ISSN 1725-2466

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 120

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

48o anno
20 maggio 2005


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

II   Atti preparatori

 

Comitato economico e sociale europeo

 

412a Sessione plenaria del 27 e 28 ottobre 2004

2005/C 120/1

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla riassicurazione e recante modifica delle direttive 73/239/CEE e 92/49/CEE del Consiglio e delle direttive 98/78/CE e 2002/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio COM(2004) 273 def. – 2004/0097 (COD)

1

2005/C 120/2

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante le restrizioni alla commercializzazione e all'utilizzo del toluene e del triclorobenzene (ventottesima modifica della direttiva 76/769/CEE del Consiglio) COM(2004) 320 def. - 2004/0111 (COD)

6

2005/C 120/3

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Adattabilità delle PMI e delle imprese dell'economia sociale ai cambiamenti imposti dal dinamismo dell'economia

10

2005/C 120/4

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema I corridoi paneuropei di trasporto

17

2005/C 120/5

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Connettere l'Europa ad alta velocità: sviluppi recenti nel settore delle comunicazioni elettroniche COM(2004) 61 def.

22

2005/C 120/6

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al miglioramento della sicurezza dei porti (COM(2004) 393 def. - 2004/0031 (COD))

28

2005/C 120/7

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle restrizioni in materia di immissione sul mercato e di uso di taluni idrocarburi policiclici aromatici contenuti negli oli diluenti e negli pneumatici (ventisettesima modifica della direttiva del Consiglio 76/769/CEE) (COM(2004) 98 def. 2004/0036 (COD))

30

2005/C 120/8

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 2702/1999 relativo ad azioni di informazione e di promozione dei prodotti agricoli nei paesi terzi e il regolamento (CE) n. 2826/2000 relativo ad azioni d'informazione e di promozione dei prodotti agricoli sul mercato interno (COM(2004) 233 def. – 2004/0073 (CNS))

34

2005/C 120/9

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le trasformazioni industriali e gli aiuti di Stato nel settore siderurgico

37

2005/C 120/0

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La sicurezza sanitaria: un obbligo collettivo, un diritto nuovo

47

2005/C 120/1

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione Seguito del processo di riflessione di alto livello sulla mobilità dei pazienti e sugli sviluppi dell'assistenza sanitaria nell'Unione europea COM(2004) 301 def.

54

2005/C 120/2

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

60

2005/C 120/3

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Formazione e produttività

64

2005/C 120/4

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Consiglio recante modifica della decisione n. 2002/463/CE che istituisce un programma d'azione finalizzato alla cooperazione amministrativa nel settore delle frontiere esterne, dei visti, dell'asilo e dell'immigrazione (programma ARGO) COM(2004) 384 def. - 2004/0122 (CNS)

76

2005/C 120/5

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio relativo all'Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (COM(2003) 808 def. – 2003/0311 (CNS))

78

2005/C 120/6

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Migliorare l'attuazione della strategia di Lisbona

79

2005/C 120/7

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La sfida della competitività per le imprese europee

89

2005/C 120/8

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde sui partenariati pubblico/privato e sul diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni COM(2004) 327 def.

103

2005/C 120/9

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 92/12/CEE relativa al regime generale, alla detenzione, alla circolazione ed ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa (COM(2004) 227 def. — 2004/0072 (CNS))

111

2005/C 120/0

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che adegua la direttiva 77/388/CEE in seguito all'adesione della Repubblica ceca, dell'Estonia, di Cipro, della Lettonia, della Lituania, dell'Ungheria, di Malta, della Polonia, della Slovenia e della Slovacchia COM(2004) 295 def.

114

2005/C 120/1

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l'efficienza degli usi finali dell'energia e i servizi energetici COM(2003) 739 def. — 2003/0300 (COD)

115

2005/C 120/2

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente misure per la sicurezza dell'approvvigionamento elettrico e per gli investimenti nelle infrastrutture COM(2003) 740 def. — 2003/0301 (COD)

119

2005/C 120/3

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa

123

2005/C 120/4

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'ambiente come opportunità economica

128

2005/C 120/5

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Modernizzare la protezione sociale per sviluppare un'assistenza sanitaria ed un'assistenza a lungo termine di qualità, accessibili e sostenibili: come sostenere le strategie nazionali grazie al metodo aperto di coordinamento (COM(2004) 304 def.)

135

IT

 


II Atti preparatori

Comitato economico e sociale europeo

412a Sessione plenaria del 27 e 28 ottobre 2004

20.5.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla riassicurazione e recante modifica delle direttive 73/239/CEE e 92/49/CEE del Consiglio e delle direttive 98/78/CE e 2002/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio

COM(2004) 273 def. – 2004/0097 (COD)

(2005/C 120/01)

Il Consiglio, in data 10 giugno 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 ottobre 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore FÜRSTENWERTH.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 ottobre 2004, nel corso della 412a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 158 voti favorevoli, 4 voti contrari e 3 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Nell'Unione europea non esistono attualmente norme armonizzate per la vigilanza sulle imprese di riassicurazione. Il sistema di vigilanza sull'attività di riassicurazione presenta quindi notevoli divergenze da uno Stato membro all'altro.

1.2

Questo stato di cose ha indotto la Commissione a presentare, il 21 aprile 2004, la proposta di direttiva relativa alla riassicurazione e recante modifica delle direttive 73/239/CEE e 92/49/CEE del Consiglio e delle direttive 98/78/CE e 2002/83/CE. Le caratteristiche principali di tale proposta di direttiva sono:

un sistema prudenziale basato sull'armonizzazione e il riconoscimento reciproco, nonché sulla disciplina vigente per l'assicurazione diretta,

una procedura accelerata per l'adozione di una direttiva improntata alle attuali disposizioni in materia di assicurazione diretta,

un sistema di autorizzazione obbligatorio,

requisiti di solvibilità in linea con quelli previsti in tema di assicurazione diretta, con la possibilità di aumentare il margine di solvibilità mediante la procedura di comitato.

2.   Proposte della Commissione

2.1

La direttiva mira ad introdurre nell'Unione europea un regime armonizzato di vigilanza sulle imprese riassicuratrici e captive  (1).

2.2

La proposta stabilisce le condizioni minime necessarie per ottenere l'autorizzazione amministrativa. Fra le altre coste l'impresa di riassicurazione deve assumere una specifica forma giuridica, presentare un programma d'attività comprensivo dei dati essenziali del piano aziendale e disporre di un fondo minimo di garanzia. L'impresa deve inoltre limitare il suo oggetto sociale alle attività di riassicurazione e alle operazioni connesse. Inoltre, i soci che detengono una partecipazione qualificata nell'impresa stessa e gli amministratori di questa sono sottoposti a controlli. L'autorizzazione all'esercizio dell'attività di riassicurazione è valida su tutto il territorio della Comunità.

2.3

La direttiva persegue l'obiettivo di abolire l'obbligo, per l'impresa di riassicurazione, di impegnare attivi a garanzia della sua parte degli accantonamenti tecnici che incombono all'assicuratore diretto, laddove tale obbligo sia imposto dalla normativa interna di uno Stato membro. La direttiva proposta, tuttavia, non si applica alle garanzie la cui costituzione sia prevista contrattualmente. Oltre a realizzare un autentico mercato interno nel settore riassicurativo, la Commissione intende anche creare un modello di riferimento a livello internazionale che induca a ridurre in tutto il mondo gli oneri che la costituzione di garanzie comporta oggi per i riassicuratori europei.

2.4

Per quanto riguarda le disposizioni relative alla solvibilità delle imprese, il margine di solvibilità richiesto per le compagnie assicurative non vita funge da riferimento per quello applicabile alle imprese di riassicurazione non vita. Tale margine può essere aumentato fino al 50 % mediante una procedura di comitato. Per la riassicurazione vita, il margine di solvibilità richiesto è calcolato in base alle disposizioni relative all'assicurazione sulla vita. Quando un'impresa di riassicurazione esercita contemporaneamente la riassicurazione vita e non vita, il margine di solvibilità richiesto è pari alla somma dei margini richiesti per entrambe le attività riassicurative e deve essere costituito da fondi propri. Al pari delle imprese di assicurazione diretta, le imprese di riassicurazione devono disporre di un fondo minimo di garanzia di almeno 3 milioni di euro. Tale importo può essere ridotto ad 1 milione di euro per le imprese di riassicurazione captive.

2.5

La proposta di direttiva prevede alcuni poteri di intervento per le autorità competenti in materia di vigilanza prudenziale, nelle ipotesi in cui la situazione finanziaria di un'impresa si stia degradando, quando quest'ultima non costituisca accantonamenti tecnici adeguati o il suo margine di solvibilità non raggiunga il livello richiesto. Le disposizioni in merito a tali poteri sono identiche a quelle vigenti in materia di assicurazione diretta e contemplano la presentazione di un piano di risanamento, di un piano di finanziamento o di un piano di risanamento finanziario, ovvero, nei casi più gravi, la revoca dell'autorizzazione all'esercizio dell'attività riassicurativa.

2.6

Le imprese di riassicurazione che siano state autorizzate o abilitate all'esercizio dell'attività riassicurativa, prima dell'entrata in vigore della direttiva, possono continuare ad esercitarla senza richiedere alcuna (ulteriore) autorizzazione. Esse sono comunque tenute a conformarsi alle disposizioni sostanziali della direttiva, ma gli Stati membri possono concedere loro un ulteriore periodo transitorio di due anni per adeguarsi.

2.7

La proposta di direttiva attribuisce alla Commissione alcune competenze di esecuzione per l'adeguamento tecnico della direttiva stessa (mediante una procedura di comitato).

2.8

Le disposizioni delle direttive sull'assicurazione vita e non vita, nonché quelle della direttiva sui gruppi assicurativi, dovranno essere opportunamente modificate per tener conto delle disposizioni proposte dalla Commissione per la vigilanza sulle imprese di riassicurazione. Così:

le autorità competenti per la vigilanza non potranno rifiutare un contratto di riassicurazione per ragioni direttamente connesse con la solidità finanziaria di un'impresa assicurativa o riassicurativa dell'Unione europea,

gli Stati membri non potranno introdurre sistemi che impongano un sistema di riserve lorde, ossia la costituzione di attivi a garanzia degli accantonamenti per premi non acquisiti e per sinistri pendenti (divieto di costituire garanzie),

alle compagnie assicurative che esercitano attività di riassicurazione si applicheranno gli stessi requisiti di solvibilità previsti per le imprese di riassicurazione,

la direttiva sui gruppi assicurativi sarà modificata onde equiparare, ai fini della relativa disciplina, le imprese di riassicurazione a quelle di assicurazione diretta.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1

Il Comitato esprime parere favorevole sulla proposta della Commissione, che contribuirà a rafforzare il mercato finanziario europeo assicurando che le imprese di riassicurazione e quelle captive dispongano di un capitale sufficiente per far fronte agli impegni assunti. La proposta consolida in modo duraturo la posizione delle imprese di riassicurazione europee sui mercati internazionali del settore assicurativo.

3.2

Il Comitato sottolinea l'importanza del settore della riassicurazione per i mercati finanziari europei. Nel 2002 il monte premi complessivo delle 40 maggiori imprese di riassicurazione ammontava a 138 601 200 000 USD, di cui 58 544 000 000 USD erano di competenza dei riassicuratori dell'UE.

3.3

L'attività riassicurativa riguarda essenzialmente i rapporti fra l'assicuratore diretto e il riassicuratore. L'assenza di una o più imprese di riassicurazione può tuttavia ripercuotersi sui consumatori qualora significhi che un assicuratore diretto non sarebbe più in grado di far fronte ai propri impegni. Il Comitato dà quindi atto che, indirettamente, la proposta di direttiva in esame comporta anche un miglioramento del livello di protezione dei consumatori nell'Unione europea. Al tempo stesso il Comitato fa dunque presente che è anche interesse dei consumatori disporre di una sufficiente protezione riassicurativa. Ciò presuppone la disponibilità, sul mercato europeo, di una capacità riassicurativa sufficiente a premi adeguati.

3.4

Il Comitato condivide l'idea della Commissione di accelerare i tempi proponendo l'introduzione di un regime di vigilanza prudenziale sulla riassicurazione basato sull'attuale normativa in materia di assicurazione diretta. Quello seguito dalla Commissione, infatti, sembra essere l'approccio corretto, in particolare alla luce del già avviato progetto Solvibilità II.

3.5

Vale la pena di sottolineare come il mercato riassicurativo si caratterizzi per il suo carattere globale. Il Comitato invita dunque il Parlamento, il Consiglio e la Commissione a dedicare particolare attenzione al settore riassicurativo europeo nel più ampio contesto del dibattito sul tema della competitività internazionale.

3.6

Il Comitato riconosce che il settore riassicurativo europeo ha dato di prova di solidità finanziaria dopo gli attentati dell'11 settembre 2001. Su questo sfondo, qualsiasi onere imposto alle imprese operanti in questo settore dovrà essere sottoposto ad una rigorosa analisi costi-benefici.

3.7

Il Comitato dà atto che sinora nell'UE sono coesistiti diversi sistemi di vigilanza, caratterizzati da un insieme di regolamentazioni riguardanti la solvibilità, gli investimenti e la costituzione di garanzie. Per effetto della proposta della Commissione ora in esame verranno meno in particolare le regolamentazioni sinora in vigore in materia di costituzione di garanzie. Al riguardo occorre assicurare che le autorità di vigilanza interessate finiscano per nutrire sufficiente fiducia nei futuri strumenti di vigilanza e nella loro applicazione uniforme nell'intera Unione europea.

4.   Margine di solvibilità richiesto per la riassicurazione vita (art. 38)

4.1

In base alla proposta di direttiva, le disposizioni relative al calcolo del margine di solvibilità richiesto per le imprese di assicurazione vita sono applicabili al settore della riassicurazione vita. In materia di riassicurazione vita la Commissione propone in effetti di riprodurre esattamente le stesse norme sul margine di solvibilità ora vigenti in tema di assicurazione diretta. Il calcolo di tale margine di solvibilità si basa su due elementi: il 3 % dei capitali sotto rischio ed il 4 % della riserva matematica. Secondo il Comitato, ciò comporta un onere sproporzionato per le imprese di riassicurazione vita europee. La proposta della Commissione:

non tiene conto del profilo commerciale/di rischio della riassicurazione vita e provoca un'inopportuna sovracapitalizzazione delle imprese di riassicurazione vita,

sfavorisce decisamente i riassicuratori europei rispetto ai loro concorrenti internazionali (cfr. allegato) e fa temere un'ulteriore riduzione di capacità di riassicurazione,

darà luogo ad un notevole rincaro delle polizze riassicurative,

può contribuire alla destabilizzazione dei mercati finanziari, se, a causa dell'aumento dei costi, l'impresa di assicurazione diretta non acquista la necessaria copertura riassicurativa,

determina un notevole aggravio di costi a carico dei sistemi previdenziali privati basati sulla capitalizzazione.

4.2

In Europa le imprese di assicurazione vita e i riassicuratori vita differiscono nettamente per la struttura di rischio. Nella riassicurazione vita, infatti, il rischio di investimento grava di regola sull'assicuratore diretto. Nell'ambito del ramo vita questa differenza basta, da sola, a dimostrare che la formula adottata per calcolare il margine di solvibilità per l'assicurazione diretta non può rispecchiare in modo adeguato la struttura di rischio della riassicurazione.

4.3

Un confronto con i metodi di calcolo impiegati da alcune agenzie di rating rivela che i requisiti previsti nella proposta della Commissione potrebbero risultare eccessivamente rigorosi. Ad esempio, i requisiti di solvibilità negli Stati Uniti si basano sui capitali sotto rischio, ma tengono conto di una variabile che dipende dall'entità del portafoglio interessato (0,8 per mille, per i portafogli di valore superiore ai 25 miliardi di euro [cfr. allegato]). Un'analoga impostazione è adottata dalle autorità di vigilanza e dalle società di rating canadesi.

4.4

Mentre in materia di assicurazione diretta il rapporto fra l'assicuratore ed il cliente è ancora connotato da un'impronta nazionale, la riassicurazione è sempre stata caratterizzata da una spiccata internazionalità. Ciò si spiega soprattutto con l'esigenza di diversificare i rischi a livello internazionale. Occorre pertanto garantire parità di condizioni fra i prestatori di servizi che operano nell'Unione europea e i concorrenti internazionali negli Stati Uniti, nelle Bermuda ed in Svizzera.

4.5

I riassicuratori dell'Unione europea, che devono far fronte alla concorrenza internazionale, rischiano di essere gravemente svantaggiati rispetto ai loro concorrenti extraeuropei, poiché questi ultimi devono rispettare requisiti di solvibilità meno rigorosi. È quindi possibile che le imprese europee di riassicurazione finiscano con il trasferirsi in massa presso sedi extraeuropee quali le Bermuda o gli Stati Uniti, e tale spostamento di capacità riassicurative indebolirebbe notevolmente il mercato finanziario europeo. Requisiti troppo rigorosi comporteranno inevitabilmente una riduzione di capacità di riassicurazione e/o un rincaro delle polizze riassicurative. L'incremento dei premi riassicurativi si ripercuoterà inevitabilmente sui costi dei prodotti offerti dagli assicuratori diretti, e dunque ricadrà in ultima analisi sugli assicurati. Premi più elevati non potranno insomma che incidere negativamente sull'indispensabile creazione di sistemi previdenziali privati basati sulla capitalizzazione.

4.6

Il Comitato ritiene che tutto ciò non contribuirà affatto allo sviluppo del mercato interno europeo. Sono in particolare i nuovi Stati membri dell'UE ad avere interesse al buon andamento del mercato interno europeo della riassicurazione e ad essere particolarmente sensibili ad ogni eventuale deterioramento della struttura del settore riassicurativo.

4.7

Sulla base di tali premesse, il Comitato perviene dunque alla conclusione che le proposte concernenti il calcolo del margine di solvibilità richiesto per la riassicurazione vita potrebbero nuocere alla competitività dei riassicuratori europei. Ritiene pertanto opportuno modificare nettamente le disposizioni relative alla solvibilità delle imprese di riassicurazione vita.

4.8

Detto ciò, il Comitato propone che il calcolo di solvibilità in uso per la riassicurazione non vita serva di riferimento anche per il settore della riassicurazione vita.

4.8.1

Il metodo di calcolo della solvibilità utilizzato dai riassicuratori non vita è in effetti ampiamente sufficiente dal punto di vista sia del rischio che della concorrenza. La formula in base alla quale si calcola il margine di solvibilità nel settore non vita è per lo più in linea con i requisiti di solvibilità applicati a livello internazionale, per cui si potrebbero nell'insieme escludere svantaggi per il settore europeo delle riassicurazioni sotto il profilo della concorrenza.

4.8.2

La formula applicata nel settore non vita si presta bene al settore della riassicurazione vita, il quale, riprendendo prevalentemente i rischi di mortalità, equivale più all'assicurazione diretta non vita e alla riassicurazione vita che all'assicurazione diretta sulla vita.

4.8.3

I rischi individuali che non vengono contemplati nella formula applicata nel settore non vita possono essere facilmente inclusi nel progetto Solvibilità II.

4.8.4

Sotto il profilo tecnico dell'applicazione giuridica detta formula sarà di facile applicazione in quanto il progetto di direttiva (riv. 3) costituisce in pratica un testo di direttiva già bell'e pronto.

4.8.5

La formula applicata nel settore non vita consente alle imprese di riassicurazione vita di definire requisiti aggiornati di solvibilità, in quanto i dati necessari sono già oggi disponibili nelle imprese e non richiedono pertanto una rilevazione preliminare. Questa formula applicata nel settore non vita presenta vantaggi soprattutto se si considera la scarsità di dati sul piano internazionale.

4.8.6

La formula applicata nel settore non vita si presta particolarmente per una procedura accelerata: è facile da trasporre perché non richiede alcun ulteriore aggiustamento nei casi in cui per contratto vengano, ad esempio, previsti accantonamenti.

5.   Margine di solvibilità richiesto per la riassicurazione non vita (artt. 37, 55)

5.1

La proposta di direttiva prevede che le disposizioni relative al calcolo del margine di solvibilità richiesto per le imprese di assicurazione non vita siano applicabili al settore della riassicurazione non vita. Ciò comporta tra l'altro la possibilità di aumentare fino al 50 %, nell'ambito della procedura Lamfalussy, il margine di solvibilità richiesto per la riassicurazione non vita.

5.2

Il Comitato conviene sull'opportunità di accelerare i tempi applicando, invariate, le disposizioni relative alla solvibilità delle compagnie assicurative non vita alla riassicurazione non vita. Tuttavia, il Comitato manifesta forti perplessità sull'estensione della procedura Lamfalussy ai requisiti di solvibilità.

5.3

La proposta di direttiva in esame è stata concepita come un progetto accelerato, e non come una direttiva quadro nell'ambito della procedura Lamfalussy; pertanto, qualsiasi adeguamento dei requisiti di solvibilità dovrebbe essere innanzitutto previsto nell'ambito del più vasto progetto Solvibilità II.

5.4

In materia di riassicurazione, tuttavia, l'applicazione della procedura Lamfalussy non sembra giustificata. Le disposizioni concernenti i requisiti relativi al patrimonio delle imprese di riassicurazione non costituiscono infatti in alcun caso misure di esecuzione che, in quanto tali, possono essere adottate secondo la procedura Lamfalussy. Alla luce dei lunghi negoziati nel settore bancario per l'accordo Basilea II, è agevole comprendere come i requisiti patrimoniali costituiscano il vero e proprio fulcro del futuro regime prudenziale e non debbano in alcun caso essere considerati come un dettaglio da disciplinarsi in un secondo tempo.

5.5

Il Comitato ritiene quindi che i requisiti pratici riguardo al patrimonio delle imprese considerate debbano essere enunciati in dettaglio già nella direttiva stessa, e non in atti comunitari successivi. La validità di tale distinzione è sostenuta anche dall'attuale progetto della Convenzione, secondo cui le disposizioni che rivestono importanza fondamentale devono essere previste nella direttiva stessa. Ne consegue che il riferimento della Commissione ad un'ampia consultazione degli ambienti interessati non appare sufficiente.

6.   Fattori di riassicurazione e di retrocessione (artt. 37 e 38)

6.1

La proposta di direttiva prevede che nel calcolo della solvibilità le retrocessioni ad altri riassicuratori vadano prese in considerazione solo fino a concorrenza del 50 % dell'ammontare dei sinistri lordi. Tale disposizione è conforme alla normativa vigente in materia di assicurazione vita e non vita. La proposta di direttiva concernente la vigilanza sulle imprese di riassicurazione dovrebbe contribuire notevolmente al miglioramento della solidità finanziaria del settore riassicurativo nell'Unione europea. Di conseguenza il Comitato ritiene appropriato riconoscere pienamente le cessioni dell'assicuratore e le retrocessioni del riassicuratore quando l'impresa cedente o retrocedente sia sottoposta a vigilanza nell'Unione europea.

6.2

Secondo il Comitato, un aumento dei fattori di riassicurazione e di retrocessione si impone anche alla luce delle esigenze sorte nel settore riassicurativo per la soluzione di problemi che interessano la società nel suo insieme. Soprattutto dopo gli attentati dell'11 settembre, non è sempre stato possibile trovare soluzioni finanziariamente vantaggiose al fine di rispondere alla domanda di copertura del rischio terrorismo nei settori dell'industria e dell'aviazione, a causa dei modesti fattori di riassicurazione e di retrocessione. Proprio a causa del ridotto fattore di retrocessione, in alcuni Stati membri non è addirittura stato possibile trovare alcuna soluzione in materia di assicurazione contro il rischio terrorismo.

7.   Regole relative agli investimenti (art. 34)

7.1

Il Comitato accetta il principio, sancito dall'art. 34, di regole di vigilanza qualitative («principio della prudenza»). Date le specificità, e in particolare il carattere internazionale, della riassicurazione, questo principio risulta più appropriato di un rigido criterio quantitativo. In questo modo l'UE attua un approccio moderno che è raccomandato anche dalla International Association of Insurance Supervisors (IAIS). Al tempo stesso il Comitato riconosce che un criterio qualitativo non costituisce una panacea, anzi, richiede che le imprese esercitino un controllo continuo e migliorino costantemente il processo d'investimento dei capitali.

7.2

Poiché la direttiva limita od abroga le regole di vigilanza esistenti (ad esempio in materia di costituzione di garanzie), il Comitato raccomanda che essa dia agli Stati membri la facoltà di esigere l'applicazione, ai riassicuratori stabiliti nel loro territorio, di norme integrative di tipo quantitativo relative agli investimenti, a condizione tuttavia che tali disposizioni siano giustificate in base al «principio della prudenza» e agli obblighi assunti.

8.   Disposizioni transitorie (art. 51)

L'attività delle imprese di riassicurazione non è attualmente disciplinata da alcun quadro normativo uniforme a livello europeo. Il Comitato raccomanda quindi alla Commissione di valutare in modo approfondito se non siano necessarie ulteriori disposizioni transitorie. Queste ultime potrebbero riguardare ad esempio i mezzi patrimoniali propri attualmente impiegati dal riassicuratore che non sono riconosciuti nell'ambito dei requisiti patrimoniali previsti per l'assicuratore diretto.

9.   Conclusioni

9.1

Ferme restando le riserve formulate, il Comitato esprime parere favorevole sulla proposta, presentata dalla Commissione, di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla riassicurazione e recante modifica delle direttive 73/239/CEE e 92/49/CEE del Consiglio e delle direttive 98/78/CE e 2002/83/CE del Parlamento europeo e del Consiglio. Esso ritiene che la proposta affronti quasi tutti i temi della vigilanza sulle imprese di riassicurazione. Quando sarà interamente recepita, la direttiva contribuirà in misura decisiva al rafforzamento e alla stabilità dei mercati riassicurativi nell'Unione europea, come nelle intenzioni della Commissione.

9.2

Dopo aver esaminato la proposta della Commissione il Comitato si è concentrato su determinati aspetti della proposta di direttiva, al fine di fornire alla Commissione indicazioni e suggerimenti concreti in vista di riflessioni e analisi più approfondite in materia. Esso propone di applicare anche al settore della riassicurazione vita il computo del margine di solvibilità adottato nel campo dell'assicurazione non vita. Inoltre, i requisiti di solvibilità non devono ricadere nell'ambito di applicazione della procedura Lamfalussy. Nel sottolineare l'importanza della proposta di direttiva in esame, il Comitato auspica un iter legislativo rapido.

Bruxelles, 27 ottobre 2004.

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Per riassicuratore captive si intende un riassicuratore che appartiene a un'impresa o a un gruppo di imprese, quando tale impresa o gruppo di imprese non eserciti attività assicurativa o riassicurativa. L'attività di un riassicuratore captive consiste esclusivamente nel fornire copertura riassicurativa all'impresa o gruppo di imprese di appartenenza.


20.5.2005   

IT

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C 120/6


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio riguardante le restrizioni alla commercializzazione e all'utilizzo del toluene e del triclorobenzene (ventottesima modifica della direttiva 76/769/CEE del Consiglio)

COM(2004) 320 def. - 2004/0111 (COD)

(2005/C 120/02)

Il Consiglio, in data 11 maggio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 ottobre 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore SEARS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 ottobre 2004, nel corso della 412a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 165 voti favorevoli, 1 voto contrario e 5 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Le sostanze «esistenti» sono quelle ritenute presenti sul mercato della Comunità europea tra il 1o gennaio 1971 e il 18 settembre 1981. L'inventario europeo delle sostanze chimiche esistenti a carattere commerciale (EINECS), pubblicato sulla Gazzetta ufficiale nel 1990 (1), identifica ed elenca 100 195 di tali sostanze. Le sostanze immesse sul mercato dopo il 18 settembre 1981 sono considerate «nuove» e, a norma della legislazione comunitaria in materia, sono soggette all'obbligo di notifica prima della commercializzazione.

1.2

La valutazione dei rischi di tali sostanze esistenti per la salute umana e per l'ambiente avviene di consueto a norma del regolamento 793/93/CEE, del Consiglio (2). Sinora sono stati redatti quattro elenchi prioritari per la valutazione, da applicare a cura delle competenti autorità nazionali. L'ultimo di tali elenchi risale al 25 ottobre 2000 (3): vi figurano 141 sostanze potenzialmente rischiose a causa delle loro specifiche strutture, di interazioni biochimiche note o previste o del loro elevato volume di produzione.

1.3

Gli Stati membri valutano ogni sostanza a tutti gli stadi della produzione per accertarne i rischi e l'esposizione e stabilire le eventuali conseguenze sulla salute e sull'ambiente e le conseguenti misure preventive. Ove si stabilisca che una sostanza, pur figurando nell'elenco prioritario per la valutazione, comporta rischi minimi in relazione alle utilizzazioni attuali o previste, le misure di controllo o non servono affatto o, se adottate, apporteranno risultati e benefici modesti.

1.4

Il Comitato scientifico della tossicità, dell'ecotossicità e dell'ambiente (CSTEE) esamina a sua volta i resoconti delle valutazioni di rischio effettuate dagli Stati membri. Se esso approva le conclusioni e il processo generale di valutazione, le eventuali misure di riduzione dei rischi possono essere proposte come emendamenti all'allegato I della direttiva 76/769/CEE, del Consiglio, relativa alle restrizioni in materia di immissione sul mercato e di uso di talune sostanze e preparati pericolosi (4). La proposta in esame costituisce il ventottesimo emendamento del genere.

1.5

Le due sostanze in questione, toluene e triclorobenzene, sono state valutate conformemente alla procedura su descritta e figurano ambedue nel secondo elenco di sostanze prioritarie pubblicato come regolamento 2268/95/CE, della Commissione, del 27 settembre 1995 (5). La loro valutazione, affidata alla Danimarca, è stata sostanzialmente accolta dal CSTEE in due pareri presentati il 12 giugno e il 20 luglio 2001, rispettivamente nella sua 24a e 25a riunione plenaria.

1.6

La proposta in esame introduce per queste due sostanze alcune misure di riduzione del rischio, che gli Stati membri dovranno applicare entro 18 mesi dall'entrata in vigore della direttiva. La proposta è stata pubblicata il 28 aprile 2004: dopo le procedure del caso, e qualora si raggiunga un accordo in merito alle eventuali modifiche, essa dovrebbe entrare in vigore negli Stati membri entro il giugno 2006.

2.   Sintesi della proposta della Commissione

2.1

La proposta è intesa a proteggere la salute umana e l'ambiente, come pure a creare (o a salvaguardare) il mercato interno delle due sostanze in questione. Si ritiene che ciò possa essere realizzato a costi minimi, poiché l'impiego delle sostanze per le applicazioni specificate è in declino e sono facilmente reperibili prodotti alternativi.

2.2

Nel caso del toluene, una sostanza versatile caratterizzata da un elevato volume di produzione, impiegata come materia prima essenziale per la sintesi chimica e come solvente in numerose applicazioni industriali e di consumo, saranno introdotte delle limitazioni per le concentrazioni superiori allo 0,1 % della massa nei prodotti adesivi e nelle vernici a spruzzo in vendita al pubblico. Tali limitazioni sono intese a tutelare la salute dei consumatori e non riguardano le applicazioni industriali.

2.3

Per quanto riguarda invece il triclorobenzene, che ha un impiego più limitato in quanto prodotto intermedio per taluni diserbanti e come solvente per vari processi in sistemi chiusi, le limitazioni si applicheranno per qualsiasi concentrazione superiore allo 0,1 % della massa in tutti gli impieghi eccetto come prodotto intermedio. Ciò limita la possibilità di vendita al pubblico e garantisce un'ulteriore protezione della salute sul posto di lavoro.

2.4

Nell'allegato della proposta i due prodotti vengono individuati dai rispettivi numeri CAS, rispettivamente 108-88-3 e 120-82-1. Le limitazioni del loro impiego saranno inserite nell'allegato I della direttiva 76/769/CEE.

2.5

Gli Stati membri avranno un anno di tempo per pubblicare le disposizioni legislative necessarie a conformarsi alla direttiva, e sei ulteriori mesi per predisporre i controlli. Tali termini saranno calcolati dalla data di entrata in vigore della direttiva proposta, che avverrà a sua volta dopo la consultazione del Comitato economico e sociale europeo, a norma dell'articolo 95 del Trattato, e l'adozione secondo la procedura di codecisione con il Parlamento europeo.

3.   Osservazioni generali

3.1

Come nel caso della ventiseiesima modifica della direttiva 76/769/CEE, che riguardava le restrizioni alla commercializzazione di nonilfenolo, nonilfenolo etossilato e cemento (6), e in merito alla quale il Comitato ha formulato un parere nel marzo 2003 (7), la proposta in esame riguarda sostanze non correlate tra loro che, per ragioni di chiarezza, verranno quindi trattate separatamente. Si osserva per inciso che la ventisettesima modifica, relativa agli idrocarburi policiclici aromatici contenuti negli oli diluenti e negli pneumatici è stata già pubblicata, ma è ancora in esame.

4.   Toluene

4.1

Il toluene è un liquido trasparente incolore, dall'odore caratteristico. Chiamato anche metilbenzene, rappresenta, dopo il benzene, la più semplice struttura aromatica: un anello di carbonio a sei atomi unito a una catena di un membro di (alchil) carbonio. In natura si trova nel petrolio greggio, in alcune piante e alberi e nelle emissioni dei vulcani e degli incendi boschivi; può essere prodotto in grandissime quantità a partire dal carbone o dal petrolio greggio.

4.2

Secondo fonti del settore, nel 2002 la capacità produttiva e la produzione mondiale erano pari rispettivamente a 20 e a 14 milioni di tonnellate. Tale capacità produttiva è concentrata per il 75 % negli Stati Uniti, in Asia e in Giappone. Il parere della CSTEE quantifica in 2,6 milioni di tonnellate la produzione annua nell'UE. Quantità molto maggiori di toluene vengono liberate nella produzione di benzine e contribuiscono quindi all'esposizione a tale sostanza, pur non essendo comprese nelle cifre summenzionate (8).

4.3

Il toluene viene impiegato per lo più come materia prima in sistemi chiusi per la produzione deliberata di benzene, schiume di uretano e altri prodotti chimici nonché, in quantità molto minori, come solvente veicolante per vernici, inchiostro, prodotti adesivi, farmaceutici e cosmetici. I suoi effetti sulla salute umana e sull'ambiente sono stati ampiamente studiati e in genere considerati accettabili da tutte le parti in causa. È chiaro tuttavia che bisogna ridurre al minimo ogni esposizione superflua, reale o teorica, a tale prodotto, in particolare quando esistano solventi alternativi altrettanto efficaci.

4.4

Ciò vale per i due usi finali specificati nella proposta. L'impiego del toluene come solvente per prodotti adesivi e vernici a spruzzo in vendita al pubblico non è né indispensabile né raccomandato dai produttori in Europa. Si ritiene che le vendite effettive per questi due impieghi siano inesistenti o quasi. Si tratta quindi di misure prevalentemente precauzionali, il cui effetto previsto sui costi di produzione, sulle scelte dei consumatori e sulla loro salute è modesto.

4.5

Il Comitato riconosce che la prima esigenza è fare in modo che il toluene possa essere utilizzato in maniera sicura in grandi quantità in sistemi chiusi nei luoghi di lavoro. La proposta garantisce che al di fuori degli ambienti di lavoro controllati il pubblico sia adeguatamente protetto, anche in futuro, da esposizioni inutili. Il Comitato accoglie con favore questa parte della proposta.

5.   Triclorobenzene

5.1

Per quanto riguarda il triclorobenzene, la situazione è molto differente e il Comitato ritiene che la proposta necessiti di alcune modifiche e delucidazioni.

5.2

Il triclorobenzene è una sostanza chimica prodotta intenzionalmente, che non si trova in natura se non come prodotto del degrado di altri composti aromatici clorati. Ne esistono vari isomeri in base alla collocazione degli atomi di cloro intorno all'anello di carbonio di sei atomi. Ognuno di questi isomeri ha proprietà fisiche e integrazioni biochimiche (marginalmente) differenti, per esempio in termini di valori di tossicità LD50. Ognuno di essi è contraddistinto da numeri CAS e EINECS differenti. Inoltre gli inventari CAS e EINECS hanno entrambi la voce «triclorobenzene» in generale. Tutte queste sostanze sono disponibili in commercio negli Stati Uniti e altrove, mentre in Europa non sembra essere rimasta alcuna produzione di 1,3,5-triclorobenzene. Ecco qui di seguito un estratto dagli elenchi (9):

Numero EINECS

201-757-1

204-428-0

203-686-6

234-413-4

Numero CAS

87-61-6

120-82-1

108-70-3

12002-48-1

Isomero

1,2,3-

1,2,4-

1,3,5-

-

Forma

Fiocchi bianchi

Liquido trasparente

Fiocchi bianchi

Liquido trasparente

Temperatura di fusione C°

52-55

17

63-65

-

LD50 somministrazione orale, nei ratti, mg/kg

1830

756

800

-

Numero UN

2811

2321

2811

-

5.3

Il parere del CSTEE sulla valutazione dei rischi fa specifico riferimento all'1,2,4-triclorobenzene con i numeri di EINECS e CAS menzionati più in alto. La proposta in esame menziona tale numero CAS (e quindi l'unico isomero studiato) nell'allegato, ma non nel titolo o nel testo.

5.4

I differenti isomeri vengono prodotti, con un grado elevato di purezza, come prodotti intermedi in sistemi chiusi per la sintesi di alcuni diserbanti, antiparassitari, coloranti e altri prodotti chimici specializzati. Quando la specifica struttura isomerica è meno importante si può utilizzare una miscela di isomeri in sistemi chiusi come solvente veicolante per coloranti o come regolatore del processo o trasmettitore di calore, negli spray come inibitore della corrosione e nei fluidi per la lavorazione di metalli.

5.5

Nell'UE (e altrove) viene impiegato anzitutto l'1,2,4-triclorobenzene (1,2,4-TCB), in vari gradi di purezza. Si ritiene che la sua produzione sia andata gradualmente declinando dagli anni '80. I dati presentati alla commissione OSPAR per la protezione dell'ambiente marino valutavano la produzione di 1,2,4-TCB in 7-10 mila tonnellate, quella di 1,2,3-TCB in meno di 2 mila tonnellate, quella di 1,3,5-TCB in meno di 200 tonnellate (10). Nel giugno 2000 l'OSPAR ha inserito tutti e tre gli isomeri, come voci individuali, nell'elenco di sostanze prioritarie. Il parere del CSTEE del luglio 2001 menziona una produzione di 7.000 tonnellate in Europa nel periodo 1994/95. I livelli di produzione hanno continuato a declinare e si ritiene che ammontino attualmente alla metà di tale valore e che la maggior parte delle sostanze prodotte sia destinata all'esportazione (11).

5.6

Si ritiene che nella regione UE/OSPAR sia rimasto attualmente un solo produttore. Le vendite si limiterebbero agli isomeri 1,2,4-TCB e 1,2,3-TCB da usare solo come prodotti intermedi. Ogni cliente è tenuto a specificare tale destinazione per iscritto prima dell'acquisto.

5.7

Vi sono pochi altri usi noti e riconosciuti dalla Commissione e dal CSTEE, ad esempio come solventi nei processi senza rilascio nell'ambiente. Dal momento che la proposta in esame mira a consentire la produzione essenziale, limitando però strettamente le emissioni dovute all'impiego in sistemi aperti, sembrerebbe opportuno aggiungere tali usi a quelli consentiti specificati nell'allegato.

5.8

Il Comitato ritiene che, fatte salve le osservazioni di cui sopra, la proposta dovrebbe garantire una maggiore protezione sul posto di lavoro ed eliminare del tutto qualsiasi rischio di esposizione al di fuori del posto di lavoro. I produttori e gli utilizzatori di triclorobenzene e di prodotti concorrenti sembrano avere in grande misura anticipato la proposta, per cui le ripercussioni sui costi per i produttori e per gli utenti dovrebbero essere modeste. Di conseguenza il Comitato accoglie con favore questa parte della proposta.

6.   Osservazioni specifiche

6.1

Come già specificato, il Comitato ritiene che la proposta dovrebbe basarsi sulla valutazione del rischio e sul parere del CSTEE in materia, e quindi riferirsi soltanto all'1,2,4-TCB. Ciò dovrebbe essere chiarito sia nel titolo che nel testo. Fortunatamente gli effetti delle limitazioni dell'uso rimarranno gli stessi, dato che tale isomero è il componente principale del TCB composto da vari isomeri e precedentemente venduto per essere usato nei solventi e negli spray.

6.2

Occorrerebbe inoltre consentire altre utilizzazioni in sistemi chiusi, inserendo, alla fine delle restrizioni, le parole «o in altri sistemi nei quali non sia possibile alcuna emissione nell'ambiente».

6.3

Come nel caso delle precedenti modifiche alla direttiva 76/769/CEE del Consiglio, il Comitato deplora che sostanze prive di relazione tra loro vengano trattate insieme nello stesso testo, il quale potrebbe richiedere modifiche continue e specifiche per essere adeguato alle circostanze esterne. Ciò non favorisce una gestione adeguata, tempestiva ed efficiente. Se tale situazione fa seguito a restrizioni delle risorse in questa fase conclusiva e particolarmente delicata in cui si concordano specifiche misure di limitazione del rischio, sarebbe opportuno ovviare quanto prima a tali restrizioni.

6.4

Il Comitato osserva che la lista delle sostanze prioritarie è stata pubblicata nell'ottobre 2000. Osserva con rammarico che tale approccio sembra essere stato abbandonato molto tempo prima che si potessero applicare altre procedure, come ad esempio REACH, e deplora tale situazione di stallo.

6.5

Il Comitato sottolinea il ruolo svolto sinora dal CSTEE e si augura che vengano adottate disposizioni atte a garantire tale ruolo anche in futuro, indipendentemente dai cambiamenti recentemente annunciati della struttura e delle responsabilità dei comitati scientifici.

6.6

Condivide le preoccupazioni comunemente espresse circa il tempo necessario per valutare le sostanze secondo il sistema attuale. Per quanto riguarda i due prodotti in oggetto, saranno trascorsi 11 anni prima dell'entrata in vigore delle disposizioni. Di questi, cinque saranno trascorsi dopo l'approvazione della valutazione di rischio da parte del CSTEE. Quando la legislazione entrerà in vigore non vi sarà praticamente alcun costo, né alcun beneficio in termini di salute o di ambiente, per alcune delle parti in causa. In mancanza di ulteriori informazioni è impossibile dire se ciò costituisca un fatto positivo (perché il mercato si è adeguato sotto la spinta delle ripetute valutazioni di rischio) o negativo (perché nonostante i costi elevati per tutte le parti in causa il processo ha avuto risultati ben modesti), ed è impossibile apportare i miglioramenti che si reputino utili.

6.7

Il Comitato ritiene pertanto che a titolo di integrazione di altre proposte come quella relativa a REACH, e per garantire che esse migliorino i processi in corso anziché peggiorarli, occorra valutare tempestivamente le ragioni di tale lentezza. Parallelamente occorrerebbe proseguire gli studi in corso, volti a stabilire quali siano, nel quadro di un'economia europea efficace, competitiva e basata sulla conoscenza, gli impatti, i costi e i benefici per tutte le parti in causa, di tali processi miranti a tutelare la salute umana e l'ambiente.

Bruxelles, 27 ottobre 2004.

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  GU C 146 A del 15.6.1990.

(2)  GU L 84 del 5.4.1993.

(3)  GU L 273 del 26.10.2000.

(4)  GU L 262 del 27.9.1976.

(5)  GU L 231 del 28.9.1995.

(6)  GU L 178 del 17.7.2003.

(7)  GU C 133 del 6.6.2003.

(8)  Dati dell'Associazione dei produttori di idrocarburi aromatici (APA), membro del Consiglio dell'industria chimica europea.

(9)  Fonte: European Chemicals Bureau (http://ecb.jrc.it/)

(10)  Dati di Eurochlor, membro del CEFIC.

(11)  I pareri del CSTEE sono disponibili sul sito Internet della DG SANCO.


20.5.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/10


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Adattabilità delle PMI e delle imprese dell'economia sociale ai cambiamenti imposti dal dinamismo dell'economia

(2005/C 120/03)

Il 27 aprile 2004 la vicepresidente della Commissione europea Loyola de PALACIO ha richiesto, a nome della Commissione, un parere esplorativo del Comitato economico e sociale europeo sul seguente argomento: Adattabilità delle PMI e delle imprese dell'economia sociale ai cambiamenti imposti dal dinamismo dell'economia.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 ottobre 2004, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice FUSCO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 ottobre 2004, nel corso della 412a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 169 voti favorevoli, 2 voti contrari e 5 astensioni.

Osservazione preliminare

Nello spirito della richiesta della Commissione europea, il presente parere si propone di esaminare l'argomento proposto sotto il profilo dell'interazione attuale e potenziale tra, da un lato, le PMI - ivi comprese le microimprese - e, dall'altro, le imprese dell'economia sociale (in appresso IES) analizzando inoltre vari tipi di strumenti e modelli propri delle IES che hanno o possono avere un impatto determinante sulla capacità di adattamento sia delle PMI che delle IES.

1.   Obiettivi e quadro normativo

1.1

La Commissione europea ha richiesto al CESE l'elaborazione del presente parere esplorativo in considerazione del ruolo particolarmente importante delle PMI e delle IES nella strategia di Lisbona, suggerendo tra l'altro di approfondire gli elementi che permettono di definire il quadro normativo e di sostegno necessario a questi soggetti.

1.2

La richiesta della Commissione è giunta in seguito alla pubblicazione di un parere di iniziativa del CESE, adottato all'unanimità il 1o aprile 2004, sul ruolo delle PMI e delle IES nella diversificazione economica dei paesi in via di adesione. In tale parere queste due categorie di soggetti venivano già trattate congiuntamente: oltre a fornirne una definizione il documento ne menzionava l'importanza nell'intera UE in termini di contributo all'economia, all'occupazione e alla coesione sociale, nonché le profonde interazioni e sinergie. Il parere specificava inoltre che il concetto di trasformazione economica è ben più ampio e dinamico di quello di ristrutturazione. Citava inoltre la relazione Gyllenhammer del Gruppo ad alto livello istituito dalla Commissione intitolata «Gestire il cambiamento» che pone l'accento sulla creazione di posti di lavoro, riconoscendo la validità di una strategia basata sull'analisi comparativa (benchmarking), sull'innovazione e sulla coesione sociale. Proponeva infine un programma integrato in 10 punti per la promozione delle PMI e delle IES nella diversificazione economica dei paesi in via di adesione, ampiamente ispirato alle buone pratiche delle IES nell'UE.

1.3

Le buone pratiche utilizzate dalle IES all'interno dell'Unione europea potrebbero infatti costituire la base di interazioni e sinergie tra IES e PMI: lo spirito di cooperazione, d'innovazione e di dinamismo delle IES e le grandi possibilità di utilizzo di queste ultime da parte delle PMI potrebbero aprire piste nuove. Le IES fornirebbero inoltre alle PMI un autentico valore aggiunto nella loro espansione generando, grazie alla loro precipua struttura, la cooperazione, la rappresentatività e la fiducia necessarie tra le PMI.

1.4

La strategia di Lisbona è stata proposta nel marzo 2000 dal Consiglio europeo, che ha fissato l'obiettivo di fare dell'Europa l'economia basata sulla conoscenza più dinamica e competitiva del mondo, sottolineando nel contempo la necessità di «creare un ambiente favorevole all'avviamento e allo sviluppo di imprese innovative, specialmente di PMI» e aggiungendo che la competitività e il dinamismo delle imprese dipendono direttamente da un contesto normativo propizio all'investimento, all'innovazione e all'imprenditorialità. (1) Su questa base il Consiglio europeo di Feira del 19 e 20 giugno 2000 ha approvato la Carta europea per le piccole imprese, in cui si afferma che «le piccole imprese sono la spina dorsale dell'economia europea» e che «sono una fonte primaria di posti di lavoro e un settore in cui fioriscono le idee commerciali» (2). Per di più la strategia di Lisbona annovera la crescita economica tra i fattori chiave per garantire la coesione sociale in Europa. La Commissione ha successivamente osservato che per attuare l'agenda di Lisbona occorre aumentare l'offerta di lavoro e il tasso d'occupazione, migliorare le conoscenze tecniche, garantire un flusso ordinato dall'agricoltura e dall'industria verso i servizi senza aggravare le disparità regionali all'interno dei singoli paesi (3).

1.5

Le PMI, termine che comprende anche le microimprese, che pure hanno caratteristiche proprie, sono imprese che rispondono a precisi criteri numerici, definiti come segue dalla Commissione europea (4)

Categoria di imprese

Persone occupate

Fatturato annuo

o

Totale di bilancio

Media

< 250

≤ EUR 50 milioni

 

≤ EUR 43 milioni

Piccola

< 50

≤ EUR 10 milioni

≤ EUR 10 milioni

Micro

< 10

≤ EUR 2 milioni

≤ EUR 2 milioni

1.6

Le IES rientrano in un insieme di quattro diverse categorie: cooperative, mutue, associazioni e fondazioni. Sono imprese caratterizzate dalla preminenza dell'obiettivo sociale rispetto alla massimizzazione del profitto, il che crea spesso un legame con il territorio e lo sviluppo locale. I loro valori di fondo sono: solidarietà, coesione sociale, responsabilità sociale, gestione democratica, partecipazione, autonomia (5).

1.7

La maggior parte delle IES è compresa nella definizione standard delle PMI adottata dall'UE (6). In genere anche quelle che per dimensione non rientrano nella definizione presentano caratteristiche in comune con le PMI, quali un modesto tasso di investimenti esterni, l'assenza di quotazione in borsa, la vicinanza dei proprietari-azionisti e uno stretto rapporto con il tessuto locale.

1.8

Le istituzioni europee hanno definito un quadro normativo relativo alle politiche per le PMI. Fino al 2005 la principale misura di carattere vincolante che interessa le PMI in quanto tali è la decisione del Consiglio 2000/819/CE relativa ad un programma pluriennale 2001-2005 a favore dell'impresa e dell'imprenditorialità, in particolare per le PMI. Detto programma pluriennale, che è stato utilizzato anche ai fini degli obiettivi stabiliti dalla Carta europea delle piccole imprese, persegue le seguenti finalità:

rafforzare la crescita e la competitività delle imprese,

promuovere lo spirito imprenditoriale,

semplificare il contesto amministrativo e normativo delle imprese,

migliorare il contesto finanziario delle imprese,

agevolare l'accesso delle imprese ai servizi di supporto, ai programmi e alle reti comunitarie.

1.9

Il 21 gennaio 2003, nella comunicazione COM(2003) 26 def., la Commissione - presentava una serie di resoconti sulle politiche dell'UE per le PMI comprendenti due rapporti sull'applicazione della Carta europea per le piccole imprese nell'UE e nei paesi aderenti; uno sulle attività dell'UE in favore delle PMI; uno a cura del Rappresentante per le PMI e infine il Libro verde sullo spirito imprenditoriale. Nel rapporto sulle attività comunitarie, tra le sfide raccolte dall'UE emerge in particolare l'impegno profuso attraverso i fondi strutturali, il già citato programma pluriennale e il Sesto programma quadro di ricerca e sviluppo tecnologico. Il succitato Libro verde è stato poi alla base di un piano d'azione comunitario in favore dell'imprenditorialità e della competitività delle imprese che copre il periodo 2006-2010.

1.10

La Commissione europea ha anche elaborato un quadro normativo per le imprese dell'economia sociale. Le più importanti tra queste, le cooperative, sono state oggetto della Comunicazione sulle società cooperative in Europa del 23 febbraio 2004. Questo documento propone di accrescere la visibilità e di migliorare la comprensione delle cooperative, nonché di favorire la convergenza del relativo quadro giuridico negli Stati membri (7). Esso cita le norme di base che disciplinano le cooperative come definite nella raccomandazione dell'OIL sulla promozione delle cooperative, adottata nel giugno 2002 a livello mondiale e in particolare dai rappresentanti dei governi dei 25 Stati dell'UE, come pure dalla maggior parte delle organizzazioni nazionali dei datori di lavoro e dei lavoratori. Tale raccomandazione fa anche riferimento alle principali norme internazionali sul lavoro indicando che esse si applicano integralmente ai lavoratori delle cooperative. Recentemente la commissione ha peraltro pubblicato un documento di consultazione sulle mutue, intitolato Le mutue nell'Europa allargata, che indica le norme di base relative a questo tipo di IES. (8)

2.   Quadro socioeconomico

2.1

La Commissione ha riconosciuto che le PMI costituiscono il fondamento dell'economia europea, rappresentando il 66 % dell'occupazione complessiva e il 60 % del valore aggiunto totale dell'UE escluso il settore agricolo. Le regioni caratterizzate da una forte concentrazione di PMI, come l'Emilia Romagna, il Baden-Württemberg e lo Jutland sono anche tra quelle con il PIL per abitante e il tasso di occupazione più elevati (9).

2.2

Nel parere sul tema «L'economia sociale e il mercato unico» (10) il Comitato ha sottolineato l'importanza socioeconomica delle imprese dell'economia sociale, indicando che esse svolgono una funzione fondamentale per il pluralismo imprenditoriale e la diversificazione dell'economia (11). La stessa Commissione ha riconosciuto questa situazione, tra l'altro nella Comunicazione sulle società cooperative in Europa e nel documento di consultazione «Le mutue nell'Europa allargata», già menzionato al punto 1.10 del presente documento. Nell'UE è in crescita l'importanza socioeconomica delle imprese e delle organizzazioni dell'economia sociale; con circa 9 milioni di lavoratori diretti (o equivalente tempo pieno - ETP), esse rappresentano il 7,9 % del lavoro dipendente in ambito civile (12). Inoltre esse associano una parte considerevole della società civile: secondo la Commissione europea le cooperative comprendono 140 milioni di membri e le mutue 120 milioni. Si stima quindi che oltre il 25 % dei cittadini dell'UE faccia parte di una qualche impresa dell'economia sociale e vi rivesta un ruolo socioeconomico ben definito: produttore, consumatore, risparmiatore, residente in una struttura abitativa, assicurato, studente, operatore del volontariato, ecc. Le IES si sviluppano in tutti i settori e in particolare in quello dei servizi di pubblica utilità e di interesse generale (13), quali la salute, l'ambiente, i servizi sociali e l'istruzione. (14). Svolgono quindi un ruolo essenziale per la creazione di capitale sociale, la capacità di assumere persone svantaggiate, il benessere sociale, la rinascita dell'economia locale e l'ammodernamento dei modelli di gestione locale. Alcune tra esse, inoltre, hanno elaborato dei sistemi di bilancio sociale che permettono loro di valutare il proprio impatto sociale e ambientale.

2.3

Le PMI e le imprese dell'economia sociale hanno un'importante funzione nel fornire lavoro o nel reinserimento occupazionale nel contesto delle grandi transizioni industriali in corso, contribuendo al trasferimento di mano d'opera da settori in declino e che riducono l'occupazione verso settori tradizionali (artigianato, mestieri) e in espansione, quali i servizi alle imprese, le nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione, l'alta tecnologia, le costruzioni e i lavori pubblici, i servizi al pubblico a livello locale (anche sanitari) e il turismo.

2.4

Nondimeno le PMI e le IES devono far fronte a sfide particolari. La Carta europea per le piccole imprese riconosce che sono «più sensibili ai cambiamenti del contesto economico». Nel Libro verde sull'imprenditorialità in Europa, la Commissione afferma che le IES, dovendo applicare «l'efficienza e i principi imprenditoriali nel perseguire obiettivi sociali e societari, incontrano particolari difficoltà nell'accedere ai finanziamenti, alla formazione manageriale e alla consulenza» (15).

2.5

Nel quadro della trasformazione socioeconomica le PMI e le IES possono svolgere un ruolo importante che si esplica secondo modalità diverse, con esempi di buone pratiche: inserimento di nuovi soggetti nel mercato del lavoro, sostegno alla capacità innovatrice delle microimprese e delle piccole imprese, reinserimento di lavoratori licenziati da industrie costrette a riduzioni collettive del personale per non chiudere, creazione di istituti di previdenza sociale, avvio di nuove imprese nei settori in espansione, sviluppo dei servizi e della subfornitura, trasferimento ai dipendenti della proprietà delle imprese in crisi; sostegno alla creazione di microimprese e di lavoro autonomo e trasformazione qualitativa all'interno dello stesso settore di attività. Inoltre, le IES possono fornire un contributo specifico alla trasformazione, sia mediante la loro capacità di formare all'imprenditorialità, di cui hanno già dato prova, sia attraverso i valori che promuovono, ad esempio un'imprenditoria socialmente responsabile, la democrazia e la partecipazione civica, il coinvolgimento - anche finanziario - del personale nella gestione dell'impresa, l'inclusione sociale, l'interesse per lo sviluppo locale e lo sviluppo sostenibile.

2.6

Nell'UE esiste tra le PMI convenzionali e le IES un'importante interazione, con un potenziale di sviluppo ancora molto maggiore. Questa interazione avviene nei tre modi seguenti:

a)

le PMI utilizzano ampiamente i servizi di IES esterne. Per esempio le banche cooperative promuovono spesso progetti di creazione di nuove imprese e sviluppo di PMI convenzionali;

b)

nei loro rapporti reciproci le PMI utilizzano strutture che costituiscono di fatto delle IES, al fine di creare dei sistemi di impresa (reti, gruppi, strutture comuni di sostegno) o per realizzare economie di scala (cooperative di PMI per gli acquisti e la commercializzazione), nonché per predisporre dei meccanismi di garanzia reciproca di prestiti bancari, ecc. Queste strutture permettono loro di accrescere sensibilmente la loro competitività;

c)

determinati modelli di IES (come i fondi comuni, la fornitura di servizi di interesse generale, le reti di equo scambio, ecc.) possono servire da ispirazione per lo sviluppo di PMI.

3.   Tipi di buone pratiche che potrebbero fornire un utile spunto per l'elaborazione di politiche pubbliche e sulle quali sarebbero necessarie ricerche più approfondite

3.1   Osservazioni generali

3.1.1

In vari documenti del progetto BEST, nel quadro del programma pluriennale, la Commissione ha esposto dei casi di buone pratiche «… ossia di una pratica che sembra integrare un approccio ad un nuovo aspetto del sostegno alle imprese degno dell'attenzione e dell'interesse degli operatori del settore» (16). Non si tratta necessariamente della «migliore pratica», (best practice) il loro scopo è piuttosto quello di fornire spunti per un approccio diverso o ispirare pratiche migliori (better practice) che permettano di giungere a delle conclusioni e a degli orientamenti per le politiche dell'UE.

3.1.2

Il Comitato è consapevole del fatto che negli ultimi anni è stato già effettuato un importante lavoro di codificazione delle buone pratiche in uso (cfr. le summenzionate azioni BEST). I tipi di buone pratiche descritti più sotto riguardano esclusivamente l'interazione esistente o potenziale tra PMI e IES. Esse sono illustrate nell'allegato al presente documento attraverso esempi completi, che mettono in evidenza anche la capacità di adattamento di tali modelli e il loro carattere evolutivo a fronte del dinamismo economico nel contesto del mercato unico e della globalizzazione.

3.1.3

La suddivisione per tipo è utile per formulare proposte di politiche pubbliche in grado di rafforzare il dinamismo delle PMI e delle IES nella prospettiva della strategia di Lisbona. Si tratta di casi di buone pratiche tra IES che potrebbero essere presi ad esempio da parte della PMI, o di interazioni tra PMI e IES in cui le IES sono utilizzate direttamente da parte delle PMI e potrebbero esserlo ancor più.

3.1.4

L'ipotesi di lavoro, già parzialmente dimostrata in alcuni casi, è che ognuna di queste modalità comporti un considerevole costo di opportunità (opportunity cost)  (17), oppure dei guadagni, a medio termine, per i bilanci pubblici.

3.2   Tipologie di buone pratiche

3.2.1

Creazione e salvaguardia di posti di lavoro attraverso l'avvio e la ristrutturazione di imprese. Le esperienze di IES in vari Stati membri mostrano che i regimi di finanziamento destinati ai lavoratori licenziati per contribuire al rilancio della loro impresa in crisi o a crearne una nuova, integrati da adeguate misure di accompagnamento, possono permettere non solo di creare o salvare posti di lavoro e di costituire o mantenere in vita attività economiche, ma anche di recuperare allo Stato o ad altri finanziatori, in un tempo relativamente breve, l'intero finanziamento concesso, o addirittura un importo superiore. (18)

3.2.2

Sistemi e raggruppamenti di imprese per lo sviluppo, l'innovazione e la competitività. Alcune IES hanno formato dei raggruppamenti (cluster) regionali, che si sono ulteriormente integrati in sistemi o gruppi orizzontali o paritari, specie nell'Italia settentrionale e nel Paese basco spagnolo, trasformando tali imprese (per lo più piccole e medie) in soggetti economici di primo piano nelle rispettive regioni, e dando vita a centri d'avanguardia nel campo dell'innovazione tecnologica e gestionale.

3.2.3

Condivisione delle risorse per realizzare economie di scala. In vari paesi europei una gran parte delle PMI tradizionali di taluni settori, comprese le microimprese e i lavoratori autonomi (come il commercio al dettaglio in Italia, i parrucchieri e i macellai in Francia, i panettieri in Germania) si organizza in gruppi, in genere sotto forma di cooperative, per gestire in comune gli acquisti, la commercializzazione o alcuni servizi. Ogni impresa rimane completamente autonoma e al tempo stesso accrescere la propria competitività, conservare ed espandere i propri mercati, evitare di ricorrere al subappalto e all'intermediazione e realizzare economie di scala. Per la collettività tale sistema è una garanzia di mantenimento dell'occupazione e di sviluppo locale (19).

3.2.4

Accesso al finanziamento e riduzione dei rischi. Le garanzie reciproche consentono alle PMI, alle microimprese e ai lavoratori autonomi che non dispongono di garanzie sufficienti di avere accesso al credito. La società di garanzia (che spesso prende la forma di una società mutua) tende a fornire la propria garanzia a esclusivo vantaggio del prestatore. In caso di mancato rimborso, la società si fa carico del costo finale, prelevato dal fondo di garanzia alimentato dalle PMI associate. Fondi comuni tra IES vengono utilizzati nei progetti di creazione, riconversione o sviluppo di imprese, al fine di poter far uso di prestiti bancari introducendo un elemento di fiducia presso le banche (20).

3.2.5

Servizi resi alla collettività. Le IES si sono dimostrate soggetti importanti nei servizi sociali, sanitari, formativi e culturali, in particolare nel quadro delle privatizzazioni, coniugando spirito imprenditoriale e garanzia dell'interesse generale, che costituisce la base di tali servizi. In tal modo si è evidenziato che queste imprese forniscono spesso prestazioni di qualità migliore e ad un prezzo inferiore rispetto a quelle fornite dallo Stato. In alcuni casi tali servizi sono oggetto di partenariati locali pubblico-privato, tra IES e amministrazioni locali, in particolare per servizi di pubblica utilità come i centri di collocamento, i centri di cura, l'assistenza a domicilio, ecc.

3.2.6

Catene di produzione e di commercializzazione di qualità o di carattere etico. Alcune IES si sono specializzate nella commercializzazione di prodotti di cui possono garantire sistematicamente la qualità, e seguono un processo di produzione di cui possono assicurare sistematicamente il carattere etico (esclusione di ogni forma di sfruttamento, rispetto delle norme sul lavoro, giusto compenso, ecc.

4.   Raccomandazioni concernenti un programma di ricerca e di azione inteso a definire delle politiche a lungo termine per la promozione delle PMI e delle IES attraverso la loro interazione reciproca

4.1   Osservazioni generali

4.1.1

La grande importanza congiunta delle PMI e delle IES nell'economia europea e nell'attuazione della strategia di Lisbona, come pure il potenziale di interazione positiva che si produce tra queste due categorie di soggetti grazie all'utilizzazione dei modelli e delle strutture delle IES, sono altrettanti argomenti in favore di un nuovo sforzo congiunto a livello dell'UE per la loro promozione e il loro sostegno.

4.1.2

Il Comitato ha preso in considerazione in particolare i programmi esistenti di sostegno alle PMI, ma osserva anche che le strutture di sostegno alle IES e quelle per la promozione di iniziative atte a favorire l'interazione tra PMI e IES sono insoddisfacenti.

4.1.3

Prende atto inoltre della carenza di studi solidi, esaurienti, transeuropei e pluridisciplinari in cui vengano dimostrati e calcolati i costi di opportunità delle buone pratiche che favoriscono il rafforzamento delle PMI, delle IES attraverso la loro interazione reciproca.

4.1.4

Tale carenza limita seriamente l'elaborazione di politiche per la promozione delle PMI e delle IES tramite l'interazione reciproca. Per definire tali politiche occorre infatti un monitoraggio continuo accompagnato da analisi dei costi e dei benefici.

4.2   Raccomandazioni specifiche

4.2.1   Istituzione di un Osservatorio europeo delle imprese dell'economia sociale e avvio di una ricerca pluriennale sull'interazione tra IES e tra PMI e IES

4.2.1.1

Il CESE propone che venga istituito un Osservatorio europeo delle imprese dell'economia sociale per lo studio delle IES e dell'interazione esistente o potenziale tra PMI e IES, della fondamentale importanza che tale interazione potrebbe svolgere ai fini dello sviluppo economico di entrambe, nonché della promozione della responsabilità sociale delle imprese e della lotta all'emarginazione.

4.2.1.2

Tale Osservatorio sarebbe sostenuto dalla Commissione europea e dai governi dei 25 Stati membri e vedrebbe la partecipazione delle organizzazioni delle IES, come pure dei centri di ricerca sulle IES a livello universitario. Avrebbe inoltre rapporti di stretta collaborazione con l'Osservatorio delle PMI.

4.2.1.3

Il CESE propone inoltre che tale Osservatorio avvii una ricerca pluridisciplinare e intereuropea, della durata di tre anni, volta a fare l'inventario delle buone pratiche riguardanti i sistemi di IES che contribuiscono direttamente allo sviluppo delle PMI, o il cui modello offre un potenziale per lo sviluppo delle PMI, specie nei settori menzionati nella sezione 3.

4.2.1.4

Tale ricerca è intesa a dimostrare il costo di opportunità, concentrandosi in particolare sul calcolo:

dei costi e dei benefici microeconomici diretti,

dei costi e dei benefici a monte e a valle nella catena economica,

del valore dei beni immateriali,

dei costi e dei benefici sociali, attraverso l'audit sociale,

degli effetti moltiplicatori,

della differenza di costi che deriverebbe dalla non applicazione del modello in questione, laddove per esempio il «costo dell'assenza di cooperative» è il maggior costo che deriverebbe allo Stato e alla collettività dalla sparizione improvvisa delle cooperative.

4.2.1.5

Le conclusioni delle ricerche svolte dall'Osservatorio europeo delle IES dovranno essere pubblicate, grazie ad un'importante azione di comunicazione, presso le istituzioni europee, i governi degli Stati membri e la popolazione in generale.

4.2.1.6

Il CESE vigilerà sul buono svolgimento della ricerca effettuata dall'Osservatorio delle imprese dell'economia sociale e procederà ad una valutazione delle relative conclusioni al termine di un periodo di tre anni, studiando le possibili ripercussioni di tali conclusioni sulle politiche della Commissione europea riguardanti le PMI e le IES.

4.2.2   Piena partecipazione delle PMI e delle IES ai programmi europei di sostegno alle imprese

4.2.2.1

Il CESE chiede alla Commissione di accertarsi che le IES abbiano la possibilità di partecipare equamente al nuovo programma pluriennale per l'imprenditoria 2006-2010 e di promuovere le iniziative in materia di interazione tra PMI e IES e in particolare di utilizzazione delle IES nella cooperazione tra PMI.

4.2.2.2

Chiede anche che il tasso di partecipazione delle PMI e delle IES ai programmi dell'UE per l'accesso alla ricerca, all'innovazione e ai mercati mondiali sia inserito tra le principali priorità politiche europee.

4.2.2.3

Ritiene che l'importanza dei progetti dedicati alle PMI nei fondi strutturali dovrebbe rimanere immutata e che dovrebbe invece essere accresciuta l'importanza dei progetti in favore delle IES e dell'interazione tra IES e PMI, specie quando essi favoriscano la creazione di nuovi posti di lavoro e lo sviluppo delle regioni rurali. L'accesso ai fondi strutturali non dev'essere limitato a seconda del settore di attività dell'impresa.

4.2.3   Integrazione delle conclusioni della Seconda conferenza ministeriale dell'OCSE sulle PMI (conferenza di Istanbul) e loro estensione alle IES

4.2.3.1

Il CESE propone inoltre alla Commissione di riprendere le conclusioni politiche della Conferenza ministeriale organizzata a Istanbul dall'OCSE, e di estenderle alle IES. Chiede quindi un approccio più adatto alle esigenze e alle caratteristiche delle PMI e delle IES, che preveda in particolare:

un migliore accesso delle PMI e delle IES al finanziamento, a fronte dell'inasprimento dei criteri di Basilea ora in atto per quanto riguarda i prestiti bancari alle imprese a rischio o sottocapitalizzate,

promozione di partenariati, reti e raggruppamenti (cluster) tra PMI e IES,

aggiornamento e integrazione costante dei dati empirici sulla situazione delle PMI e delle IES,

riduzione degli ostacoli all'accesso delle PMI e delle IES ai mercati globali, specie attraverso una semplificazione delle incombenze amministrative e giuridiche cui devono far fronte,

misure di prevenzione e di salvataggio in caso di crisi e di fallimenti di imprese,

promozione dell'istruzione e dello sviluppo delle risorse umane,

promozione delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (21).

4.2.4   Miglioramento del dialogo sociale a livello subnazionale, nazionale e comunitario

4.2.4.1

In vari Stati membri, specie di nuova adesione, le PMI non sono adeguatamente rappresentate negli organi nazionali di dialogo sociale. Il CESE ritiene che occorra una maggiore partecipazione, non foss'altro che ai fini dell'efficacia delle politiche pubbliche di promozione e di regolamentazione delle PMI, nonché per garantire che le grandi imprese e il settore delle PMI possano esprimere il proprio punto di vista in condizioni di parità.

4.2.4.2

Nella maggior parte dell'UE, come pure a livello comunitario, le IES non sono rappresentate nel dialogo sociale. Il CESE propone di far sì che le organizzazioni rappresentative delle IES, a livello sia comunitario che di Stati membri, si strutturino e si rafforzino ulteriormente e siano quindi coinvolte nel dialogo sociale sia comunitario che interno agli Stati membri. Il loro punto di vista dovrebbe essere tenuto in maggiore considerazione nell'elaborazione delle norme relative alle imprese. (22)

4.2.5   Indagine sulle modalità di promozione della partecipazione dei lavoratori al processo decisionale e al capitale sociale

4.2.5.1

Le IES hanno sviluppato un loro know-how specifico nel settore della partecipazione dei lavoratori al sistema decisionale e al capitale delle imprese per cui lavorano. In particolare, una parte delle cooperative ha assunto la forma di «cooperative di produzione e lavoro» (23), in cui la totalità o la maggioranza dei soci è costituita da lavoratori e viceversa. In sede decisionale ciascuno di essi, a prescindere dall'entità della partecipazione finanziaria all'impresa, che peraltro è non nominale e non trasferibile, dispone di un voto, Questa formula associativa è uno dei principali ingredienti del successo di molti dei casi di buone pratiche. I lavoratori sono infatti direttamente responsabili dello sviluppo dell'impresa e partecipano pienamente all'elaborazione della strategia aziendale. In questo momento, caratterizzato da una crescente presa di coscienza del fatto che, nell'ambito dell'«economia della conoscenza» perseguita dalla strategia di Lisbona, il «capitale umano» rappresenta la risorsa fondamentale dell'impresa, questa formula associativa rivela progressivamente la sua modernità e il suo carattere innovativo.

4.2.5.2

Il CESE propone alla Commissione di esaminarla, nell'ambito del summenzionato Osservatorio e dei seminari tematici da essa organizzati, sotto i seguenti aspetti:

dal punto di vista del costo di opportunità, onde definire in che misura e con quali correttivi essa può essere utile e applicabile alle PMI convenzionali,

dal punto di vista del quadro giuridico e normativo.

5.   Conclusioni

5.1

Le PMI sono la base dell'economia e dell'occupazione in Europa e, in quanto tali, esse sono il primo soggetto coinvolto nella realizzazione degli obiettivi di Lisbona. Le IES svolgono un ruolo sempre maggiore nella coesione sociale e nello sviluppo locale. La capacità di interazione reciproca delle PMI e delle IES, specie sotto forma di utilizzazione massiccia delle IES da parte delle PMI nell'interesse di entrambi i tipi di imprese, è ancora ampiamente sottoutilizzata.

5.2

Il CESE propone pertanto alla Commissione di procedere ad un riesame dell'interazione esistente e potenziale tra PMI e IES e di contribuire a dimostrare che tale interazione è benefica per lo sviluppo di questi due tipi di imprese nel quadro dei profondi cambiamenti indotti dal dinamismo economico, e in particolare nelle politiche di sviluppo regionale, di coesione sociale e di innovazione.

Bruxelles, 27 ottobre 2004.

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Conclusioni della presidenza - Lisbona, 23 e 24 marzo 2000, punto 14.

(2)  Carta europea per le piccole imprese, Lussemburgo, Ufficio delle pubblicazioni ufficiali delle Comunità europee, 2002. La Commissione sostiene che la Carta è stata riconosciuta a Maribor il 23 aprile 2002 (cfr. http://europa.eu.int/comm/enterprise/enterprise_policy/sme-package/index.htm). Sia il Comitato che il Parlamento continuano a chiedere con forza che la Carta sia dotata di valore giuridico e inserita espressamente nel capitolo sull'industria della Convenzione europea.

(3)  Una strategia per il pieno impiego e posti di lavoro migliori per tutti COM(2003) 6 def.

(4)  Raccomandazione 2003/361/CE, che sostituisce la raccomandazione 96/280/CE (GU L 124 del 20 maggio 2003, pag. 36) ed entrerà in vigore il 1o gennaio 2005. Le definizioni contenute nella nuova raccomandazione sono identiche a quelle della raccomandazione in vigore. Variano soltanto i fatturati o i totali di bilancio.

(5)  B. Roelants (a cura di): Dossier di preparazione alla prima conferenza dell'economia sociale nei paesi dell'Europa centrale e orientale, 2002, pag. 34. Denominatori comuni individuati in base alle definizioni elaborate dalla Commissione europea, dal Comitato delle regioni, dalla CEP-CMAF (Conferenza europea delle cooperative, delle mutue, delle associazioni e delle fondazioni) e dal FONDA (legato a organizzazioni che sono all'origine del concetto di economia sociale).

(6)  McIntyre e altri, Small and Medium Enterprises in Transitional Economies, Houndmills, MacMillan, pag. 10.

(7)  Specialmente nel quadro dell'applicazione del regolamento sulla società cooperativa europea. Cfr. regolamento (CE) n. 1435/2003 del Consiglio, del 22 luglio 2003, relativo allo statuto della società cooperativa europea (SCE).

(8)  Commissione europea: documento di consultazione - Le mutue nell'Europa allargata, 3 ottobre 2003, pag. 5.

(9)  Commissione europea (2004): Un nuovo partenariato per la coesione - Convergenza, competitività, cooperazione - Terza relazione sulla coesione economica e sociale, pagg. 5 e 8.

(10)  Parere CES 242/2000, GU C 117 del 26.4.2000.

(11)  In un recente studio (non tradotto in italiano), l'OCSE precisa che la «categoria economia sociale» è più vasta di quella di «settore non profit», essendo meno condizionata dai vincoli che vietano per legge a un'organizzazione di ridistribuire le eccedenze tra i proprietari . (Versione inglese: OECD, The Non-Profit Sector in a Changing Economy, Paris, 2003, pag. 299).

(12)  Non sono compresi i lavori indiretti, come per esempio i lavoratori agricoli autonomi o le PMI che fanno parte di cooperative. Ciriec 2000, The Enterprises and Organisations of the Third System: Strategic Challenge for Employment, Università di Liegi.

(13)  Tang e altri, 2002, pag. 44.

(14)  Cfr. lo statuto della CEP-CMAF (Conferenza europea permanente delle cooperative, mutue, associazioni e fondazioni).

(15)  Commissione europea, Libro verde L'imprenditorialità in Europa, COM(2003) 27 def., punto C, ii.

(16)  DG Imprese (2002) «Aiuto alla crescita di un'impresa - Una Guida alla buona pratica per le organizzazioni di sostegno alle imprese», pag. 11.

(17)  Il costo di opportunità è «il reddito o profitto cui si rinuncia come conseguenza di una specifica decisione quando vi siano risorse limitate o progetti che si escludono a vicenda. Ad esempio il costo di opportunità relativo alla costruzione di una fabbrica su un determinato terreno consiste nel reddito mancato che sarebbe derivato dalla costruzione di un edificio di uffici sullo stesso terreno. Analogamente il costo di opportunità dell'edificio di uffici sarebbe il mancato guadagno dovuto al fatto di non avere costruito una fabbrica sullo stesso terreno. Il costo di opportunità, pur non risultando nei bilanci di un'organizzazione, costituisce un fattore importante del processo decisionale» (Oxford Dictionary of Finance and Banking, Oxford, Oxford University, 1997, pag. 252).

(18)  Cfr. anche il sistema del pago único (pagamento unico) in uso in Spagna, che consente ai lavoratori che decidono di costituire una cooperativa o una società di lavoratori (sociedad laboral) o di far parte di tali imprese come membri lavoratori, di ottenere in un'unica soluzione l'equivalente di due anni di indennità di disoccupazione, a condizione che abbiano lavorato nell'impresa almeno 12 mesi.

(19)  Cfr. in particolare il sito della Fédération Française des Coopératives et Groupements d'Artisans http://www.ffcga.coop e quello dell'Associazione nazionale cooperative fra dettaglianti http://www.ancd.it/

(20)  In particolare il fondo Socoden tra le cooperative francesi di produzione; cfr. http://www.scop-entreprises.com/outils.htm

(21)  Cfr. Cordis Focus n. 247, 14 giugno 2004, pag. 14.

(22)  Norme giuridiche, contabili ecc.

(23)  Si tratta di quella che in inglese viene definita cooperative work ownership. Le principali norme di questo particolare sistema di lavoro sono state stabilite nella World Declaration on Cooperative Worker Ownership (dichiarazione mondiale sulle cooperative di produzione e lavoro, febbraio 2004) della Cicopa (Confédération internationale des coopératives de production industrielle, artisanale et de services, Confederazione internazionale delle cooperative di produzione industriale, artigianale e di servizi), comitato specializzato dell'Alleanza cooperativa internazionale (ACI). La dichiarazione è frutto di un anno e mezzo di consultazioni tra i membri di tutto il mondo. Le norme in essa contenute vanno a completare le norme cooperative generali della dichiarazione d'identità cooperativa dell'ACI e dell'Organizzazione internazionale del lavoro (Raccomandazione sulla promozione delle cooperative).


20.5.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/17


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema I corridoi paneuropei di trasporto

(2005/C 120/04)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 23 gennaio 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema I corridoi paneuropei di trasporto.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 ottobre 2004, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice ALLEWELDT.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 ottobre, nel corso della 412a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 164 voti favorevoli, 2 voti contrari e 9 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Il gruppo di studio permanente sui corridoi paneuropei di trasporto ha ripreso i suoi lavori nel gennaio 2003, estendendo la sua sfera di competenza a tutti i problemi connessi allo sviluppo di tali corridoi (1). Nella sessione plenaria del dicembre 2002, l'assemblea aveva preso atto con grande soddisfazione delle attività svolte dal gruppo nel corso del mandato precedente. Nel periodo 2003-2004 non solo le attività attinenti ai corridoi sono state proseguite e sviluppate, ma la Commissione europea ha anche preso nuove importanti decisioni di indirizzo sullo sviluppo delle reti transeuropee di trasporto (TEN-T), decisioni che incidono anche sui lavori relativi ai dieci corridoi di Helsinki. L'allargamento dell'Unione europea, nel maggio 2004, e le prospettive di adesione per i paesi dell'Europa sudorientale modificano anch'essi il contesto generale per la politica infrastrutturale comune e la cooperazione nell'ambito dei corridoi.

1.2

Il presente parere d'iniziativa si propone non solo di riferire in merito alle attività e alle prese di posizione del Comitato economico e sociale europeo circa i «corridoi paneuropei» di trasporto nei due anni appena trascorsi, ma anche di suggerire agli interessati quali passi ulteriori compiere e in quale modo il Comitato potrà risultare utile in proposito.

2.   Un nuovo contesto generale per la politica paneuropea delle infrastrutture di trasporto

2.1

Con il rapporto del gruppo di esperti guidato da Karel VAN MIERT, stilato a metà del 2003, la Commissione ha dato inizio alla revisione delle TEN-T. In sostanza, il rapporto ha proposto di ampliare l'elenco di progetti prioritari del 1996 e di prevedere nuove possibilità di finanziamento da parte dell'Unione e una nuova e migliore forma di coordinamento (2). Vi era l'intenzione di integrare il concetto di corridoi di trasporto nella politica infrastrutturale dell'Unione: al posto di una politica infrastrutturale mirata in generale alla costruzione di una rete, si reputava necessario, in una prospettiva futura, concentrarsi su priorità specifiche lungo determinati assi principali. Questo approccio propugnato dal gruppo VAN MIERT non ha trovato però consenso.

2.2

Il Comitato ha discusso in dettaglio sul «futuro delle TEN-T» nella riunione esterna che la sezione TEN ha tenuto a Roma nel settembre 2003, insieme alla V commissione «Grandi opere e reti infrastrutturali» del Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro (CNEL), giungendo all'adozione di una dichiarazione comune (3). Quest'ultima sollecita un impegno maggiore nella realizzazione di una rete integrata di trasporti che consenta al tempo stesso di incorporare efficacemente i nuovi Stati membri e di oltrepassare i confini di tali paesi. L'intermodalità e la sostenibilità andrebbero messe al primo posto e il finanziamento potenziato congiuntamente, ricorrendo magari a un fondo comunitario per la rete transeuropea dei trasporti.

2.3

Una richiesta presentata dalla presidenza di turno italiana ha indotto il Comitato a elaborare un parere d'iniziativa destinato ad approfondire il dibattito avviato a Roma. Nel parere intitolato «Le infrastrutture di trasporto del futuro: pianificazione e paesi limitrofi - mobilità sostenibile - finanziamento» (4), il Comitato ha riassunto le sue posizioni attuali riguardo alla politica europea delle infrastrutture di trasporto. In una prospettiva futura, il Comitato propone di sperimentare nuove forme e nuovi strumenti di finanziamento, di dare maggiore priorità alla tutela dell'ambiente e alla sostenibilità sociale ed ecologica e, all'atto di pianificare e di realizzare una rete paneuropea dei trasporti, sia di salvaguardare quanto di positivo è già stato realizzato in merito ai corridoi di Helsinki, sia di far fronte alle nuove sfide con nuovi metodi.

2.4

L'Unione ha indicato come importante priorità la ricostruzione pacifica dell'Europa sudorientale e, con grande coerenza, ha promosso vigorosamente lo sviluppo di infrastrutture di trasporto funzionali in questa regione. A complemento dei corridoi già esistenti che interessano la regione (X, V, VII, IV e VIII) e sulla base della dichiarazione di Helsinki del 1997 e delle esperienze maturate nel corso del processo TINA (5), è stato concepito un piano di trasporti per l'Europa sudorientale. Di questo fa parte una rete infrastrutturale intermodale, denominata South East Europe Core Regional Transport Network (rete di trasporto regionale di base dell'Europa sudorientale), che si intende realizzare nell'ambito di una collaborazione coordinata. I paesi interessati (6) hanno elaborato un memorandum d'intesa che, tra l'altro, fa esplicito riferimento alla collaborazione con i gruppi di interesse socioeconomico della regione e con il gruppo di studio permanente del Comitato.

2.5

Il coordinamento dell'attività dei comitati direttivi istituiti per i dieci corridoi di Helsinki (7) e per le quattro aree paneuropee dei trasporti («P.E.Tr.A.)» (8) ha «cambiato volto». Con cadenza più o meno annuale, la Commissione invita i presidenti dei comitati direttivi e i capi dei segretariati permanenti dei corridoi, nonché numerosi altri rappresentanti di organizzazioni e istituzioni europee per uno scambio di vedute sulla situazione e sulle prospettive di lavoro future. L'ex gruppo di lavoro «Trasporti» del G-24 andrebbe sostituito da una struttura operativa più piccola e più efficiente. Allo stesso tempo, i responsabili della Commissione sanno perfettamente che determinati aspetti del coordinamento e del supporto tecnico-organizzativo possono essere curati solo dalla loro istituzione. Le ultime riunioni si sono svolte nel giugno 2003 e il 15 marzo 2004. Le principali conclusioni raggiunte sono raccolte nei capitoli 3 e 4.

2.6

L'allargamento e la «nuova politica di vicinato» dell'Unione condizionano anche la pianificazione della futura politica dei trasporti all'interno e all'esterno dell'Europa. Nel giugno scorso la Commissione e il Parlamento europeo hanno tenuto una riunione strategica congiunta a cui hanno invitato i rappresentanti del settore dei trasporti europeo, con particolare attenzione per i nuovi vicini dell'Europa allargata. In tale occasione si è deciso di istituire un gruppo di lavoro di alto livello con il compito di preparare il terreno per la stipula di accordi sullo sviluppo dei grandi assi di trasporto transeuropei, specie in direzione dei paesi vicini dell'Europa orientale, della Federazione russa, del mar Nero e dei Balcani. Per la regione del Mediterraneo è stato avviato un progetto per la creazione di una rete di trasporto euromediterranea. Quanto alla Turchia, sono attualmente allo studio le sue esigenze in termini di infrastrutture di trasporto.

3.   L'orientamento dei lavori del gruppo di studio permanente

3.1   Nuovi sviluppi e vecchi compiti: informazione e trasparenza

3.1.1

Benché da sette anni ormai trovi applicazione la dichiarazione di Helsinki, sette anni in cui si è consolidata la collaborazione all'interno dei comitati direttivi con la partecipazione generalizzata della Commissione europea, la trasparenza e l'interconnessione tra le diverse opere di pianificazione non hanno tuttavia registrato miglioramenti di sorta. I nuovi orientamenti TEN-T, i corridoi e le aree paneuropee, la rete di trasporto regionale di base dell'Europa sudorientale, i lavori della Conferenza europea dei ministri dei trasporti (CEMT) e della Commissione economica per l'Europa delle Nazioni Unite (UN-ECE) e diverse iniziative regionali di collaborazione rafforzata sono sostanzialmente appannaggio di un gruppo ristretto di esperti.

3.1.2

La mancanza di trasparenza è più accentuata a livello di società civile organizzata. Compito fondamentale del gruppo di studio permanente resta pertanto quello di fungere da anello di congiunzione, di effettuare cioè opera di informazione in seno agli organi ufficiali e nei confronti delle organizzazioni della società civile direttamente coinvolte.

3.1.3

La Commissione lavora attualmente a un sistema informativo (GIS) che dovrebbe essere disponibile in linea generale per la pianificazione e la valutazione d'impatto. Il GIS, utilizzato finora solo internamente, potrebbe però essere potenziato sotto il profilo dei dati socioeconomici e, in tal modo, risultare più utile per le tematiche affrontate dal Comitato. Questa possibilità andrebbe discussa con la Commissione.

3.2   Ricorso alla procedura di consultazione: le vie di comunicazione «europee» richiedono un consenso «europeo»

3.2.1

Dal bilancio stilato dal gruppo VAN MIERT emergono chiare le difficoltà incontrate: tra gli ambiziosi progetti europei e la loro realizzazione vi sono lacune difficili da colmare. Una maggior pianificazione a livello transfrontaliero e una più attiva partecipazione dei gruppi d'interesse della società civile sono stati giustamente riconosciuti come elementi in grado di produrre in futuro risultati migliori e sono stati pertanto inseriti nei nuovi orientamenti TEN.

3.2.2

Il coinvolgimento della società civile organizzata è essenziale per un'evoluzione equilibrata, che tenga conto anche degli interessi locali e regionali e dia sostanza al funzionamento e all'utilizzo delle vie di comunicazione. I progetti infrastrutturali di interesse europeo assolvono la loro funzione solo se soddisfano e fanno propria l'istanza della sostenibilità. A tal fine si dovranno coinvolgere le organizzazioni imprenditoriali, i vettori, i sindacati, le associazioni ambientaliste e quelle dei consumatori attraverso un processo che operi in modo transfrontaliero a livello europeo. L'impulso a creare vie di comunicazione «europee» può venire solo da una concezione «europea» e da un consenso «europeo» sorretti dalla collettività.

3.2.3

Ancora una volta il Comitato ha offerto il proprio contributo alla creazione di questo consenso, per il quale lo strumento delle audizioni va utilizzato sistematicamente a livello europeo. Ha sconsigliato tuttavia di caratterizzarlo come esercizio obbligatorio, se non vi è garanzia che i risultati ottenuti siano poi presi in considerazione. L'audizione sul processo TINA, organizzata dal Comitato nel 1998 in collaborazione con la Commissione, pur avendo registrato forte interesse e avendo raggiunto conclusioni ben precise, non è stata nemmeno menzionata nella relazione finale.

3.3   Dalla consultazione alla collaborazione a livello progettuale e pratico

3.3.1

Per buona parte dei lunghi anni che lo hanno visto impegnato nella politica di trasporto paneuropea, il Comitato ha formulato una richiesta in particolare, quella di essere coinvolto e consultato. Oggigiorno, gli operatori del settore a livello europeo hanno largamente esaudito il Comitato, che nel frattempo ha instaurato proficui rapporti di lavoro. A questo punto risulta assolutamente giustificata la richiesta - ancora una volta del Comitato - di collaborare a livello progettuale e pratico al lavoro dei comitati direttivi e di altri organismi.

3.3.2

Le basi contenutistiche di questa collaborazione in fase progettuale sono poste soprattutto dal recente parere d'iniziativa sul tema «Le infrastrutture di trasporto del futuro» che definisce i fondamenti della politica dei trasporti europei a giudizio del Comitato. L'obiettivo della sostenibilità, le riflessioni su come migliorare le modalità di finanziamento e l'orientamento paneuropeo dell'infrastruttura stradale costituiscono tre punti cruciali di tale documento. Quanto al rafforzamento dei grandi assi di trasporto, nel parere si individuano alcune priorità verso le quali si deve orientare l'attenzione del gruppo di studio permanente, vale a dire (9):

accertare l'efficacia dei collegamenti migliori tra le varie aree economiche,

incrementare l'intermodalità dei corridoi TEN in base a criteri di qualità di facile comprensione,

migliorare il collegamento con le vie di navigazione interna,

integrare il trasporto marittimo a corto raggio nella pianificazione dei corridoi TEN,

rafforzare ulteriormente la collaborazione in tema di trasporto ferroviario, che appare già in parte riuscita,

dedicare maggior attenzione al collegamento tra le reti di trasporto regionali e locali e i principali assi,

nei lavori relativi ai corridoi, inserire obiettivi di sviluppo aziendale di tipo qualitativo (come, ad esempio, la sicurezza, gli interessi dei consumatori, le condizioni di lavoro specie nel trasporto stradale sulle lunghe distanze, la qualità dei servizi e l'impatto ambientale dei trasporti),

mantenere per quanto possibile il concetto di corridoio e ampliarlo ulteriormente in termini territoriali.

3.3.3

Tali obiettivi sono stati in parte ripresi nei nuovi orientamenti TEN elaborati dalla Commissione. L'abilità sta ora nel procedere con la loro realizzazione tramite una collaborazione transfrontaliera. Il Comitato ha buone probabilità di contribuire in tal senso grazie ad iniziative specifiche e concrete.

3.4   Creazione di una rete di corridoi e collaborazione regionale

3.4.1

I lavori dei comitati direttivi, intanto, procedono a intensità più o meno simile per tutti i corridoi. Al tempo stesso si constata, in linea generale, l'esistenza di punti di contatto tra le regioni, tanto da poter parlare ormai, più che di singoli assi, di una rete di corridoi. Insieme agli approcci adottati nelle aree paneuropee, si afferma in misura crescente una cooperazione dotata di una componente regionale, ad esempio nell'Europa sudorientale (corridoi IV, V, VII e X) o nella regione del mar Baltico (corridoi I e IX), il che contrasta con la scarsa attività sviluppatasi finora nelle aree paneuropee dei trasporti designate ufficialmente (PETRA).

3.4.2

Entrambi gli approcci - vale a dire la realizzazione di grandi assi di trasporto e lo sviluppo di reti regionali allargate - sono tra loro complementari. In seno al gruppo di studio permanente ci si dovrebbe in futuro concentrare maggiormente sulle questioni di sviluppo regionale. Creando un collegamento tra politica dei trasporti, sviluppo regionale e le tematiche - nell'ambito delle relazioni esterne - che il Comitato giudica prioritarie (paesi vicini dell'Europa orientale, dimensione nordica, Europa sudorientale), questi fornisce un importante contributo grazie al lavoro delle sue sezioni specializzate.

3.5   Un compito per il futuro: creare nuovi collegamenti

3.5.1

Se la riunione strategica tra la Commissione e il Parlamento del giugno 2004 è certamente lodevole, il Comitato ha però sempre ripetuto che, con l'ampliamento, l'iniziativa comunitaria volta ad avviare la realizzazione di nuovi collegamenti a livello europeo non dovrà perdere vigore. In una lettera indirizzata al Comitato, la Commissione ha tenuto a precisare che si tratta di un punto di partenza per una procedura decisionale più aperta e allargata, a cui tutti i partecipanti potranno contribuire. Questa apertura è decisiva per la riuscita e la sostenibilità di nuovi progetti infrastrutturali a livello europeo.

3.5.2

Le esperienze maturate finora, specie in seno ai comitati direttivi, costituiscono un fondamento importante e imprescindibile per i nuovi progetti infrastrutturali. Il contributo specifico del Comitato, descritto nel presente parere, che è frutto di anni e anni di esperienza pratica, potrebbe essere utilizzato in una fase precoce della pianificazione, un'occasione questa da non perdere.

4.   Attività del gruppo di studio permanente nei singoli corridoi di trasporto

4.1

Nel corridoio II  (10), intanto, si è costituito un gruppo di lavoro sindacale, che si è riunito per la prima volta il 10 e 11 aprile 2003 a Mosca. Il Comitato ha partecipato anche alla riunione ufficiale dei comitati direttivi svoltasi il 15 e 16 maggio 2003 a Berlino. Da entrambi gli incontri sono emersi spunti promettenti per i lavori del Comitato. Nell'ambito del corridoio II, il problema è la difficile cooperazione con la Bielorussia. Si è affermata ormai la tendenza ad aggirare il paese da nord, e con esso una grossa e ben sviluppata tratta del corridoio, in modo da evitare difficoltà alle frontiere. Attualmente si sta intensificando la cooperazione tra società ferroviarie. Di recente è stata proposta l'estensione del corridoio fino ad Ekaterinburg. Vi è particolare interesse ad affrontare in maniera più efficace i problemi del trasporto stradale e le formalità pratiche da espletare alle frontiere, avvalendosi in questo caso del contributo del Comitato.

4.2

La partecipazione ai lavori relativi al corridoio IV  (11) si è continuamente consolidata. La riunione del comitato direttivo, svoltasi a Sopron, Ungheria, il 20 e 21 maggio 2003, ha visto, tra l'altro, un incontro tra esponenti delle aziende ferroviarie e dei sindacati ferroviari attivi nel corridoio IV. Ciò ha dato vita a un proficuo dibattito, che merita di essere proseguito, sulla promozione del trasporto su rotaia, cosa che è stata fatta nell'ultima riunione, svoltasi a Dortmund il 10 e 11 novembre 2003. Come tematiche principali dei futuri colloqui sono stati identificati gli ostacoli tecnico-organizzativi incontrati ai posti di controllo frontalieri e le proposte per un loro superamento. Per garantire continuità, d'ora in poi parteciperà alle riunioni dei comitati direttivi, in veste di osservatore, anche un esponente della cooperazione sindacale dei lavoratori del settore ferroviario. È ora doveroso affrontare i temi della situazione socioeconomica del trasporto di merci su strada e degli aspetti tecnico-organizzativi di questo tipo di trasporto nel corridoio IV.

4.3

Il Comitato attribuisce un valore particolare alla promozione del corridoio X  (12) e, a tal fine, ha intensificato i contatti con il comitato direttivo locale. Le possibilità di intervento del Comitato si sono concretizzate nella riunione del comitato direttivo svoltasi il 18 e 19 luglio 2003 in Slovenia. Il 3 novembre 2003 il Comitato ha organizzato a Belgrado una riuscita conferenza-dialogo, che è sfociata in una dichiarazione comune (13). Da ciò hanno preso il via ulteriori iniziative volte ad intensificare la collaborazione soprattutto nel settore ferroviario. I contatti di lavoro a Sarajevo e la collaborazione con il comitato direttivo della rete di trasporto regionale di base dell'Europa sudorientale sono gli altri aspetti di questa attività. Ai fini di una politica portuale equilibrata e di un collegamento delle infrastrutture portuali con l'entroterra, il corridoio V  (14) costituisce un importante asse di trasporto.

4.3.1

Ai primi di novembre 2004 si terrà una manifestazione, a cui parteciperà l'associazione di categoria del settore ferroviario per il corridoio X (ARGE Korridor X), per promuovere servizi ferroviari di qualità più elevata; essa prevede, in particolare, un corteo ed una serie di azioni a Villaco (Austria), Zagabria (Croazia) e Sarajevo (Bosnia Erzegovina) (15).

4.4

A sostegno della navigazione interna e del corridoio VII (Danubio) (16), il Comitato ha elaborato una serie di proposte (17). Nel luglio 2004 si è tenuta l'ultima riunione del comitato direttivo. Attualmente, in seno al gruppo di studio permanente sono in corso ulteriori riflessioni in particolare sugli ostacoli che ancora si frappongono allo sviluppo del trasporto marittimo nel corridoio VII e sulle disposizioni più appropriate per eliminare tali ostacoli. L'attenzione del gruppo è anche rivolta alle alternative esistenti e agli investimenti necessari per una migliore integrazione all'interno di un sistema di trasporto intermodale. (18)

4.4.1

Nel parere sul tema «Le infrastrutture di trasporto del futuro» (19), il Comitato ha evidenziato «la necessità di collegare i porti, promovendo in particolar modo il corridoio VII, Danubio, creando i raccordi con le ferrovie e prevedendo adeguate disposizioni sugli aspetti tecnici e sociali della navigazione fluviale transfrontaliera».

4.4.2

Inoltre, al fine di ottimizzare il ruolo del Danubio come corridoio paneuropeo di trasporto, il comitato consultivo misto UE-Romania (nella riunione tenutasi a Bucarest il 23 e 24 maggio 2002) ha proposto di intraprendere dei lavori e di fornire un maggiore sostegno finanziario per migliorare la navigabilità del fiume e il suo collegamento con il mar Nero.

4.5

Sin dalla conferenza-dialogo sui corridoi III  (20) e VI  (21) tenutasi a Katowice, Polonia, nel 2001, il Comitato non ha intrapreso alcuna attività propria riguardo a tali corridoi. In una lettera trasmessa nell'agosto 2004, il segretariato del corridoio III invita ora a presentare proposte per contribuire al programma di lavoro 2003/2004.

4.6

Nell'ultimo biennio il Comitato ha trovato particolare sostegno nella nuova cooperazione sindacale dei lavoratori dei trasporti che operano lungo i corridoi e nel contesto paneuropeo, formatasi sotto l'impulso della Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (European Federation Transport Workers, ETF). Questo progetto dell'ETF ha fornito un apporto decisivo in termini progettuali e pratici alla riuscita del lavoro del Comitato per tutti i modi di trasporto ed è destinato anche in futuro a rafforzare tale cooperazione.

4.7

Da segnalare, infine, che il presidente del gruppo di studio permanente, in collaborazione con la segreteria della sezione TEN e con l'ausilio dei servizi competenti della Commissione europea, ha predisposto una breve scheda informativa per ciascun corridoio (22).

5.   Raccomandazioni per il futuro

5.1

I nuovi aspetti della politica paneuropea dei trasporti appena descritta sono stati accolti dal gruppo di studio permanente per poi essere integrati nell'opera di progettazione e di attuazione pratica a livello regionale. Mai come ora la forza del Comitato risiede nella capacità di riconciliare interessi diversi per poi tradurli in proposte concrete. In questo caso l'accento andrà posto sulle azioni pratiche e sulla presenza sul campo.

5.2

Il gruppo di studio permanente del Comitato costituisce una sorta di camera di compensazione che funge da centro d'informazione e di contatto per le parti interessate all'interno o all'esterno del Comitato stesso. Informazione, moderazione, coordinamento delle attività del Comitato e partecipazione responsabile all'opera più generale di coordinamento su scala europea: questi i compiti centrali del gruppo di studio permanente che ha costruito le proprie fondamenta in 13 anni di partecipazione attiva da parte del Comitato alla politica paneuropea dei trasporti.

5.3

Nel prossimo biennio il Comitato dovrà incentrare le proprie attività sulla collaborazione pratica e il coinvolgimento in loco delle organizzazioni della società civile; si tratta di un contributo alla realizzazione degli obiettivi in materia di politica dei trasporti di cui al punto 3.3.2 in quanto le organizzazioni della società civile direttamente interessate potranno così modulare la loro valutazione, la loro critica e le loro proposte di miglioramento in base, di volta in volta, al singolo corridoio, regione o progetto infrastrutturale.

5.4

Si dovrebbe altresì intensificare ulteriormente la collaborazione del Comitato con i comitati direttivi dei corridoi e la Commissione europea. Il gruppo di studio permanente dovrà in particolare svolgere appieno il nuovo ruolo assegnatogli nel quadro della realizzazione della rete di trasporto regionale di base dell'Europa sudorientale (cfr. punto 2.4).

5.5

Il gruppo di studio permanente dovrà inoltre condurre una riflessione sulle modalità migliori per tener conto degli aspetti operativi dell'attività di trasporto nel realizzare gli assi di trasporto paneuropei; in particolare si ravvisa l'opportunità di concretizzare maggiormente, nel contesto della politica dei corridoi, aspetti quali l'intermodalità, la protezione ambientale, la sicurezza, le condizioni sociali e l'efficienza.

5.6

Nel quadro della politica europea di vicinato sono attualmente in fase di progettazione nuovi assi di trasporto. Dal momento che la Commissione europea ha dato prova di apertura, il gruppo di studio permanente dovrebbe da parte sua fornire il proprio contributo.

5.7

Le attività della Commissione europea e dei comitati direttivi nei singoli corridoi e nelle regioni attraversate dovrebbero essere più strettamente correlate. La Commissione deve in questo caso svolgere un'importante funzione di coordinamento, sotto forma, tra l'altro, di assistenza tecnico-organizzativa. Sarebbe auspicabile dare più spazio a un orientamento comune - che coinvolga tutte le parti in causa - delle diverse attività a livello paneuropeo e un coinvolgimento rafforzato del Parlamento europeo.

Bruxelles, 27 ottobre 2004.

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Decisione dell'Ufficio di presidenza del 23 ottobre 2002.

(2)  Per una valutazione più approfondita cfr. il relativo parere del CESE, GU C 10 del 14.1.2004, pag. 70.

(3)  CESE 1043/2003 fin - disponibile presso la segreteria della sezione TEN.

(4)  Parere adottato il 28 gennaio 2004, GU C 108 del 30.4.2004, pag. 35.

(5)  Transport Infrastructure Needs Assessment (TINA), programmazione delle infrastrutture con i paesi candidati nella seconda metà degli anni Novanta.

(6)  Albania, Bosnia Erzegovina, Croazia, Serbia-Montenegro, ERIM.

(7)  Una mappa dettagliata dei corridoi è disponibile presso la segreteria della sezione TEN.

(8)  PETRA: le quattro aree servite, in base alla dichiarazione di Helsinki del 1997, sono: Barents-Euroartica - bacino del mar Nero - bacino Mediterraneo - mare Adriatico/mar Ionio.

(9)  GU C 108 del 30.4.2004, pag. 35, punti 1.8.1-1.8.8.

(10)  Germania - Polonia - Bielorussia - Russia.

(11)  Germania - Repubblica ceca - Austria - Slovacchia - Ungheria - Romania - Bulgaria - Grecia - Turchia.

(12)  Austria - Croazia - Serbia - ERIM - Slovenia - Ungheria - Serbia - Bulgaria.

(13)  Cfr. allegato 1.

(14)  Italia - Slovenia - Ungheria - Ucraina - Slovacchia - Croazia - Bosnia Erzegovina.

(15)  Maggiori precisazioni in merito alle azioni previste, che sono ancora in preparazione, non vengono fornite nel presente parere, ma si possono ottenere dalla segreteria della sezione TEN.

(16)  Germania - Austria - Slovacchia - Ungheria - Croazia - Serbia - Bulgaria - Moldavia - Ucraina - Romania.

(17)  «Verso un regime paneuropeo della navigazione fluviale», GU C 10 del 14.1.2004, pag. 49.

(18)  Per un'analisi più approfondita, cfr. documento di lavoro di LEVAUX disponibile presso la segreteria della sezione TEN.

(19)  Cfr. nota 4.

(20)  Germania - Polonia - Ucraina.

(21)  Polonia - Slovacchia - Repubblica ceca.

(22)  Cfr. allegato 2 - si tratta di dati non ufficiali soggetti a possibili modifiche.


20.5.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/22


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Connettere l'Europa ad alta velocità: sviluppi recenti nel settore delle comunicazioni elettroniche

COM(2004) 61 def.

(2005/C 120/05)

La Commissione europea, in data 29 marzo 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 ottobre 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore McDONOGH.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 ottobre 2004, nel corso della 412a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 163 voti favorevoli, 1 voto contrario e 3 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Il Comitato esprime il proprio apprezzamento per l'analisi e le raccomandazioni contenute nella comunicazione della Commissione Connettere l'Europa ad alta velocità: sviluppi recenti nel settore delle comunicazioni elettroniche (COM(2004) 61 def.). Si tratta infatti di una relazione perspicace e tempestiva che combina lungimiranza strategica e volontà di agire per guidare il settore europeo delle comunicazioni elettroniche nella prossima fase di crescita.

1.2

Pur approvando l'analisi e l'impostazione della comunicazione, il presente parere sottolinea alcune questioni che stanno particolarmente a cuore al Comitato.

2.   Contesto

2.1

Il 3 febbraio 2004 la Commissione ha adottato la comunicazione Connettere l'Europa ad alta velocità: sviluppi recenti nel settore delle comunicazioni elettroniche (COM(2004) 61 def.) con cui viene incontro alla richiesta rivoltale dal Consiglio europeo della primavera 2003 di riferire in merito all'evoluzione del settore in tempo utile per il vertice di primavera del 2004. Il documento costituisce un rapporto sul settore delle comunicazioni elettroniche in Europa e sui suoi effetti sulla strategia di Lisbona e comprende un'analisi dei punti fondamentali che possono esercitare un impatto sulla sua crescita futura. Costituisce altresì un appello a sostenere politicamente le azioni necessarie a un ulteriore sviluppo del settore.

2.2

La strategia di Lisbona riconosce che le tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) sono fattori trainanti della crescita, del miglioramento della produttività e della competitività; esse favoriscono buoni risultati economici e la coesione sociale La comunicazione sottolinea l'importanza che il settore delle comunicazioni elettroniche - il quale comprende un segmento servizi e un segmento impianti - riveste per la salute dell'economia europea e il ruolo che esso svolge nel far aumentare la produttività. Tale ruolo è dovuto principalmente alle dimensioni del settore, al suo dinamismo e alla sua incidenza su quasi tutte le altre attività economiche. Dati recenti indicano infatti che è a questo settore che si deve il maggiore contributo all'aumento di produttività del lavoro in Europa.

2.3

Malgrado la forte crescita intervenuta all'inizio degli anni Novanta e gli obiettivi ambiziosi della strategia di Lisbona, l'Unione europea registra un ritardo rispetto agli Stati Uniti e ad alcuni paesi asiatici nel ritmo di produzione e nell'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione: questo livello insufficiente di investimenti nel settore delle TIC nuoce alla competitività europea (1). I progressi del settore delle comunicazioni elettroniche nei prossimi 18 mesi sono fondamentali per il successo del piano d'azione eEurope 2005 e per gli obiettivi a lungo termine della strategia di Lisbona. Il settore ha conosciuto una rapida crescita alla fine degli anni Novanta, seguita, nel 2000 e nel 2001, da un brusco calo, che ha portato il Consiglio e la Commissione a sorvegliare da vicino la situazione e a riferire in merito in previsione del Consiglio europeo della primavera 2003.

2.4

Dopo due anni di consolidamento delle attività, le condizioni sembrano ora favorevoli a un ritorno a tassi di crescita più elevati: ad esempio, la situazione finanziaria degli operatori è migliorata e le entrate generate dai servizi sono in costante crescita. Secondo la Commissione, il settore potrà tuttavia conseguire una dinamica di crescita sostenibile solo mediante la ripresa delle spese di investimento e continuando a introdurre nuovi servizi innovativi.

2.5

Dopo l'esplosione della bolla Internet, gli operatori delle telecomunicazioni hanno ridotto l'ammontare degli investimenti nel quadro dei loro piani di consolidamento. Il ritorno alla crescita nell'intero settore esige tuttavia un rilancio delle spese in conto capitale. Il tasso di aumento degli investimenti dipenderà dall'azione dei poteri pubblici: l'applicazione del nuovo quadro normativo garantirà maggiore certezza del diritto per gli investimenti, l'attuazione delle strategie nazionali nel campo della banda larga migliorerà l'accesso ai servizi, la promozione di nuovi servizi e la disponibilità di contenuti innovativi stimoleranno la domanda; l'abolizione degli ostacoli normativi e tecnici faciliterà l'introduzione delle reti 3G.

Per questo motivo la Commissione ha individuato quattro priorità di intervento:

a)

affrontare le sfide sul piano normativo. L'attuazione tardiva, o scorretta del nuovo quadro normativo per le comunicazioni elettroniche da parte degli Stati membri frena la concorrenza e genera incertezze. Sono stati avviati procedimenti di infrazione nei confronti di diversi Stati membri che non hanno attuato i nuovi provvedimenti. Fra le priorità per il 2004 vi è tuttora quella di garantire, nei vecchi e nei nuovi Stati membri, l'applicazione completa ed efficace di dette norme, le quali debbono inoltre essere applicate in modo coerente dalle autorità nazionali di regolamentazione. Rivestono particolare importanza gli orientamenti comuni che verranno elaborati nel corso dell'anno in merito alle misure correttive da applicare nei confronti degli operatori che godono di un notevole potere di mercato. Essi dovrebbero permettere alle autorità di regolamentazione di fornire gli incentivi adeguati agli investimenti e garantire che i nuovi mercati emergenti non siano soggetti a obblighi non appropriati;

b)

incrementare la copertura dei servizi a banda larga nelle zone svantaggiate. In conformità al piano d'azione eEurope gli Stati membri hanno convenuto di pubblicare le strategie nazionali in materia di banda larga: hanno rispettato l'impegno, oltre a tutti i quindici, anche diversi nuovi paesi. Occorre in particolare individuare le zone che rischiano di diventare il fanalino di coda della società dell'informazione a causa di una domanda insufficiente a giustificare, sotto il profilo dei criteri di redditività adottati dagli operatori, lo sviluppo dei servizi a banda larga. I finanziamenti dell'Unione europea possono completare l'azione svolta a livello nazionale, regionale o locale. Esistono orientamenti su come utilizzare i fondi strutturali nelle zone in questione. Lo scambio di buone pratiche e di soluzioni innovative sarà facilitato dal forum dedicato al divario digitale che si terrà nel corso dell'anno. Entro l'estate, inoltre, la Commissione riferirà in merito alle strategie nazionali;

c)

stimolare la domanda. Sebbene per la maggior parte delle famiglie dell'Unione europea sia possibile accedere ai servizi a banda larga, soltanto un numero limitato di esse ha scelto di farlo. È l'utilizzo dei nuovi servizi piuttosto che la sua introduzione a costituire il principale problema per il mercato della banda larga. L'esperienza accumulata in paesi con livelli elevati di diffusione della banda larga dimostra l'importanza, per contenere i prezzi e promuovere servizi on-line innovativi, di una concorrenza effettiva basata sulle reti. Può rivelarsi utile anche l'azione intesa a incentivare la domanda svolta dagli Stati membri, i quali stanno infatti promuovendo l'uso delle TIC in un numero sempre maggiore di servizi fondamentali - amministrazioni nazionali, sanità e istruzione -, rendendoli disponibili on-line. Questa azione va accompagnata da ulteriori misure in materia di sicurezza, gestione dei diritti digitali e interoperabilità dei diversi servizi e impianti. La revisione intermedia del piano d'azione eEurope 2005, che dovrebbe essere completata entro l'estate, apre la porta a un'ulteriore azione di sostegno;

d)

avviare con successo le comunicazioni mobili di terza generazione. La relazione della piattaforma tecnologica relativa alle comunicazioni mobili (che comprende i principali protagonisti del settore) presenta una visione strategica per il futuro dei servizi di comunicazioni mobili, sottolineando una serie di sfide sul piano commerciale e normativo. Il mondo delle comunicazioni di terza generazione, fondato sullo scambio di dati, sarà più complesso di quello delle comunicazioni GSM, basato sulla telefonia vocale. Se gestite adeguatamente, le comunicazioni di terza generazione potranno offrire nuovi servizi e stimolare significativamente la produttività nell'Unione. La Commissione ha definito la propria strategia per il settore delle comunicazioni mobili nella propria comunicazione del 30 giugno (2) e continuerà a lavorare con gli interessati per definire le priorità strategiche di ricerca nel settore delle comunicazioni mobili.

2.6

Il Consiglio Telecomunicazioni tenutosi a Bruxelles nei giorni 8-9 marzo 2004 ha ribadito l'impegno politico nei confronti degli obiettivi di crescita sostenibile, creazione di occupazione e coesione sociale della strategia di Lisbona, approvando le esortazioni ad agire contenute nella comunicazione (COM(2004) 61 def.) e nella revisione intermedia del piano d'azione eEurope 2005 (COM(2004) 108 def.).

Osservazioni

3.   Osservazioni generali

3.1

La comunicazione affronta un settore vasto e complesso che riveste un'importanza cruciale per la strategia di Lisbona: il settore delle comunicazioni elettroniche. Nel corso degli anni il Comitato ha adottato diversi pareri riguardanti le politiche del settore (3) e ora ha modo di pronunciarsi sullo sviluppo generale dell'industria delle comunicazioni elettroniche, sulla fornitura di banda larga, sullo sviluppo delle comunicazioni mobili e sulla definizione del nuovo quadro normativo.

3.2

La Commissione ha svolto un ottimo lavoro sostenendo la formulazione e l'applicazione di politiche destinate a promuovere la crescita del settore delle comunicazioni elettroniche. Grazie all'azione decisa degli attori commerciali e sociali e al forte sostegno politico del Consiglio, dei governi nazionali e degli enti regionali, quest'ambito è in continua e rapida evoluzione.

3.3

Vista la complessità dinamica della questione e la sua rilevanza per lo sviluppo economico e sociale dell'Unione, il Comitato ritiene importante che tutte le parti interessate si esprimano regolarmente in merito, in modo da poter attuare una politica più completa e integrata. Il Comitato appoggia l'intenzione della Commissione di continuare a lavorare con gli interessati per definire le politiche in materia di diritti di proprietà intellettuale, gestione dei diritti digitali, sicurezza e fiducia, interoperabilità e normalizzazione, gestione dello spettro radio e copertura delle zone isolate e rurali. Il Comitato continuerà a interessarsi attivamente al settore e a tutti questi temi.

3.4

Il Comitato appoggia l'accento posto dalla Commissione sull'esigenza di interoperabilità e di apertura a vari livelli della tecnologia e dei servizi: l'interoperabilità deve essere assicurata tra le attrezzature e la rete, tra le attrezzature stesse, tra le varie reti e tra i contenuti e/o le applicazioni. Senza un'adeguata interoperabilità e apertura delle piattaforme, lo sviluppo di un mercato di massa delle nuove tecnologie sarà gravemente compromesso.

3.5

Come indicato al precedente punto 1.1, il Comitato accoglie favorevolmente la comunicazione e si congratula con la Commissione per l'ottimo lavoro svolto. Il Comitato rileva con piacere che sono state effettuate ricerche e consultazioni approfondite per analizzare il settore delle comunicazioni elettroniche e formulare politiche capaci di promuovere una crescita elevata e sostenibile. Esso appoggia pienamente il piano d'azione eEurope 2005 e sostiene gli interventi raccomandati nella comunicazione COM(2004) 61 def.

3.6

Per maggior chiarezza, si sottolineano gli aspetti che rivestono particolare interesse per il Comitato.

3.6.1   Quadro normativo

3.6.1.1

Il Comitato accoglie favorevolmente il nuovo quadro normativo per le comunicazioni elettroniche che garantisce maggiore certezza del diritto, coerenza e un approccio più armonizzato al modo in cui i mercati operano attraverso l'Unione. La maggiore certezza e trasparenza garantite dal quadro normativo favoriranno gli investimenti nel settore e accelereranno il ritmo della concorrenza e l'introduzione di servizi innovativi.

3.6.1.2

Il Comitato concorda con la Commissione sul fatto che per creare un mercato vivace e competitivo nel settore fornitura delle comunicazioni elettroniche è fondamentale un approccio coordinato con lo sviluppo della concorrenza basata sulle infrastrutture, che sia caratterizzato da neutralità tecnologica ed abbia norme aperte. Il Comitato si compiace del fatto che il nuovo quadro normativo promuova la concorrenza leale fra diverse tecnologie di accesso (banda larga, 3G, televisione digitale, ecc.). Un approccio di questo tipo ridurrà i costi delle reti e i prezzi dei servizi e migliorerà la facilità di utilizzo e la mobilità per gli utenti. Inoltre, un approccio al settore tecnologicamente neutrale e basato su di una piattaforma aperta stimolerà notevolmente la domanda di servizi.

3.6.1.3

Il Comitato accoglie pertanto favorevolmente l'approccio tecnologicamente neutrale adottato nel quadro normativo destinato a rispecchiare la convergenza fra i servizi fissi e mobili, i contenuti on-line e quelli radiodiffusi e tutta una serie di diverse piattaforme di distribuzione. Si esorta la Commissione a garantire la realizzazione delle piattaforme interoperative a norma della direttiva quadro 2002/21/CE.

3.6.1.4

Un mercato dei servizi veramente competitivo dipende da una tariffazione competitiva della connessione all'abitazione o al luogo di lavoro del cliente (la linea locale). Oggigiorno, nella maggior parte dei mercati l'introduzione di nuovi servizi e di prezzi più bassi viene ostacolata dal fatto che gli operatori dominanti controllano la linea locale. La Commissione dovrebbe verificare se il quadro normativo è adeguato a sottrarre la fornitura della linea locale al controllo degli operatori dominanti in tutti i mercati.

3.6.1.5

Il Comitato deplora il fatto che la Commissione abbia dovuto avviare procedure d'infrazione presso la Corte di giustizia contro gli Stati membri che non hanno attuato il nuovo quadro normativo. Il Comitato chiede alla Commissione di continuare a puntare alla piena attuazione del quadro in tutti i paesi, ivi compresi i nuovi Stati membri.

3.6.1.6

Il Comitato appoggia la posizione comune raggiunta recentemente dal gruppo delle autorità di regolamentazione europee sulle modalità di risoluzione delle vertenze in materia di concorrenza nei nuovi mercati aperti per le comunicazioni elettroniche (4). Riconoscendo che lo scopo del quadro normativo è quello di limitare la regolamentazione e promuovere la concorrenza, il Comitato chiede alla Commissione di garantirne l'attuazione in maniera tale da incentivare i mercati e i servizi emergenti e non intralciarne lo sviluppo. Il Comitato chiede alla Commissione di verificare l'adeguatezza delle misure risolutive adottate nei casi di infrazione, nonché la loro effettiva applicazione da parte degli Stati membri.

3.6.2   Introduzione delle comunicazioni a banda larga

3.6.2.1

Una struttura estesa e affidabile per le comunicazioni a banda larga risulta essenziale per lo sviluppo e l'erogazione di servizi e applicazioni come ad esempio eHealth, eBusiness, eGovernement ed eLearning, le quali fanno della banda larga un elemento fondamentale per la crescita europea e la qualità di vita negli anni avvenire. L'accesso alle comunicazioni a banda larga è un bene comune, un servizio pubblico che dovrebbe essere reso di diritto a tutti i cittadini dell'Unione europea. Il Comitato raccomanda alla Commissione di inserire la banda larga nell'elenco dei servizi universali.

3.6.2.2

Il piano d'azione eEurope 2005 punta a un'ampia disponibilità e a un largo utilizzo della banda larga nell'Unione europea entro il 2005: rispetto a questi ambiziosi obiettivi si registra però attualmente un sicuro ritardo. Pertanto - a meno che il ritmo di diffusione della banda larga non aumenti, specie fuori dai centri urbani - l'obiettivo di Barcellona non verrà raggiunto (5).

3.6.2.3

Il Comitato esprime soddisfazione per il fatto che i Quindici abbiano presentato le strategie nazionali di diffusione della banda larga e rileva che i nuovi Stati membri faranno lo stesso entro la fine del 2004. Prende atto dell'esito positivo della prima valutazione dei piani effettuata dalla Commissione (6) e attende una relazione dettagliata su dette strategie per giugno.

3.6.2.4

Il Comitato non condivide invece la definizione di «banda larga» utilizzata in diversi studi e relazioni (ad esempio, una capacità di accesso di soli 144 KBs viene considerata «banda larga» nella relazione COCOM04-20 FINAL, di cui si indica il riferimento alla nota 7; nel medesimo documento le connessioni 3G vengono incluse nel totale delle linee d'accesso a banda larga per l'Italia, ma non per gli altri Stati membri). L'assenza di una definizione precisa riduce notevolmente la trasparenza e l'utilità del termine «banda larga» in tutte le decisioni. Si esorta la Commissione a fornire, a uso dell'intera Unione europea, una definizione ufficiale del termine «banda larga,» che sia precisa e rigorosa.

3.6.2.5

Il Comitato inoltre non giudica positivamente le statistiche relative alla copertura della banda larga dal momento che non forniscono indicazioni sulla qualità dell'accesso disponibile. Si esorta la Commissione a includere uno standard minimo per la qualità della connessione nella definizione precisa di «banda larga». Soltanto allora le statistiche diventeranno significative.

3.6.2.6

Il Comitato è perfettamente consapevole dell'esigenza di colmare il divario digitale che si sta creando in Europa, che va a discapito dei meno avvantaggiati e della eInclusiveness. Anche se il Consiglio ha deciso di spostare il centro dell'attenzione delle politiche dalla capacità di connessione allo sviluppo e all'effettivo utilizzo dei servizi innovativi, il Comitato esprime preoccupazioni in merito alla velocità di introduzione e alla copertura delle comunicazioni a banda larga. Preoccupano in particolare le disparità fra determinati paesi e determinate regioni nelle ultime statistiche relative alla penetrazione delle comunicazioni a banda larga presentate dal comitato per le Comunicazioni della Commissione (7). Attualmente, nell'UE a 15, il 20 % della popolazione non ha accesso alle comunicazioni a banda larga perché la copertura della rete risulta insufficiente. Il Comitato è pertanto lieto che la comunicazione della Commissione ponga l'accento sulla necessità di introdurre la banda larga nelle zone in cui essa non è presente. Si chiede inoltre che la Commissione, nell'analisi dettagliata delle strategie nazionali in materia di banda larga, sottolinei il bisogno di estendere le reti di comunicazione a banda larga per coprire tutto il territorio dell'Unione in maniera sollecita e evidenzi nelle future relazioni i divari fra le reti.

3.6.2.7

Il Comitato appoggia le iniziative Quick-Start e la messa a disposizione di fondi strutturali per l'accesso nelle zone rurali dell'Unione e in quelle meno attraenti dal punto di vista commerciale. Il Comitato raccomanda tuttavia alla Commissione di verificare accuratamente l'applicazione delle strategie nazionali in materia di banda larga da parte degli Stati membri, concentrando l'attenzione sui problemi riguardanti il ritmo d'introduzione, la copertura e la qualità.

3.6.2.8

Il Comitato depreca che la comunicazione affronti la questione del divario digitale unicamente dal punto di vista geografico (zone insufficientemente coperte) e non da quello economico (mancanza di mezzi finanziari per il pagamento di un accesso alla rete). Il ragionamento della Commissione, in base al quale i servizi a banda larga migliorano le condizioni di vita, riducendo le distanze e agevolando l'accesso alle cure sanitarie, all'istruzione e ai servizi pubblici, vale sia per i cittadini isolati geograficamente che per quelli meno abbienti.

3.6.2.9

A giudizio del Comitato, che la Commissione incoraggi l'intervento delle pubbliche autorità per colmare il divario digitale ricordando però l'obbligo di rispettare i principi e il diritto della concorrenza è una contraddizione in termini: il divario digitale infatti esiste proprio perché il mercato si disinteressa a una parte della popolazione. Vi è quindi la necessità di una missione di servizio pubblico da affidare mediante atto ufficiale in cui si indichi la natura precisa degli obblighi di servizio pubblico.

3.6.3   Introduzione e sviluppo delle comunicazioni mobili di terza generazione

3.6.3.1

Il Comitato esprime soddisfazione per la piattaforma tecnologica relativa alle comunicazioni mobili istituita dalla Commissione nell'ottobre scorso allo scopo di riunire gli attori principali fra gli operatori di comunicazioni mobili, i produttori di attrezzature e componenti e i fornitori di contenuti. Il Comitato accoglie inoltre positivamente la prima relazione di questo gruppo (8) nella quale sono contenute 20 raccomandazioni sulle azioni necessarie per appoggiare e sostenere l'introduzione delle reti e dei servizi di comunicazione mobile in Europa - ivi comprese le iniziative di ricerca e quelle relative a norme, contenuti, sicurezza, spettro, cooperazione e regolamentazione internazionale.

3.6.3.2

Il Comitato rileva con piacere che, nella relazione della piattaforma tecnologica e nelle dichiarazioni della Commissione, per quanto riguarda le 3G l'attenzione è rivolta sulla necessità di garantire un ambiente sicuro e incentrato sugli interessi del consumatore, al fine di fornire «sempre e dovunque» un accesso ai dati ad alta velocità e ai servizi di intrattenimento mediante dispositivi abilitati alle comunicazioni a banda larga.

3.6.3.3

Il Comitato approva pienamente l'opinione espressa da tutte le parti, secondo la quale l'obiettivo è disporre di reti aperte e interconnesse come pure di interoperabilità nelle applicazioni e nei servizi. Plaude inoltre all'impegno assunto dalla piattaforma tecnologica di preparare un calendario strategico di ricerca per un futuro mondo senza fili nel quadro del VI programma quadro di ricerca.

3.6.3.4

Il Comitato desidera che la Commissione eserciti tutta la pressione possibile per semplificare l'introduzione delle reti di comunicazione 3G e migliorarne il rapporto qualità-prezzo. Gli Stati membri in particolare debbono contribuire a risolvere rapidamente i problemi relativi alla pianificazione e all'impatto ambientale che stanno frenando l'introduzione di questa nuova importante piattaforma.

3.6.3.5

Il Comitato esprime preoccupazione per le forti somme versate in taluni Stati membri dagli operatori di rete per ottenere le licenze di terza generazione, e per gli effetti negativi che ciò potrebbe avere sulle strategie future. Invita la Commissione a manifestare la propria opinione sulla questione in maniera dettagliata e a proporre misure destinate a ridurre qualsiasi effetto negativo sulla strategia europea per la diffusione e l'uso delle TIC.

3.6.3.6

Nell'interesse dei consumatori e ai fini di uno sfruttamento efficiente delle risorse presenti nell'Unione europea, il Comitato esorta la Commissione a vagliare la possibilità di stabilire per via normativa la condivisione delle infrastrutture da parte degli operatori 3G, laddove ciò sia opportuno. Una politica di questo tipo incrementerebbe la disponibilità di accesso, ridurrebbe le ricadute negative sull'ambiente e conterrebbe i costi di fornitura del servizio. Il Comitato prende atto dell'osservazione della Commissione secondo cui alcuni degli operatori principali si oppongono alla condivisione delle infrastrutture per ragioni di concorrenza, ma ritiene che gli interessi superiori dell'Unione nel suo insieme dovrebbero prevalere sulle motivazioni puramente commerciali di pochi operatori.

3.6.3.7

Si rileva che a giudizio della piattaforma tecnologica risulta necessario un nuovo quadro generale per risolvere le questioni in maniera coerente. Questo gruppo si riunirà ancora a giugno: il Comitato attende pertanto la comunicazione annunciata dalla Commissione in risposta all'esito dell'incontro di giugno.

3.6.4   I nuovi servizi e la stimolazione della domanda

3.6.4.1

La Commissione osserva che, persino nelle zone in cui l'accesso alle comunicazioni a banda larga è disponibile al 90 %, la diffusione è limitata (la media è del 12 %) e per di più in diminuzione. Ciò è dovuto ai prezzi elevati, alla scarsa qualità e all'assenza di contenuti validi - i consumatori non sono sufficientemente interessati ad acquistare servizi a banda larga.

3.6.4.2

La creazione di contenuti e servizi al fine di incentivare la diffusione delle connessioni a banda larga è considerata fondamentale per la diffusione delle TIC e dunque per la competitività, la crescita della produttività e l'occupazione nell'Unione europea. A questo proposito, il Comitato approva la recente proposta della Commissione di istituire un programma eContentplus (2005-2008) (9) per creare le condizioni atte a favorire un più ampio accesso ai contenuti digitali e un loro maggiore utilizzo.

3.6.4.3

Il Comitato riconosce che l'incentivazione della domanda relativa alla banda larga disponibile e alle reti 3G, il bisogno di servizi nuovi e innovativi, la concorrenza e l'introduzione di reti sono elementi interconnessi. Un qualsiasi sviluppo positivo che interessi uno di questi elementi va anche a vantaggio degli altri. Avendo affrontato questioni riguardanti la fornitura, il Comitato è favorevole a qualsiasi iniziativa intrapresa dalla Commissione volta ad incentivare lo sviluppo di servizi nuovi e innovativi che espanderanno la domanda dei consumatori e aumenteranno il peso delle nuove tecnologie e delle nuove reti.

3.6.4.4

A giudizio del Comitato, l'interoperabilità fra reti, piattaforme e impianti costituirà un notevole incentivo all'adozione di questi servizi e alla loro crescita. Il Comitato invita la Commissione a puntare sull'interoperabilità nell'ambito del quadro normativo e nei suoi rapporti con tutti i soggetti del settore delle comunicazioni elettroniche.

3.6.4.5

Il Comitato sostiene l'appello, rivolto dalla Commissione agli Stati membri, a sostenere il ritmo di introduzione dei servizi di eGovernment (ivi compresi eHealth, eLearning, ecc.) e riconosce che il settore pubblico costituisce un fattore trainante nelle prime fasi dello sviluppo di questi servizi dell'informazione.

3.6.4.6

Il Comitato mostra particolare soddisfazione per l'impegno assunto dalla Commissione di lavorare con l'industria per affrontare i problemi già individuati che ostacolano lo sviluppo di nuovi servizi - sistemi di gestione dei diritti digitali, interoperabilità, micropagamenti, pagamenti su reti mobili (m-payment), ecc. A questo proposito il Comitato accoglie positivamente la recente comunicazione (10) e il processo consultivo in merito ai diritti di proprietà intellettuale ed esorta la Commissione a prestare attenzione al relativo parere del Comitato, elaborato nel 2003 (11).

3.6.4.7

Il Comitato sottolinea l'importanza delle questioni della sicurezza affinché i consumatori ricorrano ai nuovi servizi. La fiducia dei consumatori nelle nuove tecnologie e nei nuovi servizi dipenderà dalle garanzie sulla tutela degli interessi dei consumatori stessi.

3.6.4.8

Il Comitato chiede alla Commissione di continuare a organizzare seminari con gli operatori, i fornitori di accesso a Internet, i fornitori di contenuti, le società di radiodiffusione e l'industria dell'intrattenimento sulle modalità di adattamento delle loro attività mediante nuove forme di partenariato destinate a creare nuovi modelli di investimento e nuovi servizi per un'Unione attenta alla convergenza e alle comunicazioni mobili.

3.6.4.9

Il Comitato approva inoltre il sostegno dato al settore R&S mediante il VI programma quadro di ricerca e sviluppo. Nel settore delle comunicazioni elettroniche, come in altre aree di sviluppo tecnologico, il Comitato ribadisce la necessità che l'Europa investa nella R&S e nell'innovazione, in linea con gli obiettivi che si è data con la strategia di Lisbona. Riconoscendo che il settore ha attraversato un periodo di consolidamento e di riduzione degli investimenti, il Comitato invita ora tutti le parti - Unione europea, Stati membri e settore privato - a dimostrare un rinnovato impegno a investire nel futuro delle comunicazioni elettroniche, aumentando significativamente le dimensioni e il ritmo delle attività nel settore R&S.

3.7   Osservazioni conclusive

Il Comitato approva infine la pubblicazione della Revisione intermedia del piano d'azione eEurope 2005 (COM(2004) 108 def.) e la conferma che gli obiettivi di eEurope 2005 restano validi nel contesto dell'allargamento dell'Unione europea. Il Comitato attende di poter esaminare il piano d'azione eEurope 2005 modificato e le osservazioni espresse in merito da parte del Consiglio europeo di giugno.

Bruxelles, 27 ottobre 2004.

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Van Ark, B. & Mahony, O. (2003), EU Productivity and Competitiveness: An Industry Perspective, http://europa.eu.int/comm/enterprise/enterprise_policy/competitiveness/doc/eu_competitiveness_a_sectoral_perspective.pdf

(2)  COM(2004) 447 def. Servizi mobili a banda larga.

(3)  Cfr. GU C 169 del 16.6.1999, pag. 30; GU C 368 del 20.12.1999, pag. 51; GU C 14 del 16.1.2001, pag. 35; GU C 123 del 25.4.2001, pag. 61; GU C 123 del 25.4.2001, pag. 36; GU C 139 dell'11.5.2001, pag. 15; GU C 311 del 7.2.2001, pag. 19; GU C 48 del 21.2.2002, pag. 33; GU C 48 del 21.2.2002, pag. 27; GU C 221 del 17.9.2002, pag. 22; GU C 241 del 7.10.2002, pag. 119; GU C 61 del 14.3.2003, pag. 32; GU C 61 del 14.3.2003, pag. 184; GU C 220 del 16.9.2003, pag. 33; GU C 220 del 16.9.2003, pag. 36; GU C 80 del 30.3.2004, pag. 66 e altri.

(4)  http://erg.eu.int/doc/whatsnew/erg_0330rev1_remedies_common_position.pdf

(5)  COM(2002) 263 def. - eEurope 2005: una società dell'informazione per tutti.

(6)  IP/04/626 - Collegare l'Europa in rete ad alta velocità: la Commissione valuta le strategie nazionali in materia di banda larga.

(7)  COCOM04-20 FINAL - Communications Committee Working Document Broadband Access in the EU: Situation at 1 January 2004.

(8)  IP/04/23 - 3 rd Wave Mobile for Europe.

(9)  COM(2004) 96 def. - Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che adotta un programma comunitario pluriennale inteso a rendere i contenuti digitali europei più accessibili, utilizzabili e sfruttabili. Parere CESE: GU C 117 del 30.4.2004, pag. 49.

(10)  COM(2004) 261 def. - Gestione dei diritti d'autore e diritti connessi nel mercato interno.

(11)  COM(2003) 46 def. - Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle misure e alle procedure volte ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà intellettuale: CESE 524/2003 INT/179. Parere CESE: GU C 32 del 5.2.2004, pag. 15.


20.5.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/28


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta modificata di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al miglioramento della sicurezza dei porti

(COM(2004) 393 def. - 2004/0031 (COD))

(2005/C 120/06)

Il Consiglio, in data 11 giugno 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 80, paragrafo 2, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 ottobre 2004, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice BREDIMA-SAVOPOULOU.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 ottobre 2004, nel corso della 412a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 169 voti favorevoli e 6 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Dopo gli attacchi terroristici dell'11 settembre 2001 e dell'11 marzo 2004, il mondo si è reso conto che con ogni probabilità la guerra al terrorismo è destinata a durare ancora a lungo. Tempo fa la commissaria De Palacio aveva invitato il Comitato economico e sociale europeo a elaborare un parere esplorativo sulla sicurezza dei trasporti. È quindi con soddisfazione che oggi il CESE constata l'adozione, da parte della Commissione, di una serie di orientamenti (1) già indicati nel proprio parere in merito a una futura politica UE in materia di sicurezza dei trasporti.

1.2

Facendo seguito a una comunicazione della Commissione relativa al miglioramento della sicurezza dei trasporti marittimi e alla proposta di regolamento relativa al miglioramento della sicurezza delle navi e degli impianti portuali, il CESE ha elaborato un parere (2) in merito alla sicurezza dei terminali portuali.

1.3

Il 30 giugno 2004, il CESE ha adottato un altro parere (3), relativo alla proposta di direttiva sul miglioramento della sicurezza dei porti. Tale proposta integra le misure di sicurezza introdotte dal regolamento sul miglioramento della sicurezza delle navi e degli impianti portuali, garantendo che l'intero porto sia governato da un sistema di sicurezza.

2.   La proposta della Commissione

2.1

A seguito dei dibattiti svoltisi in sede di Consiglio sulla proposta di direttiva in merito al miglioramento della sicurezza dei porti, la Commissione propone (4) di modificare l'articolo 7 in modo tale che il piano di sicurezza dei porti garantisca, sulla base delle appropriate valutazioni di rischio, l'espletamento di adeguati controlli di sicurezza, da parte delle autorità nazionali competenti, sulle autovetture e sui veicoli commerciali destinati a imbarcarsi su traghetti che trasportano anche passeggeri.

2.2

La proposta si applica ai traghetti roll-on/roll-off (Ro-Ro) sulle rotte interne e internazionali. In quest'ultimo caso la valutazione del rischio sarà frutto di una stretta collaborazione tra gli Stati membri interessati.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE appoggia vigorosamente un approccio equilibrato che garantisca la sicurezza senza impedire il libero corso del commercio. Comprende pertanto le preoccupazioni espresse dalla Commissione nel nuovo ottavo considerando della proposta di direttiva.

3.2

In linea con i suoi precedenti pareri, il CESE concorda pienamente con la proposta di modifica alla proposta di direttiva sul miglioramento della sicurezza dei porti. Benché la sicurezza assoluta sia un obiettivo impossibile da raggiungere, il CESE ribadisce che l'intera catena logistica di trasporti deve essere coperta da misure di sicurezza che non lascino spazio ad alcun anello debole. La priorità in tale contesto andrebbe data al trasporto di passeggeri, per il quale le conseguenze di un atto terroristico sarebbero più pesanti in termini di vite umane.

3.2.1

I traghetti Ro-Ro sono particolarmente vulnerabili agli atti terroristici, soprattutto se trasportano passeggeri: in termini di sicurezza, infatti, le autovetture imbarcate su tali traghetti possono trasformarsi in veri e propri cavalli di Troia.

3.2.2

Servono misure adeguate per sincerarsi che le autovetture e i veicoli commerciali imbarcati su traghetti Ro-Ro non costituiscano un pericolo. Dette misure devono essere adottate nel porto o entro i suoi confini prima che le autovetture e i veicoli commerciali vengano imbarcate sul traghetto, in modo da ridurre al minimo gli ostacoli alla fluidità delle operazioni.

3.2.3

Vista la natura del carico dei veicoli, i controlli di sicurezza sulle autovetture e sui veicoli commerciali destinati a imbarcarsi su traghetti passeggeri Ro-Ro appaiono problematici. Esperienze pluriennali confermano che il momento più adatto per controllare il carico di questi veicoli è prima dell'imbarco, nell'area portuale, quando cioè si può ricorrere a personale adeguatamente addestrato e a strumenti di sicurezza sofisticati.

3.3

Il CESE desidera richiamare l'attenzione sulle questioni di responsabilità legate ai controlli. Ovviamente la responsabilità dei controlli di sicurezza sulle autovetture e sui veicoli commerciali dovrebbe spettare alle autorità nazionali competenti coinvolte, e non alla nave sulla quale questi veicoli vengono poi imbarcati.

3.4

Quanto all'identificazione dei marinai e del personale portuale coinvolto nei controlli di sicurezza, i requisiti dovrebbero essere applicati in modo pragmatico, evitando cioè di ostacolare le operazioni commerciali in maniera indebita.

3.5

Il CESE osserva che, a seguito della proposta di modifica, la Commissione avvierà, sei mesi dopo la data di applicazione della proposta di direttiva e in cooperazione con le autorità nazionali, una serie di verifiche sugli strumenti usati per sorvegliare l'attuazione dei piani nazionali adottati conformemente alla direttiva. Il CESE sottolinea la necessità che i porti, sia negli Stati membri UE che nei paesi terzi, sappiano adeguarsi in modo sollecito alle nuove misure di sicurezza (codice ISPS) relative ai terminali portuali, entrate in vigore a livello internazionale il 1o luglio 2004.

3.6

Il CESE coglie infine l'occasione per insistere sulla necessità di esaminare quanto prima l'aspetto economico della sicurezza dei porti a livello UE, nonché di sviluppare un approccio armonizzato volto sia a impedire distorsioni di concorrenza tra i porti e tra i modi di trasporto sia, in particolare, a evitare che la situazione dei trasporti di passeggeri peggiori. La Commissione viene invitata a elaborare uno studio globale sull'impatto finanziario della sicurezza dei porti e a studiare uno schema UE per finanziare, ove necessario, le misure di attuazione.

Bruxelles, 27 ottobre 2004.

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  GU C 61 del 14.3.2003, pag. 174.

(2)  COM(2003) 229 def. – GU C 32 del 5.2.2004, pag. 21.

(3)  COM(2004) 76 def. – GU C 241 del 28.9.2004.

(4)  COM(2004) 393 def.


20.5.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/30


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle restrizioni in materia di immissione sul mercato e di uso di taluni idrocarburi policiclici aromatici contenuti negli oli diluenti e negli pneumatici (ventisettesima modifica della direttiva del Consiglio 76/769/CEE)

(COM(2004) 98 def. 2004/0036 (COD))

(2005/C 120/07)

Il Consiglio, in data 22 marzo 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 settembre 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore SEARS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 ottobre 2004, nel corso della 412a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 154 voti favorevoli, 3 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) sono sostanze d'origine naturale che si formano ogniqualvolta dei composti contenenti carbonio vengono bruciati a temperature ridotte e in condizioni incontrollate. Ciò avviene in caso di incendi forestali ed eruzioni vulcaniche, e a seguito di attività umane quali il fumo, il riscaldamento domestico, la produzione di energia e la conduzione di veicoli che utilizzano combustibili fossili, la cottura di prodotti alimentari, la combustione di rifiuti nonché in una serie di processi industriali. Gli idrocarburi policiclici aromatici sono presenti in natura nel petrolio greggio e nel carbone e, dato che si formano facilmente e sono stabili, si accumulano nelle fasi iniziali dei processi di cracking e di distillazione.

1.2

Tale processo di parziale ossidazione ha per risultato una miscela di componenti con anelli di carbonio di cinque o sei atomi insaturi, che possono propagarsi virtualmente in qualsiasi direzione. Sono state identificate circa 600 strutture diverse, ma solamente alcune sono state caratterizzate o isolate per essere impiegate come forme intermedie. Nessuna struttura è stata prodotta deliberatamente in quantità significative. Un'ulteriore ossidazione provoca la formazione di particolato, cioè particelle impure di carbone con cui gli IPA vengono frequentemente associati.

1.3

Dato che gli IPA appaiono sempre in gruppi non diversificati, le loro caratteristiche individuali non sono facili da determinare (e per lo stesso motivo sono per lo più irrilevanti). Tuttavia, poiché alcuni di essi si sono dimostrati cancerogeni per gli animali, è ragionevole supporre che possano esserlo anche per gli umani. Gli oli e alcuni altri preparati contenenti IPA debbono pertanto essere dotati di etichettature di sicurezza per garantire che siano adoperati nel modo dovuto e assicurare la sicurezza sul lavoro. Ove possibile, sarebbe inoltre necessario controllare o prevenire i processi in grado di rilasciare IPA nell'ambiente.

1.4

Un esempio in tal senso è dato dall'impiego di oli diluenti negli pneumatici di autoveicoli, autotreni, motocicli, veicoli da corsa e aeroplani. Tali oli, che possono costituire sino al 28 % del battistrada, gli conferiscono quella essenziale caratteristica di aderenza alla strada che non è invece necessaria per la carcassa degli pneumatici. Se il battistrada non funziona nel modo voluto, o se le sue caratteristiche di impiego non risultano stabili, la sicurezza e le prestazioni del veicolo ne risulteranno compromesse, con ovvie conseguenze per i conducenti.

1.5

Dal punto di vista tecnico, gli oli devono essere in grado di dissolvere le gomme naturali e sintetiche e gli altri materiali utilizzati negli pneumatici, avere lunga durata e risultare stabili, distribuirsi bene e plasticizzarsi nella matrice di gomma (mescola), funzionare a diverse condizioni di temperatura e di umidità e essere maneggiabili senza rischio. Essi debbono inoltre essere disponibili in grandi quantità ed essere prodotti in base a parametri concordati globalmente da una serie di fornitori concorrenti, e a costi inferiori a quelli della gomma, in modo da ridurre il costo totale degli pneumatici.

1.6

Gli oli altamente aromatici che corrispondono a tali esigenze vengono tradizionalmente forniti dai principali produttori sotto la denominazione di estratti aromatici distillati (DAE). Il potere dissolvente richiesto dipende dall'aromaticità complessiva degli oli, la quale è legata a sua volta alla presenza di livelli significativi di IPA. Man mano che il battistrada di un pneumatico si logora, è lecito supporre che gli IPA vengano rilasciati nell'ambiente. Che tali emissioni siano significative, rispetto alle altre emissioni di IPA, è una questione controversa. Ad ogni modo, il processo di transizione ad altri tipi di oli è attualmente in corso in Europa e deve essere portato a termine in modo soddisfacente.

1.7

Si tratta di un processo particolarmente importante, dato che la produzione su scala mondiale dei DAE si va riducendo e le raffinerie tendono a incentrare la loro attività sulla realizzazione di prodotti completamente idrogenati (cioè a minor tenore aromatico e con un potere dissolvente più ridotto) di maggior valore, nonché su combustibili e benzine «pulite».

1.8

Dato che ogni anno in Europa vengono prodotti 300 milioni di pneumatici e che il mercato mondiale degli oli diluenti e di altri plasticizzanti utilizzati nell'industria degli pneumatici sfiora il milione di tonnellate, effettuare una trasformazione del genere in maniera efficace dal punto di vista dei costi, portando avanti nel contempo gli sforzi in materia di sicurezza e le elevate prestazioni a costi ridotti o accessibili, rappresenta una sfida di rilievo per tutte le parti interessate: produttori di oli, produttori di pneumatici e autorità normative.

1.9

Fino a ora sono state proposte due possibili preparazioni di oli non cancerogeni, le quali richiedono livelli di investimento diversi per i fornitori di oli e varie trasformazioni per i produttori di pneumatici: si tratta rispettivamente dei solventi da estrazione dolce (MES) e degli estratti aromatici distillati e trattati (TDAE). Ciò non toglie però che altri tipi di oli potrebbero essere messi a punto da fornitori extraeuropei.

1.10

Da quanto sembra di poter evincere (i dettagli, infatti, non vengono resi noti al pubblico nel mercato estremamente concorrenziale degli pneumatici), alcune sostituzioni sono già state attuate, ad esempio per gli pneumatici invernali e per quelli degli autocarri, per i quali la trazione sul bagnato del battistrada riveste minore importanza. È tuttavia opinione generale che ci vorrà molto più tempo per le sostituzioni riguardanti gli pneumatici estivi a elevate prestazioni, per non parlare della conversione delle soluzioni impiegate per le automobili da corsa e per gli aeroplani. Inoltre le potenzialità di produzione per le soluzioni MES e TDAE risultano carenti, e vanno ad aggravare la già ricordata scarsa disponibilità di DAE.

1.11

Per poter effettuare per tempo le modifiche desiderate, rispettando la rimanente legislazione europea in materia sia di concorrenza che di salute e sicurezza, i rappresentanti delle industrie del settore (CONCAWE - Organizzazione europea delle società petrolifere, IIRSP – Istituto internazionale dei produttori di gomma sintetica, e BLIC - Associazione europea dell'industria della gomma) hanno collaborato con la Commissione e con altri organismi normativi per concordare un'impostazione adeguata da parte dell'industria e un quadro normativo appropriato. Restano da decidere i test per definire quali oli possano essere utilizzati in Europa e quelli – relativi a tutti gli pneumatici immessi sul mercato, siano o meno prodotti nell'UE – volti ad accertare che i prodotti finiti contengano oli a basso tenore di IPA.

2.   Sintesi della proposta della Commissione

2.1

Nel luglio 2003 la Commissione ha proposto una limitazione generale dei metalli pesanti e degli IPA nell'aria ambiente. Il CESE ha formulato un parere su questa prima proposta nel febbraio 2004. La proposta in esame, pubblicata anch'essa nel febbraio 2004, punta a istituire un mercato interno e a offrire un elevato livello di protezione della salute e dell'ambiente aggiungendo una serie di IPA all'allegato 1 della direttiva 76/769/CEE. Gli IPA elencati non rientrano tra le sostanze chimiche a elevato volume di produzione (EVP) e non figurano in nessuno dei quattro elenchi delle priorità per la valutazione delle sostanze esistenti. Vengono tuttavia accorpati nella categoria degli inquinanti organici persistenti (POP), conformemente al protocollo e alla convenzione della Commissione economica per l'Europa delle Nazioni Unite.

2.2

Un IPA specifico, il benzo(a)pirene (BaP n. CAS 50-32-8) rientra nella categoria 2 nel quadro della direttiva 67/548/CEE in quanto sostanza cancerogena, mutagena e tossica per la riproduzione, e viene proposto in questo contesto come indicatore qualitativo e quantitativo per la presenza di altri IPA.

2.3

Gli oli diluenti aventi un contenuto di BaP superiore a 1 mg/kg o un contenuto complessivo di tutti gli IPA elencati pari a oltre 10 mg/kg non possono essere immessi sul mercato né utilizzati per la produzione di pneumatici.

2.4

La Commissione riconosce la necessità di risolvere una serie di problemi tecnici, ragion per cui la data di entrata in vigore della direttiva è stata fissata al 1o gennaio 2009. Gli pneumatici da corsa ricadrebbero nel disposto della normativa a partire dal 1o gennaio 2012, mentre la data di applicazione relativa agli pneumatici per aeromobili è ancora da stabilire. L'assenza di metodi di prova armonizzati e specifici per il controllo del contenuto in IPA degli oli diluenti e degli pneumatici, ad esempio da parte del Comitato europeo di normalizzazione (CEN) o dell'Organizzazione internazionale per la normalizzazione (ISO), non dovrebbe rallentare l'entrata in vigore della direttiva.

2.5

La Commissione nota di aver consultato il Comitato scientifico della tossicità, dell'ecotossicità e dell'ambiente (CSTEA) in merito ai risultati scientifici che evidenziano gli effetti negativi degli IPA sulla salute.

2.6

Gli Stati membri avranno un anno di tempo per adottare le disposizioni necessarie per conformarsi alla direttiva. Tale termine decorrerà a partire dall'entrata in vigore della proposta, una volta che sia stato consultato il Comitato economico e sociale europeo, come previsto dall'articolo 95 del Trattato, e che si sia ultimata la procedura di codecisione con il Parlamento europeo.

3.   Osservazioni generali

3.1

La proposta, che introduce nuovi controlli sugli IPA, è basata sulle relazioni riguardanti i presunti effetti dei residui di pneumatici sulla salute e sull'ambiente dell'agenzia federale tedesca per l'ambiente (UBV) del 18 marzo 2003 e dell'ispettorato nazionale svedese per i prodotti chimici (KEMI) del 27 marzo 2003. Le due relazioni sono state esaminate dal comitato scientifico della tossicità, dell'ecotossicità e dell'ambiente (CSTEA), come riferito in un parere adottato da tale organo nel corso della sua 40a sessione plenaria del 12 e 13 novembre 2003.

3.2

Il CSTEA ha concordato, per le ragioni elencate in precedenza, con la necessità di considerare la categoria degli IPA come probabilmente cancerogena per l'uomo e con il fatto che gli IPA vengono rilasciati nell'ambiente in seguito all'usura degli pneumatici. Tuttavia il CSTEA ha sostenuto solo in parte l'impiego del BaP come indicatore qualitativo e quantitativo per gli altri IPA e ha messo seriamente in dubbio l'impatto globale di tale fonte di emissioni.

3.3

In sintesi, gli IPA emessi dal consumo degli pneumatici contribuiscono per meno del 2 % al totale dell'esposizione cui è soggetto un individuo, mentre il rimanente 98 % e più è dovuto alle fonti elencate nel punto 1.1 di questo parere. Ciò corrisponde alle ripetute valutazioni dell'OMS in base alle quali le cause principali dell'inquinamento atmosferico e delle malattie a esso associate, ivi compreso il cancro, sono il fumo, la combustione del carbone e le emissioni per il riscaldamento e la cottura dei cibi. Il CSTEA ha pertanto concluso che una limitazione degli IPA negli pneumatici non inciderà sensibilmente sulle concentrazioni di IPA presenti nell'aria ambiente e nei sedimenti.

3.4

Ne consegue che la reiterata affermazione secondo cui la direttiva garantisce «un livello elevato di protezione della salute umana e dell'ambiente» non è particolarmente calzante nel caso in questione. Gli oli diluenti sono già etichettati e possono essere maneggiati in piena sicurezza sul posto di lavoro in base alla legislazione esistente sulle sostanze pericolose. La proposta pertanto non apporterà alcun vantaggio sul posto di lavoro e solo benefici minimi all'ambiente.

3.5

Va inoltre osservato che la proposta in esame sfiora, o addirittura oltrepassa, i limiti del campo d'azione della direttiva del Consiglio 76/769/CEE, come del resto era già avvenuto con la ventiseiesima modifica, volta a limitare le concentrazioni di cromo esavalente presenti naturalmente nel cemento, sulla quale il CESE si era espresso nel marzo del 2003. Gli IPA non vengono prodotti intenzionalmente, né commercializzati in quanto tali: ciò è riconosciuto nell'allegato – in cui i limiti riguardano, giustamente, i prodotti contenenti IPA – ma non nel titolo del documento, che andrebbe pertanto modificato.

3.6

Il titolo e il testo possono dare adito a confusione per i riferimenti a «taluni IPA», in quanto categoria specifica e distinta. Dato che, come osserva il CSTEA, ben pochi IPA sono stati studiati a fondo e che tra questi un numero ancor più ridotto si è rivelato probabilmente non cancerogeno, si deve concludere che l'intera classe presenta dei rischi in caso di eventuale esposizione umana. Le restrizioni alla commercializzazione e all'impiego dovrebbero pertanto riguardare gli oli ricchi di IPA impiegati nella produzione di pneumatici e gli pneumatici che contengono tali oli.

3.7

Dato quanto precede, e data la sovrapposizione con la precedente proposta della Commissione sui metalli pesanti e sugli IPA nell'aria ambiente, si è affermato che la proposta di direttiva in esame è inutile e sarebbe quindi da ritirare. Il mercato si è frammentato e oggi servono almeno due prodotti per sostituire l'unico prodotto impiegato in precedenza. Gli impianti attualmente esistenti non bastano per far fronte alla domanda. Continuano infine a esservi dubbi sulla sicurezza offerta dalle formule sostitutive: se i battistrada prodotti con oli a basso contenuto di IPA dovessero dimostrarsi difettosi, i decessi ipotetici utilizzati per giustificare un'azione preventiva saranno presto sostituiti da una serie di vittime reali.

3.8

Il CESE, pur comprendendo tali preoccupazioni, è fortemente convinto che la direttiva debba procedere, in stretta consultazione con le industrie interessate, a facilitare la transizione verso una utilizzazione di oli diluenti a basso contenuto di IPA nella produzione degli pneumatici su scala mondiale, fermo restando che questi oli alternativi devono soddisfare i medesimi requisiti minimi per quanto riguarda tutti gli aspetti legati alla sicurezza. La creazione in Europa di un mercato interno efficace, competitivo e affidabile per questi nuovi prodotti è quindi un motivo sufficiente e adeguato per portare avanti la proposta in esame.

3.9

Sul piano dei tempi, l'aspetto essenziale è l'accordo sul testo che determinerà quali oli possano essere utilizzati. L'attuale allegato suggerisce di controllare la presenza di IPA specifici. Ciò però non si addice al funzionamento ininterrotto di operazioni di raffinamento su larga scala, nel corso delle quali le componenti chimiche concrete dei vari flussi variano a seconda degli oli greggi da raffinare. Altri test, come il metodo di misurazione IP-346 messo a punto dall'Istituto del petrolio (che accerta il contenuto totale in IPA misurando la quantità degli IPA con un numero di atomi compreso tra tre e sette estraibili mediante il solvente DMSO), sono già impiegati dall'industria petrolifera come indicatore accettabile di cancerogenicità a norma della direttiva 67/548/CEE. Gli studi effettuati dalla CONCAWE per tale industria concordano con il parere dello CSTEA, stando al quale la misurazione del solo contenuto di BaP non offre un'indicazione sufficiente del potenziale cancerogeno globale. Si raccomanda pertanto caldamente l'impiego del metodo di misurazione IP-346 per identificare e controllare i diversi tipi di olio diluente.

3.10

Per proteggere l'industria europea degli pneumatici – e ove possibile l'ambiente – servono test analoghi anche per gli oli utilizzati negli pneumatici importati. In un documento del 29 ottobre 2003 (ISO TC 45/SC 3 N), l'Organizzazione internazionale per la normalizzazione propone, affinché venga esaminato e valutato, un metodo per determinare il tipo di olio utilizzato nelle mescole di gomma. Tale operazione andrebbe portata a termine in modo soddisfacente prima che la direttiva entri in vigore.

3.11

Di conseguenza, dovrebbe essere possibile trovare una soluzione alle attuali restrizioni in materia di approvvigionamento, soprattutto per il TDAE, che richiede un livello di investimenti superiori rispetto al MES. Ciò tuttavia richiederà del tempo, il che rende sempre meno realistica l'eventualità che la trasformazione possa essere portata a termine entro il 1o gennaio 2009 per tutti gli pneumatici a largo impiego, come prevede la proposta in esame. Dato che i benefici della proposta risulteranno con ogni probabilità minimi, mentre i costi e i rischi in caso di formule inefficaci appaiono considerevoli, il CESE propone che la scadenza attualmente prevista venga prorogata di un anno e portata al 1o gennaio 2010. Ma anche in tal caso sarà necessario procedere a negoziati approfonditi tra le varie parti interessate. La Commissione continuerà a svolgere un ruolo chiave per agevolare il processo, entro i limiti della legislazione comunitaria, e far sì che sia coronato da successo.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Tenuto conto delle considerazioni che precedono, il titolo della proposta e tutte le formulazioni successive dovrebbero risultare coerenti con l'obiettivo globale di introdurre restrizioni sulla commercializzazione e sull'utilizzazione degli oli a elevato tenore di IPA impiegati nella produzione di pneumatici e degli pneumatici che contengono tali oli.

4.2

Di tale esigenza si dovrebbe tenere conto anche nell'allegato, precisando le restrizioni alla commercializzazione e all'utilizzazione degli pneumatici contenenti più del 3 % di estratto DMSO, secondo la misurazione IP 346, e che quindi sono stati classificati come cancerogeni conformemente alla direttiva 67/548/CEE. Bisognerebbe infine eliminare ogni riferimento al BaP o ad altri specifici IPA come indicatori.

4.3

Si dovrebbe poi sviluppare un metodo standard di controllo internazionale per individuare gli oli nelle mescole di gomma, in particolare negli pneumatici, e tale metodo dovrebbe essere indicato nella direttiva in esame.

4.4

Bisognerebbe infine concedere un periodo di tempo adeguato alle industrie della gomma e degli pneumatici per mettere a punto le nuove formule, e all'industria del petrolio per effettuare quegli investimenti che le consentano di approvvigionarsi nelle materie prime necessarie. Si ritiene al momento che tutte le parti interessate potrebbero ottemperare a tali requisiti entro il 1o gennaio 2010, data che quindi andrebbe indicata come prima scadenza della proposta. Deroghe specifiche sarebbero da concordare con le parti interessate riguardo agli pneumatici da corsa e ad altri prodotti a prestazioni particolarmente elevate. Alla luce delle osservazioni precedenti sembra però difficile precisare quali benefici concreti apporteranno i cambiamenti proposti, soprattutto se si tiene conto degli ovvi rischi connessi a un eventuale malfunzionamento dei prodotti in questione.

Bruxelles, 27 ottobre 2004.

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


20.5.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/34


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio che modifica il regolamento (CE) n. 2702/1999 relativo ad azioni di informazione e di promozione dei prodotti agricoli nei paesi terzi e il regolamento (CE) n. 2826/2000 relativo ad azioni d'informazione e di promozione dei prodotti agricoli sul mercato interno

(COM(2004) 233 def. – 2004/0073 (CNS))

(2005/C 120/08)

Il Consiglio, in data 21 aprile 2004, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 36 e 37 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 settembre 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore Leif E. NIELSEN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 ottobre 2004, nel corso della 412a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 171 voti favorevoli, 1 voto contrario e 6 astensioni.

1.   Antefatto

1.1

Fino al 1999 il cofinanziamento da parte dell'UE di azioni di informazione e di promozione a favore di prodotti agricoli all'interno e all'esterno dell'UE si è svolto nel quadro delle singole organizzazioni di mercato. Dopo questa data, le disposizioni settoriali sono state sostituite da una strategia più orizzontale: ciò è avvenuto attraverso il regolamento (CE) 2702/1999 ed il regolamento (CE) 2826/2000, relativi alle misure promosse rispettivamente nei paesi terzi e sul mercato interno a sostegno delle azioni di promozione svolte direttamente dagli Stati membri e dalle imprese (salvo proroga, il primo dei due scadrebbe alla fine del 2004). Nel marzo 2004 la Commissione, conformemente a quanto richiesto dai regolamenti, ha presentato una relazione dettagliata sulla loro applicazione, proponendo azioni di semplificazione e di miglioramento.

1.2

All'interno dell'UE, problemi quali la «mucca pazza» (BSE), la diossina e la listeria hanno confermato la necessità di accrescere la fiducia sia nei prodotti alimentari europei, sia nelle informazioni relative ai sistemi di controllo intesi a garantire la qualità e la tracciabilità. Per questo motivo è soprattutto importante assicurare informazioni sulle legislazioni in materia di qualità, sicurezza, etichettatura, tracciabilità, regimi applicabili alle indicazioni geografiche protette, indicazioni d'origine, attestazioni di specificità, produzione biologica e produzione integrata: tutte legislazioni che si prefiggono lo scopo di migliorare, agli occhi dei consumatori, l'immagine dei prodotti europei.

1.3

Anche per quanto riguarda i paesi terzi, il regime attuale mira a diffondere informazioni sugli forzi profusi dall'Unione europea per garantire la qualità, la sicurezza e le caratteristiche di prodotti provenienti da regioni specifiche, nonché sui requisiti di qualità dei prodotti biologici. Sia negli Stati membri che nei paesi terzi si fa ricorso a campagne di informazione, attività di pubbliche relazioni, iniziative promozionali e pubblicitarie, nonché alla partecipazione a fiere e ad esposizioni, con l'intento di preparare il terreno per campagne nazionali e private volte ad aumentare la quota di mercato destinata ai propri prodotti.

1.4

Come regola generale, il contributo dell'UE ai programmi di promozione è pari al 50 % del totale. Il finanziamento residuo, a carico, rispettivamente, delle associazioni professionali interessate (30 %) e degli Stati membri (20 %), può essere coperto mediante introiti parafiscali. Le spese sostenute dagli Stati membri sono considerate come interventi, e quindi rimborsate dalla Commissione.

1.5

I programmi vengono avviati su iniziativa delle organizzazioni europee o nazionali interessate, mentre la gestione, il controllo ed il pagamento sono di responsabilità degli Stati membri. Per assicurare la dimensione europea, la priorità spetta ai programmi presentati da almeno due o più Stati membri o organizzazioni professionali. Nella pratica, tuttavia, questi programmi si scontrano con tutta una serie di difficoltà risultanti da norme e procedure amministrative diverse, nonché dal mancato impegno di determinati Stati membri. Da un punto di vista generale il coordinamento, il controllo e l'amministrazione richiedono inoltre a quanti sono interessati a proporre un programma, un investimento eccessivo in termini di tempo e di risorse.

1.6

Le proposte mirano a ridurre al minimo gli inconvenienti rappresentati da complicazioni normative e burocratiche, come spiega più precisamente la relazione della Commissione. Inoltre le modifiche mirano a garantire concretamente che il contenuto dei programmi presenti un interesse europeo più pronunciato.

2.   Osservazioni di carattere generale

2.1

La riforma della politica agricola comune e l'intensificarsi della concorrenza sui mercati rafforzano la necessità di rivedere la regolamentazione del settore, e, nel contempo, il sostegno apportato dai paesi concorrenti alle azioni di informazione e di promozione sui mercati di esportazione giustifica il mantenimento del regime UE sia all'interno che all'esterno dell'Unione.

2.1.1

Resta tuttavia evidente la necessità di semplificazioni e miglioramenti. Grazie alla consultazione delle organizzazioni professionali e di altre parti interessate, la Commissione ha elaborato una proposta dettagliata circa la revisione in oggetto, con l'obiettivo di pervenire ad una semplificazione delle procedure amministrative e di far sì che il regime funzioni in maniera quanto più soddisfacente possibile.

2.2

Come osserva la Commissione, i tempi per valutare i risultati del nuovo regime non sono però ancora maturi. L'applicazione è progressivamente iniziata solo nel 2001 per i paesi terzi e nel 2002 per il mercato interno, e il 2003 è stato il primo anno di applicazione integrale del regime. È questo il motivo per cui, come proposto dalla Commissione, verso la fine del 2006 sarà opportuno predisporre una nuova relazione che analizzi il funzionamento del regime dopo la riforma e consenta, inoltre, di valutarne l'attuazione nei nuovi Stati membri dell'Unione europea.

2.3

Numerose organizzazioni si stanno familiarizzando soltanto adesso con le disposizioni ed i requisiti amministrativi del regime. Tuttavia, come fa osservare la Commissione, una parte dei programmi proposti ha presentato un interesse piuttosto limitato da un punto di vista europeo. Per questo motivo è opportuno attribuire maggiore importanza a programmi che siano significativi nel contesto UE, oltre che alla sinergia tra le attività nazionali e quelle comunitarie.

2.4

A maggior ragione se si considera l'avvenuto allargamento, occorrerebbe che, nell'insieme, l'Unione europea si adoperasse per mettere a punto regolamentazioni quanto più semplici possibile, in modo da assicurare la trasparenza. Indipendentemente dalla diversità a livello di obiettivi e di contenuto fra i programmi interni ed esterni, l'esistenza di due regolamenti distinti è giustificata da ragioni storiche. Per rendere la semplificazione ancora più efficace i regolamenti dovrebbero essere quanto prima accorpati in una regolamentazione comune, cosa che li renderebbe più facilmente utilizzabili. La maggior parte delle disposizioni sono infatti identiche, e le differenze che permangono spesso non hanno ragione di esistere. Le proposte di modifica ai regolamenti ora in esame risultano identiche anche per quanto riguarda la presentazione di proposte di programmi, la presa di decisioni ed il controllo.

2.5

Inoltre, le disposizioni riguardanti lo sviluppo rurale, che prevedono aiuti alle attività informative, promozionali e pubblicitarie relative ai prodotti agricoli e ai prodotti alimentari, sono formulate in maniera diversa rispetto al regime qui esaminato. A prescindere dal fatto che molto recentemente è stata fatta maggiore chiarezza sui diversi campi di applicazione dei vari regimi, la Commissione avrebbe già dovuto valutare la possibilità di eliminare questa sovrapposizione. Non esiste quindi alcuna ragione di rimandare la discussione in proposito, come invece propone la Commissione.

2.6

Il cofinanziamento da parte dell'UE dovrebbe continuare alle stesse condizioni applicate finora: tenuto conto dell'allargamento e delle necessità future sarebbe pertanto opportuno aumentare le risorse di bilancio. In questo modo il regime potrà contribuire all'integrazione ed alla creazione del mercato interno per i vari settori di produzione, rispettando le varietà e la diversità gastronomica. Le organizzazioni professionali europee dovrebbero pertanto impegnarsi maggiormente in campagne informative sulla qualità dei prodotti e sulle variazioni delle preferenze dei consumatori all'interno dell'UE. Per quanto riguarda inoltre i mercati dei paesi terzi è opportuno, parallelamente alla graduale abolizione delle restituzioni all'esportazione, stabilire delle priorità in funzione delle reali possibilità di portare a buon fine dei programmi efficaci.

2.7

Il fatto che sui mercati dei paesi terzi il regime attuale sia utilizzato soltanto in misura limitata è soprattutto dovuto al requisito in base al quale che prescrive che i programmi devono riguardare soltanto campagne generiche. Ne consegue che in molti casi le imprese più importanti associate alle organizzazioni professionali sono riluttanti ad agire e si astengono dal contribuire al finanziamento dei programmi. Per quanto gli aiuti alle singole etichette e quindi alle singole imprese siano esclusi, affinché le misure producano un effetto sensibile sui mercati dell'esportazione la Commissione deve dare prova di una certa flessibilità, accettando la presenza - nei vari tipi di iniziative promozionali - di un numero equilibrato di etichette in quanto parte integrante della campagna generica: sarà così possibile stabilire il nesso tra il messaggio della campagna ed i prodotti sul mercato, cercando di combinare il messaggio generico con quello specifico e, di conseguenza, creare sinergie. Ciò non influenzerà di per sé il messaggio della campagna, ma contribuirà a far sì che i responsabili degli acquisti ed i clienti possano, nella pratica, trovare i prodotti oggetto della campagna. Si tende inoltre a prestare sempre maggiore attenzione all'origine dei prodotti all'interno dell'UE. Se invece un mercato è già dominato dai marchi, il valore aggiunto apportato dalla promozione commerciale dell'UE risulta limitato, dato che in questi casi, essendo per lo più oggetto di un'intensa attività di concorrenza per espandere la propria quota di mercato, i marchi privati fanno uso di ingenti risorse pubblicitarie.

2.8

Non c'è ragione di modificare le attuali percentuali di cofinanziamento a carico degli Stati membri e delle organizzazioni professionali. Un problema sta nel fatto che alcuni Stati membri non si impegnano a sufficienza o non ritengono di poter soddisfare il requisito di cofinanziamento, il che si traduce in un deterrente per le organizzazioni professionali interessate a utilizzare i regimi, a meno che i finanziamenti non provengano da introiti parafiscali. Nell'ottica di una semplificazione amministrativa, è opportuno sopprimere le percentuali decrescenti del confinanziamento comunitario per i programmi pluriennali e fissare al 50 % la percentuale di cofinanziamento dell'Unione europea.

2.9

L'accettazione di introiti parafiscali come fonte di finanziamento implica che alcune organizzazioni coprano già, di fatto, il 50 %. Questa possibilità dovrebbe essere mantenuta, ma, di conseguenza, sarebbe opportuno rendere meno severe le regole relative alla quota obbligatoria a carico degli Stati membri, pari al 20 %, in modo che essi possano decidere volta per volta sull'entità del finanziamento che desiderano destinare ad un programma. Sarebbe tuttavia opportuno prevedere un contributo minimo obbligatorio da parte dell'organizzazione interessata, pari, ad esempio, al 20 %.

2.10

Il CESE ritiene che sui mercati dei paesi terzi dovrebbe essere possibile appoggiare misure promozionali a favore di fiori recisi e piante avvalendosi delle stesse modalità adottate per il mercato interno.

2.11

Il fatto che, nel quadro del dispositivo, i contributi finanziari degli Stati membri vengano disciplinati dalle disposizioni del Trattato in materia di aiuti di Stato, è molto oneroso sotto il profilo amministrativo, e privo di giustificazione oggettiva. Inoltre, la deroga proposta alla procedura di notifica avrebbe dovuto esistere fin dall'inizio, analogamente a quanto previsto dal regime sullo sviluppo delle aree rurali.

2.12

Il Comitato valuta positivamente la possibilità di stabilire il limite minimo e massimo degli stanziamenti destinati ai programmi selezionati, visti gli oneri amministrativi e considerata la moltitudine di programmi minori che non hanno alcun effetto sui mercati interessati. È necessario dare la priorità ai programmi che abbiano una durata ed una dotazione di bilancio sufficienti a garantirne il buon esito.

2.13

I regimi nazionali e privati di certificazione e di controllo riguardanti i prodotti dell'agricoltura biologica all'interno dell'UE vanno per quanto possibile integrati nel regime comune UE applicabile a tali prodotti. Questo processo è già in corso, e dovrebbe, nella misura del possibile, essere sostenuto da campagne d'informazione, con l'obiettivo di creare un vero e proprio mercato interno dei prodotti dell'agricoltura biologica, che si sostituirà ai regimi nazionali e privati. Finora, le campagne d'informazione organizzate nei paesi terzi a favore dei prodotti dell'agricoltura biologica provenienti dall'UE hanno avuto soltanto un effetto limitato. La realizzazione del mercato interno dei prodotti biologici è uno dei presupposti per la commercializzazione di tali prodotti nei paesi terzi. Sussistono inoltre difficoltà per quanto riguarda il mutuo riconoscimento dei rispettivi regimi, ad esempio da parte dell'UE e degli Stati Uniti.

3.   Osservazioni specifiche

3.1

Si deve esaminare la possibilità di spingersi oltre quanto attualmente proposto in termini di ripartizione interna del lavoro e delle competenze tra gli Stati membri e la Commissione. Altrettanto dicasi della necessità di semplificare e ripartire con maggiore chiarezza le responsabilità relative alla partecipazione dei numerosi comitati e organi coinvolti nell'elaborazione di norme, nella selezione, nell'attuazione, nel monitoraggio e nel controllo. Si propone quindi di aggiungere a tali comitati e organi dei gruppi di lavoro ad hoc composti di rappresentanti degli Stati membri e/o di esperti aventi conoscenze specializzate nel settore della promozione e della pubblicità e in grado di consigliare la Commissione circa l'elaborazione della strategia di applicazione del regime e la messa a punto delle misure necessarie a questo scopo.

3.2

La modifica proposta circa la selezione degli organismi incaricati dell'esecuzione costituisce una grande semplificazione. È inoltre necessario che gli organismi interessati svolgano direttamente, a seconda delle caratteristiche della campagna, determinate attività nel quadro di un programma, e che l'organismo di esecuzione sia selezionato soltanto dopo l'adozione della proposta Commissione.

3.3

Le modifiche proposte segnano una risposta costruttiva alle critiche mosse su alcuni altri punti controversi, tra i quali figurano l'uso dell'intervallo di tempo che intercorre tra la trasmissione delle proposte e la decisione finale, i numerosi dettagli richiesti già ad uno stadio precoce, nonché la scarsa trasparenza delle decisioni. Nel contempo resta tuttavia necessario studiare come alleggerire i requisiti imposti in materia di relazioni.

3.4

La flessibilità proposta, che consentirebbe alla Commissione stessa di prendere l'iniziativa per campagne d'informazione e di promozione onde garantire una ripartizione più equa tra i vari settori di produzione, viene valutata positivamente, visto che prevalgono le richieste relative agli ortofrutticoli, mentre altri settori ricevono attenzione scarsa o nulla. L'applicazione pratica solleva tuttavia tutta una serie di questioni, come la limitazione tassativa, stabilita negli allegati, dei paesi e dei prodotti ammissibili alla promozione UE.

3.5

Le attività di informazione e di commercializzazione devono ben evidenziare il marchio UE dell'agricoltura biologica, in modo da far conoscere meglio il regime comunitario di certificazione e di controllo e di promuovere l'armonizzazione dei regimi nazionali. Dato che questo marchio contiene le dodici stelle e simboleggia l'Unione europea, il requisito di far figurare la bandiera dell'Unione sul materiale delle campagne secondo criteri da precisare dovrebbe diventare meno importante. Gli attuali requisiti comportato la presenza di diversi simboli UE sullo stesso materiale pubblicitario, cui vanno aggiunti il marchio nazionale dell'agricoltura biologica e il marchio di provenienza: tutto ciò altera quindi la chiarezza del messaggio. Così, le campagne che beneficiano del sostegno del programma LIFE riportano il logo LIFE, il quale contiene anch'esso le dodici stelle, ma non la bandiera dell'UE.

3.6

Il requisito, finora in vigore, secondo cui i marchi nazionali dell'agricoltura biologica possono figurare solo a condizione che le norme nazionali abbiano una portata più vasta, comporta un trattamento discriminatorio ed è contrario all'armonizzazione. Nel progetto del piano d'azione europeo per l'agricoltura biologica (1), si propone quindi di prevedere l'uso dei simboli nazionali parallelamente al simbolo UE.

3.7

Il CESE esorta la Commissione a elaborare una guida per gli operatori, che sarebbe di aiuto tanto a questi ultimi quanto alle autorità nel loro compito di controllo, e gioverebbe nel complesso a questa nuova politica comunitaria di promozione.

3.8

Anche se questi regolamenti sono di applicazione recente, si cominciano già a rilevare esigenze fondamentali, di cui occorre tenere conto per il futuro. La Commissione deve prestare grande attenzione al coordinamento delle azioni nei diversi mercati, onde evitare sovrapposizioni o messaggi incrociati che indebolirebbero l'efficacia delle azioni promozionali.

4.   Conclusione

4.1

La proposta della Commissione va adottata tenendo conto di quanto testé osservato circa la necessità di ulteriore semplificazione.

Bruxelles, 27 ottobre 2004.

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo: Piano d'azione europeo per l'agricoltura biologica e gli alimenti biologici (COM(2004) 415 def.).


20.5.2005   

IT

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C 120/37


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Le trasformazioni industriali e gli aiuti di Stato nel settore siderurgico

(2005/C 120/09)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 29 gennaio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema: Le trasformazioni industriali e gli aiuti di Stato nel settore siderurgico.

La commissione consultiva per le trasformazioni industriali, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 9 settembre 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore Lagerholm e dal correlatore Kormann.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 ottobre 2004, nel corso della 412a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 154 voti favorevoli, 3 voti contrari e 11 astensioni.

1.   Introduzione, finalità e ambito del parere - Definizioni

1.1

Il presente parere d'iniziativa esamina i legami tra le trasformazioni industriali e gli aiuti di Stato, partendo dall'esempio del settore siderurgico.

1.2

Con il termine «trasformazioni industriali», gli autori del parere intendono il processo normale e costante con cui un settore industriale reagisce dinamicamente ai mutamenti in atto in un comparto economico al fine di restare competitivo e di creare opportunità di crescita.

1.3

L'Europa non può rimanere indifferente alle trasformazioni industriali in corso. Nel quadro della crescente globalizzazione dei mercati, le strutture economiche devono adeguarsi prima o poi a quanto accade sul mercato mondiale. In questo contesto, l'Unione europea deve attivarsi per svolgere un ruolo attivo nella definizione delle condizioni quadro a livello internazionale.

1.4

Il presente parere d'iniziativa tiene conto dei seguenti fattori:

la scadenza del Trattato CECA nel 2002,

la privatizzazione e la ristrutturazione dell'industria siderurgica nei paesi dell'Europa centrale e orientale (PECO) in vista del processo di adesione all'UE,

i negoziati OCSE per giungere a un accordo internazionale sugli aiuti al settore siderurgico,

l'ultima versione del quadro di valutazione degli aiuti di Stato dell'Unione europea,

la comunicazione della Commissione europea dal titolo «Accompagnare le trasformazioni strutturali: una politica industriale per l'Europa allargata» (COM(2004) 274 def.), dell'aprile 2004, e

la relazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sulla prima relazione del controllo di ristrutturazione dell'acciaio nella Repubblica ceca ed in Polonia (COM(2004) 443 def.), del 7 luglio 2004.

Prendendo ad esempio l'industria siderurgica, il presente parere d'iniziativa esamina il modo in cui gli aiuti di Stato possono influire sull'attuazione delle necessarie trasformazioni strutturali.

1.5

Le imprese che non ricevono aiuti di Stato a sostegno della loro competitività sono spesso penalizzate rispetto ai concorrenti che invece ne usufruiscono. Gli effetti negativi sullo sviluppo di tali imprese possono essere gravi, tanto da provocarne anche l'esclusione dal mercato. Ciò nonostante, come dimostrano vari decenni di ristrutturazioni condotte nell'industria siderurgica europea, spesso i responsabili politici finiscono per concedere sussidi alle grandi imprese che impiegano molta manodopera e minacciano di chiudere. In genere, ciò ha per conseguenza il mantenimento di sovraccapacità e di attività non redditizie oltre il limite temporale determinato dal mercato, mentre i necessari processi di adeguamento procedono a stento.

1.6

Eppure, il mondo politico, economico e sindacale concorda oggi nel considerare le trasformazioni industriali come inevitabili e conviene altresì sulla necessità di collocare queste trasformazioni nel quadro di accordi quadro internazionali (ad esempio, OMC, OCSE, OIL, ecc.). Questa consapevolezza deriva dalle esperienze maturate nei decenni di trasformazioni che hanno caratterizzato i settori del carbone e dell'acciaio. Le ristrutturazioni e i processi di consolidamento, insieme al dialogo sociale che li accompagna, sono oggi generalmente riconosciuti come premesse necessarie o come quadro di riferimento per garantire la competitività delle imprese europee su mercati sempre più interconnessi.

1.7

Nella comunicazione sulla politica industriale pubblicata alla fine di aprile 2004 (1), la Commissione europea richiama l'attenzione sul fatto che le trasformazioni industriali non devono essere confuse con la deindustrializzazione assoluta, la quale è caratterizzata da una diminuzione concomitante dell'occupazione, della produzione e della crescita della produttività. La deindustrializzazione assoluta consiste nella perdita di posti di lavoro a bassa produttività a vantaggio di paesi in via di sviluppo o di recente industrializzazione, in cui i costi del lavoro sono inferiori. La ragione principale di questo trasferimento dell'occupazione risiede nel fatto che le strutture dei costi sono diventate comparativamente più favorevoli nei paesi terzi.

1.8

Nella sua analisi della politica industriale, la Commissione europea conclude comunque che, escluse le industrie estrattive, il fenomeno della deindustrializzazione riguarda al momento solo pochi settori (tessile, abbigliamento, cuoio-calzature, costruzione e riparazione navale, carbone, raffinazione del petrolio, produzione e lavorazione di combustibili nucleari). Se le trasformazioni strutturali non sono certamente indolori per talune regioni, da un punto di vista economico generale esse producono effetti positivi, a condizione che siano adeguatamente pianificate, individuate e sostenute.

1.9

Il declino proporzionale della quota dell'industria nell'insieme delle attività economiche riflette un processo strutturale a lungo termine. Per quanto la maggior parte dei settori industriali, ad esempio quello siderurgico, abbiano registrato una diminuzione dei posti di lavoro negli ultimi decenni, essi hanno contemporaneamente visto aumentare il valore aggiunto dei propri prodotti e della propria produttività.

1.10

Spesso l'opinione pubblica tende a considerare la maggiore rilevanza sociale acquisita dal settore dei servizi come la naturale conseguenza di un processo di trasformazione strutturale consumato a scapito dell'industria. Tuttavia, questa tendenza va inserita nel più ampio contesto della crescente interconnessione tra i due settori. Negli ultimi decenni le industrie di trasformazione hanno esternalizzato varie attività (trasporti, logistica, elaborazione dati, ecc.), per cui conviene procedere con attenzione e grande cautela nell'interpretazione delle statistiche sulle trasformazioni industriali. Il fatto di trarre conclusioni errate, basandosi su analisi superficiali o su mezze verità dettate dalla contingenza politica, può avere gravi ripercussioni sulla politica industriale.

1.11

In un'Unione europea basata sulla conoscenza, il valore aggiunto apportato dall'industria rimane imprescindibile. Se si considera il valore aggiunto complessivo realizzato da altri settori dell'economia a beneficio dell'industria, risulta chiaro che dall'inizio degli anni '90 quest'ultima ha continuato a rivestire un ruolo di grande rilevanza per l'UE. In Germania, ad esempio, se si aggiunge tale apporto esterno, l'industria continua a rappresentare non meno del 40 % del valore aggiunto lordo.

1.12

Alla luce di quasi trent'anni di privatizzazioni e ristrutturazioni, a volte anche molto dolorose, la Commissione europea propone ora che le misure strutturali a venire (previste nei paesi PECO per il settore siderurgico e non solo) si basino sull'esperienza acquisita dal settore siderurgico dell'UE nell'applicare le misure di adeguamento.

1.13

Nel corso degli ultimi decenni il contesto politico, tecnico ed economico in cui opera il settore siderurgico europeo ha conosciuto profondi cambiamenti. Le crisi petrolifere, la creazione del mercato interno europeo, l'allargamento dell'Unione e la globalizzazione hanno avuto un forte impatto su questo prodotto primario, che è a sua volta rilevante per altri comparti industriali. Nonostante le varie oscillazioni congiunturali e strutturali che si sono susseguite a partire dal primo choc petrolifero del 1975, la produzione siderurgica dell'Unione europea si è mantenuta pressoché stabile. L'acciaio continua a essere prodotto praticamente in tutti i 15 Stati membri; tuttavia, grazie al progresso tecnologico, la stessa quantità viene prodotta impiegando circa un terzo della manodopera che era necessaria nel 1975. Nell'Europa dei 15 la percentuale delle imprese siderurgiche in cui lo Stato ha un interesse dominante è scesa dal 53 % del 1985 a meno dell'attuale 10 %. Inoltre, le imprese statali operano oggi alle medesime condizioni di mercato di quelle private.

1.14

In questo contesto, la commissione consultiva per le trasformazioni industriali (CCMI) del Comitato economico e sociale europeo ritiene di particolare interesse esaminare il ruolo che gli aiuti di Stato rivestono in generale nell'ambito delle trasformazioni industriali e che hanno svolto in particolare per l'industria siderurgica europea. Ai fini del presente parere d'iniziativa, per «settore siderurgico» s'intende il complesso di attività industriali connesse alla produzione e alla commercializzazione dell'acciaio e la fondamentale funzione da esse esercitata per i settori europei che fanno uso di acciaio.

2.   Gli aiuti di Stato e i loro effetti generali

2.1

Gli aiuti di Stato sono agevolazioni mirate che gli organismi statali concedono ad alcuni settori produttivi e, quindi, a gruppi specifici. Al fine di determinare quali misure costituiscano un aiuto di Stato, è opportuno operare una distinzione tra quelle volte a sostenere talune imprese o talune produzioni, ai sensi dell'art. 87, par. 1 del Trattato CE, e quelle generali applicate anch'esse in modo uniforme negli Stati membri, ma che tendono invece a favorire l'economia nel complesso. Le azioni che rientrano in quest'ultima categoria non costituiscono un aiuto di Stato in base all'art. 87, par. 1 del Trattato CE, bensì misure di politica economica generale applicabili indistintamente a tutte le imprese (es. agevolazioni fiscali generali sugli investimenti).

2.2

Non si deve tuttavia dimenticare che nelle economie di mercato le attività economiche sono regolate dall'andamento della domanda e dell'offerta, e vengono coordinate attraverso il meccanismo dei prezzi. Teoricamente, quindi, qualsiasi misura che comprometta la funzione di informazione, di orientamento e di stimolo esercitata dal prezzo rischia di essere dannosa.

2.3

Gli aiuti di Stato possono nuocere alla libera concorrenza sul lungo periodo, impedire la corretta distribuzione delle risorse e costituire una minaccia per il mercato interno europeo. Per queste ragioni l'Unione europea considera la garanzia di una concorrenza libera e non falsata come uno dei principi fondamentali della Comunità.

2.4

L'attribuzione di particolari forme di sovvenzioni statali (aiuti finanziari e agevolazioni fiscali) è ammessa solo se il mercato non è completamente funzionante e se esiste la realistica possibilità di migliorare in tal modo la situazione economica. Nel caso di malfunzionamento del mercato, un intervento statale in forma di sostegno finanziario fornito può contribuire a evitare una distribuzione iniqua. Tuttavia, lo Stato raramente è in grado di valutare in quale misura i fondi pubblici debbano essere impiegati per far fronte al malfunzionamento del mercato e, d'altronde, le informazioni provenienti da imprese che ambiscono a tali sovvenzioni possono essere considerate solo parzialmente attendibili.

2.5

Un'ulteriore difficoltà è rappresentata dal costante mutamento delle condizioni del mercato. Un aiuto di Stato che in origine era giustificato può perdere gradualmente il suo carattere di necessità economica, ma la lentezza dei processi politici o l'influenza esercitata dai gruppi di interesse locali o di categoria possono comunque garantirne la sussistenza.

2.6

Inoltre, gli aiuti di Stato provocano spesso delle modifiche nel comportamento degli operatori del mercato: il fatto di ricevere dei sussidi, ad esempio, li rende meno inclini ad apportare gli adeguamenti necessari per mantenere o ristabilire il livello di competitività delle imprese. Vi è inoltre il rischio che i beneficiari sviluppino una mentalità assistenzialista.

2.7

Gli aiuti di Stato possono inoltre provocare un aumento dell'onere fiscale, quanto meno a medio termine. Ridurli è quindi fondamentale, non solo ai fini di un consolidamento di bilancio duraturo, ma anche per ragioni di natura economica e regolamentare. Una concezione errata dei sussidi rappresenta un ostacolo alla realizzazione delle trasformazioni strutturali.

2.8

Nel quadro degli sforzi volti alla necessaria riduzione del volume complessivo degli aiuti di Stato, le conclusioni di diversi Consigli dei ministri dell'UE fanno emergere un nuovo orientamento, imperniato non più sul sostegno a singole imprese o a singoli settori dell'economia, bensì sul conseguimento di obiettivi orizzontali di interesse comune, inclusa la coesione. L'attribuzione di aiuti di Stato per il raggiungimento di obiettivi orizzontali è generalmente volta a riequilibrare un malfunzionamento del mercato e di norma produce meno distorsioni della concorrenza di quanto non facciano gli aiuti di tipo settoriale e per scopi specifici, i quali vengono in larga parte utilizzati per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in difficoltà.

2.9

Fra i principali obiettivi orizzontali perseguiti attraverso la concessione di aiuti di Stato figurano:

la ricerca e lo sviluppo,

la tutela dell'ambiente,

il risparmio energetico,

il sostegno alle PMI,

la creazione di posti di lavoro,

la diffusione della formazione.

L'influenza dello Stato sull'industria siderurgica europea

2.10

L'influenza tradizionalmente esercitata dallo Stato sull'industria siderurgica è considerevole e ad essa hanno contribuito non poco ragioni di ordine militare e di sicurezza. Per quantificarne l'estensione, basti ricordare che nel 1980 circa il 60 % della produzione mondiale di acciaio proveniva da imprese direttamente o indirettamente soggette al controllo statale.

2.11

Quando le imprese siderurgiche sono di proprietà pubblica, lo Stato di norma se ne accolla le perdite e ciò vale praticamente a garantire la loro sopravvivenza. Sul piano della competitività, si tratta di una situazione altrettanto lesiva quanto la concessione di aiuti volti a rafforzare posizioni competitive o a contrastare la minaccia di chiusura di imprese non direttamente controllate dallo Stato. Le misure economiche adottate contro tali rischi di chiusura sono anche accompagnate da altre di tipo politico. Di conseguenza, può capitare che siano le imprese più competitive a doversi adeguare. Inoltre, è possibile che tali misure inneschino una spirale di interventi.

2.12

Se si escludono gli aiuti previsti nei casi di cessazione delle attività, l'industria siderurgica europea può oggi contare solo su aiuti di tipo orizzontale. Data la sconfortante lentezza che ha contraddistinto le trasformazioni strutturali fino alla fine degli anni '90, il settore siderurgico europeo ha infine accettato di passare dagli aiuti settoriali e ad hoc agli aiuti orizzontali. Tale regime di aiuti, inoltre, ha consentito all'industria siderurgica europea di rinunciare addirittura agli aiuti regionali (2).

2.13

L'Unione europea attribuisce molta importanza al controllo delle spese nazionali. Al riguardo, la Commissione europea deve garantire che la politica degli aiuti dell'Unione sia sorretta da un controllo e da un uso trasparente degli aiuti di Stato, come già avviene nel settore siderurgico.

2.14

La Commissione europea sta attualmente proseguendo nella verifica degli orientamenti e delle disposizioni generali in materia di aiuti di Stato, formulando le norme in modo più semplice e più chiaro ed eliminando le incongruenze. La Commissione intende dare la priorità alle seguenti azioni: rivedere le disposizioni che regolano la concessione di aiuti per il salvataggio e la ristrutturazione di imprese in difficoltà; procedere alla riforma delle disposizioni in materia di aiuti regionali a seguito dell'allargamento dell'UE; elaborare nuove disposizioni generali per la valutazione di aiuti di entità ridotta e precisare le norme relative ai servizi di interesse economico generale.

2.15

Le modifiche che nei prossimi anni interverranno sul regime generale di aiuti dell'UE dovranno tenere conto del contesto internazionale e, in particolare, degli impegni assunti nell'ambito di accordi multilaterali. Gli aiuti in favore di beni e prodotti non agricoli rientrano nel campo di applicazione nell'accordo OMC sulle sovvenzioni e le misure compensative.

3.   La politica di aiuti dell'UE e la sua rilevanza per le trasformazioni industriali nel settore siderurgico

Le deroghe al divieto generale del Trattato CECA di concedere aiuti di Stato

3.1

Il Trattato istitutivo della Comunità europea del carbone e dell'acciaio del 1952 conteneva disposizioni chiare sulla facoltà degli Stati membri di concedere aiuti di Stato alle imprese del settore carbonifero e siderurgico: «Sono riconosciuti incompatibili con il mercato comune del carbone e dell'acciaio e, per conseguenza, sono aboliti e proibiti, alle condizioni previste dal presente trattato, nell'interno della Comunità: […] le sovvenzioni o gli aiuti concessi dagli Stati […] in qualunque forma». Questo divieto assoluto per i singoli Stati di sostenere le imprese, espresso all'art. 4, lettera c), era una logica conseguenza dell'abolizione di tutte le misure nazionali di protezione all'interno del mercato comune.

3.2

Tuttavia, dopo la creazione del mercato comune, divenne presto evidente l'impossibilità di garantire l'approvvigionamento energetico a livello europeo e la produzione siderurgica attraverso le risorse carbonifere interne senza ricorrere agli aiuti di Stato. La ricerca di una soluzione che non implicasse una modifica del Trattato CECA indusse i responsabili politici a proporre che alcuni tipi di aiuti venissero reinterpretati come aiuti comunitari, cosa peraltro teoricamente possibile. A tal fine fu utilizzato l'articolo 95, relativo all'insorgere di circostanze impreviste successivamente alla firma del Trattato. Ciò consentì alla Comunità di intervenire ove necessario per conseguire uno o più obiettivi del Trattato.

3.3

Uno di questi obiettivi era la salvaguardia dell'industria estrattiva e, in particolare, dei posti di lavoro a essa associati. Da allora, gli aiuti concessi dagli Stati membri alle imprese carbonifere in cambio della garanzia di approvvigionamento energetico e di produzione di acciaio furono considerati aiuti comunitari.

3.4

Negli anni '70 molti Stati membri non si preoccuparono neppure di ricorrere a questo escamotage per le sovvenzioni che concedevano alle imprese siderurgiche. Furono sborsati miliardi, senza che venisse mai sollevata una obiezione, inizialmente per promuovere l'espansione del settore siderurgico e successivamente per mantenerne le imprese, in gran parte di proprietà statale. Già negli anni '80, l'allora Direttore generale per la Concorrenza presso la Commissione dichiarò esplicitamente che il divieto degli aiuti di Stato previsto dal Trattato CECA era obsoleto.

3.5

A partire dal 1978 le imprese siderurgiche del settore privato, che erano state duramente colpite dalle distorsioni della concorrenza provocate dalla «corsa dagli aiuti», cercarono di ripristinare il divieto sui sussidi, ottenendo risultati sempre più positivi.

3.6

A partire dal 1980 i codici degli aiuti al settore siderurgico, basati sull'articolo 95, disposero che gli aiuti alle imprese siderurgiche potessero essere concessi solo in casi ben definiti. Tuttavia, le categorie di aiuti inizialmente ammesse comprendevano quasi tutte le sovvenzioni che gli Stati membri stavano già elargendo alle proprie imprese. In questo modo, il primo codice degli aiuti servì solo, per lo più, a legittimare le pratiche in uso. Fu solo gradualmente che venne introdotto il divieto totale degli aiuti maggiormente lesivi per la concorrenza, come quelli ai salvataggi, al funzionamento e agli investimenti.

3.7

Dalla seconda metà degli anni '80, solo gli aiuti alla ricerca e allo sviluppo, alla tutela dell'ambiente e alla chiusura continuarono a essere ammessi in base al codice degli aiuti alla siderurgia. Ciò nonostante, grazie a ulteriori deroghe basate sull'articolo 95, alcune imprese pubbliche continuarono a ricevere fondi fino alla metà degli anni '90 per il pagamento dei debiti e per il finanziamento di operazioni di ristrutturazione.

3.8

Infine, la concessione di nuovi aiuti comunitari venne vincolata a cospicue riduzioni delle capacità di produzione. Gli Stati membri raggiunsero finalmente un accordo in base al quale non si sarebbero più ammesse eccezioni al divieto di concedere aiuti, salvo nei casi previsti dal codice degli aiuti.

3.9

Questa severa legislazione in materia di aiuti di Stato al settore siderurgico, peraltro già contemplata dai padri fondatori del Trattato CECA e ripresa dalla Commissione europea alla scadenza del Trattato nel 2002, è stata in gran parte il frutto di continui sforzi politici e di ripetute azioni legali dell'industria siderurgica. Anche se i ricorsi alla Corte di Giustizia europea non sempre hanno condotto alla revoca delle autorizzazioni agli aiuti contestate, essi tuttavia hanno contribuito a definire e delimitare con precisione i limiti giuridici entro i quali potevano situarsi le deroghe ai divieti di aiuto nel settore siderurgico.

3.10

Gli aiuti totali convogliati verso le imprese siderurgiche CECA hanno raggiunto il considerevole importo di oltre 70 miliardi di Euro dal 1975. Tale somma è da ripartire come segue:

circa 12 miliardi di euro versati dall'UE come aiuti di Stato tra il 1975 e il 1980, anno in cui entrò in vigore il codice degli aiuti,

circa 41 miliardi di euro in aiuti di Stato approvati dalla Commissione europea tra il 1980 e il 1985, cioè il periodo in cui i sussidi erano concessi senza particolari restrizioni in cambio di una riduzione delle capacità di produzione,

altri 17 miliardi di euro concessi tra il 1986 e il 1995, di cui 7 solo nel 1994 in seguito a una decisione una tantum ai sensi dell'articolo 95.

3.11

Secondo il più recente quadro di valutazione della Commissione europea, gli aiuti comunitari attualmente destinati all'industria siderurgica sono inferiori al 2‰ del totale e quasi esclusivamente rivolti a finanziare misure di tutela ambientale. La legislazione e le pratiche attualmente diffuse nell'ambito degli aiuti al settore siderurgico sono nettamente più restrittive rispetto alle disposizioni riguardanti altri settori industriali.

Lo sviluppo della mentalità assistenzialista nel settore siderurgico negli anni '70

3.12

Negli anni '60 e nella prima metà degli anni '70 il consumo mondiale di acciaio ha fatto registrare un tasso di crescita elevato e costante, con una media superiore al 5 % annuo. Nel 1974 la produzione di acciaio grezzo nella Comunità europea a nove Stati membri raggiunse livelli record, attestandosi a quasi 156 milioni di tonnellate, con un utilizzo delle capacità produttive pari all'87 %.

3.13

Nel 1975, tuttavia, lo choc petrolifero provocò una drastica riduzione della produzione siderurgica che, nel giro di un anno, abbassò i livelli di produzione all'interno della CE di 30 milioni di tonnellate (19 %). Il crollo dei prezzi dell'acciaio che ne seguì accentuò ulteriormente il calo della produzione. Contestualmente, le imprese siderurgiche CECA registrarono un aumento considerevole delle importazioni e un calo altrettanto netto delle esportazioni. L'esaurimento delle riserve siderurgiche contribuì poi in modo determinante all'abbandono dell'acciaio nel mercato unico.

3.14

All'inizio sembrava che si trattasse solo di una congiuntura particolarmente negativa, e infatti tutti gli esperti pensavano che sarebbe presto seguita una ripresa. Gli istituti di economia interpellati dalla Commissione europea confermarono che la ripresa sarebbe stata particolarmente vigorosa e duratura. Secondo la relazione «Obiettivi generali 1985», realizzata in collaborazione con i produttori, i consumatori e i rivenditori e contenente le previsioni a lungo termine della Commissione, nel 1985 la produzione di acciaio dei nove paesi CE avrebbe raggiunto addirittura le 188 tonnellate. In realtà, essa fu di sole 120 tonnellate. I piani di investimento a medio e lungo termine effettuati dalle imprese si basavano quindi su parametri totalmente errati, il che determinò una capacità produttiva eccedentaria e uno scollamento sempre più marcato dei meccanismi della domanda e dell'offerta.

3.15

Il rallentamento mondiale della crescita economica determinò una drastica battuta d'arresto anche per le attività di investimento dei settori consumatori di acciaio, con conseguenze particolarmente negative sui consumi, dato che nei paesi industrializzati altamente sviluppati il consumo di acciaio è legato per circa due terzi alle attività di investimento.

3.16

Un altro fattore chiave della stagnazione mondiale della domanda dal 1975 in poi consiste nel fatto che sempre meno acciaio viene utilizzato per scopi specifici, in quanto lo si usa in modo più razionale. Le cause che hanno determinato il crollo della domanda vanno inoltre ricercate nel progressivo passaggio da una crescita quantitativa a una di tipo qualitativo, oltre che nell'espansione del terziario.

3.17

Nonostante il calo nei consumi di acciaio registrato a partire dal 1975, le capacità di produzione aumentarono nuovamente in modo significativo: solo tra il 1974 e il 1983 le capacità nominali di produzione mondiale di acciaio grezzo aumentarono di 150 milioni di tonnellate, mentre la domanda globale di acciaio relativa allo stesso periodo diminuì di 44 milioni di tonnellate. Contemporaneamente, le capacità produttive crebbero in misura considerevole nei «nuovi» paesi produttori d'acciaio e in quelli del blocco orientale. Nel 1974 l'eccedenza di capacità nominali a livello mondiale, rispetto all'effettivo consumo di acciaio, era pari a 130 milioni di tonnellate, cifra che quasi triplicò nell'arco di 10 anni (343 milioni di tonnellate).

3.18

Poiché all'epoca si riteneva che il crollo della domanda fosse un fenomeno puramente congiunturale, le capacità produttive non furono intaccate dai provvedimenti anticrisi, i quali peraltro non riuscirono a ridurre la pressione dell'offerta, a impedire guerre di prezzi sul mercato europeo dell'acciaio o a contenere il crollo dei prezzi. Le imprese che avevano costi di produzione elevati e riserve scarse si trovarono in crescente difficoltà e invocarono quindi il sostegno dello Stato, il quale generalmente rispose attraverso i governi nazionali. I problemi delle singole imprese divennero perciò i problemi dell'intero settore. Il sistema di autolimitazioni volontarie adottato dai membri della neonata associazione europea della siderurgia Eurofer finì per crollare quando tutte le grandi imprese cessarono di parteciparvi.

La regolamentazione forzata del mercato (1980-1985)

3.19

Nell'autunno del 1980, dopo il crollo del sistema su base volontaria, la Commissione fu costretta a dichiarare lo stato di crisi manifesta e a introdurre un sistema obbligatorio di quote di produzione (regime obbligatorio delle quote) valido per tutti gli impianti produttivi della CE. Da allora le quote di produzione furono stabilite dalla Commissione su base trimestrale, nell'ambito di un sistema che prevedeva la possibilità di sanzioni in caso di inadempimento. Per alcuni prodotti furono inoltre stabiliti dei prezzi minimi speciali. Tra i punti salienti del nuovo approccio rientravano la stabilizzazione dei prezzi e la riduzione delle capacità produttive a livelli socialmente e localmente sostenibili. Per ogni impresa produttrice di acciaio della CE furono stabilite quote di produzione e quote di immissione sul mercato comune, e vennero inoltre conclusi accordi di autolimitazione volontaria con 15 paesi importatori. Considerato il basso prezzo mondiale dei prodotti siderurgici, era importante evitare perdite alle esportazioni che, nelle condizioni imposte dal sistema di crisi, avrebbero richiesto ulteriori aiuti comunitari. All'inizio degli anni '90, circa il 70 % della produzione europea di acciaio era soggetta al regime delle quote.

3.20

In un primo momento, tuttavia, l'obiettivo politico di una graduale riduzione delle capacità produttive non fu raggiunto. Le speranze riposte in una ripresa della domanda e nell'eliminazione della concorrenza, nonché negli aiuti di Stato e nel contenimento dell'offerta, impedirono la riduzione delle capacità produttive nelle imprese meno competitive. La riduzione avvenne solo gradualmente grazie al secondo codice degli aiuti di Stato, che vincolava la concessione degli aiuti all'attuazione di un programma di ristrutturazione. Il regime obbligatorio delle quote, che inizialmente sarebbe dovuto durare solo fino al 1981, venne rinnovato di volta in volta per ragioni legate alla concorrenza.

3.21

Per raggiungere l'obiettivo della riduzione di capacità produttive, la Commissione scelse di ricorrere agli aiuti di Stato, vietati dal Trattato CECA, come strumento di pressione, e decise nel contempo di legalizzare una pratica precedentemente considerata illegale attraverso l'introduzione del codice degli aiuti. Parallelamente, però, invocò un regime di autorizzazioni giustificato dall'esigenza di ridurre le capacità produttive. Questa fase della politica di regolamentazione del settore siderurgico durò fino alla fine del 1985. Come contropartita all'approvazione degli aiuti di Stato, e sotto la tutela del regime delle quote, le capacità furono ridotte di circa 44 milioni di tonnellate di acciaio grezzo e di 32 milioni di tonnellate di acciaio laminato a caldo.

La graduale liberalizzazione del mercato (dal 1985)

3.22

Solo tra il 1983 e il 1985, le imprese del settore siderurgico ricevettero circa 15 miliardi di euro in forma di aiuti di Stato. Anziché armonizzare le regole sulla concorrenza, i responsabili politici sfruttarono troppo poco la possibilità di imporre alle imprese finanziariamente solide un ridimensionamento adeguato delle capacità di produzione. In questo modo esse rimandarono i necessari adeguamenti a lungo invocati dal mercato.

3.23

Nel 1985, nel dichiarare superata la crisi manifesta, la Commissione invocò un radicale riorientamento della politica comunitaria nel settore siderurgico. Poco dopo destinò aiuti di Stato per 15 miliardi di euro al fine di rendere più flessibile il sistema delle quote e quindi liberalizzare completamente il mercato. Così facendo, si riteneva che la riduzione delle sovraccapacità sarebbe stata indotta dalle forze del mercato, poiché ovviamente era impensabile che tale risultato fosse conseguito attraverso misure interventiste dettate da Bruxelles. La Commissione, tuttavia, ignorava che i miliardi di euro elargiti in aiuti fino alla fine del 1985 avrebbero contribuito alla competitività solo negli anni successivi. Entro la fine del 1986 essa ridusse drasticamente la quota di prodotti sottoposti a regolamentazione.

3.24

Nonostante la riduzione di capacità pari a circa 40 milioni di tonnellate e il taglio di decine di migliaia di posti di lavoro, il mercato continuava a essere oppresso da un potenziale di eccedenza produttiva pari a circa 25 milioni di tonnellate.

3.25

Dopo il 1987, l'aumento a breve termine della domanda rafforzò la tesi della Commissione secondo cui il settore siderurgico non doveva più essere considerato in crisi. Furono così abolite le misure a carattere regolamentare come i certificati di produzione e la registrazione obbligatoria delle quantità consegnate. La pressione sui governi nazionali e sulla Commissione aumentò finché, per arrestare in modo permanente il flusso delle sovvenzioni comunitarie, non si giunse all'approvazione del terzo (1985), del quarto (1989) e del quinto (1992) codice degli aiuti. In base al codice, negli Stati membri dell'UE sarebbero stati ammessi solo gli aiuti alla ricerca e allo sviluppo alla tutela ambientale, nonché alcuni aiuti specifici per ovviare alla chiusura di stabilimenti (3). Tali aiuti sarebbero provenuti nella quasi totalità dal fondo CECA, finanziato attraverso i contributi del settore carbosiderurgico.

3.26

Dopo una breve impennata nel 1990, la domanda di acciaio crollò nuovamente e anche i prezzi diminuirono di circa il 20 %. Nel 1992 gli appelli per un ulteriore intervento della Commissione tornarono a farsi sempre più frequenti: in particolare, le richieste riguardavano la realizzazione di previsioni trimestrali di produzione e di fornitura per singoli prodotti, la semplificazione delle fusioni, la protezione nei confronti delle importazioni provenienti dall'Europa orientale e gli aiuti alla ristrutturazione. Per ridurre la sovraccapacità si propose la creazione di un cartello di crisi strutturale, di un sistema di ripartizione dei costi tra le imprese e di una definitiva riduzione del 20 % delle capacità entro la fine del 1996, con il conseguente licenziamento di 50 000 dipendenti.

3.27

Tuttavia, la Commissione respinse l'idea di un cartello di crisi strutturale e di un nuovo sistema di quote di produzione; nel 1993 presentò quindi la propria proposta, che consisteva solo in misure indirette quali il finanziamento anticipato, da parte della Commissione, per la chiusura di capacità produttive, la promozione di fusioni e di cooperazioni per la produzione, la temporanea protezione del mercato siderurgico dalle importazioni dell'Europa orientale, una maggiore trasparenza del mercato attraverso informazioni sulla produzione e sulla fornitura all'interno dell'UE e misure sociali di accompagnamento volte a incoraggiare la riduzione delle capacità. Si avviò così un processo di ristrutturazione dell'industria siderurgica europea che portò a ridurre la produzione di altri 19 milioni di tonnellate e a sopprimere circa 100 000 posti di lavoro. Il modello del finanziamento anticipato, che era già stato approvato dal Consiglio dei ministri, non venne utilizzato.

3.28

Nel dicembre del 1993, a dispetto del quinto codice degli aiuti, il Consiglio dei ministri dell'UE, su proposta della Commissione, approvò all'unanimità - non senza far riferimento al carattere una tantum di tali aiuti - l'ulteriore stanziamento di quasi 7 miliardi di euro in aiuti di Stato destinati a diversi stabilimenti siderurgici UE, ottenendo in cambio una riduzione delle capacità produttive.

In sintesi:

3.29

Per quanto l'articolo 4, lettera c) del Trattato CECA avesse introdotto un divieto categorico degli aiuti di Stato, questa disposizione ha impedito solo in parte che gli Stati membri finanziassero le proprie imprese siderurgiche con la piena approvazione dei più alti livelli europei. Se è vero che gli oltre 70 miliardi di euro versati dai contribuenti fino alla scadenza del Trattato CECA hanno ritardato i necessari adeguamenti alle trasformazioni industriali, essi non hanno comunque potuto impedirne la realizzazione. La Commissione europea ha continuato anche negli anni '90 ad attenersi al principio fondamentale e ormai collaudato di concedere aiuti di Stato in cambio di una riduzione delle capacità, come è avvenuto ad esempio nel quadro della ristrutturazione delle industrie siderurgiche dei paesi PECO prossimi all'adesione.

3.30

Nel 1982 gli Stati membri della CE, aggirando il principio del libero mercato, trovarono un accordo politico per ripartire in modo equo il carico dei sacrifici derivanti dai tagli alla produzione. Ciò avvenne in violazione dell'articolo 2 del Trattato CECA, in base al quale la produzione di acciaio avrebbe dovuto effettuarsi là dove i costi di produzione risultavano inferiori. Anziché incoraggiare le imprese non redditizie a uscire tempestivamente dal mercato, prevedendo a tal fine degli ammortizzatori sociali, e riequilibrare quindi rapidamente i meccanismi della domanda e dell'offerta, gli Stati membri e la Commissione europea utilizzarono gli strumenti indicati dal Trattato CECA per le situazioni di crisi, il che non sempre andò a vantaggio di tutte le imprese siderurgiche. Si finì così per mantenere in vita capacità non redditizie, per ragioni sociali, regionali e di distribuzione, mentre quelle redditizie, soprattutto private, andarono perse assieme a posti di lavoro che, nell'ambito di un'analisi comparativa, sarebbero stati invece considerati sicuri.

3.31

Bisogna comunque ricordare che gli anni di crisi dell'industria siderurgica europea sono stati superati, anche se non senza difficoltà. L'industria siderurgica europea si è dotata ormai di strutture che la rendono competitiva a livello internazionale, anche se il prezzo da pagare a tal fine è stato molto elevato: oltre 550 000 posti di lavoro soppressi, perlopiù nel quadro di accordi sociali. Questo processo ha potuto essere condotto a termine solo grazie all'intenso dialogo tra le parti sociali.

Gli aiuti alla ricerca e allo sviluppo e il loro contributo alla promozione della competitività

3.32

Molte delle innovazioni tecniche che hanno trasformato l'industria siderurgica europea hanno preso avvio o si sono sviluppate in modo più approfondito nell'ambito del programma di ricerca della CECA autofinanziato attraverso i contributi del settore carbosiderurgico. L'intento del Trattato CECA era mettere a disposizione della ricerca comunitaria gli strumenti necessari per promuovere la competitività dell'industria in generale e per migliorare la sicurezza sul posto di lavoro.

3.33

Il primo programma di ricerca condotto sotto l'egida della CECA è stato varato nel 1955. Da quel momento, ingegneri e ricercatori all'avanguardia sul piano tecnologico hanno sempre più improntato il loro lavoro secondo un approccio europeo basato sulla cooperazione. L'industria siderurgica, e con essa la società europea, hanno beneficiato di questo tipo di collaborazione scientifica che consente di coordinare e unire gli sforzi e di mettere a disposizione di tutti i risultati ottenuti. Grazie ai continui miglioramenti, l'innovazione industriale ha conosciuto quindi un rapido progresso.

3.34

La ricerca condotta nell'ambito della CECA ha anche portato a risultati significativi in un settore di grande importanza per la società come la tutela ambientale. Grazie agli sforzi esercitati, le emissioni di anidride solforosa sono diminuite del 70 % e quelle di fuliggine del 60 %. Rispetto ai primi anni '80 le emissioni di biossido di carbonio si sono dimezzate, mentre la quantità di energia oggi utilizzata dalle imprese siderurgiche per produrre una tonnellata di acciaio è inferiore del 40 % a quella utilizzata 20 anni fa.

3.35

Inizialmente, il bilancio CECA relativo al 1955 prevedeva uno stanziamento annuo di soli 7 milioni di euro per la ricerca comunitaria. Negli anni '90 e nell'Europa dei 15, tuttavia, questa cifra è salita fino a raggiungere circa 50 milioni di euro all'anno. Inoltre, le attività condotte nell'ambito dei progetti comunitari volti a migliorare le procedure, i materiali e la tutela ambientale erano finanziate dal programma di ricerca CECA in misura del 60 %. A partire dal 1983, tuttavia, gli aiuti nel quadro di progetti pilota e di ricerca sono stati aumentati di un ulteriore 40 %.

3.36

In questo modo, ogni euro investito nella ricerca in ambito CECA produceva in media 13 euro. Non sorprende quindi che, al momento della scadenza del Trattato CECA, gli Stati membri abbiano deciso all'unanimità di utilizzare le restanti risorse derivate dai prelievi sulle imprese del carbone e dell'acciaio solo per portare avanti la ricerca in questo settore. In base agli orientamenti adottati, gli interessi annui del dopo-CECA, pari a circa 60 milioni di euro, verranno destinati esclusivamente alla ricerca nel settore carbonifero e siderurgico, in particolare - per quanto attiene all'acciaio - sui seguenti aspetti:

la concezione e l'ulteriore sviluppo di metodi di produzione e lavorazione,

lo sviluppo e l'applicazione di materiali,

il migliore utilizzo delle risorse,

la tutela ambientale e

la salute e la sicurezza sul posto di lavoro.

Per un'industria siderurgica competitiva all'inizio del 21o secolo

3.37

Al momento dell'ampliamento dell'Unione europea, l'industria siderurgica comunitaria possiede le capacità necessarie per competere a livello mondiale. Negli ultimi anni, infatti, essa ha rafforzato la propria posizione non solo in termini tecnici ed economici, ma anche dal punto di vista della tutela ambientale. Alcune imprese un tempo statali hanno fatto un uso mirato del sostegno finanziario ricevuto e, grazie ad alcuni adeguamenti tecnologici e a uno snellimento delle strutture, hanno conquistato posizioni di primo piano sul mercato mondiale.

3.38

L'industria siderurgica è riuscita ad adeguarsi alle esigenze della globalizzazione e dello sviluppo sostenibile, mostrando così di aver tratto i dovuti insegnamenti dalle crisi degli anni '70, '80 e '90. Attualmente la competitività del settore siderurgico ha raggiunto un livello tale per cui, anche in periodi di congiuntura negativa, è in grado di restare per lo più in attivo.

3.39

La robusta domanda di acciaio sul mercato interno comunitario mette in evidenza i notevoli sforzi compiuti dalle imprese europee per razionalizzare i costi e migliorare nel contempo la qualità e l'attenzione al cliente. Grazie a operazioni di fusione e di acquisizione, ma anche all'aumento dell'efficienza e al taglio dei costi, i produttori europei di acciaio hanno gettato le basi per la competitività del settore nel 21o secolo. I termini «aiuti al salvataggio» e «aiuti alla ristrutturazione» sono ormai scomparsi dal loro vocabolario. Nel sostenere fermamente la necessità di mantenere le severe disposizioni in materia di aiuti di Stato anche dopo la scadenza del Trattato CECA, le acciaierie europee hanno sottolineato la loro volontà di vedere definitivamente tramontata l'era della mentalità assistenzialista e delle distorsioni della concorrenza.

3.40

Tuttavia, i processi di consolidamento e di trasformazione industriale sono tutt'altro che conclusi. Alcune imprese, ad esempio, stanno già cercando di realizzare fusioni transcontinentali. L'emergere della Cina come potenza industriale sta esercitando una pressione considerevole sulla competitività delle imprese europee. A ciò si aggiunga che il costante aumento del fabbisogno di acciaio della Cina sta aggravando la situazione della domanda sui mercati internazionali di materie prime. Ad esempio, per quanto riguarda i minerali ferrosi e le scorie metalliche, le importazioni cinesi stanno provocando l'esaurimento delle scorte sui mercati mondiali, con la conseguente esplosione dei prezzi delle materie prime e delle tariffe di trasporto.

3.41

Anche il ritmo delle trasformazioni strutturali delle industrie siderurgiche dei nuovi Stati membri è attualmente in fase di accelerazione. Le sfide che essi devono affrontare riguardo alla ristrutturazione delle loro industrie sono in qualche modo paragonabili alla situazione in cui versava l'Europa occidentale 25 anni fa, nonostante il fatto che i mercati oggi siano molto più globalizzati di allora. Alla luce di questa situazione, è fondamentale che i partner dell'Europa centrale e orientale traggano profitto dalle esperienze maturate dai paesi europei occidentali, compreso il dialogo sociale, nel ristrutturare le rispettive industrie siderurgiche.

3.42

In base agli accordi europei dei primi anni '90, i paesi PECO si sono impegnati, in cambio di speciali aiuti durante la fase di transizione (il cosiddetto «periodo di grazia»), a procedere a efficaci azioni di ristrutturazione e a un taglio sostanziale delle eccedenze produttive, nonché a dimostrare che le imprese beneficiarie di aiuti hanno migliorato il proprio rendimento. Per garantire una concorrenza libera e leale nel mercato europeo dell'acciaio anche dopo l'allargamento, i Trattati di adesione impongono ai nuovi Stati membri di attenersi alle disposizioni attualmente in vigore all'interno dell'UE (per esempio, le direttive e le decisioni quadro nei settori della concorrenza e degli aiuti di Stato, della fiscalità, dell'ambiente, delle politiche sociali, ecc.). La Commissione europea deve esercitare un controllo rigoroso per sincerarsi che gli aiuti di Stato concessi dai governi nazionali dei PECO siano compatibili con le severe norme concordate a livello comunitario in materia di aiuti. Essa deve inoltre verificare che le capacità di produzione non redditizie vengano effettivamente ridotte, come previsto, in funzione della domanda reale.

4.   L'attuale regime di aiuti comunitari nel settore siderurgico: un modello per gli accordi internazionali in materia di aiuti?

4.1

Nel marzo 2002, le conseguenze provocate negli Stati Uniti dalla difficile situazione del mercato mondiale dell'acciaio hanno indotto l'amministrazione americana a proteggere il mercato interno introducendo dazi di importazione temporanei, conformemente all'articolo 201 dello US Trade Act (la legge americana sul commercio), in violazione delle disposizioni dell'OMC. Data l'estrema volatilità degli scambi di acciaio, dovuta a sua volta alle inefficienti sovraccapacità produttive esistenti a livello mondiale, l'amministrazione Bush ha annunciato di essere favorevole all'apertura di negoziati internazionali per ridurre tali sovraccapacità e per tagliare su scala mondiale gli aiuti di Stato all'industria siderurgica.

4.2

Gli Stati membri dell'UE e la Commissione europea sostengono tutti gli sforzi tesi a una più rigida regolamentazione degli aiuti di Stato all'industria siderurgica a livello mondiale. L'avvio, nel dicembre 2002, di negoziati multilaterali sotto l'egida dell'OCSE a Parigi ha permesso all'UE di proporre che il proprio collaudato regime di aiuti all'industria siderurgica funga da base per un accordo internazionale in materia.

4.3

Il Comitato economico e sociale europeo sostiene l'azione della Commissione, anche se l'industria siderurgica europea sembra dubitare fortemente che altri Stati e regioni siano davvero intenzionati a tagliare i sussidi e quindi a siglare un accordo in materia di aiuti al settore siderurgico, con tutti gli obblighi di notifica e di sanzioni che ciò comporterebbe. Il Comitato esprime inoltre preoccupazione nel constatare che le questioni relative agli aiuti e alle capacità non formano oggetto di discussione parallelamente alla questione degli strumenti di difesa commerciale, i quali vengono spesso utilizzati in modo ingiustificato e sono quindi fonte di distorsioni del mercato.

4.4

Per quanto riguarda il campo di applicazione di un eventuale accordo internazionale sugli aiuti al settore siderurgico, i produttori europei osano più di quanto non facciano i rappresentanti nazionali che partecipano ai negoziati dell'OCSE. Essi infatti sono unanimi nel chiedere che un tale accordo vieti tutti gli aiuti di Stato tesi ad aumentare le capacità o a mantenere capacità non redditizie. Questa richiesta, quindi, non concerne solo gli aiuti specifici concessi a un numero limitato di produttori, ma anche gli aiuti non specifici o generici.

4.5

Il Comitato economico e sociale europeo condivide la posizione dei produttori di acciaio europei, secondo i quali gli aiuti di Stato andrebbero concessi solo nella misura in cui non influiscono negativamente sullo sviluppo delle capacità produttive, sulla concorrenza leale e sui flussi commerciali. Ciò premesso, nell'ambito dei negoziati OCSE il Comitato è favorevole alle seguenti deroghe:

aiuti nei casi di chiusura definitiva, compresi quelli destinati ad attività di smantellamento, di risanamento dei terreni e di attenuamento dell'impatto sociale provocato dalle chiusure,

aiuti limitati e ben definiti per la ricerca e lo sviluppo e per la tutela ambientale, comprese le riduzioni d'imposta sull'energia/ecotasse. Per quanto concerne la tutela dell'ambiente, è necessario chiarire che gli aiuti di Stato non saranno concessi per l'adeguamento delle imprese agli standard ambientali obbligatori, né d'altronde l'industria siderurgica avanza richieste in tal senso. Sono tuttavia ammessi aiuti limitati per investimenti volontari, al fine di incentivare le imprese a superare la soglia minima di adeguamento agli standard ambientali europei nell'esercizio delle loro attività produttive.

4.6

Nel contesto dell'accordo sui sussidi si dovrebbe tenere conto del fatto che almeno alcune economie in via di sviluppo possiedono già industrie siderurgiche pienamente competitive. I produttori di acciaio dei paesi in via di sviluppo o emergenti godono di vantaggi competitivi in termini di basso costo della manodopera, di accesso alle materie prime, di norme ambientali meno severe e di protezione dei dazi d'importazione elevati. Di conseguenza, gli aiuti di Stato alle imprese siderurgiche di queste economie possono essere ammessi solo a condizione che:

vengano concessi sulla base di una valutazione caso per caso, in relazione alla situazione in cui versano l'impresa e il paese, e controllando l'uso delle risorse finanziarie in funzione degli obiettivi a cui sono destinate,

siano sottoposti a scadenze rigide,

siano utilizzati nel contesto di un piano di ristrutturazione già approvato che garantisca la redditività a lungo termine delle imprese interessate,

contribuiscano, in circostanze normali, a una riduzione delle capacità e in nessun caso al loro aumento.

5.   Conclusioni

5.1

Dalle esperienze acquisite nel contesto della ristrutturazione dell'industria siderurgica europea, si evince che gli aiuti di Stato sono una lama a doppio taglio: se vengono concessi come aiuti al funzionamento, finiscono a beneficio esclusivo di qualche impresa e conducono a investimenti sbagliati, oltre che al mantenimento a medio termine sul mercato di capacità non competitive. Se però vengono concessi nell'ambito di un programma di ristrutturazione concordato, possono contribuire ad attenuare l'impatto sociale e quindi a promuovere l'accettazione e le conseguenze provocate dalle trasformazioni industriali. Nella gestione di tale processo lo strumento del dialogo sociale ha dimostrato la propria efficacia.

5.2

È lecito inoltre chiedersi se non sarebbe stato possibile fare un miglior uso delle ingenti somme di denaro versate dai contribuenti, destinandole per esempio alla formazione e alla ricerca.

5.3

Un ulteriore problema riguarda il fatto che durante gli anni di crisi del settore, nonostante la posizione giuridica relativa agli aiuti di Stato (articolo 4, lettera c) del Trattato CECA) sembrasse chiara (divieto di tutti gli aiuti di Stato), in realtà essa venne mitigata dai vari codici degli aiuti e da diverse decisioni del Consiglio dei ministri e sentenze di tribunali, tanto da diventare imprevedibile. Le imprese siderurgiche avvertivano una certa mancanza di sicurezza in termini di condizioni quadro e di pianificazione.

5.4

Nel contesto dell'adesione di 10 o 12 nuovi Stati membri, è sempre più importante insistere sulla necessità di una rigida applicazione delle regole sugli aiuti alle imprese siderurgiche e di una rapida capacità di reagire a eventuali violazioni, come nel caso del gruppo USS Kosice.

5.5

Gli errori commessi dall'Europa dei 15 non devono ripetersi.

5.6

I negoziati OCSE - nel frattempo interrotti - hanno un senso solo se contribuiranno a migliorare stabilmente la situazione attuale, cioè se:

non si prevederanno concessioni eccessive per i paesi emergenti, in via di sviluppo o in fase di transizione,

non si imporrà alcun divieto alla necessaria regolamentazione nell'UE in relazione alla ricerca e allo sviluppo, alle misure ambientali (prevedendo ad esempio tetti massimi per i costi di adeguamento imposti alle imprese in relazione a misure ambientali, onde evitare distorsioni della concorrenza), e alla chiusura di capacità improduttive,

non si introdurranno dazi compensativi sulle esportazioni di acciaio in risposta agli esoneri previsti.

Bruxelles, 27 ottobre 2004.

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  La comunicazione COM(2004) 274 def. è attualmente presa in esame nel parere CCMI/017 (relatore: van Iersel) e nel parere d'iniziativa CCMI/014 in tema di delocalizzazione delle imprese (relatore: Rodriguez Garcia-Caro).

(2)  L'ultima deroga al divieto generale di concedere aiuti di Stato, scaduta nel 2000, ha riguardato gli aiuti regionali all'investimento concessi ad alcuni produttori greci di acciaio.

(3)  Accanto a queste forme di aiuto esistevano alcuni tipi isolati di aiuti regionali agli investimenti, i quali però erano circoscritti al Portogallo, alla Grecia e al territorio dell'ex RDT.


20.5.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/47


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La sicurezza sanitaria: un obbligo collettivo, un diritto nuovo

(2005/C 120/10)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 28 gennaio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere sul tema: La sicurezza sanitaria: un obbligo collettivo, un diritto nuovo.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 settembre 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore BEDOSSA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 ottobre, nel corso della 412a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 164 voti favorevoli, 3 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Per i cittadini europei la «sicurezza sanitaria», che è uno degli elementi fondamentali della sanità pubblica, presuppone, oltre all'istituzione da parte degli organi competenti di un chiaro principio di responsabilità collettiva (se del caso anche nell'eventualità di bioterrorismo), la possibilità di esercitare il loro nuovo diritto ad un'informazione chiara in merito alle decisioni assunte dagli organi preposti alla vigilanza in materia.

1.2

Sicurezza sanitaria e sistema di assistenza medica sono due concetti che vengono abitualmente accostati, anche se in maniera implicita; sul concetto di «sanità pubblica», invece, pesano ancora un retaggio sociologico e abitudini cliniche fondate sulla performance diagnostica e terapeutica di tipo individuale.

1.3

In una fase ove gli eventi traumatici che hanno colpito l'Europa rivelano chiaramente che il rischio sanitario non è più di esclusiva competenza del settore medico, ma ha sensibili ripercussioni anche sul piano sociopolitico, delineare una strategia di sicurezza sanitaria è diventata una responsabilità collettiva, che incombe anzitutto ai responsabili politici: i cittadini devono ormai poter avere la garanzia di una tutela in materia.

1.4

La sicurezza sanitaria non nasce dal nulla, ma si innesta, completandoli, sugli ambiti tradizionali della sanità pubblica (in particolar modo sull'epidemiologia), poggia sulla riflessione e sui sistemi di controllo istituiti per i farmaci e si impone man mano che vengono scoperti gli effetti iatrogeni di qualunque pratica medica.

1.5

L'applicazione del principio di sicurezza sanitaria non si discosta in alcun modo dalla prassi medica. Essa procede per tappe e si compone di una serie di scelte probabilistiche effettuate ad un dato momento sulla base di un'analisi dei costi e dei benefici e di una valutazione dei rischi. La qualità della sicurezza sanitaria rispecchia la qualità del sistema di assistenza medica.

1.6

Se la sicurezza sanitaria si fonda su una prassi di tipo medico, è tuttavia urgente elaborare una metodologia che le sia propria: un autentico impegno d'intervento pubblico. Naturalmente, il campo di applicazione della sicurezza sanitaria non si riduce a questo, ma si estende in funzione dei continui progressi della scienza medica.

1.7

Il concetto di «sicurezza sanitaria» è per forza di cose dinamico: in particolare nel caso della minaccia di attacchi bioterroristici non può fondarsi su soluzioni preconfezionate. Occorre trovare un punto di equilibrio tra, da un lato, la ricerca impossibile di una sicurezza assoluta e, dall'altro, l'omissione o astensione terapeutica. L'efficienza crescente del sistema sanitario richiede necessariamente una sicurezza sanitaria. Detto ciò, non va dimenticato il confronto con la situazione nei paesi più svantaggiati, il cui unico problema, attualmente, è ancora quello di creare i presupposti di un sistema sanitario pubblico.

1.8

All'interno dell'Unione europea, più prospera e fedele ai metodi di mutualizzazione, ossia di equa ripartizione dei rischi, la sfida attuale è quella d'istituzionalizzare il concetto di sicurezza sanitaria. Per discutere le decisioni da prendere in materia, e, soprattutto, per renderle pubbliche, occorre avvalersi di tutti gli strumenti esistenti, in modo da offrire ai cittadini dell'Unione europea un'alternativa al panico o alla dissimulazione dei pericoli, unico modo per consentire all'Unione di diventare una democrazia matura in tema di sanità pubblica.

2.   Cronistoria delle politiche dell'Unione europea in materia

2.1

Fino al momento della firma del Trattato di Maastricht sull'Unione europea, il 7 febbraio 1992, la normativa comunitaria affrontava solo marginalmente le politiche sanitarie. Il Trattato che istituisce la Comunità europea dell'energia atomica (Euratom), del 25 marzo 1957, conteneva disposizioni specifiche relative alla protezione sanitaria della popolazione dai pericoli derivanti dalle radiazioni ionizzanti.

2.2

Nel Trattato di Roma del 25 marzo 1957, invece, la «tutela della salute» era semplicemente citata nell'articolo 36, che recita:

2.2.1

«Le disposizioni degli articoli da 30 a 34 inclusi lasciano impregiudicati i divieti o restrizioni all'importazione, all'esportazione e al transito giustificati da motivi di moralità pubblica, di ordine pubblico, di pubblica sicurezza, di tutela della salute e della vita delle persone e degli animali o di preservazione dei vegetali, di protezione del patrimonio artistico, storico o archeologico nazionale, o di tutela della proprietà industriale e commerciale. Tuttavia, tali divieti o restrizioni non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al commercio tra gli Stati membri».

2.3

L'introduzione di un articolo 118 A nell'Atto unico europeo, del 1986, aveva esteso le competenze delle istituzioni comunitarie in materia poiché conferiva alla Commissione europea il potere di avanzare proposte in ambito sanitario, prendendo come criterio di riferimento un «livello elevato di protezione».

2.4

L'articolo 130 R del Trattato di Roma, aggiunto con l'Atto unico europeo, contiene un altro riferimento indiretto alla tutela della salute: esso dispone che l'azione della Comunità in materia ambientale contribuisce tra l'altro a perseguire la «protezione della salute umana».

2.5

Il Trattato sull'Unione europea ha introdotto profonde modifiche nell'approccio che la costruzione europea riserva al tema della salute, tramite l'introduzione di un nuovo Titolo X, denominato «Sanità pubblica», ai sensi del quale «la Comunità contribuisce a garantire un livello elevato di protezione della salute umana». Il paragrafo 4 dello stesso articolo 129 dispone che il Consiglio, per contribuire alla realizzazione degli obiettivi del Trattato, adotta o azioni d'incentivazione in conformità della procedura di cui all'articolo 189 B, o raccomandazioni.

2.6

Parimenti, il concetto di protezione della salute traspare da altri articoli del Trattato sull'Unione europea: ad esempio, l'articolo 129 A, dedicato alla protezione dei consumatori, fa esplicito riferimento alla tutela della salute e della sicurezza dei consumatori.

2.7

Una chiara cornice giuridica consentirà alle istituzioni europee di svolgere la propria azione nel campo della sanità pubblica: tale contesto giuridico dovrebbe essere migliorato grazie all'articolo 179 del progetto di Trattato che istituisce una Costituzione per l'Europa:

«1.

Nella definizione e nell'attuazione di tutte le politiche e attività dell'Unione è garantito un livello elevato di protezione della salute umana.

2.

L'azione dell'Unione, che completa le politiche nazionali, si indirizza al miglioramento della sanità pubblica, alla prevenzione delle malattie e affezioni e all'eliminazione delle fonti di pericolo per la salute fisica e mentale. Tale azione comprende la lotta contro i grandi flagelli — favorendo la ricerca su cause, propagazione e prevenzione — l'informazione e l'educazione in materia sanitaria …»

2.8

L'impatto delle strutture di nuova creazione (come l'Agenzia europea di valutazione dei medicinali) può essere tanto maggiore in quanto le istituzioni europee sono impegnate nel potenziamento della cooperazione con i paesi terzi e con le grandi organizzazioni internazionali (in particolare l'OMS, il Consiglio d'Europa, l'OCSE, l'Agenzia internazionale per l'energia atomica - per quanto riguarda la radioprotezione -, l'Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo delle droghe e la prevenzione del crimine nel campo delle tossicomanie): tale attività di cooperazione va proseguita e consolidata.

3.   I principi della sicurezza sanitaria

3.1   La decisione sanitaria

3.1.1

La decisione medica si colloca in un contesto caratterizzato dall'incertezza. Questa riguarda la conoscenza delle patologie, degli effetti delle cure e dei rischi ivi inerenti; l'imprecisione delle informazioni mediche sul paziente, della scelta delle analisi complementari e delle apparecchiature mediche; le lacune dell'anamnesi, effettuata sotto l'effetto dell'emozione o della paura; la generale approssimazione dell'esame clinico.

3.1.2

Un atto medico è spesso il prodotto di una serie a cascata di decisioni probabilistiche assunte in una situazione di incertezza: tanto più una diagnosi o una cura richiedono scelte e decisioni, tanto maggiore è il rischio, ovvero la probabilità, di commettere un errore, senza peraltro che l'errore stesso abbia necessariamente natura colposa.

3.1.3

Qualsiasi decisione o atto medico contiene un elemento imponderabile: un decorso imprevedibile allo stato attuale della scienza, frutto di un rischio statistico ineluttabile ed inerente all'esercizio della medicina.

3.1.4

All'origine dell'insicurezza sanitaria si trovano fattori umani – la colpa o l'errore involontario dell'operatore sanitario – e cause oggettive, come i rischi noti ma statisticamente inevitabili allo stato delle conoscenze scientifiche, e i rischi sconosciuti e sempre possibili.

3.1.5

Non è possibile affrontare il tema della sicurezza sanitaria senza ricordare questi aspetti basilari della decisione medica. Quando sono in gioco la salute o la vita risulta spesso difficile accettare di chiedere solamente il possibile; la pratica medica non può però mai essere esente da rischi, perché il rischio è inerente alla vita.

3.2   Il rapporto rischi-benefici

3.2.1

Ogni decisione sanitaria presenta le stesse caratteristiche della decisione medica: astenersi dall'agire rappresenta una decisione alla stregua di un'azione, e anche tale scelta può configurare una colpa.

3.2.2

È necessario soppesare il rischio terapeutico e i rischi derivanti da un'evoluzione spontanea delle condizioni cliniche. In ambito sanitario il rifiuto irrazionale del rischio costituisce un atteggiamento irresponsabile alla stregua dell'indifferenza al rischio.

3.2.3

Questa cultura della valutazione in termini di rapporto rischi/benefici è lungi dal prevalere in una società europea che è riuscita a ridurre sensibilmente i rischi naturali.

3.2.4

Per valutare la sicurezza sanitaria di un atto o di un prodotto occorre collocarsi su una scala di rischio che consenta di determinare non già il rischio-zero, bensì il rischio minore. In questo equilibrio rischi/benefici occorre tener presenti cinque aspetti del rischio:

la sua entità

la sua effettiva sussistenza

la sua frequenza

la sua durata

la sua necessità.

3.2.5

Spetta allora ai pubblici poteri, esposti alle pressioni convergenti o contraddittorie dell'opinione pubblica e degli operatori sanitari, scegliere fra le due opzioni: in caso di dubbio, attenersi all'ipotesi più pessimistica (quindi all'atteggiamento più conservatore) in termini di salute pubblica oppure optare per la valutazione più plausibile.

3.2.6

Va inoltre considerato che talora la decisione sanitaria interviene in una situazione di crisi. In tal caso le autorità sono esposte all'accumulo dei problemi da risolvere, al cattivo funzionamento di determinati sistemi nonché a profonde divergenze in merito alle decisioni da assumere.

3.2.7

Per non farsi travolgere dall'emergenza, evitando di cedere all'improvvisazione, occorre poter contare su processi di valutazione, controlli e interventi predefiniti e collaudati: è per questo che occorrono sia una riflessione in merito alle emergenze passate, sia una metodologia per la sicurezza sanitaria.

3.2.8

A prescindere dalle tutele di ordine medico-scientifico, nella valutazione del rapporto rischi/benefici interviene spesso, in ultima analisi, l'intima convinzione del soggetto.

4.   I fattori medici della sicurezza sanitaria

La sicurezza sanitaria si definisce attraverso cinque fattori fondamentali.

4.1   La vigilanza sanitaria

4.1.1

Così come la sorveglianza epidemiologica rappresenta una componente essenziale della protezione della salute pubblica, per garantire la sicurezza sanitaria occorre predisporre una vigilanza sanitaria specifica, da attuare mediante un Centro europeo per la vigilanza sanitaria (cfr. punto 6.3).

4.1.2

Questo tipo di vigilanza ha il compito di individuare gli incidenti medici e le patologie iatrogene, di identificare gli effetti imprevisti o indesiderabili collegati all'impiego di protocolli terapeutici, di eseguire controlli e analizzare le conclusioni, nonché di valutare l'efficienza dei sistemi d'intervento sanitario: essa comprende pertanto funzioni essenziali ai fini della sicurezza sanitaria.

4.1.3

La vigilanza sanitaria si sta attualmente sviluppando anche a livello internazionale: sotto l'egida dell'OMS e dell'Unione europea sono stati infatti messi a punto sistemi di scambio d'informazioni e di allerta reciproca.

4.1.4

Forme di cooperazione a tutti i livelli, in tutte le discipline e nei cinque continenti sono state create per mezzo di accordi multilaterali: esse consentono di adottare tempestivamente le misure atte a garantire al meglio la sicurezza sanitaria.

4.2   La scelta delle strategie terapeutiche

4.2.1

La qualità e la sicurezza nella scelta della strategia terapeutica più idonea dipendono in primo luogo dallo stato delle conoscenze scientifiche, e quindi delle conoscenze in possesso dell'operatore sanitario:

la ricerca medica e farmaceutica, con i progressi terapeutici o diagnostici che vi si collegano, è ovviamente il principale fattore di progresso di tali conoscenze,

la formazione di base in medicina rappresenta il secondo fattore chiave della sicurezza sanitaria per quanto attiene alla scelta delle strategie, all'adeguamento della formazione iniziale allo stato della scienza nonché all'organizzazione del sistema sanitario,

il terzo elemento è rappresentato dall'aggiornamento professionale permanente nel settore medico: come in tutti i campi che comportano rischi elevati e un alto livello di sviluppo tecnologico, l'assimilazione delle scoperte più recenti è uno dei fattori decisivi della sicurezza,

l'ultimo elemento che concorre alla sicurezza delle scelte terapeutiche è la valutazione medica, che è diventata il trait d'union tra la ricerca, la formazione e la pratica quotidiana degli operatori sanitari,

la valutazione medica può definirsi come l'insieme delle procedure di controllo della qualità di un sistema di assistenza medica,

la valutazione delle tecniche e delle strategie diagnostiche e terapeutiche consiste nella valutazione degli strumenti resi disponibili agli operatori sanitari: tecniche mediche, metodi diagnostici, farmaci, complesso di procedure e servizi,

le caratteristiche della valutazione della qualità delle cure prestate possono essere enunciate nei termini utilizzati dall'OMS:

«Consentire che ad ogni paziente venga assicurato il complesso di interventi diagnostici e terapeutici atto ad offrirgli il miglior risultato possibile in termini di salute, conformemente allo stato attuale della scienza, al miglior costo per il medesimo risultato, al livello minimo di rischio iatrogeno, e a garantirgli la maggior soddisfazione in termini di procedure, risultati e contatti umani all'interno del sistema di cure».

La valutazione deve infine definire dei parametri, ossia elaborare raccomandazioni basate su un consenso più o meno vasto all'interno di un collegio medico, di un istituto od associazione di scienziati, denominati «conferenze di consenso», al fine di definire linee di condotta.

4.3   L'erogazione delle cure e delle prestazioni mediche

4.3.1

Il rispetto degli obblighi in materia è posto sotto il controllo degli organi competenti, mentre una giurisprudenza ampia e costante precisa il cosiddetto «obbligo di mezzi» per gli operatori sanitari e la nozione di cure scrupolose, attente e conformi ai dati scientifici disponibili.

4.3.2

Naturalmente l'esecuzione delle prestazioni dipende dai regimi di sicurezza sanitaria, assai diversi a seconda della natura degli atti e dell'esistenza di rischi «naturali».

4.3.3

Solo il confronto tra le difficoltà inerenti all'erogazione delle prestazioni, in parte imputabili a rischi statisticamente evitabili, anche se marginali, permette di stabilire le condizioni di sicurezza sanitaria da rispettare. In questo campo il livello normale di sicurezza sanitaria accettato ed atteso è fissato tramite una sorta di valutazione rischi/benefici.

4.4   Organizzazione e funzionamento delle strutture assistenziali

La sicurezza sanitaria dipende in larga misura dalla qualità dell'organizzazione e del funzionamento del sistema di assistenza medica,

in effetti la sicurezza sanitaria impone a tutti gli stabilimenti pubblici o privati un obbligo di mezzi, i quali sono previsti da apposite regolamentazioni e sottoposti ad autorizzazioni specifiche. Il sistema sanitario dev'essere in grado di rispondere alle necessità delle popolazioni e di garantire l'assistenza sanitaria in condizioni di sicurezza ottimali.

4.5   L'impiego dei beni sanitari

4.5.1

I prodotti e i beni sanitari utilizzati ai fini della prevenzione, della diagnostica o del trattamento sono sottoposti a regolamentazioni rigorose, dette «regolamentazioni topiche» che disciplinano rispettivamente:

farmaci

dispositivi medici utilizzati in medicina

prodotti di origine umana

reagenti di laboratorio

base giuridica dei prodotti e elementi di corpi umani utilizzati a fini terapeutici.

4.5.2

Le regole di sicurezza sanitaria applicabili a tali prodotti e strumenti costituiscono una vera e propria catena di sicurezza.

5.   Proposte e raccomandazioni del CESE

5.1   Fattori amministrativi della sicurezza sanitaria

5.1.1

Negli Stati dell'UE la sanità pubblica non ha ancora preso in considerazione i principi della sicurezza sanitaria.

5.1.2

Quest'ultima non è né il risultato di un'equazione, né la semplice applicazione di soluzioni preconfezionate, ma si fonda sul principio di precauzione e sul principio del contraddittorio.

5.1.3

La sicurezza sanitaria richiede una sensibilizzazione ed un'articolazione transfrontaliera degli interventi. È meglio evitare l'illusione di una «linea Maginot» capace di arginare facilmente la prossima epidemia: i rischi sanitari sono infatti proteiformi, infinitamente variabili ed in genere imprevedibili, dal momento che i comportamenti di fronte alla malattia evolvono, i virus si trasformano, gli agenti infettivi evolvono o si dissimulano.

5.2   Un chiaro riconoscimento delle competenze

5.2.1

Quando mancano strumenti giuridici preposti alla tutela della salute pubblica, in numerosi Stati dell'Unione europea è invalsa l'abitudine di utilizzare vie traverse o insicure, come il ricorso abusivo alla regolamentazione della sicurezza sociale, confondendo così problemi sanitari ed economici in un'unica discussione. Se è lecito valutare i costi della salute e cercare di addivenire ad un utilizzo quanto più possibile razionale delle limitate risorse che le sono allocate, sovrapporre le due problematiche è invece un'opzione gravida di rischi.

5.2.2

Una cosa è valutare l'efficienza, la qualità e l'innocuità di un prodotto o di una terapia, altra cosa è decidere in merito al suo risarcimento da parte dei regimi di sicurezza sociale. La difficoltà di prendere decisioni in materia di sanità pubblica è accentuata dall'esistenza di poteri in concorrenza tra loro.

5.2.3

Definire le competenze significa definire le responsabilità, e dunque identificare chi esercita l'autorità sanitaria e chi ne sostiene il peso morale, amministrativo e/o giudiziario. La responsabilità non può essere assunta pienamente fintantoché la normativa in vigore continua a favorire, con lacune o ambiguità, conflitti e interventi capaci di falsare le scelte da compiere.

5.3   Un'amministrazione sanitaria riconosciuta

5.3.1

A livello europeo l'amministrazione in materia di sanità pubblica è deficitaria e dispone di un supporto giuridico debolissimo. A causa della scarsità dei mezzi a disposizione è inoltre priva di legittimità medica. Tale situazione impone dei miglioramenti sostanziali.

5.3.2

L'intervento pubblico può essere efficace solo nella misura in cui può contare su una reale legittimità; dal canto suo, l'amministrazione sanitaria non può esercitare pienamente i suoi compiti in materia di sicurezza sanitaria se non è investita di una duplice legittimità, garantita dal riconoscimento da parte sia delle autorità competenti di ogni Stato dell'Unione europea sia, naturalmente, dell'opinione pubblica – ovvero dei consumatori/pazienti.

5.3.3

La credibilità scientifica e medico-tecnica presuppone non solo il rafforzamento dei mezzi, il reclutamento di personale tecnico di alto livello, ma anche la cooperazione di tutte le istituzioni comunitarie e nazionali.

5.3.4

Sono state identificate cinque funzioni fondamentali: raccomandazione, monitoraggio, controllo, esame specialistico e valutazione.

5.3.5

L'allestimento della rete europea di sanità pubblica esprime la volontà di tutti i poteri pubblici europei di collegare tra loro i soggetti responsabili della sanità pubblica e di conferire agli strumenti di vigilanza sanitaria esistenti in ogni paese dell'Unione europea una rinnovata coerenza ed efficacia.

5.4   La necessità di una valutazione specialistica esterna all'amministrazione

5.4.1

Qualunque sia l'eccellenza tecnico-scientifica dei servizi di sicurezza sanitaria, nell'assolvere i compiti di sicurezza sanitaria occorre obbligatoriamente applicare il principio, tradizionale e collaudato, del contraddittorio.

5.4.2

Il ricorso a esperti indipendenti risponde alla preoccupazione di rendere disponibili alle autorità europee le competenze più autorevoli o specializzate, il che consente, attraverso il dialogo, di affinare e di completare l'informazione che prelude alla decisione.

5.4.3

Nei settori più sensibili o specifici sembra persino indispensabile estendere la valutazione specialistica esterna ad esperti stranieri di levatura mondiale. Una simile apertura internazionale può generare un consenso che si imponga in tutti i paesi interessati, evitando così sfasamenti nel tempo che danneggerebbero tutti (malati ed altri soggetti).

5.4.4

Il giudizio specialistico può trascendere le abitudini particolari riconducibili alle diversità culturali nella somministrazione delle cure ed alle modalità della formazione degli operatori sanitari nei vari paesi.

5.5   La separazione delle funzioni di esperto, di decisore e di dirigente sanitario (responsabile amministrativo)

5.5.1

Il potere di polizia sanitaria, che in pratica consiste nella competenza del decisore (autorizzare o meno, vietare o meno) può essere esercitato legittimamente solo se vengono tenuti presenti tutti i dati relativi al problema di sanità pubblica considerato.

5.5.2

Ciò che conta è sempre vagliare il rapporto rischi/benefici. La valutazione non può avere un carattere puramente scientifico, né deve essere imposta dai dirigenti sanitari ovvero da altri soggetti interessati alla sua diffusione su un piano materiale o intellettuale.

5.5.3

Oltre a chiarire i ruoli di esperto e di decisore è indispensabile garantire la trasparenza del legame tra esperti e dirigenti sanitari. Occorre introdurre e rispettare una rigorosa etica della valutazione - principio non sempre di evidente attuazione, in particolar modo quando il problema posto è estremamente specifico: gli esperti sono allora poco numerosi e, spesso, intrattengono rapporti stretti con le istituzioni o le imprese interessate.

5.5.4

La trasparenza che deve presiedere al processo decisionale in tema di sicurezza sanitaria richiede che ogni esperto rilasci alle autorità sanitarie una dichiarazione relativa ai legami che egli può intrattenere con organismi, imprese o persone interessati dalle valutazioni specialistiche.

5.5.5

La Comunità europea ha avviato il lavoro di definizione di tali procedure: la generalizzazione delle procedure di trasparenza, invocata dagli stessi esperti, è il miglior modo per garantire l'obiettività delle valutazioni.

5.6   La trasparenza in merito alle procedure di decisione

5.6.1

Le nuove emergenze sanitarie hanno la caratteristica di tutte le innovazioni: esse disturbano e mettono in questione certezze o abitudini.

5.6.2

In entrambi i casi l'atteggiamento intellettuale dev'essere il medesimo, e consiste nel «mettersi all'ascolto dei silenzi».

5.6.3

In effetti, a prescindere dalla qualità del sistema di vigilanza istituito, non si può ignorare l'eventualità di un obnubilamento collettivo.

5.6.4

Il dibattito pubblico è indispensabile: i pazienti e i medici esterni alla cerchia degli esperti devono poter far sentire la loro voce, porre i quesiti che li preoccupano e lanciare l'allarme.

5.6.5

Per non suscitare inutili allarmismi occorre organizzare la manifestazione di tali punti di vista e dubbi.

5.6.6

Un siffatto «pluralismo sanitario», indispensabile per moltiplicare le possibilità di scongiurare nuove tragedie, presuppone che i processi decisionali evolvano nel senso di una maggior trasparenza. Fatta salva la tutela del segreto medico o industriale, occorre rendere pubblici i risultati delle valutazioni degli specialisti nonché le motivazioni delle decisioni in materia sanitaria.

5.7   Una deontologia della comunicazione in materia di sicurezza sanitaria

5.7.1

Malgrado la sua divulgazione, la comunicazione in materia di sanità pubblica presenta peculiarità fondamentali che si accentuano ulteriormente in materia di sicurezza sanitaria.

5.7.2

Comunicare su questi temi significa spesso comunicare in merito alla malattia o alla morte. Trasparenza e misura devono essere i criteri applicati per organizzare questa delicata funzione del sistema sanitario.

5.7.3

La trasparenza è indispensabile per garantire la fiducia ed evitare l'inquietudine provocata dalla rivelazione di un'informazione che suscita scalpore proprio a causa dell'aura di segretezza che l'avvolgeva.

5.7.4

La trasparenza s'impone alle autorità ed alle istituzioni sanitarie, così come al medico s'impone l'obbligo di informazione. Dinanzi ai rischi legati alla salute dei singoli, è indispensabile rifarsi all'«obbligo di verità».

5.7.5

Tale dovere morale, tuttavia, non è disgiunto da un obbligo di misura. L'informazione, spesso trasmessa in via urgente, deve essere comprensibile e scientifica e deve evitare il rischio della cacofonia, del sensazionale e dell'allarmismo. Essa presuppone regole di lavoro in comune dei media, degli operatori sanitari, delle associazioni di pazienti e dei poteri pubblici: non si tratta semplicemente di scegliere tra diffondere la paura e nascondere la verità.

5.8   La comunicazione ordinaria

5.8.1

Le informazioni che riguardano la salute tendono a produrre particolare impressione sui pazienti.

5.8.2

C'è in effetti una differenza sostanziale tra l'informazione destinata ai medici e quella rivolta al grande pubblico.

5.8.3

La prima è rivolta a persone con un bagaglio di conoscenze scientifiche e viene convogliata attraverso canali specifici: corsi, seminari, congressi, riviste professionali e industriali.

5.8.4

La comunicazione per il grande pubblico, invece, non può dare per scontate le conoscenze di carattere medico necessarie per cogliere nella sua giusta misura l'informazione trasmessa, senza rischiare di creare fraintendimenti o panico. Essa deve quindi trovare un equilibrio tra, da una parte, la necessità d'informare sulle terapie - nuove o tradizionali - e, dall'altra, i rischi derivanti da un'erronea interpretazione di tali informazioni.

5.8.5

L'informazione trasmessa può suscitare nella popolazione o apprensioni inutili o esagerate oppure speranze infondate in merito alle terapie. Essa contribuisce all'educazione sanitaria della popolazione, che a sua volta concorre direttamente all'efficacia delle politiche a favore dell'igiene, per la prevenzione dei rischi ed il depistaggio tempestivo da parte del sistema sanitario.

5.9   La comunicazione in caso di crisi

5.9.1

Nel caso di urgenza sanitaria o di rischi gravi per la sanità pubblica, la comunicazione deve rispondere a tre esigenze:

la prima consiste nell'opportunità di commisurare rigorosamente l'informazione al rischio sanitario,

la seconda è legata al fatto che l'informazione non è destinata solamente ad accrescere le conoscenze del pubblico, ma anche a modificarne la condotta. L'informazione deve perciò conseguire il suo fine, ossia da un lato prevenire o circoscrivere l'incidente senza turbare inutilmente l'insieme della popolazione, e dall'altro tutelare il diritto dei cittadini di essere informati su ciò che accade, fermo restando l'obbligo etico della stampa di evitare un tipo di informazione allarmistico o volto a suscitare clamore,

la terza, infine, è che l'informazione decisiva sia trasmessa tenendo conto sia del pubblico particolare cui è destinata, sia dell'ordine nel quale diverse categorie di popolazione devono essere informate.

5.9.2

Il ruolo della stampa, in ogni caso, resta determinante ai fini del successo di una comunicazione di crisi. Talvolta è necessario che i mezzi di comunicazione acconsentano a non diffondere determinate informazioni al grande pubblico fintantoché gli operatori sanitari non siano in possesso di tutti gli elementi. Ciò sottintende anche la necessità di formare giornalisti specializzati, in grado di comprendere la problematica della sicurezza sanitaria e di comunicare in modo corretto al riguardo.

5.9.3

Il compito non è agevole perché, ad esempio, la quantificazione degli effetti nocivi, l'identificazione delle relative cause, l'effetto dei media sui tassi di notifica e la valutazione generale del rischio rappresentano altrettante analisi difficili e complesse, mentre l'opinione pubblica si aspetta di essere informata a caldo, in un linguaggio semplice e non aridamente scientifico.

6.   Conclusione

6.1

Il Comitato economico e sociale europeo, consapevole della serie di crisi che hanno percorso il pianeta negli ultimi due decenni (l'epidemia di Aids, la tragedia del sangue contaminato, le crisi di salute pubblica provocate dalla SARS, dalla legionellosi, o dal bioterrorismo che ricorre alla minaccia dell'antrace), propone di svolgere regolarmente dei congressi europei di alto livello sui problemi della salute.

6.2

Tali congressi serviranno a discutere le misure collettive da adottare, a comunicare informazioni precise su tali crisi, a mettere a punto risposte concertate, a valutare le minacce di rischi provenienti dall'esterno nonché a contribuire a rapide diagnosi, corredate dalle opportune soluzioni.

6.3

Il Comitato economico e sociale europeo raccomanda di conferire sin d'ora al futuro Centro europeo per la vigilanza sanitaria di Stoccolma un mandato allargato e rafforzato affinché produca rapporti autorevoli e regolari in materia di sanità pubblica, e di spingere, pur nel rispetto del principio di sussidiarietà, i paesi dell'Unione europea ad adottare le misure necessarie.

6.4

Il Comitato economico e sociale europeo considera di essere una sede particolarmente idonea a sensibilizzare e suscitare la vigilanza della società civile europea.

6.5

Il Comitato invita a far sì che tutti i soggetti interessati siano particolarmente attenti ai problemi della sanità pubblica: in un'epoca come la nostra, in cui anche le crisi sanitarie si globalizzano, una visione e un approccio mondiali in proposito devono permettere di condividere tutte l'esperienze.

6.6

Il Comitato ritiene necessario promuovere a livello europeo una politica dell'informazione su vasta scala, che implichi la formazione specifica di tutte le parti in causa e di tutti i mezzi di informazione, su cui ricade una particolare responsabilità in materia.

6.7

Il Comitato ricorda che le sue raccomandazioni sono collegate tra loro, e richiedono, per essere attuate, una volontà forte da parte degli Stati membri dell'Unione europea, ossia:

il rafforzamento delle capacità amministrative, con collegamenti transfrontalieri, e organi amministrativi riconosciuti ed accettati ovunque,

competenze e strumenti giuridici capaci di sostenere tali capacità,

la trasparenza dei processi decisionali e una deontologia rafforzata, condivisa da tutti, della comunicazione della sicurezza sanitaria,

una cooperazione rafforzata ed un collegamento in rete a livello mondiale fra tutti gli organismi di vigilanza e di monitoraggio (Unione europea, OMS, OCSE, Consiglio d'Europa e grandi organizzazioni nazionali come quella istituita ad Atlanta dagli USA, il «Center of diseases», ecc. …).

Bruxelles, 27 ottobre 2004.

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


20.5.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/54


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione Seguito del processo di riflessione di alto livello sulla mobilità dei pazienti e sugli sviluppi dell'assistenza sanitaria nell'Unione europea

COM(2004) 301 def.

(2005/C 120/11)

La Commissione, in data 20 aprile 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 settembre 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore BEDOSSA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 ottobre, nel corso della 412a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 170 voti favorevoli, 3 voti contrari e 6 astensioni.

1.   Introduzione

Mentre da un lato si accresce l'interconnessione tra i sistemi e le politiche sanitarie in vigore negli Stati membri dell'UE, dall'altro i responsabili politici nazionali, prima di prendere una decisione, raramente procedono a una valutazione comparativa dei sistemi in vigore in Europa o al di là da essa e, quando lo fanno, omettono purtroppo di dirlo.

1.1

Le cause delle tendenze in atto sono molteplici e interdipendenti:

le crescenti aspettative dell'opinione pubblica in tutta Europa, ma anche al di fuori dei suoi confini,

il recente allargamento dell'Unione europea, che pone i nuovi Stati membri davanti all'obbligo di garantire ai propri cittadini un sistema sanitario sempre più moderno,

le importanti innovazioni tecnologiche, che danno origine a nuove pratiche e a strumenti terapeutici capaci di fornire ai cittadini un'assistenza di qualità sempre più elevata,

le nuove tecniche dell'informazione a disposizione dei cittadini dell'Unione europea, le quali consentono pressoché in tempo reale un raffronto immediato delle diagnosi e delle forme di assistenza praticate nei diversi Stati dell'Unione europea, e che per ragioni rispettabili e comprensibili possono portare a nuove esigenze in termini di risorse al fine di ottimizzare i risultati.

1.2

Ciò dà necessariamente adito a nuove sfide in materia di politica sanitaria, che si tratti della qualità o dell'accessibilità dell'assistenza transfrontaliera, delle esigenze di fornire informazioni ai pazienti, agli operatori del settore o ai responsabili politici.

1.3

L'enunciazione di tali fatti pone fin da ora l'obbligo di sottoporre a valutazione le politiche nazionali, le quali devono tener conto di tutte queste esigenze alla luce del progressivo moltiplicarsi degli obblighi comunitari e dei sempre nuovi diritti che essi conferiscono ai cittadini.

1.4

Tale situazione inedita determina i termini del dibattito tra i difensori della tesi secondo cui la libertà di scelta sfocerà in una grave destabilizzazione dei sistemi di assistenza sanitaria in vigore - sulla base dell'argomento secondo cui limitando la mobilità dei pazienti risulta più facile controllare i sistemi stessi sul piano dei costi e delle priorità - e i sostenitori della mobilità dei pazienti, in quanto essa permette l'interoperabilità tra i sistemi, l'impiego dei medesimi indicatori, la circolazione delle migliori prassi e la gestione comune delle risorse in maniera più razionale. L'obiettivo consiste probabilmente nel seguire il secondo approccio, traendone tutte le conclusioni utili ai fini dell'armonizzazione dei sistemi nazionali.

2.   Il contesto

2.1

Nel parere d'iniziativa del 16 luglio 2003 (1), il Comitato economico e sociale europeo definiva la salute «un bene superiore (...) a livello tanto dei cittadini e delle loro famiglie, quanto di ciascuno Stato», proponendosi in conclusione di «intervenire nel settore sanitario nel rispetto del quadro politico e giuridico comunitario in vigore».

2.2

Nel medesimo parere il Comitato avanzava argomenti e proponeva piste di lavoro e metodi di analisi ripresi da due recenti comunicazioni (20 aprile 2004) della Commissione europea al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni.

2.3

Queste comunicazioni si sono anche rese necessarie per la recente pubblicazione, il 9 febbraio scorso, della proposta di direttiva sui servizi. Tale documento aveva suscitato numerose critiche per come affronta il tema dei servizi sociali e sanitari, in quanto la sua formulazione si presta a interpretazioni differenti. Di conseguenza, le parti della direttiva dedicate a questo tema richiedono definizioni più precise che tengano sufficientemente conto della specificità di questi servizi, legata a sua volta alla sicurezza e alla parità di trattamento dei cittadini.

2.4

La presentazione delle due comunicazioni da parte della Commissione è avvenuta contemporaneamente anche perché, dalla sentenza Kröll del 28 aprile 1998 fino alla sentenza Leichtle del 18 marzo 2004, la Corte di giustizia delle Comunità europee ha prodotto una ricca giurisprudenza che consente ai cittadini dell'Unione europea di ricevere prestazioni sanitarie negli altri Stati membri, chiarendo nel contempo le condizioni del rimborso delle spese sostenute.

2.5

Dal 1o giugno 2004 i cittadini europei possono far valere i propri diritti tramite la tessera europea di assicurazione malattia (2), che sostituisce i formulari cartacei E-111.

2.6

L'asimmetria delle situazioni e il contesto sanitario dei diversi Stati dell'Unione europea possono provocare da parte dei rispettivi cittadini la ricerca dei sistemi più adeguati per l'erogazione di cure. Ciò rischia a sua volta di provocare l'intasamento o la paralisi dei poli sanitari di riferimento in Europa, nonché un dumping degli strumenti di protezione sociale, vista l'impossibilità di adattarsi all'afflusso discontinuo di utenti provenienti da altri Stati. In questa prospettiva, la nuova versione del regolamento (CE) n. 1408/71 può favorire l'insorgere di situazioni inedite e problematiche.

2.7

Si impone pertanto di elaborare una politica europea che consenta di tendere verso obiettivi più ambiziosi, anche modificando, qualora ciò si rendesse indispensabile, le competenze dei sistemi di assistenza sanitaria nazionali.

2.8

Un'attenta analisi del parere d'iniziativa del Comitato del 16 luglio 2003 mostra che esso copre gran parte dell'ampio processo di riflessione avviato dalla Commissione europea, giacché ne presenta e ne analizza i temi principali: cooperazione europea, informazione dei pazienti, degli addetti del settore e dei decisori politici, accesso a cure di buona qualità, adeguamento delle politiche nazionali di salute pubblica agli obblighi derivanti dall'appartenenza all'UE, ecc.

3.   Osservazioni generali

3.1

La comunicazione sulla «mobilità dei pazienti» espone un ventaglio di proposte concrete che spaziano entro svariati campi di intervento e consentono di integrare nelle politiche comunitarie l'obiettivo, enunciato nel Trattato, di un livello elevato di protezione della salute umana.

3.2

Il diritto comunitario accorda ai cittadini il diritto di farsi curare in altri Stati membri e di essere rimborsati. La giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee e la proposta di direttiva sui servizi nel mercato interno precisano infatti le condizioni alle quali le cure fornite in uno Stato membro diverso da quello in cui il paziente è assicurato possono essere rimborsate. Sul piano pratico, tuttavia, esercitare tali diritti non è sempre agevole.

3.3

Sembra quindi necessario elaborare una strategia europea che persegua gli obiettivi esposti qui di seguito (punti 3.3.1-3.3.5):

3.3.1

favorire una cooperazione europea che permetta un migliore impiego delle risorse nei seguenti ambiti:

i diritti e i doveri dei pazienti: la Commissione europea interverrà per esaminare ulteriormente la possibilità di giungere a una concezione comune al livello europeo dei diritti e dei doveri dei pazienti sul piano sia individuale che sociale,

la condivisione delle capacità disponibili e l'assistenza transnazionale: la Commissione europea contribuirà alla valutazione degli attuali progetti transfrontalieri in materia sanitaria, in particolare i progetti Euregio, ed esaminerà in che modo favorire la creazione di reti tra questi progetti per condividere le migliori pratiche.

3.3.2

Stabilire un quadro chiaro e trasparente per l'acquisto di assistenza sanitaria, che gli enti competenti degli Stati membri potrebbero utilizzare quando stipulano accordi fra loro. A tal fine, la Commissione europea inviterà gli Stati membri a fornire informazioni sulle modalità esistenti in materia e presenterà proposte appropriate. In particolare, essa:

chiederà agli Stati membri statistiche aggiornate e complete sui movimenti degli operatori del settore sanitario tramite le strutture preposte al riconoscimento delle qualifiche professionali. La Commissione continuerà a impegnarsi, con il Consiglio e il Parlamento, verso l'adozione di procedure di riconoscimento semplici e trasparenti,

proseguirà, di concerto con gli Stati membri, i lavori preparatori destinati ad assicurare, nel rispetto della riservatezza, un efficace scambio di informazioni sulla libera circolazione degli operatori del settore sanitario,

inviterà gli Stati membri a considerare le questioni relative alla attuale e futura carenza di operatori sanitari nell'Unione,

lancerà, prima di formulare le sue proposte, una gara d'appalto nell'ambito del programma per la sanità pubblica per effettuare un censimento dei centri di riferimento europei,

fisserà un meccanismo di coordinamento per la valutazione della tecnologia sanitaria e presenterà a tal fine proposte specifiche.

3.3.3

Rispondere alle esigenze dei pazienti, degli operatori sanitari e dei responsabili politici in materia di informazione, soffermandosi sui seguenti aspetti:

la strategia di informazione sui sistemi sanitari: prendendo le mosse dai risultati del programma per la sanità pubblica, la Commissione europea elaborerà un quadro per l'informazione in materia sanitaria a livello dell'Unione, che comprenda un'individuazione dei vari bisogni informativi dei responsabili politici, dei pazienti e degli operatori sanitari, nonché le modalità di fornitura di tali informazioni, tenendo conto dei lavori realizzati in proposito dall'OMS e dall'OCSE,

la motivazione dei pazienti e la portata dell'assistenza transfrontaliera: la Commissione europea propone di effettuare uno studio specifico, nell'ambito del programma per la sanità pubblica, per accertare le ragioni che inducono i pazienti ad attraversare le frontiere, le aree di specializzazione interessate da tale fenomeno, la natura degli accordi bilaterali, ecc. Tale aspetto sarà ugualmente esaminato attraverso il progetto di ricerca «L'Europa per i pazienti»,

la protezione dei dati: la Commissione europea collaborerà con gli Stati membri e con le autorità nazionali competenti per diffondere maggiormente le norme sulla protezione dei dati in relazione all'assistenza sanitaria,

l'«e-Health»: la Commissione europea, dopo essere stata invitata a esaminare l'opportunità di introdurre principi europei relativi alle competenze e alle responsabilità di tutte le persone chiamate a fornire servizi sanitari per via telematica, esaminerà queste questioni nel quadro del piano d'azione generale per la sanità on line, come indicato nella comunicazione «e-Health - Migliorare l'assistenza sanitaria per i cittadini europei: un piano d'azione per uno spazio europeo della sanità on line».

3.3.4

Consolidare il ruolo dell'Unione nella realizzazione degli obiettivi in materia sanitaria, puntando in particolare ai seguenti obiettivi:

integrare maggiormente gli obiettivi sanitari in tutte le politiche e le attività europee: la Commissione collaborerà con gli Stati membri per raccogliere il loro parere su come funzionano in ognuno di loro le diverse vie d'accesso all'assistenza sanitaria in altri Stati membri e con quali conseguenze, specie per quanto attiene alle vie d'accesso facenti capo alla normativa comunitaria,

garantire che gli effetti delle future proposte sulla sanità e l'assistenza sanitaria siano presi in considerazione nella valutazione del loro impatto complessivo: a tal fine la Commissione si baserà tra l'altro sui progetti esistenti relativi alla valutazione dell'impatto sulla sanità,

creare un meccanismo di sostegno della cooperazione in materia di servizi sanitari e di assistenza medica: la Commissione, invitata a considerare lo sviluppo, a livello dell'Unione, di un meccanismo permanente per sostenere la cooperazione europea nel campo dell'assistenza sanitaria e monitorare l'impatto dell'Unione europea sui sistemi sanitari, ha istituito un gruppo di alto livello sui servizi sanitari e l'assistenza medica.

3.3.5

Far fronte all'allargamento dell'Unione con investimenti nella sanità e nell'infrastruttura sanitaria.

3.3.5.1

Il processo di riflessione ha spinto la Commissione e i vecchi e i nuovi Stati membri a considerare come si possa agevolare l'inclusione degli investimenti nella sanità, nello sviluppo dell'infrastruttura sanitaria e nello sviluppo delle competenze tra i settori ammessi a fruire in via prioritaria di finanziamenti nel quadro degli strumenti finanziari comunitari esistenti, in modo particolare nelle regioni dell'Obiettivo 1. In realtà, l'Unione finanzia già gli investimenti nella sanità negli Stati membri attuali, quando sono considerati prioritari dai paesi e dalle regioni interessate. L'applicazione di questa raccomandazione presuppone quindi che le regioni e i paesi interessati considerino gli investimenti nella sanità e nelle infrastrutture sanitarie prioritari ai fini dell'aiuto comunitario. La Commissione collaborerà con gli Stati membri tramite il gruppo di alto livello sui servizi sanitari e l'assistenza medica e tramite le strutture appropriate per gli strumenti finanziari interessati, per far sì che la sanità riceva l'importanza necessaria nell'elaborazione dei programmi generali. La necessità di ulteriori investimenti europei nelle infrastrutture sanitarie andrebbe vagliata anche in sede di elaborazione delle nuove prospettive finanziarie dell'Unione a partire dal 2006.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Al tema della libera circolazione dei pazienti negli Stati membri si collegano varie problematiche, le cui conseguenze devono essere accertate, valutate, analizzate e considerate. La prima riguarda la conoscenza approfondita dei diversi sistemi di protezione sociale in vigore, tuttavia occorre altresì determinare, nei termini più esatti e in modo dinamico (in particolare, esaminandone le tendenze presenti e future), i criteri che hanno presieduto alla loro istituzione.

4.2

La politica di prevenzione rappresenta probabilmente un obiettivo prioritario in quanto può e deve consentire di realizzare notevoli risparmi, e costituisce inoltre il miglior tipo di approccio alle politiche sanitarie: basti ricordare ad esempio i risultati ottenuti da una buona politica di prevenzione in rapporto agli incidenti stradali, alla diffusione dell'Aids o al consumo di tabacco. Le misure di prevenzione adottate in tali settori mostrano nel complesso risultati sorprendenti.

4.3

A questo elenco senz'altro incompleto si possono aggiungere le politiche di prevenzione su cui si concentra al momento l'attenzione di operatori sanitari, media e responsabili politici: quelle riguardanti l'abuso di determinate sostanze (droghe, alcool, medicinali), la promozione di uno stile di vita sano (esercizio fisico, alimentazione, riposo), gli incidenti sul lavoro e le malattie professionali.

4.4

La valutazione dei fattori di rischio individuali, sociali e familiari permette di valutare il tasso di mortalità precoce evitabile e i relativi costi.

4.5

I progressi tecnici nel settore farmaceutico o nel campo dei procedimenti diagnostici devono permettere di sostituire in modo rapido ed efficace le tecniche obsolete con altre innovative.

4.6

Si tratta fondamentalmente di introdurre tecniche che siano nel contempo più efficienti e meno costose per l'insieme della società, anche quando le necessarie sostituzioni si scontrano con ostacoli di ordine sociale, culturale e/o corporativo.

4.6.1

In tale settore è importante sostenere la ricerca di strumenti d'azione più mirati e incisivi, che contribuiscano a incoraggiare le iniziative dei gruppi socioprofessionali per migliorare le politiche di salute pubblica.

4.7

Se i movimenti di pazienti saranno stati previsti in modo corretto, l'Unione europea dovrà poter garantire agli individui che si spostano l'accesso a poli di eccellenza sanitari e ospedalieri non concentrati unicamente nei paesi più ricchi che hanno investito somme enormi nei propri sistemi di assistenza sanitaria. In tale ottica l'Unione europea deve contribuire all'elaborazione di strumenti di valutazione, di certificazione e di riconoscimento che permettano la valorizzazione delle nuove tecnologie e delle prassi terapeutiche esistenti: tali procedure di riconoscimento o di certificazione devono essere a fondamento dell'efficienza dei sistemi ospedalieri o dei servizi sanitari.

4.8

Tale azione in favore della qualità può consentire all'Unione europea di individuare, sul proprio continente, una rete di istituzioni sanitarie che ospiti scienziati e operatori professionali di alto livello, la cui presenza è cruciale per l'esistenza di tali centri di riferimento. È lecito sperare che tali centri vedranno rapidamente la luce in certi paesi dell'Unione europea allargata a 25 Stati, soprattutto se l'Unione saprà concepire uno strumento rivolto all'osservazione, all'analisi e allo scambio di esperienze in merito alle politiche nazionali nel rispetto dei principi fondamentali dei Trattati, segnatamente quelli di sussidiarietà e della competenza nazionale.

4.9

Nel contesto di tale riflessione è importante non tralasciare il problema dell'armonizzazione degli indicatori sanitari. Un'armonizzazione in tal senso si rende necessaria per migliorare le informazioni in merito agli obiettivi che l'Unione europea si propone in materia sanitaria: a tali indicatori pertinenti, quali gli indici di mortalità, di mortalità evitabile, di morbilità e di morbilità evitabile, non viene necessariamente attribuito il medesimo significato in tutti gli Stati dell'UE.

4.10

Le differenze mostrano che i risultati ottenuti possono essere migliorati portando la qualità dell'assistenza sanitaria al livello dello Stato che presenta i risultati più incoraggianti. Il tasso di sopravvivenza a cinque anni in caso di cancro al polmone non è lo stesso in Francia e in Polonia, né la cura delle malattie del sangue (leucemie) sortisce i medesimi risultati in Inghilterra e in Francia in funzione dei protocolli terapeutici impiegati.

4.11

L'informazione dei pazienti, degli operatori sanitari e dei responsabili politici è un obiettivo fondamentale della politica della Commissione europea.

4.12

Per i pazienti, l'educazione sanitaria consente di chiarire la visione che il cittadino europeo ha della salute, soprattutto in materia di aspettative e di comportamenti. La salute viene ormai percepita come un bene assoluto, un diritto e in ogni caso uno stato che tutte le autorità competenti hanno il dovere di tutelare. Soddisfare tali attese significa aumentare le risorse destinate agli obiettivi sanitari sul piano delle cure, ma spesso anche della prevenzione e dell'ambiente, per evitare uno squilibrio dei sistemi di protezione sociale.

4.13

La sicurezza sanitaria è diventata un diritto e un nuovo potere nelle mani del cittadino dell'Unione europea (3).

4.14

Tra i punti da sottoporre a discussione, nel modo più trasparente possibile, per favorire una presa di coscienza da parte di tutti i soggetti rientrano le soluzioni tecnologiche, il rispetto della vita privata, la gestione della cartella clinica condivisa, la libertà d'informazione e la protezione dei dati. La discussione in materia deve protrarsi in modo costante, poiché la situazione è in rapido mutamento e le decisioni da prendere sono urgenti e/o complesse. Ognuno di questi elementi costituisce un nodo cruciale per i tre soggetti impegnati nel triangolo della salute.

4.15

Per quanto concerne la conciliazione degli obblighi nazionali con quelli europei, dall'analisi comparata dei sistemi sanitari scaturiscono complesse considerazioni strategiche, che occorre poter utilizzare per sostenere la cooperazione europea nel campo dell'assistenza sanitaria e seguire l'impatto dell'azione comunitaria sui relativi regimi. Occorre ad esempio approfondire determinate tematiche trasversali, da cui possono derivare importanti conseguenze: le buone prassi e l'efficienza nel settore sanitario, l'invecchiamento e la salute, lo stato della sanità nei nuovi Stati membri dell'Unione europea e la valutazione dell'impatto di svariati fattori sulla salute.

4.16

Urge inoltre studiare le condizioni per affermare la certezza giuridica quanto al diritto dei pazienti di fruire di cure di buona qualità nei diversi Stati dell'Unione europea, alla quale spetta di avanzare proposte adeguate in merito (chiarificazione dell'applicazione delle giurisprudenze, semplificazione delle regole di coordinamento tra i sistemi di sicurezza sociale, agevolazione della cooperazione intraeuropea, ecc.).

4.17

L'annuncio più inatteso, ma anche più opportuno, formulato dalla Commissione nella sua comunicazione riguarda la mobilizzazione del Fondo di coesione e dei fondi strutturali dell'UE per cercare di agevolare gli investimenti nel campo della salute e promuovere lo sviluppo di infrastrutture sanitarie e di competenze mediche, obiettivi – questi – ormai divenuti prioritari nell'ambito degli strumenti di finanziamento comunitari.

4.18

Il Comitato condivide pienamente tali orientamenti, i quali delineano un nuovo campo d'intervento per lo sviluppo e il successo dell'Unione, segnatamente nell'ambito della strategia di Lisbona.

4.19

Per finire, il Comitato approva in linea di massima l'approccio della Commissione per quanto riguarda gli operatori della sanità. Lo sviluppo dinamico di professioni e qualifiche è infatti condizione indispensabile per lo sviluppo dei sistemi sanitari. L'assistenza sanitaria dipende dalla presenza di operatori adeguatamente formati e altamente qualificati e da una formazione professionale impartita durante tutto l'arco della vita.

4.20

Favorire una presa di coscienza delle sfide cruciali che i problemi sanitari pongono all'Unione europea, alla sua coesione e alla sua capacità di evolversi verso un'economia della conoscenza è parte integrante dei compiti del Comitato.

4.21

Agevolare la mobilità professionale dei soggetti senza destabilizzare i sistemi nazionali richiede una capacità di analizzare e anticipare i possibili problemi. Su questo punto, il Comitato auspica che la proposta di direttiva relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali attualmente in esame si riveli un documento essenziale, utile e necessario per il completamento di questa sfera del mercato interno.

4.22

Gli strumenti previsti sono adeguati e ben concepiti. Il Comitato ritiene inoltre molto utile che si armonizzino i codici di condotta di tutti gli operatori della sanità.

4.23

Tutte queste soluzioni mirano a rispondere preventivamente alle carenze di operatori sanitari annunciate per i prossimi anni. Investire sulle professioni del settore sanitario è una scelta utile e vantaggiosa, se il fine è garantire ai cittadini dell'Unione europea un'assistenza sanitaria di elevata qualità.

4.23.1

Migliorare la sanità e l'assistenza sanitaria grazie alle tecnologie dell'informazione e della comunicazione.

4.24

Il Comitato ritiene che proprio questi strumenti forniscano i migliori argomenti in favore di una riforma dei sistemi sanitari e dell'innalzamento della loro qualità in seno all'Unione europea. Sono già sul tappeto diversi elementi, tra i quali:

la cartella clinica informatizzata e condivisa, che consente di garantire a ogni cittadino un diritto sociale, un diritto alla sanità e migliori conoscenze sul proprio stato di salute. Tale sistema consente peraltro di scongiurare abusi, moltiplicazioni di spese, incompatibilità tra medicinali e «turismo sanitario», oltre che a semplificare le procedure di accoglienza, di registrazione e di informazione del paziente,

la «e-Health» (applicazione delle tecnologie dell'informazione alla sanità), destinata a un forte successo per le possibilità che offre di consultare a distanza gli esperti e tutti i soggetti del settore medico, nonché di mettere debitamente al corrente il paziente di tutte le informazioni che lo riguardano,

l'impiego delle tessere sanitarie, che permette la verifica in tempo reale della validità dei diritti e della situazione del paziente in materia di assicurazione sociale,

l'insieme degli altri strumenti, presenti e futuri, favorevoli a una migliore gestione dei sistemi sanitari, all'elaborazione delle strategie sanitarie e di salute pubblica, alla messa a punto di banche dati efficienti, alla valutazione della produttività dei fornitori di servizi e alla conoscenza nei minimi dettagli del consumo.

4.25

Esistono sin d'ora reti informative a cui le associazioni di pazienti possono opportunamente attingere. È tuttavia necessario vigilare sulla tutela del segreto professionale ogniqualvolta ciò rischia di pregiudicare la relazione medico/paziente.

5.   Le proposte del Comitato economico e sociale europeo

5.1

Dopo aver preso conoscenza dell'importanza rilevante di questi temi politici, il Comitato economico e sociale europeo ha formulato una serie di proposte nel parere del 16 luglio 2003. Di tali proposte la Commissione europea sembra aver già preso atto, dal momento che gli argomenti che essa svolge ruotano attorno al medesimo filo conduttore.

5.2

La cooperazione tra gli Stati membri deve consentire di precisare obiettivi comuni e capaci di tradursi in piani nazionali, mentre la scelta di indicatori adeguati consentirà di monitorare scrupolosamente l'evoluzione delle politiche sanitarie in ciascun paese dell'Unione europea.

5.3

Il Comitato ritiene pertanto indispensabile creare uno strumento – in forma di osservatorio o agenzia – a cui sia delegata la raccolta delle informazioni, delle analisi e degli scambi di opinioni in merito alle politiche sanitarie nazionali, nel rispetto assoluto dei Trattati in vigore e dei principi di sussidiarietà e della competenza nazionale. Altri campi di intervento possono essere il miglioramento della qualità delle prestazioni, gli sforzi condotti dai poteri pubblici e dagli amministratori per migliorare l'efficienza delle istituzioni mediche pubbliche o private, la creazione di poli d'eccellenza e la loro immissione in rete in tutta l'Unione europea, nelle sue aree ricche così come in quelle povere.

5.4

Una politica occupazionale energica e ambiziosa per rispondere alle carenze prevedibili, senza attendere che si profili una domanda in tal senso.

5.5

Il sostegno a una politica d'informazione in materia di sanità che faccia leva sui risultati dei programmi sanitari, identificando i bisogni informativi dei soggetti del sistema - pazienti, operatori, autorità pubbliche - anche col concorso di fonti quali l'OMS e l'OCSE.

5.6

Il Comitato approva interamente la scelta della Commissione di ricorrere al metodo aperto di coordinamento (cfr. parere del Comitato del luglio 2003), precisandone nei dettagli il modus operandi e i compiti assegnati. Tale precisazione dovrà comprendere elementi caratterizzanti quali:

scambi di buoni prassi (accreditamenti), standard di qualità, equivalenza delle qualifiche, riconoscimento reciproco delle pratiche di cui occorrerebbe conoscere l'impatto in termini di riduzione dei costi, data la grande disparità tra i sistemi nazionali,

indicatori appropriati per le strutture e le prassi,

il miglioramento della disponibilità dei prodotti sanitari, tenendo conto degli imperativi riguardanti l'innovazione, la lotta a flagelli come l'Aids, la tubercolosi o la malaria nei paesi più poveri e gli sforzi volti a ridurre gli sprechi,

il coordinamento tra i sistemi nazionali al fine di scongiurare effetti quali l'abbassamento del livello dei servizi (dumping) e la fuga di competenze oltre frontiera,

la necessità di realizzare il mercato unico dei medicinali.

6.   Conclusioni

6.1

Il Comitato è molto sensibile al fatto che le ultime tre comunicazioni siano scaturite dalla riflessione delle cinque Direzioni generali competenti della Commissione europea.

6.2

Ciò sta a dimostrare che la Comunità europea ha compreso l'importanza delle politiche sanitarie in occasione del completamento del mercato interno e dell'allargamento.

6.3

Questa è una delle prime occasioni in cui cinque Direzioni generali della Commissione europea mettono in comune la loro volontà politica, le loro competenze e i loro mezzi per il raggiungimento di un obiettivo: offrire ai diversi paesi d'Europa gli strumenti per rendere coerenti le proprie politiche sanitarie e di protezione sociale, a vantaggio di tutti i cittadini dell'Unione europea.

6.4

Il Comitato auspica pertanto che al proprio interno venga istituita una task force dalla struttura agile ma permanente, per seguire tali politiche e permettergli di apportare la propria visione, le proprie conoscenze specializzate e la propria esperienza al servizio di questo tema delicato e importante che sta a cuore a ogni cittadino dell'Unione europea.

Bruxelles, 27 ottobre 2004.

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Parere di iniziativa sul tema «L'assistenza sanitaria» (relatore: BEDOSSA), GU C 234 del 30.9.2003.

(2)  Cfr. il parere del CESE in merito alla «Tessera europea di assicurazione malattia» (relatore: DANTIN), GU C 220 del 16.9.2003.

(3)  Parere d'iniziativa in via di elaborazione sul tema «La sicurezza sanitaria: un obbligo collettivo, un diritto nuovo» (relatore: BEDOSSA) (SOC/171).


20.5.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/60


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla:

Proposta di direttiva del Consiglio relativa a una procedura specificamente concepita per l'ammissione di cittadini di paesi terzi a fini di ricerca scientifica,

alla Proposta di raccomandazione del Consiglio volta ad agevolare l'ammissione dei cittadini di paesi terzi a fini di ricerca scientifica nella Comunità europea e

alla Proposta di raccomandazione del Consiglio diretta a facilitare il rilascio, da parte degli Stati membri, di visti uniformi di soggiorno di breve durata per i ricercatori cittadini di paesi terzi che si spostano a fini di ricerca scientifica nella Comunità europea

(COM(2004) 178 def. – 2004/0061 (CNS))

(2005/C 120/12)

Il Consiglio, in data 7 aprile 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 settembre 2004, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice KING.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 ottobre 2004, nel corso della 412a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 181 voti favorevoli, 1 contrario e 3 astensioni.

1.   Sintesi del documento della Commissione

1.1

Oggetto della comunicazione sono una proposta di direttiva e due proposte di raccomandazione relative all'ammissione dei cittadini di paesi terzi nella Comunità europea a fini di ricerca scientifica.

1.2

Tali proposte costituiscono parte integrante dell'obiettivo strategico stabilito a Lisbona, secondo cui occorre promuovere la ricerca in modo tale che l'Unione europea diventi, entro il 2010, l'economia della conoscenza più competitiva e più dinamica del mondo. È stato calcolato che, per realizzare tale obiettivo, l'Unione europea avrà bisogno di 700 000 ricercatori supplementari. Per conseguire tale scopo sono state individuate le seguenti misure, strettamente connesse tra loro:

rendere più attraenti per i giovani le materie scientifiche,

migliorare le prospettive di carriera per i ricercatori nell'Unione europea e

aumentare le opportunità in materia di formazione e di mobilità.

1.3

L'obiettivo dei 700 000 ricercatori supplementari interesserà principalmente i cittadini europei, ma per conseguirlo saranno altresì necessari ricercatori dei paesi terzi. La comunicazione della Commissione è pertanto incentrata in modo particolare sull'ammissione in Europa di ricercatori di alto livello provenienti dai paesi terzi, intervenendo come segue:

agevolandone l'ingresso e il soggiorno e

rimuovendo gli ostacoli alla loro mobilità in Europa.

1.4

La Commissione riconosce altresì la necessità di agevolare la mobilità dei ricercatori europei in altre parti del mondo: la mobilità è infatti essenziale per l'acquisizione e il trasferimento di conoscenze.

2.   Osservazioni generali

2.1

Il Comitato accoglie con favore la comunicazione relativa all'ammissione dei cittadini di paesi terzi nella Comunità europea a fini di ricerca scientifica.

2.2

L'obiettivo della Commissione di disporre di 700 000 ricercatori supplementari entro il 2010 interesserà principalmente i cittadini europei: per questo motivo il CESE intende richiamare l'attenzione della Commissione su un suo precedente parere (1), elaborato in risposta alla comunicazione della Commissione relativa ai problemi legati alla professione dei ricercatori nello Spazio europeo della ricerca e alle proposte e iniziative intese a risolverli. (2)

2.3

Per quanto concerne le misure intese a rendere le materie scientifiche più attraenti per i giovani, il parere sottolinea che i curricula scolastici non attribuiscono la dovuta importanza alla scienza: raccomanda dunque di dare maggior rilievo all'insegnamento delle discipline scientifiche, delle materie tecniche e della matematica e sottolinea l'importanza di rendere queste materie più interessanti agli occhi dei giovani. Ciò vale in particolare per le ragazze, che in queste discipline tendono ad essere sottorappresentate. È inoltre dimostrato che attualmente quanti intraprendono studi di livello universitario non scelgono discipline scientifiche. Se la questione non verrà affrontata con urgenza e a fondo, la Comunità non riuscirà ad avere un numero sufficiente di ricercatori.

2.4

Per quanto concerne la seconda misura proposta, vale a dire «migliorare le prospettive di carriera per i ricercatori nell'Unione europea», il parere precedente prende in esame il dilemma dei ricercatori che lavorano in ambito accademico o in istituti di ricerca finanziati con fondi pubblici e sono generalmente retribuiti in base alle tariffe del pubblico impiego, senza però avere né la sicurezza del posto del lavoro né i vantaggi di cui beneficiano altri lavoratori del settore pubblico, quali i funzionari o gli insegnanti. I ricercatori non hanno infatti quasi mai la sicurezza del posto di lavoro e in molti casi ottengono una serie di contratti a tempo determinato ogni volta che cambiano datore di lavoro o che progrediscono nella professione.

2.5

L'ultimo aspetto relativo al parere precedente a cui il CESE intende fare riferimento è la mobilità dei ricercatori europei. Il CESE riconosce che la professione di ricercatore nello Spazio europeo della ricerca richiede mobilità e flessibilità, ma questo non deve andare a scapito né della vita personale e familiare né della sicurezza sociale. La Commissione deve inoltre evitare una possibile fuga di cervelli a «senso unico», vale a dire il trasferimento soprattutto negli Stati Uniti dei giovani ricercatori europei più qualificati. Gli attuali problemi legati all'ottenimento del visto per gli Stati Uniti sono con ogni probabilità destinati a scomparire, in quanto gli ambienti accademici statunitensi stanno facendo pressione sul governo americano per accelerare le procedure di ingresso, in modo da poter assumere un numero maggiore di cittadini stranieri.

2.6

Tornando alla comunicazione della Commissione relativa all'ammissione dei cittadini di paesi terzi nella Comunità europea a fini di ricerca scientifica, il Comitato concorda sul fatto che la rimozione degli ostacoli alla mobilità dei ricercatori dei paesi terzi sia fondamentale per rendere l'Unione più attraente per i ricercatori di tutto il mondo, soprattutto se essa vuole competere con successo a livello globale per attirare i ricercatori migliori.

2.7

Il Comitato condivide l'affermazione della Commissione secondo cui la globalizzazione dell'economia, sempre più fondata sulla conoscenza, attribuisce un ruolo vieppiù importante alla dimensione internazionale della scienza. Ritiene, però, che sarebbe stato opportuno esplicitare maggiormente il termine «globalizzazione» usato nella comunicazione, inserendo dati comparativi sull'entità delle risorse impiegate da paesi come il Giappone e gli Stati Uniti per promuovere la formazione, la mobilità e lo sviluppo delle carriere dei ricercatori.

2.8

Il CESE nutre inoltre profonde preoccupazioni per l'età degli attuali ricercatori dell'UE: molti di essi stanno infatti raggiungendo l'età pensionabile, e le nuove reclute sufficientemente interessate o incoraggiate a sostituirli sono molto poco numerose. Se non si riconosce questo fatto e non si cerca di porvi rimedio con urgenza, l'UE non riuscirà a conseguire l'obiettivo che si è prefissata. La generale difficoltà è dovuta anche all'attuale situazione in Europa, caratterizzata dall'invecchiamento della popolazione e dal calo della natalità. In molti Stati europei, inoltre, si prevede un calo demografico dopo il 2010: l'obiettivo dei 700 000 ricercatori supplementari entro il 2010 risulta quindi estremamente ambizioso, anche ipotizzando l'arrivo di ricercatori provenienti dai paesi terzi.

2.9

Il CESE è assolutamente consapevole del fatto che la comunicazione è incentrata soltanto sulle ammissioni: i ricercatori dei paesi terzi già residenti nell'Unione europea, alcuni dei quali sono particolarmente autorevoli nel loro setttore, non rientrano quindi nel campo di applicazione della direttiva e delle raccomandazioni proposte. Sottolinea pertanto la necessità di una futura direttiva che prenda in considerazione il problema specifico dell'accesso di questa categoria di ricercatori a posti di lavoro altamente qualificati, cosa che contribuirebbe al conseguimento dell'obiettivo dei 700 000 ricercatori supplementari. All'interno dell'UE alcuni di tali ricercatori godono dello status di rifugiati e, purtroppo, il loro talento e i loro contributi sono, al momento, poco utilizzati. Ad eccezione dei sussidi stanziati dalle organizzazioni caritative o di volontariato, nell'UE non esistono disposizioni sistematiche intese ad aiutare questi ricercatori. Se a sostegno di questa categoria verranno stanziati fondi, il numero dei ricercatori nell'UE con ogni probabilità aumenterà di almeno 40 000 unità (3). Il Comitato esorta pertanto vivamente la Commissione ad avviare un processo che consenta di individuare questi ricercatori, di considerarli come tali e di semplificarne l'accesso ai posti di lavoro nel settore della ricerca.

2.10

Anche per quanto riguarda la definizione di ricercatore fornita dalla Commissione, il Comitato desidera rammentare la proposta di cui al punto 5.1.1.7 di un suo precedente parere (305/2004), vale a dire: «esperti il cui lavoro è dedicato alla concezione o alla creazione di nuove conoscenze, prodotti, processi, metodi e sistemi nuovi e alla gestione dei progetti interessati e che, grazie alla formazione e all'esperienza, hanno le qualifiche per svolgere tale attività». Questa definizione presenta infatti il vantaggio di riconoscere le capacità gestionali dei ricercatori.

3.   Osservazioni specifiche

3.1   Proposte in linea con la politica europea in materia di ricerca

3.1.1

Il Comitato ritiene che l'istituzione di un permesso di soggiorno specifico per i ricercatori dei paesi terzi non sia l'unica questione da affrontare. Occorrerebbe infatti prendere in considerazione anche lo status di immigrante del ricercatore e lo status dei ricercatori all'interno dell'UE, aspetti sui quali il Comitato si è soffermato nel parere 305/2004. Il Comitato reputa inoltre fondamentale l'aspetto della circolazione dei ricercatori all'interno della Comunità: essi dovranno essere in grado di cercare lavoro indipendentemente dal loro status di immigrante.

3.1.2

Il Comitato sottolinea che grazie ai permessi di soggiorno concessi ai ricercatori non sarà più necessario essere titolari di un permesso di lavoro; in tale contesto accoglie con favore l'intento di semplificare la procedura.

3.2   Proposte che integrano gli strumenti della politica europea in materia di immigrazione

3.2.1

Il Comitato accoglie con favore la raccomandazione della Commissione circa la riapertura controllata dei canali dell'immigrazione legale in funzione di diversi parametri e a seconda delle categorie di migranti prese in considerazione. Chiede, però, che questi parametri siano chiari e specifici. Alcuni migranti ammessi potrebbero avere bisogno di rifugio e protezione ai sensi della Convenzione di Ginevra del 1951. Infatti, oltre ad avere la possibilità di diventare migranti, tali ricercatori, una volta arrivati, potrebbero anche voler chiedere lo status di rifugiati. Il Comitato è consapevole del fatto che nella comunicazione in esame la Commissione non possa affrontare tali questioni in modo dettagliato; auspica tuttavia che prossimamente venga elaborata una risoluzione in merito.

3.2.2

Il Comitato concorda con le raccomandazioni relative ai visti di breve durata volti a garantire ai ricercatori di paesi terzi la libertà di movimento nello spazio Schengen. Ritiene inoltre che occorrerebbe concedere il diritto di residenza in tutti gli Stati membri dell'UE ai cittadini di paesi terzi che risiedono legalmente in uno Stato membro da almeno cinque anni.

3.2.3

Il Comitato si compiace che la Commissione riconosca l'importanza fondamentale, nel quadro della mobilità, di concedere ai ricercatori dei paesi terzi il diritto al ricongiungimento familiare.

3.2.4

Precisa tuttavia che questo tema è affrontato dalla direttiva 2003/86 del 22 settembre 2003 relativa al diritto al ricongiungimento familiare. Sottolinea altresì che la comunicazione in esame integra la proposta COM(2002) 548 sulle condizioni di ingresso e di soggiorno dei cittadini di paesi terzi per motivi di studio, formazione professionale o volontariato.

3.3   Il ruolo centrale degli organismi di ricerca

3.3.1

Il Comitato è consapevole del fatto che la convenzione di accoglienza si ispira al protocollo di accoglienza in vigore in Francia. Osserva che la divisione dei ruoli tra l'organismo di ricerca e le autorità degli Stati membri responsabili in materia di immigrazione semplificherebbe l'accesso all'UE per i cittadini di paesi terzi altamente qualificati, garantendo al tempo stesso l'osservanza delle misure di sicurezza stabilite dagli Stati membri dell'UE.

3.3.2

Anche gli Stati membri possono verificare se una convenzione di accoglienza è in linea con il disposto dell'articolo 5, paragrafo 2. Questo principio è accolto con favore dal CESE, in quanto dovrebbe consentire di prevenire eventuali abusi.

3.4   La responsabilizzazione degli istituti di ricerca

3.4.1

Il Comitato ritiene incompleta la definizione di «istituto di ricerca» fornita dalla Commissione. Tale definizione dovrebbe infatti includere anche gli organismi pubblici o privati che destinano stanziamenti alla ricerca, nonché gli istituti che svolgono attività di ricerca.

3.4.2

Il Comitato si compiace che la Commissione ribadisca l'impegno assunto al Consiglio europeo di Barcellona di aumentare al 3 % del PIL, entro il 2010, gli investimenti nella ricerca e nello sviluppo tecnologico, garantendo altresì che i due terzi di tali investimenti provengano dal settore privato.

3.4.3

Il Comitato esorta vivamente la Commissione a consultare il settore privato sulla proposta, in particolare sulla raccomandazione in base alla quale spetta all'istituto di ricerca interessato firmare la convenzione di accoglienza che avvia la procedura di ammissione del ricercatore in uno Stato membro.

3.5   Una concezione ampia della nozione di ricercatore, imperniata sulle necessità dell'Unione europea

3.5.1

Il Comitato concorda con la raccomandazione della Commissione di non limitare la procedura alle persone che già godono dello status di ricercatore nel loro paese d'origine.

3.5.2

Non è però favorevole alle restrizioni relative al motivo per cui l'ammissione viene richiesta: in taluni casi, infatti, gli interessati soddisfano i requisiti minimi previsti dalla direttiva per essere considerati ricercatori, ma la ragione che li spinge a presentare domanda di ammissione in uno Stato membro non è quella di intraprendere un progetto di ricerca. È possibile che questi ricercatori abbiano ottenuto una qualifica nell'UE e intendano cercare un posto di lavoro adeguato.

3.5.3

Il Comitato accoglie con favore il fatto che i requisiti relativi alle qualifiche delle persone per le quali viene richiesta l'ammissione nell'UE e al valore scientifico del loro progetto di ricerca siano chiaramente specificati e non ambigui. Sebbene ciò esuli dal tema della comunicazione, il CESE ritiene necessario avere un certo margine di manovra nel valutare le qualità dei ricercatori, in modo tale che l'UE possa rispondere con prontezza alle eventuali nuove esigenze della ricerca: le nuove tecnologie sono in costante evoluzione, e l'UE deve cercare di assumere ricercatori in grado di seguire e portare avanti tali sviluppi.

3.5.4

Il Comitato richiama l'attenzione della Commissione su un parere precedente (4) in cui viene messo in luce un ulteriore ostacolo alla mobilità, vale a dire la mancanza di trasparenza delle qualifiche e delle competenze, che in molti casi ha portato al mancato riconoscimento delle qualifiche, soprattutto se acquisite nei paesi in via di sviluppo. Prima di poter svolgere la loro professione nell'UE i ricercatori sono costretti a riqualificarsi o a seguire una formazione post-dottorato. Al fine di risolvere questo problema, il Comitato propone di fare ricorso al piano d'azione della Commissione (5) volto a promuovere la mobilità all'interno dell'UE attraverso la messa a punto e l'utilizzo di strumenti che favoriscano la trasparenza e la trasferibilità delle qualifiche, nonché la creazione di un sito d'informazione sulla mobilità europea (sportello unico).

3.6   Un permesso di soggiorno indipendente dallo status del ricercatore

3.6.1

Il Comitato accoglie con favore la proposta di accordare ai ricercatori dei paesi terzi uno status uniforme in tutta l'UE.

3.6.2

È altresì favorevole alla raccomandazione secondo la quale i ricercatori ammessi sulla base di un contratto di lavoro non dovranno ottenere un permesso di lavoro negli Stati membri.

3.7   La mobilità dei ricercatori nell'Unione europea

3.7.1

Il Comitato accoglie con favore la raccomandazione della Commissione volta a semplificare la procedura di ammissione al fine di promuovere la mobilità e consentire ai cittadini di paesi terzi di proseguire il loro progetto di ricerca in altri Stati membri senza scontrarsi con difficoltà di ammissione.

3.7.2

Precisa altresì che questa misura si applicherà ai cittadini di paesi terzi residenti di lungo periodo.

3.8   Scelta della base giuridica della proposta di direttiva

3.8.1

Il Comitato è favorevole alla scelta della base giuridica, ma deplora che la direttiva non sia vincolante per la Danimarca e il Regno Unito. Prende atto della decisione adottata dall'Irlanda di aderire alla direttiva, ed auspica che anche il Regno Unito ne segua l'esempio. È fermamente convinto che occorra riesaminare la questione in quanto il settore della ricerca in tali paesi, e soprattutto nel Regno Unito, è così forte che la loro mancata partecipazione ostacolerebbe gravemente gli sforzi dell'UE per attirare il numero di ricercatori necessario.

3.9   Altri aspetti

3.9.1

Il Comitato ritiene necessario che si riconosca l'importanza di attirare potenziali ricercatori nell'UE e di esaminare in modo molto approfondito la questione della «fuga di cervelli» da alcuni paesi terzi: tali due aspetti sembrano infatti essere correlati tra loro. Inoltre, la questione della formazione dei ricercatori nel Regno Unito merita un'attenzione particolare. Alcuni potenziali ricercatori potrebbero avere bisogno di corsi di formazione integrativi o di un ulteriore periodo di studio. Nella maggior parte dei casi, una volta ultimata questa formazione supplementare, essi potrebbero candidarsi velocemente a un posto da ricercatore all'interno dell'UE. Occorre pertanto esaminare la direttiva anche alla luce di queste considerazioni.

3.9.2

Il Comitato esprime preoccupazione circa le conseguenze della «fuga di cervelli» da alcuni paesi in via di sviluppo e ritiene opportuno aprire un dibattito approfondito su come accrescere il numero di ricercatori nel mondo. Si deve inoltre tenere presente che alcuni governi incoraggiano i ricercatori a recarsi all'estero per acquisire esperienze che possano andare a beneficio del paese di origine. Osserva che la presidenza olandese terrà una conferenza all'Aia intitolata Brain Gain - The Instruments, nel corso della quale si esamineranno le conseguenze che la «fuga di cervelli» o il «ritorno di cervelli» possono avere sui paesi in via di sviluppo. Entro la fine dell'anno è attesa inoltre una relazione della Commissione in merito. Il CESE ritiene che si tratti di un importante punto di partenza per affrontare un aspetto fondamentale del problema in esame.

3.9.3

Tra i temi trattati nella precedente comunicazione della Commissione sui ricercatori (COM(2003) 436 def.) il Comitato intende sottolineare le questioni di genere, e in particolare il fatto che nella ricerca le donne sono sottorappresentate, specialmente a livello manageriale o di quadro. Questo vale soprattutto per le ricercatrici provenienti dai paesi terzi. Il Comitato ribadisce quanto contenuto nella raccomandazione della Commissione relativamente alla necessità di elaborare un codice di condotta per il reclutamento dei ricercatori basato sulle migliori pratiche, soprattutto in materia di pari opportunità. Il Comitato è fermamente convinto che vi siano forti disparità di trattamento nei confronti delle ricercatrici in quanto il numero delle candidature femminili non è sufficiente e perché, anche quando si candidano, le donne sono costrette ad accettare posizioni inferiori alle loro qualifiche professionali. È pertanto necessario garantire una maggiore trasparenza nel processo di reclutamento e aumentare la percentuale delle candidature femminili.

Bruxelles, 27 ottobre 2004.

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  GU C 110 del 30.4.2004, pag. 3. Relatore: Wolf.

(2)  COM(2003) 436 def.

(3)  Cifra basata su una stima delle informazioni statistiche attualmente disponibili.

(4)  Parere CESE 658/2004 del 28 aprile 2004. Relatore: Dantin.

(5)  COM(2002) 72 def.


20.5.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/64


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Formazione e produttività

(2005/C 120/13)

Con lettera del ministro degli Affari europei Atzo NICOLAÏ del 22 aprile 2004, la presidenza olandese ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, l'elaborazione di un parere sul tema Formazione e produttività.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 settembre 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore KORYFIDIS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 28 ottobre 2004, nel corso della 412a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 81 voti favorevoli, un voto contrario e un'astensione.

1.   Caratteristiche del parere

1.1

Sulla base della richiesta rivolta dalla presidenza olandese al Comitato, il presente parere esplorativo verte sui seguenti punti:

il programma della presidenza olandese, con particolare riferimento alla sezione dal titolo Un'Europa sociale aperta ai cambiamenti  (1),

la decisione del Consiglio europeo di Bruxelles (2) (25-26 maggio 2004) di raccogliere la sfida di Lisbona e, in particolare, l'invito rivolto al Comitato «ad esaminare modi e mezzi per un'attuazione più efficace della strategia di Lisbona» (3),

la ricerca di un accordo tra i 25 Stati membri, nel secondo semestre del 2004, sulla nuova agenda della politica sociale 2006-2010 (4),

l'esame e l'inclusione nell'ambito di tale accordo degli obiettivi di Lisbona e di Göteborg (5),

la ricerca, l'individuazione e la presentazione dei fattori che ostano all'attuazione delle politiche in materia di apprendimento permanente e di quelli in grado di accrescere l'efficacia delle politiche di formazione continua.

1.1.1

Si segnala che il quadro complessivo dei problemi di politica sociale e occupazionale proposti dalla presidenza olandese è stato esaminato nel corso di un convegno ad alto livello dal titolo More People to Work: policies to activate Europe's labour potential (Una maggiore occupazione: politiche per attivare il potenziale lavorativo in Europa, che si è tenuto ad Amsterdam il 25 e 26 ottobre 2004.

1.1.2

Tale convegno si prefiggeva inoltre di esaminare i necessari cambiamenti strutturali da apportare ai quattro ambiti politici individuati (6), congiuntamente al rafforzamento della cooperazione e al mantenimento della coesione sociale.

1.1.3

Si precisa, infine, che la presidenza olandese ha invitato il Comitato a concentrarsi sui seguenti interrogativi:

quali sono i maggiori ostacoli che si frappongono all'applicazione delle politiche nazionali e comunitarie in materia di formazione continua a livello di singolo Stato membro e di Unione europea, e come superarli?

Quali strumenti sono maggiormente in grado di rafforzare la formazione continua?

In che modo la ripartizione delle competenze tra i diversi attori coinvolti nel processo di formazione (governo, parti sociali, ma anche lavoratori e datori di lavoro) influisce sull'organizzazione e sulla riuscita della formazione continua? Quale, infine, la formula più indicata per la ripartizione dei ruoli e delle responsabilità, e come metterla in pratica?

2.   Introduzione

2.1

Il Comitato giudica estremamente significativa la richiesta di consultazione da parte della presidenza olandese, ma ancora più importanti il contenuto di tale richiesta e le sue implicazioni: essa, infatti, si ricollega ai più ampi obiettivi e alle grandi problematiche dell'Unione afferenti allo sviluppo sostenibile e, più specificamente, all'occupazione, alla produttività e alla crescita economica.

2.2

Il Comitato, pur senza venir meno all'impegno di concentrarsi sul tema proposto dalla presidenza olandese, ritiene comunque importante inserire la propria analisi in un quadro più generale (7) che racchiuda tutta la sua visione relativa a un progresso complessivo dell'Unione nei settori in questione e nel contesto dell'attuale congiuntura.

3.   Definizioni  (8)

3.1

Con il termine formazione (professionale) si intende l'acquisizione, il rinnovamento o l'aggiornamento di conoscenze e capacità, soprattutto tecniche, da parte di un individuo.

3.2

La formazione iniziale consiste nella fase di apprendimento delle conoscenze e delle capacità di base e generiche relative alla professione esercitata da un individuo. In molti Stati membri la formazione iniziale è rafforzata dall'apprendistato, pratica che coniuga diverse forme di apprendimento con l'esperienza acquisita sul posto di lavoro.

3.3

La formazione professionale continua si riferisce all'apprendimento legato al mercato del lavoro e/o alle imprese e si basa sulle qualifiche ed esperienze già possedute al fine di aggiornare, ampliare e adattare le conoscenze e competenze ad altri o nuovi settori occupazionali o incarichi nel contesto di un'impresa. La formazione continua è destinata in primo luogo ai cittadini, uomini e donne, già attivi sul piano occupazionale, che dispongano di una formazione iniziale (eventualmente anche come personale formato in seno all'impresa senza disporre del relativo diploma di studi) e siano inseriti in un rapporto di lavoro oppure risultino disoccupati (e a questo titolo siano oggetto di misure volte a promuovere la formazione continua e partecipino a corsi di riqualificazione professionale). A tali cittadini si offre inoltre un'ampia scelta di formazione generica e specifica, nel settore pubblico o privato, e nelle forme di apprendimento le più diverse.

3.4

In Europa i sistemi di formazione professionale variano in misura considerevole da uno Stato all'altro, ma anche all'interno dei singoli Stati, in quanto si adeguano continuamente alle esigenze del mondo del lavoro. Trovare una definizione concettuale precisa e direttamente trasferibile rappresenta una sfida costante sia dal punto di vista interpretativo sia linguistico. Eppure, il coordinamento dell'offerta di formazione professionale tra le strutture preposte all'istruzione e i centri di formazione legati alle imprese riveste un'importanza sostanziale. L'accento può essere posto sui settori della formazione di base come pure su quella continua, in funzione del livello di qualifica, del settore industriale e professionale. Lo stesso vale per il tipo di offerta, che può comprendere seminari, moduli e corsi di diversa durata come pure corsi di studio più completi, orientati alla professione. Inoltre i sistemi di formazione professionale e di perfezionamento e, in ultima analisi, anche i centri di formazione e i datori di lavoro riconoscono i processi di apprendimento non formali e informali (9).

3.5

Con l'espressione apprendimento permanente si intende «qualsiasi attività di apprendimento avviata in qualsiasi momento della vita, volta a migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze in una prospettiva personale, civica, sociale e/o occupazionale» (10). A seguito delle conclusioni del Consiglio di Lisbona, l'apprendimento permanente ha acquisito una notevole importanza politica in quanto concetto fondamentale per rispondere alla necessità, riconosciuta da ogni parte, di un rinnovamento sostanziale del modello europeo di formazione in vista del passaggio a un'economia e a una società fondate sulla conoscenza (11). Per il conseguimento degli obiettivi stabiliti a Lisbona, un'importanza fondamentale riveste l'ulteriore e coerente sviluppo e/o trasformazione delle strutture, delle modalità di funzionamento e dei metodi di insegnamento/apprendimento degli attuali sistemi di istruzione o formazione professionale. Di conseguenza, la nuova generazione di programmi di azione comunitari in materia rientrerà tutta, a partire dal 2007, sotto la denominazione comune di apprendimento permanente (12).

3.5.1

Un'attuazione concreta e completa dell'apprendimento permanente per molti aspetti non ha ancora avuto luogo, sia che si tratti delle strutture dell'offerta, delle possibilità di accesso, della domanda della società o della percentuale di partecipazione della popolazione nel suo complesso. Le agenzie europee Cedefop (Centro europeo per lo sviluppo della formazione professionale) e ETF (Fondazione europea per la formazione) hanno contribuito notevolmente a permettere uno scambio di approcci, informazioni ed esperienze tra gli Stati membri in generale e tra i diversi gruppi d'interesse come pure tra i soggetti appartenenti al mondo della formazione in particolare (13). In pratica, restano però alcune questioni fondamentali, tra cui:

come fare dell'apprendimento permanente il concetto unificante di ogni attività educativa (tipica e atipica),

come collegare l'apprendimento permanente alla realizzazione della società e dell'economia della conoscenza,

come correlare l'apprendimento permanente allo sviluppo sostenibile e alle attuali sfide della globalizzazione,

come, in particolare, rendere l'apprendimento permanente un motore dello sviluppo produttivo, sociale e culturale sul piano locale,

come creare uno spazio europeo dell'apprendimento permanente,

come verificare le modalità di sfruttamento e di certificazione dei risultati dell'apprendimento permanente e,

infine, come vagliarne le modalità di finanziamento.

3.5.2

Nell'ambito degli sforzi volti a istituzionalizzare l'apprendimento permanente, così come lo si è descritto finora, si cercano e si stabiliscono nuove suddivisioni dei ruoli e delle competenze. Si cercano e si stabiliscono, inoltre, nuove collaborazioni a tutti i livelli, in particolare a quello locale: è qui infatti che, per realizzare gli obiettivi di Lisbona, emerge la necessità di intensificare la collaborazione tra gli enti pubblici, le parti sociali e, più in generale, la società civile.

3.6

In termini formali e conformemente a quanto espresso dalla Commissione (14), la produttività del lavoro corrisponde alla quantità di lavoro necessario per produrre un'unità di un bene specifico. In termini macroeconomici, la produttività del lavoro si misura tramite il prodotto interno lordo (PIL) pro capite di un paese per persona attiva (15). L'aumento della produttività è la fonte principale della crescita economica (16).

4.   La politica dell'Unione europea in materia di formazione professionale

4.1

L'Unione attua una politica di formazione professionale che rafforza ed integra le azioni degli Stati membri, nel pieno rispetto della responsabilità di questi ultimi per quanto riguarda il contenuto e l'organizzazione della formazione professionale (17). Le decisioni prese a Copenaghen nel 2002 costituiscono un progresso qualitativo nell'ulteriore sviluppo di questa politica, la quale punta inoltre alla coerenza e alla sinergia con gli obiettivi di Lisbona in materia di istruzione e di formazione professionale entro il 2010 (18). Un altro passo avanti nella stessa positiva direzione è la relazione intermedia comune del Consiglio e della Commissione (aprile 2004) (19) sull'attuazione del programma di lavoro dettagliato concernente il seguito dato agli obiettivi dei sistemi d'istruzione e di formazione in Europa.

4.1.1

Il Cedefop e la Fondazione europea per la formazione (EFT) sostengono in modo specifico lo sviluppo della formazione professionale. In particolare, essi contribuiscono all'applicazione degli orientamenti della politica europea in materia tramite la preparazione, la diffusione e lo scambio di informazioni, esperienze ed esempi di buone prassi, nonché attraverso studi e relazioni commissionati all'esterno e la preparazione e l'analisi di lavori di ricerca e di esperienze pratiche. In modo simile, la rete europea di informazione Euridice (20) crea un collegamento tra i sistemi di istruzione generale e i loro attori. Queste tre strutture lavorano in un quadro di cooperazione costruttiva che assume proporzioni sempre maggiori, data la crescente importanza dell'apprendimento permanente, il quale comporta una sempre più stretta collaborazione e interrelazione tra istruzione e formazione professionale.

4.1.2

Il programma Leonardo Da Vinci (21) punta a concretizzare la politica dell'Unione in materia di formazione professionale, contribuendo «alla promozione di un'Europa della conoscenza mediante lo sviluppo di uno spazio europeo di cooperazione nel settore dell'istruzione e della formazione professionale» e sostenendo «le politiche degli Stati membri sulla formazione lungo tutto l'arco della vita e lo sviluppo di conoscenze, attitudini e competenze atte a favorire la cittadinanza attiva e l'occupabilità» (22). La realizzazione del programma è affidata agli Stati membri.

4.1.3

Nel quadro della messa a punto e dell'attuazione dell'apprendimento permanente è altresì opportuno fare un cenno particolare all'azione «Grundtvig» del programma Socrate II, intesa a promuovere un approccio didattico integrato nell'intera gamma delle azioni di formazione per adulti (23).

4.2

Si nota che i sistemi nazionali di istruzione e formazione professionale sono sorti e si sono sviluppati per lo più sulla base di esigenze concrete determinate di volta in volta e nel corso del tempo dal mercato del lavoro. Di conseguenza, la loro evoluzione è avvenuta a ritmo lento, al pari dello sviluppo del mercato. Allo stesso tempo e per lo stesso motivo, tra i vari sistemi si registrano notevoli differenze, le quali danno oggi origine a problemi di coordinamento, di assimilazione delle buone prassi e di reciproca comprensione dei termini e dei concetti impiegati a seconda dei casi.

4.3

Nel 2004 le risorse stanziate dall'Unione europea per la formazione professionale ammontavano a 194 533 900,00 EUR, di cui 163 milioni destinati al programma Leonardo da Vinci. Per fare un confronto, le spese per l'istruzione di ogni ordine e grado, a eccezione della formazione, si situano a 268 848 500,00 EUR, mentre le risorse del bilancio complessivo della direzione generale Istruzione e cultura sono pari a 783 770 054,00 EUR, contro i 92 370 071 153,00 EUR del bilancio generale dell'Unione (24).

4.3.1

Tale dotazione finanziaria, scarsa se confrontata con l'importanza economica e politica della formazione professionale, ha riflessi anche sul piano nazionale. I soggetti determinanti a tutti i livelli decisionali concordano sul fatto che le risorse complessive disponibili per il settore della formazione sono insufficienti per raggiungere gli obiettivi fissati.

4.4

Si osserva inoltre che la percentuale media di cittadini dell'Unione che portano a termine una formazione professionale continua è bassa (8,4 %) (25). L'obiettivo dell'Unione al riguardo è far sì che entro il 2010 tale percentuale raggiunga il 12,5 % della popolazione attiva (compresa cioè tra i 25 e i 64 anni di età) (26).

4.5

Una formazione continua efficace e orientata al futuro è un elemento fondamentale per realizzare in pratica e con successo l'apprendimento permanente. È evidente che i sistemi attuali, insieme con i loro processi e risultati in termini di apprendimento, non rispondono alle esigenze sul piano quantitativo e qualitativo. Questa valutazione complessiva non esclude che vi siano offerte di formazione professionale continua molto valide ed efficaci in campi e contesti determinati. Come esempio si potrebbero menzionare, da un lato, i corsi organizzati all'interno delle imprese, volti a rispondere alle esigenze specifiche di una determinata realtà aziendale, d'altro lato le offerte (27) di tipo settoriale, sviluppate dalle parti sociali europee e/o in collaborazione con esse.

5.   La politica dell'Unione in materia di aumento della produttività

5.1

Tutti i dati dei pertinenti studi della Commissione degli ultimi anni mostrano una dinamica negativa della produttività in Europa. In particolare, «nella seconda metà degli anni '90, e dopo un periodo di notevole rallentamento, gli Stati Uniti hanno visto accelerarsi sia la crescita della produttività del lavoro (passata da un valore medio dell'1,2 % nel periodo 1990-1995 all'1,9 % per il periodo 1995-2001), sia la crescita occupazionale (passata dallo 0,9 % all'1,3 %). Nell'Unione la crescita della produttività della manodopera ha accusato una flessione (passando da un valore medio dell'1,9 % nella prima metà del decennio all'1,2 % per il periodo 1995-2001), ma la crescita dell'occupazione ha registrato un considerevole incremento (passando da un arretramento dello 0,6 % nella prima metà del decennio all'1,2 % per il periodo 1995-2001)» (28).

5.2

I dati dimostrano che vi sono differenze sempre maggiori nelle quote di produttività dei singoli Stati membri dell'Unione. La Commissione, nella sua comunicazione dal titolo «Produttività: la chiave per la competitività delle economie e delle imprese europee» (29), cerca di mostrare le cause e le ripercussioni che questa situazione può avere sugli obiettivi di Lisbona. In particolare, dopo avere enucleato e illustrato le considerevoli differenze esistenti tra gli Stati membri, essa sottolinea che «un aumento della crescita economica è possibile solamente con una migliore produttività. I progressi a livello delle TIC e delle innovazioni e una manodopera più adeguata ai fabbisogni dell'industria possono risultare decisivi ai fini di una migliore produttività delle imprese» (30).

5.3

Il Comitato ritiene che l'aumento della produttività nell'Unione costituisca la chiave per il suo futuro in generale. Inoltre è dell'avviso che ogni sforzo collettivo per incrementare tale produttività potrebbe e dovrebbe essere messo in atto nel quadro e con il sostegno del modello sociale europeo. Tali sforzi devono essere rivolti a tutti i cittadini europei e da essi accettati, comprendere una prospettiva di sviluppo di medio-lungo termine ed essere compiuti in modo sistematico, frutto di una combinazione di politiche e azioni fondate sulla conoscenza. Il Comitato ritiene, infine, che nel compimento degli sforzi summenzionati svolgano un ruolo centrale le sinergie tra le parti sociali e più in generale la società civile e i poteri pubblici, in particolare a livello locale.

6.   Il rapporto tra formazione e produttività

6.1

Riguardo all'essenza del problema, nel quadro della visione più generale del Comitato si giudica indispensabile chiarire che:

la produttività è un elemento influenzato per una certa parte, comunque sostanziale, dalla conoscenza: «il livello degli investimenti, l'organizzazione sul luogo di lavoro, le politiche di partecipazione, la creazione di ambienti di lavoro che stimolino l'innovazione, le nuove forme di cooperazione tra università e imprese e le nuove modalità per rendere disponibili capitali di rischio dovrebbero formare parte di un approccio più ampio alla crescita della produttività nell'Unione europea» (31). L'aumento della produttività costituisce pertanto un problema che non può essere risolto da un miglioramento - qualunque esso sia - del sistema di formazione,

nella congiuntura attuale, la formazione può influenzare in modo decisivo la produttività - e, di conseguenza, la competitività e il conseguimento degli obiettivi di Lisbona - nella misura in cui si inserisce nel quadro più ampio e completo della politica in materia di istruzione (32), un quadro che a sua volta contiene un sistema sia pur di base, ma comunque operativo di comunicazione interna (a livello regionale, nazionale e comunitario); un quadro, inoltre, in cui tutti i tipi di istruzione e formazione costituiscono sottoinsiemi dell'apprendimento permanente; un quadro, infine, strutturato e orientato, in termini di obiettivi e di contenuto, in modo da poter far fronte a un ambiente estremamente dinamico e pluridimensionale (33),

produttività e formazione andranno esaminate e combinate assieme a tutti i livelli, compreso il posto di lavoro, dove viene presa la maggior parte delle decisioni riguardanti il finanziamento e l'accesso a programmi di formazione professionale permanente, nonché attraverso un approccio collettivo anche quando a prima vista le difficoltà sembrerebbero di natura individuale,

in ogni caso è di grande importanza il sostegno dell'Unione alle regioni che sono più indietro nello sviluppo di un tipo moderno di formazione e in particolare ai nuovi Stati membri.

6.2

In tale contesto bisogna, pertanto, sviluppare i sistemi e le iniziative di formazione professionale iniziale e ancor più di formazione continua e perfezionamento professionale, affinché possano operare in maniera più proficua di quanto non abbiano fatto finora (34).

6.2.1

Oggigiorno, mettere a punto un sistema per l'aggiornamento delle conoscenze, delle qualifiche e delle competenze significa combinare assieme, come mai prima, orientamenti, conoscenze, obiettivi, quadro di funzionamento e incentivi. Più concretamente tale processo presuppone:

una familiarità con le nuove realtà mondiali (in termini di pianificazione territoriale, ma anche a livello economico, tecnologico, culturale, demografico, ecc.),

l'acquisizione di una solida conoscenza generale e specifica della logica e del funzionamento del mercato globale e delle nuove forme di governance politica ed economica a livello mondiale,

sensibilità alle esigenze e alle istanze della società e dell'economia della conoscenza, attraverso lo sviluppo di programmi innovativi, attraenti e flessibili,

una consapevolezza delle linee discriminatorie che caratterizzano il nuovo sistema produttivo mondiale e della necessità di sviluppare contromisure per poterle superare,

una riformulazione delle forme e del quadro della concorrenza, come strumento di mobilità e di innovazione sul territorio comunitario e al suo esterno,

la ridefinizione degli incentivi alla partecipazione al processo formativo, specificando in particolare come ripartire il valore aggiunto così prodotto,

il riconoscimento delle tre dimensioni del concetto di sostenibilità, con relativa integrazione nella vita del singolo e della collettività (35).

6.2.2

I presupposti appena elencati non possono tuttavia costituire l'oggetto e l'obiettivo di una formazione professionale di qualunque forma o tipo, ma rientrare in un intervento sistematico, multilaterale e a lungo termine in materia di istruzione (36) (intesa come sintesi di apprendimento e insegnamento), che produca una cultura dell'istruzione (socializzazione) in cui la conoscenza diventi forza propulsiva di progresso e la sinergia forza di sviluppo sostenibile.

6.3

A giudizio del Comitato, una risposta logica ai due interrogativi posti dalla presidenza olandese sarebbe pertanto quella esposta al punto seguente.

6.3.1

Per la loro stessa natura e il loro funzionamento, i sistemi europei di formazione professionale, sia iniziale sia continua, hanno difficoltà a soddisfare le esigenze della società della conoscenza e dello sviluppo economico sostenibile. I problemi concreti che incontrano tali sistemi riguardano, tra gli altri, i seguenti aspetti:

l'orientamento : i sistemi di formazione continuano a essere orientati, in larga misura, alla risoluzione dei singoli problemi di un ambiente produttivo a mobilità assai ridotta,

il livello di azione : dato questo loro orientamento, i sistemi europei di formazione professionale devono inserire in maniera migliore il particolare nel generale quale parte integrante di un quadro d'insieme, come richiede oggi la globalizzazione dell'economia,

la mobilità : l'orientamento e il livello d'azione dei sistemi di formazione complicano, in parte, qualunque forma di mobilità, interna ed esterna, in termini di diffusione di idee nuove, sviluppo di reti, cultura delle innovazioni, modulazione delle politiche in base ai problemi specifici,

il rapporto con le attuali conoscenze : a prescindere dalla ricettività e dalla flessibilità dei singoli formatori, i sistemi continuano, di regola, a non avere l'obbligo di seguire gli sviluppi in campo scientifico, tecnologico, produttivo, ecc.,

i contatti con le tendenze in atto sul mercato del lavoro : i sistemi di istruzione e formazione non rispondono di norma alle esigenze del mercato del lavoro, poiché raramente includono talune nuove specializzazioni e più ampie capacità sociali e personali,

il coordinamento : in molti Stati membri, il coordinamento dei sistemi costituisce un problema. Di conseguenza, ogni singolo sistema di istruzione e formazione professionale opera in pieno isolamento rispetto al resto del sistema d'istruzione, ai suoi omologhi a livello comunitario e, naturalmente, alla realtà economica e sociale circostante.

6.3.2

Nelle strategie, negli obiettivi, negli strumenti e nei metodi didattici si riscontrano altresì determinate carenze che paralizzano i sistemi europei di istruzione e formazione professionale. Più in particolare:

la realizzazione pratica dell'apprendimento permanente andrebbe promossa nell'immediato tra i responsabili a tutti i livelli della politica e della prassi,

il rafforzamento della coesione sociale e l'incremento della mobilità dovrebbero ricevere la massima attenzione, in quanto obiettivi di primo piano per la formazione a livello europeo, al momento della realizzazione pratica da parte degli attori e degli organismi competenti,

in numerosi campi della formazione manca il collegamento con la realtà, il che va a scapito dell'occupabilità,

i programmi dei corsi di formazione sono troppo spesso modulati sulla base di situazioni di mercato contingenti, producendo, a lungo termine, risultati errati rispetto alle esigenze del mercato del lavoro,

a causa dell'incompatibilità tra i diplomi di studi e le qualifiche acquisiti nei diversi paesi, nonché della scarsa conoscenza delle lingue straniere, la mobilità incontra ancora ostacoli enormi.

7.   La battaglia della produttività in Europa: problematiche e valutazioni

7.1

Le osservazioni formulate finora conducono a una valutazione quanto mai preoccupante: la battaglia ingaggiata dall'Europa per accrescere la propria competitività si svolge a livelli e in tempi sbagliati. Essa infatti avrebbe già dovuto concentrarsi sull'istruzione e sulla formazione di base, ai fini dell'acquisizione delle cosiddette competenze chiave  (37), senza però perdere di vista l'apprendimento permanente (38) (così come lo si è definito al punto 3.5).

7.2

Pertanto, le proposte esposte qui di seguito si riferiscono all'insieme delle azioni educative (indipendentemente dal livello di competenza in cui rientrano) e si inquadrano in una logica unitaria, la quale richiede una grande campagna coordinata per adeguare più rapidamente tutti i sistemi europei di istruzione e formazione professionale all'attuale realtà europea e mondiale. In concreto si propone:

7.2.1

Un nuovo approccio maggiormente integrato e critico alle strutture dei sistemi europei di istruzione e formazione professionale e ai collegamenti tra gli stessi . Tale nuovo approccio dovrà in altre parole favorire lo sviluppo di una migliore comunicazione, della cooperazione e di azioni congiunte tra i sottosistemi delle varie forme di istruzione, affinché possano rispondere efficacemente alle sfide della globalizzazione e favorire la mobilità che quest'ultima genera. Tale nuovo approccio sarà inoltre determinato dalla consapevolezza della posizione e del ruolo dell'Europa come partner mondiale nell'ambito delle nuove forme di governance politica ed economica a livello planetario.

7.2.1.1

Si tiene a sottolineare che il nuovo approccio non dovrà inficiare la tradizionale dimensione umanistica dell'identità educativa e culturale europea, ma al contrario coltivarla e promuoverla.

7.2.1.2

Nel quadro di tale nuovo approccio critico, inoltre, la formazione professionale non va considerata come elemento a se stante né, naturalmente, va trattata in modo autonomo, bensì come una componente - al pari degli altri comparti dell'istruzione, ivi comprese le forme di apprendimento tipiche e atipiche - di una rete globale di apprendimento permanente, un sistema cioè che vada incontro ai bisogni e alla domanda di istruzione e formazione professionale dei cittadini e che sia direttamente e integralmente collegato con il grande obiettivo dello sviluppo sostenibile.

7.2.2

Una seconda posizione del Comitato riguarda l'ottica e la partecipazione europea al già menzionato processo di reimpostazione critica delle strutture dei sistemi europei di istruzione e formazione professionale e dei collegamenti tra gli stessi .

7.2.2.1

A suo giudizio, infatti, l'entità dei problemi, la loro urgenza e, soprattutto, gli ingenti costi necessari per risolverli richiedono concertazioni e ricerche immediate a livello europeo.

7.2.2.2

Le concertazioni e le ricerche non dovranno certo mirare a una qualche forma di intervento comunitario sulle strutture esistenti nell'ambito dei sistemi europei di istruzione e formazione professionale, giacché la loro diversità costituisce un'inestimabile ricchezza da promuovere.

7.2.2.3

Esse potranno invece offrire forme alternative e buone prassi sia per familiarizzare i sistemi europei di istruzione e formazione professionale con le nuove realtà e soprattutto con applicazioni pilota e nuovi progetti, sia per collegarli agli obiettivi di Lisbona, agli altri grandi obiettivi dell'Unione e alle modalità di approccio, ricerca, individuazione e valorizzazione delle nuove conoscenze consolidate a livello mondiale.

7.2.2.4

In questo senso, specie per quanto riguarda la produttività e le sue diramazioni e sempre partendo dal relativo acquis comunitario, l'Unione ha un preciso ruolo da svolgere, ruolo che dovrà presentare e promuovere soprattutto a livello locale e regionale.

7.2.2.5

La partecipazione dell'Unione al processo di reimpostazione critica delle strutture e dei legami tra i sistemi europei di istruzione e formazione professionale comprende anche un'altra dimensione altamente significativa. L'Unione, infatti, può ridurre drasticamente i costi economici delle ricerche, assumendosi il compito - a nome degli Stati membri e con la loro collaborazione - di analizzare, individuare e promuovere le migliori prassi alternative. Valorizzando il metodo aperto di coordinamento, essa può infine conferire all'intero processo una mobilità e un dinamismo maggiori in vista di obiettivi comuni.

7.2.3

Una terza posizione del Comitato riguarda le modalità di collegamento del processo di apprendimento, qualunque forma esso abbia, con la sostenibilità delle politiche economiche, sociali e ambientali . La posizione del Comitato è la più complessa, ma anche la più tangibile. Essa si fonda su precise esperienze e può essere quindi ritenuta una buona prassi (39).

7.2.3.1

Tale posizione parte dal principio secondo cui problemi complessi come la sopravvivenza e lo sviluppo sostenibile, la produttività, la competitività o la realizzazione della società della conoscenza non si possono risolvere se non si tiene conto della realtà quotidiana o se si adottano percorsi isolati e decisioni prese dall'alto. Non si risolvono cioè come fossero singoli problemi da trattare attraverso approcci frammentari, ma a livello di società, con un approccio integrato e una partecipazione personale e collettiva consapevole. Per tale ragione, la proposta centrale del Comitato riguardo alle modalità della produttività punta alla dimensione locale, oltre a quella europea, nazionale e settoriale, a politiche integrate di sviluppo sostenibile e all'intensa promozione di qualunque forma di cooperazione tra le parti sociali  (40) e, più in generale, tra la società civile organizzata e gli enti locali in vista di precisi obiettivi comuni  (41).

7.2.3.2

Data la loro fondamentale importanza, la conoscenza, il know-how e l'innovazione vengono messi in risalto dalla proposta come fattore di coerenza delle cooperazioni, ma anche degli obiettivi comuni.

7.2.3.3

Perché la proposta funzioni, si suggerisce di adottare come forza propulsiva gli incentivi della sostenibilità individuale o collettiva, della familiarità con la realtà quotidiana su scala mondiale, ma anche del sostegno reciproco agli sforzi individuali o collettivi a favore dello sviluppo.

7.2.3.4

Lo strumento ideale per concretizzare la proposta è costituito dall'istituzione dell'apprendimento permanente, che può essere sviluppato oltre l'angusto ambito dei sistemi nazionali di istruzione e formazione, giacché, per sua stessa natura, esso crea un proprio sistema produttivo e competitivo interno, al di fuori di ogni forma di polarizzazione.

7.2.3.5

A prescindere dai servizi che può offrire allo stato attuale e futuro, l'apprendimento permanente in quanto sistema integrato di apprendimento ed educazione deve ora sviluppare un sistema di incentivi e di leve a livello politico e sociale in modo da consentire ai sistemi europei di istruzione e formazione di armonizzare nell'immediato le loro aspirazioni con gli obiettivi di Lisbona (42), così da soddisfare:

le esigenze dell'economia della conoscenza, della nuova economia e del mercato globalizzato,

le esigenze del mercato del lavoro forgiate e trasformate dai continui progressi scientifici e tecnologici,

le esigenze della cultura dell'imprenditorialità, di un pensiero produttivo collettivo e di uno spirito di legittimazione e riconoscimento sociale dell'innovazione in generale e dell'attività produttiva innovativa in particolare.

7.2.3.6

Gli incentivi di cui sopra devono creare un clima favorevole e attrattivo per la formazione professionale e l'apprendimento permanente, grazie in particolare all'intensificarsi delle sinergie tra istituti di istruzione e, principalmente, tra istituti di istruzione, imprese, società civile ed enti locali al fine di promuovere procedure e azioni che servano gli obiettivi di Lisbona.

8.   L'attribuzione delle responsabilità e la questione dei finanziamenti

8.1

L'attribuzione delle responsabilità nell'ambito di un processo multilaterale volto al raggiungimento di obiettivi comuni, specie nel contesto della globalizzazione, è una questione complessa che comprende fattori oggettivi e soggettivi, tra cui:

il riconoscimento e l'accettazione del quadro operativo da parte dei soggetti interessati,

il riconoscimento e l'accettazione degli obiettivi comuni e della necessità di raggiungerli,

le condizioni che presiedono al processo di realizzazione degli obiettivi e l'equilibrio del processo stesso,

gli incentivi per il raggiungimento degli specifici obiettivi,

le possibilità di riuscita dell'intera operazione.

8.1.1

Da quanto precede si comprende come la partecipazione di individui o gruppi di individui, di imprese o di comunità locali a un'attività di formazione professionale, o piuttosto a un'attività di apprendimento permanente, presupponga il chiarimento degli obiettivi, degli strumenti e degli incentivi. Ciò significa a sua volta che le relative responsabilità non spettano unicamente ai soggetti dell'istruzione e della formazione e che esse, inoltre, presentano ripercussioni politiche e sociali. Di conseguenza, possono essere attribuite come segue:

8.1.1.1

le responsabilità politiche sono circoscritte per lo più alla creazione di un quadro operativo regolare e trasparente per quanto riguarda le condizioni e i limiti del funzionamento economico, sociale o di qualsiasi altro genere. La messa a punto di politiche preventive pertinenti, il rafforzamento di modalità specifiche di governance politica ed economica e il finanziamento delle relative politiche rientrano nella sfera delle responsabilità politiche.

8.1.1.2

Altrettanto considerevoli sono le responsabilità della società civile, delle parti sociali, ma anche delle autorità locali e regionali nell'ambito della promozione di una politica integrata in materia di apprendimento. Si tratta fondamentalmente di responsabilità attinenti alla divulgazione al pubblico degli obiettivi, dei processi e degli strumenti finalizzati a creare un ambiente dell'apprendimento, come pure alla concezione di forme specifiche di cooperazione e delle relative azioni integrate; si tratta, infine, di responsabilità relative alla formulazione e alla messa a disposizione degli incentivi per consentire la partecipazione a politiche e ad azioni selezionate di volta in volta di comune accordo.

8.1.1.3

Le responsabilità inerenti alle imprese presentano un risvolto economico e uno sociale. Anzitutto, spetta alle imprese definire le condizioni e i limiti della propria sostenibilità. Sono sempre loro, inoltre, a dover valutare costantemente le proprie esigenze in termini di competenze e conoscenze sviluppando - da sole o in collaborazione con altri attori del settore - programmi di formazione specifici. Ciò è particolarmente vero per le PMI, le quali intrattengono rapporti più stretti con il mondo esterno e sono tenute a sostenere l'ambiente sociale ed economico in cui operano, a consultarsi con esso e a sollecitarne l'appoggio, data la difficoltà, per loro, di mettere a punto, da sole, delle iniziative formative compiute. Ciò illustra allo stesso tempo la dimensione sociale insita nella responsabilità delle imprese, dimensione che appare vieppiù importante nell'ambito della globalizzazione economica sia per la solidità delle imprese stesse sia per il contesto sociale in cui esse si collocano.

8.1.1.4

Infine, molteplici sono anche le responsabilità degli individui, in termini di partecipazione a un processo di apprendimento permanente. Tali responsabilità sono legate ai mutamenti nel loro modo di pensare, alla nuova ottica con cui analizzano i fenomeni e gli avvenimenti di attualità, ai nuovi legami che intessono con l'apprendimento e la conoscenza, al cambiamento complessivo nel loro modo di vivere, nonché di impiegare e sfruttare il loro tempo libero. Di conseguenza, specie per quanto riguarda gli individui attivi in età già avanzata, le loro responsabilità inerenti alla partecipazione ad azioni di apprendimento permanente devono accompagnarsi a obblighi specifici e incentivi rafforzati. A questa miscela di obblighi e incentivi appartiene senz'altro il loro impiego del tempo libero e il loro concorrere alla creazione del valore aggiunto determinato dall'innovazione e dalle tecnologie moderne.

8.2

Un altro problema complesso è quello dei finanziamenti destinati alla formazione e soprattutto all'apprendimento permanente.

8.2.1

Ai sensi dell'articolo 14 della Carta dei diritti fondamenti dell'Unione europea, ogni cittadino europeo «ha diritto all'istruzione e all'accesso alla formazione professionale e continua». Di conseguenza la creazione delle premesse per tutelare tali diritti dev'essere un obbligo statale - a tutti i livelli e per tutti gli enti collettivamente - di cui una componente importante è la garanzia delle necessarie risorse finanziarie.

8.2.2

Nondimeno, al di là di quest'obbligo statale, l'impulso alla sostenibilità deriverà in sostanza e in generale dalla competitività dell'economia - specie nei confronti dell'esterno - e dalle cooperazioni sviluppate in tale contesto.

8.2.2.1

La responsabilità dello Stato di finanziare l'istruzione non esclude la corresponsabilità dei datori di lavoro e delle imprese: una corresponsabilità che non si riferisce genericamente al settore della formazione professionale né ai corsi di qualificazione e di formazione continua, bensì all'organizzazione di azioni di formazione organizzati all'interno delle imprese per l'acquisizione di competenze specifiche correlate alla loro attività. Le imprese hanno la necessità di formare in modo continuo i lavoratori, affinché essi possano essere all'altezza del rinnovamento tecnologico e organizzativo e rispondere alle esigenze dettate dall'espansione. Per questo motivo imprese e lavoratori devono essere agevolati e sostenuti con diversi incentivi, come, per entrambi, la creazione di fondi comuni e l'introduzione di agevolazioni fiscali. A questo tipo di incentivi fanno riferimento le parti sociali nella seconda relazione congiunta di monitoraggio 2004, nel quadro delle azioni volte a promuovere lo sviluppo di competenze e qualifiche lungo tutto l'arco della vita. In particolare, nel secondo punto del primo capitolo di tale documento si legge quanto segue: «I rapporti elaborati a livello nazionale illustrano la varietà di strumenti impiegati dalle parti sociali per mobilitare le risorse volte a promuovere investimenti efficaci nello sviluppo delle competenze lungo tutto l'arco della vita. Alcuni di tali strumenti sono posti in atto in cooperazione con enti pubblici di livello europeo o nazionale (ricorso a fondi UE, incentivi fiscali, creazione di nuovi fondi, ecc.). Altri sono orientati in maniera più specifica allo sviluppo delle competenze da parte dell'individuo».

8.2.2.2

Ad ogni modo, gli investimenti nell'apprendimento e nella conoscenza mirati alla competitività devono inserirsi in partenariati sostenibili e produttivi tra attori ed enti a livello locale, regionale, nazionale e settoriale; essi, inoltre, non devono limitarsi ad affiancare il settore pubblico, ma contribuire con tutta una serie di risorse di diversa provenienza. Nel loro insieme, gli stanziamenti di fondi, le spese e le attività contribuiscono tutti al costante processo di acquisizione di nuove qualifiche.

8.2.3

L'obbligo fondamentale spettante allo Stato di provvedere all'istruzione, ivi compresa la formazione professionale, richiede inoltre un approccio differenziato e ad hoc. In primo luogo, determinate regioni e fasce della popolazione dell'Unione necessitano di aiuti economici specifici. Secondariamente, alcuni settori e comparti industriali, non da ultimo le PMI, meritano particolare attenzione.

8.2.3.1

Gli organi che finanziano l'istruzione a tutti i livelli dovrebbero essere attenti a reagire positivamente alle innovazioni, nonché a sviluppare una sensibilità accresciuta per la realtà d'impresa - soprattutto le PMI.

8.2.3.2

Tale approccio nei confronti del finanziamento dell'apprendimento permanente richiederebbe, naturalmente, trasparenza e andrebbe adottato al livello adeguato, vale a dire con la partecipazione e il consenso delle parti sociali e della società civile.

8.2.4

Ciò significa che vi è urgente necessità di una gestione più razionale delle risorse finanziarie, specie nel caso della formazione e dell'apprendimento permanente. Tale razionalità deve riguardare non solo le modalità di distribuzione delle risorse, ma anche la loro efficacia in quanto investimenti.

8.2.4.1

Il Comitato suggerisce di elaborare una relazione di alto livello corroborata da una ricerca sul tema, in cui figurino:

una descrizione delle fonti e delle modalità di finanziamento della formazione e dell'apprendimento permanente a tutti i livelli,

una valutazione del loro livello qualitativo,

una valutazione di come si rapportano ai sistemi di istruzione ufficiali,

analisi e comparazioni della loro efficacia in quanto investimenti.

8.2.4.2

Tale ricerca servirà probabilmente a portare alla luce gli eventuali problemi nascosti e di certo ad evidenziare le buone prassi che possono condurre a stilare una mappa degli orientamenti generali da adottare d'ora in poi per lo sviluppo della formazione nell'ottica di un sistema integrato di apprendimento permanente.

9.   Un esempio di buona prassi: un processo integrato di sviluppo sostenibile a livello locale

9.1

L'ADEDY, un sindacato della funzione pubblica greca di terzo livello, ha messo a punto di recente un programma sull'apprendimento permanente dal titolo «L'apprendimento permanente: un diritto individuale nel quadro del modello sociale europeo per il XXI secolo». Il programma, finanziato dalla DG Istruzione e cultura, ha avuto durata biennale ed è stato portato a compimento nel gennaio 2004 su un campione di tre amministrazioni regionali rappresentative di tre diverse aree della Grecia: Kozani, Kalamata (Messenia) e Khalkida (Eubea).

9.2

L'iniziativa puntava a sensibilizzare gli affiliati ai sindacati regionali ma anche, più in generale, i soggetti regionali della società civile organizzata e delle amministrazioni locali sulla necessità di mettere a punto attività di cooperazione e di collaborazione su scala locale per promuovere gli obiettivi di Lisbona, avvalendosi a tal fine dell'apprendimento permanente.

9.3

Quanto ai risultati dell'iniziativa, si rileva che in tutti e tre i casi sono stati adottati all'unanimità piani comuni di azione (43) che:

riconoscono il nuovo assetto operativo politico, tecnologico, sociale e culturale determinato di giorno in giorno dalla globalizzazione economica e dai progressi tecnologici contemporanei,

assumono la cooperazione e la collaborazione su scala locale tra le amministrazioni locali e la società civile organizzata come base sia per affrontare i problemi operativi derivanti dalle nuove condizioni, sia per conseguire obiettivi specifici e misurabili determinati di comune accordo e inerenti allo sviluppo sostenibile,

utilizzano la pratica dell'apprendimento permanente come strumento per favorire lo sviluppo sostenibile (nella sua triplice dimensione economica, sociale e ambientale), nonché per acquisire e creare una conoscenza globale moderna e affidabile,

fondano e rendono operativo a tal fine un centro polivalente di apprendimento, di sviluppo sostenibile e di istruzione, a seconda dei casi.

10.   Raccomandazioni

10.1

Il Comitato presenta alla presidenza olandese le seguenti osservazioni sulla formazione continua, inserendole nell'ottica più generale delle proprie posizioni sulle radici dell'odierno problema della produttività, delle proprie idee sui limiti dell'istruzione e della formazione, ma anche nella consapevolezza dei percorsi attualmente percorribili.

10.1.1

In teoria, la formazione continua è rivolta agli adulti. Fino a solo pochi anni fa essa riusciva a soddisfare egregiamente il fabbisogno di capacità semplici nel momento in cui si registravano determinati progressi tecnologici e nei relativi settori, il che spiega il particolare ricorso a questo tipo di formazione nel settore secondario.

10.1.2

Nell'attuale situazione economica, i progressi tecnologici, e non solo questi, procedono ad altri ritmi e ad altre velocità, hanno chiaramente una portata più ampia e soprattutto sono molto più complessi. Pertanto, seguire e assimilare tali evoluzioni non richiede semplicemente delle capacità, ma vere e proprie competenze  (44). Ne consegue che la formazione continua impartita oggi è insufficiente e dunque inefficace, giacché tenta un'impresa che non le è consona e che non può effettuare in maniera soddisfacente.

10.1.3

Parallelamente ai nuovi ritmi degli sviluppi tecnologici, la loro portata ha determinato esigenze formative caratterizzate da nuove modalità e nuovi contenuti per i lavoratori appartenenti a una fascia di età molto più ampia e, naturalmente, in tutti i settori produttivi. Si è cercato di coprire in parte tali esigenze ricorrendo alle pratiche formative del passato, ma senza grandi risultati, in quanto tali pratiche non soddisfacevano le esigenze oggettive odierne. Forse l'unica eccezione al riguardo è stata un certo impegno delle parti sociali a livello settoriale.

10.1.4

Questa è quindi la situazione in cui versa al momento la formazione continua in Europa, una situazione in cui emergono grandi esigenze di sviluppo che però non possono essere soddisfatte per ragioni infrastrutturali, culturali e/o per la mancanza di buone prassi e di esperienze.

10.1.5

Affrontare questa situazione significa riformulare i seguenti interrogativi:

Cosa si intende oggi per «formazione continua»?

Quali categorie di individui interessa (in termini di fasce di età e di settori)?

Come può essere sviluppata in modo più efficace?

Come può essere finanziata?

10.1.5.1

Le risposte alle prime due domande, di tipo teorico, sono state già fornite nel quadro dell'agenda di Lisbona, dell'apprendimento permanente e dell'obiettivo di una società e di un'economia della conoscenza. La terza domanda, invece, è tuttora senza risposta. Con le sue decisioni, il Consiglio europeo (45) ha ripetutamente cercato di creare la mobilitazione necessaria per adempiere gli impegni - spesso dettagliati - del caso, ma senza risultati significativi.

10.1.6

Per la messa in rete di numerose imprese a livello europeo e la mobilità dei lavoratori la politica in materia di occupazione necessita di una dimensione europea. Nonostante tutte le divergenze esistenti tra un sistema di istruzione nazionale e l'altro, gli Stati membri devono comunque concepirsi come parte integrante di uno «spazio dell'istruzione» unico. Il Comitato giudica particolarmente importante:

inserire la formazione continua, in quanto processo di apprendimento post-scolastico, nel quadro di un programma comunitario integrato in materia di apprendimento permanente di applicazione immediata (46), sulla base di obiettivi europei di formazione che, nell'ambito delle rispettive competenze, possano fornire spunti per una riforma lungimirante dei sistemi nazionali di formazione professionale che tenga naturalmente conto della promozione dell'occupabilità. L'obiettivo fondamentale del programma di cui sopra deve essere il sostegno della dimensione europea della formazione continua, nonché il collegamento della formazione professionale di base con l'esigenza di un adeguamento costante alle nuove conoscenze,

collegare in termini operativi e creativi il suddetto programma al processo di perseguimento dell'obiettivo principale dello sviluppo sostenibile,

realizzare tale collegamento secondo modalità quanto più possibile decentrate e individualizzate, nel contesto di direttive europee, di strategie nazionali pertinenti e, soprattutto, di forme di cooperazione tra la società civile organizzata e gli enti pubblici, nonché con tutto il mondo dell'insegnamento,

valorizzare maggiormente a tal fine il contributo delle parti sociali e, in particolare, le cooperazioni esistenti tra loro a livello europeo, nazionale, locale e settoriale,

rafforzare e sfruttare le forme di cooperazione esistenti tra gli enti pubblici e la società civile organizzata su scala locale,

definire i contenuti della formazione sia in base alle presunte esigenze del mercato del lavoro sia in funzione della massima ampiezza possibile,

consentire l'apprendimento permanente fissando come obiettivo lo sviluppo della capacità di apprendimento, quale garanzia migliore per l'occupabilità,

diffondere maggiormente le conoscenze economiche sin dalla scuola, mirando alla formazione di personalità complete, in particolare per assicurare responsabilizzazione, capacità critiche e autonomia,

incrementare l'occupabilità grazie all'apprendistato (insegnamenti pratici condotti, ad esempio, all'interno delle aziende),

intensificare a tutti i livelli l'apprendimento delle lingue straniere per permettere la mobilità e gli scambi tra Stati membri,

offrire al personale - specie se in età avanzata - che si occupa di risorse umane una formazione mirata a una migliore gestione dell'impresa e dei collaboratori, introducendo piani di formazione iniziale e continua nelle imprese,

intensificare, infine, gli sforzi volti all'armonizzazione e al riconoscimento reciproco dei diplomi di formazione e delle qualifiche professionali.

10.1.7

Questa prospettiva di una cooperazione europea rafforzata in materia di istruzione, volta a far fronte in modo complessivo e unitario ai ritardi registrati nella realizzazione degli obiettivi di Lisbona, necessita di concrete scelte politiche. In particolare, presuppone:

risorse commisurate al gran numero di lavoratori coinvolti e all'intensità della formazione, così come richiesto dall'attuale congiuntura,

la ricerca dell'indispensabile potenziale umano nel settore europeo dell'istruzione,

la definizione di un quadro e di un contesto di apprendimento moderno,

la sensibilizzazione, la presenza attiva e la partecipazione delle amministrazioni di tutti i livelli, delle parti sociali e in generale della società civile,

una definizione più chiara dei ruoli e delle responsabilità di coloro che sono di volta in volta i destinatari o gli erogatori degli interventi di formazione, ma anche dei meccanismi di controllo di qualunque sforzo a livello locale, nazionale ed europeo e,

infine, una decisa mobilitazione, per quanto riguarda la promozione dell'intero sforzo, anche di quanti si sentono messi in discussione dal contenuto e dagli obiettivi dell'azione di formazione.

10.1.8

Secondo il Comitato, i maggiori problemi legati alla concretizzazione di questa proposta riguardano le risorse e l'autonomia operativa delle forze locali (enti pubblici e società civile).

10.1.8.1

Il Comitato in un precedente parere indicava che «gli investimenti di interesse europeo destinati al raggiungimento degli obiettivi fissati a Lisbona sono da escludere dalla contabilità del deficit pubblico» (47). I fondi messi a disposizione per l'apprendimento permanente sarebbero efficaci, a suo giudizio, se si riuscissero a districare gli stanziamenti disponibili per l'apprendimento permanente dai vincoli del patto di stabilità, il risultato sarebbe positivo sia per la costruzione dell'Europa della conoscenza sia per la promozione dello sviluppo sostenibile.

10.1.8.2

Se il baricentro e la responsabilità delle decisioni attinenti all'apprendimento permanente e allo sviluppo sostenibile si spostassero al livello locale, l'effetto sarebbe quello di liberare nuove forze, di creare maggiore mobilità e di rendere l'intero processo molto più trasparente.

10.1.8.3

Una procedura più armonizzata, integrata e valida di elaborazione, promozione e controllo dell'applicazione e dell'efficacia delle decisioni europee in materia di istruzione fornirebbe i presupposti per una svolta decisiva, atta a recuperare il ritardo accumulato dall'Europa in termini di produttività e nei confronti degli obiettivi di Lisbona.

10.1.8.4

Per concludere, una migliore valorizzazione ed armonizzazione delle sedi classiche dell'azione educativa - vale a dire la famiglia, la scuola e il lavoro - contribuirebbe a conferire un forte dinamismo al processo anzidetto, assolutamente necessario per raggiungere il grande obiettivo di fare dell'Europa, entro il 2010, l'economia della conoscenza più dinamica al mondo.

Bruxelles, 28 ottobre 2004.

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Cfr. programma della presidenza olandese dell'Unione.

(2)  Cfr. Conclusioni della presidenza, capitolo III.

(3)  Id., punto 45.

(4)  La pubblicazione della nuova agenda sociale da parte della Commissione è prevista per il primo semestre del 2005.

(5)  In occasione del Consiglio europeo di primavera, che si terrà nel marzo 2005, è prevista la presentazione della relazione intermedia di valutazione della strategia di Lisbona.

(6)  I cambiamenti strutturali individuati dalla presidenza olandese riguardano quattro ambiti strategici: l'efficace ridefinizione dei rapporti tra vita lavorativa e vita sociale/familiare, l'applicazione del regime di sicurezza sociale, la promozione della mobilità, la formazione e la produttività .

(7)  Del resto, il Comitato tende nei suoi lavori ad affrontare le tematiche partendo da una visione parziale che integra in un quadro più generale. Un esempio calzante è costituito dai pareri GU C 110 del 30.4.2004 (relatrice: Hornung-Draus, correlatore: Greif) e GU C 117 del 30.4.2004 (relatore: Ribbe, correlatore: Ehnmark).

(8)  Le pubblicazioni del Cedefop mettono a disposizione informazioni più approfondite per la definizione dei concetti nel campo della formazione professionale; cfr. in particolare il Glossario del Cedefop e le relazioni riguardanti la formazione professionale e la politica in materia (www.cedefop.eu.int e www.trainingvillage.gr). A ciò si può aggiungere l'allegato del documento [non disponibile in italiano, NdT].

(9)  Per le definizioni, cfr. il memorandum sulla formazione permanente (SEC(2000) 1832) e la comunicazione della Commissione «Realizzare uno spazio europeo dell'apprendimento permanente» (COM(2001) 678 def.).

(10)  COM(2001) 678 def.

(11)  Per le definizioni, cfr. il documento SEC(2000) 1832 e la comunicazione della Commissione «Per un'Europa della conoscenza» (COM(97) 563 def.).

(12)  COM(2004) 156 def.

(13)  Cfr. diverse pubblicazioni del Cedefop raccolte sotto l'intestazione Getting to work on lifelong learning («Mettersi all'opera per promuovere l'apprendimento» lungo tutto l'arco della vita) (www.trainingvillage.gr), e studi e relazioni dell'ETF sulla situazione nei nuovi Stati membri e nei paesi candidati (www.etf.eu.int).

(14)  Cfr. SCADPlus: Produttività: la chiave della competitività delle economie e delle imprese europee. Si osservi che, accanto all'espressione «produttività del lavoro», se ne utilizzano anche altre di significato però non esattamente identico. Tra tali espressioni si ricordano: «produttività dell'economia», «produttività dell'impresa», «produttività nazionale», «produttività individuale», «produttività del capitale», ecc.

(15)  Cfr. COM(2002) 262 def. (Sintesi), in SCADPlus: Produttività: la chiave della competitività delle economie e delle imprese europee.

(16)  Articolo III-183 della Costituzione attualmente in fase di ratifica. Si osserva che le competenze dell'Unione per quanto riguarda la formazione professionale vengono definite dalla frase L'Unione attua una politica di formazione professionale, laddove l'articolo in materia di istruzione recita «L'Unione contribuisce allo sviluppo di un'istruzione di qualità [...].»

(17)  http://europa.eu.int/comm/education/copenhagen/copenhagen_declaration_en.pdf.

(18)  Cfr. «Istruzione e formazione 2010»: messaggi chiave del Consiglio e della Commissione al Parlamento europeo (2004/C 104/01).

(19)  www.eurydice.org.

(20)  I precedenti programmi comunitari in materia di formazione sono stati Comett (1986-1989 e 1990-1994), Iris (1988-1993 e 1994-1998), Petra (1988-1991 e 1992-1994), Eurotecnet e Force.

(21)  Articolo 1, paragrafo 3, della decisione del Consiglio che istituisce la seconda fase del programma d'azione comunitaria in materia di formazione professionale Leonardo Da Vinci.

(22)  http://europa.eu.int/comm/education/programmes/socrates/grundtvig/overview_en.html

(23)  Il bilancio della direzione generale «Istruzione e cultura» corrisponde allo 0,85 % del bilancio complessivo dell'Unione. Gli importi stanziati per la formazione ammontano allo 0,25 % del bilancio della direzione generale «Istruzione e cultura» e allo 0,002 % (lo 0,003 % per l'istruzione di ogni altro ordine e grado) del bilancio totale dell'Unione (fonte: Bilancio generale dell'Unione 2004).

(24)  In uno studio a cura di Eurostat (European social statistics. Continuing vocational training survey (CVTS2). Data 1999 - «Statistiche sociali europee. Un'indagine sulla formazione professionale continua. Dati relativi al 1999»), figurano osservazioni di estrema rilevanza riguardo alla dimensione quantitativa e qualitativa della formazione in un campione di Stati membri e a livello settoriale.

(25)  Per la precisione, la proposta originaria della Commissione era la seguente: «Per il 2010, il tasso medio di partecipazione all'istruzione e alla formazione durante l'intero arco della vita nell'UE dovrebbe essere almeno del 15 % della popolazione adulta in età lavorativa (classe di età da 25 a 64 anni); in qualche paese, il tasso di partecipazione non dovrebbe essere inferiore al 10 %.» (Fonte: http://europa.eu.int/scadplus/leg/it/cha/c11064.htm).

(26)  La formazione a livello settoriale è ritenuta particolarmente importante per l'acquisizione di qualifiche e competenze internazionali, poiché i soggetti che operano a tale livello sono in grado di proporre ed elaborare soluzioni efficaci in quanto sono a diretto contatto con i problemi e le sfide posti dalla globalizzazione e dallo sviluppo di nuove tecnologie (Fonte: Invito a presentare proposte nel quadro della seconda fase del Programma Leonardo Da Vinci (EAC/11/04), Capitolo III).

(27)  COM(2002) 262 def., capitolo 2 (secondo capoverso).

(28)  COM (2002) 262 def.

(29)  Cfr.

(30)  http://europa.eu.int/scadplus/leg/it/lvb/n26027.htm (Conclusioni).

(31)  Cfr. parere GU C 85 dell'8.4.2003 (relatrice: Sirkeinen, correlatore: Ehnmark), punto 4.4.

(32)  Cfr. parere GU C 311 del 7.11.2001. (relatore: Koryfidis, correlatori: Rodríguez García-Caro e Rupp), in particolare il punto 3.4.1.

(33)  Il problema fondamentale dei sistemi di istruzione e formazione professionale è il loro scollamento dall'ambiente circostante e dall'estrema mobilità che lo caratterizza. Viceversa, tali sistemi operano come se regnasse una immobilità assoluta.

(34)  Per ulteriori informazioni, cfr. Eurostat, Continuing vocational training survey (CVTS2). Data 1999 (Indagine sulla formazione professionale continua. La situazione nel 1999). Si vedano altresì i dati inclusi nella relazione intermedia comune del Consiglio e della Commissione sull'attuazione del programma di lavoro dettagliato concernente il seguito dato agli obiettivi dei sistemi d'istruzione e di formazione in Europa (2004/C 104/01).

(35)  Cfr. al riguardo il punto 7.2.3.

(36)  Per le definizioni di concetti come istruzione, educazione, insegnamento e apprendimento si rimanda all'allegato.

(37)  Competenze chiave: «Competenze complementari rispetto alle competenze generiche e di base che consentono di: acquisire più facilmente nuove qualifiche; adeguarsi ad un ambiente tecnologico od organizzativo in costante mutamento e/o di ottenere mobilità sul mercato del lavoro, anche attraverso l'avanzamento di carriera» (Fonte: Cedefop, Seconda relazione sulla ricerca sulla formazione professionale in Europa: riepilogo e osservazioni).

(38)  Nelle conclusioni del Consiglio europeo del 25 e 26 marzo 2004 figura un riferimento espresso a questo riguardo: «[Il Consiglio europeo] riconosce altresì che l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita incide positivamente sulla produttività e sull'offerta di manodopera; sostiene l'adozione di un programma integrato dell'UE nel 2005 e la realizzazione di strategie nazionali in tutti gli Stati membri entro il 2006» (punto 39).

(39)  Per maggiori informazioni si veda il piano d'azione allegato, riguardante lo sviluppo di un centro locale polivalente di apprendimento, sviluppo sostenibile ed educazione.

(40)  Un tipico esempio positivo è costituito dalle priorità definite dalle parti sociali al livello europeo, nel marzo 2002, nel quadro delle loro attività volte a promuovere lo sviluppo di competenze e qualifiche lungo l'arco della vita. Si tratta di priorità che vanno sostenute.

(41)  Nelle conclusioni del Consiglio europeo del 25 e 26 marzo 2004 si legge quanto segue: «Il sostegno e la promozione del cambiamento devono andare al di là dei governi. Al fine di suscitare tale sostegno, il Consiglio europeo esorta gli Stati membri a creare partenariati per le riforme che coinvolgano le parti sociali, la società civile e le autorità pubbliche, conformemente alle prassi e tradizioni nazionali» (punto 43).

(42)  Per maggiori dettagli, cfr. la ricerca e l'analisi della Confindustria greca sui bisogni delle imprese nel triennio 2005-2007, pubblicata lo scorso giugno (http://www.fgi.org.gr/frames/frames.asp).

(43)  In allegato figura (in inglese) l'ultimo piano d'azione realizzato dalla regione dell'Eubea (Khalkida). Gli altri due piani sono di contenuto analogo.

(44)  Competenza: «La comprovata facoltà di utilizzare know-how, capacità, qualifiche o conoscenze al fine di rispondere adeguatamente a situazioni ed esigenze familiari e professionali in costante mutamento» (Fonte: Cedefop, Seconda relazione sulla ricerca sulla formazione professionale in Europa: riepilogo e osservazioni).

(45)  La seguente frase tratta dalle conclusioni del Consiglio europeo del 25 e del 26 marzo 2004 appare sintomatica: «Il Consiglio europeo conviene che la questione critica è ora rappresentata dalla necessità di una migliore attuazione degli impegni già assunti» (punto 10).

(46)  Si osservi al riguardo la posizione espressa dal Consiglio europeo del 25 e 26 marzo 2004: «[Il Consiglio europeo] riconosce altresì che l'apprendimento lungo tutto l'arco della vita incide positivamente sulla produttività e sull'offerta di manodopera; sostiene l'adozione di un programma integrato dell'UE nel 2005 e la realizzazione di strategie nazionali in tutti gli Stati membri entro il 2006» (punto 39).

(47)  Cfr. parere GU C 110 del 30.4.2004 punto 5 (relatrice: Florio).


20.5.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/76


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Consiglio recante modifica della decisione n. 2002/463/CE che istituisce un programma d'azione finalizzato alla cooperazione amministrativa nel settore delle frontiere esterne, dei visti, dell'asilo e dell'immigrazione (programma ARGO)

COM(2004) 384 def. - 2004/0122 (CNS)

(2005/C 120/14)

Il Consiglio, in data 10 giugno 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 settembre 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore PARIZA CASTAÑOS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 ottobre 2004, nel corso della 412a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 172 voti favorevoli, 2 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Il Trattato di Amsterdam ha aggiunto alla politica comunitaria un nuovo pilastro, fondato sulla creazione di uno spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia, che include politiche comunitarie in materia di controlli alle frontiere esterne, visti, asilo e immigrazione.

1.2

Il Consiglio europeo di Tampere dell'ottobre 1999 ha elaborato diverse proposte riguardanti una politica comune in materia di immigrazione e di asilo nell'Unione europea.

1.3

Fra le proposte presentate a Tampere vi era quella di rafforzare la cooperazione e l'assistenza tecnica reciproca fra i servizi di controllo alle frontiere degli Stati membri: una proposta ribadita ai Consigli europei di Siviglia (2002) e Salonicco (2003).

2.   Proposta della Commissione

2.1

Il programma ARGO è finalizzato alla cooperazione amministrativa nel settore delle frontiere esterne, dei visti, dell'asilo e dell'immigrazione. È stato approvato dal Consiglio il 13 giugno 2002, vale a dire il medesimo giorno in cui è stato adottato anche il Piano per la gestione delle frontiere esterne.

2.2

Gli obiettivi del programma sono quelli di promuovere la cooperazione e l'applicazione uniforme del diritto dell'Unione europea, migliorare l'efficacia dell'attuazione della normativa comunitaria, garantire la dimensione comunitaria nell'organizzazione di servizi e favorire la trasparenza delle misure adottate.

2.3

Per raggiungere tali obiettivi, si prevedono azioni concrete nei quattro settori che riguardano rispettivamente le frontiere esterne, i visti, l'asilo e l'immigrazione.

2.4

Nel settore delle frontiere, si aspira a organizzare controlli conformi alle disposizioni legislative dell'Unione europea, e in particolare all'acquis Schengen, uniformare i criteri di controllo e sorveglianza delle frontiere esterne e potenziare l'efficacia degli strumenti.

2.5

Per quanto riguarda i visti, si mira a garantire procedure di rilascio conformi alla normativa comunitaria, la quale prevede di: promuovere un livello equivalente di controllo e di sicurezza nel rilascio dei visti; armonizzare i documenti per la presentazione delle domande, i requisiti e le disposizioni derogatorie al regime generale per il rilascio dei visti; rafforzare la cooperazione consolare fra gli Stati membri.

2.6

In materia di asilo, si prevede di: instaurare un regime comune europeo, con l'obiettivo di raggiungere uno status uniforme per i rifugiati; determinare, mediante una procedura adeguata, lo Stato competente per l'esame di una domanda d'asilo; armonizzare le legislazioni nazionali, prescrivendo norme minime per le procedure di asilo.

2.7

Nel settore dell'immigrazione, l'obiettivo è quello di elaborare una normativa comune che determini le condizioni di ingresso e soggiorno per i cittadini dei paesi terzi e di definire uno status europeo di residente di lungo periodo. Si tratta di aprire canali legali per l'immigrazione economica e di lottare contro l'immigrazione clandestina.

2.8

A Siviglia, il Consiglio europeo ha incaricato la Commissione di studiare i problemi connessi alla ripartizione degli oneri finanziari nel quadro della gestione integrata delle frontiere esterne. La Commissione ritiene che, per trovare una soluzione adeguata, si dovrà attendere fino alle prospettive finanziarie relative al periodo successivo al 2006. Reputa pertanto che la proposta di modifica del programma ARGO abbia un valore limitato nel tempo, fino all'approvazione del prossimo quadro di bilancio.

2.9

Nella valutazione del primo anno di funzionamento (2003), la Commissione ha potuto constatare che il programma è sotto utilizzato. È stato infatti utilizzato meno del 50 % dei fondi disponibili, a causa delle difficoltà incontrate dalle amministrazioni nazionali nel concertarsi con i servizi omologhi negli altri Stati membri per elaborare i progetti promossi e finanziati dal programma.

2.10

Grazie alla modifica proposta, potranno fruire del finanziamento anche i progetti nazionali afferenti al settore delle frontiere esterne, purché mirino ad ovviare a specifiche carenze strutturali ai valichi di frontiera strategici, da individuare con gli Stati membri sulla base di criteri obiettivi (valutazione dei rischi), stabiliti nel programma di lavoro annuale fissato dalla Commissione d'intesa con il comitato ARGO.

2.11

La dotazione di bilancio del programma ARGO sarà di 46,1 milioni di euro fino al 2006: 21,3 milioni saranno concentrati nel 2004.

2.12

L'interesse comunitario è garantito dagli articoli 62, 63 e 66 del Trattato e dall'acquis di Schengen. Il Regno Unito e l'Irlanda adotteranno la decisione corrispondente nel quadro del Trattato.

3.   Osservazioni

3.1

Il CESE considera opportuna la modifica del programma ARGO finalizzata ad estenderne i finanziamenti anche ai progetti nazionali nel settore delle frontiere esterne. Rileva tuttavia che il carattere strategico dei progetti va concordato in seno al comitato ARGO, su proposta della Commissione, mediante una valutazione dei rischi, effettuata in base a criteri obiettivi stabiliti dalla maggioranza degli Stati membri.

3.2

Le difficoltà riscontrate dalle amministrazioni nazionali nel concertarsi nell'ambito del programma hanno messo in evidenza la mancanza di collaborazione fra Stati membri nella gestione delle frontiere esterne.

3.3

A giudizio del CESE, in futuro sarà necessario andare oltre la semplice cooperazione amministrativa e costruire un sistema di solidarietà comunitaria nel settore delle frontiere esterne, dei visti, dell'asilo e dell'immigrazione, nel quadro di una politica comune. Le prospettive finanziarie a partire dal 2007 dovranno tener conto di questa esigenza.

3.4

Il CESE non comprende i ritardi e i problemi incontrati dal Consiglio nell'istituzione dell'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne (1).

3.5

Il CESE chiede che nell'ambito della cooperazione amministrativa nel settore delle frontiere esterne, dei visti, dell'asilo e dell'immigrazione, le autorità garantiscano sempre un trattamento umano e dignitoso a tutte le persone, nel rispetto della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea e delle convenzioni internazionali sui diritti dell'uomo.

3.6

Includiamo nel presente documento le seguenti osservazioni, contenute nel parere del CESE in merito all'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne (2):

3.6.1

Il Comitato chiede che l'efficacia dei controlli alle frontiere non pregiudichi il rispetto del diritto di asilo. Molte delle persone che hanno bisogno di protezione internazionale giungono alle nostre frontiere esterne attraverso canali clandestini. Le autorità devono garantire a queste persone la possibilità di presentare la loro richiesta di protezione, la quale dovrà essere analizzata conformemente alle convenzioni internazionali, alla legislazione comunitaria e alle normative nazionali. In attesa della conclusione delle procedure amministrative e giudiziarie relative alla richiesta di asilo, queste persone non possono essere allontanate e devono godere della necessaria protezione.

3.6.2

Molto spesso, le organizzazioni criminali che gestiscono il traffico di esseri umani approfittano dell'inefficacia dei controlli alle frontiere esterne e non esitano a mettere in grave pericolo la vita delle persone per incrementare i loro guadagni illeciti. Nel parere riguardante il Titolo di soggiorno di breve durata da rilasciare alle vittime dell'immigrazione illegale o della tratta di esseri umani (3), il Comitato ha affermato che le autorità devono proteggere le vittime, soprattutto quelle più vulnerabili (i minori, le vittime della tratta o dello sfruttamento sessuale), con la stessa determinazione con cui combattono le reti criminali che portano avanti la tratta e lo sfruttamento di esseri umani.

3.6.3

In precedenti pareri, il CESE ha sostenuto che per una buona gestione delle frontiere esterne sono necessarie un'intensa cooperazione tra le autorità di confine degli Stati membri e la collaborazione delle autorità dei paesi di origine e dei paesi di transito, attraverso i funzionari di collegamento.

Bruxelles, 27 ottobre 2004.

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  COM(2003) 687 def. – 2003/0273 (CNS).

(2)  Parere del CESE del 29 gennaio 2004 in merito alla proposta di regolamento del Consiglio che istituisce un'Agenzia europea per la gestione della cooperazione operativa alle frontiere esterne (GU C 108 del 30.4.2004 - relatore: PARIZA CASTAÑOS)

(3)  GU C 221 del 17.9.2002 (relatore: PARIZA CASTAÑOS).


20.5.2005   

IT

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C 120/78


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio relativo all'Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze

(COM(2003) 808 def. – 2003/0311 (CNS))

(2005/C 120/15)

Il Consiglio, in data 23 settembre 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 152 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

Il Comitato ha deciso di nominare Jan OLSSON relatore generale per l'elaborazione del parere.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 ottobre 2004, nel corso della 412a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 159 voti favorevoli, nessun voto contrario e 1 astensione.

1.   Sintesi della proposta di regolamento

1.1

La Commissione propone di procedere alla rifusione del regolamento (CEE) n. 302/93 del Consiglio dell'8 febbraio 1993 relativo all'istituzione di un Osservatorio europeo delle droghe e delle tossicodipendenze (OEDT).

1.2

Tra le modifiche proposte figurano le seguenti:

quelle intese a rafforzare il ruolo dell'Osservatorio: si tratta, in particolare, della presa in considerazione delle nuove pratiche in materia di consumo di droga, in particolare da parte dei giovani, che, sempre più spesso, tendono a combinare l'assunzione di sostanze illegali con quella di sostanze lecite come, ad esempio, l'alcool. L'Osservatorio dovrà inoltre mettere a punto indicatori che consentano di valutare le politiche e le strategie dell'UE in materia,

quelle volte a tener conto dell'allargamento: è prevista l'istituzione di un ufficio che avrà il compito di assistere il consiglio di amministrazione dell'Osservatorio. Si prevede inoltre di rivedere la composizione del comitato scientifico dell'Osservatorio stesso,

quelle intese ad eliminare alcune incertezze emerse nel corso dell'applicazione del regolamento iniziale. Trattasi in particolare del riferimento ai punti focali Reitox invece che ai centri specializzati.

2.   Osservazioni di carattere generale

2.1

Il Comitato economico e sociale europeo deplora la brevissima scadenza impostagli dal Consiglio per elaborare un parere su una proposta di regolamento che la Commissione aveva presentato sin dal dicembre 2003.

2.2

La ragion d'essere dell'Osservatorio consiste nel fornire alla Comunità e agli Stati membri informazioni obiettive, affidabili e comparabili a livello europeo sul fenomeno delle droghe e delle tossicodipendenze, nonché sulle loro conseguenze.

2.3

Il Comitato accoglie quindi con favore la proposta di regolamento, che mira a rafforzare il ruolo dell'Osservatorio, ad adattare il funzionamento dei suoi organi e ad eliminare le incertezze emerse nel corso dell'applicazione del regolamento iniziale. Ciò riflette lo spirito già espresso nei precedenti pareri del CESE relativi alla prevenzione ed alla riduzione dei rischi legati alle tossicodipendenze (1).

3.   Osservazioni specifiche

3.1

Il CESE insiste affinché le organizzazioni della società civile interessate siano coinvolte nei lavori dell'Osservatorio. A questo scopo il Comitato condivide pienamente la proposta di cui all'articolo 5, paragrafo 5, della proposta di regolamento, secondo cui l'Osservatorio può «[…] far ricorso al consiglio di esperti e a fonti d'informazione complementari, in particolare, le reti transnazionali attive nel settore delle droghe e delle tossicodipendenze».

3.2

Il CESE propone che l'Osservatorio sia dotato di un comitato di collegamento composto da rappresentanti delle reti europee che lavorano nel settore e che sono in grado di fornire informazioni complementari a quelle fornite dai punti focali nazionali (2).

3.3

Visto il contributo finanziario comunitario di cui godono i punti focali nazionali, il Comitato raccomanda quanto segue:

una più rigorosa armonizzazione della raccolta di dati statistici da parte degli Stati membri, al fine di rendere le informazioni più affidabili e comparabili, come avviene nel caso di Eurostat. L'articolo 5, paragrafo 2, della proposta di regolamento deve quindi essere reso più esplicito in questo senso,

un forte coinvolgimento delle reti nazionali della società civile che operano nel settore ai lavori dei punti focali nazionali.

3.4

Il Comitato esaminerà con grande attenzione il nuovo piano d'azione dell'Unione europea in materia di lotta contro la droga, la cui pubblicazione è prevista per l'inizio del 2005.

Bruxelles, 27 ottobre 2004.

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  

Parere in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale e al Comitato delle regioni relativa a un piano di azione dell'Unione europea in materia di lotta contro la droga (2000-2004), relatrice: Hassett-van Turnhout, GU C 51 del 23.2.2000.

Parere in merito alla Proposta di raccomandazione del Consiglio sulla prevenzione e la riduzione dei rischi associati alla tossicodipendenza, relatrice: Le Nouail-Marlière, GU C 61 del 14.3.2003.

(2)  I punti focali nazionali fanno parte della Rete europea di informazioni sulle droghe e le tossicodipendenze (Reitox) di cui l'Osservatorio dispone.


20.5.2005   

IT

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C 120/79


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Migliorare l'attuazione della strategia di Lisbona

(2005/C 120/16)

Il 25 e 26 marzo 2004, nelle conclusioni della presidenza, il Consiglio europeo, a norma dell'articolo 262 che istituisce la Comunità europea, invitava il Comitato economico e sociale europeo ad esaminare modi e mezzi per Migliorare l'attuazione della strategia di Lisbona.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, a partire dai lavori condotti dal gruppo di pilotaggio Strategia di Lisbona, ha formulato il proprio parere in data 7 ottobre 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore VEVER e dai correlatori EHNMARK e SIMPSON.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 ottobre 2004, nel corso della 412a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 169 voti favorevoli, 4 voti contrari e 8 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Il Comitato economico e sociale si compiace dell'invito rivoltogli dal Consiglio europeo del 25 e 26 marzo 2004 ad esaminare modi e mezzi per un'attuazione più efficace della strategia di Lisbona, che ora giunge a metà percorso.

1.2

Il Comitato rammenta che già in origine il mandato del 24 marzo 2000:

sottolineava la necessità di coinvolgere attivamente le parti sociali e la società civile nell'attuazione della strategia utilizzando forme variabili di partenariato,

precisava che il successo della strategia dipende principalmente dalla partecipazione del settore privato e dalla collaborazione tra pubblico e privato,

cercava di assicurare uno sviluppo equilibrato dei tre pilastri - ovvero crescita economica, coesione sociale e sostenibilità ambientale - stimolando la competitività europea e la creazione di posti di lavoro di qualità e avvalendosi nel contempo di politiche ambientali adeguate.

1.3

Nei vari dibattiti e audizioni organizzate e nei pareri elaborati negli ultimi anni il Comitato ha sottolineato sistematicamente l'importanza della strategia di Lisbona per il futuro economico e sociale dell'Unione, esortando tutte le componenti socio-occupazionali a svolgervi un ruolo attivo. In particolare esso ha recentemente adottato una serie di pareri sui temi della competitività delle imprese europee, della strategia dell'UE in materia di sviluppo sostenibile (1), del miglioramento della governance economica e delle misure di sostegno all'occupazione (2). Su tutti questi testi il Comitato ha sottolineato costantemente come sia impossibile raggiungere gli obiettivi di Lisbona senza il pieno coinvolgimento della società civile.

1.4

In risposta all'invito del Consiglio europeo il Comitato, oltre a rimandare alle posizioni da lui recentemente espresse a proposito della strategia di Lisbona

ha messo all'opera tutte le sezioni specializzate,

ha interpellato i consigli economici e sociali degli Stati membri e delle principali organizzazioni europee che rappresentano la società civile,

ha organizzato a Bruxelles, il 9 e 10 settembre, un'audizione sul tema.

2.   Valutazione globale

2.1

La strategia di Lisbona è nota soprattutto, in base a una definizione riduttiva, come l'impegno a fare dell'Europa l'economia della conoscenza più dinamica e competitiva al mondo.

2.2

Questa formula abbreviata è stata usata ripetutamente per descrivere la strategia in esame, ma non sempre con piena consapevolezza della sua portata e delle sue implicazioni.

2.3

La strategia di Lisbona rappresenta una visione globale molto ambiziosa dell'intera società europea. Essa costituisce sostanzialmente una riaffermazione degli obiettivi di fondo dell'Unione sulla più vasta scala dell'Europa a 25.

2.4

La strategia di Lisbona non è:

una nozione riservata agli economisti di professione,

un'ambizione che trova eco unicamente nell'establisment comunitario,

una prospettiva limitata alle sole trasformazioni economiche,

un'ambizione che può essere considerata incompatibile con lo sviluppo sostenibile,

un concetto che trascura le conseguenze sociali della crescita economica.

2.5

Se presentata e interpretata correttamente essa è invece:

un metodo per disegnare il futuro dell'Europa,

una strategia per conservare e migliorare la qualità della vita dei cittadini europei,

un'esigenza che si impone per poter sfruttare le nuove opportunità offerte dall'economia della conoscenza,

il riconoscimento del fatto che, se vuole mantenere l'occupazione e migliorare il tenore di vita dei suoi abitanti da un lato e rimanere competitiva dall'altro, l'Europa deve instaurare una nuova dinamica,

una strategia intesa a promuovere la sinergia tra interventi di carattere economico, sociale e ambientale,

una strategia per sfruttare i successi conseguiti in passato dall'Unione europea, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile, con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale.

2.6

Nell'evoluzione della strategia di Lisbona, la ricerca della competitività e della crescita rappresenta un aspetto determinante ai fini del conseguimento di un maggiore benessere economico, della creazione di posti di lavoro, della tutela della qualità della vita e del suo miglioramento. A loro volta, anche la migliore qualità della vita, il progresso sociale e la sostenibilità ambientale possono stimolare la crescita. Il progresso economico conseguito grazie alla strategia di Lisbona consentirà di offrire un migliore sostegno a quelle fasce della popolazione europea che vivono al di sotto della soglia di povertà, ampliando il campo d'applicazione dell'inclusione sociale e tenendo conto della sostenibilità di tali conquiste per le future generazioni.

2.7

Limitare la strategia di Lisbona alla sola competitività significa travisarne il senso.

2.8

Il Comitato fa notare innanzitutto che la strategia di Lisbona ha già provocato negli ultimi cinque anni una serie di sviluppi positivi, tra cui:

la presa di coscienza della necessità di riforme che superino le tradizionali divisioni,

l'espansione accelerata delle tecnologie dell'informazione e dei processi di innovazione,

un maggiore sostegno all'avvio di nuove imprese e al finanziamento delle PMI,

una maggiore considerazione per uno sviluppo sostenibile che punti a ridurre il disavanzo pubblico, ridare stabilità al bilancio della protezione sociale e tutelare l'ambiente,

iniziative di riforma sociale ad opera delle parti sociali,

misure per la semplificazione delle procedure giuridiche e amministrative, sebbene di portata limitata.

2.9

Malgrado questi aspetti positivi, prevale tuttavia un sentimento di delusione di fronte ai risultati conseguiti in questi cinque anni rispetto alle ambizioni iniziali. L'Europa, schiacciata da un lato dalla concorrenza dei grandi paesi industrializzati e, dall'altro, da economie emergenti con bassi costi di produzione che fanno crescente uso delle nuove tecnologie, si trova ad affrontare sfide competitive sempre maggiori. Tra gli indicatori più preoccupanti si citeranno:

la debole domanda interna, la scarsità degli investimenti e il ristagno della crescita, che tra il 2001 e il 2003 è stata in media dell'1 % circa,

l'insuccesso nel conseguimento degli obiettivi occupazionali, il deterioramento della qualità dell'occupazione e la perdita della sicurezza del posto di lavoro,

l'accelerazione dei fenomeni di chiusura e di rilocalizzazione dei siti produttivi presenti in Europa,

un significativo esodo verso paesi terzi da parte di ricercatori e giovani che completano gli studi,

la persistenza se non addirittura l'aggravamento del disavanzo pubblico in numerosi Stati membri,

l'eccessiva variabilità delle norme e delle aliquote fiscali applicabili alle imprese,

il crescente costo della protezione sociale, l'accelerazione dell'invecchiamento demografico e la maggiore vulnerabilità di alcuni gruppi,

la tendenza alla specializzazione in prodotti che non corrispondono all'idea che ci si può fare di un'economia della conoscenza.

2.10

Nel contempo, le riforme avviate per l'attuazione della strategia di Lisbona registrano ritardi.

2.10.1

A livello europeo, i 25 Stati membri dell'Unione si sono impegnati a completare il mercato unico in vari settori (energia, servizi, appalti pubblici, reti transeuropee, adeguamento dei servizi pubblici), ma esitano ad attuare le necessarie misure entro i termini fissati.

2.10.2

A livello nazionale i risultati ottenuti sono variabili. Le deficienze riguardano soprattutto:

la complessità strutturale delle norme e delle procedure amministrative,

la persistente sfasatura tra domanda e offerta di lavoro,

l'eccessivo tasso di pensionamenti anticipati, in contrasto con gli impegni assunti in questo senso,

i sistemi di istruzione,

l'insufficienza della formazione permanente offerta,

la spesa per la ricerca, che in generale è diminuita ulteriormente, anziché andare verso l'obiettivo del 3 % del PIL fissato a Lisbona,

l'insufficiente attenzione ai problemi di società connessi con la necessità di innovare.

2.10.3

I nuovi Stati membri devono inoltre superare svantaggi ulteriori, derivanti dal loro divario di sviluppo, ad esempio in materia di occupazione, tecnologie e ambiente, sebbene talvolta questi svantaggi siano compensati dall'adozione di misure di rinnovamento più radicali che nei 15 vecchi Stati membri. Tra questi ultimi, i paesi del nord hanno generalmente realizzato maggiori progressi di quelli del sud. Lo stesso vale per l'equilibrio di bilancio. Inoltre, anche i più avanzati tra gli Stati membri registrano un certo ritardo in alcuni settori rispetto a paesi terzi con prestazioni più elevate. Lo scopo della riforma non è semplicemente fare meglio di prima, ma fare meglio degli altri.

2.11

La strategia di Lisbona si trova dunque intrappolata in un circolo vizioso in cui i bassi tassi di crescita ostacolano l'attuazione delle riforme e d'altro canto i ritardi nelle riforme limitano ulteriormente la crescita e l'occupazione. Le riforme economiche finora attuate interessano essenzialmente la dimensione dell'offerta: esse non hanno avuto successo perché non sono state accompagnate da un adeguato incremento della domanda.

2.12

Ai vertici di primavera, gli Stati sono apparsi privilegiare nuove discussioni sugli obiettivi già fissati a Lisbona, anche a costo di aggiungere nuove prescrizioni, anziché procedere a una rigorosa valutazione dello stato di attuazione delle riforme in corso e impegnarsi chiaramente a realizzare le azioni pendenti entro precise scadenze. Troppo spesso essi non spiegano chiaramente a Bruxelles le iniziative intraprese a livello nazionale, oppure in quali settori non hanno raggiunto gli obiettivi concordati a livello comunitario. Al moltiplicarsi degli obiettivi della riforma, degli impegni e degli Stati partecipanti sono corrisposti altrettanti insuccessi per quanto riguarda la corresponsabilità, l'attuazione, il coordinamento e il relativo impatto economico e occupazionale.

2.13

Vi è quindi il rischio di illudersi che la strategia sia realizzabile senza attuare le dovute riforme con la necessaria determinazione: è alquanto improbabile che questo nodo aspetti il 2010 per venire al pettine.

2.14

L'obiettivo stabilito a Lisbona di migliorare la competitività attraverso una serie di riforme mirate, garantendo al tempo stesso una crescita economica sostenibile e in grado di creare posti di lavoro nonché un potenziamento della coesione sociale rimane pertinente per l'Europa, che si trova ora a un bivio:

da un lato, essa si colloca al primo posto mondiale per le esportazioni e rappresenta (in termini di PIL) il più grande mercato interno al mondo, oltre a disporre della capacità di portare avanti progetti dinamici, come dimostrato dall'introduzione dell'euro e dall'allargamento,

dall'altro, essa registra ritardi nella crescita economica, aggravati dalle rilocalizzazioni aziendali, e accusa un senso di disorientamento e di minaccia dovuto alle sconfitte che subisce per la sua minore concorrenzialità nel mercato mondiale.

2.15

L'obiettivo di Lisbona è un obiettivo equilibrato, che contempera in modo equilibrato e interattivo la finalità economica della competitività, i requisiti sociali dell'occupazione, della formazione, della coesione sociale e delle condizioni di vita e di lavoro e, come è stato sottolineato al vertice di Göteborg, le esigenze ambientali.

2.16

I metodi della strategia di Lisbona mantengono tutta la loro validità. Essi si fondano su:

un calendario pluriennale, scandito da una serie di fasi distinte che vanno fino al 2010, per il completamento del mercato interno,

una valutazione congiunta da effettuarsi ogni anno al vertice di primavera,

l'uso del metodo aperto di coordinamento con gli Stati membri su obiettivi comuni, che favorisce le migliori pratiche: esso può costituire un'utile integrazione al metodo comunitario in settori che finora sono stati essenzialmente di competenza degli Stati,

un'enfasi sul ruolo centrale del settore privato, della collaborazione tra pubblico e privato, del coinvolgimento della società civile da parte degli enti pubblici e del dialogo tra le parti sociali.

2.17

Finora la cooperazione attraverso il metodo aperto di coordinamento è rimasta confinata all'ambito intergovernativo: ha fatto cioè gravemente difetto una legittimazione democratica delle decisioni attraverso i parlamenti nazionali. Occorre che i parlamenti degli Stati membri siano chiamati a discutere seriamente dei temi connessi alla strategia di Lisbona.

2.18

In molti Stati membri è mancato in larga misura l'essenziale coinvolgimento e il sostegno della società civile. Questa grave insufficienza rappresenta una grande delusione nell'attuazione della strategia di Lisbona e spiega in gran parte le preoccupazioni sollevate e gli insuccessi subiti, come testimoniano i persistenti problemi di comunicazione e di collaborazione.

2.18.1

Le carenze a livello di comunicazione sono evidenti: sebbene infatti a livello nazionale si discuta continuamente di occupazione, formazione, protezione sociale, rilocalizzazioni industriali e concorrenza tecnologica, né gli Stati membri né i mass media comunicano con l'opinione pubblica sulla questione della strategia di Lisbona. La maggior parte dei cittadini europei non comprende né l'obiettivo in sé né la sua portata: molti ritengono che voler fare dell'Europa «l'economia... più competitiva al mondo» sia un obiettivo irrealistico; oppure che tale obiettivo comporti la fine del modello sociale europeo, con un livellamento verso il basso per allinearsi a paesi meno avanzati sotto questo profilo. Queste reazioni dimostrano la necessità di spiegare l'obiettivo ai cittadini, chiarendo che l'intento è quello di affrontare con successo la concorrenza mondiale riducendo alcuni degli svantaggi e compensandone altri attraverso un migliore uso dei nostri punti di forza.

2.18.2

Molti in Europa stanno scoprendo che, se da un lato le conquiste sociali vengono messe in discussione, dall'altro i benefici che se ne possono trarre, in termini di occupazione e protezione sociale sostenibile, risultano ancora poco chiari. Si nutre profonda preoccupazione per:

il crescente numero di rilocalizzazioni verso paesi rivali con bassi costi di produzione,

le crescenti pressioni sull'occupazione e le condizioni di lavoro e la perdita della sicurezza del posto di lavoro,

le difficoltà di riqualificazione delle regioni e dei settori più colpiti dalla disoccupazione,

l'indebolimento dei sistemi di protezione sociale (disoccupazione, malattia, vecchiaia).

2.18.3

Troppo diffusa è inoltre tra i cittadini europei la sensazione di non aver voce in capitolo in riforme che pure li riguardano direttamente e che in generale mettono a repentaglio garanzie e vantaggi precedentemente acquisiti. Nel complesso poi le relazioni della Commissione e degli Stati membri contengono scarse informazioni sui dispositivi di consultazione e di coinvolgimento della società civile o sui partenariati con i vari soggetti di quest'ultima (il ruolo del settore privato, delle parti sociali, del partenariato pubblico-privato, delle ONG, ecc.), malgrado questi elementi siano considerati di importanza fondamentale nell'ambito della strategia di Lisbona.

3.   Migliorare la competitività

3.1

Ponendo l'accento sulla competitività, si riconosce l'esigenza di conseguire una concorrenzialità sostenibile in un'economia mondiale aperta attraverso un maggiore uso delle nuove tecnologie, una formazione professionale più efficace, una migliore qualificazione dei lavoratori e il potenziamento della produttività. Il concetto di qualità (qualità dei prodotti, dei servizi, delle norme, della governance, dell'occupazione, delle relazioni sociali e dell'ambiente) occupa un posto centrale nella strategia.

3.2

Il conseguimento di questi obiettivi sarebbe facilitato da un quadro internazionale più giusto ed efficiente in materia di scambi commerciali e di pagamenti.

3.3

Oltre che di nuove regole internazionali, l'economia europea ha ora bisogno di norme interne più semplici, sia a livello comunitario che nazionale. L'eccesso di burocrazia scoraggia l'adozione delle iniziative necessarie per essere competitivi.

3.4

A differenza della Commissione e del Consiglio, il Comitato economico e sociale europeo ritiene che solo una radicale modifica dell'impostazione della politica economica, e in particolare della politica macroeconomica, possa rimuovere gli ostacoli che in Europa si frappongono a una ripresa sostenibile e autopropulsiva della congiuntura. L'Unione deve far leva sulle forze esistenti al proprio interno per riportare l'economia europea sulla via della crescita e della piena occupazione. Occorre una politica macroeconomica equilibrata, mirata esplicitamente alla realizzazione degli obiettivi della strategia di Lisbona e in particolare a conseguire la piena occupazione, rafforzare la competitività e tenere veramente conto dell'obbligo di uno sviluppo sostenibile, secondo le conclusioni del vertice di Göteborg.

3.5

L'obiettivo della politica monetaria dovrebbe in ogni caso essere quello di creare un rapporto equilibrato fra stabilità dei prezzi, crescita economica e occupazione. Nel policy-mix raccomandato dal Consiglio manca però una chiara esortazione alla BCE ad assumersi le proprie responsabilità nei confronti dell'economia reale (crescita e occupazione). In questo senso sarebbe opportuno incitare la BCE a perseguire un obiettivo di stabilità in senso più ampio, che riguardi non solo la stabilità del valore del denaro, ma anche quella della crescita, della piena occupazione e della coesione sociale. Lo stesso Comitato economico e sociale europeo ha già chiesto più volte che la politica monetaria contribuisca al conseguimento dell'obiettivo della crescita e della piena occupazione (ad esempio nella sua risoluzione del 19 settembre 2002 per la Convenzione europea).

3.6

Occorre intensificare le politiche di sostegno all'avviamento e allo sviluppo di nuove imprese, tra l'altro riducendo i tempi di attesa e le spese connesse all'avvio di un'impresa, migliorando l'accesso al capitale di rischio, ampliando i programmi di formazione imprenditoriale e assicurando una più fitta rete di servizi di sostegno alle piccole imprese.

3.7

Tutti i cittadini, di tutte le età e in tutti gli Stati membri, dovrebbero poter accedere alla formazione permanente ed essere incoraggiati a farlo.

3.8

Bisogna liberare il potenziale del mercato unico: l'Unione europea deve ormai trarre i vantaggi derivanti dal fatto di essere un mercato più ampio di quello sia degli Stati Uniti che della Cina. Tuttavia:

troppe sono le direttive non ancora recepite nelle legislazioni nazionali,

ancora insufficienti i progressi realizzati verso la standardizzazione e il mutuo riconoscimento ai fini dell'erogazione di servizi,

si registrano inoltre ritardi nella liberalizzazione dei mercati, ivi compreso nel settore privato,

la ricerca di un accordo praticabile in materia di diritti di proprietà intellettuale europei ha posto qualche difficoltà,

si riscontrano infine distorsioni causate dalle differenze in campo fiscale.

3.9

Nei paesi in cui il recepimento è ostacolato dalle carenze «strutturali» si dovrebbe subordinare la concessione degli aiuti comunitari alla realizzazione di miglioramenti.

3.10

Gli scambi commerciali e i pagamenti dovrebbero essere facilitati da una cooperazione amministrativa rafforzata tra Commissione e Stati membri in un certo numero di settori, come ad esempio le procedure doganali, i contratti del settore pubblico e i servizi pubblici transnazionali.

3.11

Gli Stati membri registrano ritardi nei settori seguenti:

l'interconnessione e l'ammodernamento dell'infrastruttura di trasporto, con conseguenze per quanto riguarda il completamento dei progetti relativi alle reti transeuropee,

l'accesso al capitale di rischio per le PMI,

il disavanzo pubblico di alcuni paesi,

la spesa per la ricerca, che in generale è diminuita, anziché aumentata, in percentuale del PIL (1,9 % contro il 2,6 % degli USA), rimanendo così al di sotto dell'obiettivo del 3 %,

l'alto tasso di pensionamenti anticipati, malgrado gli impegni assunti a Barcellona nel 2002,

lo scollamento dei sistemi scolastici dalla realtà economica e dalle future prospettive occupazionali.

3.12

Dal canto loro le imprese europee accusano ritardi nei settori seguenti:

ricerca e sviluppo - nel 2002 il settore privato statunitense ha investito nella ricerca 100 miliardi di euro in più di quello europeo. Il Consiglio europeo di Lisbona ha stabilito di dedicare alla ricerca il 3 % del PIL e 2/3 di queste risorse dovrebbero provenire dal settore privato. Attualmente il contributo di tale settore è dell'ordine del 56 %,

formazione permanente - dal varo della strategia di Lisbona, la percentuale degli adulti che partecipano alla formazione permanente è aumentata soltanto dello 0,5 %, toccando così l'8,5 %. Questo tipo di evoluzione lascia presagire che l'obiettivo del 12,5 % fissato a Lisbona per il 2010 non potrà essere raggiunto.

4.   Integrare la dimensione sociale

4.1

Occorre una strategia chiara che si prefigga il duplice obiettivo di incoraggiare la competitività e mantenere la coesione sociale: questo potrebbe diventare il nuovo corso della politica sociale. Il quadro di tale politica dovrebbe essere elaborato dalle parti sociali in collaborazione con la Commissione e i governi degli Stati membri. La dimensione sociale della strategia di Lisbona dovrebbe essere pienamente riconosciuta in quanto fattore determinante ai fini del benessere, della produttività e dell'inclusione sociale: essa dovrà essere sottoposta a un aggiornamento nel corso del secondo quinquennio di attuazione.

4.2

Il CESE esorta i governi degli Stati membri ad avanzare con le misure necessarie per la realizzazione della strategia di Lisbona al fine di stimolare lo sviluppo economico voluto. Tale sviluppo è altamente auspicabile per poter tracciare un nuovo corso per la società europea, imperniato su quattro aspetti particolarmente degni di attenzione, ovvero:

posti di lavoro nuovi, migliori e più sicuri

il prolungamento della vita lavorativa

una più attiva politica di inclusione sociale

l'assistenza sanitaria e il rapporto tra salute e ambiente.

4.3

Occorre uno sforzo congiunto che coinvolga le parti sociali, le ONG e i governi nell'elaborazione e nel finanziamento di una formazione qualificata ulteriore e di livello molto più elevato dell'attuale, destinata a una fetta molto più ampia dei senza lavoro, particolarmente nei settori in cui sono richieste conoscenze più avanzate.

4.4

Le parti sociali devono studiare congiuntamente come migliorare l'ambiente lavorativo e l'organizzazione del lavoro in modo da collegare il miglioramento della produttività ad un più alto valore aggiunto per ogni singolo lavoratore. Governi, imprese e organizzazioni del mondo del lavoro dovranno affrontare gli aspetti demografici legati all'invecchiamento della forza lavoro (e alla diminuzione del numero dei giovani che entrano nel mercato del lavoro) per alleviare alcuni dei problemi che ne conseguono.

4.5

Poiché talune delle trasformazioni in atto colpiscono negativamente alcune categorie di persone, occorrerà definire degli orientamenti per una più attiva politica di inclusione sociale.

4.6

Se gli obiettivi sociali generali della strategia di Lisbona rimangono, salvo piccole modifiche, ancora validi, la natura e l'entità delle sfide mondiali hanno invece subito notevoli trasformazioni negli ultimi quattro anni. L'emergere delle economie in rapida crescita della Cina e dell'India ha ripercussioni dirette sulla strategia di Lisbona: la loro offerta di prodotti e servizi ad alta tecnologia a prezzi competitivi aumenta infatti costantemente. Gli Stati Uniti dal canto loro registrano un aumento elevato e sostenuto della produttività: ciò significa che la strategia di Lisbona insegue un bersaglio molto mobile. Il vantaggio registrato dall'Europa rispetto agli Stati Uniti nel corso degli anni '90 per quanto riguarda la progressione della produttività per ora di lavoro sembra essere venuto meno.

4.7

Un elemento positivo e stimolante è costituito dall'allargamento dell'Unione europea: i nuovi Stati membri rappresentano un enorme incremento del mercato interno, del potere d'acquisto e della disponibilità di risorse umane qualificate. Ma rappresentano anche nuove sfide in termini di inclusione sociale. Sul fronte delle risorse umane, occorrerà procedere, nei nuovi come nei vecchi Stati membri, a un adeguamento dell'istruzione e della formazione nei settori dell'alta tecnologia.

4.8

Il CESE ha esaminato l'opportunità di elaborare un'eventuale Carta dello sviluppo sociale sostenibile che abbracci i succitati aspetti della politica sociale e stabilisca i diritti fondamentali dei cittadini in tali settori. Sulla base di queste considerazioni, il CESE propone di inserire tale Carta nel programma di lavoro relativo alla politica sociale. Essa dovrebbe essere accompagnata da un programma d'azione comunitario volto a coordinare le varie iniziative e assistere gli Stati membri nella definizione degli interventi prioritari.

5.   Lo sviluppo sostenibile

5.1

La strategia dell'UE in materia di sviluppo sostenibile è attualmente in via di riesame: l'esito di tale riesame è atteso per il Consiglio europeo di marzo 2005. Essa prevede azioni nel settore economico, sociale e ambientale che si sostengono reciprocamente.

5.1.1

La strategia di Lisbona, nella formulazione del Consiglio di primavera del 2002, prevede azioni parallele negli stessi settori. La dimensione sociale è stata aggiunta con decisione del Consiglio europeo di Göteborg.

5.2

Sarebbe un errore vedere nella strategia di Lisbona e nel principio ispiratore della strategia di sviluppo sostenibile due ambizioni in conflitto tra loro. La strategia di Lisbona prevede infatti un'attuazione entro termini ben precisi, ovvero entro il 2010, mentre la strategia di sviluppo sostenibile non ha scadenze e affronta problematiche intergenerazionali.

5.3

Tenuto conto dell'intenzione del Consiglio europeo di riesaminare contemporaneamente entrambe le strategie nel marzo 2005, è essenziale prendere atto di tre fattori:

dato che mancano ormai solo cinque anni al 2010, bisognerà ampliare la prospettiva temporale della strategia di Lisbona. Le tematiche e gli interventi realizzati nel suo ambito andranno valutati in base ai criteri applicati alla strategia di sviluppo sostenibile. Sarà possibile allora intraprendere concretamente nel quadro della strategia di Lisbona progetti collocabili anche nell'ambito della strategia di sviluppo sostenibile,

è essenziale che nel definire gli obiettivi e le azioni di lungo periodo la nuova strategia di sviluppo sostenibile riconosca la funzione della strategia di Lisbona e coordini ove del caso azioni e programmi,

se la strategia di Lisbona si caratterizza per una molteplicità di obiettivi e di azioni, la strategia di sviluppo sostenibile avrà, per definizione, un complesso ancora maggiore di obiettivi e di azioni, che si definiranno però gradualmente. In entrambi i casi è essenziale che il livello locale e nazionale possano svolgere un ruolo decisivo. Né l'una né l'altra strategia può infatti funzionare se applicata essenzialmente dall'alto: entrambe necessitano di un approccio orizzontale.

6.   I partenariati

6.1

Nelle ambiziose proposte per un'attuazione più dinamica del processo di Lisbona si ritrovano varie tematiche. Malgrado l'assenza di una politica o piano d'azione centrale, un tema prevale tuttavia sugli altri: per un'attuazione efficace della strategia occorre prendere atto su scala comunitaria dell'interazione di molti soggetti, governi, agenzie, organizzazioni e delle istituzioni europee.

6.2

In termini positivi, per rimettere in moto la dinamica occorre un «partenariato per il cambiamento» a più livelli. Il concetto di partenariato illustra il fatto che gli obiettivi di Lisbona non sono né un'imposizione dall'alto né qualcosa di lontano dalle tematiche della vita quotidiana dei cittadini.

6.3

Il Comitato sottolinea che una delle maggiori debolezze nell'attuazione della strategia di Lisbona è l'insufficiente coinvolgimento dei protagonisti della società civile, malgrado l'esplicita insistenza della strategia su questo punto. Tale debolezza potrebbe esserle fatale. Il Comitato si rallegra pertanto dell'esortazione lanciata il 24 marzo 2004 dal Consiglio europeo a risolvere questo problema tramite un partenariato per le riforme. Il Comitato ha convenuto di svolgere il proprio ruolo in questo processo presentando un piano di azione.

6.4

Esso intende collaborare con i consigli economici e sociali degli Stati membri e le parti socio-occupazionali che desiderino partecipare alla creazione di una rete di iniziative della società civile volte a promuovere il successo delle riforme.

6.5

Si tratterà di una rete interattiva e decentrata, che riunirà i siti web dei partecipanti al fine di:

esporre le iniziative socio-occupazionali - sia quelle in corso che quelle in cantiere - che contribuiscono a far avanzare le riforme della strategia di Lisbona a livello europeo, nazionale e regionale,

evidenziare le migliori pratiche in tali settori, anche per quanto riguarda le questioni transfrontaliere,

condividere le esperienze e le analisi dei protagonisti della società civile di interesse comune,

organizzare forum consultivi e dibattiti sulle riforme.

6.6

Verrà elaborato un codice di condotta per promuovere tali iniziative, che verrà applicato dai partecipanti alla rete.

6.7

Nel periodo che precede il vertice di primavera verrà organizzata una conferenza annuale con i membri della rete per fare il punto delle iniziative della società civile.

6.8

Il Comitato intende fungere da forum europeo di dialogo sul «partenariato per le riforme», attingendo alle esperienze nazionali ed europee.

6.9

Il collegamento con gli organismi rappresentativi nazionali dovrebbe apportare esperienze ben consolidate con cui il Comitato potrà contribuire più efficacemente al riesame annuale che verrà effettuato al Consiglio di primavera.

7.   I presupposti per un'attuazione efficace della strategia di Lisbona

7.1

Nel sottolineare l'esigenza di conciliare le riforme di Lisbona con la società civile europea, il Comitato ritiene tuttavia che il processo di revisione necessario per attuare la strategia di Lisbona debba rispondere a quattro requisiti.

7.2

In primo luogo, l'impossibilità di rimandare l'attuazione nel tempo: la concorrenza internazionale si fa ogni giorno più agguerrita, con la conseguente rilocalizzazione dei siti produttivi - un fenomeno che interessa un numero crescente di regioni e settori, che si trovano a competere con economie emergenti caratterizzate da bassi salari e bassi costi di produzione, spesso accompagnati dall'uso delle tecnologie più avanzate e innovative. Occorre adottare misure efficaci e di lungo periodo per ridare rapidamente competitività all'Europa in quanto centro di attività economica.

7.3

La strategia di Lisbona è però un concetto strategico: in quanto tale è quindi paragonabile ai precedenti approcci strategici, che hanno consentito all'integrazione di progredire in modo decisivo. In quei casi la programmazione prevedeva precise scadenze e una serie di fasi rigidamente controllate, unitamente a una stretta cooperazione tra Commissione e Stati membri. Un esempio della fine degli anni '60 è l'unione doganale, realizzata sulla base del Trattato. Anche il successo di Europa '92 si deve a una pianificazione di questo tipo e l'unione monetaria ne è un altro esempio riuscito. In tali casi, o è stato applicato con successo il metodo comunitario, come nel caso dell'unione doganale e di Europa '92, oppure la cooperazione tra gli Stati membri si è rivelata decisiva per il conseguimento di un obiettivo importante come la partecipazione all'UEM. Il problema è che al momento non viene applicato né l'uno né l'altro approccio: i progressi dipendono quindi unicamente dalla volontà politica.

7.4

In secondo luogo, l'obiettivo di Lisbona non è conseguibile senza regole internazionali. I datori di lavoro e i lavoratori europei non hanno alcun interesse ad affrontare una concorrenza selvaggia e ritrovarsi intrappolati in una spirale incontrollata di riduzione dei costi senza considerazione per la salute, la sicurezza, il progresso sociale e ambientale e per uno sviluppo equilibrato e sostenibile. Per il successo della strategia di Lisbona occorre dunque esercitare parallelamente delle pressioni nell'ambito dell'OMC, dell'FMI, dell'OMPI, dell'OIL e di altre organizzazioni internazionali al fine di creare una rete per una globalizzazione all'insegna di regole più eque ed efficaci. È essenziale creare un quadro di riferimento per la competitività che venga riconosciuto a livello internazionale e che preveda regole minime in materia di concorrenza, sicurezza, standard qualitativi, diritti sociali, tutela dei bambini, protezione dell'ambiente e proprietà intellettuale. Sarebbe irrealistico ricercare il consenso del pubblico europeo senza fornire garanzie in questo senso.

7.5

In terzo luogo, l'attuazione della strategia di Lisbona non deve andare contro il modello sociale europeo, rischiando di far morire il malato anziché curarlo.

7.5.1

È fondamentale dissipare i timori circa l'entità e il costo sociale delle riforme. Bisogna che il pubblico sia consapevole del fatto che tali riforme sono essenziali affinché il modello sociale europeo sia sostenibile nell'ambito di un'economia aperta. Lo scopo principale della strategia di Lisbona deve essere assicurare la praticabilità nel tempo di tale modello, cui i nostri cittadini sono tanto legati, come testimonia la Carta dei diritti fondamentali, e nel contempo conciliare tale modello con le esigenze della competitività.

7.5.2

La strategia di Lisbona deve inoltre integrare pienamente le preoccupazioni ambientali. Gli impegni assunti a Göteborg nel 2001 confermano chiaramente e altresì ampliano il desiderio espresso a Lisbona di contemperare competitività economica e qualità della vita.

7.6

In quarto luogo, è chiaro che il successo della strategia di Lisbona è subordinato alla formazione di un più forte partenariato a livello europeo, nazionale e regionale sia tra gli Stati membri che con i rappresentanti dei gruppi di interesse socio-occupazionali e le parti sociali. Nei primi anni dell'attuazione della strategia, è mancato in troppi Stati il pieno coinvolgimento delle parti sociali nella definizione e nell'attuazione delle riforme: esse sono state a malapena consultate e le relazioni annuali sullo stato di avanzamento contengono pochissimi riferimenti in questo senso. Nei cinque anni che rimangono bisogna evitare di ripetere gli stessi errori. L'obiettivo non può infatti essere conseguito senza l'informazione, la sensibilizzazione, il coinvolgimento e la vera e propria mobilitazione della società civile.

8.   Le otto priorità proposte dal CESE per migliorare l'attuazione della strategia di Lisbona

In risposta all'invito del Consiglio europeo e in base all'analisi e alle ampie consultazioni effettuate, il CESE avanza le seguenti proposte:

8.1   Una maggiore responsabilizzazione degli Stati membri

8.1.1

I governi degli Stati membri dovrebbero assumersi la responsabilità dell'attuazione del programma di lavoro della strategia di Lisbona in modo più netto e attivo. È essenziale che Stati membri e parlamenti nazionali facciano propria la strategia. Gli Stati membri dovrebbero predisporre piani ben definiti, con scadenze specifiche per le azioni da essi proposte per conseguire gli obiettivi concordati nelle riunioni seguite al vertice di Lisbona.

8.1.2

La strategia di Lisbona va riconosciuta per quello che è, ossia un programma molto ambizioso inteso alla costruzione di una società europea caratterizzata da prosperità, benessere, competitività, inclusione sociale e da un'elevata consapevolezza della dimensione ambientale. Sulla base di ciò è essenziale comunicare più attivamente con le parti sociali e la società civile organizzata. La strategia di Lisbona ha sofferto di un'eccessiva identificazione con il suo solo aspetto economico.

8.1.3

Il metodo aperto di coordinamento deve essere reso più incisivo: l'analisi comparativa annuale deve essere più circostanziata e gli Stati membri devono denunciare più chiaramente l'eventuale esistenza di ostacoli strutturali o di altro tipo verso il conseguimento degli obiettivi concordati.

8.2   Il rafforzamento della crescita e della coesione

8.2.1

Occorre sviluppare il Patto di stabilità e di crescita per farne uno strumento al servizio della crescita e del miglioramento della produttività, privilegiando obiettivi di stabilità su interi cicli economici anziché sul singolo anno. Per sostenere la domanda serve un policy mix macroeconomico quanto più possibile privo di tensioni.

8.2.2

La BCE dovrebbe tenere maggiormente conto dell'impatto economico più generale delle sue decisioni e, compatibilmente con i vincoli di controllo dell'inflazione, agire a sostegno degli obiettivi di Lisbona.

8.2.3

Nel coordinare le politiche economiche degli Stati membri (tra di loro e all'interno dei singoli Stati), i governi dovrebbero fissare degli obiettivi e monitorare gli indicatori principali per dimostrare i risultati ottenuti a fronte degli obiettivi fissati.

8.2.4

Le politiche di coesione devono essere concepite in modo da rafforzare attivamente i miglioramenti della competitività: questo a sua volta contribuirà a ridurre la gamma delle differenze di reddito presenti nella Comunità. Nell'ambito delle politiche di coesione andrebbe inoltre adottato un codice delle pratiche accettabili in materia di aiuti di Stato.

8.3   Una maggiore efficienza nell'attuazione del mercato interno

8.3.1

Merita particolare attenzione l'agenda per l'attuazione del mercato interno, ora esteso a 25 Stati. La Commissione dovrebbe inserire nelle valutazioni annuali della strategia di Lisbona un resoconto circostanziato dei problemi ancora sul tappeto in questo contesto.

8.3.2

Sul fronte del mercato interno urge adottare una serie di misure che avrebbero dovuto essere prese già da tempo: una normativa per l'abolizione della doppia imposizione nel mercato unico; un brevetto comunitario semplice, efficace e di prezzo ragionevole da rendersi immediatamente disponibile; il rilancio, su un base più equilibrata, del processo per il completamento di un vero e proprio mercato interno dei servizi.

8.4   La promozione dell'innovazione e della qualità

8.4.1

La BEI e il FEI dovrebbero intensificare le attività finalizzate all'individuazione e alla strutturazione di progetti e programmi di investimento a favore dell'innovazione promossi sia dal settore pubblico che privato e alla definizione delle priorità in questo senso, cooperando a tal fine con la Commissione e con gli Stati membri. Il FEI dovrebbe continuare ad intervenire a favore di una crescita elevata e dell'innovazione imprenditoriale attraverso il capitale di rischio, attraverso mandati che gli consentano di agire a favore delle imprese e attraverso una maggiore promozione delle possibilità di ottenere finanziamenti BEI.

8.4.2

Il concetto di qualità (qualità dei beni, dei servizi, delle norme, della governance, dell'occupazione delle relazioni sociali e dell'ambiente) è essenziale per l'attuazione della strategia di Lisbona e dovrebbe fare parte integrante delle valutazioni annuali dei progressi realizzati a livello nazionale e comunitario.

8.5   Il rinnovamento della politica sociale

8.5.1

Occorre prendere atto del fatto che la politica sociale rappresenta un presupposto essenziale per la competitività e la produttività e viceversa. L'agenda sociale va riveduta per essere adeguata alla nuova Unione allargata. A questo fine si dovrebbe prevedere l'elaborazione di una Carta dello sviluppo sociale sostenibile che abbracci i settori chiave della politica sociale e i diritti fondamentali dei cittadini.

8.5.2

Ai fini della promozione della competitività rivestono particolare importanza quattro aspetti della politica sociale: le politiche relative all'occupazione, il prolungamento della vita lavorativa, l'adozione di politiche più attive di inclusione sociale e l'assistenza sanitaria, ivi compreso il rapporto tra salute, protezione sociale e ambiente. In tutti questi settori servono iniziative nuove, unite ad una stretta consultazione tra l'UE, i governi nazionali e le parti sociali.

8.5.3

Per costruire una società a elevata intensità di conoscenza occorre investire ingenti risorse molto considerevoli nell'istruzione e nella formazione sia di base che continua. La formazione permanente va sviluppata più di quanto non si stia già facendo ora in tutti gli Stati membri, ivi compreso ai livelli più avanzati. La Commissione, di concerto con le parti sociali, dovrebbe esplorare la possibilità di pervenire a una Carta europea della formazione permanente che preveda anche opzioni alternative di finanziamento.

8.5.4

L'Unione europea deve adottare una più efficiente politica comune in materia d'immigrazione, in linea con le conclusioni dei Consigli europei di Tampere e Salonicco. Nei prossimi anni infatti, per motivi demografici, economici e sociali, l'immigrazione in Europa continuerà ad essere un fenomeno di grande rilievo. Per attuare correttamente la strategia di Lisbona, l'Unione europea deve: disporre di una normativa trasparente per l'ammissione degli immigrati regolari; garantire un buon coordinamento fra la politica dell'immigrazione e la strategia per l'occupazione; adottare nuove politiche d'integrazione e di lotta alla discriminazione.

8.6   La promozione del partenariato pubblico-privato a favore della ricerca

8.6.1

La ricerca, sia fondamentale che applicata, costituisce un pilastro fondamentale di una società ad elevata intensità di conoscenza. Le imprese europee, come del resto i governi, sono in ritardo rispetto agli obiettivi di spesa fissati in questo settore. Il partenariato tra settore pubblico e settore privato può generare risorse aggiuntive per la ricerca. L'Europa deve disporre di politiche attive per attirare i ricercatori stranieri e incoraggiare i ricercatori europei che svolgono attività altrove a ritornare in Europa.

8.6.2

La Commissione europea dovrebbe presentare un piano per il potenziamento degli investimenti nella ricerca, un migliore coordinamento dei programmi comunitari e nazionali e la creazione di un Consiglio europeo della ricerca.

8.6.3

Nell'Unione europea il trasferimento delle conoscenze dalla ricerca all'applicazione industriale avviene in modo lento e inefficiente rispetto agli Stati Uniti. La Commissione europea dovrebbe presentare un piano concreto di misure per promuoverlo.

8.6.4

Le piccole e medie imprese hanno particolarmente bisogno di accedere alla ricerca e al sostegno per introdurre soluzioni tecnicamente avanzate. La BEI, unitamente alla Commissione europea, dovrebbe mettere a punto modalità per promuovere ulteriormente il trasferimento delle conoscenze.

8.7   Una più attiva protezione dell'ambiente

8.7.1

La strategia di Lisbona si fonda inoltre su un terzo pilastro, ovvero la dimensione ambientale. Occorre promuovere più attivamente lo sviluppo di tecnologie rispettose dell'ambiente e ampliare gli sforzi congiunti dei settori pubblico e privato nel campo degli approvvigionamenti energetici e dei trasporti. In una prospettiva di più lungo periodo, il settore ambientale può contribuire a creare importanti effetti sinergici.

8.7.2

Lo sviluppo sostenibile sarà necessariamente parte integrante della strategia di Lisbona nei prossimi cinque anni, ma le sue prospettive temporali vanno ben oltre quelle della strategia di Lisbona. Nella revisione della strategia di sviluppo sostenibile andrebbero inserite misure concrete che siano compatibili con quanto previsto per il secondo periodo di attuazione della strategia di Lisbona.

8.8   Il sostegno dei cittadini

8.8.1

Bisogna restituire la strategia di Lisbona ai cittadini europei! La società civile organizzata e le parti sociali devono svolgere un ruolo più chiaro e globale nella sua attuazione. Il Comitato esprime pieno sostegno alle dichiarazioni fatte in questo senso dal Consiglio europeo.

8.8.2

Affinché gli obiettivi di Lisbona siano realisticamente raggiungibili, l'Unione europea deve offrire un approccio coerente, dinamico e progressivo sia per quanto riguarda gli obiettivi dell'Unione che le dinamiche istituzionali. Il Trattato costituzionale europeo, forse la più importante espressione di questi obiettivi, va spiegato in modo convincente: esso deve essere adottato dagli Stati membri e ottenere il consenso dei cittadini d'Europa.

8.8.3

Il CESE raccomanda che per la riconfigurazione della strategia di Lisbona ci si ispiri al metodo seguito con successo per Europa '92: partendo dalle pratiche esistenti, ciò significa sintetizzare le relazioni sugli orientamenti di politica economica, sul mercato interno, sull'occupazione e sulla strategia di Lisbona in un unico piano strategico con fasi e scadenze precise. Tale piano inoltre dovrà affermare a chiare lettere chi (Commissione, Consiglio, Parlamento europeo, Stati membri) è responsabile di che cosa, in base a quale decisione e entro quali termini di tempo.

8.8.4

A livello nazionale, i consigli economici e sociali possono svolgere un ruolo di rilievo a fianco delle parti sociali e delle varie organizzazioni della società civile. Essi possono avere una funzione speciale nell'attuazione della strategia di Lisbona.

8.8.5

A livello europeo il CESE è pronto a farsi carico del compito di sostenere l'attuazione e il monitoraggio della strategia, operando in stretto contatto con le parti sociali e le organizzazioni della società civile a livello europeo.

8.8.6

Bisogna far conoscere la strategia di Lisbona ai cittadini europei e sottolinearne gli obiettivi ultimi, ovvero la costruzione di un'Europa prospera e all'insegna della protezione sociale, caratterizzata da un'elevata competitività e dalla consapevolezza dei problemi ambientali. La strategia non potrà mai andare a buon fine senza il coinvolgimento attivo dei cittadini. Il Comitato intende contribuire attivamente a questo sforzo di informazione.

8.8.7

L'attuazione della strategia di Lisbona richiede una politica chiara e coerente sia a livello comunitario che nazionale. I tre pilastri della strategia offrono un'occasione unica per ottenere effetti sinergici tanto sul piano economico quanto su quello sociale e ambientale. Occorre riattivare il processo di Lisbona articolandone coerentemente i tre pilastri.

Bruxelles, 27 ottobre 2004.

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  GU C 117 del 30.4.2004.

(2)  GU C 110 del 3.4.2004.


20.5.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/89


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema La sfida della competitività per le imprese europee

(2005/C 120/17)

Il Presidente della Commissione europea, Romano PRODI, in data 20 febbraio 2004, a nome della Commissione, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di elaborare un parere esplorativo sul tema La sfida della competitività per le imprese europee.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia ha formulato il proprio parere in data 20 settembre 2004 sulla base del progetto predisposto dal relatore VEVER e dalla correlatrice FLORIO.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 ottobre 2004, nel corso della 412a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 105 voti favorevoli, 3 voti contrari e 2 astensioni.

1.   Sintesi

1.1

L'Europa si trova ad affrontare nuove sfide di competitività, stretta tra i suoi grandi partner industrializzati e le economie emergenti con bassi costi di produzione. Questa situazione si accompagna ad un deficit comparativo di crescita e a un notevole ritardo degli investimenti nella formazione, nella ricerca e nelle nuove tecnologie, mentre i fenomeni di delocalizzazione delle imprese europee si amplificano di fronte alla concorrenza internazionale.

1.2

All'Europa, tuttavia, proprio grazie al suo modello di società che valorizza le relazioni sociali, non fanno difetto vantaggi competitivi per le sue imprese:

il volume del suo commercio internazionale è prova della sua intensa partecipazione ai processi della globalizzazione,

il suo mercato interno allargato è oggi il primo del mondo,

la sua Unione monetaria, anche se ancora circoscritta, costituisce un progresso che non ha equivalenti altrove,

il programma di Lisbona, attualmente in corso, comporta riforme economiche, sociali e ambientali, che puntano a dare un nuovo e durevole impulso alla sua competitività.

1.3

mentre alcuni di questi vantaggi rimangono tuttora più dei processi in corso che dei fatti acquisiti in modo irreversibile, l'Europa fa registrare anche handicap che penalizzano le sue imprese e che contribuiscono ai suoi risultati attuali, non brillanti sotto l'aspetto della crescita e dell'occupazione. Per esempio:

il contesto giuridico e amministrativo europeo non sostiene in misura sufficiente lo spirito d'impresa,

nel suo mercato unico, tuttora non completato, sussistono troppe barriere,

malgrado l'Unione monetaria, l'affermarsi di un'effettiva Unione economica si fa ancora attendere,

anche nell'attuazione della strategia competitiva di Lisbona si accumulano i ritardi.

1.4

Il Comitato sottolinea l'importanza di quattro requisiti, a suo parere indissociabili tra loro, per restituire competitività alle imprese europee.

1.4.1

La prima priorità è quella di riportare la fiducia tra gli attori economici con:

una visione più chiara del progetto europeo nel contesto globale in cui si inserisce,

una semplificazione della regolamentazione, sia a livello europeo che nazionale, aprendo più spazi per l'autoregolamentazione e la coregolamentazione socioprofessionale,

misure che facilitino la creazione e lo sviluppo delle imprese — cfr. capitale di rischio, formazione degli imprenditori, servizi di assistenza alle PMI,

un maggior appoggio alle iniziative innovatrici da parte delle imprese e a una partecipazione attiva degli altri attori socioprofessionali,

più programmi di formazione, di qualificazione e di riqualificazione professionale dei lavoratori, specie per quelli più anziani.

1.4.2

Un'altra priorità è quella di garantire il completamento delle disposizioni essenziali del mercato unico, completamento che non dovrebbe essere rinviato oltre la scadenza competitiva del 2010 fissata a Lisbona, senza trascurare comunque il fatto che sarà necessario in futuro vegliare in permanenza sul corretto funzionamento di tale mercato. Ciò presuppone:

un maggior rigore nell'attuazione delle normative, con governi più responsabilizzati in questo campo. Nel caso degli Stati che presentano ritardi di attuazione della normativa, si può cambiare la destinazione degli aiuti dell'Unione usandoli, se necessario, per riassorbire tali ritardi,

l'adozione di decisioni, da troppo tempo attese dalle imprese, volte a sopprimere le doppie imposizioni, semplificare il regime europeo dell'Iva, creare uno statuto della società europea semplificato aperto alle PMI, sbloccare il brevetto comunitario,

un funzionamento più sicuro e più fluido degli scambi attraverso una cooperazione amministrativa rafforzata, ispezioni comunitarie del mercato unico, dogane unificate alle frontiere esterne, una maggiore efficienza e una migliore cooperazione reciproca dei servizi pubblici, tale da poter fare immaginare in certi casi la prospettiva dello sviluppo di servizi d'interesse generale su scala europea.

1.4.3

il miglioramento della competitività delle imprese europee implica inoltre lo sviluppo, attraverso un approccio anch'esso sincronizzato sulla scadenza competitiva del 2010, di un'Unione economica dinamica intorno all'euro, idonea a stimolare la crescita e l'occupazione e basata su una politica monetaria adeguata, con:

l'estensione graduale, ma senza ritardi non giustificati, dell'unione monetaria ai nuovi stati membri,

l'obbligo di un parere comunitario preventivo, e non a posteriori, sui progetti delle leggi finanziarie nazionali,

un processo di armonizzazione dei sistemi fiscali in condizioni compatibili con un'economia aperta agli scambi, tanto attraente per gli investimenti quanto attenta alla sua coesione sociale, se necessario attraverso cooperazioni rafforzate,

provvedimenti diretti a sostenere direttamente l'attività e la crescita economica in Europa: sviluppo di partenariati pubblico/privato per finanziare nuove infrastrutture transeuropee nell'unione allargata, affermazione di un approccio industriale europeo che contribuisca a realizzare investimenti nelle nuove tecnologie, nella ricerca e nella formazione e a orientare anche la politica di concorrenza e la politica commerciale, mobilitazione delle risorse tecnologiche europee in grandi progetti di interesse strategico comune, anche sul piano della sicurezza,

un bilancio comunitario rafforzato e con una diversa allocazione degli stanziamenti, corrispondente alle priorità di tale politica economica comune.

1.4.4

Per l'attuazione delle riforme strutturali della strategia di Lisbona sono necessarie poi maggiore determinazione e maggiore coerenza:

mediante una valutazione più precisa dello stato comparativo reale delle riforme economiche e degli investimenti (apertura dei mercati, accesso ai finanziamenti, potenziamento della ricerca), delle riforme sociali (formazione, mercato del lavoro, previdenza sociale, investimenti delle imprese in capitale umano), amministrative (riduzione dei disavanzi pubblici, semplificazione della regolamentazione) e ambientali,

grazie ad un migliore coordinamento di queste riforme in funzione, tra altri aspetti, dell'obiettivo programmato di competitività, con un coinvolgimento più stretto delle istituzioni comunitarie e una semplificazione dei processi di coordinamento,

attraverso l'attribuzione di un ruolo più significativo alle parti sociali nella concezione, nell'attuazione e nell'inquadramento delle riforme e nelle attività volte ad attirare gli investimenti.

1.5

In conclusione, il Comitato prende atto che le carenze di competitività delle imprese europee rappresentano oggi il prezzo alto che si deve pagare per un'Europa non sufficientemente intraprendente, lenta nel prendere le sue decisioni ed a adattarsi ai cambiamenti internazionali, tuttora non completata in numerosi campi, in ritardo nelle sue riforme strutturali, un'Europa che sfrutta in modo insufficiente, spesso velleitario, talvolta incoerente, e quindi controproducente, i propri vantaggi. Per ovviare a tale problema occorrono interventi più determinati. Per ottenere gli esiti voluti, essi dovranno iscriversi in un quadro impostato più decisamente verso la crescita, capace di dare dinamismo ai fattori economici sia dell'offerta che della domanda, nell'ambito di un mercato unico europeo più fluido e efficiente. Il Comitato appoggia in modo particolare l'invito dell'ultimo vertice di primavera a promuovere nuovi partenariati per la riforma, sia a livello nazionale che europeo, coinvolgendo più strettamente le parti sociali. Il Comitato evidenzia la necessità di non perdere di vista la scadenza del 2010, che deve comprendere sia l'attuazione delle riforme di Lisbona che il completamento del mercato unico e la realizzazione di un'effettiva Unione economica, competitiva, che tragga tutte le conseguenze dell'Unione monetaria e che, nel contempo, integri appieno le esigenze dello sviluppo sostenibile.

2.   Introduzione

2.1

Il presente parere è elaborato su richiesta del Presidente della Commissione europea Romano PRODI, il quale, in data 20 febbraio 2004, ha chiesto al Comitato economico e sociale europeo di presentargli un' analisi e delle raccomandazioni sui problemi di competitività delle imprese europee. Si tratta in particolare di individuare le difficoltà maggiori per le imprese, gli ostacoli creati dall'ambiente nel quale esse operano, nonché le proposte alternative per ovviare a tali problemi nel contesto del nostro modello di società.

2.2

Molte recenti analisi, sull'esempio della relazione SAPIR del luglio 2003, mettono in evidenza una sfida di competitività crescente per l'Europa, stretta tra i suoi grandi partner industrializzati — Stati Uniti, Giappone — e le economie emergenti con bassi costi di produzione — Cina, India — che incorporano in misura crescente le nuove tecnologie e investono in formazione, istruzione e infrastrutture. I dati disponibili (p. es. esportazioni, bilancia delle partite correnti, andamento degli utili delle imprese...) dicono che l'economia europea e la stragrande maggioranza delle imprese europee sono altamente competitive. Tuttavia molti indicatori sono allarmanti: debole crescita, livello insoddisfacente sia degli investimenti che della domanda, deterioramento quantitativo e talvolta qualitativo (precarizzazione) dell'occupazione, chiusura dei siti di produzione europei, esodo dei ricercatori, aumento dei disavanzi pubblici, costi crescenti dei sistemi di previdenza sociale, con un invecchiamento demografico accelerato e conseguenti maggiori problemi di finanziamento.

2.3

Per ridurre i costi elevati in Europa (lavoro, prelievo fiscale, regolamentazione) molte imprese optano per l'automazione (della produzione, della gestione) o per delocalizzazioni più o meno parziali e consistenti, verso paesi terzi con costi inferiori e meno regolamentati, in particolare verso le economie emergenti.

2.4

Sarebbe certamente illusorio voler opporsi con misure autoritarie a tali strategie. L'economia europea è inserita in un'economia mondiale sempre più globalizzata, da cui essa è indissociabile. Si tratta di un processo irreversibile, che per parte sua contribuisce sia allo sviluppo dei diversi paesi che vi partecipano che alla stabilità internazionale, se sufficientemente regolato in maniera da generare un effettivo progresso economico e sociale.

2.5

Tenuto conto delle condizioni generali descritte, emergono le esigenze seguenti.

2.5.1

È più che mai necessario governare la globalizzazione con regole internazionali più efficaci e più eque. La sfida della competitività non deve assolutamente diventare una spirale incontrollata che spinge verso un ribasso esasperato dei costi, tralasciando qualunque considerazione delle condizioni di salute, di sicurezza e di progresso sociale, di sviluppo equilibrato e sostenibile, di tutela dell'ambiente. La sfida della competitività deve, invece, collocarsi in un quadro di riferimento internazionalmente riconosciuto, che implichi un inquadramento minimo delle condizioni riguardanti la concorrenza, la sicurezza, la qualità, i diritti sociali e l'ambiente. Ciò presuppone un intervento attivo degli organismi internazionali di regolazione e di sviluppo — Organizzazione mondiale del commercio, Fondo monetario internazionale, Banca mondiale, Organizzazione mondiale del lavoro -, oggi ancora non abbastanza efficaci, troppo separati gli uni dagli altri e, secondo alcuni, poco trasparenti e caratterizzati da un modo di funzionamento non abbastanza basato sulla partecipazione. È a tal fine che il Comitato ha invocato e poi sostenuto l'agenda OMC di Doha, pur essendo oggi fortemente preoccupato per le difficoltà incontrate nel far avanzare i suoi negoziati.

2.5.2

Diviene altresì urgente rafforzare la competitività del sito Europa nei confronti della concorrenza, in condizioni che assicurino il suo sviluppo economico e sociale, la sua coesione, i suoi posti di lavoro e il suo ambiente: ciò presuppone, nel quadro del modello europeo di relazioni sociali, che si sfruttino meglio i punti forti delle imprese europee, che si correggano i loro handicap o si compensino con una qualità e una produttività più elevate quando appaiono strutturalmente incorreggibili (come i differenziali di costo della manodopera tra l'Europa e i paesi in via di sviluppo).

2.5.3

Non è realistico né auspicabile che l'Unione europea cominci a fare concorrenza sul piano dei prezzi e dei costi a economie nettamente meno sviluppate, quando l'Europa non può compensare il differenziale con una produttività più elevata. L'economia europea non ha quindi altra scelta se non quella di progredire costantemente e di raccogliere la sfida della competitività, rafforzando in primo luogo la sua produttività, sul piano quantitativo e qualitativo, e la sua capacità d'innovazione, specie d'innovazione tecnologica. Ciò comporta un accrescimento proporzionale degli investimenti in risorse umane e di quelli tecnologici, industriali e finanziari.

3.   I vantaggi competitivi delle imprese europee

3.1   Un'intensa partecipazione ai processi della globalizzazione

3.1.1

L'Europa è oggi un partner commerciale con un ruolo centrale nel mondo, primo importatore e primo esportatore mondiale. Le sue imprese mantengono la loro competitività sui mercati d'esportazione e di fronte alla concorrenza internazionale aumentando la produttività per ottimizzare i loro costi, anche quelli salariali, garantendo la qualità dei loro prodotti e servizi, innovando per adattarsi meglio ai mercati. Riescono così a essere presenti nella maggior parte dei settori di attività economica, e in particolare:

nell'agroalimentare, in cui si collocano al primo posto negli scambi commerciali,

nelle principali industrie — nell'industria automobilistica, in quella aerospaziale, in quella chimica, nell'industria delle costruzioni, nel settore dei lavori pubblici, in quello delle telecomunicazioni, ecc. — in cui le imprese europee sono ancora una volta tra le più efficienti,

nelle attività di produzione e di distribuzione dell'energia — petrolio, nucleare, gas, energie alternative — e delle tecnologie ambientali,

nei servizi, in cui le imprese europee sono spesso al primo posto nel mondo — commercio, finanze, assicurazioni, trasporti, ingegneria, software informatici, turismo, sanità, ecc.

3.1.2

Le imprese europee inoltre investono in misura cospicua nelle altre aeree del mondo, contribuendo alla crescita di numerose regioni del pianeta, e soprattutto delle economie emergenti del continente asiatico. Se è vero che queste ultime possono trovarsi in concorrenza con l'Europa in diversi settori, esse rappresentano altresì dei partner industriali e commerciali indispensabili all'economia europea e alle sue imprese, in veste di fornitori, associati, distributori, subfornitori e clienti.

3.1.3

Le imprese europee, proprio in virtù del ruolo importantissimo che esse svolgono nei paesi in via di sviluppo, dovrebbero dare l'esempio per lo sviluppo delle norme sociali in questi paesi, soprattutto nell'attuazione dei diritti sociali fondamentali definiti dall'OIL. Il Comitato continuerà a impegnarsi e partecipare a iniziative volte a far sì che si tenga conto, come è necessario, della dimensione sociale negli scambi internazionali.

3.1.4

Il commercio e gli investimenti internazionali delle imprese europee sono sostenuti dall'Unione europea, che si è organizzata per difendere con una sola voce, attraverso la Commissione europea, i loro interessi nei negoziati internazionali, in particolare nel quadro dell'OMC.

3.2   Il grande mercato continentale

3.2.1

Il primo vantaggio delle imprese europee è il grande mercato continentale costruito su regole comuni con un principio generale di mutuo riconoscimento, completato da numerose misure di armonizzazione mediante approssimativamente 1 500 direttive, 300 regolamenti e quasi 20 000 norme comuni. La grande maggioranza della normativa relativa alle attività imprenditoriali vi trova la sua fonte. L'illustrazione dei suoi vantaggi economici e occupazionali, effettuata già dalla relazione Cecchini della fine degli anni '80, resta attuale — anche se le proiezioni di tale relazione non sono state pienamente confermate alla scadenza del 1992, sia a causa di una congiuntura economica agitata sia del mancato completamento del programma comunitario.

3.2.2

Il mercato interno europeo è oggi il primo del mondo con 25 Stati membri, la stretta associazione di altri paesi europei, tra cui la Svizzera e la Norvegia, e la prospettiva di ulteriori allargamenti. Più di mezzo miliardo di europei sono così riuniti in un unico grande mercato interno, più importante di quello americano o di quello cinese. Questa constatazione molto qualificante dovrebbe essere maggiormente sottolineata presso i cittadini europei.

3.2.3

Le libertà legate al mercato interno hanno da un lato contribuito alla coesione e hanno, dall'altro, consentito alle imprese di sviluppare i loro scambi e anche le loro cooperazioni, ristrutturazioni e fusioni, dando una dimensione internazionale a numerose imprese europee. Le PMI hanno beneficiato inoltre di subforniture a livello europeo e della soppressione delle formalità intracomunitarie. Si sono sviluppate infrastrutture con le reti transeuropee dei trasporti, dell'energia e delle telecomunicazioni. Grandi programmi industriali (Airbus, Agenzia spaziale) hanno stimolato le ricerche e l'innovazione in imprese di tutte le dimensioni. Oltre all'occupazione, il grande mercato ha sostenuto la mobilità degli attivi, dei ricercatori, degli studenti — più di un milione di studenti ha usufruito del programma Erasmo.

3.2.4

Va inoltre menzionata l'apertura già realizzata o in corso dei monopoli pubblici preesistenti al mercato unico e ciò in seguito a diverse direttive relative ai trasporti, all'energia, alla posta, ecc. Agendo in tal modo, la Commissione opportunamente è anche attenta a non mettere in discussione il concetto di servizio d'interesse generale, che è parte integrante del modo di sviluppo economico e sociale europeo, al di là anche delle necessarie aperture legate alle regole inderogabili del mercato unico.

3.3   l'Unione monetaria

3.3.1

Il passaggio all'euro è stata la tappa più significativa del mercato unico e un progresso rilevante per la competitività delle imprese europee. Creando ormai una sola moneta per dodici Stati membri, che comprendono 300 milioni di europei, l'euro ha eliminato ogni rischio di cambio nella zona in cui circola, neutralizzato i costi di transazione degli scambi e assicurato una trasparenza permanente dei dati economici. Inoltre l'euro è una moneta di dimensione internazionale. Se l'attuale sopravvalutazione dell'euro rispetto al dollaro penalizza le esportazioni — agevolando nel contempo le importazioni, specie di petrolio e di materie prime -, va ricordato che la situazione del rapporto di cambio, che era quella opposta qualche anno fa, continuerà a modificarsi di nuovo in futuro.

3.3.2

Questa Unione monetaria, che oggi non ha equivalenti al mondo, ha anche dimostrato la capacità dell'Europa di portare a compimento un grande progetto in termini di innovazione e mobilitazione, con un impatto notevole per i suoi cittadini e per le sue imprese. L'Unione monetaria ha considerevolmente rafforzato la visibilità esterna dell'Europa e consolidato la sua posizione internazionale a vantaggio delle sue imprese.

3.3.3

Il patto di crescita e di stabilità che accompagna l'euro ha per obiettivo un minimo di convergenza economica con regole che limitano i disavanzi pubblici e l'inflazione. Garantisce una migliore prevedibilità per le imprese in un quadro stabile, favorevole alla loro competitività. Costituisce anche il primo passo verso un'Unione economica realmente integrata. È infatti chiaro che non si potrà avere un'Unione monetaria durevole senza progressi complementari, per esempio in materia di competitività delle imprese, progressi che costituiscono una parte importante della strategia di Lisbona.

3.4   L'ambizione riformatrice di Lisbona

3.4.1

Il Consiglio europeo di Lisbona del marzo 2000 ha deciso di avviare, sia sul piano nazionale che su quello europeo, un vasto programma di riforme economiche, sociali e amministrative per fare dell'Europa, da qui al 2010, l'economia fondata sulla conoscenza più dinamica e più competitiva al mondo, capace di garantire una crescita economica sostenibile, il miglioramento quantitativo e qualitativo dell'occupazione e una migliore coesione sociale. Questa strategia fornisce all'economia europea un ruolino di marcia per unire le sue forze di fronte alla globalizzazione, in un sito Europa più competitivo.

3.4.2

Le riforme sono pertinenti, riguardando le principali sfide di competitività delle imprese europee. Esse mirano per esempio:

a un accesso più facile ai finanziamenti, tra cui anche ai capitali di rischio, specie per le PMI e le imprese innovatrici,

alla riduzione della pressione fiscale che grava sul lavoro, specie quello poco qualificato e scarsamente remunerato per rendere meno significativo l'effetto di dissuasione del suo costo,

alla riduzione dei disavanzi pubblici, che è legata alla stabilità dei prezzi e alla moderazione fiscale,

all'incentivazione del processo di innovazione, da cui dipende la capacità tecnologica delle imprese europee,

all'adeguamento dell'istruzione e della formazione, segnatamente per rispondere in modo più appropriato ai nuovi dati economici, professionali e tecnologici,

alla modernizzazione del mercato del lavoro, agevolando l'incontro tra offerta e domanda di lavoro, a un tasso d'occupazione più alto, a un miglioramento della qualità e delle condizioni di lavoro garantendo nel contempo un impiego più intensivo degli impianti a vantaggio di una produttività più elevata,

all'efficienza e alla sostenibilità della previdenza sociale, di fronte ai problemi posti dall'incremento della spesa previdenziale, soprattutto con l'invecchiamento demografico,

alla semplificazione della regolamentazione, sul piano europeo e su quello nazionale,

e, in linea con le conclusioni del vertice di Göteborg del giugno 2001, a una migliore integrazione della tutela dell'ambiente e delle esigenze dello sviluppo sostenibile.

3.4.3

I metodi della strategia di Lisbona sono anch'essi pertinenti, prevedendo:

un nuovo calendario per il completamento del mercato unico, con tappe intermedie,

una valutazione annuale nel corso di un vertice europeo di primavera,

un metodo di coordinamento aperto su obiettivi comuni, che valorizza le buone pratiche,

un ruolo centrale del settore privato e del partenariato tra poteri pubblici e società civile,

un'importanza maggiore data al dialogo tra le parti sociali.

3.4.4

La strategia di Lisbona ha già permesso di ottenere primi risultati positivi, quali:

una nuova consapevolezza della necessità delle riforme, al di là delle divisioni tradizionali,

una diffusione accelerata delle tecnologie dell'informazione e dei processi di innovazione,

un maggiore appoggio alla creazione di imprese e al finanziamento delle PMI,

un maggior interesse verso la sostenibilità dello sviluppo, con misure per rendere più efficienti i servizi pubblici riducendo nel contempo i disavanzi pubblici, per consolidare la previdenza sociale riportandone in equilibrio i conti, per introdurre disposizioni legislative e tecnologie energetiche e industriali che tutelino meglio l'ambiente,

il coinvolgimento delle parti sociali nelle riforme sociali,

misure di semplificazione legislativa ed amministrativa, anche di portata limitata.

3.4.5

L'ambizione competitiva della strategia di Lisbona non sarebbe realistica senza il rinnovamento del quadro istituzionale dell'Unione. È stata questa la missione della Convenzione europea, la cui composizione innovatrice ha unito ai rappresentanti degli Stati e delle istituzioni dell'Unione quelli dei paesi candidati, dei parlamenti nazionali e osservatori della società civile. La Convenzione ha proposto una rifusione dei Trattati in modo da garantire un quadro istituzionale moderno, semplificato, più adatto all'allargamento su grande scala, più leggibile e più attraente per l'opinione pubblica. Si tratta anche di articolare nel Trattato i meriti peculiari del modello europeo di società, in cui la ricerca della competitività si accompagna con la valorizzazione dell'occupazione e del progresso sociale. Tra gli obiettivi dell'Unione, il nuovo Trattato costituzionale adottato il 25 giugno 2004 cita così un'economia sociale di mercato altamente competitiva, volta ad ottenere la piena occupazione, il progresso sociale e un livello elevato di protezione e di miglioramento della qualità dell'ambiente. Il Comitato appoggia quest'esigenza di una coerenza globale, che integra la competitività con altri obiettivi di progresso sociale e qualitativo, pur constatando che tale coerenza è ben lungi dall'essere raggiunta oggi a causa di diversi ostacoli che continuano a influenzare negativamente la competitività europea.

4.   Gli handicap competitivi delle imprese europee

4.1   Il sostegno insufficiente allo spirito d'impresa

4.1.1

Mentre alcuni vantaggi competitivi dell'Europa rimangono più dei processi in corso che dei dati di fatto acquisiti in modo irreversibile, alcuni handicap penalizzano la competitività delle imprese europee e contribuiscono ai risultati attuali non brillanti in termini di crescita e occupazione.

4.1.2

I recenti dibattiti sullo spirito d'impresa, che hanno seguito il Libro verde presentato dalla Commissione, hanno confermato che le imprese di tutte le dimensioni sostengono di affrontare nella maggior parte dei paesi europei problemi quotidiani causati da:

la complessità eccessiva delle regolamentazioni, sia sul piano nazionale che su quello europeo,

il peso generalmente elevato degli oneri fiscali e sociali,

la difficoltà frequente di trovare finanziamenti,

l'insufficienza del sostegno concesso a coloro che si assumono rischi imprenditoriali — compresa la mancanza, molto spesso, di una seconda opportunità quando un primo progetto imprenditoriale non ha avuto successo,

carenze nell'adattamento tra offerte di lavoro delle imprese e qualificazioni professionali.

4.1.3

Va anche sottolineato il tasso d'occupazione comparativamente modesto in Europa, soprattutto rispetto agli Stati Uniti. Questa situazione ha ripercussioni negative sulla competitività dell'Europa, sul suo livello, complessivamente elevato, di pressione fiscale, nonché sull'equilibrio dei sistemi di previdenza sociale.

4.1.4

Infine, tra molti imprenditori europei prevale l'impressione che l'Unione tenda ad accumulare i rapporti analitici piuttosto che ad avviare azioni veramente operative che si traducano in risultati verificabili, — come hanno per contro saputo fare i nostri principali concorrenti, dagli Stati Uniti alla Cina.

4.1.5

Il comitato constata che le parti sociali sono in una posizione ottima per avviare queste azioni operative volte a sostenere la competitività e lo spirito d'impresa. Numerosi esempi confermano che spesso esse svolgono in questo senso un ruolo molto importante, un ruolo propulsivo che avrebbe meritato di essere sottolineato nel Libro verde della Commissione.

4.1.6

Il Comitato sottolinea inoltre che gli organismi che operano nella cosiddetta economia sociale spesso si trovano di fronte gli stessi problemi già elencati sopra, per esempio in ordine all'imposizione fiscale e anche ad altri aspetti, quali gli appalti pubblici e le regole della concorrenza. A suo parere applicare soluzioni specifiche a tali problemi contribuirebbe in modo significativo al miglioramento dell'economia e dell'occupazione in Europa.

4.2   Il ginepraio degli ostacoli

4.2.1

Malgrado i progressi compiuti, in diversi settori il mercato unico non si è affermato in misura sufficiente. È questo in particolare il caso del settore dei servizi, che rappresenta il 70 % dell'attività economica, ma in cui le armonizzazioni e i riconoscimenti reciproci sono di gran lunga inferiori ai bisogni. Anche nel settore pubblico sussistono numerosi casi in cui l'apertura è insufficiente:

ostacoli concernenti settori in cui continuano a esistere monopoli pubblici, come i trasporti, l'energia, la posta e, oggi in misura inferiore, le telecomunicazioni,

la compartimentazione degli appalti pubblici (appena il 10 % di essi è aggiudicato a imprese non nazionali),

compartimentazione amministrativa, mentre la gestione del mercato unico necessita di una cooperazione maggiore in diversi settori (fiscalità, dogane, polizia, giustizia, concorrenza, repressione delle frodi, ambiente ecc.).

4.2.2

Al di là delle aperture effettuate, in corso o programmate, al di là anche dei ritardi che si possono talvolta constatare in questi settori, la questione dello status dei servizi di interesse generale nel mercato unico non è stata ancora definita in modo chiaro. Il ruolo specifico dei servizi di interesse generale, già integrato in diverse direttive di apertura settoriale, è stato sancito in modo generale dai Trattati di Amsterdam e di Nizza. La Commissione stessa sta preparando uno strumento orizzontale per precisare meglio il ruolo dei servizi di interesse generale nel mercato unico. Pur tuttavia, non si può non prendere atto di come il dibattito fino a oggi sia stato confinato al ruolo dei servizi pubblici nazionali rispetto al mercato unico europeo, senza discutere in alcun modo se vi sia, e a quali condizioni, l'interesse a sviluppare in maniera mirata servizi di interesse generale su scala europea. Una questione del genere non si può tuttavia ignorare in un dibattito effettivo sul futuro del mercato unico allargato e della competitività delle imprese europee.

4.2.3

Al di là dello sviluppo della regolamentazione comunitaria, gli Stati continuano essi stessi a regolamentare con modalità che possono complicare o addirittura ostacolare il mercato unico per le imprese. È stata instaurata una procedura di notifica preventiva alla Commissione (direttiva 83/139), ma quest'ultima, impegnata in compiti molteplici, non può reagire efficacemente se non nei casi più evidenti, e l'allargamento complicherà ulteriormente il suo compito.

4.2.4

Inoltre le direttive non sono state ancora sufficientemente recepite da tutti gli Stati membri, con una mancata attuazione che riguarda attualmente il 10 % di esse o addirittura il 25 % in certi settori. Anche le infrazioni sono troppo numerose con circa 1500 casi di inchieste e di azioni avviate dalla Commissione.

4.2.5

La convergenza fiscale del mercato unico rimane insufficiente anche a causa del requisito dell'unanimità in seno al Consiglio. In particolare devono ancora essere soppresse tutte le doppie imposizioni, ancora non è stata creata una base armonizzata per l'imposta sulle società e il regime intracomunitario dell'IVA rimane tuttora da semplificare.

4.2.6

La complessità e il costo legati all'ottenimento della protezione intellettuale europea costituiscono un altro handicap per le imprese europee, confermato dal ritardo persistente (30 anni!) e dal costo prevedibile del brevetto comunitario.

4.2.7

Vanno citati in questo contesto anche i rinvii di diversi progetti di reti transeuropee dell'Europa allargata per cui vanno ancora trovati i finanziamenti pubblici, privati o misti.

4.2.8

I ritardi nel completamento del mercato unico hanno la loro parte di responsabilità diretta nella situazione molto insoddisfacente dell'occupazione e del mercato del lavoro. L'allargamento dell'Unione europea da 15 a 25 Stati membri ripropone in modo ancora più acuto la questione del miglioramento della situazione occupazionale, sotto i suoi differenti aspetti (formazione, mobilità professionale e geografica, qualità dei posti di lavoro, riqualificazioni, ecc.).

4.2.9

Da ultimo, il principio di libera circolazione e quello di libertà di stabilimento nel mercato unico sono temporaneamente limitati come conseguenza dell'allargamento, a causa delle deroghe (che possono restare in vigore fino a un massimo di 7 anni), decise nei confronti dei cittadini dei nuovi Stati membri. Tali restrizioni impediscono il libero funzionamento del mercato del lavoro nell'Europa allargata e penalizzano gli sforzi di formazione e di adattamento professionale avviati in questi nuovi Stati membri. Anche i cittadini dei nuovi Stati membri che intendono cominciare ad esercitare un'attività autonoma nell'UE-15 incontrano ostacoli.

4.3   Un'insufficiente Unione economica

4.3.1

L'Unione monetaria non è andata di pari passo con la crescita economica dinamica che essa avrebbe dovuto favorire. Una ragione fondamentale di questa situazione è che l'Unione monetaria non è stata ancora accompagnata da una vera Unione economica. l'embrione costituito dal patto di crescita e di stabilità ha posto esso stesso problemi nell'ultimo periodo. Non è rispettato completamente da molti Stati, tra cui la Germania e la Francia i cui disavanzi pubblici hanno superato il 3 % del PIL. Inoltre sono sorti interrogativi riguardo agli effetti del patto (la cui componente stabilità è nettamente più precisa della componente crescita), sulla fiacchezza dell'attività economica. Allo scopo di compensare i limiti e i vincoli del patto, bisognerebbe sviluppare un approccio economico più integrato; non è affatto così attualmente, dato che il coordinamento degli indirizzi di massima per le politiche economiche è ancora minimo.

4.3.2

L'Eurogruppo che raccoglie gli Stati della zona euro è tuttora poco strutturato, poco autorevole e essenzialmente intergovernativo, rispetto ad una Banca centrale europea organizzata sul modello federale. Si è ben lontani dall'avvio di un governo economico europeo.

4.3.3

Lo stesso Consiglio Ecofin è lungi dal costituire un governo economico dell'Unione, con membri che si attestano volentieri su posizioni di difesa dei loro interessi nazionali, confortati da una larga pratica dell'unanimità. l'insufficiente armonizzazione fiscale in Europa ne è un esempio.

4.3.4

Infine, il Consiglio Competitività istituito negli anni più recenti non ha legami privilegiati con il Consiglio Economia-finanze e prova difficoltà a farsi carico efficacemente di un compito necessariamente pluridisciplinare che interessa tutte le formazioni del Consiglio.

4.3.5

Si esprime inoltre rammarico per il fatto che il nuovo Trattato costituzionale si dimostri poco sviluppato e scarsamente innovativo per quanto riguarda l'approfondimento dell'Unione economica, contrariamente a quanto avviene per molte sue disposizioni in altri campi. Per esempio sarebbe stato più opportuno per la coesione e la convergenza competitiva dell'economia europea attribuire alla Commissione un effettivo ruolo propositivo, e non un semplice potere di raccomandazione, sia in ordine agli indirizzi di massima per le politiche economiche sia per i disavanzi pubblici.

4.4   L'insufficienza delle riforme strutturali

4.4.1

Al vertice di primavera, gli Stati membri hanno dato l'impressione di privilegiare nuovi dibattiti sugli obiettivi già fissati a Lisbona, o addirittura di volere aggiungere nuove prescrizioni, invece di procedere alla valutazione comparativa delle riforme nazionali. Troppi Stati hanno anche trascurato il coinvolgimento pieno delle parti sociali nella definizione e nell'attuazione delle riforme e non le hanno affatto consultate né menzionate al momento di predisporre le relazioni sullo stato d'avanzamento.

4.4.2

L'atteggiamento riservato degli Stati riguardo allo stato delle riforme è andato di pari passo con i ritardi:

4.4.2.1

a livello europeo, i 25 hanno convenuto di completare il mercato unico in molti settori (energia, servizi, appalti pubblici, reti transeuropee, adeguamento dei servizi pubblici), ma sono riluttanti a adottare nei tempi previsti le misure richieste;

4.4.2.2

a livello nazionale i risultati sono disuguali. Anche gli Stati membri più avanzati nelle riforme fanno segnare ritardi nei confronti dei paesi terzi più efficienti, e l'Europa nel suo complesso continua ad avere un handicap di competitività. Ebbene la sfida delle riforme non consiste soltanto nel fare meglio di prima, ma anche e soprattutto di fare meglio di quanto si fa altrove. Va in particolare osservato quanto segue.

4.4.2.2.1

In relazione all'apertura dei mercati, sono stati realizzati progressi significativi nelle telecomunicazioni e, in misura minore, nell'energia — gas, elettricità — in cui i prezzi sono spesso ancora troppo elevati. L'apertura dei servizi postali progredisce solo lentamente in alcuni paesi, con un obiettivo che rimane ancora parziale, attraverso un calendario a tappe concordato fino al 2009. Nelle infrastrutture di trasporto permangono ritardi d'interconnessione, che si ripercuotono negativamente soprattutto sulla realizzazione dei progetti di reti transeuropee.

4.4.2.2.2

Per quanto riguarda l'accesso ai finanziamenti, l'integrazione del mercato finanziario europeo è in corso, sostenuta dall'introduzione dell'euro. Sono state adottate diverse misure per facilitare il finanziamento delle start -up e delle PMI, ma l'accesso al capitale di rischio non è ancora sufficientemente agevole. Inoltre, l'unificazione del mercato finanziario resta troppo dipendente da regolamentazioni mentre sarebbe stato opportuno incoraggiare le misure di coregolamentazione socioprofessionale, così come definite e disciplinate dall'accordo concluso tra le istituzioni dell'UE il 16 dicembre 2003.

4.4.2.2.3

In ordine ai disavanzi pubblici, le situazioni presentano forti variazioni da un paese all'altro: alcuni Stati si sono assicurati un saldo positivo delle loro finanze pubbliche (cfr. Danimarca, Finlandia, Lussemburgo e Svezia), mentre altri raggiungono o superano i limiti del patto di stabilità (cfr. Germania, Francia, Italia, Portogallo). Questi paesi, che fanno registrare un disavanzo eccessivo, sono anche quelli che mostrano più ritardi nell'attuazione delle riforme strutturali.

4.4.2.2.4

Rispetto all'incentivazione dell'innovazione, le spese per la ricerca rimangono insufficienti. Esse rappresentano l'1,9 % del PIL, rispetto al 2,6 % che si registra negli USA, dove gli investimenti delle imprese sono due volte più elevati che nell'UE a 15. Si è lontani dall'obiettivo di Lisbona che fissa al 3 % del PIL le spese in R&S, di cui due terzi devono essere finanziate dal settore privato. Esse sono anche troppo poco in fase tra di loro e con il programma quadro di ricerca europeo. Il fatto che non vi sia una politica veramente comune dell'Europa nei settori strategici influisce negativamente sui suoi investimenti tecnologici. Il ritardo dell'Europa nei confronti degli Stati Uniti o del Giappone in tema di brevetti depositati, in particolare nelle nuove tecnologie, è grave, anche a causa dell'assenza persistente di un brevetto europeo efficace e poco costoso.

4.4.2.2.5

Per quanto concerne il miglioramento del mercato del lavoro, le situazioni sono diverse a seconda dei paesi: alcuni fanno segnare un livello di occupazione complessivamente elevato, mentre altri devono fare i conti con un fenomeno di sottoccupazione strutturale. Sono state avviate importanti riforme per migliorare il funzionamento del mercato del lavoro, la sua flessibilità e l'adeguamento tra domanda e offerta di lavoro. Appare tuttavia assolutamente necessario per garantire l'adesione degli europei alla strategia di Lisbona che tali riforme si traducano rapidamente in progressi quantitativi e qualitativi sostenibili della formazione permanente e dell'occupazione, con una disciplina normativa o contrattuale adeguata. In particolare non si registra ancora uno sforzo di investimento sufficientemente rilevante, in particolare attraverso la formazione, in posti di lavoro e in qualificazioni professionali incentrati sulla valorizzazione competitiva della qualità. Le consultazioni delle parti sociali e i negoziati con loro e tra di loro, devono segnatamente mirare a garantire che le nuove forme di organizzazione permettano effettivamente questo miglioramento dell'occupazione e delle condizioni d'impiego tenuto conto delle sfide della competitività internazionale. La relazione KOK ha inoltre sottolineato quali sono le azioni prioritarie che devono essere attuate per risanare durevolmente la situazione.

4.4.2.2.6

In materia di solvibilità della previdenza sociale, sono in corso numerose riforme per ripristinarne l'equilibrio finanziario, considerato l'invecchiamento demografico che si aggrava in tutta Europa. Si tratta, in particolare, di adattare i periodi di contribuzione all'allungamento della speranza di vita e di incoraggiare il ricorso ai regimi complementari di assicurazione e ai fondi pensione. Pur facendo dei passi in avanti, tali riforme segnano ritardi notevoli per quanto riguarda la previdenza sociale per la parte relativa ai regimi complementari ed incontrano anche problemi di attuazione e di efficienza, tra cui si segnala soprattutto il numero eccessivo di uscite precoci dal mercato del lavoro, malgrado gli impegni presi a Barcellona nel 2002. Si tratta in particolare di fare in modo che le riforme dei sistemi di previdenza sociale siano condotte in forma equa, evitando di creare nuove situazioni di esclusione che avrebbero effetti anche socialmente negativi sull'economia europea.

4.4.2.2.7

In rapporto all'istruzione e alla formazione, i paesi europei beneficiano in grande maggioranza di sistemi di insegnamento complessivamente efficienti e sviluppati, ma talvolta troppo separati dalle realtà economiche e dalle prospettive d'inserimento adeguato sul mercato del lavoro, troppo selettivi per quanto riguarda l'accesso e non abbastanza articolati per potere assicurare un sostegno efficace lungo tutto l'arco della vita. Vengono sviluppati programmi di scambio per intensificare tali rapporti e sviluppare le formule di apprendimento. Anche la diffusione generalizzata dell'accesso a Internet contribuisce a intensificare le formazioni.

4.4.2.2.8

Per quanto riguarda la semplificazione normativa, insieme con il miglioramento della sua qualità e della sua efficacia, si tratta di un bisogno comune a tutti i paesi europei, anche se alcuni hanno dato avvio prima di altri a programmi per rimediare all'eccesso di regolamentazione. In generale si dà priorità alla semplificazione delle procedure per la creazione delle imprese e delle piccole imprese, in considerazione del loro impatto sull'attività economica e sull'occupazione. Si dovrebbe inoltre dare maggiore sostegno alle imprese nello sviluppo e nella gestione delle procedure operative. Queste ultime riducono le inefficienze e sostengono la crescita di produttività, dando luogo a una maggiore competitività.

4.4.2.2.9

In materia di sviluppo sostenibile, le misure nazionali d'applicazione degli accordi di Kyoto vengono messe a punto con risultati difformi. La tutela ambientale è tradizionalmente più consolidata nei paesi del Nord, ma negli altri vengono adottate nuove misure e gli scambi di buone pratiche permettono di trarre ispirazione dalle esperienze riuscite (codici di condotta volontari, carte, etichette, distribuzione dei permessi di emissione, ecc.). Appare assolutamente necessario fare in modo che la strategia competitiva dell'Unione sia al servizio di una politica attenta alla protezione dell'ambiente e degli impegni presi in questo campo e che essa non costituisca in nessun modo un ostacolo alla politica ambientale.

4.4.3

Complessivamente il bilancio delle riforme non è molto lusinghiero. Malgrado l'accumularsi dei rapporti sulla perdita di competitività e il moltiplicarsi dei processi o delle strategie di rilancio competitivo (Lussemburgo, Cardiff, Colonia, Lisbona, Göteborg, Barcellona, ecc.), l'UE fa fatica ad applicare le scelte che via via ha fatto proprie (mercato unico, spazio finanziario, economia della conoscenza, eccellenza ambientale ecc.).

4.4.4

Allo stesso tempo, dopo la congiuntura favorevole che fece da cornice al vertice di Lisbona nel 2000, la situazione economica e quella dell'occupazione in Europa non hanno smesso di degradarsi, a causa dell'insufficienza sia degli investimenti che della domanda, anche in seguito ad una politica monetaria e finanziaria restrittiva, oltre che per altre ragioni diverse, ma con effetti cumulativi, legate al clima d'insicurezza generato dagli attentati terroristici, dalle tensioni internazionali, dalle perturbazioni finanziarie e borsistiche, dal prezzo del petrolio, con conseguenze negative sulla fiducia e sull'attività degli agenti economici. I tassi di crescita sono passati dal 3,5 % del 2000 all'1,6 % nel 2001 e appena all'1 % a partire dal 2002. L'occupazione ha registrato un degrado e in effetti il tasso di disoccupazione è passato sopra la barra dell'8 %. Questa congiuntura economica e sociale negativa in Europa contrasta con il dinamismo attuale della crescita negli Stati Uniti (quasi il 5 %), anche se essa si fonda su un contesto molto particolare (cfr. corso del dollaro, disavanzo di bilancio, spese militari, ecc.).

4.4.5

La strategia di Lisbona è intrappolata in un circolo vizioso: la crescita insufficiente complica l'attuazione delle riforme i cui stessi ritardi penalizzano il ritorno a una maggiore crescita e alla creazione di più posti di lavoro. Dinanzi a una miriade di obiettivi di riforma, di impegni e di Stati partecipanti, si constata un'insufficienza corrispondente di corresponsabilità, di attuazione, di coordinamento e dunque di impatto economico e sull'occupazione. Esiste il pericolo di illudersi, non avviando le riforme richieste con la determinazione necessaria, ma facendo credere che la strategia tuttavia avanzi. Questa «bolla di Lisbona» non aspetterebbe il 2010 per scoppiare.

5.   Le raccomandazioni del comitato

5.1   Riportare la fiducia tra gli attori della vita economica

5.1.1

La competitività del sito Europa deve iscriversi nel quadro di un progetto complessivo, sia politico che economico e sociale, capace di suscitare una vasta adesione e la partecipazione degli attori socioprofessionali. Il nuovo Trattato dovrà contribuire a rispondere a tali aspettative.

5.1.2

Appare particolarmente importante che il progetto europeo sia compreso meglio nel suo contesto complessivo, sia nelle sue relazioni con i suoi vicini sia in quelle con i suoi vari partner internazionali. La questione dell'attrazione esercitata dal sito Europa e del suo adeguamento ai cambiamenti strutturali dovrebbe essere meglio dibattuta e precisata, in relazione soprattutto con le questioni riguardanti gli investimenti internazionali, gli insediamenti di attività economiche in Europa e le delocalizzazioni verso altre regioni del mondo. Il Comitato si aspetta in particolare dagli attuali negoziati in seno all'OMC che essi contribuiscano a costruire regole internazionali migliori per gestire gli scambi e gli investimenti a livello mondiale.

5.1.3

Così come sono necessarie nuove regole a livello internazionale, dove esse sono chiaramente insufficienti, va portata avanti una semplificazione della regolamentazione in Europa, che si trova ancora dinanzi a un eccesso di regole e di procedure amministrative. A tal fine occorrerebbe:

riformare la valutazione di impatto preliminare: autonomia dall'analisi, test sistematici riguardanti alternative a una regolamentazione classica, verifica dell'effetto del progetto sulla semplificazione e sulla competitività, pubblicazione sistematica della valutazione con il progetto,

prevedere di motivare tutte le modifiche che possano pregiudicare la conformità con la valutazione d'impatto,

coinvolgere le imprese e altri utenti della semplificazione a monte della regolamentazione (comitati SLIM a priori invece che a posteriori),

incoraggiare l'autoregolamentazione e la coregolamentazione socioprofessionale su scala europea, in particolare nei servizi,

incitare gli Stati a procedere a una semplificazione nazionale parallela, prevedendo un test di eurocompatibilità.

5.1.4

Dovrebbero essere avviate politiche per sostenere in modo più deciso la creazione e lo sviluppo di imprese, grazie ad un più agevole accesso al capitale di rischio — approccio che giustificherebbe l'estensione degli interventi della Banca europea per gli investimenti in questo campo — a un numero maggiore di programmi di formazione di imprenditori condotti da altri imprenditori, e una rete più densa di servizi di sostegno alle piccole imprese in tutti gli Stati membri, con un coordinamento a livello europeo.

5.1.5

Da ultimo bisognerebbe, in generale, incoraggiare le imprese, le associazioni professionali e i diversi attori della società civile ad assumere più iniziative su scala europea, facendo maggior uso delle nuove libertà di cooperazione e di scambio che sono state loro offerte dai progressi della costruzione europea. Le loro iniziative sul campo tanto come le nuove misure attese delle istituzioni europee o degli Stati, avranno un ruolo decisivo per assicurare che i processi di recupero di competitività in atto in Europa abbiano un impatto effettivo e dei risultati positivi e che le barriere e gli ostacoli diversi che continuano ad opporvisi siano infine eliminati. La realizzazione di un'Europa più efficiente e più competitiva sarà, in definitiva, condizionata soprattutto dalla moltiplicazione e dal rafforzamento reciproco di tali iniziative economiche e associative, che i poteri pubblici europei, nazionali e regionali dovranno specialmente agevolare e inquadrare per mezzo di un contesto competitivo favorevole.

5.2   completare il mercato unico

5.2.1

È veramente tempo di garantire a breve termine il completamento delle disposizioni essenziali del mercato unico, oggi ampliato da 15 a 25 Stati membri. Tale completamento non dovrebbe essere rinviato al di là della scadenza competitiva del 2010 fissata a Lisbona. Un obiettivo del genere appare oggi indispensabile, senza trascurare peraltro il fatto che sarà necessario in futuro garantire il funzionamento e eventuali riorganizzazioni di tale mercato.

5.2.2

La prima condizione è quella di assicurare un recepimento più rigoroso delle direttive a livello nazionale, assicurando il rispetto effettivo dei termini, impegno preso al vertice europeo. Ciò presuppone governi più responsabilizzati su tale questione, prevedendo, se necessario, uno spostamento degli aiuti concessi ai paesi in ritardo nell'attuazione delle normative europee, destinandoli all'obiettivo di una migliore trasposizione. Inoltre, considerata la preponderanza delle direttive, il recepimento sarebbe facilitato da un maggior ricorso ai regolamenti, i quali sono di applicazione diretta e uniforme.

5.2.3

Per quanto riguarda le priorità di armonizzazione che interessano la competitività vanno citate:

un regolamento che eviti le doppie imposizioni del mercato unico e che si sostituirebbe alla miriade, tanto inestricabile quanto incompleta, di convenzioni bilaterali tra Stati membri,

uno statuto semplificato di società europea aperto alle PMI, più volte invocato dal Comitato, tale da dare loro nuove opportunità di sviluppo, di cooperazione e di appalti su scala europea, a cominciare soprattutto dalle zone di frontiera,

la messa a disposizione rapida di un brevetto comunitario semplice, efficace, poco costoso, perché il persistente ritardo nell'adozione di tale brevetto sta accreditando un'idea di incapacità strutturale dell'Europa di mantenere i suoi impegni dichiarati in materia di competitività,

il completamento di un effettivo mercato interno dei servizi (1), con una partecipazione attiva delle professioni interessate.

5.2.4

La soppressione delle compartimentazioni amministrative è inoltre una condizione indispensabile per il rafforzamento del mercato unico; essa dovrebbe essere appoggiata più direttamente di quanto non avvenga finora dall'Unione. Essa dovrebbe comportare:

una migliore cooperazione a livello europeo delle amministrazioni nazionali, che sono oggi chiamate a cogestire un mercato unico di 25 Stati membri,

ispezioni comunitarie negli Stati, con conseguenti rapporti che evidenzino le eventuali disfunzioni e i mezzi per rimediarvi,

un'unificazione delle dogane alle frontiere esterne in seguito all'allargamento, processo la cui prima tappa dovrebbe già comprendere un tronco comune di formazione e un'intensificazione dei tirocini e degli scambi europei di agenti doganali,

la pubblicazione di dati europei comparati sugli appalti pubblici effettivamente aggiudicati,

un miglior coordinamento transnazionale dei servizi pubblici, che possa preparare, eventualmente, in settori in cui si rivelerebbe necessario, l'emergere di servizi pubblici su scala europea.

5.3   Sviluppare l'Unione economica

5.3.1

L'affermazione di un'effettiva Unione economica è un elemento chiave per la competitività delle imprese europee e una necessità per assicurare pienamente la sostenibilità dell'Unione monetaria. Si tratta in particolare di dotare l'Europa di una risposta macroeconomica più adeguata e più stabile di fronte alle alee della congiuntura internazionale, in tema di politiche sia di sostegno dell'offerta che della domanda. Appare indispensabile sviluppare questa politica economica comune sincronizzandola con la scadenza del 2010 fissata a Lisbona in materia di competitività. Ciò comporta:

allargare la zona euro ai nuovi Stati dell'Unione, non appena essi saranno in grado di rispettarne i criteri in modo sostenibile,

sviluppare i vantaggi del metodo comunitario (cfr. relazioni e proposte della Commissione, decisioni prese a maggioranza nel Consiglio) su tutte le questioni di interesse veramente comune in materia economica,

far rispettare il patto di stabilità, in condizioni che tengano conto anche delle sfide della competitività, vale a dire privilegiando le misure di investimento invece delle spese amministrative.

5.3.2

Tra le misure che permetterebbero di avanzare in modo significativo sulla via dell'Unione economica vanno citate:

un parere comunitario preventivo, e non a posteriori, sui progetti nazionali di leggi finanziarie, che assicuri la loro conformità con gli indirizzi di massima per le politiche economiche,

una migliore articolazione tra gli orientamenti per l'occupazione e gli indirizzi di massima, andando al di là di una semplice giustapposizione,

l'accelerazione dell'organizzazione dello spazio finanziario europeo, anche attraverso l'autoregolamentazione e la coregolamentazione socioprofessionali.

5.3.3

Un requisito dell'Unione economica è costituito dall'avvicinamento dei sistemi fiscali, in particolare delle basi imponibili, in condizioni compatibili con un'economia aperta agli scambi e interessante per gli investimenti. La libertà delle aliquote potrebbe essere regolata in settori che interessano direttamente il mercato unico. Sgravi fiscali concertati sarebbero necessari per l'occupazione. In mancanza di una decisione unanime, una cooperazione rafforzata tra gli Stati desiderosi di avanzare in questa direzione permetterebbe già di realizzare primi progressi.

5.3.4

Gli obiettivi di una politica economica meglio coordinata dovrebbero essere i seguenti:

sviluppare una politica di crescita, a vantaggio dell'attività economica e dell'occupazione, come riconosciuto negli ultimi vertici europei: ciò presuppone, al di là di interventi supplementari della BEI, il cui impatto, senza essere trascurabile, resterà limitato, dare una nuova dimensione ai partenariati pubblico/privato, in particolare per finanziare nuove infrastrutture transeuropee su scala europea, ossia dell'Unione allargata,

consolidare un approccio industriale più dinamico, precisando gli interessi europei, con una politica di concorrenza compatibile, con una politica commerciale maggiormente improntata alla difesa di questi interessi, con l'appoggio di grandi progetti comuni e con il sostegno del bilancio comunitario,

assicurare il necessario sviluppo degli investimenti nell'innovazione e nella ricerca da parte delle imprese, specie per rafforzare la competitività europea sul piano qualitativo,

garantire, in particolare, l'autonomia dell'Europa in tecnologie chiave per la sua sicurezza (se necessario con cooperazioni rafforzate, con l'apertura preferenziale degli appalti pubblici corrispondenti),

incentrare la politica comune di ricerca e sviluppo su progetti comuni, con impostazioni nazionali eurocompatibili.

5.3.5

Le nuove prospettive finanziarie 2007-2013 dovranno essere orientate intorno a questa sfida competitiva del sito Europa. A tal fine, occorrerebbe:

anticipare le trasformazioni economiche, industriali, regionali e sociali e promuovere gli adattamenti a monte di tali trasformazioni,

perseguire la riforma della politica agricola con gli ambienti interessati, avendo come obiettivo un'industria agroalimentare europea competitiva, la difesa dell'ambiente e la sicurezza dei consumatori, uno sviluppo rurale equilibrato,

rafforzare la presenza internazionale dell'Unione, migliorando l'efficacia dell'aiuto allo sviluppo, sviluppando i partenariati, sostenendo gli investimenti delle imprese europee sui mercati terzi con forte potenziale di crescita,

adattare le modalità dell'aiuto comunitario, vale a dire: ampliare i requisiti previsti per gli aiuti, (soprattutto in materia di convergenza economica, ma anche di attuazione delle direttive), ottenere maggiore reciprocità da parte degli Stati beneficiari (ambiente competitivo per le imprese, semplificazione amministrativa, eliminazione degli ostacoli), controllare la compatibilità degli aiuti comunitari con le regole di concorrenza, come avviene per gli aiuti di Stato (sorvegliare le distorsioni nocive e le perturbazioni che possono derivare da delocalizzazione artificiali) e sviluppare maggiormente il ricorso a prestiti a condizioni agevolate, piuttosto che distribuire la parte essenziale degli aiuti sotto forma di sovvenzioni.

5.4   Assicurare un'attuazione più coerente delle riforme strutturali

5.4.1

La credibilità del mandato di Lisbona deve affermarsi con più forza presso i cittadini europei. Bisogna dissipare le inquietudini sul suo significato e sul suo costo sociale. Tali riforme condizionano l'avvenire del nostro sviluppo in un'economia aperta. Si tratta di garantire la sostenibilità del modello europeo di società al quale gli europei sono attaccati e così come esso è espresso nella Carta dei diritti fondamentali, conciliandolo con l'obiettivo della competitività.

5.4.2

A questo stesso obiettivo di competitività gioverebbe anche una migliore esplicitazione. Per il Comitato, non si tratta di essere i più competitivi al mondo nel senso di riuscire a comprimere al massimo i costi in tutti i settori: un obiettivo del genere sarebbe illusorio oltre che impraticabile e, sotto più aspetti, nefasto e non sostenibile a causa dei suoi costi qualitativi, sociali e ambientali. Per il Comitato il problema è invece quello di dotarsi di tutti i mezzi per essere pienamente e stabilmente competitivi in un'economia aperta e globalizzata, specialmente attraverso la capacità di dominare le nuove tecnologie e un'organizzazione del lavoro e della produttività più innovativa, pur tenendo sempre presente l'obiettivo di salvaguardare e consolidare il nostro modo sociale di sviluppo in Europa.

5.4.3

Si dovrebbe avviare un miglior coordinamento, da una parte tra le riforme economiche, sociali, amministrative, ambientali e, dall'altra, tra gli Stati membri. Bisognerebbe assicurare comparabilità e rafforzamento reciproco. Visto lo stato attuale delle riforme strutturali negli Stati membri, bisognerebbe in primo luogo:

assicurare l'interconnessione delle reti delle telecomunicazioni, dell'energia e dei trasporti, in condizioni che ottimizzino il rapporto costi/qualità/sicurezza,

accelerare l'integrazione del mercato finanziario europeo conciliando la fluidità, le armonizzazioni, la sicurezza, la concorrenza e l'autoregolazione,

ottenere progressi di produttività, da un lato direttamente nelle imprese — organizzazione del lavoro, informatica e nuove tecnologie — e dall'altro attraverso una maggiore efficacia economica e sociale dei trasferimenti pubblici, anche attraverso economie di scala — apertura del settore pubblico, cooperazione europea dei servizi pubblici — rendendo più facile il riassorbimento dei disavanzi pubblici,

assicurare che i bilanci della ricerca siano conformi all'obiettivo fissato dall'Unione: 3 % del PIL, di cui due terzi devono essere finanziati dal settore privato, e che i programmi nazionali siano in fase tra di loro e con il programma quadro di ricerca e sviluppo,

stimolare l'apprendimento e la formazione in alternanza scuola/impresa, migliorarne l'accessibilità e sviluppare su scala ancora più estesa i programmi europei di scambio,

promuovere l'occupabilità delle persone in cerca di lavoro attraverso programmi di formazione e sostegni personalizzati nell'integrazione nel mercato del lavoro,

incoraggiare inoltre le persone in cerca di lavoro, sia donne che uomini, sia le persone più anziane che quelle più giovani, a sviluppare un'attività economica autonoma, facilitando le procedure amministrative e non penalizzandole sotto il profilo del regime di previdenza sociale,

assicurare la solvibilità dei sistemi di previdenza sociale, garanzia della loro sostenibilità, tenuto conto dell'invecchiamento demografico in atto in Europa, scoraggiando e reprimendo nel contempo il lavoro illegale non dichiarato,

semplificare la regolamentazione e le procedure, specie per le PMI, garantendo, come detto precedentemente, una lotta più efficace contro l'economia sommersa,

prestare un'attenzione prioritaria alla creazione di imprese e all'incoraggiamento dello spirito d'impresa, riformando in questo senso le disposizioni amministrative e fiscali,

consolidare lo sviluppo sostenibile e promuovere le nuove tecnologie in questo campo, le quali aprono nuovi mercati su scala mondiale alle imprese europee, con un numero maggiore di scambi di buone pratiche, che sarebbe utile riunire in una base di dati.

5.4.4

Sul piano europeo, questo coordinamento delle riforme dovrebbe essere appoggiato:

dando al Presidente della Commissione europea, in collegamento con tutti i suoi colleghi, una competenza speciale di considerazione delle sfide di competitività del sito Europa, che giustifichino iniziative particolari a tal fine nella politica della Commissione; il Presidente può designare un membro della Commissione che lo assista in questo compito,

potenziando il quadro comparativo dell'attuazione delle riforme di Lisbona, sottolineando il ruolo non soltanto dei poteri pubblici, ma anche della società civile,

orientando maggiormente gli aiuti dell'UE in funzione degli obiettivi di Lisbona e facendo il punto su questo sforzo di adeguamento nei rapporti annuali.

5.4.5

Un'esigenza centrale oggi è quella di rafforzare la motivazione degli europei nei confronti della costruzione europea e verso l'obiettivo di competitività che essa si è data. Ciò presuppone una visione più chiara delle finalità e dei contorni dell'Europa in costruzione, nonché del quadro economico e sociale globale nel quale si inseriscono le riforme strutturali. Ciò comporta in particolare una migliore percezione dell'evoluzione del modello europeo di relazioni sociali.

5.4.6

Una maggiore competitività delle imprese europee presuppone in particolare migliori qualificazioni professionali dei lavoratori, incentivi alla loro partecipazione all'organizzazione del lavoro, rafforzamento della coesione sociale nell'impresa sulla base di relazioni sociali rinsaldate e rinnovate.

5.4.6.1

L'investimento in capitale umano delle imprese appare infatti determinante: la forza lavoro di un'impresa — il suo capitale umano — è essenziale ai fini della produttività. Da questo investimento, specie se mirato alla formazione, dipende la motivazione dei lavoratori e la loro capacità produttiva.

5.4.6.2

Mentre l'istruzione e la formazione lungo tutto l'arco della vita sono divenute un elemento centrale della politica europea, l'esame dei dati relativi alla percentuale di manodopera che partecipa alle iniziative di istruzione e formazione è fonte di preoccupazione. Tale percentuale, infatti, è pari in media al 14 % per la fascia di età compresa tra i 25 e i 29 anni, decresce regolarmente man mano che aumenta la fascia d'età, e si colloca al 5 % per la fascia tra i 55 e i 64 anni.

5.4.6.3

In un sistema produttivo in cui nei posti di lavoro si esigono sempre più competenze tecniche e know-how, questa situazione suscita crescenti preoccupazioni per la competitività europea. Il superamento di tale situazione è pertanto auspicabile, o meglio indispensabile. A tal fine, le imprese devono integrare nella loro strategia la formazione considerandola un investimento a medio e lungo termine e non come un'attività volta a ottenere un rendimento dell'investimento rapido, se non addirittura immediato.

5.4.6.4

La formazione professionale, l'istruzione e la formazione lungo tutto l'arco della vita non vanno tuttavia considerate isolatamente, ma come parte integrante della gestione delle carriere dei lavoratori dipendenti. Il problema è quello di garantire, tramite la formazione, che le persone rimangano motivate qualunque sia la loro età, valorizzando le competenze e dinamizzando i percorsi professionali. Da questo punto di vista, il bilancio e la convalida delle competenze acquisite sono tutti strumenti da sviluppare nel quadro di progetti professionali individuali articolati con il progetto aziendale.

5.4.7

Il comitato desidera inoltre sottolineare il ruolo dell'economia sociale, di cui si è occupato in molti suoi pareri, ricordando che essa può rappresentare un modello caratterizzato da una maggiore competitività, fondata sulla cooperazione tra gli individui e le imprese e sulla sua capacità di rispondere ai bisogni degli individui, oltre che sulla sua capacità di sviluppare il capitale umano.

5.4.8

Oltre alle imprese e ai loro lavoratori, ai fini della ridefinizione delle relazioni sociali svolgono un ruolo prioritario le parti sociali. Il mandato di Lisbona, in origine, aveva attribuito una responsabilità prioritaria alle imprese, alle parti sociali e alla società civile per il successo delle riforme. Il Comitato si rammarica vivamente che questo riferimento sia stato trascurato, in occasione dei primi Vertici di primavera, sia nelle relazioni degli Stati membri sia nei dibattiti e nelle conclusioni del Consiglio europeo.

5.4.9

Questa situazione ha registrato i primi miglioramenti con le riunioni, alla vigilia dei Vertici di primavera, delle parti sociali con la presidenza del Consiglio e della Commissione. L'agenda pluriennale del dialogo sociale 2003-2005 concordata dalle parti sociali (l'Unione delle confederazioni europee dell'industria e degli imprenditori, UNICE, il Centro europeo delle imprese a partecipazione pubblica, CEEP, l'Unione europea dell'artigianato e delle piccole e medie imprese, UEAPME, e la confederazione europea dei sindacati, CES) ha inoltre contribuito a rafforzare il loro coinvolgimento nell'attuazione della strategia delle riforme. Articolata intorno a tre elementi (occupazione, aspetti sociali dell'allargamento, mobilità), questa agenda di concertazione e di iniziative comuni dà particolare risalto al rafforzamento della formazione e delle qualificazioni professionali. Contribuisce così alla definizione di un modello europeo di società che unisce una migliore competitività economica delle imprese ad un contenuto sociale potenziato.

5.4.10

Le parti sociali hanno del resto avviato negli Stati membri riforme determinanti, si tratti della formazione, del mercato del lavoro o della previdenza sociale. È essenziale incoraggiare la loro corresponsabilità nelle riforme, valorizzando le loro iniziative e i loro accordi nelle relazioni e nei Vertici di primavera, e includendole negli scambi di buone pratiche. Il Comitato è pronto a divulgare in una base dati questa informazione sulla partecipazione degli attori socioeconomici alle riforme.

6.   Conclusioni

6.1

Il Comitato conclude che le carenze che influiscono sulla competitività delle imprese europee sono il prezzo elevato che si deve pagare per un'Europa non abbastanza intraprendente, incompleta in numerosi campi, in ritardo con le sue riforme, che sfrutta in modo molto insufficiente, spesso velleitario, talvolta incoerente e dunque controproducente, i propri punti di forza. Questa constatazione è confermata da quattro disfunzioni centrali:

una promozione insufficiente dello spirito d'impresa, malgrado le libertà che caratterizzano il contesto europeo,

un mercato interno che resta incompiuto malgrado il suo allargamento,

un'Unione economica non ancora in essere, malgrado l'Unione monetaria,

riforme strutturali di cui non ci si fa ancora sufficientemente carico, nonostante siano già state programmate.

6.2

Rimediare a tali disfunzioni è una responsabilità collettiva per assicurare più coerenza tra l'Europa e i suoi Stati, sfruttando le complementarità. Il Comitato esprime il proprio compiacimento per il fatto che l'ultimo vertice di primavera abbia:

invitato gli Stati membri a promuovere partenariati per la riforma che uniscano le parti sociali, la società civile e i poteri pubblici,

appoggiato la volontà delle parti sociali europee di consolidare il loro impegno con un nuovo partenariato europeo per il cambiamento.

6.3

A parere del Comitato tali partenariati, sia a livello europeo che nazionale, dovrebbero dedicarsi urgentemente al compito di creare le condizioni per riuscire a migliorare la competitività europea e contribuire in particolare a:

accelerare l'organizzazione ottimale del mercato interno,

sviluppare l'Unione economica allo stesso livello dell'Unione monetaria,

coinvolgere nelle riforme tutti gli ambienti interessati,

avviare a tal fine iniziative innovative, sia pubbliche che private e associative,

valutare nei prossimi Vertici di primavera i progressi di questo partenariato.

6.4

Il Comitato sottolinea la necessità di non perdere di vista la scadenza del 2010, che dovrebbe comprendere sia l'attuazione delle riforme di Lisbona che il completamento del mercato unico e la realizzazione di un'effettiva Unione economica competitiva, che tragga tutte le conseguenze dell'Unione monetaria, facendo proprie nel contempo tutte le esigenze dello sviluppo sostenibile.

6.5

Il Comitato constata, infine, che l'accelerazione necessaria delle riforme sarebbe considerevolmente facilitata da una crescita economica più vigorosa. L'Unione europea dovrebbe assumere, senza indugiare oltre, le misure atte a rafforzare il mercato unico stimolando l'offerta e la domanda, e creare così le condizioni sostenibili per far aumentare gli investimenti, gli scambi, i consumi e l'occupazione.

Bruxelles, 27 ottobre 2004.

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Sul progetto di direttiva il CESE sta preparando un parere.


20.5.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/103


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde sui partenariati pubblico/privato e sul diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni

COM(2004) 327 def.

(2005/C 120/18)

La Commissione europea, in data 30 aprile 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito al Libro verde sui partenariati pubblico/privato e sul diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni.

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 8 settembre 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore LEVAUX.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 ottobre 2004, nel corso della 412a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 96 voti favorevoli, 2 voti contrari e 2 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

La Commissione, in data 30 aprile 2004, ha pubblicato un Libro verde sui partenariati pubblico/privato (PPP) che punta ad avviare un dibattito sull'applicazione del diritto comunitario degli appalti pubblici e delle concessioni al fenomeno dei PPP.

1.2

Nel suo parere d'iniziativa dell'ottobre 2000 (1), Il CESE aveva formulato raccomandazioni che rimangono ancora attuali. Le dimensioni del fenomeno dei PPP si sono accresciute e le questioni che esso pone rimangono di importanza strategica per un'Europa ormai allargata e dopo l'adozione delle nuove direttive del 30 aprile scorso (2).

1.3

Nel frattempo in una serie di paesi sono stati sperimentati progetti di PPP. I risultati sono molto differenziati. Sarebbe pertanto opportuno procedere ad una valutazione sistematica delle esperienze sulla scorta di criteri diversi, come ad esempio i costi, l'accesso alle prestazioni, la qualità delle prestazioni, le ricadute sull'occupazione, ecc. Si dovrebbe in particolare studiare se e in qual modo i PPP possano contribuire al mantenimento della competitività europea rispetto ai paesi terzi e quali vantaggi o svantaggi presentino rispetto alle modalità tradizionali di prestazione dei servizi.

2.   I diritti nazionali e le realizzazioni in PPP hanno conosciuto in Europa un notevole sviluppo

2.1

Tutti i paesi europei hanno utilizzato o utilizzano attualmente il sistema dei PPP e delle concessioni. Finora, tuttavia, la Commissione non ha potuto stilarne un inventario. La BEI dispone di alcune statistiche parziali riguardanti un centinaio di progetti. Non si può dimenticare che la «prima Europa», cioè quella dei Romani, utilizzava già duemila anni fa il sistema delle concessioni. Nel corso del secolo XIX la rete ferroviaria europea è stata realizzata grazie allo strumento giuridico costituito dalle concessioni. Queste ultime erano estremamente sviluppate non solo nel campo del trasporto ferroviario, ma anche in quello dei servizi pubblici municipalizzati, come l'erogazione di acqua, gas ed energia elettrica, la raccolta dei rifiuti domestici e la fornitura del servizio telefonico.

2.2

Da molto tempo, in tutto il mondo, contratti globali consentono di finanziare, progettare, realizzare e gestire nel tempo non solo autostrade e parcheggi, ma anche reti idriche, musei, aeroporti, linee tranviarie e della metropolitana, piani urbanistici, ristrutturazioni totali di scuole e ospedali, ecc.

2.3   Paesi che hanno recentemente legiferato in tema di PPP: qui di seguito ci si limita a descrivere le situazioni registrate in un numero circoscritto di paesi: Italia, Spagna, Regno Unito e Francia.

2.3.1   In Italia

2.3.1.1

La Legge quadro del 1994 (Legge Merloni) definisce la concessione di lavori pubblici. Tale forma di concessione è caratterizzata dal fatto che il concessionario realizza l'opera con i propri mezzi, reintegrando il capitale investito grazie allo sfruttamento economico dell'opera così realizzata (art. 19, comma 2, della Legge 109/94) (3).

Il programma di recupero del ritardo nello sviluppo delle infrastrutture punta alla realizzazione di 220 opere considerate strategiche:

dal 2002 al 2011, l'investimento previsto è di 125 miliardi di euro,

metà di tale somma proviene dallo Stato e l'altra metà da finanziamenti privati.

La Legge ha introdotto alcune figure giuridiche che tengono conto delle peculiarità della materia: il contraente generale, il concessionario, l'affidatario della gestione ed il promotore.

Per evitare ritardi nella consegna delle opere e migliorare l'efficienza nella loro realizzazione, una nuova legge del 2001 ha introdotto la figura del «contraente generale». Questi consegna l'opera «chiavi in mano» e ne cura la manutenzione; inoltre, egli deve assumersi l'onere del prefinanziamento dell'opera stessa.

2.3.1.2   La concessione di costruzione e gestione

La concessione di costruzione e gestione costituisce l'alternativa all'affidamento a contraente generale: la scarsità di risorse finanziarie induce generalmente a ricorrere a tale schema contrattuale, basato sul pagamento totale o parziale da parte dell'utente, dato che, in caso di affidamento ad un «contraente generale», l'amministrazione deve scaglionare i pagamenti.

2.3.1.3   L'affidamento o presa in gestione

Le concessioni sono utilizzate altresì per l'affidamento in gestione delle opere esistenti: ospedali, scuole, carceri. Un provvedimento dell'autorità competente in materia deve consentire all'amministrazione di concentrarsi sui propri compiti essenziali e di beneficiare delle innovazioni del settore privato.

2.3.1.4   Il contratto di concessione con il promotore

Si tratta della possibilità, per qualsiasi privato, di presentare una proposta relativa alla realizzazione di lavori pubblici o di lavori di pubblica utilità, inseriti nel programma triennale degli investimenti dell'ente pubblico interessato o in altri strumenti di programmazione approvati da quest'ultimo. L'amministrazione aggiudicatrice, che è libera di accogliere o meno tale proposta, procede quindi, se del caso, a indire una gara al fine di aggiudicare la relativa concessione. Al promotore, il quale predispone il relativo contratto, è attribuito un diritto di prelazione nell'aggiudicazione del contratto stesso.

In Italia si registra un'ampia diffusione della figura del promotore; infatti, su:

1163 iniziative presentate nell'arco di tre anni e mezzo (gennaio 2000 — giugno 2003),

660 provengono da promotori (concessioni ad iniziativa privata, di cui 302 nel 2003!), mentre

503 sono concessioni ad iniziativa pubblica.

2.3.2   In Spagna

2.3.2.1

In Spagna, il contratto di concessione di lavori pubblici è disciplinato dalla Legge 13/2003 del 23 maggio 2003, che ha modificato la legge sugli appalti delle pubbliche amministrazioni, il cui testo consolidato è stato approvato con il Regio decreto legislativo 2/2000 del 16 giugno 2000. La legge ha aggiunto un nuovo titolo «Del contratto di concessione di lavori pubblici» alla disciplina dei diversi tipi di contratti amministrativi. Il nuovo titolo definisce il regime giuridico di questo tipo di contratto, ormai usuale, tenendo conto delle sue caratteristiche peculiari e della tradizione giuridica spagnola.

2.3.2.2

La nuova definizione del contratto di concessione comporta quattro elementi fondamentali: «lavori pubblici», «rischio legato alla concessione», «equilibrio economico della concessione» e «diversificazione del finanziamento».

2.3.3   Nel Regno Unito

2.3.3.1

Negli anni 1993-1994 il governo britannico ha varato un'ampia politica di delega di lavori e servizi pubblici, denominata Private Finance Initiative (PFI). Tale sistema prevede l'affidamento ad un'impresa privata, per una data opera pubblica, di un incarico globale comprendente «progettazione — finanziamento — costruzione — gestione e manutenzione» dell'opera stessa. Dalla sua introduzione ad oggi, alla PFI si possono ascrivere:

oltre 650 progetti (di cui 45 relativi a ospedali e oltre 200 a scuole) avviati mediante PPP,

400 progetti in corso di realizzazione,

impegni finanziari per 48 miliardi di sterline (60 miliardi di euro),

un programma in preparazione,

circa il 12 % del bilancio annuale nazionale per gli investimenti in patrimonio.

2.3.3.2

Per il Tesoro britannico vi sono due elementi decisivi che giustificano l'interesse a ricorrere alla PFI: «è il settore privato che deve realmente assumersi il rischio economico della realizzazione dell'opera e della gestione del servizio» e «il settore pubblico deve ottenere servizi al miglior prezzo possibile, in applicazione del principio Best Value for Money, che mira all'ottimizzazione dei costi di esercizio delle opere realizzate: poiché, infatti, ad essere incaricato dello sfruttamento economico dell'opera è lo stesso soggetto che l'ha realizzata, questi avrà tutto l'interesse a progettare e realizzare un'opera di qualità, che comporti meno spese di gestione e sia più duratura».

2.3.3.3

I contratti in corso sono utilizzati in ogni campo: reti idriche, interventi di bonifica, trasporti pubblici, installazioni e servizi militari, ospedali, scuole, edifici pubblici, strade e autostrade, …

2.3.3.4

Anche nel Regno Unito, dato il gran numero di progetti di PPP, è disponibile un ampio ventaglio di esperienze, peraltro assai diverse, con esiti piuttosto modesti. Esse dovrebbero formare oggetto di un'analisi e di una valutazione sistematica in vista di ulteriori sviluppi.

2.3.4   In Francia

2.3.4.1

Il diritto di stipulare contratti di concessione finanziati dall'utenza era già disciplinato dalla Legge 29 gennaio 1993 (c.d. Legge Sapin); nella prassi, siffatti contratti sono estremamente diffusi nei seguenti settori:

servizi idrici e ambientali urbani, trasporti pubblici urbani, ecc.,

grandi infrastrutture: autostrade, ponti, grandi stadi, gallerie, ecc.

2.3.4.2

In Francia i contratti di PPP con pagamento pubblico sono in pieno sviluppo.

2.3.4.2.1

Con la Legge 5 gennaio 1988 sono stati introdotti nell'ordinamento francese contratti chiamati Baux Emphytéotiques Administratifs de longue durée à paiement public (enfiteusi amministrative a lungo termine con pagamento pubblico). Tali contratti sono utilizzati, come alternativa al leasing (anch'esso largamente impiegato dallo Stato francese), per l'edilizia pubblica, soprattutto scolastica (4). Inoltre, nel campo dell'edilizia e delle infrastrutture statali, si è diffuso il contratto di locazione con opzione d'acquisto (Leggi del 29 agosto 2002 e dell'inizio del 2003, rispettivamente per «la polizia» e per «l'esercito»).

2.3.4.2.2

Infine, una Legge del 2 luglio 2003 ha previsto l'emanazione di provvedimenti (ordonnances) volti a disciplinare i contratti di lunga durata aventi per oggetto «la progettazione, la realizzazione, il finanziamento e la gestione a carico dell'utenza». Un primo provvedimento relativo al settore ospedaliero è stato pubblicato nel settembre 2003, mentre un altro è stato emanato per lo Stato francese e gli enti locali (si tratta dell'ordonnance del 17 giugno 2004 sui contratti di partenariato (5)).

2.3.5   In Germania

2.3.5.1

Come altri Stati membri, la Germania dispone di una normativa dettagliata in materia di aggiudicazione di appalti pubblici (appalti per opere pubbliche), che sono aperti senza discriminazioni alle imprese pubbliche, alle imprese private e ai PPP.

2.3.5.2

Va fatta una distinzione di fondo tra questa normativa e la procedura volta a garantire l'erogazione dei servizi di interesse generale. In molti casi, gli enti locali tedeschi scelgono i partenariati pubblico/privato (PPP) per l'erogazione di questo tipo di servizi di interesse economico generale, per esempio nel settore dell'approvvigionamento o dello smaltimento, vale a dire nei settori dell'energia, dell'approvvigionamento idrico e della gestione delle acque reflue,e dello smaltimento dei rifiuti, utilizzando a tal fine tutte le tipologie contrattuali possibili. Negli enti locali, oltre alle concessioni di servizi, ampiamente diffuse, si registrano contratti basati su appalti pubblici, per esempio per la fornitura di energia elettrica, e PPP istituzionalizzati. Questi PPP danno un contributo alla salvaguardia di posti di lavoro nella regione e all'economia locale.

2.3.5.3

Tali PPP si basano sulle competenze attribuite dalla costituzione ai comuni di decidere autonomamente quale tipo di servizi di interesse economico generale fornire e come organizzare tale erogazione sul loro territorio nel quadro di concessioni. Essi sono liberi di scegliere se creare imprese proprie, costituire PPP con partner idonei oppure se affidare il servizio di interesse economico generale a privati. Questi PPP non sono soggetti alla legislazione in materia di aggiudicazione di appalti.

2.4   Osservazioni sui contratti conclusi con promotori

2.4.1

Il sistema attuale affonda le sue radici nella tradizione europea delle concessioni. Esso è in pieno sviluppo in Europa, tanto da porre la questione dell'armonizzazione o meno delle normative nazionali sul tema e del loro coordinamento con il diritto comunitario.

2.4.2

La Francia e la Spagna hanno adottato il sistema del contratto con il promotore sulla scorta dell'Italia, dove la normativa in materia è molto sofisticata. In questi paesi l'ente pubblico interessato indice una gara per l'aggiudicazione del contratto sulla base del progetto preliminare presentato dal promotore (ed eventualmente modificato dall'amministrazione stessa) nonché del suo piano di finanziamento (durata proposta, tariffa richiesta, …).

2.4.3

Dopo l'espletamento di una procedura negoziata, l'amministrazione aggiudica la concessione al promotore oppure al soggetto che, nel corso della gara, ha presentato una delle due migliori offerte. Il promotore e gli offerenti devono fornire una garanzia di importo pari al 2,5 % del valore dell'investimento totale.

2.4.4

Se l'amministrazione non aggiudica il contratto al promotore, questi riceve dall'offerente aggiudicatario del contratto un importo corrispondente a quello della predetta garanzia a compensazione delle spese sostenute nonché dei diritti di proprietà intellettuale. Se, invece, il promotore si aggiudica il contratto, la garanzia del 2,5 % da lui versata è corrisposta ai due altri offerenti (per il 60 % al migliore offerente e per il restante 40 % al secondo).

2.4.5

Come nell'art. 19 della direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 31 marzo 2004, relativa al coordinamento delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi, si prevede la possibilità di riservare la partecipazione alle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici a laboratori protetti, quando la maggioranza dei lavoratori interessati sia composta di disabili, così il CESE ritiene che certe considerazioni di carattere sociale debbano giocare in favore del promotore, o di uno degli aggiudicatari del contratto, quando sia attuata questa forma di partenariato pubblico/privato.

2.5   Paesi in cui i PPP e la concessione sono poco diffusi. qui di seguito ci si limita a descrivere le situazioni registrate in un numero circoscritto di paesi

2.5.1   In Belgio

2.5.1.1

La concessione è definita negli artt. 24 e 25 della Legge 24 dicembre 1993 e negli artt. 123 segg. del Regio decreto 8 gennaio 1996 (6). Oltre all'esecuzione e all'eventuale progettazione delle opere, tali norme prevedono lo sfruttamento economico di queste da parte del concessionario. Per contro, il contratto con il promotore non sembra molto sviluppato nel diritto belga.

2.5.1.2

Il contratto con il promotore (7) è caratterizzato dall'associazione del finanziamento, della realizzazione e talora della progettazione di un'opera destinata ad essere utilizzata dall'amministrazione aggiudicatrice contro un corrispettivo costituito da un canone di locazione (8).

2.5.2   In Portogallo

2.5.2.1

Al fine di migliorare la rete stradale del paese, il governo portoghese ha utilizzato il contratto c.d. SCUT, un regime di delega che consente ad un costruttore privato di ricevere un canone pubblico. Lo SCUT è ispirato al sistema shadow toll o «pedaggio ombra», impiegato sulle strade del Regno Unito. Le gare d'appalto relative a tali contratti SCUT si sono svolte nel 1997; attualmente, essi sembrano invece essere meno utilizzati.

2.5.3   In Ungheria

2.5.3.1

Non vi è alcuna legge specifica che disciplini i progetti realizzati mediante PPP; tuttavia, i termini degli impegni finanziari assunti dallo Stato sono enunciati nel decreto n. 2098/9003 (V29).

2.5.3.2

Nel 1997 il governo ungherese ha preso l'iniziativa di varare un programma di partenariato con soggetti privati relativo allo sviluppo di parchi industriali, il cui numero ha raggiunto quota 165 all'inizio del 2004.

3.   Come definire la concessione ed il PPP?

3.1

Il diritto comunitario non è stato in grado di fornire definizioni dei PPP e delle concessioni che fossero realistiche ed utili. In tale ordinamento giuridico, infatti, le nozioni di PPP e di concessione di lavori pubblici e di servizio pubblico non esistono o, laddove esistenti, sono alquanto criticabili. In particolare, la critica delle nozioni attualmente disponibili si appunta sui seguenti elementi:

l'assimilazione delle concessioni alla nozione di appalto di lavori (punto 3.1.1),

l'assenza di una distinzione, quella tra i contratti di lunga durata e quelli a breve termine, che di fatto costituisce lo spartiacque per il finanziamento esterno all'amministrazione e dunque il fondamento economico della delega (punto 3.1.2),

la mancata considerazione delle proposte autonome di concessioni da parte del settore privato (punto 3.1.3).

3.1.1   L'assimilazione delle concessioni e dei PPP alla nozione di appalto di lavori

3.1.1.1

Le fonti della disciplina comunitaria delle concessioni sono, da un canto, i principi e le norme del Trattato e, d'altro canto, le direttive che applicano tali principi.

3.1.1.2

L'obiettivo delle direttive elaborate dall'Unione europea è quello di assicurare la trasparenza nelle procedure di aggiudicazione nell'intero settore degli appalti pubblici; talvolta il loro ambito di applicazione è confuso, quando si tratti di contratti complessi di concessione o di partenariato pubblico-privato.

3.1.1.3

Solo la direttiva 93/37/CEE (9), che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, definiva il contratto di concessione di lavori pubblici, dandone appunto una definizione all'art. l, lettera d). Si trattava però di una definizione infelice, che assumeva come riferimento i semplici contratti di appalto di lavori pubblici (10). La direttiva 92/50/CEE  (11), che coordina le procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di servizi, non forniva alcuna definizione della concessione. Infine, la direttiva 93/38/CEE  (12) non si occupava della definizione delle concessioni né del loro modo di aggiudicazione, ma disciplinava le procedure di aggiudicazione di tutti i contratti di appalto conclusi da concessionari nei settori cosiddetti speciali, sostituendosi così alle altre direttive. Il CESE deplora questo approccio sommario e irrealistico, purtroppo mantenuto nelle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE (13).

3.1.1.4

La Commissione, consapevole del crescente ricorso al PPP, ha pubblicato nell'aprile 2000 una comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni nel diritto comunitario degli appalti pubblici  (14). L'obiettivo di tale comunicazione era quello di uscire dall'ambiguità giuridica fondamentale legata all'assenza di una definizione corretta di concessioni e PPP nelle direttive sugli appalti pubblici. Occorre inoltre ricordare come attualmente i diritti nazionali disciplinino le concessioni ed i PPP in modo estremamente diversificato.

3.1.1.5

Il CESE ritiene che manchi una definizione della concessione e dei contratti di PPP o di delega che ne stabilisca con chiarezza il rispettivo contenuto e la rispettiva portata. Infatti, la concessione e, più ampiamente, la delega non si riassumono in un solo criterio — il rischio o il finanziamento — come considerato dalla direttiva 93/37/CEE e poi dalla comunicazione interpretativa, ma sono definite da tutta una serie di elementi.

3.1.1.6   Per una migliore definizione della concessione e del PPP

3.1.1.6.1

Il contratto o l'atto unilaterale con cui un'autorità pubblica conferisce determinati diritti a un organismo esterno ad essa, delegandogli il compito di concepire, realizzare, finanziare, mantenere e gestire un'infrastruttura o un servizio per un periodo lungo e determinato:

configura una concessione, se l'impresa è remunerata mediante un prezzo pagato principalmente dagli utenti,

configura un contratto di partenariato pubblico-privato, se la remunerazione è corrisposta principalmente dall'autorità pubblica.

3.1.1.6.2

Da tali definizioni è possibile ricavare due elementi propri di questi tipi di contratto:

la necessità di un trasferimento di responsabilità dall'autorità pubblica al titolare del contratto,

la nozione di globalità del contratto, il quale prevede una lunga serie di obblighi (realizzazione, finanziamento, sfruttamento economico, manutenzione, ecc.) il cui adempimento ha luogo in un lungo periodo di tempo (forchetta media da 10 a 75 anni).

3.1.1.6.3

Il CESE ritiene che non sia il caso di limitarsi, come fa invece la comunicazione interpretativa dell'aprile 2000, a ritenere che il contratto (di concessione) si riduca alla mera assunzione del rischio della gestione: una siffatta concezione di tale tipo contrattuale sarebbe infatti eccessivamente limitata e riduttiva.

3.1.2   La necessità di distinguere tra contratti di breve e di lunga durata

3.1.2.1

In merito al Libro verde pubblicato nel novembre 1996 dalla Commissione europea (15), il 28 maggio 1997 il CESE aveva adottato un parere (16) in cui chiedeva alla Commissione di rivedere il suo approccio con riguardo alla concessione, al fine di rendere la definizione di quest'ultima più autonoma nei confronti di quella del contratto di appalto di lavori: La questione delle concessioni dovrebbe essere esaminata attentamente, fermo restando che la loro attribuzione dovrebbe essere oggetto di trasparenza e criteri obiettivi. Tra una concessione e un contratto d'appalto esistono differenze sostanziali attinenti l'oggetto, la durata, le condizioni di finanziamento, le modalità di gestione ai fini della portata della responsabilità. Per favorire lo sviluppo di tali contratti, specie ai fini delle reti transeuropee, la Commissione europea potrebbe studiare un adeguato strumento giuridico concernente il loro regime di esecuzione  (17).

3.1.2.2

Il CESE ritiene necessario, avuto riguardo alla natura dei contratti e alla loro classificazione, riconoscere a ciascuno di essi la funzionalità che gli è propria.

3.1.2.3

D'altra parte, però, un contratto di concessione o di PPP non può ridursi, senza menzionarne la durata, ad un mero trasferimento del rischio inerente alla gestione, quando si tratta innanzitutto di delegare all'aggiudicatario del contratto i compiti relativi alla concezione, alla realizzazione, al finanziamento e alla gestione-manutenzione di un'opera o di un servizio.

3.1.3

Per quanto riguarda i summenzionati contratti conclusi con promotori, numerosi paesi hanno emanato una normativa specifica che riconosce la possibilità per gli operatori privati di proporre un progetto alle autorità pubbliche competenti. Tale prassi, ormai corrente in Italia, dovrebbe potersi estendere agli altri Stati membri, dove attualmente non sono previste procedure analoghe.

3.2   Applicazioni diverse del diritto comunitario producono differenze sul piano giuridico

3.2.1

Non esiste una nozione dei contratti pubblici comune ai diritti nazionali dei singoli paesi europei, cosicché uno stesso contratto sarà ritenuto un appalto in un paese e considerato una concessione in un altro. Quello stesso contratto, dunque, sarà assoggettato a due diversi regimi di aggiudicazione a seconda del paese in cui ci si trova. Il Regno Unito, meno sensibile alla classificazione dei tipi contrattuali rispetto ai paesi di tradizione giuridica latina e di diritto amministrativo, ha sempre considerato i PPP come semplici contratti di appalto pubblico, benché avrebbe potuto ritenersi che si trattasse invece di concessioni di lavori pubblici.

3.2.2

L'adozione in numerosi paesi di un'apposita disciplina dei PPP dimostra la peculiarità di tali tipi contrattuali, situati al confine tra gestione amministrativa e contratto vero e proprio: una collocazione, questa, che rende difficile ogni regolamentazione aprioristica di tali strumenti giuridici.

3.3   Il diritto comunitario può accontentarsi di classificare i contratti solo dal punto di vista del loro modo di aggiudicazione, tralasciando di considerare la delega di funzioni di servizio pubblico in senso istituzionale? Il regime di aggiudicazione del contratto di per sé riveste una tale importanza?

3.3.1

La portata delle direttive va ben oltre l'armonizzazione dei regimi di aggiudicazione dei contratti pubblici. Le definizioni adottate dalle direttive sono infatti state riprodotte integralmente in una serie di norme di diritto interno, determinando così un trapianto di nozioni contrattuali comuni negli ordinamenti giuridici di numerosi paesi d'Europa.

3.3.2

Le direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE lasciano peraltro che a stabilire il regime giuridico dei contratti nazionali siano le normative interne che ne disciplinano le modalità di esecuzione. Si pone dunque la questione dello status accordato ai privati nella gestione pubblica.

3.4   La gerarchia delle norme attribuisce particolare valore, sulla base dei principi dell'economia di mercato, alle esigenze del servizio pubblico e al rispetto della dimensione sociale

3.4.1

Il CESE ribadisce:

che, conformemente alla futura Costituzione adottata dal Consiglio, tali obiettivi comprendono lo sviluppo sostenibile dell'Europa, basato su una crescita economica equilibrata e sulla stabilità dei prezzi, un'economia sociale di mercato fortemente competitiva, che mira alla piena occupazione e al progresso sociale, e un elevato livello di tutela ambientale e il miglioramento della qualità dell'ambiente,

che i PPP, una volta istituiti, devono contribuire al raggiungimento degli obiettivi dell'Unione,

che la strategia adottata al vertice di Lisbona ha confermato il rispetto del principio di un'economia aperta di mercato, che va completata con il perseguimento di una crescita forte che tenga conto della dimensione sociale dell'Europa (istruzione, formazione, occupazione, ecc.).

3.4.2

I poteri pubblici per raggiungere questo obiettivo di economia di mercato aperta, sempre nel rispetto del principio di sussidiarietà, devono tener conto delle possibilità di concorrenza e scegliere la soluzione più idonea.

3.4.3

Ogni soluzione contrattuale con la quale si affidi una missione di gestione pubblica si fonda sull'applicazione delle norme sociali del paese interessato e sul rispetto delle prestazioni previste nel contratto. Nel caso di mancato adempimento di tali norme sociali o delle prestazioni previste, dovranno applicarsi clausole di rescissione del contratto.

4.   Proposte intese a migliorare e unificare il diritto dei PPP e delle concessioni

4.1

Per dar vita ad un quadro giuridico armonizzato a livello europeo, il CESE ritiene opportuno far accompagnare lo sviluppo di questi contratti da una o più comunicazioni interpretative, che tengano conto della diversità e della complessità del fenomeno e ne seguano l'evolversi nel tempo, anziché procedere immediatamente all'adozione di una direttiva, che potrebbe rapidamente rivelarsi inadeguata e obsoleta.

4.2

D'altra parte, il CESE invita la Commissione ad adottare un approccio globale nel trattare il tema dei PPP e, nel quadro delle sue comunicazioni, a compilare (previa indagine presso gli Stati membri) un elenco di criteri che i poteri pubblici potrebbero prendere in considerazione per gli aspetti sociali ed ambientali. Così, i poteri pubblici, completando la legislazione esistente con tali criteri, potrebbero farne delle condizioni di esecuzione dei contratti.

4.3

Il CESE considera il PPP:

uno strumento economico dinamico e flessibile, in grado di fungere da catalizzatore per la presa in considerazione di determinati obiettivi economici, sociali ed ambientali come lo sviluppo sostenibile, l'occupazione e l'integrazione sociale,

uno strumento in grado di determinare un miglioramento reciproco delle culture dei partner pubblici e privati.

4.4

La direttiva 2004/18/CE disciplina numerosi aspetti di particolare rilievo riguardanti l'aggiudicazione dei contratti pubblici che possono applicarsi ai PPP ed alle concessioni: i criteri di selezione, la procedura di dialogo competitivo e la riservatezza delle offerte. Il Comitato ritiene utile precisare i seguenti punti:

4.4.1   Mantenimento di un approccio aperto in materia di concessioni

4.4.1.1

L'approccio aperto della redazione della direttiva 2004/18/CE deve tanto più essere mantenuto in quanto non tutti gli Stati membri ricorrono alle procedure di concessione.

4.4.2   Una definizione giuridica armonizzata delle concessioni e dei PPP in Europa

4.4.2.1

È necessario procedere a unificare la definizione di questi due tipi contrattuali negli Stati membri. Quella proposta dianzi dal CESE (vedi sopra, al punto 3.1.1.6) può consentire di precisare il particolare statuto di questi contratti, che si colloca in posizione intermedia tra il mercato e la pubblica amministrazione.

4.4.3   Rispetto dell'innovazione

4.4.3.1

La disciplina comunitaria relativa alle concessioni di lavori pubblici non pone a carico del concedente l'obbligo di precisare, nella proposta contrattuale relativa a tali concessioni, se si accettano varianti innovative.

4.4.3.2

Il CESE ritiene opportuno che, nella fase delle consultazioni per l'affidamento di contratti di questo tipo, siano ammesse varianti di qualsiasi natura, favorendo così l'innovazione.

4.4.3.3

La risposta di un candidato interpellato per una concessione può infatti rivestire carattere originale e comportare delle innovazioni rilevanti ed essenziali per tutti gli aspetti tecnici, finanziari o commerciali, le quali possono essere utilizzate per migliorare, sotto il profilo sociale ed economico, le condizioni di vita e di lavoro dei consumatori e dei lavoratori interessati.

4.4.3.4

Incentivare i candidati ad accettare, nella fase di consultazione, un costoso investimento intellettuale che renda possibili tali innovazioni significa agire nello spirito della strategia di Lisbona. Occorre inoltre evitare che la proprietà intellettuale delle idee originali di un candidato possa essere messa a disposizione di altri concorrenti, e ciò per una questione di etica e di incentivo all'innovazione. Ciò sarà possibile grazie al recepimento della nuova procedura, ossia il cosiddetto «dialogo competitivo» in materia di PPP, nelle legislazioni degli Stati membri.

4.4.4   Procedura negoziata

4.4.4.1

Una proposta di contratto di concessione deve rispondere all'obiettivo di servizio che deve essere definito dal concedente, ma il concessionario deve godere di tutte le libertà nel modo di raggiungere tale obiettivo: concezione dell'opera, fasi dei lavori, assunzione dei rischi tecnici, ecc. Il CESE auspica che, dopo la presentazione delle proposte da parte di uno o più candidati, si instauri un dialogo tra il concedente e i concessionari potenziali al fine di mettere a punto definitivamente il contratto di concessione o di PPP in funzione delle soluzioni proposte rispetto alle esigenze dell'amministrazione. La vecchia direttiva 93/37/CEE riservava l'ipotesi della procedura negoziata a casi eccezionali. D'ora in avanti, invece, con la procedura di dialogo competitivo, si è adottato il principio della trattativa per i contratti particolarmente complessi.

4.4.4.2

Una disciplina appropriata della procedura di dialogo competitivo adottata dovrebbe dunque:

indicare con sufficiente chiarezza che i presupposti del ricorso a tale procedura (difficoltà per l'organismo aggiudicatore di valutare le soluzioni proposte dal privato oppure di stabilire con precisione la natura delle proprie esigenze o le operazioni finanziarie richieste) devono intendersi in senso molto ampio ed elastico,

stabilire che ogni impresa può fare la sua proposta, essendo garantita la proprietà intellettuale di ciascun concorrente.

4.4.4.3

Infine, occorre ricordare come il contratto concluso tra l'autorità pubblica concedente e l'aggiudicatario della concessione debba determinare con esattezza le responsabilità di ciascuna delle parti, sulla scorta di quanto previsto dalla normativa interna dei paesi interessati.

4.4.5   Enunciazione di principi di massima

4.4.5.1

In particolare, la realizzazione — di cui si è già avuto occasione di sottolineare l'importanza — di un quadro giuridico ben appropriato alle concessioni ed ai PPP deve in concreto tradursi nell'enunciazione di principi che regolino l'esecuzione dei relativi contratti.

4.4.5.2

La possibilità di concludere contratti di partenariato dipende sostanzialmente dalla possibilità di stabilire un regolamento contrattuale che assicuri un assetto degli interessi equilibrato ed il suo mantenimento nel tempo.

4.4.5.3

Il CESE raccomanda che, in una comunicazione interpretativa, la Commissione promuova un'equa ripartizione dei rischi tra concedente e concessionario, lasciando a ciascuno Stato la scelta di determinarne i mezzi, che possono evolversi nel tempo. A tal fine, tra i principi da enunciarsi in tale comunicazione dovrebbero figurare una serie di idee guida:

i rischi di una concessione di infrastrutture o di un PPP devono essere identificati, quantificati e chiaramente addossati alla parte che è meglio in grado di assumerli,

la conclusione preliminare fra il concedente e il concessionario di accordi contrattuali sulla ripartizione dei rischi in caso di rischi eccezionali, per esempio eventi imponderabili che facciano aumentare il costo del contratto (modifica inattesa dei vincoli pubblici, requisiti tecnici, non prevedibili in anticipo, all'atto della realizzazione delle opere, modifiche repentine dei comportamenti dei consumatori, ecc.),

la necessità che il concessionario garantisca al concedente un'indennità in caso di mancato rispetto delle clausole del contratto,

la garanzia per il concessionario che effettuerà il finanziamento che, come avviene in tutti i contratti di diritto privato, le modifiche di carattere giuridico e fiscale introdotte dal legislatore non incideranno sui contratti già in vigore,

la necessità di prevedere l'immediata corresponsione di un'indennità in favore dell'aggiudicatario del contratto, nel caso in cui sopravvenga una modifica del contratto stesso in esito al manifestarsi di una nuova esigenza del concedente, senza che si abbia una modifica delle condizioni iniziali del contratto,

la garanzia per il concessionario di beneficiare di una flessibilità sufficiente per assolvere il compito che gli è stato delegato dal concedente, al quale è riservato l'insieme delle questioni di sovranità o di ordine pubblico.

4.4.5.4

L'istituzione del sistema delle concessioni, come forma di collaborazione efficace tra, da una parte, la gestione e i finanziamenti privati e, dall'altra, gli investimenti pubblici nella prestazione di servizi di interesse generale esige, per aver successo, un adeguato quadro giuridico e contabile che si adatti alla struttura particolare del contratto di concessione. L'elevato livello di investimenti e di costi che le imprese private dovranno sostenere nei primi anni per realizzare le infrastrutture e dare inizio alla prestazione del servizio, debbono poter essere ripartiti contabilmente su tutta la durata della concessione. Il progetto di armonizzazione contabile a livello europeo, nei termini in cui è impostato, rende impraticabile l'iter della concessione. L'esperienza spagnola in materia di contabilità, con il trattamento che viene attualmente applicato alle nuove concessioni, potrebbe rappresentare un esempio da prendere in considerazione se si vuole ricorrere a forme di collaborazione pubblico/privato in progetti di realizzazione di opere e/o di fornitura di servizi su scala comunitaria.

5.   Chiarire bene le regole della concorrenza tra enti pubblici o parapubblici e soggetti privati

5.1

Ad aggiudicarsi direttamente concessioni oppure diritti speciali ed esclusivi sono spesso società miste, le quali in alcuni casi possono, grazie alla semplice modifica dei loro statuti, estendere la propria sfera di attività al di là dall'oggetto sociale originario. Ne consegue che la concorrenza, quando c'è, risulta talora distorta. In tali casi, esse devono tenere una contabilità separata affinché sia possibile verificare che non effettuino sovvenzioni incrociate che falserebbero la concorrenza.

5.2   Per chiarire tali regole, il CESE suggerisce di procedere come segue

5.2.1

Prima di costituire un organismo misto, l'autorità competente deve tener conto delle possibilità di concorrenza del mercato e decidere quale sia la soluzione più appropriata.

5.2.2

Nell'interesse della trasparenza e dell'efficacia le procedure di costituzione di enti misti devono essere annunciate in anticipo rispetto ai bandi di gara e invitare chiaramente i concorrenti privati a partecipare eventualmente alla creazione di società parapubbliche. In ultima analisi quando un potere pubblico concede una nuova prestazione a un ente misto locale deve rispettare le seguenti condizioni:

obbligare tale ente misto, quando esso operi al di fuori del suo territorio di competenza, a tenere una contabilità separata affinché sia possibile verificare che non effettui sovvenzioni incrociate che falserebbero la concorrenza,

rispettare le procedure comunitarie, comprese quelle legate agli aiuti di Stato,

garantire condizioni di concorrenza leale rispetto al settore privato (trattamento fiscale e costi di gestione dell'impresa mista).

6.   Conclusioni

Il Comitato constata come in numerosi Stati stia emergendo un diritto specifico in materia di PPP e, alla luce delle esperienze attualmente in corso, ritiene opportuno:

consentire che i PPP si evolvano sotto varie forme ancora per un certo numero di anni,

far sì che gli Stati membri forniscano sistematicamente informazioni sulle diverse tipologie di PPP e sulle relative difficoltà riscontrate (vantaggi e inconvenienti rispetto alle forme contrattuali tradizionali),

istituire un osservatorio sull'evoluzione dei PPP composto da rappresentanti degli Stati membri, della Commissione e della società civile, ivi compreso il CESE (onde procedere a una valutazione di tali esperienze sulla base di vari criteri, quali i costi, l'accesso alle prestazioni, i riflessi sull'occupazione, la competitività, l'impatto ambientale, ecc.),

sottolineare come le soglie comunitarie in tema di appalti di lavori e servizi debbano applicarsi ai PPP e alle concessioni; al di sotto di tali soglie, onde evitare un inutile sovraccarico di lavoro amministrativo, ogni Stato membro applicherà le proprie regole,

pubblicare entro il 2007 una comunicazione interpretativa che chiarisca:

la definizione delle concessioni e di PPP,

la posizione degli enti misti o parapubblici rispetto alle regole di concorrenza,

la procedura da osservarsi nella fase di dialogo competitivo e quella da seguire per adempiere agli obblighi di pubblicità,

la procedura volta alla conclusione di contratti con un «promotore» in modo da favorire l'innovazione,

la pertinenza degli aiuti di Stato per gli enti misti o parapubblici.

Bruxelles, 27 ottobre 2004.

La presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  GU C 14 del 16.1.2001.

(2)  GU L 134 del 30.4.2004.

(3)  Legge quadro (L 109/94) (GURI 41 del 9.2.1994) modificata dalla Legge del 2 giugno 1995 n. 216 (GURI 127 del 2.6.1995).

(4)  La costruzione dell'edificio sede del ministero delle Finanze a Bercy (Parigi) è stata in parte realizzata con tale modalità di finanziamento.

(5)  Ordonnance sui contratti di partenariato n. 2004/559, pubblicata sulla GURF del 19.6.2004.

(6)  Legge 24 dicembre 1993 - appalti - Moniteur Belge del 22 gennaio 1994. Regi decreti dell'8 e del 10 gennaio 1996 - Moniteur Belge del 26 gennaio 1996 Regio decreto relativo agli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi ed alle concessioni di LL.PP.

(7)  Idem.

(8)  Legge 24 dicembre 1993 (art. 9) - Regio decreto 8 gennaio 1996 (art. 21) - Regio decreto 26 settembre 1999. Maurice-André Flamme, «La Legge 24 dicembre 1993», in «Journal des Tribunaux, 1994». Disciplina dell'edilizia.

(9)  GU L 199 del 9.8.1993.

(10)  La «concessione di lavori pubblici» è un contratto che presenta le stesse caratteristiche di cui alla lettera a), ad eccezione del fatto che la controprestazione dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l'opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo.

(11)  GU L 209 del 24.7.1992.

(12)  GU L 199 del 9.8.1993.

(13)  GU L 134 del 30.4.2004.

(14)  GU C 121 del 29.4.2000.

(15)  COM(96) 583 def.

(16)  GU C 287 del 22.9.1997.

(17)  Alcuni altri punti del parere meritano di essere citati:

 

«In numerosi paesi si praticano metodi di finanziamento privato delle opere pubbliche. Si tratta di contratti a lunga durata che comportano un contributo finanziario di privati, cosa che li distingue totalmente dagli appalti pubblici».

 

«Il CES auspica che il settore delle concessioni sia disciplinato da un regime specifico, specie per quanto concerne le reti transeuropee».

 

«Il CES propone che la Commissione europea favorisca la promozione dei nuovi metodi contrattuali basati sul finanziamento privato delle pubbliche infrastrutture».


20.5.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/111


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che modifica la direttiva 92/12/CEE relativa al regime generale, alla detenzione, alla circolazione ed ai controlli dei prodotti soggetti ad accisa

(COM(2004) 227 def. — 2004/0072 (CNS))

(2005/C 120/19)

Il Consiglio, in data 24 maggio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Unione economica e monetaria, coesione economica e sociale, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 7 ottobre 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore WILKINSON.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 27 ottobre 2004, nel corso della 412a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 84 voti favorevoli, 11 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Prima dell'instaurazione del mercato interno, le diversità storiche e culturali fra gli Stati membri davano luogo a notevoli differenze tra i sistemi e le aliquote fiscali relativi ai prodotti soggetti ad accisa. Con la direttiva 92/12/CEE si è deciso di armonizzare il regime generale di tali prodotti (1), nonché le disposizioni concernenti la detenzione, la circolazione ed i controlli di questi ultimi (2).

1.2

L'articolo 27 di tale direttiva disponeva che, anteriormente al 1o gennaio 1997, il Consiglio riesaminasse gli articoli 7, 8, 9 e 10 e adottasse, se del caso, le modifiche necessarie (3). Questa scadenza, tuttavia, si è rivelata troppo ravvicinata per fornire valide indicazioni sulle difficoltà riscontrate, e che tuttora si riscontrano, nell'applicazione di tali articoli.

1.3

Dopo l'entrata in vigore della direttiva, l'interesse al trasferimento di prodotti soggetti ad accisa sui quali quest'ultima sia già stata riscossa (disciplinati dagli articoli 7-10 della direttiva) è cresciuto in misura considerevole. Ciò ha condotto, in seguito alle richieste degli operatori del settore, all'introduzione di procedure semplificate in alcuni Stati membri. Inoltre, vi sono state numerose proteste da parte dei cittadini sul modo in cui gli articoli in questione sono stati applicati.

1.4

La Commissione ritiene che la comprensione dei problemi posti dai vari tipi di trasferimento in questione (4) sia ormai sufficiente a consentirle di proporre le necessarie modifiche a quella direttiva.

2.   Osservazioni generali

2.1

In relazione ai prodotti soggetti ad accisa, il funzionamento del mercato interno è divenuto, nei suoi dettagli, estremamente complesso, con il risultato di rendere incerte le modalità di applicazione dei regolamenti in alcune ipotesi, ed ha imposto notevoli oneri amministrativi alle imprese interessate. Le proposte della Commissione riguardano le transazioni commerciali, le vendite a privati e le vendite a distanza, ed hanno lo scopo di chiarire, semplificare e armonizzare le disposizioni vigenti in tema di circolazione intracomunitaria, quando l'accisa sui relativi prodotti sia già stata versata in uno Stato membro, e di liberalizzare tali movimenti affinché i consumatori dell'UE possano trarre ulteriori benefici dal mercato interno. Il Comitato apprezza entrambi tali obiettivi.

2.2

L'entità del gettito che gli Stati membri ricavano dalle accise (5) e le differenze tra le modalità di attuazione dei regolamenti negli Stati membri hanno reso difficile per la Commissione raggiungere accordi con questi ultimi. Il Comitato osserva che i 10 «nuovi» Stati membri non sono stati coinvolti nelle consultazioni con la Commissione che hanno condotto quest'ultima alla formulazione delle proposte. Il Comitato è consapevole dell'esigenza degli Stati membri di ricorrere alle accise per realizzare una parte delle loro entrate tributarie, ma dubita che le proposte in esame cambieranno le abitudini dei consumatori fino al punto di incidere in misura rilevante sull'entità complessiva del gettito fiscale.

2.3

I prezzi al consumo dei prodotti soggetti ad accisa sono spesso notevolmente influenzati dall'aliquota fiscale che viene loro applicata. Ciò vale in particolare per i tabacchi lavorati e per le bevande alcoliche (6). Dopo l'instaurazione del mercato unico vi è stata una riduzione nelle differenze tra le aliquote delle accise applicate negli Stati membri; tuttavia, fintantoché non si procederà quantomeno a un'armonizzazione significativa delle aliquote applicate, in questo settore vi sarà ancora motivo di cercare di ottenere prezzi migliori e la criminalità organizzata continuerà quindi a svolgere attività in questo campo.

2.4

I cittadini dell'UE intendono trarre beneficio dal mercato unico in ogni modo possibile, ma il diritto di acquistare qualsiasi prodotto al prezzo locale, ovunque essi vogliano nell'Unione europea, costituisce per loro un vantaggio importante. Negare ai cittadini tale diritto non giova certamente all'immagine che essi hanno dell'UE.

2.5

Come osservato dalla Commissione, il tipo di trasferimento in regime di« accisa assolta» di cui agli articoli in questione ha interessato soprattutto i privati o gli operatori di piccole dimensioni, che non dispongono di notevoli risorse finanziarie o infrastrutture commerciali. È dunque importante che tutte le misure concordate siano chiare, di facile comprensione e, nella misura del possibile, di facile applicazione. Esse devono inoltre essere realistiche e deve essere possibile farle rispettare.

2.6

In un vero mercato interno, anche le disposizioni concernenti i tabacchi dovrebbero essere liberalizzate. Il Comitato, tuttavia, riconosce che, nel decidere quali prodotti debbano essere inclusi nell'ambito di applicazione della direttiva modificata, gli Stati membri dovranno considerare attentamente tutte le implicazioni di tale scelta, il che potrebbe indurli ad escluderne alcuni prodotti.

2.7

Il Comitato osserva altresì come gli oli minerali siano di rado trasferiti per scopi diversi da quelli commerciali. È chiaro, quindi, che le proposte, nella loro formulazione attuale, incideranno soprattutto sulla circolazione delle bevande alcoliche.

2.8

Il Comitato manifesta vivo apprezzamento per il fatto che molte delle proposte si basino sui consigli e le richieste delle associazioni di categoria attive nel settore e tengano inoltre in considerazione i loro possibili effetti sulle imprese di minori dimensioni.

3.   Osservazioni specifiche

3.1

L'articolo 7 concerne in sostanza i soggetti tenuti in diverse ipotesi al pagamento dell'accisa, le relative formalità amministrative, le vendite a passeggeri effettuate a bordo di un aereo o di una nave durante un viaggio intracomunitario, ed il trattamento delle perdite di prodotti già immessi in consumo occorse durante il trasporto intracomunitario di questi.

3.1.1

Il Comitato apprezza il contributo che le proposte della Commissione daranno alla chiarificazione e all'armonizzazione della normativa in esame. Inoltre, esso apprezza molto il fatto che la Commissione riconosca la necessità di ridurre l'ingente mole di lavoro amministrativo necessario a conformarsi pienamente alle norme oggi in vigore. Il Comitato sostiene l'invito rivolto dalla Commissione agli Stati membri a consentire l'introduzione di procedure semplificate mediante semplici accordi amministrativi bilaterali tra Stati membri.

3.2

L'articolo 8 concerne i prodotti acquistati dai privati per proprio uso. La questione più delicata riguarda qui il requisito che tali prodotti siano trasportati personalmente dalle medesime persone che li hanno acquistati.

3.2.1

Il Comitato apprezza la proposta della Commissione di liberalizzare il sistema attualmente applicato agli acquisti a distanza da parte di privati, così da abolire il requisito per cui i prodotti devono essere trasportati personalmente dalla persona che li ha acquistati.

3.2.2

Il Comitato è consapevole del fatto che la nuova proposta, in base alla quale il privato è tenuto a organizzare personalmente la consegna dei prodotti in un altro Stato membro (senza che i relativi accordi siano conclusi dal venditore), è coerente con la regola generale attualmente vigente in tema di IVA sugli acquisti a distanza. Tuttavia, è difficile immaginare come potrebbe essere assicurata l'osservanza della disposizione proposta. È possibile supporre, ad esempio, che i venditori possano indicare un loro rappresentante sul posto, il quale organizzi il trasporto, rispettando così il requisito legale per cui ad organizzarlo non deve essere il venditore; il risultato pratico, tuttavia, sarebbe il medesimo. Occorre perciò indicare espressamente che questo genere di accordi non sarebbe contrario alle norme della direttiva modificata.

3.3

Il Comitato apprezza la proposta volta ad abolire i «livelli indicativi» (7) come possibile indice dell'uso privato o commerciale dei prodotti. Tali livelli sono generalmente percepiti dal pubblico come meri limiti quantitativi, e in alcuni Stati membri essi sono stati troppo spesso interpretati in maniera molto restrittiva. Il Comitato riconosce che l'abolizione di detti limiti potrebbe rendere più difficile la lotta alle attività di contrabbando, ma i limiti stessi non sono mai stati intesi come qualcosa di più di un indice dello scopo commerciale, piuttosto che personale, di un movimento di prodotti, né essi costituiscono di per sé soli una prova sufficiente sul piano legale.

3.3.1

Tuttavia, il Comitato ritiene che non sarebbe inopportuno applicare qualche genere di restrizione quantitativa alle vendite a distanza (ad es. quando i prodotti acquistati dai privati non siano trasportati dai medesimi).

3.4

Con riguardo all'articolo 9, è estremamente improbabile che le proposte riguardanti il trasporto per uso personale degli oli minerali possano dar luogo a seri problemi.

3.5

Con riguardo all'articolo 10, il Comitato apprezza il chiarimento che la Commissione propone di apportare in ordine al luogo in cui è esigibile l'accisa.

4.   Sommario

4.1

Il Comitato apprezza le proposte presentate dalla Commissione in un ambito complesso e delicato come quello in questione.

4.2

Le proposte avanzate sono realistiche; i chiarimenti e le semplificazioni sono molto apprezzati, l'armonizzazione è necessaria e la liberalizzazione sarà accolta con favore dai cittadini dell'UE poiché consentirà loro di trarre ulteriori benefici dal mercato unico.

Bruxelles, 27 ottobre 2004.

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Ossia i tabacchi lavorati, gli oli minerali e le bevande alcoliche.

(2)  In linea di principio, la circolazione all'interno dell'UE dei prodotti soggetti ad accisa, accompagnati dalla documentazione prescritta, ha luogo in regime «sospensivo» tra «depositi fiscali» situati negli Stati membri. L'accisa è dovuta negli Stati membri in cui i prodotti sono immessi in consumo.

(3)  I prodotti soggetti ad accisa già immessi in consumo in uno Stato membro, con riguardo ai quali, dunque, l'accisa è stata riscossa in quello Stato membro, possono anche essere trasferiti all'interno dell'UE. Siffatti trasferimenti sono disciplinati dagli articoli 7-10.

(4)  Le ipotesi di trasferimento sono le seguenti: prodotti trasferiti tra Stati membri a scopo commerciale (non, però, ai fini di «vendite a distanza»), definito come qualsiasi scopo diverso da quello di uso personale da parte di privati, i prodotti acquistati direttamente dai privati per proprio uso, e vendite a distanza.

(5)  Il valore complessivo di tale gettito per gli Stati membri dell'UE (allora composta da 15 Stati) nel 2001 è stato di oltre 8,8 miliardi di euro; nello stesso anno, nell'UE la percentuale media del gettito delle accise sul PIL è stata del 2,72 %.

(6)  I prezzi al dettaglio dei tabacchi lavorati sono, nello Stato membro con la tassazione più elevata, circa 3,7 volte superiori di quelli praticati nello Stato membro con più bassa imposizione fiscale. Tra lo Stato membro con più elevata imposizione e quello con la più bassa, le aliquote delle accise sulle bevande alcoliche variano di 15,9 volte per la birra e i cosiddetti «prodotti intermedi» e di 9,2 volte per i superalcolici. Un tale raffronto non è possibile con riguardo ai prodotti vinicoli, in quanto il vino non è soggetto ad accisa in 12 dei 25 Stati membri, mentre in 2 altri Stati membri è applicata un'imposta minima di 2 centesimi di euro a bottiglia.

(7)  I limiti indicativi sono attualmente i seguenti: 800 sigarette, 10 litri di superalcolici, 90 litri di vino e 110 litri di birra.


20.5.2005   

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C 120/114


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che adegua la direttiva 77/388/CEE in seguito all'adesione della Repubblica ceca, dell'Estonia, di Cipro, della Lettonia, della Lituania, dell'Ungheria, di Malta, della Polonia, della Slovenia e della Slovacchia

COM(2004) 295 def.

(2005/C 120/20)

Il Consiglio, in data 30 giugno 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, in data 28 ottobre 2004, nel corso della 412a sessione plenaria, ha nominato PEZZINI relatore generale e ha adottato il seguente parere senza voti contrari, 121 voti favorevoli e 3 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Il Consiglio europeo di Vienna dell'11 e 12 dicembre 1998, nell'ambito della «Strategia di Vienna per l'Europa», ha espresso il principio di consentire, agli Stati membri che lo avessero desiderato, di sperimentare gli effetti, in termini di nuovi posti di lavoro e di lotta contro l'economia sommersa, di uno sgravio dell'IVA, mirato a servizi ad alta intensità di lavoro. (1)

1.2

Il Consiglio, dando seguito alla raccomandazione, ha adottato, il 22 ottobre 1999 una direttiva ad hoc (1999/85/CE) con la validità di 4 anni: 2000-2003. Nove Stati membri: Belgio, Grecia, Spagna, Francia, Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Portogallo, Regno Unito, hanno usufruito di tale possibilità.

1.3

Il 23 luglio 2003 la Commissione, facendo seguito ai rapporti di valutazione sull'impatto delle misure, ha presentato una proposta di direttiva nella quale si procedeva alla semplificazione e alla razionalizzazione delle aliquote IVA ridotte (2). In seguito a numerose divergenze il Consiglio non ha potuto ancora adottare tale proposta di direttiva. In tale settore, per l'adozione, purtroppo, è necessaria ancora l'unanimità.

1.4

Di conseguenza, visto il rischio di insicurezza giuridica per gli Stati membri che applicavano le aliquote ridotte, la Commissione ha proposto, d'intesa con il Consiglio, una proroga del termine di validità della direttiva 1999/85/CE, portandola al 31 dicembre 2005.

2.   Osservazioni generali

2.1

Il CESE ha già preso, più volte, posizione a favore del principio di poter applicare aliquote IVA ridotte, per i servizi ad alta intensità di lavoro (3).

2.2

Nei propri pareri il CESE ha espresso giudizi e apprezzamenti favorevoli circa l'impatto delle misure in questione, a favore della creazione di nuovi posti di lavoro e contro il lavoro sommerso.

2.3

Il CESE ha formulato, inoltre, molti suggerimenti, volti ad ampliare le riduzioni dell'aliquota IVA a nuovi settori: servizi di ristorazione; restauro degli edifici storici, religiosi, e di edifici appartenenti al patrimonio culturale e architettonico privato.

2.4

Il CESE appoggia, dunque, il principio di consentire, fino al 31 dicembre 2005, ai nuovi Stati membri che faranno richiesta, in base alla direttiva 1999/85/CE, di applicare l'aliquota IVA ridotta ai servizi ad alta intensità di lavoro.

2.5

Il CESE si rammarica, tuttavia, che il Consiglio non abbia saputo trovare un accordo sulla proposta di direttiva della Commissione europea, volta a semplificare e a razionalizzare l'intero sistema.

2.6

Più volte il CESE ha espresso la propria convinzione che l'unanimità, in molti aspetti della materia fiscale, rappresenta un ostacolo effettivo ai progressi dell'Unione.

Bruxelles, 28 ottobre 2004.

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  In quei tempi la disoccupazione nell'UE era attorno al 10 %. Il Consiglio europeo straordinario di Lussemburgo (1997) aveva incentrato i suoi lavori contro la disoccupazione. Gli studi dell'Accademia europea di Avignone, sul lavoro sommerso, avevano evidenziato che nell'UE vi erano punte del 28 %. Confronta anche il parere CESE sul lavoro sommerso (GU C 101 del 12.4.1999, pag. 30.

(2)  COM(2003) 397 def. del 23.7.2003.

(3)  GU C 209 del 22.7.1999.

GU C 32 del 5.2.2004.


20.5.2005   

IT

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C 120/115


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente l'efficienza degli usi finali dell'energia e i servizi energetici

COM(2003) 739 def. — 2003/0300 (COD)

(2005/C 120/21)

Il Consiglio, in data 23 gennaio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 175, paragrafo 1, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori in materia, ha formulato il proprio parere il 5 ottobre 2004, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SIRKEINEN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 28 ottobre 2004, nel corso della 412a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 117 voti favorevoli, 10 voti contrari e 14 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Negli ultimi anni la politica energetica dell'UE ha seguito tre linee principali:

creare mercati aperti efficaci per l'elettricità e il gas,

garantire un approvvigionamento energetico sicuro e

conformarsi a rigidi obiettivi ambientali, contrastando in particolare il cambiamento climatico.

Tra i principali provvedimenti in questo campo rientrano le direttive rivedute sul mercato dell'elettricità e del gas, che a partire dalla metà del 2004 aprono i mercati per le utenze non domestiche e dal 2007 per tutti i consumatori. Inoltre, nel 2001 è stato pubblicato un Libro verde sulla sicurezza dell'approvvigionamento, nel quale si ribadisce l'importanza di intervenire sulla domanda sia al fine di garantire l'approvvigionamento stesso che per contrastare il cambiamento climatico.

1.2

Un approvvigionamento energetico affidabile e a costi ragionevoli è una premessa importante della crescita economica e del benessere dei cittadini europei. Pertanto il Comitato ha sostenuto nei suoi pareri gli obiettivi e l'approccio della Commissione.

1.3

La proposta di direttiva concernente l'efficienza degli usi finali e i servizi energetici è stata presentata dalla Commissione nel quadro di un pacchetto di proposte relative all'infrastruttura energetica e alla sicurezza dell'approvvigionamento. La Commissione sottolinea che in questo contesto non si può trascurare la questione dell'equilibrio tra domanda e offerta. La crescente pressione sulle reti è dovuta anche all'aumento della domanda, aumento che può essere in parte arginato con misure di gestione della domanda.

1.4

È noto da tempo che un elemento importante del mercato energetico è l'efficienza degli usi finali, ossia la conservazione dell'energia. Contenere l'uso di energia non solo significa risparmiare, ma contribuisce anche direttamente alla sicurezza dell'approvvigionamento e spesso anche alla riduzione dei gas a effetto serra, limitando l'esigenza di generazione e di investimenti in nuove capacità di produzione, trasmissione e distribuzione.

1.5

Il potenziale insito nel miglioramento dell'efficienza energetica è notevole. Secondo studi citati dalla Commissione, nell'UE si potrebbero ridurre i consumi finali di almeno il 20 % senza alcuna rinuncia in termini di comfort e senza costi aggiuntivi. Per l'elettricità il risparmio potenziale legato all'efficienza è in generale inferiore a questa cifra complessiva, mentre per altre forme di energia esso è maggiore.

1.6

In una comunicazione che accompagna il pacchetto energia, la Commissione asserisce che la futura crescita della domanda di elettricità sarà tenuta sotto controllo attraverso misure di gestione della domanda. Ciò non toglie che si renderanno necessari nuovi investimenti, non fosse altro che per rinnovare gli impianti ormai obsoleti. Secondo la Commissione, tali investimenti andranno destinati in gran parte alle fonti rinnovabili e a impianti di generazione combinata di energia e calore su scala ridotta collegati alla rete di distribuzione.

1.6.1

Il Comitato non può essere d'accordo con questa descrizione delle evoluzioni e delle esigenze future nel settore dell'elettricità. Da una comunicazione sulla sicurezza dell'approvvigionamento ci si sarebbero aspettate informazioni ben più chiare e realistiche sulle tendenze e sulle potenzialità future, specie quando esistono dati e scenari molto meglio quantificati, prodotti in parte dalla stessa Commissione. Astenersi dal fornire informazioni di base chiare e realistiche, fossero pure impopolari per molti, non giova a nessuno.

1.6.2

Un calcolo molto approssimativo può dare un'idea dell'entità del problema e delle possibili soluzioni. La domanda di elettricità nell'UE cresce attualmente al ritmo dell'1-2 % l'anno. L'obiettivo comunitario di aumento della generazione di elettricità grazie a fonti rinnovabili è inferiore all'1 % annuo, per cui le misure di efficienza dovrebbero produrre un taglio della crescita annua pari all'1 %. Le fonti rinnovabili e l'efficienza energetica potrebbero così compensare la crescita della domanda e in più sostituire eventualmente la capacità esistente in misura ben minore dell'1 % all'anno. Le centrali elettriche hanno una vita di 30-50 anni, il che comporta in linea teorica la necessità di sostituirle a un ritmo medio del 3 % annuo. L'Agenzia internazionale dell'energia (AIE) menziona un fabbisogno di nuove centrali nell'UE pari a 200 000 MW per i prossimi 20 anni.

2.   La proposta della Commissione

2.1

L'obiettivo della proposta della Commissione è realizzare, grazie a una maggiore efficienza energetica, risparmi cumulativi pari all'1 % annuo dell'energia consumata in ciascuno Stato membro. Questo 1 % di risparmio è riferito al consumo energetico annuo medio dei cinque anni precedenti nello Stato membro in questione. In tal modo nel 2012 il risparmio ammonterebbe a circa il 6 %. In base alle disposizioni della direttiva, gli Stati membri sarebbero tenuti a verificare e a comunicare la quantità di energia risparmiata ogni anno fino al 2012. Il consumo energetico nello Stato membro potrà ancora crescere, ma meno di quanto sarebbe cresciuto senza le misure in questione.

2.2

La proposta di direttiva favorisce l'adozione di misure di efficienza energetica e mira a promuovere il mercato dei servizi energetici, quali l'illuminazione, il riscaldamento, l'acqua calda per uso domestico, la ventilazione, ecc. Gli Stati membri dovranno rispettare due obiettivi di risparmio energetico e garantire che i fornitori di energia offrano servizi energetici per il periodo 2006-2012.

2.3

L'obiettivo annuo di un risparmio energetico dell'1 % nell'uso finale è riferito alla quantità media di energia distribuita o venduta ai clienti finali negli ultimi cinque anni. Tali risparmi dovranno essere registrati nelle famiglie, nell'agricoltura, nel settore pubblico e in quello commerciale, nei trasporti e nell'industria. I trasporti aerei e marittimi sono esclusi per ragioni connesse alla misurazione. Sono escluse anche le industrie ad alta intensità energetica, le quali formano già oggetto delle direttive sullo scambio di emissioni e sulla prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento. Saranno considerati tutti i tipi di energia: elettricità e gas naturale, teleriscaldamento e teleraffreddamento, combustibili per riscaldamento, carbone e lignite, prodotti forestali e agricoli e carburanti per autotrazione.

2.4

Per il settore pubblico dei vari Stati membri è previsto un obiettivo di risparmio energetico a parte, pari ad almeno l'1,5 %, da raggiungere in particolare tenendo conto dell'efficienza energetica nell'assegnazione degli appalti pubblici. Anche questi risparmi contribuiranno all'obiettivo generale dell'1 % annuo.

2.5

Per la vendita di servizi energetici è previsto un obbligo a carico del lato dell'offerta, in base al quale i distributori e/o i fornitori al dettaglio di energia dovranno integrare i servizi energetici nella distribuzione e nella vendita di energia giungendo a coprire almeno il 5 % della loro clientela. In alternativa verrebbero offerte gratuitamente diagnosi energetiche.

2.6

Il metodo di calcolo previsto dalla proposta consente di tenere conto delle misure adottate in precedenza. Gli Stati membri potranno misurare e verificare la persistenza dell'impatto dei servizi energetici preesistenti e delle misure di efficienza introdotte dopo il 1991. Si potrà inoltre tenere conto delle tasse sull'energia e delle campagne di informazione volte a promuovere il risparmio, a condizione che il relativo impatto sia verificabile e misurabile.

2.7

Gli Stati membri decideranno quali settori coinvolgere e in quale misura ciascuno di essi dovrà contribuire al raggiungimento dell'obiettivo nazionale. Ciò non toglie che si dovrà garantire a tutti i potenziali clienti la fornitura di servizi energetici e di programmi o misure di efficienza energetica.

2.8

Il risparmio sarà calcolato sommando le riduzioni, misurate o stimate, dei consumi finali di energia attribuibili ai servizi energetici, ai programmi di efficienza energetica e ad altre misure. Gli Stati membri riferiranno regolarmente sui risultati ottenuti in termini di realizzazione degli obiettivi. La proposta indica esempi di potenziali servizi energetici e orientamenti di efficienza energetica per la misurazione e la verifica dei risparmi.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il Comitato ha ribadito in varie occasioni l'importanza del risparmio energetico e di una maggiore efficienza dell'uso finale di energia ai fini dello sviluppo sostenibile e in particolare per combattere il cambiamento climatico. Accoglie pertanto con favore l'iniziativa della Commissione in esame, che dedica a tale questione la debita attenzione. Ad ogni modo, pur sostenendo vigorosamente l'obiettivo dell'efficienza energetica e alcune delle proposte contenute nel documento, il Comitato suggerisce qui di seguito alcune modifiche.

3.2

In numerosi Stati membri sono state intraprese azioni in questo campo e si registra attualmente una gran varietà di interventi, esperienze pratiche e risultati. Probabilmente l'attività più diffusa consiste in azioni volontarie, non organizzate o basate su accordi, di cui esistono per alcuni settori esempi su scala comunitaria.

3.3

Al livello dell'UE vi sono disposizioni sull'etichettatura degli elettrodomestici e di altri apparecchi, come pure una direttiva sul rendimento energetico nell'edilizia. Altre misure sono in cantiere, come la direttiva sulla progettazione dei prodotti che consumano energia. La direttiva sulla prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento (1), quelle relative alle accise sull'energia, così come altre politiche dell'UE, promuovono l'efficienza dell'uso finale dell'energia. Purtroppo, però, queste politiche comprendono spesso misure che accrescono di molto il costo dell'energia. Ciò può essere considerato come un ulteriore incoraggiamento al risparmio energetico, ma gli effetti positivi possono essere superati dagli inconvenienti che i costi elevati comportano per le famiglie e per la competitività delle imprese.

3.4

Gli interventi volti a promuovere l'efficienza energetica variano considerevolmente in funzione delle condizioni locali e delle misure avviate sinora, le quali peraltro sembrano avere avuto un effetto modesto sul mercato interno. È quindi importante, in base al principio della sussidiarietà, che le ulteriori azioni al livello comunitario apportino reali vantaggi.

3.5

La proposta della Commissione sembra voler tenere conto delle differenze e della eterogeneità delle varie azioni. Tuttavia, considerate tutte le disposizioni nazionali e comunitarie in vigore, e soprattutto tutte le azioni volontarie, il Comitato ritiene che essa vada adeguata affinché possa apportare il massimo valore aggiunto alle misure già esistenti. Si dovrebbe inoltre chiarire la coerenza con altre disposizioni in materia, ad esempio quelle previste dalla direttiva sul rendimento energetico nell'edilizia.

3.6

Esistono numerosi studi sul potenziale di miglioramento dell'efficienza energetica. Il Comitato concorda in generale con le cifre fornite dalla Commissione, ma nonostante esse prospettino vantaggi considerevoli, occorre in parte valutarle in modo critico, tenendo cioè maggiormente conto delle singole realtà economiche. La redditività degli investimenti diretti ad aumentare l'efficienza è stata calcolata sulla base di un tempo di ammortamento pari alla durata del bene oggetto dell'investimento, cosa che spesso non risulta coincidere con la pratica. Per esempio, se il tempo di ammortamento di un impianto di riscaldamento più efficiente per un'utenza domestica è pari alla durata dell'impianto stesso, ossia diversi decenni, l'investimento potrebbe non apparire redditizio al proprietario. Analogamente, il gestore di una piccola impresa non investirebbe per sostituire un macchinario ancora funzionante con un altro dai consumi minori, ma propenderebbe invece per un progetto in grado di realizzare un aumento della produzione e del fatturato.

3.7

In questo contesto, l'obiettivo di un incremento annuo dell'efficienza pari all'1 % appare ambizioso, ma non irraggiungibile. In alcuni Stati membri, l'obiettivo dell'1,5 per il settore pubblico, relativo per lo più all'uso dell'energia negli edifici, può risultare molto difficile e costoso da realizzare nell'arco temporale proposto.

3.8

Il principale argomento a favore della definizione di un obiettivo vincolante è che si tratterebbe di un fattore fortemente motivante. Ciò non toglie, però, che esistano anche molti argomenti contrari.

3.8.1

In effetti, le discrepanze nell'ambito delle azioni passate e presenti sono tali che un obiettivo unico comporterebbe costi differenti per gli utenti a seconda degli Stati membri. D'altronde, definire obiettivi singoli per ciascuno Stato membro non è un'opzione praticabile, in quanto mancano dati comparabili che possano fungere da base di calcolo.

3.8.2

Un altro argomento contrario è che la fissazione di un obiettivo verrebbe vista come il classico «bastone» e non come la «carota», il che darebbe un segnale sbagliato. Le potenzialità e i vantaggi derivanti da una migliore utilizzazione dell'energia andrebbero piuttosto illustrati e promossi in modo positivo e stimolante.

3.8.3

In molti Stati membri esistono scarsi dati sull'attuale utilizzo dell'energia, sull'efficienza energetica e sugli effetti delle misure in vigore. I metodi di calcolo del risparmio indicati nella proposta di direttiva non sono ben definiti. Sebbene in questo campo sia senz'altro apprezzabile un certo grado di flessibilità, la comparabilità e l'adeguatezza dei risultati rispetto agli obiettivi risulta possibile solo quando le informazioni di base e i metodi di calcolo sono essi stessi affidabili e comparabili.

3.8.4

Il Comitato ritiene inoltre che una subottimizzazione, in questo caso dell'efficienza energetica attraverso la definizione di obiettivi vincolanti, non contribuirà all'ottimizzazione in relazione a obiettivi più generali, come l'efficienza economica complessiva o una riduzione delle emissioni di gas a effetto serra che sia efficace rispetto ai costi.

3.9

Per tutti questi motivi, il Comitato non condivide la fissazione di un obiettivo vincolante per gli Stati membri, giacché ritiene che il presupposto basilare a tal fine sia la definizione di metodi di calcolo del tutto soddisfacenti e attuabili.

3.9.1

Propone quindi che, invece di introdurre obiettivi nazionali vincolanti ottimali, si imponga agli Stati membri di predisporre programmi di efficienza energetica o di aggiornare quelli esistenti, compresa la sorveglianza. Gli obiettivi dell'1 % e dell'1,5 % per il settore pubblico dovrebbero essere applicabili alla media degli Stati membri.

3.10

Questi ultimi devono essere liberi di stabilire come orientare gli obiettivi e le azioni verso differenti settori e forme di energia. È tuttavia importante che tutti i settori e tutti i combustibili vengano inclusi e partecipino in base al rispettivo potenziale.

3.11

Le disposizioni della direttiva in materia di documentazione, di verifica e di monitoraggio (articolo 4, paragrafo 5) comportano una mole di lavoro sproporzionata rispetto ai vantaggi previsti. Rimane inoltre discutibile il carattere probante di questa operazione, giacché è difficile ricondurre un determinato risparmio energetico a una specifica misura. Si dovrebbe optare per un approccio più semplice, chiaro e affidabile.

3.12

Affrontando più direttamente i problemi di informazione e finanziamento si conseguirebbero in maniera migliore risultati analoghi a quelli delle azioni obbligatorie. Gli interventi di questo tipo rientrano nel disposto dell'articolo 8, relativo a qualificazione, certificazione e accreditamento dei fornitori dei servizi energetici. Tali disposizioni dovrebbero essere sviluppate ed estese ulteriormente. Occorre anche sviluppare dei metodi innovativi di finanziamento, ad esempio prestiti a basso tasso d'interesse, per ovviare ai problemi di ammortamenti troppo lunghi menzionati al punto 3.6.

3.13

Si dovrebbero inoltre includere misure volte a sostenere e promuovere le azioni volontarie esistenti e consolidate. Tra gli esempi di misure che hanno prodotto buoni risultati e dovrebbero essere promosse dalla Commissione, a norma dell'articolo 12, figurano la diffusione di informazioni e l'agevole disponibilità di diagnosi energetiche, lo sviluppo di applicazioni di tali diagnosi adeguate per le PMI di un determinato settore, e il sostegno alla riqualificazione del personale destinato a svolgere le funzioni di responsabile energetico dell'impresa.

3.14

Anziché dover far fronte a una gran quantità di resoconti, la Commissione potrebbe contribuire agli sforzi compiuti dagli Stati membri per una maggiore efficienza energetica aiutandoli a predisporre una migliore base informativa sia negli Stati membri stessi che per la Commissione stessa. È necessario analizzare estesamente i fattori che ostano all'aumento dell'efficienza. Inoltre la Commissione potrebbe promuovere la cooperazione e lo scambio di buone prassi tra gli Stati membri.

3.15

Una proposta come quella in esame, destinata a ripercuotersi sui mercati e sui costi a carico dei consumatori, deve essere sottoposta a un'adeguata valutazione di impatto. Dal momento che tale valutazione non è stata eseguita nella fase preparatoria, il Comitato chiede che si provveda adesso, prima delle decisioni del Consiglio e del Parlamento europeo.

3.16

La Commissione menziona l'idea di introdurre eventualmente in un secondo tempo i cosiddetti certificati bianchi. Si tratta di un sistema che potrà funzionare solo se saranno previsti obblighi vincolanti in materia di conservazione dell'energia o di efficienza energetica. Il Comitato non è a favore dell'introduzione di obblighi vincolanti a tal fine, per cui non può neanche sostenere l'introduzione di certificati bianchi. Inoltre, prima di gravare di nuovi dispositivi un mercato energetico già di per sé complesso, occorrerebbe monitorare e valutare attentamente il funzionamento tanto dello scambio di emissioni quanto del commercio di certificati verdi.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Nell'articolo 3 (Definizioni) si dovrebbe fissare più chiaramente il concetto di «servizio energetico». Inoltre nella definizione dei «piccoli distributori e società di vendita di energia al dettaglio» occorrerebbe rivedere la soglia di 50 GWh, che potrebbe risultare impraticabile perché troppo bassa.

4.2

L'articolo 4 andrebbe riveduto tenendo conto delle osservazioni generali del presente parere.

4.3

Articolo 6, lettera a) e articolo 10, lettera b): è auspicabile che l'offerta di servizi energetici aumenti, ma il Comitato non condivide l'approccio della Commissione, secondo cui tali servizi andrebbero forniti solo dalle imprese di distribuzione e di vendita al dettaglio di energia, mentre i relativi costi sarebbero da includere nelle tariffe di distribuzione e di vendita fino al raggiungimento di una determinata quota di mercato. Già adesso i servizi energetici vengono offerti anche da altri soggetti — società di manutenzione di immobili, consulenti e società di servizi energetici -, per cui il relativo mercato deve essere aperto a tutti a parità di condizioni. La proposta di offrire i servizi gratuitamente al 5 % dei clienti, a spese di tutti i clienti, è pregiudizievole per questi ultimi e costituisce una discriminazione nei confronti di altri fornitori.

4.4

Nell'articolo 7 si dovrebbe chiarire meglio il concetto di «potenziali clienti.»

4.5

Articolo 10, lettera a): è difficile capire come si possa accrescere l'efficienza energetica agendo sulle tariffe di trasmissione. Anche i meccanismi degli esempi forniti nel paragrafo in questione sono poco comprensibili.

4.6

I requisiti di misurazione di cui all'articolo 13 possono risultare molto costosi e alla fine graveranno sempre sui consumatori. Le misure in materia di misurazione dovrebbero quindi essere affrontate con cautela.

Bruxelles, 28 ottobre 2004.

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Conosciuta anche come direttiva IPPC.


20.5.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/119


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio concernente misure per la sicurezza dell'approvvigionamento elettrico e per gli investimenti nelle infrastrutture

COM(2003) 740 def. — 2003/0301 (COD)

(2005/C 120/22)

Il Consiglio, in data 23 gennaio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 ottobre 2004, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SIRKEINEN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 28 ottobre 2004, nel corso della 412a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 134 voti favorevoli, 7 voti contrari e 14 astensioni.

1.   Contesto

1.1

Negli ultimi anni la politica energetica dell'UE ha seguito tre linee principali:

creare mercati aperti efficaci per l'elettricità e il gas,

garantire un approvvigionamento energetico sicuro e

conformarsi a rigidi obiettivi ambientali e, in particolare, contrastare il cambiamento climatico.

Tra i principali provvedimenti in questo campo rientrano le direttive rivedute sul mercato dell'elettricità e del gas, che aprono i mercati a partire dalla metà del 2004 per le utenze non domestiche e a partire dal 2007 per tutti i consumatori. Inoltre nel 2001 è stato pubblicato un Libro verde sulla sicurezza dell'approvvigionamento, nel quale si ribadisce l'importanza di intervenire sulla domanda sia al fine di garantire l'approvvigionamento stesso che per contrastare il cambiamento climatico.

1.2

Un approvvigionamento energetico affidabile e a costi ragionevoli è una premessa importante della crescita economica e del benessere dei cittadini europei. Pertanto il Comitato ha sostenuto nei suoi pareri gli obiettivi e l'approccio della Commissione.

1.3

I mercati energetici dell'UE non funzionano ancora in modo tale da conseguire i summenzionati obiettivi. In effetti tali risultati potrebbero essere irrealizzabili finché le principali misure non saranno entrate in vigore. Stando alla Commissione le attuali proposte costituiscono un supplemento alla legislazione esistente, volto a porre rimedio a carenze attuali o future.

1.4

L'interruzione della fornitura energetica verificatasi in Italia nel settembre 2003, come pure altri simili incidenti avvenuti in Europa e negli Stati Uniti, costituiscono un'importante motivazione della presentazione di questo pacchetto. Tale interruzione è stata causata da una serie di operazioni non riuscite, dopo il cedimento di una linea esposta a forte sovraccarico in Svizzera. In tale occasione si sono anche evidenziati dei problemi di coordinamento tra gli operatori del sistema di trasmissione. L'infausto incidente fornisce un utile insegnamento; va rammentato che l'apertura dei mercati aumenterà la trasmissione e i problemi potenzialmente legati ad essa.

1.5

Sorprende che la Commissione menzioni solo la causa più remota degli incidenti. Talune aree o paesi non producono abbastanza elettricità e devono costantemente importarne quantitativi considerevoli da regioni, vicine e non, la cui produzione è eccedente. Nel mercato comune dell'elettricità gli scambi transfrontalieri sono utili per fronteggiare efficacemente le variazioni della fornitura e della domanda; essi accrescono la sicurezza di approvvigionamento e la concorrenza, ma non possono e non devono servire a compensare una capacità di generazione insufficiente in talune parti del mercato.

1.6

Secondo la Commissione, quando in un mercato sano aumenta la domanda ma non l'offerta, i prezzi salgono. In teoria gli utenti reagirebbero riducendo i consumi, ma nel mercato dell'elettricità l'elasticità dei prezzi è limitata per varie cause. Se i prezzi raggiungono un certo livello, diviene conveniente investire in nuove capacità di generazione, cosa che pone fine all'aumento dei prezzi. Tuttavia, se non vi sono investimenti adeguati, i prezzi continuano a crescere e a breve e medio termine causano gravi problemi ai consumatori e alla competitività dell'industria e, quindi, all'intera economia. Un problema particolare che riguarda gli investimenti nella generazione di elettricità consiste nell'impossibilità di rispondere rapidamente ai segnali dati dai prezzi, perché i progetti di investimento, attraverso le fasi della progettazione, dell'autorizzazione e della costruzione, richiedono molto tempo. Se in taluni casi le operazioni a consegna differita o a termine possono alleviare, in qualche misura, il problema, queste pratiche sono state introdotte troppo recentemente perché se ne possa certificare la fattibilità.

1.7

L'Unione europea ha deciso di aprire alla concorrenza i mercati di gas e di elettricità. Vi è tuttavia una certa preoccupazione sul fatto che vi siano investimenti sufficienti nel mercato aperto, in particolare nella capacità di punta. La direttiva sul mercato dell'elettricità richiede agli Stati membri di creare un sistema per monitorare l'equilibrio tra domanda e offerta e di mettere in atto una procedura di gara d'appalto per una maggiore capacità, quando ciò si rivelasse necessario. Gli Stati membri sono responsabili della struttura generale dell'approvvigionamento e della scelta delle fonti di energia: questi aspetti non vengono cambiati nel progetto di Trattato costituzionale.

1.8

L'insufficienza degli investimenti può dipendere anche da carenze del mercato (scarsa considerazione delle esigenze a lungo termine, dei fattori ambientali, delle condizioni regionali e locali, ecc.), e non soltanto dalla scarsa concorrenza, dalla mancanza di un quadro normativo stabile, da procedure di autorizzazione proibitive e/o dall'opposizione dell'opinione pubblica. L'obbligo di fare della rete un soggetto economico indipendente (unbundling) la condanna ad una gestione senza ambizioni, poiché soltanto i servizi al pubblico concedono spazi per l'innovazione e la creazione di valore aggiunto. La rete si trova così paralizzata tra le tariffe di accesso stabilite dai regolatori da una parte e i costi e gli investimenti imposti dai clienti operatori dall'altra, senza disporre di alcuna opportunità di sviluppo, né di alcuna possibilità di percepirne chiaramente l'esigenza.

1.9

È noto da tempo che un elemento importante del mercato energetico è l'efficienza degli usi finali, o il risparmio, dell'energia. Contenere l'uso di energia fa risparmiare e contribuisce direttamente alla sicurezza di approvvigionamento e spesso anche alla riduzione dei gas a effetto serra, limitando l'esigenza di generazione e di investimenti in nuove capacità di produzione e di trasmissione. Le nuove tecnologie possono rivelarsi molto utili per quanto concerne questo aspetto, e occorre quindi adottare misure per favorirne lo sviluppo e l'ingresso nel mercato.

1.10

La Commissione sottolinea che non si può trascurare la questione dell'equilibrio tra domanda e offerta. La pressione crescente sulle reti è dovuta anche all'aumento della domanda e dunque si può intervenire con misure di gestione di quest'ultima. Occorrono nondimeno degli incentivi adeguati agli investimenti nelle reti e nella generazione di elettricità.

1.11

La Commissione asserisce che la futura crescita della domanda di elettricità sarà affrontata per mezzo della gestione della domanda stessa. Per rinnovare gli impianti obsoleti sarebbero nondimeno richiesti nuovi investimenti che, secondo la Commissione, saranno destinati in gran parte alle fonti rinnovabili e a impianti di generazione combinata di energia e calore su scala ridotta collegati alla rete di distribuzione.

1.11.1

Il Comitato disapprova fortemente questa descrizione delle future tendenze ed esigenze nel settore dell'elettricità. Da una comunicazione sull'investimento nelle infrastrutture ci si aspetterebbero informazioni ben più chiare e realistiche sulle tendenze e i potenziali del futuro, specie quando esistono dati e scenari, prodotti in parte dalla stessa Commissione, molto meglio quantificati. Non serve a nessuno evitare di fornire informazioni di base chiare e realistiche, fossero pure impopolari per molti.

1.11.2

Un calcolo molto approssimativo può dare un'idea dell'entità del problema e delle possibili soluzioni. La domanda di elettricità cresce attualmente nell'UE al ritmo dell'1-2 % l'anno; l'obiettivo comunitario di aumento della generazione grazie a fonti rinnovabili è pari a meno dell'1 % l'anno, pertanto le misure di efficienza dovrebbero produrre un taglio della crescita annua pari all'1 %. Le fonti rinnovabili e l'efficienza energetica potrebbero così compensare la crescita della domanda e in più sostituire possibilmente la capacità esistente in misura tuttavia ben minore dell'1 % all'anno. Le centrali elettriche hanno una vita di 30-50 anni, il che comporta in linea teorica che devono essere sostituite in misura del 3 % all'anno in media. L'AIE (Agenzia internazionale dell'energia) menziona un'esigenza di nuove centrali nell'UE pari a 200 000 MW per i prossimi 20 anni.

2.   La proposta della Commissione

2.1

L'obiettivo della proposta di direttiva è promuovere gli investimenti nel settore energetico europeo, sia per rafforzare la concorrenza che per prevenire nuove interruzioni della fornitura. Il documento sottolinea che per il buon funzionamento di un mercato interno concorrenziale dell'elettricità serve un chiaro quadro legislativo comunitario che, grazie a politiche generali trasparenti e non discriminatorie, garantisca la sicurezza di approvvigionamento e un livello adeguato di interconnessione tra gli Stati membri.

2.2

Agli Stati membri si richiede:

di applicare una chiara politica di equilibrio tra offerta e domanda, che permetta di definire obiettivi di capacità di riserva o misure alternative, ad esempio nel campo della gestione della domanda,

di definire norme relative alla sicurezza delle reti di trasmissione e di distribuzione.

2.3

Gli operatori del sistema di trasmissione debbono presentare all'autorità nazionale di regolamentazione una strategia pluri(annuale) di investimento. L'autorità di regolamentazione può aggiungere alla lista importanti progetti transfrontalieri.

2.4

Le autorità nazionali di regolamentazione presentano una sintesi di questi programmi di investimento alla Commissione, la quale consulta in materia il gruppo dei regolatori europei per il gas e l'elettricità, tenendo conto dei progetti di interesse prioritario europeo previsti nel quadro delle reti transeuropee dell'energia.

2.5

Le autorità nazionali di regolamentazione possono intervenire per accelerare il completamento di un progetto, se necessario pubblicando bandi di gara per i progetti che l'operatore del sistema di trasmissione non possa o non intenda completare.

3.   Osservazioni generali

3.1

La direttiva sul mercato dell'elettricità e il regolamento sul commercio transfrontaliero rappresentano il quadro del mercato interno liberalizzato dell'elettricità a partire dal 1o luglio 2004. Per garantire agli investitori e agli altri attori del mercato una stabilità normativa, cruciale per agevolare gli investimenti, qualsiasi modifica di tale quadro deve essere oggetto di estrema cautela.

3.2

La stessa Commissione menziona in modo più o meno chiaro le ragioni che la inducono a temere per la sicurezza di approvvigionamento e a presentare la direttiva in questione. Tuttavia la direttiva proposta non si occupa direttamente di tali ragioni.

3.3

La prima ragione è l'insufficiente capacità di generazione di alcune aree e Stati membri dell'Unione, dovuta all'orientamento della politica energetica. La Commissione menziona le capacità di riserva, ma esiste anche un problema di generazione del carico di base.

3.4

La seconda ragione è la mancanza di concorrenza, dovuta alla scarsa volontà politica di alcuni Stati membri di intervenire sui monopoli consolidati, sugli oligopoli e sulle posizioni di mercato dominanti. La Commissione ne prende atto e dichiara che le sue capacità di intervento sono limitate. L'opzione prescelta è quella di tentare di garantire un'adeguata capacità di interconnessione onde favorire la concorrenza da parte di operatori di altri Stati membri.

3.5

La terza ragione consiste nella riluttanza o nell'incapacità di taluni operatori del sistema di trasmissione di applicare agli scambi transfrontalieri gli orientamenti esistenti, nonostante li abbiano essi stessi adottati volontariamente nelle rispettive organizzazioni. Ci si chiede se ciò non dipenda dall'insufficiente separazione tra attività energetiche e attività di rete.

3.6

L'ostacolo maggiore per gli investimenti nelle reti di trasmissione consiste nell'opposizione sia politica sia dell'opinione pubblica a tali progetti di trasmissione. In alcuni Stati membri si guarda con ostilità a quasi tutte le forme di generazione. Sebbene vada rispettato il diritto dei cittadini ad essere consultati in merito ai progetti che influiscono sulla loro vita, ne consegue che i processi di pianificazione e di decisione diventano molto lunghi e complessi, rendendo incerti anche i progetti più urgenti e necessari.

3.7

La direttiva affronta un'importante questione, che deve essere risolta a livello comunitario: l'esigenza di garantire in un modo o nell'altro che vi siano investimenti di entità sufficiente e basati sul mercato destinati agli interconnettori.

3.8

La proposta di direttiva consente all'autorità di regolamentazione di intervenire alterando il piano di investimenti dei gestori delle reti di trasmissione e di richiedere che venga effettuato un determinato investimento; essa introduce infine procedure di appalto. La proposta attuale si spinge oltre rispetto alla direttiva sul mercato dell'elettricità, che prevede il monitoraggio dell'equilibrio tra domanda e offerta e, se necessario, una procedura di appalto per una maggiore capacità. Per evitare modifiche regolamentari troppo frequenti, nonché un eccesso di regolamentazione, la legislazione non dovrebbe essere modificata in questo punto prima di aver sperimentato in modo sufficiente il funzionamento delle attuali disposizioni.

3.9

Alcune parti della proposta di direttiva, come per esempio le disposizioni generali di cui all'articolo 3, costituiscono elementi importanti di qualsiasi buona politica energetica nazionale e sono ampiamente applicate. Presentandole come disposizioni di una direttiva si può dare adito ad una confusione delle responsabilità.

3.10

La gestione della domanda è un settore che avrebbe meritato di esser preso in considerazione dalla Commissione. Aumentare le possibilità degli utenti di energia, in particolare quelli di dimensioni medie, di poter reagire alle fluttuazioni dei prezzi all'ingrosso dell'elettricità potrebbe contribuire a ridurre la domanda nei momenti di punta.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Articolo 4: il Comitato approva questa disposizione poiché il paragrafo 1 implica che tutti i gestori delle reti di trasmissione dovranno conformarsi alle direttrici dell'ETSO (European Transmission System Operators Association).

4.2

Articolo 5: il Comitato reputa che l'approccio dia adito a confusione per quanto concerne le responsabilità dell'Unione europea e degli Stati membri. In linea di principio e prescindendo dal contesto, il Comitato concorda sul fatto che la maggior parte delle misure previste da questo articolo rientrano in una sana politica energetica nazionale.

4.3

Non è chiaro che cosa si intenda per «capacità di riserva» nel secondo capoverso dell'articolo 5, paragrafo 1. Tale articolo dovrebbe riguardare solo le riserve tecniche a breve termine richieste per l'affidabilità del sistema.

4.4

Articolo 6: è difficile comprendere la correlazione tra gli investimenti nelle reti e la gestione della domanda, ancor meno per il modo in cui le due cose vengono messe in relazione nell'articolo 6, paragrafo 1. I requisiti previsti dall'articolo 6, paragrafo 2, sarebbero anzitutto tenuti in considerazione, se possibile, al momento di stabilire la metodologia relativa alle tariffe di accesso alla rete. Sempre per quanto riguarda l'articolo 6, paragrafo 2, occorrono delle azioni relative agli interconnettori, come già menzionato al punto 3.7.

4.5

Articolo 7: il Comitato è contrario alle misure proposte per le ragioni illustrate nel punto 3.8.

Bruxelles, 28 ottobre 2004.

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


APPENDICE

al parere del Comitato economico e sociale europeo

Il seguente testo del parere della sezione specializzata, pur avendo ottenuto almeno un quarto dei voti espressi, è stato respinto a favore di emendamenti adottati dall'assemblea:

Punto 1.8, ultima frase:

L'aggiunta frequente di nuove misure legislative, specie se queste consentono al settore pubblico di interferire con il mercato, non serve a creare il necessario, stabile quadro normativo, ma anzi accresce il rischio per gli investitori e in tale modo fa salire i prezzi.

Esito della votazione

Voti contrari a sopprimere la frase: 67

Voti favorevoli a sopprimere la frase: 78

Astensioni: 9


20.5.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/123


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa

(2005/C 120/23)

Il Parlamento europeo, in data 29 settembre 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo sul tema Il Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa.

Vista l'urgenza dei lavori, il Comitato economico e sociale europeo, nel corso della 411a sessione plenaria del 15 e 16 settembre 2004, ha nominato relatore generale Henri MALOSSE e in data 28 ottobre 2004, nel corso della 412a sessione plenaria ha adottato il seguente parere con 166 voti favorevoli, 4 voti contrari e 6 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Nel suo parere del 24 settembre 2003 (1), il Comitato economico e sociale europeo esprimeva il suo sostegno al progetto di Trattato costituzionale, sottolineando che, dopo l'auspicato accordo tra gli Stati membri, la sfida essenziale sarebbe stata quella di far accettare il Trattato dai cittadini e dalla società civile degli Stati membri dell'Unione europea.

1.2

È questa la fase in cui ci troviamo, con i dibattiti sulla ratifica del Trattato lanciati in ogni paese dell'Unione, quale che sia la modalità di ratifica scelta, parlamentare o per via referendaria.

1.3

Di fronte a questa scadenza determinante per il futuro della costruzione europea, è necessario spronare tutti a mettere da parte i loro interessi personali, settoriali, professionali, locali e nazionali: il Trattato deve essere esaminato sotto il profilo del suo significato politico globale nel processo messo in moto più di 50 anni fa dai fondatori delle Comunità europee.

1.4

In questo contesto, il Comitato si compiace dell'iniziativa di consultarlo sul Trattato costituzionale presa dalla commissione per gli affari costituzionali del Parlamento europeo, e intende cogliere appieno l'opportunità che gli viene così offerta di rivolgere:

messaggi chiari alla società civile organizzata dell'Unione sul contenuto e la portata del Trattato costituzionale,

raccomandazioni sulla strategia di comunicazione da adottare per mobilitare la società civile a favore del Trattato costituzionale.

2.   Messaggi chiari

2.1   Il metodo della Convenzione, un passo avanti nella democratizzazione della costruzione europea

2.1.1

Sono le modalità stesse di elaborazione del Trattato costituzionale, vale a dire una Convenzione composta in maggioranza di parlamentari nazionali e europei, a rappresentare un progresso ed esse meritano che su di loro venga richia- mata l'attenzione dei cittadini. Gli sforzi volti a coinvolgere la società civile organizzata, attraverso audizioni, consultazioni e tramite la partecipazione di osservatori scelti dalle parti sociali e dal CESE, hanno costituito un progresso considerevole, anche rispetto alle pratiche costituzionali nella maggioranza degli stati membri. Nel suo parere del 24 settembre 2003 (2), il Comitato ha peraltro avanzato suggerimenti per potenziare in futuro il processo di partecipazione della società civile.

2.1.2

Malgrado alcuni passi indietro, la CIG non ha snaturato il testo proposto dalla Convenzione. Il Trattato costituzionale poggia sul consenso di tutte le formazioni politiche ed è il frutto di un autentico dibattito democratico.

2.1.3

Anche se la Convenzione non disponeva di poteri costituenti, tenuto conto della natura mista dell'UE, unione di Stati e di popoli, essa ha fatto segnare una vera e propria svolta rispetto alle pratiche precedenti che lasciavano completamente da parte i rappresentanti parlamentari e la società civile.

2.1.4

L'abbandono del Trattato costituzionale significherebbe la sconfitta del metodo adottato. Di conseguenza, è fondamentale perorare l'accettazione definitiva di tale metodo (come del resto il Trattato costituzionale stesso prevede).

2.1.5

Per questo motivo il comitato, che ha preso parte ai lavori della Convenzione, sostiene la legittimità di questo Trattato e chiede a tutti i membri della Convenzione e agli osservatori, la cui firma figura in calce al testo, di fare altrettanto.

2.2   Una costituzione, una «rivoluzione» nella storia della costruzione europea

2.2.1

La Costituzione fornisce una nuova cornice di funzionamento per l'Unione. Essa comporta tre parti principali, di cui le prime due sono assolutamente innovatrici: la prima parte definisce i principi e i valori che fondano l'Unione, la seconda parte definisce i diritti fondamentali dei cittadini. La terza ingloba e aggiorna le politiche comunitarie contenute nei precedenti Trattati.

2.2.2

La Costituzione permette di sostituire ai Trattati esistenti un testo unico e completo che rende più comprensibile e accessibile a ciascun cittadino il funzionamento dell'UE.

2.2.3

La costituzione europea non sostituisce quelle nazionali, ma coesiste con esse e si applicherà a tutto il territorio dell'Unione europea.

2.2.4

Se il contenuto non è «rivoluzionario» in senso stretto, la natura costituzionale del nuovo Trattato deve segnare una soluzione di continuità nella coscienza collettiva dei popoli europei in riferimento a un'aspirazione e a un destino comune. Il Comitato deve assumersi il compito di far capire a tutti questo progresso della costruzione europea.

2.3   Un'Unione più democratica che riconosce ai cittadini la sovranità sulla costruzione europea

2.3.1

La finalità del Trattato costituzionale è chiara: stabilire un'Unione politica a nome dei cittadini e degli Stati d'Europa.

2.3.2

Al centro delle aspirazioni dell'Unione vengono poste le aspettative fondamentali dei cittadini europei. Vengono infatti esplicitamente menzionati come obiettivi dell'Unione: la piena occupazione, un'economia sociale di mercato fortemente competitiva e un elevato livello di tutela e di miglioramento della qualità dell'ambiente. L'unione mira inoltre a promuovere «la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri» e a offrire «ai suoi cittadini uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia.»

2.3.3

La legittimità democratica del processo decisionale è stata nettamente migliorata:

2.3.3.1

sono state estese le competenze del Parlamento europeo in quanto colegislatore. È un'evoluzione che potrà contribuire a rafforzare la percezione presso i cittadini dell'importanza di tale istituzione.

2.3.3.2

Il nuovo ruolo attribuito ai parlamenti nazionali offre una garanzia contro eventuali eccessi di regolamentazione a livello europeo. La Commissione è obbligata a informarli di ogni nuova iniziativa e il «meccanismo di allarme rapido» dà loro un potere di controllo dell'applicazione del principio di sussidiarietà.

2.3.4

I cittadini avranno d'ora in poi la possibilità di essere informati delle posizioni assunte dai loro governi in seno al Consiglio, il quale sarà appunto soggetto a un obbligo di trasparenza nell'esercizio delle sue funzioni legislative.

2.3.5

Per la prima volta, la democrazia partecipativa è riconosciuta come principio di funzionamento dell'Unione, complemento indispensabile della democrazia rappresentativa.

2.3.5.1

Attraverso il mantenimento di un dialogo più aperto e regolare con le associazioni rappresentative della società civile, le istituzioni europee dovrebbero agire in modo più coerente e trasparente. In particolare è lecito sperare che, grazie alla consultazione delle parti interessate, si possano evitare normative troppo dettagliate o inapplicabili nella realtà. La commissione avrà l'obbligo di valutare meglio l'impatto economico e sociale delle sue proposte, anche a livello regionale e locale.

2.3.5.2

Una delle grandi innovazioni introdotte dalla Costituzione consiste nell'istituzione di un diritto d'iniziativa popolare. I cittadini europei, se sono almeno un milione e rappresentano un numero significativo di Stati membri, potranno d'ora in poi invitare la Commissione europea a presentare una proposta legislativa corrispondente alle loro aspettative.

2.3.6

Viene confermato il ruolo delle parti sociali come elemento centrale della vita democratica dell'Unione, nel rispetto dell'autonomia del dialogo sociale.

2.3.7

L'inserimento di questa nuova parte (I) dovrebbe permettere di ridurre il deficit democratico in un'Unione che si amplia.

2.4   Un'Unione che protegge meglio i diritti fondamentali dei cittadini europei (parte II del Trattato)

2.4.1

La carta dei diritti fondamentali è stata elaborata da una Convenzione la cui legittimità democratica è stata ampiamente riconosciuta. I contributi delle organizzazioni della società civile hanno svolto un ruolo importante nella redazione del testo della Carta.

2.4.2

La Carta viene considerata un progresso perché essa integra, senza dissociarli, tutti i tipi di diritti individuali o collettivi (i diritti civili e politici, i diritti sociali e economici), apportando poi un elemento innovativo con il riconoscimento ai cittadini di diritti «più contemporanei» (in relazione con lo sviluppo sostenibile, la protezione dei consumatori, la parità dei sessi, la bioetica, la tutela dei dati personali, ecc.).

2.4.3

I diritti fondamentali dei cittadini formano parte integrante del Trattato costituzionale e non sono inseriti in un preambolo.

2.4.4

L'inserimento della Carta europea dei diritti fondamentali nel Trattato, chiesta a gran voce da numerose organizzazioni europee della società civile, ha un'importanza significativa in quanto conferisce a tale Carta forza giuridica vincolante.

2.4.5

In concreto, questo progresso significa che i cittadini beneficeranno di una migliore tutela giuridica: essi potranno infatti invocare d'ora in poi la Carta dinanzi a ciascuna giurisdizione nazionale contro le decisioni delle istituzioni europee e degli Stati membri quando applicano il diritto comunitario.

2.4.6

Il Comitato che è stato coinvolto nell'elaborazione della Carta europea dei diritti fondamentali, considera il suo inserimento nel Trattato come un progresso significativo nella tutela dei diritti delle persone fisiche e giuridiche.

2.5   Un'Unione che grazie al suo metodo e alle sue politiche comunitarie può rispondere alle aspirazioni dei cittadini (Parte III del Trattato)

2.5.1

I Trattati esistenti e in particolare il metodo comunitario hanno dato ottima prova di sé. La terza parte del Trattato costituzionale ingloba le principali disposizioni dei Trattati esistenti relative alle politiche comuni dell'Unione, estendendo la maggioranza qualificata a una ventina di ambiti finora soggetti alla regola dell'unanimità. Inoltre essa fa della codecisione la «procedura legislativa ordinaria», rafforzando di fatto i poteri del Parlamento europeo. La maggior parte delle decisioni dell'Unione riguardo alle politiche comuni potranno quindi essere prese in maniera più efficace e più democratica.

2.5.2

In questa terza parte sono posti i principi generali dei settori nei quali gli Stati membri hanno deciso di mettere in comune le loro risorse ovvero di cooperare. Il contenuto delle politiche però non è cristallizzato: dipende dalle decisioni e, pertanto, dalla volontà dei governi e delle maggioranze in seno al Parlamento europeo.

2.5.3

È il caso, per esempio, della politica sociale, con l'inserimento di una disposizione generale (detta «clausola sociale») secondo la quale «Nella definizione e nell'attuazione delle politiche l'Unione tiene conto delle esigenze connesse con la promozione di un livello di occupazione elevato, la garanzia di una protezione sociale adeguata, la lotta contro l'esclusione sociale e un livello elevato di istruzione, formazione e tutela della salute umana». Altrettanto vale per la lotta contro tutte le forme di discriminazione e di esclusione e per il riconoscimento del ruolo dei servizi di interesse generale nella promozione della coesione sociale e territoriale nell'Unione, o ancora, come stabilisce il Trattato, per la considerazione della dimensione ambientale e delle esigenze di protezione dei consumatori.

2.5.4

La difficoltà di coinvolgere i cittadini in relazione al Trattato costituzionale risiede proprio nel fatto che essi sono abituati a essere consultati su azioni da portare avanti oppure su un progetto politico e non su un quadro di funzionamento. Al fine di mobilitarli, è necessario aprire-il dibattito su ciò che i cittadini e gli Stati membri vogliono fare, adesso che la Costituzione ha chiaramente definito i principi, i valori, gli obiettivi e le regole di funzionamento.

2.5.5

Per questo motivo e in questa fase, il Comitato vuole stabilire un collegamento tra il Trattato costituzionale e la strategia di Lisbona che sarà sottoposta fra breve a una revisione intermedia. la strategia di Lisbona andrebbe illustrata nei dibattiti, perché essa delinea una prospettiva per il futuro per tutti i cittadini europei: la competitività, la piena occupazione, la diffusione delle conoscenze, l'investimento in capitale umano, la crescita, ma anche la salvaguardia del contesto e della qualità di vita per mezzo dello sviluppo sostenibile. Oggi questa strategia è in una fase di stallo perché gli strumenti per la sua attuazione sono carenti e il coinvolgimento dei cittadini e della società civile risulta cronicamente insufficiente. È quindi indispensabile a questo punto dare un nuovo slancio attraverso nuove iniziative comunitarie per dare credibilità al progetto economico e sociale dell'Unione.

2.5.6

Nel suo parere destinato al Consiglio europeo (3), il Comitato chiede che la revisione intermedia dia di nuovo ai cittadini e agli attori della società civile voce in capitolo sulla Strategia di Lisbona. Questa scadenza rappresenta un'occasione da non mancare per inviare loro un messaggio politico chiaro sul contenuto del progetto dell'Unione.

2.5.7

È necessario rendere i cittadini consapevoli del fatto che essi hanno, grazie ai progressi democratici rappresentati dalla Costituzione, gli strumenti per decidere essi stessi il contenuto delle politiche e delle azioni che l'Unione deve concretamente portare avanti per rispondere alle loro aspettative. Dire «NO» al Trattato costituzionale equivarrebbe quindi a cristallizzare i Trattati nella loro forma attuale.

2.6   Mobilitare la società civile europea sui progressi del Trattato costituzionale per correggerne le insufficienze

2.6.1

Non si intende qui tacere sulle insufficienze del Trattato costituzionale nella redazione adottata. Durante i lavori della Convenzione, e ancor meno durante quelli della CIG, non è stato possibile prendere in considerazione molte richieste della società civile. Nel suo parere del 24 settembre 2003 (4), il Comitato aveva rilevato una serie di punti deboli nel progetto di Trattato costituzionale e in particolare:

2.6.1.1

le insufficienti disposizioni operative per l'attuazione del principio di democrazia partecipativa. Questo vuol dire che il ruolo del Comitato non è stato rafforzato in misura soddisfacente, tale cioè da assicurare un effettivo dialogo civile.

2.6.1.2

L'assenza di disposizioni che riconoscano il ruolo della società civile organizzata nell'attuazione del principio di sussidiarietà (in special modo della sussidiarietà funzionale) nel protocollo sull'applicazione di tale principio.

2.6.1.3

La scarsa incisività della governance comunitaria in materia di politica economica e dell'occupazione, oltre all'assenza di regole che prevedano la consultazione del Parlamento europeo e del Comitato stesso in questi settori, che interessano direttamente gli attori della società civile.

2.6.1.4

L'assenza di consultazione obbligatoria del Comitato per quanto riguarda l'applicazione del principio di non discriminazione, la politica comune in materia d'asilo e d'immigrazione o, ancora, per quanto concerne la cultura, malgrado la competenza specifica della nostra istituzione in questi ambiti.

2.6.2

Bisogna allora respingere il Trattato? Il comitato ritiene che la politica del tanto «peggio tanto meglio» costituirebbe un segnale negativo per la costruzione europea, sia all'interno che all'esterno dell'Unione, dove forze ostili o concorrenti troverebbero certo motivo di rallegrarsi di questo fallimento. Reputa invece possibile valorizzare la cornice istituzionale proposta e migliorarla con provvedimenti operativi:

2.6.2.1

in primo luogo le disposizioni sulla democrazia partecipativa dovrebbero formare oggetto di una serie di comunicazioni aventi lo scopo di definire i metodi di consultazione e il ruolo del Comitato.

2.6.2.2

Il contenuto della legge europea che stabilisce le procedure di attuazione del diritto d'iniziativa popolare dovrebbe poi formare oggetto di consultazioni della società civile. Il Comitato potrebbe così essere consultato con una richiesta di parere esplorativo e potrebbe, inoltre, offrire il suo sostegno alle iniziative provenienti dalla società civile.

2.6.2.3

Il principio di democrazia partecipativa andrebbe applicato alle grandi strategie dell'Unione in favore della crescita, dell'occupazione e dello sviluppo sostenibile.

2.6.3

È inoltre importante, sempre in riferimento al Trattato costituzionale che è stato adottato, informare i cittadini sui meccanismi in esso presenti che possono introdurre elementi di flessibilità e aprire la strada a progressi, senza necessità di revisione di tale Trattato:

2.6.3.1

per gli Stati membri che auspicano approfondire il processo d'integrazione europea sarà più semplice instaurare una cooperazione rafforzata.

2.6.3.2

Se emerge una volontà politica di tutti gli stati membri, sarà possibile approfondire l'integrazione in settori «sensibili» in cui è stata mantenuta la regola dell'unanimità, come per esempio nei settori della politica fiscale o di quella sociale. Grazie a una «clausola passerella» infatti è possibile estendere il voto a maggioranza qualificata a questi settori.

2.6.4

Scegliendo un atteggiamento impegnato, critico e costruttivo, la società civile organizzata aiuterà a far sì che il cittadino sia correttamente informato e manterrà la pressione nei confronti dei governi. La cosa peggiore sarebbe che il mondo politico vedesse confermata l'idea, purtroppo molto diffusa, che la costruzione europea non interessi i cittadini. È un'idea del tutto sbagliata, perché i cittadini si aspettano molto dall'europa e, in particolare, si aspettano che essa contribuisca a migliorare la loro vita quotidiana offrendo loro una prospettiva per il futuro.

2.6.5

È convinzione del Comitato che l'adozione del Trattato costituzionale non costituisca un obiettivo in sé, ma che essa apra la strada a un rafforzamento della democrazia partecipativa. Respingere il Trattato equivarrebbe a rinunciare ai progressi ottenuti dalla società civile grazie al metodo della Convenzione.

3.   Una comunicazione efficace

Il comitato ritiene che la qualità della strategia di comunicazione sarà determinante per l'adozione del Trattato costituzionale da parte dei cittadini europei. Il Comitato raccomanda quindi di scegliere un approccio pragmatico e professionale per garantire l'efficacia di questa strategia che dovrebbe essere articolata intorno alle quattro azioni seguenti:

3.1   La messa a disposizione delle risorse: strumenti di informazione e finanziamenti

3.1.1

la complessità del Trattato costituzionale richiede la predisposizione di strumenti d'informazione che, a monte del processo di comunicazione, potranno essere usati per avviare campagne o organizzare dibattiti.

3.1.2

Il compito di concepire tali strumenti d'informazione e di renderli accessibili dovrebbe spettare agli Stati membri, coadiuvati dagli uffici d'informazione del Parlamento europeo e dalle rappresentanze della Commissione nei singoli stati membri.

3.1.3

Questi strumenti potrebbero presentarsi sotto forma di griglie di lettura del Trattato costituzionale adattate alle preoccupazioni delle diverse categorie della popolazione di ciascuno Stato membro. Quanto più questi strumenti saranno costruiti «su misura», tanto più potranno essere impiegati in modo efficace dai mezzi di comunicazione, dalle organizzazioni della società civile, dai gruppi politici e dagli enti regionali e locali per diffondere l'informazione e mobilitare i cittadini.

3.1.4

La messa a disposizione di risorse finanziarie sufficienti è necessaria per attuare una strategia di comunicazione all'altezza delle aspettative dei cittadini.

3.2   Il lancio di campagne di comunicazione imperniate sui mezzi di comunicazione e sui canali di comunicazioni vicini ai cittadini

3.2.1

Una volta che tali risorse siano state rese disponibili, i mezzi di comunicazione, gli enti regionali e locali, i gruppi politici e le organizzazioni della società civile avranno gli strumenti per svolgere il loro ruolo di canali d'informazione, potendo trasmettere messaggi chiari, e adattati alle preoccupazioni del loro pubblico locale, sulla portata del Trattato costituzionale.

3.2.2

In un primo tempo, sarebbe utile stabilire, a livello di ciascuno Stato membro, come il Trattato costituzionale venga percepito dalle diverse categorie della popolazione in modo da poter condurre una riflessione sul contenuto dei messaggi da trasmettere. In funzione delle conclusioni cui si giungerà, i messaggi avranno l'obiettivo di dissipare i timori dei cittadini e di dare risposte alle loro aspettative.

3.2.3

Inoltre, i latori del messaggio e i supporti della comunicazione dovranno essere scelti con cura. È necessario che gli attori coinvolti siano diversi tra loro in modo da garantire il carattere pluralistico della campagna; in aggiunta, il fatto che essi siano vicini ai cittadini favorirà la credibilità e l'accettazione dei messaggi trasmessi: ecco quindi l'importanza delle azioni condotte a livello locale e regionale.

3.2.4

Il Comitato raccomanda al Parlamento europeo la creazione di gruppi di lavoro con professionisti che lavorano nel campo della comunicazione istituzionale in ciascuno Stato membro, con l'obiettivo di sottoporre ai governi proposte concrete riguardanti le azioni e i mezzi necessari per avviare una campagna di comunicazione efficace negli Stati membri. Il Comitato è pronto a contribuire con la propria esperienza specifica in materia e fornendo il sostegno dei suoi referenti negli Stati membri, consigli economici e sociali nazionali e istituzioni analoghe.

3.3   Organizzare dibattiti aperti a tutti i cittadini per favorire lo scambio di idee e permettere che si formino delle convinzioni

3.3.1

Le campagne di comunicazione dovrebbero portare all'apertura di un vero e proprio dialogo con i cittadini, i quali per potersi formare un proprio giudizio e esprimerlo devono avere l'opportunità di porre domande e di essere messi a confronto con argomenti diversi.

3.3.2

Questo dialogo sarà possibile solo nel quadro di dibattiti decentrati. L'informazione che verrà così fornita ai cittadini permetterà di rispondere meglio alle loro attese e alle loro domande e garantirà il carattere democratico dei dibattiti.

3.3.3

Le istituzioni nazionali e europee dovranno dare a queste iniziative un sostegno logistico. I consigli economici e sociali nazionali o le istituzioni analoghe potrebbero coordinare i dibattiti a livello nazionale, definendo un calendario delle manifestazioni e fungendo da referenti del Comitato economico e sociale europeo, che potrebbe fornire loro la documentazione e metterli in contatto con eventuali personalità disposte a intervenire nelle manifestazioni da essi organizzate.

3.3.4

Allo scopo di assicurare una certa coerenza di queste iniziative, il Comitato chiede al Parlamento europeo e alla Commissione europea che le iniziative dei rappresentanti della società civile organizzata beneficino dello stesso sostegno di quelle degli eletti e dei rappresentanti delle istituzioni europee e nazionali e degli enti regionali e locali nel quadro dell'operazione «1 000 dibattiti per l'Europa». Non si può sottovalutare l'importanza della partecipazione della società civile organizzata.

3.3.5

Il Comitato chiede al Parlamento europeo che una quota significativa delle dotazioni di bilancio per le attività di comunicazione dell'Unione sia destinata ai dibattiti sul Trattato costituzionale, a integrazione delle risorse delle istituzioni pubbliche nazionali e locali e dei mezzi propri messi a disposizione dalla società civile.

3.4   Dare una dimensione europea ai dibattiti e alla ratifica

3.4.1

È indispensabile evitare che l'adozione del Trattato costituzionale da parte dei cittadini europei sia condizionata da questioni di politica interna.

3.4.2

In tale contesto il Comitato raccomanda di dare un'autentica dimensione transnazionale ai dibattiti e alla ratifica del Trattato costituzionale:

3.4.2.1

per un verso quindi, le istituzioni europee dovrebbero contribuire al coordinamento delle azioni di comunicazione dei movimenti politici, degli enti regionali e locali e delle organizzazioni della società civile. Si dovrebbe, in effetti, favorire lo scambio di buone pratiche in questo settore e far beneficiare ciascuno degli sforzi degli altri. Per esempio il comitato potrebbe facilitare lo scambio di buone pratiche (e di know-how) a livello europeo tra le organizzazioni della società civile che avviino azioni di comunicazione. Potrebbe inoltre istituire un sistema per far risalire le informazioni, vale a dire un sistema che consenta di valutare a livello europeo i suggerimenti, le critiche e le raccomandazioni formulate dai cittadini nel quadro dei dibattiti organizzati dalla società civile. Potrebbe infine dare il suo sostegno a iniziative transfrontaliere o multinazionali.

3.4.2.2

Il Comitato sostiene poi, d'altro canto, la proposta della commissione per gli affari costituzionali del Parlamento europeo di concentrare, per quanto possibile, le ratifiche intorno a una data simbolica (come per esempio l'8 o il 9 maggio).

3.4.3

Il Comitato invoca quindi una partecipazione attiva delle istituzioni europee all'elaborazione e all'attuazione della strategia di comunicazione sul Trattato costituzionale. È necessario portare avanti un'azione complementare a quella degli Stati membri e inviare ai cittadini un segnale forte e positivo dall'Europa.

3.4.4

Per parte sua, il Comitato s'impegna a trasmettere alla società civile europea messaggi chiari sui progressi democratici del Trattato costituzionale, specie in termini di cittadinanza e partecipazione.

Bruxelles, 28 ottobre 2004

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-marie SIGMUND


(1)  Cfr. GU C 10 del 14.1.2004, pag. 43.

(2)  cfr. nota 1.

(3)  Parere del Comitato economico e sociale europeo destinato al Consiglio sulla revisione intermedia della Strategia di Lisbona (numero del documento da inserire in seguito).

(4)  Cfr. nota 1.


20.5.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/128


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema L'ambiente come opportunità economica

(2005/C 120/24)

Con lettera del ministro per gli Affari europei, on. Atzo NICOLAÏ, del 22 aprile 2004, la futura presidenza olandese ha richiesto al Comitato economico e sociale europeo, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, l'elaborazione di un parere sul tema L'ambiente come opportunità economica.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 21 settembre 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore BUFFETAUT.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 28 ottobre 2004, nel corso della 412a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 130 voti favorevoli, 2 voti contrari e 2 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Con lettera del mese di aprile 2004, la futura presidenza olandese ha chiesto al CESE di redigere un parere esplorativo sul tema «L'ambiente come opportunità economica». Essa desiderava infatti porre l'accento sulle opportunità «doppiamente vincenti» delle tecnologie ambientali e della protezione dell'ambiente che, grazie ai progressi realizzati, sono ora in grado di contribuire anche al conseguimento degli obiettivi economici e sociali della strategia di Lisbona.

1.2

Nell'assegnare all'Unione europea l'obiettivo estremamente ambizioso di diventare l'«economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale», il Consiglio europeo di Lisbona non aveva affatto insistito sulle sfide ambientali. Soltanto il termine «sostenibile» poteva forse richiamare la nozione di sviluppo sostenibile.

1.3

Dovettero trascorrere altri due anni prima che il Consiglio adottasse le decisioni che approdarono poi alla formulazione della strategia di sviluppo sostenibile, la quale andava così ad aggiungersi alla strategia di Lisbona.

1.4

Ma possiamo veramente affermare che l'ambiente fa parte integrante della strategia di Lisbona? La stagnazione che ha colpito alcune economie dell'Unione europea ha indotto a dare precedenza assoluta alla crescita economica e alla creazione di posti di lavoro, mentre l'ambiente passava in secondo piano, come nell'adagio latino primum vivere, deinde philosophare. In realtà l'ambiente è, per l'appunto, una realtà che condiziona la nostra vita, e quindi dovrebbe interessare tutti, anziché i soli specialisti.

1.5

Detto ciò, importanti settori dell'economia europea hanno accolto con preoccupazione la volontà dell'Unione, e in particolare della Commissione, di ergersi a modello di condotta ambientale sul piano internazionale, anche a rischio di ritrovarsi isolata nelle sue scelte.

1.6

Così la volontà di applicare il protocollo di Kyoto anche senza la ratifica dei principali concorrenti dell'Europa ha provocato forti reazioni in alcuni ambienti economici europei, che hanno visto in tale volontà una pericolosa forma di ingenuità capace di compromettere la competitività dell'economia europea, già alle prese con un'agguerrita concorrenza mondiale. Altri hanno invece ritenuto che gli obiettivi di Kyoto potessero contribuire alla razionalizzazione dei processi produttivi, alla diminuzione dei costi, alla riduzione delle pressioni gravanti sulle risorse energetiche e sulle materie prime, e di conseguenza al potenziamento della competitività europea. È dunque in corso un dibattito che merita di essere illustrato con esempi concreti.

1.7

Nello stesso ordine d'idee, le industrie che utilizzano sostanze chimiche hanno accolto con preoccupazione il proposto regolamento REACH per la registrazione, la valutazione e l'autorizzazione delle sostanze chimiche criticandone pesantemente il relativo studio d'impatto, presentato dalla Commissione.

1.8

Tali preoccupazioni e critiche non possono essere liquidate con leggerezza: esse non riguardano principi o politiche, bensì traducono la convinzione che vi sia un conflitto tra, da un lato, le esigenze della crescita economica e della creazione di posti di lavoro e le prassi attuali e, dall'altro, le preoccupazioni ambientali, le quali danno luogo a una regolamentazione eccessiva tale da trascurare la realtà della concorrenza economica. I problemi sembrano discendere da una sottovalutazione e da una gestione sbagliata degli strumenti, delle procedure e delle strategie di attuazione.

1.9

Allo stesso tempo, però, alcune imprese, tra cui talune molto grandi, o persino interi comparti dell'industria, fanno dell'integrazione dello sviluppo sostenibile un elemento forte della loro strategia. Ad esempio, il presidente del gruppo francese Veolia Environnement, invitato a un seminario organizzato dal governo, ha dichiarato che i risultati di un'impresa in materia di sviluppo sostenibile non solo sono diventati un elemento di legittimazione dell'impresa nei confronti della società civile, ma rappresentano sempre di più una carta vincente nella concorrenza mondiale e in termini di attrattiva esercitata sugli investitori. Questo atteggiamento tende a diventare la norma nella sfera economica.

1.10

Il dibattito esiste dunque, ed è un dibattito forte, che attraversa la società intera e in primis il mondo economico e sociale e le organizzazioni ambientaliste. L'interrogativo è chiaro: l'integrazione delle considerazioni ambientali costituisce soltanto un ostacolo alla competitività delle imprese o può invece rappresentare un'opportunità per lo sviluppo di nuove professioni, nuovi mercati, nuove tecnologie?

1.11

L'opinione pubblica, i governi, i responsabili economici e i rappresentanti sindacali, i consumatori e gli esponenti delle associazioni per la difesa dell'ambiente non possono più accontentarsi di discorsi teorici e pieni di buoni sentimenti, che non trovano però alcuna applicazione pratica. Attendono ora analisi precise ed esempi concreti, perché la politica è l'arte del reale, per quanto necessiti di un ideale trascendente che le dia un senso. La strategia a favore dello sviluppo sostenibile dell'industria cartaria europea è molto rappresentativa di questo modo di vedere.

2.   L'ambiente: un'opportunità economica?

2.1

Porsi questa domanda significa chiedersi, da un lato, se lo sviluppo di alcuni settori economici non sia condizionato dall'esistenza di un ambiente naturale o di un patrimonio di qualità e, dall'altro, se le tecnologie ambientali possano portare un contributo reale agli obiettivi dello sviluppo economico e sociale definiti dalla strategia di Lisbona. Significa inoltre chiedersi onestamente se le norme e i vincoli ambientali si riducano a un mero ostacolo alla crescita economica, alla competitività e quindi all'occupazione.

2.2

Le attività del turismo e del tempo libero sono manifestamente legate all'esistenza di un ambiente di qualità. Lo sviluppo economico e sociale di intere regioni, se non addirittura di interi Stati d'Europa, dipende in larga misura dal turismo. La qualità dell'ambiente è un presupposto indispensabile per l'equilibrio delle società in questione. Nei paesi deturpati, nelle città devastate da una speculazione immobiliare selvaggia, il deterioramento dell'ambiente naturale e l'inquinamento del mare provocherebbero, anzi provocano, disastri economici irrimediabili. Altrettanto vale per settori come la pesca, l'agricoltura e persino la caccia. Per quanto riguarda le ecotecnologie, gioverà chiedersi se possano essere un fattore di crescita e di innovazione e, in caso affermativo, trovare il modo di incoraggiarne lo sviluppo e la diffusione senza falsare il gioco della concorrenza in maniera ingiustificata.

2.3

Di fronte alla legittima aspirazione delle popolazioni dei paesi emergenti ad accedere a un tenore di vita paragonabile al nostro, e considerate le pressioni che verrebbero a gravare sulle risorse naturali e l'ambiente se lo sviluppo di questi paesi avvenisse nelle condizioni tecniche ed economiche attuali, appare necessaria una vera e propria rivoluzione tecnologica. Non basterebbe qualche innovazione marginale per risolvere il problema. In pratica, l'80 % della popolazione del pianeta aspira al tenore di vita di cui oggi gode solo il 20 % più ricco della popolazione mondiale. È quindi impensabile continuare a vivere nelle condizioni attuali poiché ciò si rivelerebbe catastrofico, anche se bisogna evitare di soffermarsi oltremisura sulle previsioni più pessimistiche. Alcuni fenomeni (scioglimento dei ghiacciai, minacce alla biodiversità, deforestazione, inondazioni, ecc.) costituiscono altrettanti segnali di un mutamento ambientale globale, cui concorrono cause naturali e azione umana. Gli interventi adottati per ovviare ai danni ambientali, ad esempio quelli volti a ridurre al minimo le piogge acide attraverso tecniche di eliminazione dello zolfo, hanno contribuito in modo significativo a evitare la scomparsa delle foreste europee. I tempestivi allarmi lanciati dagli ambientalisti, pur essendo alle volte esagerati, hanno spesso avuto l'effetto di obbligare il pubblico e le autorità a reagire. Tutte le parti in causa devono mostrare di avere interesse a contribuire a soluzioni equilibrate nell'ambito dell'azione preventiva a favore dell'ambiente.

2.4

Se è naturale pensare alle tecniche di produzione industriale, occorre però sottolineare che le tecniche di produzione agricola, i trasporti e i processi di produzione dell'energia hanno un impatto tutt'altro che trascurabile sull'ambiente e sulla salute pubblica: l'innovazione e le tecnologie ambientali interessano anche questi settori economici così vitali.

2.5

L'evoluzione e le trasformazioni delle scienze e delle tecniche comportano necessariamente delle conseguenze sociali. Quanto vale per le innovazioni in generale vale anche per le tecnologie ambientali, in particolare se destinate a sostituire tecnologie tradizionali ben collaudate, ma poco rispettose dell'ambiente. Bisogna fare in modo di prepararsi a «monte» a questi cambiamenti, che dovranno in particolare essere accompagnati da un impegno nel settore della formazione professionale e da un adeguamento della formazione iniziale. La tutela dell'ambiente non deve apparire come un fattore che va ad aggravare la disoccupazione e la deindustrializzazione. Occorre dunque organizzare un dialogo costante tra chi elabora le norme ambientali e i rappresentanti delle forze economiche e sociali, al fine di prevedere e misurare adeguatamente i riflessi, anche negativi, che le misure previste producono sull'attività e sull'occupazione.

2.6

Siamo quindi di fronte a una vera e propria sfida tecnologica. Grazie alle sue capacità scientifiche e tecniche, l'Europa potrebbe, se ne avesse la volontà politica, svolgere un ruolo d'avanguardia nella messa a punto di innovazioni ambientali di vasta portata. Certamente la tutela dell'ambiente ha un costo, ma il costo dell'azione non è forse, nel caso specifico, inferiore al costo dell'inazione?

3.   Cosa si intende per ecotecnologie?

3.1

In pratica si possono distinguere due tipi di tecnologie ambientali:

le tecnologie ambientali che migliorano i procedimenti tecnici e le modalità di produzione per renderli più «puliti», più «ecocompatibili». Si potrebbero citare le marmitte catalitiche, i sistemi per il filtraggio delle emissioni delle ciminiere delle fabbriche, le tecniche per migliorare la resa energetica, ecc.,

le innovazioni tecnologiche concepite fin dall'inizio in modo da rispettare l'ambiente e i principi dello sviluppo sostenibile. Ad esempio, l'energia eolica, la cogenerazione di energia elettrica e termica, le celle a combustibile, le lampadine elettriche della nuova generazione (LED), ecc.

3.1.1

Non è sempre facile tracciare il confine tra tecnologia preventiva e tecnologia correttiva. Ad esempio i principi, molto utili e pertinenti, della politica integrata dei prodotti (IPP) (1) e quelli della direttiva sulla prevenzione e la riduzione integrate dell'inquinamento (la cosiddetta direttiva «IPPC») (1) rappresentano al contempo un approccio correttivo e una preoccupazione preventiva che si iscrivono perfettamente all'interno di una strategia di sviluppo sostenibile. È chiaro che le riflessioni che si articolano intorno alla concezione dei prodotti tenendo conto dell'intero ciclo di vita di questi ultimi portano all'introduzione di tecnologie più coerenti con la volontà di assicurare uno sviluppo sostenibile.

3.2

Va sottolineato che questi due tipi di tecnologie hanno un impatto favorevole sull'ambiente e possono generare attività economiche e posti di lavoro.

3.3

Il CESE ha peraltro sottolineato a più riprese la necessità di prevedere una «ecoindustria» complessiva e di ricordare che la sfida consiste anche nel «migliorare progressivamente tutti i modi di produzione e tutti i prodotti dal punto di vista ambientale e delle risorse.» (2)

3.4

Si possono distinguere quattro tipi di tecnologie ambientali: le tecnologie di fine processo, le tecnologie integrate, le tecnologie avanzate e le innovazioni radicali (come ad esempio la chimica senza cloro). È opinione diffusa che a lungo termine le tecnologie integrate e radicali possano offrire vantaggi competitivi. La difficoltà sta nel fatto che in mercati altamente competitivi non sempre le imprese hanno la possibilità di operare scelte di lungo periodo. Propenderanno piuttosto per processi graduali, che assicurano però una diffusione su larga scala dei miglioramenti ambientali nel quadro dei loro cicli abituali d'investimenti.

3.5

Di fatto, la sempre maggiore efficacia ecologica che industria e servizi hanno conseguito e continuano a conseguire permette un miglioramento costante dell'ambiente. Tuttavia la crescita economica, in particolare nei paesi emergenti, è tale per cui, malgrado i progressi tecnologici, la pressione sull'ambiente e le risorse naturali continua ad aumentare.

4.   Gli imperativi ambientali costituiscono un ostacolo allo sviluppo?

4.1

Nel corso degli ultimi trent'anni, periodo durante il quale i fattori di crescita sono diventati più difficili da valutare rispetto al «glorioso trentennio», il miglior garante del futuro di un'impresa e, in ultima analisi, degli interessi dei suoi azionisti, è stata la sua capacità di innovare e garantire la qualità dei propri prodotti e processi produttivi nei confronti dei clienti, dell'ambiente e dei dipendenti.

4.2

Ancor prima dell'adozione delle normative ambientali, un numero crescente di imprese si è impegnato a favore dello sviluppo sostenibile, decidendo di rendere pubblicamente conto delle proprie iniziative e risultati in questo settore e facendolo sotto lo sguardo sempre più attento dei clienti, della società civile, dei mercati e dell'opinione pubblica.

4.3

Nel contesto di forte competitività creato dalla globalizzazione dell'economia, anche la qualità dell'ambiente e l'equilibrio sociale sono diventati fattori determinanti per attirare e conservare risorse umane e capitali. È dunque importante tenere conto di questi fattori nei negoziati nell'ambito dell'OMC.

4.4

Per questo si è potuto affermare che le prestazioni di un'impresa il materia di sviluppo sostenibile sono considerate sempre più come una carta vincente nella concorrenza mondiale e un'attrattiva per gli investitori.

4.5

Gli imperativi ambientali non sono quindi in generale un ostacolo alla competitività e allo sviluppo economico, come si afferma con troppa facilità. Il mercato ha già risposto a numerose sfide ambientali poste dalla legislazione, come testimoniano i requisiti introdotti in materia di qualità dell'acqua e di trattamento dei rifiuti. In questi due settori le tecnologie ambientali conoscono una crescita sostenuta. Fornendo una risposta economica a tali sfide, le imprese di servizi di tipo ambientale hanno creato e conservato posti di lavoro: ad esempio, in Francia si può stimare a 300 000 il numero di posti di lavoro generati dal settore del trattamento dei rifiuti.

4.6

La ricerca del risparmio delle risorse naturali si è tradotta in tutta una serie di innovazioni tecniche che vanno nel senso di una gestione più parsimoniosa e di una riduzione dei costi. Così, ad esempio, in questi ultimi anni l'industria cartaria ha ridotto notevolmente il consumo d'acqua. Mentre circa quindici anni fa per produrre una tonnellata di carta ne occorrevano quasi 100 metri cubi, in media ora ne servono soltanto 48 circa e i residui inquinanti sono stati ridotti pressappoco del 90 %: questo rappresenta un vantaggio sia a livello ambientale che economico.

4.7

Come è già stato osservato, le attività economiche legate al turismo e al tempo libero dipendono in larga misura dalla qualità dell'ambiente naturale e del patrimonio. In questo caso specifico, gli imperativi ambientali non sono d'ostacolo alla competitività e allo sviluppo economico: ne sono, invece, la condizione indispensabile. Il turismo rappresenta un settore essenziale per l'economia di numerosi paesi dell'Unione europea. Per fare un esempio, nel 2003 le entrate legate al turismo sono state di 41,7 miliardi di dollari per la Spagna, 36,6 per la Francia, 31,3 per l'Italia, 23 per la Germania, 19,4 per il Regno Unito, 13,6 per l'Austria, 10,7 per la Grecia. Si fa osservare che gli obiettivi ambientali possono essere in contraddizione tra loro: così ad esempio la costruzione di campi eolici può essere in contrasto con la protezione della qualità del paesaggio e dell'ambiente. Va infine ricordato che il turismo dà un contributo rilevante all'equilibrio della bilancia dei pagamenti di numerosi Stati membri, che esso crea posti di lavoro ed è un'attività che, per sua stessa natura, non può essere delocalizzato.

4.8

È tuttavia indispensabile che le norme ambientali obbediscano al principio di proporzionalità. Bisogna infatti evitare che il costo economico di una normativa sia sproporzionato rispetto ai benefici socioambientali previsti. Il Comitato si rende perfettamente conto di quanto sia difficile calcolare tali benefici: come valutare ad esempio il costo della salute umana? È evidente che dovrebbe esistere un vero equilibrio tra il costo della misura ambientale e il costo dei danni con essa evitati. Parallelamente, le procedure di attuazione della legislazione devono essere accessibili a tutte le parti. Trascurando questi aspetti si potrebbe ottenere l'effetto contrario a quello desiderato: difficoltà di applicare la legge per motivi economici e sociali e resistenza da parte dei consumatori.

4.8.1

Le imprese del settore automobilistico, che si trovano ad operare in un mercato soggetto a forti vincoli e caratterizzato dall'elevatissima pressione concorrenziale e dal comportamento dei consumatori (i quali considerano l'aspetto ambientale secondario rispetto al prezzo, al comfort e alla sicurezza), costituiscono un esempio interessante. In queste condizioni l'introduzione delle tecnologie ambientali avviene in maniera progressiva, più per miglioramenti successivi che attraverso rivoluzioni tecnologiche, ancora troppo onerose per avere un vero e proprio mercato. Tuttavia, la Prius, la vettura con sistema ibrido benzina-elettricità della Toyota, è un buon esempio di come cambino i comportamenti dei consumatori: di recente, infatti, la produzione ha dovuto essere aumentata del 50 % per far fronte alla domanda mondiale. Per quanto in termini assoluti la sua produzione rimanga relativamente marginale rispetto alla produzione automobilistica mondiale, questa reazione dei consumatori costituisce un elemento incoraggiante.

4.8.2

Il caso dei filtri per particolato rappresenta per l'appunto un esempio interessante. I motori diesel producono il 25 % di CO2 in meno rispetto ai motori a benzina, ma emettono particelle nocive per la salute. La maggiorazione di costo per il filtro per particolato è di circa 500 euro (dal 5 al 10 % del costo del veicolo, per un automobile di piccole dimensioni). Fintanto che tali filtri non saranno imposti dalla legge, i produttori potranno scegliere se proporre il filtro come optional o installarlo sistematicamente riducendo il proprio margine, mentre risultava difficile, viste le condizioni del mercato, imporre un aumento del prezzo. Di fatto, mentre in Germania il 90 % degli acquirenti optava per il filtro, nel resto d'Europa tale percentuale scendeva al 5 %. A quel punto, alcuni produttori (3) hanno deciso di offrire progressivamente il filtro in dotazione riducendo il proprio margine di profitto, ma è chiaro che non potranno farlo all'infinito, soprattutto nel contesto di una concorrenza internazionale molto intensa. Il filtro per particolato diventerà ovviamente un elemento generalizzato, ma la sua diffusione avverrà secondo un ritmo compatibile con il potere di acquisto dei clienti, in particolare per quanto riguarda i piccoli autoveicoli.

Questo esempio evidenzia chiaramente come vengono a crearsi i mercati delle tecnologie ambientali: o il consumatore/utente è sensibilizzato, per cui si rende conto che l'investimento presenta un'utilità per sé o per il proprio ambiente, oppure si fa leva su provvedimenti legislativi. Gran parte dei successi ottenuti sinora nella tutela ambientale sono riconducibili all'apposita legislazione, basti pensare al settore automobilistico (ad esempio con il catalizzatore a tre vie).

4.8.3

Esistono altre possibilità di introdurre innovazioni rispettose dell'ambiente nei settori seguenti: veicoli con avviamento elettrico, miglioramento del riciclaggio, lotta al rumore, aumento della sicurezza. La questione principale rimane quella del costo della tecnologia.

4.8.4

La conclusione che si può trarre dall'esempio del settore automobilistico è che le tecnologie ambientali si diffondono su vasta scala solo se sono economicamente valide. Ma per essere efficaci esse devono avere una diffusione massiccia. Di fatto, in un mercato fortemente competitivo l'introduzione delle ecotecnologie avverrà in modo progressivo e continuativo. Bisogna perciò realizzare studi di impatto validi e ben documentati, che tengano conto della situazione dell'ambiente e dei mercati non solo all'interno dell'Unione, ma anche sul piano internazionale.

4.8.5

Un altro esempio dell'importanza di soddisfare il principio della proporzionalità viene dai problemi delle industrie manifatturiere, come quelle metallurgiche, chimiche, cartarie, della pasta da carta e cellulosa, ecc., le quali devono misurarsi con una concorrenza globale particolarmente temibile e hanno un'interazione particolarmente stretta con l'ambiente. Stando a studi comparativi, le unità produttive di questi comparti sono in genere molto efficienti sotto il profilo ambientale, in quanto il loro impiego di materie prime e di energia e le loro emissioni sono ridotti ai minimi consentiti dalla tecnologia. In effetti, la legislazione ambientale cui sono soggette è la più rigorosa al mondo. D'altro canto, migliori risultati ambientali possono essere realizzati progressivamente, investendo nelle tecnologie più recenti e più efficienti, il che a sua volta presuppone che queste imprese siano competitive sul mercato globale. È indispensabile che migliori risultati in termini ambientali vengano richiesti in funzione dello sviluppo della tecnica e dei cicli degli investimenti di ciascun comparto. Infatti, introducendo disposizioni severe troppo presto si rischia di compromettere la competitività e quindi il proseguimento dell'attività, a causa dei costi aggiuntivi o dell'assenza di tecnologie effettivamente applicabili.

5.   Come sviluppare le tecnologie innovative?

5.1

Se per tecnologie innovative si intendono quelle tecnologie concepite fin dall'inizio in modo da combinare le preoccupazioni ambientali con il minor uso delle risorse, bisogna riconoscere che diversamente dalle tecnologie «reattive», destinate a rimediare agli effetti dell'inquinamento, in molti casi esse sono ancora in fase di avvio, se non addirittura di sperimentazione.

5.2

Si riscontrano inoltre situazioni molto diversificate. Da un lato, la tecnica dello sfruttamento dell'energia eolica, alla stessa stregua dei processi di cogenerazione di energia elettrica e termica, è ormai collaudata ed è giunta allo stadio dello sviluppo industriale grazie a un mercato sostenuto da una regolamentazione molto favorevole, ma che potrà solo essere complementare alle altre forme di produzione energetica. Dall'altro, le lampadine elettriche della nuova generazione (LED) giungono solo ora su un mercato, che può diventare promettente grazie al progresso della tecnica. Ad esempio, per l'illuminazione notturna dell'Oriental Pearl Tower di Shangai (alta 480 m) ci si avvale di questo sistema, realizzato da una PMI europea (4) con nastri di LED fabbricati da una società cinese (5). Altri processi, come i trattamenti a membrana per il risanamento delle acque, sono ancora allo stadio della ricerca. Ci sono infine altre tecnologie ancora che, pur essendo utili, vengono impiegate su scala ridotta.

5.3

Occorrono dunque strumenti atti ad affrontare questa varietà di situazioni sul piano sia dei finanziamenti che dello scambio di informazioni e del collegamento in rete; servono inoltre strumenti legislativi e fiscali. Bisogna altresì tener presente la necessità di agire con grande discernimento, individuando le ecotecnologie veramente promettenti per evitare sprechi nei finanziamenti.

5.4

I diversi strumenti finanziari, fiscali e normativi contemplabili corrispondono di fatto a diverse tappe nell'attuazione delle ecotecnologie innovative:

gli aiuti alla ricerca, gli studi di fattibilità, gli incubatori di imprese,

il capitale di rischio per la fase di avviamento,

i prestiti agevolati o classici per la fase di sviluppo,

gli incentivi fiscali per il consolidamento del mercato,

le ecotasse come deterrente all'utilizzo di tecniche poco rispettose dell'ambiente, quando si dispone di tecniche alternative, e al fine di contribuire alla ricerca ambientale.

A titolo di esempio si citeranno i carburanti di origine agricola (come il Diester), il cui prezzo di costo è superiore a quello dei prodotti petroliferi e il cui sviluppo, ad esempio, in Francia è limitato da una tassazione pesante pari a quella dei prodotti petroliferi. Se si volesse aumentarne la produzione e l'uso, bisognerebbe rivederne la tassazione oppure ricorrere a soluzioni normative per prescriverne le proporzioni di miscelazione con i carburanti classici. Si tratta in questo caso di definire l'equilibrio tra il costo economico, gli inconvenienti evitati grazie all'uso di tali carburanti e il beneficio ecologico così ottenuto.

5.5

Vanno inoltre sviluppate le reti di scambio e di informazione sulle migliori pratiche e sulle nuove tecnologie. Si tratta di un aspetto particolarmente importante sia per gli imprenditori che per i responsabili degli enti pubblici, che hanno bisogno di un ausilio valido ed efficace per il processo decisionale onde scegliere con cognizione di causa tra tecniche tradizionali e collaudate, e dunque rassicuranti, e tecniche nuove, più rispettose dell'ambiente ma meno note e meno testate.

5.6

Questo assume un'importanza particolare se si deve fare degli appalti pubblici uno strumento di diffusione e sviluppo delle ecotecnologie. Se gli appalti pubblici meritano la nostra attenzione, non dobbiamo però trascurare gli appalti privati, gestiti in maniera più flessibile e reattiva. Alcune imprese hanno già introdotto il rispetto dello sviluppo sostenibile nell'elenco dei criteri di selezione dei fornitori, adottando, appunto in materia di sviluppo sostenibile, clausole standard che vengono progressivamente integrate nei contratti con i fornitori. Hanno inoltre messo a punto corsi di formazione per educare allo sviluppo sostenibile i loro uffici acquisti.

5.7

È infine necessario utilizzare l'etichettatura ecologica e tutti i sistemi di premi e ricompense per valorizzare e promuovere l'uso delle ecotecnologie.

5.7.1

Nel 1999, su iniziativa della presidenza finlandese, era stata avviata una riflessione volta a definire una visione europea della qualità. Tale riflessione, proseguita poi per tutto il 2000 sotto la presidenza portoghese e quella francese, aveva dato luogo alla pubblicazione di un importante documento sotto l'egida dell'Organizzazione europea per la qualità. Sarebbe utile riprendere alcune delle considerazioni sviluppate allora per applicarle alle tecnologie ambientali.

6.   L'ambiente ci riguarda tutti

6.1

Fare della tutela dell'ambiente una vera e propria opportunità economica non è un'impresa riservata ai soli specialisti dell'ambiente: essa infatti rappresenta già un elemento essenziale in un settore economico importante come il turismo e le attività del tempo libero. Quanto alle ecotecnologie, la chiave del loro successo è nella creazione di un vero e proprio mercato e nella capacità di risposta delle imprese. Occorre valorizzare maggiormente le iniziative volontarie a favore delle innovazioni tecnologiche e della protezione dell'ambiente adottate dalle imprese o dagli operatori del settore.

6.2

È chiaro che se le ecotecnologie consentiranno effettivamente di ridurre i costi di produzione grazie ad un minore consumo di energia e di materie prime, migliorare l'immagine dell'impresa e dei suoi prodotti, aumentare le vendite e ridurre i costi ambientali, esse attireranno l'interesse delle imprese, che allora ne garantiranno lo sviluppo. Ma per far ciò bisogna che le imprese le conoscano e siano in grado di apprezzarne l'efficacia. Di qui la necessità di creare una vera rete di informazione e di scambio sulle migliori pratiche e sulle tecnologie ecologiche, cui potrebbero essere associate le amministrazioni pubbliche, le associazioni professionali, i centri tecnici e i centri di ricerca.

6.3

Se la mobilitazione degli imprenditori e dei professionisti è una necessità, quella dei clienti e dei consumatori lo è altrettanto: senza di loro non vi è infatti un mercato. Le ecotecnologie devono dunque apparire efficaci al grande pubblico dal punto di vista sia della tutela dell'ambiente che della produzione: altrimenti resteranno un elemento accattivante sì, ma marginale, dello sviluppo economico, che però si farà senza di loro.

6.3.1

È indispensabile che le politiche ambientali tengano conto del loro stesso impatto economico, così come le esigenze ambientali vanno integrate nelle politiche economiche. Politiche economiche e politiche ambientali devono in qualche modo interagire, in quanto il loro successo è imprescindibile dalla fattibilità economica e dagli effetti positivi sull'ambiente.

6.3.2

Allo stesso modo, le conseguenze sociali delle norme ambientali e dell'introduzione delle ecotecnologie vanno anticipate più a monte possibile, prevedendo inoltre una formazione professionale che consenta al personale che dovrà applicarle di farlo nelle migliori condizioni senza rischiare il posto di lavoro.

6.4

L'accesso dei paesi densamente popolati e a forte imprenditorialità alla modernità e alla crescita economica rende cruciale lo sviluppo di ecotecnologie efficaci su vasta scala. Si tratta di una modalità di sviluppo economico, sociale e ambientale nuova, da progettare e attuare concretamente. Grazie alle sue specifiche competenze nel settore delle ecotecnologie, l'Unione europea potrebbe diventare un partner privilegiato dei paesi emergenti e approfittare dell'opportunità di aprirsi nuovi mercati.

6.5

La ricerca e lo sviluppo delle tecnologie ambientali sono e possono diventare, ancor più di quanto non lo siano attualmente, dei fattori positivi per l'economia, come dimostrano esempi concreti dell'applicazione di tecnologie avanzate, integrate o ancora radicali. La ricerca e sviluppo in questo campo possono però anche rappresentare una necessità, poiché è in gioco il futuro del nostro mondo e nessuno ha il diritto, in coscienza, di disinteressarsene. Siamo responsabili del pianeta che lasceremo in eredità ai nostri figli.

Bruxelles, 28 ottobre 2004.

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  GU C 80 del 30.3.2004.

(2)  GU C 32 del 5.2.2004.

(3)  Ad esempio PSA e Opel.

(4)  Citélum.

(5)  Shangai Communication Technology Developments Co Ltd.


ALLEGATO

al parere del Comitato economico e sociale europeo

L'emendamento seguente è stato respinto durante il dibattito, ma ha ottenuto un numero di voti favorevoli maggiore o uguale a un quarto dei voti espressi:

Punto 1.8

Modificare come segue:

Tali Le preoccupazioni e critiche espresse da alcune parti non possono essere liquidate con leggerezza in quanto : esse non riguardano principi o politiche, bensì traducono la convinzione di alcuni operatori economici che vi sia un conflitto tra, da un lato, le esigenze della crescita economica e della creazione di posti di lavoro e le prassi attuali e, dall'altro, le preoccupazioni ambientali, che danno luogo a una regolamentazione eccessiva, la quale trascura la realtà della concorrenza economica. I problemi sembrano discendere da una sottovalutazione e da una gestione sbagliata degli strumenti, delle procedure e delle strategie di attuazione.

Esito della votazione:

Voti favorevoli: 46

Voti contrari: 71

Astensioni: 9


20.5.2005   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 120/135


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni — Modernizzare la protezione sociale per sviluppare un'assistenza sanitaria ed un'assistenza a lungo termine di qualità, accessibili e sostenibili: come sostenere le strategie nazionali grazie al metodo aperto di coordinamento

(COM(2004) 304 def.)

(2005/C 120/25)

La Commissione, in data 20 aprile 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla proposta di cui sopra.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 22 settembre 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore BRAGHIN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 28 ottobre 2004, nel corso della 412a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 104 voti favorevoli e 3 astensioni.

1.   Sintesi della comunicazione

1.1

La comunicazione in oggetto, annunciata dalla Relazione di primavera 2004  (1), mira a favorire la definizione di un quadro comune che permetta di sostenere l'impegno nazionale per la riforma e lo sviluppo dell'assistenza sanitaria e dell'assistenza a lungo termine, grazie all'applicazione del «metodo aperto di coordinamento».

1.2

La Commissione ha identificato tre orientamenti (2), approvati dal Consiglio europeo di Barcellona nel marzo 2002, che possono rappresentare un contesto in cui inserire questa riforma: l'accessibilità dell'assistenza in base a principi di universalità, equità e solidarietà; l'offerta di un'assistenza di qualità; la sostenibilità finanziaria a lungo termine dell'assistenza ed una maggiore efficienza del sistema.

1.3

La qualificazione della assistenza sanitaria come servizio ai termini del Trattato, e la constatazione della persistenza di disuguaglianze e difficoltà di accesso, di servizi di qualità talvolta insufficiente e di squilibri finanziari, hanno evidenziato la necessità di potenziare il coordinamento delle politiche nazionali per sostenere l'impegno di modernizzare e sviluppare il settore, tenendo conto dell'impatto sulla coesione sociale e sull'occupazione, e dei complessi effetti derivanti dall'invecchiamento della popolazione.

1.4

Per poter raccogliere tali sfide, la riforma dei sistemi di protezione sociale deve essere perseguita in maniera integrata e coordinata, e l'assistenza sanitaria e l'assistenza a lungo termine rappresentano uno dei settori dove è necessario applicare la «razionalizzazione» dei processi di coordinamento in tema di protezione sociale (streamlining) (3): il «metodo aperto di coordinamento» rappresenta uno strumento flessibile, rispettoso delle diverse situazioni e competenze nazionali, e dunque particolarmente adatto in questo contesto. (4)

1.5

La comunicazione individua come prossime tappe:

un accordo sugli «obiettivi comuni nel 2004», con impegno degli Stati membri a presentare, prima del prossimo vertice di primavera, delle «relazioni preliminari» sulle sfide raccolte dai rispettivi sistemi nazionali,

l'elaborazione di una prima serie di «strategie di sviluppo e di riforma» dell'assistenza sanitaria e di lunga durata, per il periodo 2006-2009, che la Commissione presenterà all'interno della Relazione congiunta sulla protezione sociale e sull'inclusione sociale prevista per il 2007,

la costituzione di un «gruppo di alto livello in materia di servizi sanitari e di assistenza medica», mirato principalmente all'elaborazione di un programma di lavoro, coordinato con i gruppi di alto livello operanti in campi affini,

l'identificazione di possibili indicatori per questi obiettivi, cui contribuiranno le «relazioni interinali» della primavera 2005, per stilare un primo quadro comparativo delle differenti situazioni nazionali e per valutarne il progresso in rapporto agli obiettivi enunciati.

2.   Considerazioni generali sulle problematiche di fondo

2.1   Fattori socioeconomici e demografici

2.1.1

Il CESE conferma il pieno sostegno, già espresso in precedenti pareri, agli obiettivi comuni per lo sviluppo dei sistemi sanitari, e precisamente:

garantire l'accesso ad una assistenza di qualità, fondata sui principi di universalità, equità e solidarietà, e prevenire il rischio di povertà o di esclusione sociale legato alla malattia, agli incidenti, all'invalidità o all'assistenza resa necessaria dall'età avanzata, sia per i beneficiari dell'assistenza che per le loro famiglie,

promuovere un'assistenza di qualità per migliorare lo stato di salute e la qualità di vita delle persone,

assicurare la sostenibilità finanziaria a lungo termine di un'assistenza accessibile a tutti e di qualità,

e condivide l'affermazione che essi costituiscono un insieme globale ed integrato, il cui sviluppo e la cui razionalizzazione richiedono un governo efficiente, fondato sull'inclusione e sulla responsabilizzazione degli attori in questione, in quanto le parti sociali e la società civile nel suo insieme devono contribuire allo sforzo di riforma.

2.1.2

Il CESE ha peraltro rilevato, anche in un recente parere di iniziativa, che la capacità dei sistemi nazionali di assistenza sanitaria di conseguire tali obiettivi dipende da una serie di fattori socio-economici e demografici che devono essere maggiormente approfonditi per comprendere la complessità del problema e per anticipare trend che potrebbero avere un effetto dirompente (5).

2.1.3

Tali fattori influiscono infatti sui bisogni e sulle risorse disponibili, attuali e future. L'obiettivo dell'efficienza dell'assistenza sanitaria si impone anche perché interagisce con le altre componenti del sistema di welfare: le sue esigenze finanziarie competono con le esigenze degli altri settori della protezione sociale e le sue disfunzioni si riverberano su di essi, e viceversa.

2.1.4

Meccanismi analoghi di competizione per le risorse e di interazione operano nell'ambito della stessa assistenza sanitaria (per esempio, nella distribuzione delle spese l'intervento razionalizzatore su un settore può avere effetti di direzione opposta in un altro settore, o l'indirizzare il personale da una tipologia di strutture ad un'altra può provocare cadute impreviste di qualità dei servizi). Tali meccanismi vanno attentamente analizzati in ogni processo di riqualificazione del sistema assistenziale.

2.1.5

Il CESE ritiene che intervenire su un aspetto del problema senza considerare le ripercussioni sugli altri, o non monitorare i trend interrelati di più settori, comporta il rischio di ottenere effetti distorcenti o di non conseguire gli obiettivi voluti. Per tale motivo auspica che sia condivisa una visione globale dei problemi, delle loro interdipendenze, delle opportunità conseguibili grazie a strategie comuni.

2.1.6

L'assistenza sanitaria ha una valenza sociale e anche psicologica molto rilevante: di fronte alla malattia, alla sofferenza e al rischio di morte il cittadino pretende la massima qualità, senza porsi il problema del rapporto costi/benefici e della sostenibilità. Ne deriva un delicato aspetto politico, in quanto il decisore pubblico deve operare una scelta di priorità e di servizi sanitari efficaci e sostenibili, scelta resa difficile da interessi categoriali e da percezioni soggettive che talvolta rendono difficile l'applicazione degli interventi di riqualificazione della domanda e dell'offerta di servizi.

2.1.7

La considerazione dei bisogni e delle aspettative della popolazione relativamente alla propria salute — che implica non solo la ricerca di una qualità di vita ma anche di una vita di qualità — deve essere presa in adeguata considerazione nella valutazione del rapporto costo-benefici e della sostenibilità finanziaria non solo per rendere più razionale e valida nel lungo periodo ogni scelta di riqualificazione dell'assistenza, ma anche per facilitare decisioni pubbliche in funzione dei reali bisogni della popolazione nel suo insieme, nonché dei malati e di chi necessita di assistenza.

2.1.8

Il CESE ribadisce che la tutela della salute è un diritto e una priorità nelle politiche comunitarie. Ritiene tuttavia che per la stessa salvaguardia di tale diritto nel lungo periodo sia necessario individuare strumenti efficaci per garantire a tutti un livello equo di prestazioni compatibili con le risorse disponibili, e operare un approfondito confronto per mettere in luce quali bisogni e quali attese della popolazione siano giustificati in campo sanitario, e quali meccanismi di responsabilizzazione degli attori favoriscano l'utilizzo appropriato delle risorse e l'efficienza del sistema sanitario, e quindi ne permettano un finanziamento sostenibile.

2.2   Invecchiamento demografico e nuova epidemiologia

2.2.1

L'invecchiamento demografico non significa unicamente un incremento della popolazione di oltre 65 anni (ancor più accelerato per gli ultraottantenni) seguito spesso anche se non necessariamente da un aumento delle patologie plurime che può tradursi in un moltiplicarsi delle cure o comunque in un trattamento più olistico degli interessati. L'invecchiamento demografico comporta infatti anche un certo numero di problemi connessi, che talvolta sono trascurati e vanno invece affrontati:

il cambiamento della «piramide demografica», in assenza di interventi sull'età pensionabile, comporterà un rapporto più sfavorevole tra contributori (cioè la popolazione in età lavorativa) e utilizzatori di servizi non solo sanitari (in particolare la popolazione anziana): pertanto un problema prioritario è quello di trovare nuove soluzioni per riorientare e a«ccumulare» risorse specifiche per garantire servizi idonei alla popolazione non autosufficiente (6) (prevalentemente quella più anziana), senza sottrarre risorse ad altri pilastri della protezione sociale,

cambia anche la tipologia della malattia, e non solo la frequenza della sua insorgenza: le patologie delle età più avanzate spesso non conoscono guarigione ma possono avere comunque notevoli benefici da percorsi di cura di medio e lungo periodo, con interventi medici e chirurgici mirati ad alleviarne gli effetti negativi pur senza poter ripristinare lo stato di salute precedente. Questo implica un diverso approccio medico, in grado di integrare «treatment» e «care» — che coinvolge la ricerca, i prodotti farmaceutici, i mezzi diagnostici, le tecnologie di intervento: si deve infatti passare dall'approccio «acuto» al «cronico» (il che implica una gestione dei problemi medici che dà buoni risultati nel lungo periodo, pur non potendo risolvere i problemi stessi),

sul piano epidemiologico si assiste ad un progressivo incremento delle malattie di natura cronica o di lungo periodo, legate anche all'efficacia degli interventi sanitari che, pur non garantendo guarigione, consentono tuttavia un sostanziale allungamento della speranza di vita: ne consegue una crescente insorgenza di disabilità sia fisiche che mentali, in particolare di traumatismi e di malattie neuro-degenerative che richiedono una maggiore integrazione tra interventi sanitari e sociali per essere affrontate, e che comportano un notevole carico di cura per la famiglia (7),

il concetto di «salute» non può limitarsi alla componente fisica, ma deve prendere in considerazione anche gli aspetti psichici e sociali, come già evidenziato nella definizione dell'OMS (8) (questo implica la valutazione del contesto in cui la persona anziana è inserita, e della soddisfazione delle altre sue necessità, quali la sicurezza, gli affetti e i contatti sociali, l'autostima e l'autorealizzazione, ecc.).

2.2.2

La filiera dell'assistenza, consolidata in periodi storici con struttura demografica e sistema di bisogni diverso, deve essere ripensata contrastando la rigidità e l'inerzia al cambiamento che caratterizzano strutture organizzative, ruoli professionali e atteggiamenti culturali. Il CESE ritiene che questo possa essere realizzato partendo dall'analisi dello stato e dei bisogni di salute della popolazione, fortemente differenziati sia tra Stati membri che all'interno di ciascuno di essi, e anticipando i mutamenti demografici rispetto alla realtà attuale sicuramente destinati ad accentuarsi, ma tuttavia ampiamente prevedibili.

2.2.3

Vanno sviluppate inoltre soluzioni per meglio governare il rapporto tra domanda e offerta di servizi, qualificando l'accessibilità alle prestazioni, l'accoglienza della domanda, aiutando i soggetti deboli nella fruizione delle risposte, garantendo valutazione integrata dei bisogni e progetti personalizzati di intervento, in un quadro di continuità assistenziale e di valutazione sistematica dei risultati. Il metodo aperto di coordinamento dovrebbe comprendere anche tali aspetti e favorire di conseguenza approcci più omogenei e meccanismi rafforzati di coesione sociale.

2.2.4

Il secondo aspetto dei cambiamenti demografici citati nella comunicazione, cioè le trasformazioni delle famiglie e l'incremento del tasso di occupazione femminile, comportano una minore capacità di cure informali a carico delle famiglie. Questa realtà richiede un ripensamento delle modalità di assistenza a domicilio: essa non può essere affidata solo a prestatori professionali di servizi, da un lato per il costo e la difficoltà di reclutamento del personale, dall'altro per la perdita della copertura assistenziale sulle 24 ore e in molti casi di una assistenza «a misura d'uomo». Occorre pertanto un ripensamento delle politiche di sostegno per l'assistenza in famiglia, anche attraverso meccanismi retributivi per chi la presta, nonché un sostegno per garantire condizioni abitative, servizi di trasporto e altri servizi che la favoriscano.

2.2.5

Le cure domiciliari sono attualmente garantite, in forma molto differenziata, da autorità nazionali e locali, strutture e meccanismi assicurativi e di mutualità, organismi e associazioni di servizi alla persona. In generale, si constata che esse non sono ancora abbastanza sviluppate nei diversi paesi, e vanno meglio qualificate per tener conto della diversa natura dei bisogni derivanti dal crescente peso epidemiologico delle demenze, delle patologie neurovascolari, e più in generale delle polipatologie con perdita di autosufficienza, che dopo i 75 anni interessano almeno il 30 % delle persone anziane.

2.2.6

Il CESE suggerisce che vengano confrontate e approfondite le esperienze già in corso in alcuni Stati membri, in cui si sostengono in forme articolate i prestatori di assistenza informale (per esempio, attraverso sgravi fiscali, diritto alla pensione e alle assicurazioni sociali per i prestatori di assistenza, diritti al congedo dal lavoro, offerta di sostituti nei periodi di riposo, accesso ai centri diurni, ecc. (9)).

2.2.7

Soluzioni di questo genere si prospettano più economiche per l'ente erogatore e più soddisfacenti per l'assistito anziano, in quanto consentono di integrare risorse professionali e risorse solidaristiche, con una sostanziale riduzione dei costi dell'assistenza. Creano, in altri termini, una situazione win-win: a parità di bisogno, infatti, tali costi sono ben più alti nel caso di un'assistenza erogata nelle sole strutture residenziali, mentre viene tutelata l'assistenza informale che sarebbe comunque prestata.

2.3   Occupazione

2.3.1

Il settore dell'assistenza sanitaria e quello dell'assistenza a lungo termine rappresentano una percentuale significativa dell'occupazione complessiva nell'Unione e anche il secondo settore creatore di occupazione, con 1,7 milioni di nuovi posti di lavoro creati nell'UE-15 tra il 1997 e il 2002. Malgrado ciò, si prospetta una grave crisi professionale legata all'invecchiamento degli addetti e alla qualità delle prestazioni offerte.

2.3.2

La struttura professionale deve essere ripensata nei processi formativi e nella educazione permanente per rispondere ai nuovi bisogni emergenti, se si vuole garantire non solo la qualità dell'assistenza ma anche la permanenza in attività del personale impegnato:

il personale medico deve essere formato ad un approccio diverso, che tenga conto della multifattorialità della salute dell'anziano e non solo dei sintomi ed interventi in acuto, e in questo senso va sviluppata la formazione in geriatria,

il personale infermieristico deve acquisire caratteristiche coerenti con la tipologia della struttura in cui opera, cioè i diversi livelli della filiera di assistenza (servizi di terapia intensiva, di cure ospedaliere, di cure primarie, di cure a lungo termine, di assistenza domiciliare ecc.),

il personale di assistenza in generale deve arricchire la sua formazione professionale per allargare l'orizzonte dai servizi sociali ai servizi socio-sanitari destinati a persone anziane più o meno autosufficienti, ma con bisogni e dignità da rispettare,

la coesione sociale implica situazioni dai confini incerti tra assistenza sanitaria e assistenza sociale: le figure professionali richieste dovranno anche in questo caso essere ripensate per una popolazione di struttura e composizione molto diversa dall'attuale.

2.3.3

Il CESE ritiene che, oltre a sviluppare la formazione dei diversi tipi di operatori nel senso sopra indicato, vadano sviluppate nuove capacità quali in particolare:

raccogliere, dare, scambiare informazioni, operando in rete e sfruttando le nuove tecnologie informatiche,

lavorare in gruppo, e quindi con competenze nella comunicazione e negli stili comunicativi interprofessionali e interistituzionali,

lavorare in un'ottica di prevenzione e di promozione di nuovi approcci più appropriati ai bisogni emergenti,

lavorare per progetti di assistenza mirati a fasce specifiche di popolazione, superando gli angusti confini disciplinari tradizionali,

cogliere la dimensione economica del proprio lavoro e valutare i risultati conseguiti nell'ottica del servizio reso, per meglio governare le risorse destinate a tali servizi.

2.3.4

Il CESE caldeggia l'utilizzo del Fondo sociale europeo per processi formativi e al fine di adeguare la qualità dell'occupazione nei settori dell'assistenza sanitaria e dell'assistenza a lungo termine, di prevenire ritiri prematuri e di incrementare la qualità, la flessibilità e quindi l'efficienza della filiera assistenziale. Questo approccio è particolarmente importante per i nuovi Stati membri, in cui il processo di modernizzazione è più profondo e rapido, e in cui le esigenze di formazione professionale sono di conseguenza più acute.

2.3.5

Per conseguire risultati efficienti va ripensato inoltre in chiave positiva il concorso di pubblico e privato: esso deve essere attivamente cercato non solo per evitare una concorrenza tra prestatori di servizi di fronte ad una popolazione attiva che si prospetta relativamente sempre meno numerosa sul totale della popolazione (con rischi conseguenti di strozzature a livello del personale o di costo eccessivo dello stesso), ma anche per inserire appieno nei sistemi assistenziali sia aspetti di efficienza sia l'attenzione ai bisogni, che oggi sembrano appannaggio dell'uno o dell'altro settore piuttosto che presenti in entrambi.

2.4   Sostenibilità finanziaria

2.4.1

Continuare ad offrire un'assistenza accessibile e di qualità, senza ridurre il finanziamento di altri settori o politiche prioritarie, è una sfida importante per tutti gli Stati membri, attuali e di nuova adesione: questo implica un approccio attento sia alle dinamiche di lungo periodo, sia agli interventi che riguardano insieme la domanda e l'offerta (interventi su uno solo di questi aspetti non si sono dimostrati efficaci in termini di contenimento dei costi nel medio periodo).

2.4.1.1

I vincoli di spesa, derivanti anche dal patto di stabilità, non rendono generalmente possibile un incremento della spesa assistenziale proporzionale all'incremento della domanda sociale. Sono tuttavia possibili consistenti miglioramenti riqualificando l'offerta attuale con prestazioni di cui sia comprovata l'efficacia, e contrastando consumi non giustificati di prestazioni sanitarie. Una politica sanitaria efficiente implica inoltre un ripensamento delle interazioni tra assistenza sanitaria e assistenza sociale al fine di individuare strutture, processi di trattamento e tipologie di prestazioni professionali più adeguate al contesto attuale e futuro nonché ai bisogni della popolazione.

2.4.1.2

Vari approcci sono stati sperimentati per tenere sotto controllo tale incremento: questi vanno dalle misure volte a trasferire parte dei costi sugli utenti (il che serve non solo a trasferire gli oneri del finanziamento verso i privati, ma anche a limitare la domanda di servizi) al controllo dei prezzi e dei volumi sia sul lato della domanda che sul lato dell'offerta, dalle riforme volte a incoraggiare l'uso efficiente delle risorse allo spostamento di risorse dalle cure ospedaliere e assistenziali a quelle domiciliari.

2.4.1.3

L'auspicata applicazione del «metodo aperto di coordinamento» in questa analisi permetterà di valutare quali di queste misure si sono dimostrate più efficaci, e quale mix di misure si può dimostrare più valido, fondandosi su più appropriate conoscenze delle variegate condizioni di partenza e dell'impatto prevedibile negli altri comparti del sistema di protezione sociale.

2.4.2

Le politiche di prevenzione sono sicuramente importanti e necessarie, ma purtroppo spesso trascurate. Un piano concreto di misure di prevenzione, preferibilmente di largo respiro e basato su strumenti di portata globale, dovrebbe diventare una leva primaria nell'ambito delle annunciate «strategie di sviluppo e di riforma» dell'assistenza sanitaria e di lunga durata. Le varie misure di prevenzione possibili, in particolare quelle già sperimentate a livello nazionale, andrebbero verificate nell'esercizio del «metodo aperto di coordinamento», e sottoposte ad un'analisi approfondita per pervenire ad azioni concrete. Il CESE è consapevole della difficoltà di realizzare tale prevenzione: questa implica infatti una coerenza di politiche che è ancora lungi dall'essere attuata nonché progetti per educare la popolazione a stili di vita diversi (comprese un'alimentazione più sana e attività fisiche e mentali più intense e vivaci), per coinvolgere le fasce di popolazione più soggette a fattori di rischio e più deboli sul piano socioeconomico, e per giungere a modalità di lavoro più salubri. È ovvio che la realizzazione di tali progetti comporta notevoli e consapevoli sforzi, tempi lunghi e risultati comunque incerti.

2.4.3

La differenziazione della spesa in funzione della filiera assistenziale e delle relative modalità di ingresso e di trattamento al loro interno è una auspicabile forma di razionalizzazione, ed ogni investimento che renda tale filiera più rispondente ai bisogni, o favorisca la sua modernizzazione, deve essere visto come un mezzo per rendere la spesa per l'assistenza sostenibile nel lungo periodo. Talvolta invece questo genere di investimenti viene sacrificato per esigenze finanziarie congiunturali. Il CESE ritiene che vadano affiancati investimenti per razionalizzare la filiera assistenziale e interventi sia sulla domanda (modalità di interventi specialistici, plafond di prestazioni oltre i quali il costo è a carico del privato, ticket, ecc.) sia sull'offerta (tipologia delle strutture sanitarie, costo di tecnologie e farmaci innovativi, il cui rapporto costo/benefici non è spesso evidente, procedure e modalità di presa a carico, responsabilizzazione degli operatori sanitari sui costi sanitari, ecc.).

2.4.3.1

La struttura e le modalità di funzionamento della filiera, nonché la mobilità da un segmento all'altro, vanno attentamente analizzate per verificare se la loro articolazione e il loro funzionamento sono realmente efficaci ed efficienti: questo dovrebbe essere uno dei temi prioritari del «metodo aperto di coordinamento».

2.4.3.2

I nuovi Stati membri stanno intensamente operando per modernizzare i loro sistemi di assistenza sanitaria, e il CESE caldeggia l'utilizzo dei fondi strutturali, in particolare il FESR e il Fondo di coesione, al fine di aiutare lo sviluppo di infrastrutture e di strutture assistenziali. Ritiene inoltre che la valutazione dell'esperienza vissuta, attraverso il «metodo aperto di coordinamento», possa essere particolarmente utile per i nuovi Stati membri, onde evitare che si proiettino verso modelli che rischiano di diventare rapidamente obsoleti.

2.4.4

Il coordinamento rafforzato tra prestatori di servizi che operano ora isolatamente (servizi di terapia intensiva, cure primarie, servizi sociali), quale suggerito nella comunicazione, è sicuramente opportuno, in quanto le persone non autosufficienti generalmente hanno bisogno di una pluralità di prestazioni assistenziali, mediche e non: una positiva collaborazione tra famiglie, operatori addetti all'assistenza e personale medico garantisce risultati migliori e minore dispendio di risorse. Il CESE auspica che sia dato un chiaro mandato al riguardo al «gruppo di alto livello in materia di servizi sanitari e di assistenza medica» recentemente istituito, fissando tra i suoi compiti istituzionali anche quello di proporre modalità operative concrete per realizzare tale coordinamento.

2.4.5

L'innovazione tecnologica e i comportamenti più attenti dei pazienti hanno sicuramente un impatto potenzialmente positivo sulla spesa, in quanto permettono di curare in modo meno costoso specifiche patologie o di rallentarne l'insorgenza; nello stesso tempo però essi inducono nuovi bisogni la cui soddisfazione diventa ipso facto un diritto, con la conseguenza dell'abbandono di approcci diagnostici e terapeutici consolidati, di costo inferiore e generalmente adeguati. Se questi processi innovativi non verranno indirizzati ad un approccio più efficace nella cura specifica degli anziani, l'effetto a lungo termine dell'innovazione potrebbe essere più negativo che positivo sul bilancio dell'assistenza sanitaria. La pressione della parte di popolazione più istruita e attenta ai bisogni di salute potrebbe indurre un declino ulteriore delle prestazioni previste per la parte più debole della popolazione, quella che già ora soffre di un accesso ridotto all'assistenza sanitaria.

3.   Osservazioni particolari sugli strumenti operativi

3.1

Il CESE, vista l'impossibilità legale di una politica comunitaria relativa all'assistenza sanitaria e a lungo termine, sostiene la primaria importanza del «metodo aperto di coordinamento» come strumento per perseguire in modo efficace gli obiettivi di modernizzazione e di sviluppo di un'assistenza sanitaria e di un'assistenza a lungo termine di qualità, accessibile e sostenibile, e per garantire la tutela della salute pubblica pur in contesti differenziati e soggetti a crescenti pressioni e sfide.

3.1.1

L'analisi e lo scambio di esperienze dovrebbero concentrarsi:

sull'articolazione e sulla struttura interna dei sistemi e delle istituzioni di cura (dall'assistenza medica primaria a quella di lungo periodo nonché all'assistenza domiciliare),

sulle modalità e i tempi di accesso, nonché sulla mobilità da una struttura all'altra,

sui processi interni e sugli output (monitoraggio e valutazione di qualità delle prestazioni del sistema),

sui volumi e sulla tipologia dei servizi resi, e in particolare sull'utilizzazione delle nuove tecnologie e il loro impegno razionale,

sui mezzi utilizzati per perseguire un uso più efficiente delle risorse e sui meccanismi di controllo dei costi rivelatisi più efficaci,

sulla partecipazione del personale medico e degli operatori dei settori sanitari e assistenziali alla gestione delle risorse,

sul rispetto dei diritti dei pazienti, nonché sul loro accesso ad informazioni adeguate, alle opzioni terapeutiche e alle cartelle cliniche,

sul rispetto della trasparenza relativa ai servizi.

3.2

La realizzazione di tale «metodo aperto di coordinamento» implica l'individuazione di una serie di indicatori che permettano di coprire le attuali carenze cognitive e nello stesso tempo di prendere in considerazione le situazioni esistenti e le dinamiche macrosociali che incidono sul sistema di assistenza sanitaria e di quella a lungo termine in particolare. Tale set di indicatori deve integrare gli aspetti strutturali (filiera dell'assistenza, dotazione di attrezzature e di personale e relativa formazione ed esperienza, ecc.), gli aspetti inerenti la qualità del processo di cura (modalità con cui sono prestati i servizi ed effettuati gli interventi, guideline operative, norme e prassi mediche, salvaguardia dei diritti dei pazienti, ecc.) e infine gli aspetti relativi alla qualità degli esiti specifici dell'assistenza, in funzione della sua tipologia e delle attese sociali relative.

3.2.1

Si dovrà compiere uno sforzo particolare affinché tali indicatori permettano in modo specifico l'osservazione e la valutazione delle dinamiche relative agli anziani e all'assistenza loro prestata, aspetto carente negli indicatori attualmente utilizzati o individuati. Parallelamente all'individuazione degli indicatori, si dovrà procedere a un chiarimento degli obiettivi comuni. Nel frattempo, sarebbe comunque utile esaminare i dati già forniti da fonti come l'OMS, l'OCSE e il progetto ECHI (indicatori della salute della Comunità europea). Bisognerebbe altresì tener conto delle nuove statistiche comunitarie sul reddito e sulle condizioni di vita (EU-SILC) che dovrebbero rendersi disponibili nel 2004.

3.3

Le «tappe prossime» proposte nella comunicazione toccano aspetti molto rilevanti del problema, ed aprono l'osservazione a campi di grande interesse. Peraltro le proposte risultano generali e quindi rischiano di essere generiche e di non portare a significativi passi avanti nel metodo aperto di coordinamento.

3.3.1

Il CESE auspica che siano individuati più concreti «obiettivi comuni», a condizione che questi non siano esageratamente prescrittivi e non interferiscano negativamente con l'organizzazione dei sistemi nazionali, e che le previste relazioni preliminari diventino uno strumento utile senza tuttavia comportare costi amministrativi supplementari o carichi eccessivi per le limitate capacità dei nuovi Stati membri.

3.4

Il CESE auspica pertanto che quanto prima la Commissione:

dia una precisa definizione di termini quali protezione sociale, previdenza sociale, assistenza sanitaria, assistenza sociosanitaria, assistenza domiciliare e altri che ricorrono nella comunicazione, che non sempre hanno il medesimo significato nei vari Stati membri in conseguenza della loro tradizione storica e delle modalità di realizzazione dei sistemi di welfare,

proponga un modello concreto per la predisposizione delle «relazioni preliminari», in modo che le informazioni contenute coprano gli stessi argomenti, siano comparabili e non si riferiscano all'intera gamma di obiettivi parziali bensì agli strumenti più adeguati per identificare e illustrare le principali sfide raccolte e gli orientamenti delle politiche a livello nazionale,

istituisca un gruppo di esperti (valorizzando i contributi di istituzioni ed organismi specializzati nazionali che già hanno operato nel campo) per definire gli indicatori specifici per il tipo di assistenza a lungo termine da ricercare per conseguire una efficace misura dei trend macrosociali e macroeconomici che influiscono sull'assistenza sanitaria e sull'assistenza a lungo termine; tali indicatori dovranno essere in grado di valutare i vari aspetti in una visione globale, e in particolare di valutarne l'impatto predittivo,

sviluppi un «modello europeo di valutazione di impatto sociosanitario», basato su indici tripolari di investimento-finanziamento (input), di organizzazione delle risposte (output) e di efficacia delle azioni (outcome), così da poter rappresentare, con indicatori affidabili, i livelli di welfare conseguiti nei diversi paesi (10),

affronti il problema delle differenze di genere tenendo in considerazione il fatto che le donne vivono oltre 5 anni più degli uomini, e questo, sommandosi alle caratteristiche biologiche e fisiologiche proprie del genere, determina una differenza rilevante in termini di bisogni di salute da soddisfare,

faciliti l'elaborazione congiunta di linee guida di assistenza sanitaria che non si limitino agli aspetti delle cure farmacologiche, ma prendano in considerazione anche altri aspetti sociali ed organizzativi, divenendo punto di riferimento per gli operatori dei vari sistemi sanitari.

3.5

Particolarmente importante e urgente è promuovere azioni finalizzate alla qualificazione di operatori e professionisti, sviluppando con idonee azioni formative l'area di professionalità comune alle professioni sanitarie e a quelle sociali che svolgono lavoro di cura: questo comporta una preparazione su aspetti non meramente tecnici e l'acquisizione di nuove capacità, come per esempio la gestione dell'informazione specie su reti informatiche e il governo della spesa in una logica a largo raggio. Tali nuovi modelli formativi dovrebbero essere sostenuti e stimolati dall'azione comunitaria per fare tesoro delle esperienze scambiate nel «metodo aperto di coordinamento».

Bruxelles, 28 ottobre 2004.

La Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Anne-Marie SIGMUND


(1)  Promuovere le riforme di Lisbona nell'Unione allargata, COM(2004) 29 def.

(2)  COM(2001) 723 def.

(3)  Il CESE si è già pronunciato a favore di tale razionalizzazione dei processi nel parere in GU C 32 del 5.2.2004 - relatore BEIRNAERT.

(4)  Comunicazione della Commissione Rafforzamento della dimensione sociale della strategia di Lisbona: razionalizzazione del coordinamento nel campo della protezione sociale COM(2003) 261 def.

(5)  Parere CESE su «L'assistenza sanitaria» – GU C 234 del 30.9.2003 – relatore BEDOSSA.

(6)  Si utilizza la terminologia dell'OMS, che definisce la persona non autosufficiente quella con parziale o totale incapacità di svolgere funzioni autonome a livello organico, cognitivo, comportamentale, a livello interpersonale o di interazione con l'ambiente (cfr. International Classification of Functioning, Disability and Health, 2001 (ICF)).

(7)  Le persone non autosufficienti in Europa sono circa 60 milioni, e diverranno 75 milioni nel 2003 (fonte: Eurostat, La situation sociale dans l'Union européenne 2003, Commissione europea, DG Occupazione e affari sociali, 2003).

(8)  Si veda la International Classification of Functioning, Disability and Health, 2001 (ICF), cit.

(9)  Si veda in particolare la relazione comune Servizi sanitari e assistenza agli anziani: strategie nazionali di sostegno per assicurare un livello elevato di protezione sociale, comunicazione della Commissione COM(2002) 774 del 3 gennaio 2003, pag. 11.

(10)  Vedi parere CESE : GU C 80 del 30.3.2004, punto 4.5.2 – relatore JAHIER.