ISSN 1725-2466

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 286

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

48o anno
17 novembre 2005


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

II   Atti preparatori

 

Comitato economico e sociale europeo

 

418a Sessione plenaria dell'8 e 9 giugno 2005

2005/C 286/1

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale COM(2004) 718 def. - 2004/0251 (COD)

1

2005/C 286/2

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la concessione di licenze obbligatorie per brevetti relativi alla fabbricazione di prodotti farmaceutici destinati all'esportazione verso paesi con problemi di sanità pubblica COM(2004) 737 def. - 2004/0258 (COD)

4

2005/C 286/3

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 98/71/CE sulla protezione giuridica dei disegni e dei modelli COM(2004) 582 def. — 2004/0203 (COD)

8

2005/C 286/4

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Strumenti di misura e di informazione sulla responsabilità sociale delle imprese in un'economia globalizzata

12

2005/C 286/5

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde sull'approccio dell'Unione europea alla gestione della migrazione economica COM(2004) 811 def.

20

2005/C 286/6

Parere del comitato economico e sociale europeo sul tema accordo generale sugli scambi di servizi (GATS) — Negoziati sulla Modalità 4 (movimento delle persone fisiche)

28

2005/C 286/7

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio relativa alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti radioattivi e di combustibile esaurito COM(2004) 716 def. — 2004/0249 (CNS)

34

2005/C 286/8

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Consiglio sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione (ai sensi dell'articolo 128 del Trattato CE) (COM(2005) 141 def. — 2005/0057 (CNS))

38

IT

 


II Atti preparatori

Comitato economico e sociale europeo

418a Sessione plenaria dell'8 e 9 giugno 2005

17.11.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 286/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa a determinati aspetti della mediazione in materia civile e commerciale

COM(2004) 718 def. - 2004/0251 (COD)

(2005/C 286/01)

Il Consiglio, in data 16 novembre 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 maggio 2005, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SÁNCHEZ MIGUEL.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 9 giugno 2005, nel corso della 418a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 157 voti favorevoli, 1 voto contrario e 1 astensione.

1.   Introduzione

1.1

A partire dal Consiglio di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999, la Commissione europea ha avviato un processo di armonizzazione e creazione di strumenti giuridici destinati a istituire uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia in grado di garantire la libera circolazione delle persone entro i confini dell'Unione europea. In precedenza (1), il Consiglio aveva presentato le disposizioni pertinenti per agevolare la notificazione e la comunicazione di atti giudiziari ed extragiudiziali fra Stati membri. Questo provvedimento era stato valutato positivamente in quanto consente ai cittadini di essere meglio informati.

1.2

In seguito al Consiglio di Tampere, la Commissione ha invitato gli Stati membri a introdurre procedure di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni, nonché procedure alternative ed extragiudiziali di risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale in grado di migliorare il funzionamento dei sistemi giudiziari in ciascun paese, potenziando al tempo stesso i sistemi europei di raccolta dati e le reti di informazione e ricorrendo a tal fine alle nuove tecnologie messe a disposizione dei cittadini europei.

1.3

In merito al primo tema, è stato presentato un regolamento del Consiglio concernente la competenza giurisdizionale nonché il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale (2), il quale prevede, fra le altre misure, una semplificazione del procedimento di delibazione, alcuni adattamenti delle misure cautelari di notevole valore per l'effettiva esecuzione delle decisioni, nonché il riconoscimento di un titolo cautelare europeo.

1.4

Sulla stessa linea, la Commissione ha presentato una proposta di decisione relativa alla creazione di una rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale (3), con cui si intendeva creare uno strumento europeo per la cooperazione giudiziaria, per l'informazione dei privati, delle imprese, delle istituzioni e delle amministrazioni in merito al diritto e alle procedure d'applicazione in ciascuno Stato membro, in materia civile e commerciale. Si tratta dunque di uno strumento di grande aiuto soprattutto per la risoluzione delle controversie transfrontaliere.

1.5

In seguito alla presentazione nel 2002 del Libro verde circa i metodi di risoluzione alternativa delle controversie in Europa e alle consultazioni ad ampio raggio intraprese con gli Stati membri e le parti interessate, la Commissione ha preparato la proposta in esame con l'intenzione di creare uno strumento idoneo per raggiungere risultati efficaci, salvaguardando però le caratteristiche proprie dei diritti nazionali nella risoluzione delle controversie in materia civile e commerciale.

1.6

In merito a questo aspetto va considerata, come precedente rilevante, la mediazione in materia di consumo (4) - di lunga tradizione ed estrema praticità - dovuta in parte al suo inserimento nelle norme giuridiche che tutelano i consumatori. Questo sistema ha saputo adattarsi alle condizioni dettate dalle nuove abitudini di consumo, al punto da essere applicabile specificamente a diversi settori, non solo dei beni ma anche dei servizi.

1.7

La mediazione in materia civile e commerciale nell'ambito del procedimento giudiziario presenta alcune specificità di notevole importanza rispetto ad altre forme di mediazione. Va ricordato in primo luogo che l'organizzazione del sistema giudiziario è competenza esclusiva di ciascuno Stato membro e in secondo luogo che la mediazione ha validità in quanto metodo di risoluzione delle controversie, se viene accettata dalle parti. Questi due aspetti limitano la competenza della Commissione nell'elaborazione di una proposta di direttiva. D'altra parte, come segnala la Commissione, pur trattandosi di disporre di metodi alternativi di risoluzione delle controversie, gli Stati membri debbono comunque garantire e mantenere «un sistema legale efficace ed equo», che risponda ai requisiti di tutela dei diritti dell'uomo.

2.   Contenuto della proposta

2.1

Scopo della proposta in esame è facilitare, attraverso la mediazione, la risoluzione di controversie che possono verificarsi nel mercato interno nell'ambito del diritto civile e commerciale. A tal fine vengono definiti i termini «mediazione» e «mediatore», ma viene lasciato agli Stati membri il compito di disciplinare giuridicamente in particolare le caratteristiche che debbono riunire i soggetti che esercitano la mediazione.

2.2

La parti possono ricorrere ala mediazione su base volontaria oppure successivamente all'avvio del procedimento giudiziario. La proposta può dunque essere presentata su richiesta delle parti o del tribunale. In entrambi i casi, le parti si sottopongono alla mediazione al fine di evitare il procedimento o, qualora questo sia già stato avviato, di semplificare la procedura adempiendo ai risultati della mediazione. In tutti e due i casi, le parti possono richiedere l'esecuzione degli accordi raggiunti attraverso una sentenza, una decisione o una dichiarazione di autenticità.

2.3

Dichiarazioni e documenti rilasciati nell'ambito della mediazione non saranno ammessi come prove nei procedimenti civili, a norma dell'articolo 6, paragrafo 1: viene così protetta la riservatezza delle parti e di coloro che partecipano alla mediazione. Tali informazioni potranno tuttavia essere ammesse se il mediatore e le parti sono d'accordo e soprattutto se richieste per assicurare la protezione di minori e per scongiurare un danno all'integrità fisica o psicologica di una persona.

2.4

Il ricorso alla mediazione sospende i termini di prescrizione e decadenza delle azioni relative alla controversia oggetto della mediazione, se le parti esprimono il loro accordo in merito al ricorso alla mediazione o se quest'ultimo viene ordinato da un tribunale.

3.   Osservazioni sulla direttiva proposta

3.1

Il CESE ritiene che la direttiva proposta costituisca un'iniziativa positiva, che continua le azioni intraprese a partire dal Consiglio di Tampere e destinate a garantire maggiore certezza giuridica all'interno dell'Unione europea. In effetti, un quadro giuridico europeo per la mediazione in materia civile e commerciale presuppone l'inserimento di uno strumento già utilizzato in taluni Stati membri - benché principalmente nella composizione di controversie in ambito privato - all'interno dei procedimenti giudiziari, come sistema che consenta ai tribunali di proporre un mediatore, esterno al processo, in grado di facilitare l'accordo fra le parti in conflitto.

3.2

La proposta è destinata ad aumentare il ricorso alla mediazione in ambito giurisdizionale, all'interno nell'Unione europea. In tal modo si otterranno benefici non soltanto economici - dovuti alla riduzione dei costi dei procedimenti - ma anche sociali, in quanto si eviteranno le lungaggini dei procedimenti civili, che hanno spesso conseguenze nefaste per le parti, soprattutto nel diritto di famiglia, e comportano solitamente danni sociali. La mediazione non va comunque confusa con le procedure di conciliazione imperanti nella maggioranza dei procedimenti nazionali, nelle quali sono infatti le parti e i loro avvocati, col patrocinio del giudice, a cercare di raggiungere un accordo prima dell'avvio del procedimento.

3.3

Il mediatore costituisce un elemento estremamente importante per ottenere buoni risultati. L'abilità e l'equità del mediatore e soprattutto la sua indipendenza dalle parti nonché la sua riservatezza nell'ambito del procedimento favoriscono l'efficacia e il buon esito della mediazione; l'articolo 4 della proposta lascia tuttavia agli Stati membri il compito di definire le condizioni e gli altri requisiti a cui i mediatori debbono rispondere, e incoraggia lo sviluppo di misure di autoregolamentazione a livello comunitario, in particolare di codici europei di condotta. Sebbene la proposta non riguardi esclusivamente la mediazione nelle controversie transfrontaliere, il diritto comunitario deve occuparsi della necessaria formazione delle persone nominate mediatori e soprattutto della creazione di un quadro giuridico che consenta di esercitare liberamente questo servizio in tutti gli Stati membri.

3.4

È fondamentale garantire la qualità del servizio prestato nella mediazione. Sarebbe dunque opportuno che la proposta indicasse degli orientamenti volti ad armonizzare, seppur minimamente, i requisiti necessari per esercitare l'attività di mediatore. Fra questi ricordiamo la garanzia di competenza e indipendenza dei mediatori, in linea con quanto raccomandato per la mediazione in materia di consumo, che si otterrebbe rafforzando la cooperazione europea ai fini di una maggiore omogeneità dei sistemi di formazione e designazione dei mediatori.

3.5

Le controversie oggetto della mediazione in materia civile e commerciale vengono delimitate dall'ottavo considerando in cui si precisa che la direttiva proposta «esclude procedimenti di natura arbitrale quali appunto l'arbitrato propriamente detto, i reclami all'ombudsman, i reclami dei consumatori, la valutazione di periti o i procedimenti gestiti da organismi che emettono una raccomandazione formale, sia essa legalmente vincolante o meno, per la risoluzione della controversia». Questa esclusione è probabilmente dettata dall'esistenza di procedure di mediazione proprie a ciascuno dei casi indicati. Andrebbe tuttavia considerata la possibilità di ricorrere alla mediazione nelle azioni civili derivanti da cause penali o tributarie (5), anche se originariamente escluse, in quanto potrebbe favorire la loro risoluzione.

3.6

Il CESE si trova d'accordo con la norma che preserva al massimo livello la riservatezza delle informazioni, in materia civile e commerciale, che riguardano lo svolgimento della mediazione (articolo 6, paragrafo 1), non solo in merito ai dati personali, ma anche a quelli relativi alla riservatezza dei rapporti. La norma non va però applicata in nessun caso, allorquando lederebbe i diritti di un minore e l'integrità fisica o psicologica delle persone interessate dalla controversia.

4.   Osservazioni specifiche

Considerando che la mediazione è un procedimento volontario di risoluzione delle controversie che può rivelarsi efficace unicamente se le parti convengono di ricorrervi e di conformarsi successivamente ai suoi risultati, risulta opportuno precisare nella futura direttiva alcuni aspetti di notevole importanza per fare della mediazione uno strumento fruibile che ispiri la fiducia dei cittadini europei. A tal fine il CESE ritiene necessario tener conto delle seguenti osservazioni.

4.1

Il quadro giuridico proposto per la mediazione ha effetti limitati alle cause in ambito civile e commerciale (6). Pur disponendo di un'abbondante giurisprudenza che definisce le materie attinenti a quest'ambito, sarebbe tuttavia opportuno precisare il campo di applicazione all'articolo 1, paragrafo 2, ed evitare la formulazione per esclusione che figura all'ottavo considerando. Bisognerebbe inoltre tenere conto di materie civili e commerciali derivate, ad esempio dall'ambito fiscale e amministrativo, e persino di azioni civili derivanti da cause penali (7).

4.1.1

In futuro, esaminati i risultati dell'applicazione della mediazione proposta, si potrebbe valutare di ampliare l'ambito di applicazione a competenze procedurali amministrative e tributarie.

4.2

Un aspetto che può creare problemi è la divergenza esistente fra le diverse versioni linguistiche della proposta, che può ostacolarne il recepimento (8). Va ricordato che l'organizzazione dell'ordinamento giudiziario è competenza esclusiva di ciascuno Stato membro e che pertanto la prassi giurisprudenziale può cambiare da un paese all'altro. Sarebbe necessario precisare che la mediazione può essere proposta non soltanto dai tribunali in senso stretto ma da tutti gli organi giudiziari e che l'osservanza dell'accordo mediato può essere garantita non soltanto dagli organi giudiziari ma da qualsiasi autorità pubblica autorizzata dalla legislazione nazionale.

4.3

Il CESE ribadisce l'importanza che l'intervento del mediatore ha lungo tutto il procedimento, al fine di garantire l'applicazione e l'efficacia dell'accordo. Ritiene pertanto che la Commissione debba proporre orientamenti tali da garantire una certa armonizzazione fra tutti gli Stati membri, nonché l'autorevolezza e la qualità dei mediatori. Fra i requisiti minimi per l'esercizio dell'attività di mediatore - da enunciare all'articolo 4 della direttiva - andrebbero inclusi i seguenti:

titoli adeguati e formazione nelle materie oggetto della mediazione,

indipendenza e imparzialità dalle parti,

trasparenza e responsabilità degli interventi attuati.

In particolare va garantita la libertà di prestare servizi in tutti gli Stati membri; nei paesi più piccoli ciò faciliterebbe infatti l'indipendenza del mediatore dalle parti.

4.3.1

L'adozione di un codice europeo di condotta per definire le norme a cui i mediatori debbono attenersi ci sembra in principio un'opzione valida. Per poterlo approvare però, la Commissione dovrebbe verificare che siano sempre garantite la professionalità, l'indipendenza e la responsabilità delle persone - fisiche e giuridiche - che esercitano l'attività di mediazione: proponiamo infatti di enunciare questi requisiti all'articolo 4.

4.4

Il problema dei costi della mediazione non può essere risolto limitandosi a includere tali costi nelle spese processuali, secondo le disposizioni vigenti in ciascuno Stato membro. Bisognerebbe invece prevedere o una serie di tariffe in funzione della controversia e della sua entità, ovvero un preventivo obbligatorio che consenta alle parti di valutare l'opportunità di ricorrere alla mediazione. In ogni modo essa non dovrebbe mai risultare più costosa di quanto non sarebbe, per le parti, il procedimento giudiziario.

Bruxelles, 9 giugno 2005.

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Direttiva del Consiglio relativa alla notificazione e comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziali ed extragiudiziali in materia civile e commerciale (COM(1999) 219 def.). Parere del CESE, relatore: HERNÁNDEZ BATALLER. GU C 368 del 20.12.1999.

(2)  Parere del CESE, relatore: MALOSSE. GU C 117 del 26.4.2000.

(3)  COM(2000) 592 def. Parere del CESE, relatore: RETUREAU. GU C 139 dell'11.5.2001.

(4)  Raccomandazione della Commissione, del 4.4.2001, sui principi applicabili agli organi extragiudiziali che partecipano alla risoluzione consensuale delle controversie in materia di consumo. GU L 109 dell'19.4.2001.

(5)  GU C 139 dell'11.5.2001.

(6)  La Convenzione di Bruxelles del 27 settembre ha delimitato la competenza giurisdizionale in materia civile e commerciale.

(7)  Nel parere in merito alla proposta di decisione del Consiglio relativa alla creazione di una rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale (relatore: RETUREAU. GU C 139 dell'11.5.2001), al punto 3.7 il Comitato raccomanda che, per quanto riguarda la definizione materiale del settore civile e commerciale, si faccia «esplicito riferimento alle definizioni della Corte di giustizia. Dato che le azioni civili decise nelle cause penali o tributarie non sono escluse dall'ambito di applicazione della proposta normativa in esame, e che è anche possibile che vengano richiesti documenti la cui qualificazione giuridica da parte dell'organo giudiziale competente non sempre risulta evidente, per tutelare i diritti delle parti in causa sarebbe opportuno aggiungere quanto segue: … l'organo ricevente qualificherà nel modo più flessibile possibile gli atti la cui natura giuridica non possa venir ascritta chiaramente all'ambito civile o commerciale, pur presentando punti di connessione con tali ambiti».

(8)  Nella versione tedesca della proposta di direttiva ricorre spesso il termine «Streitschlichtung» (conciliazione delle controversie). Il concetto di «Streitschlichtung» non può essere considerato equivalente a «mediazione», perché il parere del conciliatore è una proposta motivata volta alla composizione del conflitto, mentre il mediatore in senso stretto non prende posizione sull'oggetto della controversia. Per tale motivo, nella versione tedesca della proposta di direttiva al posto del termine «Streitschlichtung» si dovrebbe utilizzare il termine «Streitbeilegung» (composizione delle controversie, N.d.T.).


17.11.2005   

IT

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C 286/4


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio concernente la concessione di licenze obbligatorie per brevetti relativi alla fabbricazione di prodotti farmaceutici destinati all'esportazione verso paesi con problemi di sanità pubblica

COM(2004) 737 def. - 2004/0258 (COD)

(2005/C 286/02)

Il Consiglio, in data 15 dicembre 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 251 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 23 maggio 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore BRAGHIN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 8 giugno 2005, nel corso della 418a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 64 voti favorevoli, 1 voto contrario e 1 astensione.

1.   Sintesi del parere

1.1

Il CESE condivide la proposta di regolamento della Commissione, atta a rendere operativa la decisione del 30 agosto 2003 del Consiglio generale dell'OMC. Apprezza altresì il ruolo attivo svolto dalla Commissione sia presso gli organismi internazionali sia presso gli stakeholder per trovare soluzioni idonee ai gravi problemi sanitari dei paesi in via di sviluppo (PVS) privi di capacità produttive nel settore farmaceutico e con inadeguate strutture sanitarie.

1.2

IL CESE condivide la procedura prevista per la concessione di licenze obbligatorie per prodotti farmaceutici coperti da brevetto o certificato di protezione complementare, nonché i meccanismi di controllo individuati.

1.3

Il CESE raccomanda peraltro di rafforzare l'articolato in modo da assicurare:

il pieno rispetto della legislazione vigente, specialmente per quanto attiene i controlli di qualità della produzione,

il rafforzamento delle condizioni per la concessione della licenza obbligatoria (art. 8), specialmente nei meccanismi che differenziano il farmaco su licenza dall'originale, onde evitare azioni illegali di riesportazione verso la Comunità o paesi terzi,

uno sforzo coordinato con le autorità dei paesi importatori per evitare frodi, contraffazioni, utilizzazioni diverse da quelle originariamente previste,

una sorveglianza attenta dell'applicazione del regolamento doganale e dei meccanismi di sanzione degli Stati membri in modo da dissuadere ogni operazione illecita,

una maggiore pubblicità della concessione di tali licenze obbligatorie, per favorire una tutela più efficace dei diritti di proprietà intellettuale.

1.4

Il CESE auspica che il campo di applicazione sia allargato ai farmaci veterinari, in vista delle possibili emergenze sanitarie conseguenti a malattie trasmesse da animali o a contaminazione di cibi di origine animale.

1.5

Il CESE auspica infine che la Commissione continui i suoi sforzi a livello internazionale affinché farmaci di emergenza e strutture sanitarie adeguate siano rese accessibili anche nei PVS che non sono membri dell'OMC.

2.   Introduzione

2.1

Molte parti del globo soffrono per una situazione sanitaria fortemente critica, caratterizzata da un rischio costante di epidemie, da strutture e modalità di trattamento e di cura insufficienti, tassi di morbilità e di mortalità molto elevati. La sfida è globale: si tratta di incrementare i servizi sanitari e sociali non solo nei paesi meno sviluppati, ma anche nei paesi relativamente sviluppati che non destinano però risorse adeguate alla soluzione dei loro problemi sanitari e sociali.

2.2

Gli aiuti sanitari da parte dei paesi più sviluppati non sono sufficienti per risolvere tali problemi, per cui nuovi strumenti devono essere cercati. L'approccio non può limitarsi alla fornitura di farmaci in emergenza, come avviene generalmente negli aiuti ai paesi in via di sviluppo, ma deve essere volto a migliorare la performance globale del sistema: vi è infatti la necessità di indirizzare le scarse risorse disponibili verso priorità reali, di implementare le capacità di gestione e di controllo delle risorse affinché i benefici vadano realmente alla popolazione che ne necessita, di trovare soluzioni alle carenze produttive di farmaci o servizi nonché di garantire per questi ultimi una gestione efficace.

2.3

La Commissione è stata particolarmente attenta ed attiva in questo campo, intervenendo su più fronti collegati agli aspetti sanitari e cercando valide forme di collaborazione e di aiuto. Basti citare il programma di azione relativo alle tre malattie che più incidono sul tasso di mortalità nei paesi meno sviluppati o in via di sviluppo (HIV/AIDS, tubercolosi e malaria) (1): Con tale programma si mira contemporaneamente a rafforzare i sistemi sanitari locali, a incrementare le possibilità di acquistare farmaci essenziali a costi sopportabili e a promuovere la ricerca su farmaci e vaccini per combattere tali malattie.

2.4

La Commissione ha inoltre svolto un ruolo attivo e molto positivo sia presso gli organismi internazionali sia presso gli stakeholder per sensibilizzarli e trovare insieme ad essi delle soluzioni condivise. L'obiettivo è quello di migliorare la disponibilità di farmaci essenziali, e di garantire un equo accesso alle popolazioni più povere, sostenendo nel contempo i diritti di proprietà intellettuale nell'ambito degli accordi che regolano il commercio internazionale, e sopprimendo il rischio di reimportazione o di vendita speculativa a paesi terzi.

2.5

In particolare l'azione della Commissione è stata determinante per far evolvere la discussione su questi obiettivi nell'ambito dell'Organizzazione mondiale per il commercio (OMC) in rapporto agli accordi TRIPs (2). Alla conferenza dei ministri svoltasi a Doha nel 2001 gli Stati membri dell'OMC hanno adottato una dichiarazione sull'accordo TRIPs e la sanità pubblica (3), in cui si chiariva quale flessibilità era ammessa nell'applicazione dell'accordo stesso nel campo delle politiche sanitarie nazionali. In tale sede sono stati fissati i punti fondamentali per assicurare ai paesi meno sviluppati con limitate o inesistenti capacità produttive nel settore farmaceutico la possibilità di far ricorso a licenze obbligatorie, aspetto regolato prevalentemente a livello nazionale.

2.6

Nella citata dichiarazione di Doha sulla sanità pubblica si affermava il principio che gli accordi TRIPs dovevano essere interpretati e implementati in modo da dare supporto al diritto di protezione della salute pubblica e da promuovere l'accesso ai farmaci per tutti. In particolare si affermava il diritto di ogni Stato membro dell'OMC di determinare che cosa costituisca un'«emergenza nazionale» o una «circostanza di estrema urgenza» al fine di giustificare la concessione di licenze obbligatorie e, preso atto delle difficoltà degli Stati con insufficienti o nulle capacità produttive in campo farmaceutico, si dava mandato al Consiglio generale di trovare una rapida soluzione al problema.

2.7

Il Consiglio generale dell'OMC è pervenuto ad una soluzione con la decisione del 30 agosto 2003 (4): in essa si chiariscono i principi e gli impegni dei vari attori affinché i prodotti importati nell'ambito del sistema così definito siano veramente usati per fini di sanità pubblica senza diversione degli scambi. Si riconosce inoltre l'opportunità di cooperare tra Stati membri dell'OMC al fine di promuovere il trasferimento di tecnologie e di costruire la capacità produttiva nel settore farmaceutico, ai sensi dell'articolo 66, paragrafo 2, degli accordi TRIPs.

2.8

Di grande rilievo è la parallela dichiarazione ufficiale del presidente del Consiglio generale (5), che illustra i problemi affrontati in questa ampia azione nazionale ed internazionale per risolvere il problema, e chiarisce il senso profondo e l'equità delle misure individuate, arricchendo così di contenuti la decisione stessa. In tale dichiarazione inoltre si dà atto che un certo numero di Stati membri dell'OMC, tra cui i paesi membri dell'UE, rinunciano ad utilizzare questo meccanismo particolare delle licenze obbligatorie per importare specialità medicinali.

2.9

La decisione del Consiglio generale stabilisce che i suoi effetti cesseranno nel momento in cui sarà adottata una modifica degli accordi TRIPs che recepisca quanto statuito nella decisione stessa. Malgrado gli stringenti tempi fissati, l'iniziativa del Consiglio generale non ha portato sinora a un tale intervento risolutore. Di conseguenza sono state decise autonomamente da parte di alcuni Stati membri dell'OMC alcune iniziative per rendere operativa tale decisione, e la proposta di regolamento presentata dalla Commissione va nella medesima direzione.

3.   I contenuti della proposta di regolamento

3.1

La proposta di regolamento riguarda l'attuazione a livello comunitario della decisione del Consiglio generale dell'OMC del 30 agosto 2003 sull'attuazione del paragrafo 6 della dichiarazione riguardante l'accordo TRIPs e la sanità pubblica. Questa decisione permette ai membri dell'OMC di concedere licenze obbligatorie per la produzione e la vendita di prodotti farmaceutici brevettati in vista dell'esportazione verso paesi terzi che l'abbiano richiesto, le cui capacità di produzione nel settore farmaceutico sono insufficienti o inesistenti. Si liberano in tal modo i membri dell'OMC dai loro obblighi derivanti dall'articolo 31, lettera f), dell'accordo dell'OMC sugli aspetti dei diritti di proprietà intellettuale che riguardano il commercio.

3.2

Il regolamento si inscrive nell'azione europea internazionale volta a porre rimedio ai problemi di sanità pubblica dei paesi meno avanzati e di altri paesi in via di sviluppo, con il fine di migliorare l'accesso ai medicinali a prezzi abbordabili nei paesi membri dell'OMC di fronte a situazioni di emergenza nazionale o a circostanze di estrema urgenza.

3.3

La decisione prevede importanti meccanismi di salvaguardia contro la deviazione degli scambi, nonché regole volte a garantire la trasparenza; getta inoltre le basi di una futura sostituzione della decisione stessa con una modifica dell'accordo TRIPs.

3.4

La Commissione ritiene importante che la Comunità contribuisca al sistema posto in essere attraverso una sua attuazione nell'ordinamento giuridico comunitario, e questo sia per il ruolo attivo svolto dalla Comunità stessa e dagli Stati membri nell'adozione della decisione, sia per l'impegno da loro assunto presso l'OMC a contribuire pienamente all'attuazione della decisione e a garantire la realizzazione di condizioni appropriate per consentire un funzionamento efficace del sistema creato con tale decisione.

3.5

Un'applicazione uniforme della decisione nell'ambito della Comunità è necessaria per garantire che le condizioni di concessione delle licenze obbligatorie per l'esportazione siano identiche in tutti gli Stati membri dell'UE. L'obiettivo è di evitare ogni distorsione della concorrenza per gli operatori nel mercato unico e di applicare regole uniformi al fine di evitare la reimportazione sul territorio dell'UE di prodotti farmaceutici fabbricati in virtù di licenze obbligatorie.

3.6

La Commissione propone un'esecuzione tramite regolamento sulla base degli articoli 95 e 133 del Trattato in considerazione della natura estremamente specifica delle disposizioni della decisione, dell'esistenza di accordi internazionali riguardanti la concessione di licenze obbligatorie e, infine, della necessità di adottare misure urgenti per consentire l'esportazione di medicinali in paesi con problemi di sanità pubblica.

4.   Osservazioni

4.1

Il CESE concorda pienamente con la necessità di intervenire per rendere disponibili i farmaci essenziali nei paesi in cui sono limitate le risorse economiche e produttive, e quindi insufficienti gli strumenti attuali per combattere malattie endemiche o situazioni di crisi sanitaria. Il regolamento proposto permette, nel rispetto del regime brevettale, la fornitura di farmaci brevettati a condizioni ben specificate. La proposta in oggetto non affronta il problema della mancanza di farmaci fuori brevetto nei PVS in quanto questo esula dai contenuti della decisione dell'OMC.

4.2

Il CESE si compiace di questa iniziativa della Commissione, atta a favorire la piena ed uniforme applicazione della procedura di concessione di licenze obbligatorie per brevetti e certificati di protezione complementari concernenti la fabbricazione e la vendita di prodotti farmaceutici a paesi che ne abbiano fatto richiesta per risolvere un loro rilevante problema sanitario, e considera sostanzialmente appropriati i meccanismi individuati. Peraltro ritiene migliorabile il testo su alcuni punti specifici, come illustrato nelle osservazioni successive.

4.3

La definizione di «prodotto farmaceutico» (art. 2, par. 1) fa esplicito riferimento alla direttiva 2001/83/CE del Parlamento e del Consiglio (6) relativa ai farmaci ad uso umano. Dal canto suo, la decisione del Consiglio generale dell'OMC non cita i farmaci veterinari: tuttavia, per affrontare le emergenze sanitarie che potrebbero sorgere da malattie trasmesse all'uomo da animali o dalla contaminazione di cibi di origine animale il CESE auspica che si allarghi ai farmaci veterinari il campo di applicazione, eventualmente attraverso un'apposita decisione del Consiglio generale dell'OMC.

4.4

Il regolamento si applica ai paesi membri dell'OMC (art. 4), come è logico trattandosi di uno strumento per l'applicazione di una decisone interna a tale organizzazione internazionale. Il CESE sollecita peraltro la Commissione e gli Stati membri a proseguire la discussione a livello internazionale e a cercare soluzioni applicabili a tutti gli Stati del globo, nel rispetto dei diritti di proprietà intellettuale e degli accordi internazionali vigenti.

4.5

L'articolo 5 stabilisce che «qualunque persona può depositare una domanda di licenza obbligatoria». Il CESE ritiene che tale generica indicazione del soggetto agente derivi dalla volontà di offrire il massimo di opportunità di produzione: ritiene tuttavia prudente specificare che tale soggetto agente deve rispondere a tutti i requisiti richiesti dalla legislazione europea sui prodotti farmaceutici, in modo che siano applicate le regole di produzione vigenti nell'UE a tutela della salute e del cittadino, anche se nel caso specifico il prodotto è destinato esclusivamente all'esportazione.

4.6

Il CESE ritiene infatti necessario che tutte le autorità competenti coinvolte vigilino sul rispetto degli standard qualitativi della produzione: questi ultimi devono essere gli stessi sia per il mercato interno che per l'esportazione verso paesi non adeguatamente strutturati per controlli di qualità. È opportuno che nell'applicazione del regolamento si trovino adeguate forme di sorveglianza sui meccanismi di controllo dei paesi importatori, e che in particolare si operi in modo coordinato per evitare frodi o contraffazioni assicurando così la protezione dei pazienti nel loro territorio ovvero una destinazione diversa del farmaco soggetto a licenza obbligatoria o una sua illegale reimportazione.

4.7

Sul delicato aspetto delle quantità di cui è autorizzata la produzione, il CESE nota una discrepanza tra l'art. 6.2, che richiede che le quantità totali autorizzate «non superino in modo significativo le quantità notificate all'OMC» e l'art. 8.2, in cui si afferma che «le quantità del prodotto fabbricate in virtù della licenza non dovranno superare le quantità necessarie per rispondere ai bisogni». Il CESE suggerisce di eliminare la discrepanza modificando il testo dell'art. 6.2 in modo da chiarire che la produzione non deve essere in eccesso rispetto alle quantità necessarie e richieste.

4.8

Dato che il sistema implica una limitazione della piena titolarità dei diritti, giustamente si prevede che il regolamento debba essere applicato in buona fede (considerando 6) e che i prodotti fabbricati in virtù di esso debbano pervenire alle persone che ne hanno bisogno e non essere sviati ad altri destinatari (considerando 7). Sarebbe preferibile però ritrovare espressamente tali affermazioni, con cui il CESE pienamente concorda, inserite anche negli specifici articoli in cui si descrivono dettagliatamente i meccanismi di applicazione, come per esempio negli articoli 5 e 6, o in quelli in cui si prevedono interventi di sospensione o di annullamento della licenza obbligatoria (artt. 12 e 14).

4.9

Il CESE condivide le misure previste per evitare un uso distorto della licenza obbligatoria. Auspica in aggiunta che sia esplicitamente introdotta la possibilità per il titolare del brevetto o del certificato di protezione supplementare di segnalare o di obiettare su aspetti eventualmente disattesi, segnatamente per quanto riguarda la prova di negoziati preliminari e il controllo della conformità della produzione con quanto prescritto all'articolo 8 (punti 4, 5 e 8 in particolare).

4.10

L'articolo 8, paragrafo 1, sembra contenere un errore, in quanto fa riferimento ai punti successivi da 2 a 8, mentre dovrebbe includere anche il punto 9, che è ugualmente riferito al titolare della licenza.

4.11

L'art. 8, paragrafo 4, fissa le regole di etichettatura, marcatura ed imballaggio che i prodotti fabbricati in virtù del presente regolamento dovranno rispettare, onde garantire la destinazione esclusiva all'esportazione e vendita nel paese importatore richiedente. Il CESE suggerisce di specificare che anche il marchio, i loghi grafici e i colori dell'imballaggio dovranno essere differenziati al fine di ostacolare la riesportazione illegale verso l'Unione europea o paesi terzi.

4.12

L'articolo 10, relativo alla notifica alla Commissione della licenza obbligatoria concessa dagli Stati membri dell'UE, non sembra garantire un'adeguata pubblicità di tale concessione presso il titolare del diritto e gli operatori del settore. Il CESE auspica che tali informazioni possano, in forme adeguate e garantendo la tutela dei dati confidenziali, essere messe a disposizione di tutti i soggetti coinvolti.

4.13

L'articolo 11, paragrafo 2, non sembra formulato adeguatamente per evitare ogni abuso, specialmente nel caso di farmaci non prodotti nell'UE ma transitanti nel territorio dell'Unione, e risulta scarsamente incisivo. Il CESE suggerisce che la Commissione sorvegli i meccanismi di controllo e l'applicazione delle sanzioni approvate dagli Stati membri affinché siano realmente efficaci, proporzionali e dissuasivi nel rispetto del regolamento doganale (7), onde evitare frodi e contraffazioni.

4.14

Il CESE auspica infine che la Commissione studi le modalità più opportune, compresi accordi bilaterali, per poter applicare meccanismi similari anche verso i PVS che non sono membri dell'OMC.

Bruxelles, 8 giugno 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  GU C 133 del 6.6.2003.

(2)  TRIPs sta per Agreement on Trade-Related aspects of Intellectual Property rights: tale accordo regola la possibilità di apportare modifiche obbligatorie ai diritti di proprietà intellettuale, vincolandole a determinate condizioni.

(3)  Declaration on the TRIPS Agreement and public health, adottata il 14 novembre 2001, in http://www.wto.org

(4)  Decision of the General Council «Implementation of paragraph 6 of the Doha Declaration on the TRIPS Agreement and public health», in http://www.wto.org

(5)  «The General Council Chairperson's statement», 30 agosto 2003, in http://www.wto.org

(6)  GU L 311 del 28.11.2001.

(7)  Capo V, articolo 18 del regolamento 1383 (2003).


17.11.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 286/8


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 98/71/CE sulla protezione giuridica dei disegni e dei modelli

COM(2004) 582 def. — 2004/0203 (COD)

(2005/C 286/03)

Il Consiglio, in data 6 dicembre 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

L'Ufficio di presidenza del Comitato economico e sociale europeo ha deciso di incaricare la sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo di preparare i lavori in materia. Nel corso della riunione del 20 aprile 2005 la sezione Mercato unico, produzione e consumo ha respinto il progetto di parere presentato da RANOCCHIARI.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, in data 8 giugno 2005, nel corso della 418a sessione plenaria, ha nominato RANOCCHIARI relatore generale. Il Comitato ha respinto il progetto di parere e ha adottato il seguente controparere, presentato da PEGADO LIZ e STEFFENS con 107 voti favorevoli, 71 voti contrari e 22 astensioni.

1.   Introduzione — Precedenti della questione

1.1

La proposta di direttiva in esame intende modificare la direttiva 98/71/CE. Con tale modifica si vuole eliminare, in tutti i paesi della Unione europea, la possibilità di far valere i diritti sul design relativi a componenti di prodotti complessi, nei confronti dei terzi (fornitori indipendenti) che fabbrichino, usino e/o vendano tali componenti a scopo di riparazione, al fine di ripristinare l'aspetto originale del prodotto complesso.

1.2

Tra i settori interessati dalla proposta (elettrodomestici, motocicli, orologi, ecc.), quello in cui essa avrebbe il maggior impatto sarebbe, come è noto, quello automobilistico.

1.3

Si ricorda che la direttiva 98/71/CE («la direttiva») fu preceduta dalla pubblicazione da parte della Commissione di un «Libro verde sulla tutela giuridica dei disegni industriali» che, oltre ad esporre i risultati di un ampio studio sulla materia, conteneva altresì un progetto preliminare di proposta di direttiva sul ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri nonché un progetto preliminare di proposta di regolamento.

1.4

Nel Libro verde veniva discusso anche il problema della proteggibilità o meno dei componenti di un prodotto complesso, e in particolare di quegli elementi che servono a connettere un prodotto ad un altro. Il Libro verde dichiarava proteggibili i componenti che possiedono di per sé i requisiti di proteggibilità, precisando però che dovevano essere escluse dalla protezione quelle caratteristiche o elementi indispensabili (chiamati «interfacce» o «interconnessioni») «che devono necessariamente essere riprodotti nella loro esatta forma e dimensione allo scopo di consentire al prodotto nel quale il disegno è attuato di essere assemblato o unito ad un altro prodotto».

1.5

La proposta di direttiva presentata formalmente dalla Commissione nel dicembre 1993 (1) confermava che anche il componente di un prodotto complesso poteva godere di protezione se soddisfaceva «in quanto tale» i requisiti di proteggibilità e cioè la «novità» ed il «carattere individuale» (art. 3) e ribadiva per contro la non proteggibilità delle «interfacce» o «interconnessioni» (art. 7.2).

1.6

Detta proposta conteneva peraltro un'altra importante norma, ai sensi della quale i diritti di esclusiva sui disegni protetti non potevano venir fatti valere contro i terzi che, trascorsi tre anni dalla prima messa in commercio di un prodotto «complesso» incorporante un certo disegno o modello, impiegavano (copiavano) tale disegno o modello, a condizione che tale disegno o modello «dipendesse dall'aspetto» del prodotto complesso e che l'impiego avesse lo scopo «di consentire la riparazione del prodotto complesso al fine di ripristinarne l'aspetto originario» (art. 14). Veniva in sostanza prevista una importante deroga alla protezione dei disegni o modelli a scopo di ricambio o riparazione («spare parts exception» o repair clause che dir si voglia).

1.6.1

Su questo aspetto della proposta di direttiva del 1993, il Comitato, nel suo parere IND/504 del 6 luglio 1994 (relatore: PARDON), affermava in particolare quanto segue:

1.6.1.1

Al pari di tutti gli altri diritti di protezione commerciale anche la protezione giuridica dei disegni e dei modelli porta a diritti esclusivi (diritti di monopolio). Il monopolio assicurato al proprietario del disegno riguarda tuttavia solo la forma esteriore (il «Design») di un prodotto, non il prodotto medesimo.

1.6.1.2

La protezione dei disegni e dei modelli garantisce pertanto un monopolio della forma, non del prodotto. «Proteggere il disegno o il modello di un orologio non impedisce che vi sia concorrenza sul mercato degli orologi». (Punto 9.2. della Relazione introduttiva alla proposta della Commissione sui disegni e modelli).

1.6.1.3

Per i pezzi di ricambio inclusi nella clausola della riparazione (ad esempio un parafango o un faro d'automobile) le cose stanno diversamente. La forma, e cioè il «design» di tali pezzi di ricambio non devono venir modificati rispetto al prodotto originale da sostituire.

1.6.1.4

Includere nella tutela giuridica dei disegni e modelli simili pezzi di ricambio porta a situazioni di monopolio sui mercati dei pezzi di ricambio; la tutela giuridica del disegno e del modello di un parafango o di un faro di ricambio impediscono qualsiasi concorrenza nei relativi settori.

1.6.1.5

Ciò contraddice l'essenza stessa della tutela giuridica dei disegni e dei modelli, il cui contenuto viene appropriatamente definito dal legislatore.

1.6.1.6

La clausola della riparazione include tale definizione: essa permette di ottenere di esercitare una tutela giuridica dei disegni e dei modelli laddove tali diritti vengano applicati in maniera appropriata; essa impedisce solamente l'esercizio di tali diritti laddove essi, come avviene nel settore della riparazione, non possano venir applicati in maniera appropriata. In tal modo essa impedisce che si vengano a creare monopoli, che la concorrenza venga esclusa dal mercato e che i consumatori si trovino in balia della politica dei prezzi praticata dall'unico offerente nei vari settori.

1.6.1.7

Essa impedisce contemporaneamente il crearsi di premi di monopolio. Infatti, la condizione indispensabile per una ricompensa per il «design», vale a dire l'esistenza di un mercato e la possibilità che i consumatori possano esprimervi le proprie preferenze, viene a mancare se la protezione giuridica dei modelli è estesa ai pezzi di ricambio inclusi nella clausola della riparazione.

1.6.1.8

Il Comitato economico e sociale approva pertanto la clausola della riparazione proposta dalla Commissione.

1.7

La previsione della suddetta eccezione, o clausola di riparazione, andava nella direzione delle richieste di certi settori industriali e cioè dell'industria di imitazione dei componenti automobilistici, e in particolare dei produttori di imitazioni delle cosiddette «crash parts». Questi fornitori «indipendenti» avevano già cercato di ottenere una deroga al regime di protezione dei disegni e modelli, in base alla legislazione vigente, ricorrendo alla Corte di giustizia, ma senza successo (vedi cause Cicra/Renault (2) e Volvo/Veng (3)).

1.8

La clausola di riparazione contenuta nella proposta di direttiva del 1993 formò oggetto di critiche da parte degli ambienti industriali aventi interessi diversi (od opposti) da quelli dei fabbricanti indipendenti di ricambi, e cioè le case automobilistiche. La Commissione tentò quindi un nuovo approccio con una proposta emendata (4). La nuova proposta prevedeva in sostanza che i terzi interessati a copiare il design di un determinato prodotto complesso ai fini di una riparazione avrebbero potuto farlo da subito (senza attendere la scadenza dei tre anni dalla prima immissione in commercio del prodotto complesso stesso), a condizione di pagare una congrua e «ragionevole rimunerazione» (art. 14).

1.9

Ma la soluzione della congrua e «ragionevole rimunerazione» non fu considerata accettabile né dai fabbricanti indipendenti (5) né dalle case automobilistiche titolari di diritti sul design (6).

1.10

Divergenze profonde si manifestarono anche nel corso della procedura di codecisione del Consiglio e del Parlamento europeo: si rese così necessario avviare la procedura di «conciliazione» che si concluse nel settembre 1998 con la rinuncia, in pratica, a realizzare l'armonizzazione del diritto degli Stati membri in relazione alla questione, con il «congelamento» (cosiddetto freeze plus nel gergo degli addetti ai lavori) delle legislazioni nazionali esistenti e con il rinvio della soluzione del problema ad un tempo successivo.

2.   Norme della direttiva 98/71/CE (7) in materia di componenti

2.1

A norma della direttiva, il «disegno o modello» proteggibile può riguardare sia l'aspetto di un intero prodotto sia quello di una sua parte (art. 1 lettera a)).

2.2

Anche i disegni o modelli dei componenti sono suscettibili di essere protetti, se soddisfano ai requisiti di proteggibilità previsti per ogni tipo di «prodotto», e cioè essere «nuovi» ed avere carattere «individuale» (art. 3 (2)). Ma la proteggibilità del disegno o modello di un componente è riconosciuta soltanto se:

a)

il componente, una volta incorporato nel prodotto complesso, rimane visibile durante la normale utilizzazione del prodotto complesso, e

b)

le caratteristiche visibili del componente possiedono di per sé i requisiti di novità e di individualità (art. 3 (3)).

Per «utilizzazione normale» ai sensi del paragrafo 3, lettera a) si intende l'utilizzo da parte del consumatore finale, esclusi gli interventi di manutenzione, assistenza e riparazione (art. 3 (4)).

In pratica, se applicate al settore automobilistico, le suddette norme comportano il fatto che non sono proteggibili con i diritti sul design tutte le parti e componenti che si trovano sotto il «cofano» e quindi non risultano visibili durante il normale uso di una vettura (si pensi ad esempio all'aspetto della testata del motore).

2.3

Ai disegni o modelli dei componenti si applica anche la norma per cui non sono proteggibili quelle caratteristiche dell'aspetto del prodotto che sono determinate unicamente dalla sua funzione tecnica (art. 7 (1)). Parimenti non sono proteggibili quelle caratteristiche dell'aspetto (del componente) che devono essere necessariamente riprodotte nelle loro esatte forme e dimensioni per poter consentire la connessione o interconnessione con un altro prodotto (o componente) (art. 7 (2)). Nel campo automobilistico questo comporta ad es. il fatto che può essere protetta con il diritto sul design la forma di un paraurti o di uno specchietto retrovisore, ma non la configurazione degli attacchi per collegare meccanicamente il pezzo alla carrozzeria.

2.4

Va ricordato infine che:

2.4.1

la direttiva stabilisce che tre anni dopo la scadenza del termine per la sua attuazione (in pratica entro l'ottobre 2004) la Commissione è tenuta a presentare un'analisi delle conseguenze della direttiva medesima per l'industria comunitaria e in particolare per i fabbricanti di prodotti complessi e di componenti, per i consumatori, per la concorrenza e per il funzionamento del mercato interno. Al più tardi entro un anno dalla data suddetta (in pratica entro l'ottobre 2005) la Commissione deve proporre al Parlamento europeo ed al Consiglio le modifiche alla direttiva necessarie per completare il mercato interno per quanto riguarda i componenti di prodotti complessi, nonché altre eventuali modifiche (art. 18)

2.4.2

fino all'adozione delle modifiche sopra citate, gli Stati membri debbono mantenere in vigore le loro disposizioni giuridiche riguardanti l'uso dei disegni o modelli protetti concernenti componenti utilizzati per la riparazione di un prodotto complesso al fine di ripristinarne l'aspetto originario. Gli Stati membri possono introdurre modifiche alle suddette disposizioni giuridiche solo qualora l'obiettivo sia la liberalizzazione del mercato di tali componenti (art. 14 — disposizione transitoria già citata come «freeze plus»). Al momento attuale tutti gli Stati membri hanno implementato la direttiva. Dei 25 Stati membri dell'UE, 9 hanno introdotto una qualche forma di repair clause, attuando quindi la liberalizzazione (Belgio, Irlanda, Italia, Lettonia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Regno Unito, Spagna e Ungheria), ma la maggioranza (16 Stati membri) prevede la protezione anche per i componenti destinati a ricambio o riparazione.

2.4.3

A proposito della liberalizzazione del mercato secondario, l'articolo 110, paragrafo 1 del Regolamento (CE) n. 6/2002 del Consiglio del 12 dicembre 2001 su disegni e modelli comunitari, dispone che non esiste protezione in quanto disegno o modello comunitario nei confronti di un disegno o modello che costituisca una componente di un prodotto complesso che è utilizzato […] allo scopo di consentire la riparazione di tale prodotto complesso al fine di ripristinarne l'aspetto originario.

2.4.4

Nella stessa direzione, anche se non discute la necessità della proposta della Commissione in oggetto, va anche il Regolamento 1400/2002/CE del Consiglio, del 31 luglio 2002, relativo a talune categorie di accordi verticali e pratiche concordate nel settore automobilistico.

3.   Il contenuto della proposta di direttiva

3.1

Il contenuto «precettivo» della proposta è molto semplice. Esso consiste nel disporre che l'art. 14 (Disposizioni transitorie) della direttiva 98/71 venga modificato, stabilendo in pratica che non è proteggibile il design di componenti di un prodotto complesso utilizzati per la riparazione del prodotto complesso medesimo, al fine di ripristinarne l'aspetto originario. Si tratta in pratica della «free repair clause from day one», auspicata da tempo, come visto sopra, da alcuni ambienti interessati.

3.2

Nei «considerando» della proposta vengono indicate quelle che sarebbero le ragioni fondamentali per tale regime di completa, immediata e gratuita «liberalizzazione»:

il solo scopo della protezione di disegni e modelli sarebbe quello di garantire dei diritti esclusivi sull'aspetto di un prodotto, ma non un monopolio sul prodotto in quanto tale,

la protezione di disegni e modelli per i quali non esistono alternative pratiche comporterebbe di fatto un monopolio sul prodotto; tale protezione potrebbe costituire un abuso delle disposizioni in tema di disegni e modelli,

consentendo a terzi di fabbricare e distribuire pezzi di ricambio si mantiene la concorrenza,

se viceversa viene estesa la protezione ai pezzi di ricambio, i terzi diventano rei di una violazione dei diritti sul disegno, la concorrenza viene eliminata ed al titolare del diritto viene garantito un monopolio de facto sul prodotto.

3.3

Viene anche sottolineato che, al momento, il regime giuridico dei disegni e modelli nei diversi Stati membri è divergente, cosa che pregiudica il funzionamento del mercato interno e può falsare la concorrenza.

3.4

Ulteriori e più dettagliate motivazioni vengono esposte nella relazione esplicativa che sostanzialmente ripete o riassume le conclusioni dell'AIA (Analisi d'Impatto Approfondita) e, solo in parte, del rapporto EPEC (European Policy Evaluation Consortium) In sostanza, fra le varie opzioni considerate, solo la liberalizzazione presenterebbe vari benefici senza seri inconvenienti. Essa infatti migliorerebbe il funzionamento del mercato interno, permetterebbe una maggiore concorrenza nel mercato secondario, farebbe diminuire i prezzi pagati dai consumatori e creerebbe opportunità e posti di lavoro per le PMI (par. 2.2, pag. 7).

3.5

Viceversa, le altre opzioni non sarebbero raccomandabili, principalmente perché:

il mantenimento dello status quo, con le disparità fra le varie legislazioni nazionali, impedirebbe la realizzazione del mercato interno,

una protezione di durata ridotta potrebbe comportare la possibilità che durante il relativo periodo i titolari dei diritti aumentino i prezzi (non vengono forniti elementi concreti a supporto),

un sistema di autorizzazione per i terzi ad usare i disegni detenuti da altri, ma contro pagamento di una «remunerazione», comporterebbe problemi in relazione all'accertamento della titolarità dei diritti, all'adeguatezza del compenso e infine alla disponibilità dei terzi a versare effettivamente la remunerazione stessa,

una combinazione dei due sistemi precedenti, vale a dire un breve periodo di protezione e un sistema di remunerazione per un periodo successivo, comporterebbe costi relativamente alti e probabilmente pochi fabbricanti indipendenti effettuerebbero gli investimenti necessari (cfr. Scheda legislativa finanziaria, par. 5.1.2, pag. 17).

4.   Osservazioni sul piano tecnico

4.1

Il rapporto EPEC già più volte ricordato ammette (par. 3.7) che i ricambi non originali non garantiscono gli stessi livelli qualitativi di quelli originali. Ciò perché i fornitori indipendenti spesso non dispongono delle competenze specifiche di processo, di qualità e di tecnologia che sono proprie delle case automobilistiche.

4.2

Le autovetture moderne sono il risultato complesso di un assemblaggio di componenti indipendenti ad alto contenuto tecnologico (ad esempio acciai ad alta resistenza) le cui specifiche non includono solo forma e dimensione, ma anche qualità dell'assemblaggio (tecniche di saldatura e adesivi utilizzati) e dei materiali. È quindi possibile che le parti non originali possano deviare dalle specifiche originali.

4.3

In effetti una autovettura in sede di omologazione è sottoposta ad una serie di prove di «crash» frontale e laterale per verificarne la rispondenza ai requisiti richiesti dalle specifiche direttive per la protezione degli occupanti in caso di collisione. A queste si aggiunge ora la recente direttiva sulla protezione dei pedoni, che ha lo scopo di ridurre le conseguenze dell'impatto dei veicoli sui pedoni in caso di urto. Questa ultima norma obbliga i costruttori di auto a progettare la parte frontale delle vetture secondo determinati requisiti di sicurezza e a effettuare crash test specifici.

4.4

Di contro, i fornitori indipendenti di parti di ricambio non sono soggetti ad alcun controllo tecnico preventivo delle parti che immettono sul mercato, in quanto non è prevista una procedura di omologazione dei singoli componenti della vettura salvo che per alcuni particolari, e cioè le cosiddette unità tecniche indipendenti. Queste sono, per le parti di carrozzeria, i vetri, gli specchietti retrovisori, i proiettori e i fanali posteriori. Per le altre parti (cofano, paraurti, ecc.), non vi è alcun obbligo di prove tecniche prima della commercializzazione e quindi nessuna certezza che esse abbiano le stesse caratteristiche di quelle prodotte per il primo equipaggiamento. I fornitori indipendenti sono unicamente sottoposti alle norme generali sulla sicurezza dei prodotti e sulla responsabilità per danni conseguenti a difetti del prodotto.

4.5

La proposta sembra anche contraddire l'importante direttiva sui veicoli a fine vita, la cosiddetta End of Life Vehicles. In effetti tale direttiva obbliga i costruttori ad eliminare dai componenti dei veicoli i metalli pesanti e ad indicare le sostanze in essi presenti per facilitarne il riciclo. Inoltre il costruttore è obbligato a progettare il veicolo in modo da facilitarne lo smontaggio al momento del fine vita e relativo riciclo. Poiché, ovviamente, tali obblighi non sussistono per i fornitori indipendenti, nel caso di sostituzione con componenti (ad esempio paraurti) di cui non è nota la composizione, si può correre il rischio di compromettere il ciclo di trattamento a fine vita con eventuali conseguenze sul piano ambientale e con ulteriore aggravio dei costi.

4.6

Ha ragione la Commissione nell'affermare che la protezione di un disegno o modello è intesa a ricompensare lo sforzo intellettuale del creatore del disegno o modello e non a garantirne le funzioni tecniche o la qualità (vedi proposta di direttiva, relazione pag. 9). È giusto quindi dire che concettualmente protezione del design e sicurezza si collocano su due piani diversi. Ma non si può ignorare che da un punto di vista pratico la liberalizzazione proposta dalla Commissione potrebbe portare ad un aumento sul mercato del numero di componenti non adeguatamente testati nell'ambito delle prove citate al par. 6.3 e non rispondenti alle prescrizioni della direttiva End of Life Vehicles. Quindi, a fronte dei presunti vantaggi che, secondo la Commissione, la liberalizzazione offrirebbe ai consumatori in termini di maggiore concorrenza, vanno anche considerati i possibili maggiori rischi che i consumatori stessi potrebbero correre.

5.   Considerazioni conclusive e raccomandazioni

5.1

il Comitato riafferma la sua posizione, espressa in diversi pareri, che consiste nel riconoscere l'importanza crescente negli scambi commerciali dei diritti di proprietà intellettuale e, tra questi, della protezione giuridica dei disegni e modelli industriali come elemento fondamentale dell'innovazione tecnica e della conseguente necessità della lotta contro la contraffazione.

5.2

Il comitato ribadisce, tuttavia, la sua interpretazione secondo cui il monopolio conferito al proprietario del disegno o modello si riferisce solo alla forma esteriore di un prodotto e non al prodotto in sé.

5.3

In questo senso, il Comitato conferma quanto già espresso in precedenti pareri secondo cui sottoporre i pezzi di ricambio inclusi nella clausola di riparazione al regime di protezione dei disegni o modelli significherebbe istituire un monopolio di prodotto nel mercato secondario, in contrasto con la natura stessa della protezione giuridica di disegni e modelli.

5.4

Si aggiunga che il regime istituito con la direttiva 98/71/CE ha permesso il mantenimento e ha contribuito, in seguito al recente ampliamento dell'UE, all'aumento di regimi nazionali, diversi e addirittura opposti, in un campo estremamente importante per un settore di enorme rilevanza economica nel mercato europeo.

5.5

La proposta della Commissione è diretta, quindi, a realizzare il mercato interno in questo campo mediante l'avvicinamento dei sistemi nazionali, sulla base della liberalizzazione dell'impiego di disegni o modelli protetti ai fini della riparazione di prodotti complessi con lo scopo di restituire loro l'aspetto originale (mercato secondario).

5.6

Il Comitato accoglie con favore la proposta della Commissione, che si colloca sulla stessa linea di altre iniziative legislative che hanno già avuto l'accordo del Comitato, e che può contribuire all'aumento della concorrenza, all'abbassamento dei prezzi e alla creazione di nuovi posti di lavoro specie nelle PMI.

5.7

Il Comitato ritiene, tuttavia, che la proposta della Commissione trarrebbe vantaggio se fosse più adeguatamente giustificata sul versante della chiara dimostrazione della sua compatibilità con l'Accordo TRIPS, della maggiore evidenziazione dei suoi effetti sull'occupazione e, in particolare, della garanzia che, al di là del diritto all'informazione, che appare sancito, per i consumatori non vi saranno ripercussioni, a livello delle loro scelte, sia direttamente, negli aspetti della sicurezza e dell'affidabilità dei prodotti utilizzati provenienti da fabbricanti indipendenti, sia indirettamente, a causa delle conseguenze dell'impiego di tali pezzi nella riparazione dei prodotti complessi cui sono destinati (essenzialmente automobili), conseguenze sia relative al valore venale residuo dei prodotti, sia riguardanti gli oneri indiretti (per esempio le assicurazioni).

Bruxelles, 8 giugno 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne Marie SIGMUND


(1)  GU C 345 del 23.12.1993.

(2)  Causa 53/87, decisione del 5.10.1988.

(3)  Causa 238/87, decisione del 5.10.1988.

(4)  GU C 142 del 14.5.1996.

(5)  R. Hughes, Legal Counsel ECAR «The legal protection of designs», 1996; e Briefing Notes (da 1 a 6) della «Campagne Européenne pour la liberté du marché des pièces de rechange et de la réparation automobile», 1996.

(6)  ACEA comments on the proposed directive regarding industrial design protection, ref. 97000622 e «Key questions about design protection for car parts» rif. 97000517.

(7)  GU L 289 del 28.10.1998.


17.11.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 286/12


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Strumenti di misura e di informazione sulla responsabilità sociale delle imprese in un'economia globalizzata

(2005/C 286/04)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 15 settembre 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema: Strumenti di misura e di informazione sulla responsabilità sociale delle imprese in un'economia globalizzata.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 maggio 2005, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice PICHENOT.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 8 giugno 2005, nel corso della 418a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 135 voti favorevoli, 2 voti contrari e 18 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Con l'adozione, nel luglio 2002, di un nuovo orientamento sulla responsabilità sociale delle imprese (RSI), la Commissione ha inserito le imprese nella propria strategia sullo sviluppo sostenibile. La RSI è un'espressione sul piano microeconomico del concetto macroeconomico di sviluppo sostenibile e viene definita in concreto dalla Commissione come «l'integrazione su base volontaria dei problemi sociali e ambientali delle imprese nelle loro attività commerciali e nelle loro relazioni con le altre parti». In seguito a una serie di attività in questo campo, la Commissione sta per presentare una nuova comunicazione riguardante una strategia per la promozione e lo sviluppo della RSI nell'Unione europea.

1.2

La direttiva 2003/51/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 18 giugno 2003 (1), modifica la 4a direttiva del 1978 sui conti annuali e la 7a direttiva del 1983 sui conti consolidati introducendovi il seguente capoverso: «L'analisi comporta, nella misura necessaria alla comprensione dell'andamento, dei risultati degli affari della società o della sua situazione, sia gli indicatori finanziari fondamentali di prestazione sia, se del caso, quelli non finanziari pertinenti per l'attività specifica della società, comprese informazioni attinenti all'ambiente e al personale».

1.3

La corretta gestione dell'impresa, nel rispetto dei principi dell'OCSE in materia, e l'investimento socialmente responsabile vengono così ad assumere rilievo nel mondo degli affari. Investire in modo socialmente responsabile significa gestire un portafoglio di valori mobiliari non solo in funzione del rendimento finanziario, ma anche tenendo conto di criteri sociali e ambientali.

1.4

Per il Comitato economico e sociale europeo è molto importante che la RSI diventi una forza di impulso nel quadro di una strategia planetaria sullo sviluppo sostenibile. Nell'osservazione conclusiva del precedente parere elaborato al riguardo (2), si affermava che la responsabilità sociale delle imprese rappresenta un tema centrale per il Comitato, il quale intende seguirne e accompagnarne gli sviluppi con estrema attenzione e in modo attivo. Il parere considera che un atteggiamento socialmente responsabile dovrebbe basarsi su un'applicazione effettiva e dinamica delle disposizioni vigenti (legislazione e accordi collettivi) e che, al di là delle norme, necessiti di un impegno volontario con le parti interessate. Il documento del Comitato prevedeva inoltre l'elaborazione di una RSI propria al contesto specifico dell'UE.

1.5

Oggigiorno, in tutti gli Stati membri dell'Unione ampliata sono in corso dibattiti sulla RSI, anche se le legislazioni e le prassi al riguardo sono quanto mai eterogenee. Lo sforzo di sensibilizzazione nei nuovi Stati membri deve essere portato avanti: ciò giustifica l'elaborazione del presente parere di iniziativa nel contesto di una nuova comunicazione che si iscrive nel solco del Libro verde e dei lavori del forum multilaterale sulla RSI.

1.6

Il forum multilaterale europeo sulla RSI ha riunito, tra ottobre 2002 e giugno 2004, una ventina di organizzazioni dei datori di lavoro, delle reti di imprese, dei lavoratori dipendenti, della società civile rappresentativa delle altre parti interessate in una prima esperienza di dialogo civile o sociale in senso lato (3). Il metodo, fondato tra l'altro sulla ricerca del consenso per promuovere il ricorso a strumenti trasparenti e convergenti, puntava a ottenere una diagnosi comune dei fattori favorevoli e di quelli avversi alla RSI e, se possibile, a emettere raccomandazioni congiunte sull'azione futura. Oltre ad analizzare i fattori suscettibili di incoraggiare o di ostacolare la promozione della RSI, il forum ha enucleato con chiarezza una serie di opportuni incentivi per la sensibilizzazione e la formazione degli interessati, raccomandando inoltre di fondare la valutazione sui grandi testi internazionali già sottoscritti da tutti gli Stati membri.

1.7

Il progetto di Trattato costituzionale ricorda, all'articolo I-3, che «l'Unione europea si adopera per lo sviluppo sostenibile dell'Europa, basato su […] un'economia sociale di mercato fortemente competitiva che mira alla piena occupazione e al progresso sociale […]». La RSI è uno degli strumenti volti a mantenere l'equilibrio tra i tre pilastri della strategia di Lisbona: economia e crescita, occupazione e modello sociale europeo, e ambiente. In altri termini è un mezzo per rafforzare la coesione sociale e avanzare ulteriormente in direzione della società della conoscenza. Ciò rafforzerà l'efficienza economica dell'Unione e la competitività (4) delle sue imprese.

1.8

Lo sviluppo degli scambi internazionali riguarda le imprese di ogni dimensione, anche se particolarmente rilevante è il ruolo delle multinazionali al riguardo. Da un paese all'altro e all'interno di uno stesso gruppo di imprese si registrano movimenti di prodotti, di servizi e di capitali. È chiaro che si tratta di una globalizzazione dell'economia, e non più solo di un'internazionalizzazione degli scambi. Questo ruolo crescente delle imprese conferisce loro una responsabilità sempre maggiore nei confronti della società, la quale va al di là delle frontiere nazionali.

1.9

In tale contesto non basta più ragionare in termini di mercato interno europeo. Per numerose imprese, il riferimento d'obbligo è divenuto il mercato mondiale, nel quale si vanno sviluppando diverse prassi riconducibili, in modo più o meno esplicito, a concezioni differenti della RSI. Per quanto si voglia universale, ognuna di tali concezioni esprime una certa visione dell'etica, della società, del sociale e dell'ambiente.

2.   Dalla sperimentazione alla maturità: verso una maggiore trasparenza

2.1   Convenzioni, norme e principi internazionali (5)

2.1.1

Nel mondo è in atto una presa di coscienza su valori quali i diritti dell'uomo, la dignità sul luogo di lavoro, il futuro del pianeta e il funzionamento etico dell'attività economica, che trovano precise espressioni al livello internazionale ed europeo.

2.1.2

Le convenzioni, le norme e i principi di riferimento su scala internazionale si compongono della dichiarazione sulle imprese internazionali dell'OIL, della dichiarazione sui diritti fondamentali dell'OIL, dei principi direttivi dell'OCSE per le imprese multinazionali e della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo dell'ONU.

2.1.3

A tali testi fondamentali sono da aggiungere le linee guida delle Nazioni Unite per la protezione del consumatore e le norme di sicurezza e di qualità dei prodotti alimentari incluse nel Codex alimentarius. In materia ambientale e di buona governance è opportuno inoltre richiamarsi alle convenzioni che informano le nuove misure su SPG+ (6).

2.1.4

La comunità internazionale si è impegnata a raggiungere i cosiddetti Obiettivi del Millennio entro il 2015. Il piano d'azione adottato a Johannesburg annovera la RSI fra gli strumenti volti a conseguire una globalizzazione più equa e più generalizzata. Si tratta di un invito pressante alle imprese nella loro diversità e a tutti i loro finanziatori affinché contribuiscano allo sviluppo sostenibile del pianeta.

2.1.5

Nel suo rapporto su una globalizzazione più equa (7), il gruppo di redazione della Commissione mondiale sulla dimensione sociale della globalizzazione sottolinea che, per essere credibili, le iniziative volontarie devono accompagnarsi a una ricerca della trasparenza e alla volontà di rendere conto del proprio operato, il che presuppone l'esistenza di sistemi efficaci per la valutazione dei risultati, l'informazione pubblica e il controllo.

2.1.6

Il Comitato incoraggia tutti gli Stati membri dell'Unione a ratificare tutte le convenzioni dell'OIL che li riguardano e a recepirle nelle rispettive legislazioni nazionali.

2.2   Il corpus normativo europeo (8)

2.2.1

Alle norme di riferimento internazionali illustrate nel capitolo precedente il Consiglio d'Europa ha aggiunto la Convenzione europea di tutela dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e la Carta sociale europea. Gli stati membri dell'Unione si sono dotati di un corpus proprio noto con il nome di acquis comunitario, del quale sono garanti la Corte europea dei diritti dell'uomo, con sede a Strasburgo, e la Corte di giustizia delle Comunità europee, con sede a Lussemburgo. La Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, proclamata a Nizza nel 2000, segna una nuova tappa in quanto abolisce la divisione tra diritti civili e politici, da un lato, ed economici e sociali, dall'altro. Il forum multilaterale delle parti interessate ha ribadito i principi alla base dell'iniziativa sulla RSI in tutto questo corpus.

2.2.2

L'impresa non è solo un anello del sistema economico, ma un elemento della società umana. La sua funzione primaria è produrre beni o fornire servizi, creando così occupazione, distribuendo ricchezza e pagando le imposte, e in questo senso si tratta di una componente della società umana. I risultati economici di un'impresa si misurano già da tempo attraverso sistemi di gestione e strumenti contabili affinati su base periodica.

2.2.3

Il modello europeo di economia sociale di mercato vede l'impresa non solo come una società di capitali o un intreccio di contratti, ma anche, anzi soprattutto come una collettività che funga idealmente da sede di dialogo sociale. La società di capitali non esiste che per opera degli azionisti e l'impresa, qualunque sia il suo statuto, non è solo un anello del sistema economico, ma un elemento della società umana.

2.2.4

Il modello orientato alle parti interessate (stakeholders) presenta un interesse reale accanto a quello unicamente incentrato sui risultati conseguiti dagli azionisti (shareholders). Un'impresa può gestire al meglio le proprie responsabilità solo se è attenta alle aspettative delle diverse parti in causa.

2.2.5

Il Libro verde «Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese» afferma: «Il concetto di responsabilità sociale delle imprese significa essenzialmente che esse decidono di propria iniziativa di contribuire a migliorare la società e rendere più pulito l'ambiente». Il parere del CESE su questo Libro verde e quello in merito alla comunicazione della Commissione «La dimensione sociale della globalizzazione — Il contributo della politica dell'UE perché tutti possano beneficiare dei vantaggi» sostengono: «Un comportamento socialmente responsabile da parte delle imprese significa impegnarsi ad applicare le norme sociali esistenti e sforzarsi di creare uno spirito di collaborazione con le parti interessate».

2.2.6

È necessario che l'Unione rafforzi la percezione di ciò che significa essere un'impresa europea. Ad esempio, potrebbe incoraggiare il dialogo e lo scambio di vedute tra diversi soggetti e tipi di esperienze sul piano degli strumenti di misura della RSI, in modo tale che le pratiche di RSI continuino a stimolare l'innovazione e a diffondersi attraverso categorie diverse di imprese.

2.3   Gli strumenti della RSI: sistemi di riferimento che danno concretezza al corpus normativo (9)

2.3.1

Il corpus normativo si concretizza in una serie di strumenti messi a punto da organismi pubblici o privati (per lo più in paesi regolati da norme di diritto consuetudinario), ovvero sistemi di riferimento e relativi metodi d'applicazione. Tali strumenti forniscono interpretazioni diverse del corpus in base al contesto socioculturale dei loro ideatori: associazioni di imprese, enti pubblici di normalizzazione, organismi di revisione contabile, agenzie di valutazione, università, associazioni civiche e poteri pubblici. Si tratta di molteplici strumenti per lo più privati, spesso in concorrenza e a volte incompatibili fra loro.

2.3.2

Alcuni di tali sistemi sono a diffusione pubblica, indipendentemente dal fatto che la loro portata sia internazionale (come ISO 9000, ISO 14000, SA 8000, AA 1000, GRI), europea (come EMAS, SME Key, Eurosif, bilancio societario (10)) o nazionale (leggi, decreti e raccomandazioni).

2.3.3

Gli operatori, cioè gli analisti specializzati dei gestori di fondi e delle agenzie di valutazione sociale e ambientale, fanno riferimento al corpus normativo internazionale, esprimendone i principi (valori) in criteri più precisi. L'adeguatezza ai criteri viene quindi misurata — in termini qualitativi o quantitativi — attraverso indicatori significativi, utili, intelligibili e comparabili.

2.3.4

Tali operatori hanno la responsabilità di rendere credibile la valutazione dei rischi extrafinanziari presso investitori e consumatori, il che tende a fare della RSI un fattore di differenziazione concorrenziale sul mercato. È necessario quindi garantire l'affidabilità di tali operatori attraverso un'autoregolamentazione della professione. La creazione di uno standard CSRR-QS 1.0 testimonia la volontà di andare in questa direzione.

2.3.5

Il Patto mondiale lanciato dal Segretario generale dell'ONU figura tra gli strumenti volontari cui aderiscono quasi 2000 imprese in tutto il mondo.

2.3.6

Gli orientamenti del GRI (Global Reporting Initiative) vengono utilizzati con frequenza da un numero non trascurabile di multinazionali. L'Organizzazione internazionale di normalizzazione (International Standardization Organization — ISO) ha avviato nel 2005 una specifica attività di orientamento sulla responsabilità sociale (11) (ISO 26000).

2.3.7

Nel quadro di comitati settoriali del dialogo sociale, le parti sociali hanno trovato un terreno d'intesa in materia di RSI (12), adottando le seguenti iniziative congiunte: un codice sulla RSI nel settore alberghiero, una dichiarazione congiunta sulla RSI nel commercio e un codice di condotta nel settore dello zucchero, del tessile, del cuoio e dell'abbigliamento e, più recentemente, nel settore bancario.

2.3.8

A ciò si aggiungano i codici di condotta e i codici etici aziendali, a volte decisi unilateralmente dalla direzione, altre volte redatti previa consultazione di vari soggetti interessati ed eventualmente negoziati con i rappresentanti del personale. Alcuni di essi, tuttavia, si rivelano meno incisivi delle norme OIL.

2.3.9

Altri strumenti non vengono diffusi. Infatti, l'esatta metodologia seguita da un'agenzia di valutazione, cioè gli indicatori da essa adottati per misurare l'adeguatezza a ciascun criterio, rappresenta lo strumento di lavoro volto a perseguire l'attività economica dell'agenzia, la quale si trova in una situazione concorrenziale rispetto ai suoi omologhi.

2.3.10

Gli strumenti possono servire alle stesse imprese nell'ambito di un approccio volontario o agli investitori socialmente responsabili, e possono anche rivolgersi ai consumatori finali. I marchi di commercio equo o di qualità ambientale contribuiscono a precisare le scelte del singolo cliente. Le campagne di sensibilizzazione, ad esempio quelle sul rispetto di principi etici da parte dei marchi di fabbrica, hanno contribuito a una presa di coscienza collettiva in tal senso, dando inizio a un consumo responsabile. I sistemi di etichettatura possono a volte avere difficoltà a definire criteri uniformi e validi tali da dare un grado sufficiente di fiducia e fornire informazioni realmente attendibili.

3.   Misurare la RSI in modo più attendibile e trasparente

3.1   Osservazioni generali

3.1.1

Gli strumenti di misura della RSI devono rispondere a requisiti di coerenza, di pertinenza e di affidabilità. Queste caratteristiche e la loro interrelazione vanno tenute in considerazione nell'ambito di un approccio che, pur ispirandosi a valori universali e a principi pertinenti, sia rispettoso delle diversità.

3.2   La coerenza degli strumenti

3.2.1

Gli strumenti devono essere coerenti con l'insieme dei principi internazionali.

3.2.2

Devono inoltre essere rispettosi del corpus normativo europeo e dell'acquis comunitario.

3.2.3

Le imprese possono essere sempre obbligate ad applicare la legislazione locale, ma il valore aggiunto della responsabilità delle imprese nei riguardi della società varia a seconda del contesto socioeconomico (paesi industrializzati da tempo, paesi emergenti, paesi poveri).

3.2.4

Nei paesi meno progrediti, la grande impresa può essere indotta a compensare le carenze dei pubblici poteri assumendo a proprio carico aspetti come la sanità, l'alloggio e l'istruzione dei lavoratori o persino delle loro famiglie. In questo contesto, gli strumenti della RSI possono servire a ottenere un quadro chiaro dell'efficienza delle azioni poste volontariamente in atto dalle imprese e dell'interesse che esse rivestono per tutti i soggetti interessati.

3.3   La pertinenza degli strumenti

3.3.1

Uno stesso criterio può essere misurato da vari indicatori: ad esempio, il grado di discriminazione tra i sessi può essere misurato attraverso la percentuale di donne presenti nei consigli di amministrazione o al livello dirigenziale, il rapporto tra le remunerazioni delle donne e degli uomini, il numero di ore di formazione rispettivamente ricevute, ecc. Quanto al criterio della creazione di posti di lavoro, e in caso di delocalizzazione della produzione, l'indicatore sarà parziale se assumerà un unico territorio come punto di vista: un indicatore globale deve infatti tenere conto dei licenziamenti nel paese di partenza e delle assunzioni in quello di arrivo.

3.3.2

Grande attenzione va rivolta all'intorno significativo dell'oggetto misurato. Per esempio, la retribuzione media dei lavoratori non è un indicatore pertinente della politica sociale dell'impresa se quest'ultima impone ai subappaltatori condizioni che impediscono loro di garantire una retribuzione decente ai loro dipendenti.

3.3.3

Dato che la RSI trascende le norme giuridiche dei singoli Stati, l'eterogeneità delle legislazioni nazionali può dar luogo a effetti perversi. Per esempio, un'impresa mediamente inquinante sarà valutata positivamente in un paese in cui non esiste alcuna normativa sui rifiuti atmosferici, mentre sarà oggetto di una valutazione negativa in uno Stato in cui vi è una rigorosa regolamentazione in materia. Per questo è indispensabile assumere a base le norme sociali e ambientali dell'acquis comunitario, pur continuando al tempo stesso a migliorarle.

3.4   L'attendibilità degli strumenti

3.4.1

L'indicatore deve consentire il confronto nel tempo e nello spazio. In altri termini, deve permettere:

di misurare l'evoluzione di uno stesso fenomeno da un anno all'altro,

di misurare lo stesso fenomeno in luoghi diversi. Al riguardo occorre perciò eliminare qualsiasi ambiguità: ad esempio, gli investimenti nella formazione professionale possono comprendere solo le somme versate a un ente di formazione o includere lo stipendio dei lavoratori mentre sono in formazione.

3.4.2

Non è necessario tendere all'aggregazione di tutti i dati. Per esempio, includere le emissioni di gas a effetto serra ha senso poiché i loro effetti si collocano su scala mondiale, ma non altrettanto avviene per il consumo di acqua, il cui impatto si misura in funzione delle risorse locali.

3.4.3

L'indicatore deve essere corredato di una «scheda di qualità» che indichi tra l'altro chi compili i dati e in base a quali metodi. In particolare:

gli strumenti che misurano una grandezza fisica (per esempio, i rilevatori di emissioni di gas) devono essere collocati al posto giusto ed essere ben tarati. Per gli indicatori più qualitativi (per esempio, la formazione professionale), il concetto deve essere preciso e il metodo di valutazione esplicito,

è necessario indicare chi raccoglie i dati, giacché lo status e la posizione del compilatore hanno una certa incidenza. È opportuno che il responsabile locale faccia confermare le cifre dalla parte interessata o da un terzo di fiducia: ad esempio, i dati tecnici da un'impresa di valutazione, i dati sociali dai rappresentanti del personale, i dati ambientali da una ONG specializzata.

3.4.4

La procedura, che ha un costo per l'impresa, si conclude con una forma di riconoscimento (attribuzione di un marchio, certificazione, ecc.), fase in cui interviene un terzo esterno competente e indipendente. Gli ambienti professionali interessati hanno un ruolo importante da svolgere a questo riguardo sul piano tanto della procedura quanto dei risultati.

4.   Ampliare il ricorso agli strumenti e migliorarne la qualità

4.1   Sviluppare la pratica dell'informazione

4.1.1

La pratica del rendiconto (reporting) annuale tende a generalizzarsi nelle grandi imprese, riflettendo in ciò le richieste di trasparenza sulla strategia dell'impresa, anche nelle pratiche di RSI. Ciò non toglie che la qualità dell'informazione resti molto disuguale e vada quindi migliorata.

4.1.2

Le PMI e le società non quotate figurano solo di rado negli studi sulla qualità dell'informazione, i quali si concentrano piuttosto sulle grandi imprese. Eppure, quelle fra loro che hanno ottenuto una certificazione EMAS o ISO 14001 sono tenute a presentare una dichiarazione ambientale a cadenza periodica. Il costo della certificazione impedisce a numerose PMI di impegnarsi in tale operazione, tanto più che si tratta di una verifica condotta in un particolare momento e che necessita quindi di una rivalutazione periodica.

4.1.3

Data la mancanza di risorse finanziarie e umane delle PMI, non si può pretendere che l'informazione loro richiesta abbia da subito lo stesso grado di approfondimento di quella domandata alle grandi imprese. Ciò detto, le PMI devono essere incoraggiate a informare le parti interessate sulle proprie pratiche responsabili — siano esse modeste o apprezzabili — nell'ambito di un'iniziativa di progresso.

4.1.4

Esistono anche reti di enti privati, pubblici o semipubblici, incluso il mondo della ricerca universitaria, che forniscono informazioni in materia di RSI e assicurano la promozione di quest'ultima su scala nazionale ed europea (per esempio, CSR Europe e la Fondazione di Dublino) o mondiale (per esempio, WBCSD e la banca dati dell'OIL). Sarebbe utile aiutare tali reti a diramare i risultati delle loro attività, pur informando gli utenti, in uno spirito di trasparenza, sui diversi operatori e metodi.

4.1.5

Nei programmi scolastici di alcuni Stati membri sono state introdotte novità pedagogiche volte alla sensibilizzazione dei consumatori. È opportuno che il corpus internazionale costituisca parte integrante dell'istruzione dei giovani europei.

4.2   Differenziare gli strumenti

4.2.1

L'unitarietà dei principi va contemperata con il rispetto della diversità.

4.2.1.1

Unitarietà: ove opportuno, gli indicatori devono poter essere aggregati per consentire una visione globale della politica dell'impresa esaminata.

4.2.1.2

Diversità: gli indicatori devono tenere conto delle realtà socioeconomiche, giuridiche e culturali, come pure del tipo e delle dimensioni dell'impresa nelle varie zone geografiche e nei vari settori professionali.

4.2.2

Sarebbe opportuno che gli indicatori consentissero dei raffronti (benchmark) sul piano sia geografico che settoriale: tra le entità di una stessa impresa o di uno stesso gruppo, di uno stesso settore di attività o di uno stesso territorio.

4.2.3

Conviene al riguardo prevedere alcuni strumenti specifici. Gli indicatori non possono essere esattamente gli stessi per l'industria e per i servizi. In base ai medesimi concetti teorici, gli indicatori concreti vanno adattati rispettivamente ai servizi di interesse generale e ai produttori di beni e servizi ordinari, alle attività commerciali e non commerciali, alle multinazionali e alle PMI, a seconda dei settori di attività.

4.2.4

Nei grandi comparti dell'industria e dei servizi, la coesione settoriale richiede che i sistemi di riferimento settoriali e i relativi strumenti vengano negoziati tra le confederazioni settoriali di datori di lavoro e di lavoratori, al livello europeo o ad altri livelli pertinenti. L'aumento degli accordi quadro conclusi tra confederazioni sindacali internazionali e società multinazionali apre una serie di prospettive in tal senso. Sarebbe positivo che tali criteri e indicatori fossero concepiti di concerto dai partecipanti al dialogo sociale settoriale, senza per questo rinunciare all'eventuale apporto di altre parti interessate.

4.3   Ampliare la portata degli strumenti

4.3.1

Gli strumenti della RSI sono destinati a essere utilizzati da un numero sempre più elevato di soggetti. Rischi extrafinanziari come il rischio di reputazione, il rischio di coesione (clima sociale malsano nell'impresa) e il rischio di malversazione (corruzione, insider trading, frode, concorrenza sleale, falsificazione) stanno ormai acquisendo crescente importanza. Gli investitori, in particolare alcuni gestori di fondi di risparmio salariale, di fondi etici o di investimenti socialmente responsabili (ISR), tengono conto di tali rischi extrafinanziari che assurgono così a criteri di mercato.

4.3.2

Nella classificazione (rating) dei finanziamenti all'esportazione concessi dalle banche e delle assicurazioni-credito offerte da società specializzate, bisognerebbe tenere conto, più di quanto non si faccia oggi, della politica di sviluppo sostenibile del paese in questione e della strategia di RSI delle imprese ivi attive.

4.3.3

Quando le pratiche di RSI si traducono in un'apprezzabile diminuzione dei rischi per un'impresa, sarebbe giusto che il sistema bancario e quello assicurativo ne tenessero conto nelle rispettive tariffe.

4.3.4

Gli appalti pubblici si basano per lo più sulla sola regola dell'offerta più bassa. Sarebbe invece utile che nelle norme delle gare d'appalto si includessero criteri più qualitativi quali l'atteggiamento in materia di RSI, come farà l'Unione per la categoria SPG+ nell'ambito del sistema delle preferenze commerciali.

4.3.5

In effetti, l'Unione sta integrando i propri accordi bilaterali, come l'accordo di associazione UE-Cile, con riferimenti ai principi guida dell'OCSE, e mostra così di voler promuovere il rispetto delle norme fondamentali nelle proprie relazioni commerciali con i paesi emergenti, ad esempio Brasile, India e Cina. È necessario che il tema della convergenza in materia di RSI sia sistematicamente incluso nell'agenda del dialogo transatlantico e che questo approccio venga portato avanti anche nel dialogo UE-Canada.

4.3.6

Estendere il ricorso agli strumenti della RSI presuppone il rafforzamento dei meccanismi dell'OCSE, in particolare la qualità dei punti di contatto nazionali di tutti i suoi Stati membri. L'Unione europea deve incoraggiare i paesi non affiliati all'OCSE ad aderire ai principi guida di tale organizzazione. I pubblici poteri di tutti gli Stati membri dell'OCSE hanno un ruolo particolarmente importante da svolgere ai fini dell'efficacia del sistema di controllo.

4.4   Ideare una nuova generazione di strumenti

4.4.1

Gli orientamenti del GRI costituiscono un sistema di riferimento privato ormai consolidato, ma perfettibile. Nel quadro della loro revisione, intrapresa nel biennio 2005-2006, è opportuno che i soggetti europei partecipino attivamente ai lavori di questo organismo, al fine di rendere più consoni al contesto europeo i loro metodi e criteri.

4.4.2

Nel giugno 2004 l'ISO ha deciso di procedere all'elaborazione di una serie di orientamenti in materia di responsabilità sociale. Contrariamente alle norme ISO 9000 (gestione della qualità) e ISO 14000 (gestione ambientale), questi nuovi orientamenti, denominati ISO 26000, non costituiranno standard generici di gestione e non saranno certificabili. La presidenza e la segreteria del gruppo di lavoro sono assicurati congiuntamente da un paese emergente, il Brasile, e da un paese da tempo industrializzato, la Svezia. I lavori, avviati nel marzo 2005, dovrebbero durare tre anni e la relativa guida essere pubblicata agli inizi del 2008. Il CESE rivolge particolare attenzione a tale iniziativa.

4.4.3

Il CESE propone la creazione di un portale informativo sulle pratiche delle grandi imprese in materia di RSI, basate su dati provenienti dalle imprese stesse. In un primo momento, i dati sarebbero oggetto di dichiarazioni spontanee e non andrebbero corroborati dai soggetti interessati. Sarebbe opportuno che un osservatore istituzionale svolgesse un'opera di ravvicinamento tra le dichiarazioni dell'impresa e le valutazioni delle parti interessate. Tale compito di analisi qualitativa potrebbe essere affidato a un organismo come la Fondazione di Dublino. Il Comitato propone che questo punto venga discusso nel quadro del programma di lavoro dell'Osservatorio europeo del cambiamento (EMCC).

5.   Dall'impulso gestionale della RSI all'adozione di iniziative volontarie con i soggetti interessati

5.1   La trasparenza dell'azione

5.1.1

Gli impegni volontari dell'impresa devono essere resi pubblici e la loro efficacia essere sempre verificabile. Per esempio, un'impresa che affermi di voler consentire ai disabili l'accesso all'occupazione deve pubblicare la percentuale di assunzioni interessata e indicare le modalità di adeguamento dei relativi posti di lavoro. Un'informazione fattuale e il più possibile completa permette di accertare meglio il grado di adempimento degli impegni da parte dell'impresa. Dato che la responsabilità si misura dagli atti e non dalle parole, l'impresa deve dare prova di trasparenza.

5.2   Distinguere la comunicazione dal reporting

5.2.1   Il reporting

5.2.1.1

Il reporting consiste nel rendere conto, in un documento pubblico, del modo in cui l'impresa affronta l'impatto economico, ambientale e sociale delle proprie attività. Così facendo essa ammette che le parti interessate sono legittimate a interrogarla a tale riguardo.

5.2.1.2

Il consiglio d'amministrazione rende conto all'assemblea generale degli azionisti sin dalle origini della società di capitali, e da altrettanto tempo i pubblici poteri esigono informazioni dalle imprese, quanto meno riguardo ai prelievi fiscali e sociali. Una notifica parziale in tal senso viene quindi trasmessa da vari decenni ai dipendenti in numerosi paesi europei. La novità della RSI è dunque che tale informativa è ora più completa e si rivolge a tutte le componenti della società civile.

5.2.1.3

Un reporting globale risponde dunque alle domande esplicite o implicite delle parti interessate. È uno strumento di dialogo e può includere sistemi interattivi di consultazione o di concertazione. Partendo da un'analisi dettagliata degli indicatori, la relazione annuale fa emergere le prestazioni globali dell'impresa, cioè la sua capacità di conciliare le costrizioni inerenti ai risultati economici, all'efficacia sociale e all'impatto ambientale. Essa indica inoltre obiettivi, scadenze e strumenti posti in atto, ed è pertanto un'azione di progressione globale.

5.2.2   La comunicazione

5.2.2.1

Tutt'altra cosa è l'attività di comunicazione, prassi anch'essa esistente nell'ambito dei rapporti con il pubblico, la quale indica la diffusione di informazioni volte a valorizzare l'impresa, a costruirne una raffigurazione o un'immagine positiva presso il pubblico.

5.2.2.2

A tal fine, i servizi di comunicazione scelgono di puntare il riflettore sugli impegni e sui risultati dell'impresa in materia di buone pratiche. Per far trasparire i punti di forza dell'impresa, la comunicazione può effettuare confronti con imprese concorrenti e mettere in rilievo l'avvenuto conseguimento di marchi di qualità. La comunicazione non deve sostituirsi al reporting.

5.3   La qualità dell'informazione

5.3.1

Spesso si rilevano devianze in materia di informazione, tanto finanziaria (falso in bilancio) quanto extrafinanziaria (pubblicità menzognera). Tali pratiche sono punite dalla legge.

5.3.2

Per essere di qualità, l'attività di informazione necessita di un'organizzazione tale da coinvolgere la direzione generale per espletare, ad esempio, le seguenti funzioni: interfaccia con le parti interessate, controllo interno attraverso la creazione di una rete di corrispondenti, raccolta e diffusione delle migliori pratiche nel gruppo, reporting e definizione di una procedura di raccolta interna dei dati. Quest'ultima procedura dovrebbe a sua volta comprendere una consultazione degli interessati sulla raccolta di informazioni, un confronto con i rappresentanti sindacali, test di coerenza e la convalida da parte dell'unità responsabile.

5.3.3

In effetti, gli interessati non sono sempre gli stessi e variano a seconda del settore di produzione, del paese e del territorio, per cui occorre registrarli nel modo più esauriente possibile. L'impresa sarà tanto più credibile nei confronti dei media e della società civile quanto più avrà associato gli interessati all'elaborazione della propria strategia in materia di RSI.

5.3.4

Gli interessati e/o dei terzi di fiducia sono inclusi, se la situazione lo consente, nel processo di raccolta dei dati e di elaborazione dei rapporti. Quando mancano organi competenti a tal fine, i codici di condotta devono quanto meno fare capo a un comitato di sorveglianza. In mancanza di organizzazioni sindacali, i comitati di igiene e di sicurezza sul luogo di lavoro e le associazioni locali di difesa dei diritti umani andrebbero riconosciuti come interlocutori validi ai fini di tale monitoraggio. Nel caso invece della sicurezza alimentare, a intervenire saranno gli istituti di ricerca e le associazioni dei consumatori. I distributori di beni e i fornitori di servizi devono associare i rappresentanti dei consumatori e degli utenti all'elaborazione delle rispettive strategie di sviluppo sostenibile.

5.4   Il dialogo con gli interessati

5.4.1

L'impegno volontario e un dialogo strutturato con le parti interessate sono aspetti indissociabili. L'impegno volontario costituisce solo uno strumento ai fini di un obiettivo, che permane la creazione di valore e di risultati economici, sociali e ambientali. Di conseguenza, l'impresa afferma la volontà di «fare» e dunque di «far sapere».

5.4.2

Ne consegue che l'impresa si impegna volontariamente a tenere conto delle aspettative e degli interessi delle parti in causa, accrescendo la trasparenza del proprio operato in quest'ambito. Accettare il dialogo con gli interessati presuppone che l'impresa conservi il controllo di ciò che costituisce l'oggetto del proprio impegno. Data la molteplicità delle aspettative e degli interessi, l'impresa può operare una gerarchizzazione in funzione dei sistemi di riferimento oggettivi e della propria strategia.

5.4.3

Tutti gli interessati hanno il diritto di esprimere le proprie aspettative, ma non tutti hanno la stessa legittimità. È lecito supporre, ad esempio, che spesso gli interessati interni godano di una legittimità superiore a quella di soggetti più distanti. Inoltre, non tutte le pur legittime istanze possono essere esaminate dall'impresa, la quale dispone di un numero di strumenti finito. L'arbitrato tra le varie istanze può avvenire attraverso negoziati e consultazioni, ma in ultima analisi fa capo alla decisione imprenditoriale.

5.4.4

Questo dialogo è particolarmente importante per i soggetti che prendono parte alla catena del valore. Il committente deve aiutare i propri fornitori e subappaltatori a migliorare le loro prassi in materia di responsabilità sociale. Esso deve evitare di sottoporre i propri partner a ingiunzioni paradossali, imponendo ad esempio standard sociali elevati e prezzi di acquisto insufficienti, ma viceversa deve sostenere i subappaltatori in un'azione di progresso.

5.4.5

La strategia volontaria dell'impresa presuppone un dialogo sociale in materia di RSI. Il coinvolgimento dei rappresentanti dei lavoratori nell'impresa riguarda tre fasi: l'ideazione della strategia specifica dell'impresa nel rispetto dei principi dello sviluppo sostenibile, la messa a punto degli strumenti necessari a perseguire tale strategia e il controllo indipendente dell'efficacia delle misure intraprese a tutti i livelli dell'impresa.

5.4.6

Al livello europeo, l'azione volontaria e/o negoziata sulle sfide della RSI rappresenta un momento decisivo per tutte le multinazionali che dispongono di un comitato aziendale europeo, e permette di associare a tale dinamica anche i nuovi Stati membri. I comitati aziendali europei dovrebbero svolgere un ruolo nell'integrazione della RSI nella politica dell'impresa, anche perché sono la sede privilegiata degli interessati interni. Ciò detto, una politica coerente di RSI deve tenere conto anche degli interessati esterni: in particolare, l'intera comunità di lavoro (lavoratori con contratti a termine, dipendenti delle società subappaltatrici presenti in situ, artigiani o altri autonomi che lavorano per l'impresa), ma nella misura del possibile anche tutti i partecipanti alla catena del valore (subappaltatori, fornitori, ecc.).

Bruxelles, 8 giugno 2005.

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Cfr. il parere del Comitato economico e sociale europeo del 22 gennaio 2003 sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica le direttive 78/660/CEE, 83/349/CEE e 91/674/CEE del Consiglio relative ai conti annuali e ai conti consolidati di taluni tipi di società e delle imprese di assicurazione (relatore: RAVOET), GU C 85 dell'8.4.2003, e la raccomandazione 2001/453/CE del 30 maggio 2001 relativa alla rilevazione, alla valutazione e alla divulgazione di informazioni ambientali nei conti annuali e nelle relazioni sulla gestione delle società.

(2)  Parere del Comitato economico e sociale sul tema «Libro verde - Promuovere un quadro europeo per la responsabilità sociale delle imprese» (relatrice: HORNUNG-DRAUS), GU C 125 del 27.5.2002.

(3)  Si noti che il termine social non ha la stessa accezione in francese e in inglese, il che ha indotto talvolta a distinguere in francese tra social (in riferimento alle relazioni industriali) e sociétal (in riferimento alla comunità in cui si colloca l'impresa, il bacino di occupazione e di vita), per far trasparire meglio la responsabilità nei riguardi dei destinatari interni o esterni.

[N.d.T.: Nella versione italiana si è preferito evitare di tradurre il termine sociétal con il calco «societale», non sufficientemente attestato nella letteratura in materia. Si sono quindi utilizzate perifrasi del tipo «sociale in senso lato», «relativo alla società nel suo insieme» o, nei casi meno dubbi, al semplice aggettivo «sociale».]

(4)  L'importante e complessa problematica dell'articolazione tra competitività e RSI esula dai contenuti del presente parere.

(5)  Per un elenco più esauriente, si vedano le conclusioni del forum multilaterale delle parti interessate.

(6)  Convenzioni relative all'ambiente ed ai principi di buona governance :

Protocollo di Montreal relativo alle sostanze che riducono lo strato d'ozono,

Convenzione di Basilea sul controllo dei movimenti transfrontalieri di rifiuti pericolosi e del loro smaltimento,

Convenzione di Stoccolma sugli inquinanti organici persistenti,

Convenzione sul commercio internazionale delle specie di fauna e di flora selvatiche minacciate di estinzione,

Convenzione sulla diversità biologica,

Protocollo di Cartagena sulla prevenzione dei rischi biotecnologici,

Protocollo di Kyoto alla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici,

Convenzione delle Nazioni Unite sulle sostanze psicotrope (1971),

Convenzione delle Nazioni Unite contro il traffico illecito di stupefacenti e di sostanze psicotrope (1988),

Convenzione delle Nazioni Unite contro la corruzione (Convenzione di Città del Messico).

Parere del Comitato economico e sociale europeo del 9.2.2005 in merito alla «Proposta di regolamento del Consiglio relativo all'applicazione di uno schema di preferenze tariffarie generalizzate» (relatore: PEZZINI) (CESE 132/2005).

(7)  Commissione mondiale sulla dimensione sociale della globalizzazione, A fair globalisation: Creating opportunities for all («Una globalizzazione equa: creare opportunità per tutti»), febbraio 2004.

Parere del Comitato economico e sociale europeo del 9 marzo 2005 in merito alla comunicazione della Commissione «La dimensione sociale della globalizzazione - Il contributo della politica dell'UE perché tutti possano beneficiare dei vantaggi» (relatori: ETTY e HORNUNG-DRAUS) (CESE 252/2005).

(8)  Per un elenco più completo, si rimanda alle conclusioni del forum multilaterale delle parti interessate.

(9)  Cfr. la pubblicazione «ABC of CSR instruments» («L'ABC degli strumenti di RSI») della direzione generale della Commissione europea Occupazione, affari sociali e pari opportunità.

(10)  Il bilancio societario promosso dall'economia sociale è uno strumento diagnostico globale basato sul principio di valutazione incrociata delle parti interessate interne ed esterne all'impresa.

(11)  Guidance on social responsibility («Orientamento in materia di responsabilità sociale»).

(12)  Relazione informativa del Comitato economico e sociale europeo sul tema «La situazione attuale della coregolamentazione e della autoregolamentazione nel mercato unico» (relatore: VEVER).


17.11.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 286/20


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde sull'approccio dell'Unione europea alla gestione della migrazione economica

COM(2004) 811 def.

(2005/C 286/05)

La Commissione europea, in data 11 gennaio 2005, ha adottato la comunicazione destinata al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, intitolata Libro verde sull'approccio dell'Unione europea alla gestione della migrazione economica

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali e cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 maggio 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore PARIZA CASTAÑOS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 9 giugno 2005, nel corso della 418a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 137 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Sono trascorsi cinque anni dal Consiglio europeo di Tampere, in cui è stato sviluppato il mandato del Trattato di Amsterdam, ma gli obiettivi previsti non sono stati raggiunti: l'Unione europea continua a non avere una politica comune in materia di immigrazione e di asilo. Sono stati fatti dei passi avanti, la Commissione ha messo a punto numerose proposte politiche e legislative, ma queste non hanno trovato la necessaria considerazione da parte del Consiglio. Il CESE ha collaborato con la Commissione ed ha elaborato numerosi pareri per dotare l'Unione di un'autentica politica comune e di una legislazione armonizzata in materia di immigrazione.

1.2

Ci troviamo ora in un nuovo contesto: quello del programma dell'Aia, approvato nel novembre 2004, che rappresenta un nuovo impegno per lo sviluppo delle politiche in materia di immigrazione e di asilo nei prossimi anni. Tale programma si iscrive peraltro nella prospettiva del Trattato costituzionale che rafforza il mandato all'Unione di sviluppare una politica comune dell'immigrazione (1).

1.3

Il Libro verde presentato ora dalla Commissione fa riferimento alla questione centrale della politica dell'immigrazione: le condizioni per l'ammissione dei migranti per motivi economici e le modalità di gestione dei flussi migratori. La legislazione relativa all'ammissione rappresenta il vero nocciolo della politica dell'immigrazione: al momento si dispone solamente di legislazioni nazionali, per di più molto diverse tra loro e nella maggior parte dei casi restrittive.

1.4

Sono trascorsi più di tre anni da quando la Commissione ha presentato la proposta di direttiva del Consiglio relativa alle condizioni d'ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendono svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo (2). Il CESE ed il PE hanno elaborato due pareri (3) che accoglievano favorevolmente il testo. La proposta tuttavia non ha superato la fase di prima lettura da parte del Consiglio. Nel frattempo alcuni Stati membri hanno elaborato nuove iniziative legislative in materia di migrazione economica, mentre nell'agenda politica europea le questioni relative all'immigrazione figurano tra le questioni delicate.

1.5

Il Consiglio europeo di Salonicco del giugno 2003 ha sottolineato «… l'esigenza di ricercare mezzi legali per l'ingresso di cittadini di paesi terzi nell'Unione, tenendo conto delle capacità ricettive degli Stati membri, …» (4). Anche il CESE, nel parere sulla comunicazione Immigrazione, integrazione e occupazione  (5) ha sottolineato l'urgente necessità che l'Unione disponga di una politica attiva in materia di integrazione economica e di una legislazione armonizzata. Le tendenze demografiche nell'Unione (6) e la strategia di Lisbona indicano la necessità per l'Europa di disporre di politiche attive per l'ammissione dei migranti per motivi economici, sia per i lavoratori più qualificati che per quelli con scarse qualifiche. Sebbene ciascun paese abbia esigenze e caratteristiche a sé stanti, l'apertura di canali riservati all'immigrazione per motivi economici è una necessità che accomuna tutti gli Stati membri.

1.6

Bisogna peraltro tener conto anche del fatto che è stato temporaneamente limitato il diritto alla libertà di soggiorno e di lavoro dei cittadini dei nuovi Stati membri. Si tratta di un'anomalia in senso negativo che il CESE auspica possa risolversi presto. Durante il periodo transitorio i cittadini dei nuovi Stati membri dovranno aver diritto a un trattamento preferenziale.

1.7

Il CESE osserva con preoccupazione le difficoltà politiche riguardanti la politica dell'immigrazione e la reazione negativa di settori dell'opinione pubblica e dei mezzi di comunicazione. I politici e le personalità che hanno il potere di influenzare l'opinione pubblica devono rinunciare a usare un linguaggio razzista e xenofobo nei dibattiti e devono agire con la opportuna responsabilità e pedagogia politica.

1.8

È necessario uno sforzo significativo, da parte di tutti, per far sì che il dibattito sul Libro verde in esame proceda, accantonando i molteplici pregiudizi e le paure che suscitano al momento le questioni dell'immigrazione per motivi di lavoro. Il CESE desidera contribuire al dibattito sotto il segno del rigore e della razionalità.

2.   Osservazioni riguardanti le questioni sollevate nel Libro verde

2.1   Il livello di armonizzazione cui l'UE deve mirare

Entro quali limiti si deve sviluppare una politica europea in materia di immigrazione per lavoro e quale deve essere il grado di intervento comunitario in materia?

La normativa europea in materia di immigrazione dovrebbe istituire un quadro giuridico complessivo che includa tutti i cittadini di paesi terzi che giungono nell'Unione europea, o dovrebbe concentrarsi preferibilmente su gruppi specifici di immigranti?

Se si sceglie un approccio legislativo settoriale, a quali gruppi di migranti andrebbe data la priorità e perché?

Sarebbe utile analizzare anche altri approcci, come ad esempio una procedura europea accelerata? Quali altre opzioni potrebbero essere proposte?

2.1.1

Il CESE osserva che è senz'altro necessario regolare in ambito comunitario l'ammissione dei migranti per motivi economici, ragion per cui è opportuno raggiungere un livello elevato di armonizzazione legislativa, come previsto dal Trattato costituzionale. Il CESE ha già ribadito in precedenti pareri (7) la necessità che l'Unione disponga in tempi brevi di una politica comune in materia di immigrazione e di una legislazione armonizzata. L'Unione europea e gli Stati membri devono poter disporre di una legislazione aperta, che permetta un'immigrazione per motivi di lavoro mediante canali legali e trasparenti, sia per i lavoratori altamente qualificati che per la mano d'opera meno qualificata.

2.1.2

Il Trattato costituzionale stabilisce alcuni limiti alla legislazione comune in materia di immigrazione, la quale «non incide sul diritto degli Stati membri di determinare il volume di ingresso nel loro territorio dei cittadini provenienti da paesi terzi, allo scopo di cercarvi un lavoro subordinato o autonomo» (8). A parere del CESE tale limite non impedisce che l'Unione ricerchi un livello elevato di armonizzazione legislativa per l'ammissione dei migranti per ragioni economiche, armonizzazione che può avere carattere graduale, permettendo agli Stati membri di prevedere dei periodi di adeguamento.

2.1.3

Concordando con la proposta della Commissione, il CESE ritiene che sarebbe meglio definire un quadro legislativo complessivo (orizzontale) anziché varare proposte legislative settoriali. La proposta legislativa a suo tempo presentata dalla Commissione ha ricevuto il sostegno del Comitato, che si è detto d'accordo anche sulle condizioni d'ingresso e di soggiorno dei migranti che esercitano attività di lavoro subordinato, autonomo o altre attività economiche sul territorio di uno Stato membro per periodi di tempo superiori a tre mesi. Si possono poi elaborare normative specifiche complementari, destinate a tener conto di condizioni particolari quali quelle riguardanti i lavoratori stagionali, i lavoratori distaccati nell'ambito di un'impresa, i prestatori di servizi e così via.

2.1.4

Un'impostazione settoriale (lavoratori migranti con elevati livelli di qualificazione) potrebbe risultare più agevole per il Consiglio ma, se adottata, avrebbe carattere discriminatorio e si allontanerebbe dalle disposizioni del Trattato costituzionale.

2.1.5

Va inoltre ricordato che la maggior parte delle legislazioni nazionali sbarra le porte all'immigrazione per motivi economici dei lavoratori altamente e scarsamente qualificati e quindi favorisce senz'altro l'aumento dell'immigrazione irregolare, dell'economia informale e del lavoro sommerso (9). Come ha evidenziato in un suo parere il CESE (10), in alcuni Stati membri esiste un vincolo chiaro tra la mancanza di canali legali di immigrazione per motivi economici e l'aumento dell'immigrazione irregolare.

2.2   Preferenza per il mercato del lavoro interno

Come si può garantire che il principio della «preferenza comunitaria» venga applicato in modo efficace?

È ancora pertinente l'attuale definizione di preferenza comunitaria? In caso contrario, come andrebbe modificata?

A quali altri migranti per motivi economici (a prescindere dai distacchi intrasocietari) non si dovrebbe applicare la logica della preferenza comunitaria?

A prescindere dai residenti di lungo periodo, a quali categorie di cittadini di paesi terzi — se ve ne sono — andrebbe accordato un trattamento preferenziale rispetto ai lavoratori stranieri giunti solo di recente?

Si dovrebbe concedere un diritto di priorità — a precise condizioni — ai cittadini di paesi terzi che hanno temporaneamente lasciato l'Unione europea dopo avervi lavorato per un determinato periodo?

Semplificare la mobilità dei lavoratori di paesi terzi da uno Stato membro ad un altro apporterebbe vantaggi all'economia dell'Unione e ai mercati nazionali del lavoro? Come si potrebbe mettere in pratica tutto ciò in maniera efficace? Con quali limitazioni/agevolazioni?

Come possono, i servizi pubblici dell'occupazione (SPO) e il portale della mobilità occupazionale di EURES, contribuire ad agevolare la migrazione della manodopera proveniente da paesi terzi?

2.2.1

La nuova legislazione europea in materia di immigrazione deve rispettare le direttive contro la discriminazione sul mercato del lavoro.

2.2.2

Il principio della «preferenza comunitaria» deve includere tutti i lavoratori che fanno parte del mercato del lavoro dell'Unione europea e non soltanto i lavoratori nazionali o comunitari (11). Il CESE ritiene che il principio di preferenza comunitaria debba riguardare:

i cittadini degli Stati membri,

i cittadini di paesi terzi che siano residenti di lungo periodo (12),

i cittadini di paesi terzi che abbiano un permesso legale di soggiorno e di lavoro in uno Stato membro (13),

i cittadini di paesi terzi che abbiano lavorato o soggiornato legalmente nell'Unione europea (anche se risiedono al momento nel proprio paese di origine).

2.2.3

Favorire la mobilità dei migranti tra paese di origine e paese di accoglienza avrà un impatto positivo sullo sviluppo socioeconomico del paese di origine ed eviterà inoltre che alcuni immigrati possano ritrovarsi in condizioni irregolari. Per tale motivo il CESE ritiene che, se dovesse essere previsto e applicato un diritto preferenziale, esso dovrebbe essere esteso a nuove possibilità di immigrazione per i cittadini di paesi terzi che hanno lasciato l'Unione dopo avervi lavorato per un determinato periodo.

2.2.4

Tutti gli studi che analizzano i problemi del mercato del lavoro in Europa mettono in evidenza la scarsa mobilità dei lavoratori. Promuovere tale mobilità è uno degli obiettivi della strategia europea dell'occupazione. I lavoratori migranti possono senza dubbio contribuire in maniera significativa al miglioramento della mobilità tra i mercati del lavoro europei. Quando sarà stato raggiunto un elevato livello d'armonizzazione della legislazione in materia di immigrazione sarà assai più facile garantire la mobilità e la gestione comune dei flussi migratori.

2.2.5

La rete EURES coordina i servizi pubblici di collocamento degli Stati membri con l'obiettivo di coprire i posti di lavoro disponibili mediante la mobilità dei lavoratori europei. La rete EURES è uno strumento estremamente importante per ottenere una gestione adeguata del mercato comunitario del lavoro e per gestire i nuovi flussi migratori. Per essere sfruttata nella gestione dei flussi migratori, questa rete deve mettere correttamente in relazione tra loro l'offerta e la domanda di occupazione esistente negli Stati membri e deve includere nel sistema anche i lavoratori migranti, i quali in generale posseggono una maggior disponibilità alla mobilità.

2.2.6

La rete EURES può inoltre svolgere in futuro un ruolo significativo, aiutando i servizi consolari degli Stati membri nei paesi di origine dei migranti a gestire la nuova immigrazione. Si può istituire un sistema mediante il quale un'offerta di lavoro che non sia stata coperta entro un termine massimo di 60 giorni nel mercato comunitario del lavoro può venir ampliata ai candidati nei paesi di origine tramite i servizi consolari, i quali dovranno disporre di funzionari specializzati nelle questioni del mercato del lavoro e della migrazione per motivi di lavoro. Anche le delegazioni dell'Unione potrebbero informare gli interessati circa le opportunità aperte dalla rete EURES.

2.3   Sistemi di ammissione

L'ammissione di cittadini di paesi terzi al mercato del lavoro dell'UE va esclusivamente subordinata ad un effettivo posto di lavoro vacante o andrebbe concessa agli Stati membri la possibilità di ammettere cittadini di paesi terzi anche in assenza di tale requisito?

Quale procedura va applicata ai migranti per motivi economici che non entrano nel mercato del lavoro?

2.3.1

Nel parere sulla proposta di direttiva relativa ai criteri d'ingresso (14) il CESE ha sottolineato la necessità di avere due sistemi per l'ingresso legale degli immigranti.

2.3.2

Disporre di un'offerta di lavoro mentre il migrante si trova ancora nel paese di origine canalizzerà la maggior parte della nuova migrazione economica. Si tratta del sistema più adatto per i lavoratori specializzati e per quelli stagionali. È il sistema utilizzato dalle grandi imprese e dalle grandi associazioni che hanno la possibilità di assumere lavoratori nei loro paesi d'origine.

2.3.3

Tuttavia una parte del mercato del lavoro coperto dai lavoratori migranti riguarda le piccole imprese, il mondo artigianale, i servizi domestici e le attività di assistenza a persone non autosufficienti (badanti). In questi casi è pressoché impossibile per il datore di lavoro poter contattare anticipatamente, nel paese di origine, il lavoratore migrante. In alcuni Stati membri tali posti di lavoro sono coperti dall'economia sommersa e dall'immigrazione irregolare. Nel parere del CESE citato in precedenza (15) è stato già proposto che nella legislazione comunitaria riguardante l'ingresso legale dei lavoratori migranti venga incluso anche un permesso di soggiorno provvisorio, per la ricerca di lavoro, con una validità di sei mesi, che verrà gestito da ciascuno Stato membro in collaborazione con le parti sociali.

La prova della necessità economica è da ritenersi un sistema efficace? Andrebbe applicata in modo flessibile, tenendo conto, ad esempio, delle caratteristiche regionali e settoriali, o delle dimensioni dell'impresa in questione?

È opportuno stabilire un periodo minimo in cui va pubblicato un annuncio di lavoro prima che possa essere preso in considerazione un candidato proveniente da un paese terzo?

In quale altro modo si può efficacemente dimostrare che sia necessario assumere un lavoratore proveniente da un paese terzo?

La prova della necessità economica andrebbe ripetuta alla scadenza del permesso di lavoro, nel caso in cui il contratto di lavoro — in virtù del quale il lavoratore straniero è stato ammesso nell'Unione — è stato/sarà rinnovato?

2.3.4

La prova della necessità economica, o dell'esistenza di un posto di lavoro specifico vacante, è un riferimento necessario per la gestione della nuova immigrazione. Il sistema permetterà di pubblicare gli annunci di lavoro nei paesi d'origine: questa procedura potrà così canalizzare gran parte dell'immigrazione.

2.3.5

Il sistema richiede che la rete EURES funzioni in maniera soddisfacente e che i servizi consolari dispongano di funzionari specializzati. Il periodo nel corso del quale un posto di lavoro vacante, pubblicato nell'insieme dell'Unione, potrà e dovrà venir offerto ai nuovi lavoratori migranti deve essere limitato e compreso tra uno e due mesi. Se si prolungasse ulteriormente la procedura, i datori di lavoro potrebbero infatti considerarla inefficace.

2.3.6

È sempre opportuno gestire tali sistemi con flessibilità, vista la scarsa mobilità dei mercati europei del lavoro. La mobilità è maggiore per le attività lavorative più qualificate e con retribuzioni più elevate, ma per la maggior parte dei posti di lavoro risulta invece ridotta, anche all'interno di uno stesso paese. Per numerose attività economiche e per molti indirizzi professionali la realtà dimostra che il mercato del lavoro risulta assai segmentato e che esistono anzi molti — e diversi — mercati del lavoro.

2.3.7

Allo scadere del permesso in virtù del quale un immigrato è stato ammesso legalmente, se il contratto di lavoro si rinnova, non si deve provare di nuovo la necessità economica. Neanche se egli fosse iscritto come persona in cerca di lavoro nelle liste dell'ufficio del lavoro del paese di residenza si applicherà la prova della necessità economica.

Quali altri sistemi facoltativi potrebbero essere contemplati?

Un sistema di selezione può fungere da eventuale regola generale a livello UE per ammettere i migranti per motivi economici al mercato del lavoro? Quali dovrebbero essere i requisiti pertinenti?

Come possono i datori di lavoro avere accesso ai CV dei candidati a livello UE e come andrebbe rafforzato EURES in tale contesto?

Andrebbe prevista la possibilità di concedere un «permesso per le persone in cerca di occupazione»?

2.3.8

Per alcune professioni, per alcuni settori o per alcune regioni determinate, le amministrazioni degli Stati membri, in collaborazione con le parti sociali, possono reputare necessario aprire il mercato del lavoro all'immigrazione senza applicare la prova della necessità economica. Questi sistemi flessibili possono prevedere vari procedimenti: il permesso temporaneo per le persone in cerca di occupazione, le green card o le quote, previo accordo con i paesi terzi.

2.3.9

I migranti ammessi con un permesso per le persone in cerca di occupazione avranno a disposizione un periodo determinato per trovare lavoro. Il CESE ha proposto un periodo di sei mesi, nel sistema britannico è previsto invece un periodo di un anno. Queste persone devono disporre di copertura sanitaria e poter contare su risorse economiche sufficienti.

2.3.10

Per costituire nell'Unione un sistema di selezione rapido e flessibile che acceleri l'ammissione dei migranti per motivi economici, si può utilizzare un questionario mediante il quale i richiedenti fornirebbero una serie di informazioni, come ad esempio gli anni di esperienza professionale, il livello di formazione, le conoscenze linguistiche, la presenza di parenti nel territorio dell'Unione europea e così via. Ciascuno Stato membro potrebbe utilizzare tale sistema in funzione delle proprie necessità. Mediante la rete EURES i datori di lavoro potranno avere accesso ai curriculum vitae dei richiedenti. I criteri di ammissione dovranno poggiare a loro volta su tali criteri, evitando qualsiasi genere di discriminazione.

2.3.11

L'ammissione dei migranti con un permesso provvisorio per persone in cerca di occupazione dipenderà da una decisione degli Stati membri presa in collaborazione con le parti sociali. Gli uffici pubblici del lavoro aiuteranno i richiedenti a trovare un'occupazione.

2.4   Procedure di ammissione per il lavoro autonomo

L'Unione europea dovrebbe disporre di norme comuni in materia di ammissione di lavoratori autonomi di paesi terzi? Se sì, quali dovrebbero essere le condizioni?

Dovrebbero essere previste eventuali procedure più flessibili per l'ammissione nell'Unione di lavoratori autonomi per un periodo inferiore a 12 mesi al fine di portare a termine un contratto specifico concluso con un cliente comunitario? Se sì, quali?

2.4.1

Il CESE è d'accordo sulla necessità che l'Unione disponga di una normativa comune, con un elevato livello di armonizzazione, in materia di ammissione di lavoratori autonomi di paesi terzi. Nel parere sulla proposta relativa alle condizioni di ingresso e di soggiorno (16) il CESE ha infatti preso posizione in tal senso, proponendo alcuni miglioramenti.

2.4.2

Si può elaborare una normativa ad hoc, oppure si possono includere nella medesima direttiva i lavoratori autonomi e i lavoratori per conto terzi, come ha a suo tempo proposto la Commissione.

2.5   Domande di permesso/i di lavoro e di soggiorno

Dovrebbe esserci a livello UE un «permesso di lavoro-soggiorno» combinato? Quali sarebbero i relativi vantaggi/svantaggi?

Si dovrebbe invece proporre una domanda unica (per entrambi i permessi di lavoro e di soggiorno)?

Ci sono altre alternative?

2.5.1

Vi sono notevoli differenze fra le legislazioni dei diversi Stati membri per quanto riguarda la relazione tra permesso di soggiorno e permesso di lavoro. Il CESE ritiene necessario perseguire una legislazione armonizzata, valida per l'intera Unione. In ciascuno Stato membro vi sarà un'autorità competente per il rilascio dei permessi, ma il permesso concesso da un determinato Stato dovrà venir riconosciuto, con le conseguenze del caso, nel resto dell'Unione.

2.5.2

Il CESE desidera che la normativa riduca nella misura del possibile l'iter burocratico e faciliti le procedure per tutti gli interessati: migranti, datori di lavoro e amministrazioni. È auspicabile che vi sia un permesso unico, quello di soggiorno, al quale sarà associata l'autorizzazione a esercitare un'attività lavorativa.

2.5.3

Un sistema a «sportello unico» semplificherà le procedure attualmente in vigore.

2.6   Possibilità di cambiare datore di lavoro/settore

Dovrebbero essere previste limitazioni alla mobilità dei cittadini di paesi terzi all'interno del mercato del lavoro dello Stato membro di residenza? In caso affermativo, quali (relative al datore di lavoro, al settore, alla regione, ecc.), in quali circostanze e per quanto tempo?

Chi dovrebbe essere titolare del permesso: il datore di lavoro, il lavoratore o entrambi (permesso congiunto)?

2.6.1

Il titolare del permesso dovrà essere sempre il lavoratore.

2.6.2

Lo Stato deve assicurarsi che, quando una persona ha ottenuto un permesso di soggiorno in base a un'offerta di lavoro proveniente da una determinata impresa, quest'ultima soddisfi immediatamente i propri obblighi in materia di notifica del rapporto di lavoro e di iscrizione del dipendente al sistema di sicurezza sociale. La prima attività del lavoratore nello Stato membro che gli ha concesso un permesso di soggiorno deve essere svolta all'interno dell'impresa che gli ha offerto il lavoro. In seguito tuttavia il lavoratore deve avere la possibilità di cambiare impresa, senza limiti settoriali o regionali.

2.6.3

È invece possibile imporre che il cambiamento di impresa venga comunicato all'amministrazione che ha concesso il permesso di soggiorno, almeno nel corso del primo anno. Ciò agevolerà i controlli in grado di rilevare possibili tentativi di frode da parte di imprese fittizie, create semplicemente allo scopo di facilitare l'immigrazione.

2.6.4

Il lavoratore migrante, secondo la normativa nazionale in materia di lavoro, dovrà comunicare anticipatamente al datore di lavoro che lascerà l'impresa.

2.7   Diritti

Quali diritti specifici dovrebbero essere concessi ai cittadini di paesi terzi che lavorano temporaneamente nell'Unione?

Il godimento di determinati diritti dovrebbe essere subordinato ad un soggiorno minimo? In caso affermativo, quali diritti e per quale periodo minimo?

Dovrebbero esservi incentivi — ad esempio, condizioni migliori per il ricongiungimento familiare o per ottenere lo status di residente di lungo periodo — per attirare determinate categorie di lavoratori di paesi terzi? In caso affermativo, per quale motivo e di quali incentivi dovrebbe trattarsi?

2.7.1

Il punto di partenza della discussione deve essere il principio della non discriminazione. Il lavoratore migrante, indipendentemente dal periodo di tempo per il quale ha ricevuto i permessi di soggiorno e di lavoro, deve fruire dei medesimi diritti economici, occupazionali e sociali di tutti gli altri lavoratori.

2.7.2

Il diritto al ricongiungimento familiare è un diritto fondamentale che non viene però tutelato in maniera dovuta né dalla direttiva comunitaria (17), né da alcuna legislazione nazionale. Il CESE esorta pertanto la Commissione a elaborare una nuova iniziativa legislativa con l'approccio adottato nelle sue proposte e in quella del Parlamento europeo (18). Il diritto al ricongiungimento familiare, che è un diritto umano fondamentale, dovrebbe applicarsi anche a tutti i cittadini di paesi terzi, e non vi dovrebbero essere trattamenti preferenziali per alcuni gruppi di migranti rispetto ad altri.

2.7.3

Il Libro verde non espone gli obblighi a cui i migranti sono tenuti. A giudizio del CESE tutti i cittadini, siano essi comunitari o extracomunitari, hanno l'obbligo di rispettare le leggi del paese in cui risiedono.

2.7.4

La legislazione comunitaria in materia d'immigrazione deve rispettare la Carta dei diritti fondamentali del Trattato costituzionale, dato che alcune legislazioni nazionali attualmente in vigore contengono disposizioni che contraddicono la Carta.

2.7.5

Il Comitato è d'accordo con la Commissione sul fatto che alcuni diritti devono essere subordinati alla durata del periodo di residenza: i diritti di coloro che risiedono temporaneamente saranno diversi da quelli di coloro che godono dello status di residenti di lungo periodo. Il CESE propone specificamente un complesso di diritti per i cittadini di paesi terzi che esercitino temporaneamente un'attività lavorativa nell'Unione europea e vi risiedano legalmente:

diritto alla sicurezza sociale, inclusa la copertura sanitaria,

diritto, alle medesime condizioni dei cittadini del paese di accoglienza, di accedere a beni e servizi, incluso l'alloggio,

accesso all'istruzione ed alla formazione professionale,

riconoscimento dei diplomi, dei certificati e degli attestati, nel quadro della legislazione comunitaria,

diritto all'istruzione per i minori di età, compresi i sussidi e le borse di studio,

diritto all'esercizio della docenza ed alla ricerca scientifica, secondo la proposta di direttiva (19),

diritto, in caso di necessità, all'assistenza giuridica gratuita,

diritto di accedere ad un servizio gratuito di collocamento,

diritto all'insegnamento della lingua del paese di accoglienza,

rispetto della diversità culturale,

diritto alla libera circolazione e alla libertà di residenza nel paese di accoglienza.

2.7.6

La direttiva relativa allo status di cittadini di paesi terzi che siano residenti di lungo periodo elenca alcuni diritti specifici per tali persone, riguardanti soprattutto la stabilità del loro permesso di soggiorno e le possibilità di circolazione e residenza in altri Stati dell'Unione. Nel parere in materia (20) il CESE ha elencato alcuni nuovi diritti, i più importanti dei quali sono, senza alcun dubbio, i diritti civili e politici. Nel testo il CESE ha proposto che i residenti di lungo periodo abbiano diritto di voto alle elezioni municipali e a quelle europee, analogamente a quanto avviene per i residenti dei paesi comunitari. Il CESE ha inoltre adottato un parere di iniziativa (21), destinato alla Convenzione, nel quale chiede «di prevedere un nuovo criterio di attribuzione per la cittadinanza dell'Unione, ossia di vincolarla non soltanto alla cittadinanza di uno Stato membro ma anche alla residenza stabile nell'Unione europea», e aggiungeva che era necessario contemplare «la concessione della cittadinanza dell'Unione (…) anche a tutti coloro che risiedono stabilmente o per un periodo prolungato nell'Unione europea». Il CESE propone alla Commissione di prendere nuove iniziative in tal senso.

2.7.7

Il CESE ha inoltre adottato nel 2004 un parere di iniziativa (22) in cui propone all'Unione e agli Stati membri di procedere alla ratifica della Convenzione internazionale sui diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite nel 1990 (23), affinché l'Europa promuova il rispetto dei diritti fondamentali dei lavoratori migranti nel mondo. Il CESE chiede alla Commissione di prendere nuove iniziative per la ratifica della Convenzione.

2.7.8

L'Unione europea deve altresì garantire che la legislazione in materia di immigrazione rispetti le norme dell'OIL.

2.7.9

Questa legislazione deve inoltre garantire il rispetto della parità tra uomini e donne, un principio che fa parte dell'acquis comunitario. Va altresì garantita l'applicazione di tutta la legislazione comunitaria contro la discriminazione.

2.7.10

Il CESE non ritiene opportuno introdurre criteri discriminatori nei diritti fondamentali per attirare alcune categorie speciali di migranti.

2.8   Misure di accompagnamento: integrazione, rimpatrio e cooperazione con i paesi terzi

Quali misure di accompagnamento andrebbero previste per agevolare l'ammissione e l'integrazione dei migranti per motivi economici, sia nell'Unione che nei paesi d'origine?

In linea con le politiche dell'UE per lo sviluppo, cosa potrebbe fare l'UE per incoraggiare la circolazione dei cervelli e prevenire le conseguenze potenzialmente negative della fuga di cervelli?

I paesi in via di sviluppo dovrebbero ricevere una compensazione (da chi e in che modo) per gli investimenti effettuati nel capitale umano che in seguito partirà per lavorare nell'UE? Come si possono circoscrivere gli effetti negativi?

I paesi d'accoglienza e d'origine dovrebbero avere l'obbligo di garantire il ritorno dei migranti per motivi economici giunti a lavorare nell'UE solo temporaneamente? In caso affermativo, in che modo?

Come si può gestire il rimpatrio a vantaggio reciproco dei paesi d'accoglienza e d'origine?

Si dovrebbe concedere ad alcuni paesi terzi un trattamento preferenziale in termini di ammissione e in che modo?

Questi trattamenti preferenziali potrebbero essere legati a dei contesti particolari, quali ad esempio la politica europea di prossimità o le strategie di preadesione?

2.8.1

La collaborazione con i paesi di origine deve divenire un aspetto fondamentale della politica europea di ammissione dei lavoratori e di gestione dei flussi migratori. È necessario prendere in considerazione gli interessi di questi paesi, e non solo gli interessi europei. L'Unione non deve frapporre nuovi ostacoli allo sviluppo. L'immigrazione in Europa delle persone che provengono dai paesi in via di sviluppo deve contribuire all'evoluzione socioeconomica di tali paesi.

2.8.2

Alcuni governi europei sono particolarmente interessati alla collaborazione con i paesi di origine per la lotta contro l'immigrazione illegale, nei controlli alle frontiere e nel rimpatrio degli espulsi. Il CESE ha ricordato in un proprio parere (24) che tale collaborazione deve essere ancor più ampia e venire estesa a tutta la gestione dei flussi migratori.

2.8.3

La fuga dei cervelli è, come ricorda il Libro verde, un fattore negativo di rilievo per i paesi di origine, dato che gli investimenti effettuati nell'istruzione e nella formazione non hanno per loro alcun effetto positivo. Oltre a ciò, le attuali politiche comunitarie volte ad attirare lavoratori qualificati possono anche aggravare ulteriormente tale problema. È pertanto assai importante adottare politiche che compensino le perdite provocate nei paesi d'origine da tale situazione. L'Unione deve aumentare significativamente gli investimenti nei programmi di cooperazione e sviluppo, includendo aiuti per il settore dell'istruzione e per attività di formazione e di ricerca nei paesi d'origine. Per esempio, l'UE dovrebbe realizzare investimenti concreti per facilitare lo sviluppo economico e sociale mediante l'aumento nei paesi terzi del numero delle istituzioni di formazione che preparano lavoratori qualificati, come insegnanti, infermieri e medici, ingegneri, ecc. Molti paesi terzi limitano il numero di queste istituzioni a causa della mancanza di risorse; di conseguenza, molti dei loro cittadini che soddisfano i criteri di ammissione devono aspettare almeno un anno per avere un posto in un istituto di formazione. L'aumento del numero dei centri di formazione dovrebbe ridurre l'impatto della fuga di cervelli. È inoltre necessario che l'Europa si mostri più generosa nel corso dei negoziati commerciali.

2.8.4

Bisogna agevolare il rientro volontario nei paesi di origine dei migranti che per ragioni di competenza professionale o di capacità imprenditoriale potrebbero dare un contributo allo sviluppo. In tale senso sarebbe importante migliorare le possibilità per il rientro temporaneo nel paese di origine già offerte dalla direttiva sui diritti dei residenti di lungo periodo. Un cittadino di un paese terzo, residente di lungo periodo, che desideri tornare nel proprio paese con un progetto di lavoro o di investimento non deve perdere il diritto di residenza nell'Unione. La «circolazione dei cervelli» fra i paesi di origine e i paesi europei sarà possibile soltanto se l'Europa adotta una normativa flessibile.

2.8.5

Si potrebbe inoltre facilitare la «circolazione dei cervelli» incoraggiando i cittadini degli Stati membri con una doppia origine a tornare nei paesi di origine dei loro genitori/nonni con un progetto di lavoro o di investimento che abbia una durata minima determinata.

2.8.6

Nei programmi europei di cooperazione bisogna dare la priorità ai progetti di investimento a cui partecipano professionisti e investitori dei paesi di origine, compresi in particolare quanti sono già rientrati. Va fornito un sostegno a tutti i progetti di investimento presentati da persone residenti nell'Unione che desiderano ritornare — anche se solo temporaneamente — nel proprio paese di origine.

2.8.7

Nel parere sulla politica comunitaria di rimpatrio (25) e nel precedente parere sul Libro verde (26), il Comitato ha preso posizione sulle modalità con le quali i rientri volontari possono contribuire allo sviluppo socioeconomico dei paesi di origine.

2.8.8

Va migliorata la gestione dell'immigrazione, in collaborazione con i paesi di origine. Nei paesi da cui proviene un significativo numero di immigranti, i servizi consolari degli Stati membri devono disporre di funzionari specializzati. Anche le delegazioni dell'Unione situate in tali paesi potrebbero collaborare più attivamente.

2.8.9

L'Unione europea potrebbe concludere accordi preferenziali con i paesi candidati all'adesione.

2.8.10

Inoltre, condizioni preferenziali per l'accesso dei migranti possono essere inserite negli accordi di cooperazione sottoscritti dall'UE con singoli paesi o con raggruppamenti regionali di paesi, evitando qualsiasi tipo di impostazione discriminatoria a carattere etnico o culturale.

2.8.11

Infine il CESE propone, ancora una volta, che l'integrazione figuri in tutte le politiche europee in materia di immigrazione. Il Comitato ha elaborato numerose proposte tramite diversi pareri (27) e nel corso del convegno (28) organizzato nel 2002. L'Unione europea deve poter elaborare un programma europeo per l'integrazione al quale le nuove prospettive finanziarie riservino stanziamenti adeguati. Il CESE collaborerà con la Commissione all'elaborazione di questo programma. Nel Libro verde si sarebbe dovuto far riferimento al complesso delle convenzioni e dei trattati pertinenti, internazionali e europei (29).

Bruxelles, 9 giugno 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Articolo III-267.

(2)  COM(2001) 386 def.

(3)  Parere del Comitato: GU C 80 del 3.4.2002 (relatore: PARIZA CASTAÑOS) e parere del PE GU C 43E del 19.2.2002 (relatrice: Ana TERRON i CUSI).

(4)  Cfr. il punto 30 delle conclusioni del Consiglio europeo: http://ue.eu.int/ueDocs/cms_Data/docs/pressData/it/ec/76289.pdf

(5)  Parere sulla comunicazione Immigrazione, integrazione e occupazione, GU C 80 del 30.3.2004 (relatore: PARIZA CASTAÑOS).

(6)  Cfr. la comunicazione della Commissione (2005) 94 del 16.3.2005 sul cambiamento demografico.

(7)  Parere sulla «Comunicazione su di una politica comunitaria dell'immigrazione», GU C 260 del 17.9.2001 (relatore: PARIZA CASTAÑOS) e parere sulla «Comunicazione sull'immigrazione irregolare», GU C 149 del 21.6.2002 (relatore: PARIZA CASTAÑOS).

(8)  Articolo III-267, paragrafo 5.

(9)  Cfr. il parere «Il ruolo della società civile nella prevenzione del lavoro sommerso» - SOC/172 - adottato nel corso della sessione plenaria del 6 e 7.4.2005 (relatore: HAHR).

(10)  Parere sulla comunicazione della Commissione «Studio sulle connessioni tra migrazione legale e illegale» (COM(2004) 412 def.), adottato in plenaria il 15.12.2004 (relatore: PARIZA CASTAÑOS).

(11)  Risoluzione del Consiglio del 20.6.1994.

(12)  Parere in merito alla «Proposta di direttiva del Consiglio relativa allo status di cittadini di paesi terzi che siano residenti di lungo periodo», GU C 36 dell'8.2.2002 (relatore: PARIZA CASTAÑOS).

(13)  Parere in merito alla «Proposta di direttiva del Consiglio relativa alle condizioni di ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendono svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo», GU C 80 del 3.4.2002 (relatore: PARIZA CASTAÑOS).

(14)  Parere in merito alla «Proposta di direttiva del Consiglio relativa alle condizioni di ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendono svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo», GU C 80 del 3.4.2002 (relatore: PARIZA CASTAÑOS).

(15)  Parere in merito alla «Proposta di direttiva del Consiglio relativa alle condizioni di ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendono svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo», GU C 80 del 3.4.2002 (relatore: PARIZA CASTAÑOS).

(16)  Parere in merito alla «Proposta di direttiva del Consiglio relativa alle condizioni di ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi che intendono svolgere attività di lavoro subordinato o autonomo», GU C 80 del 3.4.2002 (relatore: PARIZA CASTAÑOS).

(17)  Cfr. direttiva 2003/86/CE.

(18)  Cfr. pareri CESE in GU C 204 del 18.7.2000 (relatrice: CASSINA) e in GU C 241 del 7.10.2002 (relatore MENGOZZI) e il parere del PE in GU C 135 del 7.5.2001 (relatore: WATSON).

(19)  Cfr. la proposta di direttiva della Commissione COM(2004) 178 def. sull' ammissione di cittadini di paesi terzi a fini di ricerca scientifica e il relativo parere del CESE adottato nella sessione plenaria del 27.10.2004 (relatrice: KING).

(20)  Parere in merito alla «Proposta di direttiva del Consiglio relativa allo status di cittadini di paesi terzi che siano residenti di lungo periodo», GU C 36 dell'8.2.2002 (relatore: PARIZA CASTAÑOS).

(21)  Cfr. i punti 6.4 e 6.5 del parere sulla «Integrazione nella cittadinanza dell'Unione europea», GU C 208 del 3.9.2003 (relatore: PARIZA CASTAÑOS).

(22)  Parere in merito a «La Convenzione internazionale sui diritti dei lavoratori migranti», GU C 302 del 7.12.2004 (relatore: PARIZA CASTAÑOS).

(23)  Risoluzione 45/158 del 18.12.1990, entrata in vigore l'1.7.2003.

(24)  Parere in merito alla «Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo su una politica comune in materia di immigrazione illegale» (COM(2001) 672 def.), GU C 149 del 21.6.2002 (relatore: PARIZA CASTAÑOS).

(25)  Parere in merito alla «Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo su una politica comunitaria di rimpatrio delle persone soggiornanti illegalmente» (COM(2002) 564 def.), GU C 85 dell'8.4.2003 (relatore: PARIZA CASTAÑOS).

(26)  Parere in merito al «Libro verde su una politica comunitaria di rimpatrio delle persone che soggiornano illegalmente negli Stati membri» (COM(2002) 175 def.), GU C 61 del 14.3.2003 (relatore: PARIZA CASTAÑOS).

(27)  Parere sulla comunicazione «Immigrazione, integrazione e occupazione», GU C 80 del 30.3.2004 (relatore: PARIZA CASTAÑOS), e parere sul tema «Immigrazione, integrazione e ruolo della società civile organizzata», GU C 125 del 27.5.2002 (relatore: PARIZA CASTAÑOS - correlatore: MELICIAS).

(28)  Allegato al parere sulla comunicazione «Immigrazione, integrazione e occupazione», GU C 80 del 30.3.2004 (relatore: PARIZA CASTAÑOS).

(29)  

OIL:

Convenzione sui lavoratori migranti (riveduta), 1949 (n. 97)

Raccomandazione sui lavoratori migranti (riveduta), 1949 (n. 86)

Convenzione sulle migrazioni (disposizioni complementari) 1975 (n. 143)

Raccomandazione sui lavoratori migranti, 1975 (n. 151)

Articoli 24 e 26 della Costituzione dell'OIL

Résolution concernant une approche équitable pour les travailleurs migrants dans une économie mondialisée, (Risoluzione relativa ad un approccio equo per i lavoratori migranti in un'economia globalizzata), giugno 2004

Consiglio d'Europa:

Carta sociale europea, 1961 (n. 35) e Carta sociale europea riveduta, 1996 (n. 163)

Convenzione sullo status giuridico del lavoratore migrante, 1977 (n. 93)

Unione europea:

Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, 2000 (parte II del Trattato costituzionale, 2004)

ONU:

Déclaration sur les droits de l'homme des personnes qui ne possèdent pas la nationalité du pays dans lequel elles vivent (Dichiarazione sui diritti umani delle persone che non possiedono la nazionalità del paese in cui vivono)

Convention internationale sur la protection des droits de tous les travailleurs migrants et des membres de leur famille (Convenzione internazionale sulla protezione dei diritti di tutti i lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie).


17.11.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 286/28


Parere del comitato economico e sociale europeo sul tema accordo generale sugli scambi di servizi (GATS) — Negoziati sulla Modalità 4 (movimento delle persone fisiche)

(2005/C 286/06)

La Commissione, con lettera del commissario Lamy in data 20 gennaio 2003, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, ha richiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere esplorativo sul tema Accordo generale sul commercio dei servizi (GATS) — Negoziati sulla modalità 4 (movimento delle persone fisiche).

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 20 maggio 2005, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice FLORIO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 8 giugno 2005, nel corso della 418a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 134 voti favorevoli, 1 voto contrario e 7 astensioni.

Introduzione

Il CESE ha stabilito in più sedi (conferenze, pareri, incontri istituzionali) un costruttivo rapporto di cooperazione e di confronto con la direzione generale Commercio della Commissione europea. In particolare, il precedente commissario Pascal LAMY, nell'ambito del suo mandato, in più di una occasione si è confrontato con il Comitato economico e sociale europeo sulle questioni relative al commercio internazionale e ai diritti umani nell'ambito dei negoziati OMC.

Il CESE presenta oggi una sua proposta di riflessione sul negoziato GATS — Modalità 4, ritenuto uno degli elementi chiave nell'ambito dei negoziati in corso nell'OMC, per l'apertura del commercio internazionale ai servizi. La libera circolazione dei servizi, sia nell'Unione europea che al di là dei suoi confini, è giustamente ritenuta uno degli strumenti potenziali di rilancio dell'economia e dell'occupazione. Una più attenta analisi degli ostacoli e dei rischi potrà consentire uno sviluppo equilibrato di questo settore, in un quadro economicamente e socialmente sostenibile dei nuovi accordi internazionali.

La presenza fisica temporanea di una persona operante nell'ambito di una impresa o società che voglia fornire servizi presso un altro paese in cui non è residente, richiede una serie di necessari approfondimenti sia per i paesi in via di sviluppo che per gli Stati membri dell'Unione europea.

1.   L'Accordo generale sugli scambi di servizi (GATS)

1.1

L'accordo generale sugli scambi di servizi (GATS) è stato negoziato nel corso dell'Uruguay Round (1986-1994) ed è entrato in vigore agli inizi del 1995, quando il segretariato del GATT è stato sostituito dall'Organizzazione mondiale del commercio (OMC). La necessità di poter fare riferimento, in un modo o nell'altro, a norme multilaterali applicabili al commercio dei servizi è stata riconosciuta, in maniera generale, nel corso degli anni '80, quando l'espansione del settore dei servizi (che rappresenta circa due terzi del PIL e dell'occupazione nell'Unione europea) e del loro commercio ha reso sempre più difficile tracciare una precisa linea di demarcazione tra merci e servizi. L'esportazione di merci necessita in misura sempre maggiore dell'esportazione di servizi, ad esempio in materia di installazione, di formazione, di supporto, ecc. Inoltre, la tendenza dei monopoli nazionali o locali a evolversi verso un assetto più fortemente ancorato al mercato, ad esempio nei settori dell'elettricità, della telefonia, della telegrafia, dei trasporti urbani e ferroviari, ha aperto nuovi e interessanti mercati al commercio internazionale di servizi (1). Sebbene il suo obiettivo primario sia liberalizzare gli scambi di servizi, l'accordo GATS non obbliga i paesi aderenti a liberalizzare al di là di quanto ritengano opportuno. Inoltre, esso può prevedere delle limitazioni al principio della nazione più favorita (NPF) e al trattamento nazionale dei fornitori esteri. L'accordo stabilisce altrettanto chiaramente il diritto di disciplinare e di applicare nuove disposizioni regolamentari ai mercati dei servizi. In linea di principio nessun settore è escluso, «eccezion fatta per i servizi forniti nell'esercizio dei pubblici poteri» (2).

2.   Le modalità di fornitura

2.1   La logica alla base delle quattro modalità

2.1.1

Secondo l'articolo 1, paragrafo 2, dell'accordo GATS, per scambio di servizi s'intende la fornitura di un servizio:

a)

dal territorio di un membro al territorio di un altro membro;

b)

nel territorio di un membro a un consumatore di servizi di un qualsiasi altro membro;

c)

da parte di un prestatore di servizi di un membro, attraverso la presenza commerciale nel territorio di un qualsiasi altro membro;

d)

da parte di un prestatore di servizi di un membro, attraverso la presenza di persone fisiche di un membro nel territorio di un qualsiasi altro membro.

2.1.2

Questi tipi di fornitura vengono chiamati Modalità 1, 2, 3 e 4. La Modalità 1 si ha quando i servizi sono forniti a distanza, ad esempio per posta, fax, telefono o via Internet. La Modalità 2 è quella per cui il consumatore viaggia per ricevere il servizio (il turismo è l'esempio più frequente). La Modalità 3 riguarda la creazione di un'impresa commerciale sul territorio di un altro paese membro (investimenti), mentre la Modalità 4 si ha quando una persona entra in un paese in via provvisoria per fornire un servizio, sia a causa di un contatto personale con il cliente sia perché i servizi siano forniti sul territorio.

2.1.3

Le Modalità 3 e 4 sono spesso strettamente legate tra loro. Le aziende ruotano con frequenza il loro personale più esperto e specializzato tra i diversi paesi, giacché questa mobilità interna è essenziale per l'effettiva fornitura dei servizi forniti. Tuttavia, anche le forniture di servizi attraverso le Modalità 1 e 2 possono essere facilitate dalla Modalità 4: ad esempio, i visitatori d'affari (business visitors) possono negoziare e concludere contratti attraverso questa modalità.

2.1.4

Come indica uno studio dell'OCSE sulla Modalità 4 del GATS (3), dato lo stretto collegamento tra i due modi di fornitura è quasi impossibile valutare l'impatto macroeconomico della maggiore liberalizzazione di una sola modalità, ad esempio la 4, in termini di creazione di scambi, di crescita, di occupazione, di concorrenza, di miglioramento della prestazione dei servizi e di riduzione dei prezzi per i consumatori. La realizzazione di studi sull'impatto della liberalizzazione della Modalità 4 in termini di scambi, di crescita e di occupazione si scontra inoltre con l'assenza di statistiche relative ai flussi temporanei corrispondenti a tale modalità. La vera questione non è quanto grande sia il guadagno che si può ottenere attraverso la Modalità 4, ma quali guadagni possano essere assicurati e quali impatti negativi minimizzati. Molte aziende informano che il commercio è stato ostacolato dalla burocrazia dei visti e dei permessi di lavoro.

2.1.5

La Modalità 4 del GATS si riferisce a una forma di movimento delle persone molto peculiare, che presenta tre caratteristiche precipue: 1) è, innanzitutto, di carattere temporaneo; 2) segue una decisione del fornitore di servizi, che ne decide anche l'obiettivo; 3) non definisce, né tutela i diritti dei relativi lavoratori dipendenti, che possono essere regolamentanti da ciascun paese di destinazione, membro dell'OMC. La migrazione della manodopera di cui alla Modalità 4 del GATS è di tipo temporaneo e risulta da un'iniziativa del datore di lavoro ai fini della fornitura di un servizio. La Modalità 4 può inoltre riguardare una situazione in cui un fornitore di servizi forzi un lavoratore a lavorare fuori dai suoi confini naturali.

2.1.6

Si ricorda che la Modalità 4 è sostanzialmente differente dal principio della libera circolazione dei lavoratori nell'UE/SEE: infatti, mentre la libera circolazione nell'UE riguarda la scelta del singolo cittadino su dove vivere o lavorare, nel caso della Modalità 4 si tratta del diritto di un fornitore di servizi di entrare in un paese dell'Unione europea per un certo periodo di tempo, allo scopo di fornire un servizio.

2.1.7

La circolazione della manodopera rientra fra le priorità delle politiche dell'immigrazione e del mercato del lavoro, ma non di quelle in materia di commercio internazionale. Esiste il rischio che la mobilità temporanea della manodopera determini una situazione in cui, in virtù delle regole dell'OMC, il lavoro diventi una merce, laddove il principio ispiratore dell'Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) in materia è che «il lavoro non è una merce» (4). La Modalità 4 riguarda persone, esseri umani, eppure l'accordo GATS non fa alcun riferimento ai diritti dell'uomo, ai diritti dei lavoratori o alle condizioni di lavoro. Ciò non toglie che i diritti in questione possano e debbano essere rispettati sia nelle domande che nelle offerte e negli impegni dei paesi aderenti, come mostra l'esempio dell'Unione europea e dei suoi Stati membri.

2.2   La Modalità 4 e l'allegato sulla circolazione delle persone fisiche che forniscono servizi ai sensi dell'accordo GATS

2.2.1

Il legame tra commercio, migrazione e regolazione del mercato del lavoro incluso nella Modalità 4 è riconosciuto nel GATS attraverso uno specifico allegato sulla circolazione delle persone fisiche. Il punto 2 di questo allegato dispone che «l'accordo non si applica a misure concernenti persone fisiche che intendono accedere al mercato del lavoro di un membro, né si applica a misure riguardanti cittadinanza, residenza o occupazione a titolo permanente». Sempre nell'allegato, una nota a piè di pagina precisa che per «il solo fatto di richiedere un visto a persone fisiche di determinati membri e non a quelle di altri non si intenderà annullare né compromettere i vantaggi derivanti da un impegno specifico». L'accordo inoltre dice che i paesi devono restare liberi di regolare l'entrata e la permanenza di persone nel loro territorio (politiche dei visti), facendo in modo che queste misure non abbiano effetti sul commercio. L'allegato rende chiaro quanto sensibile sia la questione del movimento temporaneo di persone per i membri dell'OMC.

2.3   Gli impegni dell'UE

2.3.1

Gli impegni presi dai membri dell'OMC relativi alla Modalità 4 differiscono da quelli assunti in altre modalità per certi aspetti, poiché i più importanti tra questi tendono a riferirsi a questioni orizzontali applicabili a tutti i settori menzionati da uno Stato membro nella sua lista d'impegni. Questo è dovuto al fatto che chi si occupa di immigrazione tende a regolare la migrazione temporanea sulla base di proposte relative a entrata, qualifiche, formazione e altri fattori che non riguardano settori specifici.

2.3.2

Per quanto la maggior parte dei paesi abbia preso impegni relativi alla Modalità 4 alla fine dell'Uruguay Round, si stima che più del 90 % di tali impegni riguardi esclusivamente i lavoratori altamente qualificati (dirigenti di livello superiore, professionisti e specialisti con conoscenze specifiche) o i visitatori d'affari. Anche per i lavoratori con alte qualifiche, la maggior parte degli impegni ha validità solo se il fornitore di servizi è in grado di essere presente commercialmente nel paese ricevente (Modalità 3) attraverso trasferimenti interni alle società (intra-company-transfers). Sono pochi i paesi che hanno preso impegni in relazione ai fornitori di servizi privi di presenza commerciale nel paese ricevente, siano essi dipendenti di un'impresa estera o di un'impresa indipendente (liberi professionisti, imprenditori, ecc.). Ancora meno sono i paesi che hanno preso impegni sui lavoratori meno qualificati o semi-qualificati, infatti la maggior parte dei paesi ha preso il 90 % degli impegni esclusivamente per i lavoratori altamente qualificati.

2.3.3

La Modalità 4 tocca il livello stesso dell'attività che può essere fornita, e naturalmente è cruciale in alcuni settori in cui la Modalità 4 rappresenta la modalità principale di fornitura (ad esempio nel settore della sanità) o nel caso di assenza di una presenza commerciale (ad esempio, nei settori dell'edilizia e dell'informatica, che richiedono una presenza in loco).

2.3.4

Nell'Uruguay Round, l'UE e i suoi Stati membri hanno preso alcuni impegni per consentire l'entrata temporanea di lavoratori stranieri nell'UE nel caso di fornitura di servizi. Questo include anche impegni successivi ai negoziati sulla Modalità 4 che si sono prolungati oltre l'Uruguay Round.

2.4

Tra i prestatori di servizi che rientrano nella Modalità 4, la Commissione europea e altri membri dell'OMC hanno convenuto sulla distinzione di tre grandi categorie:

trasferimenti interni alle società. È il caso di un dipendente che venga temporaneamente trasferito da uno stabilimento dell'impresa situato al di fuori dell'Unione europea (sede, succursale, agenzia) verso uno all'interno dell'Unione,

visite d'affari. È il caso del rappresentante di un prestatore di servizi straniero che entri temporaneamente nel territorio dell'Unione europea per realizzarvi una delle tre seguenti operazioni: a) negoziare la vendita di servizi; b) concludere contratti di vendita di servizi; c) creare una nuova sede (succursale, agenzia o ufficio). Le persone in visita d'affari non possono fornire essi stessi servizi all'interno dell'Unione,

prestatori di servizi a contratto. Questa categoria include i dipendenti delle persone giuridiche e potrebbe includere, sulla base della nuova offerta della Commissione europea, anche i liberi professionisti. I primi entrano temporaneamente sul territorio dell'Unione europea in quanto dipendenti di un'impresa di un paese terzo che ha ottenuto un contratto di servizi all'interno dell'Unione. I liberi professionisti sono lavoratori indipendenti che entrano temporaneamente sul territorio dell'UE per eseguirvi un contratto da essi stessi ottenuto.

2.5   Richieste dell'UE agli altri paesi membri dell'OMC

2.5.1

L'UE ha presentato richieste precise per aumentare il livello di impegni sulla Modalità 4 a 106 paesi dell'OMC, modulate soprattutto sul livello di sviluppo raggiunto dai paesi membri a cui si riferivano e sulla loro importanza come partner commerciali. Questo rispecchia anche l'interesse particolare dell'UE per le proprie esportazioni in materia di servizi. L'UE sta cercando di coinvolgere la maggior parte dei paesi OMC a un livello simile di impegno. In particolare, le sue richieste riguardano:

1)

i trasferimenti in filiali di una stessa impresa fornitrice di servizi (intra-corporate transfers): la richiesta dell'UE verte sulla possibilità di trasferire del personale per un periodo limite di 3 anni e di inserire in questi accordi anche obiettivi di tipo formativo per un breve periodo di tempo;

2)

i visitatori d'affari: si chiedono trasferimenti per un periodo non superiore a 90 giorni;

3)

i fornitori di servizi contrattuali (contractual service providers): le richieste iniziali si riferivano solo a dipendenti di imprese con personalità giuridica e solo ad alcuni settori di servizi (ad esempio servizi destinati alle imprese o servizi ambientali) con liste differenti di settori richieste dai paesi OCSE e dai paesi in via di sviluppo. Per i paesi meno sviluppati non sono state presentate richieste. Le richieste inviate ai partner OMC a gennaio includevano richieste limitate ai liberi professionisti per i partner commerciali più grandi.

2.6   Richieste dei membri dell'OMC

2.6.1

Per quanto riguarda i negoziati, l'Unione europea ha ricevuto più di 50 richieste, da parte di altri Stati membri, di sviluppare a vari livelli la modalità 4: da una parte si chiede maggiore trasparenza negli impegni, dall'altra c'è chi chiede l'eliminazione di quasi tutte le restrizioni applicabili nella maggior parte dei servizi.

2.6.2

La maggior parte delle richieste proveniva dai paesi meno sviluppati, e per circa la metà di essi l'unica richiesta significativa riguardava l'eliminazione di ogni forma di restrizione (compresa la libera circolazione dei lavoratori), l'inclusione di lavoratori meno qualificati, la rimozione del criterio di necessità economica o di particolari necessità del mercato del lavoro legate alla Modalità 4. Tre paesi hanno richiesto l'abolizione dei visti, nonché l'introduzione di un diritto automatico di entrata e di soggiorno. Per molti, inoltre, è importante estendere le direttive UE sul riconoscimento reciproco ai cittadini di paesi terzi che abbiano ottenuto titoli e qualifiche in territorio UE.

2.6.3

La seconda riunione dei ministri del Commercio dei paesi meno avanzati, svoltasi a Dacca (Bangladesh) dal 31 maggio al 2 giugno 2003, ha dato il via alla cosiddetta dichiarazione di Dacca, la quale stabilisce (punto 15, capoverso iv) che il libero accesso ai mercati dei paesi sviluppati dovrebbe essere garantito dal movimento temporaneo delle persone fisiche, in particolare dei prestatori di servizi non qualificati e semi-qualificati, in base alla Modalità 4, soprattutto grazie al riconoscimento delle qualifiche professionali, alla semplificazione delle procedure di ottenimento dei visti ed alla mancata applicazione del criterio delle esigenze economiche.

3.   Le offerte dell'UE

3.1

In una serie di ambiti sono state offerte diverse possibilità parzialmente migliorative: per i servizi forniti a contratto si è convenuto su 22 sottosettori (servizi professionali e servizi alle imprese) più 4 settori per i lavoratori autonomi per un periodo di soggiorno fino a 6 mesi. Per lo stesso gruppo di 22 settori, l'UE si è impegnata a non richiedere più test di necessità economica (economic needs tests), ma piuttosto un tetto numerico di fornitori di servizi compresi da tale accordo. Su quantità e modalità non vi è ancora una decisione definitiva. Per i giovani si prevede inoltre la possibilità di formazione fino a un massimo di 12 mesi nel quadro dei trasferimenti interni alle società (intra-company transfers). È indubbio che questa offerta da parte dell'Unione europea è una delle più ambiziose e propositive che siano state fatte.

4.   Le offerte dei paesi terzi

4.1

Solo alcuni membri dell'OMC (38) hanno presentato offerte per una maggiore liberalizzazione del commercio dei servizi, entro il termine ultimo fissato dalla dichiarazione di Doha, sebbene questo copra il 91,6 % del commercio mondiale Il livello dell'offerta, sia per i paesi industrializzati sia per quelli in via di sviluppo, rimane piuttosto basso e piuttosto limitato anche nella qualità dell'offerta. È però da tenere presente, nel contempo, che una serie di paesi — India, Filippine, Tailandia, Indonesia — hanno riformulato la loro richiesta sulla base della nuova offerta dell'UE.

5.   Soggiorno temporaneo, mercato del lavoro e coesione sociale

5.1

Le problematiche relative alla Modalità 4 non possono essere limitate alla sfera degli scambi commerciali, ma riguardano anche le più ampie politiche della migrazione e del lavoro. Il mondo delle migrazioni comprende il sottoinsieme della migrazione temporanea, che include a sua volta il sottoinsieme della migrazione a fini di lavoro. La Modalità 4 del GATS rappresenta un altro sottoinsieme.

5.2

Ma i limiti della Modalità 4 non sono chiaramente definiti: in particolare, è necessario chiarire il rapporto fra migrazione temporanea a fini di lavoro e migrazione temporanea per prestabilire una presenza commerciale, ma soprattutto la definizione di «temporaneo», che può andare da pochi mesi a oltre cinque anni. Oltretutto, non esiste a oggi una definizione di quali tipi di lavoratori siano coperti. Inoltre il concetto di «migrazione temporanea» è concepito diversamente in ambito UE (Trattato) ed in sede WTO.

5.3

Sappiamo che la Modalità 4 dovrebbe riguardare un livello limitato di alte professionalità e di professionisti nel lavoro autonomo, ma se in futuro l'uso della Modalità 4 dovesse estendersi anche ad altre categorie di lavori e di lavoratori ci sarà sicuramente bisogno di una definizione più chiara e ristretta di «periodo temporaneo» e di una definizione più precisa di «fornitore di servizi». In ogni caso, tenendo conto che gli accordi commerciali non sono ritenuti il momento più pertinente per occuparsi del diritto di lavoratori, un elemento di chiarezza sarebbe quello di estendere ai lavoratori della Modalità 4 gli effetti della dichiarazione dell'Organizzazione internazionale del lavoro sui principi e i diritti fondamentali nel lavoro e i suoi seguiti del 1998 (5) che rappresenta di per sé un riferimento giuridico. Per i paesi dell'Unione europea certamente la Carta dei dritti fondamentali approvata a Nizza riveste un'importanza primaria, soprattutto perché oggi è inserita nella proposta di Trattato costituzionale.

5.4

Questo sarebbe molto importante per molti lavoratori autonomi professionali (independent conctractor professionals) e per tutte le questioni legate alle assicurazioni pensionistiche e contro la disoccupazione. È chiaro che la gestione dell'emigrazione va intrapresa a livello nazionale e non in sede OMC. Allo stesso modo, alcuni aspetti concernenti il lavoro, come i diritti o la previdenza sociale, devono essere trattati in sede internazionale, ad esempio l'OIL.

6.   Conclusioni e raccomandazioni

6.1

Il Comitato riconosce l'importanza di una maggiore liberalizzazione del commercio mondiale dei servizi per la crescita economica dei paesi in via di sviluppo e dei paesi industrializzati. Aggiunge però che continua a mancare un'analisi di impatto sulle reali conseguenze sociali e nel mercato del lavoro sia dei paesi di provenienza che dei paesi destinatari.

6.2

Il Comitato riconosce altresì l'importanza del diritto dei membri dell'OMC sia di disciplinare la prestazione dei servizi che di adottare nuove regolamentazioni applicabili in materia.

6.2.1

Il Comitato approva le offerte preliminari di maggiore liberalizzazione presentate dall'Unione europea in relazione alla Modalità 4 del GATS, fatto salvo il rispetto delle norme fondamentali della legislazione sul lavoro, del diritto internazionale del lavoro e dei contratti collettivi nazionali in vigore nel paese ricevente (host countries). Il Comitato approva e si felicita con la Commissione che ha previsto i diritti dei lavoratori dipendenti nella sua lista d'impegni.

6.2.1.1

La proposta intesa ad aggiungere una categoria di tirocinanti interni alle imprese (i cosiddetti intra-company trainees), potrebbe essere di grande interesse sia per le imprese multinazionali dell'Unione europea che per le imprese e per i giovani dirigenti dei paesi terzi, e pertanto dovrebbe essere accolta con favore. Va da sé che dovrà essere chiarito il carattere «formativo» di tali rapporti, per non correre il rischio che essi si possano trasformare in lavoro sottopagato nel settore dei servizi, né tanto meno che possano esulare dalla normativa nazionale relativa alla formazione — sia essa disciplinata da legislazione o da contrattazione collettiva — o dal rispetto dei diritti internazionali del lavoro.

6.2.2

L'Unione europea propone nuovi impegni per quanto riguarda i liberi professionisti, in qualità di fornitori di servizi contrattuali, benché tale proposta si applichi soltanto a un certo numero di sottosettori e a esperti altamente qualificati (6).

6.2.3

Il CESE sottolinea l'importanza che i membri UE si adoperino per assicurare la protezione dei lavoratori temporanei e per garantire la non discriminazione e l'attuazione di meccanismi di sorveglianza adeguati, ispirati ad esempio ai principi della protezione del salario della convenzione n. 95 dell'OIL.

6.2.4

In particolare, il più recente allargamento o i prossimi allargamenti dell'UE a paesi in cui la contrattazione collettiva è una prassi infrequente renderanno necessaria l'introduzione di altrettanti buoni meccanismi di controllo.

6.2.5

Secondo il CESE, per una maggiore liberalizzazione del commercio dei servizi è necessario che preliminarmente nell'UE si operi per:

1)

precisare che la direttiva in materia di distacco dei lavoratori è inoltre la base per il movimento temporaneo dei lavoratori;

2)

chiarire quale sia nell'UE il quadro di riferimento normativo sulla liberalizzazione dei servizi all'interno del mercato interno (cfr. proposta di direttiva relativa ai servizi nel mercato interno), al centro in questi mesi di un dibattito particolarmente controverso;

3)

distinguere chiaramente i servizi di interesse generale (tra cui sanità, scuola, acqua, energia, gas, ecc.), tra quelli economici e non economici, quelli a fini commerciali e non, e servizi di altra natura.

6.3

Il CESE, nonostante le difficoltà che si incontrano, rimane in linea di principio favorevole alla proposta presentata dal Forum europeo dei servizi (FES) che mira all'elaborazione nel quadro dell'OMC di norme relative a un «permesso GATS». Ciò migliorerebbe la scorrevolezza dei flussi di prestatori di servizi nell'Unione europea sia verso il luogo d'origine che verso il luogo di destinazione, e renderebbe inoltre più trasparente il monitoraggio dell'applicazione della Modalità 4.

6.4

Per molti paesi in via di sviluppo, il rischio di una «fuga di cervelli» è una realtà. Molti di tali paesi, ad esempio, soffrono di una forte carenza di personale infermieristico: questo tipo di lavoratori migrano verso paesi sviluppati dove manca personale qualificato. Il CESE propone che l'Unione europea e gli Stati membri mettano a punto regole e prassi (seguendo l'esempio del Regno Unito nel settore della sanità e in particolare per le professionalità infermieristiche, ambito in cui è stato elaborato un codice etico per le politiche di reclutamento) volte a evitare che i paesi in via di sviluppo perdano manodopera competente e personale specializzato e si trovino quindi nell'impossibilità di rispondere ai bisogni della propria popolazione.

6.5

Il CESE esorta l'Unione europea e gli Stati membri a non accettare, per il momento, di estendere la Modalità 4 ai lavoratori semi-qualificati o non qualificati. All'atto pratico, infatti, ciò potrebbe finire per mettere a repentaglio il principio fondamentale dell'OIL, secondo cui «il lavoro non è una merce». In effetti, i lavoratori stranieri semi-qualificati e non qualificati si trovano quasi sempre in una posizione di debolezza sul mercato del lavoro, mentre i dirigenti, gli esperti e i liberi professionisti altamente qualificati provenienti dall'estero beneficiano di norma di una posizione solida e sono ben tutelati.

6.6

Il CESE ritiene che il movimento temporaneo dei lavoratori, che di fatto costituisce una migrazione temporanea, non possa essere regolamentato primariamente in sede OMC e dall'accordo GATS senza alcuna garanzia riguardante i diritti dell'uomo o il rispetto delle norme fondamentali in materia di lavoro, come ad esempio la non discriminazione. Quale condizione preliminare per poter estendere ulteriormente il campo d'applicazione della Modalità 4 nel quadro dell'OMC, bisognerebbe prevedere una cooperazione soddisfacente sul piano operativo quanto meno tra l'OMC e l'OIL, l'OIM e l'ONU in materia di protezione dei migranti temporanei, valorizzando in questo senso il ruolo dell'OIL, come sede tripartita di confronto e come possibile organismo di coordinamento.

6.7

Il CESE ritiene che i governi europei dovrebbero tutti ratificare la Convenzione internazionale delle Nazioni Unite sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e dei membri delle loro famiglie, entrata in vigore nel luglio 2003. Tale Convenzione definisce i diritti dei migranti temporanei, ad esempio quelli dei «lavoratori ammessi ad un impiego specifico». Per orientare le politiche sarebbe in ogni caso opportuno, anche in assenza di ratifica, fare ricorso a questa Convenzione in quanto insieme di norme riconosciute a livello internazionale (7). La Convenzione n. 146 dell'OIL è stata ratificata da sei Stati membri dell'Unione europea (prima e dopo l'ampliamento), nonché da altri quattro paesi europei. Sarebbe opportuno applicare le disposizioni contenute in questo testo e quelle di cui alla raccomandazione n. 151, oltre che i pertinenti articoli della Carta sociale europea (Consiglio d'Europa). È necessario che le misure adottate dall'Unione europea ai sensi della Modalità 4 del GATS siano compatibili con tali norme, in particolare quelle alle quali hanno aderito gli Stati membri dell'Unione.

6.8

Il CESE accoglie con soddisfazione la risoluzione del Parlamento europeo sull'accordo generale sul commercio dei servizi (GATS) in ambito OMC e la diversità culturale (12 marzo 2003), in particolare i punti 5, 10 e 11 (riportati qui di seguito), ed esorta la Commissione e gli Stati membri a tenerne conto nei negoziati sul GATS:

punto 5: «[…] ricorda che il GATS è un accordo volontario e che i suoi principi non impongono privatizzazioni o deregolamentazioni, né prescrivono un determinato grado di liberalizzazione in quanto tale; insiste, tuttavia, che i paesi in via di sviluppo e meno sviluppati non dovrebbero essere sottoposti a pressioni quanto alla liberalizzazione dei servizi, soprattutto per quanto concerne i servizi pubblici»,

punto 10: «[…] plaude alla proposta di offrire in particolare ai paesi in via di sviluppo migliori opportunità di esportare servizi nel mercato europeo mediante il movimento transfrontaliero temporaneo di personale qualificato, ma insiste sul fatto che i negoziati devono garantire la tutela dei lavoratori transfrontalieri nei confronti di qualsiasi forma di discriminazione; rammenta che, in tutti questi casi, le condizioni di lavoro comunitarie e nazionali, le esigenze in materia di salario minimo e tutti gli accordi salariali collettivi dovranno continuare a essere applicati, a prescindere dal fatto che il datore di lavoro sia registrato o meno in uno Stato membro dell'Unione»,

punto 11: «[…] ritiene che la» presenza commerciale «(ossia gli investimenti) debba continuare a essere regolamentata da misure fiscali, sociali o regolamentari di altro tipo a livello nazionale; insiste sul diritto di subordinare la presenza commerciale di operatori stranieri al rispetto della dichiarazione tripartita dell'OIL sui principi concernenti le imprese multinazionali e la politica sociale e dei nuovi orientamenti dell'OCSE per le imprese multinazionali».

Bruxelles, 8 giugno 2005.

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Cfr. le attività del Comitato economico e sociale europeo durante la presidenza olandese 2004, e i seguenti documenti: parere del Comitato economico e sociale europeo del 17.10.2001 (GU C 36 dell'8.2.2002, pag. 85) in merito alla Preparazione della quarta Conferenza ministeriale dell'OMC: posizione del CES; parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Trasporto aereo in Europa, dal mercato unico alle sfide mondiali del 26.1.2000 (GU C 75 del 15.3.2000, pag. 4); parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde sui servizi di interesse generale dell'11.12.2003 (GU C 80 del 30.3.2004, pag. 66); parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Per un'OMC dal volto umano: le proposte del CESE del 26.3.2003 (GU C 133 del 6.6.2003, pag. 75).

(2)  Questi servizi sono diversi da paese a paese e la loro regolamentazione dipende da ogni singolo Stato.

(3)  http://www.oecd.org/document/25/0,2340,fr_2649_34145_31773849_1_1_1_1,00.html.

(4)  OIL, Conferenza internazionale del lavoro, dichiarazione di Philadelphia del 1944.

(5)  http://www.ilo.org/dyn/declaris/DECLARATIONWEB.INDEXPAGE?var_language=EN.

(6)  Secondo la relazione dell'UNICE dal titolo Cancun, Moving forward together (Cancún: progredire insieme), del luglio 2003, la Modalità 4 riguarda i movimenti temporanei di personale commerciale di livello molto elevato.

(7)  Ad esempio, gli accordi GATS non menzionano i diritti dei coniugi o dei figli.


17.11.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 286/34


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio relativa alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti radioattivi e di combustibile esaurito

COM(2004) 716 def. — 2004/0249 (CNS)

(2005/C 286/07)

La Commissione, in data 12 novembre 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 31 del Trattato che istituisce la Comunità europea dell'energia atomica, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 19 maggio 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore BUFFETAUT.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 9 giugno 2005, nel corso della 418a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 120 voti favorevoli e 6 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

La sorveglianza e il controllo delle spedizioni di rifiuti radioattivi tra gli Stati membri sono disciplinate dalla direttiva 92/3 del Consiglio, del 3 febbraio 1992.

1.2

Detta direttiva si applica sia alle spedizioni di rifiuti radioattivi tra uno Stato membro e l'altro che alle importazioni ed esportazioni di tali rifiuti. Essa è intesa a garantire che gli Stati membri di destinazione e di transito siano informati delle spedizioni di rifiuti radioattivi loro destinate o che transitano sul loro territorio. Gli Stati membri hanno la facoltà di ammettere o di vietare tali trasporti.

1.3

Per quanto riguarda le esportazioni, le autorità del paese terzo di destinazione sono informate del trasferimento.

1.4

Dopo oltre dieci anni in cui la direttiva è stata applicata in maniera complessivamente soddisfacente, la Commissione ritiene necessario, per ragioni sia pratiche che giuridiche, apportarvi alcune modifiche.

1.5

Il processo di revisione della direttiva rientra nella quinta fase dell'iniziativa SLIM (Simpler Legislation for Internal Market — semplificazione della legislazione per il mercato interno).

1.5.1

Tale processo aveva lo scopo di verificare l'opportunità di:

inserire nuove disposizioni tecniche,

assicurare la coerenza della direttiva con le recenti direttive Euratom e con alcuni accordi internazionali,

chiarire o eventualmente eliminare alcune incongruenze riguardanti il diritto dei paesi terzi di essere consultati in merito alla prevista spedizione di rifiuti radioattivi,

estendere l'ambito di applicazione della direttiva al combustibile esaurito destinato al ritrattamento,

esaminare e chiarire le disposizioni della direttiva che disciplinano l'eventuale diniego di approvazione delle spedizioni di rifiuti radioattivi,

semplificare il documento uniforme di notifica,

prevedere la sostituzione della direttiva con un regolamento.

1.5.2

Al termine del processo sono state formulate 14 raccomandazioni che hanno costituito la base di riflessione per la revisione della direttiva.

2.   La nuova proposta di direttiva

2.1

Per la Commissione vi sono quattro motivi che giustificano l'introduzione di modifiche alle disposizioni della direttiva 92/3:

assicurare la coerenza con le recenti direttive Euratom,

assicurare la coerenza con alcune convenzioni internazionali,

chiarire la procedura nella pratica: in altri termini chiarire determinati concetti, modificare alcune definizioni attuali o aggiungerne di nuove, eliminare delle incongruenze e semplificare la procedura,

estendere il campo di applicazione al combustibile esaurito: a norma della direttiva 92/3 il combustibile esaurito per il quale non è previsto alcun uso è considerato come rifiuto radioattivo e le relative spedizioni sono soggette alla procedura di controllo stabilita dalla direttiva. Viceversa le spedizioni di combustibile esaurito destinato al ritrattamento non sono soggette a tale procedura. La Commissione intende estendere l'ambito di applicazione della direttiva al combustibile esaurito destinato al ritrattamento, perché ritiene illogico che la legislazione sia o non sia applicabile a seconda dell'utilizzazione prevista per il combustibile esaurito, quando la natura di quest'ultimo è identica.

2.2

La Commissione intende infine migliorare la struttura del testo sotto il profilo della tecnica giuridica.

3.   Osservazioni generali

3.1

Come ha osservato la Commissione, il testo presentava qualche problema di attuazione pratica. L'industria nucleare, consultata nel quadro della procedura SLIM, ha avanzato delle proposte tendenti a rendere più semplici e chiare le procedure e di conseguenza più efficace il sistema, accrescendo tra l'altro la prevedibilità e consentendo di risparmiare tempo.

3.2

Giustamente quindi la Commissione ha deciso di aggiornare la direttiva, sia per renderla coerente con le più recenti direttive Euratom e le convenzioni internazionali, in particolare la Convenzione comune sulla sicurezza dello smaltimento del combustibile esaurito e sulla sicurezza dello smaltimento dei rifiuti radioattivi, sia per semplificarla.

3.3

Appaiono particolarmente opportuni gli sforzi volti a semplificare le procedure attuali, ad esempio l'applicazione generale della procedura automatica di approvazione (art. 6), l'introduzione dell'avviso di ricevimento della richiesta di approvazione (art. 8), l'adeguamento del regime linguistico del documento uniforme (art. 13). Nondimeno si sarebbe forse potuta applicare in maniera ancora più estesa la procedura SLIM. Sussistono infatti molte delle difficoltà che erano state individuate nella pratica; inoltre alcune modifiche suggerite sono di dubbia attuabilità, mentre altre rischiano di intralciare il buon funzionamento delle spedizioni di scorie radioattive e di combustibili esauriti. Infine gli ambienti industriali hanno espresso inquietudine per l'estensione del campo di applicazione della direttiva 92/3/Euratom al combustibile esaurito destinato al ritrattamento, che rischia di rendere più difficili le spedizioni e di accrescere le procedure amministrative senza aumentare il grado di protezione della popolazione e dei lavoratori, già garantiti da altri strumenti giuridici, in particolare la Convenzione comune sulla sicurezza dello smaltimento di combustibile esaurito e sulla sicurezza dello smaltimento di rifiuti radioattivi, come pure le vigenti disposizioni sul trasporto di materiale radioattivo.

4.   Osservazioni specifiche

L'attuale redazione della direttiva solleva alcune importanti questioni di principio.

4.1   La nuova direttiva e la libera circolazione del combustibile destinato al ritrattamento

4.1.1

Un'importante innovazione della nuova proposta consiste nell'estendere il campo di applicazione a tutti i combustibili esauriti, siano essi destinati al ritrattamento o allo stoccaggio definitivo.

Attualmente i combustibili esauriti destinati al ritrattamento, che sono considerati, a differenza dei rifiuti radioattivi, come merci in attesa di essere utilizzate, non rientrano nel campo di applicazione della direttiva 92/3.

4.1.2

Questa distinzione tra i combustibili esauriti destinati allo stoccaggio definitivo, che sono considerati come scorie radioattive, e i combustibili esauriti destinati al ritrattamento è stata ribadita chiaramente e in più occasioni dalla Commissione (risposta alle interrogazioni parlamentari scritte E-1734/97 e P-1702/02). Essa si basa tra l'altro sul diritto, proprio di ciascuno Stato membro, di definire ed applicare la propria politica di gestione del combustibile esaurito, nonché sulle varie strategie esistenti in questo campo.

4.1.3

La Commissione giustifica l'estensione del campo di applicazione ai combustibili esauriti destinati al ritrattamento in base a questioni attinenti la radioprotezione e per la logica considerazione che si tratta dello stesso materiale e che cambia solo la sua destinazione. Essendo i materiali radioattivi sottoposti alla stessa regolamentazione, indipendentemente dalla loro destinazione, l'importante è evitare che la nuova disciplina proposta venga usata impropriamente per ostacolare le spedizioni di combustibile usato. Proprio per questa ragione il meccanismo di approvazione automatica costituisce un elemento di equilibrio del testo, che deve essere mantenuto. Fa parte di tale equilibrio anche la definizione più restrittiva delle motivazioni con le quali lo Stato di transito può giustificare il diniego dell'autorizzazione di una spedizione.

4.2   Il problema dello Stato di transito

4.2.1

Nella nuova proposta il «paese di transito» è «qualsiasi paese, diverso dal paese di origine o di destinazione, attraverso il cui territorio è prevista o effettuata una spedizione». Cosa si intende per territorio? Sono compresi in tale concetto lo spazio terrestre, le acque territoriali, la zona economica esclusiva e lo spazio aereo?

4.2.2

Sarebbe necessario specificare i concetti, perché le conseguenze delle disposizioni potrebbero variare in maniera considerevole a seconda che, per esempio, la zona economica esclusiva fosse intesa come facente parte del territorio o meno. Va ricordato che nel diritto internazionale le competenze di uno Stato variano in funzione della porzione di territorio considerata.

4.2.3

Poiché il diritto pubblico internazionale riconosce agli Stati la piena sovranità sulle rispettive acque territoriali, ma solo diritti limitati sulla zona economica esclusiva e sulla piattaforma continentale, il CESE ritiene che si debba intendere per territorio dello Stato di transito il suo spazio terrestre e aereo e le sue acque territoriali, ma non la sua zona economica esclusiva.

4.2.4

Questa posizione è tanto più giustificata in quanto, per esempio nel Mar Mediterraneo, date le sue piccole dimensioni, non esistono zone economiche esclusive, e ciò comporterebbe una disparità di diritti fra i numerosi Stati membri mediterranei. Il CESE raccomanda inoltre che la definizione più precisa del territorio dello Stato di transito sia applicata tenendo conto dei diritti e delle libertà di navigazione riconosciuti dal diritto internazionale, e in particolare del principio del passaggio inoffensivo nelle acque territoriali, come previsto dalle disposizioni specifiche dell'articolo 27, paragrafo 3, lettera i), della Convenzione comune sulla sicurezza dello smaltimento di combustibile esaurito e sulla sicurezza dello smaltimento di rifiuti radioattivi.

4.3   Definizione dei diritti dello Stato di transito

4.3.1

Occorre valutare l'estensione dei diritti che la direttiva riconosce agli Stati di transito.

4.3.2

La proposta prevede il consenso previo dello Stato di transito, sia esso uno Stato membro dell'UE che uno Stato terzo.

4.3.3

Quando uno Stato membro deve chiedere l'autorizzazione preventiva per un transito in un paese terzo, deve accertarsi che tale paese rispetti le norme di sicurezza previste dalla Convenzione.

4.4   Le condizioni di esercizio, da parte dello Stato di transito, dei diritti conferitigli

4.4.1

L'articolo 27, paragrafo 3, lettera i) della Convenzione comune dell'AIEA stabilisce che nessuna disposizione della Convenzione «pregiudica l'esercizio, da parte di navi e aeromobili di tutti gli Stati, dei diritti e delle libertà di navigazione marittima, fluviale e aerea, come previsti dal diritto internazionale».

4.4.2

Il gruppo SLIM aveva d'altronde raccomandato di inserire una disposizione analoga nella direttiva, cosa che sarebbe effettivamente opportuna.

4.4.3

Sarebbe in ogni caso necessario definire più esattamente le circostanze che possono essere invocate da uno Stato membro di transito per negare il consenso ad una spedizione. La direttiva 92/3 ha creato un regime di deroga ai principi del mercato comune nucleare, regime di deroga che, in quanto tale, deve essere applicato in maniera rigorosa. La direttiva stabilisce che gli Stati di transito possono opporsi a una spedizione solo sulla base del mancato rispetto della regolamentazione internazionale e comunitaria relativa al trasporto, ma l'attuale proposta della Commissione si limita a fare riferimento alla «normativa applicabile in materia», formula alquanto imprecisa.

4.4.4

Sarebbe più utile e chiaro distinguere tra la situazione dello Stato membro di transito e quella dello Stato membro di destinazione. La principale preoccupazione dello Stato membro di transito è accertarsi che la spedizione prevista sia conforme alle disposizioni internazionali e comunitarie sul trasporto di materiale radioattivo. Lo Stato membro di destinazione ha preoccupazioni maggiori, relative non solo al trasporto, ma anche alla gestione del materiale radioattivo.

4.4.5

L'articolo 6, paragrafo 3, potrebbe quindi essere formulato come segue:

«Il diniego di approvazione o la fissazione di condizioni per l'approvazione devono essere debitamente motivati:

i)

per gli Stati membri di transito, sulla base della regolamentazione internazionale, comunitaria e nazionale relativa alle spedizioni di materiale radioattivo;

ii)

per gli Stati membri di destinazione, sulla base della legislazione vigente in materia di gestione dei rifiuti radioattivi e dei combustibili usati, o della regolamentazione internazionale, comunitaria e nazionale relativa alle spedizioni di materiale radioattivo.»

4.4.6

Infine il meccanismo di approvazione automatica, che permette di evitare che uno Stato ricorra a misure dilatorie o faccia in modo che le procedure vadano per le lunghe, risulta molto utile e non deve essere rimesso in discussione (art. 6, par. 2 della proposta).

4.5   Difficoltà pratiche di attuazione di determinate procedure

4.5.1

La proposta di direttiva in esame comporta una reale semplificazione delle procedure attuali e va accolta con favore. Sussistono tuttavia difficoltà e interrogativi circa l'applicazione pratica di alcune delle modifiche.

4.6   Chiarire le regole di controllo delle importazioni e delle esportazioni (artt. 10, 11 e 12)

4.6.1

La struttura della direttiva è stata modificata per consentire di individuare più chiaramente le varie tappe della procedura. Le importazioni e le esportazioni sono assoggettate a disposizioni specifiche, ma occorrerebbe chiarire meglio come queste disposizioni si articolino con le regole generali relative alle varie tappe della procedura.

4.6.2

Per esempio dalla lettura combinata dell'articolo 10, paragrafo 1, e delle disposizioni generali della proposta risulta che lo Stato membro di destinazione dovrebbe presentare a se stesso una richiesta di approvazione, cosa alquanto curiosa.

4.6.3

La nozione di «persona responsabile della gestione della spedizione», di cui all'articolo 10, paragrafo 2, non è molto chiara e potrebbe riferirsi a vari soggetti. Se si fa riferimento ad una responsabilità giuridica, essa sarà definita contrattualmente e/o per via regolamentare o legislativa?

4.6.4

La lettura combinata dell'articolo 10, paragrafo 2 e dell'articolo 12, che specifica i casi in cui le esportazioni sono vietate, suscita un interrogativo. Lo Stato membro di transito deve valutare, tra l'altro, la capacità dello Stato terzo di destinazione di garantire una gestione sicura dei rifiuti radioattivi (art. 12, par. 1, lettera c))? Che succederebbe se lo Stato di transito giudicasse non idoneo lo Stato terzo di destinazione?

4.6.5

Allo scopo di fornire una definizione più precisa dei principi che regolano l'esportazione di rifiuti radioattivi e di combustibile esaurito oltre le frontiere dell'UE, si propone di rivedere il testo dell'articolo 12, lettera c) della proposta di direttiva inserendovi una disposizione in base alla quale le autorità competenti degli Stati membri non autorizzano le spedizioni verso un paese terzo nel quale i mezzi tecnici, giuridici, amministrativi e i principi relativi alla partecipazione della società al processo decisionale non garantiscono una gestione sicura dei rifiuti radioattivi ad un livello corrispondente almeno a quello in vigore negli Stati dell'UE.

4.6.6

L'articolo 11, relativo al controllo delle esportazioni fuori della Comunità, non fornisce dettagli sul modo in cui sarà richiesto e/o ottenuto il consenso dello Stato terzo di destinazione. Per giunta l'applicazione delle regole generali della proposta è in conflitto con l'extraterritorialità degli Stati terzi di destinazione, che non rientrano nell'ordinamento giuridico comunitario.

4.6.7

Per quanto riguarda il diniego dell'approvazione da parte dello Stato di destinazione, analogamente a quanto si è detto a proposito dello Stato di transito, sarebbe opportuno definire meglio e circoscrivere i motivi che possono essere addotti per giustificare il diniego di autorizzare una spedizione (l'articolo 6, paragrafo 3, si applica sia agli Stati di transito che a quelli di destinazione).

4.7   Chiarimento o armonizzazione di taluni concetti

4.7.1

«Rifiuti radioattivi»: l'articolo 3, paragrafo 1 ne dà una nuova definizione, che dovrebbe essere ricalcata su quella della Convenzione comune, ma presenta qualche differenza, ad esempio per quanto riguarda il paese che decide in merito alla classificazione di tali rifiuti. Sarebbe auspicabile attenersi alla definizione contenuta nella Convenzione comune.

4.7.2

«Specifiche tecniche»: l'articolo 9 menziona le «specifiche tecniche in base alle quali la spedizione è stata approvata», senza precisare a cosa ci si riferisca; si tratta di una nozione spesso utilizzata nella regolamentazione relativa al trasporto di rifiuti radioattivi e di combustibili esauriti; per evitare confusione occorrerebbe definirla chiaramente.

4.7.3

In vari articoli della proposta (artt. 4-7, 10, 11 e 13) vengono impiegati indifferentemente i termini «autorizzazione» — «approvazione» — «consenso». Armonizzando la terminologia si faciliterebbe la lettura e l'interpretazione del testo. Il CESE propone di utilizzare due termini: «autorizzazione» e «consenso», il primo riferito al permesso concesso dal paese di origine, il secondo, indifferentemente, al consenso dato dal paese di destinazione e/o di transito. Tale distinzione permetterebbe infatti di fare riferimento alle due principali fasi della procedura di controllo istituita dalla direttiva.

5.   Conclusione

5.1

Il CESE accoglie con favore la revisione della direttiva, volta a renderla coerente con le più recenti direttive Euratom e con le convenzioni internazionali, nonché a semplificare e a chiarire le procedure attuali. Si compiace del fatto che sia stato introdotto nella proposta un meccanismo di approvazione automatica in grado di impedire manovre dilatorie.

5.2

Richiama tuttavia l'attenzione sull'esigenza di definire chiaramente le disposizioni in materia di transito; esse non debbono comportare ostacoli indebiti al trasporto del combustibile esaurito destinato al ritrattamento nella Comunità, perché ciò sarebbe contrario alle regole del mercato comune nucleare.

5.3

Si dovrebbero infine chiarire le disposizioni in materia di importazioni e di esportazioni e ridefinire in modo più restrittivo le ragioni che possono giustificare un diniego dell'autorizzazione da parte degli Stati di transito e di destinazione.

Bruxelles, 9 giugno 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


17.11.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 286/38


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Consiglio sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione (ai sensi dell'articolo 128 del Trattato CE)

(COM(2005) 141 def. — 2005/0057 (CNS))

(2005/C 286/08)

Il Consiglio, in data 22 aprile 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 128 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 24 maggio 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore MALOSSE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 31 maggio 2005, ha adottato con procedura scritta (articolo 58 del Regolamento interno) il seguente parere.

1.   Introduzione

Il Consiglio europeo del 22 e 23 marzo 2005 ha affermato la necessità di rilanciare la strategia di Lisbona mettendo in primo piano la crescita e l'occupazione.

La Commissione è stata esortata dal Consiglio europeo a tradurre la priorità attribuita alla crescita e all'occupazione in nuovi indirizzi di massima per le politiche economiche e in nuovi orientamenti per l'occupazione.

I due testi sono contenuti in un unico documento che presenta i primi orientamenti integrati per la crescita e l'occupazione per il periodo 2005-2008.

Il presente parere verte sulla parte relativa alla proposta di decisione del Consiglio sugli orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione (ai sensi dell'articolo 128 del trattato CE).

Il Comitato deplora che le scadenze per l'adozione degli orientamenti, molto ravvicinate nel tempo, non permettano, su un tema così importante per i cittadini europei, un autentico dibattito con la società civile. Questa prassi contrasta con il principio di democrazia partecipativa enunciato nel Trattato costituzionale. Il Comitato chiede pertanto al Consiglio di riesaminare in futuro il calendario in modo da consentire l'organizzazione del dibattito democratico e del dialogo civile in condizioni appropriate, sia a livello europeo sia a livello nazionale. Solo così si potrà garantire il pieno coinvolgimento di tutti gli attori sociali interessati in ogni fase del processo, come richiesto a gran voce da tutte le parti in occasione della valutazione intermedia della strategia di Lisbona effettuata con l'obiettivo di garantire una concreta applicazione della strategia dell'occupazione.

Al tempo stesso, il Comitato deplora che la procedura di consultazione gli consenta di pronunciarsi solo in parte su quella che, fondamentalmente, è una proposta integrata sulla crescita e l'occupazione. Sarebbe stato opportuno raggruppare gli orientamenti per l'occupazione e gli indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri in un'unica consultazione, consentendo così di adottare una vera e propria politica globale, un «policy mix» più equilibrato fra gli aspetti congiunturali e quelli strutturali.

Il Comitato reputa infine che la Commissione debba elaborare una strategia più coerente, che sia in grado di garantire un sostegno e di affiancare la politica dell'occupazione, che risponda meglio alle aspettative dei cittadini e che consenta effettivamente di realizzare gli obiettivi di una piena occupazione previsti dalla strategia di Lisbona.

2.   Osservazioni generali

2.1   Coerenza complessiva

Con l'obiettivo di dare sostanza alla rinnovata concentrazione sulla crescita e l'occupazione, il Consiglio europeo ha deciso di rafforzare la coerenza e la complementarità dei meccanismi esistenti, lanciando un nuovo ciclo di governance.

Il Comitato accoglie favorevolmente questa nuova impostazione, purché sia un'innovazione effettiva e non puramente formale, come invece purtroppo è tuttora. Sarebbe altresì importante che la coerenza si applicasse anche al livello della valutazione.

Per ragioni di continuità, gli orientamenti per l'occupazione e gli indirizzi di massima per le politiche economiche dovrebbero essere soggetti ad una revisione totale ogni tre anni, consentendo un vero dibattito democratico.

Priorità

Le priorità fissate per conseguire gli obiettivi di piena occupazione, di qualità dei posti di lavoro, di produttività del lavoro e di coesione sociale sono le seguenti:

attrarre in modo permanente un maggior numero di persone verso il mondo del lavoro e modernizzare i sistemi previdenziali,

accrescere la capacità di adattamento dei lavoratori e delle imprese e la flessibilità del mercato del lavoro,

effettuare maggiori investimenti nel capitale umano migliorando l'istruzione e le qualifiche.

2.2

Tuttavia, il Comitato si rammarica per il fatto che non siano state esplorate altre linee d'azione o che ci si limiti a citarle senza farne delle vere priorità. Tra queste si possono menzionare le seguenti.

2.2.1

Una politica diretta a favorire un migliore inserimento dei giovani sul mercato del lavoro, soprattutto per assicurare loro una prima occupazione con prospettive future. La persistenza (l'aggravamento in certi paesi) della disoccupazione giovanile, che riguarda anche coloro che sono in possesso di un diploma, rappresenta una sfida fondamentale per l'Europa perché è lecito dubitare del futuro di una società che non offre prospettive ai suoi giovani.

2.2.2

Misure legate al passaggio ad un'economia della conoscenza, specie per migliorare la qualità dei posti di lavoro e la produttività del lavoro. Il Comitato è infatti convinto che non si sia realmente compresa la portata del passaggio a una nuova era economica (sviluppo dei servizi, evoluzione dell'industria) e ritiene che l'inefficacia di talune politiche del lavoro sia determinata dal fatto che esse non tengono sufficientemente conto dei cambiamenti che si verificano sotto i nostri occhi. Questo passaggio a un'economia della conoscenza richiede un impegno più rigoroso e focalizzato in materia di formazione professionale e continua, nonché un rapido adattamento alla conoscenza delle nuove tecnologie. In tale contesto è necessario rimettere in causa le distinzioni tradizionali tra settori e categorie di impieghi qualificati e sottoqualificati, che risalgono all'epoca industriale e non sono più attuali in una società della conoscenza.

2.2.3

Il Comitato deplora che gli orientamenti in materia di innovazione e ricerca riguardino unicamente gli indirizzi di massima per le politiche economiche e non siano stati applicati all'occupazione malgrado il fatto che l'UE, investendo di più in questi settori, contribuirebbe a creare posti di lavoro, soprattutto per i giovani. Questa lacuna sottolinea la mancanza di coerenza tra gli indirizzi di massima per le politiche economiche e gli orientamenti per l'occupazione.

2.2.4

Mentre il problema della parità tra i sessi nel settore dell'occupazione è uno dei temi centrali della strategia di Lisbona e proprio quando è necessario proseguire gli sforzi avviati nel senso della conciliazione della vita lavorativa e della vita familiare, è sorprendente non trovare alcun orientamento integrato specifico sul tema della parità uomo/donna. Al tempo stesso, il Comitato si meraviglia che gli orientamenti per l'occupazione non abbiano evidenziato maggiormente la sfida dell'invecchiamento delle persone attive e la necessità di combattere in modo più efficace la discriminazione fondata sull'età, gli handicap o l'origine etnica nel mercato del lavoro.

2.2.5

La gestione comune della politica dell'immigrazione e del problema del declino demografico dell'Europa. La comunicazione della Commissione europea sul programma quadro di solidarietà e di gestione dei flussi migratori (1) ha sottolineato il fatto che nell'Unione europea le persone attive potrebbero diminuire di oltre 20 milioni entro il 2030 a causa del calo della natalità. Sebbene l'immigrazione da sola non rappresenti la soluzione alla situazione demografica dei paesi dell'Unione europea, sarà necessario che l'Europa disponga di politiche attive per l'ammissione dei migranti per motivi economici (2), affinché il loro arrivo contribuisca a soddisfare le esigenze del mercato del lavoro e favorisca la prosperità dell'Unione europea. Le politiche restrittive e discriminatorie, seguite da alcuni Stati membri nei confronti dei lavoratori migranti hanno un effetto dissuasivo, a danno delle esigenze del mercato del lavoro. Una stretta collaborazione a livello nazionale e comunitario risulta indispensabile. La sfida demografica deve però condurre a una riflessione a livello europeo sulle politiche della famiglia e su quelle relative alla natalità.

2.2.6

Azioni in favore delle iniziative locali e dello sviluppo di tutti i tipi d'impresa. L'aumento del numero delle imprese nell'Unione europea è modesto (salvo in alcuni nuovi Stati membri) e rispecchia un clima che non incoraggia lo spirito d'iniziativa. Si constata anche un tasso molto alto di mortalità tra le piccole imprese che non riescono a completare il passaggio alla maturità e allo sviluppo. I rimedi sono noti (eliminazione degli ostacoli amministrativi alla creazione di imprese, riforma del regime fiscale della successione delle imprese, lotta contro i monopoli e le distorsioni della concorrenza, ritardi e termini di pagamento troppo lunghi, assenza di strumenti europei per facilitare l'approccio al mercato unico…), ma sono applicati di rado. Il Comitato sottolinea l'importanza di questo tema e auspicherebbe che i programmi attuali della politica dell'impresa dell'UE fossero coerenti con gli orientamenti per la crescita e l'occupazione.

2.3   La valutazione dei risultati ottenuti

2.3.1

Il Comitato prende nota del fatto che i nuovi orientamenti sono basati su una valutazione quantitativa dei risultati fino ad oggi ottenuti nel quadro della strategia di Lisbona: risultati che fanno intravedere un leggero miglioramento (il tasso di occupazione è passato dal 61,9 % nel 1999 al 62,9 % nel 2003). Non ci si può però nascondere che il bilancio della politica dell'occupazione nell'UE è globalmente deludente e ben lontano dagli obiettivi che si era stabilito di raggiungere entro il 2010. Il Comitato avrebbe perciò auspicato una valutazione più fine dei risultati che tenesse conto sia di altri parametri (occupazione giovanile, tasso di occupazione delle donne, dei lavoratori anziani…), sia delle differenze nei risultati ottenuti tra gli Stati membri e, eventualmente, a livello delle regioni e dei settori nei casi più significativi. In futuro il Comitato, in collaborazione con i CES nazionali e le organizzazioni analoghe, potrebbe eseguire, spontaneamente o su richiesta, una valutazione comparativa dei risultati ottenuti appoggiandosi sulle osservazioni della società civile. Questo compito è del tutto in linea con le raccomandazioni del Consiglio europeo del marzo 2005, che ha invitato il CESE, assieme ai CES nazionali e ad altre organizzazioni analoghe, ad essere attori a pieno titolo nell'attuazione della strategia di Lisbona.

2.4   Metodi di attuazione

2.4.1

Il Comitato prende atto che, nel complesso, gli orientamenti integrati lasciano un sufficiente margine di flessibilità agli Stati membri per mettere a punto soluzioni locali che soddisfino al meglio le loro esigenze di riforma. Al di là delle politiche nazionali, tuttavia, è sempre più a livello regionale o locale che i responsabili politici, le parti sociali, le organizzazioni economiche e gli altri soggetti della società civile si trovano ad affrontare il problema dell'occupazione ed è a questo livello che essi prendono iniziative concrete. L'ultima relazione dell'Unione europea sulla coesione ha d'altronde messo in evidenza la diversità delle strategie locali e regionali per l'occupazione.

2.4.2

Il Comitato esprime il suo profondo rammarico per il fatto che i nuovi orientamenti non facciano più esplicito riferimento a obiettivi specifici in materia di occupazione e di mercati del lavoro: essi si allontanano dall'impostazione precedente che proponeva un quadro e degli impegni chiari per tutti gli Stati membri in una prospettiva di politiche dell'occupazione proattive. Ne deriva quindi che questi nuovi orientamenti non sono più un pilastro sul quale gli Stati membri possono appoggiarsi. D'altro canto i provvedimenti di politica dell'occupazione degli Stati membri non possono più essere valutati come avveniva prima rispetto a obiettivi europei concreti e, in molti settori, anche quantificati.

2.4.3

Il Comitato si complimenta, invece, con la Commissione per la sua proposta secondo cui ogni Stato membro si prefigge, previa consultazione dei parlamenti nazionali e delle parti sociali, propri obiettivi quantitativi specifici. È infatti proprio a livello nazionale che vanno attuati gli orientamenti. A tale proposito, sarebbe necessario che gli obiettivi nazionali tenessero conto delle prospettive realistiche di progresso in ciascun paese in modo da rafforzare la dinamica complessiva. È pertanto auspicabile che i paesi che hanno già raggiunto determinati obiettivi della strategia di Lisbona in materia di tasso d'occupazione continuino a fare progressi.

3.   Osservazioni specifiche

ATTRARRE IN MODO PERMANENTE UN MAGGIOR NUMERO DI PERSONE VERSO IL MONDO DEL LAVORO E MODERNIZZARE I SISTEMI PREVIDENZIALI

3.1

Orientamento. Attuare strategie di piena occupazione, migliorare la qualità e la produttività del lavoro e potenziare la coesione sociale e territoriale. Le politiche dovranno contribuire a raggiungere una media occupazionale generale nell'Unione europea (UE) pari al 70 %, ad almeno il 60 % per le donne e al 50 % per i lavoratori in età avanzata (55-64 anni) e a ridurre la disoccupazione e l'inattività. È opportuno che gli Stati membri definiscano il tasso di occupazione nazionale che intendono raggiungere per il 2008 e il 2010. (Orientamento integrato n. 16).

3.1.1

Nel suo parere sul tema «La politica occupazionale: il ruolo del CESE dopo l'allargamento e nella prospettiva del processo di Lisbona» (3), il Comitato ha ricordato che:

«In questa situazione è chiaro che gli obiettivi occupazionali potranno essere conseguiti solo se si riuscirà a innescare una ripresa economica durevole. Sarà necessario creare condizioni adeguate che favoriscano sia la domanda esterna che quella interna per aumentare il potenziale di crescita e raggiungere una piena occupazione. Di recente, in proposito il Comitato ha più volte ribadito che a tal fine è indispensabile un contesto macroeconomico sano a livello europeo. Questo comporta anzitutto una politica macroeconomica che, in un clima di ristagno dell'economia, lasci agli Stati membri un margine di manovra per interventi congiunturali sui fronti economico e finanziario e, nei periodi di crescita economica, garantisca loro un analogo spazio di manovra».

3.1.2

Attualmente la necessità di innalzare i livelli occupazionali è al centro del dibattito sull'occupazione a livello europeo. L'obiettivo strategico di Lisbona sta nel promuovere l'occupazione come migliore prevenzione della povertà e dell'emarginazione: questo tuttavia richiede una strategia diretta a «migliorare la qualità del lavoro» e non limitata unicamente al piano quantitativo. Ne consegue che la via europea alla piena occupazione deve contemplare retribuzioni adeguate, l'innalzamento delle qualificazioni (in particolare attraverso la formazione permanente), sicurezza sociale e elevati livelli di tutela dei diritti del lavoro. Il Comitato chiede che sia data maggiore importanza alla qualità dei posti di lavoro, in tutti i settori d'attività, nel quadro della realizzazione della società della conoscenza.

3.1.3

La capacità innovativa delle imprese di tutti i tipi è decisiva per il dinamismo dell'economia europea. Per evitare un deterioramento sotto il profilo economico ed occupazionale l'Europa dovrà assolutamente fornire prodotti e servizi nuovi e migliori e accrescere la sua competitività. Quest'ultima comporta anche cambiamenti nel mondo del lavoro che non producono sempre e subito risultati «netti» positivi. È proprio elevando la qualità di tutte le categorie di posti di lavoro che l'impresa potrà sviluppare la sua capacità di innovazione e di produttività.

3.1.4

Inoltre, occorre tener presente in maniera adeguata l'esigenza di lottare contro la discriminazione e promuovere le pari opportunità tra uomini e donne. In proposito gli Stati membri dovrebbero essere incoraggiati con forza a tradurre in pratica, nei rispettivi piani d'azione nazionali, le misure necessarie a combattere le discriminazioni, in particolare a livello salariale, e ad aumentare in misura significativa il tasso d'occupazione femminile.

3.2

Orientamento. Promuovere un approccio al lavoro basato sul ciclo di vita tramite: un rinnovato impegno a creare percorsi occupazionali rivolti ai giovani e a combattere la disoccupazione giovanile; interventi risoluti volti a sopprimere le differenze occupazionali e salariali tra uomini e donne; una migliore armonizzazione lavoro-vita privata, tramite la fornitura e la disponibilità di strutture abbordabili di assistenza all'infanzia e ad altre persone a carico; regimi pensionistici e sistemi sanitari moderni, che si rivelino adeguati, finanziariamente sostenibili e rispondenti alle mutevoli necessità, in modo tale da stimolare l'attività professionale e la prolungazione della vita lavorativa ricorrendo, tra le altre cose, ad appropriati incentivi al lavoro e disincentivi al prepensionamento; sostegno a condizioni di lavoro che favoriscano l'invecchiamento attivo. (Orientamento integrato n. 17). Si veda anche l'orientamento integrato«Assicurare la sostenibilità economica»(n. 2).

3.2.1

Il Comitato condivide le proposte avanzate.

3.2.2

Il Comitato esprime il proprio sostegno senza condizioni al «Patto europeo per la gioventù»che è stato adottato dal Consiglio europeo del 22 e 23 marzo 2005 con lo scopo di formulare, nel quadro degli obiettivi della strategia di Lisbona, un complesso di politiche e di misure specificatamente rivolte ai giovani. Nel suo parere d'iniziativa sul tema del Libro bianco sulla politica della gioventù (4), il Comitato aveva affermato che «… gli Stati membri, con il sostegno della Comunità, dovrebbero assumere un impegno quantitativo per quanto riguarda la riduzione della disoccupazione giovanile».

3.2.2.1

Il Comitato chiede pertanto l'aggiunta di un orientamento specifico per l'occupazione giovanile che potrebbe comprendere: meccanismi di sostegno alla ricerca della prima occupazione, impegni relativi al primo impiego con prospettive future, lo sviluppo dell'apprendistato, programmi europei più coerenti per favorire la mobilità dei giovani lavoratori, l'eliminazione degli ostacoli alla mobilità (soprattutto per gli apprendisti, i tirocinanti e coloro che sono in cerca di una prima occupazione) e l'incoraggiamento alla creazione di imprese e di nuove attività.

3.2.3

Il Comitato esorta gli Stati membri a continuare a promuovere la compatibilità fra vita familiare e lavorativa. È un compito che interessa l'intera società: in particolare, la creazione di strutture per la custodia dei bambini consente di conciliare impegni familiari e professionali e permette alle donne di restare nel mercato del lavoro, oppure di ritornarvi rapidamente dopo un'interruzione.

3.2.4

Il Comitato ritiene che per favorire realmente un «invecchiamento attivo»occorra creare delle condizioni economiche e politiche che rafforzino gli incentivi a prolungare la vita lavorativa e che bisognerebbe inoltre incoraggiare le attività sociali e d'impegno civico.

3.2.5

Oggigiorno occorre realizzare un equilibrio che contemperi la modernizzazione e il miglioramento dei sistemi di previdenza sociale, in modo da adeguarli alle condizioni attuali (ad esempio, all'evoluzione demografica) salvaguardando nel contempo la loro funzione di tutela sociale (5). In questa prospettiva, la garanzia della sostenibilità finanziaria a lungo termine deve prendere in considerazione anche criteri di rilevanza sociale, di accesso universale e di qualità elevata dei servizi.

3.2.6

Il Comitato reputa pericolosa la molteplicità delle sovvenzioni dirette ai posti di lavoro, perché fonte di distorsioni della concorrenza e di ineguaglianze e per il fatto che, nel caso delle sovvenzioni per i posti di lavoro non qualificati, abbassa il livello dei salari e quindi la qualità dell'occupazione. Raccomanda dunque di adottare misure attive d'inquadramento generale mediante la creazione di strutture che facilitino l'inclusione sociale, la conciliazione della vita lavorativa con quella familiare e la parità di opportunità. In proposito è necessario tener conto anche delle esigenze specifiche dei singoli Stati membri, specie per quanto riguarda i problemi connessi alla disoccupazione a livello regionale

3.3

Orientamento. Garantire sbocchi occupazionali per quanti sono alla ricerca di impiego e per le persone meno favorite tramite: provvedimenti attivi e preventivi riguardanti il mercato del lavoro, quali la tempestiva individuazione delle necessità, l'assistenza alla ricerca di un impiego, la guida e la formazione rientranti in piani d'azione personalizzati, la fornitura di servizi sociali di sostegno all'inserimento nel mercato del lavoro dei meno favoriti e che contribuiscano alla coesione sociale e territoriale e alla lotta alla povertà; il permanente adeguamento dei sistemi fiscali e previdenziali, compresa la gestione e la condizionalità dei contributi e la riduzione delle aliquote di imposta marginali effettive elevate, con l'intento di rendere il lavoro finanziariamente attraente e di garantire adeguati livelli di protezione sociale. (Orientamento integrato n. 18).

3.3.1

Come aveva già fatto nel suo parere in merito alla «Proposta di decisione del Consiglio relativa a orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione» (6), il Comitato sottolinea nondimeno che «… il termine categorie svantaggiate spesso comprende gruppi di persone che versano in situazioni differenti sul piano occupazionale. Per quanto riguarda in special modo gli individui con particolari esigenze è necessario un approccio più preciso dal punto di vista dei termini e dei concetti afferenti alla categoria e all'occupazione, in quanto molte di queste persone, e magari anche diverse altre fasce della popolazione, non possono neanche aspirare a un posto sul mercato del lavoro. Tale situazione ovviamente non deve precludere loro la possibilità di acquisire una formazione o un'esperienza professionale nel quadro dei piani d'azione per l'occupazione.»

3.3.2

Per quanto riguarda i disabili, il Comitato in vari suoi precedenti pareri ha evidenziato la necessità di incentivare i datori di lavoro che assumono persone con disabilità e di creare le condizioni necessarie a familiarizzare tali persone con le tecnologie moderne. Il Comitato sottolinea il ruolo essenziale dell'economia sociale e del settore terziario ai fini dell'innovazione e dell'occupazione soprattutto per l'inserimento sul mercato del lavoro delle persone sfavorite, come è stato ricordato dal Consiglio europeo del marzo 2005.

3.3.3

Sempre in linea con sue prese di posizione precedenti, il Comitato sottolinea l'importanza della proposta relativa all'orientamento e alla formazione nel quadro dei piani d'azione personalizzati.

3.3.4

Il Comitato ricorda inoltre che «L'accesso al mercato del lavoro a parità di condizioni è fondamentale per raggiungere l'integrazione sociale degli immigrati e dei rifugiati, non soltanto per ragioni di indipendenza economica, ma anche ai fini di una maggiore dignità delle persone e della partecipazione sociale. Bisogna eliminare gli ostacoli strutturali e istituzionali che impediscono il libero accesso al mercato del lavoro (7)

3.3.5

Il Comitato sottolinea anche la necessità di non collegare necessariamente l'assistenza sociale, che è un diritto in sé, all'accettazione di un posto di lavoro. In alcuni paesi infatti molte persone rinunciano alla possibilità di un'occupazione se ciò significa la perdita di sussidi sociali che costituiscono una quota essenziale del loro reddito. Le persone che accettano un impiego possono così assistere di fatto ad un peggioramento della loro situazione materiale (dato che i motivi alla base dell'erogazione del sussidio permangono: situazione familiare, handicap, ecc.) e andare ad ingrossare le file di quelli che vengono oggi chiamati «i lavoratori poveri». Nella stessa linea, il Comitato mette in evidenza che la questione della lotta contro la povertà deve essere separata dal problema dell'occupazione e essere oggetto di politiche coordinate più proattive da parte degli Stati membri dell'Unione europea, nel senso auspicato dalla strategia di Lisbona.

3.4

Orientamento. Migliorare l'incontro domanda-offerta nel mercato del lavoro tramite: la modernizzazione e il potenziamento delle autorità responsabili del mercato del lavoro, in particolar modo dei servizi di collocamento; una maggiore trasparenza delle possibilità di impiego e di formazione a livello nazionale e europeo per agevolare la mobilità in Europa; una maggiore capacità di anticipare le esigenze in termini di qualifiche, nonché le carenze e le strozzature del mercato del lavoro; una gestione adeguata della migrazione economica. (Orientamento integrato n. 19).

3.4.1

Il Comitato, come ha già fatto più volte, sottolinea l'importanza della mobilità per l'occupazione. Detta mobilità implica la necessità di prevedere infrastrutture sufficienti a garantire l'accessibilità sia nelle zone dei servizi che in quelle residenziali, avendo cura che tutti i servizi di interesse generale siano disponibili in misura sufficiente e a un livello di qualità adeguato. Oltre alla mobilità geografica, si dovrebbe promuovere anche la mobilità sociale verticale che garantisce il passaggio tra diversi tipi di lavoro del medesimo settore, anche nel caso delle attività non direttamente legate alla società della conoscenza.

3.4.2

Il Comitato ha evidenziato il ruolo che possono svolgere gli immigrati per soddisfare i bisogni del mercato del lavoro e favorire la crescita nell'Unione europea. Esso insiste sulla necessità di politiche non discriminatorie nei confronti dei lavoratori migranti e di misure d'accoglienza e d'integrazione per essi e le loro famiglie.

ACCRESCERE LA CAPACITÀ DI ADATTAMENTO DEI LAVORATORI E DELLE IMPRESE E LA FLESSIBILITÀ DEL MERCATO DEL LAVORO

3.5

Orientamento. Favorire al tempo stesso flessibilità e sicurezza occupazionale e ridurre la segmentazione del mercato del lavoro tramite: l'adeguamento della legislazione in materia di lavoro, tramite un eventuale riesame del livello di flessibilità offerto da contratti permanenti e non; una migliore capacità di anticipazione e di gestione positiva del cambiamento, compresa la ristrutturazione economica, in particolar modo quello legato all'apertura degli scambi, al fine di minimizzarne i costi sociali e agevolare il processo di adattamento; il sostegno alle trasformazioni dello status professionale, compresa la formazione, il lavoro autonomo, la creazione di imprese e la mobilità geografica; la promozione e la diffusione di forme di organizzazione del lavoro innovative e adattabili, comprese migliori condizioni di salute e di sicurezza, la diversificazione delle disposizioni contrattuali e la modulazione degli orari di lavoro, in vista di potenziare la qualità e la produttività; adattamento all'uso delle nuove tecnologie sul posto di lavoro; azioni decise volte a trasformare il lavoro non dichiarato in occupazione regolare. (Orientamento integrato n. 20). Si veda anche l'orientamento integrato«Favorire una maggiore coerenza tra politiche macroeconomiche e politiche strutturali»(n. 4).

3.5.1

A giudizio del Comitato «… è importante trovare il giusto equilibrio tra flessibilità e sicurezza sul mercato del lavoro, in modo che le imprese abbiano la possibilità di offrire nuovi posti di lavoro e che, allo stesso tempo, i lavoratori godano della sicurezza necessaria. Il Comitato apprezza l'equilibrio di cui dà prova la task force nel paragrafo della relazione riguardante la promozione della flessibilità e della sicurezza. Sebbene gli Stati membri siano configurati diversamente sul piano dei presupposti sociali e strutturali, in questo ambito è possibile individuare una serie di esigenze comuni che, secondo il Comitato, meriterebbero un'attenzione particolare.»  (8)

3.5.1.1

Il Comitato richiama tuttavia l'attenzione della Commissione e del Consiglio sul pericolo di accrescere la precarietà dei giovani e dei meno giovani: la situazione di precarietà potrebbe indebolire la loro posizione nelle contrattazioni collettive riguardanti i salari, le loro condizioni di lavoro, la loro protezione sociale, e in particolare i loro diritti pensionistici, abbassando quindi il livello degli standard sociali e indebolendo il modello sociale europeo promosso dalle istituzioni europee anche negli organi internazionali di concertazione e di negoziazione.

3.5.1.2

Esistono motivi per cercare di separare la gestione dei cambiamenti legati all'apertura dei mercati da un deterioramento continuo dell'occupazione, dei salari e delle condizioni di vita di centinaia di migliaia di lavoratori e di cittadini europei. Il Comitato sottolinea inoltre che i provvedimenti macroeconomici richiesti dal quarto orientamento integrato ed esplicitati nel ventesimo hanno sul piano umano ed economico un costo elevato, che la Commissione dovrebbe studiare meglio procedendo a una valutazione d'impatto prima dell'entrata in vigore degli orientamenti stessi. Come il Comitato ha segnalato più sopra, esso stesso procederà ad una valutazione incrociata delle esperienze di ciascuno Stato membro nell'attuazione degli orientamenti.

3.5.2

Il Comitato sottolinea che non si devono confondere la flessibilità e il lavoro non dichiarato, anche se figurano nel medesimo orientamento. Non è favorendo la flessibilità dei contratti o dei salari che si affronterà seriamente il problema del lavoro non dichiarato; quest'ultimo è infatti una questione da trattare separatamente.

3.5.2.1

Il Comitato insiste sull'obiettivo specifico della lotta contro il lavoro sommerso. In un parere d'iniziativa il Comitato ha sottolineato una serie di considerazioni che permetterebbero di impostare in modo corretto il problema:

3.5.2.2

si deve fare in modo che vi siano più incentivi a dichiarare il lavoro.

3.5.2.3

dato che le donne e altre categorie sfavorite sono molto spesso le principali interessate quando si tratta di lavoro non dichiarato e scarsamente retribuito, è importante definire meglio la loro situazione per poter adottare misure adeguate.

3.5.2.4

La legislazione relativa alle imprese deve essere esaminata allo scopo di ridurre l'eccesso di burocrazia, soprattutto nel caso dell'avvio di nuove imprese.

3.5.2.5

Il lavoro non dichiarato non deve essere considerato un'infrazione di poco conto. Va quindi potenziata l'efficacia delle sanzioni adottate affinché il ricorso al lavoro nero cessi di essere redditizio.

3.5.2.6

Nella valutazione delle misure transitorie concernenti la libera circolazione dei lavoratori o piuttosto, per i cittadini dei nuovi Stati membri, l'assenza di tale libertà, converrà dar conto delle difficoltà che hanno dovuto affrontare datori di lavoro e lavoratori, tenendo conto delle evoluzioni delle qualificazioni, degli sviluppi demografici, delle trasformazioni culturali e dell'evoluzione dei bisogni di mobilità. Bisognerà infatti verificare se queste misure non abbiano frenato la mobilità in seno all'Unione europea nonché incoraggiato il lavoro sommerso con l'impiego di lavoratori provenienti da questi paesi.

3.5.3

Il Comitato si meraviglia del fatto che la Commissione, nel quadro dell'introduzione a questi orientamenti, affronti il tema della ristrutturazione economica senza menzionare in alcun modo l'importanza della partecipazione degli interessati, vale a dire i lavoratori e i loro rappresentanti. Ciò è tanto più stupefacente per il fatto che la Commissione tratta invece approfonditamente e sottolinea tale partecipazione nella comunicazione Ristrutturazioni e occupazione — Anticipare e accompagnare le ristrutturazioni per ampliare l'occupazione: il ruolo dell'Unione europea di recente pubblicazione, che il Comitato saluta con favore e sulla quale intende esprimersi fra breve in un parere separato.

3.6

Orientamento. Garantire andamenti salariali e altri costi del lavoro favorevoli all'occupazione promuovendo un quadro tale che i negoziati salariali, nel pieno rispetto del ruolo delle parti sociali, riflettano le differenze in termini di produttività e di mercato del lavoro a livello settoriale e regionale; controllando e eventualmente modificando la struttura e il livello dei costi indiretti del lavoro, e verificandone l'impatto sull'occupazione, specie su quella a basso salario o sul primo impiego. (Orientamento integrato n. 21). Si veda anche l'orientamento integrato«Far sì che l'evoluzione salariale contribuisca alla stabilità macroeconomica e alla crescita»(n. 5).

3.6.1

Nel suo parere del 2003 sul tema «Indirizzi di massima per le politiche economiche 2003-2005» (9) il Comitato spiegava che:

«Il Comitato si compiace in linea di principio della richiesta, formulata negli indirizzi di massima, di assicurare la coerenza della dinamica salariale nominale con gli incrementi di produttività e l'inflazione a medio termine. Il Comitato non potrebbe però accettare che la richiesta ripetuta di contratti collettivi moderati, contenuti, equilibrati o cauti venga interpretata nel senso di aumenti salariali proporzionalmente inferiori agli aumenti di produttività, in quanto si vanificherebbe così l'equilibrio tra domanda e offerta.

Se si considera esclusivamente la prospettiva dell'offerta, incrementi salariali più contenuti comprimono i costi relativi del fattore lavoro, e possono quindi favorire l'occupazione. Così facendo si trascura però che i salari non solo costituiscono un fattore di costi sul fronte dell'offerta, bensì influiscono in maniera determinante sulla domanda interna. Una decisa moderazione salariale indebolisce quindi la domanda complessiva, e di conseguenza anche la crescita e l'occupazione.»

3.6.2

Il Comitato riafferma il suo sostegno al principio della libertà contrattuale tra le parti.

3.6.3

Il Comitato ritiene anche che, oltre alla semplice questione salariale, ci si debba preoccupare dell'evoluzione del potere d'acquisto delle famiglie, che in determinati Stati membri ha registrato negli ultimi venti anni una tendenza alla stagnazione, se non al declino. Una maggiore pressione fiscale (spesso a livello locale), l'impennata dei prezzi degli immobili, gli aumenti dei prezzi dell'energia, hanno infatti controbilanciato gli incrementi salariali, riducendone l'effetto. Il risultato si è fatto sentire sui consumi, e quindi sulla crescita. Il comitato chiede che si avvii una riflessione sulle manifestazioni di questo fenomeno nell'Unione europea e dichiara la propria disponibilità a prendervi parte.

MAGGIORI INVESTIMENTI NEL CAPITALE UMANO MIGLIORANDO L'ISTRUZIONE E LE QUALIFICHE

3.7

Orientamento. Potenziare e migliorare gli investimenti in capitale umano tramite: lo sviluppo di strategie efficienti di apprendimento permanente, conformemente agli impegni europei, che prevedano incentivi e meccanismi di condivisione dei costi per le imprese, gli enti pubblici e i privati, e che mirino in particolare a ridurre sostanzialmente il numero di studenti che abbandonano la scuola in anticipo; un più vasto accesso a corsi professionali primari, secondari e superiori, con possibilità di apprendistato e formazione per imprenditori; maggiore partecipazione a corsi di formazione continua e sul lavoro durante tutto il ciclo lavorativo, in particolare a beneficio di lavoratori poco qualificati o in età più avanzata. (Orientamento integrato n. 22). Si veda anche l'orientamento integrato«Aumentare e migliorare gli investimenti nel campo della R&D»(n. 12).

3.7.1

Il Comitato approva e sostiene le proposte della Commissione, che corrispondono alle raccomandazioni che ha espresso in molti dei propri pareri. Vorrebbe tuttavia che tali raccomandazioni fossero accompagnate da obiettivi quantitativi espliciti. A tale proposito, il Comitato sottolinea la responsabilità che tutti gli attori (soggetti individuali, pubblici e imprese di tutti i tipi) condividono nell'assicurare la sostenibilità e il finanziamento necessari a questi investimenti in materia di formazione.

3.8

Orientamento. Adattare i sistemi di istruzione e formazione ai nuovi requisiti in termini di competenze tramite: una migliore individuazione delle necessità e delle principali competenze occupazionali e la capacità di anticipare le esigenze future; la fornitura di strumenti educativi e di formazione su più vasta scala; la definizione di un quadro che garantisca la trasparenza delle qualifiche, il loro reale riconoscimento e la convalida della formazione informale o al di fuori dagli schemi formali; garantire l'attrattività, l'apertura e l'elevata qualità dei sistemi di istruzione e di formazione. (Orientamento integrato n. 23).

3.8.1

Il Comitato condivide anche tali proposte e ricorda che da tempo chiede che si intensifichino gli sforzi volti a creare «uno spazio europeo dell'istruzione» (10). Ribadisce nuovamente la necessità di sviluppare l'apprendimento permanente e rafforzare il ruolo delle parti sociali e delle altre organizzazioni della società civile in quest'ambito. Il Comitato sottolinea inoltre l'importanza della trasparenza e dell'armonizzazione delle qualificazioni in tutta l'Europa e a livello internazionale.

Bruxelles, 31 maggio 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  COM(2005) 123 def. (N.d.T: documento non disponibile in italiano).

(2)  Citazione del progetto di parere, che è stato esaminato in sezione il 24 maggio, in merito al Libro verde sull'approccio dell'Unione europea alla gestione della migrazione economica (SOC/199).

(3)  Parere CESE 135/2005 sul tema La politica occupazionale: il ruolo del CESE dopo l'allargamento e nella prospettiva del processo di Lisbona – Relatore: GREIF

(4)  Parere CESE 1418/2000 in merito al Libro bianco sulla politica della gioventù – Relatrice: HASSETT VAN TURNHOUT

(5)  Parere CESE 325/2004 sul tema «Misure di sostegno all'occupazione» – Relatrice: HORNUNG- DRAUS, Correlatore GREIF.

(6)  GU C 208 del 3.9.2003 in merito alla Proposta di decisione del Consiglio relativa a orientamenti per le politiche degli Stati membri a favore dell'occupazione – Relatore: KORYFIDIS.

(7)  GU C 80 del 30.3.2004 in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni su immigrazione, integrazione e occupazione – Relatore: PARIZA CASTANO.

(8)  N.d.T.: parere CESE 325/2004.

(9)  Parere CESE 1618/2003 – Relatore: DELAPINA.

(10)  Cfr. tra l'altro il parere CESE in merito a «La dimensione europea dell'istruzione: natura, contenuto e prospettive»- Relatore: KORYFIDIS – GU C 139 dell'11.5.2001.