ISSN 1725-2466

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 267

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

48o anno
27 ottobre 2005


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

II   Atti preparatori

 

Comitato economico e sociale europeo

 

417a sessione plenaria dell'11 e 12 maggio 2005

2005/C 267/1

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai medicinali per uso pediatrico e che modifica il regolamento (CEE) n. 1768/92, la direttiva 2001/83/CE e il regolamento (CE) n. 726/2004 COM(2004) 599 def. — 2004/0217 (COD)

1

2005/C 267/2

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le trasformazioni industriali nel settore dell'ingegneria meccanica

9

2005/C 267/3

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2003/88/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro COM(2004) 607 def. — 2004/0209 (COD)

16

2005/C 267/4

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il ruolo dello sviluppo sostenibile nelle prossime prospettive finanziarie

22

2005/C 267/5

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose compreso il finanziamento del terrorismo COM(2004) 448 def.

30

2005/C 267/6

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le relazioni UE-India

36

2005/C 267/7

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 77/388/CEE al fine di semplificare gli obblighi in materia di imposta sul valore aggiunto e alla Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1798/2003 per quanto concerne l'introduzione di modalità di cooperazione amministrativa nel contesto del regime dello sportello unico e della procedura di rimborso dell'imposta sul valore aggiunto COM(2004) 728 def. — 2004/0261 (CNS) — 2004/0262 (CNS)

45

2005/C 267/8

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio — Fondo europeo per la pesca COM(2004) 497 def. — 2004/0169 CNS

50

2005/C 267/9

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Consiglio relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee COM(2004) 501 def. — 2004/0170 (CNS)

57

IT

 


II Atti preparatori

Comitato economico e sociale europeo

417a sessione plenaria dell'11 e 12 maggio 2005

27.10.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 267/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo ai medicinali per uso pediatrico e che modifica il regolamento (CEE) n. 1768/92, la direttiva 2001/83/CE e il regolamento (CE) n. 726/2004

COM(2004) 599 def. — 2004/0217 (COD)

(2005/C 267/01)

Il Consiglio, in data 12 novembre 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 251 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 20 aprile 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore BRAGHIN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 11 maggio 2005, nel corso della 417a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere all'unanimità.

1.   Sintesi delle indicazioni del Comitato

1.1

Il CESE considera prioritaria la tutela della popolazione pediatrica in quanto gruppo vulnerabile per le sue specifiche caratteristiche fisiologiche, psicologiche e di sviluppo. Ritiene di conseguenza che la decisione di richiedere o procedere con studi pediatrici debba essere basata su bisogni chiaramente identificati e motivati di ricerca, e che si debba garantire il rispetto delle condizioni etiche della sperimentazione stessa.

1.2

Il CESE concorda sull'opportunità di istituire nell'ambito dell'EMEA un comitato pediatrico, che considera uno strumento idoneo a garantire una ricerca di qualità basata su principi scientifici ed etici. Suggerisce che al suo interno siano più ampiamente presenti competenze specifiche in campo pediatrico, sia di sviluppo che di utilizzo di farmaci pediatrici, e che sia aumentato il numero di esperti designati dalla Commissione.

1.3

Il CESE ritiene opportuno che di tale comitato pediatrico siano ampliate sin d'ora le responsabilità. Suggerisce in particolare che esso abbia un ruolo rafforzato nell'ambito della rete europea dei ricercatori e dei centri per gli studi nella popolazione pediatrica e che gli venga affidata la direzione scientifica del programma di studi pediatrici denominato MICE (Medicines Investigation for the Children in Europe) che la Commissione si è impegnata a proporre con apposita iniziativa.

1.4

Il CESE condivide le procedure di autorizzazione proposte, e in particolare sostiene la nuova procedura AICUP (vale a dire l'autorizzazione all'immissione in commercio per uso pediatrico) prevista per i farmaci già in commercio. Propone inoltre di ricorrere ad una procedura centralizzata abbreviata, qualora i dati di sicurezza raccolti — in particolare attraverso il rapporto periodico di sicurezza — lo giustifichino. Propone inoltre di specificare che, ove in una sottopopolazione pediatrica specifica si verifichino le condizioni per ricorrere alla procedura prevista per i medicinali orfani, il titolare di un'autorizzazione possa fare ricorso all'una o all'altra delle due procedure a sua scelta.

1.5

In considerazione dell'impegno di tempo e di risorse richiesti per gli studi pediatrici, nonché delle delicate questioni di etica e di compliance dei pazienti in età pediatrica che essi comportano, il CESE condivide l'opportunità di un sistema di premi e incentivi come articolato nella proposta, ma suggerisce di rafforzarli in taluni casi specifici.

1.6

Il CESE condivide l'obiettivo di fornire più ampie e diffuse informazioni a medici e operatori sanitari sui farmaci e sulla sperimentazione pediatrica, anche con l'utilizzo allargato della banca dati comunitaria EudraCT (1). Suggerisce inoltre una più ampia strategia di comunicazione, atta a favorire un uso sicuro ed efficace di medicinali nei bambini.

1.7

Il CESE ritiene necessaria un'analisi articolata della situazione epidemiologica infantile, degli approcci terapeutici e delle carenze attuali nella disponibilità di farmaci pediatrici, nonché del fenomeno delle prescrizioni di farmaci per uso pediatrico al di fuori delle indicazioni autorizzate.

1.8

Il CESE raccomanda di conseguenza che la Commissione si faccia parte attiva nel costituire una rete tra autorità responsabili e centri specializzati di indagine, per approfondire le conoscenze sui meccanismi della domanda di farmaci e sulle migliori prassi terapeutiche.

1.9

Il CESE auspica infine che siano ulteriormente rafforzati la collaborazione con l'OMS e il dialogo con le autorità internazionali competenti per accelerare l'approvazione di farmaci pediatrici evitando duplicazioni e inutili ripetizioni di studi clinici.

2.   Introduzione

2.1

La popolazione pediatrica è un gruppo vulnerabile che si differenzia dagli adulti per le sue peculiari caratteristiche fisiologiche, psicologiche e di sviluppo, il che rende particolarmente importante la ricerca di medicinali orientata in funzione dell'età e dello sviluppo. Poiché si stima che oltre il 50 % dei medicinali impiegati per il trattamento di bambini in Europa non è stato sottoposto a prove né autorizzato per uso pediatrico, vi sono rischi per la salute e per la qualità di vita dei bambini europei in conseguenza della mancata sperimentazione e autorizzazione dei medicinali per tale uso.

2.2

L'eventuale preoccupazione circa la realizzazione di prove presso la popolazione pediatrica viene controbilanciata dalle considerazioni etiche riguardanti la somministrazione di medicinali ad una popolazione su cui non sono stati sperimentati e i cui effetti, positivi o negativi, sono quindi sconosciuti. Peraltro la direttiva comunitaria relativa alla sperimentazione clinica (2) fissa criteri specifici per tutelare i bambini che partecipano a sperimentazioni cliniche nell'UE.

2.3

Gli obiettivi della proposta di regolamento sono:

aumentare lo sviluppo dei medicinali per uso pediatrico,

garantire che i medicinali utilizzati nella popolazione pediatrica formino oggetto di una ricerca di alta qualità,

garantire che i medicinali impiegati per la popolazione pediatrica siano autorizzati specificamente per l'uso pediatrico,

migliorare la disponibilità di informazioni sull'uso dei medicinali tra i bambini,

raggiungere tali obiettivi senza sottoporre i bambini a sperimentazioni cliniche non necessarie e rispettando appieno le disposizioni della direttiva UE sulla sperimentazione clinica.

2.4

Per conseguire tali obiettivi la proposta contiene una serie di misure, le più rilevanti delle quali sono:

2.4.1

La costituzione in seno all'Agenzia europea per i medicinali (EMEA) di un comitato pediatrico. Tale comitato dovrebbe essere responsabile della valutazione e dell'approvazione dei piani di indagine pediatrica e delle relative richieste di deroghe e differimenti; esso dovrebbe altresì avere la responsabilità della valutazione di conformità dei dossier ai piani di indagine pediatrica approvati e alle prescrizioni comunitarie esistenti, dell'adozione di un inventario delle esigenze terapeutiche della popolazione pediatrica e di una più ampia informazione circa l'uso sicuro ed efficace dei medicinali nelle varie fasce pediatriche, anche al fine di evitare la duplicazione e la realizzazione di studi non necessari.

2.4.2

Gli studi sulla popolazione pediatrica si fonderanno su un piano di indagine pediatrica, approvato dal comitato pediatrico, prendendo in considerazione due principi fondamentali: gli studi saranno realizzati solo qualora presentino potenziali benefici terapeutici evitando ogni duplicazione; essi non dovranno causare ritardi nell'autorizzazione dei medicinali per altre popolazioni.

2.4.3

Tutti gli studi realizzati conformemente al piano di indagine pediatrica completato ed approvato dovranno essere allegati al momento della presentazione delle domande di autorizzazione per nuove sostanze attive, nonché per nuove indicazioni, forme farmaceutiche o vie di somministrazione di un farmaco autorizzato, a meno che il comitato pediatrico non abbia concesso una deroga o un differimento.

2.4.4

Al fine di creare uno strumento per fornire incentivi ai medicinali non protetti da brevetto viene proposto un nuovo tipo di autorizzazione all'immissione in commercio: l'AICUP. Essa si avvarrà delle attuali procedure di autorizzazione all'immissione in commercio, ma è destinata in maniera specifica ai medicinali sviluppati esclusivamente per uso pediatrico.

2.4.5

Per accrescere la disponibilità di medicinali pediatrici nella Comunità, poiché le prescrizioni contenute nella proposta sono legate a premi su scala comunitaria, e per evitare distorsioni della libertà di scambio all'interno della Comunità, si propone che vengano ammesse alla procedura comunitaria centralizzata le domande di autorizzazione all'immissione in commercio comprendenti almeno un'indicazione pediatrica basata sui risultati di un piano di indagine pediatrica approvato.

2.4.6

In caso di nuovi medicinali o di medicinali coperti da un brevetto o da un certificato protettivo complementare, se tutte le misure previste nel piano di indagine pediatrica approvato sono state rispettate, se il medicinale è autorizzato in tutti gli Stati membri e se le pertinenti informazioni relative ai risultati degli studi sono state inserite nelle informazioni relative al prodotto, si concederà una proroga di sei mesi del certificato protettivo complementare.

2.4.7

Incentivi similari sono proposti per i medicinali orfani, i quali, se ottemperano alle prescrizioni riguardanti l'uso pediatrico, beneficeranno di due anni supplementari di esclusiva di mercato oltre ai dieci normalmente previsti.

2.4.8

I farmaci già in commercio beneficeranno della tutela dei dati associata ad una nuova autorizzazione all'immissione in commercio, la AICUP.

2.5

La direttiva sulla sperimentazione clinica istituisce una banca dati comunitaria sulla sperimentazione clinica (EudraCT). Si propone di utilizzare questa banca dati come punto di partenza per le fonti informative su tutti gli studi pediatrici in corso o conclusi all'interno della Comunità e nei paesi terzi.

2.6

La Commissione intende esaminare la possibilità di istituire, tenendo in considerazione i programmi comunitari esistenti, un programma di studi pediatrici denominato «Indagini sui medicinali per i bambini d'Europa» (Medicines Investigation for the Children of Europe, MICE).

2.7

Si propone altresì di istituire una rete comunitaria che colleghi reti nazionali e centri di sperimentazione clinica allo scopo di formare le competenze necessarie a livello europeo, di agevolare la realizzazione degli studi, di accrescere la cooperazione e di evitare la duplicazione degli studi.

2.8

La proposta si basa sull'articolo 95 del Trattato CE. L'articolo 95, che prescrive la procedura di codecisione di cui all'articolo 251, costituisce la base giuridica per la realizzazione degli obiettivi stabiliti dall'articolo 14 del Trattato, fra cui la libera circolazione delle merci (articolo 14, paragrafo 2), in questo caso i medicinali per uso umano.

3.   Osservazioni generali

3.1   Tutela della salute e sperimentazione clinica in età pediatrica

3.1.1

Il CESE considera prioritaria la tutela della popolazione pediatrica, in quanto gruppo vulnerabile per le sue specifiche caratteristiche fisiologiche, psicologiche e di sviluppo. Per conseguire tale obiettivo di fondo nel contesto dei farmaci pediatrici vi sono alcune condizioni da rispettare:

gli studi clinici pediatrici devono essere effettuati solamente se necessari, evitando inutili duplicazioni,

la sperimentazione clinica deve essere adeguatamente controllata e monitorata, e condotta secondo l'imperativo etico di proteggere al massimo il paziente pediatrico,

adeguati processi di informazione e di comunicazione devono garantire una più approfondita conoscenza degli approcci terapeutici auspicabili in questo gruppo di popolazione,

meccanismi di farmacovigilanza attiva devono permettere un aggiornamento costante e scientificamente fondato delle prassi terapeutiche in pediatria.

3.1.2

Il CESE ritiene di conseguenza che la decisione di richiedere o procedere con studi pediatrici debba essere basata su bisogni chiaramente identificati e motivati di ricerca, per cui andrebbe verificato se:

le informazioni attualmente disponibili sul prodotto farmaceutico sono effettivamente adeguate per assicurare un uso sicuro ed efficace nei bambini, (3)

la dimensione potenziale di utilizzo nella popolazione pediatrica (attuale o prevedibile) è significativa, (4)

il farmaco plausibilmente apporterà un beneficio,

le conoscenze scientifiche e mediche aggiuntive acquisite nell'uso di un farmaco già in commercio suggeriscono un significativo beneficio nell'uso in pediatria.

3.1.3

In base a tali considerazioni, il CESE ritiene opportuno che anche nel testo dell'articolato (e non solo in quello dei considerandi) si faccia riferimento alle norme etiche e alle prescrizioni specifiche di tutela dei minori contenute nella direttiva concernente la sperimentazione clinica e l'applicazione della buona pratica clinica (5). È inoltre opportuno che i criteri generali cui il comitato pediatrico dovrà attenersi nella approvazione del Piano di indagine pediatrica (PIP) tengano conto delle raccomandazioni dell'International Conference on Harmonisation in materia (6) e che essi siano conformi alla direttiva 2001/20/CE sulla sperimentazione clinica, per assicurare il rispetto delle condizioni etiche della sperimentazione stessa.

3.1.4

Il CESE chiede pertanto che il focus della proposta sia veramente il paziente pediatrico con le sue esigenze di salute, e che si affronti in tale ottica la problematica dell'approccio medico e quindi delle informazioni di pratica clinica e terapeutica di cui devono disporre il personale medico e, per le attività di loro competenza, gli operatori sanitari per gestire quel particolare paziente che necessita delle loro cure.

3.2   Carenza di informazioni propedeutiche nell'utilizzo dei farmaci

3.2.1

Il CESE ritiene insufficiente l'analisi della situazione corrente, delle cause e dei rischi, trattata nelle poche pagine dell'EIA (Extended Impact Assessment — Valutazione d'impatto approfondita) e neppure menzionata nella relazione della proposta di regolamento.

3.2.1.1

Sarebbe stato opportuno premettere un'analisi della situazione epidemiologica infantile e delle carenze nell'armamentario terapeutico attuale, e di conseguenza indicare gli indirizzi di ricerca auspicabili, identificando le priorità di ricerca da sostenere attraverso il finanziamento comunitario (nell'ambito della discussione in corso sul 7o programma quadro di ricerca). Tale analisi avrebbe permesso inoltre di valorizzare il lavoro già svolto dal CHMP Paediatric Expert Group, che ha predisposto una lista di 65 sostanze attive fuori brevetto da considerare prioritarie per la R&S in campo pediatrico, e di favorire ed accelerare i lavori in corso per la messa in opera del citato programma di studi pediatrici MICE.

3.2.1.2

Mentre per le patologie con maggior prevalenza in età pediatrica c'è un mercato di dimensioni sufficienti, per cui l'industria farmaceutica è interessata allo sviluppo di nuove indicazioni pediatriche o di nuove formulazioni più adatte alla popolazione pediatrica grazie al probabile ritorno sull'investimento, per le patologie più rare o per specifici sottogruppi di età il costo dello sviluppo rispetto al ritorno sull'investimento è eccessivo, e l'industria (specialmente la piccola/media industria farmaceutica europea) non può affrontarlo senza validi incentivi o finanziamenti alla ricerca. Specialmente per le patologie più rare in specifici sottogruppi di età è necessario individuare ulteriori strumenti idonei a compensare gli elevati investimenti in risorse umane, tempo e denaro richiesti dallo sviluppo pediatrico.

3.2.2

Sarebbe stato parimenti opportuno procedere a un'analisi più approfondita del fenomeno delle prescrizioni di farmaci per uso pediatrico al di fuori delle indicazioni autorizzate (le cosiddette prescrizioni off-label), cercando di individuare da un lato le dimensioni reali del fenomeno e dall'altro le conseguenze in termini di danni concreti legati ad un uso improprio dei farmaci. Conoscere più a fondo tale realtà avrebbe potuto consentire un'analisi più solida dei mezzi per porvi rimedio e dei meccanismi incentivanti da utilizzare.

3.2.2.1

Il CESE è consapevole del fatto che le informazioni al riguardo sono eterogenee, che esse sono raccolte negli Stati membri da enti diversi, con modalità molto varie e in modo incompleto e difforme, e che quindi la loro comparabilità e la possibilità di estrapolare considerazioni generali scientificamente fondate sono dubbie. Uno studio sulle prescrizioni e l'utilizzazione dei farmaci, malgrado i limiti citati, permetterebbe di avere una prima sia pur grossolana panoramica delle discrepanze rilevabili nelle dimensioni e nelle dinamiche delle classi terapeutiche e delle sostanze attive utilizzate, talvolta senza una giustificazione terapeutica scientificamente fondata.

3.2.2.2

Una ulteriore lacuna è rappresentata dall'assenza di un'analisi delle differenze nella pratica medica dei vari Stati membri, sicuramente rilevante in base ai dati aggregati sulle classi di farmaci prescritti nelle varie patologie. Il CESE ritiene tale analisi non solo ormai indilazionabile, ma anche particolarmente utile per garantire quel bene primario che è la salute del cittadino. Tenendo conto che i processi formativi dei professionisti, le modalità di assistenza sanitaria e la fornitura di cure e di farmaci sono di competenza degli Stati membri, il CESE auspica che quanto prima si applichi anche per l'uso del farmaco il «metodo aperto di coordinamento». Auspica altresì che, per il bene della salute del cittadino, si possa pervenire in tempi ragionevoli, con il contributo attivo delle associazioni mediche e delle associazioni dei pazienti, ad una serie articolata e concordata di linee guida sulle migliori prassi mediche nelle diverse aree terapeutiche e nelle varie fasce della popolazione dei pazienti, compresa la popolazione pediatrica.

3.2.3

In parallelo avrebbe dovuto essere effettuata un'analisi delle risultanze del monitoraggio e della farmacovigilanza, in cui la normativa europea si pone certamente all'avanguardia: la rete di farmacovigilanza dovrebbe avere già evidenziato l'esistenza o meno di usi impropri e, indirettamente, di lacune terapeutiche, per cui una politica di informazione appropriata avrebbe già potuto essere impostata dalle autorità comunitarie in collaborazione con le autorità nazionali responsabili.

3.2.4

Di fronte ad un fenomeno diffuso di prescrizione off-label, ci si deve porre il quesito della sufficienza o meno di un approccio mirato alla procedura di autorizzazione (come è il caso della proposta in oggetto). A parere del Comitato sarebbe stato auspicabile proporre in parallelo delle azioni volte a creare una cultura corretta del farmaco pediatrico, sia per il medico, sia per gli operatori sanitari in genere, sia anche per i genitori. Per quanto riguarda questi ultimi, infatti, la loro comprensibile ansia di eliminare i sintomi e la sofferenza dei figli legata alla malattia spesso li induce ad una pressione sul medico per ottenere una prescrizione precoce, non sempre calibrata alle reali necessità del piccolo paziente.

3.2.5

Un ulteriore aspetto non preso in considerazione è l'importanza del farmacista nell'orientare le decisioni di acquisto e nel consigliare un uso appropriato del farmaco: una politica attiva di educazione da un lato e una rigorosa farmacovigilanza dall'altro dovrebbero trovare un valido supporto in questa categoria di operatori sanitari.

3.2.6

Sarebbe opportuno un approfondimento di analisi dei dati di sicurezza d'uso disponibili, in particolare della farmacovigilanza, per valutare se i diversi approcci prescrittivi nei vari Stati membri dell'UE e le diversità di classificazione dei farmaci comportino conseguenze differenziate in termini di uso improprio e di reazioni avverse.

3.2.7

Il CESE è consapevole che tali aspetti esulano dall'obbiettivo primario della proposta in oggetto, ma raccomanda che la Commissione si faccia parte attiva nel costituire una rete tra autorità e centri specializzati di indagine al fine di meglio conoscere i meccanismi che indirizzano la domanda di farmaci, il loro uso razionale, le migliori prassi terapeutiche e altri aspetti similari, favorendo in tal modo l'armonizzazione del mercato interno anche in campo farmaceutico.

3.3   Il comitato pediatrico e la sperimentazione clinica

3.3.1

Il CESE concorda sull'opportunità di istituire nell'ambito dell'EMEA un comitato pediatrico. I compiti previsti per tale comitato sono estremamente vari e vanno dalla valutazione dei contenuti e delle modalità di qualsiasi piano di indagine pediatrica alla valutazione preventiva dei potenziali benefici terapeutici per la popolazione pediatrica, dall'assistenza scientifica per l'elaborazione di tali piani all'esame della rispondenza alle buone pratiche cliniche degli studi condotti, dall'inventario terapeutico al sostegno e consulenza da fornire per l'istituzione di una rete europea dei ricercatori e dei centri dotati di competenze specifiche nell'esecuzione degli studi nella popolazione pediatrica. A tutti questi compiti va infine aggiunta la responsabilità di evitare la duplicazione degli studi.

3.3.2

In conseguenza di tale ampio spettro di responsabilità, il CESE ritiene non siano del tutto adeguate le competenze indicate all'articolo 4, paragrafo 1, in particolare per quanto riguarda la metodologia di sviluppo preclinico e clinico (in particolare esperti in farmacologia e tossicologia, farmacocinetica, biometria e biostatistica), gli specialisti (inclusi i neonatologi) delle aree pediatriche relative ai più rilevanti gruppi terapeutici, gli esperti di farmacoepidemiologia. Suggerisce altresì che sia ampliato il numero di esperti designati dalla Commissione, e che tra essi siano compresi rappresentanti di strutture di cura per l'infanzia.

3.3.3

Il CESE prende atto della definizione di popolazione pediatrica come «la parte della popolazione con età da zero a 18 anni» (art. 2), consapevole che al riguardo non si è pervenuti ad una definizione univoca neppure nell'ambito della ICH. Auspica peraltro che il comitato pediatrico nel fissare gli studi specifici per ogni sottopopolazione, eviti di sottoporre a prove non necessarie la popolazione non a rischio per costituzione ed età.

3.3.4

Il CESE considera corretto il principio che i piani di indagine pediatrica siano presentati nel corso dello sviluppo di un nuovo farmaco, e ritiene molto positiva la possibilità di un continuo dialogo tra proponente e comitato pediatrico. Esprime però perplessità sulla richiesta di presentarli «al più tardi, salvo eccezioni, alla conclusione degli studi farmacocinetici» (art. 17, par. 1). Infatti in tale fase non si sono ancora completati gli studi sulla sicurezza della molecola nella popolazione dei pazienti adulti, e quindi il profilo di sicurezza non è ancora ben delineato. Di conseguenza non si è ancora in grado di formulare un piano di indagine pediatrica completo e ben articolato (specialmente per i vari sottogruppi della popolazione pediatrica), col rischio di iniziare studi non necessari oppure da ripetere per dosaggi diversi da quelli inizialmente previsti.

3.3.5

Il CESE teme inoltre che tale richiesta possa tradursi in un ritardo nello sviluppo di nuovi farmaci per la popolazione adulta, mentre in una fase più avanzata dello sviluppo si potrebbero meglio identificare le popolazioni a rischio, incluse quelle pediatriche, concentrare gli sforzi di ricerca sulle informazioni importanti mancanti, e proporre piani di farmacovigilanza attiva più mirati.

3.3.6

Il CESE manifesta la sua perplessità sulla proposta che «qualsiasi studio concluso prima dell'adozione della presente proposta legislativa non possa essere ammesso a ricevere i premi e gli incentivi comunitari proposti. Tali studi verranno invece presi in considerazione per quanto riguarda le prescrizioni contenute nella proposta, e le imprese saranno tenute obbligatoriamente a presentarli alle autorità competenti una volta adottata la presente proposta» (7). Tale affermazione infatti rischia di rallentare o ridurre gli studi in corso o programmati dalle imprese, in attesa che il regolamento assuma la sua veste definitiva e diventi operativo in tutta l'UE.

3.4   I meccanismi di incentivazione

3.4.1

Il CESE condivide la necessità di trovare forme di incentivazione adeguate affinché gli studi clinici pediatrici siano condotti secondo le migliori prassi e nel rispetto delle regole etiche, e affinché l'armamentario terapeutico dei pediatri, degli istituti clinici e dei reparti ospedalieri pediatrici sia quanto prima arricchito di farmaci sicuri, efficaci e di qualità concepiti e studiati per una popolazione pediatrica, nella logica delle indicazioni contenute nella risoluzione del Consiglio del 14 dicembre 2000 ed anche tenendo conto dell'esperienza maturata negli USA grazie alla legislazione specifica ivi introdotta (8).

3.4.2

L'impegno di tempo e di risorse richiesto per tale genere di studi, nonché le delicate questioni di etica e di compliance dei pazienti in età pediatrica che essi comportano, spiegano perché le forze di mercato da sole non abbiano portato allo sviluppo di farmaci a pieno titolo «pediatrici». Consapevole di questa situazione, il CESE ritiene che gli incentivi e i premi previsti per le varie situazioni non siano sempre adeguati.

3.4.2.1

In particolare il prolungamento di sei mesi del certificato di protezione complementare non sembra rappresentare un beneficio sufficiente per compensare i maggiori costi (e i rischi anche di ritardo nel completamento del dossier e nell'autorizzazione) che gli studi pediatrici possono rappresentare per un prodotto nuovo. È pur vero che sono previste correttamente possibilità di deroga e di differimento, ma divenendo la ricerca pediatrica obbligatoria, l'impegno risulta particolarmente costoso e duraturo.

3.4.2.2

Il CESE vede con preoccupazione il processo in atto di concentrare gli sforzi di ricerca e sviluppo verso sostanze attive con ampie potenzialità di mercato, le quali assorbono una parte crescente degli investimenti in ricerca e sviluppo, mentre sono poste in secondo piano sostanze potenzialmente destinate a segmenti più limitati o a nicchie di mercato. Se tale meccanismo si verificasse per i nuovi farmaci pediatrici, non si potrebbe conseguire l'obiettivo di dotarsi in tempi ragionevoli di un armamentario terapeutico pediatrico realmente innovativo e di dimensioni sufficientemente ampie. Il CESE auspica che tale rischio sia attentamente monitorato, ed analizzato espressamente nell'ambito della prevista relazione generale sulle esperienze acquisite nell'applicazione del regolamento.

3.4.3

La nuova procedura prevista al Titolo III, Capo 2 (AICUP) per i farmaci già in commercio e non protetti dal brevetto o dal certificato di protezione complementare costituisce un'importante e valida innovazione nelle procedure disponibili per l'autorizzazione all'immissione in commercio per uso pediatrico: la possibilità di seguire la procedura centralizzata anche se l'iniziale autorizzazione di un farmaco per adulti è stata ottenuta attraverso la procedura nazionale rappresenta una valida opportunità.

3.4.4

Sono apprezzabili anche alcune aperture sul piano della flessibilità delle procedure, in particolare la possibilità di fare riferimento a dati esistenti contenuti nel dossier del farmaco già autorizzato (art. 31.4), e di utilizzare un marchio già noto con la semplice aggiunta in esponente del logo «P» (art. 31.5). In tal caso il CESE suggerisce che siano messi in evidenza anche sull'astuccio la forma farmaceutica e la posologia, se modificate come probabile ad uso pediatrico.

3.4.5

Il CESE nota peraltro che a fronte di tale flessibilità si riscontrano delle rigidità che possono disincentivare la ricerca pediatrica, come in particolare l'obbligo di disporre di un'autorizzazione in tutti gli Stati membri per beneficiare dei previsti sei mesi di proroga del certificato protettivo complementare (CPC). Il Comitato ritiene che tale disposizione sia eccessiva, specialmente in una Unione allargata, e che di fatto ne possano usufruire solo le grandi imprese multinazionali per prodotti farmaceutici di sicuro successo.

3.4.6

Qualche perplessità desta anche l'affermazione che tutti i dati dello sviluppo devono essere resi noti, cosa che modifica in realtà la normativa vigente sulle informazioni e i dati dei dossier per l'autorizzazione alla messa in commercio. Anche questa impostazione sembra costituire un disincentivo ad iniziare la ricerca su forme farmaceutiche e dosaggi idonei all'uso pediatrico per i farmaci già in commercio e di uso consolidato.

3.5   Informazioni sull'uso di medicinali in campo pediatrico

3.5.1

Fra gli obiettivi della proposta figura quello di aumentare le informazioni disponibili circa l'uso dei medicinali in campo pediatrico. Il CESE concorda con l'affermazione che una maggiore disponibilità di informazioni può favorire l'uso sicuro ed efficace di medicinali nei bambini e promuovere in questo modo la salute pubblica, e che la disponibilità di queste informazioni può contribuire ad evitare la duplicazione e la realizzazione di studi non necessari sui bambini.

3.5.2

Il CESE condivide di conseguenza la proposta di utilizzare la banca dati comunitaria sulla sperimentazione clinica (EudraCT) istituita dalla direttiva sulla sperimentazione clinica, come punto di partenza per le fonti informative su tutti gli studi pediatrici in corso o conclusi all'interno della Comunità e nei paesi terzi.

3.5.2.1

Appaiono peraltro insufficientemente determinate le modalità di utilizzo di tale banca dati: chi potrà accedervi, quali informazioni saranno rese pubbliche e quali invece ritenute confidenziali in nome della tutela della privacy dei cittadini e delle informazioni industriali sensibili o soggette a vincoli di confidenzialità.

3.5.2.2

Ugualmente non sembra ben delineato il confine tra le informazioni rese disponibili sulla scheda tecnica (destinata ai professionisti della salute) e quelle fornite al grande pubblico attraverso il foglio illustrativo. In questo segmento di mercato pediatrico la comprensibilità e la trasparenza del foglietto illustrativo sono particolarmente importanti, per non ingenerare comportamenti potenzialmente dannosi per il paziente pediatrico.

3.5.3

Il Titolo VI «Comunicazione e coordinamento» individua una serie di azioni e di impegni (come per esempio la raccolta dei dati disponibili su tutti gli impieghi attuali dei medicinali nella popolazione pediatrica e la loro comunicazione da parte degli Stati membri entro 2 anni dall'entrata in vigore del regolamento — art. 41) ma non affronta il tema più rilevante delle conoscenze sul corretto uso dei farmaci nella popolazione pediatrica e delle conseguenti politiche da adottare nei confronti dei professionisti sanitari e della popolazione in generale.

4.   Indicazioni conclusive

4.1

Il CESE ribadisce il suo consenso di fondo alla proposta di regolamento in oggetto, ma si domanda se la base giuridica su cui essa si fonda, e precisamente l'art. 95 del Trattato CE, per realizzare gli obiettivi stabiliti dall'articolo 14, paragrafo 2 (libera circolazione delle merci), costituisca la base più idonea in un campo di applicazione che presenta rilevanti aspetti per la salute pubblica. Anche se è vero che tutte le disposizioni legislative adottate nel settore farmaceutico si sono basate su tale articolo, occorre considerare che l'obiettivo di fondo nel caso in esame è la salute e la protezione della popolazione pediatrica.

4.2

Il CESE auspica che quanto prima la Commissione proceda ad una proposta ulteriore focalizzata sulla domanda di farmaci anziché sull'offerta. L'obiettivo è quello di costruire uno strumento operativo efficace nel permettere e favorire la raccolta e la diffusione di informazioni sulla disponibilità e l'uso dei farmaci, la costituzione di banche dati sugli aspetti epidemiologici e sugli usi prescrittivi nonché, la definizione di guidelines attraverso un ampio coinvolgimento dei professionisti sanitari e delle associazioni dei pazienti, favorendo nel contempo l'applicazione anche in questo settore del «metodo aperto di coordinamento».

4.3

Il processo di comunicazione e coordinamento, come delineato al Titolo VI, appare piuttosto restrittivo. Il CESE auspica che sia studiata e messa in opera una più ampia strategia di comunicazione, atta a portare ad un uso più razionale dei farmaci in pediatria, e che siano offerti a medici e operatori sanitari tutti gli strumenti di conoscenza all'uopo necessari. In tale logica andrà ripensato in particolare se e con quali modalità si debbano rendere disponibili anche agli sperimentatori e ai medici le informazioni relative agli studi clinici presenti nell'European Clinical Trials Database (EudraCT).

4.4

Il CESE apprezza la proposta di istituire un programma di studi pediatrici denominato MICE (Medicine Investigation for the Children in Europe), finalizzato a finanziare a livello comunitario la ricerca svolta da gruppi, società, network di ospedali pediatrici per l'uso pediatrico di un farmaco fuori brevetto, o studi osservazionali o di corte in fase postregistrazione. Il CESE avrebbe però preferito trovare delle indicazioni di indirizzo e una definizione più precisa del ruolo del comitato pediatrico al riguardo. Questo per evitare il rischio di lunghe discussioni su chi debba identificare le aree terapeutiche in cui è prioritario acquisire conoscenze in relazione all'uso in pediatria, nonché sulla valutazione dei bisogni prioritari e degli specifici studi da condurre, date anche le rilevanti differenze tra pratiche mediche esistenti negli Stati membri.

4.5

Il CESE suggerisce quindi di inserire specificamente nell'art. 7 del regolamento che tali compiti competono al comitato pediatrico, in modo da facilitarne una rapida attuazione e garantire un migliore coordinamento con tutte le attività istituzionali del comitato pediatrico stesso.

4.6

Il CESE auspica in parallelo che nella costituzione e nella realizzazione della rete europea dei ricercatori e dei centri con competenze specifiche nell'esecuzione di studi nella popolazione pediatrica, di cui all'articolo 43, il comitato pediatrico non abbia meri compiti di «sostegno e consulenza dell'agenzia», ma un ruolo attivo, eventualmente sostenuto da un forum che raccolga esperti di tutti gli Stati membri, sia del mondo accademico che delle varie specializzazioni pediatriche. Inoltre suggerisce di inserire, qualora si debbano definire specifici protocolli di studio, anche ricercatori delle aziende coinvolte nel protocollo con i propri prodotti, in quanto sono loro i maggiori depositari di informazioni sulle caratteristiche dei prodotti stessi.

4.7

Il fatto che il compito primario del comitato pediatrico sia l'approvazione dei PIP, perno su cui ruota tutta la proposta, fa temere che prevalga una logica di formalizzazione degli studi clinici pediatrici rispetto al perseguimento degli obiettivi anche di valore etico sopra enunciati, quali l'evitare inutili duplicazioni o l'effettuazione di studi pediatrici non realmente necessari.

4.8

Il CESE suggerisce di menzionare espressamente fra i compiti del comitato l'esigenza di procedere da un lato all'analisi delle informazioni disponibili nella base dati EudraCT e dall'altro ad una valutazione accurata del rapporto periodico di sicurezza (previsto dalle più recenti modifiche normative): in esso infatti sono inclusi dati epidemiologici, indagini sulle prescrizioni e risultati degli studi pubblicati, per cui è plausibile si possano ridurre dimensione e durata dei nuovi studi clinici, se non addirittura renderli in alcuni casi pleonastici.

4.9

Sul piano procedurale si dovrebbe ipotizzare che, qualora tale documentazione permetta di valutare i dati di sicurezza nei farmaci esistenti (ottenuti attraverso la farmacovigilanza, i rapporti informativi e il rapporto periodico di sicurezza) quanto a formulazioni o dosaggi per la popolazione pediatrica, sia possibile ricorrere invece che ad una procedura come l'AICUP, che resta comunque lunga e costosa, ad una procedura centralizzata abbreviata e semplificata che porti alle opportune modifiche della scheda tecnica e del foglio illustrativo (9).

4.10

Sempre sul piano procedurale, il CESE ritiene necessario venga specificato che, ove si verifichino le condizioni per ricorrere alla procedura prevista per i medicinali orfani in una sottopopolazione pediatrica specifica, il titolare di un'autorizzazione possa fare ricorso all'una o all'altra delle due procedure a sua scelta.

4.11

Il CESE sottolinea l'opportunità che i risultati delle ricerche svolte e le modifiche dei fogli illustrativi approvati siano pubblicati, e che le informazioni per l'uso pediatrico siano inserite in tutti i farmaci fuori brevetto con lo stesso principio attivo.

4.12

L'UE costituisce già l'autorità regolatoria di riferimento per la registrazione dei farmaci nei paesi in via di sviluppo, e l'OMS fa riferimento ad essa nella valutazione dei farmaci registrabili in tali paesi. È auspicabile che una rapida introduzione del regolamento nell'UE abbia un impatto positivo sulle terapie pediatriche disponibili anche nei paesi meno sviluppati. Il CESE auspica che sia ancor più rafforzata la positiva collaborazione con l'OMS, e che la Commissione persegua un dialogo sistematico con tutte le autorità internazionali al fine di accelerare l'approvazione di nuove sostanze o indicazioni, dosi e formulazioni più idonee all'uso pediatrico, evitando nel contempo duplicazioni e inutili ripetizioni di studi clinici.

Bruxelles, 11 maggio 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  European Clinical Trials Database.

(2)  GU L 121 dell'1.5.2001.

(3)  Negli USA la FDA può chiedere di condurre una sperimentazione per l'uso pediatrico quando i farmaci presenti sul mercato presentano un «inadequate labelling» che potrebbe sottoporre i pazienti a rischi significativi.

(4)  Negli USA la FDA definisce come «sostanziale» un numero di pazienti pediatrici pari a 50.000, ed è questa la soglia oltre la quale può chiedere ad un'azienda di condurre sperimentazioni cliniche pediatriche.

(5)  GU L 121 dell'1.5.2001.

(6)  In particolare ci si riferisce alla linea guida ICH E 11 che recita: «The ethical imperative to obtain knowledge of the effects of medicinal products in paediatric patients has to be balanced against the ethical imperative to protect each paediatric patient in clinical trials

(7)  Dalla relazione introduttiva, Informazioni sull'uso dei medicinali in campo pediatrico, pag. 8.

(8)  Best Pharmaceuticals for Children Act,1.4.2002, Public Law n. 107-109.

(9)  Un meccanismo semplificato del genere è stato adottato negli USA, per cui 33 prodotti hanno ottenuto l'inserimento di informazioni pediatriche nel foglio illustrativo come conseguenza di studi clinici post registrazione (non esistendo negli USA uno strumento come il rapporto periodico di sicurezza, tali studi erano necessari), mentre 53 hanno ottenuto l'esclusività pediatrica sulla base di un completo piano di indagini cliniche.


27.10.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 267/9


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le trasformazioni industriali nel settore dell'ingegneria meccanica

(2005/C 267/02)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 1o luglio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema Le trasformazioni industriali nel settore dell'ingegneria meccanica

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI), incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il proprio parere in data 27 aprile 2005, sulla base del rapporto introduttivo del relatore VAN IERSEL e del correlatore CASTAÑEDA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 11 maggio 2005, nel corso della 417a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 211 voti favorevoli, nessun voto contrario e 4 astensioni.

Sintesi

L'ingegneria meccanica non costituisce soltanto un settore autonomo ma, in quanto fornitrice di beni capitali e di tecnologie comuni utilizzate da diverse industrie, funge anche da tramite, con un impatto positivo su numerosi altri settori in Europa. Dal momento che si tratta di un settore chiave dal punto di vista dell'innovazione, qualsiasi politica industriale europea deve riconoscerne l'importanza strategica. L'ingegneria meccanica è perfettamente adatta ad essere inserita in un programma concreto inteso a fissare obiettivi a livello regionale, nazionale e comunitario nell'ottica di Lisbona. A tal fine si rendono necessarie politiche sia orizzontali che settoriali, nonché una giusta miscela tra le due, che dovrebbero aiutare questo settore ad eccellere a livello non solo europeo, ma anche mondiale.

Nel processo consultivo e legislativo attualmente in corso nell'Unione riguardante l'ingegneria meccanica va affrontata una serie di questioni che serviranno a promuovere processi analoghi a livello regionale e nazionali in tutta Europa. Tra le condizioni specifiche da soddisfare a livello comunitario rientrano un modo migliore di legiferare, che prevede una valutazione dell'impatto di tipo regolamentare prima dell'effettiva regolamentazione, nonché una corretta attuazione e applicazione della legislazione comunitaria vigente; un'efficace sorveglianza del mercato; la creazione di una piattaforma tecnologica che avvicini i centri di ricerca e le università all'industria; la riduzione del crescente divario tra la R&S finanziata dall'UE e le esigenze di questo settore; una politica della concorrenza che favorisca lo sviluppo e l'innovazione nelle PMI; un miglior accesso ai mercati finanziari e una politica commerciale che garantisca il libero accesso agli investimenti sui mercati dei paesi terzi. Notevole importanza riveste anche l'adeguamento delle competenze agli standard attuali.

Un dialogo tra la Commissione e tutte le parti direttamente interessate a livello comunitario in merito alle implicazioni per l'industria può creare un quadro favorevole all'ingegneria meccanica nell'Unione europea ed è destinato a contribuire alla promozione e allo sviluppo di forti raggruppamenti (cluster) regionali. Tutto ciò richiede l'impegno attivo delle istituzioni europee, e in special modo della Commissione.

1.   Introduzione

1.1

La Commissione sta attualmente elaborando un «nuovo modello» di politica industriale basato su tre diverse componenti: una migliore regolamentazione, un approccio di tipo settoriale e una strategia integrata a livello comunitario. Questo nuovo modello ha un legame diretto sia con la strategia di Lisbona che con l'attuale revisione del contributo dell'industria manifatturiera all'economia europea.

1.2

In numerosi settori questo ritorno a una politica industriale comunitaria risulta particolarmente gradito. Il Comitato, da parte sua, sostiene senza riserve i principi di un «nuovo modello» di politica industriale (1), la cui riuscita dipenderà principalmente da una giusta combinazione di azioni sia a livello orizzontale che settoriale, per i seguenti motivi:

i settori industriali sono notevolmente diversi tra loro,

il livello settoriale è, in molti casi, il più adatto a mettere a contatto rappresentanti delle industrie — ivi comprese le parti sociali — funzionari governativi e responsabili delle politiche (vale a dire la Commissione e le autorità nazionali), nonché altri importanti attori quali i clienti, gli istituti di istruzione e formazione, gli organismi scientifici e tecnologici e le banche.

1.3

Vi è un consenso politico generale sulla necessità da parte dell'Europa di far fronte alle sfide future assumendo una posizione leader in un mondo globalizzato. L'attuazione dell'agenda di Lisbona assume ora più che mai un'importanza vitale. Pertanto l'Europa non dovrebbe soltanto combattere quelle che percepisce come le proprie debolezze (rispetto ai partner commerciali), ma anche consolidare e sviluppare i propri punti di forza. L'industria meccanica offre importanti risorse tecnologiche in quanto possiede le tecnologie presenti non solo nei suoi prodotti, ma anche nei processi dei suoi clienti, tra i quali figurano tutte le altre industrie manifatturiere e i fornitori di beni indispensabili quali l'energia, l'acqua, i trasporti e le comunicazioni.

1.4

Con il rilancio dell'agenda di Lisbona e l'attuale accento sulla crescita e l'occupazione, la Commissione mette giustamente in rilievo il ruolo centrale dell'industria manifatturiera, e in particolare delle PMI. Di conseguenza, qualsiasi politica industriale europea deve considerare l'ingegneria meccanica come un settore strategico ora in piena fioritura. I settori in difficoltà e quelli fiorenti meritano infatti pari attenzione.

1.4.1

L'industria meccanica non è soltanto un settore autonomo ma, in quanto fornitrice di beni capitali e di tecnologie comuni utilizzate da diverse industrie, funge anche da tramite, con un impatto positivo su numerosi altri settori in Europa.

1.4.2

L'ingegneria meccanica, in quanto produttrice di tecnologia abilitante per tutti gli altri settori dell'economia, fornisce le infrastrutture industriali fondamentali alla base dell'economia europea.

1.4.3

Questo settore, inoltre, è uno dei maggiori esportatori: produce infatti il 15 % circa dei prodotti manufatti esportati dall'Unione.

1.5

L'ingegneria meccanica ha tratto notevoli benefici dal mercato interno, che ha fornito all'industria manifatturiera europea una solida base operativa. Tuttavia, se da un lato il settore ha bisogno di un livello adeguato di norme internazionali e disposizioni comunitarie coerenti, dall'altro va però mantenuto il giusto equilibrio, onde evitare un'eccessiva regolamentazione che potrebbe frenare la competitività. Al tempo stesso è necessario concentrarsi maggiormente sull'applicazione e il rispetto delle norme in vigore.

1.6

Per concludere, si rendono necessarie politiche sia orizzontali che settoriali, nonché una giusta miscela tra le due.

2.   Importanza strategica

2.1

L'ingegneria meccanica svolge un ruolo cruciale nell'economia europea per una serie di ragioni.

2.1.1

Si tratta di un settore strategico ad elevato valore aggiunto e ad alta intensità di conoscenza, che fornisce a tutti gli altri settori dell'economia macchinari, sistemi produttivi, componenti e servizi correlati, nonché la tecnologia e le conoscenze necessarie. Si ritiene anche che essa offra un importante contributo allo sviluppo sostenibile poiché può rendere più efficiente la produzione scindendo così l'impiego delle risorse dalla crescita economica. L'ingegneria meccanica non è un settore omogeneo, ma molto diversificato e comprende tutta una serie di sottosettori, tra cui apparecchiature per il sollevamento e la movimentazione delle merci, macchine utensili, attrezzature per la lavorazione del legno, impianti di ventilazione e condizionamento non per uso domestico, pompe e compressori, macchinari per l'industria mineraria ed estrattiva e per l'edilizia, cuscinetti, ingranaggi, elementi di ingranaggi e conduttori, rubinetti e valvole, motori e turbine, macchinari per il settore agricolo e forestale, l'industria tessile, l'abbigliamento e la produzione di cuoio, l'industria alimentare, delle bevande e la lavorazione del tabacco, macchine agricole, attrezzature per la produzione di carta e cartone, fornaci e bruciatori industriali, macchinari per la metallurgia, ecc. A questi sottosettori si aggiungono poi tutte le tecnologie comuni, come la meccatronica che combina assieme elementi di meccanica e di elettronica.

2.1.2

L'ingegneria meccanica non fornisce solo le attrezzature, ma anche le competenze e le conoscenze per migliorare i processi e i prodotti esistenti e per sviluppare nuovi prodotti in tutti i sottosettori. Questo aspetto è particolarmente importante se considerato nel contesto dello sviluppo economico dell'Europa allargata o in una dimensione ancora più ampia.

2.1.3

L'ingegneria meccanica europea detiene una posizione leader nel mondo: con il 41 % della produzione mondiale, l'Europa è infatti il maggior produttore ed esportatore al mondo di macchinari singoli (per un valore di 261 707 milioni di euro nel 2002), ma anche di impianti completi. Questa posizione va mantenuta perché l'Europa diventi l'economia basata sulla conoscenza più competitiva al mondo.

2.1.4

L'ingegneria meccanica è un settore importante: rappresenta infatti uno dei principali settori industriali europei non solo perché fornisce l'8 % circa della produzione manifatturiera complessiva, ma anche in termini occupazionali — conta infatti circa 140 000 aziende (di cui 21 600 con oltre 20 dipendenti) e dà lavoro a 2,49 milioni di persone, che svolgono per lo più mansioni altamente qualificate. Il solido mercato domestico europeo su cui può contare l'ingegneria meccanica (pari, nel 2003, a 285 miliardi di euro per l'UE-15 e a 305 miliardi per l'UE-25) assorbe il 70 % della produzione del mercato interno e rafforza sia la competitività dell'industria che la stabilità dell'occupazione in questo settore. L'ingegneria meccanica è pertanto un settore essenziale ai fini del conseguimento degli obiettivi di Lisbona.

2.1.5

L'ingegneria meccanica è un settore chiave in termini d'innovazione: in Europa è particolarmente forte nel campo della produzione di macchinari su commessa e nei mercati di nicchia, un ambito che riveste una grande importanza per la capacità innovativa di tutti gli altri settori dell'economia. Riveste, inoltre, un ruolo fondamentale anche per la capacità da parte di tutti i settori industriali di fornire un elevato valore aggiunto, ottenendo così un vantaggio competitivo in grado di compensare eventuali svantaggi che l'Europa potrebbe avere ad esempio a livello di costi della manodopera. L'ingegneria meccanica è portatrice di innovazione e svolge un ruolo di precursore in quanto applica e integra le innovazioni nei propri prodotti e processi. Non si dovrebbe dimenticare che l'ingegneria meccanica è un anello (molto spesso il primo) della catena del valore: se un anello dovesse rompersi, ne soffrirebbe l'intera catena.

2.1.6

L'ingegneria meccanica è un settore di imprenditori, in cui predominano le PMI (2), in gran parte a conduzione familiare, con tutte le conseguenti sfide che devono affrontare tali imprese, molte delle quali operano anche sui mercati mondiali. L'ingegneria meccanica è pertanto un esempio lampante di spirito imprenditoriale, che costituisce un elemento essenziale per poter realizzare gli obiettivi di Lisbona.

2.1.7

Tra le altre caratteristiche dell'industria meccanica figurano le seguenti:

rispetto ad altre industrie manifatturiere, non si tratta di un'attività ad alta intensità di capitale, ma dà comunque lavoro a personale altamente qualificato nella progettazione e nella produzione di macchinari e impianti industriali studiati su misura,

i progressi compiuti negli ultimi decenni sono dovuti alla crescente adattabilità che le deriva dall'innovazione, la quale consente di integrare varie componenti competitive da commercializzare poi su scala mondiale,

dato il ruolo universale dei macchinari in tutti i processi di produzione, un'ottima affidabilità è un requisito indispensabile in questo settore legato indissolubilmente all'immagine comunemente accettata di una forte tradizione industriale europea.

2.2

Le aziende del settore meccanico sono caratterizzate da rapporti particolarmente stretti con la clientela in quanto la produzione meccanizzata è in genere un processo complesso che richiede capacità ingegneristiche avanzate, nonché un'assistenza tecnica e una manutenzione continue da parte del fabbricante. Si tratta di un settore fondamentale del tessuto industriale e di una base per la creazione di raggruppamenti riusciti laddove esista una prossimità geografica tra l'industria manifatturiera e gli utenti finali, come avviene nel Baden-Württemberg, nella Renania-Palatinato, in Piemonte, in Lombardia, nella regione Rodano-Alpi, nelle Midlands e nella zona di Eindhoven-Aquisgrana. Dagli esempi citati emerge chiaro il contributo spesso positivo e decisivo degli enti locali e regionali.

2.3

L'ingegneria meccanica svolge un ruolo fondamentale per il miglioramento dell'ambiente in quanto produce le attrezzature per la lavorazione e il trattamento di acque, suolo, aria, rifiuti e letame. Contribuisce anche ad agevolare il ricorso a fonti di energia rinnovabili.

2.4

L'ingegneria meccanica è un settore leader a livello mondiale che serve da base all'industria manifatturiera e alle esportazioni europee e costituisce pertanto uno dei punti di forza dell'Europa.

L'adozione di misure intese a sviluppare l'ingegneria meccanica dovrebbe aiutare questo settore ad eccellere non solo a livello europeo, ma anche mondiale.

2.5

Un motivo molto valido per sostenere maggiormente l'ingegneria meccanica è dato dall'accento che l'amministrazione americana ha posto di recente su tale settore. Paesi come gli Stati Uniti sono sempre più consapevoli dell'importanza dell'industria manifatturiera in generale, e dell'ingegneria meccanica in particolare, per l'economia e la sicurezza nazionale (3).

3.   Cosa fare a livello europeo

3.1   Trasformazione e innovazione industriale

3.1.1

La trasformazione industriale e l'innovazione nei processi di produzione e lavorazione sono all'ordine del giorno. I tipi di produzione meno sofisticati, che richiedono personale operativo meno qualificato, vengono sempre più spesso delocalizzati verso altre parti del mondo. Per poter mantenere e rafforzare la propria posizione in casa come all'estero, occorre adattare e rinnovare continuamente il settore, un fattore questo che tutte le parti coinvolte a livello regionale, nazionale e comunitario non dovrebbero sottovalutare.

3.1.2

Fin dal 1994 i rappresentanti del settore hanno richiamato l'attenzione del legislatore comunitario, che ha risposto con una comunicazione (4), seguita poi da una risoluzione del Consiglio (5). Né la Commissione europea né gli Stati membri si sono mostrati molto propensi a dar seguito, come proposto, alla comunicazione e alla risoluzione del Consiglio. Questa loro riluttanza può essere difficilmente considerata come una corretta attuazione di tale politica. L'ultima Commissione aveva abbandonato questo atteggiamento esitante di fronte alla priorità assegnata alla competitività delle industrie manifatturiere nel quadro della strategia di Lisbona. Ciò avrebbe potuto produrre un clima propizio ad autentici partenariati a livello comunitario che — si sperava — avrebbero promosso un'interazione positiva tra i vari attori al livello nazionale e locale pertinente. Sfortunatamente, la Commissione sembra ora concentrarsi su un numero limitato di settori cosiddetti trainanti, tra i quali l'industria meccanica al momento non figura.

3.1.3

Il «nuovo modello» di politica industriale intende infrangere le barriere che per tanto tempo hanno caratterizzato le relazioni tra attori pubblici e privati, i quali devono essere consapevoli del fatto che ciascuno di loro sta lavorando ad obiettivi comuni. Questa politica industriale intende mettere in contatto persone ed organizzazioni in modo da colmare le lacune che, in precedenza, avevano spesso impedito un'innovazione sufficiente.

3.1.4

Dal momento che il settore è caratterizzato da un'ampia gamma di PMI specializzate, sovente ad alta tecnologia, le esigenze sono elevate in termini di organizzazione e gestione dei processi di produzione. Contrariamente a taluni altri settori che contano un numero relativamente limitato di aziende di punta, l'ingegneria meccanica richiede strumenti ed approcci specifici. Un approccio specifico, per esempio, potrebbe consistere nella creazione di una piattaforma tecnologica per le industrie manifatturiere abilitanti o nell'elaborazione di un programma specifico che potrebbe svolgere un ruolo importante al riguardo (6). Sono necessari forti investimenti in azioni di R&S.

3.1.5

La piattaforma tecnologica o il programma specifico dovrebbero attingere al bagaglio di competenze sviluppate grazie alla lunga tradizione europea maturata nel settore dell'ingegneria meccanica e riunire gli aiuti destinati ai programmi di ricerca europei, il know-how industriale presente nei raggruppamenti di aziende di questo settore e i punti di forza degli istituti di ricerca europei specializzati.

3.1.6

I programmi per l'ingegneria meccanica devono tener conto della varietà dei sottosettori esistenti e delle loro interazioni, quali le innovazioni comuni e il mix tecnologico, e, di conseguenza, della necessità di attuare un efficace scambio di conoscenze in materia di produzione e di servizi alle imprese.

3.1.7

È necessario colmare il divario tra centri di ricerca e università da un lato e il mercato dall'altro. I programmi europei di R&S non dovrebbero certo avere origine esclusivamente scientifica né essere attuati in una prospettiva a lungo termine, ma dovrebbero anche cercare di raggiungere un equilibrio, destinando una parte dei finanziamenti alla ricerca applicata che conduce a prodotti innovativi.

3.1.8

La piattaforma tecnologica dovrebbe contribuire ampiamente a migliorare la comprensione tra i centri di ricerca di tutti i tipi e l'industria meccanica, il che, a sua volta, avrebbe un impatto positivo su strutture analoghe negli Stati membri.

3.1.9

La presenza, in questo settore, di così tante imprese di piccole e medie dimensioni rende ancor più necessario ridurre le restrizioni e gli oneri amministrativi e favorire l'accesso ai programmi comunitari.

3.1.10

Ovviamente, per la realizzazione di progetti industriali su larga scala è necessario che i programmi di R&S pongano un accento particolare sulle tecnologie innovative le quali hanno un impatto positivo sull'intera catena del valore. Tuttavia, a livello di finanziamenti è importante raggiungere il giusto equilibrio tra questi progetti di grandi dimensioni e le PMI.

3.1.11

Tutto questo avrà un impatto positivo anche sui programmi nazionali. In un contesto caratterizzato da interazioni e analisi comparative (benchmarking), è necessario tener conto delle migliori pratiche. Inoltre, dato il grandissimo numero di PMI, le organizzazioni nazionali di categoria devono svolgere un ruolo attivo in questo campo.

3.2   Trasformazioni industriali e competenze

3.2.1

Vi è uno stretto legame tra il «nuovo modello» di politica industriale, l'innovazione, la creatività, la produttività e le competenze.

3.2.2

Al giorno d'oggi i giovani sono meno propensi a studiare e a lavorare nelle industrie del settore tecnico, data, tra l'altro, la sua immagine ormai sorpassata che rende necessaria un'azione da parte del settore stesso incentrata sulle nuove tecnologie e accompagnata da un rilancio culturale, attraverso i media nazionali e comunitari, allo scopo di renderla più attraente al grande pubblico. Una buona comunicazione tra le aziende e i cittadini, specie i più giovani, è fondamentale. Per invertire le attuali tendenze occorre infatti cambiare mentalità e approccio. È necessaria una maggiore consapevolezza della realtà dell'ingegneria meccanica. Questo vale per il processo tecnologico generale, i servizi alle imprese, le catene delle tecnologie correlate, la lavorazione, il marketing, l'internazionalizzazione, ecc. Quanto meglio verranno illustrati questi processi affascinanti e queste correlazioni, tanto più si promuoverà l'interesse del pubblico in generale e dei giovani in particolare.

3.2.3

Tutti i miglioramenti dipendono da sistemi di istruzione innovativi e stimolanti. È necessario pertanto mettere a punto moduli di insegnamento aggiornati, anche all'interno delle aziende stesse, e incoraggiare l'industria a collaborare in modo stretto con le scuole, gli istituti di istruzione superiore e i centri di formazione professionale. In tale contesto occorre favorire la partecipazione diretta dei quadri ai pertinenti programmi di formazione e in cambio offrire agli insegnanti la possibilità di interagire con le aziende. Inoltre, le scuole andrebbero incoraggiate a partecipare in qualità di espositrici alle fiere aziendali (internazionali).

3.2.4

È necessario costituire e/o sviluppare più attivamente i parchi industriali e tecnologici attorno ai politecnici, dando il giusto rilievo a esempi riusciti come quello dell'Università di Cambridge, di Eindhoven, di Aquisgrana, ecc.

3.2.5

Dato il rapido sviluppo del ciclo dei prodotti e dei servizi, l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita e, di conseguenza, l'adattabilità dei lavoratori ai cambiamenti devono diventare una prassi comune nelle aziende.

3.2.6

Un coordinamento efficace tra l'industria (quadri, sindacati, personale) e gli istituti di istruzione a tutti i livelli è destinato a rafforzare le specialità regionali, promuovendo di conseguenza la formazione e lo sviluppo di forti raggruppamenti regionali. Si tratterebbe di un coordinamento in larga misura regionale non solo a causa del grandissimo numero di aziende coinvolte, ma anche per l'impatto delle specialità regionali e delle diverse culture.

3.2.7

Un dialogo tra le parti sociali riguardo alle ricadute industriali a livello europeo può condurre a risultati positivi. Gli esempi illustrativi, i raffronti e le analisi comparative a livello europeo possono fornire un quadro utile e creare o rafforzare la tendenza ad attuare programmi nazionali e regionali. Un bell'esempio di dialogo che ha portato alla creazione di questo quadro è offerto dall'iniziativa avviata dal gruppo di lavoro ad hoc WEM-EMF (2003) (7). Sarebbe utile quantificare i risultati dell'ampio spettro di iniziative e valutare le migliori prassi in quanto ciò potrebbe promuovere il dinamismo in altre regioni.

3.2.8

Questo processo può essere approfondito (in particolare con la partecipazione dei nuovi Stati membri) ed esteso agli istituti di istruzione.

3.2.9

Nonostante la mobilità di ingegneri e tecnici di progettazione all'interno dell'Unione lasci ancora molto a desiderare, il processo di Bologna e la crescente convergenza tra i curricula dei politecnici europei, dei centri di formazione professionale e degli ordini professionali degli ingegneri sta portando a un mercato europeo del lavoro per le competenze ingegneristiche.

3.3   Condizioni quadro

Le condizioni in cui si trovano ad operare le aziende — che vengono analizzate qui di seguito — sono estremamente importanti.

3.3.1   Il mercato interno

Il mercato interno dovrebbe garantire un accesso omogeneo al mercato dell'UE-SEE, aumentando così la competitività europea. Purtroppo il mercato interno delle merci non è ancora pienamente realizzato e occorre pertanto colmare le seguenti lacune in particolare:

3.3.1.1   Regolamenti

Legiferare meglio è un presupposto fondamentale per tutte le imprese, ma soprattutto per le PMI,

si dovrebbe legiferare solo quando è davvero necessario, sulla scorta, cioè, di una valutazione d'impatto dettagliata, che comprenda tra l'altro la consultazione di tutte le parti direttamente interessate,

le norme dovrebbero essere mantenute semplici e comportare oneri amministrativi il più possibile limitati; questo vale soprattutto per le PMI, che costituiscono la stragrande maggioranza delle imprese europee nel settore meccanico (8). Troppo spesso, purtroppo, i legislatori europei, a dispetto delle loro buone intenzioni, dimenticano i numerosi oneri amministrativi superflui derivanti dalla regolamentazione,

è essenziale effettuare una valutazione dell'impatto di tipo regolamentare a cui tutte le istituzioni comunitarie e nazionali devono ricorrere non solo per la proposta iniziale, ma durante tutto il processo legislativo e nella fase ex-post per un certo periodo successivo all'applicazione di tale regolamentazione, e che dovrebbe consentire di prevedere in che misura saranno raggiunti gli obiettivi della politica in oggetto,

occorre attuare e applicare correttamente la legislazione comunitaria vigente: la Commissione dovrebbe migliorare il seguito dato e garantire un'applicazione uniforme. Tutte le parti interessate andrebbero incoraggiate ad impegnarsi nell'attuazione e nella corretta applicazione delle norme in vigore e ad effettuare il relativo monitoraggio,

occorre armonizzare tutte le disposizioni previste da diverse direttive e uniformare tutte le definizioni relative all'industria manifatturiera contenute nelle direttive,

si dovrebbe evitare la presenza di ulteriori requisiti a livello nazionale: vi sono infatti eccessive discrepanze tra uno Stato membro e l'altro in termini di requisiti che le merci devono soddisfare, il che è aggravato dalle differenze di recepimento. Questo fatto di aggiungere ulteriori requisiti a livello nazionale non fa che produrre una frammentazione del mercato interno, mettendo di conseguenza a rischio la competitività delle aziende del settore.

3.3.1.2   Sorveglianza del mercato

È fondamentale una migliore sorveglianza del mercato, che attualmente in Europa risulta insufficiente, creando così condizioni ineguali (9). Le autorità doganali dovrebbero pertanto aumentare i controlli, nonché disporre dei metodi e degli strumenti necessari per garantire che i prodotti vengano immessi sul mercato solo se conformi a tutte le norme applicabili.

Andrebbero rafforzati anche i controlli — alle frontiere comunitarie — dei prodotti dell'ingegneria per combattere la contraffazione che sta acquisendo proporzioni sempre più ragguardevoli: interessa infatti ben il 5 % delle apparecchiature vendute nell'Unione. Non è sufficiente che gli Stati membri intervengano solo in caso di incidente.

Dato che la sorveglianza del mercato viene effettuata dalle autorità nazionali in base a criteri diversi, si rende necessaria un'armonizzazione. A tal fine la Commissione potrebbe pubblicare una guida per la sorveglianza del mercato, da divulgare in tutti gli Stati membri.

3.3.2   Commercio

L'obiettivo primario è quello di garantire alle imprese europee l'accesso al mercato senza compromettere gli standard europei in seno al mercato interno; con esportazioni di macchinari e apparecchiature per un valore di 129 miliardi di euro, l'Unione è il leader del mercato mondiale delle apparecchiature meccaniche. La libertà di accedere e di investire nei mercati dei paesi terzi è quindi di fondamentale importanza per le aziende che operano nel settore meccanico.

Un altro aspetto importante è quello della liberalizzazione del commercio mondiale di prodotti e servizi dell'ingegneria (che riguarda, in molti casi, anche il mercato interno). Il settore dell'ingegneria meccanica in Europa è stato un capofila in termini di abolizione delle barriere tariffarie e non tariffarie ai beni e ai servizi in occasione dell'Uruguay Round e dei negoziati di Doha. La Commissione dovrebbe portare avanti i negoziati commerciali multilaterali, regionali e bilaterali al fine di premere per una eliminazione degli ostacoli tecnici al commercio, liberalizzare gli investimenti e lo stabilimento di imprese all'estero, nonché i servizi alle imprese, e sopprimere gradualmente i dazi all'importazione per i prodotti dell'ingegneria, in condizioni di reciprocità.

Quanto ai servizi alle imprese, si tratterebbe soprattutto di garantire che non vi siano interferenze nella fornitura dei prodotti e dei servizi correlati.

3.3.3   Politica di concorrenza

Se si vuole che l'Unione diventi l'economia più dinamica al mondo, non è solo importante sviluppare nuove tecnologie, ma è anche fondamentale promuoverne decisamente la rapida diffusione. È quindi importante creare condizioni di base adeguate in materia di politica della concorrenza per facilitare il trasferimento di tecnologia a terzi. Quando si sviluppa una tecnologia innovativa — e l'ingegneria meccanica in Europa è spesso specializzata in mercati di nicchia — non è opportuno ricorrere a soglie di mercato, come caldeggiato dalle autorità europee garanti della concorrenza per determinare eventuali effetti specifici nocivi alla concorrenza.

3.3.4   Regime impositivo e finanziamenti

Nell'Unione il livello di imposizione fiscale è generalmente molto elevato. Se già una diminuzione delle imposte sulle società risulta di grande utilità nel contesto dei beni capitali, altre misure come agevolazioni fiscali agli investimenti forniranno di certo un incentivo positivo.

3.3.5   Le banche

Spesso le banche non vedono riconosciuto il loro ruolo: eppure queste, accettando o rifiutandosi di assumere un rischio e a seconda del loro grado di accessibilità, forniscono un contributo importante alla realizzazione degli obiettivi della politica industriale. In alcuni paesi, come — a quanto pare — la Germania e la Francia, esistono prassi più incentivanti che in altri. Il Comitato è favorevole a inserire questo aspetto nelle discussioni sulla politica industriale, specie per questo settore così importante per le PMI. Ciò potrebbe comportare un miglioramento delle pratiche in tutta Europa. Altri aspetti come le disposizioni di Basilea II ostacolano in misura crescente l'accesso ai finanziamenti necessari per investire nella ricerca ai fini dello sviluppo di prodotti innovativi o della crescita delle aziende in generale.

3.4   Le valutazioni e il dialogo in corso sulle implicazioni per l'industria a livello europeo (nonché nazionale e regionale) tra tutti i diretti interessati, in particolare le parti sociali, forniranno di certo impulsi positivi a questi processi.

4.   Raccomandazioni

4.1

Il Comitato reputa che, quando si definisce la politica industriale, alle parole debbano seguire i fatti. I cosiddetti «costi della non Europa» potrebbero essere particolarmente elevati per l'ingegneria meccanica se si considera che questo settore, pur svolgendo un ruolo di primo piano e disponendo di importanti competenze di base, incontra numerosi problemi non solo ciclici, ma anche strutturali. Tali problemi vanno pertanto affrontati e, in questo contesto, è fondamentale prendere in considerazione i seguenti punti.

4.2

L'ingegneria meccanica è perfettamente adatta ad essere inserita in un programma concreto inteso a fissare obiettivi a livello regionale, nazionale e comunitario per realizzare l'agenda di Lisbona.

4.3

A parere del Comitato, l'impegno dell'Unione avrebbe una duplice importanza:

occorre mettere a punto un programma globale per un miglioramento qualitativo delle prestazioni dell'ingegneria meccanica in Europa e

vanno soddisfatte condizioni specifiche a livello comunitario in materia di regolamentazione, R&S, commercio, analisi comparativa, ecc.

4.3.1

La responsabilità in questo senso è condivisa dalla Commissione e dal Consiglio Competitività, che dovranno agire in stretta cooperazione con i rappresentanti del settore. Sono auspicabili incontri regolari tra i rappresentanti del settore, ivi comprese le parti sociali, e la Commissione. A tal fine, l'organizzazione delle strutture comunitarie di sostegno, in modo particolare in seno alla DG Imprese e industria, dovrebbe tenere in debito conto le esigenze dell'ingegneria meccanica.

4.3.2

Il Comitato è anche favorevole a garantire che la Commissione disponga di sufficienti conoscenze pratiche e competenze specialistiche in tale settore.

4.4

Il Comitato reputa che vada prestata un'attenzione particolare a questo settore a livello comunitario a causa dell'enorme numero di PMI che vi operano. A questo proposito è opportuno evidenziare in particolare gli aspetti che seguono.

4.4.1

Per quanto riguarda la ricerca e l'innovazione, è necessario affrontare la questione del crescente divario tra la R&S finanziata dall'Unione e le esigenze dell'industria meccanica e occorre facilitare la partecipazione delle aziende per soddisfare l'obiettivo ambizioso di accrescere la competitività con una dotazione finanziaria altrettanto ambiziosa a titolo delle pertinenti linee del bilancio comunitario. Le imprese sono per la maggior parte di piccole o medie dimensioni e, attualmente, i progetti europei di ricerca industriale non si rivolgono in maniera adeguata a questo tipo di aziende, rendendone difficile la partecipazione.

4.4.2

Il quadro regolamentare vigente nell'Unione va migliorato di concerto con il settore in questione in quanto un'eccessiva regolamentazione e l'aumento degli oneri burocratici, invece di stimolare l'imprenditorialità, la stanno mettendo a repentaglio.

4.4.3

Andrebbe aumentata la sorveglianza del mercato per garantire condizioni di concorrenza eque tra le imprese europee, ma anche tra i produttori europei e le importazioni provenienti dai paesi terzi.

4.4.4

Va migliorato l'accesso per queste imprese ai mercati finanziari.

4.4.5

Le relazioni commerciali con i paesi terzi devono garantire la libertà di accedere e di investire nei mercati dei paesi terzi.

4.4.6

La politica della concorrenza dovrebbe favorire lo sviluppo, l'innovazione e le tecnologie nelle PMI.

4.4.7

Un dibattito a livello comunitario tra le parti sociali e la Commissione sul miglioramento delle prestazioni, delle qualifiche e dei sistemi di istruzione e formazione potrebbe creare un quadro favorevole per l'organizzazione concreta di dialoghi simili negli Stati membri, specialmente a livello regionale.

4.5

L'ingegneria meccanica, essendo in transizione, sta trasformandosi rapidamente da industria incentrata sui prodotti a «fornitore di valore/accesso» che offre un contenuto — sempre più sostanzioso — di servizi e offre ai propri clienti soluzioni complete. Questa sfida importante, che è anche il modo per continuare ad avere una crescita sostenibile e una posizione forte sui mercati mondiali, va affrontata con politiche comunitarie adeguate.

Il Comitato auspica che la Commissione tenga conto delle raccomandazioni formulate nel presente parere e adotti tutte le misure adeguate affinché l'Europa realizzi quella che secondo il Presidente BARROSO è una delle principali priorità della sua istituzione: realizzare la strategia di Lisbona.

Bruxelles, 11 maggio 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Cfr. parere CESE in merito alla comunicazione della Commissione «Accompagnare le trasformazioni strutturali: una politica industriale per l'Europa allargata» (COM(2004) 274 def. del 21.4.2004), adottato il 15.12.2004 (relatore: VAN IERSEL).

(2)  Di queste, solo 21 600 hanno oltre 20 dipendenti e solo 4 500 circa ne hanno oltre 100.

(3)  Cfr. il documento «Manufacturing in America» [l'industria manifatturiera in America] del ministero del Commercio statunitense. Un altro esempio specifico dell'importanza strategica dell'ingegneria meccanica è dato dalle disposizioni adottate dal governo degli Stati Uniti in materia di difesa per l'esercizio finanziario 2004 (Defence Authorization Act), che incentivano i fornitori del settore militare nazionale ad utilizzare apparecchiature prodotte negli Stati Uniti negli appalti per le forniture alla difesa. Questo è dovuto al fatto che, per ragioni di difesa, sicurezza e politica, si ritiene di cruciale importanza mantenere una capacità indipendente in materia di apparecchiature.

(4)  Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale «Rafforzare la competitività dell'industria europea della costruzione di macchinari» (COM(1994) 380 def. del 25.10.1994).

(5)  Risoluzione del Consiglio del 27.11.1995 sul rafforzamento della competitività dell'industria meccanica europea, pubblicata nella GU C 341 del 19.12.1995, pagg. 1-2.

(6)  Cfr. tra l'altro il parere CESE 1647/2004 in merito alla comunicazione della Commissione «La scienza e la tecnologia, chiavi del futuro dell'Europa - Orientamenti per la politica di sostegno alla ricerca dell'Unione», COM(2004) 353 def. (relatore: WOLF) e il parere complementare sulla medesima comunicazione (relatore: VAN IERSEL).

(7)  Gruppo di lavoro ad hoc dell'organizzazione degli imprenditori metalmeccanici europei e della federazione dei lavoratori metalmeccanici europei: «Major outcome from the exchange of national examples» [Principali risultati dello scambio di esempi fra gli Stati membri], gennaio 2003.

(8)  Si pensi ad esempio alla proposta REACH relativa ai prodotti chimici e alla proposta di direttiva sulla progettazione ecocompatibile dei prodotti che consumano energia, che, nella loro forma attuale, risultano di difficile gestione per le imprese.

(9)  Per quanto riguarda ad esempio i macchinari per l'edilizia (e altre apparecchiature), numerosi casi concreti dimostrano l'esistenza di un «mercato grigio», rappresentato da macchinari importati da paesi terzi i quali sono provvisti di marcatura CE e di dichiarazione di conformità, ma NON sono conformi alle norme europee. In molti casi, macchinari sprovvisti della marcatura CE e non conformi alle norme comunitarie vengono comunque immessi nel mercato europeo nella più totale impunità. Queste pratiche vanno tutte evitate al fine di garantire condizioni eque tra i produttori europei e quelli dei paesi terzi.


27.10.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 267/16


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2003/88/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro

COM(2004) 607 def. — 2004/0209 (COD)

(2005/C 267/03)

Il Consiglio, in data 20 ottobre 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 aprile 2005, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice ENGELEN-KEFER.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 11 maggio 2005, nel corso della 417a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 160 voti favorevoli, 101 voti contrari e 8 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

La Commissione europea, in data 22 settembre 2004, ha presentato la «Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio recante modifica della direttiva 2003/88/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro» (1).

1.2

Nella relazione introduttiva alla proposta di modifica la Commissione afferma, da un lato, che la necessità di riesaminare la direttiva è imposta dalla direttiva stessa. Essa contiene infatti due disposizioni che prevedono un riesame entro il 23 novembre 2003. Tali disposizioni riguardano le deroghe al periodo di riferimento per l'applicazione dell'art. 6 (durata massima settimanale del lavoro) e la facoltà di non applicare l'art. 6 qualora il lavoratore interessato dia il proprio assenso (art. 22: opt-out individuale). D'altro lato, la Commissione rileva che l'interpretazione di tali disposizioni data dalla Corte di giustizia ha inciso sulla nozione di «orario di lavoro» e, di conseguenza, su talune disposizioni fondamentali della direttiva, che vanno pertanto riesaminate.

1.3

Sempre secondo la relazione introduttiva, dalla consultazione in due fasi prevista dal Trattato risulta che le parti sociali hanno declinato l'invito della Commissione ad aprire negoziati in questo settore e hanno chiesto invece di presentare una proposta di direttiva.

1.4

La Commissione sottolinea inoltre la necessità di una soluzione equilibrata che affronti le principali questioni sottoposte all'esame delle parti sociali e soddisfi determinati criteri. In particolare, essa deve:

garantire una maggiore protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori nel quadro dell'orario di lavoro,

dare alle imprese ed agli Stati membri una maggiore flessibilità nella gestione dell'orario di lavoro,

rendere più compatibili la vita professionale e quella familiare,

evitare di imporre oneri eccessivi alle imprese, soprattutto alle PMI (2).

1.5

Secondo la Commissione, la proposta in esame tiene conto dei summenzionati criteri.

2.   Sintesi della proposta

2.1   Definizioni (art. 2)  (3)

2.1.1

La definizione di «orario di lavoro» rimane invariata. Vengono però inserite due nuove definizioni: «servizio di guardia» e «periodo inattivo del servizio di guardia». Quest'ultimo viene definito come periodo durante il quale il lavoratore è di guardia, «ma non è chiamato dal suo datore di lavoro ad esercitare la propria attività o le proprie funzioni» (art. 2, punto 1 ter).

2.1.2

Al tempo stesso, il nuovo testo sancisce che «il periodo inattivo del servizio di guardia non è considerato come orario di lavoro, a meno che la legge nazionale o, conformemente alla legislazione e/o alle pratiche nazionali, un contratto collettivo o un accordo tra parti sociali non dispongano altrimenti» (art. 2 bis).

2.2   Periodi di riferimento (artt. 16 e 19) e periodo compensativo (art. 17)

2.2.1

Il periodo di riferimento per la durata massima settimanale del lavoro di cui all'art. 6 resta fondamentalmente limitato a un arco di tempo «non superiore a quattro mesi». Si propone di integrare il testo della direttiva inserendo una disposizione in base alla quale «gli Stati membri possono, per via legislativa o regolamentare, per ragioni oggettive o tecniche o per ragioni riguardanti l'organizzazione del lavoro, portare tale periodo di riferimento a dodici mesi» (art. 16, lettera b)). In tale contesto vanno però rispettati i principi generali in materia di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, nonché quelli relativi alla consultazione delle parti sociali, ed è necessario promuovere il dialogo sociale.

2.2.2

In caso di deroga al periodo di riferimento relativo alla durata massima settimanale del lavoro in virtù di un contratto collettivo, il limite di sei mesi finora previsto non si applica. Gli Stati membri hanno tuttavia la facoltà di consentire che, per ragioni obiettive, tecniche o inerenti all'organizzazione del lavoro, «i contratti collettivi o gli accordi conclusi tra le parti sociali fissino periodi di riferimento, relativi alla durata massima settimanale del lavoro, che non superino in alcun caso i dodici mesi» (art. 19). In tale contesto vanno rispettati i principi generali della protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori.

2.2.3

L'art. 3 e l'art. 5 della direttiva prevedono rispettivamente per ogni periodo di 24 ore un periodo di riposo giornaliero di 11 ore consecutive, e per ogni periodo di 7 giorni un periodo di riposo ininterrotto di 24 ore a cui si sommano le 11 ore di riposo giornaliero. In caso di deroga a queste disposizioni, ai lavoratori devono essere concessi periodi di riposo compensativo equivalenti. Per quanto riguarda queste possibilità di deroga ai requisiti minimi previsti dalla direttiva nel caso di determinate attività o categorie di lavoratori, tra cui quelli che operano nel settore sanitario, viene precisato il limite di tempo ragionevole entro il quale vanno concessi equivalenti periodi di riposo compensativo, specificando che non deve essere «superiore a 72 ore» (art. 17, par. 2).

2.3   Opt-out individuale (art. 22)

2.3.1

A norma della direttiva vigente, gli Stati membri, a determinate condizioni, hanno facoltà di non applicare l'art. 6 relativo alla durata massima settimanale del lavoro, purché il lavoratore dia il suo consenso. La proposta di modifica mantiene questa possibilità di opt-out individuale, ma prevede espressamente che vi si possa ricorrere solo a condizione che ciò sia previsto da un contratto collettivo. Qualora non sia in vigore alcun contratto collettivo e non vi sia una rappresentanza aziendale, continuerà ad essere possibile non applicare l'art. 6 relativo alla durata massima settimanale del lavoro mediante un accordo individuale con il lavoratore. Anche in questo caso vanno rispettati i principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori.

2.3.2

Per quanto riguarda il ricorso alla facoltà individuale di non applicare talune disposizioni (opt-out), le seguenti condizioni sono nuove rispetto alla direttiva in vigore:

la validità del necessario accordo del lavoratore non può essere superiore a un anno, rinnovabile; qualora il consenso sia stato dato all'atto della firma del contratto di lavoro o durante il periodo di prova, esso è nullo,

gli Stati membri devono garantire che nessun lavoratore presti più di 65 ore di servizio alla settimana, a meno che il contratto collettivo o un accordo tra le parti sociali non dispongano altrimenti,

nei registri che il datore di lavoro è obbligato a tenere va indicato il numero delle ore di servizio effettivamente prestate e il datore di lavoro, su richiesta, deve comunicare tali dati alle autorità competenti.

2.3.3

La proposta di modifica prevede inoltre che la Commissione europea, al più tardi cinque anni dopo l'entrata in vigore della direttiva, presenti una relazione sull'attuazione della direttiva, in particolare in merito all'opt-out individuale.

3.   Valutazione generale

3.1

Avendo posizioni molto divergenti in merito alla revisione della direttiva, le parti sociali europee non hanno fatto ricorso alla possibilità di concludere accordi prevista dall'art. 139 del Trattato CE. I punti di vista contrastanti emersi dalla seconda fase di consultazione effettuata dalla Commissione europea vengono presentati nella relazione introduttiva della proposta di direttiva all'esame. Mentre la Confederazione europea dei sindacati (CES) era disposta ad avviare i negoziati, l'UNICE, alla luce delle reazioni della CES ai documenti di consultazione della Commissione, non ha visto alcuna possibilità […] di raggiungere un accordo sulla revisione della direttiva attraverso negoziati nel quadro del dialogo sociale  (4). Il Comitato deplora che non vi siano stati negoziati fra le parti sociali. Ritiene tuttavia che il suo compito non sia quello di sostituirsi a tali negoziati. Piuttosto, ribadisce nuovamente che le parti sociali devono avere un ruolo essenziale proprio per quanto riguarda la questione dell'orario di lavoro (5). A suo giudizio, la Commissione e il Consiglio dovrebbero cercare, assieme al Parlamento europeo, un compromesso che tenga conto in modo equilibrato degli interessi di entrambe le parti sociali. Il Comitato, nel presente parere, si limiterà pertanto a formulare alcune considerazioni e valutazioni di ordine generale sulla proposta di modifica presentata dalla Commissione europea.

3.2

La globalizzazione dei mercati e delle relazioni produttive e il conseguente accentuarsi della ripartizione del lavoro a livello internazionale pongono le imprese e l'economia europea nel suo insieme dinanzi a nuove sfide. Senza dubbio la globalizzazione comporta un inasprimento della concorrenza internazionale e rende necessario adeguarsi alle condizioni del mercato in evoluzione. Questi sviluppi mettono sotto pressione anche il modello sociale europeo, la cui caratteristica è quella di combinare la forza economica e il progresso sociale. Il modello di sviluppo europeo, che trova espressione nella strategia di Lisbona, si basa su una strategia integrata per promuovere le prestazioni economiche, gli investimenti sulle risorse umane, la coesione sociale, la qualità del lavoro, un livello di protezione sociale elevato e il riconoscimento dell'importanza del dialogo sociale. Gli standard sociali minimi quale strumento fondamentale della politica sociale europea dovrebbero portare a un miglioramento del livello di protezione, onde limitare la concorrenza in materia di standard sociali ed evitare al tempo stesso distorsioni della concorrenza. La revisione della direttiva sull'orario di lavoro andrebbe esaminata in questo contesto per appurare se soddisfi o meno questo obiettivo.

3.3

La direttiva comunitaria sul tempo di lavoro rappresenta una prescrizione minima ai sensi del Trattato per conseguire gli obiettivi della Comunità in campo sociale. Nelle disposizioni sociali del Trattato viene sancito l'obiettivo di un «miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, che consenta la loro parificazione nel progresso» (art. 136 TCE). In tale contesto, il Trattato rinvia espressamente alla Carta sociale europea del 1961 e alla Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989 e sottolinea che, nel perseguire gli obiettivi sociali della Comunità, si deve tener presente lo spirito di tali testi. A norma della Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori del 1989 «ogni lavoratore deve beneficiare nell'ambiente di lavoro di condizioni di protezione sanitaria e di sicurezza soddisfacenti» e vanno adottati provvedimenti «al fine di progredire nell'armonizzazione delle condizioni esistenti in tale campo» (6). Nella Carta sociale europea del Consiglio d'Europa del 1961 (riveduta nel 1996), che è stata riconosciuta da tutti gli Stati membri dell'UE, viene sancito il diritto sociale a condizioni di lavoro eque. La Carta sociale sancisce anche l'obbligo per le Parti contraenti di «fissare una durata ragionevole per il lavoro giornaliero e settimanale in vista di ridurre gradualmente la settimana lavorativa» e di «garantire un riposo settimanale» (art. 2). Dal tenore di entrambe le Carte risulta che la limitazione e la graduale riduzione dell'orario di lavoro costituiscono un diritto sociale fondamentale e che l'armonizzazione mediante prescrizioni minime a livello europeo deve condurre al progresso sociale.

3.4

Con la Carta dei diritti fondamentali dell'UE, che è parte integrante della futura Costituzione europea, il diritto a una limitazione della durata massima del lavoro viene sancito come un diritto sociale fondamentale, vincolante per l'Unione. Il diritto fondamentale a condizioni di lavoro giuste ed eque viene precisato nei seguenti termini: «Ogni lavoratore ha diritto a una limitazione della durata massima del lavoro, a periodi di riposo giornalieri e settimanali e a ferie annuali retribuite» (7). Il Comitato reputa che la valutazione della proposta di modifica in esame debba prendere le mosse da questa evoluzione avvenuta a livello europeo verso un diritto sociale fondamentale e debba avvenire alla luce di questi sviluppi. C'è però da chiedersi se la proposta di modifica contribuisca ad affermare questo diritto sociale fondamentale mediante prescrizioni minime applicabili in tutta Europa o se non venga introdotto piuttosto un margine di flessibilità più ampio, a vantaggio degli interessi economici, senza tener conto al tempo stesso delle esigenze di tutela dei lavoratori. In questo caso, saremmo ben lontani da una risposta adeguata alla novità dei cambiamenti da realizzare in termini di flessibilità d'impresa e di garanzie di sicurezza dei lavoratori, come esigono una società di servizi e una società della conoscenza. Ciò vale per tutte le imprese ma più particolarmente per le piccole e medie imprese e le imprese dell'economia sociale.

3.5

Inoltre, la proposta della Commissione europea va giudicata dalla misura in cui vengono raggiunti gli obiettivi fissati dalla Commissione stessa. Questi ultimi consistono nel fare in modo che il miglioramento della protezione della salute e della sicurezza sul lavoro sia accompagnato da una maggiore flessibilità nella gestione dell'orario di lavoro, soprattutto ai fini di una migliore compatibilità tra lavoro e famiglia, evitando nel contempo di gravare eccessivamente sulle PMI. Il Comitato ha già analizzato tali obiettivi nel proprio parere in merito alla comunicazione della Commissione relativa al riesame della direttiva sull'organizzazione dell'orario di lavoro (8) e ha rilevato che «la direttiva deve essere considerata come uno strumento che offre un margine sufficiente di flessibilità contrattata» (9) e che «la legislazione nazionale in materia di orario di lavoro si fonda generalmente sull'idea che il datore di lavoro e il lavoratore condividono la responsabilità di organizzare in modo soddisfacente il tempo di lavoro. Spetta alle parti sociali dei vari Stati membri risolvere a diversi livelli, sulla base delle norme vigenti in materia e sempre nel quadro dei contratti collettivi, i problemi di orario che emergono sul luogo di lavoro» (10). Il Comitato reputa che spetti in primo luogo agli Stati membri provvedere alla protezione generale della salute e della sicurezza sul lavoro, limitando per via legislativa la durata massima del lavoro settimanale. Le parti sociali possono invece concordare, nel quadro dei massimali fissati mediante leggi o contratti collettivi, forme flessibili dell'organizzazione dell'orario di lavoro che tengano conto delle particolari esigenze di un determinato settore garantendo al tempo stesso la salute e la sicurezza sul lavoro, al fine di conciliare la flessibilità e la sicurezza sociale. A parere del Comitato si tratta di trovare il giusto equilibrio tra flessibilità e protezione sociale, il che può essere garantito al meglio mediante contratti collettivi.

3.6

La direttiva in vigore consente di estendere il periodo di riferimento al di là dei 4 mesi, in caso di sovraccarico di lavoro, esclusivamente mediante contratti collettivi. La proposta di modifica in esame consente per la prima volta agli Stati membri di portare il periodo di riferimento a dodici mesi, mediante disposizioni legislative, regolamentari e amministrative.

Il Comitato ha già affrontato la questione nel suo precedente parere, rilevando quanto segue: «dato che, in virtù dei contratti collettivi, il periodo di riferimento di dodici mesi viene già applicato in numerosi Stati membri, il Comitato ritiene che le parti sociali, grazie alla possibilità di estendere tale periodo, dispongano della flessibilità necessaria per adattare gli orari di lavoro alle diverse realtà dei vari Stati membri, dei loro comparti e delle singole imprese. Tale norma dovrebbe pertanto essere mantenuta» (11). Secondo il Comitato, i modelli di orario di lavoro flessibili concepiti nei limiti previsti dalla direttiva in vigore e sulla base dei contratti collettivi, vanno incontro anche all'interesse dei lavoratori a disporre più liberamente del proprio tempo e, in particolare, permettono di conciliare meglio il lavoro e la famiglia. Inoltre consentono di garantire la tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori, che è un aspetto d'importanza fondamentale.

3.7

Stando alla proposta della Commissione europea, il cosiddetto periodo inattivo del servizio di guardia non va considerato come orario di lavoro. Il criterio di distinzione applicato in questo contesto è quello della richiesta da parte del datore di lavoro. L'inserimento di una definizione di «servizio di guardia» e soprattutto di «periodo inattivo del servizio di guardia» non è compatibile con le sentenze della Corte di giustizia nelle cause Simap, Sergas, Jaeger e Pfeiffer, nelle quali si afferma che il fatto di «tenersi a disposizione sul luogo di lavoro» è di per sé una prestazione lavorativa e va quindi sommato all'orario di lavoro (12). La giurisprudenza della Corte di giustizia non si basa solo su un'interpretazione letterale della direttiva in vigore, ma tiene conto anche del suo significato e del suo obiettivo, nonché di strumenti giuridici internazionali quali le convenzioni ILO sulla durata del lavoro n. 1 (industria) e n. 30 (commercio e uffici) e la Carta sociale europea. Ciò significa che gli Stati membri, nella loro legislazione nazionale in materia di orario di lavoro, avrebbero dovuto uniformarsi a questa interpretazione che la Corte di giustizia ha dato del concetto di orario di lavoro di cui nella direttiva vigente.

3.7.1

Il criterio della richiesta del datore di lavoro fa sì che il fatto di «tenersi a disposizione» sul luogo di lavoro non venga più considerato una prestazione lavorativa. Questa posizione non riconosce il fatto che i lavoratori che prestano servizio di guardia non hanno la libertà di scegliere quali attività svolgere sul posto di lavoro, non hanno tempo libero né possono godere di un periodo di riposo. Il fatto che il lavoratore non possa disporre liberamente del proprio tempo, ma debba essere pronto ad intervenire in qualsiasi momento sul luogo di lavoro, cioè che egli debba «tenersi a disposizione», è insito nella natura stessa del servizio di guardia. Equiparando questa situazione particolare al «tempo di riposo», l'orario di lavoro risulterebbe eccessivamente lungo e metterebbe in serio pericolo la protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori interessati. Inoltre appare quasi impossibile, all'atto pratico, subordinare il periodo inattivo all'assenza di una richiesta esplicita da parte del datore di lavoro, in quanto l'esercizio di un'attività concreta dipende dalle necessità puntuali riscontrate sul posto di lavoro e non da una richiesta del datore di lavoro, come è facile comprendere nel caso delle prestazioni ospedaliere o degli interventi dei pompieri.

3.7.2

Il Comitato, nel suo precedente parere, ha già riscontrato che «l'elaborazione di norme che disciplinino l'orario di lavoro nei contratti collettivi è di vitale importanza per le parti sociali, che vantano grande esperienza in materia» (13). A parere del Comitato questo vale anche e soprattutto per le disposizioni in materia di organizzazione dell'orario di lavoro nel caso dei servizi di guardia. Questo aspetto dovrebbe pertanto restare di competenza delle parti sociali, fatti salvi i testi fondamentali di cui al punto 3.7, che esse sono tenute a rispettare.

3.7.3

Il CESE è consapevole del fatto che le condizioni alle quali viene sollecitato l'intervento del lavoratore durante il servizio di guardia sono diverse per ogni settore, ogni profilo professionale e ogni impresa. Tuttavia, secondo il Comitato, la proposta della Commissione di operare una suddivisione generale in un periodo attivo e uno inattivo del servizio di guardia non contribuisce a risolvere questi problemi pratici. Il servizio di guardia inteso come particolare forma di orario di lavoro deve essere disciplinato da norme specifiche concepite in base alle esigenze dei singoli settori e delle singole attività, che devono essere stabilite dalle parti che negoziano i contratti collettivi. La prassi dei contratti collettivi offre numerosi buoni esempi al riguardo.

3.8

Per quanto riguarda la concessione di periodi di riposo compensativo equivalenti in caso di deroga alle norme minime sui tempi di riposo stabiliti, la direttiva in vigore non prevede alcun termine. La precisazione contenuta nella proposta di modifica costituisce quindi un chiarimento che, però, non è in linea con la giurisprudenza della Corte di giustizia in materia. Nella sentenza sul caso Jaeger, la CGCE aveva infatti stabilito che i periodi di riposo compensativo dovessero essere concessi immediatamente. Il CESE ritiene che un certo grado di flessibilità nella concessione del riposo compensativo, come previsto dalla modifica, possa essere positivo sia per l'impresa che per il lavoratore interessato, tenendo conto anche della protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori. Anche in questo caso le soluzioni adeguate alle condizioni specifiche delle varie imprese devono essere stabilite dalle parti che negoziano i contratti collettivi, al livello opportuno, a seconda delle prassi nazionali.

3.9

La possibilità di un opt-out individuale costituisce una deroga generale alle prescrizioni minime fissate dalla direttiva in materia di durata massima settimanale del lavoro. Anche se la proposta di modifica introduce alcune condizioni supplementari in grado di limitare gli abusi, il fatto che la possibilità di deroga individuale sia fondamentalmente subordinata a un contratto collettivo non deve però far dimenticare che, in tal modo, la responsabilità in materia di protezione della salute e della sicurezza sul lavoro mediante una limitazione, per via legislativa, della durata massima del lavoro settimanale, passa dagli Stati membri alle parti sociali. Inoltre si può continuare ad applicare questa deroga qualora non sia in vigore alcun contratto collettivo e qualora nell'impresa o nello stabilimento non esista una rappresentanza collettiva.

3.9.1

Il Comitato, nel suo precedente parere, si è già soffermato sulle possibili conseguenze di questa deroga sulla protezione della salute e della sicurezza sul lavoro e ha sottolineato che la direttiva «prevede espressamente che uno Stato membro può applicare l'opt-out solo nel rispetto dei principi generali della protezione della sicurezza e della salute dei lavoratori» (14). Il Comitato riconosce che la Commissione europea, con la sua proposta di modifica, cerca di limitare gli abusi. Dubita tuttavia che le ulteriori condizioni proposte siano adeguate a tal fine. Il Comitato segnala che, in linea di massima, mantenere la facoltà di opt-out individuale è contrario all'obiettivo della direttiva stessa quale prescrizione europea minima per la protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori. Il fatto che la Commissione condivida queste perplessità si evince dalla comunicazione stessa presentata nel quadro della prima fase delle consultazioni delle parti sociali, nella quale si legge: «L'obiettivo della direttiva di proteggere la salute e la sicurezza dei lavoratori può essere compromesso dalle disposizioni dell'art. 18, par. 1, lettera b), punto i), che consentono di lavorare — per scelta volontaria e individuale — in media più di 48 ore […] alla settimana su un periodo determinato» (15). E ancora: [L']esperienza disponibile a questo proposito […] rivela anche un effetto imprevisto: per i lavoratori che hanno sottoscritto l'accordo d'opt-out è difficile garantire (o quanto meno controllare) il rispetto delle altre disposizioni della direttiva.« (16) Il Comitato desidera pertanto sollevare la questione del perché la Commissione non abbia applicato l'opzione indicata nel proprio documento di consultazione relativo alla seconda fase delle consultazioni delle parti sociali, che consiste nel dar seguito alla proposta del Parlamento europeo, sopprimendo progressivamente, quanto prima, l'opt-out individuale e fissando, nel frattempo, condizioni più rigorose per la sua applicazione a norma dell'art. 18, par. 1, lettera b), punto i), onde garantirne il carattere volontario e impedire eventuali abusi  (17)».

3.10

Un altro obiettivo generale della proposta di modifica è quello di contribuire ad una migliore compatibilità tra la vita professionale e quella familiare. In questo contesto la Commissione rimanda alle modifiche proposte in merito all'art. 22, par. 1 (opt-out individuale), nonché al sesto considerando del testo in esame, che invita le parti sociali a concludere accordi al riguardo. Il CESE ritiene che la Commissione, con questi riferimenti, stia procedendo ad una eccessiva semplificazione del problema. Una migliore compatibilità tra lavoro e famiglia richiede già a priori tempi di lavoro programmabili e calcolabili, una flessibilità cioè che non sia esclusivamente orientata sulle esigenze aziendali, ma che lasci ai genitori la possibilità di distribuire l'orario di lavoro in base alle esigenze familiari. L'opt-out individuale, consentendo di prolungare l'orario di lavoro giornaliero e settimanale oltre il minimo previsto dalla direttiva, non fornisce invece proprio alcun contributo in tal senso. Già nel suo precedente parere il CESE aveva dichiarato che «l'opt-out sembrerebbe dunque avere un effetto negativo sulla parità di opportunità tra uomini e donne» (18). Secondo il CESE la direttiva in vigore prevede già una flessibilità sufficiente per tener conto delle esigenze specifiche delle famiglie; l'opt-out rappresenta più una complicazione che una semplificazione.

4.   Conclusioni

4.1

A giudizio del Comitato, dall'analisi generale della proposta di modifica emergono dubbi fondati circa l'adeguatezza della proposta della Commissione a conseguire realmente gli obiettivi perseguiti. Tali dubbi riguardano in particolare l'auspicato equilibrio tra flessibilità e protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori, e quindi anche la migliore compatibilità tra vita professionale e familiare. Se si giunge alla conclusione che la proposta della Commissione non porta ad un equilibrio tra questi obiettivi, l'unica conseguenza logica consiste nel modificare la proposta stessa. Secondo il CESE spetta adesso al Parlamento europeo, nel quadro della procedura legislativa, presentare gli emendamenti necessari. A questo proposito il CESE ritiene che sia abbastanza legittimo chiedersi se l'opt-out individuale, che offre la possibilità di derogare alla norma minima centrale sull'orario di lavoro massimo settimanale, sia in linea con gli obiettivi dei diritti fondamentali sanciti dalla nuova Costituzione europea.

4.2

Il CESE intende sottolineare ancora una volta che il compito precipuo delle parti che negoziano i contratti collettivi nazionali è quello di concordare dei modelli di orario di lavoro flessibili, che tengano conto delle esigenze specifiche di ciascun settore, nel rispetto dei diritti fondamentali. Ciò vale in particolare per le norme che disciplinano il servizio di guardia inteso come particolare forma di orario di lavoro.

4.3

Il CESE si rivolge quindi alla Commissione europea, al Parlamento europeo e al Consiglio dell'Unione europea, chiedendo loro di tener conto, nella revisione della direttiva, di quanto segue:

ruolo primario delle parti sociali nell'esame del periodo di riferimento per il calcolo dell'orario di lavoro massimo settimanale, nei limiti stabiliti dalla direttiva,

garanzia di un approccio al servizio di guardia compatibile con la giurisprudenza della CGCE, che dia priorità alle soluzioni negoziate mediante contratti collettivi,

misure adeguate in materia di organizzazione dell'orario di lavoro ai fini di una migliore compatibilità tra la vita professionale e quella familiare,

valutazione dell'opt-out individuale per stabilire se mantenere questa opzione non sia contrario allo spirito e alle finalità della direttiva stessa.

Bruxelles, 11 maggio 2005.

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  COM(2004) 607 def. - 2004/209 (COD).

(2)  COM(2004) 607 def. - 2004/209 (COD), pag. 4.

(3)  Gli articoli citati ai punti 2.1, 2.2 e 2.3 sono quelli della direttiva 2003/88/CE.

(4)  Lettera dell'UNICE al commissario DIMAS del 2.6.2004 (non disponibile in lingua italiana).

(5)  Parere del CESE, del 30 giugno 2004, in merito alla «Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni e alle parti sociali a livello comunitario relativa al riesame della direttiva 93/104/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro», punto 2.2.5 (GU C 302 del 7.12.2004, pag. 74).

(6)  Carta comunitaria dei diritti sociali fondamentali dei lavoratori, punto 19.

(7)  Carta dei diritti fondamentali dell'Unione, art. 31 (art. II-91 del Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa).

(8)  Comunicazione della Commissione relativa al riesame della direttiva 93/104/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, COM(2003) 843 def. del 15.1.2004.

(9)  Cfr. il parere del CESE citato alla nota 5, punto 2.2.8.

(10)  Idem, punto 2.2.7.

(11)  Idem, punto 3.1.7.

(12)  Idem, punto 3.2.2.

(13)  Idem, punto 2.2.6.

(14)  Idem, punto 3.3.2.

(15)  COM(2003) 843 def. del 30.12.2003, pag. 22. La citazione si riferisce all'articolo 18 della direttiva 93/104/CE.

(16)  Idem, pag. 22.

(17)  Documento di consultazione della Commissione europea: Seconda fase delle consultazioni delle parti sociali a livello comunitario in merito alla revisione della direttiva 93/104/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro, pag. 14 della versione francese. Il documento non è disponibile in italiano. La citazione si riferisce all'art. 18 della direttiva 93/104/CE.

(18)  Cfr. il parere del CESE citato alla nota 5, punto 3.3.6.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Qui di seguito si riportano gli emendamenti che, pur avendo ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi, sono stati respinti durante il dibattito.

(CONTROPARERE)

Sostituire l'intero parere con il seguente testo:

Il Comitato, in linea generale, appoggia la proposta della Commissione di modificare la direttiva 2003/88/CE concernente taluni aspetti dell'organizzazione dell'orario di lavoro.

La proposta è basata sull'art. 137, parr. 1 e 2, del Trattato che istituisce la Comunità europea, a norma del quale le direttive adottate dovrebbero migliorare l'«ambiente di lavoro, per proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori», evitando di imporre vincoli amministrativi, finanziari e giuridici di natura tale da ostacolare la creazione e «lo sviluppo di piccole e medie imprese». Il Comitato è convinto che la proposta della Commissione garantisca un elevato livello di protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori, consentendo al tempo stesso alle imprese di gestire in modo flessibile l'orario di lavoro.

Il Comitato è pienamente favorevole ai criteri indicati dalla Commissione, sui quali dovrà basarsi qualsiasi eventuale proposta:

garantire un elevato livello di protezione della salute e della sicurezza dei lavoratori nel quadro dell'orario di lavoro,

dare alle imprese e agli Stati membri una maggiore flessibilità nella gestione dell'orario di lavoro,

rendere più compatibili la vita professionale e quella familiare,

evitare di imporre oneri eccessivi alle imprese, soprattutto alle PMI.

La Commissione ha giustamente sottolineato l'importante ruolo svolto al riguardo dagli Stati membri e dalle parti sociali a livello nazionale, settoriale o aziendale.

Più precisamente, il Comitato rileva che in numerosi Stati membri viene già applicato un periodo di riferimento di 12 mesi: per questo motivo le attuali disposizioni dovrebbero promuovere un periodo di riferimento di un anno.

Quanto al servizio di guardia, il Comitato sottolinea che in numerosi Stati membri vigono pratiche e norme nazionali che prevedono disposizioni relative al periodo del servizio di guardia in vari settori, e in particolare in quello sanitario. Tali disposizioni sono per molti aspetti diverse tra loro, ma tutte sono accomunate dal fatto che il servizio di guardia non viene considerato affatto o solo in parte come orario di lavoro.

Il Comitato condivide la posizione della Commissione, secondo la quale il periodo inattivo del servizio di guardia non va considerato come orario di lavoro. Questo è di fondamentale importanza per il buon funzionamento di tutte le imprese, specialmente delle PMI, e per l'ulteriore sviluppo dell'economia sociale.

Il Comitato fa inoltre presente che il servizio di guardia non va considerato come un periodo di riposo in quanto, così facendo, l'orario di lavoro risulterebbe eccessivamente lungo e questo potrebbe rendere più difficoltoso conciliare la vita professionale e quella familiare e rischierebbe di mettere in pericolo la salute e la sicurezza dei lavoratori.

Il Comitato reputa che, se necessario, per il periodo inattivo del servizio di guardia si potrebbe fissare un numero medio di ore, al fine di tener conto delle diverse esigenze dei vari comparti ed imprese.

A parere del Comitato, la possibilità di opt-out andrebbe mantenuta e l'opt-out collettivo andrebbe posto su un piano di parità con quello individuale. Questo è importante per tener conto delle diverse pratiche in materia di relazioni industriali nell'UE allargata, delle esigenze delle imprese, nonché delle esigenze e dei desideri dei lavoratori, che potrebbero voler lavorare più a lungo in determinati periodi della loro vita.

Ciononostante, occorre garantire che questa possibilità continui ad essere facoltativa, che non se ne faccia abuso e che i lavoratori, se cambia la loro situazione personale, possano ritirare il proprio consenso a lavorare più a lungo. Pertanto, il Comitato è favorevole alle ulteriori condizioni di applicazione dell'opt-out proposte nel documento della Commissione.

Esito della votazione:

Voti favorevoli:

:

109

Voti contrari:

:

156

Astensioni:

:

7


27.10.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 267/22


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il ruolo dello sviluppo sostenibile nelle prossime prospettive finanziarie

(2005/C 267/04)

La futura presidenza lussemburghese del Consiglio dell'Unione europea, in data 29 novembre 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'art. 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema Il ruolo dello sviluppo sostenibile nelle prossime prospettive finanziarie

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 18 aprile 2005, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SIRKEINEN e dai correlatori EHNMARK e RIBBE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 11 maggio 2005, nel corso della 417a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 151 voti favorevoli, 1 voto contrario e 8 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Già in passato il CESE ha adottato pareri in cui esaminava estesamente la strategia di sviluppo sostenibile dell'UE. Nel presente parere esplorativo viene discussa, come richiesto dalla presidenza lussemburghese, la relazione tra sviluppo sostenibile e prospettive finanziarie, vale a dire ciò che si può e si deve fare, nel quadro delle politiche di bilancio, per integrare e rafforzare lo sviluppo sostenibile. Questo parere è strutturato secondo i capitoli e le aree prioritarie della comunicazione sulle prospettive finanziarie.

1.2

Tra il bilancio dell'UE e l'obiettivo dello sviluppo sostenibile sussiste un rapporto complesso. Nel presente parere il Comitato tenta di gettare luce su tale rapporto, ma non può esaminarne tutti i particolari. È quindi importante raccogliere e analizzare informazioni e opinioni su vasta scala riguardo alle varie questioni in gioco.

1.3

Il Comitato è pronto a partecipare attivamente al seguito dei lavori in tema di sviluppo sostenibile. A tal fine esso può fornire un importante contributo nel quadro del mandato affidatogli dal Consiglio europeo nel marzo 2005 in relazione all'attuazione della strategia di Lisbona. La rete interattiva comprendente la società civile e i soggetti interessati, che il Comitato deve predisporre, costituisce la struttura di riflessione adeguata per eseguire una valutazione efficace, multidimensionale (economica, sociale e ambientale) e trasparente, rafforzando al tempo stesso l'appropriazione delle politiche comunitarie da parte dei soggetti locali.

2.   La comunicazione della Commissione sulle prospettive finanziarie 2007-2013

2.1

Nella comunicazione «Costruire il nostro avvenire comune — Sfide e mezzi finanziari dell'Unione allargata 2007-2013» (1), la Commissione presenta le proprie priorità per l'Unione europea allargata e le proposte relative ai fabbisogni finanziari, agli strumenti, alla governance, al nuovo quadro finanziario e al sistema di finanziamento. Le tre priorità delle nuove prospettive finanziarie sono:

completare il mercato interno, in particolare per raggiungere l'obiettivo più ampio dello sviluppo sostenibile,

promuovere il concetto politico di cittadinanza europea, basato sul completamento di uno spazio di libertà, giustizia e sicurezza e sull'accesso ai beni pubblici,

far assurgere l'Europa a partner globale che promuove lo sviluppo sostenibile e contribuisce alla sicurezza.

2.1.1

La proposta di un nuovo quadro finanziario si articola nei seguenti titoli (v. tabella in allegato):

1.

Crescita sostenibile

1a.

Competitività per la crescita e l'occupazione

1b.

Coesione per la crescita e l'occupazione

2.

Conservazione e gestione delle risorse naturali, inclusa l'agricoltura

3.

Cittadinanza, libertà, sicurezza e giustizia

4.

L'UE quale partner globale

5.

Amministrazione.

2.1.2

La Commissione raccomanda una crescita maggiore della spesa per la priorità 1. Viene proposta una crescita degli stanziamenti di impegno complessivi da 120,7 milioni di euro nel 2006 a 158,4 milioni di euro nel 2013. Tali stanziamenti, compreso un margine dello 0,1 %, dovrebbero essere coperti da versamenti pari all'1,24 % dell'RNL.

2.1.3

Nel parere sulle prospettive finanziarie 2007-2013 il CESE apprezza nel complesso la comunicazione della Commissione, che giudica ben strutturata, basata su premesse politiche solide e lungimiranti, contenente priorità e scelte pratiche chiare e coerenti e in generale equilibrata. Per quanto attiene al livello delle risorse proprie del bilancio comunitario, il CESE ritiene necessario «optare per l'aumento» di tali risorse «per il nuovo periodo di programmazione 2007-2013, portandole, al di là del quadro finanziario in vigore, all'importo massimo dell'1,30 % dell'RNL».

3.   Osservazioni generali

3.1

È della massima importanza che le nuove prospettive finanziarie, le quali faranno da cornice ai bilanci dell'UE dal 2007 al 2013, riflettano chiaramente le priorità dell'Unione e specialmente gli obiettivi di Lisbona e lo sviluppo sostenibile. Per realizzare questo occorrerà una significativa ristrutturazione della spesa. Se non saranno le prospettive finanziarie, dato il loro arco temporale abbastanza esteso, a orientare nella giusta direzione lo sviluppo dell'UE, vi è poca speranza che lo facciano altre politiche o successivi adeguamenti finanziari.

3.2

Il CESE non approfondirà nel presente parere la questione del livello delle risorse proprie, perché lo ha già fatto estesamente nel parere menzionato al punto 2.1. Va tuttavia sottolineato che l'Europa non potrà realizzare le proprie priorità e rispondere alle esigenze e alle aspettative dei suoi cittadini in maniera adeguata a meno che non disponga di un'appropriata dotazione finanziaria. Il finanziamento proveniente dall'UE può avere un rilevante effetto moltiplicatore sul totale delle risorse destinate a un determinato obiettivo, e questo potenziale va sfruttato pienamente. Attualmente esiste una tensione tra la posizione degli Stati contributori netti, quella degli Stati beneficiari netti, gli impegni politici verso i nuovi Stati membri e i loro cittadini e infine l'esigenza di riallocare parte delle risorse verso le nuove priorità dell'UE. Il Comitato sottolinea che sarà necessario modificare la struttura della spesa in favore delle priorità dell'Unione, indipendentemente dal massimale stabilito per le risorse proprie.

4.   Il concetto di sviluppo sostenibile

4.1

La strategia dell'UE per lo sviluppo sostenibile è basata sulla compenetrazione, sull'interdipendenza e sulla coerenza tra i cosiddetti «tre pilastri» rappresentati dagli aspetti economici, sociali e ambientali. Nello sviluppo sostenibile rientrano considerazioni sia quantitative che qualitative. Le decisioni politiche devono tenere conto di tutti e tre gli aspetti. Le politiche dirette principalmente a uno di questi campi, o ad altri settori di intervento, devono tenere conto degli altri campi.

4.2

Lo sviluppo sostenibile comprende un aspetto relativo al lungo periodo e un aspetto globale. Per una questione di equità intergenerazionale, non è pensabile che la presente generazione viva a spese di quelle future. La giustizia distributiva globale non ci consente di vivere a spese di altre società, o soffocando lo sviluppo del loro benessere o ancora rinunciando a eradicare la povertà su scala globale.

4.3

La strategia di sviluppo sostenibile non è una strategia nel senso classico del termine, perché non prevede un obiettivo e un programma di misure per raggiungerlo, bensì assume come proprio obiettivo primario la sostenibilità dell'approccio allo sviluppo. Lo sviluppo sostenibile non è una meta per la quale si possa fissare un termine, poiché costituisce piuttosto un processo che un obiettivo. Ma è importante fare in modo che gli sviluppi in corso, in particolare quelli a lungo termine, siano coerenti fra loro e puntino davvero a realizzare i criteri menzionati più sopra (punti 4.1 e 4.2). La vera sfida dello sviluppo sostenibile consiste nel fatto che non lo si può realizzare attraverso obiettivi o politiche specifici, anche se devono potersi misurare grandi inversioni di tendenza rispetto ai periodi precedenti e a quello attuale (per esempio i progressi per quanto riguarda gli obiettivi del millennio).

4.4

Lo sviluppo sostenibile richiede un livello elevato di coerenza negli interventi sia dell'UE che nazionali. Nel complesso occorrono interventi su grande e su piccola scala, che contribuiscano a contrastare gli sviluppi non sostenibili e a produrre cambiamenti coerenti con gli obiettivi generali. Tra le difficoltà inerenti a questo approccio vi è quella di trovare indicatori che riflettano adeguatamente gli sviluppi.

4.5

Al momento la strategia di sviluppo sostenibile dell'UE si concentra su alcune delle tendenze più urgenti e insostenibili della nostra società: il cambiamento climatico, i trasporti, la salute pubblica e le risorse naturali. Altre questioni, come l'eradicazione della povertà o l'invecchiamento della popolazione, sono state lasciate da parte per essere aggiunte in seguito.

4.6

Nei suoi precedenti pareri in materia di sviluppo sostenibile il Comitato ha segnalato taluni dei settori che necessitano di interventi: in particolare il sostegno agli investimenti privati e pubblici nelle nuove tecnologie pulite, nuovi sforzi per migliorare la qualità del lavoro, la definizione dei prezzi delle risorse naturali e le strategie volte a ridurre la dipendenza dai combustibili fossili.

4.7

Gli interventi in questi settori, per quanto importanti, non sono sufficienti da soli a realizzare l'obiettivo dello sviluppo sostenibile. L'obiettivo e i criteri della sostenibilità dovrebbero riflettersi in tutti gli interventi, e le singole politiche comunitarie dovrebbero essere predisposte in maniera più coerente.

4.8

Potrebbe essere giunto il momento di riconsiderare l'approccio comunitario allo sviluppo sostenibile. L'imminente revisione della strategia dovrà ricercare i modi migliori per attuare i principi generali dello sviluppo sostenibile.

5.   Le prospettive finanziarie e lo sviluppo sostenibile

5.1

Gli sviluppi in corso nell'UE risentono fortemente della struttura e dei contenuti del bilancio; la revisione di tale struttura, con l'introduzione di nuove linee prioritarie, costituisce un riconoscimento dell'importanza dello sviluppo sostenibile. Il Comitato auspica che ciò si rifletta in concreto nell'applicazione del bilancio e che non ci si limiti a proseguire l'azione precedente, sia pure con una diversa denominazione.

5.2

Il Comitato concorda con la Commissione nel ritenere che occorra dare la priorità alla crescita e all'occupazione negli anni che mancano al 2010 e nella prospettiva di Lisbona. Osserva che la crescita va intesa nel senso di crescita economica non disgiunta da valori europei fondamentali quali, in particolare, l'integrazione sociale, la salute e la protezione dell'ambiente. La competitività e la crescita economica non costituiscono finalità in sé, bensì strumenti volti a realizzare obiettivi sociali e ambientali. È anche vero peraltro che una crescita più lenta e una competitività minore di quelle delle altre principali aree economiche possono mettere a repentaglio il modello sociale e i valori ambientali dell'UE.

5.3

Le decisioni in materia di bilancio devono tenere conto del fatto che anche lo sviluppo sociale e ambientale contribuiscono alla crescita economica.

5.4

Nella realizzazione dello sviluppo sostenibile l'UE non è omogenea e la situazione varia considerevolmente da uno Stato membro all'altro. Infatti, mentre alcuni di essi hanno conciliato con successo una crescita economica relativamente forte con un livello elevato di tutela sociale e ambientale, evidenziando così le interazioni positive tra gli sviluppi realizzati nei differenti settori, altri devono far fronte alla situazione opposta, ossia scarsa crescita economica, difficoltà nel risolvere i problemi sociali e ritardi nel campo della tutela ambientale. I nuovi Stati membri si distinguono dai vecchi sia per la crescita che, riguardo agli altri pilastri, per gli evidenti progressi conseguiti rispetto alla difficile situazione di partenza.

5.5

L'ampliamento è stato il principale fattore di cambiamento nell'UE negli ultimi anni ed è probabile che continui ad esserlo anche nel periodo di riferimento delle nuove prospettive finanziarie, dal 2007 al 2013. A sua volta, ciò avrà evidenti ripercussioni sul bilancio e, in particolare, sulla spesa per la coesione. Il Comitato si è già occupato, in altri contesti, delle questioni relative all'ampliamento, tra cui la coesione e il finanziamento. Per quanto riguarda lo sviluppo sostenibile è evidente che l'adesione comporta l'importante sfida di adeguare le politiche nazionali in vista di tale obiettivo e di condividere in questo campo l'azione e le considerazioni dell'UE. A partire dall'adesione l'acquis comunitario guida i nuovi Stati membri nel loro progresso verso la sostenibilità in campo ambientale, sanitario, sociale, e in altri settori; l'acquis infatti, pur non menzionando esplicitamente lo sviluppo sostenibile, lo promuove. Nondimeno la maggior parte del lavoro in questo campo resta da fare e i nuovi Stati membri possono e devono essere aiutati a svilupparsi in modo sostenibile anche grazie a programmi di sostegno comprendenti risorse finanziarie e consulenza.

5.6

Le politiche di bilancio devono dare la priorità ai settori chiave della strategia di sviluppo sostenibile e ad altri settori, menzionati più sopra ai punti 4.4 e 4.5, in cui si evidenziano tendenze chiaramente non sostenibili.

5.7

Un capitolo di bilancio, di per sé, non è né sostenibile né insostenibile. Gli effetti sulla sostenibilità dipendono dai dettagli dei programmi, degli obiettivi e dei criteri di finanziamento dei progetti.

5.8

Tutte le parti in causa, compresa la Commissione, riconoscono che la valutazione di impatto è lo strumento principale per garantire che gli interventi siano coerenti con gli obiettivi dello sviluppo sostenibile; ciò non toglie che l'introduzione di una valutazione sistematica, indipendente e competente di tutte le proposte si sia fatta attendere. Il Comitato ravvisa nella preparazione e nell'attuazione delle nuove prospettive finanziarie un'opportunità per introdurre finalmente nella pratica una valutazione sistematica.

5.9

Ogni programma in bilancio dev'essere sottoposto, con i relativi obiettivi, a una valutazione di impatto. In tale contesto occorrerebbe bloccare il sostegno alle attività non sostenibili svolte in aree indicate nella strategia di sviluppo sostenibile o anche nei pareri del CESE. Come il Comitato ha già raccomandato in precedenza, anche nella strategia di Lisbona occorrerebbe introdurre valutazioni di impatto relative agli effetti a lungo termine sullo sviluppo sostenibile.

5.10

Per selezionare i progetti da finanziare nel quadro dei vari capitoli di bilancio e programmi servono criteri chiari e trasparenti, che contemplino anche la sostenibilità e prendano in esame tra l'altro l'impatto del progetto sull'ambiente o sulla salute, la creazione o la perdita di posti di lavoro e la competitività dell'UE.

5.11

Bisogna vigilare affinché le risorse dei fondi strutturali, quelle del Fondo di coesione e quelle destinate al sostegno dell'agricoltura e ai programmi nel settore delle reti transeuropee, che insieme rappresentano la grande maggioranza della spesa dell'UE, vengano dirette sistematicamente verso finalità tali da soddisfare per quanto possibile i criteri di sostenibilità.

5.12

Nei suddetti settori è necessario controllare meglio i risultati e l'impatto delle spese effettuate, non limitandosi a monitorare le somme investite e le eventuali infrazioni amministrative, ma realizzando invece, per orientare le attività nella giusta direzione, approfonditi studi di impatto alla luce dei criteri di sviluppo sostenibile.

5.13

Per avere un quadro completo su cui basare le decisioni bisogna valutare l'impatto non soltanto delle azioni proposte ma anche dell'eventuale inazione, comparando poi i relativi risultati con l'impatto delle varie misure possibili.

6.   Osservazioni sulle aree prioritarie delle prospettive finanziarie

6.1   A) Crescita sostenibile — Competitività per la crescita e l'occupazione

6.1.1

Il CESE apprezza i principali obiettivi previsti dalla proposta della Commissione in relazione alla competitività per la crescita e l'occupazione: promuovere la competitività delle imprese in un mercato unico pienamente integrato; potenziare gli sforzi europei nel campo della ricerca e dello sviluppo tecnologico; interconnettere l'Europa mediante reti UE; migliorare la qualità dell'istruzione e della formazione e infine un'agenda sociale per aiutare la società europea ad anticipare e gestire il cambiamento.

6.1.2

In questo quadro il Comitato desidera sottolineare in particolare il ruolo essenziale della conoscenza, delle attività di ricerca e sviluppo e delle nuove tecnologie. Dedicando speciale attenzione e risorse adeguate a questo obiettivo l'Europa sfrutterebbe un'opportunità unica di promuovere la produttività, la competitività, la crescita e l'occupazione, malgrado l'aspra concorrenza di altre regioni del mondo. Al tempo stesso sarebbe possibile ridurre la pressione sull'ambiente e sulle risorse naturali grazie all'uso di tecnologie più efficaci sotto il profilo ecologico per far fronte alle esigenze dei cittadini, salvaguardandone così la salute e la sicurezza.

6.1.3

Come è stato sottolineato dal recente forum delle parti interessate sullo sviluppo sostenibile nell'UE, organizzato dal CESE il 14 e 15 aprile di concerto con la Commissione, l'obiettivo globale dello sviluppo sostenibile per l'Unione europea necessita di sforzi sistematici e protratti nel tempo in materia di ricerca e sviluppo, tali da abbracciare tutti i tre pilastri del progresso economico, sociale e ambientale. Numerose università e istituzioni scientifiche dell'UE hanno costituito reti finalizzate a una ricerca coordinata sul tema dello sviluppo sostenibile. Le prospettive finanziarie offrono una valida opportunità per sostenere queste e altre iniziative del genere.

6.1.4

La crescente richiesta di minerali e di petrolio, per citare solo due esempi, e le conseguenze sui loro costi, mettono in luce l'esigenza di sviluppare materiali e processi produttivi nuovi e in generale di utilizzare tecnologie che consentano un uso efficiente delle risorse.

6.1.4.1

Il Comitato ribadisce pertanto il proprio sostegno alla proposta della Commissione relativa allo Spazio europeo della ricerca, all'idea di raddoppiare le dotazioni per il Settimo programma quadro e all'avvio del Piano di azione per le tecnologie ambientali. Nel parere in corso di preparazione relativo al Settimo programma quadro e ai programmi specifici il CESE inserirà anche considerazioni relative allo sviluppo sostenibile.

6.1.5

Nella sezione delle prospettive finanziarie relativa alle reti transeuropee, alle attività di ricerca e sviluppo e all'innovazione occorre dedicare particolare attenzione all'energia e ai trasporti. Bisogna inoltre dare la priorità al sostegno delle tecnologie per lo sviluppo e all'immissione sul mercato di energie rinnovabili, nonché di soluzioni volte a realizzare l'efficienza energetica e a produrre energia pulita. I progetti di reti transeuropee di trasporto che mirano solo ad aumentare il volume dei trasporti non sono conformi al principio della sostenibilità.

6.1.6

Il Comitato ha sottolineato in vari pareri che occorrono sforzi aggiuntivi, in particolare nel settore dei trasporti e dell'energia, per riorientare lo sviluppo in direzione della sostenibilità. Esso ha anche proposto linee di intervento specifiche per realizzare questo obiettivo. La comunicazione sulle prospettive finanziarie non precisa se a tale scopo si intendano dedicare risorse adeguate.

6.1.7

Nel preparare l'UE a un contesto mondiale sempre più competitivo, le prospettive finanziarie dovranno confrontarsi con due sfide diametralmente opposte: primo, il livello elevato di disoccupazione nella maggior parte degli Stati membri, secondo, il prevedibile fabbisogno di manodopera nel prossimo futuro. Il Comitato ha già avanzato delle raccomandazioni su questo tema in vari documenti recenti, in particolare «Politica occupazionale: il ruolo del CESE dopo l'allargamento e nella prospettiva del processo di Lisbona», «Competitività delle imprese» e «Migliorare l'attuazione della strategia di Lisbona».

6.1.8

Il Comitato auspica in particolare che venga adottato un nuovo approccio all'apprendimento permanente, il quale costituisce uno strumento adatto, da un lato, per accrescere l'occupazione, e dall'altro, per creare maggiore consapevolezza sulle questioni da affrontare nella prospettiva dello sviluppo sostenibile. L'apprendimento permanente sembra essere uno degli elementi mancanti nell'attuazione della strategia di Lisbona. Per perseguire seriamente lo sviluppo sostenibile occorre in questo campo una cooperazione tra le parti sociali e un ulteriore contributo finanziario da parte degli Stati membri.

6.2   B) Coesione per la crescita e l'occupazione

6.2.1

La coesione è stata necessaria per approfondire il processo di integrazione. Il Comitato prende atto dello sforzo della Commissione per riorientare le azioni volte a migliorare la coesione verso obiettivi di sviluppo sostenibile.

6.2.2

La politica di coesione dovrebbe mirare ad accrescere i risultati economici e a creare posti di lavoro nuovi e di migliore qualità mobilitando risorse inutilizzate. I fondi comunitari non vanno impiegati per sostenere aziende inefficienti, distorcendo così la concorrenza, o semplicemente per trasferire posti di lavoro da una parte all'altra dell'UE. Le azioni devono essere rivolte anzitutto al sostegno di posti di lavoro nuovi e sostenibili, al miglioramento della competitività, al capitale umano e materiale, al consolidamento del mercato interno e all'aumento della mobilità del lavoro.

6.2.3

Va sostenuta la concentrazione delle risorse in favore delle regioni in ritardo di sviluppo (obiettivo 1) e per una maggiore adesione agli obiettivi strategici generali dell'UE nel quadro dello sviluppo sostenibile. È inoltre essenziale dedicare maggiore attenzione alla cooperazione transfrontaliera, onde integrare più profondamente il mercato interno.

6.2.4

Per le regioni il cui PIL pro capite salirà al di sopra del 75 % della media comunitaria a causa dell'effetto statistico dell'ampliamento è necessario un periodo transitorio, fermo restando che i sussidi dovrebbero essere progressivamente ridotti.

6.2.5

Anche in questo caso occorrerebbe procedere a valutazioni della qualità. Data la disponibilità di finanziamenti provenienti da Bruxelles, risorse considerevoli che avrebbero potuto essere usate molto più efficacemente sono state impiegate per l'attività di pianificazione. A ciò si aggiunga che non sempre la pianificazione regionale ha creato nuovi posti di lavoro in Europa.

6.2.6

A livello locale e regionale serve un maggior senso di responsabilità in relazione alle azioni concrete per lo sviluppo sostenibile. Il Comitato chiede che i progetti relativi alla coesione vengano valutati non solo in termini di crescita economica e di occupazione, ma anche di effetti sullo sviluppo sostenibile a lungo termine della regione in questione.

6.3   Conservazione e gestione delle risorse naturali

La politica agricola comune (PAC)

6.3.1

Nel parere sul tema «Il futuro della PAC (2)» il Comitato descrive e commenta estesamente i diversi stadi della riforma di tale politica e indica la difficile situazione di un'agricoltura sostenibile in Europa nel contesto dei mercati globalizzati. Al riguardo il Comitato constata che alla vigilia di ogni riforma ci sono sempre state osservazioni e discussioni critiche in merito alla correttezza e all'equilibrio della spesa agricola sotto il profilo sociale, come pure in relazione alle eventuali ripercussioni per l'ambiente. Tali discussioni non sono destinate a concludersi con la riforma di Lussemburgo.

6.3.2

Ciò ha indotto la Commissione ad avanzare ripetutamente proposte volte a riorientare la spesa agricola verso una «maggiore sostenibilità». Ad esempio, l'ex commissario per l'agricoltura FISCHLER ha prospettato in un primo tempo l'introduzione di un massimale, quindi una riduzione progressiva dei pagamenti onde perseguire una ripartizione «più equa» del sostegno. Inoltre i commissari McSHARRY e FISCHLER hanno più volte menzionato la possibilità di subordinare la concessione di aiuti diretti al rispetto di condizioni ambientali, peraltro non previste dalla legislazione in vigore, in modo da qualificare come ecologici i finanziamenti erogati. Queste proposte non hanno tuttavia trovato una maggioranza nel Consiglio.

6.3.3

La riforma agricola predisposta nell'estate del 2003 concede in linea di principio agli Stati membri due opzioni differenti per l'introduzione del pagamento per azienda attraverso il quale verranno erogati i nuovi aiuti diretti: o un pagamento il cui ammontare è orientato a quelli erogati sinora all'azienda, o un premio riferito alla superficie dell'azienda o che comunque tiene conto di tale superficie (nel quadro della cosiddetta regionalizzazione).

6.3.4

Anche stavolta nessuna delle due opzioni prevede come condizione obbligatoria per l'erogazione dei sussidi il mantenimento o la creazione di posti di lavoro. Dal punto di vista dello sviluppo sostenibile questa eventualità potrebbe essere oggetto di discussione tanto quanto la questione della componente ecologica associata agli aiuti.

6.3.5

Le cosiddette norme di condizionalità, che i produttori agricoli devono rispettare, si limitano a richiedere l'osservanza della legislazione vigente, il che ha già provocato forti discordanze in alcuni Stati membri nel quadro del recepimento della riforma a livello nazionale.

6.3.6

Per il Comitato è chiaro che i trasferimenti di fondi statali non possono mai essere disgiunti dal perseguimento di un interesse collettivo. Per i pagamenti occorre una motivazione, una legittimazione e un'accettazione sociale. Sarebbe utile stabilire un nesso trasparente tra la PAC e gli obiettivi di sostenibilità delle strategie di Göteborg e di Lisbona (creazione di posti di lavoro, promozione della giustizia sociale, salvaguardia dell'ambiente); questo nesso tuttavia non risulta percepibile, quanto meno per gran parte della società. Ciò potrebbe provocare discussioni sulla ragion d'essere del sostegno in generale o sul ruolo degli agricoltori in relazione a tali obiettivi. La valutazione intermedia della riforma della PAC, realizzata nonostante l'opposizione della maggioranza degli agricoltori e degli allevatori europei, dovrebbe riportare l'attenzione sul potenziamento dell'agricoltura sostenibile a conduzione familiare in Europa, come base della sua legittimazione sociale.

6.3.7

I pagamenti relativi al primo pilastro, soprattutto quelli diretti, sono senz'altro necessari per mantenere molti produttori in attività. Tuttavia il disaccoppiamento dei pagamenti diretti non garantisce l'orientamento verso una produzione sostenibile, ma costituisce semmai una garanzia del reddito, che per di più non beneficia equamente tutti i produttori.

6.3.8

Nel quadro del secondo pilastro, che copre lo sviluppo rurale, i pagamenti sono condizionati alla prestazione di servizi descritti nei programmi comunitari. Tra questi vanno segnalati i programmi agricoli ambientali, la promozione dell'agricoltura ecologica, la diversificazione delle aziende agricole (per esempio intensificando la lavorazione e la commercializzazione di prodotti di base), le piccole imprese e le microimprese nelle aree rurali.

6.3.9

In questo contesto è significativo l'intervento del nuovo commissario per l'agricoltura FISCHER BOEL che, il 20 gennaio 2005, in occasione dell'apertura della Settimana verde di Berlino, ha chiesto che lo sviluppo rurale divenga un elemento centrale della strategia di Lisbona. Significative sono anche altre affermazioni provenienti dal gabinetto del commissario, secondo cui è improbabile che nel quadro del primo pilastro si creino molti posti di lavoro, laddove è piuttosto la politica di sviluppo rurale che presenta grandi potenzialità. Il Comitato ritiene opportuno che la Commissione verifichi quanto prima attraverso appositi studi quali saranno i probabili effetti dei due pilastri della politica agricola in termini occupazionali, ambientali e sociali.

6.3.10

Nel quadro del nuovo regolamento sullo sviluppo rurale, attualmente in discussione, dovrebbero essere previsti ulteriori compiti, tra cui il finanziamento delle aree di Natura 2000 e l'attuazione della direttiva quadro sulle acque. La politica di sviluppo rurale diverrebbe così sempre più uno strumento di orientamento in direzione della sostenibilità, impostazione con la quale il Comitato concorda.

6.3.11

Secondo i piani della Commissione, tuttavia, nel periodo 2007-2013 il bilancio destinato allo sviluppo rurale dovrebbe rimanere fermo al livello attuale. Per il Comitato ciò significa che già a livello di prospettive finanziarie lo sviluppo rurale soffre di un finanziamento inadeguato rispetto ai compiti assegnatigli.

6.3.12

Tenendo conto che le misure di sviluppo rurale sono essenziali ai fini della sostenibilità, il Comitato giudica incomprensibile il dibattito recentemente avviato nel Consiglio su iniziativa di sei Stati contributori netti, in merito alla possibilità di apportare drastici tagli al relativo bilancio.

6.4   Cittadinanza, libertà, sicurezza e giustizia

6.4.1

Per garantire ai cittadini europei un'autentica area di libertà, sicurezza e giustizia è necessario agire al livello di UE, sia per ottenere la necessaria efficacia che per condividere gli oneri finanziari. L'effettiva integrazione dei migranti è una questione che investe certamente la coesione sociale, ma costituisce anche un prerequisito di efficienza economica. Il Comitato valuta con favore l'istituzione di un'Agenzia europea per le frontiere, l'introduzione di una politica comune di asilo e di immigrazione, l'attuazione di misure relative ai cittadini di paesi terzi che risiedono legalmente o sono giunti da poco negli Stati membri, nonché la prevenzione dell'immigrazione illegale e i provvedimenti di rimpatrio.

6.4.2

Una delle sfide più importanti per l'UE consiste nel prevenire e nel contrastare la criminalità e il terrorismo. Dedicare risorse sufficienti alla sicurezza è una condizione essenziale per la sostenibilità amministrativa, sociale ed economica delle nostre società.

6.4.3

I cittadini attribuiscono grande importanza alla sicurezza della vita quotidiana, anche in relazione alle esigenze di tutti i giorni. Essi si attendono dall'Unione un livello elevato di protezione contro le calamità naturali, le crisi sanitarie e ambientali e altre catastrofi di grandi dimensioni. Occorre dedicare particolare attenzione, a livello comunitario, ai rischi derivanti dalle sostanze pericolose nell'ambiente o nei prodotti alimentari, nonché alle norme di sicurezza, specie nel settore dell'energia e dei trasporti.

6.4.4

Occorre inoltre garantire che i servizi pubblici di base, quali la sanità, l'istruzione, la fornitura di energia, i trasporti e le comunicazioni, siano di livello adeguato. Per alcuni di essi, come l'energia e i trasporti, la sicurezza fisica della fornitura è un aspetto importante di cui tenere conto nello sviluppo del mercato interno, nel commercio multilaterale e bilaterale e in generale nelle relazioni esterne.

6.4.5

Lo sviluppo sostenibile si va progressivamente imponendo grazie alla sensibilità, agli atteggiamenti e alle azioni dei singoli cittadini e dei gruppi, cui non si possono più sostituire azioni eseguite unicamente dall'alto dai nostri sistemi e dalle nostre organizzazioni e istituzioni. L'Europa vanta società ben organizzate ed efficienti, cittadini istruiti, che partecipano attivamente e una struttura molto sviluppata di organizzazioni della società civile. Si tratta possibilmente del miglior terreno di coltura, sul piano culturale, per l'ulteriore realizzazione dello sviluppo sostenibile.

6.4.6

Grazie all'ampliamento la varietà culturale in Europa si è ulteriormente estesa. Ciò può comportare un arricchimento per la vita di ognuno, ma bisogna anche fare uno sforzo per promuovere la comprensione reciproca. Tra l'altro è necessario favorire lo scambio di esperienze sulla vita economica, politica e quotidiana, oltre che sulle modalità per progredire sulla strada dello sviluppo sostenibile. Se ne gioverebbero non solo i nuovi Stati membri, ma anche l'intera Europa e i suoi cittadini.

6.5   L'UE quale partner globale

6.5.1

Al vertice delle Nazioni Unite sullo sviluppo sostenibile, svoltosi a Johannesburg, l'UE si è profilata come partecipante dinamico e attento ai risultati. Particolare favore ha riscosso grazie all'avvio di nuove azioni, quali le iniziative in materia di acqua e di energia (la cosiddetta «coalizione di intenti»).

6.5.2

Al livello delle Nazioni Unite è in corso l'attuazione del piano d'azione di 52 pagine redatto in margine al vertice di Johannesburg. Si tratta di un processo lento, nel cui ambito i paesi partecipanti avranno difficoltà a mantenere gli impegni assunti e a realizzare i piani stabiliti.

6.5.3

L'UE dev'essere all'altezza degli impegni che ha preso e del ruolo trainante che ha svolto nel vertice mondiale. Ciò deve riflettersi negli stanziamenti previsti nelle previsioni finanziarie.

6.5.4

In particolare l'UE dovrà intensificare gli sforzi fatti nei paesi meno sviluppati e incentrati su esigenze primarie quali l'acqua, l'energia, la salute, la sicurezza alimentare, l'istruzione e la formazione di base e lo sviluppo dell'agricoltura.

6.5.5

Alcuni Stati membri hanno elaborato ambiziosi programmi di sostegno ai paesi meno sviluppati, specialmente in Africa. Occorre coordinare meglio l'azione comunitaria con quella dei singoli Stati per la definizione e l'attuazione di questi programmi. L'accordo di Cotonou si è dimostrato utilissimo per coinvolgere anche le parti sociali e la società civile organizzata dei paesi ACP (Africa, Caraibi, Pacifico).

6.5.6

Lo sviluppo sostenibile è stato in parte integrato in questi programmi di sviluppo, anche se, conformemente al piano di azione di Johannesburg, esso dovrebbe occupare una posizione centrale.

6.5.7

Per migliorare il coordinamento degli sforzi e rafforzare la dimensione dello sviluppo sostenibile, il CESE raccomanda ulteriori iniziative dell'UE, anzitutto sotto forma di «coalizioni di intenti» in relazione a specifiche problematiche di sviluppo, come l'acqua, l'energia, la sicurezza alimentare e la salute.

7.   Conclusioni

7.1

La revisione della struttura del bilancio, con la definizione di nuove priorità, costituisce un riconoscimento dell'importanza dello sviluppo sostenibile. Il Comitato auspica che ciò si rifletta nell'applicazione del bilancio e che non ci si limiti a proseguire l'azione precedente, sia pure con una diversa denominazione. Il Comitato sottolinea che sarà necessario riorientare la spesa in favore delle priorità dell'Unione, indipendentemente dal massimale stabilito per le risorse proprie.

7.2

È della massima importanza che le nuove prospettive finanziarie, le quali faranno da cornice ai bilanci dell'UE dal 2007 al 2013, riflettano chiaramente le priorità dell'Unione, e specialmente gli obiettivi di Lisbona e lo sviluppo sostenibile. Per realizzare questo occorrerà una significativa ristrutturazione della spesa. Se non saranno le prospettive finanziarie, dato il loro arco temporale abbastanza esteso, a orientare nella giusta direzione lo sviluppo dell'UE, vi è poca speranza che lo facciano altre politiche o successivi adeguamenti finanziari.

7.3

Il Comitato concorda con la Commissione nel ritenere che occorra dare la priorità alla crescita e all'occupazione negli anni che mancano al 2010 e nella prospettiva di Lisbona. Osserva che la crescita è da intendersi nel senso di crescita economica non disgiunta da valori europei fondamentali quali, in particolare, l'integrazione sociale, la salute e la protezione dell'ambiente. La competitività e la crescita economica non costituiscono finalità in sé, bensì strumenti volti a realizzare obiettivi sociali e ambientali. È anche vero peraltro che una crescita più lenta e una competitività minore di quelle delle altre principali aree economiche possono mettere a repentaglio il modello sociale e i valori ambientali dell'UE.

7.4

I settori prioritari della strategia di sviluppo sostenibile e altri settori in cui si manifestano tendenze non sostenibili, come il cambiamento climatico, i trasporti, la salute pubblica, le risorse naturali, l'eradicazione della povertà, l'invecchiamento demografico e la dipendenza dai combustibili fossili, devono essere trattati come priorità anche nel quadro delle politiche di bilancio.

7.5

Un capitolo di bilancio, di per sé, non è né sostenibile né insostenibile. Gli effetti sulla sostenibilità dipendono dai dettagli dei programmi, degli obiettivi e dei criteri di finanziamento dei progetti.

7.6

Uno strumento essenziale per garantire la compatibilità dei vari interventi con lo sviluppo sostenibile consiste nella valutazione di impatto, che dovrebbe essere effettuata per ogni singolo programma previsto nel bilancio e per i relativi obiettivi. In tale contesto occorrerebbe bloccare il sostegno a qualsiasi attività non sostenibile.

7.7

Per selezionare i progetti da finanziare nel quadro dei vari capitoli di bilancio e programmi servono criteri chiari e trasparenti, che contemplino anche la sostenibilità e prendano in esame tra l'altro l'impatto del progetto sull'ambiente o sulla salute, la creazione o la perdita di posti di lavoro e la competitività dell'UE.

7.8

Bisogna vigilare affinché le risorse dei fondi strutturali, quelle del Fondo di coesione e quelle destinate al sostegno dell'agricoltura e ai programmi nel settore delle reti transeuropee, che rappresentano insieme la grande maggioranza della spesa dell'UE, vengano dirette sistematicamente verso finalità tali da soddisfare per quanto possibile i criteri di sostenibilità.

7.9

Il Comitato desidera sottolineare in particolare il ruolo essenziale della conoscenza, delle attività di ricerca e sviluppo e delle nuove tecnologie. Dedicando speciale attenzione e risorse adeguate a questo obiettivo l'Europa sfrutterebbe un'opportunità unica di promuovere la produttività, la competitività, la crescita e l'occupazione, malgrado l'aspra concorrenza di altre regioni del mondo. Al tempo stesso sarebbe possibile ridurre la pressione sull'ambiente e sulle risorse naturali grazie all'uso di tecnologie più efficaci sotto il profilo ecologico per far fronte alle esigenze dei cittadini, salvaguardandone così la salute e la sicurezza.

Bruxelles, 11 maggio 2005.

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  COM(2004) 101 def.

(2)  GU L 125 del 27.5.2002, pagg. 87-99.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Il seguente emendamento, pur essendo stato respinto durante il dibattito, ha ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi.

Punto 4.5

Modificare come segue:

Al momento la strategia di sviluppo sostenibile dell'UE si concentra su alcune delle tendenze apparentemente più insostenibili della nostra società: il cambiamento climatico, i trasporti, la salute pubblica e le risorse naturali. Altre questioni, come l Contemporaneamente vanno affrontate l'eradicazione della povertà estrema o e della miseria e le evoluzioni demografiche. Uno dei principali cambiamenti di cui la strategia di sviluppo sostenibile ha bisogno e che essa permette è appunto quello di liberarsi da questa nozione di priorità, senza renderci inermi dinanzi alla necessità di agire anche in forma settoriale. l'invecchiamento della popolazione,lasciate da parte per essere aggiunte in seguito.

Motivazione

L'emendamento è inteso a chiarire, più di quanto faccia il parere esplorativo, quali sono i principali cambiamenti culturali che la strategia e il concetto di sviluppo sostenibile richiedono e producono.

Si vuole far osservare che detti cambiamenti culturali sono già in atto nella società e a livello individuale, ragion per cui, a condizione che vi sia un incoraggiamento a livello di intervento politico e di istituzioni e dunque anche attraverso le prospettive finanziarie, è possibile rendere realmente operativa la strategia di sviluppo sostenibile, in assenza della quale i peggiori timori circa il futuro si potrebbero avverare.

Esito della votazione

Voti favorevoli:

:

51

Voti contrari:

:

54

Astensioni:

:

26


27.10.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 267/30


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla prevenzione dell'uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose compreso il finanziamento del terrorismo

COM(2004) 448 def.

(2005/C 267/05)

Il Consiglio, in data 21 ottobre 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 15 aprile 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore SIMPSON.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 11 maggio 2005, nel corso della 417a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 107 voti favorevoli e 1 astensione.

1.   Sintesi

1.1

La proposta di direttiva in esame è la terza in materia di prevenzione del riciclaggio dei proventi di attività criminose e fa seguito alla prima del 1991 (91/308/CEE) e alla seconda del 2001 (2001/97/CE).

1.2

La motivazione alla base della nuova proposta di direttiva è duplice: 1) inserire un riferimento specifico al finanziamento del terrorismo, benché nel quadro della precedente direttiva gli Stati membri avessero già deciso che ciò rientrasse nel concetto di reato e 2) tenere conto della revisione delle quaranta raccomandazioni del Gruppo d'azione finanziaria internazionale (GAFI) (1) pubblicata nel giugno del 2003.

2.   Osservazioni generali

2.1

Le principali categorie interessate dagli obblighi derivanti dalla proposta di direttiva sono:

a)

le imprese appartenenti ai settori tenuti a rispettare le disposizioni della direttiva («il settore regolamentato»);

b)

gli utenti dei servizi forniti dal settore regolamentato (ossia i loro clienti);

c)

le persone che segnalano di conoscere o sospettare l'esistenza di operazioni di riciclaggio;

d)

le autorità preposte all'applicazione della legge e le unità di informazione finanziaria (UIF) destinatarie e utilizzatrici delle informazioni riservate contenute nelle segnalazioni di riciclaggio; e

e)

le persone appartenenti a organizzazioni criminali che commettono «reati gravi» (di cui all'articolo 3, paragrafo 7, della proposta di direttiva), se tali reati determinano proventi o comportano l'utilizzo di fondi derivanti da attività criminose.

2.2

La direttiva proposta andrà a sostituire le direttive vigenti che saranno abrogate.

2.3

Rispetto alla prima e alla seconda direttiva, le modifiche principali riguardano:

i.

l'inserimento di un riferimento specifico al finanziamento del terrorismo e di ulteriori precisazioni rispetto ai «reati gravi»;

ii.

l'estensione del campo di applicazione fino a comprendere anche prestatori di servizi a società o trust e altre persone che negoziano beni o prestano servizi per importi consistenti;

iii.

un notevole approfondimento degli aspetti specifici relativi agli obblighi di due diligence nel rapporto con la clientela e alla verifica dell'identità personale compresa la titolarità economica;

iv.

le norme relative alla protezione dei dipendenti che segnalano dei casi sospetti di riciclaggio;

v.

il divieto di informare il cliente dell'avvenuta segnalazione;

vi.

l'obbligo di applicare le norme comunitarie anche alle succursali e alle controllate aventi sede fuori dall'Unione europea.

2.4

La proposta di direttiva consente di raggiungere una maggiore convergenza rispetto a paesi che già applicano, oppure applicheranno, le raccomandazioni del Gruppo d'azione finanziaria internazionale (GAFI) dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE).

2.5

Il consolidamento nella nuova direttiva delle norme contenute nella prima e seconda direttiva contribuisce inoltre alla chiarezza della proposta.

2.6

La terza direttiva ricalca tuttavia molto da vicino la seconda, la quale aveva consistentemente esteso il campo di applicazione delle norme antiriciclaggio e la gamma dei settori interessati. Vi è stato solo poco tempo per valutare l'impatto della direttiva del 2001 e il Comitato osserva che finora non è stato ancora condotto nessuno studio approfondito sull'efficacia del regime esistente, né sulla sua proporzionalità, né si è stabilito se l'investimento richiesto ai governi sia commisurato a quello imposto al settore regolamentato.

2.7

Il Comitato accoglie con favore le misure che renderanno più difficile il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo. A sostegno dell'applicazione di misure preventive in tutta Europa, il Comitato riconosce che i riciclatori di denaro cercheranno di sfruttare le debolezze dei sistemi di monitoraggio e che i capitali verranno trasferiti verso i punti più deboli del sistema di supervisione. Per questa ragione gli Stati membri devono stabilire standard rigorosi in tutta l'Unione europea e incoraggiare anche altri paesi ad adottarli.

2.8

Il presente parere presenta delle osservazioni più dettagliate su taluni aspetti specifici della proposta di direttiva.

3.   Osservazioni su ambiti specifici oggetto di importanti modifiche

3.1   Terrorismo e reati gravi

3.1.1

Il Comitato economico e sociale europeo approva l'inserimento del finanziamento di attività terroristiche nel campo di applicazione della direttiva.

3.1.2

Quanto alla definizione di reati gravi e di riciclaggio, un ulteriore chiarimento a proposito consentirebbe ai soggetti interessati di comprendere meglio il preciso intento della direttiva e favorirebbe quindi un'applicazione coerente ed efficace della legge.

3.1.3

È importante fare chiarezza quanto al grado di conoscenza del diritto penale attualmente richiesto agli operatori del settore regolamentato, la maggior parte dei quali ha scarsa dimestichezza o non ha alcuna dimestichezza in materia. L'articolo 3, paragrafo 7, della proposta di direttiva contiene una definizione dettagliata di «reati gravi», che il Comitato raccomanda però di precisare affinché risulti chiaro che, nel decidere se procedere o meno a una segnalazione di riciclaggio, un operatore del settore regolamentato è tenuto ad applicare soltanto le conoscenze e le competenze in materia di diritto penale che ci si aspetta che abbia una persona che svolge tale funzione. Una mancata precisazione in tal senso finirebbe infatti per generare un onere sproporzionato a carico del settore regolamentato (sia in termini di formazione dei dipendenti che in termini di controllo del loro operato), con tutti i relativi rischi di aumento di costi e di fastidi per i clienti. Potrebbe anche comportare rischi inutili per le persone che lavorano nel settore regolamentato.

3.1.4

Il concetto di «reato grave» (definito in modo da coprire «almeno» le attività di cui all'articolo 3, paragrafo 7) sembra da considerarsi come uno standard minimo. L'applicazione delle direttive esistenti indica che finora gli Stati membri hanno adottato criteri diversi, con la conseguenza che i regimi comprendono nel campo di applicazione qualsiasi illecito oppure vi fanno rientrare solo i reati gravi.

3.1.5

Bisognerebbe valutare l'opportunità di limitare la discrezionalità degli Stati membri in merito, per favorire un'applicazione omogenea delle norme antiriciclaggio e quindi creare parità di condizioni per il settore regolamentato in tutta l'Unione europea. Nel caso in cui gli Stati membri intendano estendere il campo di applicazione della proposta di direttiva, il Comitato raccomanda di prendere in considerazione un regime in cui viga l'obbligo di segnalazione solo per i reati gravi (standard minimo), ma sia prevista la possibilità di effettuare segnalazioni su base volontaria per altri illeciti, concedendo anche in questi casi la stessa tutela di legge prevista per le segnalazioni obbligatorie.

3.1.6

Un sistema che obblighi a segnalare «qualsiasi illecito» rischia, in particolare qualora comporti l'obbligo di procedere a segnalazioni extraterritoriali, di assorbire preziose risorse del settore privato e delle autorità preposte all'applicazione della legge senza trarne alcun valido risultato. La necessità, emersa nel Regno Unito, di sviluppare un sistema di segnalazione detto «limited intelligence value report» (ovvero segnalazione a valore limitato in termini di informazioni), allo scopo di ridurre al minimo gli sforzi — sia del settore regolamentato che delle autorità preposte all'applicazione della legge — in materia di trattamento delle operazioni di nessuno o scarso interesse per l'applicazione della legge (e i casi già segnalati all'autorità competente), illustra chiaramente alcune delle pecche di un sistema che obbliga a segnalare «qualsiasi illecito».

3.1.7

Il Comitato ritiene che l'importo minimo fisso di cui all'articolo 6, lettera b) (15 000 EUR) sia ragionevole, considerato che tale limite può essere raggiunto mediante una o più transazioni che sembrano in qualche modo interconnesse.

3.1.8

Un ulteriore chiarimento utile a favorire la coerenza consisterebbe nell'esplicitare che la definizione di riciclaggio di cui all'articolo 1, paragrafo 1, lettera c) della seconda direttiva (ripresa nell'articolo 1, paragrafo 2, lettera c) dell'attuale proposta di direttiva) comprende anche il possesso dei proventi di un proprio reato penale, senza che sia necessaria nessun'altra transazione.

3.1.9

L'articolo 2, paragrafo 1, punto 3, lettera b) stabilisce cinque categorie di operazioni effettuate da liberi professionisti legali ai quali si applicherebbe la direttiva. Il Comitato raccomanda di aggiungere una sesta categoria: vi) la consulenza fiscale.

3.2   Prestatori di servizi a società o trust e altre persone che negoziano beni o che prestano servizi per importi consistenti

3.2.1

L'articolo 3, paragrafo 9, definisce i «prestatori di servizi a società o trust», mentre l'articolo 2, paragrafo 1, punto 3, lettera f) definisce «altre persone che negoziano beni o che prestano servizi» per importi consistenti. Il Comitato accoglie con favore i chiarimenti apportati alle definizioni e in particolare l'inserimento dei «servizi» nell'articolo 2, paragrafo 1, punto 3, lettera f). Si può riciclare denaro sia manipolando transazioni di notevole entità effettuate in contanti e riguardanti servizi sia manipolando transazioni di notevole entità effettuate in contanti e riguardanti invece dei beni.

3.3   Obblighi di due diligence nel rapporto con la clientela e verifica dell'identità (compresa la titolarità economica)

3.3.1

Gli articoli riguardanti questi aspetti devono essere formulati in modo chiaro ed essere applicabili in un sistema basato sulla valutazione del rischio. L'assolvimento di questi obblighi della normativa antiriciclaggio genera infatti una fetta consistente dei costi di adempimento, oltre ad avere anche un impatto diretto sulla clientela.

3.3.2   Definizione di titolare economico

3.3.2.1

L'articolo 3, paragrafo 8, precisa che il titolare economico è la persona fisica che, in ultima analisi, possieda o controlli, direttamente o indirettamente, almeno il 10 % delle azioni o dei diritti di voto di una persona giuridica o del patrimonio di una fondazione, di un trust o di un istituto giuridico simile, o che eserciti altrimenti un'influenza comparabile, per esempio sulla direzione di una persona giuridica. Il Comitato ritiene che si tratti di una soglia troppo bassa, se la si considera insieme all'articolo 7, paragrafo 1, lettera b) e al riferimento alle procedure basate sulla valutazione del rischio di cui all'articolo 7, paragrafo 2.

3.3.2.2

La proposta di direttiva dovrebbe far riferimento ai principi relativi agli obblighi di identificazione e stabilire l'obbligo, per gli Stati membri, di fornire orientamenti, direttamente oppure attraverso gli organi di rappresentanza professionale, su un sistema di identificazione basato sulla valutazione del rischio, che consenta diversi livelli di identificazione dei detentori della titolarità economica a seconda delle circostanze.

3.3.2.3

Pur comprendendo le motivazioni a sostegno di norme molto severe, nella pratica la loro applicazione generalizzata, a prescindere dai livelli di rischio, finisce per penalizzare la clientela «pulita», in quanto comporta più lavoro e costi aggiuntivi, oltre alla potenziale perdita del segreto commerciale sulle transazioni previste, senza avere nessuna incidenza — o quasi — sulle attività illecite.

3.3.2.4

Il Comitato raccomanda di fissare al 25 % la soglia minima richiesta per identificare la proprietà o il controllo da parte di un individuo o di un gruppo di investitori che opera «di concerto».

3.3.3   Persone politicamente esposte

3.3.3.1

Il Comitato ritiene che la definizione proposta di «persone politicamente esposte» di cui all'articolo 3, paragrafo 10, sia inutilmente ed eccessivamente ampia e raccomanda di modificarla introducendo dopo il termine «persone fisiche» la frase «che non sono cittadini dell'UE». All'interno dell'Unione europea le persone politicamente esposte (seppure non necessariamente immuni dalle tentazioni di corruzione) sono soggette a controlli democratici garantiti che rendono superflui gli obblighi di due diligence rafforzati previsti dall'articolo 11, paragrafo 1.

3.3.4   Obblighi di due diligence nel rapporto con la clientela e verifica dell'identità

3.3.4.1

Gli «obblighi di due diligence nel rapporto con la clientela» costituiscono una parte della proposta di direttiva in cui è necessaria una definizione più precisa dei termini utilizzati per rendere il testo più chiaro. Termini quali «due diligence», «controllo» e «verifica» possono lasciare spazio a interpretazioni divergenti nei vari segmenti del settore regolamentato e nei diversi Stati membri, e dovrebbero quindi essere definiti con maggiore precisione per garantire omogeneità interpretativa.

3.3.4.2

In materia di identificazione, il Comitato raccomanda di imporre agli Stati membri l'obbligo di fornire orientamenti chiari fondati sulla valutazione del rischio nei rispettivi territori.

3.3.4.3

L'articolo 6, lettera c) impone l'applicazione delle procedure di due diligence nei confronti del cliente laddove sussista sospetto di riciclaggio, indipendentemente da qualsiasi deroga, esenzione o soglia applicabile. Ciò può rivelarsi impraticabile, in quanto l'avvio di queste procedure sulla base di sospetti rischia di mettere in allerta i soggetti interessati. Il disposto dell'articolo 6, lettera c) andrebbe precisato in modo da chiarire che queste procedure vanno effettuate soltanto nella misura in cui non attirino l'attenzione delle parti sospettate.

3.3.4.4

Rispetto alle procedure semplificate di due diligence nel rapporto con la clientela di cui all'articolo 10, paragrafo 3, lettera c), il Comitato raccomanda di modificare l'ultima parte aggiungendovi le parole qui riportate in corsivo: «i regimi di pensione, o sistemi simili che versino prestazioni di pensione ai dipendenti, per i quali i contributi siano versati tramite deduzione dal salario e/o dai datori di lavoro …».

3.3.4.4.1

L'articolo 11, paragrafo 2, propone di vietare agli enti creditizi di aprire o mantenere conti di corrispondenza con una banca che permetta ad una banca di comodo di utilizzare i propri conti. Può non essere sempre facile per un istituto di credito scoprire se una banca con cui si intendono aprire conti di corrispondenza si comporti in tal modo. Dovrebbe risultare chiaro che ci si aspetta solo che gli istituti di credito prendano precauzioni ragionevoli rispetto alle banche con cui hanno rapporti per verificare la politica di queste ultime nei confronti delle banche di comodo.

3.3.4.5

Nell'articolo 11, paragrafo 1, lettera a), in riferimento alle prove documentali non occorre specificare che si tratta di prove «supplementari»; l'aggettivo potrebbe essere soppresso.

3.3.4.6

L'articolo 12 consente di ricorrere a terzi per ottemperare agli obblighi di due diligence, ma specifica che la responsabilità finale continua a spettare agli enti e alle persone che rientrano nel campo di applicazione della direttiva. Il Comitato raccomanda di sopprimere l'ultima parte dell'articolo 12 che recita «In caso di ricorso a terzi, la responsabilità finale continua tuttavia a spettare agli enti e alle persone che rientrano nel campo di applicazione della presente direttiva» e di sostituirla con il principio di cui al considerando 20 di pagina 12 della proposta di direttiva (evitare il ripetersi delle stesse procedure di identificazione fidandosi delle procedure eseguite da terzi del settore regolamentato). Se non si consente di fidarsi delle procedure eseguite da terzi, una volta accertatane opportunamente la buona fede, questa disposizione non eviterà il ripetersi delle stesse procedure.

3.3.4.7

L'articolo 13, paragrafo 2, relativo alla comunicazione dei sospetti potrebbe essere utilmente esteso per includere una frase supplementare del seguente tenore: «La Commissione dovrebbe indagare su tali segnalazioni e informare gli Stati membri sulle conclusioni raggiunte».

3.3.4.8

Al fine di fugare i dubbi sulla compatibilità fra le norme dell'articolo 14 e la legislazione sulla privacy di taluni Stati membri, occorrerebbe sopprimere il termine «immediatamente» dall'articolo 14 e consentire ai terzi di chiedere il consenso delle persone di cui divulgano le informazioni. Il termine «immediatamente» potrebbe essere sostituito dal termine «prontamente».

3.4   Divieto di comunicazione

3.4.1

Il Comitato raccomanda di precisare il significato del termine «divieto» relativamente alla prima parte dell'articolo 25. In alcuni Stati membri il personale del settore regolamentato è tenuto a effettuare segnalazioni ad alcune autorità di regolamentazione, a settori della magistratura e all'unità di informazione finanziaria (UIF) e anche nella pratica le attività antiriciclaggio possono risultare agevolate da attenti scambi di informazioni fra parti non coinvolte nel riciclaggio. Al fine di consentire queste forme positive di comunicazione, si raccomanda di modificare l'articolo in questione per esplicitare che la comunicazione è vietata solo quando possa mettere in allerta un sospettato oppure pregiudicare un'indagine sul riciclaggio di proventi illeciti.

3.5   Condizioni di equa concorrenza per le imprese ubicate nei paesi terzi

3.5.1

Il considerando 23 di pagina 13 e l'articolo 27 della proposta prevedono che gli enti creditizi e finanziari della Comunità applichino lo standard comunitario alle succursali e controllate a maggioranza nei paesi terzi, qualora la legislazione del paese terzo in materia di riciclaggio dei capitali e finanziamento del terrorismo sia ritenuta carente.

3.5.2

Il Comitato teme che l'applicazione di queste norme possa impedire alle succursali e alle sussidiarie controllate a maggioranza degli istituti creditizi e finanziari della Comunità di essere competitive e operare con efficienza in paesi in cui le norme sul riciclaggio dei capitali non sono comparabili a quelle dell'Unione europea. Si dovrebbe pertanto incoraggiare l'applicazione di standard comunitari o simili nei paesi terzi, ma potrebbe essere prematuro imporla come obbligo assoluto. Sarebbe preferibile se, in queste situazioni, gli istituti di credito informassero le autorità competenti degli altri paesi, in modo da consentire loro di ricevere assistenza per migliorare i loro controlli relativi al riciclaggio di denaro e al finanziamento del terrorismo.

3.5.3

Sarebbe più opportuno che l'UE rafforzasse l'applicazione di standard soddisfacenti e pertinenti riconosciuti a livello mondiale sostituendo i riferimenti all'applicazione delle norme europee con riferimenti all'applicazione delle 40 raccomandazioni del GAFI. Ciò eviterebbe che si possa pensare che l'UE stia cercando di far applicare le sue norme con effetto extraterritoriale, mentre esistono standard mondiali con un'efficacia in larga misura equivalente.

3.6   Protezione del personale dipendente

3.6.1

Il Comitato plaude all'inserimento di questa protezione nell'articolo 24 e insiste affinché la Commissione la estenda ulteriormente per includere un riferimento ai processi giudiziari e al ruolo delle forze di polizia nel fornire tale protezione. La chiarezza sulla protezione della riservatezza della fonte della segnalazione di riciclaggio è determinante ai fini di un funzionamento integrale e privo di intoppi del sistema di segnalazione. L'articolo 24 non dovrebbe coprire soltanto i dipendenti ma anche le loro organizzazioni e dovrebbe inoltre indicare esplicitamente l'obbligo degli Stati membri di mantenere confidenziale, nella misura massima consentita dalla legislazione penale e civile dello Stato membro, l'identità di chi effettua la segnalazione. La direttiva dovrebbe prevedere esplicitamente l'obbligo di mantenere strettamente riservata l'identità di quanti segnalano i loro sospetti di riciclaggio, a meno che tali persone abbiano acconsentito a divulgare la propria identità o che ciò sia essenziale per garantire un processo giudiziario equo nel quadro di un procedimento penale.

3.6.2

L'articolo 24 dovrebbe essere modificato per garantire che le disposizioni relative alla protezione siano estese ai liberi professionisti e alle piccole imprese.

3.7   Altre osservazioni

3.7.1   Applicazione settoriale della direttiva proposta

3.7.1.1

Se non definito diversamente, tutti gli obblighi derivanti dal sistema previsto dalla proposta di direttiva sono applicabili a tutti gli enti e a tutte alle persone di cui all'articolo 2. Data la grande varietà del settore regolamentato, occorre tenere presente la situazione degli enti o delle categorie professionali le cui attività sono coperte solo in parte dalla proposta di direttiva, dato che necessitano chiarimenti circa le modalità con cui essi sono tenuti ad applicare le disposizioni solo a determinate parti delle loro attività e non ad altre.

3.7.1.2

Non è chiaro perché l'articolo 2, nel caso di notai e di altri professionisti legali, limiti l'applicabilità della proposta di direttiva ai soli casi in cui essi eseguono determinate operazioni, mentre nel caso di altre libere professioni, che devono rispettare standard etici e di competenza altrettanto elevati, la proposta si applichi a tutti i loro servizi. Il Comitato è consapevole che in alcuni Stati membri determinate attività sono riservate ai notai e ad altri liberi professionisti legali (solitamente quelle collegate al loro ruolo di consulenti in procedimenti giuridici formali) e che in tali settori si possa operare una valida distinzione fra i professionisti legali e i membri di altre libere professioni e che pertanto esiste un motivo per escluderli dal campo di applicazione della direttiva; il Comitato ritiene tuttavia che essi dovrebbero rientrare nel campo di applicazione della direttiva in tutti i casi in cui le attività che svolgono non siano riservate ai professionisti legali e i servizi in questione rientrerebbero nel campo di applicazione della direttiva se svolti da qualsiasi altro studio di professionisti adeguatamente regolamentato.

3.7.2   Obblighi di informazione

3.7.2.1

L'articolo 17 impone agli enti e alle persone rientranti nel campo di applicazione della proposta di direttiva di «esaminare con particolare attenzione qualsiasi attività atta ad avere una connessione con il riciclaggio» di proventi illeciti.

3.7.2.2

Tale norma potrebbe tradursi in un notevole aggravio procedurale per gli enti e le persone interessate dalla proposta di direttiva e quindi anche aumentare il rischio che una persona oggetto di tale esame venga messa in allerta dall'avvio di procedure particolari.

3.7.2.3

Il Comitato ritiene che non si dovrebbe chiedere al settore regolamentato di procedere a indagini nel senso che appare indicato dall'articolo 17, bensì di essere consapevole della necessità di nutrire sospetti a partire dalle informazioni ricevute nell'ambito della normale attività lavorativa, e di segnalare dette informazioni alle autorità preposte all'applicazione della legge affinché procedano alle indagini del caso.

3.7.3   Facoltà degli Stati membri di emanare norme più severe

3.7.3.1

L'articolo 4 consente agli Stati membri di adottare o mantenere in vigore norme più severe di quelle contemplate dalla proposta di direttiva.

3.7.3.2

Le differenze materiali nella severità delle norme fra Stati membri possono pregiudicare il principio del mercato unico, alterare l'equità della concorrenza e incoraggiare la criminalità a spostare le proprie attività di riciclaggio verso gli Stati membri più permissivi.

3.7.3.3

Il Comitato raccomanda che la norma volta a consentire differenze a livello locale sia limitata agli ambiti in cui tali differenze (qualora introdotte dagli Stati membri su base obbligatoria e non volontaria) si rendano necessarie per tenere conto di determinate circostanze locali.

3.7.4   Osservazioni su alcuni articoli specifici

3.7.4.1

Il Comitato approva il fatto che gli Stati membri siano tenuti a garantire un feedback (articolo 31, paragrafo 3) e raccomanda che ciò rientri nelle specifiche competenze dell'UIF. Il feedback è utile in quanto favorisce una maggiore e più efficace applicazione futura della legislazione.

3.7.4.2

L'articolo 19, paragrafo 1, lettera b) impone agli enti e alle persone che rientrano nel campo di applicazione della direttiva di fornire all'Unità di informazione finanziaria tutte le informazioni necessarie in conformità con la normativa vigente. Il Comitato richiama l'attenzione sul fatto che l'interpretazione dei termini «tutte le informazioni necessarie» da parte delle autorità preposte all'applicazione della legge potrebbe essere molto estensiva e che quindi il settore regolamentato potrebbe avere difficoltà ad adempiere a questo obbligo. Il Comitato raccomanda di sostituire i termini «tutte le informazioni necessarie» con una formulazione che consenta agli Stati membri di precisare con i rispettivi settori regolamentati quali informazioni supplementari si possono richiedere, senza che ciò diventi inutilmente oneroso, e quali precauzioni prendere per garantire che le unità di informazione finanziaria (UIF) non vadano al di là di quanto previsto.

3.7.4.3

L'articolo 20, paragrafo 2, dovrebbe stabilire che i sospetti emersi nel corso della prestazione di un servizio di consulenza legale (da parte di notai, consulenti legali indipendenti, revisori dei conti, contabili esterni e consulenti tributari) non siano soggetti all'obbligo di informazione. L'attuale formulazione del paragrafo è più restrittiva in quanto indica che l'esenzione può essere limitata alla sola consulenza prestata in sede di esame della posizione giuridica di un cliente prima di un procedimento legale. Si tratterebbe di una restrizione ingiustificabile al diritto fondamentale del cliente alla riservatezza della consulenza legale.

3.7.4.4

Il disposto dell'articolo 23 della proposta di direttiva, secondo cui la comunicazione non costituisce violazione di eventuali restrizioni alla divulgazione di informazioni, omette di precisare che, per godere di tale protezione, la comunicazione deve essere fatta in «buona fede», come invece prevedeva la seconda direttiva. È opportuno reinserire questa precisazione per evidenziare che, per poter usufruire della tutela di legge necessariamente ampia, il settore regolamentato deve agire con senso di responsabilità e in buona fede. Una diversa formulazione rischia di provocare distorsioni rispetto all'equilibrio dei diritti delle persone e al loro accesso alla giustizia.

4.   Conclusioni

4.1

Pur approvando il duplice obiettivo di garantire, da un lato, la completa applicazione da parte dell'UE di standard mondiali, definiti nelle 40 raccomandazioni del GAFI e, dall'altro, la chiara inclusione nel campo di applicazione della direttiva del finanziamento del terrorismo, il Comitato si rammarica che questa terza direttiva sul riciclaggio dei proventi di attività criminose sia stata elaborata prima di avere avuto l'opportunità di valutare appieno i meriti della seconda direttiva adottata nel 2001. È forse un po' prematuro elaborare una terza direttiva dopo così poco tempo dalla seconda direttiva e senza un significativo periodo di riflessione che consenta di trarre delle lezioni dall'applicazione della seconda direttiva.

4.1.1

Per giustificare l'elaborazione di una terza direttiva in questo momento, è essenziale che essa venga utilizzata anche per apportare miglioramenti rispetto alla seconda direttiva e alla sua attuazione in altri modi. In particolare prendiamo atto con soddisfazione dell'inserimento nel testo di disposizioni intese a:

rimuovere determinati aspetti inutilmente onerosi della seconda direttiva, dovuti al fatto che agli obblighi imposti non corrispondono benefici equivalenti in termini di applicazione della legge e di lotta contro la criminalità,

ridurre le incoerenze negli obblighi e nelle pratiche anti-riciclaggio di denaro sia all'interno dell'UE (fra Stati membri e fra diverse parti del settore regolamentato o altri settori vulnerabili in materia di riciclaggio di capitali) sia fra l'UE e i paesi terzi (ciò implica necessariamente una riduzione della facoltà che la direttiva lascia agli Stati membri di apportare variazioni a loro discrezione) e

introdurre una protezione più chiara per i dipendenti degli istituti che effettuano le segnalazioni.

4.2

Le proposte avanzate nel presente parere intendono migliorare la direttiva in modi che possano contribuire al conseguimento di questi obiettivi complementari ma non contraddittori. Qualsiasi eventuale ulteriore modifica introdotta nella fase finale dei negoziati sulla direttiva dovrebbe tenere conto di questi principi generali.

4.3

Considerato il breve lasso di tempo intercorso dall'entrata in vigore della seconda direttiva, in molti Stati membri si dovrebbe consentire un periodo piuttosto generoso per l'attuazione della terza direttiva.

4.4

Man mano che si matura una certa esperienza nella gestione delle direttive sulla prevenzione del riciclaggio di proventi di attività criminose compreso il finanziamento del terrorismo, l'Unione europea dovrà prendere in considerazione alcuni collegamenti e sinergie politiche con altri aspetti della deterrenza della criminalità. Il Comitato ha preso nota di proposte nei seguenti ambiti:

confronto della proposta di direttiva con i lavori del Consiglio d'Europa in materia di diritto penale,

chiarimento di misure per la confisca di proventi di attività criminose,

maggiori azioni intese ad aiutare i paesi terzi con problemi di crimine organizzato,

specifici settori vulnerabili quali l'evasione fiscale transfrontaliera.

4.5

Il Comitato accoglie con favore l'ulteriore sviluppo di norme per prevenire il riciclaggio di proventi di attività criminose e il finanziamento del terrorismo, perché ciò simboleggia un'Unione europea che garantisce elevati livelli di probità e di buona condotta nel comportamento pubblico e privato. La direttiva è al tempo stesso un'azione concreta nella gestione degli affari finanziari e un mezzo per rafforzare l'Unione europea.

Bruxelles, 11 maggio 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Il GAFI è un organo intergovernativo che stabilisce norme e sviluppa e promuove politiche per combattere il riciclaggio di capitali e il finanziamento del terrorismo. Sito Internet www.fatf-gafi.org


27.10.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 267/36


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le relazioni UE-India

(2005/C 267/06)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 gennaio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema: Le relazioni UE-India

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 14 marzo 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore Sukhdev SHARMA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 maggio 2005, nel corso della 417a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 145 voti favorevoli e 2 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

La sezione specializzata Relazioni esterne ha adottato la prima relazione informativa sul tema «Relazioni UE-India» (CES 947/2000) nel dicembre 2000, alla vigilia della prima riunione della Tavola rotonda UE-India, svoltasi a Nuova Delhi nel gennaio 2001. I membri europei della Tavola rotonda appartengono al CESE, mentre quelli indiani rappresentano uno spaccato della società civile organizzata (cfr. Allegato I).

1.2

Dal momento della sua inaugurazione nel 2001, la Tavola rotonda si è dimostrata un'istituzione importante per lo sviluppo delle relazioni UE-India. Essa ha tenuto la settima riunione nel giugno del 2004 a Srinagar (Kashmir) e l'ottava in dicembre a Londra, dove si è discusso in modo franco e costruttivo di argomenti particolarmente sensibili quali il lavoro minorile e le pari opportunità fra uomini e donne sul posto di lavoro (cfr. punto. 5: Il dialogo tra la società civile dell'UE e quella indiana).

1.3

Il presente parere d'iniziativa è stato predisposto in considerazione della crescente importanza assunta dalle relazioni UE-India a partire dal 2000, che è chiaramente testimoniata da una serie di eventi del 2004.

1.4

Il presente parere d'iniziativa non si limita pertanto ad aggiornare la relazione informativa sulle relazioni UE-India del 2000, ma sottolinea anche l'esigenza che il CESE approfitti pienamente del forte sostegno politico che è stato espresso sia dalle istituzioni dell'Unione europea che dal governo indiano a favore di una più stretta cooperazione fra le società civili europee e indiana. A tal fine, il presente parere d'iniziativa evidenzia il contributo già dato dal CESE per avviare le due parti ad un dialogo concreto, e delinea l'ulteriore apporto che il Comitato potrà fornire soprattutto alla messa a punto del Piano d'azione comune per una partnership strategica UE-India, nella fattispecie tramite la Tavola rotonda.

1.5

Nel giugno del 2004 la Commissione europea ha inviato al Consiglio, al Parlamento europeo e al CESE le sue proposte articolate per una partnership strategica con l'India, reagendo così allo sviluppo, esponenziale per ampiezza e intensità, delle relazioni UE-India. La Commissione ha esortato a predisporre un Piano d'azione da approvare in occasione del sesto vertice UE-India che si terrà nel 2005.

1.6

Nel mese di agosto il governo indiano ha reagito positivamente alla comunicazione della Commissione del 16 giugno proponendo di costituire un comitato a livello ministeriale incaricato di mettere a punto tale Piano d'azione per il sesto vertice.

1.7

Nelle conclusioni adottate in ottobre il Consiglio dell'Unione europea ha accolto con favore la comunicazione «approfondita e completa» della Commissione. In tale occasione esso ha assicurato il suo pieno sostegno agli obiettivi generali della comunicazione impegnandosi a «collaborare con la Commissione per realizzarli».

1.8

Nell'ottobre 2004 il Parlamento europeo, per parte sua, ha raccomandato al Consiglio di «decidere di trasformare le relazioni UE-India in una partnership strategica», e di prendere anche le necessarie misure pratiche in tal senso.

1.9

Il quinto vertice UE-India svoltosi all'Aia nel novembre 2004 ha invitato entrambe le parti a «elaborare congiuntamente un piano d'azione e una nuova dichiarazione politica comune UE-India, basata sulla comunicazione della Commissione, sulle conclusioni del Consiglio e sul documento di risposta indiano, da approvare in occasione del sesto vertice.»

1.10

Durante la riunione svoltasi a Londra nello scorso dicembre, nelle sue raccomandazioni al vertice UE-India del 2005, la Tavola rotonda ha riconosciuto che la partnership strategica UE-India ha consentito di potenziare e ampliare il ruolo della società civile in questo contesto attraverso la tribuna rappresentata dalla stessa Tavola rotonda, ha sottolineato che la società civile deve essere parte integrante di questa nuova partnership e ha dichiarato di voler contribuire attivamente al Piano d'azione comune.

1.11

L'ampiezza del documento della Commissione e la risposta del governo indiano potrebbero far pensare che molto rimanga ancora da fare per consolidare e approfondire le relazioni UE-India. In realtà, entrambe le parti intrattengono già strette relazioni nell'ambito di una partnership che — secondo la dichiarazione del vertice — «è saldamente basata sulla condivisione di valori e convinzioni».

1.12

Visto che sia l'India sia l'Unione europea sono importanti attori sulla scena mondiale, e che entrambe condividono l'idea di un ordine mondiale fondato sul multilateralismo, la loro partnership, inizialmente basata sulla cooperazione economica e sulla cooperazione allo sviluppo, ha acquisito, nel corso degli anni, dimensioni politiche e strategiche più ampie. Il dialogo politico fra le due parti comprende ora un vertice periodico che in questi ultimi anni ha avuto cadenza annuale, incontri ministeriali annuali a livello di «troika» e, in seguito all'adozione della dichiarazione congiunta UE-India sul terrorismo del 2001, due riunioni annuali del gruppo politico di lavoro COTER («Terrorismo — aspetti internazionali») in formazione Troika, che si occupa appunto di lotta al terrorismo. Dal 2000 il meccanismo istituzionale comprende inoltre il gruppo di lavoro per gli affari consolari, due riunioni annuali di alti funzionari europei e indiani, nonché le riunioni biennali della Tavola rotonda UE-India.

1.13

Il commercio e gli investimenti sono la pietra angolare delle relazioni tra India e UE. Quest'ultima è il principale partner commerciale dell'India e la sua principale fonte d'investimenti esteri. Malgrado ciò se il volume degli scambi e degli investimenti è decisamente inferiore rispetto alle reali potenzialità, per cui gli operatori economici indiani ed europei hanno raccomandato d'intraprendere azioni in otto settori nell'ambito di un'iniziativa congiunta volta a promuovere gli scambi e gli investimenti. In base a tali raccomandazioni verrà avviato un programma in tal senso, con finanziamenti pari a 13,4 milioni di euro. Nel frattempo, l'UE e l'India hanno concluso un accordo di cooperazione doganale volto a incrementare i flussi commerciali e stanno negoziando un accordo marittimo al fine di promuovere lo sviluppo delle attività delle imprese di navigazione.

1.14

Nell'ambito delle tecnologie dell'informazione (IT), nel 2003 le esportazioni dell'India verso l'UE hanno superato i 2 miliardi di euro, pari al 20 % del volume complessivo di esportazioni di software del paese. Nel 2004 circa 900 imprese e organizzazioni indiane ed europee hanno partecipato a Euroindia 2004, il forum di cooperazione sulla società dell'informazione che si è svolto a Nuova Delhi a marzo 2004. Nel frattempo è stato avviato un dialogo sulla società dell'informazione basato sulla Dichiarazione congiunta India-Unione europea sul futuro sviluppo della società dell'informazione e delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione. Tale dichiarazione prevede attività di ricerca in sei settori prioritari e un dialogo approfondito sull'inquadramento normativo nell'ambito della società dell'informazione e delle comunicazioni elettroniche.

1.15

Il settore della scienza e della tecnologia si è rivelato uno degli ambiti più promettenti per la cooperazione UE-India, iniziata a metà degli anni '80. L'accordo del 2002 per la cooperazione scientifica e tecnologica rappresenta il quadro normativo per la partecipazione incrociata di scienziati indiani ed europei ai rispettivi programmi. Al tempo stesso il sesto Programma quadro di ricerca dell'UE prevede l'India tra i paesi destinatari della collaborazione internazionale.

1.16

L'India e l'UE stanno lavorando ad un progetto di accordo di cooperazione nell'ambito del programma europeo di navigazione satellitare Galileo. Considerate le capacità dell'India nel campo delle attività satellitari e della navigazione satellitare, l'accordo promuoverà la cooperazione industriale in molti settori ad alta tecnologia. L'India e l'Unione europea vantano una lunga collaborazione nell'esplorazione e nell'uso pacifici dello spazio, grazie alle rispettive agenzie spaziali (ESA e ISRO). L'UE ha intanto espresso il proprio interesse nei confronti della missione spaziale indiana senza equipaggio di esplorazione lunare, Chandrayaan-1.

1.17

Nell'ambito della cooperazione allo sviluppo si stanno delineando nuove tendenze. L'India sta diventando un attore atipico con una politica di sviluppo in evoluzione, in cui risulta sia come beneficiaria che come donatrice. Questa tendenza è emersa chiaramente nella fase successiva alla devastazione provocata dallo «tsunami», che il 26 dicembre 2004 ha colpito i paesi lambiti dall'Oceano Indiano. In quell'occasione l'India ha rifiutato gli aiuti umanitari provenienti dall'estero, anzi ha prestato assistenza su larga scala allo Sri Lanka. Come beneficiaria l'India accetta ora aiuti allo sviluppo su base bilaterale da un gruppo ristretto di paesi donatori che si è ora esteso all'Unione europea, ai paesi del G-8 e a un piccolo gruppo di piccoli paesi donatori non facenti parte del G-8, il cui sostegno viene accettato se supera i 25 milioni di USD all'anno. Per il periodo 2001-2006 l'UE si è impegnata a destinare all'India un contributo di 225 milioni di euro, di cui quattro quinti diretti alla riduzione della povertà. La cooperazione allo sviluppo si concentrerà negli Stati del Rajasthan e del Chhattisgarh e sarà in larga parte dedicata ai programmi d'istruzione e sanità.

1.18

Il CESE deve reagire efficacemente a questa serie di sviluppi politicamente significativi che si sono susseguiti durante la prima metà del 2005, nell'arco di soli sei mesi. In effetti, nella comunicazione del giugno 2004 la Commissione europea ha proposto di integrare pienamente la Tavola rotonda UE-India nel meccanismo istituzionale che regola i rapporti fra le due parti, esortando i due copresidenti a presentare al vertice alcune raccomandazioni politiche non vincolanti. Il Consiglio ha espresso sostegno per le proposte della Commissione, consistenti dell'approfondire la reciproca comprensione attraverso una maggiore cooperazione fra partiti politici, sindacati, associazioni di imprenditori, università e società civili. A sua volta, il vertice dell'Aia ha convenuto di promuovere la cooperazione fra partiti politici, sindacati, associazioni imprenditoriali, università e società civili.

1.19

Il presente parere d'iniziativa esamina anche in quale modo sia possibile accrescere l'efficacia della Tavola rotonda UE-India e utilizzare il suo sito web, il Forum Internet della società civile, sia per migliorare il funzionamento della Tavola rotonda che per raggiungere un numero sempre più vasto di organizzazioni della società civile indiane ed europee.

2.   Contributo al partenariato strategico UE-India

2.1

Nella riunione svoltasi a Londra nello scorso mese di dicembre, la Tavola rotonda ha accolto con favore l'avvio del partenariato strategico UE-India e si è impegnata a contribuire al piano d'azione comune che sarà elaborato nel 2005 in vista del sesto vertice, dichiarando l'intenzione di avanzare proposte riguardanti ambiti nei quali la società civile può fornire un reale valore aggiunto, in particolare nel raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio, nella promozione dello sviluppo sostenibile e nella gestione della globalizzazione. La Tavola rotonda UE-India si è pure impegnata ad analizzare in quale modo la società civile possa contribuire ad attuare la dichiarazione comune sulle relazioni culturali.

2.2

Al pari del CESE, la Tavola rotonda è ben attrezzata per contribuire al partenariato strategico UE-India. Dopo la prima riunione svoltasi a Nuova Delhi nel gennaio 2001, essa ha (1) discusso di diversi temi affrontati nella comunicazione della Commissione europea del 16 giugno e (2) formulato raccomandazioni all'indirizzo dei vertici UE-India sugli stessi argomenti. Nel corso della riunione di Londra la Tavola rotonda ha riconosciuto che il nascente partenariato strategico «offriva opportunità per potenziare e ampliare il ruolo della società civile attraverso la tribuna rappresentata dalla stessa Tavola rotonda». Nel corso della seconda riunione, svoltasi a Bruxelles nel luglio 2001, essa ha già discusso e formulato raccomandazioni su vari argomenti, fra cui la globalizzazione, gli scambi e gli investimenti, l'OMC, i diritti di proprietà intellettuale, i mass media e la cultura. Nelle successive riunioni non si è limitata ad approfondire questi argomenti, bensì ne ha ampliato il ventaglio inserendovi l'alimentazione e le attività agroalimentari in genere, i diritti umani sul posto di lavoro, lo sviluppo sostenibile e il turismo. Gli aspetti culturali già affrontati in passato saranno ulteriormente ampliati nel corso della prossima riunione, quando si discuterà anche di pluralismo culturale e religioso nelle società democratiche.

2.3

Nel corso della riunione di Londra la Tavola rotonda ha tuttavia deciso di limitarsi agli ambiti in cui la società civile può offrire un contributo ben specifico, anziché affrontare tutti gli argomenti inseriti dalla Commissione europea nel quadro del partenariato strategico. Pertanto essa concentrerà il proprio apporto negli ambiti elencati qui di seguito, che la Commissione europea considera come componenti di rilievo dell'emergente partenariato strategico.

2.3.1

Prevenzione dei conflitti e ricostruzione postconflitto: come ha sottolineato la Commissione, in questi ambiti l'India ha svolto un ruolo importante, sia attraverso le Nazioni Unite sia a livello bilaterale, per esempio in Afghanistan. Di qui la proposta di studiare in quali modi l'Unione europea e l'India possano formalizzare una cooperazione continuativa in questi ambiti. La Commissione propone anche di copatrocinare una conferenza dell'ONU sulla prevenzione dei conflitti e la gestione postconflitto e di avviare un dialogo sul contributo dell'integrazione regionale alla prevenzione dei conflitti.

2.3.2

Movimenti migratori: la Commissione rileva che la globalizzazione ha accentuato i movimenti migratori a livello internazionale determinando, da un lato, l'aumento delle rimesse degli emigrati e, dall'altro, problemi di immigrazione illegale e traffico di esseri umani. La Commissione è favorevole a un dialogo globale che, anziché limitarsi all'immigrazione legale (compresa quella per motivi di lavoro, la circolazione dei lavoratori e le problematiche dei visti), contempli anche la lotta al contrabbando e ai traffici, il rimpatrio e la riammissione degli immigrati illegali e altri temi legati ai movimenti migratori.

2.3.3

Democrazia e diritti umani: la Commissione auspica che il dialogo in corso venga esteso a temi quali l'abolizione della pena di morte, la discriminazione di genere, il lavoro minorile e i diritti sindacali, la responsabilità sociale delle imprese e la libertà religiosa. Essa è disposta a finanziare progetti in India nell'ambito dell'Iniziativa europea per la democrazia e la protezione dei diritti dell'uomo. Il Comitato giudica necessario affrontare il problema delle discriminazioni basate sul sistema delle caste.

2.3.4

Questioni ambientali: l'India e l'Unione europea dovrebbero promuovere congiuntamente la cooperazione sulle sfide ambientali globali, come le convenzioni delle Nazioni Unite sulla biodiversità, nel cui ambito potrebbe essere sviluppato un dialogo costruttivo sull'accesso equo e sulla condivisione dei benefici (ABS). L'India verrebbe invitata a organizzare un Forum ambientale UE-India con la partecipazione della società civile e delle imprese e destinato a scambi di vedute, al know-how e alle informazioni tecnico-scientifiche. Il Comitato ritiene che a breve termine la Tavola rotonda UE-India dovrebbe affrontare i problemi connessi alla politica energetica e alla sicurezza energetica.

2.3.5

Sviluppo sostenibile: la Commissione auspica che questo venga promosso attraverso il dialogo su aspetti quali l'incentivazione degli scambi di beni prodotti in modo sostenibile, l'etichettatura e la valutazione di impatto sostenibile. Essa giudica inoltre opportuno un maggiore ricorso al Centro per l'innovazione e lo sviluppo sostenibile (STIC).

2.3.6

Cooperazione allo sviluppo: l'India ha ridotto il numero dei donatori bilaterali a sei (Unione europea, Regno Unito, Germania, Stati Uniti, Giappone e Russia). Il paese è infatti diventato al contempo destinatario e donatore di aiuti allo sviluppo. Ciò nondimeno, la Commissione auspica che l'Unione europea aiuti l'India a raggiungere gli obiettivi di sviluppo del millennio. La coesione economica e sociale potrebbe diventare una priorità sulla base dell'esperienza raccolta con i programmi di sostegno dell'Unione europea realizzati in India nei settori dell'istruzione primaria e della sanità di base. La Commissione ritiene che la cooperazione allo sviluppo dell'Unione europea debba puntare maggiormente sull'aiuto alle categorie emarginate e sostenere anche l'applicazione delle principali convenzioni dell'OIL. Per parte sua il Comitato è dell'avviso che l'India dovrebbe ratificare le tre convenzioni chiave dell'OIL cui essa non ha ancora aderito.

2.3.7

Cooperazione culturale: la Commissione intende rafforzare la cooperazione soprattutto nel settore cinematografico e musicale, organizzando una settimana culturale in concomitanza con i vertici politici ed economici. Il Comitato rileva che l'anno 2006, proclamato Anno del dialogo fra le culture, offrirebbe alla Tavola rotonda una buona occasione per occuparsi di questi aspetti.

2.3.8

Visibilità: la Commissione ritiene che l'opinione pubblica indiana debba essere informata di tutti gli aspetti dell'Unione europea, e non soltanto delle relazioni commerciali. Essa avvierà quindi un programma di ricerca per identificare i settori del pubblico da raggiungere, i messaggi più importanti da trasmettere, gli strumenti principali e il modo migliore per utilizzarli. Da un lato, gli Stati membri e il Parlamento europeo sono invitati a contribuire alle attività intese ad accrescere il prestigio dell'Unione europea in India e, dall'altra, spetterà a Nuova Delhi definire la propria strategia di comunicazione in questo campo.

2.3.9

Scambi e investimenti: come la Commissione europea sottolinea nella sua comunicazione, gli scambi e gli investimenti costituiscono una «pietra angolare delle relazioni UE-India». Diverse proposte formulate nella comunicazione affrontano pertanto questi due argomenti, a livello sia multilaterale che bilaterale. La Commissione auspica che l'Unione europea raggiunga una maggiore convergenza con l'India sui principali punti all'ordine del giorno della tornata negoziale di Doha riguardante lo sviluppo nell'ambito dei negoziati commerciali in seno all'OMC. Essa è inoltre favorevole al dialogo bilaterale sui diritti di proprietà intellettuale (DPI), ad esempio per raggiungere un'intesa comune sui TRIPS (che costituiscono appunto gli aspetti commerciali dei diritti di proprietà intellettuale).

2.4

Nel capitolo della comunicazione dedicata al potenziamento della cooperazione tra le imprese la Commissione propone che l'Unione europea si adoperi per costituire una Tavola rotonda dei leader economici, e questa proposta ha ottenuto il sostegno del vertice dell'Aia. Nel frattempo, l'iniziativa comune UE-India per promuovere il commercio e gli investimenti ha consentito d'instaurare un dialogo diretto fra le imprese e i politici. Inoltre, le organizzazioni economiche e industriali indiane organizzano già un proprio vertice economico UE-India in concomitanza con il vertice politico, e presentano le conclusioni dei leader industriali ai rispettivi leader politici.

2.5

Dato che la Tavola rotonda è composta anche di esponenti delle organizzazioni imprenditoriali e datoriali, essa potrebbe valutare quale sia il miglior modo per partecipare a queste attività intraprese di concerto dai settori della vita economica indiana ed europea. Oltre a svolgere un chiaro ruolo nel rafforzare il partenariato economico UE-India sostenuto dalla Commissione, la Tavola rotonda dovrebbe incentrare il proprio apporto al piano d'azione comune sulla promozione dello sviluppo sostenibile e sulla gestione della globalizzazione, com'è stato del resto convenuto alla riunione di Londra.

2.6

Dato che fra i suoi membri la Tavola rotonda annovera anche esponenti del mondo accademico, essa potrebbe studiare il contributo più idoneo da dare ai programmi di studi di livello universitario già istituiti dalla Commissione europea, oppure ancora in preparazione, che sono citati nella comunicazione: per esempio il corso di studi europei presso la Jawaharlal Nehru University di Nuova Delhi. Un programma di borse di studio con una dotazione di 33 milioni di euro dovrebbe diventare operativo a partire dall'anno accademico 2005/2006; esso sarà collegato al programma Erasmus Mundus dell'Unione europea e sarà destinato a finanziare la partecipazione di studenti indiani a corsi post laurea nelle università europee.

3.   La società civile in India e in Europa

Che cosa s'intende per «società civile»? Secondo il Comitato si tratta di un concetto che non può comportare «altri vincoli che non siano un'adesione al sistema democratico. La società civile è un concetto che raccoglie tutte le forme d'azione sociale, di individui o di gruppi, che non rappresentano un'emanazione dello stato e che non sono da esso dirette.» (1) I suoi fautori in India concordano sul fatto che l'esistenza di una società civile comporta un'adesione al sistema democratico e può funzionare in modo efficace solo in una democrazia. Nella pratica, alcuni di coloro che sostengono le organizzazioni della società civile in India si sono ispirati ai risultati conseguiti dalla società civile in Europa e negli Stati Uniti, altri invece alla tradizione dell'attivismo sociale e politico avviata dal Mahatma Gandhi.

3.1   La società civile in India

3.1.1

La crescente importanza della società civile indiana è evidenziata dal proliferare di ogni sorta di organizzazioni di volontariato (questa è la terminologia preferita in India; il termine «organizzazioni non governative», o ONG, si è diffuso in India soltanto negli ultimi vent'anni). Una decina di anni fa si stimava che ve ne fossero tra 50 000 e 100 000 e da allora il loro numero è quasi sicuramente cresciuto. Le organizzazioni della società civile sono impegnate in un'ampia gamma di attività nell'intero subcontinente e comprendono anche organizzazioni di categoria economiche o professionali e sindacati.

3.1.2

Le organizzazioni della società civile indiana:

sono impegnate nelle tradizionali attività di sviluppo generalmente svolte dalle ONG: realizzare programmi di alfabetizzazione, gestire dispensari e cliniche, aiutare gli artigiani, ad esempio del settore tessile, a commercializzare i propri prodotti ecc. Dato che generalmente operano a livello locale, esse aiutano anche gli enti di governo ad attuare gli interventi pubblici a livello decentrato,

effettuano ricerche approfondite in modo da far pressione sul governo centrale, sui governi dei singoli stati federati e/o sugli ambienti economici,

cercano di incrementare la coscienza politica di varie categorie sociali, incoraggiandole a rivendicare i propri diritti,

assumono la rappresentanza di gruppi di interesse specifici, come i disabili, gli anziani e i rifugiati,

hanno un ruolo innovatore, in quanto sperimentano nuove strategie per risolvere i problemi sociali,

sono costituite dalle organizzazioni dei datori di lavoro, dai sindacati, dalle società mutue e dalle cooperative,

comprendono le organizzazioni degli agricoltori,

includono le organizzazioni impegnate nella lotta alla diffusione dello HIV e dell'AIDS e, infine,

contano fra le loro file degli attivisti: dagli anni 1970 in poi sono infatti sorti ampi movimenti a carattere sociale, promossi da agricoltori, donne (che richiamano l'attenzione sui loro problemi e si mobilitano per risolverli), ambientalisti (che cercano appunto d'indurre il governo ad occuparsi maggiormente delle questioni ambientali), nonché movimenti impegnati nella tutela dei diritti dei consumatori, ecc.

3.1.3

Sia le ONG che il governo sentono la necessità di operare in collaborazione soprattutto per risolvere i problemi dello sviluppo. In effetti, la commissione nazionale per la pianificazione ha più volte finanziato le organizzazioni volontarie. Il decimo (e ultimo) piano quinquennale prevede:

«I programmi devono riflettere le reali esigenze della popolazione e quindi tener conto, sul piano economico e sociale, della mentalità delle persone cui sono destinati. I cittadini devono sentire tali programmi come propri e parteciparvi attivamente. La tendenza ad aspettarsi tutto dal governo deve finire: si è in effetti constatato che i programmi che coinvolgono i cittadini sono molto più efficaci.»

3.1.4

Stando a Sayeeda Hameed, membro della commissione nazionale per la pianificazione, quest'ultima dispone anche di una «cellula» che costituisce la sua interfaccia con il settore del volontariato. Tale commissione ha ora deciso di «costituire alcuni gruppi consultivi … formati da persone provenienti da varie parti del paese che conoscono le realtà sul terreno e possono suggerire che cosa occorra cambiare e in che modo» (2).

3.1.5

Il partito del Congresso ha sempre sostenuto la società civile e probabilmente il governo di Nuova Delhi, retto da una coalizione da esso guidata, annetterà alle sue attività un'importanza maggiore di quanto non abbiano fatto i governi precedenti. Poco dopo la sua formazione, il nuovo governo ha indetto consultazioni con le organizzazioni della società civile per conoscere la loro posizione in merito al suo Programma minimo comune (CMP). In quest'ordine d'idee s'inquadra anche la costituzione del Consiglio consultivo nazionale (NAC), presieduto da Sonia Gandhi, leader del partito del Congresso. Un esponente di spicco del partito del Congresso che ha partecipato alla creazione del NAC ha affermato che «esso costituirà l'interfaccia tra il governo dell'Alleanza progressista unita (UPA) e la società civile e apporterà al processo di pianificazione nuove idee altrimenti estranee al governo» (3). Il compito del NAC, i cui 12 membri sono stati nominati dal Primo ministro Manmohan Singh, sarà quello di consigliare quest'ultimo sulle modalità di attuazione del Programma minimo comune dell'Alleanza (UPA). A differenza dei consulenti dei governi, che sono spesso funzionari o diplomatici in pensione, metà dei membri del NAC operano sul terreno nel settore non governativo (4). Per prima cosa Sonia Gandhi intende dare priorità all'agricoltura, all'istruzione, alla sanità e all'occupazione.

3.2   La società civile nell'Unione europea (5)

3.2.1

La società civile europea, rappresentata da numerose organizzazioni attive a livello locale e nazionale come anche al livello dell'UE, è dinamica quanto quella indiana, ma ha un importante vantaggio: in Europa, infatti, la società civile organizzata fa capo al Comitato economico e sociale europeo (CESE) di Bruxelles, il quale in India verrebbe definito come apex body, ossia un organo consultivo di riferimento e coordinamento. Per di più il Comitato è una delle istituzioni create con il Trattato di Roma del 1957 che ha istituito la Comunità economica europea a 6 Stati membri, oggi diventata l'Unione europea dei Venticinque (6). Attualmente il Comitato conta 317 consiglieri che provengono dai 25 Stati membri e sono nominati dal Consiglio dell'Unione europea su proposta dei rispettivi paesi. I consiglieri appartengono a uno dei tre Gruppi seguenti: Datori di lavoro, Lavoratori e Attività diverse. A norma del Trattato di Roma i membri del III Gruppo rappresentano gli agricoltori, le piccole e medie imprese, gli artigiani, i liberi professionisti, le cooperative, le organizzazioni dei consumatori, i gruppi ambientalisti, le associazioni familiari e le organizzazioni femminili, il mondo scientifico e gli insegnanti, le organizzazioni non governative (ONG), ecc.

3.2.2

Il Comitato è un organo non politico con funzione consultiva, che ha il compito di comunicare la posizione dei suoi membri alle istituzioni comunitarie dotate di poteri decisionali. In circa 14 settori il Consiglio dell'UE e la Commissione europea possono prendere decisioni solo dopo averlo consultato. Tali settori comprendono: agricoltura, libera circolazione delle persone e dei servizi, politica sociale, istruzione, formazione professionale e gioventù, sanità pubblica, protezione dei consumatori, politica industriale, ricerca e sviluppo tecnologico e ambiente. Qualora lo ritengano opportuno, il Consiglio, la Commissione e il Parlamento europeo possono consultare il Comitato anche su qualsiasi altro tema. Da parte sua, il Comitato può anche esprimere un parere su temi che ritiene importante affrontare, donde il presente «parere di iniziativa» sulle relazioni UE-India.

3.2.3

Il CESE facilita il dialogo con la società civile ben al di là delle frontiere dell'Unione europea a Venticinque. Infatti, esso partecipa attivamente al dialogo permanente con i paesi del partenariato Euromed e con i paesi dell'Africa, dei Caraibi e del Pacifico (ACP), cui è legato dall'Accordo di Cotonou. Il Comitato promuove anche il dialogo con la società civile dei paesi dell'America Latina, nonché dell'India (tramite la Tavola rotonda UE-India) e della Cina.

4.   Recenti sviluppi in India e nell'UE

4.1

Presentare tutti i profondi cambiamenti in corso nell'UE e in India richiederebbe diverse centinaia di pagine. Il presente documento si concentra invece sui principali sviluppi che consentiranno al Comitato di dare un contributo concreto al rafforzamento delle relazioni tra l'UE e l'India. Per quanto riguarda l'UE, i principali sviluppi sono: l'allargamento a 25 Stati membri, le misure intese a creare un'Europa più ampia mediante la politica europea di vicinato e l'attuazione della «Strategia di Lisbona», che è stata adottata dal Consiglio europeo di Lisbona nel marzo del 2000. Questa strategia, che è imperniata sullo sviluppo sostenibile, si propone di fare dell'Unione europea, entro il 2010, l'economia basata sulla conoscenza più dinamica del mondo. Un altro evento capitale è stato l'accordo sulla Costituzione europea, che dovrà essere ora ratificata dai 25 Stati membri.

4.2

L'allargamento dell'Unione europea del 1o maggio 2004 ha profondamente modificato il panorama politico ed economico europeo. Le sue conseguenze politiche saranno probabilmente maggiori di quelle economiche, se non altro perché il processo di integrazione delle economie dei 10 nuovi Stati membri è iniziato molto prima della loro adesione ufficiale nell'Unione europea il 1o maggio 2004. Con l'allargamento la popolazione dell'UE è passata da 380 a 455 milioni di abitanti: attualmente è quindi pari al 7,3 % della popolazione mondiale. Il prodotto interno lordo (PIL) è passato da 9 300 miliardi di euro a 9 700 miliardi di euro, facendo così salire il PIL dell'UE al 28,7 % del PIL mondiale. L'allargamento ha però comportato anche una diminuzione del PIL pro capite, che è sceso da 24 100 euro a 21 000 euro, e un calo degli scambi commerciali con i paesi extracomunitari, che sono passati da 2 000 miliardi a 1 800 miliardi di euro. Questo è dovuto al fatto che adesso gli scambi tra i paesi dell'UE a 15 e i 10 paesi candidati rientrano nel commercio interno dell'UE dei Venticinque.

4.3

Con l'allargamento si sono ingranditi anche i confini dell'UE. Questa aveva però iniziato a definire politiche intese a creare «una cerchia di amici» già prima dell'ampliamento. A tal fine ha ideato la politica europea di vicinato, che interessa sei paesi dell'Europa orientale (Ucraina, Moldova, Georgia, Armenia, Azerbaigian e Bielorussia), nove paesi del bacino meridionale del Mediterraneo (Algeria, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Libia, Marocco, Siria e Tunisia) e l'Autorità palestinese. Come ha ribadito il Consiglio dell'Unione europea nel giugno 2004, tale politica «si prefigge di condividere i vantaggi di un'Europa allargata con i paesi limitrofi per contribuire ad aumentare la stabilità, la sicurezza e la prosperità dell'Unione europea e dei suoi vicini» (7). A parere del Consiglio, la politica europea di vicinato comporta «un considerevole grado di integrazione economica ed una cooperazione politica via via più profonda, allo scopo di prevenire l'emergere di nuove linee di divisione tra l'Europa allargata e i suoi vicini».

4.4

Per quanto riguarda l'India, l'evento più saliente sono stati i risultati, abbastanza inattesi, delle elezioni generali di maggio, che hanno portato alla costituzione di una coalizione guidata dal partito del Congresso e retta dal premier Manmohan Singh, succeduta a quella guidata dal partito nazionale indiano (Bharatiya Janata Party, BJP) del primo ministro Atal Behari Vajpayee. L'alto tasso di partecipazione alle urne, il fatto che i dispositivi di voto elettronico siano stati utilizzati con successo in tutto il paese e il passaggio di potere a Nuova Delhi, avvenuto tranquillamente nonostante lo sconvolgimento politico causato dall'esito delle elezioni, giustificano la pretesa dell'India di essere la più grande democrazia del mondo.

4.5

La vittoria a sorpresa del partito del Congresso ha dato adito a ipotesi secondo cui qualsiasi coalizione di governo guidata dal Congresso non potrebbe durare a lungo o verrebbe obbligata dai suoi sostenitori «esterni», e in particolare dal partito comunista, a congelare le riforme. Va ricordato però che tali riforme, tra cui la soppressione dei controlli all'importazione e l'apertura dei mercati dei capitali, sono state avviate nel 1991 proprio da un governo composto dal partito del Congresso e che i loro principali artefici sono stati il nuovo Primo ministro Manmohan Singh e il nuovo ministro delle Finanze Palaniappan Chidambaram. Quest'ultimo si considera in effetti come il «ministro per gli investimenti» della coalizione guidata dal Congresso. In altri termini, le organizzazioni della società civile che rappresentano il mondo economico e finanziario, come quelle presenti alla Tavola rotonda UE-India, collaboreranno con lui per sviluppare i settori economici del paese basati sulla conoscenza.

4.6

Ciò nondimeno il governo intende dare un «volto umano» alla propria strategia economica per far uscire dalla povertà i circa 300 milioni di indiani che sopravvivono con meno di 0,75 euro (1 dollaro) al giorno: di qui i suoi sforzi per raggiungere tassi di crescita annui compresi tra il 7 e l'8 %, per aiutare i contadini, promuovere l'emancipazione, giuridica ed economica, delle donne e aumentare gli stanziamenti per la sanità e l'istruzione.

4.7

Le sfide cui deve far fronte la società civile indiana offriranno alle organizzazioni della società civile europea l'opportunità di cooperare con le loro omologhe indiane, a beneficio di entrambe le parti. Inizialmente questo avverrà tramite la Tavola rotonda UE-India, ma ben presto potrebbero essere coinvolte anche organizzazioni che intrattengono relazioni strette con i membri europei e indiani della Tavola rotonda, nonché altri membri del CESE esperti, ad esempio, in materia di sviluppo rurale, sanità e istruzione. Questa collaborazione per così dire sul terreno tra le società civili europea e indiana consentirà alla Tavola rotonda di presentare ai vertici annuali UE-India raccomandazioni di natura pratica, appunto perché basate sull'esperienza concreta.

5.   Il dialogo in atto tra la società civile dell'UE e quella indiana

5.1

Indicare il cammino da percorrere presuppone prima sapere da dove si viene. Per promuovere il dialogo con la società civile occorre anzitutto accertare qual è l'apparato istituzionale a disposizione per realizzarlo e quali sono i risultati finora ottenuti. Per il Comitato questo significa valutare il lavoro svolto finora dalla Tavola rotonda UE-India e stabilire come meglio continuare a realizzarne gli obiettivi, sempre tenendo presenti i fattori correlati, come la decisione del vertice dell'Aia di promuovere la cooperazione non soltanto fra le società civili ma anche fra partiti politici, sindacati, organizzazioni datoriali e università.

5.2

I temi discussi nelle varie riunioni della Tavola rotonda fin dal suo avvio nel 2001 sono stati elencati per dimostrare la sua credibilità come partner determinante nella messa a punto del Piano d'azione comune. Uno sguardo ai risultati delle ultime riunioni può dare un'idea della continuità dei lavori svolti dalla Tavola rotonda, della portata dei temi discussi e dell'atmosfera di fiducia in cui si svolgono i dibattiti.

5.3

Basta ricordare che nella sua sesta riunione, svoltasi a Roma, la Tavola rotonda ha formulato una serie di raccomandazioni che vanno dalle iniziative per promuovere la responsabilità sociale delle imprese, agli aiuti specifici per le PMI, alla razionalizzazione delle norme in materia di trasferimento temporaneo, all'interno dell'UE, dei cosiddetti «lavoratori della conoscenza» provenienti dall'India, al sostegno accordato dall'UE ai raggruppamenti di industrie (cluster) in alcuni settori specifici che hanno un potenziale di esportazione e promuovono lo sviluppo. Al contempo la Tavola rotonda ha nominato due relatori per valutare come meglio tener conto del punto di vista delle organizzazioni della società civile nella promozione degli scambi e dello sviluppo sostenibile.

5.4

Questo aspetto è stato discusso durante la 7a riunione della Tavola rotonda, svoltasi a Srinagar nel giugno 2004, nella quale si è convenuto che, per meglio definire la nozione di sviluppo sostenibile, la relazione finale da presentare alla 9a riunione della Tavola rotonda dovrà basarsi su esempi pratici raccolti in India e nell'UE. Nella riunione di Srinagar si è discusso anche della cooperazione tra India e UE per sviluppare il turismo, partendo dalle presentazioni del CESE e di alcuni delegati indiani della Tavola rotonda. Quest'ultima ha convenuto che le organizzazioni della società civile hanno un ruolo importante da svolgere per incoraggiare un tipo di turismo che sia sostenibile, nonché capace di favorire lo sviluppo economico e sociale e di andare a vantaggio dell'intera popolazione.

5.5

Nelle riunioni di Roma, di Srinagar e di Londra si è discusso della creazione di un Forum Internet della società civile, come raccomandato durante la riunione di Bangalore del marzo 2003. Nelle riunioni è stato sottolineato il potenziale di tale Forum quale piattaforma di discussione tra i membri indiani ed europei della Tavola rotonda e come strumento per promuovere il dialogo tra le organizzazioni della società civile in generale.

5.6

Nell'incontro di Roma si sono passati in rassegna i principali risultati finora ottenuti riconoscendo che la loro valutazione non può limitarsi a un'analisi quantitativa del numero di raccomandazioni cui è stato dato seguito, non da ultimo perché non spetta alle società civili europea e indiana applicare talune di esse. Resta il fatto che la Tavola rotonda ha effettivamente adottato raccomandazioni e strategie comuni su vari argomenti, alcuni dei quali possono essere considerati delicati, per non dire controversi. Essa ha anche messo in risalto forme di cooperazione specifiche, quali la creazione del Forum Internet, organizzato audizioni delle organizzazioni della società civile nel corso delle riunioni semestrali e promosso la cooperazione ad hoc tra il CESE e l'India, che si è manifestata ad esempio sotto forma dell'aiuto prestato dalla delegazione indiana al CESE nei suoi lavori sul sistema di preferenze generalizzate.

5.7

Dato che il 60-70 % della popolazione indiana esercita un'attività agricola, a carattere formale o informale, gli scambi di vedute alla Tavola rotonda UE-India sui temi inerenti allo sviluppo agricolo e rurale sono stati ostacolati dall'assenza di rappresentanti degli agricoltori nella delegazione indiana.

5.8

La Tavola rotonda ha esaminato i meccanismi che governano le relazioni fra datori di lavoro e lavoratori e il dialogo sociale nell'Unione europea e ha preso atto delle prassi invalse nell'Unione per quanto riguarda le parti che intervengono nel dialogo sociale, dei problemi legati alla designazione e alla rappresentatività di questi soggetti, come pure delle diverse sedi in cui tale dialogo si svolge. La Tavola rotonda ha pure esaminato l'attuale situazione per quanto riguarda i datori di lavoro e i lavoratori in India: fra l'altro, la struttura e la composizione dei sindacati, le modalità delle contrattazioni collettive, le forme giuridiche del diritto del lavoro e la posizione assunta dall'India circa le proposte volte a contemperare le norme del diritto del lavoro con il commercio internazionale. In proposito si è constatato che gran parte dei lavoratori indiani sono occupati nel cosiddetto «settore informale» (piccole imprese, lavoro autonomo, lavori occasionali) e che occorrono serie iniziative per migliorare le loro condizioni. Si è inoltre sottolineata la necessità d'impegnarsi maggiormente per assicurare la ratifica delle norme basilari dell'OIL, garantirne il recepimento nelle legislazioni e l'effettiva applicazione pratica.

6.   Un dialogo rafforzato con la società civile: il cammino da percorrere

6.1

I tempi sono ormai maturi per intensificare decisamente la cooperazione tra la società civile organizzata dell'UE dei Venticinque e quella indiana. Il vertice UE-India ha già riconosciuto l'importanza dei lavori svolti dalla Tavola rotonda. Per parte sua il governo indiano ha adottato varie decisioni intese a rafforzare la cooperazione con la società civile indiana. Nella sua comunicazione del 16 giugno la Commissione europea ha esortato a integrare pienamente la Tavola rotonda nell'architettura istituzionale e a invitare i suoi due copresidenti a partecipare alle riunioni al vertice fra l'India e l'Unione europea.

6.2

Nella sua risposta preliminare alla comunicazione della Commissione del 16 giugno il governo indiano ha segnalato che, nonostante gli sforzi profusi «a livello ufficiale per tenere il passo con i cambiamenti avvenuti in India e nell'UE, (…) resta ancora la necessità d'intensificare i contatti ad altri livelli, ad esempio fra le rispettive società civili».

6.3

È inevitabile chiedersi in quale modo la Tavola rotonda possa contribuire più efficacemente al processo di elaborazione e adozione delle decisioni, soprattutto perché i suoi membri hanno il raro privilegio d'incontrare direttamente le massime autorità politicheil primo ministro indiano e il premier dello Stato membro che ha la presidenza di turno dell'UEdurante i vertici annuali. La seconda parte del presente parere di iniziativa, intitolata «Contribuire al partenariato strategico UE-India», mostra come la Tavola rotonda possa dare un reale contributo all'elaborazione del Piano d'azione comune per un partenariato strategico. Quest'attività durerà però soltanto fino al sesto vertice UE-India, che dovrà approvare il Piano durante la propria riunione della seconda metà del 2005.

6.4

Molte raccomandazioni della Tavola rotonda ai vertici UE-India comporteranno un impegno a medio-lungo termine. L'esperienza insegna che le raccomandazioni devono anche riguardare progetti da realizzare congiuntamente fra le organizzazioni europee e indiane della società civile. L'appoggio politico agevolerebbe l'ottenimento dei finanziamenti eventualmente necessari e consentirebbe alle società civili organizzate indiana ed europea di collaborare su uno spettro più ampio di progetti (8).

6.5

Se vogliamo che la Tavola rotonda possa incidere concretamente sul processo di elaborazione e adozione delle decisioni, essa deve chiaramente inserire nel suo programma temi sul tavolo delle discussioni a livello politico, come quelli riguardanti l'Organizzazione mondiale del commercio (OMC) e la tornata negoziale di Doha sullo sviluppo. La Tavola rotonda potrebbe conseguire maggiori risultati collaborando con il vertice economico UE-India, che è stato organizzato da due dei suoi membri (la Federazione indiana delle camere di commercio e dell'industria — FICCI — e la Confederazione delle industrie indiane — CII). Essa dovrebbe anche chiedere di essere associata alla tavola rotonda in programma fra i leader economici, che è stata proposta dalla Commissione europea.

6.6

Dato che tra i suoi membri annovera anche rappresentanti del mondo accademico, la Tavola rotonda potrebbe fornire un utile contributo al successo del programma di borse di studio a favore dell'India, con una dotazione di 33 milioni di euro, che è stato varato dalla Commissione europea nel 2005. Per parte sua il CESE potrebbe estendere le proprie iniziative riguardanti l'India, come la precedente decisione di invitare il copresidente indiano della Tavola rotonda a partecipare al seminario sull'OMC dopo Cancún.

6.7

Il moltiplicarsi dei canali di comunicazione tra funzionari e dirigenti di impresa sui temi economici non significa che i dibattiti della Tavola rotonda debbano limitarsi a questo ambito, anzi! Invece di concentrarsi sugli aspetti puramente economici, essa dovrebbe guardare anche alle implicazioni non economiche e soprattutto sociali. Questo è appunto ciò che la Tavola rotonda ha convenuto di fare in merito allo sviluppo sostenibile a Srinagar: ossia occuparsi di questo tema tenendo conto non solo degli aspetti economici della strategia di sviluppo, ma anche di quelli sociali e ambientali. Anche l'esternalizzazione dei processi industriali è un tema che si presta a tale approccio. I problemi causati dall'esternalizzazione nell'UE sono molto diversi da quelli sorti in India, ma hanno una cosa in comune: in entrambi i casi i problemi più difficili da risolvere sono quelli di carattere sociale. In altri termini, adottando un approccio olistico la Tavola rotonda potrà attribuire lo stesso peso anche ai risvolti non economici di quelle che sono considerate questioni essenzialmente economiche.

6.8

Quest'approccio modificato consentirà alla Tavola rotonda di organizzare convegni su temi sociali come complemento dei vertici economico e politico. Gli argomenti di tali convegni potranno essere scelti fra quelli già affrontati dalla Tavola rotonda, come la parità fra i generi. Altri temi potrebbero essere le implicazioni sociali dell'esternalizzazione e dell'emigrazione. I convegni in parola saranno estremamente utili allo sviluppo equilibrato della società indiana e di quelle europee.

6.9

La Tavola rotonda dovrà prestare maggiore attenzione alle questioni culturali. Potrebbe contribuire alla realizzazione della Dichiarazione congiunta UE-India sulle relazioni culturali cogliendo anche lo spirito della raccomandazione che è stata formulata da alcuni rappresentanti della società civile asiatica in occasione del vertice Asia-Europa (noto come vertice ASEM), svoltosi nel giugno del 2004 (9) a Barcellona, e che invita ad un dialogo tra le civiltà, ad un dialogo interconfessionale e tra culture. I leader dell'ASEM hanno già avviato un dialogo tra le civiltà al quale hanno partecipato i capi di Stato e di governo dell'Unione europea, ma non l'India, poiché non è un membro dell'ASEM. Nella sua risposta alla comunicazione della Commissione l'India ha dichiarato la propria disponibilità ad avviare un dialogo con l'UE sui problemi posti dall'estremismo e dal fondamentalismo religioso.

6.10

Per condurre in porto queste iniziative la Tavola rotonda dovrà instaurare contatti con un numero di organizzazioni della società civile di gran lunga superiore a quello che può essere fisicamente presente alle sue riunioni. Essa possiede comunque già lo strumento ideale a tal fine, ossia l'Internet Forum. Aprendolo ad altre organizzazioni della società civile dell'UE e dell'India, la Tavola rotonda potrà coinvolgere anche queste nei suoi dibattiti. Dato che esse sono molto numerose, inizialmente l'accesso potrà essere limitato a quelle note ai membri della Tavola rotonda. A integrazione di questi scambi sullo spazio virtuale, la Tavola rotonda continuerà a invitare le organizzazioni della società civile ai suoi incontri periodici.

6.11

L'Internet Forum consente anche ai membri della Tavola rotonda di comunicare rapidamente negli intervalli fra le riunioni semestrali, visto che i membri indiani provengono da tutti gli angoli del loro grande paese. Il Forum può servire per render note bozze di documenti, in modo da permettere ai membri di presentare le proprie osservazioni prima delle riunioni. In tal modo si favorirebbero dibattiti molto più vivaci durante gli incontri, e raccomandazioni più mirate ed efficaci da presentare ai vertici UE-India. I membri possono tenersi informati a vicenda sulle rispettive attività, migliorando così la conoscenza reciproca, se non altro a livello professionale. Con l'aumentare delle organizzazioni europee e indiane che accedono al Forum, le organizzazioni che hanno interessi comuni potrebbero utilizzare questa piattaforma per iniziare a collaborare in modo più stretto, all'inizio condividendo le esperienze, e in seguito elaborando progetti comuni.

6.12

Due altri temi ampiamente dibattuti dalla Tavola rotonda sono stati il ruolo dei media nel rafforzamento della società civile e nell'intensificazione della cooperazione culturale. La Tavola rotonda può dunque contribuire utilmente (1) agli sforzi degli Stati membri, del Parlamento europeo e della Commissione europea per migliorare l'immagine e accrescere il prestigio dell'UE in India, soprattutto fra le organizzazioni della società civile, e (2) all'inserimento, nel Piano d'azione per una partnership strategica, di un capitolo specifico sulla cooperazione culturale sulla base della Dichiarazione congiunta UE-India dell'8 novembre 2004 sulla cooperazione culturale.

7.   Conclusioni

7.1

Sia l'UE che l'India sono più che mai decise ad ampliare e approfondire la loro cooperazione. La prova più recente in tal senso è rappresentata dalla rapidità con cui la Commissione europea e la missione diplomatica indiana presso l'UE hanno iniziato a lavorare sul Piano di azione per una partnership strategica UE-India. Entrambe le parti vogliono che le rispettive società civili contribuiscano a questo processo. Il Comitato contribuisce già ad avvicinare le società civili europea ed indiana con la sua partecipazione alla Tavola rotonda UE-India, il suo sostegno finanziario al Forum UE-India su Internet e gli inviti che ha rivolto al copresidente indiano della Tavola rotonda, N.N. Vohra, affinché partecipi ad alcune attività che riguardano le relazioni UE-India.

7.2

Avendo accolto con favore la Comunicazione della Commissione europea sulla partnership strategica UE-India, il CESE deve ora contribuire attivamente alla messa a punto del relativo piano d'azione. Dalla riunione di Londra della Tavola rotonda è emerso l'impegno di «avanzare proposte riguardanti ambiti nei quali la società civile può fornire un reale valore aggiunto, in particolare nel raggiungimento degli obiettivi di sviluppo del millennio, nella promozione dello sviluppo sostenibile e nella gestione della globalizzazione.»

7.3

Il governo indiano ha accolto con favore l'allargamento dell'UE. Nel comunicato stampa congiunto reso noto al termine del vertice dell'Aia dell'8 novembre 2004 l'India ha manifestato la convinzione che l'approfondimento e l'ampliamento dell'UE contribuirà ad un ulteriore rafforzamento delle relazioni fra le due parti. In quanto organo consultivo che rappresenta la società civile, il CESE deve pertanto assicurare un'adeguata rappresentanza dell'UE a 25 alla Tavola rotonda, e al tempo stesso prestare maggiore attenzione alle relazioni UE-India nel quadro delle proprie attività. La Tavola rotonda UE-India può quindi diventare il modello delle relazioni del CESE con altri paesi e regioni in via di sviluppo del mondo.

Bruxelles, 12 maggio 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Cfr. il punto 5.1 del parere del Comitato economico e sociale sul tema «Il ruolo e il contributo della società civile organizzata nella costruzione europea» (CES 851/99), adottato il 22 settembre 1999 (GU C 329 del 17.11.1999).

(2)  «Opening the Planning Commission to the people: Sayeeda Hameed», di Rajashri Dasgupta. InfoChange News and Features, settembre 2004.

(3)  «The Hindu», 26 giugno 2004. Posizioni molto simili sono state espresse nel 2001 da Jaswant Singh, ministro degli Affari esteri nel governo della coalizione guidata dal BJP, in occasione dell'inaugurazione della Tavola rotonda UE-India con Chris Patten.

(4)  Ad esempio, il professor Jean Dreze, un cittadino indiano di origine belga che ha rapporti con il dottor Amartya Sen, e due ex membri della commissione per la pianificazione: C.H. Hanumantha Rao e D. Swaminathan. Fra i membri delle organizzazioni della società civile vi sono Aruna Roy, attivista impegnata nel sociale, Jayaprakash Narayan (sanità e ambiente), Mirai Chatterjee (SEWA) e Madhav Chavan (istruzione primaria).

(5)  Un riferimento alla società civile europea può sembrare superfluo, soprattutto se limitato al Comitato economico e sociale europeo, ma per la società civile indiana è interessante sapere che i suoi partner dell'UE dispongono di un «organismo superiore cui fanno capo le organizzazioni della società civile europea.»

(6)  L'articolo 193 del Trattato di Roma, nella versione del 1957, recita: «Il Comitato è composto di rappresentanti delle varie categorie della vita economica e sociale, in particolare dei produttori, agricoltori, vettori, lavoratori, commercianti e artigiani, nonché delle libere professioni e degli interessi generali.»

(7)  Consiglio Affari generali del 14 giugno 2004: Politica europea di vicinato - Conclusioni del Consiglio.

(8)  Ne è una prova la decisione del ministro degli Affari esteri di Nuova Delhi di erogare i fondi necessari per coprire i costi operativi che l'India deve sostenere per il Forum Internet UE-India creato dalla Tavola rotonda.

(9)  The Barcelona Report. Raccomandazioni della società civile sulle relazioni Asia-Europa rivolte ai leader dell'ASEM. Instaurare relazioni fra le società civili asiatiche ed europee: consultazione informale, 16-18 giugno 2004, Barcellona, Spagna.


27.10.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 267/45


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 77/388/CEE al fine di semplificare gli obblighi in materia di imposta sul valore aggiunto e alla Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1798/2003 per quanto concerne l'introduzione di modalità di cooperazione amministrativa nel contesto del regime dello sportello unico e della procedura di rimborso dell'imposta sul valore aggiunto

COM(2004) 728 def. — 2004/0261 (CNS) — 2004/0262 (CNS)

(2005/C 267/07)

Il Consiglio, in data 24 gennaio 2005, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 15 aprile 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore BURANI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 maggio 2005, nel corso della 417a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 90 voti favorevoli, 0 voti contrari e 1 astensione.

1.   Introduzione: il documento della Commissione

1.1

Nell'ottobre 2003 la Commissione ha presentato un documento (1) che riassumeva le strategie in materia di IVA già delineate nel giugno 2000, proponendo una serie di nuove iniziative nel loro contesto. In sintesi, la strategia consiste nel perseguire quattro obiettivi principali: la semplificazione, la modernizzazione, l'applicazione più uniforme della normativa vigente ed il rafforzamento della cooperazione amministrativa.

1.2

Il documento sottoposto all'esame del CESE (2) consta di tre parti:

a)

una proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 77/388/CEE al fine di semplificare gli obblighi in materia di imposta sul valore aggiunto;

b)

una proposta di direttiva del Consiglio che stabilisce le modalità del rimborso dell'imposta sul valore aggiunto, previsto dalla direttiva 77/388/CEE, ai soggetti passivi non stabiliti all'interno del paese ma in un altro Stato membro;

c)

una proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 1798/2003 in vista dell'introduzione di modalità di cooperazione amministrativa nel quadro del regime dello sportello unico e della procedura di rimborso dell'imposta sul valore aggiunto.

1.2.1

Soltanto i documenti sub a) e c) richiedono i commenti del CESE. I commenti di carattere generale riguardano comunque entrambi i punti, considerati come parte di un'unica strategia.

1.3

La semplificazione degli adempimenti a carico delle imprese, da tempo all'esame, è stata oggetto di una decisione del Consiglio europeo del 26 marzo 2004, il quale ha chiesto al Consiglio Concorrenza di identificare i settori suscettibili di una semplificazione. La decisione in merito è stata presa nel giugno 2004 e la Commissione ha predisposto il documento oggetto del presente parere nell'ottobre 2004. Nel frattempo la presidenza olandese aveva sollevato, nel corso del Consiglio informale Ecofin del settembre 2004, la questione di «promuovere la crescita riducendo gli oneri amministrativi». Orbene, la Commissione considera che il documento da essa presentato risponda in pieno a questo obiettivo.

1.4

Gli studi condotti dalla Commissione (3), pubblicati nel secondo semestre 2003, hanno messo in evidenza che uno dei principali obiettivi doveva essere la semplificazione del regime per i «soggetti passivi con obblighi IVA in uno Stato membro in cui non hanno sede» (in pratica: gli esportatori di beni e servizi — nota del CESE). Per tali soggetti, infatti l'onere amministrativo è così pesante e complicato da indurre molti potenziali esportatori ad astenersi dallo svolgere qualsiasi attività soggetta a IVA in un altro Stato membro. D'altra parte, la procedura di rimborso è talmente complicata e onerosa che in qualche fase del procedimento il 54 % circa delle grandi imprese ha rinunciato a proseguire la pratica.

1.5

Le proposte di cui al punto 1.2 mirano precisamente ad ovviare agli inconvenienti di cui sopra, attraverso l'adozione di sei misure concrete:

1)

l'introduzione di uno sportello unico per i soggetti passivi non stabiliti;

2)

l'introduzione di un regime dello sportello unico per «modernizzare» la procedura di rimborso;

3)

l'armonizzazione dei beni e servizi per i quali gli Stati membri sono autorizzati a limitare il diritto alla detrazione;

4)

l'estensione del ricorso al meccanismo dell'inversione contabile;

5)

la revisione del regime speciale applicabile alle piccole e medie imprese;

6)

la semplificazione del regime delle vendite a distanza.

1.6

Come premessa alla realizzazione di questi obiettivi, la Commissione ha già proposto tre iniziative legislative:

una modifica alla Sesta direttiva IVA (4),

la sostituzione dell'Ottava direttiva IVA,

la modifica del regolamento (CE) n. 1798/2003 del Consiglio sulla cooperazione amministrativa in materia di IVA (5).

1.6.1

Le iniziative contenute nel documento in esame sono già state oggetto di discussioni approfondite con gli Stati membri e di un vasto processo di consultazione via Internet con le parti interessate.

A.   PARTE I: LA PROPOSTA DI DIRETTIVA

2.   Il progetto del regime dello sportello unico

2.1

Il concetto di «sportello unico» non è nuovo: è stato infatti proposto per la prima volta con la direttiva del Consiglio 2002/38/CE, che peraltro limitava la sua portata agli operatori del commercio elettronico (6) per i servizi transfrontalieri prestati a soggetti non imponibili. In sostanza, e in termini semplificati, lo sportello unico (SU) ora proposto, estenderebbe a tutti gli esportatori di beni e di servizi la facoltà di iscriversi in un registro elettronico nel paese di stabilimento, valido per tutti i paesi dell'UE, eliminando così l'obbligo di doversi iscrivere nei registri IVA di ognuno degli Stati membri destinatari delle esportazioni e mantenendo il proprio numero d'iscrizione nazionale.

2.2

Con l'istituzione dello SU la situazione sarebbe quindi la seguente:

se l'acquirente è un soggetto IVA, esso deve presentare la sua dichiarazione nello Stato membro nel quale è stabilito, nel qual caso l'esportatore non ha alcun obbligo di dichiarazione,

se invece il debitore dell'imposta (venditore/esportatore) è l'operatore non stabilito, questi potrà adempiere ai suoi obblighi per il tramite dello SU anziché — come è attualmente il caso — effettuare le dichiarazioni nello Stato membro di destinazione. Naturalmente, l'aliquota sarà quella in vigore nel paese di destinazione.

2.2.1

La Commissione è convinta che lo SU potrebbe semplificare gli adempimenti fiscali per un numero e una gamma di operazioni ben superiori all'attuale: oltre alle operazioni di vendita a distanza già previste dalle disposizioni in vigore, verrebbero comprese tutte le vendite dirette a consumatori di altri paesi membri. Ma un aspetto ancora più importante è costituito dall'inclusione in questo regime delle operazioni fra soggetti passivi alle quali non è applicabile il regime dell'inversione contabile (autoliquidazione).

2.2.1.1

Secondo le proiezioni fatte, il regime dello SU potrebbe essere adottato da circa 200.000 operatori. È peraltro prevedibile che le aziende esportatrici — soprattutto quelle di grandi dimensioni — già iscritte nei registri IVA di un paese diverso dal proprio, continueranno con il sistema attuale. Lo SU costituisce infatti una facoltà, non un obbligo.

2.3

Lo sportello unico non costituisce tuttavia la soluzione di tutti i problemi. In primo luogo, rimangono in vigore tutte le norme nazionali in materia di periodi di dichiarazione, regole di pagamento e di rimborso e modalità di esecuzione; la Commissione ammette esplicitamente che il nuovo regime non ha come obiettivo quello dell'armonizzazione completa delle norme nazionali, armonizzazione che essa «non ritiene al momento né realistica né necessaria».

2.3.1

Rimane inoltre aperto il problema dei trasferimenti finanziari, che dovranno essere eseguiti direttamente fra il soggetto passivo e lo Stato membro creditore. La Commissione rileva che l'esperienza fatta sin qui con il regime particolare per il commercio elettronico (regime che vede meno di 1 000 aziende di paesi terzi iscritte), ha dimostrato che la redistribuzione delle somme percepite costituisce un compito «molto gravoso» per lo Stato membro percettore. Non sarebbe «realistico» pensare — sempre secondo la Commissione — all'estensione del sistema ad un numero molto maggiore di soggetti e di operazioni: sarebbe infatti necessario in questo caso creare dei vasti sistemi di tesoreria per trattare i flussi finanziari, un compito questo che potrebbe essere svolto dagli intermediari finanziari, i quali potrebbero proporre agli operatori dei servizi di regolamento e liquidazione delle operazioni. Tali servizi — che vanno prestati solo su base volontaria e possono essere particolarmente interessanti per i piccoli operatori — dovrebbero tuttavia basarsi sulla «realtà economica» o, in altri termini, essere prestati a condizioni accettabili.

2.3.2

In conclusione, lo SU lascia immutate tutte le modalità esistenti in materia di pagamenti e di rimborsi. Rimane anche in vigore il regime speciale per la prestazione a privati di servizi per via elettronica, che prevede un versamento unico allo Stato membro esportatore, il quale si incarica di ridistribuire quanto dovuto agli Stati di destinazione del servizio. Queste modalità dovrebbero essere riesaminate prima del 30 giugno 2006, e in occasione di tale riesame si studierà anche la possibilità di far confluire nel regime dello SU tutte le operazioni di fornitura di servizi tramite mezzi elettronici.

3.   Altri aspetti della proposta

3.1

Una proposta della Commissione del 1998 — che aveva come scopo principale la riforma del sistema dei rimborsi — conteneva anche alcune riforme in tema di spese non detraibili, o solo parzialmente detraibili, ai fini dell'imposizione dell'IVA. L'obiettivo era quello di «ravvicinare», se non di armonizzare, le norme nazionali che erano — e sono tuttora — estremamente divergenti. La proposta non andò in porto, soprattutto per le preoccupazioni di alcuni Stati membri in relazione alle proprie entrate.

3.1.1

La proposta attuale riprende l'argomento, proponendosi di armonizzare le categorie di spese alle quali si applica l'esclusione dal diritto di detrazione (spese non detraibili). In linea generale (con alcune eccezioni e restrizioni), tale esclusione si applicherebbe:

ai veicoli stradali a motore, imbarcazioni e aeromobili,

alle spese di viaggio, vitto e alloggio,

ai beni di lusso, divertimenti e spese di rappresentanza.

Tutte le altre voci di spesa, non comprese nelle suddette categorie, sarebbero soggette alle normali regole di detraibilità.

3.2

Per le transazioni B2B (business to business) l'IVA è a carico dell'acquirente nello Stato membro di destinazione, e può essere rimborsata con il meccanismo della inversione contabile ( reverse charge mechanism ), che è obbligatorio per alcune transazioni, mentre per altre può o meno essere imposto a discrezione degli Stati membri. La Commissione propone ora di estendere l'applicazione obbligatoria del meccanismo dell'inversione contabile, alle cessioni di beni installati o montati per conto dell'importatore o direttamente da lui stesso, alla fornitura di servizi relativi a beni immobili, nonché ai servizi coperti dall'articolo 9, paragrafo 2, lettera c) della Sesta direttiva.

3.3

In materia di esenzioni dall'imposizione dell'IVA, la regole attuali sono, secondo la Commissione, «rigide e incoerenti», risultato di esenzioni concesse a singoli Stati membri al momento della loro adesione all'UE o in altre occasioni. Esiste in materia un'ampia disparità di trattamento fra i vari Stati membri: lungi dal diminuire, tali disparità sono aumentate in seguito a proroghe di autorizzazioni temporanee o addirittura di estensioni della loro portata. La proposta prevede una maggiore flessibilità nel determinare il limite al disotto del quale vengono concesse le esenzioni: la soglia proposta sarebbe di EUR 100 000, ma ciascuno Stato membro sarebbe libero di stabilire limiti inferiori, magari diversi a seconda che si tratti di forniture di beni o di servizi.

3.4

In materia di vendite a distanza, le disposizioni attuali prevedono due diversi massimali, rispettivamente di EUR 35 000 o di EUR 100 000 annui globali, a scelta di ciascuno Stato membro di destinazione: al di là di questi, l'azienda fornitrice deve addebitare l'IVA al compratore secondo l'aliquota in vigore nello Stato membro di destinazione. Nell'intento di facilitare la vita degli operatori, la Commissione propone di adottare un massimale unico di EUR 150 000, rappresentante la globalità delle vendite verso tutti i paesi dell'Unione.

4.   Lo sportello unico: commenti

4.1

Il CESE è in linea di massima d'accordo sulla costituzione del regime dello SU, ma non può esimersi dall'esprimere qualche osservazione, nell'intento di contribuire ad una migliore efficienza del meccanismo dell'IVA transfrontaliera. I commenti e le proposte sono peraltro da interpretare come promemoria per futuri sviluppi e ulteriori interventi: nella situazione attuale, infatti, si riconosce che la Commissione ha fatto del suo meglio per proporre un programma realistico ma minimalista, e per ciò stesso — si spera — attuabile.

4.2

In materia di armonizzazione fiscale in generale, e nel campo dell'IVA in particolare, il panorama non lascia spazio a grandi ottimismi: i progressi sono lenti e irti di ostacoli, i meccanismi farraginosi e spesso inefficienti, le norme complicate e talora di non facile interpretazione. Di questo stato di cose fanno le spese i cittadini e le imprese, e in definitiva l'intera economia; ma, paradossalmente, le prime vittime sono gli Stati membri stessi, che danno spesso l'impressione — confermata dai fatti — di voler a tutti i costi mantenere uno status quo per motivi più o meno confessabili, continuando con sistemi complicati e costosi nel timore di un cambiamento: una burocrazia che diventa vittima di se stessa.

4.3

I primi risultati dello SU, già istituito e funzionante per la prestazione di servizi elettronici transfrontalieri, sembrano indicare uno scarso interesse da parte degli operatori: sono infatti meno di 1 000 (non residenti) ad averlo adottato, e principalmente «grandi» operatori, anche se è troppo presto per considerare il dato come significativo. Il nuovo SU dovrebbe invece ricevere, secondo la Commissione, un consenso più ampio: su circa 250 000 potenziali operatori transfrontalieri residenti, circa 200.000 dovrebbero avvalersene. Se tale ipotesi si avverasse, il regime dello SU andrebbe incontro a difficoltà: la Commissione rileva che il regime applicato al commercio elettronico pone già ora problemi amministrativi e pesanti oneri di gestione. La soluzione prospettata è quella di togliere allo SU le funzioni di riscossione e di ridistribuzione dei crediti (un compito «gravoso», secondo la Commissione) e la gestione dei rimborsi, per affidarle al settore finanziario: una soluzione forse necessaria, ma chiaramente insoddisfacente.

4.4

Il CESE osserva che se il compito di gestire il denaro è «gravoso» per le amministrazioni fiscali, esso non lo è meno per il settore finanziario, che pure è certamente attrezzato per prestare il servizio: tale gestione avrebbe comunque un costo, che sarà a carico dei contribuenti o delle amministrazioni fiscali. Non è detto chiaramente, infatti, chi dovrebbe sopportare gli oneri del sistema da mettere in opera, anche se da parte delle autorità si dà per scontato che siano gli operatori. La Commissione ritiene, sulla base di studi effettuati, che il nuovo sistema — basato sullo SU e su un sistema di compensazione/regolamento delle somme dovute — sarà comunque meno costoso di quello attuale.

4.5

Il Comitato non ha le risorse per verificare se e in quale misura l'intero progetto dello SU con l'affidamento del servizio al settore finanziario provocherebbe costi aggiuntivi o, al contrario, benefici apprezzabili. A fronte dei costi si dovrebbero calcolare, in termini monetari, i benefici, e cioè lo snellimento e l'accelerazione delle procedure per gli operatori e per le amministrazioni nazionali. In via intuitiva, i benefici per gli operatori potrebbero essere apprezzabili, ma limitati: lo SU eliminerebbe la necessità di registrazione nei diversi paesi di destinazione e lo scambio di documenti cartacei, ma rimarrebbero comunque in vigore le regole nazionali (periodi di dichiarazione e regole di pagamento e di rimborso), e soprattutto rimane invariata, in mancanza di armonizzazione, la pluralità di aliquote d'imposta nazionali.

4.6

In definitiva, il CESE manifesta il suo accordo sulla proposta della Commissione, ma sottopone all'attenzione dei decisori una riflessione che ritiene fondamentale: se lo SU deve interporsi come unico interlocutore fra gli operatori e le diverse amministrazioni nazionali, esso deve essere veramente unico nelle procedure e nell'amministrazione delle somme dovute e da ricevere. Il processo non sarà comunque mai completo sin quando non sarà realizzata l'armonizzazione delle aliquote fiscali e delle norme nazionali, fondamentali anche per la realizzazione di un vero mercato unico. Un'altro aspetto da esaminare è quello delle lingue: anche se lo scambio di informazioni con lo SU avviene sulla base di codici, può rivelarsi necessario un vero dialogo, magari con l'uso di formule non sempre standardizzabili.

5.   Altri aspetti della proposta di direttiva: commenti

5.1

Il Comitato esprime la sua piena approvazione per la proposta della Commissione (punto 3.1.1) di «armonizzare»le categorie di spese escluse dal diritto alla detrazione dell'IVA. Se la proposta fosse accettata, si avvierebbe infatti finalmente un processo di ravvicinamento delle fiscalità, anche se destinato ad essere realizzato — come attualmente appare — in una data piuttosto lontana.

5.2

Ugualmente va riservata accoglienza favorevole alla proposta di allargare la portata della inversione contabile (punto 3.2), ma un passo più decisivo potrebbe essere costituito dalla sua generalizzazione a tutte le operazioni B2B all'interno dell'Unione.

5.3

L'esenzione dall'IVA (punto 3.3) merita commenti di diverso tipo. Il Comitato si è già occupato della questione nel contesto del suo parere, nel quale deprecava l'abitudine di riservare trattamenti particolari e più favorevoli a determinate categorie di operatori, non solo in occasione dell'entrata di nuovi Stati membri nelle varie fasi dell'allargamento, ma anche come eredità di posizioni pregresse nei paesi di più antica appartenenza. Il CESE rilevava — e conferma ora — che l'esenzione dall'IVA di alcune categorie di operatori provoca distorsioni di concorrenza non solo nelle operazioni transnazionali, ma anche — e forse con maggiore impatto — all'interno degli stessi Stati membri.

5.3.1

È da notare, fra l'altro, che nei commenti della Commissione si parla di «piccole e medie imprese», mentre nei documenti ufficiali, e particolarmente nei protocolli di adesione, si parla in genere soltanto di «piccole» imprese: un segno evidente della volontà di minimizzare l'importanza della concessione e di estenderla, nei fatti, a imprese di ben diversa rilevanza. La proposta di direttiva evita di entrare nel merito della classificazione: si limita a parlare di «soggetti» con un volume d'affari intracomunitario non superiore a EUR 100 000: è chiara quindi la volontà di estendere il beneficio dell'esenzione a tutte le aziende, di qualsiasi dimensione.

5.3.2

La ragione dell'esenzione non è quindi quella di esentare dall'imposizione IVA una particolare categoria di aziende, bensì una categoria di operazioni di valore non rilevante, e sotto questo aspetto il Comitato è senz'altro d'accordo. Rimane da chiarire se le aziende esenti da IVA nazionale in base alle disposizioni generali, saranno assoggettate al limite di EUR 100 000 per le operazioni intracomunitarie. Se così fosse, si assisterebbe al paradosso di aziende esenti di «diritto», che dovrebbero versare l'imposta qualora superassero il limite predetto.

5.3.3

accoglienza meno favorevole — in linea di principio — il CESE riserva alla proposta di accordare a ciascuno Stato membro la facoltà di scegliere un massimale inferiore a EUR 100 000, o anche di stabilire massimali differenti a seconda che si tratti di beni o di servizi: si perpetua la deprecabile diversità di regole oggi esistenti, che complicano il lavoro degli operatori, aumentano i costi amministrativi e in definitiva, ancora una volta, sono in netto contrasto con i principi ispiratori del mercato interno. D'altra parte, ci si rende ben conto che particolari situazioni nazionali possono richiedere deroghe ad una norma generale, per cui un'armonizzazione del «tetto» delle esenzioni non avrebbe un effetto apprezzabile, in presenza di ben altre e più importanti difformità.

5.4

Per quanto riguarda le vendite a distanza (punto 3.4) il Comitato non può che esprimere il proprio apprezzamento per ogni sforzo — come è il caso di questa proposta — che la Commissione mette in opera per eliminare i pesanti adempimenti imposti agli operatori dalla diversità delle norme fiscali nazionali. In combinazione con l'istituzione dello SU, la determinazione di una soglia massima unica e globale dovrebbe costituire un vero progresso.

B.   PARTE II: LA PROPOSTA DI REGOLAMENTO DEL CONSIGLIO

6.   Il documento della Commissione

6.1

La proposta costituisce una modifica — che si renderebbe necessaria qualora fosse approvata la direttiva — al regolamento (CE) 1798/2003. Essa contiene disposizioni di tipo attuativo che non evocano particolari commenti, trattandosi in larga parte di modalità relative alle comunicazioni fra Stati membri, alla pubblicità delle norme e alle modalità di collegamento con la Commissione. La parte di maggior rilievo è contenuta nell'articolo 34 octies che riguarda i controlli sui soggetti IVA e sulle loro dichiarazioni.

6.2

Il principio ispiratore dei controlli à quello della collaborazione fra Stati membri: i controlli tramite lo SU possono essere effettuati sia dallo Stato membro dello SU, sia da qualsiasi altro Stato membro destinatario, avendo ciascuna parte l'obbligo di informare preventivamente le altre parti interessate; queste ultime hanno il diritto di partecipare ai controlli qualora lo desiderino. Le procedure da adottare per stabilire la collaborazione sono quelle fissate dagli articoli 11 e 12 del regolamento di base.

6.3

Trattandosi di materia essenzialmente procedurale, il CESE non ha particolari osservazioni da avanzare; si domanda peraltro se le modalità di collaborazione abbiano previsto tutte le possibilità in un campo che, pur non presentando aspetti del tutto nuovi (lo SU per le vendite a distanza esiste già), presenta elementi di notevole complessità. In primo luogo, lo sportello è virtuale , e quindi non prevede contatti personali fra i rappresentanti delle amministrazioni nazionali; inoltre, il già più volte ricordato problema della diversità linguistica non faciliterà certo la collaborazione o, per lo meno, una collaborazione efficace.

6.3.1

È da rilevare, infatti, che i controlli non sempre e in ogni caso possono essere fatti con l'uso esclusivo di codici o di formule standardizzate. Anche se per ben noti motivi il problema dei contatti fra amministrazioni e con gli utenti viene considerato come secondario o addirittura inesistente, gli operatori del settore non nascondono le loro difficoltà attuali e le loro preoccupazioni per il futuro.

6.4

Ultima osservazione, anche se certo non per importanza: la proposta di direttiva non tratta un aspetto che è invece essenziale per gli operatori: la protezione dei dati. Si dà per scontato che le comunicazioni fatte dagli operatori alle autorità siano protette contro il pericolo di comunicazione a terzi dalle vigenti norme sulla difesa della vita privata. Non viene peraltro affrontato il vero pericolo: quello della penetrazione di terzi nelle banche dati della pubblica amministrazione. Nel caso che ci occupa, i dati riguardanti quote di mercato e nominativi di clienti possono essere oggetto di spionaggio industriale, suscettibile di arrecare danni anche gravi. Prima di affidare informazioni alla pubblica amministrazione, qualunque essa sia, i cittadini e le aziende hanno il diritto di conoscere quali mezzi tecnici ed organizzativi sono messi in opera per difenderli dagli hackers.

Bruxelles, 12 maggio 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  COM(2003) 614 def.

(2)  COM(2004) 728 def. del 29.10.2004.

(3)  SEC(2004) 1128.

(4)  Cfr. direttiva 2004/66/CE del Consiglio del 26.4.2004.

(5)  Cfr. regolamento (CE) n. 885/2004 del 26.4.2004.

(6)  Cfr. parere CESE GU C 116 del 20.4.2001, pag. 59.


27.10.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 267/50


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio — Fondo europeo per la pesca

COM(2004) 497 def. — 2004/0169 CNS

(2005/C 267/08)

Il Consiglio, in data 1o dicembre 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 37 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 18 aprile 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore SARRÓ IPARRAGUIRRE.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 11 maggio 2005, nel corso della 417a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 84 voti favorevoli, 1 voto contrario e 5 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Il 1o gennaio 2003 è entrata in vigore la riforma della politica comune della pesca (PCP), il cui obiettivo è promuovere lo sfruttamento sostenibile delle risorse acquatiche viventi e dell'acquacoltura nel contesto di uno sviluppo sostenibile, tenendo conto in modo equilibrato degli aspetti economici, sociali e ambientali (1).

1.1.1

In precedenza, il Consiglio dell'Unione europea aveva adottato il regolamento (CE) n. 2371/2002 del Consiglio, del 20 dicembre 2002, relativo alla conservazione e allo sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca nell'ambito della politica comune della pesca.

1.2

Il Titolo II del Trattato che istituisce la Comunità europea e in particolare l'articolo 37 costituiscono la base giuridica per gli interventi comunitari nel quadro della politica comune della pesca. Sin dall'inizio, questi interventi presentavano una componente strutturale significativa che, negli ultimi vent'anni, ha contribuito a modernizzare il settore della pesca nel suo insieme.

1.3

Nel perseguire gli obiettivi specifici della politica comune della pesca, la Comunità deve garantire il futuro a lungo termine delle attività di pesca e lo sviluppo dell'acquacoltura, nonché lo sfruttamento sostenibile delle risorse e un impatto contenuto sull'ambiente, realizzando gli adeguamenti strutturali essenziali per ottenere un equilibrio tra risorse e capacità di pesca.

1.4

Gli adeguamenti strutturali stanno provocando grandi cambiamenti nel settore della pesca che richiedono l'adozione di provvedimenti destinati a preservarne il capitale umano, a dotarlo delle nuove conoscenze tecniche necessarie a contribuire allo sfruttamento sostenibile delle risorse alieutiche e allo sviluppo dell'acquacoltura, nonché a proteggere il tessuto socioeconomico delle zone costiere adottando misure di accompagnamento per la riconversione delle zone interessate dalla ristrutturazione del settore della pesca.

1.5

La politica comune della pesca (PCP) e il sostegno finanziario delle sue riforme strutturali fino al 31 dicembre 2002 erano coperti dai programmi di orientamento pluriennale (POP) e fino al 31 dicembre 2006 continueranno a essere coperti dallo strumento finanziario di orientamento della pesca (SFOP).

1.5.1

L'intero quadro normativo viene radicalmente semplificato dal momento che la proposta di regolamento in esame dovrà sostituire o modificare le disposizioni dei regolamenti (CE) n. 1260/1999 (2), (CE) n. 1263/1999 (3), (CE) n. 2792/1999 (4) e (CE) n. 366/2001 (5).

2.   Osservazioni generali

2.1

Alla luce di quanto esposto, il Comitato ritiene che il regolamento sul Fondo europeo per la pesca (FEP) proposto dalla Commissione sia necessario in quanto, a partire al 1o gennaio 2007, darà continuità allo SFOP (la cui attuazione, in base all'ultimo regolamento (CE) in materia, si conclude il 31 dicembre 2006) e creerà un nuovo sostegno finanziario per il periodo compreso fra il 1o gennaio 2007 e il 31 dicembre 2013.

2.2

Sintetizzando, il regolamento proposto persegue un duplice obiettivo per il FEP. Da una parte, in quanto strumento finanziario che forma parte integrante della politica comune della pesca, esso dovrà affiancarsi alle misure di gestione delle risorse e contribuire all'adeguamento delle strutture di produzione del settore, al fine di garantire uno sfruttamento sostenibile delle risorse della pesca e creare le necessarie condizioni di sostenibilità dal punto di vista economico, ambientale e sociale. D'altra parte, esso serve a preservare la coesione delle popolazioni e delle zone impegnate nelle attività di pesca.

2.3

A giudizio del CESE, il FEP deve puntare soprattutto a perseguire l'obiettivo di coesione economica, ovverosia a promuovere la crescita e gli adeguamenti strutturali delle regioni meno sviluppate, sempre fondandosi su di uno sviluppo armonioso, equilibrato e sostenibile delle attività economiche, dell'occupazione e delle risorse umane, della protezione e della tutela dell'ambiente.

2.4

Il Comitato reputa necessario presentare alla Commissione alcune considerazioni e raccomandazioni in merito all'articolato della proposta di regolamento.

3.   Osservazioni di carattere specifico

3.1

Il FEP si basa su di uno strumento semplificato che contempla un regolamento e un fondo unico per la copertura dell'assistenza comunitaria. Il CESE ritiene questa impostazione assai opportuna, dal momento che contribuirà a migliorare l'efficacia del Fondo.

3.2

Proprio ai fini dell'efficacia, il regolamento proposto concentra i programmi operativi attorno a cinque assi prioritari, tralasciando tutti i dettagli tecnici che possono ostacolare la sorveglianza e l'attuazione dei programmi. Viene abbreviato il processo di programmazione, sono eliminati i complementi di programmazione indicanti le singole misure, viene semplificato il sistema di pagamento, si consente allo Stato membro di assumersi la responsabilità in materia di esecuzione del bilancio comunitario, e si prevede che le norme di ammissibilità siano definite, salvo alcune eccezioni, a livello nazionale.

3.2.1

Come già indicato in precedenza, il semplice fatto che la proposta in esame sostituisca o modifichi le disposizioni di quattro regolamenti attualmente in vigore dà un'idea della semplificazione del quadro normativo.

3.2.2

Il Comitato approva queste disposizioni normative, dal momento che considera positiva la semplificazione degli interventi, a condizione che il principio di sussidiarietà sia correttamente applicato, lasciando agli Stati membri la facoltà di decidere su quali provvedimenti concreti concentrare le risorse economiche.

3.2.3

I cinque assi prioritari previsti dal regolamento sono i seguenti:

a)

misure per l'adeguamento della flotta da pesca comunitaria;

b)

acquacoltura, trasformazione e commercializzazione dei prodotti della pesca e dell'acquacoltura;

c)

misure di interesse collettivo;

d)

sviluppo sostenibile delle zone di pesca costiere;

e)

assistenza tecnica.

3.3

Obiettivi e norme generali di intervento vengono definiti al Titolo I della proposta. Pur condividendo in generale la maniera in cui la Commissione ha articolato questo titolo, il Comitato desidera presentare le seguenti osservazioni.

3.3.1

All'articolo 3, il CESE ritiene necessario distinguere fra «armatore-pescatore-proprietario» e «pescatore-dipendente».

3.3.2

Il Comitato suggerisce di includere un nuovo obiettivo fra quelli finanziati a titolo del Fondo: «salvaguardare la qualità dei luoghi di lavoro e migliorare le condizioni di vita, sicurezza e igiene dell'ambiente lavorativo».

3.3.3

Il CESE condivide i principi di sussidiarietà, gestione concorrente e parità tra uomini e donne esposti nella proposta; essi vanno inoltre applicati correttamente affinché gli Stati membri abbiano facoltà di decidere l'adozione di provvedimenti logici concreti.

3.3.4

Riguardo alle risorse finanziarie, la Commissione propone di impegnare 4 963 milioni di euro, ai prezzi del 2004, per il periodo 2007-2013. Lo 0,8 % della dotazione è riservato all'assistenza tecnica gestita direttamente dalla Commissione per un insieme di azioni previste dalla proposta.

3.3.4.1

Il 75 % degli stanziamenti di impegno disponibili per il Fondo è destinato alle regioni che rientrano nell'obiettivo di convergenza; il rimanente 25 % alle altre regioni. Come indicato nell'allegato I del regolamento, di questo 75 %, 1 702 milioni di euro vanno impegnati a favore delle regioni dei nuovi Stati membri interessati dall'obiettivo di convergenza, mentre alle restanti regioni incluse in questo obiettivo sono destinati 2 015 milioni di euro. I rimanenti 1.246 milioni di euro vanno infine distribuiti al resto delle regioni dell'Unione europea.

3.3.4.2

Il CESE teme che la dotazione non sia sufficiente a soddisfare tutti gli impegni assunti con il regolamento proposto.

3.3.5

Il Comitato ritiene adeguati i criteri di ripartizione finanziaria per Stato membro enunciati all'articolo 13, dal momento che si stabilisce di ripartire gli stanziamenti d'impegno disponibili in funzione delle dimensioni del settore della pesca nello Stato membro, dell'entità degli adeguamenti da apportare allo sforzo di pesca, del livello occupazionale nel settore della pesca e della continuità delle azioni in corso. Il CESE tiene tuttavia a sottolineare che per determinare la «continuità delle azioni in corso» si deve tener conto della situazione degli Stati membri che rispettano la normativa comunitaria, in particolare quella relativa ai programmi di orientamento pluriennale.

3.4

Il Titolo II Orientamenti strategici e il Titolo III Programmazione prevedono innanzitutto l'adozione di orientamenti strategici comunitari, la successiva preparazione da parte di ogni Stato membro di un piano strategico nazionale per il settore della pesca conforme alle strategie comunitarie e infine, sulla base di detto piano strategico, l'elaborazione di un programma operativo da parte di ciascun paese per il periodo compreso tra il 1o gennaio 2007 e il 31 dicembre 2013. Questi programmi operativi — che debbono essere conformi alla strategia comunitaria, agli obiettivi specifici della PCP e ad altre politiche comuni — saranno elaborati secondo gli orientamenti contenuti nella proposta in oggetto e verranno sottoposti all'approvazione della Commissione.

3.4.1

Dopo esser stati approvati dalla Commissione, i programmi operativi verranno avviati e saranno soggetti a riesame qualora emergano difficoltà di attuazione o siano stati introdotti mutamenti strategici significativi, ovvero per motivi di corretta gestione.

3.4.2

La proposta prevede in ogni modo che, entro il 30 aprile 2011, ciascuno Stato membro presenti alla Commissione una relazione sull'attuazione del piano strategico nazionale e che, entro il 31 ottobre 2011, la Commissione trasmetta al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni una relazione sull'attuazione dei piani strategici nazionali e degli orientamenti strategici comunitari.

3.4.3

Il CESE reputa coerente la parte della proposta riguardante gli orientamenti strategici a cominciare dagli orientamenti strategici comunitari, passando ai piani strategici nazionali e concludendo poi con i corrispondenti piani operativi. Il Comitato si domanda tuttavia se per elaborare il piano strategico nazionale tre mesi siano sufficienti, considerata la portata del piano, la difficoltà derivante dall'obbligo di consultare le parti per la sua redazione e l'alto numero di regioni costiere esistenti in alcuni paesi.

3.5

Il Titolo IV definisce le modalità di finanziamento a titolo del Fondo in base ai cinque assi prioritari già citati al punto 3.2.

3.5.1

A titolo dell'asse prioritario 1, Misure per l'adeguamento della flotta da pesca comunitaria, tenendo conto del regolamento (CE) n. 2371/2002, la Commissione propone tre linee d'intervento principali per cui è previsto un contributo finanziario:

a)

aiuti pubblici per armatori ed equipaggi di pescherecci interessati da piani nazionali di adeguamento dello sforzo di pesca, nei casi elencati;

b)

investimenti a bordo dei pescherecci di età superiore a cinque anni destinati esclusivamente all'ammodernamento del ponte principale per migliorare la sicurezza a bordo, le condizioni di lavoro e la qualità dei prodotti, purché l'ammodernamento non determini un aumento dello sforzo di pesca;

c)

compensazioni socioeconomiche a sostegno della gestione della flotta che prevedono la promozione della pluriattività dei pescatori, formazioni finalizzate alla riconversione professionale in ambiti diversi dalla pesca marittima e il prepensionamento.

Questa linea d'intervento può altresì contribuire al finanziamento di misure e incentivi per la formazione di giovani pescatori che intendano acquistare il loro primo peschereccio.

3.5.1.1

La prima linea d'intervento — citata alla lettera a) del punto 3.5.1 — per cui la Commissione propone un contributo riguarda le seguenti tipologie di aiuti pubblici per armatori ed equipaggi di pescherecci interessati da piani nazionali di adeguamento dello sforzo di pesca:

piani di ricostituzione,

misure di emergenza,

piani adottati a seguito del mancato rinnovo di un accordo di pesca con un paese terzo,

piani di gestione,

piani nazionali di uscita dalla flotta della durata massima di due anni.

3.5.1.1.1

L'articolo 24 della proposta prevede che la durata dei piani nazionali di adeguamento dello sforzo di pesca non possa superare due anni.

3.5.1.1.1.1

Il regolamento (CE) n. 2371/2002 stabilisce però che i piani di ricostituzione e i piani di gestione abbiano carattere pluriennale.

3.5.1.1.1.2

Il CESE ritiene pertanto che la scelta di limitare a due anni la durata dei piani nazionali di adeguamento dello sforzo di pesca possa causare gravi problemi agli Stati membri, dal momento che viene loro richiesto un impegno notevolissimo su di un lasso di tempo breve, tenuto conto del carattere pluriennale dei piani di ricostituzione. A giudizio del Comitato, gli aiuti di cui all'articolo 23, lettera a), della proposta, destinati a compensare i piani nazionali di adeguamento dello sforzo di pesca, dovrebbero durare almeno quattro anni.

3.5.1.1.2

La Commissione propone che i piani nazionali di adeguamento dello sforzo di pesca, nell'ambito dell'asse prioritario 1, includano misure per l'arresto definitivo e temporaneo delle attività dei pescherecci.

3.5.1.1.2.1

In base alla proposta, l'arresto definitivo delle attività di un peschereccio può avvenire soltanto mediante la sua demolizione o la sua destinazione ad attività non lucrative. Il CESE giudica invece che il peschereccio possa essere destinato ad attività diverse da quelle di pesca, anche lucrative, dal momento che la Commissione stessa promuove determinate destinazioni a fini lucrativi (pesca turismo). Il Comitato reputa inoltre che fra le possibilità di destinazione vada inclusa anche l'esportazione definitiva del peschereccio in un paese terzo e il trasferimento a società miste, a condizione che i rapporti scientifici confermino l'esistenza di risorse eccedenti che consentano una pesca sostenibile nelle acque del paese terzo.

3.5.1.1.2.2

A questo proposito, il Comitato ritiene tuttora — come già affermato nel precedente parere sulla riforma della politica comune della pesca (6) — che «le società miste siano uno degli strumenti che consentono di riorientare le flotte pescherecce e di cooperare con i paesi terzi nell'ambito della politica di cooperazione e di sviluppo».

3.5.1.1.2.3

Il Comitato esprime infine perplessità in merito ai criteri proposti dalla Commissione all'articolo 25 per fissare il livello degli aiuti pubblici da versare agli armatori in caso di arresto definitivo, dal momento che gli importi possono variare in funzione del prezzo del peschereccio sul mercato nazionale, del valore assicurato, del fatturato realizzato, dell'età e della stazza del peschereccio. Il Comitato giudica che questi criteri possano creare problemi nel settore della pesca e persino discriminazioni a seconda del valore riconosciuto in ciascun paese. Esorta pertanto la Commissione a ricercare criteri alternativi più equi per tutti gli Stati membri.

3.5.1.1.3

Oltre a contemplare un intervento finanziario per l'arresto temporaneo delle attività di pescherecci in conseguenza ai piani di adeguamento dello sforzo di pesca, la proposta prevede che il Fondo possa contribuire al finanziamento delle indennità di arresto temporaneo a favore di pescatori e armatori per un periodo massimo di sei mesi in caso di calamità naturale o altri eventi eccezionali che non derivino da misure di conservazione delle risorse.

3.5.1.1.3.1

Il CESE ritiene estremamente importante questa misura prevista dalla Commissione per far fronte a calamità naturali o eventi eccezionali.

3.5.1.2

Gli investimenti a bordo dei pescherecci di età superiore a cinque anni vengono limitati all'ammodernamento del ponte principale per migliorare la sicurezza a bordo.

3.5.1.2.1

Il regolamento proposto esclude quindi la possibilità di cofinanziare la sostituzione del motore principale dei pescherecci.

3.5.1.2.2

Il CESE considera che, a eccezione dei sistemi di salvataggio e di comunicazione, solitamente collocati sul ponte principale, la sicurezza dei pescherecci dipenda soprattutto da quanto si trova al di sotto del ponte principale.

3.5.1.2.3

Considerando che la necessità di sostituire il motore principale riguarda chiaramente la sicurezza del peschereccio e che detta sostituzione non aumenta necessariamente i kW di potenza e dunque nemmeno la capacità di pesca, il Comitato propone alla Commissione di valutare la possibilità di includere fra gli investimenti a bordo dei pescherecci la sostituzione del motore principale per motivi attinenti strettamente alla sicurezza, sebbene il regolamento (CE) n. 2371/2002 limiti le possibilità di ammodernamento alle attrezzature situate sul ponte principale.

3.5.1.2.4

Nel presentare questa richiesta alla Commissione, il Comitato rivolge il pensiero anche al mantenimento a lungo termine della flotta da pesca risultante dall'attuazione della riforma della PCP.

3.5.1.2.5

Oltre ai suddetti investimenti a bordo per motivi di sicurezza, la proposta prevede un contributo al finanziamento delle attrezzature che: rendono possibile il mantenimento a bordo di catture scartate; rientrano in determinati progetti pilota; permettono di ridurre l'impatto delle attività di pesca sugli habitat e sui fondali marini. Il CESE concorda con queste proposte.

3.5.1.3

Il regolamento in esame prevede altresì che il sopraindicato cofinanziamento delle attrezzature sia aumentato del 20 % allorquando è destinato a navi che praticano la «piccola pesca costiera». Il Comitato approva questa disposizione.

3.5.1.4

Il CESE accoglie infine con soddisfazione le misure socioeconomiche previste dalla proposta, le quali interessano essenzialmente i pescatori che, in conseguenza della riforma della PCP, siano spinti ad abbandonare l'attività di pesca. Il Comitato considera tuttavia che in queste misure dovrebbero essere inclusi aiuti alla formazione continua e alla riconversione professionale dei pescatori che proseguono l'attività nella pesca marittima.

3.5.1.4.1

A parere del Comitato, i destinatari delle suddette compensazioni socioeconomiche dovrebbero essere non soltanto i pescatori ma anche le loro associazioni di pesca.

3.5.1.4.2

Il Comitato deplora che ai giovani pescatori intenzionati ad acquistare il loro primo peschereccio sia destinato soltanto un contributo finanziario per la formazione nautica e di pesca e non per la costruzione della nave; un simile cofinanziamento potrebbe essere subordinato a diverse limitazioni riguardanti ad esempio le dimensioni del peschereccio. Il Comitato esorta la Commissione a valutare questa possibilità.

3.5.1.5

Il CESE è consapevole del fatto che questi contributi finanziari corrispondono esattamente all'articolato del regolamento (CE) n. 2371/2002. Il Comitato è tuttavia consapevole anche del proprio obbligo nei confronti degli Stati membri, e dunque nei confronti dei cittadini europei: garantire la qualità delle proposte della Commissione dal punto di vista socioeconomico. Il Comitato si sente pertanto in dovere di segnalare che le misure prospettate accelererebbero il riorientamento professionale del pescatore comunitario verso attività al di fuori del settore della pesca, debilitando di conseguenza la flotta da pesca comunitaria e portando l'Unione europea a dipendere sempre più dalle importazioni di prodotti della pesca provenienti dai paesi terzi.

3.5.1.6

Per questo motivo, e considerato che la pesca — una delle attività più pericolose in Europa e nel resto del mondo — registra il più alto numero di infortuni sul lavoro, il Comitato ribadisce quanto affermato nei suoi precedenti pareri (7) in merito al Libro verde sul futuro della Politica comune della pesca e alla Comunicazione della Commissione sulla riforma della politica comune della pesca, ovverosia che «lo sforzo per una riduzione progressiva della flotta comunitaria non può perdere di vista la necessità di rinnovare e modernizzare ulteriormente la flotta comunitaria, per mantenere la qualità delle condizioni di lavorazione della materia prima, garantire migliori condizioni di vita a bordo nonché una maggiore sicurezza degli equipaggi». Il Comitato invita la Commissione a riconsiderare quanto esso aveva sostenuto nelle conclusioni del parere sulla riforma della PCP, ovverosia che «occorre mantenere gli aiuti pubblici al rinnovo ed all'ammodernamento della flotta da pesca (…)», purché lo stato delle risorse della pesca lo consenta.

3.5.2

L'asse prioritario 2 contempla le tipologie di cofinanziamento, a titolo del Fondo, di investimenti nei seguenti settori: Acquacoltura, trasformazione e commercializzazione dei prodotti della pesca e dell'acquacoltura. La proposta in esame espone chiaramente quali investimenti possono essere sovvenzionati nei settori dell'acquacoltura, della trasformazione e della commercializzazione e quali misure sono ammissibili nell'ambito di questi investimenti; gli aiuti a questi investimenti sono però limitati o riservati esclusivamente alle microimprese e alle piccole imprese.

3.5.2.1

L'unico motivo di questa limitazione addotto dalla Commissione è che le microimprese e le piccole imprese rappresentano il 90 % del tessuto produttivo dell'acquacoltura. A giudizio del CESE, nell'ambito di questo asse andrebbe applicato chiaramente il principio di sussidiarietà. Nel momento in cui elabora il piano strategico e fissa gli obiettivi specifici, lo Stato membro dovrebbe porre come unica condizione al finanziamento dei progetti che essi siano realizzabili dal punto di vista economico e commerciale al fine di migliorare la competitività delle imprese. Il Comitato ritiene quindi che il cofinanziamento del Fondo andrebbe destinato a imprese redditizie, prioritariamente a microimprese e a piccole imprese che seguano un modello rigoroso di sfruttamento delle risorse. Solo queste imprese permetteranno infatti di mantenere il tessuto economico e sociale necessario per migliorare le condizioni di vita e tutelare l'ambiente. Nonostante il cofinanziamento sia destinato principalmente alle micro e alle piccole imprese, il Comitato chiede pertanto di non escludere altri tipi di imprese che operano uno sfruttamento redditizio.

3.5.2.2

Considerato che l'attività delle navi ausiliarie di appoggio all'acquacoltura non aumenta lo sforzo di pesca sullo stato delle risorse, il Comitato reputa che il regolamento debba prevedere che il Fondo possa contribuire a finanziare la costruzione di nuove imbarcazioni di questo tipo.

3.5.2.3

A giudizio del CESE, fra le misure ammissibili andrebbero inclusi gli investimenti finalizzati a migliorare l'efficienza biologica ed economica degli attuali sistemi produttivi, al fine di rendere possibile l'utilizzo di nuove tecnologie che rispettino l'ambiente e consentano una produzione più redditizia.

3.5.2.4

In relazione all'acquacoltura, il regolamento propone un'innovazione estremamente importante a giudizio del CESE. Si tratta della concessione di indennità compensative, subordinate a una serie di condizioni, per l'uso di metodi di produzione in acquacoltura che contribuiscono a proteggere e migliorare l'ambiente e a preservare la natura allo scopo di conseguire gli obiettivi comunitari in materia di pesca e ambiente.

3.5.2.5

Il CESE giudica tuttavia praticamente impossibile riunire i requisiti di cui all'articolo 31, paragrafo 4, della proposta. In effetti, quando elaborerà il programma operativo nel 2006, lo Stato membro non potrà prevedere in anticipo né le minori entrate, né i costi aggiuntivi, né la necessità di fornire un sostegno finanziario per la realizzazione del progetto per ciascuno dei sette anni successivi. Per questo motivo il CESE richiede l'eliminazione del paragrafo 4 dell'articolo 31.

3.5.2.6

Il CESE giudica opportuni i contributi del Fondo alle misure sanitarie e di polizia sanitaria, per quanto concerne sia le indennità compensative destinate agli allevatori di molluschi per l'arresto temporaneo della loro attività in caso di contaminazione dei molluschi coltivati sia l'eliminazione dei rischi patologici in acquacoltura.

3.5.2.7

Ritiene inoltre adeguati gli investimenti nell'ambito della trasformazione e della commercializzazione, previsti dalla proposta di regolamento, a condizione che, come è già stato indicato, non si limitino alle microimprese e alle piccole imprese.

3.5.2.8

Questo asse prioritario dovrebbe naturalmente comprendere anche gli aiuti al finanziamento delle attività di pesca nelle acque interne o continentali, un'attività fondamentale in alcuni Stati membri dell'Unione europea.

3.5.3

L'asse prioritario 3 della proposta di regolamento contempla le «misure di interesse collettivo». Esso prevede che il Fondo possa finanziare azioni di interesse collettivo di durata limitata, attuate con la partecipazione attiva degli stessi operatori o da organizzazioni che operano per conto di produttori o da altre organizzazioni riconosciute dall'autorità di gestione, e finalizzate a conseguire gli obiettivi della politica comune della pesca. Tuttavia, nei principi dell'intervento si afferma che le azioni possono essere attuate «dagli stessi operatori», ma si sostiene anche che il Fondo potrà finanziare azioni d'interesse collettivo di durata limitata che di norma non sarebbero finanziate da imprese private. Inoltre, l'allegato II della proposta di regolamento non prevede la partecipazione finanziaria dei beneficiari privati agli investimenti non produttivi compresi nel Gruppo 1, tra i quali troviamo tutti gli investimenti proposti nell'asse 3. Per tale motivo, il Comitato chiede che il Fondo possa finanziare azioni di interesse collettivo di durata limitata richieste dalle imprese private.

3.5.3.1

Il Comitato giudica adeguato il sostegno del Fondo ad azioni di interesse collettivo, proposto dal FEP all'articolo 36. La suddivisione degli interventi in quattro linee d'azione molto ampie permette di selezionare obiettivi importanti per il settore della pesca e dell'acquacoltura.

3.5.3.2

Per quanto concerne le «misure intese a proteggere e sviluppare la fauna acquatica» di cui all'articolo 37, il CESE teme che si tratti di azioni di carattere esclusivamente meccanico (ad esempio l'installazione di strutture fisse o mobili intese a proteggere e sviluppare la fauna acquatica o a ripristinare le vie navigabili interne, comprese le zone di riproduzione e le rotte utilizzate dalle specie migratorie) in quanto non si fa alcun riferimento al necessario seguito scientifico e si esclude il ripopolamento diretto. Il CESE chiede alla Commissione che la partecipazione del Fondo a questo tipo di azioni sia affiancata da un apposito lavoro di consulenza scientifica e che venga presa in considerazione la necessità di ripopolare determinate specie migratorie. Chiede inoltre che gli enti privati interessati, in grado di conseguire gli obiettivi previsti, siano inclusi tra gli organismi che possono realizzare tali misure.

3.5.3.3

Il cofinanziamento degli investimenti nei porti di pesca è illustrato con chiarezza. Il CESE ritiene che alle cinque linee d'azione previste bisognerebbe aggiungerne un'altra che contempli la costruzione e la manutenzione di strutture per l'accoglienza dei pescatori comunitari, non residenti nei porti di attracco, di rientro da attività in mare.

3.5.3.4

Il CESE sostiene l'approccio dato alla «Promozione e sviluppo di nuovi mercati» nella misura in cui l'intervento del FEP è destinato alle azioni collettive volte ad utilizzare le specie in eccedenza o ad incentivare l'uso delle specie sottoutilizzate, a incrementare la qualità dei prodotti, a promuovere prodotti ottenuti usando metodi con un impatto ambientale ridotto e a realizzare campagne finalizzate a migliorare l'immagine del settore della pesca.

3.5.3.5

Per quanto concerne i «progetti pilota», di cui all'articolo 40, per il CESE è necessario aggiungere un nuovo paragrafo al fine di inserire, tra i progetti ammissibili, quelli relativi alla pesca sperimentale, purché abbiano come obiettivo la conservazione delle risorse e comportino l'applicazione di tecniche maggiormente selettive, come impone l'attuale SFOP.

3.5.3.6

D'altro canto, il CESE ritiene che la Commissione europea dovrebbe inserire in questo asse prioritario le misure necessarie per migliorare la consulenza scientifica per la gestione della pesca nell'Unione europea, come da essa stessa auspicato nella comunicazione su tale argomento (8). Per tale motivo, il Comitato ritiene opportuno sovvenzionare campagne di ricerca in mare, studi socioeconomici sull'impatto delle misure drastiche a favore della ricostituzione degli stock, la consulenza scientifica in questo settore, e infine il funzionamento dei consigli consultivi regionali, dando agli scienziati le stesse risorse concesse ai membri di detti consigli.

3.5.3.7

Inoltre, il Comitato giudica opportuno mantenere il sostegno alla creazione e al funzionamento delle organizzazioni di produttori, come contempla l'attuale SFOP.

3.5.4

L'ambito d'intervento dell'asse prioritario 4 «Sviluppo sostenibile delle zone di pesca costiere» indica che, in combinazione con altri strumenti comunitari, il Fondo finanzia azioni in materia di sviluppo sostenibile e miglioramento della qualità di vita delle zone di pesca costiere ammissibili. Precisa inoltre che il sostegno si inserisce nel quadro di una strategia globale di attuazione degli obiettivi della politica comune della pesca, tenendo conto in particolare delle implicazioni socioeconomiche.

3.5.4.1

La maggior parte delle misure previste da questo asse prioritario sono destinate alla riconversione delle zone costiere dipendenti dalla pesca, il cui sviluppo non potrà continuare ad essere legato a questa attività. Prima che in una zona vengano adottate misure di sviluppo sostenibile orientate ad altre attività, per il CESE è necessario procedere ad un'analisi scientifica approfondita dell'attività di pesca nella stessa zona, con la partecipazione sia degli ambienti scientifici sia degli operatori del settore.

3.5.4.2

La proposta di regolamento stabilisce che gli Stati membri devono includere nei programmi operativi un elenco delle zone che possono beneficiare dei finanziamenti del Fondo nell'ambito dello sviluppo sostenibile delle zone costiere.

3.5.4.3

Tale approccio corrisponde al principio di sussidiarietà, continuamente invocato dalla Commissione europea come elemento fondamentale per una corretta applicazione della proposta di regolamento. Tuttavia, la stessa Commissione snatura tale principio quando obbliga gli Stati membri a far rientrare le zone ammissibili in una serie di parametri, alcuni dei quali lontani dalla realtà, specie quello che prevede che tali zone non devono contenere agglomerati urbani con più di 100 000 abitanti. Il CESE chiede dunque di eliminare detto requisito per la definizione delle zone ammissibili.

3.5.4.4

Una volta fissate, da parte della Commissione, le misure sovvenzionabili, per il Comitato è fondamentale che venga applicato il principio di sussidiarietà. Chiede dunque alla Commissione che il testo della proposta di regolamento dia a ciascuno Stato membro il diritto di stabilire l'elenco delle sue zone costiere ammissibili basandosi su criteri propri.

3.5.4.5

Infine, tale asse prioritario prevede che le azioni a sostegno dello sviluppo sostenibile delle zone di pesca costiere siano attuate su un dato territorio da un gruppo di partner locali, pubblici o privati, chiamato «gruppo di azione costiera» (GAC).

3.5.4.6

I GAC si occupano della gestione degli aiuti in base a norme operative ben precise che garantiscono la capacità amministrativa e finanziaria e dunque assicurano, in piena trasparenza, il successo delle operazioni.

3.5.4.7

Per il CESE è auspicabile che la composizione dei GAC possa contare sul riconoscimento preliminare degli interlocutori sociali.

3.5.5

L'ultimo asse prioritario del FEP è il numero 5, relativo all'assistenza tecnica. Il suo obiettivo è quello di finanziare, su iniziativa o per conto della Commissione, le misure che quest'ultima si impegna a realizzare in materia di preparazione, sorveglianza, sostegno tecnico e amministrativo, valutazione, audit e controllo necessarie all'attuazione del FEP, nonché le azioni che possono essere in tale contesto proposte dagli Stati membri per i programmi operativi.

3.5.5.1

La proposta di regolamento fissa il bilancio per l'assistenza tecnica entro un limite dello 0,80 % della dotazione annuale e quello per gli aiuti agli Stati membri ad un massimo del 5 % dell'importo totale di ciascun programma operativo.

3.5.5.2

Il Comitato approva le azioni ammissibili e i limiti di finanziamento proposti.

4.   Disposizioni generali

4.1

La proposta di regolamento presenta una serie di disposizioni generali sulla «efficacia e pubblicità degli interventi», sulla «partecipazione finanziaria del Fondo», su «gestione, sorveglianza e controlli», sulla «gestione finanziaria» e sul «Comitato del Fondo europeo per la pesca».

4.1.1

Il Comitato accoglie favorevolmente tutte queste disposizioni, che garantiscono il buon funzionamento, la corretta gestione e la trasparenza del Fondo.

5.   Conclusioni

5.1

La proposta di regolamento relativa al FEP rappresenta lo strumento finanziario che affiancherà le misure di gestione delle risorse e adeguerà le strutture produttive del settore conformemente alla politica comune della pesca. È per tale motivo che il Comitato economico e sociale europeo approva in linea di massima la proposta presentata dalla Commissione.

5.2

Il Comitato giudica altresì corrette sia la durata di applicazione del regolamento (1o gennaio 2007 — 31 dicembre 2013) sia la clausola che prevede il riesame da parte del Consiglio entro la data finale.

5.3

Il Comitato ritiene inoltre opportuni gli obiettivi e le norme generali di intervento, ma invita la Commissione ad ampliare per quanto possibile il principio di sussidiarietà, lasciando agli Stati membri la facoltà di decidere su quali provvedimenti concreti concentrare le risorse economiche. Il Comitato suggerisce anche di includere un nuovo obiettivo tra quelli finanziati a titolo del Fondo: «salvaguardare la qualità dei luoghi di lavoro e migliorare le condizioni di vita, sicurezza e igiene dell'ambiente lavorativo».

5.4

Il Comitato reputa insufficiente il termine di tre mesi previsto per l'elaborazione del piano strategico da parte degli Stati membri, considerando la portata del piano, la difficoltà derivante dall'obbligo di consultare le parti per la sua redazione e l'alto numero di regioni costiere esistenti in alcuni paesi.

5.5

In relazione all'asse prioritario 1 «Misure per l'adeguamento della flotta da pesca comunitaria», le misure adottate dal Fondo sono la conseguenza della riforma della PCP approvata dal Consiglio. Il Comitato ritiene tuttavia che l'Unione europea debba mantenere costantemente una flotta da pesca operativa e competitiva sia all'interno sia fuori della Zona economia esclusiva (ZEE) e che tale responsabilità incomba alla Commissione. Il CESE chiede pertanto alla Commissione di apportare all'asse prioritario 1 i seguenti miglioramenti:

gli aiuti destinati a compensare i piani nazionali di adeguamento dello sforzo di pesca dovrebbero durare almeno quattro anni,

gli aiuti per l'arresto definitivo delle attività di pesca devono essere concessi non solo per la demolizione dei pescherecci ma anche per la destinazione ad attività diverse da quelle della pesca, per l'esportazione in un paese terzo e per il trasferimento a società miste,

il ricorso a criteri più equi per calcolare il livello di aiuti pubblici in caso di demolizione,

la necessità di contemplare, per motivi di sicurezza, la sostituzione del motore principale come investimento a bordo dei pescherecci ammissibili,

l'inclusione, tra le misure socioeconomiche, degli aiuti alla formazione continua e alla riconversione professionale dei pescatori che proseguono l'attività nella zona marittima,

il mantenimento di una flotta da pesca operativa rinnovando e ammodernando i pescherecci purché lo stato delle risorse lo consenta.

5.6

In relazione all'asse prioritario 2 «Acquacoltura, trasformazione e commercializzazione dei prodotti della pesca e dell'acquacoltura», il CESE ritiene opportuno applicare il principio di sussidiarietà, dando allo Stato membro il diritto di stabilire quale sia la migliore destinazione delle risorse economiche a titolo del Fondo. Per tale motivo andrebbe cancellata la limitazione che riserva il cofinanziamento agli investimenti presentati dalle microimprese e dalle piccole imprese, ponendo come unica condizione che i progetti siano realizzabili dal punto di vista economico e commerciale, al fine di migliorare la competitività delle imprese.

5.7

Per quanto concerne l'asse prioritario 3 «Misure di interesse collettivo», il Comitato chiede che il Fondo possa finanziare azioni collettive di durata limitata richieste da imprese private e investimenti volti a migliorare la consulenza scientifica e tecnica per la gestione della pesca nell'Unione europea.

5.8

L'asse prioritario 4 «Sviluppo sostenibile delle zone di pesca costiere» limita le zone ammissibili a quelle formate da agglomerati con meno di 100 000 abitanti. Il Comitato chiede pertanto l'eliminazione di tale requisito e l'applicazione del principio di sussidiarietà, riconoscendo ad ogni Stato membro il diritto di definire l'elenco delle sue zone costiere in base a criteri propri.

5.9

Il Comitato condivide l'asse prioritario 5 «Assistenza tecnica» approvando le azioni ammissibili e i limiti di finanziamento proposti.

5.10

Il CESE ritiene che il FEP dovrebbe naturalmente comprendere anche gli aiuti al finanziamento delle attività di pesca nelle acque interne o continentali, un'attività fondamentale in alcuni Stati membri dell'Unione europea. Inoltre, nel Titolo I, Capitolo II, articolo 4, lettera e) e negli altri articoli della proposta di regolamento del Consiglio in cui figura la parola «lacustre/i», il Comitato raccomanda che essa sia sostituita con l'espressione «acque interne».

5.11

Il CESE sostiene totalmente i sistemi di gestione, sorveglianza e controllo, ritenendoli del tutto opportuni per garantire il buon funzionamento del FEP.

5.12

Per tutti questi motivi, il Comitato economico e sociale europeo approva la proposta di regolamento concernente il FEP, presentata dalla Commissione, e invita quest'ultima a tener conto delle osservazioni formulate nel presente parere.

Bruxelles, 11 maggio 2005

La presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  GU L 358, del 31.12.2002.

(2)  GU L 161, del 26.6.1999.

(3)  GU L 161, del 26.6.1999.

(4)  GU L 337, del 30.12.1999.

(5)  GU L 55, del 24.2.2001.

(6)  GU C 85 dell'8.4.2003.

(7)  CESE 1315/2001, GU C 36 dell'8.2.2002, e CESE 1369/2002, GU C 85 dell'8.4.2003. NdT: nella versione italiana del documento della Commissione, per errore la negazione «non» è saltata (cfr. l'articolo 35 della proposta di regolamento).

(8)  GU C 47 del 27.2.2003.


27.10.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 267/57


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Consiglio relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee

COM(2004) 501 def. — 2004/0170 (CNS)

(2005/C 267/09)

Il Consiglio, in data 22 ottobre 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 15 aprile 2005, sulla base del progetto predisposto dal relatore BURANI.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 12 maggio 2005, nel corso della 417a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 118 voti favorevoli, 2 voti contrari e 15 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

L'articolo 9 della decisione del Consiglio relativa al sistema delle risorse proprie delle Comunità europee (1), prevede che la Commissione proceda, prima del 1o gennaio 2006, ad una revisione generale del sistema di risorse proprie — prevista per il periodo 2007-2013 — accompagnandola, se necessario, con appropriate proposte. Il Parlamento europeo, dal canto suo, ha avanzato un'esplicita richiesta di revisione dei criteri contributivi. In esecuzione del mandato, la Commissione ha presentato, d'accordo con il Consiglio, la proposta ora in esame. Il mandato affidato alla Commissione si presenta difficile e complesso per la sua tecnicità, ma soprattutto delicato per i suoi aspetti politici relativi ai rapporti fra i vari Stati membri e a quelli di ciascuno di essi nei confronti dei propri cittadini.

1.2

La parte tecnica del documento non è sempre di immediata comprensione anche per chi è al corrente dei principi della finanza pubblica. Occorre peraltro dare atto alla Commissione di aver fatto del proprio meglio per rendere la materia almeno atta ad essere discussa dagli specialisti e compresa da coloro che hanno responsabilità decisionali: la proposta è stata infatti corredata da una relazione (2), che illustra la situazione corrente e i vantaggi e svantaggi delle varie alternative possibili, e da un allegato tecnico (3), che tratta degli aspetti econometrici con i relativi dettagli di carattere contabile, matematico ed economico.

1.3

Il Comitato intende quindi concentrare la propria attenzione sugli aspetti direttamente connessi all'equità dei contributi ed ai meccanismi contributivi e distributivi degli oneri e dei benefici fra gli Stati membri, consapevole peraltro del fatto che i tecnicismi di difficile comprensione possono a volte oscurare l'importanza economica o politica delle loro implicazioni. Il concetto ispiratore dell'«equità» del meccanismo delle risorse proprie è d'altra parte difficile da definire in modo non equivoco poiché vi concorrono elementi oggettivi e soggettivi. Mentre è misurabile, ad esempio, il livello di prosperità, più difficile rimane la valutazione dei benefici indiretti derivanti dall'appartenenza all'Unione. Il risultato finale dipenderà comunque dagli equilibri che si riusciranno a raggiungere al termine dei negoziati in seno al Consiglio, i quali sin d'ora non si prospettano facili.

1.3.1

La qualità delle soluzioni sarà la prova del raggiungimento di un giusto equilibrio fra due principi: da un lato quello del giusto ritorno, secondo il quale ciascuno si attende che il proprio contributo sia commisurato alla somma dei benefici — non tutti quantificabili — derivanti dalla propria adesione all'Unione; dall'altro quello della solidarietà, che implica quel tanto di flessibilità necessaria a concedere di più — o a richiedere di meno — in considerazione delle necessità dell'intera collettività. Occorre tener conto, peraltro, che questi principi sono generalmente accettati, ma sono interpretati da ciascuno secondo proprie valutazioni. Ogni governo ha a cuore la protezione delle proprie finanze e sa che l'opinione pubblica del suo paese ha un ruolo spesso determinante nelle sue decisioni. Il raggiungimento di intese soddisfacenti per tutti e per ciascuno dipenderà dall'accettazione di soluzioni ispirate ad uno spirito di vero «federalismo finanziario».

2.   La situazione attuale

2.1

L'esistenza di risorse proprie è una caratteristica specifica dell'Unione europea e costituisce uno degli elementi di affermazione della personalità autonoma della Comunità, cosa che implica che essa deve avere mezzi di finanziamento propri e non dipendenti dagli Stati membri. In questo contesto, le risorse proprie della Comunità si possono definire come introiti attribuiti alla Comunità per finanziare il proprio bilancio, e che le spettano di diritto senza bisogno di ulteriori decisioni delle autorità nazionali.

2.2

Secondo i criteri ispiratori, enunciati dal Consiglio europeo di Berlino del 24 e 25 marzo 1999, il sistema delle risorse proprie delle Comunità deve essere equo, trasparente, economicamente efficiente e basarsi su criteri che rispecchiano in maniera ottimale la capacità contributiva di ciascuno Stato membro. Questa dichiarazione, di una ovvietà evidente, è stata peraltro disattesa sotto diversi aspetti e in diverse occasioni.

2.3

La decisione del Consiglio di costituire delle risorse proprie risale al 21 aprile 1970, ed è stata successivamente integrata e modificata da una decisione del 24 giugno 1988 e da ultimo dal Consiglio di Berlino del 1999. In sintesi, al momento attuale le risorse proprie sono di tre tipi:

risorse proprie tradizionali (RPT): sono costituite essenzialmente dai dazi doganali e dai prelievi agricoli,

risorse basate sull'IVA: si tratta di un prelievo — inizialmente fissato all'1 % e successivamente modificato — sugli introiti nazionali provenienti dall'IVA, calcolati su una base statistica «teorica»armonizzata; tale base non può comunque superare il 50 % del reddito nazionale lordo (RNL),

risorse basate sull'RNL: è un prelievo operato in proporzione all'RNL di ciascuno Stato membro.Per questo prelievo non vi è un limite per paese ma esiste un «tetto» che limita l'importo totale di tutte le risorse proprie della Comunità all'1,24 % dell'RNL dell'intera Unione.

2.3.1

Nel 1996 il totale delle RPT e delle risorse IVA costituiva oltre il 70 % degli introiti, nel 2003 tale percentuale era passata al 38 % e i calcoli della Commissione fanno prevedere che esso sarà ulteriormente ridotto a circa il 26 % sia per il 2004 che per l'anno in corso: una tendenza alla progressiva diminuzione, che evidenzia la corrispondente crescita dell'importanza relativa della risorsa basata sull'RNL (la cosiddetta quarta risorsa).

2.4

Il meccanismo della quarta risorsa è stato modificato con la decisione del Consiglio del 7 maggio 1985: riconoscendo che il Regno Unito avrebbe dovuto corrispondere una quota troppo elevata in rapporto alle proprie capacità contributive, venne stabilito che a tale paese sarebbero stati rimborsati i 2/3 del suo contributo netto. Questa decisione ha subito nel tempo diverse modifiche e la Commissione osserva che le successive variazioni hanno reso il meccanismo sempre più complesso e sempre meno trasparente.

2.4.1

La decisione di procedere ad un «aggiustamento» era stata peraltro presa in precedenza, e cioè dal Consiglio di Fontainebleau del 1984, anche se in termini generici che sembravano implicare un orientamento di carattere generale secondo il quale: «ogni Stato membro che sostenga un onere eccessivo in relazione alla sua prosperità relativa potrà beneficiare di una correzione a tempo debito». Il Regno Unito fu il solo beneficiario della correzione a partire dall'anno seguente (decisione di Fontainebleau) e lo è tuttora: l'importo annuo che gli è stato riconosciuto (media degli anni 1997-2003) è di circa 4,6 miliardi di euro. Il Comitato si interroga sul significato dell'espressione a tempo debito, che sembrava voler implicare una misura di carattere temporaneo e da verificare di volta in volta (il che non è stato) e si domanda anche se all'epoca altri Stati oltre al Regno Unito fossero nelle condizioni di fruire di un'analoga correzione.

2.4.2

La nozione di onere eccessivo era dovuta in parte alla considerazione del fatto che all'epoca il Regno Unito era in fondo alla classifica (4) del reddito nazionale lordo (RNL) per abitante, rapportato alla media europea (100): 90,6, contro 92,6 dell'Italia, 104 della Francia e 109,6 della Germania. Oggi la classifica è invertita (dati 2003): il Regno Unito è infatti in testa con un RNL del 111,2, al pari con la Danimarca, mentre la Francia presenta un 104,2, la Germania un 98,6 e l'Italia un 97,3. Altra considerazione che fu tenuta in debito conto fu che il Regno Unito si trovava a dover versare un contributo su base IVA molto elevato, mentre beneficiava in misura relativamente ridotta dei contributi della politica agricola e di quella regionale. Come risultato, il Regno Unito appariva il primo contribuente netto del bilancio comunitario: una situazione squilibrata che esigeva una correzione, come infatti avvenne.

2.4.3

Il rimborso a favore del Regno Unito fu posto a carico, e lo è tuttora, degli altri Stati membri, in proporzione al loro PNL rispettivo: da questo calcolo, ovviamente, il Regno Unito è escluso. La regola del rapporto con il PNL ha subito peraltro un importante ritocco nel 1999, quando a quattro fra i maggior contribuenti (in termini relativi) al bilancio (Germania, Olanda, Austria e Svezia) fu attribuita una riduzione del 75 % sugli importi da loro dovuti a titolo della correzione. Il risultato di questo nuovo sistema contributivo è che Francia e Italia, insieme, finanziano il 52 % della correzione a favore del Regno Unito.

2.4.4

Se il sistema attuale venisse mantenuto, gli sviluppi stimati per il periodo 2007-2013 porterebbero a una situazione paradossale e cioè un aumento della correzione britannica del 50 % in media; il risultato sarebbe che il Regno Unito diverrebbe il minore contribuente netto, con un sostanziale aumento dell'onere a carico degli altri Stati membri, ivi compresi i nuovi. (5) Senza contare che la prevista estensione del meccanismo ad altri paesi (v. punto 3.6) rende necessario — secondo il Comitato — un adattamento delle regole. Diventa quindi evidente che il meccanismo della correzionese proprio si confermasse necessario (cfr. punto 3.6.4) dovrebbe essere comunque riformato, come è d'altronde nelle intenzioni della Commissione, e sostituito con altri che, rispettando i criteri di Fontainebleau, conducano a soluzioni eque e trasparenti.

3.   La proposta della Commissione: commenti ai principali articoli

3.1

Articolo 2: le risorse proprie. Il paragrafo 1, lettera a) riprende, con qualche modifica, lo schema esistente. Le entrate del primo tipo (RPT) — cfr. punto 2.3 — sono essenzialmente costituite da prelievi, premi, importi supplementari o compensativi, dai dazi doganali con paesi terzi e da contributi e dazi nel settore dello zucchero. A titolo di spese di riscossione gli Stati membri trattengono il 25 % degli importi dovuti: una deduzione di tale entità necessita di un chiarimento. In origine la percentuale di riduzione era del 10 % e fu portata al 25 % nel 1999, definendola per la prima volta, «spese di riscossione». Si trattava evidentemente di un correttivo atipico, del quale furono beneficiari principali i Paesi Bassi e il Regno Unito: un esempio di mancanza di trasparenza delle procedure.

3.1.1

Il gettito proveniente dalle RPT è, in termini percentuali rispetto al totale delle entrate comunitarie, in continuo declino (i dati riguardanti questo punto, così come gli altri che seguono, sono ricavati dalla relazione della Commissione Il finanziamento dell'Unione europea  (6) ): è infatti passato dal 19 % nel 1996 all'11,4 % nel 2003. I calcoli e le statistiche necessarie per arrivare alla determinazione degli importi dovuti comportano un impiego di risorse e spese, sempre rilevanti anche dopo la riduzione dei dazi doganali.

3.1.1.1

Il CESE si interroga se veramente valga la pena di mantenere in vita questo sistema contributivo, o se non sia piuttosto il caso di ridurne drasticamente l'importanza per sostituirlo con un adeguamento dell'aliquota sull'RNL. Il CESE prende nota peraltro che la Commissione ha adottato un orientamento esattamente opposto, basandosi sulla considerazione che la risorsa fiscale appartiene in maniera naturale all'Unione, e che essa non intende modificare tale approccio, tanto più che questo sembra essere condiviso da una maggioranza di Stati membri.

3.2

Il paragrafo 1, lettera b) prevede l'applicazione di un'aliquota uniforme agli imponibili IVA armonizzati, valida per tutti gli Stati membri. L'imponibile da prendere in considerazione è limitato ad un tetto del 50 % dell'RNL di ciascun paese. L'aliquota uniforme è fissata nel paragrafo 4 allo 0,30 %. Il calo dell'importanza relativa di questa entrata per il bilancio comunitario è significativo: dal 51,3 % nel 1996 si è passati a circa il 14 % (previsto) per il 2004 e per il 2005.

3.2.1

Il CESE ha più volte espresso critiche sul sistema dell'IVA che — in misura ancor più marcata che le RTP — impone costi elevati di riscossione, di amministrazione e di controllo. Secondo l'OLAF, l'IVA è inoltre «l'imposta più largamente evasa», con conseguente danno per il bilancio comunitario (danno peraltro compensato da un maggiore prelievo a carico dell'RNL).

3.2.2

Anche in questo caso, il CESE si interroga sulla razionalità del mantenimento di questo prelievo, sul quale invece la Commissione sembra appuntare le sue preferenze, anche se pensa di trasformarlo in una vera risorsa fiscale, come previsto in origine. Dovrebbe essere possibile adeguare l'aliquota del prelievo effettuato sull'RNL in modo tale che essa venga a compensare la quota delle risorse proprie attualmente assicurata dalla risorsa IVA. In considerazione dello stretto legame che intercorre tra il gettito dell'IVA e l'entità dell'RNL, questa modifica non dovrebbe comportare una ridistribuzione significativa tra gli Stati dei contributi versati, mentre invece verrebbero a cessare il calcolo statistico e le spese di riscossione della risorsa IVA. Nella citata relazione sul finanziamento dell'Unione (cfr. punto 3.1.2) la Commissione ha infatti preso in considerazione l'ipotesi di una soppressione della risorsa IVA, giungendo però ad una conclusione negativa.

3.2.2.1

Il CESE si rende conto della complessità del problema, ma ritiene che prima di una decisione finale valga la pena di approfondire gli studi sulla natura e sui numerosi difetti di questa imposta di cui esso ne ha fatto l'analisi in più occasioni. Tra l'altro, in aggiunta a quanto si è detto nel paragrafo precedente, si ricorda che l'IVA è da decenni in un «regime provvisorio».

3.3

Il paragrafo 1, lettera c) costituisce la l'elemento più importante della proposta: esso prevede un prelievo a carico della somma degli RNL di tutti gli Stati membri, mediante l'applicazione di un'aliquota che «sarà fissata secondo la procedura di bilancio». La procedura è una materia specialistica, sulla quale il Comitato non si pronuncia. Esso sottolinea peraltro che questo prelievo sta diventando proporzionalmente sempre più importante rispetto agli altri tipi di risorse e che presenta fra l'altro il vantaggio di essere di gran lunga la meno costosa da amministrare fra le diverse fonti di finanziamento. La commissione nell'allegato alla sua relazione ricorda che il costo amministrativo è uno dei criteri presi in considerazione, ma non l'unico, e non necessariamente il principale: il CESE ne prende atto, osservando peraltro che, in materia di contributi al bilancio, il rispetto dei principi deve spesso cedere il passo a considerazioni di economicità.

3.4

Le tre fonti sopra citate (paragrafo 1, lettere a), b) e c)) costituiscono un «mix» (integrato dalle «altre imposte eventualmente istituite» previste al paragrafo 2) che può variare in misura notevole di anno in anno. Da tempo, il Consiglio e la Commissione si interrogano sul fatto se tale sistema debba essere mantenuto o meno. Nella già citata relazione sul finanziamento dell'Unione (7) la Commissione studia il modo di trovare una struttura ottimale, prendendo in esame tre opzioni: mantenimento del sistema attuale, adozione di un sistema di finanziamento basato soltanto sull'RNL, e adozione di un sistema più marcatamente fondato sulle entrate fiscali. È probabile che nel corso del prossimo anno la questione sarà discussa al fine di arrivare ad una decisione definitiva. Il Comitato spera di essere tenuto al corrente degli sviluppi, ma mette in guardia contro la tendenza, che sembra emergere dagli studi sin qui fatti, di un approccio puramente tecnico-contabile che trascuri gli aspetti politici delle scelte.

3.4.1

Fra le «altre imposte eventualmente istituite» di cui al paragrafo precedente, o addirittura in sostituzione della risorsa IVA, è stata ventilata l'idea di una tassa sull'energia inquinante, da destinare al bilancio comunitario ma da investire specificamente nel miglioramento dell'ambiente. Il CESE si dichiara contrario ad una tale soluzione in quanto nessuna regola permette di destinare a fini particolari una parte delle contribuzioni. Questo, a parte la considerazione che la situazione politica internazionale non permette di prendere decisioni che potrebbero influire sulle dinamiche del futuro.

3.5

Articolo 3: risorse e impegni. Questo articolo istituisce un «tetto» alle entrate e alle uscite: quello per le risorse proprie è fissato all'1,24 % del totale degli RNL degli Stati membri, quello per gli stanziamenti d'impegno all'1,31 %. Il pareggio dovrebbe essere assicurato da altre entrate di tipo diverso. In materia di uscite le discussioni fra Stati membri rivelano l'esistenza di tendenze diverse in relazione alla determinazione del tetto massimo previsto nelle cosiddette prospettive finanziarie. L'esito dipenderà dagli equilibri che si troveranno fra la posizione di chi vorrebbe una funzione più forte della Commissione e programmi di progresso economico-sociale ambiziosi, che esigeranno nuove e più ampie risorse, e quella di chi, al contrario, è favorevole a una maggiore autonomia degli Stati membri e a politiche di consolidamento che implicherebbero il mantenimento dello status quo, o addirittura una (improbabile) riduzione delle risorse attuali. Una considerazione speciale sarà comunque da dedicare ai problemi dei nuovi Stati membri. I futuri orientamenti saranno in gran parte determinati dall'accettazione di due concetti, che potrebbero definirsi di solidarietà globale e di sviluppo globale: concetti facili da affermare, ma tutt'altro che semplici da tradurre in termini di bilancio.

3.6

Articolo 4.1: il meccanismo di «correzione generalizzata» (MCG). La decisione di Fontainebleau riguardante il Regno Unito viene tradotta in una norma generale, la quale stabilisce che l'MCG deve essere applicato nei confronti di ogni Stato membro che presenti uno squilibrio di bilancio negativo superiore a una percentuale del suo RNL: la soglia non è precisata nel testo della proposta ma è indicata nel — 0,35 % dell'RNL nella relazione introduttiva che accompagna quest'ultima. Peraltro, il totale delle correzioni non può superare «il volume di rimborso massimo disponibile». Il calcolo delle correzioni e dell'importo disponibile sarà fatto dal Consiglio secondo la procedura stabilita dall'art. 279, par. 2, del Trattato CE. La correzione è determinata, per lo Stato membro interessato, calcolando la differenza fra il totale dei versamenti e il totale delle somme ricevute e moltiplicando tale differenza per il totale delle spese ripartite. Il risultato (se di segno positivo) viene moltiplicato per un'aliquota di rimborso pari al massimo allo 0,66 del totale dei versamenti, ma «se necessario» ridotta proporzionalmente per rispettare il volume di rimborso massimo disponibile. In definitiva, la formula è difficilmente comprensibile ed il suo risultato è ancor più difficilmente controllabile: un altro esempio, se non di mancanza di trasparenza, certamente di bisogno di semplificazione.

3.6.1

Il CESE constata che gli interrogativi che si era posto al paragrafo 2.4.1 e le proposte che aveva formulato nel paragrafo 2.4.4 hanno di fatto ricevuto una risposta nell'estensione a tutti di una misura che, pur se giustificabile, era limitata ad un solo Stato membro e non aveva una data di scadenza certa. Rileva peraltro che l'MCG ha tramutato il concetto di «onere eccessivo» in un approccio di carattere matematico-contabile che, se da un lato ha il pregio di eliminare valutazioni soggettive, dall'altro non prende in considerazione aspetti che potrebbero chiamarsi di «carattere quasi-qualitativo»: oltre al reddito pro-capite, la competitività, il livello di protezione sociale, l'economia sommersa. D'altra parte, se è vero che le cifre da sole non riflettono la situazione reale di un paese, una norma generalizzata che tenesse conto di elementi di giudizio estranei rischierebbe di introdurre aspetti di soggettività non compatibili con le esigenze di trasparenza. Non rimane che accettare l'MCG così com'è, con la consapevolezza che la sua applicazione non sempre condurrà a risultati ottimali.

3.6.2

L'articolo 4, paragrafo 1 ha il pregio di eliminare il contributo diretto degli Stati membri per coprire l'importo della «correzione», facendoli passare attraverso il bilancio comunitario; si porrebbe quindi fine ad un sistema che nulla aveva a che fare con la logica e che in ogni caso mancava di trasparenza. La relazione della Commissione è densa di calcoli — non sempre di facile comprensione — e di considerazioni la cui lettura aiuta a comprendere la portata della proposta di decisione.Fra le informazioni che aiutano ad apprezzare la portata dell'MCG vi è quella secondo cui l'applicazione di una soglia del -0,35 % dell'RNL genererà un volume medio stimato di correzioni lorde pari a circa 7 miliardi di euro. L'applicazione dell'MCG abbinata alla modifica delle norme di finanziamento — dice la Commissione — significa che il livello della correzione nel quadro del sistema attuale«non è del tutto chiaro». Con l'adozione del sistema e dei parametri proposti, i calcoli della Commissione portano a risultati quantitativi, riportati in tabelle di raffronto fra varie alternative, la cui valutazione sarà demandata alle decisioni degli Stati membri. Il CESE non ha in suo possesso gli elementi necessari per entrare nel merito di questa complessa materia.

3.6.3

Il CESE desidera peraltro richiamare l'attenzione su due considerazioni che potrebbero mettere in causa il meccanismo stesso dell'MCG. In primo luogo, il meccanismo risulta rigido e senza limiti temporali. A questo proposito si osserva che è pericoloso istituire delle regole basandosi su una realtà dell'oggi che potrebbe essere radicalmente diversa in futuro: l'esempio del Patto di stabilità e di crescita ne è la prova evidente. In secondo luogo, potrebbe non essere razionale imporre contributi che vengono poi modificati con «correzioni», che sarebbe meglio denominare come «restituzioni» in omaggio al principio di trasparenza.

3.6.4

In definitiva, il CESE ricorda che in un suo recente parere (8) aveva espresso vive riserve sull'istituzionalizzazione del MCG; si interroga comunque se non sia il caso di cambiare radicalmente il concetto di «correzione», facendo diventare l'MCG parte integrante dei criteri di contribuzione: in chiaro, gli stessi parametri proposti per l'MCG dovrebbero far parte del calcolo del contributo. La Commissione ha già adottato nella pratica questa procedura, che sarebbe bene fosse istituzionalizzata insieme ad una clausola di revisione periodica, ad esempio, ogni sette anni.

3.7

Articolo 4, paragrafo 2, lettera a): la correzione del Regno Unito. Questo paragrafo contiene una norma transitoria, secondo la quale il Regno Unito, oltre ad avere diritto alle correzioni di cui al precedente paragrafo, mantiene i diritti «Fontainebleau» sino al 2011 secondo una scala decrescente: 2 miliardi di euro nel 2008, 1,5 nel 2009, 1 nel 2010 e 0,5 nel 2011. Tali pagamenti sarebbero svincolati dall'MCG e in pratica continuerebbero ad essere finanziati secondo le norme attuali secondo cui il Regno Unito non partecipa al finanziamento e la parte di Germania, Paesi Bassi, Austria e Svezia è limitata al 25 % della loro quota normale (cfr. punti 2.4.3 e 2.4.4). Secondo la Commissione questi nuovi provvedimenti dovrebbero ridurre l'impatto finanziario dell' MCG per il Regno Unito in quattro fasi graduali. Negli ultimi anni (periodo 1997-2003) il Regno Unito ha ricevuto una correzione netta media di 4,5 miliardi di euro all'anno mentre con l'MCG dovrebbe percepire una media di 2,1 miliardi di euro all'anno. Le misure transitorie proposte portano l'importo medio annuo globale (Fontainebleau più MCG) a 3,1 miliardi di euro.

3.7.1

Il provvedimento suggerito è con tutta evidenza il risultato di una combinazione di vari elementi: presa in considerazione di situazioni pregresse, necessità di trasparenza e opportunità politiche. Non è certo la prima volta che vengono introdotte deroghe alle norme comuni: i Trattati di adesione, vecchi e nuovi, ne sono la prova. Per gli osservatori esterni e non direttamente interessati potrà essere difficile accettare le norme di cui si parla, ma la realtà con la quale occorre convivere potrà forse consigliare ai decisori la presentazione di soluzioni equilibrate, ma soprattutto trasparenti e ben motivate. In questo caso, oltre al compromesso fra il «giusto ritorno» e la solidarietà di cui si è parlato al punto 1.4, occorrerà che i negoziatori abbiano una particolare sensibilità politica che tenga conto dell'opinione pubblica dell'Europa, e particolarmente di quella parte che solo di recente vi ha aderito.

3.8

Articolo 4, paragrafo 2, lettera b): gradualità nell'introduzione dell'MCG. La norma che introduce l'MCG dovrebbe avere un'applicazione graduale: l'aliquota di rimborso massimo del 66 % di cui si parla nel paragrafo 4.1 (cfr. punto 3.6) si applicherebbe solo a partire dal 2011; al momento della sua introduzione, nel 2008, essa sarebbe del 33 % per passare al 50 % nel 2009 e 2010, e infine alla sua misura definitiva nell'anno seguente. La Commissione commenta che questa misura è necessaria «al fine di compensare l'aumento dei costi provocato dai proposti pagamenti complementari a favore del Regno Unito e limitare così il costo globale del finanziamento nel corso del periodo transitorio»; un chiaro segno delle difficoltà nelle quali l'Europa si dibatte, e che sarebbe colpevole nascondere ai cittadini. Il CESE non può che ripetere, rafforzandole, le osservazioni formulate nel precedente punto 3.7.1.

3.9

Articolo 5: modalità contabili riguardanti le correzioni. L'onere delle correzioni viene assunto da ciascuno Stato membro in proporzione del proprio RNL rispetto a quello totale dell'Unione. La correzione viene concessa allo Stato che ne ha diritto mediante la riduzione dei suoi versamenti, mentre gli oneri finanziari assunti da tutti gli Stati membri vengono aggiunti alla quota di ciascuno risultante dall'applicazione di un'aliquota alla somma degli RNL di tutti gli Stati. Il CESE non formula nessun particolare commento: una volta accettato il meccanismo, la sua attuazione non può essere diversa.

3.10

Articoli 6, 7 e 8: modalità non contabili riguardanti le risorse proprie. Anche queste norme non evocano particolari commenti, in quanto sono conformi ai principi generali della contabilità pubblica: divieto di allocazione delle entrate a capitoli di spesa particolari, riporto delle eccedenze agli anni successivi, modalità di riscossione delle risorse proprie.

3.11

Articolo 9: modifica della struttura delle risorse proprie. Con questo articolo, se approvato, la Commissione si impegna a presentare una risorsa propria a base realmente fiscale, da far entrare in vigore il 1o gennaio 2014.

3.11.1

La già citata relazione sul finanziamento dell'Unione (9), tratta in dettaglio questo problema: in sintesi, la Commissione è orientata a proporre la radicale riduzione dell'apporto dell'RNL sostituendolo con un corrispondente aumento dell'apporto fondato sulla fiscalità. In estrema — e necessariamente semplicistica — sintesi, vengono prese in considerazione tre alternative: una tassazione basata sui consumi di energia, un prelievo reale e non statistico sull'IVA, un'imposta sulle società. La parziale sostituzione della quarta risorsa con un regime «fiscale» avrebbe, secondo la Commissione (punto 4.1.1.1 della relazione), il vantaggio di accrescere la visibilità dell'Europa presso i cittadini e di istituire con essi un legame diretto. Oggi, invece, con il peso preponderante della quarta risorsa, gli Stati membri, e in particolare i contribuenti netti, tendono a giudicare le politiche e le iniziative dell'Europa esclusivamente in termini di proprie allocazioni nazionali, con scarsa attenzione alla sostanza delle politiche comunitarie e con il rischio di sottostimare il loro «valore aggiunto».

3.11.2

Il CESE ripete le considerazioni fatte in precedenza su tale relazione, che esige un'attenzione tutta particolare, ma che esso ritiene interlocutoria e meritevole di ulteriore approfondimento. Tralasciando di entrare nel merito delle tre ipotesi di tassazione di cui al punto precedente (la prima delle quali sembrerebbe da scartare a prima vista (10)), esso attira l'attenzione sul commento della Commissione riportato al paragrafo precedente, che bene illustra la motivazione dell'articolo 9. A suo parere, l'introduzione di una tassazione «europea» del cittadino fondata sulla convinzione che ciò lo avvicinerebbe all'Europa e che questa ne guadagnerebbe in «visibilità», potrebbe sortire l'effetto precisamente contrario. La critica fatta dalla Commissione all'atteggiamento degli Stati membri — che il CESE condivide — potrebbe applicarsi per analogia anche ai cittadini.

3.11.3

Il CESE prende nota che l'intenzione della Commissione non è di proporre un aumento delle imposte ma piuttosto di indicare chiaramente ai contribuenti quale parte delle imposte è destinata al fisco nazionale e quale è riservata al finanziamento dell'Unione. Pur tenendo conto di questa precisazione, il CESE mantiene le sue perplessità: se, da un lato, una esplicita indicazione di una «tassa europea» potrebbe contribuire ad una maggiore trasparenza senza un aumento dell'onere globale per il contribuente, dall'altro non ci si può nascondere che l'ideale «europeo» è ancora avversato, o perlomeno non pienamente avvertito, da una parte dei cittadini di diversi paesi; una tassa europea potrebbe aggiungere — anche se in modo improprio — argomenti a sfavore.

3.12

Mentre il paragrafo precedente conclude le osservazioni del CESE sul documento della Commissione, una riflessione aggiuntiva viene comunque offerta all'attenzione degli organi di decisione come contributo per un futuro riesame della materia. Un approccio con soluzioni trasparenti e di semplice applicazione potrebbe, secondo il CESE, consistere in:

una contribuzione lorda determinata sulla base dell'RNL per abitante: su questo punto il CESE aveva già attirato l'attenzione nel suo parere sul tema Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo: Costruire il nostro avvenire comune — Sfide e mezzi finanziari dell'Unione allargata 2007-2013 (11),

una contribuzione netta calcolata sulla base della contribuzione lorda e corretta dal MCG, che verrebbe quindi a far parte direttamente del meccanismo contributivo, senza bisogno di restituzioni o di aggiustamenti a posteriori.

Un approccio di questo tipo, anche se certamente suscettibile di ulteriori raffinamenti e correzioni, avrebbe fra l'altro il vantaggio di riflettere costantemente la situazione corrente di ciascun paese, senza bisogno di revisioni della struttura contributiva.

4.   Commenti conclusivi

4.1

Il CESE è consapevole del fatto che le decisioni finali, sulle quali influiranno certamente considerazioni di carattere politico, rimangono nelle mani degli Stati membri. Esso presenta le considerazioni e le proposte che precedono nel suo ruolo di rappresentante della società civile, vale a dire quella che in definitiva sopporta l'onere dei contributi al bilancio europeo, con l'auspicio che esse possano essere prese in considerazione.

4.2

La società civile, e in definitiva il cittadino europeo, rileva che il meccanismo di contribuzione alle risorse proprie dell'Unione non è soltanto poco conosciuto, ma soprattutto manca di trasparenza. Ancor meno trasparente appare un MCG inteso come restituzione di contributi già versati, a carico non del bilancio comunitario ma di altri Stati membri. Se si vuole veramente avvicinare il cittadino all'Europa, gli Stati membri devono essere consapevoli delle responsabilità che loro incombono in relazione a questo obiettivo ripetutamente riaffermato e conclamato: la comunicazione deve essere basata sulla chiarezza e sull'accessibilità del linguaggio. Questo compito spetta, piuttosto che alla Commissione, ai singoli governi nazionali, vale a dire i soli in grado di comunicare con i propri cittadini conoscendone la mentalità, ed i bisogni. La credibilità dell'Europa è, in definitiva, una precisa responsabilità delle singole autorità nazionali.

4.3

Se la premessa di cui sopra sarà realizzata, la proposta di creare un sistema contributivo basato su una fiscalità europea potrebbe avere una base di razionalità; in caso contrario il meccanismo proposto sembra essere quanto meno prematuro.

Bruxelles, 12 maggio 2005

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  GU L 253 del 7.10.2000, pag. 42.

(2)  COM(2004) 505 def.

(3)  COM(2004) 505 def. vol. II.

(4)  Cfr. tabella no 1, pag. 3, del documento della Commissione COM(2004) 501 def.

(5)  Cfr. tabella no 4 del documento citato in precedenza.

(6)  COM(2004) 505 def.

(7)  COM(2004) 505 def.

(8)  Parere del CESE in merito alla «Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo: Costruire il nostro avvenire comune - Sfide e mezzi finanziari dell'Unione allargata 2007-2013»; GU C 74 del 23.3.2005, p. 32, punto 5.5.1.

(9)  COM(2004) 505 def. del 14.7.2004.

(10)  Una tassa sull'energia è anacronistica nella situazione attuale e in prospettiva (vedi parere CESE sulla «La politica fiscale dell'Unione europea: Priorità per gli anni a venire», GU C 48 del 21.2.2002, punto 3.1.2.1.1. A proposito della tassa sull'energia da devolvere alla protezione dell'ambiente, il CESE ha a più riprese ribadito che «l'introduzione di imposte a favore dell'ambiente non deve né compromettere la compétitività delle imprese europee né produrre una contrazione dei posti di lavoro, in particolare nei settori ad alto consumo energetico».

(11)  GU C 74 del 23.3.2005, p. 32, punto 5.5.


ALLEGATO

al Parere del Comitato economico e sociale europeo

Qui di seguito si riporta l'emendamento che, pur essendo stato respinto durante il dibattito, ha ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi (articolo 54, paragrafo 3, del Regolamento interno).

Punto 3.1.1.1

Sopprimere.

Motivazione

Il calcolo del gettito dei dazi doganali e gli oneri legati al sistema di riscossione restano invariati, anche qualora vengano espunti dalle risorse proprie dell'UE. Dal momento che la politica commerciale è di competenza dell'Unione, appare naturale che essa sia compresa, in tutti i suoi aspetti (compresi i dazi e la riscossione dei diritti doganali), nelle politiche dell'UE.

Esito della votazione

Voti a favore: 38

Voti contrari: 51

Astensioni: 18