konitzer, GU C 212/1996.

(25)  COM(1995) 688 def.

(26)  INT.268.

(27)  Nel 2003 il 27 % della popolazione attiva, circa 50 milioni di persone, nell'UE-25 lavoravano nel campo specialistico e tecnico, RHSTO. (Fonte:Eurostat, Scienza e tecnologia, 11/2004).

(28)  Secondo i dati statistici, 7 persone su 10 ottengono le informazioni tramite i canali televisivi.


17.3.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 65/92


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Il contributo della Commissione al periodo di riflessione e oltre: Un Piano D per la democrazia, il dialogo e il dibattito

COM(2005) 494 def.

(2006/C 65/17)

La Commissione europea, in data 13 ottobre 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Il contributo della Commissione al periodo di riflessione e oltre: Un Piano D per la democrazia, il dialogo e il dibattito

Il Comitato economico e sociale europeo, nella sua 421a sessione plenaria, svoltasi il 26 e 27 ottobre 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 19, paragrafo 1, del proprio Regolamento interno, d'istituire un sottocomitato per preparare i lavori del Comitato in materia.

Il sottocomitato Periodo di riflessione e oltre: Un Piano D per la democrazia, il dialogo e il dibattito, incaricato di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio progetto di parere il 1o dicembre 2005 sulla base del progetto predisposto dalla relatrice Jillian van TURNHOUT.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 dicembre 2005, nel corso della 422a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 83 voti favorevoli, 7 voti contrari e 13 astensioni.

1.   Sintesi

Il Comitato ha volutamente optato per una risposta breve e assolutamente operativa alla comunicazione della Commissione. Espone una serie di misure concrete per i casi in cui ritiene che il Comitato, da solo e in collaborazione con altre istituzioni, possa fornire un contributo significativo all'ampio dibattito che si svolgerà nel periodo di riflessione e oltre. I due messaggi fondamentali sono: anticipare le disposizioni del Trattato costituzionale sulla vita democratica dell'Unione facendo subito della democrazia partecipativa una realtà più concreta mediante i due pilastri costituiti dal dialogo civile e da un più intenso dialogo sociale in Europa, e inoltre assicurare che la società civile organizzata e i suoi rappresentanti possano farsi ascoltare nell'ampio dibattito.

2.   Introduzione

Considerando quanto segue:

la scadenza molto ravvicinata fissata per l'elaborazione del parere,

l'impostazione improntata ad un esame più approfondito delle singole questioni che caratterizza il parere sul periodo di riflessione adottato dal Comitato il 26 ottobre 2005 e destinato al Parlamento europeo (1),

l'imminente adozione da parte della Commissione europea del suo libro bianco su una strategia della comunicazione,

l'intenzione, annunciata dal consiglio europeo nelle sue conclusioni del 16 e 17 giugno 2005 (2), di procedere a una valutazione globale della situazione nella prima metà del 2006 e, conseguentemente, l'urgenza d'incoraggiare un dibattito quanto più ampio possibile nell'Unione e negli Stati membri, anche al livello della società civile organizzata,

per contribuire all'instaurazione di un dibattito il più esteso possibile onde sostenere la democrazia partecipativa ai livelli locale, regionale, nazionale e dell'Unione europea, il Comitato ha deciso di limitarsi a enunciare, nel presente parere, alcune raccomandazioni operative, in base alle quali il Comitato stesso potrebbe stimolare tale dibattito e perfezionare il proprio ruolo di ponte tra le istituzioni europee e la società civile organizzata.

Il Comitato si compiace dell'iniziativa della Commissione europea di presentare la sua comunicazione contenente il «Piano D». Esso ritiene tuttavia che, nonostante questo piano debba necessariamente proporsi obiettivi ambiziosi, si possano nutrire perplessità circa l'effettivo impatto delle proposte, soprattutto perchè mancano indicazioni concrete sul modo in cui verrebbero attuate le misure prospettate. Di conseguenza, attende con vivo interesse di poter esaminare le proposte concrete che sono attese da parte della Commissione. Per parte sua il Comitato sottolinea la propria volontà di contribuire a rendere tali proposte più operative, soprattutto negli ambiti che riguardano il coinvolgimento della società civile organizzata.

3.   Raccomandazioni

3.1

Basandosi sul successo di un progetto pilota, il Comitato si appresta a generalizzare l'uso da parte dei suoi membri del sistema «biglietto da visita elettronico», vale a dire l'invio di bollettini (newsletter) personalizzati a una serie di destinatari registrati nelle mailing list personali dei membri, promuovendo così la funzione di ponte dei membri del Comitato.

3.2

Forte del successo degli Stakeholders' forum tenuti a Bruxelles nell'aprile e nel novembre 2005, rispettivamente sui temi «sviluppo sostenibile» e «Colmare il fossato: come avvicinare l'Europa ai cittadini», e confortato soprattutto dal successo del ricorso a una versione adattata alle proprie esigenze del metodo dello Spazio aperto (Open Space), il comitato si impegna ad aiutare i suoi membri e i Consigli economici e sociali nazionali ad organizzare manifestazioni simili a livello degli Stati membri. Il Comitato potrebbe contribuire:

coinvolgendo le diverse reti dei membri e le organizzazioni di questi ultimi in modo da sfruttare il loro potenziale effetto moltiplicatore,

mettendo a disposizione la sua esperienza del metodo dell'Open Space,

redigendo un manuale, fondato sull'esperienza che il Comitato stesso ha maturato fino a questo momento, sulle migliori modalità di organizzazione di tali forum,

cercando di ottenere un coinvolgimento istituzionale, in particolare da parte della Commissione europea sia come coorganizzatrice che come partecipante.

Tutti questi strumenti non possono risolvere, da soli, i problemi di comunicazione dell'Unione europea, ma possono contribuire ad accrescere la partecipazione della società civile al dibattito europeo se verranno affiancati da migliori meccanismi di consultazione.

3.3

Sulla base delle raccomandazioni esposte nel proprio parere in merito al periodo di riflessione destinato al Parlamento europeo, il Comitato continuerà a incitare le istituzioni ad anticipare le disposizioni del Trattato costituzionale sulla democrazia partecipativa. In particolare, il CESE:

invita la Commissione ad avanzare una o più proposte che prospettino nuove modalità e procedure per promuovere la partecipazione della società civile organizzata ai processi legislativo e di definizione delle politiche dell'Unione europea secondo lo spirito dell'articolo I-47 del Trattato che adotta una costituzione per l'Europa;

chiede alla Commissione di compiere passi concreti per accrescere il coinvolgimento diretto dei cittadini nel processo politico a livello UE prendendo in considerazione una proposta diretta a dare forza giuridica all'iniziativa dei cittadini europei prevista al suddetto articolo I-47, paragrafo 4, del Trattato che adotta una costituzione per l'Europa,

esorta la Commissione europea a studiare la possibilità di elaborare una proposta legislativa per un'autentica politica di comunicazione;

conta sulla piena attuazione e sul rispetto del nuovo protocollo di cooperazione fra la Commissione europea e il Comitato economico e sociale europeo (3), il quale prevede il rafforzamento della «cultura del dialogo e della concertazione con la società civile organizzata e con i suoi rappresentanti nelle fasi di elaborazione e di attuazione delle politiche e delle decisioni dell'Unione europea».

3.4

Aderendo allo spirito del Piano D della Commissione europea, il Comitato invita la Commissione stessa, e in particolare i suoi Uffici di rappresentanza negli Stati membri, a coinvolgere appieno i membri del Comitato in tutte le iniziative dirette ad incoraggiare il dibattito a livello degli Stati membri, garantendo in tal modo che la voce della società civile organizzata abbia una risonanza più sistematica e appropriata.

3.5

Al riguardo il Comitato prende atto delle diverse iniziative specifiche proposte dalla Commissione europea per dare impulso ad un più ampio dibattito pubblico e promuovere la partecipazione dei cittadini al processo democratico. Esso esorta la Commissione a coinvolgere pienamente sia il Comitato stesso in quanto istituzione, sia i suoi membri, soprattutto ogniqualvolta sia opportuno conoscere la posizione della società civile organizzata.

3.6

In tale contesto, il Comitato ricorda altresì il capitolo 5 della comunicazione della Commissione (Finanziamento), e in particolare il convincimento della Commissione secondo cui «le risorse rimanenti dovrebbero essere usate per sostenere le iniziative degli Stati membri e della società civile». Come è già stato precisato in precedenza, il Comitato è disposto a decentrare il suo modello di Stakeholders' forum cui arride tanto successo e a impegnarsi in azioni analoghe di cooperazione con la Commissione europea, anche attraverso finanziamenti congiunti, al livello degli Stati membri.

Bruxelles, 14 dicembre 2005

La presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Il periodo di riflessione: la struttura, gli argomenti e il quadro per una valutazione del dibattito sull'Unione europea

(2)  Rif. doc. 10255/1/05 riv. 1

(3)  Siglato a Bruxelles il 7 novembre 2005 (il testo è disponibile sul sito web).


17.3.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 65/94


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Verso la società europea della conoscenza — Il contributo della società civile organizzata alla strategia di Lisbona

(2006/C 65/18)

La futura presidenza austriaca dell'UE, in data 22 aprile 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema Verso la società europea della conoscenza — Il contributo della società civile organizzata alla strategia di Lisbona.

Il Comitato economico e sociale europeo ha deciso pertanto, a norma dell'articolo 19, paragrafo 1, del suo Regolamento interno, di istituire un sottocomitato incaricato di preparare i lavori in materia.

Il sottocomitato ha formulato il proprio parere in data 9 novembre, sulla base del progetto predisposto dal relatore Jan OLSSON e dai correlatori Eva BELABED e Joost van IERSEL.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 14 dicembre, nel corso della 422a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 127 voti favorevoli e 8 astensioni.

Raccomandazioni e conclusioni

1.

Il CESE propone che gli Stati membri e le istituzioni dell'UE si impegnino al di là della data del 2010 per creare uno spazio europeo comune della conoscenza, basato su una cooperazione intensificata nei campi dell'apprendimento, dell'innovazione e della ricerca. Si tratterà di un passo importante nel quadro del rilancio della strategia di Lisbona e del rafforzamento del modello europeo di società, che colmerà inoltre la distanza tra l'europa e i suoi cittadini.

2.

Questo rilancio richiede che i poteri pubblici e la società civile organizzata di ogni paese si mobilitino per questo obiettivo, definendo le priorità fondamentali e proponendo e realizzando azioni sia autonomamente sia attraverso la cooperazione; ciò dovrebbe riflettersi anche nei programmi nazionali di riforma.

3.

Gli Stati membri, la Commissione, il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali, le imprese, le istituzioni finanziarie e la società civile devono impegnarsi a favore di uno spazio europeo comune della conoscenza destinato a tutti i cittadini, tutti i settori e tutte le imprese e basato su obiettivi, parametri di riferimento e calendari ben definiti nonché su responsabilità chiare.

4.

Il mercato interno rimane la pietra angolare del processo di integrazione; esso determina migliori risultati economici, nuovi e migliori posti di lavoro, progresso sociale e sostenibilità. L'interazione tra lo spazio europeo comune della conoscenza e il mercato interno libererà un nuovo potenziale di crescita. È per questo che gli ostacoli al completamento del mercato interno che impediscono la transizione all'economia della conoscenza devono essere rimossi quanto prima possibile.

5.

Tutti i cittadini, tutti i settori e tutte le regioni devono essere incentivati a partecipare e a mettersi nelle condizioni di raccogliere i frutti della società della conoscenza, che offre opportunità uniche per colmare i divari esistenti.

6.

La mobilità è un modo di acquisire e trasferire le competenze. Si deve stimolare la libera circolazione dei lavoratori, dei ricercatori e degli studenti, accompagnandola però con retribuzioni e condizioni di lavoro dignitose.

7.

L'Ue, gli Stati membri e le regioni devono spostare la destinazione della loro spesa pubblica verso investimenti che promuovano la crescita. Gli Stati membri, in cooperazione con le parti direttamente interessate del settore privato, si dovrebbero impegnare a realizzare un «Programma nazionale per dare impulso alla conoscenza», sostenuto da fondi comunitari.

8.

Il CESE insiste con la Commissione europea perché essa mantenga le sue proposte per il finanziamento della ricerca, dell'innovazione e dell'apprendimento nel quadro delle prospettive finanziarie 2007-2013. Il 7o programma quadro di ricerca e sviluppo va pienamente realizzato e deve essere diretto a contribuire alla capacità d'innovazione dell'Europa.

9.

Il CESE incita le imprese, le istituzioni finanziarie e le fondazioni private a espandere i loro investimenti nell'economia della conoscenza e ritiene che esse dovrebbero essere sostenute in questo compito attraverso incentivi fiscali.

10.

La Commissione europea dovrebbe avere più potere per dare indicazioni politiche e per monitorare i progressi. Dovrebbe pubblicare una relazione annuale, da trasmettere per discussione oltre che al Consiglio, al Parlamento europeo e ai parlamenti nazionali, anche alle parti direttamente interessate e all'opinione pubblica.

11.

Il CESE propone il lancio di un dibattito permanente e strutturato per motivare i responsabili delle decisioni a tutti i livelli e per portare avanti il dialogo con i cittadini.

12.

I parlamenti nazionali, come pure i consigli economici e sociali nazionali, hanno un ruolo cruciale e devono partecipare al dibattito, in cui dovrebbero essere coinvolti anche gli attori locali e regionali.

13.

Le parti direttamente interessate del settore privato dovrebbero agire e assumersi delle responsabilità, mediante contributi e azioni concrete. Il dialogo sociale e quello civile costituiscono strumenti importanti per promuovere le misure riguardanti l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita (apprendimento permanente), l'innovazione e la tecnologia.

14.

Una politica macroeconomica sana incentrata sulla crescita e l'occupazione dovrebbe cercare le condizioni per creare la società della conoscenza e dovrebbe dare la priorità a politiche di espansione della domanda delle nuove tecnologie.

15.

L'apprendimento lungo tutto l'arco della vita è la premessa della società della conoscenza. Il CESE ribadisce la sua richiesta di una Carta dell'apprendimento permanente, da applicare a tutti i livelli. Tale obiettivo dovrebbe essere sostenuto da investimenti pubblici e privati e dai fondi strutturali. Le politiche dell'occupazione e le nuove forme di protezione sociale devono creare condizioni tali da permettere ai lavoratori di partecipare appieno alle attività di apprendimento permanente. L'approccio danese della flessibilità associata alla sicurezza (flexicurity) può essere un esempio da seguire.

16.

Gli obiettivi ambiziosi volti a promuovere la salute, un ambiente sostenibile, la qualità delle infrastrutture urbane e rurali, soluzioni di trasporto sicure, luoghi di lavoro sicuri e riorganizzati e la salvaguardia del patrimonio culturale genereranno nuove tecnologie e nuovi prodotti e servizi innovativi: essi dovrebbero essere sostenuti da buone condizioni di innovazione e creazione di posti di lavoro nelle imprese.

17.

La diffusione della conoscenza è un fattore critico nelle politiche volte a dare impulso all'innovazione e alla competitività. Dovrebbero essere incentivate le regioni industriali, i parchi tecnologici e gli ambienti innovativi.

1.   Introduzione

1.1

Il presente parere del CESE verte sulle modalità con cui la società civile può contribuire alla società della conoscenza, concentrandosi sul ruolo che le parti sociali e altre organizzazioni della società civile possono svolgere nella creazione di quello «Spazio europeo comune della conoscenza» che costituisce uno degli assi principali della strategia di Lisbona. Esso sottolinea la responsabilità che incombe alle organizzazioni della società civile degli Stati membri di mobilitarsi per questo obiettivo.Il parere verrà corroborato da altri pareri del CESE su argomenti collegati e da una relazione di sintesi elaborata in collaborazione con i consigli economici e sociali nazionali.

2.   Contesto e analisi

2.1

L'Europa è un progetto per le persone concepito da persone. Tuttavia gli sviluppi attuali hanno creato una divaricazione tra l'Europa e i suoi cittadini. Nel contempo, la sostenibilità del nostro peculiare modello di società, basato sulla democrazia, sul dialogo sociale e civile, su un'economia sociale di mercato e sulla coesione, è minacciata dalla crescente concorrenza mondiale, dall'invecchiamento della popolazione e dalle pressioni ambientali. Dietro l'attuale crisi dell'UE si nascondono filosofie diverse riguardo alla direzione da prendere. Per far ritrovare la fiducia nella strategia di Lisbona, occorre riorientare le politiche sugli obiettivi originali di progresso economico e sociale e di miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro. la crisi costituisce un'opportunità fondamentale per questo riorientamento.

2.2

sono cruciali a tal fine le politiche dirette a ottenere una crescita sostenibile, nuovi e migliori posti di lavoro e un aumento dei redditi reali, realizzando una società della conoscenza basata sulle risorse umane, sull'apprendimento, sulla ricerca e sull'innovazione.

Le imprese hanno un ruolo centrale da svolgere in questo riorientamento, di cui dovrebbero tener conto nell'effettuare i loro investimenti. Per far questo però hanno bisogno di un insieme di condizioni che sostengano il loro potenziale di innovazione, crescita e creazione di posti di lavoro.

2.3

La futura società della conoscenza, basata sulla responsabilità delle parti direttamente interessate del settore pubblico e privato, dovrà essere una società più coesa, che combatta tutti i tipi di disuguaglianze. A sua volta la coesione sociale è un prerequisito per una transizione senza troppi attriti verso una società della conoscenza.

2.4

In questo campo le prospettive sono piuttosto allarmanti (1). Dal 2000 la ricerca finanziata dalle imprese è in declino, la spesa totale per R&S dell'UE è stagnante ed è ben lontana dall'obiettivo del 3 %: rimane infatti al 2 % di fronte al 2,7 % degli USA e all'oltre 3 % del Giappone. La fuga dei cervelli è un fenomeno preoccupante. Inoltre, grandi economie emergenti come la Cina si stanno avvicinando all'UE in termini di spesa per la ricerca.

Il quadro di valutazione dell'innovazione in Europa mostra che l'UE è in ritardo rispetto agli USA in 10 indicatori su 11. Il buon risultato americano è il frutto delle politiche attive di sostegno alla ricerca e all'innovazione condotte dagli USA attraverso, tra l'altro, gli appalti pubblici, i tagli fiscali, le garanzie per il capitale di rischio e per i prestiti alle PMI.

2.5

Una valutazione delle spese per la ricerca e dei risultati dell'innovazione dell'Unione europea rispetto agli USA richiede, tuttavia, un'analisi più approfondita. L'Europa ha punti di forza sia a livello di singoli Stati membri che a livello settoriale. Si possono ricordare come esempi di questi punti di forza la cooperazione europea nel settore aeronautico e nel progetto Galileo e il fatto che il numero degli studenti d'ingegneria in Europa è più elevato che negli USA. Per dare impulso alla sua capacità innovativa, l'Europa necessita di maggiori investimenti nell'apprendimento permanente, ulteriori 700 000 ricercatori, più poli e distretti (cluster) tecnologici, sostegno per le PMI e migliori metodi di divulgazione delle conoscenze.

2.6

Gli investimenti pubblici nell'istruzione non stanno progredendo rapidamente come dovrebbero. La ricerca PISA mette in evidenza alcune delle lacune del sistema d'istruzione. Il tasso di partecipazione ai programmi d'istruzione per gli adulti ha raggiunto solo il 65 % dell'obiettivo fissato per il 2010, il livello della dispersione scolastica è rimasto invariato e i laureati devono fare i conti con la disoccupazione. Inoltre, entro il 2015 sarà necessario assumere oltre un milione di insegnanti di scuola primaria e secondaria (2). La Commissione potrebbe lanciare uno studio sull'apprendimento di base per determinare quali siano le chiavi del successo dei paesi che si collocano alla testa della classifica dell'inchiesta internazionale PISA.

Le parti direttamente interessate, pubbliche e private, devono riconoscere che va riformato il sistema d'istruzione nel suo complesso se si vogliono migliorare i risultati e dare a tutti, dalla prima infanzia fino a un'età avanzata, l'opportunità di partecipare attivamente alla società della conoscenza. Esse devono dare tutto il loro appoggio a questa riforma, che richiede anche nuove concezioni pedagogiche e un personale insegnante qualificato.

2.7

La transizione verso la società della conoscenza sta cambiando la natura e l'organizzazione del lavoro e la struttura delle imprese. Una società guidata dalla conoscenza e le nuove tecnologie offrono grandi opportunità, ma generano anche nuovi rischi ed emarginano molte persone. Si ristrutturano posti di lavoro e vengono ridefiniti compiti.

Inoltre, si corre il rischio di un trasferimento delle sedi centrali, della ricerca e della produzione fuori dall'Europa.

Nuovi e migliori posti di lavoro devono essere creati attraverso l'aumento degli investimenti nell'apprendimento, nell'innovazione e nella tecnologia. Il drenaggio dei cervelli deve essere contrastato creando nuove fonti interessanti di occupazione per i laureati in tutti gli stati membri.

2.8

La società della conoscenza rappresenta una scelta fondamentale nell'affrontare le sfide ed essa incide su molti settori. La sua realizzazione richiede un approccio generale e completo. I progressi verso la società della conoscenza vanno visti in una prospettiva di più lungo termine, al di là della scadenza del 2010 e le politiche vanno condotte con determinazione.

2.9

Per l'Europa accentuare il suo profilo competitivo, affidandosi alla sua capacità di usare il know-how e alla creatività dei suoi cittadini per produrre prodotti e servizi ad alto valore aggiunto, costituisce una sfida e allo stesso tempo un'opportunità. Le risorse vanno indirizzate verso le tecnologie e i sistemi innovativi capaci di dare impulso alla crescita, salvaguardando e adeguando, se necessario, gli elementi essenziali del modello economico e sociale europeo nel contesto più ampio dello sviluppo sostenibile.

2.10

La creazione di conoscenza, la sua applicazione e la sua diffusione devono soddisfare i bisogni della società. Da un lato, ciascuno ha il diritto di raccogliere i frutti della società della conoscenza, dall'altro, ognuno ha la responsabilità di partecipare e contribuire alla realizzazione di tale società, con il sostegno appropriato.

2.11

Concentrarsi sulle persone vuol dire concentrarsi sull'apprendimento, sulla comprensione, sulla civiltà e sui modelli culturali per promuovere un ambiente che stimoli il gusto della conoscenza nel suo significato più ampio. Si tratta delle aspirazioni umane alla conoscenza, che non si fondano esclusivamente sui vantaggi immediati e che servono di base per la combinazione di competenze teoriche, sociali e pratiche necessarie per il futuro.

2.12

L'apprendimento permanente è la premessa della società della conoscenza. L'apprendimento permanente di qualità, basato su modelli che rendono l'istruzione e la formazione accessibili a tutti, dà alle persone l'opportunità di venire a contatto con nuove idee, migliorare continuamente le loro competenze e svolgere appieno il loro ruolo nella comunità, nella famiglia, nel quartiere e sul posto di lavoro. È alla base dell'innovazione, della mobilità del lavoro e della crescita della produttività. La motivazione per l'apprendimento permanente comincia incentivando la curiosità nei confronti dell'apprendimento già nella prima infanzia.

2.13

È fondamentale rafforzare e coordinare i collegamenti nella catena della conoscenza. Il triangolo costituito da istituti di ricerca pubblici e privati, università e imprese (specie le PMI) dovrebbe essere rafforzato. Gli scambi nazionali e transfrontalieri di personale qualificato tra l'industria e l'università possono essere molto utili. L'istruzione di base, dalle strutture per l'assistenza all'infanzia all'istruzione secondaria, e l'apprendimento permanente devono essere collegati alle università per innalzare la qualità degli insegnanti e del personale che assicura la formazione e per aggiornare le loro conoscenze.

3.   Le lacune della strategia di Lisbona

3.1

Il Consiglio europeo del marzo 2005 ha osservato che nell'attuazione della strategia di Lisbona «accanto a innegabili progressi emergono lacune e ritardi evidenti» (3).

3.2

Queste lacune e questi ritardi sono attribuibili a varie cause.

3.2.1

L'impegno per l'attuazione della strategia è insufficiente. È doveroso ricordare che la strategia di Lisbona è stata lanciata dal Consiglio europeo senza prevedere un ruolo ben definito per la Commissione europea. Un problema fondamentale è costituito dal fatto che, segnale di una certa mancanza di coerenza, si tratta di una strategia europea che va attuata principalmente a livello nazionale. Gli Stati membri non hanno mostrato un impegno effettivo nei confronti degli obiettivi e delle azioni concordati. Il metodo di coordinamento aperto non ha dato i risultati sperati. I piani d'azione nazionali per l'occupazione, l'inclusione sociale e per altri settori sono stati trasformati in relazioni di attività burocratiche e le intenzioni della strategia sono state attuate solo in parte. Persiste la frammentazione tra i vari settori d'intervento, vi è un sostegno troppo scarso da parte del bilancio UE e non si tiene conto delle buone pratiche degli altri Stati membri. Inoltre, gli Stati membri non prendono in considerazione gli effetti sociali ed economici delle loro politiche sugli altri Stati membri.

3.2.2

La Commissione svolge solo un ruolo secondario nella strategia. Non ha poteri effettivi per fornire indicazioni politiche e controllare i progressi. Per esempio, il metodo di coordinamento aperto non prevede un sistema di allerta che consentirebbe di lanciare avvertimenti.

3.2.3

La strategia è troppo astratta. Diventata in larga misura campo d'azione per burocrati ed esperti, la strategia di Lisbona non è una realtà né per la gente, né per gli organi d'informazione, né per il dibattito politico. I suoi effetti non sono visibili. L'opinione pubblica non distingue tra gli effetti della globalizzazione, della politica dell'Unione europea e della politica nazionale sulle sue condizioni di vita e di lavoro. Le differenze e le correlazioni tra i diversi livelli politici devono essere messe in evidenza in modo che i cittadini possano avere un quadro completo e più chiaro di ciò che l'UE rappresenta.

3.2.4

La strategia è un processo imposto dall'alto. Sebbene vi siano state in certi casi sufficienti consultazioni, specie negli Stati membri che hanno una lunga tradizione di dialogo sociale e civile, vi è tuttora un coinvolgimento troppo modesto della società civile organizzata degli Stati membri. Questo sicuramente vale per il metodo di coordinamento aperto in materia di ricerca e istruzione. Le consultazioni inoltre tendono a essere formali e circoscritte al livello nazionale, non offrendo alle organizzazioni della società civile a tutti i livelli opportunità sufficienti di partecipazione. Si deve fare in modo che i datori di lavoro e i sindacati, oltre alle parti direttamente interessate, siano più consapevoli delle loro responsabilità e del loro ruolo. Uno scarso coinvolgimento significa anche che le riforme possono mancare l'obiettivo e avere conseguenze sociali ed economiche negative per gli interessati. L'UE si concentra troppo sulle riforme strutturali mentre non dispone di strumenti politici per mettere in grado i cittadini e le loro organizzazioni di raccogliere le sfide di un mondo che cambia.

4.   Il rilancio della strategia di Lisbona — consiglio europeo del marzo 2005

4.1

Queste lacune e questi ritardi hanno indotto il consiglio europeo a rilanciare la strategia di Lisbona dando priorità alla crescita e all'occupazione. L'Europa deve infatti rinnovare le basi della sua competitività, aumentare il suo potenziale di crescita e la sua produttività e rafforzare la coesione sociale, puntando principalmente sulla conoscenza, l'innovazione e la valorizzazione del capitale umano  (4).

Il consiglio continua affermando «Inoltre, negli anni futuri si dovrà incoraggiare un autentico dialogo tra le parti interessate, pubbliche e private, della società della conoscenza» (5).

Il Consiglio europeo ha fissato obiettivi chiaramente definiti e ha proposto diverse iniziative per dare impulso alla conoscenza e all'innovazione (6).

Sono stati stabiliti 24 orientamenti integrati per il periodo 2005-2008, che segnalano tre settori in cui è necessaria una riforma: il settore macroeconomico, quello microeconomico e il settore dell'occupazione (7).

4.2

Allo scopo di rendere efficace il riorientamento della strategia di Lisbona, il Consiglio europeo ha invocato una migliore governance basata su un maggior coinvolgimento degli Stati membri (8).

Agli Stati membri si era chiesto di elaborare i programmi di riforma nazionali entro il 15 ottobre, basandosi sulle consultazioni di tutte le parti direttamente interessate, che dovevano individuare le priorità fondamentali di azione. Avrebbero dovuto essere messi in evidenza i contributi e le responsabilità delle principali parti interessate coinvolte. Tuttavia il cambiamento della situazione politica in alcuni paesi ha causato dei ritardi. in alcuni settori è previsto l'uso del metodo di coordinamento aperto.

5.   Uno spazio europeo comune della conoscenza

5.1

Il CESE propone uno spazio europeo comune della conoscenza, rispetto al quale gli Stati membri e le istituzioni europee dovrebbero impegnarsi al di là della scadenza del 2010, per conseguire gli obiettivi della strategia di Lisbona mediante una maggiore cooperazione europea nell'apprendimento, nell'innovazione e nella ricerca. Questa proposta è stata avanzata, con l'accordo dei consigli economici e sociali nazionali, nella dichiarazione di Lussemburgo (9).

5.2

La cooperazione dovrebbe fondarsi su obiettivi ben definiti, integrati da misure legislative e non legislative appropriate. Un fattore chiave sarà lo sviluppo di sistemi efficienti di trasferimento della conoscenza e di sfruttamento delle buone pratiche.

5.3

Il CESE riconosce che la base giuridica dello spazio europeo comune della conoscenza non è la stessa che vale per la PAC, l'UEM o il mercato interno. Tuttavia, per compiere progressi vanno sfruttate pienamente tutte le disposizioni pertinenti del Trattato. Gli Stati membri dovrebbero compensare la mancanza di una base giuridica dando prova di fermezza politica e dovrebbero gestire le politiche europee comuni cooperando in modo più adeguato e efficiente al fine di realizzare lo spazio europeo comune della conoscenza. Sarebbe necessario dare un ruolo più rilevante alla Commissione in modo che possa guidare il processo.

5.4

Anche le organizzazioni della società civile degli Stati membri hanno una responsabilità nella realizzazione dei progressi verso lo spazio europeo comune della conoscenza. Le parti direttamente interessate del settore privato più importanti di ciascun paese devono essere mobilitate perché così esse possono diventare protagoniste del «dialogo autentico» invocato dal Consiglio e possono compensare in parte la mancanza di volontà politica. Esse devono definire le priorità fondamentali e proporre e attuare azioni, autonomamente e in coordinamento con i poteri pubblici. Oltre a ciò, va affrontata la questione dei mezzi finanziari. Le parti sociali dovrebbero cercare di trovare degli accordi per promuovere la società della conoscenza e anche altri settori della società civile organizzata, tra cui gli istituti di istruzione superiore e la comunità di ricerca, dovranno dare il loro contributo elaborando le proprie piattaforme di riforma.

5.5

Il mercato interno resta una pietra angolare del processo d'integrazione che porta a migliori risultati economici, progresso sociale e sostenibilità. L'interazione tra lo spazio europeo comune della conoscenza e il mercato interno comporta sinergie che libereranno nuovi potenziali di crescita. Le misure volte a dare impulso all'apprendimento, all'innovazione e alla ricerca determineranno una più elevata competitività. Un mercato interno ben funzionante permetterà la libera circolazione non solo di beni, lavoro, servizi e capitali, ma anche di conoscenze e idee.

5.5.1

È per questo che alcuni ostacoli ancora esistenti al mercato interno, i quali impediscono la transizione verso l'economia della conoscenza, devono essere rimossi quanto prima possibile. Per realizzare queste sinergie e questi potenziali di crescita è importante adottare la legislazione sul brevetto europeo e sul regime dei diritti di proprietà intellettuale.

5.5.2

Gli investimenti delle imprese e di altre parti direttamente interessate nell'apprendimento, nell'innovazione e nella ricerca andrebbero agevolati, anche grazie al regime degli aiuti di Stato e degli appalti pubblici e nel quadro delle regole della concorrenza.

5.5.3

Una politica industriale europea moderna, caratterizzata da un approccio settoriale, costituisce un elemento fondamentale per la società della conoscenza, riunendo le situazioni di eccellenza e fornendo condizioni quadro stabili e prevedibili per lo sviluppo dell'industria.

5.5.4

È altresì importante permettere una maggiore mobilità del lavoro in generale tra gli Stati membri e stimolare la libera circolazione dei ricercatori e degli studenti. La mobilità è una forma naturale di acquisire e trasmettere le competenze, ma deve essere accompagnata da remunerazioni e condizioni di lavoro dignitose.

5.5.5

Le università e gli istituti di formazione devono sostenere lo spazio europeo comune della conoscenza adottando un approccio europeo per le loro attività. Vanno incentivati gli strumenti esistenti per il riconoscimento delle qualificazioni (10).

5.6

Lo spazio europeo comune della conoscenza è basato sul diritto fondamentale di ciascuno di ottenere i frutti della ricerca, delle nuove tecnologie, dell'innovazione e dell'apprendimento. Tutte le persone, tutti i settori e tutte le regioni devono poter prendervi parte. Devono essere create le condizioni adeguate per l'apprendimento permanente, dando a ciascuno l'occasione di esservi coinvolto. L'istruzione e la formazione professionale sono prerequisiti per la società della conoscenza e, in quanto beni pubblici, devono essere amministrati dai poteri pubblici affinché sia garantito per tutti l'accesso a tali beni, con gli stessi diritti e con le stesse opportunità.

5.6.1

La società della conoscenza non dovrebbe essere un progetto per le élite persuase dei vantaggi delle nuove tecnologie. Essa deve invece essere considerata come parte di un progetto globale e essere articolata insieme con le altre politiche dirette a tutti i cittadini. Essa comprende lo sviluppo personale, l'educazione civica e l'apprendimento permanente all'altezza delle sfide del XXI secolo. È un'occasione unica di annullare le divaricazioni esistenti e di abbattere le barriere che permangono. A tal fine è fondamentale garantire l'accesso alle nuove tecnologie anche per categorie svantaggiate come i migranti e le persone con disabilità. Le nuove tecnologie e le innovazioni devono essere pertanto generate in misura maggiore dalle iniziative e dalla domanda degli utenti.

5.6.2

Un'istruzione di base di livello elevato è essenziale. È fondamentale che tutti padroneggino le competenze di base se si vuole raggiungere il traguardo di un'istruzione per tutti. È inoltre decisiva l'esistenza di strutture per l'infanzia di qualità, che diano a tutti i bambini, a prescindere della loro origine sociale, opportunità di apprendimento nelle prime fasi della vita.

6.   La necessità di maggiori finanziamenti per creare una società della conoscenza

6.1

Per realizzare lo spazio europeo comune della conoscenza gli Stati membri e le regioni dell'UE devono dirigere la loro spesa pubblica verso gli investimenti nell'apprendimento, nell'innovazione e nella ricerca propizi alla crescita. Il CESE propone che gli Stati membri, in cooperazione con le parti direttamente interessate del settore privato, si impegnino a realizzare un «Programma nazionale per dare impulso alla conoscenza» con l'obiettivo di aumentare gli investimenti nelle infrastrutture della conoscenza e nelle strutture di apprendimento per tutti.

6.2

In questo, gli Stati membri possono essere aiutati con finanziamenti comunitari dei fondi strutturali e del Fondo di coesione. Anche il 7o programma quadro di R&S svolge un ruolo essenziale. Il CIP — Programma quadro per la competitività e l'innovazione e il programma per l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita sono importanti strumenti di sostegno.

6.3

Il Comitato insiste perché le proposte della Commissione europea per il finanziamento della ricerca, dell'innovazione e dell'apprendimento, comprese nelle prospettive finanziarie 2007-2013, vengano mantenute.

6.4

Il 7o programma quadro di R&S rappresenta un test. La Commissione europea ha proposto di raddoppiare la sua dotazione portandola a 72 miliardi di euro. Il Comitato insiste perché tale livello venga mantenuto, altrimenti si metterà in pericolo il raggiungimento dell'obiettivo del 3 % per la spesa in ricerca. Se gli Stati membri decidono di ridurre il livello della spesa UE proposta originalmente, devono compensare tale riduzione mettendo a disposizione maggiori risorse a livello nazionale.

6.5

Il Comitato invita il mondo imprenditoriale, le istituzioni finanziarie e le fondazioni private ad assumersi le loro responsabilità e ad aumentare i loro investimenti nell'economia della conoscenza. Esso propugna gli accordi di partenariato pubblico-privato a livello europeo, nazionale e regionale come metodo per finanziare gli investimenti. Il CESE propone di introdurre in tutta l'UE incentivi fiscali per stimolare la R&S attraverso prestiti a fondo perduto, crediti fiscali e garanzie sui prestiti, con la condizione che la conoscenza generata sia resa accessibile. Le PMI e anche le organizzazioni dell'economia sociale devono ricevere un sostegno speciale, finanziario e di altro tipo, per poter pienamente partecipare allo spazio europeo comune della conoscenza. Devono anche essere stanziati fondi adeguati e messi in atto incentivi appropriati per la partecipazione attiva dei cittadini e delle loro organizzazioni.

7.   Migliorare la governance

7.1

Il CESE approva le conclusioni del Consiglio europeo che mettono in evidenza la necessità di una migliore governance, in quanto rispondono alle sue insistenti richieste di coinvolgere i governi degli Stati membri e tutte le parti interessate a livello regionale e locale e le assemblee parlamentari. Il Comitato confida che i programmi nazionali di riforma verranno elaborati consultando la società civile organizzata, coinvolgendo anche i consigli economici e sociali nazionali ove esistono. Il Comitato intende seguire da vicino tale processo consultivo.

7.2

Gli orientamenti integrati decisi dal Consiglio non soddisfano realmente la necessità di una coesione tra i settori oggetto di riforma, rimanendo frammentari. Un esempio è dato dal fatto che alla società della conoscenza fanno riferimento circa dieci orientamenti. Il Consiglio dovrebbe valutare l'opportunità di riformulare gli orientamenti per integrarvi diverse iniziative politiche che contribuiscano alla creazione di uno spazio europeo comune della conoscenza.

7.3

Il Comitato mette in risalto il fatto che la gestione e l'efficace applicazione sono elementi importanti del processo. Ciò richiede, da un lato, obiettivi, parametri di riferimento e calendari e, dall'altro, responsabilità chiare per sviluppare, attuare e controllare le azioni.

7.4

Anche se la strategia di Lisbona fa capo agli Stati membri, si dovrebbe rafforzare la capacità della Commissione perché essa possa dare indirizzi politici, controllare i progressi e lanciare degli avvertimenti ai paesi che non rispettano gli impegni dei programmi nazionali di riforma, per esempio:

coordinando le risorse finanziarie, i programmi e le agenzie comunitari pertinenti in un programma integrato per uno spazio europeo comune della conoscenza,

rivedendo e, se necessario, adattando i quadri di valutazione per misurare i progressi verso uno spazio europeo comune della conoscenza, prestando un'attenzione particolare agli obiettivi, le scadenze e la valutazione degli sforzi intrapresi dagli Stati membri,

misurando il reale coinvolgimento delle parti direttamente interessate all'elaborazione dei programmi nazionali di riforma,

costruendo un quadro di convergenze con un calendario preciso e assicurando la reale partecipazione delle parti direttamente interessate al metodo di coordinamento aperto, in particolare per quanto riguarda la ricerca, l'istruzione e l'occupazione,

mettendo a punto indicatori, parametri di riferimento e dati che rispecchino le preoccupazioni e le aspirazioni dei cittadini,

riassumendo l'evoluzione verso la società della conoscenza in una relazione annuale.

7.5

I Consigli «Competitività» e «Occupazione», il Parlamento europeo e i parlamenti nazionali dovrebbero discutere la relazione annuale e dovrebbero coinvolgere anche le parti direttamente interessate e l'opinione pubblica.

7.6

Il CESE propone l'avvio di un dibattito permanente e strutturato per motivare i responsabili decisionali a tutti i livelli e lo sviluppo ulteriore del dialogo pubblico, allo scopo di tener conto delle aspirazioni e delle preoccupazioni dei cittadini e in questo modo combattere il crescente scetticismo e la mancanza di impegno. Il dibattito dovrebbe anche integrare i livelli locale, regionale ed europeo e usare metodi innovativi. Vanno esaminate le sfide future e le scelte strategiche.

7.7

I parlamenti nazionali hanno un ruolo essenziale da svolgere e devono partecipare, come anche i consigli sociali e economici nazionali. Il Comitato raccomanda altresì di organizzare in ogni parlamento nazionale, prima della discussione in sede di Consiglio, ma nello stesso mese di quest'ultima e, se possibile, nella stessa settimana, dei dibattiti sui programmi nazionali di riforma. Anche i consigli economici e sociali nazionali e gli organismi analoghi hanno una responsabilità sotto questo aspetto e nei paesi dove essi non esistono le parti sociali e altre organizzazioni della società civile devono stimolare il dibattito.

7.8

L'innovazione e l'apprendimento hanno una base locale. Il CESE sottolinea l'importanza del coinvolgimento degli attori regionali e locali nel creare uno spazio europeo comune della conoscenza e la loro responsabilità nel far propria la strategia di Lisbona. In particolare, le città-regioni e le aree metropolitane sono importanti sotto questo aspetto, ma va promossa la partecipazione di tutte le altre regioni. Il CESE è del tutto favorevole al fatto che una delle tre priorità della futura politica di coesione sia quella di incentivare l'innovazione, l'imprenditorialità e l'economia della conoscenza.

8.   Partecipazione della società civile organizzata — il contributo delle parti interessate

8.1

Il consiglio europeo ha invitato il CESE a istituire, con i consigli economici e sociali degli Stati membri e altre organizzazioni partner, una rete interattiva di iniziative della società civile destinata a promuovere l'attuazione della strategia (11). Questo processo è in corso. La cooperazione messa in atto per l'elaborazione di questo parere e della relazione di sintesi è un passo importante in questa direzione. Saranno messe in evidenza le buone pratiche e l'esperienza della partecipazione della società civile organizzata alle azioni e alle politiche volte a creare la società della conoscenza (12).

8.2

È urgente colmare l'attuale deficit d'informazione dell'Europa nei riguardi dei cittadini, le cui aspirazioni e preoccupazioni devono essere attentamente considerate. È necessario un approccio moderno alla comunicazione e alla sensibilizzazione allo scopo di coinvolgere, motivare e, forse, convincere il pubblico e far sì che i cittadini si assumano delle responsabilità. Anche la stampa e i mezzi audiovisivi devono impegnarsi di più nel dibattito sul futuro dell'Europa. A questo proposito il Comitato rinvia al piano d'azione della Commissione, proposto dalla commissaria Wallström, basato sui tre principi: «Ascoltare — Comunicare — Collegarsi agendo a livello locale» (13). Sarebbe inoltre opportuno un follow-up delle conclusioni dello Stakeholders' Forum organizzato dal Comitato in collaborazione con la Commissione il 7 e 8 novembre 2005.

8.3

Partecipazione però significa anche che le parti direttamente interessate del settore privato devono agire e assumersi responsabilità attraverso contributi e azioni concreti. Iniziative provenienti dal settore privato che contribuiscano allo spazio europeo comune della conoscenza vanno accolte con favore e sostenute dai poteri pubblici.

8.4

Il CESE evidenzia qui di seguito i contributi potenziali di alcune delle parti direttamente interessate più rilevanti:

il dialogo sociale è uno strumento essenziale nel costruire la società della conoscenza. È importante coinvolgere nel dialogo anche le PMI. Tra i temi da affrontare nel dialogo sociale figurano l'apprendimento permanente, l'innovazione e la protezione sociale supplementare,

le parti sociali in molti Stati membri hanno fornito contributi importanti, in particolare attraverso dichiarazioni comuni e accordi collettivi sull'apprendimento permanente. Tuttavia, ben pochi lavoratori sono coperti da accordi di questo tipo. Malgrado la loro varietà, le azioni hanno degli aspetti comuni come il diritto dei lavoratori a partecipare ad azioni di formazione continua, la creazione di meccanismi per gli avanzamenti di carriera e quadri di riferimento per la valutazione delle qualificazioni. Sarebbe opportuno valutare l'applicazione a livello nazionale dell'accordo quadro tra le parti sociali europee concluso nel 2002,

la contrattazione collettiva può correggere le carenze delle aziende che non investono abbastanza in formazione (14). Attraverso accordi collettivi settoriali e nazionali si crea un ambiente in cui vigono le stesse regole per tutti (level playing field) che permette alle imprese di aumentare gli investimenti nella formazione anche per lavoratori scarsamente qualificati. L'accesso all'apprendimento permanente si è esteso attraverso forme di partecipazione dei lavoratori al finanziamento degli investimenti nelle risorse umane,

le imprese sono soggetti centrali per la creazione di nuovi e migliori posti di lavoro nello spazio europeo comune della conoscenza. Esse dovrebbero anticipare e gestire il cambiamento effettuando investimenti strategici nella generazione e nell'applicazione della conoscenza, e riferire con la massima trasparenza in merito alle loro azioni nel campo dell'apprendimento permanente, dell'innovazione e della ristrutturazione come parte della loro responsabilità sociale,

le istituzioni finanziarie e le istituzioni che gestiscono capitali di rischio possono fornire capitale azionario e capitale di rischio e fondi per le imprese innovative, in particolare per le PMI, e insieme con i poteri pubblici sviluppare pacchetti di sostegno integrati. Dovrebbero inoltre avvalersi delle nuove possibilità offerte dal CIP — Programma quadro per la competitività e l'innovazione (15) e dal FEI (Fondo europeo d'investimento) e trovare nuove soluzioni finanziarie,

le organizzazioni dell'economia sociale basate sulla solidarietà possono promuovere l'innovazione sia economica che sociale per creare occupazione e combattere l'esclusione sociale integrando i gruppi svantaggiati,

le organizzazioni di apprendimento non formale attive al di fuori del sistema d'istruzione pubblico, come per esempio quelle gestite dalle parti sociali o da associazioni, hanno dimostrato un grado elevato di efficienza nel fornire e nell'adattare le strutture dell'apprendimento permanente e i suoi metodi in modo da consentire a tutti i gruppi sociali di prendere parte alla società della conoscenza,

i consumatori possono favorire e stimolare le innovazioni e le tecnologie volte a migliorare la qualità della vita tenendo nel dovuto conto le conseguenze sociali e etiche,

i giovani possono dimostrarsi un «target» privilegiato in quanto aperti alle nuove conoscenze e tecnologie. Alla strategia di Lisbona essi possono contribuire nel quadro del Patto per la gioventù (16). Campi d'intervento rilevanti sono rappresentati dalla creazione di opportunità di occupazione per gli studenti universitari e dalle misure per ridurre la dispersione scolastica precoce,

anche alle professioni liberali e ai lavoratori autonomi spetta un ruolo nella società della conoscenza, attraverso l'introduzione di qualificazioni d'accesso e dell'apprendimento permanente per i loro settori,

le università e gli istituti di istruzione superiore devono partecipare attivamente alla strategia e impegnarsi nelle azioni in quanto istituzioni chiave nel processo di avanzamento verso la società della conoscenza. È importante incoraggiare la cooperazione tra l'industria e il mondo accademico allo scopo di trasferire i risultati della ricerca applicata e incentivare anche la mobilità transnazionale degli studenti,

la comunità di ricerca, insieme con gli Stati membri può rafforzare il valore della ricerca come professione e coinvolgere i ricercatori in una cooperazione che attraversi le frontiere nazionali, in linea con la Carta europea dei ricercatori e il Codice di comportamento per l'assunzione dei ricercatori, rendendo così la carriera di ricercatore più attraente.

9.   Quattro proposte prioritarie

9.1   Creare una cornice macroeconomica favorevole alla società della conoscenza

9.1.1

Al vertice di primavera, il Consiglio europeo ha approvato l'introduzione nel Patto di stabilità e di crescita di alcuni elementi di riforma. In base a questa riforma la stabilità macroeconomica e la conformità alle regole rimangono una preoccupazione centrale, ma l'eventuale riorientamento della spesa pubblica verso la R&S e l'innovazione diventa uno dei fattori di cui l'Ue dovrà tener conto all'atto di valutare i disavanzi pubblici temporanei che superano il 3 % del PIL o al momento di definire i percorsi di aggiustamento.

9.1.2

La crescita economica e l'occupazione sono necessarie in quanto facilitano la realizzazione della maggior parte degli altri obiettivi e attenuano l'impatto delle riforme. Tuttavia, l'attuale politica dell'UE non è sufficientemente concentrata sulla crescita e sull'occupazione. Il dosaggio delle politiche esposto negli indirizzi di massima per le politiche economiche è sbilanciato, dal momento che è basato sul raggiungimento della stabilità a scapito della crescita e si concentra principalmente su misure dal lato dell'offerta. Esso trascura il fatto che le riforme volte ad accrescere il potenziale di crescita devono essere integrate da misure per stimolare la domanda effettiva.

9.1.3

A questo proposito assumono grande rilievo anche un coordinamento più stretto delle politiche economiche degli Stati membri e il collegamento del dialogo macroeconomico con il vertice tripartito delle parti sociali, oltre che l'avvio di discussioni approfondite con la Banca centrale europea.

9.1.4

Su questo sfondo, le politiche macroeconomiche, in particolare la politica di bilancio e quella fiscale, devono promuovere la società della conoscenza, particolarmente dando priorità all'espansione della domanda per le nuove tecnologie.

9.2   Fornire un quadro e delle risorse per l'apprendimento permanente

9.2.1

Nelle conclusioni del vertice di primavera si afferma «L'apprendimento permanente costituisce una condizione sine qua non per realizzare gli obiettivi di Lisbona» (17).

9.2.2

È opportuno ricordare che i paesi con i risultati migliori sotto il profilo economico e sociale sono anche quelli che hanno la percentuale più alta di popolazione adulta coinvolta in programmi di istruzione e formazione, mentre è vero il contrario per i paesi che hanno i risultati peggiori. Deve essere riconosciuto il principio di una «nuova opportunità» e deve essere proposto un contratto a tutti quelli che non hanno potuto cogliere la prima opportunità nel quadro della formazione iniziale. Questa idea può essere realizzata secondo modalità diverse, per esempio un'offerta di formazione o di «assegno tempo» disponibile in qualsiasi momento della vita per permettere di recuperare dei saperi fondamentali.

9.2.3

È essenziale che le conclusioni del vertice di primavera diventino realtà. Il CESE rinnova la sua richiesta di una Carta europea per l'apprendimento permanente (18). L'UE e gli Stati membri, insieme con le principali parti interessate devono stabilire le priorità e le azioni fondamentali, dando loro una base giuridica e mettendo a disposizione risorse finanziarie sufficienti. Gli Stati membri dovrebbero impegnarsi ad applicare la Carta a tutti i livelli attraverso «patti di apprendimento permanente» o dispositivi analoghi. I ruoli e le responsabilità del settore pubblico e di quello privato andrebbero definiti partendo dal presupposto che l'apprendimento permanente è un servizio d'interesse generale.

9.2.4

È necessario investire in misura significativa in tutte le fasi dell'apprendimento permanente, compresa la prima infanzia. Gli Stati membri dovrebbero approvare un obiettivo quantitativo, espresso in percentuale, per l'investimento nell'istruzione, compreso l'apprendimento permanente. Tuttavia, il bilancio pubblico, da solo, non potrà sostenere il costo dell'istruzione e della formazione e dovrà essere integrato da accordi collettivi o di altro genere tra datori di lavoro e lavoratori, a livello di impresa o a livello individuale a seconda delle possibilità di ciascuno. Le parti direttamente interessate, del settore pubblico e privato hanno un ruolo nel motivare e permettere alle persone di partecipare e nel renderle responsabili del loro stesso adattamento ai cambiamenti.

9.2.5

L'UE e gli Stati membri dovrebbero anche concordare su un livello minimo di risorse da destinare all'apprendimento permanente nel quadro dei fondi strutturali, fissandole per esempio almeno a un terzo del totale (19). I fondi dovrebbero concentrarsi e appoggiare i «patti per l'apprendimento permanente», i quali estendono l'accesso alla formazione per tutti i lavoratori, e le iniziative ad hoc per i gruppi svantaggiati. Ogni Stato membro deve dimostrare di usare il FES per l'attuazione dei programmi nazionali di riforma.

9.2.6

A livello locale, possono essere istituiti, con un partenariato ampio, centri di apprendimento per tutti, patti di apprendimento permanente o meccanismi di formazione analoghi. Anche le università devono svolgere un ruolo più ampio nell'apprendimento permanente.

9.3   Politiche dell'innovazione e delle tecnologie vantaggiose per tutti

9.3.1

Il CESE approva senza riserve le conclusioni del vertice di primavera in riferimento alla opportunità di indirizzare il 7o programma quadro di R&S a colmare il divario tecnologico, e alla necessità che gli Stati membri sviluppino politiche dell'innovazione globali che vanno sostenute dal CIP — Programma comunitario per la competitività e l'innovazione — per promuovere in particolare la competitività delle PMI. Esso sostiene anche la proposta secondo cui l'Europa ha bisogno di una politica industriale attiva condotta attraverso diverse iniziative tecnologiche (20).

9.3.2

Sono necessari un più attento monitoraggio e una più approfondita valutazione dei programmi di ricerca per garantire che le risorse siano dirette a contribuire alla capacità innovativa europea. L'innovazione, poi, va considerata un concetto onnicomprensivo: essa dovrà dunque concentrarsi non solo sui processi, sui prodotti e sulla tecnologia, ma anche sulla governance, sullo sviluppo sostenibile e sulle risposte economiche alle questioni sociali in modo da sostenere il modello sociale europeo. Le innovazioni dovrebbero permeare tutti i processi che si svolgono nella società. Il dialogo sociale e quello civile sono importanti misure di accompagnamento per promuovere l'innovazione. Coinvolgere i lavoratori e le altre parti direttamente interessate nella concezione di nuovi prodotti e tecnologie attutirà gli effetti delle ristrutturazioni.

9.3.3

Obiettivi ambiziosi relativi al miglioramento della salute dei cittadini, alla creazione di un ambiente sostenibile, al miglioramento della qualità delle infrastrutture urbane e rurali, allo studio di soluzioni di trasporto intelligenti, alla creazione di luoghi di lavoro sicuri e ristrutturati e alla salvaguardia del patrimonio culturale comporteranno lo sviluppo di nuove tecnologie e nuovi prodotti e servizi innovativi. Le nuove tecnologie e le innovazioni possono in tal modo favorire la qualità della vita e del lavoro, soddisfacendo sia i bisogni espressi dalla società che quelli del mercato, tenendo conto delle conseguenze sociali ed etiche.

9.3.4

L'Europa deve dare molta più importanza al trasferimento di tecnologia, sfruttando i risultati del 7o programma quadro e promovendo un mercato favorevole all'innovazione al fine di accrescere la competitività. I meccanismi comunitari e nazionali per la diffusione della conoscenza — che si tratti di risultati della ricerca, di nuove tecnologie, di sistemi innovativi o di metodi di apprendimento — dovrebbero avere la priorità e si dovrebbero usare più risorse a tale scopo. Può essere sviluppata una nuova generazione di partenariati pubblico-privato come modello per promuovere la diffusione della conoscenza. Si dovrebbero compiere maggiori sforzi per trasformare rapidamente lo sviluppo tecnologico in prodotti e servizi commerciali.

9.3.5

Il CESE invoca un dialogo più regolare e sistematico con le parti interessate più importanti a tutti i livelli, allo scopo di perseguire e monitorare le politiche dell'innovazione e delle tecnologie vantaggiose per tutti. La Commissione europea dovrebbe sostenere un approccio di questo tipo emanando direttive e raccomandazioni e procedendo ad un'analisi comparativa delle buone pratiche. In questo contesto è importante promuovere le regioni industriali, i parchi tecnologici e altri ambienti innovatori.

9.3.6

Si deve cercare in tutti i modi di coinvolgere le PMI e le imprese dell'economia sociale e di soddisfare le loro esigenze, permettendo loro l'accesso alla RST e ai servizi di ricerca e facendole partecipare ad attività di RST. Le PMI hanno un ruolo importante da svolgere nella creazione di cluster regionali di eccellenza. Va anche esaminata l'introduzione di misure per accrescere la quota delle PMI nel mercato degli appalti pubblici e l'esperimento positivo fatto negli Stati Uniti consistente nel fornire sostegno alla piccole imprese di alta tecnologia può servire di modello.

9.3.7

Le «piattaforme tecnologiche» guidate dall'industria lanciate nel 2003 dalle parti interessate con il sostegno della Commissione sono destinate a diventare degli attori importanti nella politica di ricerca dell'UE e una base per la sua politica industriale. Il CESE propone che l'industria reagisca positivamente alla richiesta della Commissione europea di svolgere un ruolo più attivo in tali piattaforme. Il CESE propone, tuttavia, che le piattaforme siano aperte alle parti sociali e ad altre organizzazioni della società civile in modo che anch'esse possano prendere parte alla definizione dell'agenda di ricerca.

9.4   La sicurezza sociale deve favorire la transizione verso la società della conoscenza

9.4.1

Il senso della sicurezza del posto di lavoro è necessario per motivare i lavoratori a prendere parte attiva alla transizione verso la società della conoscenza. La flessibilità deve andare di pari passo con politiche attive del mercato del lavoro che incoraggino i lavoratori a partecipare alle misure per l'apprendimento permanente. L'approccio danese della flessibilità associata alla sicurezza (flexecurity) può essere un esempio da seguire.

9.4.2

Vanno definite nuove forme di sicurezza sociale per facilitare la riqualificazione professionale e la mobilità occupazionale dei lavoratori nonché le loro scelte tra lavoro, formazione e vita familiare, ma anche per agevolare nuove forme di organizzazione del lavoro e le transizioni da uno status ad un altro. Grazie a ciò, i contratti e le condizioni di lavoro che minacciano i diritti dei lavoratori e hanno impatti negativi sulla loro capacità di partecipare alla società della conoscenza potranno essere evitati.

9.4.3

La relazione del gruppo ad alto livello sul futuro della politica sociale in un'europa allargata (21) ha indicato che i sistemi di assicurazione contro la disoccupazione e i sistemi di protezione sociale devono sostenere la flessibilità, facilitando tali transizioni durante il ciclo di vita di ciascun individuo. Per esempio possono essere costituite nuove forme di assicurazione per il ciclo della vita lavorativa, creando conti personali di apprendimento finanziati in parte da contributi sociali.

9.4.4

Il CESE propone che il comitato per la protezione sociale esamini questo tema e, tra l'altro, individui le buone pratiche e proponga orientamenti per queste nuove forme di protezione. Il Comitato contribuirà con un parere che esaminerà la questione della flessibilità associata alla sicurezza  (22).

Bruxelles 14 dicembre 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  European Innovation Scoreboard 2004 - Comparative analysis of innovation performance (Quadro di valutazione dell'innovazione in Europa 2004). Documento di lavoro della Commissione SEC(2004) 1475 del 19.11.2004.

(2)  Progress towards the Lisbon objectives in education and training (relazione 2005). Documento di lavoro della Commissione SEC(2005) 419.

(3)  Conclusioni del Consiglio europeo del 22 e 23 marzo 2005, punto 4.

(4)  Conclusioni della presidenza, Consiglio europeo del 22 e 23 marzo 2005, punto 5.

(5)  Conclusioni della presidenza, Consiglio europeo del 22 e 23 marzo 2005, punto 10.

(6)  Conclusioni della presidenza, Consiglio europeo del 22 e 23 marzo 2005, punti 20-28.

(7)  Cfr. Allegato.

(8)  Conclusioni della presidenza, Consiglio europeo del 22 e 23 marzo 2005, punti 38-41.

(9)  Dichiarazione di Lussemburgo dei presidenti dei consigli economici e sociali dell'Unione europea e del CESE, 26.11. 2004.

(10)  Per esempio l'European Qualifications Framework (EQF), l'European Credit Transfer System (ECTS) e l'European Credit Transfer System in Vocational Training (ECVET).

(11)  Conclusioni della presidenza, Consiglio europeo del 22 e 23 marzo 2005, punto 9.

(12)  Cfr. il sito http://www.esc.eu.int/lisbon_strategy/index_en.asp. Per maggiori dettagli su questa proposta, cfr. il parere CESE Migliorare l'attuazione della strategia di Lisbona, punti 6.4-6.9 (ECO/153).

(13)  Piano d'azione per migliorare la comunicazione tra le istituzioni europee e i cittadini.

(14)  Cfr. «Affrontare la sfida della strategia di Lisbona per la crescita e l'occupazione», relazione del gruppo ad alto livello presieduto da Wim KOK, novembre 2004.

(15)  Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce un programma quadro per la competitività e l'innovazione (2007-2013), COM(2005) 121 def. del 6.4.2005.

(16)  Conclusioni della presidenza, Consiglio europeo del 22 e 23 marzo 2005, punto 37 e Allegato I.

(17)  Conclusioni della presidenza, Consiglio europeo del 22 e 23 marzo 2005, punto 34.

(18)  Parere del CESE sul tema Migliorare l'attuazione della strategia di Lisbona - ECO/153 - relatore VEVER e correlatori EHNMARK e SIMPSON.

(19)  Il 37 % dei fondi strutturali assegnati all'Irlanda sono stati spesi in investimenti in risorse umane.

(20)  Conclusioni della presidenza, Consiglio europeo del 22 e 23 marzo 2005, punti 13, 14 e 16.

(21)  Relazione del gruppo ad alto livello sul futuro della politica sociale in un'Europa allargata, maggio 2004.

(22)  La prassi della flexecurity in Danimarca (ECO/167), la cui adozione è prevista nel 2006.


17.3.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 65/103


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio recante modifica della direttiva 77/388/CEE per quanto riguarda talune misure aventi lo scopo di semplificare la riscossione dell'imposta sul valore aggiunto e di contribuire a contrastare l'evasione e l'elusione e recante abrogazione di talune decisioni che autorizzano misure derogatorie

COM(2005) 89 def. — 2005/0019 (CNS)

(2006/C 65/19)

Il Consiglio, in data 14 aprile 2005 ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 93 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 novembre 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore PÁLENÍK.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 15 dicembre 2005, nel corso della 422a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 69 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Nel marzo 2005, la Commissione ha presentato una proposta di direttiva del Consiglio (1) che modifica la Sesta direttiva IVA (77/388/CEE) al fine di semplificare la riscossione dell'imposta sul valore aggiunto e di contribuire a contrastare l'evasione e la frode fiscale.

1.2

Ai sensi dell'articolo 27 della Sesta direttiva IVA, il Consiglio, su proposta della Commissione, può autorizzare ogni Stato membro ad introdurre misure speciali di deroga alla direttiva, allo scopo di semplificare la riscossione dell'imposta o di evitare l'evasione fiscale. Dato che questa possibilità è stata utilizzata molto spesso, attualmente esistono più di 140 deroghe e, secondo la Commissione, questo numero è destinato ad aumentare nell'immediato futuro a causa dell'arrivo dei nuovi Stati membri.

2.   Il documento della Commissione (COM(2005) 89 def.)

2.1

Nell'ambito della sua strategia volta a migliorare il funzionamento del regime IVA nel mercato interno (2), la Commissione si è impegnata tra l'altro a razionalizzare le numerose deroghe in vigore, molte delle quali si sono rivelate efficaci e sono state utilizzate in più di uno Stato membro. Dato tuttavia che il Consiglio è tenuto ad esaminare una per una tutte le richieste di deroga, cosa che rende il loro processo di adozione particolarmente lungo, la Commissione propone di introdurre una modifica alla Sesta direttiva IVA in modo da consentire a tutti gli Stati membri di avvalersi delle deroghe più frequentemente applicate.

2.2

La Commissione propone di inserire nella Sesta direttiva IVA le seguenti misure:

una modifica delle norme relative ai «raggruppamenti» e ai «trasferimenti di aziende avviate» onde evitare vantaggi o svantaggi ingiustificati degli operatori interessati,

disposizioni per prevenire l'evasione dell'IVA sull'oro da investimento, utilizzato come materia prima per la fabbricazione di beni di consumo,

una rideterminazione, in casi specifici, della base imponibile delle cessioni di beni e prestazione di servizi in funzione del loro valore normale,

regole per chiarire e definire lo status dei beni d'investimento,

modifiche nel meccanismo d'inversione contabile in taluni settori industriali.

2.3

Nel caso dei raggruppamenti e dei trasferimenti di aziende avviate, la Commissione coglie l'opportunità per rafforzare i poteri degli Stati membri in ambiti in cui c'è il rischio di evasione e di frode fiscale. La proposta, pertanto, consente agli Stati membri di prendere provvedimenti per assicurare che l'applicazione delle norme sia equa e che gli operatori interessati non vengano ingiustamente avvantaggiati o svantaggiati.

2.4

L'oro da investimento, sotto forma di placchette o lingotti, è esente da IVA. Se l'oro venduto non ha più i requisiti dell'oro da investimento, e si presenta ad esempio sotto forma di gioielli, esso è invece soggetto all'IVA. Qualora sia il cliente a fornire il proprio oro all'orefice, la norma prevede che solo la lavorazione sarà assoggettata ad imposta. Anche se ha perso il suo carattere di oro da investimento e non ha più i requisiti per l'esenzione, l'oro pertanto non sarà tassato. È questo l'abuso che le deroghe esistenti cercano di contrastare. La Commissione presenta dunque una proposta di regola alternativa che consente a tutti gli Stati membri di stabilire che la base imponibile include anche il valore dell'oro contenuto nel prodotto, calcolato in base al valore normale.

2.5

Per lottare contro l'evasione e la frode fiscale, la proposta della Commissione consente agli Stati membri di rideterminare il valore di alcune cessioni di beni o prestazioni di servizi, a condizione che vengano rispettati determinati requisiti. La nuova determinazione del valore di una cessione o prestazione è consentita soltanto in tre circostanze ben precise, e a condizione che le parti siano collegate tra di loro. Per applicare la regola gli Stati membri dovranno pertanto definire i relativi collegamenti e tale definizione dovrà rientrare nelle categorie fissate dalla direttiva. La proposta consente la rideterminazione del valore delle cessioni o prestazioni secondo il valore normale. Per «valore normale» si intende l'intero importo che un cliente deve pagare per ottenere i beni e i servizi in questione al momento dell'operazione e in condizioni di libera concorrenza. La Commissione afferma esplicitamente che il valore normale non può essere inferiore al costo dell'operazione per il cedente o prestatore, a meno che le condizioni di mercato non lo giustifichino.

2.6

La Commissione precisa che le disposizioni in materia di rettifica delle detrazioni dell'IVA relative ai beni di investimento di cui all'articolo 20 della Sesta direttiva si possono applicare anche ai servizi, purché questi abbiano caratteristiche analoghe a quelle dei beni d'investimento e siano trattati come voci aventi un valore contabile continuativo.

2.7

Al tempo stesso la Commissione estende l'uso di un meccanismo facoltativo di inversione contabile a determinate cessioni o prestazioni effettuate nei confronti di soggetti passivi. Tali operazioni rientrano in settori dell'economia risultati particolarmente difficili da controllare. Applicando questo meccanismo, l'obbligo del pagamento dell'imposta incombe al beneficiario del servizio. Tra le operazioni contemplate figurano i servizi relativi ai fabbricati, la messa a disposizione di personale per l'esecuzione di tali servizi, la cessione di fondi e di fabbricati di cui all'articolo 13, parte B, lettere g) e h), qualora il cedente abbia optato per l'imposizione ai sensi del suddetto articolo, parte C, lettera b) e la cessione di materiali di scarto, avanzi e materiali riciclabili risultanti da taluni servizi di trattamento. Gli Stati membri possono ricorrere al meccanismo di inversione contabile anche nei casi in cui il cedente sia un soggetto che si trova in difficoltà finanziarie e non sia in grado di far fronte ai propri debiti, compresi i suoi obblighi nei confronti dell'amministrazione fiscale. Il ricorso al meccanismo di inversione contabile da parte degli Stati membri è soggetto all'obbligo di consultazione del comitato IVA.

2.8

Secondo la Commissione, in base all'articolo 27 della Sesta direttiva IVA, sono dieci le decisioni che rientrano nell'ambito di applicazione della proposta e che di conseguenza verrebbero ad essere soppresse dalla nuova direttiva. Restano altre sette decisioni che, pur rispondendo ai criteri della proposta, la Commissione non reputa necessario sopprimere.

3.   Osservazioni del Comitato sulla proposta

3.1

Il CESE approva la semplificazione del regime IVA nel mercato interno, conformemente alla comunicazione della Commissione (COM(2000) 348 def.).

3.2

Il Comitato è d'accordo con la Commissione quando sottolinea la necessità di razionalizzare il numero di deroghe alla Sesta direttiva IVA, al fine di semplificare la comprensione del sistema per coloro che effettuano operazioni transfrontaliere. Il CESE è favorevole all'idea di consentire a tutti gli Stati membri di avvalersi di alcune delle deroghe cui si fa ricorso più frequentemente, attraverso l'apporto di modifiche e aggiunte alla Sesta direttiva.

3.3

Il CESE ritiene che tali modifiche e aggiunte, se applicate correttamente all'interno degli Stati membri, possono essere uno strumento efficace di lotta all'evasione e alla frode fiscale.

3.4

Il CESE non ha riserve da formulare in merito alla proposta della Commissione per quanto concerne i raggruppamenti di imprese, il trasferimento di aziende avviate e l'imposizione dell'oro da investimento utilizzato, ad esempio, per la fabbricazione di gioielli; esso considera anzi tale proposta la logica soluzione ai problemi riscontrati in passato.

3.5

Per quanto riguarda le cessioni e prestazioni, il CESE riconosce che in alcuni casi, se c'è il sospetto di evasione fiscale a causa di una valutazione troppo elevata o troppo bassa, la loro base imponibile debba essere fissata al valore normale. Tuttavia, possono sorgere difficoltà pratiche nel determinare che cosa rappresenti una «differenza significativa» tra il valore dell'operazione e il valore normale, in quanto non esiste una definizione precisa né del valore normale, che dipende dall'interpretazione delle parti interessate, né della nozione di «differenza significativa di valore». Il CESE teme che la mancanza di chiarezza possa creare un clima di incertezza nell'ambiente imprenditoriale. Il ricorso a tale meccanismo da parte degli Stati membri dovrebbe pertanto essere subordinato alla definizione precisa del valore normale e alla quantificazione di quella che può essere definita una «differenza significativa».

3.6

Il CESE concorda con la Commissione circa la necessità di precisare che la rettifica delle detrazioni legate ai beni d'investimento si applica anche ai servizi d'investimento.

3.7

Il CESE giudica il meccanismo di inversione contabile uno strumento che potrebbe rivelarsi necessario per prevenire l'evasione e la frode fiscale. Tale meccanismo è particolarmente utile quando il venditore si trova in difficoltà finanziarie e quando esistono seri dubbi sulla sua capacità di onorare gli obblighi fiscali. L'applicazione pratica dell'inversione contabile dovrebbe consentire di individuare altri settori in cui fare ricorso a tale meccanismo in via facoltativa.

4.   Osservazioni generali del CESE

4.1

La proposta di direttiva del Consiglio è realistica dal punto di vista dell'applicazione e risponde agli obiettivi che la Commissione si è impegnata a raggiungere nella sua comunicazione al Consiglio e al Parlamento europeo del 7 giugno 2000, volta a razionalizzare alcune tra le numerose deroghe alla Sesta direttiva IVA attualmente in vigore. Il CESE tuttavia fa osservare che per rendere il sistema comune IVA più semplice ed efficace sarebbe molto più utile procedere ad una più completa riorganizzazione della legislazione in materia di IVA e ad una maggiore armonizzazione delle norme fiscali.

4.2

È opportuno sottolineare che proprio l'ingiustificata complessità della legislazione comunitaria ne ostacola una applicazione rapida e corretta nonché una attuazione efficace all'interno degli Stati membri. In questo senso, la proposta rappresenta un passo nella giusta direzione, a condizione che venga applicata con sufficiente rapidità e in modo adeguato nei vari paesi. Il CESE ritiene che alla proposta in esame dovrebbero far seguito altre misure destinate a semplificare il regime comune dell'IVA.

Bruxelles, 15 dicembre 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  COM(2005) 89 def.

(2)  COM(2000) 348 def. e COM(2003) 614 def.


17.3.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 65/105


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le fonti energetiche rinnovabili

(2006/C 65/20)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 10 febbraio 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema Le fonti energetiche rinnovabili.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 novembre 2005, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SIRKEINEN e dal correlatore WOLF.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 15 dicembre 2005, nel corso della 422a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 142 voti favorevoli, 1 voto contrario e 2 astensioni:

Il Comitato economico e sociale europeo ha recentemente adottato importanti pareri su alcuni aspetti fondamentali della questione energetica (1). In tale contesto è stato posto l'accento sulle diverse forme e fonti di energia. L'obiettivo strategico di questa serie di pareri, che si conclude con il presente parere e con quello sulle fonti energetiche fossili «tradizionali»: carbone, petrolio e gas naturale (TEN/212), è quello di gettare importanti basi per l'elaborazione di opzioni valide e realistiche per un futuro mix energetico. Tutti questi documenti verranno poi sintetizzati in un successivo parere sul tema«L'approvvigionamento energetico nell'UE: strategia per un mix energetico ottimale».

1.   Introduzione

1.1

Lo sfruttamento dell'energia (2) è alla base del nostro attuale stile di vita e della nostra civiltà; soltanto la disponibilità di energia in quantità sufficiente ha reso possibile il nostro attuale livello di vita. La necessità di un approvvigionamento energetico sicuro, economico, rispettoso dell'ambiente e sostenibile è un elemento comune alle decisioni adottate dal Consiglio europeo a Lisbona, Göteborg e Barcellona.

1.2

Assistiamo a una rapida crescita della domanda globale delle limitate risorse di energia fossile, soprattutto nei nuovi paesi industrializzati e in alcuni paesi in via di sviluppo. Gran parte dell'offerta proviene da aree in cui non vengono applicate le normali regole politiche e di mercato, e l'energia è sempre più al centro dell'attenzione politica. I prezzi sono instabili, con una tendenza al rialzo. Quanto agli aspetti ambientali dell'energia, alcuni concorrenti sono meno interessati di altri, soprattutto per quanto riguarda i potenziali effetti sul clima a livello mondiale. L'energia fossile è oggetto di un parere specifico elaborato dal Comitato parallelamente al presente parere.

1.3

La politica energetica nell'UE deve affrontare tre sfide principali: garantire la sicurezza dell'approvvigionamento energetico, rispondere alle esigenze economiche e ridurre l'impatto sull'ambiente. La sicurezza dell'approvvigionamento nell'UE deve far fronte alla sfida di un'elevata e crescente dipendenza dalle fonti energetiche esterne. Al fine di soddisfare i bisogni fondamentali dei cittadini a prezzi accettabili e di garantire la competitività delle industrie, i prezzi dell'energia non andrebbero aumentati artificialmente mediante decisioni politiche ma dovrebbero essere tali da incentivare investimenti adeguati nel settore energetico. Le preoccupazioni ambientali vanno affrontate in modo efficace rispetto ai costi, integrando i costi esterni nei prezzi dell'energia e tenendo presente l'esigenza di una competitività a livello globale.

1.4

In diversi pareri il Comitato ha osservato che la produzione e l'utilizzo di energia comportano danni ambientali, rischi, esaurimento delle risorse, nonché situazioni delicate di dipendenza dall'esterno e una serie di incognite. Nessuna delle opzioni e delle tecnologie che potranno contribuire in futuro all'approvvigionamento energetico è tecnicamente perfetta, priva di impatti negativi sull'ambiente e in grado di soddisfare tutte le esigenze; inoltre è impossibile valutarne il potenziale in un orizzonte temporale sufficientemente lungo.

1.5

Al fine di garantire un futuro sostenibile sul piano energetico, l'Europa deve anzitutto sfruttare le potenzialità esistenti per una migliore efficienza energetica. Su richiesta della Commissione europea, il Comitato sta elaborando un parere esplorativo in materia. In secondo luogo, le fonti energetiche rinnovabili vanno considerate in via preferenziale in quanto sono sostenibili per definizione. Inoltre, possono essere prodotte a livello locale e di per sé non emettono gas a effetto serra, contribuendo così sia alla sicurezza dell'approvvigionamento energetico che alla lotta contro il cambiamento climatico. Tuttavia, nel prossimo futuro, non saranno in grado di coprire da sole l'intero fabbisogno energetico. Il Comitato inizierà i lavori per l'elaborazione di un parere sul futuro mix energetico in Europa basato sui risultati dei suoi pareri sulle diverse fonti di energia.

1.6

Il presente parere verte sulla situazione attuale e sul potenziale di sviluppo delle seguenti fonti energetiche rinnovabili: mini-idraulica, energia eolica, biomassa, energia solare e geotermica. Questo è in linea con la definizione di fonti energetiche rinnovabili di cui nella direttiva sull'energia elettrica prodotta da tali fonti, che esclude l'energia idroelettrica prodotta da grandi centrali anche se, dal punto di vista tecnico, è chiaramente rinnovabile e generalmente, nelle statistiche relative all'energia, figura tra le fonti rinnovabili.

1.7

Il presente parere intende esaminare le principali caratteristiche di queste tecnologie dal punto di vista energetico (sicurezza dell'approvvigionamento, diversificazione, disponibilità adeguata al fabbisogno), economico (efficienza a livello di costi, concorrenza tra le diverse fonti di energia, meccanismi di sostegno) ed ambientale (emissioni, Protocollo di Kyoto), nonché valutare il contributo che esse potrebbero realisticamente fornire al futuro mix energetico.

1.8

L'uso dell'idrogeno è una nuova tecnologia energetica che attira molto l'attenzione e nella quale vengono riposte molte aspettative. In quanto vettore energetico, l'idrogeno potrebbe fornire una soluzione al problema dell'accumulo dell'energia (ottenuta da fonti discontinue). Può essere prodotto a partire dal gas naturale, un vettore energetico primario altamente richiesto per altri scopi, oppure a partire dall'acqua con una forte immissione di elettricità. È necessaria ancora un'intensa attività di R&S per concepire un'economia dell'idrogeno sicura ed efficiente in termini di costi. La tecnologia delle celle a combustibile è spesso legata ad un uso efficiente dell'idrogeno, ma in linea di principio può funzionare anche con altri combustibili, comprese le fonti rinnovabili trattate. Queste possibilità non vengono analizzate specificatamente nel presente parere, tuttavia richiedono un approfondimento.

2.   Sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili (FER)

2.1

Secondo statistiche della Commissione europea risalenti al 2002, nell'UE a 25 vengono utilizzati circa 1 100 TWh di energia rinnovabile su un consumo totale di energia primaria di quasi 20 000 TWh; ciò equivale a una quota di energie rinnovabili del 5,7 %. Su una produzione totale di energia di 3 018 TWh, le fonti rinnovabili rappresentano 387 TWh, il che corrisponde a una quota di energie rinnovabili pari circa al 13 %.

2.2

L'UE ha assunto un ruolo di leadership attiva nello sviluppo delle fonti energetiche rinnovabili, e sono stati fissati obiettivi indicativi per aumentare la quota delle FER dal 6 % al 12 % del mix energetico totale e dal 13 % al 21 % dell'elettricità per l'UE a 25. Stando alle stime provvisorie della Commissione europea, probabilmente questi obiettivi non verranno realizzati completamente ma, ciò nonostante, i progressi ottenuti sono notevoli. Vi è un consenso generale sulla necessità di un costante aumento delle FER nel mix energetico e sul persistente bisogno di un sostegno economico.

2.3

Sebbene negli ultimi anni l'uso dell'energia eolica abbia registrato un enorme tasso di crescita, recentemente questo tipo di energia è stato sempre più criticato per motivi ambientali ed economici. L'aumento dell'impiego della biomassa, nello stesso periodo, è stato inferiore alle aspettative, anche se attualmente se ne fa già un uso notevole.

2.4

Mentre lo sfruttamento dell'energia di corsi d'acqua o di bacini artificiali interni ha una lunga tradizione culturale, lo sfruttamento delle correnti marine, del moto ondoso e delle maree è ancora nella fase di sviluppo. In una fase successiva si potrebbe elaborare un parere su questi aspetti.

2.5

Il livello di impiego delle fonti energetiche rinnovabili varia notevolmente da uno Stato membro all'altro, a seconda delle condizioni naturali e delle scelte nazionali in materia di politica energetica. Anche il potenziamento dell'uso delle fonti rinnovabili a seguito delle misure comunitarie varia notevolmente, come del resto anche le misure con le quali gli Stati membri promuovono un maggiore uso e sfruttamento di tali fonti. La direttiva 2001/77/CE sulla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili nel mercato interno dell'elettricità (elettricità FER) lascia agli Stati membri l'organizzazione del sostegno delle fonti energetiche rinnovabili, senza alcun tentativo di armonizzare i meccanismi di sostegno. Questo però non contribuisce a un mercato interno efficiente (cfr. il punto 5.6).

2.6

Il sostegno alle fonti rinnovabili è giustificato per motivi strategici di sicurezza dell'approvvigionamento e di politica climatica. Può essere considerato anche nel contesto dell'internalizzazione dei costi esterni, come compensazione per la mancanza di un'effettiva integrazione dei costi o per il sostegno corrisposto attualmente o in passato ad alcune fonti energetiche tradizionali (3). Si ritiene che il sostegno, se è diretto ad attività lontane dalla fase competitiva, non crei distorsioni dei mercati.

2.7

Gli interessi costituiti possono rallentare i cambiamenti ed ostacolare una concorrenza equa nei mercati energetici. Lo stesso dicasi per la necessità dei governi di disporre di una tassa o di un'altra entrata stabile. Nell'UE, infatti, alcune fonti energetiche, e in particolare i prodotti petroliferi, sono tassate pesantemente.

3.   Principali caratteristiche e potenziale delle diverse fonti energetiche rinnovabili

3.1   Mini-idraulica

3.1.1

Crescita e sviluppo negli ultimi anni. La produzione di energia idroelettrica può essere suddivisa in grande idro e mini-idraulica. Nell'Unione europea le risorse per la produzione idraulica su piccola scala (impianti di mini-idraulica con potenza inferiore ai 10 MWe) sono abbondanti ed è ancora disponibile un notevole potenziale (quasi 6 000 MW nella sola UE-15). La potenza complessiva delle centraline idroelettriche in funzione alla fine del 2003 nell'UE a 15 era stimata a circa 10 700 MW.

3.1.2

Ruolo nei sistemi elettrici e conseguenze per le reti. Ideali per l'elettrificazione delle zone isolate, gli impianti di mini-idraulica, se sono connessi alla rete elettrica, contribuiscono anche alla produzione elettrica nazionale. L'accesso alla rete è il primo e più importante passo per consentire ai produttori indipendenti di operare in modo efficace sul mercato.

3.1.3

Aspetti economici, compresi i sistemi di sostegno. Da secoli è tecnicamente possibile costruire impianti di mini-idraulica e, se il sito è favorevole, questa soluzione può essere economicamente interessante. Nell'UE i costi di investimento (dati del 2001) variano dai 1 000 EUR/kW in Spagna e Grecia ai 6 000 EUR/kW in Germania e il costo medio di produzione è compreso tra gli 1,8 EUR cent/kWh in Belgio e i 14 EUR cent/kWh in Austria.

3.1.4

Disponibilità e ruolo nella sicurezza dell'approvvigionamento. Gli impianti di mini-idraulica sono una fonte sicura e possono contribuire a garantire la sicurezza dell'approvvigionamento elettrico. Inoltre sono in grado di assicurare una produzione immediata e di fornire elettricità sia per il carico di base che per quello di punta, hanno una lunga durata di vita, necessitano di una manutenzione relativamente semplice e sono dotati di una tecnologia molto affidabile e avanzata.

3.1.5

Prestazioni ambientali. La mini-idraulica è una risorsa pulita e non comporta combustione, evitando così le emissioni inquinanti. Tuttavia ha un impatto ambientale locale, in particolare a causa della costruzione delle centrali e dell'alterazione dell'equilibrio ecologico dei corsi d'acqua (p. es. in seguito a sbarramenti che impediscono la migrazione dei pesci), ma esistono e possono essere applicate misure per ridurre o limitare queste ripercussioni.

3.1.6

Previsioni di crescita e ruolo futuro. Il primo obiettivo fissato per il 2003 (12 500 MW) non è stato raggiunto. Quanto agli obiettivi per il 2010, se ci si basa sulla crescita media annua degli ultimi quattro anni, la capacità degli impianti di mini-idraulica in Europa dovrebbe aggirarsi intorno ai 12 000 MW. Anche questa cifra sarà inferiore agli obiettivi definiti nel Libro bianco della Commissione europea.

3.2   Energia eolica

3.2.1

Crescita e sviluppo negli ultimi anni. Attualmente l'energia eolica è la tecnologia per la produzione di elettricità che cresce con maggior rapidità. In determinati siti con condizioni favorevoli essa può addirittura diventare redditizia anche senza un sostegno più ingente. Tassi di crescita annui superiori al 35 % tra il 1996 e il 2004 hanno fatto dell'Europa un leader nel campo dell'energia eolica. Alla fine del 2004 la capacità installata delle turbine eoliche era pari a quasi 35 GW nell'UE a 25 e a oltre 47 GW a livello mondiale.

3.2.2

Ruolo nei sistemi elettrici e conseguenze per le reti. L'uso intensivo dell'energia eolica pone notevoli sfide operative. La disponibilità di tale energia non può essere sempre garantita nella maggior parte delle regioni. Se si gestisce il carico elettrico utilizzando anche altre energie rinnovabili, in particolare quelle prodotte a partire dalla biomassa, dal biogas e dalle centrali idroelettriche e solari, nonché nuovi dispositivi di accumulazione si può però ridurre notevolmente questo inconveniente.

Ovviamente la capacità garantita (credito di potenza) dell'energia eolica varia a seconda della stagione. In Germania, ad esempio, sulla capacità eolica installata totale di 36 000 MW prevista per il 2015, solo una capacità compresa tra i 1 820 e i 2 300 MW può essere considerata come garantita per la copertura del carico stagionale massimo (con un livello di affidabilità dell'approvvigionamento energetico pari al 99 %). Questo corrisponde a una quota del 6 % circa della capacità eolica installata. L'entità della potenza di regolazione e delle capacità di riserva necessarie collegate all'energia eolica dipende dalla qualità delle previsioni a breve termine relative all'energia eolica e dalla conseguente sfasatura tra i valori previsti e quelli reali dell'alimentazione con energia eolica.

3.2.3

Aspetti economici, compresi i sistemi di sostegno. Dato che la produzione di energia dipende molto dalle condizioni del vento, la scelta del sito giusto è fondamentale per avvicinarsi alla redditività economica (cfr. però il punto 3.2.2). Con lo sviluppo della tecnologia, i costi di produzione dell'energia ricavata dal vento sono diminuiti costantemente. I costi dell'elettricità prodotta a partire dall'energia eolica sono diminuiti di più del 50 % negli ultimi 15 anni. Attualmente i prezzi dell'energia eolica stanno diventando concorrenziali rispetto a quelli delle altre fonti energetiche. Nel Regno Unito, ad esempio, la produzione sulla terraferma costa attualmente 3,2 pence/kWh (il prezzo all'ingrosso dell'elettricità è di 3 pence/kWh). Il costo supplementare per ovviare all'intermittenza (p.es. con capacità di riserva) è di 0,17 pence/kWh se nella rete si utilizza solo il 20 % al massimo di energia eolica.

3.2.4

Disponibilità e ruolo nella sicurezza dell'approvvigionamento. Il maggior uso dell'elettricità eolica in Europa ha provocato fluttuazioni che attualmente si verificano anche sul lato della produzione a causa del carattere variabile dell'alimentazione con questo tipo di energia, facendo così crescere le esigenze sul piano del controllo e provocando un aumento dei costi di rete. Per garantire un funzionamento stabile della rete nonostante la grande variabilità a livello dell'alimentazione con energia eolica, gli operatori dei sistemi di trasmissione hanno bisogno di previsioni quanto più possibile accurate sulla probabile produzione di questo tipo di energia.

Il fatto che sia prevedibile un'ulteriore espansione dell'energia eolica in Europa fa sì che in futuro, nella progettazione di nuovi impianti eolici, sia necessario prestare un'attenzione maggiore di prima all'affidabilità dell'erogazione. A causa della nuova massiccia e continua espansione dell'energia eolica, infatti, è diventato sempre più difficile garantire la continuità dell'erogazione di elettricità, soprattutto in caso di interruzione dell'alimentazione. I futuri sviluppi a livello di impianti offshore potrebbero fornire un numero molto maggiore di ore equivalenti rispetto alle turbine eoliche situate sulla terraferma.

3.2.5

Prestazioni ambientali. Le turbine eoliche praticamente non inquinano e non producono emissioni quando sono in funzione, e in misura molto limitata durante la loro fabbricazione, installazione, manutenzione e rimozione. Pur essendo una tecnologia pulita, l'energia eolica non è però priva di impatti ambientali. Il problema principale è l'impatto visivo.

3.2.6

Previsioni di crescita e ruolo futuro. Secondo le ultime stime della Commissione europea, si prevede che l'energia eolica in Europa possa raggiungere una potenza complessiva di circa 70 GW entro il 2010. In un orizzonte temporale più ampio, l'obiettivo adottato dall'Associazione europea dell'energia eolica (European Wind Energy Association, EWEA) prevede il raggiungimento, entro il 2020, di una capacità complessiva di 180 GW, di cui 70 GW mediante centrali eoliche offshore. Si prevede che l'energia eolica rappresenterà il 50 % dell'aumento netto della capacità energetica entro il 2010 e poco più del 70 % entro il 2020.

3.3   Biomassa

3.3.1

Crescita e sviluppo negli ultimi anni. Nel 2001 l'uso complessivo della biomassa a fini energetici era di 650 TWh. Per raggiungere l'obiettivo del 12 % di FER sono necessari altri 860 TWh entro il 2010. Tutti i settori devono apportare il proprio contributo: 370 TWh devono venire dalla produzione di elettricità, 280 TWh dal riscaldamento e 210 TWh dai biocarburanti. Questo porterebbe a una produzione cumulata di energia da biomassa di circa 1 500 TWh nel 2010. Questa ulteriore produzione di biomassa può essere ottenuta a breve termine solo con misure ed azioni mirate e incisive in tutti e tre i settori summenzionati. La quota dei biocarburanti liquidi per i trasporti nel consumo europeo è stimata attualmente all'1 %. Tuttavia è probabile che questa cifra cresca rapidamente in quanto l'UE, mediante una direttiva specifica, ha fissato obiettivi del 2 % e del 6 % circa rispettivamente per il 2005 e il 2010. I biocarburanti andrebbero utilizzati soprattutto in agricoltura, nella silvicoltura e, considerata la loro biodegradabilità, per le imbarcazioni, come pure in altri settori in cui possono apportare un beneficio particolare all'ambiente, ad esempio gli agglomerati in cui gran parte dei servizi pubblici di autobus funziona già oggi grazie alla bioenergia.

3.3.2

Ruolo nei sistemi elettrici e conseguenze per le reti. L'elettricità da biomassa può essere prodotta a partire da colture energetiche, da residui di biomassa di origine agricola e industriale, oppure mediante la fermentazione della biomassa e la trasformazione in biogas in impianti di generazione combinata di energia elettrica e termica. Le centrali a biomassa sono in grado di fornire energia per la copertura del carico di base.

3.3.3

Aspetti economici, compresi i sistemi di sostegno. Il costo di produzione dell'energia da biomassa varia a seconda del tipo di tecnologia utilizzata, delle dimensioni della centrale e del costo dell'approvvigionamento di combustibile da biomassa. Nei paesi europei esistono diversi sistemi e vari di livelli di sostegno alla biomassa (dati del 2003). I sistemi di prezzi fissi vanno da 3 a oltre 10 EUR cent/kWh e le compensazioni fiscali o per il costo dei certificati variano da 0,6 EUR cent/kWh a più di 8 EUR cent/kWh.

3.3.4

Disponibilità e ruolo nella sicurezza dell'approvvigionamento. Si pensa che il potenziale della biomassa in Europa sia notevole e che non venga ancora sfruttato a sufficienza: in alcuni Stati membri è certamente così. La biomassa può essere ricavata da numerosi siti o risorse: foreste, agricoltura o flussi di rifiuti. I residui provenienti dalla silvicoltura e dall'industria della lavorazione del legno costituiscono la fonte principale e la logistica dell'approvvigionamento dai boschi agli impianti di produzione di bioenergia è oggetto di importanti miglioramenti. L'uso, a livello decentrato, specialmente della legna ricavata dai diradamenti boschivi e dei cascami di legno in centrali alimentate a trucioli di legno (per la produzione di calore ed elettricità) nonché per la produzione di pellet offre un'eccellente possibilità di rafforzare i circuiti economici regionali, creare posti di lavoro nelle zone rurali e ridurre le importazioni di petrolio nell'UE. Tuttavia si teme che venga incentivato eccessivamente l'uso della biomassa per la produzione di energia, a scapito di altri settori non sovvenzionati.

3.3.5

Prestazioni ambientali. Il legno è la fonte di energia rinnovabile in grado, meglio di ogni altra, di sostituire i combustibili fossili; inoltre, è la principale FER per la produzione di energia primaria in Europa. Il suo impiego sotto forma di energia contribuisce a combattere il riscaldamento globale in quanto, diversamente dalle energie fossili, il biossido di carbonio emesso durante la combustione viene riassorbito con la crescita delle foreste. L'incenerimento di biomasse a base di legno, invece, in mancanza di un filtraggio adeguato, emette alcuni ulteriori inquinanti. Potrebbe esserci il rischio che una coltivazione intensiva di varietà di biomassa che crescono particolarmente in fretta e/o sono altamente redditizie comporti notevoli problemi ambientali ed ecologici a livello regionale o addirittura globale (si pensi al disboscamento delle foreste vergini per la produzione di biomassa) che a loro volta possono alterare sensibilmente l'equilibrio ecologico.

3.3.6

Previsioni di crescita e ruolo futuro. Una forte partecipazione dell'industria è essenziale in tutte le attività di ricerca, tranne in quelle di base, se si vuole che l'energia da biomassa contribuisca in modo efficace agli obiettivi delle politiche dell'UE.

3.3.7

Biocombustibili. È controverso (4) se dai biocombustibili liquidi si possa sempre ottenere un guadagno netto di energia o addirittura un beneficio ambientale netto se si fa un bilancio tra l'energia investita ad esempio per i fertilizzanti, i macchinari agricoli, la lavorazione, ecc. e quella potenzialmente ottenibile dai biocarburanti prodotti. D'altra parte, dagli studi commissionati dalla Commissione emerge che il bilancio è complessivamente positivo, anche se ovviamente il risultato netto varia da una coltura all'altra. Il Comitato raccomanda perciò di chiarire questo punto, ad esempio effettuando ulteriori studi su tale questione; affrontare la problematica della forte dipendenza globale dal petrolio costituisce infatti una delle massime priorità dell'agenda politica. Un'altra questione pertinente che va chiarita è quella della sicurezza di approvvigionamento nell'UE e degli aspetti economici e commerciali, ad essa collegati, di un maggiore uso dei biocombustibili liquidi.

3.4   Energia solare fotovoltaica

3.4.1

Crescita e sviluppo negli ultimi anni. Nel 2003 nell'UE sono stati messi in funzione altri 180 MWp di impianti fotovoltaici, portando la capacità europea complessiva a circa 570 MWp. Inoltre, ormai, una percentuale sempre maggiore di questa capacità installata è connessa alla rete elettrica: gli impianti collegati alla rete rappresentano attualmente l'86 % della capacità europea totale cumulata.

3.4.2

Ruolo nei sistemi elettrici e conseguenze per le reti. Il modello più diffuso di impianto solare fotovoltaico per uso residenziale e aziendale nel mondo industrializzato è collegato alla rete. La connessione alla rete elettrica locale consente di vendere alle aziende di servizio pubblico l'energia prodotta.

D'altro canto, se è completamente indipendente dalla rete, il sistema dev'essere collegato a un accumulatore che consenta l'uso di apparecchiature normali senza utilizzare l'energia di rete. Tipiche soluzioni non collegate alla rete sono ad esempio le applicazioni industriali come i ripetitori per la telefonia mobile o l'elettrificazione delle zone rurali.

3.4.3

Aspetti economici, compresi i sistemi di sostegno. I costi di investimento relativamente ancora elevati sono, attualmente, uno dei principali ostacoli allo sviluppo dei mercati del fotovoltaico a breve e medio termine, anche se da tempo, considerati il volume della produzione e i costanti passi avanti dell'innovazione in termini di rendimento, si osserva una tendenza al ribasso dei prezzi dei sistemi. In media, anche se il prezzo dei singoli moduli è diminuito del 5 % circa all'anno negli ultimi 20 anni e si stima che continuerà a diminuire, esso è ancora dell'ordine di 0,5 €/kWh. Attualmente il costo capitale di un tipico sistema fotovoltaico installato va dai 5 agli 8 EUR/W; di conseguenza l'energia fotovoltaica è, per il momento, la forma di energia rinnovabile di gran lunga più costosa.

3.4.4

Disponibilità e ruolo nella sicurezza dell'approvvigionamento. L'irraggiamento solare fornisce alla Terra un'enorme quantità di energia. La quantità complessiva di energia che arriva dal Sole alla superficie della Terra nell'arco di un anno è pari a circa 10 000 volte il consumo mondiale annuo di energia. Il fotovoltaico può contribuire ad aumentare la sicurezza dell'approvvigionamento energetico in tutti i casi: sistemi collegati alla rete, autonomi o ibridi.

3.4.5

Prestazioni ambientali. Mentre la produzione di energia solare non comporta emissioni inquinanti e non suscita i timori per la salvaguardia dell'ambiente associati alle tecnologie convenzionali per la produzione di elettricità, la produzione delle celle fotovoltaiche è collegata a tecnologie che utilizzano anche sostanze nocive. La presenza di grandi impianti localizzati in aperta campagna pone una serie di problemi ecologici e relativi all'estetica del paesaggio che non sarebbero causati, invece, da strutture installate presso o su costruzioni già esistenti.

3.4.6

Previsioni di crescita e ruolo futuro. Nell'Unione europea era prevista una capacità totale dell'ordine di 520 MWp entro la fine del 2003. In Germania alla fine del 2004 c'erano 800 MWp di potenza installata, dopo una crescita del 94 % nel corso dell'anno. L'obiettivo di 650 MWp previsto nella «campagna per il decollo» è stato quindi superato ampiamente. La futura capacità installata nell'Unione europea è stimata a circa 1 400 MWp nel 2010. Le previsioni dell'Associazione europea dell'industria fotovoltaica (European Photovoltaic Industry Association, EPIA) sono molto più ottimistiche. Lo scenario delineato dalla Commissione europea, che prevede una capacità di 3 000 MWp alla fine del 2010, è nel complesso realizzabile, ma il suo successo dipende soprattutto dalla volontà politica di ciascuno Stato membro.

3.5   Energia solare termica

3.5.1   Crescita e sviluppo negli ultimi anni.

L'enorme potenziale dell'energia solare termica è un fattore centrale per indurre alla sostenibilità il settore del riscaldamento e della refrigerazione, riducendo l'impatto ambientale e le importazioni di energia. Il potenziale tecnico complessivo è stimato a una superficie di 1,4 miliardi di metri quadri di collettori solari, con una produzione annua di energia solare pari quasi a 700 TWh. Il mercato dell'UE è più che raddoppiato rispetto alla metà degli anni Novanta ed è tre volte maggiore che alla fine degli anni Ottanta. Tra il 1990 e il 2001 la crescita media del mercato è stata del 13,6 % all'anno. Dal 2000 il mercato ha superato nettamente la soglia di un milione di metri quadri di nuovi collettori installati all'anno. Dopo aver assistito a una notevole diminuzione nel 2002, avvenuta principalmente in Germania, nel 2003 è stato raggiunto un nuovo picco di oltre 1,4 milioni di metri quadri. Finora l'uso dell'energia solare termica è diffuso in modo molto poco omogeneo nell'UE: in Austria c'è una vasta copertura, mentre in alcuni paesi del Mediterraneo non si è registrato quasi nessuno sviluppo, nonostante tali zone siano favorite dal punto di vista climatico, ed in altri, invece, come la Grecia, le tecnologie in questione sono molto diffuse. Le cause di questa disparità non vanno quindi ricercate nella scarsa redditività.

3.5.2   Ruolo nei sistemi elettrici e conseguenze per le reti.

L'energia termica può essere trasportata solo dove esistono sistemi di teleriscaldamento. Gli impianti solari termici non hanno ancora alcun impatto diretto sul sistema elettrico. La conversione del calore solare in energia mediante sistemi ad energia solare termica concentrata («specchi lineari», «torri solari», tecnologie che usano specchi di grandi dimensioni e tecnologie di concentrazione solare per la produzione di calore ad alta temperatura da convertire in elettricità) sta superando proprio ora la fase di ricerca (5) per entrare in quella di dimostrazione e di commercializzazione, con alcuni impianti in Spagna.

3.5.3   Aspetti economici, compresi i sistemi di sostegno.

L'energia solare termica è in concorrenza soprattutto con i sistemi di riscaldamento tradizionali a combustibili fossili o a elettricità. Rispetto ai sistemi tradizionali, la percentuale dei costi di investimento è elevata (90-99 % dei costi complessivi), ma i costi di esercizio sono piuttosto modesti. Il costo totale di un normale impianto a energia solare per il riscaldamento dell'acqua per uso domestico in una casa unifamiliare va dai 700 ai 5 000 euro. Attualmente i sistemi a energia solare termica progettati bene riscaldano/raffreddano a un costo compreso tra i 3 e i 9 EUR cent/kWh. Considerati gli attuali prezzi dell'elettricità, del petrolio e del gas e gli aumenti previsti, se si utilizzano tali impianti in combinazione con moderni sistemi di accumulazione con un efficace isolamento termico è possibile ottenere una grande disponibilità per la produzione di acqua calda e di calore.

3.5.4   Disponibilità e ruolo nella sicurezza dell'approvvigionamento.

Il potenziale dell'energia solare è teoricamente immenso. Tuttavia, il suo potenziale pratico è limitato da fattori sia tecnici che socioeconomici. Inoltre, nelle giornate nuvolose d'inverno, quando la domanda di riscaldamento è al culmine, la disponibilità di tale energia è inferiore.

3.5.5   Prestazioni ambientali.

L'energia solare termica praticamente non inquina e non genera emissioni durante le fasi operative. L'impatto è maggiore durante la fabbricazione, l'installazione, la manutenzione e la rimozione dei collettori termici. Dunque, pur essendo una tecnologia pulita, l'energia solare termica non è priva di effetti sull'ambiente.

3.5.6   Previsioni di crescita e ruolo futuro.

Se l'intensità delle misure di sostegno all'energia solare termica rimarrà invariata, si prevede che la superficie con impianti in funzione, a livello comunitario, crescerà quasi del 12 % all'anno. Ipotizzando un tasso di crescita costante, l'aumento (in termini assoluti) avverrà per metà tra il 2010 e il 2015. Se il prezzo del greggio si manterrà ai livelli attuali (circa 60 USD al barile), l'energia solare termica crescerà rapidamente nelle fasce di massimo irraggiamento solare dell'Asia e dell'Africa.

3.6   Energia geotermica

3.6.1   Crescita e sviluppo negli ultimi anni

3.6.1.1   Elettricità

Solo cinque paesi europei dispongono delle risorse naturali necessarie per produrre elettricità a partire dall'energia geotermica con un ragionevole grado di efficienza. Alla fine del 2003 la capacità geotermica installata per la produzione di elettricità nell'Unione europea era di 820 MWe, di cui oltre il 96 % (790 MWe) in Italia.

3.6.1.2   Calore

La produzione di calore a partire dall'energia geotermica può avvenire in due modi diversi: il primo consiste nello sfruttare direttamente gli acquiferi di temperatura compresa tra i 30 °C e i 150 °C (cosiddetti sistemi geotermici a bassa e media entalpia), mentre il secondo metodo di produzione di calore utilizza pompe di calore geotermiche. La capacità installata totale nel settore della geotermia a bassa entalpia nell'Unione europea è stato stimato a 1 130 MWth, il che corrisponde a un aumento del 7,5 % rispetto al 2002.

3.6.2

Ruolo nei sistemi elettrici e conseguenze per le reti. Finora l'energia geotermica può contribuire alla produzione di elettricità solo in zone che dispongono di un potenziale geotermico.

3.6.3

Aspetti economici, compresi i sistemi di sostegno. Lo sfruttamento dell'energia geotermica è considerato un investimento ad alto rischio. Nel caso degli impianti per la produzione di elettricità, il livello degli investimenti necessari in ciascuna fase può dipendere molto dalle condizioni specifiche del sito.

I costi di investimento e quelli operativi per la produzione di calore variano in modo considerevole a seconda dei paesi e dei tipi di uso, nonché in funzione delle caratteristiche delle risorse (condizioni geologiche locali), degli schemi locali di domanda e consumo del calore (ad esempio sistemi di teleriscaldamento o impianti a pompe di calore geotermico individuali o condominiali). I costi tipici nei paesi europei si situano nei seguenti ordini di grandezza:

i costi di investimento variano da 0,2 a 1,2 milioni EUR/MW,

i costi di produzione variano da 5 a 45 EUR/MW.

3.6.4

Disponibilità e ruolo nella sicurezza dell'approvvigionamento. L'energia termica della Terra è immensa ma, senza trivellazioni molto profonde (che richiedono l'impiego di tecnologie avanzate e comportano costi elevati), ne può essere utilizzata solo una minima parte. Finora l'uso di questa energia è stato limitato perlopiù alle zone con anomalie geotermiche in cui le condizioni geologiche consentono a un vettore di trasportare in superficie il calore dalle zone calde situate in profondità. Si spera che nel prossimo decennio le rocce calde secche (hot dry rock, HDR) o altre tecnologie di trivellazione profonda (dai 3 ai 5 km) (cfr. punto 3.6.6), attualmente allo studio, apriranno nuovi orizzonti nella produzione di elettricità.

3.6.5

Prestazioni ambientali. Il maggiore sfruttamento dell'energia geotermica potrebbe avere un forte impatto netto positivo sull'ambiente rispetto allo sviluppo dei combustibili fossili. I problemi ambientali sorgono durante il funzionamento dell'impianto geotermico. I fluidi geotermici (vapore o acqua calda) contengono generalmente gas quali il biossido di carbonio (CO2), il solfuro di idrogeno (H2S), l'ammoniaca (NH3), il metano (CH4) e tracce di altri gas, nonché sostanze disciolte la cui concentrazione generalmente cresce con l'aumentare della temperatura. Il cloruro di sodio (NaCl), il boro (B), l'arsenico (As) e il mercurio (Hg), ad esempio, se vengono rilasciati nell'ambiente sono inquinanti. I tubi di calore coassiali a chiusura ermetica impediscono che queste sostanze vengano trasportate in superficie.

3.6.6

Previsioni di crescita e ruolo futuro. Il primo obiettivo riguarda l'elettricità; a tale proposito va segnalato che gli sforzi compiuti in modo particolare in Austria dovrebbero portare la potenza geotermica totale in Europa a circa 1 GWe. Per fornire energia tecnicamente utilizzabile in particolare per la produzione di elettricità, le riserve geotermiche devono essere situate a una profondità sufficiente. Dato che ciò corrisponde a una profondità di almeno 2,5 km, ma preferibilmente di 4-5 km o anche più, è necessaria una costosa attività di trivellazione profonda.

Il secondo obiettivo europeo riguarda la produzione di calore. Le previsioni si basano su una crescita media di 50 MWth all'anno. Tutti questi sforzi dovrebbero far crescere tale settore fino a raggiungere gli 8 200 MWth, una capacità decisamente superiore all'obiettivo di 5 000 MWth. Le pompe di calore che sfruttano il terreno come sorgente termica a bassa temperatura e che spesso si ritiene appartengano parimenti alla categoria delle pompe «geotermiche» hanno tuttavia un grande potenziale per efficienti applicazioni a bassa temperatura come il riscaldamento di edifici, ecc.

La strategia dovrebbe dare il dovuto rilievo alle misure di R&S necessarie per sviluppare l'energia geotermica fino a quando, nel quadro di un mercato dell'energia in trasformazione, non sarà possibile fornire stime e valutazioni più accurate dei costi a lungo termine e del potenziale che tale tecnologia può raggiungere.

4.   Osservazioni in merito al futuro ruolo delle energie rinnovabili fino al 2030-2040

4.1

La Commissione europea ha delineato possibili scenari per il periodo fino al 2030. Secondo la sua pubblicazione European Energy and TransportTrends to 2030  (6), alle condizioni di riferimento la quota delle energie rinnovabili, comprese l'energia eolica, idroelettrica, da biomassa e le altre forme di energia rinnovabile, entro il 2030 dovrebbe arrivare approssimativamente all'8,6 % del consumo di energia primaria e al 17 % dell'elettricità prodotta. Questo scenario non tiene conto dell'impatto delle misure comunitarie a favore delle energie rinnovabili attuate nei primi anni di questo secolo.

4.2

L'Agenzia internazionale per l'energia (AIE) prevede che la domanda di elettricità a livello mondiale raddoppierà entro il 2030, aumento dovuto soprattutto ai paesi in via di sviluppo. Nello stesso periodo, a livello mondiale, il contributo delle fonti energetiche rinnovabili crescerà dal 2 % al 6 %. Nei paesi dell'OCSE la percentuale delle energie rinnovabili passerà dal 6,4 % nel 2000 all'8 % entro il 2030.

4.3

L'AIE ha anche elaborato scenari relativi alla produzione di energia a partire da fonti rinnovabili e ha previsto che l'Europa sarà al primo posto tra i paesi industrializzati nello sviluppo delle energie rinnovabili. Secondo lo scenario di riferimento dell'Agenzia, nel 2030 la percentuale di elettricità rinnovabile nei paesi europei membri dell'OCSE sarà circa del 20 %. Se in Europa verrà impiegata tutta una serie di strumenti politici attualmente all'esame, la percentuale dell'elettricità rinnovabile potrebbe avvicinarsi al 33 % entro il 2030 (scenario alternativo). Indubbiamente, questo renderebbe necessario utilizzare pienamente tutta una serie di misure di sostegno.

4.4

L'Unione dell'industria europea dell'energia elettrica (Eurelectric) elabora scenari secondo i quali la percentuale delle fonti rinnovabili, compreso il settore idroelettrico e tenendo conto anche della Norvegia e della Svizzera, dovrebbe crescere dal 16 % circa del 2000 (nell'UE-15) al 22,5 % nel 2020 (nell'UE-25).

4.5

Recentemente il Consiglio europeo per le energie rinnovabili (European Renewable Energy Council, EREC) ha pubblicato uno scenario il cui obiettivo è quello di raggiungere una quota del 50 % di energie rinnovabili sul consumo primario di energia a livello globale entro il 2040. L'EREC prevede anche che entro il 2040 l'80 % della produzione mondiale di elettricità sarà basato sulle fonti rinnovabili.

4.6

Il Consiglio mondiale dell'energia (World Energy Council, WEC) stima che a breve termine le fonti rinnovabili avranno un ruolo marginale su scala mondiale, ma a lungo termine la loro importanza crescerà. Il WEC non è favorevole ad imporre obiettivi vincolanti per le energie rinnovabili.

4.7

Riassumendo, dagli scenari presentati si può concludere che le varie organizzazioni, generalmente, prevedono un cambiamento abbastanza graduale degli schemi di consumo di combustibile, con l'eccezione degna di nota dell'EREC, che per il futuro prevede uno scenario piuttosto rivoluzionario.

4.8

Nella sessione plenaria di settembre il Parlamento europeo ha votato una risoluzione sull'energia rinnovabile, nella quale si propone di fissare un obiettivo comunitario del 20 % per la quota delle energie rinnovabili nel 2020.

4.9

Entro la fine del 2005 la Commissione europea pubblicherà una relazione in merito all'attuale situazione della direttiva sull'elettricità FER. Tale comunicazione conterrà delle stime relative alla possibilità di raggiungere gli obiettivi fissati entro il 2010 ed eventuali proposte per azioni future, anche in merito all'armonizzazione dei meccanismi di sostegno degli Stati membri.

5.   Conclusioni

5.1

I precedenti capitoli hanno mostrato che le energie rinnovabili svolgono un ruolo importante nel mix energetico europeo e hanno un notevole potenziale per aumentare la propria quota sia nel consumo energetico totale sia nella produzione di elettricità in Europa. Molte forme di energia rinnovabile sono particolarmente adatte per soluzioni locali su piccola scala.

5.2

Nessuna forma di energia e nessun settore energetico è in grado di soddisfare la domanda complessiva dell'Unione europea allargata e la crescente domanda a livello mondiale. L'UE ha bisogno di un mix energetico equilibrato e compatibile con gli obiettivi della strategia sullo sviluppo sostenibile. Le energie rinnovabili hanno il potenziale per diventare un importante elemento di questo futuro mix energetico, ma per poter valorizzare questo potenziale, prefigurato anche dalla Commissione e dal Parlamento europeo, occorre risolvere ancora molti problemi. Attualmente il Comitato sta elaborando un parere specifico sul mix energetico.

5.3

Lo sviluppo delle FER in Europa è basato in gran parte su fonti intermittenti quali l'energia eolica e i pannelli fotovoltaici che, più che sostituire, integrano la capacità di produzione e il fabbisogno della rete. Questo pone delle questioni per quanto riguarda il rafforzamento della trasmissione e gli aspetti operativi relativi alla garanzia di un rifornimento energetico sicuro. Anche se finora non esiste un consenso generale sulla misura in cui le fonti intermittenti possano essere inglobate nel sistema elettrico, per il contributo totale di energia elettrica prodotto da tali fonti si cita spesso una percentuale massima compresa tra il 15 e il 20 %. Oltre questo limite potrebbero essere d'aiuto solo ulteriori tecnologie di stoccaggio (p. es. l'idrogeno).

5.4

Affrontare la dipendenza mondiale dal petrolio costituisce una delle massime priorità dell'agenda politica. Il Comitato raccomanda pertanto di studiare ulteriormente le questioni del guadagno netto di energia e del beneficio ambientale netto derivanti dall'uso di biocarburanti liquidi, derivanti da vari tipi di colture. Anche la questione della sicurezza di approvvigionamento nell'UE e degli aspetti economici e commerciali, ad essa collegati, di un maggiore uso dei biocombustibili liquidi meritano un'attenta considerazione.

5.5

Per sfruttare l'intero potenziale delle energie rinnovabili è necessario lo sviluppo tecnologico. Nel quadro della politica UE in materia di energie rinnovabili si presta scarsissima attenzione all'estrazione del calore o del freddo dall'ambiente mediante pompe di calore, una tecnologia con un potenziale enorme. Altrettanto sorprendente è che si presti così poca attenzione, nel quadro dello sviluppo delle FER, ai pannelli solari termici per la produzione di acqua calda, anche questa una tecnologia che in vaste aree d'Europa è ormai molto più vicina alla situazione del mercato. Il CESE ritiene che per il riscaldamento vi siano già molti settori di utilizzo in cui si possono sostituire le energie fossili con quelle rinnovabili.

5.6

Le energie rinnovabili hanno bisogno di un sostegno economico in quanto, attualmente, molte tecnologie FER non sono ancora in grado di competere sul mercato. Tuttavia, le trasformazioni dei mercati mondiali dell'energia, e in particolare l'aumento dei prezzi e la loro volatilità, soprattutto nel caso del petrolio, nonché i timori per la sicurezza dell'approvvigionamento, cambiano la situazione delle fonti rinnovabili. Il loro potenziale di innovazione e le possibilità che esse offrono, una volta immesse con successo sul mercato, di creare nuove aziende e nuovi posti di lavoro sono sempre più importanti. L'UE quale capofila nel campo delle tecnologie FER può anche contribuire al successo mondiale delle aziende che operano in questo settore.

5.7

Anche se la promozione dell'uso dell'energia rinnovabile crea opportunità positive in termini di nuove imprese e di impieghi specifici, questo settore, se è gestito in modo sbagliato, può diventare un onere per gran parte dell'economia, e in particolare per i consumatori e per le industrie ad alto consumo energetico. Delle politiche che contribuiscono a provocare un continuo aumento dei prezzi dell'energia possono essere pericolose in una situazione in cui tutti gli sforzi vanno indirizzati alla strategia di Lisbona, cioè alla competitività, alla crescita economica e all'occupazione generale in Europa, in una prospettiva sostenibile. Mentre i prezzi elevati del petrolio colpiscono tutte le economie del mondo, dei prezzi dell'energia eccessivi potrebbero colpire soprattutto l'UE a 25.

5.8

Alcuni degli attuali meccanismi nazionali di sostegno tendono ad essere molto costosi, mettendo a repentaglio sia gli interessi dei consumatori che la competitività delle industrie europee. Supponendo che gli obiettivi dell'UE in materia di energie rinnovabili vengano effettivamente realizzati nel 2010, gli schemi di sostegno e i costi di rete comporterebbero un aumento del 13 % dei prezzi all'ingrosso dell'energia elettrica, o addirittura del 25 % se i livelli di sostegno già applicati in Germania fossero effettivamente necessari in tutta Europa per raggiungere l'obiettivo fissato. Se si includono le stime dei costi di rete e di regolazione, l'aumento cresce ulteriormente fino al 34 %. Il costo equivalente che ne risulta per ogni tonnellata di CO2 in meno è stimato rispettivamente a 88, 109 e 150 euro.

5.9

I meccanismi di sostegno vanno quindi studiati e progettati attentamente. Devono essere efficienti ed efficaci dal punto di vista dei costi e devono produrre i risultati desiderati al minor costo possibile. Alcuni tipi di energie rinnovabili i cui prezzi sono già vicini a quelli di mercato non hanno praticamente bisogno di alcun sostegno, mentre altri necessitano ancora di un sostegno solo per le attività di R&S. Nel caso della biomassa, si deve prendere in considerazione l'uso non sovvenzionato di prodotti provenienti da zone circoscritte. L'aumento dei prezzi delle energie comuni (principalmente fossili) giustifica la necessità di riesaminare le esigenze e i livelli di sostegno. Particolarmente importanti sono gli effetti del sistema comunitario per lo scambio delle quote di emissioni, che ha già provocato di per sé un aumento dei prezzi dell'elettricità. Si dovrebbe evitare una duplicazione o una sovrapposizione di misure intese a raggiungere il medesimo scopo.

5.10

I meccanismi di sostegno sono necessari per perfezionare le nuove tecnologie e immetterle sul mercato, ma non possono essere applicati all'infinito. L'impatto sull'occupazione va valutato attentamente per non creare posti di lavoro che andranno persi una volta terminati gli aiuti.

5.11

La direttiva europea sull'elettricità prodotta da fonti rinnovabili lascia agli Stati membri l'organizzazione del sostegno. Questo ha portato a un miscuglio poco coerente di meccanismi di sostegno, che in alcuni casi ha provocato distorsioni del mercato. I risultati sono la perdita di sinergie e, in alcune parti dell'UE, una mancanza di incentivi e impulsi del mercato, mentre altrove si creano costi inutilmente elevati. La maggior parte di questi inconvenienti potrebbe essere evitata adottando un approccio europeo comune. Il Comitato ha già affrontato questo problema nel suo parere in merito alla direttiva sull'elettricità FER (cfr. nota n. 1). Se da un lato a livello europeo non sembra ancora esserci una soluzione comune ideale, dall'altro la scelta dei meccanismi nazionali di sostegno sembra andare verso un maggiore uso dei certificati verdi. Alla luce delle nuove esperienze, la questione va esaminata e approfondita ulteriormente.

5.12

Dopo una fase iniziale pionieristica è assolutamente necessario riesaminare le politiche dell'UE per le fonti energetiche rinnovabili. Occorre prendere attentamente in considerazione l'evolvere della situazione sui mercati mondiali dell'energia caratterizzati da prezzi elevati e volatili, l'impatto delle politiche e delle misure comunitarie correlate — in particolare dello scambio dei diritti di emissione — e gli obiettivi della strategia di Lisbona. Inoltre si deve porre l'accento sulla garanzia di uno sviluppo continuo e a lungo termine, concentrandosi sulla R&S e sullo sviluppo delle tecnologie.

Bruxelles, 15 dicembre 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Cfr. i seguenti pareri: Promuovere le energie rinnovabili: modalità d'azione e strumenti di finanziamento GU C 108 del 30.4.2004 L'energia di fusione GU C 302 del 7.12.2004, Lo sfruttamento dell'energia geotermica - il calore endogeno della Terra (GU C 108 del 30.4.2004).

(2)  L'energia non si consuma, ma si trasforma e viene utilizzata. Ciò avviene attraverso processi di trasformazione adeguati, come per esempio la combustione del carbone, la trasformazione dell'energia eolica in elettricità oppure la fissione nucleare (conservazione dell'energia: E = mc2). In questo contesto si parla anche di «approvvigionamento energetico», «produzione di energia» e «consumo energetico».

(3)  In alcuni Stati membri (Germania) l'uso di qualsiasi tipo di energia - tranne pochissime eccezioni - è soggetto ad imposta (ecotassa).

(4)  Cfr. l'articolo di David Pimentel e Ted. W. Patzek pubblicato sulla rivista Natural Resources Research, vol. 14, n. 1, 2005, pagg. 65-76.

(5)  http://europa.eu.int/comm/research/energy/pdf/cst_en.pdf (pubblicazione non disponibile in italiano).

(6)  «Energia e trasporti in Europa - tendenze fino al 2030», Commissione europea, DG Trasporti e energia, gennaio 2003 (pubblicazione non disponibile in italiano).


17.3.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 65/113


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde: Il credito ipotecario nell'UE

COM(2005) 327 def.

(2006/C 65/21)

La Commissione europea, in data 19 luglio 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde: Il credito ipotecario nell'UE

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 11 novembre 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore BURANI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 15 dicembre 2005, nel corso della 422a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 97 voti favorevoli e 1 astensione:

1.   Sintesi della posizione adottata

1.1

Il Libro verde sul credito ipotecario per le case di abitazione nell'UE si inserisce nel quadro della politica di integrazione dei servizi finanziari a livello europeo. Il Libro verde è attualmente all'esame dei settori interessati.

1.2

Il Comitato, pur concordando sulle finalità che la Commissione si propone, ritiene che un'integrazione totale sarà difficilmente raggiungibile nel breve termine. Occorre infatti considerare che i mercati UE del credito ipotecario sono profondamente differenti e che ognuno presenta caratteristiche proprie.

1.3

Nel Libro verde la Commissione formula un certo numero di quesiti, a cui il Comitato si propone di rispondere. La prima serie di quesiti interessa la protezione del consumatore: in merito a questo punto il CESE chiede che i codici di condotta vengano redatti dalle associazioni di categoria delle istituzioni finanziarie europee in consultazione con le associazioni dei consumatori, vengano controllati dagli ombudsman nazionali e registrati presso tribunali o camere di commercio. Si propone, inoltre, un'informazione (anche precontrattuale) dai contenuti chiari e trasparenti, da applicare, magari anche con maggior rigore, agli intermediari del credito. In materia di rimborso anticipato (RA), il CESE ritiene che il calcolo debba affidarsi a formule di matematica finanziaria che tengano conto anche dell'onere effettivo sostenuto dal prestatore. Sul fatto se debba esistere o meno uno standard europeo che copra sia il metodo di calcolo che gli elementi dei costi, il CESE sostiene che un minimo comune denominatore potrebbe essere costituito dalle spese per l'istruzione della pratica, dai costi per la costituzione dell'ipoteca, dalle spese amministrative chiaramente identificabili e dal costo dell'assicurazione. Esso ricorda comunque che la proposta di una standardizzazione dei contratti di mutuo non deve ostacolare l'offerta di nuovi prodotti poiché altrimenti si pone un freno all'innovazione. Il CESE è altresì favorevole all'istituzione di strutture di mediazione, ma non a strutture di arbitrato, in quanto queste ultime esulano dal campo della protezione del consumatore.

1.4

Una seconda serie di quesiti riguarda le questioni legali. A questo proposito il CESE intende in questa sede limitarsi a qualche considerazione. Esso osserva innanzitutto che la regola del paese di residenza del consumatore limita fortemente l'offerta; inoltre ricorda che è necessario stabilire con chiarezza la lingua da utilizzare nel contratto, nei contatti, nonché nella corrispondenza.

1.5

Una terza serie di quesiti riguarda le garanzie ipotecarie. Il CESE ritiene che la Commissione debba continuare la sua opera di promozione della collaborazione fra proprietari e conservatori dei catasti (redigendo altresì un rapporto annuale sui risultati ottenuti). In linea generale il CESE è dell'avviso che il progetto di una «euroipoteca» (Euromortage) merita di essere incoraggiato.

1.6

Infine, l'ultimo quesito riguarda il finanziamento del credito ipotecario. In merito a questo punto il CESE condivide l'idea di un sistema paneuropeo di rifinanziamento quale proposto dalla Commissione, ma considera che un simile obiettivo sia configurabile unicamente a lungo termine e si riserva di precisare in un secondo tempo questa sua posizione.

2.   Motivazione

2.1

Nel quadro della sua politica di integrazione dei servizi finanziari, la Commissione affronta l'argomento del credito ipotecario per le case di abitazione nell'UE, proponendosi di passare a concrete azioni regolamentari qualora gli studi ed i contatti in corso dimostrassero che esse avrebbero come risultato quello di creare un mercato integrato «più efficiente e competitivo con beneficio per tutti». Il Libro verde attualmente in esame è basato su uno studio (The Integration of the EU Mortgage Credit Markets) redatto per conto della Commissione dal Forum Group on Mortgage Credit (FGMC), anche se non si situa necessariamente sempre sulla stessa linea.

2.2

Le risposte al Libro verde da parte di tutti i settori interessati sono attese per la fine di novembre 2005 e saranno seguite da un'audizione in dicembre. In seguito, la Commissione valuterà se e quali misure da parte sua si renderanno necessarie.

3.   Il Libro verde (LV): commenti del Comitato

3.1   Opportunità di un'azione della Commissione (punto I del LV)

3.1.1

La Commissione rileva che quello del credito ipotecario costituisce uno fra i più complessi mercati finanziari, sia per la molteplicità degli attori coinvolti che per la varietà di forme tecniche che può assumere. Esiste inoltre una diretta relazione fra il mercato del credito ipotecario e la macroeconomia, nel senso che ogni variazione dei cicli economici e dei tassi d'interesse influenza il volume e l'andamento del credito ipotecario. In concreto, la crescita del volume del credito nell'UE è stata influenzata da fattori macroeconomici (riduzione dei tassi d'interesse e forte crescita dei prezzi dell'immobiliare in molti paesi) e da fattori strutturali (crescente liberalizzazione ed integrazione dei mercati finanziari).

3.1.2

Nonostante queste tendenze comuni, i mercati UE del credito ipotecario rimangono profondamente differenti: ognuno presenta caratteristiche proprie per quanto riguarda i prodotti, il profilo dei mutuanti, le strutture di distribuzione, la durata dei prestiti, la tassazione degli immobili e i meccanismi di rifinanziamento. Queste differenze sono il risultato delle diverse attitudini dei paesi membri in materia di regolamentazione, ma anche di elementi a carattere storico, economico e sociale, elementi che talora presentano caratteristiche non facilmente riconducibili ad un denominatore comune. A complicare ulteriormente il quadro contribuiscono gli interventi statali nell'edilizia sociale, la fiscalità, le regole prudenziali, il livello della concorrenza e i rischi di insolvenza, che sono diversi da paese a paese.

3.1.3

Di fronte a questa situazione non stupisce che i mercati siano poco integrati, ma occorre tener conto che le vendite transfrontaliere di immobili costituiscono appena l'1 % del mercato globale dell'edilizia residenziale. La Commissione ritiene che, a titolo di ipotesi, i benefici di un'integrazione sarebbero una diminuzione del costo del credito ipotecario, un più elevato livello di protezione del consumatore garantito dalle leggi e un aumento dei potenziali utenti del credito, grazie all'inclusione di quelli con un basso o incompleto profilo creditizio.

3.1.4

Il Comitato è d'accordo sulle finalità che la Commissione si propone; tuttavia considera che le differenze tra i vari mercati enumerate dalla Commissione (e altre che verranno messe in luce nel presente documento) sono tante e tali da far presumere che un'integrazione totale sarà ben difficile da raggiungere nel breve termine. Nell'immediato occorrerà procedere nei settori ove l'armonizzazione non presenta eccessive difficoltà, chiedendosi ogni volta se il gioco valga la candela, e senza nutrire l'ambizione di dettare regole — o di cambiarle — giusto per la soddisfazione di obbedire ad imperativi di programma o ideologici.

3.1.5

Un dato soprattutto è da tener presente. Come si è detto, gli acquisti transfrontalieri di immobili costituiscono soltanto l'1 % del mercato e riguardano quasi esclusivamente le case di vacanza e gli immobili in zone frontaliere; non sembra quindi verosimile che sia questa piccola parte di mercato a costituire il principale scopo della Commissione, ma piuttosto l'obiettivo strategico indicato nel precedente punto 3.1.3. In altri termini, la Commissione ha in vista un'integrazione tale da permettere a qualsiasi cittadino dell'Unione di acquistare un immobile, nel proprio paese o in un altro, rivolgendosi ad un intermediario finanziario del proprio paese, del paese ove l'immobile è situato, o anche di un paese terzo.

3.2   Protezione del consumatore (punto II del LV)

3.2.1

Sul problema dell'informazione la Commissione pone quattro domande. In merito alla prima, riguardante i codici di condotta  (1), il CESE osserva che per definizione essi sono volontari; il problema sta nei contenuti, che dovrebbero essere redatti dalle associazioni delle istituzioni finanziarie europee in consultazione con le associazioni dei consumatori, e prevedere direttamente meccanismi sanzionatori o, in caso contrario, essere controllati dagli ombudsman nazionali e registrati presso tribunali o camere di commercio. Tali codici dovrebbero essere sottoscritti da tutti gli associati alla categoria e i contratti e la documentazione informativa dovrebbero menzionare espressamente il fatto che il prestatore ha aderito al codice di condotta.

3.2.2

La seconda domanda riguarda il contenuto dell'informazione, che rappresenta un elemento cruciale: tutti gli aspetti del contratto — giuridici, tecnici e contabili — devono infatti essere chiari al consumatore, ma non è facile trovare un soddisfacente compromesso fra trasparenza, precisione e facilità di comprensione. La necessità di spiegare i termini tecnici porta ad un allungamento dei testi e non necessariamente contribuisce alla loro chiarezza. Anche la casistica delle inadempienze contrattuali e delle relative conseguenze dovrebbe far parte dell'informazione: il CESE suggerisce che le informazioni relative agli aspetti più ricorrenti vengano inserite nei codici di condotta, con un testo standardizzato.

3.2.3

Terza domanda: le considerazioni sopra espresse valgono, almeno in parte, anche per l'informazione precontrattuale; quest'ultima potrebbe permettere dei confronti con altre offerte, e quindi contribuire ad una scelta informata, sul piano nazionale, ma in questa fase difficilmente sarebbe di aiuto per una comparazione con i crediti offerti da altri paesi. In materia esiste peraltro un'iniziativa europea promossa dalle federazioni di categoria, che hanno adottato l'European Information Sheet, redatto con il concorso delle associazioni dei consumatori. Malgrado tale iniziativa sia stata sottoscritta dalla maggior parte delle istituzioni finanziarie, secondo alcuni essa sembrerebbe essere tradotta in pratica con poca convinzione in un certo numero di paesi. La Commissione sta indagando e potrebbe adottare, se necessario, misure coercitive, magari riprendendo in forma regolamentare il testo dell'accordo.

3.2.4

Quarta domanda: non vi è dubbio che le disposizioni riguardanti l'informazione devono applicarsi, e magari anche con maggior rigore, agli intermediari del credito (brokers e altri).

3.2.5

In relazione alla consulenza ai mutuatari la Commissione pone due domande. La prima riguarda una questione lungamente dibattuta: deve o meno esistere l'obbligo per il prestatore di fornire consigli sulla forma migliore di prestito, durata, prezzo, ecc.? La Commissione rileva che una consulenza per iscritto — quale richiesta dai consumatori — espone il prestatore a rischi di natura legale e ad azioni di risarcimento. Difficilmente un prestatore sarà disposto ad assumerseli, soprattutto considerato che a posteriori gli sarebbe difficile dimostrare di non essere stato in possesso di tutti gli elementi di valutazione necessari o di aver tenuto conto di possibili eventualità future. L'imposizione dell'obbligo di consulenza ridurrebbe fortemente l'offerta del credito e quindi non è auspicabile; non è tuttavia da escludere che sotto la spinta della concorrenza alcuni prestatori o intermediari possano decidere di offrire questo servizio, gratuitamente o a pagamento.

3.2.6

In merito alla seconda domanda, riguardante la responsabilità per qualsiasi consiglio o informazione forniti per iscritto, volontariamente o per obbligo, occorre distinguere fra consiglio e informazione : per quanto riguarda il consiglio, la risposta è nella seconda parte del paragrafo precedente. Per contro, ogni informazione errata o taciuta — volutamente o per negligenza — implica una responsabilità del prestatore. Ma occorre intendersi chiaramente sulla portata dell'informazione: essa non può limitarsi alla mera esposizione degli aspetti tecnici, ma deve — o dovrebbe — fare in modo che il consumatore abbia a sua disposizione ogni altro elemento utile per fare una scelta finale indipendente e ragionata. I codici di condotta, o al limite il codice civile, dovrebbero fornire una guida alla risoluzione delle eventuali controversie.

3.2.7

In materia di rimborso anticipato (RA) la Commissione pone tre domande. La prima rimette sul tappeto una questione lungamente dibattuta: la possibilità di rimborso anticipato deve essere un diritto legale del consumatore o una scelta fra le parti? In genere il RA viene richiesto dal consumatore in caso di variazioni di tasso a lui sfavorevoli, sia per prestiti a tasso fisso che a tasso variabile, quali quelle intervenute in passato e in certi paesi a seguito di una forte inflazione. In ogni caso, il RA viene sempre richiesto dal consumatore e ben raramente è rifiutato dal prestatore, indipendentemente dal fatto di essere previsto o meno nel contratto. Il problema non è tanto quello della possibilità o meno del RA quanto quello posto dalla domanda che segue.

3.2.8

Come dovrebbero essere calcolate le commissioni per un RA? Le tecniche di finanziamento del credito ipotecario variano da un paese all'altro, ma come regola generale il prestatore si provvede di fondi con emissioni di bonds garantiti dalle ipoteche sugli immobili che vende sul mercato primario o secondario. Le tecniche ed i prodotti, fra i quali uno del tutto nuovo — l'equity release, — variano peraltro in modo sostanziale a seconda della durata dei prestiti, dei tassi fissi o variabili, della remunerazione, delle tecniche e degli usi dei mercati. Un RA implica, accanto ad un vantaggio per il consumatore, un onere per il prestatore, che deve — in linea di larga approssimazione e detto in modo semplicistico — reimpiegare la somma ricevuta in anticipo a fronte del riacquisto dei bonds rimasti scoperti da garanzia. La matematica finanziaria fornisce le formule per calcolare l'onere per il prestatore, onere che varia a seconda del periodo ancora da decorrere, dell'andamento dei tassi e della situazione del mercato. Il CESE ritiene che una risposta al quesito risieda nell'applicare un principio di equità: a fronte del beneficio per il consumatore occorre calcolare l'onere effettivo sostenuto dal prestatore a seguito del RA.

3.2.9

Le norme per il calcolo dovrebbero essere incluse nel codice di condotta o, meglio ancora, in ogni singolo contratto. Le uniche norme standardizzate possibili in questa materia sono quelle della matematica finanziaria: non esistono particolari difficoltà nel calcolare vantaggi e svantaggi in base al periodo pregresso e rimanente, ai tassi applicati e ai tassi correnti. Il risultato, di pura matematica finanziaria, andrebbe integrato dal calcolo dei benefici o degli svantaggi per l'istituzione finanziaria derivanti, nel periodo in esame, dal reinvestimento della liquidità acquisita anticipatamente. In ogni caso, dovrebbe essere escluso il pagamento di penalità.

3.2.10

La terza domanda, e cioè come il consumatore dovrebbe essere informato in merito alle possibilità di RA, ha già ricevuto risposta nell'ultima parte del punto precedente: non si vede ragione, infatti, perché l'eventualità di un RA non possa essere inclusa sia nell'informazione preventiva sia nell'informazione puntuale e — meglio ancora — anche nel contratto.

3.2.11

Quattro domande riguardano il tasso percentuale annuo ( annual percentage rate APR secondo la sigla inglese). La prima si riferisce ad una questione già ampiamente discussa nelle fasi preliminari all'approvazione della relativa direttiva, e cioè se lo scopo dell'APR sia quello di informare, quello di permettere confronti, o entrambi. Il fatto che a distanza di anni la Commissione riproponga la domanda sembra voler indicare che ancora permangono dubbi in proposito. La formula adottata per calcolare l'APR risponde ad una precisa logica matematica ed economica e, nelle intenzioni del legislatore, doveva rispondere anche a criteri di informazione, di trasparenza e di possibilità di confronto. In pratica, però, il consumatore che non sia un esperto di matematica finanziaria non può far altro che prendere atto della cifra che gli è comunicata: solo formalmente, quindi, i requisiti di informazione e di trasparenza sono rispettati. Quanto ai confronti con altre offerte, essi sono possibili a condizione che i diversi proponenti offrano esattamente lo stesso prodotto e abbiano seguito gli stessi metodi di calcolo e che le cifre usate per i calcoli siano specificate in dettaglio.

3.2.12

La seconda domanda, e cioè se debba esistere uno standard europeo che copra sia il metodo di calcolo che gli elementi dei costi, si presta ad una risposta senz'altro positiva in linea di principio. In pratica, però, la determinazione di tale standard non sarà possibile sino a che non esisteranno sistemi armonizzati, prodotti esattamente comparabili e procedure amministrative standardizzate: un obiettivo non facilmente raggiungibile a breve termine.

3.2.13

Sulla terza domanda, e cioè quali elementi dei costi dovrebbe includere uno standard europeo, il CESE ritiene che un minimo comune denominatore potrebbe esse costituito dalle spese per l'istruzione della pratica, dai costi per la costituzione dell'ipoteca, delle spese amministrative chiaramente identificabili e dal costo dell'assicurazione. In prima approssimazione, questo dovrebbe bastare al consumatore per effettuare un confronto fra le diverse offerte; ogni prestatore, tuttavia, dovrebbe mettere chiaramente in guardia i consumatori da una troppo facile scelta basata soltanto su un APR calcolato nel modo suddetto.

3.2.14

L'ultima domanda, vale a dire se sia auspicabile o meno che il prestatore fornisca separatamente delle informazioni circa i costi non inclusi nel calcolo dell'APR, nonché sulla presentazione degli effetti dell'APR in termini concreti, quali il costo mensile o il costo totale del prestito, si presta a due risposte distinte. Sulla prima parte del quesito la posizione del CESE è affermativa, anche perché, fra l'altro, la presentazione dei costi non inclusi nell'APR permetterebbe di sciogliere la riserva circa il confronto delle condizioni di cui si parla nel precedente paragrafo. Circa la presentazione degli effetti dell'APR in termini «concreti» nel senso indicato dalla Commissione, il CESE ritiene che essa sia senz'altro possibile e che esistano programmi informatici in grado di rispondere a questa esigenza — se di esigenza veramente si tratta. Il dubbio sorge per le ragioni esposte al punto 3.2.11: il consumatore rischia infatti di essere ulteriormente confuso se viene messo contemporaneamente di fronte ad un piano finanziario di rimborso — quello che realmente gli serve — e ad un altro piano che, pur corretto dal punto di vista della matematica finanziaria, si discosta dal primo.

3.2.15

Quattro domande sono poste dalla Commissione in merito alle norme contro l'usura e variazioni dei tassi d'interesse. Per quanto riguarda la prima, e cioè quali siano le implicazioni, per l'integrazione dei mercati, delle norme contro l'usura (esistenti in taluni Stati membri), occorre fare una premessa: negli Stati membri ove la legge prevede dei limiti cogenti ai tassi d'interesse, sembra che tali limiti siano stati fissati avendo in mente il credito al consumo, gli scoperti di conto correnti e i crediti personali, ma non — ad avviso del CESE — il credito ipotecario. In ogni caso, il problema è delicato: uno Stato membro che avesse fissato dei limiti potrebbe voler perseguire il prestatore di un altro paese che ha contravvenuto ad una norma alla quale tale prestatore non è soggetto, ma che riguarda un contratto valido sul proprio territorio. Le norme nazionali in materia di usura costituiscono comunque un ostacolo per l'integrazione dei mercati.

3.2.16

La seconda domanda riguarda la possibilità di esaminare la questione dei tassi d'usura in un contesto più ampio, non specificamente connesso con il credito ipotecario. La risposta del CESE a questa domanda è affermativa: se ulteriori approfondimenti ne dimostrassero la necessità, una legislazione comunitaria potrebbe sostituire utilmente le varie regolamentazioni nazionali esistenti. Il CESE mette tuttavia in guardia da soluzioni semplicistiche: un tasso d'usura uniforme rischierebbe infatti di non tener conto delle caratteristiche individuali dei mercati. In particolare, la determinazione di un tasso unico non avrebbe senso e dovrebbe essere lasciata ai singoli Stati membri, dopo aver risolto il problema sollevato nell'ultima parte del punto 3.2.15.

3.2.17

La terza domanda riguarda il fatto se le restrizioni esistenti in alcuni Stati membri sull'applicazione dei tassi di interesse composti costituiscano o meno un ostacolo all'integrazione dei mercati. La risposta del CESE non può che essere la stessa di quella data a proposito dei tassi d'usura, di cui al paragrafo precedente. La Commissione dovrebbe peraltro controllare il livello dei tassi di interesse semplici nei paesi che non applicano interessi composti: qualora essi fossero mediamente superiori a quelli di altri paesi per operazioni comparabili, potrebbe sorgere il sospetto che la perdita di interessi composti è stata compensata da maggiori interessi semplici, secondo una logica di mercato non trasparente e senza vantaggi per il consumatore.

3.2.18

La quarta domanda riguarda il prodotto equity release e chiede quale sia l'impatto sul suo sviluppo delle restrizioni all'applicazione di interessi composti. Trattandosi di un nuovo prodotto, sul quale mancano esperienze approfondite, il CESE si astiene dal prendere posizione e lascia la risposta ai tecnici con un'esperienza specifica del mercato.

3.2.19

Per quanto riguarda la standardizzazione dei contratti di mutuo, la Commissione osserva che l'argomento rientra nello schema generale dell'iniziativa riguardante il diritto contrattuale europeo; la standardizzazione potrebbe essere ottenuta tramite il metodo classico dell'armonizzazione o con il cosiddetto «26o regime», uno strumento legale parallelo alle legislazioni nazionali ed utilizzabile, con l'accordo delle parti, come alternativa a queste. Il CESE è dell'avviso che la prima alternativa sia al momento prematura, e che la seconda potrebbe costituire una vera opzione soltanto dopo che si sia accertato, con uno studio approfondito delle leggi e dei contratti di tutti i venticinque paesi, che lo strumento «parallelo» non contravviene alle regolamentazioni e alle leggi di nessuno di essi. In ogni caso, occorre che le regole di standardizzazione non ostacolino l'offerta di nuovi prodotti, traducendosi così in un freno all'innovazione. Ma, in attesa della soluzione dei vari problemi, non dovrebbe essere difficile raggiungere un'intesa fra istituzioni finanziarie, consumatori e Commissione su uno schema di base di contratto che comprenda almeno le clausole di uso più corrente e comuni ad ogni tipo di contratto.

3.2.20

Le ultime due domande riguardano le strutture legali per la protezione dei diritti del consumatore. In ogni paese esistono strutture di mediazione o di arbitrato alternative a quelle giudiziarie, spesso troppo lente e costose per il consumatore: la Commissione sollecita in primo luogo dei pareri circa la possibilità di imporre agli Stati membri l'istituzione di strutture di mediazione o di arbitrato specifiche per il credito ipotecario. Il CESE è in linea di massima favorevole a strutture di mediazione ma non a strutture di arbitrato, poiché queste ultime esulano dal campo della protezione del consumatore. Osserva peraltro che il diritto del credito ipotecario è per sua natura collegato ad una serie di altre norme legislative o regolamentari: la procedura civile, la successione, il fallimento, la proprietà, le norme catastali e le regole fiscali. Una struttura alternativa a quella dei tribunali, in grado di prendere decisioni tali da resistere a facili impugnazioni, potrebbe trovarsi nella necessità di dotarsi di strutture e di risorse analoghe a quelle dei tribunali stessi. Ma dato che taluni Stati membri sembrano aperti a questa possibilità, essi potrebbero riferire dopo un adeguato periodo di sperimentazione, onde fornire utili insegnamenti per un'eventuale adozione generale.

3.2.21

La Commissione chiede quindi suggerimenti sulla possibilità di rafforzare la credibilità dei sistemi alternativi di ricorso oggi esistenti, particolarmente nel campo del credito ipotecario. A conoscenza del CESE, i sistemi esistenti danno risultati abbastanza buoni, che potrebbero in molti casi essere migliorati accelerando le procedure decisionali. Per quanto riguarda specificatamente il credito ipotecario, e ricordando il paragrafo precedente, si fa osservare che le strutture di mediazione o arbitrato dovrebbero essere credibili per entrambe le parti, e non solo per il consumatore: il valore mediamente elevato di ogni controversia esige che le decisioni siano eque ed inattaccabili anche sotto il profilo giuridico per evitare un successivo ricorso ai tribunali.

3.3   Questioni legali (punto III del LV)

3.3.1

La Commissione ritiene opportuno che gli aspetti legali riguardanti il settore del credito ipotecario siano considerati nell'ambito del processo di revisione in corso della Convenzione di Roma del 1980, che sarà trasformata in regolamento europeo. In materia di diritto applicabile, tre soluzioni sono attualmente in esame:

stabilire un regime specifico per determinare il diritto applicabile nel caso dei contratti di credito ipotecario: si potrebbe allineare il diritto applicabile a tali contratti a quello del paese ove il bene è situato,

continuare con i principi generali della Convenzione di Roma, lasciando alle parti la libertà di scelta del diritto applicabile, pur nel rispetto delle norme vincolanti in vigore nel paese di residenza del consumatore,

escludere i contratti di credito ipotecario dall'applicazione delle norme vincolanti in vigore nel paese di residenza del consumatore, alla condizione che sia garantito un grado elevato di protezione dei consumatori a livello «europeo»,

per quanto riguarda il «collaterale» (il bene ipotecato), la Commissione non vede motivo di abbandonare il principio ormai consolidato secondo cui ad esso si applica il diritto dello Stato ove il bene è situato — e su questo punto il CESE è pienamente d'accordo.

3.3.1.1

Sulle tre soluzioni di cui al paragrafo precedente occorrerebbe dilungarsi con un parere a parte: l'argomento è infatti complesso e ogni soluzione presenta vantaggi e svantaggi. In questa sede, il CESE si limita a qualche breve considerazione di fondo:

a)

nessuna delle tre soluzioni è applicabile senza inconvenienti al caso di un consumatore residente in un paese A, di un prestatore residente in un paese B e di un bene situato in un paese C (che potrebbe anche essere fuori dell'UE);

b)

la regola del paese di residenza del consumatore limita fortemente l'offerta — o per meglio dire la possibilità di accesso del consumatore ai servizi di un prestatore residente in un altro paese: il prestatore è in genere restio a sottoscrivere un contratto soggetto a leggi che non conosce, sapendo che in caso di controversia dovrà munirsi di assistenza legale all'estero e dovrà utilizzare una lingua che non è la sua;

c)

è necessario stabilire con chiarezza la lingua da utilizzare nel contratto, nei contatti e nella corrispondenza: qualora la decisione fosse quella di scegliere la lingua del consumatore, questo costituirebbe un ulteriore deterrente per il prestatore, da aggiungere a quello evocato nel precedente punto b).

3.3.2

Affrontando poi la questione valutazione dell'affidabilità del cliente, la Commissione evoca diversi problemi, già trattati in relazione ad un settore analogo (credito al consumo), e considera che il problema più urgente è quello di assicurare l'accesso transfrontaliero alle banche dati su base non discriminatoria. Secondo il CESE, il diritto di accesso è necessario , ma per assicurarlo dovranno essere adottate apposite regole che stabiliscano chi gode di questo diritto, a quali condizioni, e con quali garanzie per il consumatore. Il CESE richiama altresì l'attenzione su un aspetto mai evocato: spesso l'acquirente di un bene, sia esso una prima casa o una casa di vacanza, non figura in alcuna banca dati non avendo mai ricorso al credito; la ricerca di informazioni attendibili diventa in questo caso problematica, lunga e costosa.

3.3.3

La Commissione affronta quindi la questione della valutazione del valore del bene immobiliare, chiedendo se si possa ipotizzare uno standard europeo, oppure se occorra prendere un'iniziativa per assicurare il riconoscimento reciproco degli standard nazionali. Il CESE ritiene che la prima ipotesi sia da scartare a priori, senza necessità di ulteriori approfondimenti. Quanto alla seconda, gli esperti osservano che standard nazionali, o anche solo regionali, sono un'utopia dalla quale occorre guardarsi; troppe variabili concorrono a creare un mercato immobiliare le cui caratteristiche sono eminentemente locali. Ogni tentativo di standardizzazione rischierebbe di essere fuorviante. Il CESE appoggia questo avviso.

3.3.4

È quindi sottoposto a discussione un altro aspetto importante, vale a dire la vendita coatta del bene ipotecato. Il LV constata che in questo campo esiste una estrema varietà di procedure, di tempi, di costi e che questo costituisce un ostacolo all'attività creditizia transfrontaliera. Propone quindi un approccio graduale per promuovere dei miglioramenti nelle procedure di vendita coatta: raccogliere dapprima delle informazioni sulla durata e sul costo delle procedure, in modo da produrre uno scoreboard aggiornato ad intervalli regolari e, ove questo si rivelasse inefficace, prendere in considerazione la possibilità di adottare misure «più energiche». Il CESE considera che la raccolta di informazioni e la produzione di uno scoreboard costituirebbe una sorta di moral suasion nei confronti degli Stati membri che hanno procedure poco efficienti o costose; questo potrebbe fornire ai prestatori e alle associazioni di consumatori un buon motivo per fare pressione sulle proprie autorità nazionali affinché vengano prese adeguate misure migliorative. Ma andare oltre, minacciando misure «più energiche» sembra irrealistico: un'iniziativa del genere avrebbe ben poche possibilità di ottenere l'accordo degli Stati membri. Inoltre, l'ipotesi di scardinare interi sistemi di esecuzione giudiziaria solo per favorire il credito ipotecario transfrontaliero (che rappresenta oggi soltanto l'1 % del totale europeo, e per il quale le proiezioni per il futuro arrivano, nella migliore delle ipotesi, a non più del 5 %) sembra non tener conto del normale senso delle proporzioni.

3.3.5

Un altro ostacolo alla piena integrazione dei mercati, ostacolo che per il momento rimane insormontabile, è costituito dal problema dell'imposizione fiscale; la Commissione, con senso di realismo, non programma azioni per un'armonizzazione in questo campo. Ma altri ostacoli esistono, e possono essere rimossi. Diversi Stati membri rifiutano la detraibilità fiscale degli interessi pagati dai loro contribuenti su crediti ipotecari concessi da prestatori esteri; in altri casi, gli interessi percepiti dai prestatori nazionali sono tassati al netto degli interessi pagati per il rifinanziamento dei prestiti, mentre i prestatori esteri sono assoggettati al pagamento dell'importo lordo degli interessi a carico dei debitori nazionali. In entrambi i casi si tratta di un'infrazione dei Trattati o della normativa comunitaria: il primo è contrario agli articoli 49 e 56 del Trattato come stabilito anche da due sentenze della Corte di giustizia, il secondo sarà oggetto di un'azione diretta della Commissione, della quale il CESE appoggia fermamente la posizione.

3.4   Garanzie ipotecarie (punto IV del LV)

3.4.1

Il catasto immobiliare è un elemento fondamentale per la certezza del diritto di proprietà; sembra peraltro che non sempre le registrazioni rilevino i diritti di terzi sulla proprietà. Per un corretto funzionamento del credito ipotecario transfrontaliero (incluso il rifinanziamento) è necessario che vi sia una chiara comprensione del contenuto e del funzionamento dei catasti immobiliari. La Commissione ha finanziato un progetto pilota (EULIS) allo scopo di promuovere la collaborazione fra proprietari e conservatori dei catasti, progetto che fra l'altro potrebbe essere di grande utilità per molti dei paesi di nuova adesione. Essa chiede ora se debba continuare ad esercitare un ruolo attivo in questa iniziativa e se, considerato l'interesse per i catasti di mutuanti e investitori, questi non dovrebbero contribuire ed investire in simili iniziative. Il CESE ritiene che la Commissione debba continuare nella sua preziosa opera di promotrice della collaborazione, redigendo altresì un rapporto annuale sui risultati ottenuti. Non ritiene per contro che il finanziamento dei progetti di collaborazione spetti ad una singola categoria di utenti (che non è nemmeno la principale), visto che la tenuta dei catasti immobiliari è nell'interesse dello Stato e della collettività e che registrazioni e accessi sono già a pagamento.

3.4.2

Il progetto di una «euroipoteca» (Euromortgage) non è nuovo, ma per il momento non è stato sperimentato sul mercato, nemmeno come progetto pilota. In sostanza, l'obiettivo dell' Euromortgage sarebbe quello di attenuare il nesso fra credito e garanzia ipotecaria: quest'ultima farebbe parte di un pool europeo di garanzie a copertura dei titoli immessi sul mercato. Il progetto sembra attraente e risponderebbe ad un'idea di mercato immobiliare europeo integrato; il CESE ritiene che il progetto meriti di essere incoraggiato. Se realizzato, esso costituirebbe un primo passo verso un'integrazione dei mercati prodotta dal mercato stesso anziché da una spinta regolamentare.

3.5   Finanziamento del credito ipotecario (punto V del LV)

3.5.1

I sistemi di rifinanziamento sono diversi nei singoli paesi, ma sostanzialmente si basano su bonds la cui garanzia per l'investitore è costituita dagli immobili gravati da ipoteca. Nei settori interessati si fa strada l'idea che un'ulteriore integrazione dei mercati sarebbe agevolata dalla creazione di un mercato paneuropeo di questi titoli. La Commissione condivide queste considerazioni, facendo tuttavia osservare che comunque la questione deve essere ulteriormente approfondita. Un sistema paneuropeo di rifinanziamento avrebbe, secondo la Commissione, il pregio di aumentare le fonti di finanziamento, di dare maggiore liquidità ai mercati e, più in generale, di consentire la diversificazione dei rischi. Inoltre, faciliterebbe l'integrazione dei mercati secondari, che dipende comunque da quella dei mercati primari. Il CESE è d'accordo, ma condivide l'opinione di coloro che ritengono questo un obiettivo di lungo termine.

3.5.2

Una premessa fondamentale è costituita dalla trasferibilità dei prestiti ipotecari. La Commissione intende creare un gruppo ad hoc di parti interessate con il compito di accertare se e come si debba operare sugli aspetti del rifinanziamento, e si dichiara interessata a valutare se sia possibile promuovere un mercato paneuropeo del finanziamento ipotecario ricorrendo alle forze del mercato (per esempio con la creazione di standard di documentazione e di modelli di definizioni per le attività transfrontaliere di finanziamento). Il CESE lascia il compito di rispondere agli operatori del mercato, i soli che dispongono delle conoscenze necessarie per fornire elementi di giudizio basati sull'esperienza.

3.5.3

L'ultima domanda della Commissione solleva un problema di capitale importanza per il futuro dei mercati: si chiede se l'attività di concessione di mutui ipotecari debba essere necessariamente ristretta alle istituzioni creditizie, o se — e sotto quali condizioni — essa possa essere svolta da istituzioni che non raccolgono denaro sotto forma di depositi o in altro modo, e che pertanto non rispondono alla definizione UE di istituti di credito e di conseguenza sono escluse dalla normativa prudenziale. Il CESE osserva in via preliminare che per la stabilità e la solidità dei mercati non basta il controllo delle autorità preposte ai mercati mobiliari e che occorre una vigilanza efficace degli istituti finanziari di qualunque tipo che vi partecipano. La protezione del consumatore ha ispirato la creazione di norme prudenziali, ed è in questa ottica che ogni nuova proposta deve essere esaminata.

3.5.4

Gli istituti del tipo ipotizzato dovrebbero operare solo con mezzi propri: caso difficilmente realizzabile e che comunque necessiterebbe di una continua verifica per controllare che le condizioni di partenza siano mantenute nel tempo. In ogni altra ipotesi, un ricorso a fondi esterni — qualunque sia la forma tecnica utilizzata — è inevitabile. La conclusione del CESE è che gli istituti del tipo descritto dalla Commissione devono essere sottoposti a controlli prudenziali, poco importa se di tipo bancario o di altro genere; in secondo luogo, è essenziale il mantenimento della parità di condizioni di concorrenza, per cui le norme applicate agli istituti di credito particolarmente quelle riguardanti la solvibilità e la liquidità devono essere valide anche per questi eventuali altri istituti. Se i principi ispiratori della vigilanza prudenziale hanno ancora un senso, non si vede per quale motivo essi dovrebbero consentire eccezioni.

Bruxelles, 15 dicembre 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  GU C 221 dell'8.9.2005


17.3.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 65/120


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo — Il programma dell'Aia: dieci priorità per i prossimi cinque anni — Partenariato per rinnovare l'Europa nel campo della libertà, sicurezza e giustizia

COM(2005) 184 def.

(2006/C 65/22)

La Commissione, in data 10 maggio 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 14 novembre 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore PARIZA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 15 dicembre 2005, nel corso della 422a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 98 voti favorevoli, 2 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Il 4 e 5 novembre 2004, il Consiglio europeo ha approvato il secondo programma pluriennale per la creazione di uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia nell'Unione europea (programma dell'Aia) (1), il quale stabilisce, per i prossimi cinque anni (2005-2009), orientamenti generali e specifici relativi alle politiche di sviluppo di detto spazio.

1.2

Il Consiglio europeo ha chiesto alla Commissione europea di presentare un piano d'azione che traduca gli orientamenti illustrati nel Programma dell'Aia in azioni concrete. Il 10 maggio 2005, la Commissione ha pubblicato una comunicazione intitolata Il programma dell'Aia: dieci priorità per i prossimi cinque anniPartenariato per rinnovare l'Europa nel campo della libertà, sicurezza e giustizia  (2), che presenta gli obiettivi strategici per i cinque anni a venire e contiene un calendario per l'adozione del pacchetto di politiche e iniziative europee in materia.

2.   Conclusioni

2.1

Dopo cinque anni, gli obiettivi fissati a Tampere non sono stati ancora raggiunti. L'UE non è uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia. Pur essendo meno ambizioso, il Programma dell'Aia definisce nondimeno obiettivi molto importanti.

2.2

La creazione di un vero e proprio spazio di libertà, sicurezza e giustizia presuppone un adeguato equilibrio tra queste tre dimensioni, equilibrio che il Programma dell'Aia non garantisce a sufficienza. Le politiche adottate in materia di sicurezza devono tutelare i valori di libertà e giustizia. Il CESE ritiene che la base di dette politiche debba essere la protezione dei diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea dei diritti umani e delle libertà fondamentali e dalla Carta dei diritti fondamentali dell'UE.

2.3

Il CESE auspica che la politica in materia di sicurezza sia efficace e difenda i cittadini in una società libera e aperta, nel rispetto della legge e della giustizia e nell'ambito di uno Stato di diritto. Il giorno in cui per combattere il terrorismo adotteremo norme esagerate, che sacrificano i diritti umani sull'altare della sicurezza, i terroristi avranno conseguito la loro prima vittoria. La società civile deve svolgere un ruolo critico ed attivo a tale proposito.

2.4

Il CESE auspica inoltre lo sviluppo di una cittadinanza europea, che deve essere una cittadinanza attiva. Propone a tale proposito una cittadinanza qualitativamente migliore, più aperta, inclusiva e egualitaria, che non tolleri discriminazioni.

2.5

È necessario che l'Unione europea disponga di procedure comuni in materia di asilo e di uno status uniforme, basato sul rispetto della Convenzione di Ginevra.

2.6

L'UE deve inoltre disporre di una politica comune in materia di immigrazione attraverso norme armonizzate, non solo per prevenire l'immigrazione illegale e lottare contro le reti criminali dedite alla tratta di esseri umani, ma anche per assicurare l'ammissione di nuovi immigrati attraverso procedure legali, trasparenti e flessibili.

2.7

Gli immigrati e coloro che fanno richiesta di asilo devono godere di un giusto trattamento, nel rispetto del diritto umanitario, della Carta dei diritti fondamentali e delle norme antidiscriminazione. È opportuno in tale contesto elaborare politiche di accoglienza e di integrazione.

2.8

Il Programma dell'Aia deve rafforzare la libertà, la sicurezza e la giustizia potenziando l'efficacia, la legittimità, la fiducia reciproca, l'uguaglianza e la proporzionalità. A tal fine bisogna fare ricorso all'acquis comunitario e a tutti gli strumenti a disposizione.

2.9

È necessario attenuare l'attuale complessità giuridica e istituzionale di tali politiche. La permanenza di molti di questi settori in ambito intergovernativo (Terzo pilastro) ostacola l'efficacia e limita le possibilità del metodo comunitario. Il progetto di Trattato costituzionale offre una risposta efficace e coerente a molti problemi presenti nel campo della cooperazione in materia di libertà, sicurezza e giustizia.

2.10

Anche se il progetto di Trattato costituzionale prevede nuove basi giuridiche per lo sviluppo di dette politiche, il Trattato attuale definisce strumenti validi che meritano di essere utilizzati.

2.11

Lo spazio europeo di giustizia deve basarsi sulla fiducia e sul riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie. Risultano però necessari anche nuovi strumenti legislativi.

2.12

Bisogna garantire che ciascuna delle misure legislative elaborate in relazione alla «sicurezza» sia oggetto di una valutazione attenta e costante, nonché di un controllo democratico da parte del Parlamento europeo e della Corte di giustizia delle Comunità europee. Solo in questo modo sarà possibile creare un vero e proprio spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia nell'Unione europea.

2.13

Nessuno degli obiettivi fissati nel Programma dell'Aia e nel Piano d'azione potrà essere raggiunto senza adeguate risorse finanziarie. Nell'aprile 2005, la Commissione europea ha presentato tre programmi quadro, ognuno dei quali è oggetto di un parere del CESE (3).

3.   Osservazioni generali

3.1

Dopo aver dato, con l'entrata in vigore del Trattato di Amsterdam nel 1999, una dimensione comunitaria agli aspetti di giustizia e affari interni, il Consiglio europeo di Tampere (15 e 16 ottobre 1999) ha adottato il primo programma pluriennale relativo a tali politiche (Programma di Tampere).

3.2

Cinque anni dopo, sono stati realizzati grandi progressi verso la creazione di uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia. Il Consiglio sostiene che sono state poste le basi di una politica comune in materia di asilo e immigrazione, è stata predisposta l'armonizzazione dei controlli alle frontiere, è stata migliorata la cooperazione di polizia e i lavori preparatori per la cooperazione giudiziaria sulla base del principio del reciproco riconoscimento delle decisioni giudiziarie e delle sentenze sono ben avanzati  (4).

3.3

Tuttavia, l'ultima relazione biennale sui risultati (quadro di valutazione), presentata dalla Commissione europea per definire i progressi raggiunti fino alla prima metà del 2004 (5), lascia intravedere che il livello di convergenza conseguito nei diversi settori politici non è quello auspicato.

3.4

Va tenuto conto del fatto che l'adozione di politiche comuni e norme armonizzate in materia di libertà, sicurezza e giustizia incontra notevoli difficoltà: sono diversi i regimi giuridici, gli orientamenti politici e, a volte, gli interessi nazionali. L'esperienza dell'integrazione europea nell'ambito di altre politiche dimostra che una forte volontà da parte degli Stati membri e una chiara leadership della Commissione consentono di superare gli ostacoli.

3.5

Per il CESE, il bilancio globale è insufficiente. Numerosi obiettivi specifici decisi a Tampere non sono stati raggiunti e la qualità di molte delle politiche adottate non è stata pari alle aspettative.

3.6

Il Programma dell'Aia ha ora preso il testimone nel difficile compito di consolidare e favorire la creazione di uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia (6). Le sfide sono tante e complesse.

3.7

A differenza di Tampere, il Programma dell'Aia non contiene politiche innovative e ha una portata poco ambiziosa, in quanto si basa sulla necessità di applicare e valutare in modo più efficace le politiche già esistenti in materia di libertà, sicurezza e giustizia.

3.8

Il Programma inoltre non fornisce gli strumenti necessari per il corretto superamento delle barriere che hanno ostacolato una maggiore convergenza delle politiche. Il CESE ritiene che la limitata ambizione del Programma dell'Aia non permetterà di creare un quadro legislativo coerente, di qualità, globale ed efficace che garantisca «un adeguato equilibrio tra libertà, sicurezza e giustizia».

3.9

Tra dette barriere, che continuano ad essere radicate nelle politiche degli Stati membri, figurano: la mancanza di efficacia, di solidarietà, di trasparenza, di fiducia reciproca, di proporzionalità e di equilibrio tra libertà, sicurezza e giustizia.

3.10

Il CESE approva che la Commissione europea abbia incluso nel suo piano d'azione la difesa e la garanzia dei diritti fondamentali e della cittadinanza, come la prima tra le dieci priorità per lo sviluppo di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia nei prossimi cinque anni.

3.11

Un aspetto considerato positivo è il fatto che, parallelamente all'approvazione del Programma dell'Aia, la codecisione e il processo decisionale a maggioranza qualificata sono stati estesi a tutte le misure del Titolo IV il che suppone, per lo meno, l'eliminazione di alcuni altri tra i principali ostacoli ancora esistenti. Il Comitato tuttavia si rammarica che ne sia rimasta esclusa l'immigrazione illegale.

3.12

Nei suoi orientamenti specifici, il Programma dell'Aia confonde negativamente gli aspetti tipici della «sicurezza» con quelli della «libertà». Le politiche direttamente collegate alla sicurezza assumono chiaramente un carattere prioritario e interferiscono con gli aspetti relativi a libertà e giustizia. È il caso, ad esempio, delle iniziative basate sull'introduzione di identificatori biometrici e di nuove tecnologie, sull'interoperabilità delle banche dati, su un maggiore controllo delle frontiere interne ed esterne e su una lotta più efficace contro l'immigrazione illegale, tutte iniziative paradossalmente incluse nel capitolo «Rafforzare la libertà».

3.13

Per consolidare appieno la libertà, la sicurezza e la giustizia, occorre rispettare rigorosamente un giusto equilibrio tra le tre dimensioni al fine di non arrecare pregiudizio ai valori fondamentali (diritti umani e libertà pubbliche) e ai principi democratici (Stato di diritto) condivisi in tutta l'Unione. L'obiettivo della sicurezza non deve comportare una limitazione della libertà. In alcune proposte politiche, si commette un errore già perpetrato in epoche precedenti e che consiste nel sacrificare la libertà ai fini di una maggiore sicurezza. La storia ha dimostrato che le società aperte e libere sono quelle che meglio riescono a garantire la sicurezza. La difesa dei diritti umani fondamentali è alla base dei valori che noi europei attualmente condividiamo. Il giorno in cui adotteremo, per combattere il terrorismo, norme esagerate, che sacrificano i diritti umani sull'altare della sicurezza, i terroristi avranno conseguito la loro prima vittoria. I valori che ci rendono forti nei confronti dei terroristi sono i valori di libertà. Le politiche europee devono pertanto essere efficaci sul piano sia della sicurezza sia della tutela dei diritti fondamentali e della libertà.

3.14

Anche le prospettive finanziarie rispecchiano questo mancato equilibrio tra le politiche comunitarie e pertanto la sicurezza assorbe la maggior parte delle risorse assegnate (7).

3.15

Il Programma dell'Aia deve promuovere, rafforzare e consolidare l'efficacia, la legittimità, la fiducia reciproca, l'uguaglianza, la proporzionalità e garantire un giusto equilibrio tra libertà, sicurezza e giustizia. È necessario superare l'attuale complessità giuridica e istituzionale e dare l'assoluta certezza che le politiche di sicurezza siano soggette ad un adeguato controllo democratico da parte del Parlamento europeo e ad un monitoraggio giurisdizionale da parte della Corte di giustizia delle Comunità europee di Lussemburgo.

3.16

La promozione e la difesa rigorosa della libertà rappresenta per l'Unione europea il modo più efficace per rispondere alle sfide del nostro secolo e per affrontare anche la minaccia del terrorismo.

3.17

Le organizzazioni attive nel campo dei diritti umani e le organizzazioni della società civile in generale hanno un ruolo importantissimo nell'elaborazione delle politiche previste dal Programma dell'Aia.

3.18

Il CESE continuerà a promuovere una politica di cooperazione con gli interlocutori sociali e la società civile organizzata per garantire, nell'Unione europea, un giusto equilibrio nello sviluppo del Programma dell'Aia. La libertà, la sicurezza e la giustizia fanno infatti parte dell'interesse generale della società, un interesse condiviso da imprese, parti sociali e ONG.

3.19

Il periodo di incertezza cui hanno dato luogo i risultati dei referendum in Francia e nei Paesi Bassi rappresenta una nuova sfida nell'elaborazione delle politiche in materia di immigrazione ed asilo e nello sviluppo di tutti gli aspetti contenuti nel piano d'azione del Programma dell'Aia. Nonostante il progetto di Trattato costituzionale stabilisca nuove basi giuridiche per lo sviluppo di dette politiche, il Trattato in vigore prevede strumenti validi che meritano di essere utilizzati.

4.   Osservazioni specifiche sul rafforzamento della libertà, della sicurezza e della giustizia

4.1   Rafforzare la libertà

4.1.1

Il rispetto dei diritti fondamentali e delle libertà pubbliche è uno dei pilastri del progetto di integrazione europea e rappresenta uno degli obiettivi principali dell'Unione. La creazione di uno spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia presuppone l'assoluta presa in considerazione della dimensione «libertà» sancita, tra gli altri documenti chiave, dalla Convenzione europea per la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e dalla Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati.

4.1.2

Il Programma dell'Aia fa riferimento all'accoglienza favorevole, da parte del Consiglio europeo, all'ampliamento dell'Osservatorio europeo dei fenomeni di razzismo e xenofobia a alla sua trasformazione in un'Agenzia europea per i diritti fondamentali, volta a promuovere e a salvaguardare tali diritti. A fine giugno 2005, la Commissione europea ha pubblicato una proposta di regolamento (8) per la creazione dell'Agenzia, la quale svolgerà un ruolo chiave per la libertà, in quanto assegnerà alle istituzioni comunitarie e agli Stati membri i mezzi necessari per il rispetto dei diritti fondamentali nell'elaborazione e nell'applicazione delle politiche comunitarie. L'Agenzia inoltre rappresenterà un eccellente punto di contatto con la società civile.

4.1.3   Cittadinanza dell'Unione

4.1.3.1

Lo sviluppo di una cittadinanza europea qualitativamente migliore, attiva, più aperta, inclusiva e egualitaria, comporta la necessità di eliminare gli ostacoli che ancora impediscono l'esercizio di diritti già ben definiti e contemporaneamente richiede un'estensione dei diritti in alcuni ambiti specifici.

4.1.3.2

Il godimento di alcuni diritti legati alla cittadinanza europea conosce tuttora delle difficoltà, ad esempio la libera circolazione nell'UE, l'elettorato attivo o passivo nelle elezioni locali ed europee. È opportuno elaborare le misure che permettano di sopprimere queste difficoltà. Inoltre, le direttive contro la discriminazione non sono state adeguatamente recepite in alcune legislazioni nazionali.

4.1.3.3

I cittadini dei nuovi Stati membri devono poter godere quanto prima di tutti i diritti di cittadinanza stabiliti nell'Unione. La limitazione temporale ai loro diritti è un'anomalia negativa che occorre sormontare il più presto possibile. Tali restrizioni causano ai cittadini dei nuovi paesi numerosi problemi professionali e sociali e rappresentano una inaccettabile discriminazione in quanto vengono giudicati «cittadini di seconda categoria».

4.1.3.4

Il CESE ha proposto (9) che la cittadinanza europea si basi su un nuovo criterio di attribuzione: sono cittadini dell'Unione anche i cittadini dei paesi terzi che soggiornano in modo stabile sul territorio comunitario e che hanno lo status di residenti di lungo periodo. I diritti di cittadinanza, in particolar modo i diritti politici nelle elezioni comunali, sono uno strumento essenziale per l'integrazione degli immigrati.

4.1.3.5

L'integrazione degli immigrati è essenziale per la coesione sociale negli Stati membri. Nel caso non fosse garantita, sorgerebbe il rischio dell'esclusione sociale e dell'alienazione degli immigrati stessi, dei loro figli e nipoti nati e cresciuti nell'UE.

4.1.4   Un regime comune in materia di asilo (10)

4.1.4.1

L'Unione europea si è nuovamente fissata un termine di cinque anni per raggiungere un obiettivo già definito cinque anni or sono: disporre di una procedura comune in materia di asilo e di uno status uniforme per le persone che godono del diritto d'asilo o di una protezione sussidiaria. Il nuovo termine di cinque anni dovrebbe poter consentire il raggiungimento di questo obiettivo, ma è evidente che i necessari progressi impongono di ridurre le resistenze registrate finora. Però, oltre a realizzare gli opportuni passi avanti, bisogna anche avanzare sulla base di contenuti conformi ai diritti fondamentali legati all'asilo. Il sistema della maggioranza qualificata in seno al Consiglio e il processo di codecisione del Parlamento europeo consentiranno di adottare norme di maggiore qualità.

4.1.4.2

Il piano d'azione prevede di valutare, nel 2007, il recepimento e l'applicazione degli strumenti già esistenti in materia di asilo. Tale valutazione è di certo indispensabile, viste le disparità che si registrano nel recepimento e nell'attuazione delle direttive in vigore (protezione temporale, norme minime di accoglienza, Dublino II, ecc.). Detta valutazione dovrà tener conto dell'esigenza di applicare gli strumenti in vigore conformemente agli obblighi derivanti dalle convenzioni internazionali sui diritti umani e dalla Convenzione di Ginevra del 1951.

4.1.4.3

Per quanto concerne i nuovi strumenti previsti, il CESE giudica positivi tutti i passi avanti in materia di coordinamento delle procedure di asilo tra Stati membri, l'elaborazione dello status di residente di lungo periodo per i rifugiati, la valutazione dell'applicazione del Fondo europeo per i rifugiati, ecc.

4.1.4.4

Tuttavia, non è giusto pretendere che le richieste di asilo vengano presentate al di fuori delle frontiere comunitarie. Il CESE approva l'idea che l'UE promuova nei paesi terzi il miglioramento degli standard di protezione umanitaria ma questo non deve limitare né ostacolare il diritto, riconosciuto a livello internazionale, delle persone che hanno bisogno di protezione di accedere al territorio dell'UE per presentare la loro richiesta.

4.1.5   Immigrazione legale e procedure di ammissione

4.1.5.1

Sono passati cinque anni dal Consiglio europeo di Tampere, eppure non è stato ancora raggiunto l'obiettivo fissato: dare all'Europa una politica comune in materia di immigrazione. L'Europa è andata avanti per la sua strada, la Commissione ha elaborato numerose proposte politiche e legislative, anche il Parlamento ha adottato diverse risoluzioni e iniziative, ma tutto questo non è stato preso adeguatamente in considerazione dal Consiglio. Il CESE ha collaborato attivamente con la Commissione e il Parlamento, elaborando una serie di pareri affinché l'Unione disponesse di una politica comune e di una legislazione armonizzata.

4.1.5.2

La politica comune europea in materia di immigrazione deve avere aspetti positivi per tutti:

per le persone che entrano nell'UE, affinché trovino opportunità e ricevano un giusto trattamento,

per le società europee di accoglienza,

per lo sviluppo dei paesi di origine degli immigrati.

4.1.5.3

Nei prossimi anni, gli europei avranno bisogno del contributo di nuovi immigrati allo sviluppo economico e sociale (11). Dalla situazione demografica emerge che la strategia di Lisbona può fallire se non interviene una modifica delle politiche in materia di immigrazione. È necessario disporre di politiche attive per l'ammissione sia dei lavoratori altamente qualificati sia di quelli meno qualificati. Anche se ciascuno Stato ha le proprie necessità e caratteristiche, in tutti i paesi mancano strumenti politici e legislativi che permettano ai nuovi immigrati di accedere legalmente, mantenendo l'equilibrio sui mercati del lavoro.

4.1.5.4

L'atteggiamento di alcuni governi decisi a porre il veto in seno al Consiglio dell'Unione alle proposte legislative della Commissione mantenendo le politiche restrittive precedenti è difficilmente comprensibile. Nel frattempo cresce l'economia sommersa e l'occupazione illegale, che sono il vero «richiamo» degli immigrati clandestini. In mancanza di una legislazione comune europea, gli Stati membri stanno adottando nuove norme in base ad approcci politici ben diversi tra loro, il che aggiunge ulteriori problemi alla necessaria armonizzazione. Questi diversi approcci politici, insieme alle divergenze di carattere legislativo, provocano confusione e incertezza tra i cittadini.

4.1.5.5

Il Consiglio dell'Unione europea deve rinunciare alla regola dell'unanimità e adottare le sue decisioni a maggioranza qualificata e mediante codecisione del Parlamento. Solo in questo modo si potrà elaborare una normativa di qualità. Questo cambiamento deve essere effettuato con urgenza, prima dello studio delle nuove proposte legislative. La legislazione che sarà adottata dovrà avere un elevato grado di armonizzazione. Una normativa europea minima, che delega gli aspetti essenziali alle leggi nazionali, prolungherà nel futuro i problemi attuali.

4.1.5.6

Per le nuove norme in materia di ammissione, è meglio stabilire un quadro legislativo globale e orizzontale piuttosto che norme settoriali (12). La proposta di direttiva in materia, elaborata a suo tempo dalla Commissione e sostenuta dal Comitato con alcune modifiche (13), continua ad essere una buona proposta legislativa. In via complementare, si possono elaborare norme specifiche per disciplinare questioni settoriali o condizioni particolari. La scelta da parte del Consiglio dell'Unione europea di un approccio settoriale solo per quanto concerne l'ingresso degli immigrati altamente qualificati, non servirebbe a risolvere i problemi di gran parte dell'immigrazione e inoltre avrebbe carattere discriminatorio. Questa opzione può risultare più facile per il Consiglio ma non risponde alle necessità europee.

4.1.5.7

Il progetto di Trattato costituzionale stabilisce il limite di una legislazione comune, che consiste nel diritto degli Stati membri di fissare il numero di immigrati che possono essere ammessi sul loro territorio. Questo limite non è un ostacolo al raggiungimento di un elevato livello di armonizzazione legislativa. È piuttosto uno stimolo a far sì che la gestione nazionale delle migrazioni economiche avvenga mediante procedure trasparenti. L'autorità competente per il rilascio dei permessi di lavoro e di soggiorno sarà quella di ciascuno Stato membro nel quadro della normativa comunitaria. In questo modo, ciascuno Stato potrà decidere, in collaborazione con le parti sociali, qual è il profilo di immigrati che necessita (se persone altamente o poco qualificate, se per l'industria, l'agricoltura, l'edilizia o i servizi, o per tutti questi settori).

4.1.5.8

L'immigrazione per motivi economici è in stretta relazione con i mercati del lavoro, il che rende necessario un adeguato coinvolgimento degli interlocutori sociali nell'elaborazione e nella gestione di dette politiche.

4.1.5.9

Solo quando l'Unione europea disporrà di una legislazione comune per l'ingresso dei cittadini dei paesi terzi per motivi di lavoro, vi sarà una maggiore cooperazione tra tutti gli Stati membri nella gestione dei flussi migratori e una maggiore trasparenza nelle procedure.

4.1.5.10

Le procedure di ammissione dovranno seguire due approcci distinti: la prova delle necessità economiche e un permesso temporaneo per la ricerca di un lavoro, di una durata che varia tra sei mesi e un anno, che sarà gestito da ciascuno Stato membro in collaborazione con le parti sociali.

4.1.5.11

Le persone che arrivano in Europa dovranno beneficiare di un trattamento equo. La normativa comunitaria di ammissione deve comprendere i diritti degli immigrati. La legislazione in materia di immigrazione deve rispettare le convenzioni internazionali dei diritti umani, le norme dell'OIL e la Carta dei diritti fondamentali dell'UE. Conformemente alle direttive antidiscriminazione, i lavoratori immigrati godranno degli stessi diritti economici, professionali e sociali (compresa la previdenza sociale) dei lavoratori comunitari.

4.1.5.12

La direttiva concernente lo status di residenti di lungo periodo prevede maggiori diritti in termini di sicurezza dello status e di mobilità all'interno dell'Unione. Il CESE ha proposto che tali persone godano anche dei diritti di cittadinanza. Il Comitato ha elaborato un parere d'iniziativa destinato alla Convenzione nel quale ha proposto di concedere la cittadinanza dell'Unione ai cittadini di paesi terzi che risiedono in modo stabile o che hanno lo status di residenti di lungo periodo.

4.1.5.13

È indispensabile migliorare la cooperazione con i paesi di origine, non solo per evitare l'immigrazione illegale ma anche per far sì che l'immigrazione diventi un fattore di sviluppo economico e sociale di questi paesi. Il CESE condivide le parole formulate un anno fa dal Segretario generale dell'ONU Kofi Annan il quale, in visita al Parlamento europeo, ha proposto che la questione delle migrazioni formi parte dell'agenda della comunità internazionale, partendo da un approccio multilaterale.

4.1.5.14

Il CESE ha elaborato un parere d'iniziativa (14) in cui invita gli Stati membri dell'Unione europea a sottoscrivere la Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei loro famigliari, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1990 ed entrata in vigore nel 2003. La Convenzione non è stata tuttavia ratificata dagli Stati membri dell'UE.

4.1.5.15

La politica comune in materia di immigrazione auspicata dal CESE va al di là della legislazione relativa all'ammissione degli immigrati. È necessario mettere a punto un metodo comunitario di coordinamento per migliorare:

la lotta all'economia sommersa e all'occupazione illegale,

i controlli alle frontiere e la lotta contro le reti criminali dedite alla tratta di esseri umani,

le politiche di integrazione, su cui il CESE ha elaborato diverse proposte.

4.1.5.16

È sbagliato ritenere che gli immigrati resteranno in Europa come ospiti temporanei. Alcuni di essi rientreranno spontaneamente nel loro paese di origine, altri invece stabiliranno la loro residenza in Europa per un lungo periodo se non a tempo indeterminato. Nel 2002, il CESE ha organizzato un convegno sull'integrazione, affinché diventi un aspetto fondamentale della nuova politica europea in materia di immigrazione. Nelle conclusioni di tale convegno, cui hanno preso parte numerosi esperti, le parti sociali e le principali ONG dei 25 Stati membri, è stato proposto alla Commissione europea un programma a favore dell'integrazione.

4.1.5.17

Il CESE è lieto che la Commissione europea abbia proposto un quadro europeo per l'integrazione e che il Programma dell'Aia contenga alcuni obiettivi in tal senso. Anche le prospettive finanziarie 2007-2013 prevedono importanti risorse per le politiche d'integrazione, cosa che il Comitato condivide pienamente.

4.1.5.18

L'integrazione (15) è un processo a doppio senso tra la società di accoglienza e gli immigrati. Ma sono i governi, gli enti locali e regionali e l'Unione europea a disporre dei necessari strumenti politici e finanziari.

4.1.5.19

Un programma a favore dell'integrazione degli immigrati deve comprendere, tra gli altri, i seguenti aspetti:

l'accoglienza iniziale: informazione e consulenza, insegnamento della lingua e delle usanze locali,

l'integrazione sul lavoro basata sulla parità di trattamento. A tale proposito è fondamentale il ruolo delle parti sociali e per tale motivo è stato raccomandato agli interlocutori sociali europei di introdurre questo approccio nell'agenda del dialogo sociale,

l'accesso indiscriminato all'istruzione,

l'integrazione nei centri urbani, evitando la segregazione in ghetti malfamati. A tal fine risulta necessario un nuovo impegno politico da parte degli enti locali e regionali,

l'accesso all'assistenza sanitaria e agli altri servizi pubblici su un piede di parità,

il carattere multiculturale della nuova società europea; le identità culturali non devono essere utilizzate a fini segregazionisti e xenofobi.

4.1.5.20

Le direttive antidiscriminazione già adottate sono eccellenti strumenti giuridici ma non risolvono tutti i problemi. È necessario disporre di politiche attive e che vi sia un nuovo impegno da parte della società civile, la quale ha il dovere di promuovere atteggiamenti sociali favorevoli all'integrazione. Il CESE continuerà a promuovere il dialogo tra le organizzazioni della società civile e per tale motivo nei prossimi mesi intende elaborare un nuovo parere d'iniziativa per invitare gli enti locali e regionali ad assumersi un nuovo impegno a favore dell'integrazione.

4.1.6   Lotta contro l'immigrazione illegale

4.1.6.1

Il Programma dell'Aia inquadra la lotta contro l'immigrazione illegale nel capitolo relativo ai controlli delle frontiere. Il CESE ha già espresso il suo parere favorevole alla creazione dell'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere (16), alla creazione a medio termine di una Guardia europea di frontiera e al miglioramento del coordinamento tra le relative autorità nazionali. L'obiettivo è duplice: da un lato rendere più efficace la lotta contro le reti criminali dedite al traffico e alla tratta di esseri umani, dall'altro prestare attenzione all'aspetto umanitario e offrire un giusto trattamento alle persone.

4.1.6.2

Il CESE dà il proprio sostegno agli strumenti messi in atto dall'Unione europea per lottare contro il traffico e la tratta di esseri umani. Si segnalano a tale proposito la direttiva volta a definire il favoreggiamento dell'ingresso, del transito e del soggiorno illegali (17), la decisione quadro sulla lotta alla tratta di esseri umani (18) e la direttiva riguardante il titolo di soggiorno da rilasciare alle vittime che cooperano con le autorità competenti. (19) Pur criticando determinati aspetti di tali strumenti giuridici, il CESE ne ha sostenuto l'approccio globale.

4.1.6.3

Per prevenire l'immigrazione illegale è tuttavia necessario agire anche in altri settori. È indispensabile ad esempio offrire agli immigrati procedure di ammissione legali, trasparenti e flessibili. Inoltre bisogna lottare contro l'economia sommersa e l'occupazione irregolare, impedendo lo sfruttamento sul lavoro cui frequentemente sono soggetti molti immigrati in situazione irregolare.

4.1.6.4

È infine necessario migliorare la cooperazione con i paesi vicini e con quelli di transito per prevenire l'immigrazione illegale e lottare contro la tratta di esseri umani.

4.2   Rafforzare la sicurezza

4.2.1

Il Programma dell'Aia ha stabilito che «la sicurezza dell'Unione europea e dei suoi Stati membri ha assunto un nuovo carattere di urgenza soprattutto alla luce degli attentati terroristici dell'11 settembre 2001 negli Stati Uniti e dell'11 marzo 2004 a Madrid». Il Programma propone un'azione coordinata più efficace per far fronte ai problemi comuni che sorgono tra una frontiera e l'altra, facendo in particolar modo attenzione al settore della sicurezza.

4.2.2

La strategia europea in materia di sicurezza del 12 dicembre 2003 (20), che definisce il ruolo e la responsabilità dell'UE nel nuovo contesto di sicurezza globale, vede nel terrorismo una delle principali minacce del nostro secolo. La strategia ha inoltre segnalato il legame indissolubile che esiste tra gli aspetti interni e quelli esterni della sicurezza in una Europa caratterizzata da frontiere esterne comuni, dalla mancanza di frontiere interne e dalla libera circolazione delle persone.

4.2.3

Il terrorismo minaccia le basi stesse della democrazia e dello Stato di diritto: i diritti umani e le libertà pubbliche dei cittadini, compreso il diritto alla vita. Un'azione concordata a livello europeo è davvero indispensabile. Affinché le libertà e i diritti possano essere pienamente goduti, l'Unione europea deve garantire un elevato livello di sicurezza. In base all'articolo 29 del Trattato sull'UE, l'Unione ha l'obbligo di fornire ai cittadini un livello elevato di sicurezza in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia. Nessuno Stato può far fronte con le sue uniche forze al fenomeno denominato «terrorismo». La cooperazione e il coordinamento a livello europeo contro la delinquenza e la criminalità organizzata devono essere potenziati attraverso la definizione di una strategia comune.

4.2.4

Gli attentati di Londra del luglio 2005 hanno messo ancora una volta in risalto una delle principali sfide del nostro tempo: come prevenire e combattere con efficacia il terrorismo rispettando pienamente i diritti fondamentali e le libertà pubbliche e potenziando la democrazia e lo Stato di diritto.

4.2.5

Nella sessione straordinaria del 13 luglio 2005, il Consiglio europeo ha adottato una dichiarazione che rappresenta la risposta europea agli attentati di Londra, in cui si sottolinea l'urgenza di accelerare l'applicazione del piano d'azione dell'UE contro il terrorismo, adottato il 21 settembre 2001. Un gran numero di iniziative legislative presentate nella dichiarazione hanno ricevuto critiche da parte del Parlamento europeo, delle ONG e della società civile. Tali critiche erano dovute alla loro dubbia compatibilità con i principi di legittimità, proporzionalità ed efficacia. (21)

4.2.6

Vi sono numerosi fattori che ostacolano l'efficacia di una strategia comune in materia di sicurezza a livello europeo: la scarsa adeguatezza del quadro giuridico all'interno del quale vengono elaborate dette politiche; l'esclusione del Parlamento europeo e della Corte di giustizia delle Comunità europee; la complessità di fenomeni quali il terrorismo internazionale e la criminalità organizzata in quanto a radici, cause e operatività; la scarsa volontà, da parte di alcuni Stati membri, di riconoscere e analizzare le particolarità; la mancanza di una definizione comune a livello europeo e internazionale di cosa sia il terrorismo; l'assenza di fiducia reciproca tra le autorità di polizia e giudiziarie degli Stati membri.

4.2.7

L'attuazione di politiche di sicurezza che non tengano conto nella giusta misura del rispetto dei diritti umani rischia di indebolire l'efficacia della lotta al terrorismo.

4.2.8

Una delle principali lacune della cooperazione europea in materia di sicurezza è dovuta al fatto che tali politiche continuano a restare al di fuori del quadro comunitario, essendo elaborate principalmente in base al metodo intergovernativo (terzo pilastro dell'UE). Il ruolo dell'Unione europea risulta di conseguenza assai limitato. Questo implica una serie di effetti negativi, ad esempio una mancanza di efficacia (in gran parte a causa del ricorso alla regola dell'unanimità) e di trasparenza nel processo decisionale, e l'esclusione del Parlamento europeo e della Corte di giustizia delle Comunità europee. La competenza della Corte di giustizia nell'ambito del terzo pilastro deve essere accettata dagli Stati membri attraverso un'apposita dichiarazione (22).

4.2.9

Un chiaro esempio del fatto che le questioni di «libertà, sicurezza e giustizia» continuano ad essere affrontate in un ambito essenzialmente governativo è il Trattato di Prüm (o Schengen II) relativo al potenziamento della cooperazione transfrontaliera, soprattutto in materia di lotta al terrorismo, criminalità transfrontaliera e immigrazione illegale, del 27 maggio 2005. Tale Trattato è stato negoziato e adottato esclusivamente da sette Stati membri (23). Il processo decisionale è stato caratterizzato da una mancanza di trasparenza, nonostante le politiche e i temi affrontati fossero di capitale importanza (24).

4.2.10

Questo tipo di cooperazione, esclusivamente intergovernativa, indebolisce il progetto europeo e lo spazio comune di libertà, sicurezza e giustizia nel suo complesso, e inoltre significa «meno Europa». È necessario promuovere e garantire «più Europa» in questi settori politici attraverso l'uso del metodo comunitario e un quadro istituzionale adeguato. Il meccanismo comunitario offre un approccio e un sistema più integrati, efficaci, globali e coerenti per far fronte alle sfide del nostro tempo.

4.2.11

La partecipazione del Parlamento europeo al processo decisionale e l'assegnazione alla Corte di giustizia delle Comunità europee di una competenza generale su tali politiche svolgerebbe un ruolo fondamentale per il rispetto dei valori democratici e dello Stato di diritto. È necessario un controllo parlamentare e giurisdizionale di tutti gli atti giuridici in materia di sicurezza adottati e proposti nell'ambito del terzo pilastro dell'UE, nonché delle attività e delle operazioni condotte dalle varie agenzie create a livello europeo (Europol, Eurojust, Accademia europea di polizia — CEPOL, Task Force dei capi della polizia, Agenzia europea per la cooperazione alle frontiere, ecc.).

4.2.12

La sicurezza è la questione principale nell'ambito del Programma dell'Aia e costituisce l'obiettivo strategico fondamentale dello spazio di libertà, sicurezza e giustizia per i prossimi cinque anni. La dimensione «sicurezza» è stata inserita anche nei capitoli del Programma relativi alla libertà e alla giustizia. È così che al punto «Rafforzare la libertà» sono stati per sbaglio inclusi argomenti quali: la lotta contro l'immigrazione illegale, gli identificatori biometrici e l'informazione (sviluppo e sinergia delle banche dati), le politiche di rimpatrio e di riammissione, l'intensificazione dei controlli alle frontiere, le politiche dei visti, ecc.

4.2.13

Il Programma dell'Aia inoltre considera prioritaria una più efficace e adeguata applicazione e valutazione delle misure esistenti in materia di libertà, sicurezza e giustizia (25). L'esigenza di disporre di una legislazione di qualità impone di effettuare, prima che venga elaborata e promossa qualsiasi politica relativa a uno di questi tre settori, un'analisi particolareggiata sull'efficacia, la proporzionalità e la legittimità di tali misure.

4.2.14

È necessario un quadro legislativo chiaro e coerente che garantisca l'assoluta protezione dei dati personali e il controllo giudiziario e parlamentare. Il Comitato valuta positivamente la proposta della Commissione europea di consentire ai suoi servizi di effettuare un controllo sistematico, costante e rigoroso (valutazione dell'impatto) del rispetto della Carta dei diritti fondamentali nell'ambito di ogni proposta legislativa (26). Questo tuttavia dovrebbe avvenire anche nella versione finale delle misure adottate dal Consiglio. L'equilibrio tra il rispetto del diritto alla privacy, la protezione dei dati (libertà) — ad esempio l'articolo 8 della Convenzione europea sui diritti umani e le libertà fondamentali e la direttiva 95/46 (27) — e la sicurezza nel corso dello scambio d'informazioni tra le autorità di polizia o altri servizi di sicurezza, deve essere garantito in tutte le fasi del processo decisionale e dell'applicazione pratica.

4.2.15

Un allargamento delle funzioni dell'Agenzia europea per i diritti fondamentali agli aspetti relativi al Terzo pilastro dell'UE (Titolo VI del Trattato sull'UE) rappresenterebbe un elemento chiave per salvaguardare un giusto equilibrio tra libertà, sicurezza e giustizia nella politiche elaborate dall'Unione (28).

4.2.16

Il Programma dell'Aia attribuisce una grande importanza ad una serie di misure relative al terrorismo, destinate essenzialmente a potenziare lo scambio d'informazioni circa l'esistenza di minacce alla sicurezza interna ed esterna tra i servizi di intelligence e di sicurezza degli Stati membri, alla lotta contro il finanziamento al terrorismo, all'analisi strategica della minaccia terrorista da parte dei servizi di intelligence, di sicurezza ed Europol, alla protezione delle infrastrutture di base e alla gestione delle conseguenze.

4.2.17

Uno degli elementi più innovativi del Programma dell'Aia e contenuti al capitolo «Rafforzare la sicurezza» è il principio della disponibilità dell'informazione. Quest'ultimo definisce un nuovo approccio per il miglioramento dello scambio d'informazioni a livello trasfrontaliero tra le forze di polizia dell'UE e si basa sulla facoltà di un funzionario di polizia di uno Stato membro di ottenere da un altro Stato membro tutte le informazioni necessarie per portare a termine le sue indagini (29). L'esatto contenuto, l'impatto reale, l'ambito di applicazione e le modalità di attuazione di questo principio rivoluzionario non sono affatto chiari per il momento. Perché sia operativo, occorrerà un elevato livello di fiducia reciproca tra le autorità di polizia dei rispettivi paesi. La mancanza di fiducia è stata infatti uno degli elementi che finora ha ostacolato in maniera decisiva la cooperazione sul piano europeo. È necessario potenziare la cooperazione tra le agenzie, le istituzioni e gli operatori dell'Unione europea responsabili in materia di sicurezza, libertà e giustizia. Bisogna inoltre garantire il controllo giudiziario sul funzionamento del principio di disponibilità e sulle attività che esso comporta nella pratica. Il CESE approva la proposta della Commissione europea relativa alla protezione dei dati personali trasmessi nel quadro della cooperazione tra le forze di polizia e le autorità giudiziarie (30).

4.2.18

Il CESE auspica un'adeguata cooperazione tra le agenzie europee nei settori della libertà, della sicurezza e della giustizia. Il Programma dell'Aia è favorevole ad una cooperazione e ad un coordinamento pratico intenso tra le autorità di polizia, giudiziarie e doganali degli Stati membri e tra questo ed Europol. Gli Stati membri devono promuovere Europol in quanto agenzia europea assegnandogli la capacità di svolgere, accanto ad Eurojust, un ruolo decisivo nella lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata. È inaccettabile che i protocolli che modificano la Convenzione Europol non siano stati ancora ratificati e applicati da tutti gli Stati membri. La questione riveste una particolare urgenza al fine di dare ad Europol il sostegno e i mezzi necessari per essere davvero il fondamento della cooperazione tra le forze di polizia europee. Prima di ridefinire le competenze di Europol, gli Stati membri devono avere la certezza del suo valore aggiunto ed essere convinti della necessità di cooperare totalmente con detta agenzia. Il Programma precisa inoltre che a partire dal 1o gennaio 2006, Europol sostituirà le sue relazioni annuali sulla situazione in materia di criminalità nell'Unione europea con «valutazioni della minaccia» sulle forme gravi di criminalità organizzata. Questa maggiore importanza pratica del ruolo svolto da Europol deve essere accompagnata da una valutazione democratica e completa delle sue attività. Il Parlamento europeo, i parlamenti nazionali e la Corte di giustizia delle Comunità europee devono avere una funzione chiave nel controllo democratico e giurisdizionale delle sue attività.

4.2.19

Altri settori che hanno assunto carattere prioritario nell'agenda politica sono quelli relativi ai sistemi biometrici e d'informazione. La commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni del Parlamento europeo (31) e le organizzazioni che lottano per i diritti umani hanno costantemente criticato l'incompatibilità della maggior parte di queste misure con i principi di legittimità, proporzionalità ed efficacia. Questa tesi è avvalorata dalla mancanza di adeguate garanzie e di risorse giuridiche efficaci per il loro sviluppo. A prescindere dalle critiche formulate su questi strumenti, la dichiarazione adottata in seduta straordinaria il 13 luglio 2005, concernente la risposta dell'Unione europea agli attentati di Londra, ha messo in luce la necessità di adottarli quanto prima (32).

4.2.20

Il Programma dell'Aia assegna chiaramente la priorità alla definizione di meccanismi di valutazione delle politiche esistenti. Prima di adottare iniziative è necessario effettuare un'analisi particolareggiata e indipendente sulla loro efficacia, valore aggiunto, proporzionalità e legittimità (rispetto dei diritti umani e delle libertà pubbliche). In nome della lotta al terrorismo non si può elaborare una politica che abbia conseguenze irrimediabili sulla protezione della libertà e della democrazia e che di conseguenza crei ulteriore insicurezza in tutti i cittadini.

4.2.21

Per quanto concerne le misure per combattere i finanziamenti al terrorismo e il riciclaggio dei capitali da parte della criminalità organizzata, è necessario adottare il giusto approccio e recepire gli atti giuridici che consentano di controllare con maggiore efficacia quei flussi finanziari di cui si sospetta che possano finanziare attività criminali, specie nell'ambito della lotta al riciclaggio di denaro sporco (33).

4.2.22

Recentemente la Commissione europea ha proposto un codice di buone pratiche destinate ad impedire l'uso delle ONG per finanziare organizzazioni criminali. Il CESE approva l'avvio, da parte della Commissione, di un processo di consultazione con la società civile e le ONG su questo tema ed esprime la sua preoccupazione per le affermazioni ingiuste della Commissione circa i rapporti tra ONG e terrorismo, in quanto creano confusione e comportano un'ipotesi non corretta. Le ONG e la società civile organizzata svolgono un ruolo fondamentale nella lotta al terrorismo e alla criminalità organizzata (34).

4.2.23

Conformemente alla strategia europea in materia di sicurezza e seguendo la priorità accordata allo sviluppo di una dimensione esterna coerente della politica di sicurezza, il Programma dell'Aia considera lo sviluppo di un dispositivo integrato e coordinato in materia di gestione delle crisi interne all'Unione europea con ripercussioni transfrontaliere, da attuare entro il 1o luglio 2006, un complemento fondamentale di detta strategia. Tale dispositivo dovrebbe includere la valutazione delle capacità di ciascuno degli Stati membri in materia di raccolta, formazione, esercizi comuni e programmi operativi nel campo della gestione civile delle crisi. Prima della fine del 2005, la Commissione europea presenterà una proposta di decisione volta a creare un sistema di allarme rapido generale (ARGUS) e un centro di crisi che porti a termine il coordinamento dei sistemi di allarme già esistenti nonché una proposta volta a istituire una rete d'informazione sugli allarmi relativi alle infrastrutture critiche.

4.2.24

Il CESE ritiene che l'UE debba adottare un nuovo approccio per la strategia comune in materia di sicurezza, affinché sia valida, efficace, legittima e proporzionale. Le diverse forme di terrorismo richiedono diverse soluzioni e strumenti specifici, orientati alle caratteristiche dell'azione criminale.

4.2.25

È inoltre necessario studiare a fondo le basi del fenomeno della radicalizzazione violenta dei gruppi vulnerabili e i processi di reclutamento dei terroristi, onde evitarne lo sviluppo. Inoltre, questo deve accompagnarsi all'impulso e alla volontà politica di favorire il dialogo costante e aperto tra le varie religioni e culture, e ad una lotta contro l'intolleranza, il razzismo, la xenofobia e l'estremismo violento.

4.2.26

Il Comitato invita la Commissione a valutare la possibilità di includere il terrorismo tra i crimini di competenza del Tribunale penale internazionale.

4.3   Potenziamento della giustizia

4.3.1

Conformemente ai principi sostenuti nelle conclusioni del Consiglio europeo di Tampere del 1999, il Programma dell'Aia assegna la priorità alla creazione di uno spazio comune di giustizia in Europa che si basi sul riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie e sull'accesso alla giustizia.

4.3.2

In diversi ambiti (35) è stata messa in risalto la necessità di potenziare la fiducia reciproca tra le diverse autorità giudiziarie e i vari ordinamenti giuridici. È una delle condizioni fondamentali per lo sviluppo di una cooperazione in materia di giustizia civile e penale. Le autorità giudiziarie e in generale tutti gli organi che partecipano al processo giurisdizionale devono considerare le decisioni adottate dalle autorità di altri Stati membri equivalenti alle loro. Essi non devono mettere in questione la competenza e la qualità giudiziaria né il rispetto del diritto ad un giusto processo. La mancanza di fiducia, le differenze tra i sistemi giuridici di ciascuno Stato membro, a livello sia penale che civile, e la non conoscenza completa e reciproca dei rispettivi sistemi continuano tuttavia ad ostacolare una visione transfrontaliera di queste politiche e il consolidamento della cooperazione giudiziaria su scala europea.

4.3.3

Il Programma dell'Aia è favorevole allo sviluppo di una «cultura giudiziaria europea» basata sulla diversità dei sistemi e delle tradizioni giuridiche esistenti a livello nazionale. Il Programma chiede inoltre un maggiore impegno a facilitare l'accesso alla giustizia e a portare avanti la cooperazione giudiziaria in quanto tale. Dal programma infine emerge che la fiducia reciproca (36) deve basarsi sulla certezza che tutti i cittadini europei hanno accesso ad un sistema giudiziario rispondente a livelli di qualità elevati (37).

4.3.4

Contrariamente al Programma pluriennale definito a Tampere, lo spirito del Programma dell'Aia è, in linea di massima, meno ambizioso. Invece di presentare un gran numero di misure e proposte giuridiche nuove, assegna una maggiore importanza alla creazione di un sistema di valutazione obiettivo e imparziale e all'applicazione di misure già esistenti relative alla giustizia, nel rispetto dell'autonomia del potere giudiziario.

4.3.5

Oltre alla mancanza di fiducia reciproca tra le autorità giudiziarie degli Stati membri, un altro punto debole significativo della cooperazione giudiziaria in materia penale è quello di essere inserita nel Terzo pilastro dell'UE e, di conseguenza, di restare al di fuori della competenza comunitaria (metodo comunitario). Il ruolo dell'UE è dunque abbastanza limitato, il che implica una serie di effetti negativi, ad esempio scarsa efficacia e trasparenza, esclusione del Parlamento europeo dal processo legislativo, e mancanza di competenza generale da parte della Corte di giustizia delle Comunità europee. Nel quadro del Terzo pilastro, gli Stati membri devono accettare, attraverso un'apposita dichiarazione, la competenza della Corte per quanto concerne l'interpretazione e la validità delle politiche elaborate.

4.3.6

Sempre per quanto riguarda la cooperazione giudiziaria in materia penale, la priorità è stata attribuita a misure destinate alla realizzazione di detto principio (sicurezza) a scapito della protezione dei diritti processuali minimi a livello europeo (libertà). Un buon esempio di questo squilibrio tra libertà e sicurezza è il mandato d'arresto europeo, che rappresenta la prima applicazione concreta in ambito penale del principio di riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie (38). Nonostante l'impatto diretto dell'«euromandato» sui diritti delle persone, tre anni dopo la sua adozione ancora non esiste un quadro legislativo parallelo che protegga i diritti processuali dei sospetti e degli imputati nei processi penali dell'UE.

4.3.7

Consapevole dell'esistenza di detta lacuna, nell'aprile 2004 la Commissione europea ha presentato al Consiglio una proposta di decisione quadro in materia di determinati diritti processuali in procedimenti penali sul territorio dell'Unione europea (2004/328). La decisione stabilisce norme minime comuni relative ai diritti processuali applicabili a tutti i procedimenti che si svolgono nell'UE e destinati a stabilire la colpevolezza o l'innocenza di una persona accusata di aver commesso un reato o a definire le conseguenze di un'ammissione di colpevolezza riguardo ad un'accusa penale. La decisione prevede inoltre qualsiasi tipo di ricorso che risulti da tali procedimenti (39). Nonostante alcune critiche ai limiti che la decisione presenta in materia di diritti processuali, la sua adozione rafforzerebbe la fiducia reciproca e la protezione dei diritti fondamentali dei cittadini, compreso il diritto ad un giusto processo. Il raggiungimento di un accordo politico in seno al Consiglio continua ad incontrare notevoli difficoltà. È inaccettabile che i rappresentanti degli Stati membri non pervengano ad un'intesa su questa iniziativa (40). Bisogna però fare in modo che la necessità urgente di raggiungere un accordo non giustifichi un'ulteriore riduzione del livello di protezione previsto dalla proposta per quanto attiene al pacchetto di diritti degli indagati e degli accusati nei processi penali.

4.3.8

Il mandato d'arresto europeo rappresenta un altro buon esempio della mancanza di fiducia reciproca e della complessità giuridica che spesso regna nell'UE quando si tratta di cooperare sul piano della giustizia penale e in materia di sicurezza. Oltre al difficile processo di recepimento della decisione quadro nella maggior parte degli Stati membri, gli atti che consentono di introdurre il mandato europeo nell'ordinamento giuridico nazionale sono stati oggetto di ricorso dinanzi alle corti costituzionali di Germania e Polonia per presunta incompatibilità con le rispettive norme costituzionali. La Corte costituzionale della Repubblica federale di Germania (Bundesverfassungsgericht) ha emesso in data 18 luglio 2005 (41) una sentenza che dichiara nulla la legge che introduce il mandato europeo nell'ordinamento giuridico tedesco, in quanto viola le garanzie costituzionali tedesche per l'impossibilità di presentare ricorso contro l'estradizione concessa dall'organo giurisdizionale.

4.3.9

La proposta di decisione quadro relativa al mandato europeo di ricerca delle prove, presentata dalla Commissione europea, forma parte anch'essa del complesso e macchinoso sistema di cooperazione giudiziaria nell'UE (42). La proposta prevede la sostituzione dell'attuale sistema di assistenza giudiziaria nell'Unione europea con il principio del reciproco riconoscimento. L'iniziativa introduce il «sequestro» europeo ai fini della raccolta di oggetti, documenti e altri dati da utilizzare nell'ambito di procedimenti penali. La proposta è stata apertamente criticata e giudicata prematura, in quanto ancora non esiste un quadro legislativo parallelo che offra una protezione giuridica reale dei diritti fondamentali.

4.3.10

La scarsa ambizione del Programma dell'Aia per quanto concerne la dimensione giustizia potrebbe essere compensata dal riconoscimento di una competenza generale della Corte di giustizia delle Comunità europee in questi settori di grande importanza per gli Stati membri. Nell'interpretare e sviluppare le politiche europee, la Corte ha quasi sempre adottato una posizione innovativa e proattiva. Per quanto attiene in modo specifico alla cooperazione in materia di polizia e giustizia penale, vale la pena di segnalare una delle sue sentenze più recenti e significative: quella relativa alla causa Pupino (C-105/03) del 16 giugno 2005 (43).

4.3.11

Per quanto concerne la cooperazione giudiziaria in materia civile, il Programma dell'Aia ribadisce la necessità che le frontiere tra gli Stati non siano d'ostacolo alla soluzione delle questioni di diritto civile, alle domande o all'esecuzione delle decisioni nei casi civili. È necessario eliminare gli ostacoli giuridici e giudiziari nelle controversie di carattere civile e familiare che abbiano ripercussioni a livello transfrontaliero, al fine di garantire la protezione e la realizzazione dei diritti dei cittadini. Nel Programma si afferma che occorre proseguire i lavori concernenti le controversie relative alla legge applicabile alle obbligazioni non contrattuali (Roma II) e alle obbligazioni contrattuali (Roma I), il procedimento europeo d'ingiunzione di pagamento e gli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie di minore entità.

4.3.12

Il consolidamento e il potenziamento della cooperazione in materia di riconoscimento reciproco nel campo del diritto processuale, di famiglia e di successione figurano anch'essi tra le priorità per i prossimi cinque anni. Questo è tuttavia un settore in cui le diverse tradizioni e culture giuridiche ostacolano la realizzazione di progressi reali e concreti verso uno spazio comune di giustizia. È dunque particolarmente importante studiare attentamente le diverse misure per promuovere la fiducia reciproca e l'idea di una cultura giudiziaria comune all'interno dell'UE (44).

4.3.13

Il Programma dell'Aia afferma quanto segue: «Perché sia efficace, la lotta contro la criminalità organizzata transfrontaliera e altre forme gravi di criminalità nonché contro il terrorismo richiede cooperazione e coordinamento delle indagini e, ove possibile, concentrazione delle azioni in seno all'Eurojust, in collaborazione con l'Europol». Il Consiglio deve adottare la «legge europea» relativa ad Eurojust tenendo presente tutti i compiti ad esso assegnati. Deve inoltre essere chiarita la relazione (cooperazione) tra Eurojust ed Europol.

Bruxelles, 15 dicembre 2005

La presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-marie SIGMUND


(1)  Programma dell'Aia: rafforzamento della libertà, della sicurezza e della giustizia nell'Unione europea.

(2)  Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo Il programma dell'Aia: dieci priorità per i prossimi cinque anni - Partenariato per rinnovare l'Europa nel campo della libertà, sicurezza e giustizia (COM(2005) 184 def.), Bruxelles, 10.5.2005.

(3)  Cfr. i pareri SOC/210, 211 e 212 (relatori: KING, LE NOUAIL MARLIERE e CABRA DE LUNA).

(4)  Programma dell'Aia, op.cit. Introduzione.

(5)  Comunicazione della Commissione Spazio di libertà, sicurezza e giustizia: bilancio del programma di Tampere e nuovi orientamenti (COM(2004) 401 def.), Bruxelles 2.6.2004.

(6)  È necessario considerare il fatto che la Danimarca, l'Irlanda e il Regno Unito hanno negoziato protocolli speciali che formano parte del Trattato di Amsterdam e che consentono loro di essere esonerati dalle politiche adottate conformemente al Titolo IV del Trattato CE.

(7)  Cfr. i pareri SOC/210, 211 e 212 (relatori: KING, LE NOUAIL MARLIERE e CABRA DE LUNA).

(8)  Cfr. la comunicazione della Commissione (COM(2002) 280 def.) in merito alla quale il CESE sta elaborando un parere (SOC/216).

(9)  Cfr. il parere sul tema Integrazione nella cittadinanza dell'Unione europea, GU C 208 del 3.9.2003 (relatore: PARIZA CASTANOS).

(10)  Cfr. a tale proposito i pareri elaborati dal CESE sul tema dell'asilo (da Tampere in poi).

(11)  Cfr. il parere in merito alla Comunicazione della Commissione su immigrazione, integrazione e occupazione (COM(2003) 336 def.) - GU C 80 del 30.3.2004 (relatore: PARIZA CASTANOS).

(12)  Cfr. il parere in merito al Libro verde sulla gestione della migrazione economica (COM(2004) 811 def.) GU C 286 del 17.11.2005 (relatore: PARIZA CASTANOS).

(13)  Cfr. il parere del CESE in merito alla Proposta di direttiva sulle condizioni di ingresso e di soggiorno (COM(2001) 386 def.) - GU C 80 del 3.4.2002 (relatore: PARIZA CASTANOS).

(14)  Cfr. il parere sul tema La Convenzione internazionale sui diritti dei lavoratori migranti - GU C 302 del 7.12.2004 (relatore: PARIZA CASTANOS).

(15)  Cfr. il parere sul tema Immigrazione integrazione e ruolo della società civiel organizzata, GU C 125 del 27.5.2002 (relatore: PARIZA CASTANOS) e il parere su Immigrazione, integrazione e occupazione, GU C 80 del 30.3.2004 (relatore: PARIZA CASTANOS).

(16)  Cfr. il parere in materia, GU C 108 del 30.4.2004 (relatore: PARIZA CASTANOS).

(17)  Direttiva 2002/90/CE del Consiglio del 28 novembre 2002.

(18)  Decisione quadro del Consiglio del 19 luglio 2002.

(19)  Direttiva 2004/81/CE del 29.4.2004.

(20)  Cfr. Strategia europea in materia di sicurezza - Un'Europa sicura in un mondo migliore, Bruxelles 12 dicembre 2003, Javier SOLANA, Alto rappresentante dell'UE in materia di politica estera e sicurezza comune.

(21)  Tra le altre si segnala la proposta della Repubblica francese, dell'Irlanda, del Regno di Svezia e del Regno Unito relativa ad un progetto di decisione quadro sulla conservazione dei dati trattati e immagazzinati nell'ambito della fornitura di servizi pubblici di comunicazione elettronica o dei dati trasmessi dalle reti pubbliche di comunicazione riguardo alla prevenzione, alle indagini, alla scoperta e al perseguimento dei reati penali, incluso il terrorismo 2004/8958 del 28 aprile 2004. La Commissione europea ha presentato una proposta parallela di direttiva relativa alla conservazione dei dati trattati in relazione alla fornitura di servizi pubblici di comunicazione elettronica, COM(2005) 438 def. del 21.9.2005, che offre maggiori garanzie della proposta intergovernativa e assicura la partecipazione del Parlamento europeo.

(22)  Cfr; l'articolo 35 del Trattato sull'Unione europea. Finora, solo i seguenti 14 Stati membri hanno accettato la competenza della Corte di giustizia nelle questioni relative al Terzo pilastro dell'UE: Repubblica federale di Germania, Austria, Belgio, Grecia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Svezia, Finlandia, Spagna, Portogallo, Italia, Francia, Repubblica ceca, Ungheria.

(23)  Belgio, Repubblica federale di Germania, Spagna, Francia, Lussemburgo, Paesi Bassi e Austria

(24)  Tra gli altri, le misure per prevenire attentati terroristici, le banche dati sul DNA, l'uso di guardie di sicurezza sui voli, l'assistenza transfrontaliera in caso di importanti eventi, crisi, catastrofi e incidenti gravi e il sostegno al rientro in patria degli immigrati illegali.

(25)  Decisione del Consiglio relativa all'istituzione di una rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale, 2001/470/CE del 28.5.2001, GU L 174 del 27.6.2001.

(26)  Comunicazione della Commissione: Il rispetto della Carta dei diritti fondamentali nelle proposte legislative della Commissione - Metodologia per un controllo sistematico e rigoroso (COM(2005) 172 def. del 27.4.2005.

(27)  Direttiva 95/46/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 24 ottobre 1995, relativa alla tutela delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati, GU L 281 del 23.10.1995.

(28)  Proposta di decisione del Consiglio che conferisce all'Agenzia per i diritti fondamentali il potere di svolgere le proprie attività nelle materie indicate nel titolo VI del Trattato sull'Unione europea - COM(2005) 280 def. del 30.6.2005, 2005/0125/CNS.

(29)  Il 12 ottobre 2005 la Commissione europea ha presentato una proposta di decisione quadro relativa allo scambio d'informazioni in virtù del principio di disponibilità (trad. provv.) - COM(2005) 490 def. del 12.10.2005.

(30)  Decisione quadro relativa alla protezione dei dati personali trasmessi.

(31)  Relazione in merito alla proposta della Repubblica francese, dell'Irlanda, del Regno di Svezia e del Regno Unito relativa ad un progetto di decisione quadro sulla conservazione dei dati trattati e immagazzinati nell'ambito della fornitura di servizi di comunicazione elettronici pubblici o dei dati trasmessi dalle reti pubbliche di comunicazione riguardo alla prevenzione, alle indagini, alla scoperta e al perseguimento dei reati penali, incluso il terrorismo, D (8958/2004 - C6-0198/2004-2004/0813 (CNS)), commissione per le libertà civili, la giustizia e gli affari interni, Parlamento europeo, relatore: Alexander NUNO ALVAO, 31.5.2005.

(32)  Tra queste proposte, che rappresentano uno sviluppo dell'acquis di Schengen, figurano, ad esempio: il miglioramento dell'interoperabilità e della sinergia tra le banche dati create dalla seconda generazione del Sistema di informazione Schengen (SIS II), il Sistema di informazione sui visti (VIS) e Eurodac, l'introduzione degli identificatori biometrici nei documenti di viaggio, i visti, i passaporti, i permessi di soggiorno e i sistemi d'informazione, la conservazione dei dati personali in collegamento con la fornitura di servizi pubblici di comunicazione elettronica per la scoperta, l'indagine e il perseguimento di attività terroriste, l'uso dei dati di passeggeri aerei (PNR) per motivi di sicurezza aerea con gli Stati Uniti, il Canada e l'Australia, la consultazione reciproca delle banche dati sul DNA e le impronte digitali, ecc.

(33)  Cfr. il parere del CESE in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose compreso il finanziamento del terrorismo, COM(2004) 448 def., GU C 267 del 27.10.2005 (relatore: SIMPSON).

(34)  Cfr. il progetto preliminare di parere della sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza in merito alla Proposta di decisione del Consiglio che istituisce il programma specifico Prevenzione, preparazione e gestione delle conseguenze in materia di terrorismo, per il periodo 2007-2013 (Programma generale «Sicurezza e tutela delle libertà»), SOC/212, relatore: CABRA DE LUNA, Bruxelles, 14 dicembre 2005.

(35)  Ad esempio il Codice doganale comunitario. Cfr. a tale proposito il regolamento (CEE) n. 2913/92 del Consiglio del 12.10.1992 che istituisce un Codice doganale comunitario.

(36)  Programma dell'Aia, op. Cit.1, paragrafo 3.2. «Rafforzare la fiducia reciproca».

(37)  Nel piano d'azione relativo all'applicazione del Programma, la Commissione afferma quanto segue: l'Unione deve prospettare non solo disposizioni relative alla competenza, al riconoscimento e al conflitto di leggi, ma altresì provvedimenti in grado di instaurare una reciproca fiducia fra Stati membri, creando norme procedurali minime e garantendo un elevato livello qualitativo dei sistemi giudiziari, in particolare per quel che riguarda l'equità di trattamento e il rispetto dei diritti della difesa.

(38)  Decisione quadro del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri, 2002/584/JAI, GU L 190 del 18.7.2002, pag. 1.

(39)  Proposta di decisione quadro del Consiglio in materia di determinati diritti processuali in procedimenti penali nel territorio dell'Unione europea, COM(2004) 328 def. del 28.4.2004.

(40)  La proposta prevede i seguenti diritti: assistenza legale, traduzione e interpretazione gratuite, un'assistenza particolare agli indagati che non siano in grado di comprendere o seguire l'evoluzione del procedimento, il diritto degli indagati stranieri a comunicare con le loro autorità consolari, l'obbligo di informare gli indagati dei loro diritti per iscritto (mediante un'apposita comunicazione). Cfr. gli articoli da 2 a 16 della proposta.

(41)  Sentenza del 18 luglio 2005, 2 BvR 2236/04, Bundesverfassungsgericht.

(42)  Proposta di decisione quadro del Consiglio relativa al mandato europeo di ricerca delle prove diretto all'acquisizione di oggetti, documenti e dati da utilizzare a fini probatori nei procedimenti penali, COM(2003) 688 def. del 14 novembre 2003, (CNS) 2003/0270.

(43)  L'oggetto della domanda di pronuncia pregiudiziale era l'interpretazione di alcuni articoli della decisione quadro 2001/220/GAI del 15 marzo 2001, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale. La sentenza è stata emessa al termine del processo contro la signora Pupino, insegnante di scuola materna in Italia, accusata di aver causato lesioni ad alunni minori di cinque anni. La sentenza relativa alla causa Pupino rappresenta un passo rivoluzionario nel processo di creazione di uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia in quanto, per la prima volta la Corte di giustizia riconosce apertamente l'effetto diretto delle «decisioni quadro» e afferma che il loro carattere vincolante impone agli organi giudiziari degli Stati membri l'obbligo di interpretare in maniera conforme il diritto nazionale. La Corte ha inoltre segnalato quanto segue: Sarebbe difficile per l'Unione adempiere efficacemente alla sua missione se il principio di leale cooperazione, che implica in particolare che gli Stati membri adottino tutte le misure generali o particolari in grado di garantire l'esecuzione dei loro obblighi derivanti dal diritto dell'Unione europea, non si imponesse anche nell'ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, che è del resto interamente fondata sulla cooperazione tra gli Stati membri. La relazione (e la compatibilità) tra questa sentenza della Corte di giustizia e la sentenza della Corte costituzionale tedesca che annulla la legge che recepisce il mandato d'arresto europeo è aperta ad interpretazione.

(44)  Cfr. il parere del Comitato economico e sociale in merito alla Proposta di decisione del Consiglio relativa alla creazione di una rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale (GU C 139 dell'11.5.2001) e il parere del Comitato economico e sociale in merito alla Iniziativa della Repubblica federale tedesca in vista dell'adozione del regolamento del Consiglio relativo alla cooperazione fra i giudici degli Stati membri nel settore dell'assunzione delle prove in materia civile e commerciale (GU C 139 dell'11.5.2001).


17.3.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 65/131


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alle seguenti proposte

Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 40/94 per quanto riguarda il mandato del presidente dell'Ufficio di armonizzazione a livello di mercato interno

Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 2100/94 per quanto riguarda il mandato del presidente dell'Ufficio comunitario delle varietà vegetali

Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 2007/2004 per quanto riguarda il mandato del direttore esecutivo e del vicedirettore esecutivo dell'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 2062/94 del Consiglio, relativo all'istituzione di un'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, per quanto riguarda il mandato del direttore

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1406/2002, che istituisce un'Agenzia europea per la sicurezza marittima, per quanto riguarda il mandato del direttore esecutivo

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1592/2002 per quanto riguarda il mandato del direttore esecutivo e dei direttori dell'Agenzia europea per la sicurezza aerea

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 881/2004, che istituisce un'Agenzia ferroviaria europea, per quanto riguarda il mandato del direttore esecutivo

Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1035/97, che istituisce un Osservatorio europeo dei fenomeni di razzismo e xenofobia, per quanto riguarda il mandato del direttore

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CEE) n. 1210/90, sull'istituzione dell'Agenzia europea dell'ambiente e della rete europea d'informazione e di osservazione in materia ambientale, per quanto riguarda il mandato del direttore esecutivo

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CEE) n. 337/75, relativo all'istituzione di un centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale, per quanto riguarda il mandato del direttore

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CEE) n. 1365/75, concernente l'istituzione di una Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, per quanto riguarda il mandato del direttore e del direttore aggiunto

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CEE) n. 1360/90, che istituisce una Fondazione europea per la formazione professionale, per quanto riguarda il mandato del direttore

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CEE) n. 302/93, relativo all'istituzione di un Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze, per quanto riguarda il mandato del direttore

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 178/2002 per quanto riguarda il mandato del direttore esecutivo dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 851/2004, con il quale si crea un Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie, per quanto riguarda il mandato del direttore

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 726/2004 per quanto riguarda il mandato del direttore esecutivo dell'Agenzia europea per i medicinali

COM(2005) 190 def. — 2005/0077(CNS) — 2005/0078(CNS) — 2005/0089(CNS) — 2005/0085(COD) — 2005/0086(COD) — 2005/0087(COD) — 2005/0088(COD) — 2005/0080(CNS) — 2005/0072(COD) — 2005/0073(COD) — 2005/0074(COD) — 2005/0075(COD) — 2005/0076(COD) — 2005/0081(COD) — 2005/0082(COD) — 2005/0083(COD)

(2006/C 65/23)

Il Consiglio, in data 17 giugno 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alle proposte di cui sopra.

Il 12 luglio 2005, l'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo ha incaricato la sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza di preparare i lavori in materia.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 15 dicembre 2005, nel corso della 442a sessione plenaria, ha nominato relatrice generale Agnes CSER e ha adottato il seguente parere con 93 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Sintesi delle proposte di regolamento

1.1

La Commissione europea ha elaborato una serie di proposte di regolamento per armonizzare le procedure di nomina dei direttori e direttori aggiunti delle agenzie, modificando tra gli altri il regolamento (CE) n. 2007/2004 del Consiglio.

Le proposte di modifica riguardano i regolamenti recanti creazione di 18 agenzie, e più precisamente alcune disposizioni relative alla nomina dei loro direttori e direttori aggiunti.

Le proposte di modifica non riguardano né il regolamento (CE) n. 2667/2000 del Consiglio relativo all'Agenzia europea per la ricostruzione né il regolamento (CE) n. 460/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio che istituisce l'Agenzia europea per la sicurezza delle reti e dell'informazione. Essi infatti, data la durata limitata di tali agenzie, non prevedono la possibilità di prorogare il mandato del direttore o del direttore aggiunto.

I regolamenti concernenti l'Agenzia europea delle sostanze chimiche e l'Agenzia comunitaria di controllo della pesca sono in fase di adozione. La Commissione prevede di presentare ulteriormente una proposta di modifica per un'armonizzazione delle loro disposizioni.

1.2

Le proposte di regolamento presentate apportano modifiche identiche ai preamboli di 18 regolamenti relativi ad altrettante agenzie.

La formula standard utilizzata per le modifiche precisa che l'agenzia è diretta da un direttore nominato su proposta della Commissione per un periodo di cinque anni che, sempre su proposta della Commissione e previa valutazione, può essere prorogato una volta per un periodo non superiore a cinque anni.

Nel corso della valutazione la Commissione esamina in particolare i risultati ottenuti nel primo mandato e il modo in cui sono stati raggiunti nonché i compiti e le esigenze dell'agenzia per gli anni successivi.

2.   Osservazioni generali

2.1

Il CESE accoglie favorevolmente le proposte di modifica dei regolamenti del Consiglio, elaborate dalla Commissione al fine di armonizzare le regole attualmente divergenti in materia di procedure di nomina e proroga del mandato di direttore esecutivo e di direttore aggiunto di 18 agenzie europee.

2.2

Il CESE approva e promuove l'obiettivo della Commissione di armonizzare tali procedure, in quanto consente di rendere la regolamentazione comunitaria più chiara e gestibile. Anche le attività delle agenzie europee risulteranno così più chiare e la loro gestione da parte della Commissione più semplice e uniforme.

La chiarezza e la semplificazione possono rivelarsi utili anche per i direttori esecutivi e i direttori aggiunti, in quanto rendono più evidenti le funzioni e le competenze delle agenzie operanti in diversi settori. In sede di applicazione delle norme giuridiche relative alle nomine e ai mandati, infatti, i regolamenti che istituiscono le diverse agenzie davano adito a confusione, dato che contenevano una serie di espressioni terminologiche diverse per quanto concerne ad esempio le nomine dei direttori esecutivi, dei direttori e dei direttori aggiunti, il rinnovo, la proroga o la continuazione del loro mandato oppure perché istituivano mandati di diversa durata.

3.   Osservazioni specifiche

3.1

Il CESE, pur approvando l'obiettivo perseguito dalla modifica dei regolamenti, fa osservare che tra le agenzie citate nella proposta e oggetto di modifica deve figurare anche la Fondazione europea per la formazione; il regolamento (CEE) n. 1360/90 del Consiglio stabilisce infatti, all'articolo 7, paragrafo 1, che «Il direttore della Fondazione è nominato dal consiglio d'amministrazione, su proposta della Commissione, per cinque anni; il suo mandato è rinnovabile.»

Nelle proposte di modifica ai regolamenti esistenti, la Commissione usa tuttavia sempre il verbo «prorogare» e mai «rinnovare».

3.2

Il CESE si rammarica che gli articoli del Trattato CE concernenti la nomina dei giudici, cui la Commissione fa cenno nella relazione al suo documento, più precisamente gli articoli 223 e 225, non siano citati in maniera esatta. In effetti, il giusto riferimento è all'articolo 224 e non all'articolo 225.

3.3

Il CESE esprime il proprio stupore constatando che il regolamento (CE) n. 2667/2000 del Consiglio relativo all'Agenzia europea per la ricostruzione, che fissa la durata del mandato di direttore a 30 mesi, e il regolamento (CE) n. 2068/2004 del Consiglio, che modifica il precedente regolamento e proroga l'attività di detta Agenzia di 30 mesi con termine al 31 dicembre 2006, non rientrano negli obiettivi di armonizzazione stabiliti.

3.4

Il CESE non capisce come mai la Commissione, che pure è spinta da un obiettivo di uniformazione, non metta in atto tale principio per quanto concerne la terminologia utilizzata per indicare le funzioni dirigenziali.

Richiama inoltre l'attenzione della Commissione sul fatto che creare un'agenzia tanto importante e costosa come l'Agenzia europea incaricata della sicurezza delle reti e dell'informazione per un periodo di soli cinque anni, non è realistico né accettabile. Tenendo conto che l'attività delle altre agenzie istituite per un periodo limitato è stata prorogata, e presumendo che questo varrà anche per detta agenzia, è meglio prepararsi sin d'ora ad una modifica dell'apposito regolamento in tal senso.

Gli obiettivi e le missioni dell'Agenzia europea incaricata della sicurezza delle reti e dell'informazione, fissati dal regolamento (CE) n. 460/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio del 10 marzo 2004, di per sé giustificano la raccomandazione del CESE.

3.5

Il CESE approva gli obiettivi di armonizzazione, chiarezza e semplificazione stabiliti dalla Commissione. Tuttavia non capisce come mai la stessa Commissione non abbia tenuto conto dell'articolo 27 (77) del capitolo 1 (assunzione) del Titolo III (carriera del funzionario) dello Statuto dei funzionari delle Comunità europee, che stabilisce quanto segue:

«Le assunzioni debbono assicurare all'istituzione la collaborazione di funzionari dotati delle più alte qualità di competenza, rendimento e integrità, assunti secondo una base geografica quanto più ampia possibile tra i cittadini degli Stati membri delle Comunità».

Le proposte della Commissione che modificano i regolamenti esistenti disattendono gravemente questo requisito in quanto, in base a considerazioni di bilancio, evitano la procedura del concorso ufficiale prevista dal Trattato CE. Nella relazione introduttiva del documento, la Commissione dimostra di aver scelto deliberatamente di non indire concorsi ufficiali adducendo il pretesto che è più opportuno agire in altro modo.

Per il CESE è inammissibile che vengano elusi i requisiti previsti dal Trattato e dallo Statuto dei funzionari delle Comunità europee in quanto è molto probabile che in questo modo i cittadini dei dieci nuovi Stati membri siano esclusi dagli incarichi di direttore, direttore aggiunto o direttore esecutivo di un'agenzia.

Il CESE è contrario a che gli organismi competenti abbiano la possibilità di scegliere tra una proroga del mandato e l'avvio di una nuova procedura di assunzione.

Secondo il Comitato, è necessario potenziare la fiducia dei cittadini europei nelle istituzioni comunitarie. Ma questo sforzo risulterebbe gravemente compromesso se i cittadini che vivono nei nuovi Stati membri si rendessero conto che per loro è quasi impossibile accedere ad un posto di direttore in tali istituzioni.

Una sola agenzia europea su 20 ha per direttore un cittadino europeo proveniente da uno dei dieci nuovi Stati membri.

Il Comitato raccomanda pertanto che, tenendo conto delle osservazioni formulate nel presente parere e delle norme comunitarie in materia di pari opportunità, la Commissione europea riveda attentamente le sue proposte di modifica dei regolamenti esistenti.

Bruxelles, 15 dicembre 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


17.3.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 65/134


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde sulla politica in materia di servizi finanziari (2005-2010)

COM(2005) 177 def.

(2006/C 65/24)

La Commissione europea, in data 3 maggio 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al: Libro verde sulla politica in materia di servizi finanziari (2005-2010)

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 20 ottobre 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore RAVOET.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 15 dicembre 2005, nel corso della 422a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 115 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Premessa

1.1

Il Libro verde della Commissione europea sulla politica in materia di servizi finanziari lancia una serie di idee per migliorare l'integrazione dei mercati finanziari europei. Piuttosto che proporre nuove norme, esso punta essenzialmente sull'attuazione delle norme vigenti nel quadro del piano d'azione per i servizi finanziari (FSAP) e sulla cooperazione, esaminando come migliorare l'accesso transfrontaliero ai servizi finanziari al dettaglio e alla gestione patrimoniale.

1.2

Il documento della Commissione sottolinea la necessità, sul breve periodo, di portare a termine i lavori incompiuti ultimando i testi legislativi ancora all'esame del Parlamento europeo e del Consiglio. Evidenzia inoltre l'esigenza di dare efficace attuazione alla legislazione esistente passando per tre tappe: un effettivo recepimento delle norme europee nella legislazione nazionale; un'attuazione più rigorosa da parte delle autorità di vigilanza e una valutazione ex post a carattere permanente. La Commissione ha dichiarato che in futuro essa applicherà la filosofia del miglioramento normativo («Better Regulation») a tutte le fasi del processo di elaborazione di eventuali nuove norme, realizzando valutazioni di impatto complete e ampie consultazioni.

1.3

In alcuni settori potrebbero tuttavia essere proposte iniziative nuove. Nel luglio 2005 sono stati pubblicati due libri verdi distinti, dedicati rispettivamente alla gestione patrimoniale e al credito ipotecario.

1.4

La Commissione fa notare che il mercato dei servizi finanziari al dettaglio dell'UE rimane frammentato: ha perciò intrapreso, fra le altre cose, uno studio delle modalità per facilitare l'uso transfrontaliero dei conti correnti ed eliminare le barriere affinché i consumatori possano confrontare e valutare piani di risparmio, prestiti ipotecari, assicurazioni e pensioni e disporre di informazioni chiare che consentano un agevole raffronto tra i prodotti offerti.

1.5

Il Libro verde tratta inoltre della necessità di far convergere le prassi e gli standard utilizzati nell'UE in materia di vigilanza, incentivare gli investimenti transfrontalieri e approfittare dell'opportunità strategica che ha l'UE di influenzare i parametri normativi del mercato finanziario globale che sta emergendo. La Commissione propone di rafforzare le relazioni finanziarie con gli USA, il Giappone e la Cina.

2.   Osservazioni generali

2.1

Il Comitato economico e sociale europeo (CESE) è lieto di avere l'opportunità di esprimere il proprio parere sulle priorità della Commissione europea per la politica in materia di servizi finanziari relativa al periodo 2005-2010. Ora che stiamo entrando nella fase post FSAP, è opportuno che la Commissione faccia il punto sui risultati conseguiti e definisca le priorità future.

2.2

La Commissione ritiene, a giusto titolo, che il FSAP sia stato uno dei successi della prima fase della strategia di Lisbona. Durante la seconda e ultima fase, fase decisiva che copre il periodo fino al 2010, sarà quanto mai essenziale garantire che la politica dei servizi finanziari promuova il conseguimento degli obiettivi di crescita e occupazione della strategia di Lisbona.

2.3

Il CESE sostiene quindi l'obiettivo della Commissione europea di incoraggiare il consolidamento, la liquidità e il dinamismo nei mercati finanziari per convogliare più efficacemente i capitali e i servizi finanziari verso tutti i settori dell'economia. Un settore finanziario stabile, integrato e competitivo, caratterizzato da un elevato grado di fiducia da parte dei consumatori, che sanno di poter contare su efficaci misure di protezione, è una condizione necessaria per la prosperità dell'economia europea.

2.4

Il CESE appoggia altresì la proposta della Commissione che intende riorientare i propri sforzi nei prossimi cinque anni indirizzandoli principalmente al completamento delle iniziative già adottate. In questa fase occorrerà procedere al monitoraggio e alla valutazione delle iniziative intraprese in passato: eventuali nuove iniziative andrebbero introdotte con prudenza e con la debita considerazione per il punto di vista dei consumatori. Un'analisi costi — benefici dovrebbe automaticamente formare parte integrante di ogni nuovo atto legislativo, che deve essere redatto in modo abbastanza chiaro da evitare il successivo «gold-plating» (1) da parte degli Stati membri.

3.   Osservazioni specifiche

3.1

Il CESE si congratula con la Commissione per l'elevata qualità delle proposte contenute nel Libro verde: in linea di massima esso appoggia la maggior parte delle proposte avanzate. Il presente parere vuole sottolineare gli aspetti ritenuti di particolare importanza per la società civile organizzata europea e al tempo stesso chiedere precisazioni alla Commissione su tutta una serie di aspetti delle proposte avanzate.

3.2   L'orientamento politico di fondo del Libro verde

3.2.1

Il CESE condivide gli obiettivi generali della politica della Commissione per i prossimi cinque anni e l'orientamento politico di fondo proposto nel Libro verde.

3.2.2

Sostiene l'obiettivo generale della Commissione europea di creare un mercato europeo dei servizi finanziari aperto ed economicamente efficiente, governato da adeguate norme di vigilanza che garantiscano ai consumatori un grado di protezione sufficientemente elevato. La Commissione deve comunque tenere presente che fiducia e difesa dei consumatori vanno di pari passo. Pertanto, pur ritenendo che gli obiettivi della Commissione vadano nella direzione di un giusto equilibrio nel riconoscimento del ruolo svolto nella società civile rispettivamente dai datori di lavoro e dai lavoratori, dalle istituzioni finanziarie e dai consumatori, il Comitato reputa che si debba dare atto anche dell'importanza di un'efficace politica dei consumatori. La disponibilità di personale competente in misura sufficiente è fondamentale per conquistare la fiducia dei consumatori e per poterne garantire l'educazione.

3.2.3

Il CESE conviene con la Commissione che le parole d'ordine del FSAP — concorrenza transfrontaliera, accesso al mercato, trasparenza, integrità del mercato, stabilità finanziaria, competitività internazionale del settore finanziario europeo ed efficienza — rimangono tuttora valide. La Commissione dovrebbe tuttavia riconoscere che anche le esigenze dei consumatori devono essere prese in considerazione in quanto criterio determinante di ogni sua eventuale proposta. La fiducia dei consumatori nei servizi finanziari potrebbe essere un buon criterio per misurare fino a che punto la politica adottata dalla Commissione soddisfi le richieste del consumatore.

3.2.4

Le piccole e medie imprese (PMI) svolgono un ruolo di catalizzatori economici: le loro esigenze dovrebbero essere al centro dell'elaborazione delle politiche comunitarie. Il CESE sostiene vigorosamente l'idea secondo cui per promuovere la creazione di imprese nuove e innovative, facendo così aumentare la produttività e il tasso sostenibile della crescita economica dell'UE, occorre creare un clima favorevole all'imprenditorialità, sostenuta da un mercato dei capitali di rischio ben funzionante. La politica comunitaria in materia di servizi finanziari ha migliorato il quadro giuridico per la raccolta di capitali da parte delle PMI, ad esempio attraverso la direttiva sul prospetto (2). Potrebbe essere opportuno adottare anche iniziative di tipo non normativo.

3.2.5

Dato l'impegno del CESE a favore della competitività mondiale dell'UE e della concorrenza, concordiamo con la Commissione sulla necessità di applicare rigorosamente il metodo del miglioramento normativo a tutte le iniziative dell'esecutivo europeo. Tuttavia il CESE raccomanda vivamente di tenere conto di una serie di fattori prima di ricorrere a tale metodo: in primo luogo, il CESE chiede che vengano realizzati studi di impatto da parte di organismi indipendenti e competenti. L'eccessiva importanza data all'integrazione dei servizi finanziari non deve indurre a trascurare gli interessi dei consumatori: bisogna invece avere presenti le due facce della medaglia. È necessario tener conto degli aspetti sociali e occupazionali in tutte le valutazioni ed effettuare ampie consultazioni prima di procedere agli studi di impatto, seguendo un approccio equilibrato basato su riscontri obiettivi. Bisogna anche tenere presente che i gruppi dei consumatori dispongono solitamente di risorse più limitate degli operatori del settore. Ad esempio la partecipazione a gruppi di esperti per specifici prodotti al dettaglio potrebbe essere troppo impegnativa, in termini di risorse umane, per le organizzazioni dei consumatori.

3.2.6

Il CESE ritiene giusto seguire un approccio basato su riscontri obiettivi nell'elaborazione delle politiche, purché si tenga in debita considerazione la dimensione dei consumatori. Chiede altresì alla Commissione di precisare esplicitamente che questo impegno non riguarda unicamente la legislazione che emana dalla DG Mercato interno e servizi, ma anche quella proposta dalle altre Direzioni generali. Si unisce inoltre senza riserve alla Commissione nell'esortare il Parlamento europeo e in particolare, a suo giudizio, il Consiglio ad applicare i principi del miglioramento normativo di cui sopra per garantire che le proposte che emergono al termine della procedura di codecisione non siano versioni estremamente complesse del testo elaborato all'origine dalla Commissione. Osserva infine che il metodo del miglioramento normativo va applicato anche ai comitati di livello 3 (3) e agli standard setter mondiali (4).

3.2.7

Fa notare che se le norme e gli standard proposti non superano la prova della competitività, le probabilità dell'UE di conseguire gli obiettivi di Lisbona saranno molto ridotte e di conseguenza la sua competitività mondiale, la sua stabilità finanziaria e la sua capacità di creare posti di lavoro ne risulteranno indebolite. Il CESE ritiene che non si possa perdere un'occasione così importante. Oltre a sottoporre le nuove iniziative alla prova della competitività, la Commissione dovrà saggiarne la capacità di rispondere ai possibili problemi che consumatori e prestatori di servizi potrebbero incontrare sul mercato.

3.2.8

Il CESE è lieto che la Commissione sia disposta a fare maggior uso di tutte le sue competenze in materia di concorrenza per assicurare che il conseguimento degli obiettivi generali del FSAP di ulteriore integrazione non sia ostacolato da pratiche contrarie alla concorrenza. Invita tuttavia la Commissione a garantire la certezza giuridica, per esempio attraverso l'introduzione di una «sfera di esenzione» per quanto riguarda le condizioni in cui l'autoregolamentazione non viene considerata violazione delle norme sulla concorrenza.

3.2.9

Sostiene l'uso continuativo del metodo Lamfalussy. Nell'ambito del livello 2 del processo Lamfalussy invita quindi le istituzioni europee a concludere un accordo (interistituzionale) che conferisca al Parlamento europeo la funzione di colegislatore prevista dall'articolo I-36 del Trattato costituzionale. Fra l'altro, ciò impedirà l'entrata in vigore delle clausole di caducità a decorrere dall'aprile 2007 (come sarebbe il caso per la direttiva abusi di mercato (5)).

3.2.10

La Commissione afferma che il processo decisionale europeo e la struttura della normativa sono diventate più razionali ed efficienti grazie al processo Lamfalussy: sono stati tuttavia sollevati interrogativi circa l'efficienza e la rapidità di tale processo. È possibile infatti che l'attività normativa non sia diventata più rapida ed efficiente, in quanto le consultazioni richieste per le misure di attuazione incidono sul tempo necessario per completare l'adozione del pacchetto. Spetterà quindi alle varie parti trovare il giusto equilibrio tra tempi di consultazione da un lato e rapidità dall'altro. Il CESE esita inoltre a esprimersi a favore dell'applicazione del processo Lamfalussy alle questioni relative ai servizi finanziari al dettaglio se ciò significa mettere in discussione i poteri discrezionali degli Stati membri in materia di protezione dei consumatori.

3.3   Migliorare la regolamentazione, il recepimento, l'applicazione e la valutazione permanente

3.3.1

Il CESE concorda in linea di massima con le misure prioritarie individuate dalla Commissione. Ora è altrettanto importante che la Commissione indichi esplicitamente come conta di tradurre in pratica le sue buone intenzioni in materia di miglioramento normativo adottando provvedimenti concreti e tangibili per conseguire gli obiettivi fissati. È particolarmente importante che la Commissione comunichi le sue idee con chiarezza, in modo che tutti i soggetti interessati abbiano un quadro realistico di come intende procedere per conseguire gli obiettivi e di come essi possono dal canto loro partecipare a tale processo.

3.3.2

L'UE deve dotarsi della strategia più efficace per stimolare la crescita e creare posti di lavoro in modo tale da farne beneficiare la società intera. Le norme troppo onerose e inadeguate non fanno che ostacolare la crescita economica e la creazione di posti di lavoro. Il CESE prende quindi atto con interesse della proposta di valutare se le direttive e i regolamenti in vigore apportino i benefici economici previsti. Si compiace dell'impegno della Commissione a modificare o abrogare i provvedimenti che palesemente non reggono a tale verifica e si augura che le intenzioni espresse vengano messe sistematicamente in pratica. Il CESE ritiene tuttavia che in ogni valutazione di questo tipo si debba dare un elevato grado di priorità agli interessi dei consumatori. Occorre perciò tener conto non soltanto dei vantaggi economici in quanto tali, ma più specificamente dei vantaggi economici derivanti ai consumatori, ivi compresi i potenziali danni in cui potrebbero incorrere.

3.3.3

Il CESE si compiace che la Commissione sottolinei fortemente la necessità di recepire, attuare e applicare correttamente le misure del FSAP. Ritiene infatti che ciò rappresenti un presupposto indispensabile per la realizzazione degli obiettivi del FSAP. Osserva tuttavia che l'adesione degli Stati membri e dei comitati di livello 3 del processo Lamfalussy è essenziale a questo fine: infatti, senza il loro sostegno chiaro e incondizionato, per quanto ben intenzionata e determinata possa essere la Commissione, non si potrà ottenere alcun risultato concreto.

3.3.4

Esorta perciò la Commissione a mantenere vivo lo slancio e l'impegno assunto dai capi di Stato e di governo, dai membri dell'Ecofin e dai comitati di livello 3, in quanto è importante che facciano proprio il mercato unico. Ritiene inoltre che nell'attuale riflessione sul ruolo e il destino dell'Unione europea la Commissione debba incitare gli Stati membri a comunicare chiaramente ai cittadini gli obiettivi delle decisioni adottate a livello europeo e la logica che le governa. È importante che la società sappia come può e deve partecipare all'elaborazione delle politiche europee in generale, e in particolare alla costruzione del mercato unico.

3.3.5

Al fine di favorire la competitività dell'UE sulla scena mondiale e apportare la stabilità finanziaria che ha motivato la creazione del mercato unico, il CESE appoggia in particolare la sesta raccomandazione della Commissione (6). Per quanto riguarda il fenomeno comunemente noto come gold-plating , ovvero la tendenza a sovrapporre alle norme comunitarie un'eccessiva regolamentazione interna, la succitata raccomandazione afferma che nell'attuare la legislazione a livello nazionale, gli Stati membri debbono guardarsi dall'aggiungere condizioni o requisiti non necessari per il recepimento della direttiva in questione, qualora tali condizioni o requisiti possano ostacolare il conseguimento degli obiettivi perseguiti dalla direttiva.

3.3.6

In ogni caso, il CESE esorta la Commissione ad assicurarsi che la lingua utilizzata nella legislazione comunitaria sia sufficientemente chiara e osserva a questo proposito che il cosiddetto gold-plating potrebbe a volte essere semplicemente un tentativo da parte degli Stati membri di chiarire i testi comunitari e quindi di renderli meno invece che più gravosi. In ogni caso, che si tratti dell'imposizione di norme più severe rispetto alla legislazione europea o di un tentativo di chiarimento da parte degli Stati membri, il risultato è, effettivamente, un onere aggiuntivo. Poiché tali oneri hanno spesso un impatto smisurato sulle PMI, la Commissione deve vigilare affinché gli imprenditori e le imprese innovative non siano soffocati dalla burocrazia e dalle normative.

3.3.7

Inoltre il mercato interno non deve aumentare i rischi per i consumatori rimuovendo le protezioni esistenti a livello nazionale. Le varie norme nazionali a difesa dei consumatori sono nate in risposta a determinate problematiche insorte nei mercati nazionali e non vanno perciò viste necessariamente come barriere al mercato interno. Il CESE non è persuaso che le attuali disposizioni nazionali di tutela dei consumatori rappresentino normalmente una distorsione della concorrenza e dell'innovazione in quanto tali o che esse limitino lo sviluppo del mercato transfrontaliero. Non si deve supporre che la semplice rimozione delle presunte barriere produca necessariamente un mercato transfrontaliero ben funzionante ed efficace. Nondimeno, gli Stati membri devono fare attenzione a non introdurre misure addizionali di tutela dei consumatori che si traducano nella protezione dei loro mercati locali dalla concorrenza di altri mercati europei. Il Comitato considera la completa armonizzazione di elementi fondamentali dell'attività bancaria al dettaglio (le informazioni precontrattuali, il tasso d'interesso effettivo annuo), vale a dire la «armonizzazione piena mirata» come la via più efficace per creare un autentico mercato interno europeo per i servizi bancari al dettaglio, offrendo al tempo stesso un livello adeguato di protezione dei consumatori.

3.4   Consolidamento della legislazione in materia di servizi finanziari nel corso del periodo 2005-2010

3.4.1   Completamento delle misure rimanenti

3.4.1.1

Logicamente, prima di intraprendere nuove iniziative occorre completare e consolidare le iniziative in corso. Il CESE conviene quindi con la Commissione nel ritenere che nei prossimi dodici mesi si debba dare priorità assoluta al completamento degli elementi rimanenti del FSAP, ovvero portare a termine i negoziati con il Parlamento europeo e il Consiglio, ultimare le misure di attuazione già previste dalla Commissione e presentare una direttiva quadro in materia di compensazione e regolamento previa realizzazione di una valutazione di impatto completa e conclusiva.

3.4.2   Una vigilanza efficiente ed efficace

3.4.2.1

Pur plaudendo all'approccio evolutivo raccomandato dalla Commissione, il CESE è convinto che non si sia approfittato dell'occasione offerta dal Libro verde per definire obiettivi politici chiari e ambiziosi in materia di vigilanza bancaria. Riteniamo fondamentale delineare il percorso critico, ovvero mostrare come verranno affrontate nei prossimi anni le molteplici problematiche distinte, ma correlate fra loro. Il CESE si augura perciò che nel Libro bianco vengano presentate proposte più concrete.

3.4.2.2

Al fine di promuovere un'adeguata cultura della tutela del consumatore, che protegga maggiormente i consumatori più vulnerabili rispetto agli investitori più esperti e consenta quindi all'UE di diventare competitiva a livello mondiale e generare crescita, il CESE ha individuato una serie di questioni da affrontare in un'ottica che dà precedenza assoluta agli interessi dei consumatori:

eliminazione dei doppioni a livello di vigilanza,

eliminazione delle discordanze tra le direttive e delle deroghe obsolete al principio del paese d'origine,

riesame dei sistemi di protezione ed eventuale analisi dei modelli di vigilanza,

convergenza verso gli standard delle migliori pratiche in materia di vigilanza,

cooperazione tra comitati di livello 3 (CESR, CEBS e Ceiops),

cooperazione fra tutte le parti interessate.

3.4.2.3

Conformemente al proprio parere del 9 marzo 2005 (7) in merito alla direttiva sull'adeguatezza patrimoniale delle imprese di investimento, il CESE si compiace che la Commissione riconosca la legittimità della richiesta di vigilanza consolidata da parte degli operatori del settore. Partendo dal presupposto che la vigilanza consolidata non leda in alcun modo la facoltà di reazione degli Stati membri in caso di violazione delle norme da parte degli operatori a danno dei consumatori presenti sul loro mercato, il CESE ritiene che una vigilanza di questo tipo offrirebbe un adeguato grado di tutela ai consumatori e nel contempo limiterebbe al minimo ogni duplicazione dei requisiti normativi. Ciò a sua volta contribuirebbe a migliorare l'efficienza del settore finanziario dell'UE. Tuttavia, a giudizio del CESE, il Libro verde non dice chiaramente se la convergenza sia un presupposto indispensabile della vigilanza consolidata. Il CESE reputa che l'obiettivo e poi l'attuazione della vigilanza consolidata dovrebbe, nello spazio di poco tempo, accelerare la convergenza in questo settore.

3.4.3   Consentire gli investimenti e la concorrenza transfrontaliera

3.4.3.1

La rimozione delle barriere ingiustificate al consolidamento porterà sicuramente vantaggi economici, i quali a loro volta infonderanno maggiore dinamismo all'economia europea: ciò significa che l'UE sarà maggiormente in grado di creare posti di lavoro e di innalzare il tenore di vita dei cittadini europei. Il CESE sostiene perciò l'obiettivo della Commissione di eliminare o ridurre le barriere ingiustificate alle operazioni transfrontaliere, come ad esempio il consolidamento tramite fusioni e acquisizioni. Negli ultimi anni si è assistito a un aumento considerevole dell'attività transfrontaliera in questo settore, che rimane tuttavia a livelli piuttosto bassi nel comparto bancario europeo, malgrado il completamento o la prevista realizzazione di una serie di operazioni di questo tipo negli ultimi mesi. Ciò è in parte dovuto agli ostacoli strutturali presenti nel mercato bancario europeo, molti dei quali non sono motivati dall'esigenza di potenziare il valore per il consumatore o la stabilità finanziaria e possono quindi essere rimossi o ridimensionati attraverso interventi politici. La ristrutturazione del settore comporterà grandi cambiamenti per tutte le parti coinvolte: lavoratori, imprese e clienti. Occorre pertanto una strategia globale su come affrontare le conseguenze del cambiamento.

3.4.3.2

Il CESE è d'accordo con il Libro verde sul fatto che il consolidamento non è un fine in sé stesso, ma un mezzo per realizzare economie di scala e di scopo, le quali a loro volta consentiranno alle banche di offrire ai loro clienti, siano essi privati, PMI o grandi organizzazioni, una più vasta gamma di servizi a prezzi migliori. Andrebbe inoltre osservato che il consolidamento e la creazione di sinergie non implicano automaticamente una diminuzione del personale in un gruppo bancario risultante da una fusione; in realtà è spesso vero il contrario. Pertanto, il Comitato considera che tale fenomeno sia un fattore importante per l'occupazione dal momento che il settore finanziario è già un datore di lavoro rilevante in Europa. Le banche non si assumeranno i costi e i rischi legati alle fusioni e alle acquisizioni senza la prospettiva di ottenere tali vantaggi economici o sinergie. In questo contesto il Comitato attende l'imminente pubblicazione dello studio della Commissione europea sugli ostacoli alle fusioni e acquisizioni transfrontaliere in Europa.

3.4.3.3

È logico quindi che il CESE inviti la Commissione a pubblicare una mappa delle misure contemplate in questo settore, con particolare riferimento ai tempi previsti per la loro realizzazione.

3.4.4   La dimensione esterna

3.4.4.1

In linea di massima il CESE condivide il contenuto di tale sezione e concorda con la Commissione sul fatto che il settore finanziario europeo deve essere competitivo sui mercati mondiali. Accoglie pertanto con favore le iniziative proposte dalla Commissione europea per approfondire il dialogo UE e USA in materia di mercati finanziari, rafforzare le relazioni finanziarie con il Giappone, la Cina e l'India e ampliare la portata del dialogo con tali paesi. Il CESE ritiene che questo aspetto sia di importanza cruciale, non da ultimo per la posizione sempre più di spicco che occupano la Cina e l'India nell'economia mondiale.

3.4.4.2

La globalizzazione del mercato dei capitali e dei servizi finanziari e l'assenza di organismi veramente internazionali dotati di poteri decisionali ha fatto sì che gli standard setter mondiali svolgessero un ruolo molto importante nell'elaborazione delle politiche. Il CESE reputa che in alcuni di tali forum l'UE non si dimostri sufficientemente unita: in alcuni casi ciò può incidere negativamente sulla sua capacità di influire sugli standard adottati e quindi nuocere agli interessi europei.

3.4.4.3

Data la diversa natura e i diversi ruoli svolti da tali forum è opportuno dare la preferenza a soluzioni ad hoc piuttosto che optare per un approccio indifferenziato, facendo in modo nel contempo che, nel quadro della fissazione degli standard internazionali, l'Europa parli con voce forte e unanime. Il Comitato sottolinea che l'obiettivo in questo campo è quello di arrivare a standard globali unici, particolarmente appropriati nel caso della contabilità, in cui il punto di vista europeo sia ben rappresentato, e non di sviluppare standard europei distinti in contrasto con le regole mondiali. Questo approccio non solo consentirebbe all'industria dei servizi finanziari e ai consumatori europei di esprimersi vigorosamente con una sole voce sulla scena mondiale, ma contribuirebbe a creare un terreno di confronto uniforme (level playing field) con tutti i vantaggi che questi sviluppi comporterebbero.

3.5   Eventuali nuove iniziative mirate

3.5.1

Per quanto riguarda eventuali nuove iniziative mirate, il CESE desidera attirare in particolare l'attenzione sulle misure relative al settore dei servizi al dettaglio, convinto che per i consumatori la qualità conti quanto la quantità della scelta — se non di più. Il CESE giudica perciò che l'adattamento ai mercati locali sia una questione essenziale per i prestatori di servizi al dettaglio, a prescindere dal metodo di distribuzione adottato.

3.5.2

In ordine alle raccomandazioni formulate dal gruppo di esperti sul credito ipotecario, il Comitato è convinto che, invece di armonizzare i prodotti relativi al credito ipotecario, sarebbe più idoneo un approccio basato sulla concorrenza che migliorerebbe la scelta e la qualità del prodotto. Il Comitato riconosce inoltre il serio lavoro preparatorio intrapreso dalla Commissione al fine di riesaminare la legislazione che disciplina attualmente il settore della gestione patrimoniale. Quanto al fatto se tale lavoro debba tradursi in iniziative concrete in materia di credito ipotecario e/o gestione patrimoniale nel 2006 a seguito delle consultazioni già effettuate quest'anno dalla Commissione, il CESE ritiene che si debba prima procedere a un'adeguata valutazione di impatto, comprendente anche un'analisi costi-benefici.

3.5.3

Il Comitato non è ancora convinto dei meriti del cosiddetto 26 o regime, specialmente per i consumatori. Conviene con la Commissione sul fatto che la funzionalità di un tale regime rimane ancora da dimostrare e che sarà difficile raggiungere un accordo su norme europee facoltative valide solo per determinati prodotti. I consumatori potrebbero inoltre essere confusi dalle normative in materia di informazione vigenti nel loro paese e quelle che si applicano altrove. Il 26o regime potrebbe porre altrettante difficoltà che l'introduzione di un diritto civile europeo comune, con un diritto processuale, una struttura giudiziaria, ecc. Tuttavia esso rappresenta un'idea stimolante e degna di approfondimento.

3.5.4

Risulta chiaro, comunque, che ogni eventuale regime aggiuntivo, alternativo o facoltativo non dovrà costringere i fornitori di servizi a standardizzare i loro prodotti, in quanto ciò nuocerebbe alla capacità dell'industria dei servizi finanziari di competere e innovare per soddisfare i bisogni mutevoli dei consumatori.

3.5.5

Dato il dibattito in corso perciò il CESE accoglierà con favore qualsiasi chiarimento da parte della Commissione che consenta di comprendere meglio il 26o regime e si rallegra che sia stata annunciata la realizzazione di uno studio di fattibilità.

3.5.6

Il maggiore ricorso ai gruppi di esperti viene giudicato complessivamente positivo. Tuttavia, come è già stato osservato, la creazione di gruppi di esperti per specifici prodotti al dettaglio potrebbe comportare un carico oneroso per le organizzazioni dei consumatori e le loro limitate risorse.

3.5.7   Settori nei quali sarebbe possibile un'azione in futuro

3.5.7.1

Il CESE è lieto che la Commissione sia disposta a codificare ed eventualmente semplificare le norme vigenti per quanto riguarda gli obblighi di informazione. È tuttavia più favorevole alla semplificazione che alla codificazione. Presuppone che il riferimento alla semplificazione stia ad indicare l'intenzione della Commissione di migliorare la qualità, in contrapposizione alla quantità, delle informazioni fornite ai consumatori. Al fine di innalzare i requisiti qualitativi, il CESE chiede alla Commissione di esaminare gli obblighi giuridici attuali (sia a livello comunitario, sia a livello nazionale) per razionalizzare gli obblighi di informazione e standardizzare le informazioni fornite (anche tramite codificazione), tenendo presente il canale scelto dal consumatore.

3.5.7.2

È dell'avviso che i consumatori possano trarre beneficio dalla definizione di standard migliori in materia di informazioni essenziali, ad esempio sotto forma di dati comprensibili, strutturati e comparabili su tutti gli aspetti fondamentali di un contratto. Occorre quindi garantire un elevato grado di protezione dei consumatori che garantisca indicazioni sufficienti e informative e una protezione giuridica adeguata.

3.5.7.3

Per quanto riguarda l'intermediazione finanziaria e le relazioni delle istituzioni finanziarie e dei consumatori con gli intermediari, il CESE nota innanzitutto che l'intermediazione finanziaria è soggetta a vari gradi di regolamentazione a livello europeo. La direttiva sull'intermediazione assicurativa (8) e la direttiva sui mercati degli strumenti finanziari (MiFID) (9) definiscono concetti e gradi di regolamentazione diversi per l'intermediazione di servizi e prodotti finanziari. Occorre promuovere una maggiore convergenza e coerenza in questo settore; tuttavia il CESE ritiene che si debba dare al regime MiFID, il più completo dei due, il tempo di dimostrare la sua efficienza prima di trarre conclusioni circa la potenziale necessità di un'ulteriore regolamentazione nel settore della mediazione creditizia.

3.5.7.4

Data la necessità di allineare maggiormente le norme di comportamento e di consulenza commerciale, si potrebbe considerare l'ipotesi di creare un terreno di confronto uniforme (il cosiddetto level playing field) per tutti gli operatori che forniscono ai consumatori servizi finanziari al dettaglio, pur sempre prendendo in considerazione le diverse condizioni nazionali. Tuttavia, sarebbe più utile assicurare la convergenza o l'armonizzazione delle norme che regolano il marketing e la distribuzione interna, piuttosto che avviare nuove iniziative sulle norme di comportamento.

3.5.7.5

Per quanto riguarda il ruolo della consulenza professionale indipendente, il Comitato ritiene che si debba fare una netta distinzione tra: (i) la fornitura di consulenze in quanto servizio distinto a pagamento corrisposto su richiesta del cliente e (ii) la fornitura delle informazioni di cui il consumatore ha bisogno per poter operare una scelta consapevole.

3.5.7.6

Soprattutto, è estremamente importante disporre di norme e standard chiari per quanto riguarda gli intermediari finanziari, i quali svolgono un ruolo chiave nel settore dei prodotti di investimento in particolare, ma anche in quello dell'intermediazione del credito. Gli intermediari devono inoltre dimostrare una solida conoscenza del loro mestiere e dei prodotti. I broker e gli agenti indipendenti devono essere tenuti a fornire ai clienti una consulenza appropriata, corretta e affidabile. Occorre inoltre predisporre un meccanismo per una rapida ed efficace risoluzione delle controversie. Poiché in questo settore occorrono conoscenze specifiche, si potrebbe ad esempio prevedere una suddivisione in settori: risparmi, investimenti, assicurazioni, prestiti ipotecari/credito. Affrontare tali questioni consentirebbe inoltre un allineamento con gli sviluppi a livello nazionale.

3.5.7.7

Il CESE prende atto con interesse dell'intenzione della Commissione di esaminare più approfonditamente gli ostacoli percepiti all'apertura di conti bancari transfrontalieri nonché le problematiche legate alla loro gestione, portabilità, trasferibilità e chiusura. Per quanto riguarda questi ultimi punti occorre tenere conto dell'influenza dei sistemi elettronici e informatici esistenti.

3.5.7.8

Il CESE è convinto che si sarebbero dovute affrontare esplicitamente nel Libro verde le questioni fiscali. Dall'adozione della sesta direttiva sull'IVA (10), e in particolare nell'ultimo decennio, la mancanza di neutralità nel trattamento dei servizi finanziari ai fini dell'IVA e la mancanza di certezza giuridica del sistema attuale sono diventate sempre più fonte di problemi.

3.5.7.9

Nella sua relazione sullo stato di avanzamento dell'integrazione finanziaria nell'UE, il gruppo di esperti sui servizi bancari (11) osserva che un'applicazione meno punitiva dell'IVA all'outsourcing è un presupposto essenziale per una maggiore integrazione delle funzioni in centri di eccellenza che forniscano servizi a diverse parti dei gruppi bancari dell'UE. Bisogna ora riconoscere formalmente che l'attuale sistema IVA per i servizi finanziari impedisce un'attuazione efficace del mercato unico europeo. Tale riconoscimento ufficiale dovrebbe far parte del programma della Commissione per il periodo post-FSAP. Il CESE esorta quindi l'esecutivo europeo a definire il proprio programma futuro in questo settore.

3.5.7.10

Sottolinea infine che i consumatori sapranno gestire più efficacemente i prodotti finanziari se dispongono di consulenze più professionali, indipendenti e di alta qualità. I consumatori devono poter disporre della miglior consulenza possibile e di prodotti e servizi che rispondano il più possibile alle loro esigenze e alla loro situazione (finanziaria). Tuttavia essi non si possono sottrarre completamente alle responsabilità che la scelta comporta (che si tratti delle caratteristiche dei prodotti o degli esperti che li consigliano in materia). Essi dovranno disporre di strumenti che consentano loro di operare una scelta consapevole e di comprendere le conseguenze di tale scelta.

3.5.7.11

Il CESE sostiene pertanto il principio dell'educazione del consumatore e dell'innalzamento della conoscenza dei fondamenti della finanza in tutta l'UE. In particolare il CESE ritiene che il concetto di rischio e di rendimento debba essere un aspetto fondamentale dell'educazione degli investitori. È inoltre sostenitore dell'obbligo degli intermediari di fornire una consulenza appropriata, corretta e affidabile. Ciò è tanto più necessario in quanto i lavoratori dovranno sempre più provvedere direttamente ad assicurarsi un reddito in età pensionabile. Ai consumatori deve essere offerta un'informazione sufficiente, che consenta di comparare diversi prodotti e operare scelte informate a partire da una serie di prodotti concorrenti e di profili di rischio diversificati.

4.   Conclusioni

4.1

Il CESE reputa che questo esercizio di ricapitolazione di quanto è stato fatto e di quanto rimane ancora da fare nel settore dei servizi finanziari offra all'UE l'opportunità di compiere progressi sostanziali al fine di ridare slancio all'economia europea, ridurre la burocrazia, creare posti di lavoro e incrementare non solo la prosperità, bensì la fiducia di tutti gli europei nel sistema finanziario. In altre parole, si tratta di un'opportunità di compiere passi concreti verso il conseguimento degli obiettivi che l'UE si è data con l'agenda di Lisbona.

4.2

L'UE può compiere passi significativi verso la realizzazione degli obiettivi di Lisbona affrontando una serie di problematiche centrali nel settore in esame. A giudizio del CESE le questioni da affrontare sono le seguenti:

applicazione rigorosa del principio del miglioramento della regolamentazione a tutte le normative, nuove o già in vigore,

misurazione della fiducia dei consumatori in termini di adesione dei consumatori a una determinata proposta,

cooperazione tra le istituzioni europee e gli Stati membri per un recepimento e un'attuazione puntuale delle misure adottate nel rispetto dello spirito in cui sono state concepite,

priorità al completamento delle misure rimanenti del FSAP, applicando misure mirate pienamente armonizzate ove opportuno,

impegno per la rimozione degli ostacoli che si frappongono alla realizzazione di un quadro di vigilanza ottimale per l'Europa; vigilanza consolidata,

eliminazione degli ostacoli ingiustificati all'aumento delle fusioni e acquisizioni in Europa, specialmente nel settore bancario,

riconoscimento del fatto che per i consumatori la qualità è altrettanto — se non più — importante della quantità dei prodotti presenti sul mercato.

4.3

Anche la dimensione esterna della politica UE in materia di servizi finanziari avrà un'importanza determinante nei prossimi anni ai fini della competitività mondiale dell'Europa sul lungo periodo. Il CESE sostiene quindi vigorosamente gli sforzi a favore del rafforzamento e dell'approfondimento del dialogo normativo con i concorrenti dell'Europa come gli USA, il Giappone, la Cina e l'India.

4.4

La riflessione di quest'anno sulle future priorità per i servizi finanziari offre alla società civile organizzata nel suo complesso l'opportunità di partecipare agli sforzi per il conseguimento degli obiettivi di Lisbona. La posta in gioco in questo caso è troppo elevata per l'economia europea e soprattutto per i consumatori che fruiscono dei servizi da essa offerti: non bisogna lasciarsi sfuggire tale occasione.

Bruxelles, 15 dicembre 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  NdT: espressione che denota una sovrapposizione alle norme comunitarie di un'eccessiva regolamentazione interna.

(2)  Direttiva 2003/71/CE, GU L 345 del 31.12.2003.

(3)  I comitati di livello 3 sono il CESR (Committee of European Securities Regulators, Comitato delle autorità europee di regolamentazione dei valori mobiliari), il CEBS (Committee of European Banking Supervisors, Comitato delle autorità europee di vigilanza bancaria) e il Ceiops (Committee of European Insurance and Occupational Pensions, Comitato delle autorità europee di vigilanza delle assicurazioni e delle pensioni aziendali o professionali), istituiti in base al processo Lamfalussy.

(4)  Come ad esempio il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria, la IOSCO (International Organisation of Securities Committees, l'Organizzazione mondiale delle autorità di vigilanza sui mercati finanziari), il gruppo d'azione finanziaria internazionale dell'OCSE sul riciclaggio dei capitali (FATF) e lo IASB (International Standard Accounting Board, l'organismo che statuisce i principi contabili internazionali).

(5)  Direttiva 2003/6/CE, GU L 96 del 12.4.2003.

(6)  SEC(2004) 918.

(7)  GU C 234 del 22.9.2005.

(8)  Direttiva 2002/92/CE, GU L 9 del 15.1.2004.

(9)  Direttiva 2004/39/CE, GU L 145 del 30.4.2004.

(10)  Direttiva 77/388/CEE, GU L 145 del 13.6.1977.

(11)  Comments on Financial Services Action Plan: Progress and Prospects, Expert Group on Banking Final Report, May 2004, cfr. sito DG MARKT.


17.3.2006   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 65/141


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Norme di igiene ed imprese artigiane di trasformazione

(2006/C 65/25)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 9 e 10 febbraio 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema Norme di igiene ed imprese artigiane di trasformazione.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 9 novembre 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore RIBBE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 15 dicembre 2005, nel corso della 422a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 98 voti favorevoli, 1 voto contrario e 5 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

La nuova normativa comunitaria in materia di igiene, entrata in vigore il 20 maggio 2004 (1), persegue l'obiettivo di garantire, mediante un approccio integrato che abbraccia l'intera catena alimentare («dall'azienda alla tavola»), un elevato livello di tutela dei consumatori con riguardo alla sicurezza degli alimenti. L'uniformità di tali principi deve inoltre assicurare il buon funzionamento del mercato interno.

1.2

Il principio fondamentale è quello secondo cui la responsabilità principale per la sicurezza sanitaria degli alimenti incombe all'operatore del settore alimentare. Tale sicurezza deve essere garantita dall'osservanza di norme basilari e specifiche in materia di igiene e dall'applicazione dei principi del sistema di Analisi dei rischi e dei punti critici di controllo (HACCP) (2).

1.3

La nuova normativa in materia di igiene si compone di alcuni regolamenti:

regolamento (CE) n. 178/2002, che stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione alimentare, istituisce l'Autorità europea per la sicurezza alimentare e fissa procedure nel campo della sicurezza alimentare (il cosiddetto «regolamento di base»),

regolamento (CE) n. 852/2004 sull'igiene dei prodotti alimentari,

regolamento (CE) n. 853/2004, che stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale,

regolamento (CE) n. 854/2004, che stabilisce norme specifiche per l'organizzazione di controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano,

regolamento (CE) n. 882/2004, relativo ai controlli ufficiali intesi a verificare la conformità alla normativa in materia di mangimi e di alimenti e alle norme sulla salute e sul benessere degli animali, e

regolamento sulla definizione dei criteri microbiologici (ancora in fase di progetto).

1.4

Per garantire un'applicazione dei regolamenti (CE) n. 852/2004 e n. 853/2004 per quanto possibile uniforme, la direzione generale Salute e tutela dei consumatori (SANCO) della Commissione europea ha elaborato i seguenti documenti tecnici, che hanno natura di raccomandazione e si rivolgono tanto alle imprese alimentari quanto alle autorità locali:

Guidance document on the implementation of certain provisions of Regulation (EC) No 852/2004 on the hygiene of foodstuffs (documento di orientamento sull'applicazione di talune disposizioni del regolamento (CE) n. 852/2004 sull'igiene dei prodotti alimentari — disponibile solo in EN), SANCO/1513/2005 riv. 1, dell'8 settembre 2005,

Guidance document on the implementation of certain provisions of Regulation (EC) No 853/2004 on the hygiene of food of animal origin (documento di orientamento sull'applicazione di alcune disposizioni del regolamento (CE) n. 853/2004 che stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale — disponibile solo in EN), SANCO/1514/2005 riv. 1, dell'8 settembre 2005,

Guidance document on the facilitation of the implementation of the HACCP principles in food businesses (documento di orientamento su come agevolare l'applicazione dei principi HACCP nelle imprese alimentari — disponibile solo in EN), SANCO/1955/2005, del 30 agosto 2005.

1.5

Il 28 e 29 marzo 2001, nell'ambito del relativo procedimento legislativo, il Comitato economico e sociale ha emesso un parere in merito alle proposte di regolamenti (CE) n. 852/2004, n. 853/2004 e n. 854/2004 (3), esprimendo il proprio sostegno ai nuovi regolamenti e ai principi ad essi sottesi.

1.6

Con il presente parere d'iniziativa, il Comitato propone di verificare se le nuove norme in materia di igiene contribuiscano nel miglior modo possibile all'obiettivo, auspicato a livello politico, dello sviluppo sostenibile in ambiente rurale, in termini cioè di coerenza tra le finalità e le misure. Le piccole imprese artigiane e/o tradizionali di trasformazione sono particolarmente importanti per lo sviluppo economico dell'ambiente rurale. Dalle molteplici esperienze compiute emerge, però, che negli scorsi anni determinate strutture hanno subito un netto declino, specie nel settore della trasformazione e commercializzazione delle carni e del latte. In numerosi casi, i diretti interessati, al pari delle autorità competenti, hanno attribuito ai «severi requisiti comunitari in materia di igiene» la causa di questo cambiamento strutturale.

1.7

Bisogna ora vedere se l'Unione europea sia effettivamente responsabile in modo diretto o indiretto di un cambiamento strutturale indotto dall'introduzione di norme igieniche. Con ciò — sia chiaro — non si intende affatto mettere in discussione le finalità stesse di questa iniziativa, che sono quelle di evitare qualunque rischio per la salute dell'uomo. C'è da chiedersi forse se, per raggiungere tutti gli obiettivi fissati dall'Unione (garanzia d'igiene, come pure creazione e mantenimento di posti di lavoro), non siano necessarie prescrizioni differenziate e se esista la necessaria flessibilità.

1.8

Nel presente parere si dovrà pertanto verificare se:

a)

il quadro giuridico in materia di igiene funga da ostacolo o da stimolo per le piccole imprese alimentari che adottano metodi di trattamento prevalentemente artigianali e/o tradizionali;

b)

il recepimento a livello nazionale delle norme in materia di flessibilità rischi di nuocere alla competitività dei prodotti artigianali o delle piccole imprese alimentari.

1.9

Dal momento che i requisiti specifici in materia di igiene contenuti nei regolamenti (CE) n. 853/2004 e n. 854/2004 si applicano esclusivamente ai prodotti di origine animale, la verifica riguarderà solo gli effetti di detti regolamenti sulle imprese alimentari che trattano questo tipo di prodotti. Di conseguenza, non vengono considerate le imprese di trasformazione di prodotti di origine vegetale (imprese di panificazione, di produzione dolciaria, ecc.) o di altri prodotti di origine animale (come il pesce), peraltro anch'esse assoggettate a nuovi requisiti in materia di igiene (previsti dal regolamento (CE) n. 852/2004).

1.10

Con il presente parere il Comitato intende stimolare un dibattito sugli standard di sicurezza dei prodotti alimentari e sullo sviluppo sostenibile in ambiente rurale ad essi in parte collegato. A tale riguardo, il Comitato ritiene che gli obiettivi della tutela dei consumatori, del mantenimento della diversità culturale, della garanzia di una concorrenza leale e della conservazione e creazione di posti di lavoro in ambiente rurale rivestano tutti la medesima importanza e debbano perciò essere conciliati tra loro.

2.   Contenuto dei regolamenti

2.1

Oltre ai principi e ai requisiti generali della legislazione alimentare, il regolamento (CE) n. 78/2002 stabilisce, tra l'altro, le procedure nel campo della sicurezza alimentare allo scopo di migliorare il funzionamento del mercato interno e favorire la libera circolazione di prodotti destinati all'alimentazione umana e animale. Il ravvicinamento dei concetti, dei principi e delle procedure previsti dalle legislazioni degli Stati membri dell'Unione in materia alimentare, che risultano a tutt'oggi fortemente connotati a livello nazionale, deve inoltre servire a garantire un elevato livello di protezione dei consumatori.

2.2

Il regolamento (CE) n. 852/2004 sull'igiene dei prodotti alimentari, che realizza gli obiettivi del regolamento (CE) n. 178/2002 e pone le basi giuridiche per una produzione alimentare all'insegna dell'igiene, si applica a tutte le fasi della produzione, della trasformazione e della distribuzione degli alimenti. La «produzione agricola primaria» rientra anch'essa nel campo di applicazione del regolamento. Al contrario dei «produttori alimentari», i produttori agricoli primari non devono (ancora) adottare alcuna procedura basata sui principi del sistema HACCP, ma rispettare i requisiti previsti nell'allegato I del regolamento. Tutte le unità produttive delle imprese che operano nel settore alimentare devono essere registrate ed essere conformi ai requisiti generali in materia di igiene di cui all'allegato II. A norma dell'articolo 31 del regolamento (CE) n. 882/2004, sono le autorità competenti a stabilire le procedure che gli operatori del settore devono seguire per la registrazione del loro stabilimento.

2.3

Tutti gli operatori del settore alimentare devono, a seconda dei casi, rispettare i seguenti requisiti in materia di igiene:

rispetto dei criteri microbiologici relativi ai prodotti alimentari,

osservanza di determinate procedure necessarie a perseguire gli obiettivi del regolamento,

rispetto dei requisiti in materia di controllo delle temperature degli alimenti,

mantenimento della catena del freddo,

campionature e analisi.

2.4

Sono escluse dal campo di applicazione di questo regolamento:

la produzione primaria per uso domestico privato e la preparazione di alimenti destinati al consumo domestico privato,

la fornitura diretta di piccoli quantitativi di prodotti primari o di piccoli quantitativi di carni provenienti da pollame e lagomorfi macellati nell'azienda agricola dal produttore al consumatore finale o ai laboratori annessi agli esercizi di commercio al dettaglio.

2.5

La nuova normativa in materia di igiene non contiene disposizioni dettagliate riguardo ai requisiti di cui al punto 2.3 del presente parere (per esempio, non indica il tipo di criteri microbiologici, l'ampiezza delle campionature o il tipo di analisi). Tuttavia, esiste già la proposta di uno specifico regolamento sui criteri microbiologici applicabili ai prodotti alimentari, basato sull'articolo 4 del regolamento (CE) n. 852/2004.

2.6

Dal momento che gli alimenti di origine animale comportano taluni rischi specifici per la salute, essi sono soggetti a due regolamenti:

il regolamento (CE) n. 853/2004, che stabilisce norme specifiche in materia di igiene per gli alimenti di origine animale e

il regolamento (CE) n. 854/2004, che stabilisce norme specifiche per l'organizzazione di controlli ufficiali sui prodotti di origine animale destinati al consumo umano.

2.7

Gli stabilimenti delle imprese che lavorano alimenti di origine animale devono:

essere riconosciuti dall'autorità competente. A norma dell'articolo 31 del regolamento (CE) n. 882/2004, sono le autorità competenti a stabilire le procedure che gli operatori del settore devono seguire per il riconoscimento del loro stabilimento,

essere conformi ai requisiti specifici in materia di igiene, contenuti negli allegati al regolamento (CE) n. 853/2004, i quali coprono, tra l'altro, il trasporto, la macellazione, il sezionamento e la trasformazione di carni (carne rossa, pollame, selvaggina), la produzione di latte crudo, il trattamento del latte, nonché le uova e gli ovoprodotti, il pesce, i prodotti della pesca, ma anche i molluschi bivalvi ed altri animali marini,

ottenere il riconoscimento anche quando si tratta di piccole imprese alimentari. Al punto 4.2 del documento di orientamento SANCO 1514/2005 riv. 1, la Commissione stabilisce espressamente che i requisiti previsti per il riconoscimento non devono comportare alcun onere supplementare per le imprese.

2.8

Sono esclusi dal campo d'applicazione del regolamento (CE) n. 853/2004:

la fornitura diretta di piccoli quantitativi di carni provenienti da pollame e lagomorfi macellati nell'azienda agricola dal produttore al consumatore finale o ai laboratori annessi agli esercizi di commercio al dettaglio,

in determinati casi, il commercio al dettaglio (cfr. articolo 1, paragrafo 5, lettera a)).

2.9

Al punto 3.5, il documento SANCO 1514/2005 riv. 1 precisa che il commercio al dettaglio si considera escluso dal campo di applicazione del regolamento (CE) n. 853/2004 e disciplinato dal regolamento (CE) n. 852/2004 solo se consiste (a) nella commercializzazione diretta o (b) nella fornitura ad altri operatori, su scala regionale e in proporzione limitata, di piccoli quantitativi di prodotti di origine animale. In generale, comunque, la regolamentazione del commercio al dettaglio resta di competenza degli Stati membri.

2.10

La nuova normativa in materia di igiene attribuisce particolare importanza alla flessibilità in quanto:

a)

pone degli obiettivi piuttosto che introdurre disposizioni concrete e dettagliate. Rispetto alla normativa finora in vigore, i nuovi regolamenti — specie nel caso dei requisiti specifici in materia di igiene di cui al regolamento (CE) n. 853/2004 — prevedono assai meno norme di dettaglio (cfr. ad esempio i criteri costruttivi per gli stabilimenti di macellazione e i laboratori di sezionamento);

b)

i regolamenti (CE) n. 852 (cfr. articolo 13), n. 853 (cfr. articolo 10) e n. 854/2004 (cfr. articolo 17) autorizzano l'introduzione di disposizioni a livello nazionale, al fine di adattare i requisiti previsti dai regolamenti e permettere così di ricorrere a metodi tradizionali in ogni fase del processo di produzione, trasformazione o distribuzione degli alimenti, oppure di tener conto delle esigenze delle imprese del settore alimentare situate in regioni con particolari vincoli geografici;

c)

la nuova normativa autorizza inoltre l'introduzione di disposizioni a livello nazionale per regolamentare la vendita diretta (cfr. punti 2.4 e 2.8 del presente documento) e il commercio al dettaglio (cfr. punti 2.8 e 2.9).

3.   Le piccole imprese alimentari e lo sviluppo rurale

Concetti e definizioni

3.1

In numerosi Stati membri esiste ancora una gamma estremamente ampia di imprese alimentari. La trasformazione di materie prime di origine agricola e la produzione alimentare possono essere realizzate sia da grandi aziende industriali orientate verso il mercato internazionale che da piccole imprese alimentari perlopiù (ma non esclusivamente) orientate, invece, verso i mercati regionali o addirittura dalle microimprese. Queste ultime possono essere collegate alle aziende agricole sia per la loro organizzazione che per la loro localizzazione.

3.2

Di norma, a seconda della loro struttura e dei volumi di merce lavorata, le imprese alimentari adottano processi produttivi specifici. Anche in questo caso esiste un'ampia gamma di processi, che va dalla produzione industriale/in serie alle tecniche artigianali e/o tradizionali, con distinzioni non sempre troppo nette tra un processo e l'altro.

3.3

Di qui l'importanza di porre l'accento sulle piccole imprese alimentari e le microimprese che più delle altre ricorrono ai processi produttivi artigianali e/o tradizionali.

3.4

Vanno inoltre considerate con attenzione le piccole imprese alimentari di trasformazione delle carni (compresi il pollame ed altri piccoli animali) e del latte, visto che per entrambi questi settori — importanti in quanto forniscono un valore aggiunto all'agricoltura di numerosi Stati membri — sono stati elaborati requisiti specifici in materia di igiene (cfr. anche il punto 1.9). In concreto si tratta essenzialmente dei mattatoi regionali, dei macellai che effettuano la macellazione e la preparazione delle carni nei propri locali, degli stabilimenti lattieri regionali, dei piccoli caseifici industriali, delle fattorie e delle malghe che producono formaggi.

Piccole imprese alimentari, ambiente rurale, lavoro e qualità

3.5

Nella maggior parte degli Stati membri le piccole imprese (comprese quelle artigiane) del settore alimentare sono maggioritarie, e rivestono quindi una grande importanza per quanto concerne la domanda di posti di lavoro. Tali imprese sono spesso ubicate all'interno delle aree urbane e presentano un elevato grado di diversificazione produttiva e diversità culturale; spesso, inoltre, esse offrono posti di lavoro anche alle minoranze etniche, un aspetto, questo, da non sottovalutare. Tuttavia, nel presente parere una particolare attenzione è rivolta alle imprese di produzione e trasformazione alimentare che si trovano a contatto più o meno stretto con i fabbricanti di prodotti primari o di materie prime di origine agricola. Molte di queste imprese sono localizzate in ambiente rurale. In parte, esse rivestono un ruolo importante nel mantenimento e nello sviluppo dell'occupazione proprio nelle zone rurali che presentano molteplici ritardi strutturali.

3.5.1

Alcuni esempi: l'Europa conta oltre 150 000 macellai che lavorano autonomamente e impiegano in totale circa un milione di dipendenti. Solo la Germania conta attualmente circa 18 000 imprese artigiane di produzione delle carni (e 29 000 macellerie, incluse le filiali), che danno lavoro a 168 000 persone. Di queste, il 15 % continua a macellare gli animali da carne nei propri locali, mentre il 10 % si affida a mattatoi esterni. Altri paesi in cui la produzione artigianale delle carni è molto diffusa sono la Spagna, con circa 35 400 macellerie (comprese le filiali) e circa 70 000 occupati, e la Francia, con quasi 35 000 macellerie e oltre 55 000 occupati.

3.5.2

Benché negli ultimi anni si registri una tendenza ad acquistare prodotti di macelleria nei grandi supermercati e nei discount, il Comitato sottolinea espressamente il significato e l'importanza di quelle imprese, perlopiù di piccole dimensioni, che non è misurabile solo in termini di volume delle vendite (4).

3.5.3

Anche il settore lattiero conta numerose piccole imprese. Con lo sviluppo della produzione di latte biologico, in Germania sono sorti negli ultimi anni oltre 500 nuovi caseifici artigianali, con circa 1 500 nuovi posti di lavoro. A questi si aggiungono quelli creati dalle aziende lattiere biologiche e dai caseifici biologici industriali. Purtroppo, però, non sono disponibili dati a livello europeo.

3.6

La Commissione e i ministri dell'Unione hanno sottolineato nell'Agenda 2000 l'esigenza non soltanto di migliorare la competitività dell'agricoltura europea sui mercati mondiali, ma anche di perseguire una politica della qualità. A tal fine va mantenuto e incoraggiato il carattere multifunzionale dell'agricoltura (il c.d. «modello agricolo europeo»), con cui si intende tra l'altro un'agricoltura che, oltre a fornire prodotti di qualità elevata, mantenga al contempo i posti di lavoro esistenti e ne crei di nuovi. Questa strategia, destinata ad aumentare il valore aggiunto dell'ambiente rurale, è inscindibile dal mantenimento e dall'ulteriore sviluppo del settore della trasformazione (collocato a valle). A questa politica della qualità contribuisce anche la tutela delle denominazioni di origine.

3.7

La politica della qualità dovrà in futuro essere attuata tra l'altro mediante il regolamento relativo al Fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale (FEASR), nell'ambito dell'asse prioritario «Diversificazione dell'economia rurale», nonché mediante il piano d'azione in materia di agricoltura biologica.

3.8

Le piccole imprese alimentari e in particolare le piccole aziende di trasformazione a vocazione artigiana rivestono pertanto un'importanza strategica: sono loro, infatti, a poter contribuire alla diversificazione, a offrire cioè ai consumatori un'ampia varietà di prodotti. L'aumento della domanda sta a significare che i consumatori apprezzano in misura crescente la diversificazione e che proprio i processi produttivi artigianali e/o tradizionali, parte integrante del nostro patrimonio culturale, sono inscindibili dalla qualità elevata dei prodotti. Da decenni ormai queste imprese alimentari dimostrano di essere perfettamente in grado di realizzare prodotti sicuri.

Dispositivi di sicurezza diversificati per far fronte a rischi diversificati

3.9

Il Comitato constata con soddisfazione che, rispetto a quelli vigenti, i nuovi regolamenti presentano una maggiore flessibilità. Tale flessibilità offre nuove opportunità alle piccole imprese di trasformazione alimentare che adottano metodi artigianali e/o tradizionali: il riconoscimento di tutte le imprese secondo criteri uniformi consentirà infatti in futuro anche a quelle di piccole dimensioni di partecipare agli scambi transfrontalieri. Tali opportunità devono tuttavia ancora essere sfruttate dagli Stati membri.

3.10

Al tempo stesso, però, la flessibilità comporta anche dei rischi per le piccole imprese alimentari. Le imprese che un tempo erano soltanto «registrate» ora devono tutte soddisfare gli standard più elevati previsti per la procedura di riconoscimento. A tutto ciò si aggiunge il fatto che alcune disposizioni specifiche del regolamento (CE) n. 853/2004 introducono requisiti ben più rigorosi di quelli precedenti. Ciò riguarda, in particolare, l'obbligo conseguente di effettuare controlli microbiologici.

3.11

La fissazione di obiettivi in materia di igiene invece di prescrizioni rigide e le relative clausole di flessibilità consentono di modulare sia il sistema HACCP (di cui al regolamento (CE) n. 852/2004) che la procedura di riconoscimento in base ai rischi specifici connessi ai diversi tipi di funzionamento dei processi produttivi.

3.12

La flessibilizzazione è di importanza vitale per il mantenimento in Europa di imprese alimentari dalla struttura differenziata, in quanto una parte dei rischi e dei relativi requisiti in materia di igiene è strettamente connessa ad un sistema di produzione, trasformazione e distribuzione specifico. Le piccole imprese alimentari di stampo artigianale, con la loro distribuzione prevalentemente locale/regionale, presentano — in termini di sicurezza alimentare — rischi in parte diversi rispetto alle grandi aziende industriali, i cui canali di distribuzione superano i confini regionali o addirittura nazionali. È comprensibile, quindi, che nelle grandi aziende che impiegano molti collaboratori, producono grossi quantitativi e sono caratterizzate da aree di competenza ben delimitate sia opportuno adottare sistemi di tracciabilità e di gestione della qualità, procedure d'identificazione dei lotti e un'accurata concezione dello spazio, nonché analisi microbiologiche commisurate alle partite. Nelle piccole imprese alimentari in cui le responsabilità sono nelle mani di pochi collaboratori e che spesso non partecipano agli scambi intracomunitari, bastano per lo più misure semplici come i controlli a campione delle temperature di refrigerazione o di ebollizione o eventuali ispezioni visive dei prodotti (nel caso, ad esempio, delle salsicce di carne cruda o già cotta). In questo caso trovano applicazione le procedure di controllo tradizionali e comprovate. Il ricorso a strumenti tecnici o organizzativi non garantisce, in questo caso, un'igiene più elevata, e provoca un maggior dispendio di tempo e di denaro.

3.13

Un esempio di trasposizione di misure, che sono logiche e necessarie per una realtà industriale, a un'impresa artigianale è costituito dall'obbligo, già presente nella direttiva 64/433/CEE, di installare uno sterilizzatore. Quando si lavora lungo la linea di macellazione, a una velocità che nelle aziende moderne è di solito elevata, non si ha il tempo di pulire il coltello che sia venuto a contatto con un ascesso. La presenza di uno sterilizzatore in corrispondenza di ogni postazione di sezionamento consente all'operatore di munirsi di un nuovo coltello sterile senza rallentare la linea di macellazione. Il discorso è diverso per la macelleria artigianale: in questo caso, infatti, ogni singolo capo viene sezionato da una persona che dispone sempre del tempo sufficiente a procurarsi, se necessario, un nuovo coltello sterile. A tal fine basterà preparare già dalla sera prima un numero sufficiente di coltelli sterili, mentre è inutile disporre di uno sterilizzatore in corrispondenza di ciascuna postazione di lavoro. Nella versione riveduta del documento SANCO n. 1514 si tiene già conto di questa obiezione formulata dal Comitato, specificando al punto 5.3 che nei piccoli mattatoi basta disporre di un numero sufficiente di coltelli sterili prima di procedere alla macellazione.

3.14

In altri termini, le norme di igiene e i requisiti di sicurezza vengono definiti in modo unilaterale, sulla base dei rischi connessi all'attuale produzione mainstream, cioè alla lavorazione di tipo industriale e agli scambi globalizzati, per poi essere applicati senza modifiche di sorta alle imprese a struttura artigianale, con il rischio di nuocere alla competitività dei prodotti artigianali e/o tradizionali. Questi prodotti vengono quindi esclusi dal mercato in via diretta e indiretta (tramite un aumento dei costi).

3.15

Di conseguenza, quando si esige l'adozione di norme d'igiene adeguate alle procedure e alle strutture specifiche, non si vuole soltanto garantire un accesso al mercato in condizioni di parità, ma anche mantenere e promuovere l'innovazione in ambiente rurale. Per fare un esempio, una delle maggiori innovazioni degli ultimi decenni è costituita dallo sviluppo e dalla diffusione dell'agricoltura biologica. Senza i margini di manovra già esistenti o conquistati di recente non sarebbe stato possibile rivalutare i procedimenti tradizionali di trasformazione dei prodotti alimentari. Anche in futuro bisognerà pertanto lasciare un certo margine per le specialità regionali, i processi artigianali e/o tradizionali, alcune forme di trasformazione, determinate qualità e modalità di commercializzazione, garantendo nel contempo al consumatore un livello elevato e costante di sicurezza alimentare.

4.   Possibili vantaggi e svantaggi della nuova normativa in materia di igiene per le piccole imprese artigiane del settore delle carni e del latte

Regolamento (CE) n. 852/2004

4.1

Alcuni Stati si erano avvalsi della possibilità, offerta dalla normativa previgente, di operare una distinzione tra imprese di trasformazione delle carni e del latte «registrate» e «riconosciute». Le imprese registrate non potevano partecipare agli scambi intracomunitari, ma ciò non era motivato da standard di igiene diversi. Al punto 3.4, il documento SANCO 1513/2003 riv. 1 chiede espressamente agli Stati membri di consentire ai produttori che riforniscono direttamente i consumatori finali e non rientrano nel campo di applicazione dei regolamenti (CE) n. 852/2004 e n. 853/2004 di partecipare — nelle zone prossime ai confini — agli scambi transfrontalieri. Si creano così nuove opportunità di mercato per le imprese situate in tali zone.

4.2

Il regolamento (CE) n. 852/2004 impone il ricorso al sistema HACCP per le procedure che contribuiscono alla sicurezza dei prodotti alimentari. L'introduzione obbligatoria di tale sistema è un elemento positivo, che però si riallaccia, in effetti, alla tradizione artigiana. Questa, infatti, prevede pochi controlli, ma della massima efficacia, in corrispondenza dei punti critici, al fine di ottenere la massima sicurezza del prodotto. Anche il documento SANCO 1955/2005, del 30 agosto 2005, stabilisce come modulare il sistema HACCP in base ai diversi tipi di imprese. Gli stessi Stati membri hanno elaborato analoghi dispositivi di applicazione di una buona prassi igienica a livello nazionale, che possono agevolare l'attuazione del sistema HACCP nelle piccole imprese del settore alimentare, dato che in alcuni casi si può anche fare a meno di effettuare una propria analisi dei pericoli e dei rischi.

4.3

In questo senso, l'utilità del sistema HACCP per le imprese alimentari dipenderà dal tenore dei dispositivi nazionali di applicazione del sistema. Se si attribuirà eccessiva importanza alla documentazione e alla tenuta di liste di controllo esaurienti, tale sistema rischia di far salire i costi senza per questo incrementare gli standard di sicurezza.

4.4

Il sistema HACCP prevede controlli microbiologici per i quali vanno ancora stabilite le modalità e la portata (cfr. art. 4 del regolamento (CE) n. 852/2004). La forma del nuovo regolamento sui criteri microbiologici influirà sensibilmente sui costi dell'autocontrollo. Esso inciderà sulla futura competitività delle piccole imprese alimentari, in quanto, a differenza di quanto avviene nelle grandi aziende, i costi dovranno essere ripartiti — per dare un esempio — su volumi decisamente più ridotti di prodotti trasformati e venduti. Va pertanto giudicata positivamente la disposizione che prevede la possibilità di adattare ai volumi di produzione la frequenza dei controlli da effettuare sulla carne macinata fornita dalle piccole imprese di macellazione e di sezionamento o dalle macellerie. Tutte le altre imprese sono soggette a controlli settimanali.

Regolamento (CE) n. 853/2004: i rischi della flessibilità nel settore lattiero-caseario

4.5

Questa flessibilità offre un'ampia discrezionalità non solo agli Stati membri, ma soprattutto alle autorità veterinarie regionali responsabili del riconoscimento degli stabilimenti delle imprese alimentari. Esistono già oggi notevoli differenze nell'applicazione delle norme di igiene, specie nei settori giudicati a rischio dai veterinari, come ad esempio la macellazione di pollame in prossimità dell'allevamento, i caseifici artigianali e la fabbricazione di prodotti a base di latte crudo.

4.6

In numerosi Stati membri dell'Unione, la trasformazione del latte in formaggio contribuisce in modo sostanziale a garantire l'esistenza delle aziende rurali. Dalle esperienze raccolte in Polonia a livello regionale prima e dopo l'adesione all'Unione è emerso che le autorità veterinarie vietavano inizialmente la creazione di caseifici artigianali in nome di presunte «disposizioni dell'Unione europea». È risultato che esse fossero del tutto impreparate di fronte a queste «nuove» idee, ma che, per andare sul sicuro, seguissero il principio secondo cui ciò che non esiste non crea neanche problemi (di igiene). È chiaro, però, che la responsabilità in questo caso non è dell'Unione, ma delle autorità nazionali e regionali.

4.7

Numerose disposizioni in materia di trasformazione del latte, ancora definite in forma dettagliata nella normativa europea precedente, vengono ora abrogate. Il nuovo regolamento offre nuove possibilità alle imprese alimentari di piccole dimensioni e a vocazione artigianale: queste, infatti, possono veder riconosciuti eventuali procedimenti alternativi, che però il regolamento non definisce in concreto.

4.8

Alla luce di quanto esposto finora, vi sono ragioni fondate di temere che alcuni Stati membri, all'atto di applicare i regolamenti a livello nazionale, tenteranno di imporre un'interpretazione molto più restrittiva e sfavorevole alle piccole imprese alimentari rispetto agli obiettivi fissati dal legislatore europeo.

4.9

Al riguardo, un primo esempio è offerto dal progetto di regolamentazione amministrativa generale (procedura di riconoscimento ai sensi dell'articolo 31 del regolamento (CE) n. 882/2004) già elaborato in Germania. Come già accadeva in passato, si richiede ora una prova di omologazione per l'autorizzazione degli impianti di pastorizzazione e delle centrifughe pulitrici. Gli operatori che ricorrono ad apparecchiature o procedure diverse devono sostenere l'onere della prova e i costi della perizia da effettuare.

4.10

Un secondo esempio è costituito dal fatto che, nella fase di recepimento dell'acquis comunitario, in alcuni Stati membri dell'Europa orientale, come la Repubblica ceca, la Polonia, la Slovenia e i paesi baltici, hanno avuto luogo processi analoghi a quelli osservati nei nuovi Länder tedeschi. I problemi economici hanno indotto a cambiamenti strutturali di enorme portata nelle imprese lattiere e nei mattatoi, con conseguente perdita di posti di lavoro; inoltre, l'interesse che le grandi imprese di trasformazione nutrono per un migliore sfruttamento dei loro impianti ha spesso condizionato la procedura di riconoscimento.

4.11

Il Comitato invita pertanto la Comunità a vigilare sul rispetto della concorrenza leale in tutti gli Stati membri, affinché le autorità consentano anche alle piccole imprese alimentari locali di sfruttare i margini di discrezionalità concessi dal legislatore europeo in materia di prodotti tradizionali e regionali di qualità.

Regolamento (CE) n. 853/2004: alcuni ostacoli per le piccole imprese alimentari del settore delle carni

4.12

Il regolamento (CE) n. 853/2004 contiene una serie di prescrizioni chiare che vanno ben oltre quelle applicabili finora alle piccole imprese alimentari del settore delle carni ed hanno ripercussioni negative sull'evoluzione dei costi e di conseguenza sulle imprese stesse; tra queste prescrizioni, le più significative sono le seguenti:

4.13

tutti i mattatoi devono essere dotati di locali di stabulazione  (5). Da tale prescrizione non sarebbe escluso il settore artigianale delle carni, nonostante la brevità della permanenza dei capi e lo scarso numero di capi macellati in una settimana nei piccoli mattatoi. In linea di massima, per le piccole imprese ciò comporta ingenti investimenti senza vantaggi tangibili in termini di igiene. Il Comitato, quindi, si compiace che la versione riveduta del documento SANCO/1514/2005 affronti ora questo problema: al punto 2, infatti, si specifica che i piccoli mattatoi non sono obbligati a disporre di apparecchiature sofisticate (sophisticated or extensive infrastructures) per l'abbeveraggio e l'alimentazione dei capi.

4.14

La macellazione e il sezionamento devono essere effettuati in locali separati. Tuttavia, i medesimi locali possono essere utilizzati per entrambe le operazioni senza comprometterne il livello di sicurezza, purché tali operazioni siano svolte in tempi diversi in modo da lasciare asciugare i locali e migliorarne così le condizioni igieniche. Tra l'altro, ciò si tradurrebbe in un risparmio di investimenti per le piccole imprese alimentari. Pertanto, in una versione riveduta del documento di orientamento si dovrebbe prevedere un'esenzione dall'obbligo di effettuare le due operazioni in locali separati, purché tra esse intercorra un lasso di tempo sufficiente e i locali siano puliti in modo appropriato.

4.15

Le piccole imprese artigiane, che finora godevano dello status di imprese registrate, saranno anch'esse tenute in futuro a mantenere una temperatura di 12 °C nei locali di sezionamento o ad adottare una procedura alternativa. Anche a prescindere dal fatto che lavorare con una temperatura di 12 °C pone alcuni problemi, ciò comporterà un aumento degli investimenti e dei costi di refrigerazione per le piccole imprese (6). Al riguardo sarebbe senz'altro sufficiente togliere dalla cella frigorifera la carne da sezionare in singole porzioni.

4.16

Particolarmente problematici sono i nuovi requisiti in materia di temperatura e controllo applicabili alla carne macinata, introdotti dal regolamento (CE) n. 853/2004, dato che la carne macinata riveste una grande importanza economica anche per le microimprese e per le piccole imprese di trasformazione. Almeno in Germania, finora tali imprese rientravano nella categoria di quelle «solo registrate» ed erano quindi soggette alla normativa nazionale in materia di carne macinata, che prescrive una temperatura di 4 °C. Dato che in futuro esisteranno solo imprese riconosciute a livello comunitario, anche le imprese artigiane di trasformazione delle carni dovranno rispettare i severi requisiti in materia di temperatura (2 °C) previsti dal nuovo regolamento (7). Nel caso in cui le imprese producano carne macinata fresca e la vendano il giorno stesso (come imponeva la vecchia normativa), la prescrizione di una temperatura più bassa non reca alcun vantaggio in termini di igiene. Poiché per mantenere le temperature più basse ora previste non sarà sufficiente adeguare i vecchi impianti e occorreranno inoltre dei sistemi di sbrinamento, le imprese dovranno investire in nuovi impianti di refrigerazione. Un altro aspetto del nuovo regolamento che pone problemi di competitività alle imprese artigiane è il fatto che esso consente la macinazione della carne congelata, il che servirà solo a favorire ulteriori pratiche di dumping.

4.17

Un'altra novità è costituita dall'obbligo di controlli microbiologici sulla carne macinata prodotta dalle imprese artigiane, anche quando la carne sia venduta o surgelata il giorno stesso di produzione (8). Tale disposizione comporta notevoli oneri finanziari senza vantaggi concreti in termini di igiene. Resta imprecisata la frequenza dei controlli. Il progetto di regolamento prevede, soltanto per le piccole imprese, la possibilità di non effettuare le campionature settimanali (cfr. oltre, ai punti da 4.18 a 4.20).

Regolamento sulla definizione dei criteri microbiologici

4.18

Il tenore delle disposizioni del regolamento sui criteri microbiologici, attualmente in corso di elaborazione, rivestirà particolare importanza per la competitività futura delle piccole imprese alimentari. La portata dei prelievi da effettuare e l'entità dei campioni dovranno essere commisurate al volume della produzione dell'impresa interessata ed essere al tempo stesso rappresentative in termini statistici.

4.19

Finora i mattatoi erano obbligati a effettuare, una volta l'anno, analisi microbiologiche sulle carcasse per stabilire la carica microbica totale e la presenza di agenti patogeni (enterobacteriaceae), nonché, dieci volte all'anno, analisi corrispondenti sulle attrezzature, sulle pareti dei locali, ecc. Il previsto aumento della frequenza delle analisi obbligatorie comporterà notevoli costi supplementari per le piccole imprese (cfr. punto 4.16 per la carne macinata).

4.20

Si consideri inoltre che, nel caso di volumi di produzione esigui, si creano problemi non soltanto statistici, ma anche in termini di quantitativi di campioni da prelevare ai fini dell'analisi, come ha rilevato la Confédération générale de l'alimentation en détail (CGAD), l'organizzazione professionale francese degli artigiani e dei commercianti dell'alimentazione. Se si mantenesse invariata l'entità dei campioni, in determinati casi non resterebbe più merce, secondo la CGAD, da destinare alla vendita, per non parlare poi dei relativi costi.

5.   Conclusioni

5.1

Il Comitato giudica con favore la flessibilità dei nuovi regolamenti, che offrono nuove opportunità alle imprese alimentari tradizionali e/o artigianali e regionali.

5.2

A giudizio del Comitato, però, questi margini di manovra possono anche comportare rischi elevati per le imprese artigiane, in quanto sia gli Stati membri che le autorità locali potrebbero interpretare le disposizioni in modo poco favorevole a tali imprese, come dimostra la regolamentazione adottata finora a livello nazionale per recepire le direttive comunitarie. Alle imprese dovrebbe essere in sostanza lasciata la facoltà di decidere con quali strumenti perseguire gli obiettivi formulati in materia di igiene. Ciò è sottolineato anche al punto 4 del documento di orientamento SANCO 1513/2005/riv. 1. La Commissione, quindi, deve garantire un'adeguata pubblicità di tale documento negli Stati membri.

5.3

Il Comitato ravvisa inoltre la necessità di modificare in alcuni punti il testo dei regolamenti.

5.3.1

La macellazione artigianale di singoli capi andrebbe in linea di principio riconosciuta come «procedura tradizionale». Ciò vale per tutte le misure di adeguamento da adottare a livello nazionale in virtù dell'articolo 13, paragrafo 4, del regolamento (CE) n. 852/2004, dell'articolo 10, paragrafo 4, del regolamento (CE) n. 853/2004 e dell'articolo 10, paragrafo 4, del regolamento (CE) n. 854/2004.

5.3.2

I locali che nel commercio al dettaglio vengono utilizzati per la preparazione e/o il sezionamento di grandi quantità di alimenti di origine animale destinati ad altri dettaglianti dovrebbero rientrare, senza eccezioni, nel campo di applicazione del regolamento (CE) n. 853/2004 (9).

5.3.3

Quanto ai requisiti costruttivi (cfr. allegato III del regolamento (CE) n. 853/2004), bisognerebbe tener conto delle raccomandazioni di cui al punto 5.2 del documento SANCO 1514, secondo cui le imprese artigiane che effettuano la macellazione nei propri locali non devono disporre necessariamente di impianti di stabulazione, ma solo di impianti, anche semplici, di alimentazione e abbeveraggio.

5.3.4

L'obbligo di disporre di un secondo locale di lavoro dovrebbe venir meno nel caso in cui le operazioni di macellazione e sezionamento siano chiaramente separate nel tempo (cfr. capo II, paragrafo 2, lettera c)).

5.3.5

L'obbligo di mantenere una certa temperatura all'interno dei locali di sezionamento non si dovrebbe applicare qualora la carne, come spesso avviene nelle imprese artigiane, sia estratta dalla cella frigorifera in porzioni che vengono poi sezionate.

5.3.6

Quanto ai requisiti in materia di temperatura, le imprese artigiane di trasformazione dovrebbero essere esenti dall'obbligo di refrigerare la carne macinata a 2 °C (cfr. sezione V, capo III, paragrafo 2, lettera c)) e ottemperare invece all'obbligo dei 4 °C (se il prodotto è macinato fresco e venduto il giorno stesso di produzione) previsto dalla precedente regolamentazione tedesca per le imprese registrate. Inoltre, per le imprese che producono quantitativi limitati di carne macinata da vendere o surgelare il giorno stesso di produzione, la frequenza dei controlli microbiologici dovrebbe dipendere dalla quantità di carne macinata effettivamente prodotta (cfr. regolamento (CE) n. 852/2004, capo II, articolo 4, paragrafo 3, lettera a)).

5.3.7

Il Comitato propone pertanto di elaborare uno studio comparativo che analizzi l'applicazione del regolamento in Stati membri le cui imprese alimentari artigiane presentano strutture diverse, sulla cui base mettere a punto proposte specifiche volte a incrementare la competitività di tali imprese. In particolare, bisognerebbe anche accertarsi della disponibilità di formazione iniziale e permanente per le piccole imprese alimentari. Inoltre, bisognerebbe verificare i sistemi utilizzati per divulgare i documenti di orientamento della Commissione, sì da garantire alle piccole imprese un'adeguata informazione sul grado di flessibilità loro accordato.

Bruxelles, 15 dicembre 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  GU L 226 del 25.6.2004.

(2)  HACCP = Hazard Analysis Critical Control Points.

(3)  GU C 155 del 29.5.2001, pag. 39.

(4)  In Germania, nel settore dei prodotti di macelleria il 45 % del volume d'affari è ancora realizzato da imprese artigiane. Rispetto al volume delle vendite, la loro incidenza in termini di peso dei prodotti venduti è un po' inferiore: esse, infatti, praticano prezzi un po' più alti, anche a causa dei costi più elevati delle materie prime e del lavoro.

(5)  Regolamento (CE) n. 853/2004, allegato III, sezione I, capo II, paragrafi 1, lettera a), e 2, lettera c).

(6)  Idem, allegato III, sezione I, capo V, paragrafo 2, lettera a).

(7)  Idem, allegato III, sezione V, capo III, paragrafo 2, lettera c).

(8)  Regolamento (CE) n. 852/2004, capo II, articolo 4, paragrafo 3, lettera a).

(9)  Cfr. anche parere CESE del 28.3.2001, GU C 155 del 29.5.2001, pag. 39.