ISSN 1725-2466

Gazzetta ufficiale

dell'Unione europea

C 241

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Edizione in lingua italiana

Comunicazioni e informazioni

47o anno
28 settembre 2004


Numero d'informazione

Sommario

pagina

 

II   Atti preparatori

 

Comitato economico e sociale europeo
409a sessione plenaria del 2 e 3 giugno 2004

2004/C 241/1

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (Roma II) (COM(2003) 427 def. – 2003/0168 (COD))

1

2004/C 241/2

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni: Rafforzare l'industria farmaceutica stabilita in Europa a vantaggio dei pazienti — Un invito ad agire (COM(2003) 383 def.)

7

2004/C 241/3

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la decisione 1999/784/CE del Consiglio relativa alla partecipazione della Comunità all'Osservatorio europeo dell'audiovisivo (COM(2003) 763 def. - 2003/0293 (COD))

15

2004/C 241/4

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce orientamenti per le reti transeuropee nel settore dell'energia e abroga le decisioni 96/391/CE e 1229/2003/CE (COM(2003) 742 def. - 2003/0297 (COD))

17

2004/C 241/5

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'emanazione di talune norme comuni in materia di trasporti di merci su strada (versione codificata) (COM(2004) 47 def. – 2004/0017 (COD))

19

2004/C 241/6

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio (COM(2004) 127 def. - 2004/0045 (COD))

20

2004/C 241/7

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio (CE) n. 1268/1999 relativo al sostegno comunitario per misure di preadesione a favore dell'agricoltura e dello sviluppo rurale da attuare nei paesi candidati dell'Europa centrale e orientale nel periodo precedente all'adesione (COM(2004) 163 def. - 2004/0054 (CNS))

21

2004/C 241/8

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai prodotti alimentari destinati ad un'alimentazione particolare (versione codificata) (COM(2004) 290 def. - 2004/0090 (COD))

23

2004/C 241/9

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni che definisce gli orientamenti per la seconda fase dell'iniziativa comunitaria EQUAL relativa alla cooperazione transnazionale per promuovere nuovi mezzi di lotta contro tutte le forme di discriminazione e di disparità connesse al mercato del lavoro Libera circolazione delle buone idee (COM(2003) 840 def.)

24

2004/C 241/0

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Consiglio che istituisce il Fondo europeo per i rifugiati per il periodo 2005-2010 (COM(2004) 102 def. – 2004/0032 (CNS))

27

2004/C 241/1

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle condizioni di accesso alle reti di trasporto del gas (COM(2003) 741 def. - 2003/0302 (COD))

31

2004/C 241/2

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Integrazione regionale e sviluppo sostenibile

34

2004/C 241/3

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che attua il principio della parità di trattamento tra donne e uomini per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura (COM(2003) 657 def. - 2003/0265 (CNS))

41

2004/C 241/4

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo incentivare le tecnologie per lo sviluppo sostenibile: piano d'azione per le tecnologie ambientali nell'Unione europea (COM(2004) 38 def.)

44

2004/C 241/5

Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il dialogo transatlantico — come migliorare le relazioni transatlantiche

49

2004/C 241/6

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 1999/62/CE relativa alla tassazione a carico di autoveicoli pesanti adibiti al trasporto di merci su strada per l'uso di alcune infrastrutture (COM(2003) 448 def. - 2003/0175 (COD))

58

2004/C 241/7

Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle norme minime per l'applicazione della direttiva 2002/15/CE e dei regolamenti (CEE) n. 3820/85 e n. 3821/85 del Consiglio relativi a disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada (COM(2003) 628 def. - 2003/0255 (COD))

65

IT

 


II Atti preparatori

Comitato economico e sociale europeo 409a sessione plenaria del 2 e 3 giugno 2004

28.9.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 241/1


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (Roma II)

(COM(2003) 427 def. – 2003/0168 (COD))

(2004/C 241/01)

Il Consiglio, in data 8 settembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico sociale europeo in merito alla

Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio sulla legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali (Roma II).

La sezione specializzata Mercato unico, produzione consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 maggio 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore Frank von FÜRSTENWERTH.

Il Comitato economico sociale europeo, in data 2 giugno 2004, nel corso della 409a sessione plenaria ha adottato il seguente parere con 168 voti favorevoli e 8 astensioni.

1.   Sintesi delle conclusioni

1.1

Il Comitato economico e sociale europeo accoglie con favore la proposta della Commissione di disciplinare le norme di conflitto di leggi relative alle obbligazioni extracontrattuali mediante un regolamento europeo. Si colma in tal modo una lacuna che fino a questo momento ha sensibilmente influenzato, in senso negativo, lo sviluppo di uno spazio giuridico europeo unico.

1.2

Il Comitato incoraggia la Commissione e allo stesso tempo la invita a portare a termine il progetto il più rapidamente possibile, tenendo conto delle proposte di modifica e di miglioramento esposte in dettaglio al punto 9, in modo che il regolamento possa entrare in vigore.

1.3

Il Comitato apprezza l'impegno della Commissione volto a eliminare, attraverso una completa armonizzazione, l'esistente frammentazione giuridica nel campo importante del diritto privato internazionale delle obbligazioni extracontrattuali. Ciò semplifica in misura decisamente apprezzabile le cose per gli utenti del diritto. Infatti, invece di doversi accertare ogni volta, nei casi di portata internazionale, in primo luogo di quale sia la norma di conflitto applicabile e verificarne poi il contenuto, diverso almeno nei dettagli da Stato membro a Stato membro, essi potranno in futuro partire dal presupposto che vi è un unico complesso di norme, che risulta identico in tutti gli Stati membri grazie alla diretta applicabilità del regolamento.

2.   Introduzione: motivazione dell'iniziativa

2.1

Attraverso il regolamento la Commissione intende istituire per la prima volta nell'Unione europea delle norme di conflitto uniche in materia di obbligazioni extracontrattuali. Norme uniche esistono già dal 1980 per le obbligazioni contrattuali, in quanto la maggioranza degli Stati dell'Europa occidentale all'epoca decise di stipulare la convenzione sulle obbligazioni contrattuali. In seguito altri Stati hanno aderito all'accordo. All'epoca si scelse la forma dell'accordo multilaterale perché in quel momento il Trattato che istituisce la Comunità economica europea, diversamente da oggi, non conteneva alcuna base giuridica per emanare uno strumento di diritto comunitario adeguato. Le norme di conflitto delle obbligazioni extracontrattuali sono tuttora soggette alle normative autonome dei singoli Stati membri, che, anche se spesso si basano su una interpretazione comune della materia, si differenziano tuttavia nettamente almeno nei dettagli e hanno acquisito un diverso carattere non da ultimo per opera della giurisprudenza e della dottrina nazionale. Per l'utente del diritto ne derivano molteplici problemi che vanno dalla difficoltà di accesso alle norme e di comprensione della lingua alla necessità di muoversi in una cultura giuridica estranea e all'interpretazione delle leggi da parte della giurisprudenza e della dottrina nazionale. A causa della loro stretta correlazione - tanto il diritto delle obbligazioni contrattuali come quello delle obbligazioni extracontrattuali fanno parte del diritto delle obbligazioni -, le disposizioni della convenzione sulle obbligazioni contrattuali, per quanto la sua conclusione abbia rappresentato un grande progresso, sono sempre state percepite come incomplete in quanto mancava loro la componente complementare relativa al diritto delle obbligazioni extracontrattuali. L'armonizzazione delle norme di conflitto delle obbligazioni extracontrattuali fa prevedere notevoli progressi rispetto alla situazione che si registra oggi nella Comunità per quanto riguarda la certezza e la prevedibilità delle decisioni sul diritto sostanziale applicabile. Naturalmente per gli utenti del diritto sarebbe ancora più vantaggioso se gli strumenti di Roma I e II fossero riuniti in un unico strumento giuridico. Il Comitato non ignora ovviamente che, dato lo stato completamente diverso delle procedure relative ai due progetti una tale prospettiva rimane per adesso una pura illusione e che è prioritario avere il più presto possibile un sistema funzionante delle obbligazioni extracontrattuali. Il Comitato si rammarica per il fatto che il previsto strumento giuridico non sarà direttamente applicabile in Danimarca a causa della riserva espressa da tale paese rispetto al Titolo IV del Trattato CE (anche se vi sarà la possibilità di applicare tale strumento su base volontaria) e non permetterà quindi l'effetto di una piena armonizzazione. Il Comitato apprezza la dichiarazione del Regno Unito e dell'Irlanda che intendono applicare questo strumento giuridico.

2.2   Gli antecedenti giuridici

2.2.1

Il regolamento va visto in un ampio contesto di attività legislative della Commissione, già realizzate, in programma oppure in corso. Il Comitato ha avuto a più riprese l'opportunità di pronunciarsi sulle singole proposte della Commissione.

2.2.2

In primo luogo vanno menzionate le attività nel campo delle norme di procedura civile, in particolare

la trasformazione della convenzione di Bruxelles del 1968 in regolamento (1),

la proposta di regolamento del Consiglio che istituisce il titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati (2),

il regolamento relativo alla notificazione e alla comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale (3),

il regolamento relativo alla cooperazione fra le autorità giudiziarie degli Stati membri nel settore dell'assunzione delle prove in materia civile o commerciale (4),

la raccomandazione riguardante i principi applicabili agli organi responsabili per la risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo (5),

la decisione relativa all'istituzione di una rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale (6).

2.2.3

Vanno inoltre ricordati i lavori nel campo del diritto civile sostanziale, in particolare:

la comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo dell'11 luglio 2001 sul diritto contrattuale europeo (7),

la direttiva relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di credito al consumo (8),

la direttiva concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori (9).

2.2.4

La proposta di regolamento è in stretto rapporto con i lavori della Commissione nel settore del conflitto di norme sostanziali, che la Commissione ha intrapreso con la pubblicazione del Libro verde sulla trasformazione della convenzione sulle obbligazioni contrattuali in strumento giuridico comunitario (10). Il Regolamento Roma II è complementare al regolamento Roma I proposto nel Libro verde e ne costituisce il naturale completamento.

2.2.5

Tutte queste iniziative sono dirette a creare uno spazio giuridico europeo, vale a dire un quadro giuridico che permetta a tutti gli operatori economici di usare in modo più semplice e con minori difficoltà il mercato unico europeo, a innalzare il livello di certezza giuridica, a facilitare l'applicazione delle norme da parte dei tribunali e ad agevolare l'accesso dei cittadini alla giustizia.

3.   Base giuridica

3.1

Il regolamento è inteso a unificare le norme sul conflitto di leggi nel campo delle obbligazioni extracontrattuali. La base dell'armonizzazione delle norme sul conflitto di leggi è l'articolo 65, lettera b) del Trattato CE, che attribuisce alla Commissione la competenza ad agire in materia se ciò è necessario per il corretto funzionamento del mercato interno. Secondo il Comitato è proprio questo il caso in quanto l'armonizzazione delle norme sul conflitto di leggi in discussione contribuisce a garantire il pari trattamento degli operatori economici della Comunità nelle situazioni transfrontaliere, a rafforzare la certezza del diritto, a rendere più semplice l'applicazione delle norme e quindi a incentivare la disponibilità a avviare attività economiche transfrontaliere, nonché a promuovere il riconoscimento reciproco degli atti giuridici degli Stati membri, grazie al fatto che i cittadini degli altri Stati membri possono verificarne direttamente l'esattezza giuridica.

4.   Campo di applicazione sostanziale, applicazione del diritto degli Stati terzi (artt. 1 e 2)

4.1

Il regolamento è volto a disciplinare il conflitto di leggi nel campo del diritto civile e commerciale (Articolo 1, paragrafo 1), che è opportuno regolare espressamente per escludere malintesi. In questo contesto il legislatore può rifarsi alla terminologia utilizzata anche nel regolamento sulle obbligazioni contrattuali (articolo 1), il cui contenuto è precisamente fissato. L'esclusione delle materie fiscali e doganali è ovvia, anche se menzionarle non ha conseguenze negative.

4.2

Il regolamento non intende disciplinare l'intero settore delle obbligazioni extracontrattuali. Il legislatore ha fatto bene a non fissarsi obiettivi troppo ambiziosi per non rischiare che il progetto diventasse ingestibile. Va pertanto accolta con favore l'esclusione delle obbligazioni derivanti da rapporti di famiglia, delle obbligazioni alimentari e di quelle relative al diritto di successione (articolo 1, paragrafo 2). Nelle norme di conflitto queste materie, a causa delle loro implicazioni sociali, vengono tradizionalmente disciplinate con strumenti autonomi.

4.3

L'esclusione delle obbligazioni derivanti da lettere di cambio e assegni come quella delle obbligazioni extracontrattuali derivanti da danno nucleare (articolo 1, paragrafo 2) si basa in ultima analisi, sulla loro soddisfacente regolamentazione in convenzioni specifiche (11) che oltrepassano il campo di competenza della Comunità e la cui esistenza non dovrebbe essere messa in pericolo.

4.4

L'esclusione delle fattispecie legate al diritto societario nell'articolo 1, paragrafo 2, lettera d), è inevitabile per il fatto che le questioni affrontate sono così correlate con lo statuto della società da richiedere una disciplina in tale contesto.

4.5

Il Trust costituisce una materia specifica del diritto angloamericano. Si tratta di una costruzione che si colloca tra il diritto societario e quello delle fondazioni, e che sotto il profilo funzionale rappresenta una società fiduciaria occulta senza una propria personalità giuridica. Si tratta di una figura sconosciuta nell'ordinamento giuridico degli Stati del continente europeo. A causa di queste particolarità e della sua prossimità al diritto societario era già stata esclusa dalla convenzione sulle obbligazioni contrattuali (articolo 1, paragrafo 2, lettera g). Poiché la proposta di regolamento esclude il diritto societario è logico che avvenga lo stesso per il Trust (articolo 1, paragrafo 2, lettera e)).

4.6

Il regolamento designa il diritto applicabile senza distinguere tra diritto di uno Stato membro o di uno Stato terzo (articolo 2). Si allinea in tal modo a uno standard universalmente riconosciuto in materia di norme di conflitto, che respinge in linea di principio le discriminazioni contro altri ordinamenti giuridici nelle norme di conflitto. Il Comitato è espressamente favorevole a tale soluzione in quanto se le circostanze attribuiscono a un preciso ordinamento giuridico la competenza per regolare una fattispecie, non può fare alcuna differenza il fatto che si tratti di un ordinamento all'interno del quadro comunitario oppure no.

5.   Le disposizioni da applicare alle obbligazioni contrattuali derivanti da fatto illecito (articoli 3-8)

5.1

L'articolo 3 che si occupa dei diritti derivanti da fatti illeciti tratta il cuore della materia. In teoria vi sarebbero in questo caso molte regole alternative a disposizione, le quali vengono per lo più designate in modo indifferenziato come lex loci delicti (commissi): vale a dire la legge del luogo in cui il fatto si è verificato, la legge del luogo in cui è sorto il danno, la legge del luogo in cui si sono verificate le conseguenze del fatto e la legge del luogo della residenza abituale della parte lesa. Tutti questi criteri possono vantare una tradizione e valide giustificazioni. Nella realtà essi vengono utilizzati da diverse norme di conflitto di leggi in vigore. Per tale motivo è compito prioritario del legislatore europeo imporre una regolamentazione unica in tutti gli Stati membri. È questo il compito principale e non tanto sapere quale sarà la soluzione scelta. Per la futura applicazione pratica occorre tener presente che tutte o molte di queste regole nella stragrande maggioranza dei casi reali coincideranno. Il luogo della residenza abituale della parte lesa sarà di regola lo stesso luogo in cui è sorto il danno e si è verificato l'evento che ha determinato il danno e questi coincideranno con il luogo in cui si è verificato il fatto. Così la disputa sul criterio da applicare è, nei casi pratici, forse veramente più che altro teorica. Il legislatore europeo intende scegliere la regola del luogo in cui è sorto il danno. Anche se è discutibile che ciò corrisponda alla tendenza delle più recenti codificazioni in questo settore (12), tuttavia questa scelta è giustificata dal fatto che in tal modo viene posta in primo piano la tutela della parte lesa, senza trascurare del tutto gli interessi dell'autore del danno come accadrebbe se ci si attenesse soltanto alla regola della residenza abituale della parte lesa. Attenersi soltanto alla regola del luogo in cui si è prodotto il fatto favorirebbe in modo sproporzionato l'autore del danno (13) mentre non si risponderebbe alle legittime attese di tutela della parte lesa. L'impegno del legislatore per trovare un equilibrio tra gli interessi coinvolti appare accettabile sotto ogni punto di vista. La restrizione posta alla regola generale dall'articolo 3, paragrafo 2, nel caso di residenza abituale comune delle parti coinvolte corrisponde alla natura dei fatti ed evita di ricorrere a ordinamenti giuridici stranieri. Il paragrafo 3 è appropriato come correttivo generale e corrisponde dal punto di vista funzionale all'articolo 4, paragrafo 5, della convenzione di Roma. Nella prassi applicativa si dovrà d'altronde fare attenzione affinché negli Stati membri che hanno seguito finora la regola del luogo dove si è verificato il comportamento che ha originato il fatto non si usi questa clausola derogatoria, concepita per casi specifici, per aggirare la nuova impostazione fondamentale voluta dal legislatore comunitario.

5.2

Per le responsabilità da prodotti difettosi (articolo 4) il regolamento designa la legge dello Stato in cui la parte lesa ha la sua residenza abituale. Questa disposizione va vista soprattutto come una proposta di compromesso alla luce delle discussioni talvolta aspre che hanno preceduto l'audizione del 6 gennaio 2003. Altri possibili criteri discussi sembrano meno adatti: il luogo d'acquisto per esempio può essere del tutto casuale e in taluni contesti è anche difficile da definire in modo adeguato (acquisti su Internet). Altrettanto casuale può essere il luogo in cui è sorto il danno (per esempio quando l'acquirente della cosa si trova in viaggio ed è nel corso di quest'ultimo che subisce il danno). Infine anche il luogo di fabbricazione sarebbe insoddisfacente come criterio in quanto nel contesto della globalizzazione esso può avere un rapporto piuttosto marginale con la fattispecie. Il criterio scelto invece mette in primo piano gli interessi della parte lesa che sono degni di tutela. Questa scelta è tanto più giustificata in quanto nell'audizione condotta dalla Commissione nel gennaio 2003 anche i rappresentanti dell'industria, principale settore interessato, e del settore delle assicurazioni si sono pronunciati a stragrande maggioranza a favore di questa impostazione come concessione ai rappresentanti dei consumatori. Dei legittimi interessi dell'industria si terrà conto in modo sufficiente con la restrizione posta alla regola generale (commercializzazione senza autorizzazione); questa è l'opinione espressa dai rappresentanti dell'industria del corso dell'audizione.

5.3

La regola posta dal regolamento per il caso della concorrenza sleale (articolo 5) rispecchia in ultima analisi il criterio classico di questo settore, vale a dire che trova applicazione la legge del luogo in cui si verifichi in modo diretto e sostanziale un pregiudizio alla concorrenza (luogo dell'effettiva violazione delle regole di concorrenza), questa regola crea una situazione di pari opportunità concorrenziali attraverso l'applicazione dello stesso trattamento a concorrenti nazionali ed esteri in relazione alle regole che essi sono tenuti ad osservare. La stessa materia viene però trattata in modo diverso nell'articolo 4, paragrafo 1, della proposta di direttiva sulle pratiche commerciali sleali (14) che fa riferimento al criterio del luogo di stabilimento. Anche se le relazioni premesse ai due atti giuridici non si occupano di tale differenza, questa contraddizione nell'applicazione di principi generali del diritto comunitario e del mercato interno si risolve in tal modo: l'articolo 5 del regolamento disciplina il diritto della comunità applicabile alle relazioni esterne con Stati terzi (ovvero ai settori che non rientrano nel campo di applicazione della direttiva) e l'articolo 4, paragrafo 1, della direttiva regola le relazioni degli Stati membri all'interno del mercato unico. Se è questa l'intenzione della Commissione essa farebbe bene a esprimerla chiaramente nelle relazioni dei due atti giuridici. Sussiste sempre però una situazione difficilmente giustificabile per cui per concorrenti di uno Stato membro dell'UE e di uno Stato terzo valgono in uno Stato membro le stesse regole, mentre eventualmente le regole non sono le stesse quando ambedue i concorrenti provengono da due diversi Stati dell'Unione (quest'ultimo caso è d'altronde un problema del grado di armonizzazione del diritto sostanziale della concorrenza realizzato dalla direttiva). La limitazione posta alla regola generale dell'articolo 5, paragrafo 1, costituisce la disciplina di un caso concepibile, ma piuttosto raro nella prassi, in cui il pregiudizio alla concorrenza non opera in modo generale, bensì solo a livello individuale. È quindi giustificato sottoporre questa fattispecie alla regola generale valida per i fatti illeciti.

Il Comitato invita a riflettere sull'opportunità di cambiare il titolo di questa disposizione in «Concorrenza e pratiche commerciali sleali» in modo da esprimere più chiaramente l'intenzione che la regolamentazione copra in modo esauriente tutte le infrazioni alle regole di concorrenza.

5.4

A prima vista può meravigliare che in uno strumento giuridico che si occupa delle norme di conflitto riguardanti le obbligazioni extracontrattuali si trovino norme relative alle violazioni dei diritti della personalità e alla violazione della vita privata (articolo 6) in quanto si tratta di una materia che tradizionalmente in molti ordinamenti giuridici rientra nel campo del diritto delle persone. In tempi più recenti tuttavia in molti Stati membri si è fatta strada una nuova concezione e la materia viene oggi collocata in un quadro vicino a quello dei fatti illeciti ed è per questo che si giustifica il suo inserimento in questa proposta. Del resto la prossimità delle materie trattate nell'articolo 5 e nell'articolo 8 non è contestabile. La norma di cui all'articolo 6 paragrafo 1 è condivisibile come lo è anche la regolamentazione al paragrafo 2 relativa al diritto di rettifica. Il Comitato invita a considerare se la regola derogatoria in favore della lex fori non sia eventualmente resa superflua dall'articolo 22.

5.5

Nel campo dei danni arrecati all'ambiente (articolo 7) la regola fondamentale coincide con i criteri generali in materia di fatti illeciti di cui all'articolo 3, sebbene spetti alla parte lesa scegliere la legge del luogo (per lei eventualmente più favorevole) in cui si è verificato il fatto che ha causato il danno. Non si può non riconoscere che il legislatore comunitario allontanandosi dalla regola fondamentale e lasciando il diritto di scelta alla parte lesa persegua sotto le spoglie delle norme di conflitto obiettivi che in realtà sono esterni a tali norme, minacciando preventivamente il potenziale autore di danni all'ambiente con un diritto sostanziale più severo e cercando in tal modo di stimolarlo a una più attenta tutela dell'ambiente. Questo aspetto risulta chiaro anche nella motivazione relativa all'articolo 7.

5.6

Il criterio per la tutela dei diritti di proprietà intellettuale (articolo 8) corrisponde alla regola generalmente riconosciuta in questo settore secondo cui il diritto da applicare dovrebbe essere quello del luogo per cui si chiede la tutela. Ciò determina una apprezzabile parità di trattamento dei cittadini europei e di quelli dei paesi terzi nella giurisdizione interessata. Sarebbe difficile da spiegare la ragione per cui i frutti del lavoro intellettuale del cittadino straniero dovrebbero meritare una tutela inferiore o superiore rispetto a quella concessa ai cittadini dell'UE. L'articolo 8, paragrafo 2, esprime un concetto evidente.

6.   Legge applicabile alle obbligazioni extracontrattuali derivanti da un fatto diverso da un illecito

6.1

La legge relativa ai fatti illeciti trattata nel Titolo 1 sezione 1 del regolamento costituisce il fulcro delle obbligazioni extracontrattuali, ma è certo che è indispensabile una regolamentazione specie per i casi dell'arricchimento senza causa e la gestione d'affari altrui. Oltre a questi casi, gli Stati membri fanno poi registrare altre obbligazioni extracontrattuali variabili per numero e portata che potrebbero essere disciplinate ricorrendo ad una clausola generale come fa giustamente il legislatore nell'articolo 9, paragrafo 1.

6.2

Se un'obbligazione extracontrattuale si fonda su un rapporto giuridico tra le parti preesistente (di cui fanno parte anche i contratti), è naturale che la legge designata a regolare questo rapporto sia quella che disciplina il rapporto giuridico preesistente (collegamento accessorio). Proprio in riferimento ai contratti, che vengono specificamente menzionati nella disposizione, va inoltre rispettata la convenzione di Roma sulle obbligazioni contrattuali che contiene una regolamentazione relativa al campo di applicazione. L'articolo 9, paragrafo 1, è tuttavia formulato in modo abbastanza flessibile da garantire un agevole collegamento alla regolamentazione contenuta nella convenzione senza determinare contraddizioni. La disciplina di cui all'articolo 9, paragrafo 2, corrisponde sotto il profilo del contenuto all'articolo 3, paragrafo 2, del regolamento ed è giustificata per le stesse ragioni.

6.3

La disciplina dell'arricchimento senza causa che designa come applicabile la legge dello Stato in cui l'arricchimento si è prodotto (articolo 9, paragrafo 3), coincide con i principi riconosciuti nella maggior parte degli Stati membri. Se l'arricchimento si verifica a causa di un rapporto contrattuale (nullo) secondo la ratio dell'articolo 9 è applicabile il paragrafo 1 dello stesso articolo 9 (15). Sarebbe opportuno esprimere più chiaramente nel testo questo dato in modo che fin dall'inizio non vi siano dubbi in merito per gli utenti del diritto meno versati in materia. La regolamentazione di cui all'articolo 38, paragrafi 1 e 3, della legge d'applicazione del codice civile tedesco che segue lo stesso principio, potrebbe costituire un esempio a tal fine. Secondo i chiarimenti che la rappresentante della Commissione ha dato sulla norma, il criterio del luogo dove l'arricchimento si è prodotto è applicabile solo se non è possibile stabilire un collegamento accessorio ai sensi dell'articolo 9, paragrafo 1 o paragrafo 2. Secondo il Comitato ciò dovrebbe essere espresso in modo molto più chiaro per prevenire eventuali interpretazioni sbagliate da parte degli utenti del diritto.

6.4

Per la gestione degli affari altrui il regolamento designa come legge applicabile quella del luogo della residenza abituale dell'interessato (con l'eccezione dei casi specifici di cui all'articolo 9, paragrafo 4). Questa norma favorisce in termini di regole sul conflitto di leggi l'interessato. Se si applicasse il criterio della legge del luogo di residenza abituale del gestore si darebbe la preferenza a quest'ultimo. Esiste tuttavia la possibilità, evidentemente non considerata dal legislatore, di mantenere una neutralità sotto il profilo delle norme di conflitto dichiarando applicabile la legge del luogo in cui l'operazione viene realizzata. S'invita la Commissione a considerare se una tale soluzione non sarebbe più appropriata, tanto più che il legislatore all'articolo 9, paragrafo 4 ha già stabilito una norma che va nella direzione proposta. Secondo i chiarimenti che la rappresentante della Commissione ha dato sulla norma il criterio della residenza abituale è applicabile solo se non è possibile stabilire un collegamento accessorio ai sensi dell'articolo 9, paragrafo 1 o paragrafo 2. Secondo il Comitato ciò dovrebbe essere espresso in modo molto più chiaro per prevenire eventuali interpretazioni sbagliate da parte degli utenti del diritto.

6.5

La clausola derogatoria che designa all'articolo 9, paragrafo 5 la legge del luogo con cui vi è una relazione più stretta, corrisponde all'articolo 3, paragrafo 3, del regolamento ed è giustificata per gli stessi motivi. È lecito allora chiedersi se da ciò non sia deducibile un principio più generale valido per tutte le disposizioni del regolamento, anche per quelle di cui agli articoli 4-8 per cui non è prevista l'applicazione di tale principio. È opportuno che la Commissione consideri questa possibilità e che in caso affermativo introduca una norma corrispondente nella sezione 3. In tal caso andrebbero soppressi l'articolo 3, paragrafo 3, e l'articolo 9, paragrafo 5.

6.6

A parere del Comitato l'articolo 9, paragrafo 6, è superfluo in quanto le conseguenze che ne derivano sono già prodotte dall'esistenza della norma specifica dell'articolo 8. D'altra parte il mantenimento della norma non ha alcuna ripercussione negativa.

7.   Norme comuni applicabili alle obbligazioni extracontrattuali derivanti da fatto illecito e da un fatto diverso da un illecito

7.1

Il titolo della sezione 3 del Titolo 2 è inutilmente complicato e di difficile comprensione. Il Comitato raccomanda di seguire l'esempio della convenzione di Roma ed intitolare la sezione «Norme comuni».

7.2

Con la concessione della possibilità alle parti di un'obbligazione extracontrattuale di scegliere la legge applicabile a una controversia dopo l'insorgere di quest'ultima (articolo 10), il regolamento si adegua giustamente ad una tendenza progressista che si è affermata già nell'articolo 42 della legge d'applicazione del codice civile tedesco e nell'articolo 6 della legge olandese sugli strumenti internazionali di diritto privato. È un'impostazione che il Comitato accoglie con favore. La riserva relativa al diritto non applicabile di cui all'articolo 10, paragrafo 2 e paragrafo 3, è una pratica riconosciuta per evitare che le parti si sottraggano alla legge e che quindi non dà adito a critiche anche se complica nella prassi l'applicazione della legge.

7.3

Nella definizione del campo di applicazione degli articoli 3-10 del regolamento il legislatore segue in una forma opportunamente adeguata il modello dell'articolo 10 della convenzione di Roma. Dalla natura molto dettagliata delle disposizioni traspare lo sforzo volto a ottenere un alto livello di certezza giuridica, cosa che va apprezzata.

7.4

D'altro canto la disposizione di cui all'articolo 11, lettera d), del regolamento non è del tutto convincente considerando che, secondo principi generalmente riconosciuti, il diritto processuale è subordinato alla lex fori. Il legislatore europeo non dovrebbe intervenire in materia. Nella misura in cui si tratti di azioni procedurali volte a far valere e garantire (preventivamente) diritti sostanziali, queste dovrebbero essere soggette sotto il profilo procedurale alla legge della giurisdizione competente. Rispondere alla questione se il diritto in quanto tale sussista dovrebbe spettare alla legge designata agli articoli 3-10. Dalla motivazione si evince chiaramente che è questa l'intenzione del legislatore. Nel caso in cui la via procedurale per far valere i diritti e i diritti sostanziali siano così strettamente collegati tra loro che una separazione non è più possibile, una deroga alla regola della lex fori è giustificata e si può applicare la lex causae.

7.5

L'articolo 12 che disciplina il difficile tema delle leggi di polizia (norme imperative) si rifà (tenendo conto delle modifiche richieste dalla materia) all'articolo 7 della convenzione di Roma e corrisponde quindi alla regola riconosciuta nel campo delle norme di conflitto di leggi. Il titolo che si differenzia rispetto a quello della convenzione di Roma corrisponde all'uso sviluppatosi in questo campo a partire dal 1980.

7.6

L'articolo 13 crea i presupposti affinché, per quanto riguarda le norme di sicurezza e di comportamento, possa aver luogo un'applicazione diretta che è giustificata in linea di principio. Secondo il Comitato dovrebbero essere valide quelle regole in vigore nel luogo in cui si è verificato il comportamento che ha originato il fatto e il cui rispetto ci si può attendere dall'autore del danno. La disciplina prevista all'articolo 7 della convenzione dell'Aia sul diritto applicabile agli incidenti stradali va del resto (contrariamente a quanto affermato nella relazione - pag. 27) compresa in questo senso, in quanto fa riferimento alle regole in vigore nel luogo in cui è avvenuto l'incidente. È questa anche l'interpretazione che dell'articolo 13 ha dato il rappresentante della Commissione quando gli è stato richiesto. Secondo il Comitato ciò non emerge con sufficiente chiarezza, almeno non in tutte le versioni linguistiche. Il Comitato chiede pertanto alla Commissione di chiarire, all'articolo 13 del regolamento, che sono applicabili senza ombra di dubbio le norme di sicurezza e di comportamento valide nel luogo in cui si è verificato il comportamento che ha originato il fatto.

7.7

La regola applicabile all'azione diretta contro l'assicuratore del responsabile corrisponde alla natura dei fatti e rappresenta anche il corollario sostanziale della norma procedurale di cui all'articolo 11, paragrafo 2, del regolamento sulle obbligazioni contrattuali.

7.8

La disciplina sulla surrogazione per legge (articolo 15) corrisponde all'articolo 13 della convenzione di Roma e non pone problemi. La Commissione dovrà fare attenzione perché tale corrispondenza si mantenga anche dopo la rielaborazione della convenzione di Roma come regolamento europeo. Lo stesso vale per l'articolo 17 (prova), che corrisponde all'articolo 14 della convenzione di Roma. L'articolo 16 è ripreso dall'articolo 9, paragrafo 4 della convenzione di Roma, che è servito soltanto di modello a causa della diversità della materia trattata, e l'adattamento è perfettamente riuscito.

8.   Altre disposizioni/disposizioni finali

8.1

I temi trattati nel Titolo III e nel Titolo IV del regolamento rappresentano disposizioni tecniche corrispondenti alle norme generali di conflitto di leggi che non sollevano problemi e che non necessitano osservazioni dettagliate. Ciò vale soprattutto per l'articolo 20 (esclusione del rinvio), che corrisponde all'articolo 15 della convenzione di Roma, per l'articolo 21 (sistemi non unificati), che corrisponde all'articolo 19 della convenzione di Roma, per l'articolo 22 (ordine pubblico del foro), che corrisponde all'articolo 16 della convenzione di Roma e infine per l'articolo 25 (rapporti con altre convenzioni internazionali in vigore) che corrisponde all'articolo 21 di questa stessa convenzione.

8.2

L'articolo 18, allo scopo di evitare lacune indesiderate ovvero collegamenti fortuiti nel sistema delle norme di conflitto, assimila, ai fini del regolamento, a territori di uno Stato determinati territori, che non sono soggetti a una sovranità territoriale diretta. Il Comitato approva tale impostazione.

8.3

La residenza abituale di una persona svolge nel diritto privato internazionale odierno, e quindi anche nel regolamento, un ruolo centrale per stabilire la legge applicabile. Mentre la definizione della residenza abituale di una persona fisica non presenta grandi difficoltà, nel caso delle persone giuridiche possono sorgere dubbi. Il regolamento correttamente elimina questi dubbi stabilendo il principio della sede principale. In questo caso non sarebbe stato corretto riprendere l'articolo 60 del regolamento sulla competenza giurisdizionale, in quanto quest'ultimo si basa sul domicilio e non sulla residenza abituale e inoltre la soluzione a tre opzioni offerta in tale regolamento avrebbe portato a una minore certezza giuridica.

8.4

Il legislatore ha accolto nel testo del regolamento l'articolo 24 solo dopo aver ricevuto sollecitazioni in tal senso nell'audizione del gennaio 2003. L'articolo ha un modello nell'articolo 40, paragrafo 3, della legge d'applicazione del codice civile tedesco che intende garantire che già con il diritto sostanziale si impedisca di far valere diritti, che nella Comunità, secondo la communis opinio sono considerati esorbitanti, rendendo quindi superflue in particolare dispute e discussioni sul fatto che questi siano o meno in contrasto con l'ordine pubblico. Il Comitato appoggia espressamente quest'intenzione del legislatore. Invita tuttavia a riflettere sul fatto che non si favorirebbe il ricorrente se (per ragioni giuridiche di per sé condivisibili) non ottenesse affatto il risarcimento di un danno ricevuto perché una norma straniera è alla base di un risarcimento adeguato dal punto di vista degli Stati membri, ma anche di una sanzione inaccettabile (danni punitivi, danni triplici). Il Comitato teme che l'attuale formulazione dell'articolo 24 potrebbe però favorire proprio questa totale negazione dei diritti. Propone perciò di redigere come segue la disposizione:

L'applicazione di una disposizione della legge designata dal presente regolamento non dà diritto a una prestazione quando e solo quando essa persegua apertamente scopi diversi dal risarcimento adeguato della parte lesa.

8.5

Il regolamento contiene all'articolo 25 una riserva a favore delle convenzioni internazionali che prevede la supremazia di queste, nella misura in cui gli Stati membri vi siano legati, per le norme di conflitto relative alle obbligazioni extracontrattuali. La norma corrisponde nella sostanza all'articolo 21 della convenzione di Roma, pur non contenendo, diversamente da tale convenzione, alcuna esenzione per la conclusione di future convenzioni che si allontanino dal diritto comunitario. Questa differenza si spiega con la natura vincolante per i legislatori nazionali del regolamento e con la necessità in futuro di impedire un'ulteriore frammentazione del quadro giuridico della Comunità. Il Comitato accoglie favorevolmente la riserva in quanto essa permette agli Stati membri di rispettare anche in futuro gli impegni assunti in passato e di mantenere la loro adesione ad importanti trattati, alcuni dei quali validi a livello mondiale. In tale contesto il Comitato ricorda, solo a titolo di esempio, la convenzione di Berna sulla tutela delle opere letterarie ed artistiche del 9 settembre 1896, l'Agreement on Trade-related aspects of Intellectual Property Rights (TRIPS), la convenzione internazionale per l'unificazione di alcune regole in materia di assistenza e di salvataggio marittimi e la convenzione internazionale sulla limitazione della responsabilità dei proprietari di navi.

9.   Conclusioni

Il Comitato chiede alla Commissione di concludere, dopo aver proceduto alle modifiche, i lavori relativi al regolamento il più presto possibile in modo che esso possa entrare in vigore. La Commissione dovrebbe:

chiarire i rapporti tra l'articolo 5 del regolamento e l'articolo 4, paragrafo 1, della direttiva sulla concorrenza sleale e adeguare convenientemente la motivazione,

valutare se prevedere un diritto di scelta per la parte lesa nel campo dei danni arrecati all'ambiente (articolo 7) sia effettivamente appropriato,

chiarire il rapporto tra l'articolo 9, paragrafo 3 e paragrafo 4, con l'articolo 9 paragrafo 1 e paragrafo 2 del testo del regolamento,

considerare se non sia opportuno chiarire all'articolo 9, paragrafo 4, che la legge applicabile è quella del luogo in cui avviene l'operazione,

esaminare se l'articolo 9, paragrafo 5 possa essere assunto come principio generale del regolamento e essere inserito nella sezione 3,

cambiare il titolo della sezione 3 in «Norme comuni»,

all'articolo 13 del regolamento chiarire che sono applicabili senza ombra di dubbio le norme di sicurezza e di comportamento vigenti nel luogo dove si è verificato il comportamento che ha originato il fatto,

riformulare l'articolo 24 come segue:

L'applicazione di una disposizione della legge designata dal presente regolamento non dà diritto a una prestazione quando e solo quando persegua apertamente scopi diversi dal risarcimento adeguato della parte lesa.

Bruxelles, 2 giugno 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Regolamento (CE) n. 44/2001 del Consiglio, del 22 dicembre 2000, concernente la competenza giurisdizionale, il riconoscimento e l'esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, GU L 12 del 16.1.2001, pag. 1.

(2)  Proposta di regolamento del Consiglio che istituisce il titolo esecutivo europeo per i crediti non contestati, COM(2002) 159 def. del 18 aprile 2002.

(3)  Regolamento (CE) n. 1348/2000 del Consiglio, del 29 maggio 2000, relativo alla notificazione e alla comunicazione negli Stati membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale, GU L 160 del 30.6.2000, pag. 37.

(4)  Regolamento (CE) n. 1206/2001 del Consiglio, del 28 maggio 2001, relativo alla cooperazione fra le autorità giudiziarie degli Stati membri nel settore dell'assunzione delle prove in materia civile o commerciale, GU L 174 del 27.6.2001, pag. 1.

(5)  Raccomandazione della Commissione del 30 marzo 1998 riguardante i principi applicabili agli organi responsabili per la risoluzione extragiudiziale delle controversie in materia di consumo (98/257/CE), GU L 115 del 17.4.1998, pag. 31.

(6)  Decisione del Consiglio, del 28 maggio 2001, relativa all'istituzione di una rete giudiziaria europea in materia civile e commerciale (2001/470/CE), GU L 174 del 27.6.2001, pag. 25.

(7)  Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sul diritto contrattuale europeo (2001/C 255/01).GU C 255 del 13.9.2001, pag. 1.

(8)  Direttiva 90/88/CEE del Consiglio del 22 febbraio 1990 che modifica la direttiva 87/102/CEE relativa al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati membri in materia di credito al consumo, GU L 61 del 10.3.1990, pag. 14.

(9)  Direttiva 93/13/CEE del Consiglio, del 5 aprile 1993, concernente le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori, GU L 95 del 21.4.1993, pag. 29.

(10)  Libro verde sulla trasformazione in strumento comunitario della convenzione di Roma del 1980 applicabile alle obbligazioni contrattuali e sul rinnovamento della medesima (COM(2002) 654 def.).

(11)  Convenzione di Ginevra per regolare taluni conflitti di leggi in materia di cambiale e vaglia cambiario del 17.6.1930 e convenzione di Ginevra per regolare alcuni conflitti in materia di assegni bancari del 19.3.1931 e convenzione di Parigi sulla responsabilità civile nel campo dell'energia nucleare del 29.7.1960 e una serie di convenzioni integrative.

(12)  Diversa è la regolamentazione vigente in Germania dal 1999 stabilita nell'articolo 40, paragrafo 1, della legge d'applicazione del codice civile tedesco, che utilizza il criterio del luogo dove si è verificato il comportamento che ha originato il fatto illecito.

(13)  In caso di dubbio questi conosce la legge locale, non deve preoccuparsi di conoscere un altro sistema giuridico e può eventualmente approfittare nel caso di fatti illeciti pericolosi di un livello inferiore di responsabilità.

(14)  Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alle pratiche commerciali sleali tra imprese e consumatori nel mercato interno e che modifica le direttive 84/450/CEE, 97/7/CE e 98/27/CE (direttiva sulle pratiche commerciali sleali) COM(2003) 356 def. del 18 giugno 2003.

(15)  Vedasi anche il riferimento assai breve e non immediatamente comprensibile contenuto nella relazione (pag. 23).


28.9.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 241/7


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni: Rafforzare l'industria farmaceutica stabilita in Europa a vantaggio dei pazienti — Un invito ad agire

(COM(2003) 383 def.)

(2004/C 241/02)

La Commissione europea, in data 16 ottobre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale in merito alla comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni: Rafforzare l'industria farmaceutica stabilita in Europa a vantaggio dei pazienti — Un invito ad agire

La sezione specializzata Mercato unico, produzione e consumo, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 4 maggio 2004, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice O'NEILL.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 2 giugno 2004, nel corso della 409a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 164 voti favorevoli, 1 contrario e 10 astensioni.

1.   Contesto

1.1

Il ruolo di primo piano che l'industria farmaceutica stabilita in Europa espleta nel settore sanitario ed in quello industriale è stato riconosciuto da tempo. Le istituzioni europee hanno dal canto loro evidenziato l'importanza di sviluppare le diverse componenti di questa industria ed i vantaggi che ne conseguono per i pazienti.

1.2

Il Consiglio europeo di Lisbona del 2000 ha fissato l'obiettivo strategico di creare l'economia basata sulla conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, in grado di realizzare una crescita economica sostenibile con nuovi e migliori posti di lavoro e una maggiore coesione sociale. Sotto questo profilo, il ruolo dell'industria farmaceutica risulta cruciale.

1.3

Nelle conclusioni sui medicinali e la sanità pubblica del giugno 2000, il Consiglio dei ministri ha sottolineato l'importanza di individuare farmaci innovativi e con un significativo valore aggiunto terapeutico per raggiungere gli obiettivi dell'industria del settore e quelli della sanità pubblica.

1.4

Nel novembre 2000 è stata presentata alla Commissione una relazione sulla competitività globale dell'industria farmaceutica (1) (generalmente nota come «relazione Pammolli»). Detta relazione identificava una serie di aspetti da trattare e concludeva che: «l'Europa è in ritardo rispetto agli Stati Uniti quanto alla capacità di creare, organizzare e sostenere processi innovativi sempre più costosi e complessi sotto l'aspetto organizzativo».

1.5

Alla luce dell'importante ruolo sanitario, sociale ed economico che l'industria farmaceutica espleta nell'Unione europea, la comunicazione della Commissione mira ad affrontare le questioni individuate sia nella relazione Pammolli che in relazioni successive.

1.6

Decisivi passi avanti sono già stati realizzati con l'istituzione delle procedure comunitarie di autorizzazione all'immissione in commercio e con la costituzione dell'Agenzia europea per la valutazione dei medicinali (EMEA) nel 1995.

1.7

Nel marzo 2000 un gruppo consultivo della Commissione sulla politica sanitaria (2) ha dichiarato che l'obiettivo di politica sanitaria del settore farmaceutico è «produrre farmaci prontamente accessibili, efficaci, di alta qualità e sicuri - compresi quelli più recenti e innovativi - per tutti coloro che ne hanno bisogno, indipendentemente dal loro reddito e dalle loro condizioni sociali».

1.8

La Commissione resta impegnata a completare il mercato unico del settore farmaceutico incoraggiando la ricerca e lo sviluppo (3), rendendo l'UE più atta ad attirare investimenti e creando sistemi che aumentino la possibilità di scelta dei pazienti grazie alla disponibilità dei farmaci e alla loro accessibilità in termini di prezzo.

1.9

In tale contesto, la Commissione ha istituito un nuovo Gruppo ad alto livello per l'innovazione e l'approvvigionamento dei farmaci (detto G10 Farmaci) (4) volto ad affrontare i problemi del settore farmaceutico con un'impostazione nuova e ad escogitare soluzioni creative, tenendo conto dell'insieme di competenze comunitarie e nazionali che regolano il settore farmaceutico.

1.10

Il G10 ha pubblicato la propria relazione nel maggio 2002; l'approccio consensuale da esso adottato nelle 14 raccomandazioni forma la base dell'invito ad agire della Commissione in merito al quale il CESE è chiamato a formulare un parere (Allegato).

1.11

Questa posizione è stata ulteriormente rafforzata dalla risoluzione del Consiglio dal titolo «Sfide in materia di prodotti farmaceutici e di sanità pubblica - incentrarsi sui pazienti» (5).

2.   Finalità della comunicazione

2.1

La comunicazione della Commissione mira ad esporre le modalità con cui le raccomandazioni del G10 andrebbero applicate. Relativamente agli ambiti di competenza nazionale essa definisce un orientamento che gli Stati membri potrebbero seguire e indica le possibilità della Commissione di agevolare tale processo e, soprattutto, di monitorarne i cambiamenti e l'efficacia.

2.2

In tale contesto, la Commissione identifica cinque ampie tematiche che inglobano la problematica a livello europeo:

vantaggi per i pazienti,

promuovere la competitività dell'industria farmaceutica stabilita in Europa,

rafforzare le basi scientifiche nell'UE,

i farmaci nell'Unione europea allargata,

apprendimento reciproco tra Stati membri.

3.   Osservazioni generali

3.1

L'industria farmaceutica presenta complesse interrelazioni con i sistemi sanitari, la ricerca, i pazienti e le imprese della concorrenza. Tra i più grandi datori di lavoro dell'Unione europea, essa deve essere innovativa e deve assicurare un buon funzionamento in presenza di sistemi diversi quali quello USA o giapponese. La comunicazione si incentra quindi sulla necessità di un approccio integrato che consenta di offrire vantaggi tanto all'industria quanto ai pazienti e di stimolare uno sviluppo permanente del settore farmaceutico in modo da contribuire ad un'economia dinamica fondata sulla conoscenza in Europa. Il CESE riconosce l'importanza di questo compito.

3.2

La competitività dell'industria è fonte di grande preoccupazione; frequenti sono i raffronti con i successi conseguiti dall'industria statunitense. Occorre sottolineare che non si tratta di una debolezza intrinseca all'industria farmaceutica, bensì della conseguenza della frammentazione dei mercati, ancora fortemente differenziati a livello nazionale, da cui deriva un approccio altrettanto frammentato alla ricerca, all'innovazione ed alla classificazione dei farmaci in medicinali con o senza obbligo di prescrizione medica. Tale circostanza - risultato della dipendenza dal processo decisionale dei governi nazionali e dalla conseguente diversità delle loro politiche di sicurezza sociale e sanitarie, si ripercuote sulla politica di investimento nella ricerca e nello sviluppo, sulla disponibilità dei prodotti e infine sui vantaggi per i pazienti degli Stati membri.

3.3

È di assoluta importanza considerare il ruolo dell'industria in relazione ai sistemi sanitari esistenti negli Stati membri, alle rispettive modalità di finanziamento ed alla loro capacità di garantire l'accesso dei pazienti a tutti i farmaci autorizzati nell'UE. Sebbene per la Commissione ciò rappresenti un obiettivo fondamentale, il CESE rileva le divergenze che caratterizzano gli sforzi volti ad assicurare la disponibilità dei farmaci ed il finanziamento di questo obiettivo da parte degli Stati membri ed esprime le proprie perplessità soprattutto per quanto riguarda il potenziale impatto sugli Stati di prossima adesione.

3.4

Il CESE riconosce la sempre maggiore importanza del coinvolgimento dei pazienti nel processo decisionale e nello sviluppo dei partenariati tra pubblico, privato e gruppi di pazienti al fine di conseguire vantaggi reciproci. Pur accogliendo con favore l'approccio inclusivo proposto dalla Commissione, il CESE esprime il proprio disappunto per il carattere non sufficientemente rappresentativo della composizione del G10 sui farmaci.

3.5

Il Comitato riconosce che l'industria farmaceutica europea ha registrato un declino in termini di competitività. Rileva nondimeno che se da un lato sono state riscontrate delle debolezze nel modello industriale europeo, dall'altro vanno evidenziate le competenze disponibili, le strutture esistenti e i risultati ottenuti in Europa, senza partire dal presupposto che il modello statunitense sia necessariamente la migliore o l'unica soluzione possibile, tenuto conto di tutti gli interessi in gioco. L'obiettivo principale del modello europeo è quello di pervenire a sistemi sanitari efficienti che rispondano alle esigenze mediche, economiche e sociali dei pazienti attraverso una contestuale promozione dell'attività dell'industria farmaceutica.

3.6

La base della comunicazione della Commissione è molto ampia; il Comitato richiama l'attenzione sulle preoccupazioni già espresse in merito all'eccessiva lentezza con cui si è sinora progredito in questo settore e manifesta le proprie perplessità quanto alla capacità della Commissione di assicurare più rapidi progressi alla luce della comunicazione all'esame (6).

3.7

La Commissione evidenzia l'importanza del monitoraggio e della valutazione dei risultati conseguiti sulla base di determinati indicatori di performance. Il Comitato nutre preoccupazioni per la mancanza di elementi e dati statistici coerenti in base ai quali valutare i progressi e gli sviluppi proposti. Occorrono migliori procedimenti per definire le informazioni da raccogliere; il Comitato auspica la messa a punto di un sistema molto più proattivo e trasparente.

3.8

L'industria farmaceutica fornisce occupazione di alta qualità non solo per quel che riguarda il personale alle dirette dipendenze del settore, ma anche per la ricerca, le imprese alleate, l'università ed il settore sanitario. Si teme nondimeno che in mancanza di un approccio più coerente alla ricerca e all'innovazione in Europa, accompagnato da adeguati investimenti, il settore perda lavoratori qualificati.

3.9

Pur consapevole delle difficoltà inerenti al completamento del mercato interno tra gli Stati membri attuali e futuri, il CESE auspica che vengano attuate strategie ben definite per conseguire detto obiettivo nel settore farmaceutico, considerate le divergenze tra competenze europee e nazionali in materia di commercializzazione dei farmaci ed in particolare le disparità tra i sistemi sanitari e di rimborso degli Stati membri. In linea con precedenti pareri, il CESE ribadisce ancora una volta l'importanza che la protezione della salute umana prevalga su tutti gli altri aspetti, tenuto anche conto del fatto che in termini di salute pubblica l'obiettivo del settore farmaceutico è produrre farmaci sicuri e di alta qualità, compresi quelli innovativi, accessibili a tutti indipendentemente dal reddito o dallo status sociale (7).

4.   Azioni proposte dalla Commissione

4.1   Vantaggi per i pazienti

4.1.1

La responsabilità dell'assistenza sanitaria viene condivisa in misura sempre maggiore con i pazienti che mostrano un interesse più costruttivo nella loro salute e nelle opzioni terapeutiche. La Commissione ha riconosciuto l'importanza del coinvolgimento dei pazienti ed il CESE accoglie con favore l'enfasi posta sulla realizzazione di detta partecipazione e sulle relative misure di sostegno a tutti i livelli.

4.1.2

Il Forum europeo dei pazienti recentemente creato prevede un utile strumento per canalizzare le posizioni dei pazienti, atto a migliorare il Forum UE della sanità creato nel 2001 per riunire tutta una gamma di parti in causa a livello europeo, che dovrebbe includere le organizzazioni sociali con interessi nel settore sanitario. Queste iniziative riconoscono il ruolo rispettivo degli Stati e delle organizzazioni non governative in materia di salute pubblica, ruolo che va peraltro sostenuto.

4.1.3

Date le circostanze, è necessario che i singoli pazienti o i gruppi di pazienti coinvolti in questi processi decisionali vengano debitamente informati al riguardo nonché sulla portata dell'influenza da esercitare. È essenziale stabilire una fiducia reciproca tra gli esperti del settore, dotati di competenze tecniche e professionali, ed i responsabili della trasmissione al pubblico di informazioni accurate e comprensibili sui farmaci.

4.1.4

Il CESE ritiene indispensabile potenziare la qualità e la disponibilità di informazioni per i pazienti e i cittadini in generale, soprattutto per quanto riguarda la loro obiettività e accessibilità. Ciò è stato riconosciuto dal Consiglio dei ministri nelle conclusioni sui medicinali e la sanità pubblica del giugno 2000. A questo riguardo, il Comitato è decisamente favorevole alla proposta di creare un marchio di qualità per i siti web connessi alla salute e per le altre fonti di informazione. È essenziale che le informazioni vengano utilizzate per mettere al corrente la gente e, all'occorrenza, per indurla a consultare i professionisti del settore, dato che evitare l'abuso di medicinali deve costituire una priorità.

4.1.5

Viene accolta con favore la proposta volta ad istituire un partenariato pubblico-privato con la partecipazione di un'ampia gamma di interessati, al fine di prestare consulenza e monitorare la qualità delle informazioni fornite al pubblico. Il CESE è favorevole a questo collegamento tra industrie farmaceutiche, rappresentanti dei pazienti, mondo accademico, organizzazioni sociali, enti mutualistici, organizzazioni di disabili, professionisti del settore sanitario e ricercatori, che può contribuire ad una migliore informazione del paziente e ad una migliore educazione sanitaria. Questi partenariati possono fornire informazioni preziose ai governi, al Parlamento europeo, alla Commissione ed al Consiglio su tutta una serie di questioni che riguardano tanto l'industria farmaceutica quanto l'assistenza sanitaria.

4.1.6

Ai fini di una maggiore armonia e di una maggiore efficacia nella raccolta di dati e nelle analisi, grande importanza riveste la diffusione delle informazioni volte a migliorare la salute pubblica negli Stati membri.

4.1.7

Il CESE appoggia con fermezza la proposta volta a mantenere il divieto di pubblicità per i farmaci soggetti all'obbligo di prescrizione medica. Detta questione va trattata con la massima cautela al fine di garantire un uso appropriato dei farmaci.

4.1.8

Concorda inoltre sull'opportunità che, ai fini di un'automedicazione responsabile, i potenziali utenti si avvalgano della consulenza di operatori sanitari qualificati. Un'automedicazione non corretta può infatti ritardare l'avvio di una terapia ed originare interazioni negative con i farmaci prescritti.

4.2   Efficacia relativa

4.2.1

Il Comitato sostiene fermamente la definizione della Commissione di «efficacia relativa», applicata a tecnologie sanitarie come i farmaci, che contempla anche il concetto di valore aggiunto terapeutico (VAT) del farmaco e tiene quindi conto sia della sua efficacia clinica rispetto ad altri trattamenti, che della sua reale efficacia in rapporto al costo. Tuttavia, dato che potrebbero esservi delle difficoltà nell'adozione di questo approccio da parte degli Stati membri, occorre prevedere un lasso di tempo adeguato.

4.2.2

Il Comitato riconosce l'importanza di una maggiore disponibilità di farmaci nuovi, sicuri ed efficaci, anche in termini di costo. L'applicazione del criterio dell'efficacia relativa negli Stati membri avrà ripercussioni dirette sulla determinazione dei prezzi e dei rimborsi dei farmaci da parte delle amministrazioni nazionali competenti. Il CESE richiama l'attenzione sulle conseguenze che ne potrebbero derivare per i bilanci sanitari: tali conseguenze varierebbero da uno Stato membro all'altro e potrebbero arrivare all'impossibilità della prescrizione dei farmaci più efficaci a causa di vincoli finanziari.

4.2.3

Sarebbe opportuno promuovere uno scambio di esperienze in materia di valutazione dell'efficacia rispetto al costo al fine di perfezionare le tecniche di valutazione utilizzate nei diversi Stati membri.

4.3   Farmacovigilanza

4.3.1

Il CESE concorda sul carattere indispensabile di un efficace sistema di farmacovigilanza e ritiene che il sistema attuale vada rafforzato. Tutti i professionisti del settore coinvolti nella prescrizione o nella vendita di farmaci ed i pazienti stessi dovrebbero partecipare ad un sistema di sorveglianza dei farmaci immessi sul mercato. Questo sistema di monitoraggio volontario dovrebbe essere particolarmente rigoroso per i farmaci di nuova commercializzazione. Inoltre, laddove si arrivasse ad un'autorizzazione più rapida, sarebbe necessario integrarla con un'attenta farmacovigilanza, avvalendosi di studi osservazionali, per cercare di dimostrare quanto più rapidamente possibile la presunta sicurezza dei medicinali o un'eventuale tossicità non prevista.

4.3.2

In genere, infatti, le sperimentazioni cliniche controllate e randomizzate, pur costituendo il metodo accettato per dimostrare l'efficacia dei farmaci, non hanno dimensioni adeguate o vengono condotte su pazienti che non rappresentano l'universo dei potenziali utilizzatori del farmaco; esse non sono quindi in grado di dimostrare tutti i potenziali rischi, specialmente per le categorie di pazienti vulnerabili. Gli studi osservazionali aggiungono un altro tipo di informazione alle sperimentazioni controllate e di fatto le integrano. Solo raramente essi sono in grado di fornire informazioni sugli effetti attesi, anche se talvolta possono ragguagliare sul mancato verificarsi di uno degli effetti (positivi) previsti.

4.4   Promuovere la competitività dell'industria farmaceutica stabilita in Europa

4.4.1

Il CESE riconosce il contributo dell'industria farmaceutica alla bilancia commerciale europea nei settori ad alta tecnologia e al conseguimento degli obiettivi sociosanitari pubblici. Poiché l'industria farmaceutica rappresenta inoltre una fonte di posti di lavoro altamente qualificati, è della massima importanza che il quadro legislativo e regolamentare funzioni in modo ottimale per promuoverla e sostenerla. Gli Stati membri, dal canto loro, devono assicurare che a livello nazionale i nuovi farmaci con un valore aggiunto terapeutico vengano messi a disposizione dei pazienti il più rapidamente possibile. Per favorire lo sviluppo di nuovi farmaci è della massima importanza promuovere e sostenere la ricerca.

4.4.2

Pur supportando le azioni chiave proposte dalla Commissione, il CESE ritiene che:

sia fondamentale ridurre i tempi necessari per la fase di sviluppo di nuove sostanze chimiche prima dell'autorizzazione e che pertanto occorra accelerare anche la capacità di reagire agli effetti collaterali una volta iniziato l'uso clinico,

le disposizioni più rigorose sulla protezione dei dati stiano ostacolando lo svolgimento dei necessari studi osservazionali intesi a valutare la sicurezza dei farmaci nell'uso quotidiano. Tali studi sono l'unico modo pratico per individuare i rari problemi collaterali negativi (sicurezza) e dipendono dal collegamento di serie diverse di dati preesistenti (p.es. dati relativi alle prescrizioni mediche, dati demografici e risultati finali come quelli relativi all'ospedalizzazione o ai certificati di morte). L'unico modo per collegare tali serie di dati è generalmente l'uso di identificativi personali. La legislazione recente obbliga a chiedere il consenso dei pazienti per un simile uso di informazioni personali anche se, a collegamento avvenuto, i dati vengono anonimizzati. Se un numero significativo di persone rifiuta il proprio consenso o semplicemente ignora la richiesta, la serie di dati che ne risulta contiene distorsioni sistematiche che possono ridurne notevolmente il valore non essendo più rappresentativa per la popolazione a cui si riferisce (8),

sarebbe opportuno richiamare l'attenzione su quanto già affermato dal Comitato circa la necessità di un «approccio metodologico (…), il quale può essere realizzato perfettamente anche in assenza di dati personali e ricorrendo unicamente a dati collettivi e anonimi» (9).

4.4.3

Il Comitato appoggia il riesame farmaceutico volto a migliorare il funzionamento sia della procedura centralizzata che di quella di riconoscimento reciproco al fine di accelerare la procedura di valutazione ed abbreviare i tempi della decisione finale. Va accolto positivamente il fatto che la Commissione e l'EMEA abbiano già ridotto i tempi delle loro procedure interne; occorre però un ulteriore sforzo per mettere le nuove terapie a disposizione dei pazienti europei con la massima tempestività e far sì che i pazienti curati in Europa non si trovino svantaggiati rispetto a quelli trattati negli USA.

4.4.4

Viene accolto con favore il sostegno del Sesto programma quadro di ricerca (PQ6) alla messa a punto di farmaci innovativi nell'ambito dell'area tematica prioritaria «Scienze della vita, genomica e tecnologie per la salute» in quanto rappresenta un primo passo in tal senso.

4.4.5

Si potrebbero ottenere ulteriori benefici cercando di ridurre i tempi che intercorrono tra la brevettazione iniziale di un potenziale farmaco e la presentazione della richiesta di autorizzazione all'immissione in commercio evitando procedure superflue.

4.4.6

Il Comitato approva la proposta di prevedere un periodo armonizzato di dieci anni per la protezione dei dati. Per quanto riguarda la presentazione di ulteriori informazioni per particolari sottogruppi (ad esempio i bambini), ritiene invece che la possibilità di prolungare di un anno l'esclusiva sui dati vada ulteriormente discussa.

4.5   Tempi previsti per le trattative sui rimborsi e la fissazione dei prezzi

4.5.1

Il Comitato concorda sul fatto che «occorre innanzitutto assicurare al paziente il trattamento più efficace nel quadro di un sistema sanitario efficace», specie alla luce degli aumenti della spesa sanitaria. A tale proposito va segnalato che mediamente la spesa per farmaci rappresenta in media il 15 % (10) dei bilanci sanitari. Gli Stati membri hanno inoltre l'obbligo di garantire che le decisioni sui prezzi e i rimborsi vengano assunte in modo trasparente e non discriminatorio, nel quadro di una procedura ben definita (11).

4.5.2

Giova peraltro osservare che agli Stati membri incombe la responsabilità di assumere provvedimenti per il controllo della spesa sanitaria. Ne consegue una forte discrepanza a livello di prezzi da uno Stato membro all'altro; tale divario è destinato ad accentuarsi ulteriormente con l'allargamento. Il Comitato sottolinea tuttavia che il sistema di prezzi applicato, qualunque esso sia, non dovrebbe ostacolare l'immissione in commercio di farmaci efficaci, né essere di ostacolo alla libera circolazione delle specialità medicinali. Il Comitato invita inoltre la Commissione ad intervenire per la piena applicazione della cosiddetta direttiva sulla trasparenza (direttiva 89/105/CEE).

4.5.3

Queste forti disparità a livello di prezzi imposti possono nuocere al funzionamento ottimale del mercato interno. Il Comitato accoglie con favore la proposta della Commissione volta ad avviare una «riflessione» su eventuali modi alternativi di controllo della spesa farmaceutica da parte degli Stati membri. Concorda sul fatto che meccanismi di mercato più dinamici e competitivi potrebbero agevolare la creazione di un mercato più integrato. La «riflessione» dovrebbe prevedere anche una revisione del finanziamento pubblico e privato dei medicinali e dell'assistenza sanitaria pubblica.

4.5.4   Piena concorrenza per i farmaci che non vengono acquistati o rimborsati dallo Stato

4.5.4.1

Il CESE ritiene che un farmaco che abbia ottenuto l'autorizzazione all'immissione in commercio (a conferma della sua efficacia, sicurezza e qualità) vada messo a disposizione dei pazienti senza inutili indugi laddove il loro stato di salute lo imponga. Il Comitato appoggia la possibilità di rendere i nuovi farmaci immediatamente disponibili dopo l'autorizzazione all'immissione in commercio.

4.5.4.2

Il finanziamento ed il controllo della spesa sanitaria degli Stati membri possono ostacolare l'accesso simultaneo dei pazienti dell'Unione europea ai nuovi farmaci. Il Comitato è favorevole alla sostituzione dei controlli diretti dei prezzi con il controllo della spesa sanitaria ed incoraggia la Commissione a promuovere il dibattito sulle possibili modalità per pervenirvi. In tale contesto, si potrebbe prendere in considerazione la possibilità di abbandonare i controlli dei prezzi sui fabbricanti per i medicinali non acquistati né rimborsati dai sistemi sanitari nazionali o dai regimi assicurativi obbligatori.

4.6   Mercato concorrenziale per i farmaci generici

4.6.1

Il CESE riconosce che i farmaci generici rivestono grande importanza ai fini del contenimento dei costi dell'assistenza sanitaria e che contribuiscono alla sostenibilità del suo sistema di finanziamento, ma ritiene che occorra equilibrare l'uso di queste medicine con lo sviluppo di prodotti innovativi in modo da garantire la dinamicità del settore e una maggiore possibilità di scelta da parte dei pazienti.

4.6.2

Il CESE approva la definizione più chiara dei farmaci generici a livello europeo ed in particolare l'esigenza di tener conto dei diritti di proprietà intellettuale alla luce dell'allargamento.

4.7   Mercato concorrenziale per i farmaci che non richiedono prescrizione

4.7.1

Se da un canto i cosiddetti farmaci da banco, che si possono acquistare senza prescrizione medica in farmacia o anche in taluni punti di vendita al dettaglio, contribuiscono ad accrescere la competitività nel mercato e a migliorare l'accessibilità del pubblico a tali medicinali senza dover consultare il medico, dall'altro, il CESE ritiene importante che il loro uso avvenga in condizioni di assoluta sicurezza.

4.7.2

Tra i prodotti classificati come esenti dall'obbligo di ricetta medica nei diversi Stati membri si rilevano talune incoerenze; il Comitato concorda con la Commissione sulla necessità di garantire una maggiore coerenza delle decisioni di classificazione, conformemente ai principi del mercato unico.

4.7.3

Il Comitato appoggia inoltre la Commissione relativamente all'opportunità di usare uno stesso marchio per i farmaci che richiedono prescrizione medica e per quelli esenti da detto obbligo, qualora gli Stati membri ritengano che non vi siano rischi per la salute pubblica.

4.7.4

Il Comitato ribadisce tuttavia i timori già espressi relativamente alla disponibilità di antibiotici, antivirali o antimicotici da banco per uso orale e sostiene l'opportunità di sottoporre detti farmaci all'obbligo di prescrizione medica. Laddove utilizzati per motivi banali o in modo inappropriato, essi rischiano infatti di creare maggiori problemi di resistenza, con ripercussioni in caso di successive malattie e soprattutto di infezioni più gravi. Occorre quindi sottolineare l'importanza che questi farmaci siano esaminati nel contesto del programma di salute pubblica e che il loro uso venga controllato mediante prescrizioni mediche. È fondamentale fornire ai pazienti informazioni accurate e facilmente comprensibili, monitorare la somministrazione dei medicinali prescritti e tenerne conto nelle future ricerche.

4.8   Rafforzare le basi scientifiche nell'UE

4.8.1

Il Comitato riconosce l'importanza di portare avanti e sostenere una base dinamica di R&S nell'industria farmaceutica, che possa avvalersi dell'esperienza dell'industria del settore e delle istituzioni scientifiche attive in tale campo.

4.8.2

Il Comitato condivide l'obiettivo di creare istituti di sanità europei virtuali per stimolare ed organizzare la ricerca sanitaria e biotecnologica in Europa, in modo da riunire tutti coloro che hanno interessi di ricerca in comune. Ritiene che, per evitare la fuga di cervelli e competere seriamente in termini di R&S ed innovazione con gli USA, occorra una struttura coerente che riunisca conoscenze e capacità e si avvalga di appositi metodi di diffusione. Il sesto programma quadro di ricerca (PQ6) costituisce un primo passo in tal senso.

4.8.3

In un precedente parere, il CESE ha appoggiato la creazione di un centro europeo per la prevenzione ed il controllo delle malattie per poter disporre di una più forte base scientifica per la salute pubblica in Europa (12).

4.8.4

Il CESE è favorevole allo sviluppo della ricerca e dell'innovazione e sottolinea la necessità di individuare nuove fonti di investimento. A tal fine, il Comitato accoglie con favore la proposta di esaminare diverse iniziative per il finanziamento della ricerca che prevedono vari percorsi: capitale di rischio, mutui a tasso agevolato, crediti di imposta, mercati garantiti ed estensione dei diritti di brevetto e/o dell'esclusiva commerciale. A questo riguardo occorre assicurare ed utilizzare al meglio la sinergia tra università, istituti di ricerca e industria.

4.9   Incentivi alla ricerca

4.9.1

Il Comitato accoglie con favore la direttiva sulla sperimentazione clinica (13), secondo la quale la protezione dei pazienti deve costituire il criterio più importante nella concezione degli esperimenti. La direttiva sottolinea anche l'esigenza di semplificare e armonizzare le procedure amministrative in vigore per consentire un migliore coordinamento delle sperimentazioni nell'Unione europea. Viene accolta con favore anche la disposizione che crea la prima base di dati europea di test clinici.

4.9.2

Il CESE rammenta che spesso l'innovazione è il frutto dell'idea brillante di piccole imprese o di singole persone. Vi è il rischio che le complesse procedure amministrative dell'Unione europea e degli Stati membri o la necessità di talune grandi imprese di selezionare i progetti di ricerca suscettibili di essere portati avanti contestualmente impediscano l'emergere di idee innovative da tali fonti. Bisogna quindi prevedere aiuti a sostegno di questo potenziale e promuovere la collaborazione tra le imprese onde far sì che dette idee innovative possano tradursi in nuovi farmaci atti ad essere immessi sul mercato.

4.9.3

A differenza degli USA, l'UE ed i suoi Stati membri partono spesso dal presupposto che bisogna evitare l'insuccesso e non si espongono al rischio di un eventuale fallimento. Occorre rimuovere le barriere esistenti in tal senso. Il CESE è favorevole a una rapida applicazione della direttiva sulla protezione giuridica delle invenzioni biotecnologiche in tutti gli Stati membri dato che il suo mancato rispetto impedirà lo sviluppo dell'industria biotecnologica europea.

4.9.4

Il CESE appoggia inoltre l'adozione della legislazione comunitaria sui brevetti che ridurrà i costi degli Stati membri.

4.9.5

Il Comitato sottolinea che attualmente il 40-50 % dei farmaci per uso pediatrico non è stato autorizzato in tal senso o non ha formato oggetto di una richiesta di autorizzazione per uso pediatrico. Raccomanda di effettuare ricerche mirate per stabilire la posologia adeguata per bambini, anziani, donne e uomini. Il problema cruciale è infatti quello di definire, per un determinato farmaco, una posologia adeguata, sicura ed efficace per le specifiche circostanze.

4.9.6

Una posologia corretta è di particolare importanza per quel che concerne le persone anziane che assumono tutta una serie di farmaci per patologie diverse e sono affette da lievi insufficienze (p.es. renali o epatiche). In tale caso, la compatibilità di un farmaco con quelli prescritti per altre patologie è fondamentale.

4.9.7

Il CESE sottolinea inoltre che talune malattie, piuttosto rare in Europa, sono invece abbastanza diffuse nei paesi in via di sviluppo; l'aumento dei viaggi all'estero ed il riscaldamento globale possono far sì che patologie «orfane» (14) diventino comuni e difficili da contenere.

4.10   I farmaci nell'Unione europea allargata

4.10.1

Il Comitato concorda sul fatto che una delle principali sfide dell'allargamento sarà l'integrazione nell'Unione delle economie e dei sistemi sanitari dei nuovi Stati membri. Molti paesi di prossima adesione dispongono di minori risorse per l'assistenza sanitaria rispetto agli Stati membri attuali. Sotto questo aspetto, rivestono grande importanza la disponibilità e l'accessibilità in termini di prezzo dei farmaci nel contesto dei rispettivi sistemi sanitari pubblici. Tutto ciò va inquadrato nel contesto dell'aumento della spesa sanitaria, dell'invecchiamento della popolazione e delle esigenze sociali e sanitarie emergenti.

4.10.2

Un'altra sfida è costituita dall'armonizzazione dei diritti di proprietà intellettuale che possono dare adito a forti differenze nei livelli dei prezzi e provocare quindi un aumento delle importazioni parallele. Ciò avviene quando esistono sistematicamente differenziali di prezzo tra gli Stati membri. In tal caso i singoli o le organizzazioni (tranne il titolare dell'autorizzazione all'immissione in commercio) possono acquistare un farmaco all'ingrosso nel paese in cui esso è meno costoso, importarlo in un paese in cui è più caro e rivenderlo guadagnando sulla differenza di prezzo. Il CESE appoggia le misure proposte dalla Commissione per far fronte a questa problematica attraverso l'obbligo giuridico di informare il titolare dell'autorizzazione all'immissione in commercio, le autorità competenti degli Stati membri e l'EMEA dell'intenzione di procedere ad un'importazione parallela in un determinato Stato membro.

4.10.3

Osserva nondimeno che la responsabilità giuridica per far valere i diritti di proprietà intellettuale incombe sempre al titolare del brevetto.

4.10.4

Il Comitato accoglie con favore le iniziative della Commissione volte ad offrire ai nuovi Stati membri la possibilità di un dialogo preventivo su eventuali difficoltà riscontrate in sede di applicazione della legislazione farmaceutica prima e dopo l'adesione.

4.11   Apprendimento reciproco tra Stati membri

4.11.1

Di fondamentale importanza per poter progredire nello sviluppo del settore farmaceutico in Europa è la capacità di apprendimento reciproco. Il CESE accoglie quindi con favore la proposta della Commissione finalizzata a definire una serie di indicatori UE per la competitività del settore e per gli obiettivi di salute pubblica. Il CESE è inoltre favorevole all'istituzione di un gruppo di lavoro incaricato della definizione di detti indicatori.

4.11.2

Gli indicatori dovranno coprire l'efficacia del farmaco e tener conto dell'assistenza sanitaria prestata, nonché dei seguenti fattori:

offerta,

domanda e quadro normativo,

produzione del settore,

fattori macroeconomici.

5.   Conclusioni

5.1

Il Comitato approva la comunicazione della Commissione volta a potenziare l'industria farmaceutica stabilita in Europa a vantaggio del paziente ed appoggia il programma globale previsto a tal fine. Riconosce inoltre il carattere ambizioso della comunicazione e le difficoltà che ne conseguono sotto il profilo del raggiungimento degli obiettivi.

5.2

Pur ritenendo che la comunicazione risponda agli obiettivi della presa in considerazione dei vantaggi per i pazienti, della maggiore competitività dell'industria farmaceutica europea, del rafforzamento della base scientifica dell'UE, della presa in conto di un'Unione allargata e della promozione dell'apprendimento reciproco fra Stati membri, il Comitato desidera evidenziare quanto segue.

5.3

Il CESE sottolinea che a causa della dipendenza dal processo decisionale di 25 governi nazionali, l'approccio dell'industria farmaceutica europea risulta più debole di quello unitario che può essere adottato da USA o Giappone per quanto riguarda la ricerca, l'innovazione, la commercializzazione e la fissazione dei prezzi. Sottolinea che occorre portare avanti il processo avviato con le raccomandazioni del G10 per la realizzazione di un vero mercato unico e che bisogna controllare l'impatto sui sistemi sanitari e sulla salute pubblica degli Stati membri attraverso i meccanismi di benchmarking proposti.

5.4

Il Comitato richiama l'attenzione sulle revisioni, i documenti e le proposte riguardanti il settore farmaceutico elaborati negli ultimi anni ed esprime le proprie perplessità in merito alle modalità di realizzazione di più rapidi progressi, a seguito delle raccomandazioni del G10, della comunicazione all'esame e dell'impegno espresso in tal senso dal Consiglio.

5.5

Riconosce le difficoltà inerenti al conseguimento di un mercato unico integrato dei prodotti farmaceutici considerate la complessità del settore, la sua dipendenza dalle competenze degli Stati membri e la disparità dei sistemi sanitari nazionali. Evidenzia nondimeno l'importanza della messa in atto di strategie ben definite per pervenire a tale obiettivo.

5.6

Appoggia la proposta della Commissione relativa alla definizione di indicatori di performance che consentano la valutazione ed il monitoraggio dei progressi dell'industria farmaceutica e ribadisce l'importanza di raccogliere elementi e dati statistici coerenti in base ai quali giudicare i progressi del programma illustrato nella comunicazione.

5.7

Sottolinea il grande rilievo che annette alla protezione della salute umana e ribadisce che essa dovrebbe costituire una priorità in tutti gli ambiti legislativi.

5.8

Fermamente favorevole alla proposta di creare un marchio di qualità per i siti web connessi alla salute e per le altre fonti di informazione, ritiene fondamentale incoraggiare la gente a consultare i professionisti del settore sanitario.

5.9

Appoggia un sistema di farmacovigilanza efficace, ritiene che esso vada rafforzato ulteriormente e che debba integrare un uso più efficiente degli studi epidemiologici.

5.10

Reputa che le procedure amministrative più semplici ed armonizzate offrano una reale opportunità di sviluppare un approccio più coordinato al programma di ricerca. Accoglie con favore la ricerca di nuove potenziali fonti di investimento che includano eventualmente capitali di rischio, mutui agevolati e crediti d'imposta e ne sollecita lo sviluppo.

5.11

Raccomanda di portare avanti il dialogo e di semplificare i sistemi in modo da consentire l'innovazione e la condivisione delle conoscenze, al fine di rafforzare l'industria ma anche di sostenere e sviluppare le qualifiche e la capacità occupazionale derivanti da un'industria farmaceutica competitiva.

5.12

Raccomanda inoltre all'Unione europea ed ai suoi Stati membri di effettuare investimenti per assicurare la creazione di reti di eccellenza e consentire finanziamenti su un lasso di tempo ragionevolmente lungo in modo da promuovere l'innovazione garantendo un grado di certezza e di sicurezza atto a garantire la continuità dei lavori delle équipe di ricerca.

Bruxelles, 2 giugno 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Enterprise papers n. 1/2001.

(2)  Creato dal comitato di alto livello per la sanità.

(3)  Conclusioni del Consiglio Mercato interno, 18 maggio 1998.

(4)  Gruppo ad alto livello per l'innovazione e l'approvvigionamento dei farmaci della Commissione europea: invito ad agire. G10 Farmaci, 7 maggio 2002.

(5)  Risoluzione del Consiglio del 2 dicembre 2003.

(6)  Parere del CESE in merito a una proposta di regolamento, GU C 61 del 14.3.2003, pag. 1.

(7)  Parere del CESE in merito a una proposta di decisione, GU C 116 del 20.4.2001, pag. 18.

(8)  Idem.

(9)  Parere CES 1417/2000.

(10)  Cfr. «Benchmarking Pharmaceutical Expenditure», 2001, Austrian Health Institute.

(11)  Direttiva 89/105/CEE, GU L 40 dell'11.2.1989.

(12)  Parere CESE: Un centro europeo per il controllo e la prevenzione delle malattie, relatore Bedossa, GU C 32 del 5.2.2004.

(13)  Direttiva 2001/20/CE, GU L 121 dell'1.5.2001.

(14)  Per patologia «orfana» si intende una malattia estremamente rara in Europa, ma che può essere tra le malattie più comuni del mondo, e che è diffusa ampiamente, se non esclusivamente, in paesi tropicali molto poveri. Per tali patologie non esiste un mercato ben sviluppato per farmaci che hanno un prezzo competitivo e pertanto gli investimenti effettuati dall'industria farmaceutica per combattere tali malattie sono modesti. Ne sono un esempio la malaria, la schistosomiasi e la lebbra.


28.9.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 241/15


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la decisione 1999/784/CE del Consiglio relativa alla partecipazione della Comunità all'Osservatorio europeo dell'audiovisivo

(COM(2003) 763 def. - 2003/0293 (COD))

(2004/C 241/03)

Il Consiglio, in data 14 gennaio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 157, paragrafo 3, del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la decisione n. 1999/784/CE del Consiglio relativa alla partecipazione della Comunità all'Osservatorio europeo dell'audiovisivo.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 maggio 2004, sulla base del rapporto introduttivo predisposto dal relatore Bo GREEN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 2 giugno 2004, nel corso della 409a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 171 voti favorevoli e 9 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Con la decisione 1999/784/CE (1) il Consiglio ha adottato la proposta relativa alla partecipazione della Comunità all'Osservatorio europeo dell'audiovisivo per un periodo che si conclude il 31 dicembre 2004.

1.2

Già nel parere del 22 settembre 1999 il CESE si era dichiarato d'accordo con la proposta della Commissione al riguardo.

1.3

Sia la proposta della Commissione che la posizione del CESE si basavano sul fatto che l'industria dell'audiovisivo, in particolare la diffusione radiotelevisiva e la produzione cinematografica, costituisce uno dei settori strategicamente più importanti per l'economia europea.

2.   Proposta della Commissione

2.1

La Commissione propone quanto segue:

prorogare di due anni (cioè fino alla fine del 2006) il periodo di partecipazione della Comunità all'Osservatorio europeo dell'audiovisivo,

mantenere gli stanziamenti annuali al livello del 2004, cioè a 235 000 EUR.

2.2

La proposta è motivata soprattutto dalle seguenti ragioni:

le attività dell'Osservatorio in materia di statistiche di mercato e d'informazioni finanziarie e giuridiche possono efficacemente contribuire a conseguire gli obiettivi prestabiliti: è quindi nell'interesse della Comunità sostenere e consolidare la struttura dell'Osservatorio e la cooperazione bilaterale,

il contributo dell'Osservatorio al conseguimento dei suddetti obiettivi sarà rafforzato dall'applicazione di una nuova strategia, attualmente messa a punto con la partecipazione della Commissione. Il nuovo mandato e il relativo quadro finanziario saranno adottati dalle istanze competenti dell'Osservatorio alla fine del 2005. L'attuazione sarà avviata in maniera graduale non prima del 2006.

2.3

Viste le positive esperienze del passato, sintetizzate in una relazione intermedia (2), la Commissione ritiene opportuno estendere di due anni la partecipazione della Comunità all'Osservatorio. Questa proroga, pur essendo breve, darà la possibilità di coprire un periodo particolarmente importante, quello cioè nel quale saranno stabiliti i futuri settori di attività dell'Osservatorio, e potrà rientrare nelle attuali prospettive finanziarie della Comunità senza recare pregiudizio alle decisioni che saranno prese nel 2006, quando la Commissione sarà pienamente a conoscenza del nuovo mandato dell'Osservatorio e del contesto finanziario.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1

Originariamente il CESE ha appoggiato la proposta della Commissione relativa alla partecipazione della Comunità all'Osservatorio perché essa contribuiva a rafforzare la competitività dell'industria audiovisiva europea, migliorando lo scambio d'informazioni di carattere economico e giuridico, dando una visione più completa del mercato e promuovendo la trasparenza e gli investimenti in infrastrutture.

3.2

Basandosi tra l'altro sulle attività dell'Osservatorio (3), il CESE ritiene ancora valide, da un punto di vista generale, le aspettative e le motivazioni che giustificavano il suo appoggio alla proposta, in particolare quelle legate all'importanza degli aspetti economici, culturali e democratici dell'industria audiovisiva.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Il CESE ritiene importante che sia l'industria dell'UE sia i consumatori abbiano accesso a informazioni affidabili e aggiornate, come quelle diffuse dall'Osservatorio.

4.2

Il CESE sottolinea il fatto che la protezione dei consumatori e i diritti d'autore continuano ad essere tematiche prioritarie per l'Osservatorio.

4.3

Il CESE raccomanda inoltre che l'Osservatorio valuti l'opportunità di analizzare come un tema a sé gli aspetti fiscali del settore audiovisivo, compresi quelli che interessano l'industria cinematografica, poiché altri aspetti, quali gli aiuti ai «settori di particolare interesse» e gli aiuti di Stato, sono già stati trattati.

4.4

È importante mettere l'Osservatorio in condizione di lavorare sulla base della situazione attuale fino a quando sarà adottata e attuata una nuova strategia, cioè fino al 2006.

4.5

Il CESE ritiene tuttavia che, in relazione ad una nuova strategia, possa rendersi necessario aumentare gli stanziamenti, soprattutto in considerazione della particolare attenzione ai settori multimediale e cinematografico.

5.   Conclusioni

5.1

Il CESE appoggia la proposta della Commissione di prorogare di due anni il periodo di partecipazione della Comunità all'Osservatorio europeo dell'audiovisivo, cosa che contribuirà a rafforzare la competitività dell'industria audiovisiva europea, migliorando lo scambio d'informazioni su aspetti economici e giuridici, fornendo una migliore visione d'insieme del mercato e promuovendo la trasparenza e gli investimenti nel settore delle infrastrutture.

5.2

Il CESE ribadisce che nell'UE il settore audiovisivo (4) è di grande importanza strategica e ha un effetto positivo sull'occupazione. Con il travolgente sviluppo che in tutto il mondo continua a caratterizzare l'industria e il settore dell'audiovisivo, è ancora più importante e strategicamente opportuno disporre d'informazioni statistiche affidabili.

5.3

Il CESE ribadisce (5) che la Commissione dovrebbe istituire un'agenzia europea per la società dell'informazione, la quale potrebbe contribuire a coordinare le varie iniziative in materia di convergenza multimediale, a migliorare le possibilità di svolgere un lavoro più concreto nel settore della cultura in materia di tutela e promozione dell'«identità culturale europea» e a dare corpo ad una vera e propria politica culturale europea.

Bruxelles, 2 giugno 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  GU L 307 del 2.12.1999, pag. 61.

(2)  Relazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo e al Comitato economico e sociale circa l'attuazione della decisione 1999/784/CE del Consiglio del 22 novembre 1999 relativa alla partecipazione della Comunità all'Osservatorio europeo dell'audiovisivo (COM(2002) 619 def.).

(3)  Id.

(4)  GU C 204 del 15.7.1996, pag. 5: parere del Comitato economico e sociale in merito alla Proposta di decisione del Consiglio che istituisce il Fondo europeo di garanzia per la promozione dell'industria cinematografica e televisiva.

(5)  Parere del Comitato economico e sociale in merito alla Decisione del Consiglio relativa alla partecipazione della Comunità all'Osservatorio europeo dell'audiovisivo (COM(1999) 111 def. - 1999/0066 (CNS)).


28.9.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 241/17


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce orientamenti per le reti transeuropee nel settore dell'energia e abroga le decisioni 96/391/CE e 1229/2003/CE

(COM(2003) 742 def. - 2003/0297 (COD))

(2004/C 241/04)

Il Consiglio, in data 19 febbraio 2004, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 156 e 251 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Parlamento europeo e del Consiglio che stabilisce orientamenti per le reti transeuropee nel settore dell'energia e abroga le decisioni 96/391/CE e 1229/2003/CE.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 maggio 2004, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SIRKEINEN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 2 giugno 2004, nel corso della 409a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 164 voti favorevoli, 3 voti contrari e 17 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Nel 2001 la Commissione ha adottato una comunicazione sull'infrastruttura europea dell'energia. Per assicurare un funzionamento efficace del grande mercato europeo dell'elettricità e del gas non è sufficiente applicare regole e standard comuni, ma bisogna anche predisporre adeguate strutture di collegamento tra i vari Stati membri.

1.2

Nella comunicazione venivano presentate una serie di proposte, tra cui l'obiettivo di interconnessione del 10 % per l'elettricità e la concessione di un finanziamento prioritario per i progetti sulle reti transeuropee indicati come progetti prioritari d'interesse europeo. La Commissione proponeva inoltre di elevare dal 10 al 20 % il massimale per il contributo previsto alla fase di sviluppo dei progetti prioritari. L'obiettivo d'interconnessione del 10 % è stato approvato dal Consiglio di Barcellona mentre l'aumento del massimale relativo al contributo è ancora oggetto di discussione in seno al Consiglio.

1.3

Per consentire agli Stati di nuova adesione di far parte del mercato interno dell'elettricità e del gas occorre rivedere gli orientamenti per le reti transeuropee. Numerosi progetti sui collegamenti tra i vecchi Stati membri e i nuovi sono già ammissibili al finanziamento per le RTE, ma la lista è ancora incompleta. Un approccio simile dovrebbe essere adottato nei confronti dei paesi confinanti: l'obiettivo a medio termine è infatti la creazione progressiva di un mercato europeo dell'elettricità e del gas che possibilmente interessi più di 35 paesi e oltre 600 milioni di persone. Tale mercato dovrebbe basarsi su standard comuni in materia di apertura dei mercati, protezione dell'ambiente e sicurezza.

1.4

Dato che la domanda di gas naturale è in rapido aumento, la Comunità sta diventando sempre più dipendente dalle importazioni di gas. Per assicurare un efficace funzionamento del mercato europeo dell'energia e garantire le forniture di gas per l'avvenire bisogna diversificare le fonti di approvvigionamento di gas e costruire nuove infrastrutture. Sono quindi necessari investimenti per costruire sia nuovi gasdotti per convogliare gli approvvigionamenti sia gasdotti interni, visto che a seguito dell'apertura del mercato sarà possibile utilizzare in maniera più flessibile le infrastrutture esistenti. Ciò presuppone una stretta collaborazione con i paesi fornitori e le regioni di transito.

2.   La proposta della Commissione

2.1

La revisione degli orientamenti nel settore dell'energia e del gas mira, in particolare, a integrare i nuovi Stati membri nel mercato interno europeo dell'elettricità e del gas. Il nuovo testo:

garantisce che l'elenco dei progetti ammissibili al sostegno e individuati negli orientamenti per le RTE venga stilato prestando la massima attenzione alla necessità d'integrare efficacemente gli Stati di nuova adesione e i paesi confinanti in un grande mercato dell'energia,

attribuisce una dichiarazione di interesse europeo ai principali progetti transfrontalieri sugli assi prioritari,

consente alla Commissione di designare un coordinatore europeo per ogni progetto prioritario.

Le nuove disposizioni impongono inoltre agli Stati membri di attribuire la priorità ai progetti dichiarati d'interesse europeo, di agevolare ed accelerare la realizzazione dei progetti, nonché di effettuare valutazioni e comunicarne i risultati alla Commissione.

2.2

Negli allegati alla proposta di decisione sono elencati i progetti d'interesse comune ammissibili al sostegno finanziario comunitario (allegato III) conformemente ai criteri riportati nell'allegato II, i progetti d'interesse comune che dovrebbero avere la priorità ai fini della concessione del contributo comunitario (allegato I) e, infine, i progetti d'interesse europeo (allegato IV).

2.3

Gli importi stimati necessari per realizzare i progetti prioritari sulle reti dell'energia e del gas nel periodo compreso tra il 2007 e il 2013 ammontano a circa 28 miliardi di euro, di cui 20 nell'UE e 8 nei paesi terzi. A ciò si aggiungono i costi per portare a termine gli altri progetti di interesse comune.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1

In vari suoi pareri il CESE ha fortemente sostenuto le proposte avanzate dalla Commissione sullo sviluppo e la promozione delle RTE per l'elettricità e il gas in quanto parte integrante della creazione di un efficace mercato interno nel settore e dell'elaborazione di una politica globale per la sicurezza degli approvvigionamenti energetici. Il Comitato ha altresì appoggiato la proposta della Commissione d'innalzare al 20 % il massimale previsto per il contributo finanziario alla fase di sviluppo dei progetti nel settore.

3.2

Purtroppo, come rilevato anche in precedenti pareri del Comitato sul tema, la realizzazione dei progetti relativi alle RTE avanza molto lentamente e i risultati non sono soddisfacenti. Si è osservato che la difficoltà di finanziare i grandi progetti di costruzione rappresenta un grave ostacolo. È poco probabile che il contributo annuale di 20 milioni di euro concesso dalla Commissione per la fase di sviluppo dei progetti possa incidere notevolmente sulla loro realizzazione. Andrebbero pertanto sviluppati partenariati misti a carattere pubblico e privato.

3.2.1

Tuttavia, i lenti progressi nella realizzazione dei progetti sulle RTE possono non essere imputabili solo alle difficoltà di finanziamento. Vi possono essere altre ragioni quali lo scarso impegno degli Stati membri a cooperare sui progetti transfrontalieri: a tale proposito, la figura del coordinatore europeo potrebbe svolgere un ruolo utile. In taluni casi, il fatto di aver optato per potenziali finanziamenti pubblici può aver ritardato l'avvio di progetti che normalmente avrebbero dovuto essere varati senza dovere attendere nessun'altra decisione.

3.2.2

Attualmente un ostacolo significativo che si frappone agli investimenti nelle infrastrutture è rappresentato dalle procedure di pianificazione e di autorizzazione lunghe, farraginose e dal risultato finale incerto. L'attribuzione, da parte delle istituzioni europee, del carattere prioritario a un progetto dovrebbe rappresentare per i responsabili politici, locali e non, un chiaro segnale dell'importanza di realizzare tempestivamente il progetto in questione.

3.3

Pur compiacendosi della proposta di decisione in esame, il Comitato sottolinea che sarebbe stato preferibile presentarla prima. Nel momento in cui l'assemblea plenaria del CESE adotterà il presente parere, l'ampliamento avrà già avuto luogo e l'Unione sarà composta da 25 Stati membri. Di fatto, la necessità di avviare una cooperazione in materia con i paesi confinanti, ai fini della sicurezza degli approvvigionamenti, è stata chiaramente evidenziata già da tempo, da ultimo con la pubblicazione del Libro verde sulla sicurezza dell'approvvigionamento energetico.

3.4

Il Comitato ritiene istruttiva e pertinente l'analisi della situazione in termini di interconnessione e di prospettive in diverse parti dell'Unione e nelle regioni confinanti.

3.5

La Commissione, tuttavia, non fa riferimento a nessuno studio di più ampia portata e a lungo termine sugli sviluppi prevedibili nel mercato interno dell'energia che sia atto a fornire le informazioni essenziali per individuare progetti infrastrutturali chiave. Infatti, in un settore in cui la durata degli investimenti è di 50 anni e oltre, una visione a lungo termine e scenari alternativi sono elementi d'importanza primaria. Per il Comitato questa carenza di riferimenti è sorprendente, soprattutto perché si tratta di informazioni disponibili di cui una parte è prodotta dalla Commissione stessa.

3.5.1

Nel futuro mercato dell'energia il gas naturale rivestirà un ruolo di particolare interesse. Le tendenze mostrano una domanda in rapido aumento e una dipendenza sempre maggiore dalle importazioni dai paesi terzi. Questa evoluzione evidenzia l'importanza di avere il controllo delle infrastrutture nonché dei rischi connessi ad una dipendenza da poche fonti di approvvigionamento e ad una concentrazione della proprietà. Quali sono le prospettive a medio e lungo termine per la domanda, la localizzazione dei consumi e le fonti che ispirano le proposte dei progetti prioritari per le infrastrutture? Quali sono le aspettative di sviluppo dell'utilizzo del riscaldamento, della produzione elettrica e della produzione combinata di calore e di elettricità, nonché gli eventuali piani per la produzione di idrogeno a partire dal gas? Qual è il potenziale delle fonti? Le decisioni politiche, a cominciare dalla politica comunitaria per l'ambiente sino alle decisioni di pianificazione locale, hanno forti ripercussioni sui mercati e sulle scelte in materia di energia, pertanto dovrebbero tener conto di un quadro più ampio e di prospettive a lungo termine.

3.6

Occorre inoltre chiedersi se esistano soluzioni alternative per rimediare alle strozzature che si intendono sormontare con i progetti attualmente proposti in materia di RTE. In alcuni casi non sarebbe forse più sensato investire in infrastrutture per la produzione di elettricità situate nelle zone in cui la domanda è elevata? Si tratta di aspetti che andrebbero sempre tenuti presenti quando si elaborano proposte di sviluppo delle RTE, tenendo ugualmente conto del potenziale derivante da un aumento dell'efficienza energetica e dell'energia prodotta da fonti energetiche rinnovabili.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Il «considerando» n. 4 della proposta di decisione dovrebbe essere riformulato in modo da attribuire la stessa importanza all'efficace funzionamento del mercato interno dell'energia e a obiettivi strategici quali la sicurezza degli approvvigionamenti e la fornitura di un servizio universale.

4.2

I progetti riguardanti le infrastrutture interne di uno Stato membro dovrebbero figurare nell'elenco di progetti di interesse europeo solo in casi eccezionali.

Bruxelles, 2 giugno 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


28.9.2004   

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C 241/19


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'emanazione di talune norme comuni in materia di trasporti di merci su strada (versione codificata)

(COM(2004) 47 def. – 2004/0017 (COD))

(2004/C 241/05)

Il Consiglio, in data 11 febbraio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 71 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa all'emanazione di talune norme comuni in materia di trasporti di merci su strada (versione codificata).

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 maggio 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore SIMONS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 2 giugno 2004, nel corso della 409a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 173 voti favorevoli, 1 voto contrario e 16 astensioni.

1.

La proposta in oggetto è finalizzata alla codifica della prima direttiva del Consiglio, del 23 luglio 1962, relativa all'emanazione di talune norme comuni in materia di trasporti di merci su strada (1).

2.

Nel contesto dell'Europa dei cittadini, la semplificazione e la chiarezza del diritto comunitario rivestono grande importanza. Pertanto, il Parlamento europeo, il Consiglio e la Commissione hanno sottolineato la necessità di codificare gli atti legislativi modificati a più riprese e hanno convenuto, in virtù dell'accordo interistituzionale del 20 dicembre 1994, che si possa ricorrere a una procedura d'urgenza, fermo restando che nessuna modifica sostanziale potrà essere introdotta negli atti che formano oggetto della codifica.

3.

La proposta della Commissione in oggetto risponde precisamente a tale intento, per cui il CESE la sottoscrive appieno. Ciò non toglie che si tratti di una codifica tardiva: l'ultima modifica, infatti, pur se effettuata nel rispetto dei criteri fissati, risale addirittura al 1992.

Bruxelles, 2 giugno 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  GU 70 del 6.8.1962, pag. 2005. Direttiva modificata in ultimo dal regolamento (CEE) n. 881/92 (GU L 95 del 9.4.1992, pag. 1). Parere CESE: GU C 40 del 17.2.1992, pag. 15.


28.9.2004   

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Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio

(COM(2004) 127 def. - 2004/0045 (COD))

(2004/C 241/06)

Il Consiglio, in data 5 marzo 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 maggio 2004, sulla base del rapporto introduttivo predisposto dal relatore ADAMS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 2 giugno 2004, nel corso della 409a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 180 voti favorevoli, 3 voti contrari e 13 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

La proposta intende risolvere il problema dell'applicazione della legislazione sugli imballaggi e i rifiuti di imballaggio (1) da parte degli Stati in via di adesione. Dato infatti che la legislazione adottata dopo il 1o novembre 2002 (la direttiva riveduta è stata approvata soltanto nel febbraio 2004) non è disciplinata dall'Atto di adesione, la Commissione ha concluso che il modo migliore di procedere consisteva nel presentare una proposta di modifica, ai sensi dell'articolo 95 del Trattato di adesione.

1.2

Al Consiglio europeo del dicembre 2002 sono stati concordati diversi meccanismi di informazione e consultazione dei paesi via di adesione in merito a tale legislazione. Nel febbraio 2003 tutti questi paesi, ad eccezione di Cipro (2), hanno informato la Commissione del fatto che avrebbero necessitato di un ulteriore periodo transitorio prima di poter applicare la direttiva originaria. La proposta di modifica della direttiva è il risultato di un processo di consultazioni bilaterali a carattere tecnico con i dieci paesi in via di adesione.

1.3

L'attuale direttiva (3) intende prevenire o ridurre al minimo l'impatto ambientale degli imballaggi e dei rifiuti di imballaggio tramite la definizione di obiettivi di recupero e riciclaggio. I nuovi obiettivi concordati sono nettamente più elevati rispetto a quelli stabiliti nel 2001 e devono essere raggiunti entro la fine del 2008. La direttiva contiene, inoltre, obiettivi specifici per vetro, plastica, carta, cartone e metalli. Una volta raggiunti, tali obiettivi miglioreranno il livello globale di protezione ambientale nell'Unione e ridurranno le distorsioni della concorrenza esistenti, garantendo un livello di armonizzazione più elevato nell'ambito del mercato unico e una maggior sicurezza per la programmazione degli investimenti nelle infrastrutture di riciclaggio.

1.4

La proposta fissa al 31 dicembre 2012 il termine entro cui gli Stati in via di adesione dovranno raggiungere gli obiettivi prefissati.

2.   Osservazioni generali

2.1

La proposta di modifica della direttiva è un atto normativo necessario che fissa una data di attuazione del tutto realistica per gli Stati in via di adesione.

2.2

Nel suo parere del 29 maggio 2002 (4), il CESE aveva appoggiato pienamente la direttiva originaria, giudicandola un importante elemento propulsore per incoraggiare l'adozione di legislazioni nazionali in materia di recupero e riciclaggio dei rifiuti di imballaggio.

3.   Osservazioni specifiche

3.1

Il CESE richiama l'attenzione sul fatto che il volume medio dei rifiuti di imballaggio prodotti dai paesi in via di adesione è pari a 87 kg pro capite, a fronte dei 169 kg pro capite prodotti negli attuali Stati membri. Sebbene sia prevedibile un aumento, per effetto del mercato unico, del consumo di imballaggi negli Stati in via di adesione, il CESE chiede che si cerchi in ogni modo di ridurre al minimo gli imballaggi alla fonte, nel rispetto delle vigenti misure in materia di igiene e sicurezza.

3.2

Ogni Stato membro continuerà ad essere responsabile dei sistemi necessari a conseguire gli obiettivi di riciclaggio. In tutta la Comunità esiste già un'ampia gamma di processi, incentivi e disincentivi e il CESE auspica vivamente che la Commissione continuerà a definire le migliori pratiche e a dare adeguata pubblicità ai casi più interessanti ed esemplificativi.

4.   Conclusioni

Il Comitato accoglie con favore la proposta in quanto ritiene si tratti di un importante elemento propulsore per incoraggiare gli Stati in via di adesione a introdurre nelle loro legislazioni nazionali dei sistemi per la raccolta differenziata dei rifiuti.

Bruxelles, 2 giugno 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Direttiva 94/62/CE modificata dalla direttiva 2004/12/CE dell'11 febbraio 2004 (GU L 47 dell'8.2.2004, pagg. 26-32).

(2)  Cipro non ha chiesto disposizioni transitorie.

(3)  Direttiva 2004/12/CE dell'11 febbraio 2004, GU L 47 del 18.2.2004, pagg. 26-32.

(4)  CESE 681/2002, GU C 221 del 17.9.2002, pagg. 31-36.


28.9.2004   

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C 241/21


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio (CE) n. 1268/1999 relativo al sostegno comunitario per misure di preadesione a favore dell'agricoltura e dello sviluppo rurale da attuare nei paesi candidati dell'Europa centrale e orientale nel periodo precedente all'adesione

(COM(2004) 163 def. - 2004/0054 (CNS))

(2004/C 241/07)

Il Consiglio, in data 2 aprile 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 37 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Consiglio (CE) n. 1268/1999 relativo al sostegno comunitario per misure di preadesione a favore dell'agricoltura e dello sviluppo rurale da attuare nei paesi candidati dell'Europa centrale e orientale nel periodo precedente all'adesione.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 maggio 2004, sulla base del rapporto introduttivo predisposto dal relatore DONNELLY.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 2 giugno 2004, nel corso della 409a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 182 voti favorevoli, 2 contrari e 14 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Come previsto dai negoziati di adesione del dicembre 2002, nel 2004 entreranno nell'Unione europea otto dei paesi che attualmente beneficiano delle disposizioni del regolamento (CE) n. 1268/1999.

1.2

La Commissione ritiene che il suddetto regolamento debba essere modificato a favore dei paesi beneficiari che non aderiranno all'Unione europea nel 2004, per tener conto dell'esperienza acquisita nell'applicazione dello strumento da esso istituito, rispettandone nel contempo gli obiettivi fondamentali.

1.3

Al fine di armonizzare determinate disposizioni del regolamento con quelle applicabili ai nuovi Stati membri, si rende necessario apportare una serie di modifiche: i) inclusione di una nuova misura che consenta alle comunità rurali bulgare e rumene di prepararsi e di attuare strategie a favore dello sviluppo rurale locale; ii) adeguamento dell'intensità degli aiuti a livelli analoghi a quelli stabiliti per i paesi che aderiscono all'Unione nel 2004, e iii) un'ulteriore precisazione delle aliquote di aiuto, modifica — quest'ultima — che avrà effetto retroattivo per tutti i paesi beneficiari.

2.   Sintesi della proposta della Commissione

2.1

Il contributo comunitario non può superare il 75 % della spesa pubblica totale ammissibile. La proposta della Commissione non inciderà ulteriormente sul bilancio comunitario, in quanto sarà finanziata dagli stanziamenti già effettuati.

2.2

Le disposizioni del regolamento (CE) n. 1268/1999 del Consiglio (1) riguardanti i massimali relativi ai tassi di aiuto verranno chiarite ed emendate.

2.3

Gli emendamenti assicureranno in ogni caso il rispetto dei massimali stabiliti negli accordi europei.

2.4

La proposta prevede altresì un incremento del tasso del contributo comunitario per alcune misure di cui all'articolo 2.

2.5

I limiti riguardanti l'intensità degli aiuti a favore delle zone montuose e collinari di Bulgaria e Romania verranno armonizzati, con effetto dal 1o gennaio 2004, con quelli stabiliti per le zone svantaggiate dei paesi che aderiranno all'Unione il 1o maggio 2004.

3.   Osservazioni generali

3.1

Il CESE è favorevole alla proposta della Commissione di attuare strategie locali a favore dello sviluppo rurale volte a rafforzare le economie rurali.

3.2

Accoglie inoltre con favore l'innalzamento dell'intensità degli aiuti, in quanto ritiene tale misura fondamentale per lo sviluppo dell'agricoltura e per il rispetto dei parametri in materia di produzione alimentare e salvaguardia dell'ambiente.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Il CESE è consapevole che per i paesi beneficiari potrebbe essere difficile raccogliere fondi prima di ricevere aiuti agli investimenti.

4.2

Invita quindi la Commissione a mettere a punto procedure che consentano a tali paesi di massimizzare i finanziamenti ottenuti.

5.   Conclusioni

5.1

Il CESE accoglie con favore la nuova proposta di regolamento della Commissione.

Bruxelles, 2 giugno 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  GU L 161 del 26.6.1999, pag. 87. Regolamento modificato da ultimo dal regolamento (CE) n. 696/2003 (GU L 99 del 17.4.2003, pag. 24).


28.9.2004   

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C 241/23


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai prodotti alimentari destinati ad un'alimentazione particolare (versione codificata)

(COM(2004) 290 def. - 2004/0090 (COD))

(2004/C 241/08)

Il Consiglio, in data 4 maggio 2004, ha deciso, conformemente al disposto degli articoli 95 e 251 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa ai prodotti alimentari destinati ad un'alimentazione particolare.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 maggio 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore DONNELLY.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 2 giugno 2004, nel corso della 409a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 171 voti favorevoli e 3 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

La proposta della Commissione ha lo scopo di codificare la direttiva 89/398/CEE del Consiglio, del 3 maggio 1989, relativa al ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri concernenti i prodotti alimentari destinati ad un'alimentazione particolare. La nuova direttiva si sostituisce ai testi in essa incorporati e ne rispetta integralmente la sostanza, limitandosi a raggrupparli e ad apportarvi le sole modificazioni formali rese necessarie dall'opera di codificazione.

2.   Osservazioni di carattere generale

Il Comitato ritiene estremamente utile che tutti i testi vengano incorporati in un'unica direttiva. Nel contesto dell'Europa dei cittadini, infatti, al pari della Commissione il Comitato attribuisce grande importanza alla semplificazione e alla chiara formulazione della normativa comunitaria, perché questa diventi più comprensibile e accessibile al cittadino comune e gli offra nuove opportunità e la facoltà di far valere i diritti specifici che gli sono conferiti.

3.

Dal momento che il legislatore si è adoperato perché questa versione codificata non contenesse alcuna modifica di carattere sostanziale ed avesse l'unico scopo di presentare la normativa comunitaria in maniera chiara e trasparente, il Comitato esprime il proprio sostegno incondizionato a tale iniziativa e, di fronte alle garanzie così fornite, accoglie favorevolmente la proposta.

Bruxelles, 2 giugno 2004

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


28.9.2004   

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C 241/24


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni che definisce gli orientamenti per la seconda fase dell'iniziativa comunitaria EQUAL relativa alla cooperazione transnazionale per promuovere nuovi mezzi di lotta contro tutte le forme di discriminazione e di disparità connesse al mercato del lavoro «Libera circolazione delle buone idee»

(COM(2003) 840 def.)

(2004/C 241/09)

La Commissione, in data 5 gennaio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio, al Parlamento europeo, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni che definisce gli orientamenti per la seconda fase dell'iniziativa comunitaria EQUAL relativa alla cooperazione transnazionale per promuovere nuovi mezzi di lotta contro tutte le forme di discriminazione e di disparità connesse al mercato del lavoro «Libera circolazione delle buone idee».

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 maggio 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore SHARMA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 2 giugno 2004, nel corso della 409a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 185 voti favorevoli, 1 contrario e 9 astensioni.

1.   Contenuto della comunicazione

1.1

La comunicazione della Commissione ha una duplice finalità. Da un lato, presenta alcuni dei primi risultati dell'iniziativa comunitaria EQUAL, mettendo in evidenza le prassi più promettenti che possono già contribuire a definire nuove metodologie di lotta contro discriminazioni e disparità sul mercato del lavoro – la cosiddetta «libera circolazione delle buone idee». Dall'altro, definisce lo scenario per la seconda fase dell'iniziativa, confermandone i principi e la struttura e introducendovi dei dettagli tecnici.

1.2

In questa fase iniziale, il successo più evidente di EQUAL è costituito dai partenariati, volti a riunire i soggetti che cooperano, nell'ambito di un partenariato di sviluppo, alla definizione di una strategia integrata per le problematiche pluridimensionali.

1.3

La configurazione di EQUAL riprende le caratteristiche essenziali della buona governance; l'iniziativa si occupa infatti di questioni politiche trasversali e va ben oltre le frontiere istituzionali.

1.4

Gli Stati membri hanno convenuto, al termine di un'apposita consultazione, di mantenere invariata nella seconda fase l'impostazione tematica su cui si articola EQUAL.

1.5

In questa seconda fase, EQUAL prende in considerazione per la prima volta l'aspetto dell'ampliamento, includendo il sostegno al popolo rom e alle vittime della tratta di esseri umani, vista la sempre maggior importanza di tali questioni.

1.6

EQUAL offre ai nuovi paesi aderenti un'ottima opportunità di collaborare con gli Stati membri attuali al fine di identificare le buone pratiche in materia di integrazione sociale e professionale dei richiedenti asilo.

1.7

Sebbene i lavori siano tuttora in corso e non siano ancora disponibili risultati comprovati, la prima fase di EQUAL, iniziata nel 2001, consente di evidenziare le metodologie più promettenti in termini di nuovi mezzi di lotta contro la discriminazione e le disparità, soprattutto per quanto riguarda i seguenti aspetti: disabilità e orientamento sessuale, prolungamento della vita attiva, creazione di imprese da parte di disoccupati o persone non attive, contributo degli immigrati all'occupazione e alla crescita economica, promozione dell'adattabilità al mercato del lavoro, principi di base delle strategie di apprendimento permanente, eliminazione della segregazione settoriale e professionale tra i generi, condivisione degli impegni familiari e domestici, responsabilità sociale delle imprese, reintegrazione come mezzo per combattere l'esclusione e, infine, economia sociale per incrementare la quantità e la qualità dei posti di lavoro.

1.8

Benché l'impostazione tematica rimanga invariata, nella seconda fase EQUAL dovrà affrontare sfide di nuovo tipo, soprattutto a seguito dell'ampliamento, quali la questione delle discriminazioni ai danni del popolo rom e la tratta di esseri umani.

1.9

La cooperazione tra Stati membri è un aspetto fondamentale dell'iniziativa EQUAL che ha già sortito risultati positivi sotto diversi aspetti, quali i partenariati di sviluppo e le reti tematiche.

1.10

Il mainstreaming, vale a dire l'integrazione e l'inserimento di nuove idee e impostazioni nelle politiche e nelle pratiche, rappresenta una sfida ambiziosa; al fine di massimizzare l'impatto di EQUAL, i risultati devono però essere analizzati, comparati e diffusi non solo a livello nazionale, ma anche comunitario.

1.11

L'iniziativa è sottoposta a due tipi di valutazione: una intermedia e l'altra continua. La prima si fonda sulle relazioni intermedie presentate dagli Stati membri alla Commissione nel dicembre 2003, che sono servite da punto di partenza per la valutazione a livello comunitario. In questo caso, i valutatori non hanno suggerito alcuna modifica della configurazione generale di EQUAL; tuttavia, sulla base delle relazioni nazionali, nonché dei lavori e delle analisi in loco da essi effettuate, tali valutatori hanno evidenziato numerosi elementi suscettibili di limitare l'efficacia dell'iniziativa ed hanno elaborato una serie di raccomandazioni volte a potenziarla. Sulla scia di questa valutazione intermedia, gli attuali Stati membri continueranno ad elaborare relazioni con cadenza annuale.

2.   Osservazioni generali

2.1

Il Comitato accoglie con favore l'entusiasmo manifestato per il partenariato (sezione 3) e si compiace che venga riconosciuta l'importanza di promuovere partenariati tra gruppi che in precedenza non avevano collaborato. Essendo questo uno dei fattori più significativi del successo di EQUAL, bisognerebbe mettere a punto procedure amministrative e di supporto volte a corroborare l'assoluta priorità del lavoro in partenariato.

2.2

Le intenzioni dell'azione 1, descritta nel quarto paragrafo della sezione 3, sono più che fondate: la semplificazione delle procedure di passaggio alle attività di sviluppo contribuirà alla continuità e a fare in modo che il successo del programma non dipenda eccessivamente da coloro che lo avviano.

2.3

L'ampia gamma di partner coinvolti attivamente in EQUAL dovrebbe favorire lo sviluppo della buona governance. Promuovere la responsabilizzazione nell'ambito dei principi e della configurazione di EQUAL dovrebbe essere un aspetto fondamentale per la buona governance – anche se l'opportunità di sottolinearlo, offerta dalla sezione 3.1, non è stata colta. Il mantenimento delle reti create attraverso EQUAL (sezione 3.1, quarto paragrafo) dipenderà dal potere conferito a tutte le parti di influire sulle politiche e sulle pratiche degli altri attori in gioco. Il Comitato si compiace del fatto che sia previsto il coinvolgimento di chi è stato oggetto di discriminazioni; bisogna tuttavia riconoscere che l'attuazione di EQUAL ai livelli europeo, nazionale, regionale e locale spesso segue criteri gerarchici e rischia di aumentare la burocrazia e di far perdere il controllo della situazione se i problemi non vengono previsti in tempo ed evitati. Va in particolare sottolineato che spesso il controllo del finanziamento crea responsabilizzazione.

2.4

Il Comitato si compiace che sia stato dedicato ampio spazio alla strategia europea per l'occupazione, al processo di inclusione sociale, al Trattato, al Fondo europeo per i rifugiati e agli altri strumenti politici, in quanto ciò permette di collocare EQUAL in un contesto specifico e consente a categorie che di solito non partecipano al processo decisionale europeo di comprenderne il funzionamento e di sentirsi coinvolte. Ulteriori riferimenti bibliografici o indicazioni di fonti di informazione potrebbero incoraggiare tali categorie ad approfondire la ricerca. Le discriminazioni e le disparità sono fattori di esclusione determinanti, ma il fatto di familiarizzarsi con gli aspetti amministrativi del cambiamento è importante per il mainstreaming di EQUAL da parte di gruppi e di persone che abitualmente non esercitano un influsso sulle politiche. Per taluni gruppi, questi orientamenti possono costituire un primo punto di contatto.

2.5

L'importanza che EQUAL annette all'innovazione (sezione 5) viene esaminata in relazione a nuovi approcci in materia di attuazione delle politiche. L'orientamento adottato da EQUAL nei confronti dell'innovazione (sezione 11.4, punto 17) prende in considerazione anche i nuovi processi di sviluppo delle politiche; non va inoltre trascurato il potenziale dei partenariati di sviluppo ai fini di una responsabilizzazione e di una buona governance nell'elaborazione e nell'attuazione delle politiche.

2.6

Il rafforzamento delle attività di mainstreaming costituisce di per sé un riconoscimento dell'importanza di tale aspetto. Consentire la messa a punto di nuovi progetti ricorrendo a «moltiplicatori» può favorire l'innovazione. Bisogna ammettere che il processo di innovazione intrapreso nell'ambito dei partenariati di sviluppo non coinvolge necessariamente le persone più adatte ad effettuare un mainstreaming dei risultati.

2.7

Il processo di valutazione raccomanda di prestare maggior attenzione al mantenimento del posto di lavoro, nonché alla qualità e alla creazione diretta di occupazione. Per convincere la manodopera impiegata nelle PMI, soprattutto i lavoratori di età compresa tra i 30 e i 50 anni, a partecipare ad attività quali la formazione permanente e la pianificazione professionale, potrebbero rendersi necessari strumenti innovativi di assunzione. È importante collaborare con organizzazioni che svolgono opera di collegamento in rete, quali i sindacati, e gestire le procedure amministrative in modo da accentrare quanto più possibile le formalità.

2.9

La Commissione mostra inoltre di riconoscere che EQUAL pone a PMI e ONG sfide di tipo burocratico, cui devono far fronte anche gli enti locali: sotto questo profilo, infatti, i nuovi Stati membri stanno già sperimentando alcune difficoltà in merito alla gestione dei fondi strutturali. I problemi amministrativi incontrati dagli enti locali rischiano di ripercuotersi sulle PMI e sulle ONG, compromettendone la gestione degli interventi. Trovare delle soluzioni per le PMI e le ONG potrebbe risultare vantaggioso per le organizzazioni che fanno parte del sistema.

2.9

I tempi prescelti per l'iniziativa sono tali da consentirle di contribuire allo sviluppo della politica e della strategia europea. Il processo di Lisbona prevede una valutazione intermedia nel luglio 2005, e in tale contesto la strategia europea per l'occupazione costituisce un elemento chiave. Nel luglio 2004 saranno inoltre proposti nuovi fondi strutturali; il rapporto sulla coesione in Europa offre anch'esso l'occasione per un mainstreaming dei risultati ottenuti con EQUAL.

3.   Osservazioni specifiche

3.1

Il Comitato condivide i principi su cui si fonda EQUAL; le sue osservazioni si concentrano pertanto più specificamente sui meccanismi dell'iniziativa.

3.2

Visto che nella prima fase di EQUAL il passaggio dall'azione 1 (creazione di partenariati) all'azione 2 (sviluppo) ha comportato, in alcuni programmi, un rallentamento, si propone una nuova «fase di conferma», che ridurrà le procedure amministrative per l'approvazione dell'azione 2 e assicurerà l'ammissibilità della spesa durante la fase di transizione.

3.3

Punto focale di questo passaggio dall'azione 1 all'azione 2 è l'approntamento dell'accordo di partenariato di sviluppo, corredato di obiettivi e di un piano d'azione. Dal momento che la continuità è un fattore importante, i promotori dei partenariati dovrebbero capire come le loro attività di responsabilizzazione e di costituzione dell'organico, nonché le procedure amministrative nell'ambito dell'azione 1 potrebbero contribuire a tale fattore. Si registrano forti disparità nel sostegno fornito dalle autorità di gestione ai partenariati di sviluppo, che non sempre funzionano adeguatamente. Gli Stati membri dovrebbero imparare gli uni dagli altri quale tipo di sostegno è necessario per un partenariato efficace. Offrire al personale una garanzia di continuità potrebbe rivelarsi problematico nei nuovi Stati membri, dove le nuove opportunità via via emergenti potrebbero essere un incentivo ad una maggiore mobilità professionale.

3.4

Lo sviluppo di partenariati transnazionali costituisce un aspetto decisamente positivo di EQUAL. Nei partenariati bisognerebbe altresì incoraggiare l'elasticità, nonché la capacità di reagire con profitto ai cambiamenti che inevitabilmente si producono nei piani di programmazione. A tal fine è essenziale una certa flessibilità di bilancio.

3.5

Se le norme finanziarie sono uguali per tutti i fondi strutturali, le procedure necessarie per contabilizzare i finanziamenti e giustificare le attività andrebbero gestite in modo tale che le formalità amministrative non scoraggino coloro che si trovano nella posizione migliore per offrire opportunità di responsabilizzazione.

3.6

Dalle esperienze maturate dalla Commissione emerge che, di norma, viene speso solo l'85 % degli stanziamenti assegnati. Il Comitato suggerisce pertanto di recuperare le risorse non utilizzate e di destinarle a un ulteriore mainstreaming. Tale manovra non dovrebbe però indebolire i programmi che hanno subito un ritardo o un cambiamento, imponendo eccessive formalità amministrative a scapito della loro attuazione o riducendone prematuramente le risorse.

3.7

L'elenco delle attività di integrazione di cui alla sezione 9, lettera a), non è completo; il Comitato ritiene comunque particolarmente significativo riconoscere, accanto al tutoraggio, il ruolo del sostegno alle imprese. Grande importanza rivestono attori come le parti sociali, ivi compresi i sindacati. L'elaborazione delle proposte per la seconda fase di EQUAL può costituire un elemento sostanziale dello sfruttamento, ove appropriato, dei risultati della prima fase.

3.8

Il mainstreaming non va considerato come un obiettivo a se stante, ma come un approccio o una strategia. È infatti portatore di valore aggiunto, ma va supportato da strumenti di parità, come la nuova normativa sulla parità di trattamento e le politiche che promuovono azioni positive. È inaccettabile che alcuni Stati membri debbano ancora trasporre le direttive contro le discriminazioni in norme di diritto interno che definiscono uno standard comune di parità a livello nazionale.

3.9

Stando agli orientamenti, le «pari opportunità» suscitano poco interesse (cfr. sezione 10.1, terzo paragrafo) e vengono intese in modo limitato o tradizionale (sezione 10.1, sesto paragrafo). Una panoramica sui diversi modi di percepire e di affrontare tale aspetto negli Stati membri costituirebbe un prezioso contributo allo sviluppo di nuovi programmi. A titolo esemplificativo, solo un numero limitato di gruppi affronta le disparità tra i generi come tema specifico, mentre nell'insieme del programma la maggior parte dei gruppi se ne occupa.

3.10

L'impatto negativo dei diversi calendari/processi degli Stati membri (cfr. sezione 10.1, quinto paragrafo) va al di là della costituzione dei partenariati transnazionali, questione già affrontata per la seconda fase. La messa a punto delle procedure amministrative e di monitoraggio, il calendario dell'azione 3 e la durata globale dei progetti possono differire da un paese all'altro ed essere pertanto controproducenti per un rapporto di lavoro transnazionale.

3.11

La consulenza dei due paesi capofila per ciascun tema sarebbe di grande utilità nelle procedure di selezione dei programmi della seconda fase, in quanto le autorità di gestione potrebbero così beneficiare di un certo coordinamento tra gli Stati membri.

Bruxelles, 2 giugno 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


28.9.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 241/27


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Consiglio che istituisce il Fondo europeo per i rifugiati per il periodo 2005-2010

(COM(2004) 102 def. – 2004/0032 (CNS))

(2004/C 241/10)

Il Consiglio, in data 23 febbraio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di decisione del Consiglio che istituisce il Fondo europeo per i rifugiati per il periodo 2005-2010.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 maggio 2004, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice CASSINA.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 2 giugno 2004, nel corso della 409a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 184 voti favorevoli, 3 voti contrari e 12 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

In data 28 settembre 2000, il Consiglio ha adottato la decisione n. 2000/596 che istituiva il Fondo europeo per i rifugiati per il periodo 2000/2005 (in seguito FER I), con una dotazione di 36 milioni di euro su un periodo di 5 anni. Il programma costituiva una prima razionalizzazione e la creazione della struttura necessaria per tutta la serie di azioni che erano state lanciate fin dal 1997, soprattutto per impulso del Parlamento europeo (1), ma sulla base di linee di bilancio annuali. Il CESE si è espresso favorevolmente a suo tempo sulla proposta relativa a tale decisione (2).

1.2

A poco più di un anno dalla scadenza del 31 dicembre 2004 (termine del periodo coperto dal FER I), la Commissione ha proceduto all'analisi dell'esperienza acquisita e negli Stati membri e a livello comunitario, nel corso dell'attuazione del FER I, ha organizzato una conferenza di valutazione (3) e ha fatto eseguire uno studio di impatto (4) in vista di presentare una proposta per una nuova fase del programma. Nella valutazione si è anche tenuto conto degli effetti e delle sinergie con altre azioni e programmi comunitari (5).

1.3

Sulla base dell'esperienza complessiva maturata, la Commissione ha proposto, il 12 febbraio 2004, la «Decisione del Consiglio che istituisce il Fondo europeo per i rifugiati per il periodo 2005–2010» che è oggetto del presente parere.

2.   Contenuto della proposta della Commissione

2.1

La Commissione propone di istituire un fondo (FER II) con una dotazione di 687 milioni di euro su un arco di 6 anni, destinato a sostenere le azioni degli Stati membri volte all'accoglienza, all'integrazione e al rimpatrio volontario dei cittadini di paesi terzi o apolidi in una delle situazioni seguenti: che beneficino dello statuto di rifugiato (6), che godano di un regime di protezione internazionale (nell'ambito di un dispositivo di reinsediamento), che beneficino di una forma di protezione sussidiaria, che abbiano richiesto una delle forme di protezione appena citate o che siano in regime di protezione temporanea (7).

2.2

Azioni ammissibili. Le azioni ammissibili al cofinanziamento del FER II negli Stati membri coprono un ampio spettro, nell'ambito delle operazioni di accoglienza, integrazione e rimpatrio volontario. In particolare possono essere cofinanziate: le infrastrutture di accoglienza; gli aiuti materiali, medici e psicologici; l'assistenza sociale e amministrativa; il sostegno linguistico, l'istruzione e la formazione nonché l'inserimento nel lavoro; il miglioramento dei dispositivi di accoglienza; la condivisione dei valori sanciti nella Carta dei diritti fondamentali dell'UE; la promozione dell'informazione della popolazione locale e della partecipazione civile e culturale dei destinatari; la promozione dell'autonomia dei beneficiari finali; le azioni di coinvolgimento delle autorità locali, delle ONG e dei cittadini; l'informazione e la consulenza ai rimpatri e l'aiuto al reinserimento nei paesi d'origine.

2.2.1

In caso di attivazione dei meccanismi di protezione temporanea, possono essere altresì cofinanziate misure urgenti (fino all'80 % del costo) per accoglienza, alloggio, mezzi di sussistenza, assistenza medica e psicologica, spese del personale e amministrative, spese logistiche e di trasporto.

2.2.2

Il 10 % della dotazione del FER II è riservato ad azioni comunitarie, gestite direttamente dalla Commissione e volte a finanziare varie cooperazioni comunitarie, la messa in rete di esperienze, la realizzazione di progetti pilota innovativi, nonché la ricerca sulle nuove tecnologie e sulle loro applicazioni ai rifugiati e alle azioni in loro favore.

2.3

Attuazione del FER II. L'attuazione del FER II si fonda sul principio della responsabilità concorrente degli Stati membri e della Commissione:

2.3.1

La Commissione definisce le linee-guida per i programmi pluriennali, accerta l'esistenza e il buon funzionamento dei sistemi di gestione e controllo dei paesi membri e assicura l'attuazione delle misure comunitarie. La Commissione è assistita da un comitato ai sensi della decisione 1999/468/CE.

2.3.2

Gli Stati membri sono responsabili dell'attuazione delle azioni nazionali; mettono in essere un'«autorità responsabile» con personalità giuridica e capacità gestionale; sono responsabili in via principale del controllo finanziario delle azioni e collaborano con la Commissione per la raccolta dei dati statistici.

2.3.3

Gli Stati membri e la Commissione garantiscono la diffusione dei risultati, assicurano la trasparenza e perseguono la coerenza globale delle azioni e la loro complementarietà con altri strumenti ed iniziative.

2.4

Programmazione. Sono previsti due periodi di programmazione pluriennale (2005-2007 e 2008-2010). Gli Stati membri sottopongono i progetti di programma triennale alla Commissione e la Commissione li approva entro 3 mesi, dopo averne verificato la coerenza con le linee guida, attraverso la procedura di comitato. I programmi pluriennali sono attuati attraverso programmi annuali.

2.5

Ripartizione delle risorse. Ogni Stato membro riceve un importo fisso annuale di 300 mila euro; per i nuovi paesi membri l'importo è invece fissato a 500 mila euro per i primi 3 anni.

2.5.1

Le altre risorse annuali disponibili sono ripartite tra gli Stati membri in proporzione del 35 % del numero delle persone che nei tre anni precedenti hanno goduto dello statuto di rifugiato, di una protezione internazionale nell'ambito di un dispositivo di reinsediamento o di una protezione sussidiaria; la proporzione del 65 % si applica alle persone che nei tre anni precedenti hanno richiesto l'asilo o goduto di protezione temporanea. Una parte della dotazione annuale può essere usata per assistenza tecnica e amministrativa. La partecipazione finanziaria del Fondo costituisce una sovvenzione non rimborsabile, ma in caso di cattivo uso accertato ne è chiesta la restituzione con interesse di mora pari a quello applicato dalla BCE, maggiorato del 3,5 %. Per ottenere le tranches di cofinanziamento successive a quella ottenuta all'inizio del programma, gli Stati membri devono introdurre un rapporto e delle dichiarazioni di spesa certificate da un servizio indipendente dalla Autorità responsabile.

2.5.2

Il contributo comunitario alle azioni degli Stati membri non può superare il 50 % del costo totale; in caso di azioni innovative o transnazionali, esso può arrivare fino al 60 % e fino al 75 % per gli Stati membri beneficiari del Fondo di coesione.

2.6

Valutazione. La Commissione presenterà una prima relazione intermedia entro il 30 aprile 2007 e una seconda relazione intermedia entro il 31 dicembre 2009. Entro il 31 dicembre 2012, essa presenterà infine una valutazione a posteriori.

3.   Osservazioni

3.1

Il CESE esprime un giudizio generale molto positivo sulla proposta della Commissione e ritiene che il FER II può rappresentare una tappa significativa verso la realizzazione sia della parte del Titolo IV del Trattato che riguarda il diritto d'asilo, sia delle decisioni del Consiglio europeo di Tampere, nonché degli altri Consigli che hanno specificato orientamenti e modalità di attuazione della politica in materia di visti, asilo e immigrazione. Una mancata applicazione di queste decisioni o il raggiungimento da parte del Consiglio di accordi che indebolissero la proposta originaria e mantenessero la possibilità di ampie differenze normative negli Stati membri, renderebbero quasi certamente il Fondo meno efficace di quanto avrebbe potuto essere. Il CESE nota con disappunto che la direttiva sul contenuto dello statuto di rifugiato adottata recentemente (8) dal Consiglio risulta assai lontana, nei contenuti, sia dalla proposta della Commissione (9), sia da quanto esso stesso aveva auspicato e richiesto nel suo parere sull'argomento (10).

3.1.1

L'importanza del programma non è certo da sottolineare se si pensa che i nuovi richiedenti asilo sono circa 400 mila all'anno (11) e costituiscono una realtà umana spesso contrassegnata da gravi sofferenze. Si tratta di una categoria di persone a cui è prioritario offrire solidarietà, un sostegno materiale, morale e psicologico, un'accoglienza dignitosa, dei servizi adeguati, delle procedure trasparenti ed efficaci, l'opportunità di inserirsi attivamente, attraverso un lavoro o un'attività nel contesto sociale comunitario e, nel caso di un'accertata e cosciente volontà di ritorno, un rimpatrio senza rischi.

3.2

L'aumento della dotazione rispetto al FER I (687 milioni di euro in 6 anni, rispetto ai 36 milioni di euro in 5 anni del programma precedente) appare rilevante ma il CESE ricorda che la dotazione del FER I era molto limitata rispetto alle esigenze della realtà dei rifugiati. Esso nota con soddisfazione che nella proposta per le prospettive finanziarie 2007-2013, il capitolo relativo alla sicurezza, alla giustizia, alle migrazioni e all'asilo gode di una particolare priorità e figura tra quelli destinati ad essere progressivamente dotati di risorse sempre più consistenti: la dotazione del FER II, pertanto, si colloca coerentemente in questa prospettiva.

3.2.1

Il FER II da un lato rappresenta lo sforzo solidale necessario per la realizzazione di una politica importante e, dall'altro, evidenzia la presa di coscienza da parte delle istituzioni comunitarie del fatto che i problemi connessi con il Titolo IV del Trattato non si risolvono senza una forte corresponsabilizzazione di tutti gli attori: azioni strategicamente ben impostate, accuratamente realizzate e sostenute dalla società civile e dalle amministrazioni locali servono, infatti, anche a stabilizzare diritti, strumenti e meccanismi in vista dell'attuazione della politica comune in materia di asilo. Il CESE ricorda che l'attuazione del FER II dovrà andare a completare e potenziare le misure nazionali già in atto e non sostituirsi a quanto fatto finora. In particolare non si dovrà ridurre, bensì aumentare e migliorare il coinvolgimento delle parti sociali e degli attori della società civile.

3.2.2

La parte di risorse riservata alle azioni comunitarie viene giustamente elevata e portata dal 5 % del FER I al 10 % del FER II. Il CESE ricorda che già nel suo parere sul FER I aveva chiesto di riservare il 10 % alle azioni comunitarie e insiste sulla necessità di attestarsi su questa percentuale se si vuole che le azioni possano conseguire perlomeno i due obiettivi seguenti: sostenere lo sviluppo di iniziative transnazionali e innovative (anche da parte della società civile organizzata) e fornire a tutti gli Stati membri un supporto sotto forma di studi, ricerche, momenti di confronto.

3.3

Anche la ripartizione tra le azioni (accoglienza, integrazione e rimpatrio volontario) è equilibrata e corrisponde alla situazione attuale degli Stati membri e al futuro prevedibile dei flussi di richiedenti asilo o di persone soggette ai diversi tipi di protezione. Il cofinanziamento, stabilito in rapporto anche ai cinque gruppi-obiettivo di persone, riflette la realtà attuale dei paesi membri, ma la programmazione pluriennale con l'articolazione esecutiva annuale dei programmi permetterà gli eventuali adattamenti che un evolversi non previsto della situazione potrebbe rendere necessari. La procedura di comitato, inoltre, permetterà un monitoraggio collettivo del processo di applicazione e favorirà la circolazione di buone prassi e azioni innovative. Il CESE ritiene necessario che una parte rilevante di risorse vada ad azioni di accoglienza e di integrazione e auspica che gli Stati membri evitino di spostare troppo, nei programmi pluriennali, il peso delle scelte verso le azioni di rimpatrio.

3.3.1

Il CESE apprezza vivamente che, tra le misure di integrazione sia previsto anche l'inserimento nel lavoro perché è convinto del fatto che la possibilità di sopperire, o di contribuire sostanzialmente, alla propria esistenza accresce in ogni individuo la fiducia e il sentimento di appartenere ad un contesto sociale ed evita inoltre i periodi prolungati di inattività e di scarse risorse che facilmente spingono, soprattutto i giovani, verso attività irregolari o al limite della legge. Il CESE insiste, comunque, sulla necessità di offrire ai destinatari finali del FER II delle condizioni di lavoro che permettano loro di essere parte attiva nelle procedure e nelle attività che li riguardano. Purtroppo, il CESE deve rilevare con disappunto che la recente decisione del Consiglio relativa allo statuto di rifugiato lascia agli Stati membri la responsabilità di decidere se integrare o meno nel lavoro i rifugiati e ricorda di aver sempre insistito nei suoi pareri (12) sulla necessità di favorire l'attività di queste persone. Esso considera infatti la partecipazione al lavoro come un diritto rispetto al quale non dovrebbe esser lecita alcuna discriminazione.

3.3.2

Il CESE suggerisce anche di assegnare una certa priorità ad azioni di formazione culturale e psicologica per il personale dell'amministrazione e delle forze dell'ordine che si trova ad operare con i rifugiati, i richiedenti asilo e le persone protette a diverso titolo. Questo è necessario anche per contrastare l'immagine e gli stereotipi negativi che troppo spesso la stampa e i media danno della realtà dei rifugiati. Anche azioni che promuovano il dialogo e la conoscenza reciproca tra le culture presenti tra i soggetti citati con i cittadini dei paesi ospitanti sono di grande importanza per l'integrazione e il consenso sociale necessario per un'efficace attuazione del FER II.

3.4

Il CESE ritiene valido il percorso strategico complessivo dell'attuazione del programma che prevede linee-guida, programmi pluriennali a esecuzione annuale, due rapporti ad interim della Commissione e un rapporto a posteriori. Tale impianto richiama la logica di altri meccanismi attuativi già realizzati che stanno dimostrando l'efficacia di un metodo che facilita un corretto sharing di responsabilità tra la Comunità e gli Stati membri, in attuazione del principio di sussidiarietà inteso come responsabilità condivisa. Il FER II, infatti, non può essere solo uno strumento di ridistribuzione di risorse tra gli Stati membri, ma deve perseguire l'ambizione – come si diceva al punto 3.1 – di rappresentare un passo in avanti verso l'attuazione di una politica comune di asilo. Se consideriamo, infatti, che non tutti gli strumenti legislativi proposti per costruire tale politica sono stati approvati, l'attuazione del FER II può anche aiutare gli Stati membri a prendere le decisioni che ancora mancano con maggior consapevolezza e serenità.

3.4.1

La costituzione di un'Autorità responsabile in ogni Stato membro risulterà molto utile per dare unità e organicità ai programmi nazionali, per realizzare in piena trasparenza e correttezza le azioni nazionali e per curare l'indispensabile rapporto con la popolazione e la società civile. Il CESE sottolinea la rilevanza che la proposta conferisce alla consultazione, alla partecipazione e alla corresponsabilizzazione dei partner interessati, fin dal primo momento della preparazione dei programmi pluriennali. Questa attenzione al coinvolgimento delle organizzazioni della società civile e delle amministrazioni locali è un principio cruciale per assicurare l'indispensabile presa in conto delle esperienze maturate sul terreno, articolare il dibattito nella società, creare consenso e, conseguentemente, assicurare un buon governo (governance) della materia: il CESE l'ha ribadito molte volte nei suoi pareri e lo ritrova con soddisfazione nel testo della Commissione.

3.4.1.1

Il Comitato ritiene di particolare importanza garantire e facilitare l'accesso delle ONG ai centri di raccolta e di transito affinché esse possano esercitare la loro azione di sostegno alla prima accoglienza. Questi interventi potrebbero utilmente fare l'oggetto di un'azione comunitaria specifica per migliorarne la portata.

3.4.2

Dalle esperienze maturate negli anni passati in tutti gli Stati membri risulta evidente l'efficacia delle partnership tra amministrazioni nazionali e locali e organizzazioni della società civile. Il CESE auspica che tutto questo patrimonio di cooperazione non vada disperso nell'attuazione del FER II ma venga piuttosto dotato di nuovi e più strutturati strumenti.

3.5

L'impianto del FER II assume il problema della differenza di situazioni nei diversi Stati membri e mantiene il criterio centrale della ripartizione delle risorse in base al numero di persone appartenenti ai gruppi-obiettivo che si trovano nei diversi Stati. Il CESE nota che di queste diversità, e soprattutto del diverso grado di maturazione delle politiche degli Stati membri in materia, si dovrà tener conto al momento di proporre le linee-guida per la programmazione pluriennale.

3.5.1

È significativo, anche se poco più che simbolico, che ai nuovi paesi membri sia allocata, nei primi 3 anni del programma, una somma annuale fissa maggiore di quella prevista per i 15 Stati membri attuali dell'UE. Tali paesi, infatti, da un lato non hanno ancora maturato molta esperienza in materia e dall'altro si troveranno, in alcuni casi, alle frontiere esterne dell'UE. La loro integrazione nella dinamica delle politiche di asilo già in atto negli attuali 15 paesi membri e la loro capacità di utilizzare gli strumenti comunitari in materia è, pertanto, cruciale. In particolare, bisognerà mettere a disposizione dei nuovi paesi membri le esperienze dei paesi dell'UE a 15 e sostenerli specificamente, anche dando priorità alle azioni comunitarie volte a sviluppare le capacità amministrative e gestionali in materia di asilo.

3.6

Il CESE insiste sulla necessità di rendere essenziali ed efficaci le procedure di esecuzione finanziaria del FER II e di evitare che la complessità delle procedure o la loro incomprensibilità provochino delle irregolarità. Esso insiste altresì sul fatto che le organizzazioni della società civile che si occupano di rifugiati e di persone che godono di diversi tipi di protezione non devono essere oberate da procedure complesse e/o di difficile attuazione. E ciò sia a livello delle azioni negli Stati membri, sia a livello delle azioni comunitarie. Una ONG, per quanto doverosamente sottomessa a condizioni rigorose di trasparenza, ha un funzionamento e un bisogno di flessibilità ben diversi da quelli di un'impresa edile che vince un appalto per costruire un centro di prima accoglienza. Il rischio che il CESE teme è che nei contratti che le Autorità responsabili firmeranno con le organizzazioni della società civile non sia fatta sufficiente chiarezza sui doveri e sulle responsabilità, costringendo l'organizzazione firmataria a concentrare gli sforzi più sulle pratiche amministrative e le certificazioni di spesa che sulla efficacia dell'azione rivolta al rispetto dei diritti e al soddisfacimento dei bisogni delle persone destinatarie dell'azione.

3.6.1

Inoltre, il CESE ritiene che la maggiorazione dell'interesse sulle somme da restituire in caso di uso indebito dovrebbe essere solo simbolica per evitare il rischio che lo Stato membro per cautelarsi imponga negli appalti procedure giugulatorie, che andrebbero ancora una volta a scapito dell'efficacia dell'azione e del coinvolgimento delle ONG. Il CESE ricorda che in nessuno Stato membro la gestione della politica di asilo è attuata esclusivamente da strutture pubbliche e che in alcuni Stati i rifugiati e le persone con protezione non avrebbero alcuna speranza, se non fosse per l'azione e l'assistenza delle ONG. Il CESE chiede pertanto che le modalità applicative del FER II tengano conto di queste preoccupazioni.

3.7

Il CESE chiede alla Commissione di insistere con gli Stati membri per definire criteri comuni per la rilevazione dei dati. L'aspetto quantitativo nell'attuazione del FER II è altrettanto importante di quello qualitativo, in quanto il FER II basa l'allocazione delle risorse per il cofinanziamento proprio sui dati relativi alle diverse categorie di persone che godono dello statuto di rifugiato o di altra protezione o che ne sono richiedenti.

3.8

In relazione all'articolo 26.2, gli Stati membri dovrebbero, nelle loro valutazioni, consultare le ONG ed i partner sociali.

4.   Conclusioni

4.1

Il CESE ritiene che la proposta di un Fondo europeo per i rifugiati (FER II) per il periodo 2005–2010 sia valida, dotata di risorse adeguate e strutturata in modo da esaltare la responsabilità concorrente degli Stati membri e della Commissione. Insiste inoltre sulla necessità che le fasi dell'accoglienza e dell'integrazione continuino ad essere considerate il pilastro di una buona politica di asilo.

4.2

Il CESE apprezza il fatto che la proposta implichi, sia per gli Stati membri che per l'autorità responsabile che questi dovranno istituire, la responsabilità di coinvolgere in una sempre più efficace partnership tutti gli attori interessati, e in particolare le organizzazioni della società civile e le amministrazioni regionali e locali. Segnala, tuttavia, la necessità di dare attuazione al FER II dando priorità all'efficacia delle azioni e rendendo facili e trasparenti le procedure di intervento da parte dei soggetti diversi dagli Stati membri.

4.3

Il CESE insiste sulla necessità di definire criteri comuni per il rilevamento dei dati in materia di rifugiati, anche per assicurare equità e comparabilità alle azioni realizzate nei diversi paesi e chiede che le azioni comunitarie siano indirizzate prioritariamente a sviluppare e sostenere la capacità amministrativa e gestionale dei nuovi paesi membri.

4.4

Il CESE auspica che la proposta del FER II faccia l'oggetto di una decisione rapida, accompagnata da congrue e trasparenti modalità di attuazione.

Bruxelles, 2 giugno 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Relatore Gérard Deprez.

(2)  GU C 168 del 16.6.2000 (relatrice: zu EULENBURG).

(3)  30 e 31 ottobre 2003.

(4)  SEC(2004) 161/COM(2004) 102 def. del 12 febbraio 2004 - «Commission Working Staff Paper — Proposal for a Council Decision establishing the European Refugee Fund for the period 2005-2010 – Extended Impact Assessment».

(5)  In particolare le linee di bilancio che, nel 2003 e nel 2004, hanno finanziato progetti pilota di integrazione; la proposta costituzione dell'Agenzia per le frontiere esterne; l'utilizzo del programma EQUAL per l'inserimento professionale dei richiedenti, ecc.

(6)  Secondo lo status definito dalla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951 modificata dal protocollo del 31 gennaio 1967.

(7)  Ai sensi della direttiva 2001/55/CE.

(8)  Adottata il 29 aprile 2004.

(9)  Proposta di direttiva del Consiglio recante norme sull'attribuzione, a cittadini di paesi terzi ed apolidi, della qualifica di rifugiato o di persona altrimenti bisognosa di protezione internazionale, nonché norme minime sul contenuto dello status di protezione, GU C 51 E del 26.2.2002.

(10)  Vedi parere CESE nella GU C 221 del 17.9.2002 (relatrice: Le Nouail-Marlière).

(11)  Negli ultimi due anni il trend degli arrivi è in diminuzione ma, come è evidente, non si può mai escludere un improvvisa ripresa dei flussi. Va ricordato che, sulla rilevazione dei trend, essendo essa affidata a statistiche nazionali e non armonizzate, possono influire anche molto le diverse politiche applicate dai paesi membri e la loro attuazione sul piano amministrativo.

(12)  Vedi parere CESE sulla Proposta di direttiva del Consiglio recante norme minime relative all'accoglienza dei richiedenti asilo negli Stati membri, punto 4.3, in GU C 48 del 21.2.2002 (relatore: MENGOZZI) e il parere sulla summenzionata proposta sullo statuto di rifugiato, punto 3.7.1, in GU C 221 del 17.9.2002 (relatrice: Le NOUAIL-MARLIÈRE).


28.9.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 241/31


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle condizioni di accesso alle reti di trasporto del gas

(COM(2003) 741 def. - 2003/0302 (COD))

(2004/C 241/11)

Il Consiglio, in data 23 gennaio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 95 e dell'articolo 251 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle condizioni di accesso alle reti di trasporto del gas.

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 maggio 2004, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice SIRKEINEN.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 2 giugno 2004, nel corso della 409a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 154 voti favorevoli, 1 voto contrario e 10 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

La seconda direttiva sul mercato interno del gas, adottata nel giugno 2003, dovrà apportare le modifiche strutturali necessarie al quadro normativo per superare i restanti ostacoli al completamento del mercato interno del gas naturale. La direttiva prevede il diritto per tutti i clienti diversi dalle famiglie di poter scegliere liberamente il proprio fornitore di gas entro il 1o luglio 2004, misura che sarà poi estesa a tutti i clienti entro il 1o luglio 2007; l'accesso di terzi alle reti di trasporto e distribuzione in base a tariffe pubblicate e regolamentate; l'accesso a infrastrutture di stoccaggio su base negoziata o regolamentata; la separazione legale delle imprese di trasporto e distribuzione di piccole e medie dimensioni; e, infine, l'istituzione in ogni Stato membro di un'autorità di regolamentazione.

1.2

La realizzazione di un mercato interno del gas presuppone l'elaborazione di nuove e dettagliate misure circa il funzionamento dei sistemi di trasmissione. Misure analoghe sono state introdotte per l'elettricità da un regolamento adottato nel giugno 2003, che prevede strutture tariffarie comuni (incluse tariffe per gli scambi transfrontalieri di energia elettrica), la comunicazione di informazioni sulle capacità di interconnessione e, infine, principi generali di gestione della congestione.

1.3

Il forum dei regolatori europei per il gas (European Gas Regulatory Forum), al quale partecipano rappresentanti della Commissione, degli Stati membri, delle autorità nazionali di regolamentazione, dei gestori e degli utenti della rete nonché dei consumatori di gas, si riunisce a Madrid due volte all'anno allo scopo di sviluppare norme pratiche concernenti il trasporto sul mercato del gas. Già nel febbraio 2002 il forum ha adottato gli «Orientamenti per le buone pratiche in relazione all'accesso di terzi» («Guidelines for Good TPA Practice»), ai quali hanno fatto seguito, nel settembre 2003, una serie di orientamenti riveduti e più dettagliati. Detti orientamenti, frutto di un accordo volontario, non sono vincolanti, ma gli operatori del sistema di trasporto si sono impegnati a rispettarli.

1.4

La Commissione ha controllato il livello di osservanza degli orientamenti da parte degli operatori del sistema di trasporto, e ha osservato la persistenza di un grado di non conformità elevato e inaccettabile. Di conseguenza, secondo la Commissione, la parità di condizioni per l'accesso alle reti di trasporto del gas è ancora lungi dall'essere raggiunta.

2.   La proposta della Commissione

2.1

La proposta della Commissione mira a rafforzare il mercato interno del gas creando un nuovo quadro normativo per il trasporto del gas a livello europeo, prendendo le mosse dalle conclusioni raggiunte dall'ultimo forum di Madrid. Le norme proposte si fondano sulla legislazione in vigore per gli scambi transfrontalieri di elettricità, pur andando ampiamente al di là del campo d'applicazione in essa definito: esse disciplinano infatti anche l'accesso alla rete e la tariffazione dei gasdotti nei vari Stati membri.

2.2

Il regolamento relativo alle condizioni di accesso alle reti di trasporto del gas prevede l'adozione di direttive dettagliate e vincolanti, fondate sugli attuali orientamenti per le buone pratiche concordati durante il forum di Madrid (ad eccezione delle questioni tariffarie), e che riguardano:

servizi di accesso per i terzi offerti dagli operatori del sistema di trasporto,

piano di assegnazione della capacità e procedure di gestione della congestione, compreso il principio «use it or lose it» (che prevede la perdita della capacità se quest'ultima non viene usata) e i meccanismi di scambio secondario,

requisiti di trasparenza,

struttura tariffaria e derivazione, inclusi gli oneri di bilanciamento.

2.3

Il regolamento prevede inoltre un metodo per adattare questi orientamenti attraverso la procedura di comitato, e impone alle autorità nazionali di regolamentazione di garantire l'attuazione degli orientamenti concordati.

3.   Osservazioni di carattere generale

3.1

La proposta di regolamento mira a stabilire norme eque per l'accesso alle reti di trasporto del gas naturale. I due principali obiettivi sono quindi il rafforzamento della concorrenza sul mercato interno del gas e la sicurezza degli approvvigionamenti per tutti gli utenti, da cui deriva la necessità di incoraggiare gli investimenti nelle infrastrutture di trasporto. Attualmente la capacità delle reti di trasporto del gas nell'UE è sufficiente, ma la situazione potrebbe cambiare rapidamente, visto il ritmo con cui cresce la domanda di gas. La crescente dipendenza dell'UE dalle forniture di gas provenienti da paesi terzi ed i conseguenti problemi di approvvigionamento e sicurezza impongono la necessità di controllare e di disciplinare le infrastrutture di trasporto.

3.2

Gli orientamenti scaturiti dal forum di Madrid esistono dal febbraio 2002, e, nella loro attuale formulazione, da oltre sei mesi. I rappresentanti dell'industria del trasporto del gas sostengono che sei mesi costituiscano un lasso di tempo troppo breve per trarre conclusioni sull'attuazione, e preferirebbero mantenere un approccio di tipo volontario e attenersi alla legislazione nazionale basata sulla sussidiarietà di cui alla seconda direttiva sul mercato interno del gas, sottolineando la necessità di un quadro normativo affidabile, stabile e incentivante, che consenta gli investimenti e nel contempo riduca al minimo i rischi per gli investitori.

3.2.1

Ci si può opportunamente chiedere se una delle principali ragioni dei ritardi riscontrati nell'attuazione consista nell'incapacità di adeguamento da parte degli operatori. Al riguardo la Commissione osserva che in numerosi Stati membri l'adeguamento è stato realizzato nei tempi previsti.

3.2.2

Per quanto riguarda il ritmo dell'adeguamento, si deve anche tener presente che verso la metà del 2003 è stato approvato un regolamento sull'accesso alle reti di trasporto transfrontaliero dell'elettricità, che è andato ad integrare la direttiva sul mercato dell'elettricità, approvata contemporaneamente a quella sul mercato del gas.

3.3

Tenendo conto di questi elementi, il CESE accoglie con favore la proposta di regolamento della Commissione relativa alle condizioni di accesso alle reti di trasporto del gas. Il Comitato, tuttavia, desidera formulare alcuni commenti quanto al suo contenuto.

3.4

Un primo argomento controverso è il campo d'applicazione: dovrebbe coprire la totalità dei trasporti all'interno dell'UE o solo i trasporti transfrontalieri? Dovrebbe anche includere le strutture di stoccaggio? Per il mercato interno del gas il CESE auspica che il regolamento in esame permetta di realizzare un quadro normativo completo, stabile, efficace e armonizzato, che concili il rispetto del principio di sussidiarietà con lo sviluppo degli scambi. Di conseguenza, l'accesso alle strutture di stoccaggio deve, in sintonia con l'accordo politico sul quale la direttiva si fonda, essere negoziato quanto prima nel quadro del forum di Madrid. Il CESE si esprime a favore di un campo d'applicazione ampio, con l'intento di realizzare per il mercato interno del gas un quadro normativo completo, stabile, efficace e armonizzato. La proposta della Commissione dovrebbe inoltre essere estesa quanto prima, in modo tale da includere, in linea con le decisioni di Madrid, le strutture di stoccaggio, che costituiscono parte integrante delle infrastrutture per il gas.

3.5

Una questione di importanza fondamentale è la messa a punto delle modifiche alle norme previste dal regolamento. La Commissione propone di farsi assistere dal comitato istituito dall'articolo 13 del regolamento relativo alle condizioni di accesso alla rete per gli scambi transfrontalieri di energia elettrica. Le norme attualmente vigenti sono state concordate al forum di Madrid, nel quale sono rappresentati gli operatori dei sistemi di trasmissione e gli utenti della rete: la loro partecipazione dovrebbe essere garantita anche nel futuro, riconoscendo nel regolamento che le future modifiche si baseranno su accordi raggiunti a Madrid, prevedendo, ad esempio, un'aggiunta all'articolo 14 o ai considerandi.

4.   Osservazioni specifiche

4.1

Con l'intento di facilitare le modifiche agli orientamenti e di evitare la necessità di emendare in tempi brevi il testo del regolamento stesso, le definizioni (articolo 2), potrebbero essere integrate in modo tale da tener conto dei cambiamenti prevedibili.

4.2   Oneri per l'accesso alle reti (articolo 3)

Il paragrafo 1 precisa tra l'altro che gli oneri per l'accesso alle reti rispecchiano i costi effettivamente sostenuti, incluso il rendimento del capitale investito. Il CESE condivide questa posizione, a condizione che si specifichi che per «costi» si intendano i «costi economicamente efficaci». Questa precisazione consentirebbe al cliente di poter contare su tariffe ragionevoli.

Il paragrafo 1 prosegue specificando la necessità di prendere in considerazione «ove opportuno, le analisi comparative internazionali delle tariffe». Il CESE ritiene poco chiara questa formulazione e si chiede se ciò sia effettivamente nell'interesse dei clienti: per questo motivo propone di sopprimere questo brano di frase.

4.3

L'articolo 14 dovrebbe essere emendato, aggiungendo la partecipazione degli interessati alla procedura di comitato proposta.

4.4

Nel monitorare l'attuazione del regolamento, la Commissione dovrebbe anche tener conto del punto di vista di tutti gli interessati, cosa di cui dovrebbe essere fatta menzione nell'articolo 15.

4.5

I punti della rete sui quali è necessario diffondere informazioni sono attualmente definiti al punto 3.2 dell'allegato alla proposta di regolamento. Queste definizioni, fondamentali ai fini della trasparenza, dovrebbero essere incluse nel testo del regolamento sotto forma di articolo, in modo tale da subordinarne le modifiche all'adozione della procedura di codecisione.

4.6

Il Comitato sottolinea il carattere sensibile e strategico delle infrastrutture del gas: equilibrio della rete, limite di pressione ai nodi di connessione, rafforzamento delle strutture di trasporto del gas mediante canalizzazione e liquefazione, soglie di saturazione. Il regolamento UE dovrebbe pertanto prevedere mezzi e disposizioni che consentano agli operatori di anticipare i problemi e quindi di regolamentare efficacemente il settore.

Bruxelles, 2 giugno 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


28.9.2004   

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C 241/34


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Integrazione regionale e sviluppo sostenibile

(2004/C 241/12)

Il Comitato economico e sociale europeo, ha deciso in data 21 gennaio 2003, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa sul tema Integrazione regionale e sviluppo sostenibile.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 9 marzo 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore DIMITRIADIS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 2 giugno 2004, nel corso della 409a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 179 voti favorevoli, 2 voti contrari e 5 astensioni.

1.   Introduzione: le problematiche di fondo

1.1

Scopo del presente parere è contribuire a creare i presupposti di un quadro operativo tramite il quale le politiche regionali europee di sviluppo facenti capo agli accordi intergovernativi e regionali e ai programmi di sviluppo possano incorporare il concetto di sviluppo sostenibile. Partendo da questo ragionamento, il valore aggiunto del parere è dato dalle sue proposte di inserire all'ordine del giorno degli incontri di lavoro tra il Comitato e i rappresentanti dei paesi in via di sviluppo e aderenti al partenariato euromediterraneo l'idea di un'integrazione regionale all'insegna dello sviluppo sostenibile. Il parere dovrà servire altresì da monito ai paesi in via di sviluppo e meno avanzati - nel loro lungo cammino verso la crescita economica - perché non ripetano gli errori già commessi dai paesi europei, che tanto hanno pesato sul tentativo dell'Europa tutta di mantenere fede al principio della sostenibilità.

1.2

Il parere affronta il tema delle relazioni esterne dell'Unione europea con i paesi in via di sviluppo e meno avanzati, nonché con i partner euromediterranei ai quali già la legano rapporti privilegiati.

1.3

Come già in alcuni suoi pareri precedenti (1), il Comitato adotta anche in questo caso la definizione di sviluppo sostenibile formulata dalla commissione mondiale per l'ambiente e lo sviluppo (Commissione Brundtland) e dal Consiglio europeo di Göteborg. Particolare importanza riveste a questo proposito la ripartizione dello sviluppo sostenibile in tre pilastri: sviluppo economico, conformità ambientale e equità sociale.

1.4

Questi tre pilastri che, presi da soli, non possono rendere integralmente il senso e l'importanza dello sviluppo sostenibile, costituiscono comunque una base soddisfacente per individuarne le caratteristiche operative necessarie a «trasformarlo», da concetto teorico e generico quale era, in strumento pratico.

1.5

La ricerca degli aspetti funzionali dello sviluppo sostenibile è naturalmente una tappa obbligata per tutte le politiche di cui esso deve diventare una componente fondamentale. In particolare, però, tale ricerca è ancor più necessaria se si vuol fare dello sviluppo sostenibile un elemento intrinseco e inscindibile dell'integrazione regionale, visto che questa si realizza soprattutto tramite accordi intergovernativi e programmi che promuovono azioni specifiche.

1.6

L'integrazione regionale costituisce uno dei sei settori chiave, concordati nel 2000 tra Stati membri e Commissione, della cooperazione allo sviluppo comunitaria. Assieme al sostegno delle politiche macroeconomiche, al commercio e allo sviluppo, ai trasporti, alla sicurezza alimentare, allo sviluppo agricolo sostenibile e all'institution building, essa compone la strategia dell'Unione atta a garantire una cooperazione efficiente e costruttiva con i paesi in via di sviluppo e meno avanzati. Questo aspetto è stato sottolineato in modo particolare anche in occasione del 6o seminario regionale dei gruppi di interesse economico e sociale ACP-UE.

1.7

La cooperazione e l'integrazione regionale contribuiscono alla partecipazione dei paesi in via di sviluppo all'economia mondiale e svolgono un ruolo decisivo nel consolidamento della pace e nella prevenzione dei conflitti. Ai paesi coinvolti offrono inoltre la possibilità di appianare i contrasti transfrontalieri, specie in materia di ambiente e di sfruttamento e gestione delle risorse naturali.

1.8

Questo rapporto tra integrazione regionale, da un lato, e sfruttamento e gestione delle risorse naturali, dall'altro, fornisce una chiara indicazione del legame diretto che deve esistere tra le iniziative a favore dell'integrazione regionale e quelle in materia di sviluppo sostenibile. Tale legame va sottolineato in modo particolare e reso manifesto anche nelle attività di cooperazione infraregionale dei paesi meno avanzati e dei partner euromediterranei.

1.9

Sul piano concettuale, lo sviluppo sostenibile ha una portata di gran lunga più ampia rispetto all'integrazione regionale. Il primo, infatti, si riferisce indistintamente a tutti i tipi di attività economica e sociale, mentre la seconda si concentra di preferenza sulla cooperazione economica tramite politiche e accordi commerciali specifici. Entrambi i termini hanno comunque un legame diretto con il nuovo ambiente globalizzato che si è andato formando negli ultimi decenni e che sta modificando radicalmente le condizioni economiche, sociali e ambientali dell'intero pianeta.

1.10

Va altresì precisato che il termine sviluppo sostenibile compare soprattutto in documenti strategici, mentre di integrazione regionale si parla di preferenza in testi che descrivono programmi d'azione e politiche in campo economico. Pertanto lo sviluppo sostenibile è e deve essere considerato come una dimensione non già complementare all'integrazione regionale, ma che piuttosto la ingloba.

1.11

Va da sé che gli sforzi profusi dall'Unione a favore dell'integrazione regionale nei paesi in via di sviluppo e meno avanzati, nonché in quelli del partenariato euromediterraneo, sono guidati dai principi di base, dalla filosofia e dalle priorità vigenti sul territorio comunitario. Lo sviluppo sostenibile costituisce una priorità fondamentale per l'Unione: tuttavia, pur essendo stato proclamato principale obiettivo strategico dell'UE (2), è difficile affermare che abbia acquisito un vero e proprio contenuto operativo, dato soprattutto lo scarso numero di indicatori non solo quantitativi, ma anche qualitativi preposti al suo monitoraggio. Questa circostanza, che va interpretata come una sfida, ha spinto il Comitato in alcuni precedenti pareri a dichiarare apertis verbis di voler contribuire all'integrazione piena e funzionale dello sviluppo sostenibile nella strategia di Lisbona: si veda in particolare il parere del maggio 2002 in merito alla comunicazione della Commissione «Verso un partenariato globale per uno sviluppo sostenibile» (3).

1.11.1

In tale parere si afferma infatti che «lo sviluppo sostenibile globale è un argomento su cui l'UE può fornire un contributo molto particolare, basato sull'esperienza vissuta all'interno dell'Unione stessa». Tale esperienza va condivisa, secondo le modalità più appropriate, anche con i paesi meno avanzati e i partner euromediterranei.

1.12

Un altro importante criterio che deve caratterizzare gli sforzi profusi dall'Unione per promuovere la strategia dello sviluppo sostenibile tramite l'integrazione regionale è il riconoscimento del principio secondo cui la pace, la sicurezza e il consolidamento dei principi democratici nelle regioni che aspirano all'integrazione regionale costituiscono il presupposto essenziale dello sviluppo sostenibile.

2.   L'integrazione regionale e lo sviluppo sostenibile nel quadro della globalizzazione

2.1

L'idea di creare il quadro operativo di cui al punto 1.1 non può non tenere conto dell'ambiente globalizzato sviluppatosi negli ultimi decenni e soprattutto del rapporto tra accordi regionali d'integrazione o accordi commerciali regionali, da un lato, e l'Organizzazione mondiale del commercio (OMC), dall'altro.

2.2

Compito fondamentale dell'OMC è la liberalizzazione del commercio internazionale con la soppressione dei dazi doganali e degli aiuti suscettibili di distorcere la concorrenza, nonché l'eliminazione delle barriere non tariffarie al commercio. Gli accordi regionali di sviluppo devono essere compatibili con quest'obiettivo, se non addirittura andare un passo oltre, dedicando altrettanta attenzione al processo di riorganizzazione condotto a livello nazionale per ridurre le barriere commerciali interne. Tali accordi devono pertanto toccare anche temi come la riforma fiscale, la riduzione dell'instabilità politica e la lotta alla corruzione della classe dirigente, l'institution building, con relativo sostegno agli organi di nuova creazione, e altre questioni ancora di politica interna. In questa forma, gli accordi appaiono maggiormente in linea con le iniziative a favore dello sviluppo sostenibile, in quanto hanno effetti collaterali su diversi aspetti delle politiche sociali e ambientali.

2.3

Benché non esista a priori la garanzia di effetti collaterali sempre positivi, occorre riconoscere che gli accordi regionali di sviluppo possono funzionare in modo più integrato rispetto a quelli conclusi in sede OMC.

2.4

Anche gli investimenti diretti esteri a favore dei paesi in via di sviluppo e meno avanzati sono collegati allo sviluppo sostenibile e a quello regionale.

2.5

In quest'ultimo periodo, gli investimenti diretti esteri si sono orientati in misura crescente verso i paesi in via di sviluppo. Nel decennio 1990-2000 i loro flussi si sono ottuplicati, rivolgendosi però di preferenza a un numero limitato di tali paesi.

2.6

Gli investimenti diretti esteri possono svolgere un ruolo importante per la crescita economica e, di conseguenza, per la diminuzione della povertà, in quanto creano nuovi posti di lavoro - condizione, questa, indispensabile per lo sviluppo sostenibile. È ormai acquisito che la creazione di nuovi posti di lavoro può dare un contributo essenziale a innalzare il tenore di vita dei cittadini nei paesi meno avanzati e nei paesi partner euromediterranei. Per questo motivo, ci si può attendere che il processo produttivo e i conseguenti investimenti pubblici consentiranno di accrescere la ricchezza nazionale e di migliorare le strutture di base.

2.7

Com'è noto, però, fin troppo spesso tali investimenti destinati ai paesi in via di sviluppo e meno avanzati sono motivati soprattutto dal basso costo della manodopera locale. Diversi studiosi sostengono che gli investimenti diretti esteri finiscono in svariati casi per nuocere, a lungo termine, tanto allo sviluppo sostenibile quanto all'integrazione regionale. Ciò si verifica in quanto i posti di lavoro creati non poggiano su una produzione di beni e servizi basata a sua volta su una strategia integrata imperniata anche sui tre pilastri dello sviluppo sostenibile (sviluppo economico, conformità ambientale e equità sociale). In altri termini, se il costo del lavoro aiuta le imprese a essere economicamente vitali, non è altrettanto certo che ciò renderà le imprese responsabili sul piano ambientale ed eque su quello sociale.

2.8

È possibile, quanto meno sul piano teorico, che un paese al tempo stesso parte contraente di un accordo regionale di sviluppo e destinatario di investimenti esteri diretti proporzionalmente molto più ingenti (rispetto agli altri paesi della cooperazione regionale) incontri difficoltà concrete nel mettere in atto il processo di integrazione regionale. Ciò può avvenire nel caso in cui gli investimenti esteri diretti non siano del tutto compatibili con taluni principi della cooperazione regionale con gli altri paesi.

2.9

Sarà utile di conseguenza esaminare più attentamente e, nella misura del possibile, analizzare la qualità e la quantità di questi investimenti destinati allo sviluppo sostenibile e all'integrazione regionale dei paesi in via di sviluppo. In altri termini, non bisognerà limitarsi a vagliare gli investimenti diretti esteri alla luce della loro redditività e solo sulla base di rigidi criteri finanziari, ma accertarne altresì le ricadute sull'ambiente e sul tessuto sociale. Un'importanza analoga andrà attribuita all'analisi del ruolo delle imprese e soprattutto alla promozione della loro responsabilità civile (corporate social responsibility).

3.   La strategia e la sua applicazione a livello europeo

3.1

Non si vuole in questa sede mettere in dubbio la volontà dell'Unione di adoperarsi a favore di un'integrazione regionale orientata allo sviluppo sostenibile. Dal momento che l'integrazione regionale è stata riconosciuta come il principale fattore di crescita, è logico, specie nel caso dei paesi in via di sviluppo e meno avanzati, voler incorporare il concetto di sostenibilità in un modello di sviluppo in corso di formazione per non dover modificare a posteriori un modello che non abbia tenuto conto di questa dimensione. È particolarmente importante e necessario, però, che in tali paesi questa volontà si traduca in azioni concrete. In questo caso, quindi, il ruolo delle politiche settoriali appare determinante.

3.2

Il concetto di sviluppo sostenibile può essere opportunamente inserito nelle azioni d'integrazione regionale solo tramite specifiche politiche settoriali, in quanto sono queste a determinare a livello operativo le misure atte a realizzare obiettivi precisi. Sorge così la necessità di stilare un elenco di tematiche legate a specifiche politiche settoriali d'integrazione regionale e di sviluppo sostenibile. Questa impostazione poggia altresì sulle conclusioni del Vertice mondiale sullo sviluppo sostenibile di Johannesburg, secondo cui l'UE ha cercato - magari senza riuscirci, a causa delle resistenze opposte da altri paesi - di vincolare la comunità internazionale a una serie di misure operative che contribuissero a promuovere lo sviluppo sostenibile.

3.3

L'elenco dovrà essere frutto di un dialogo approfondito con i rappresentanti della società civile organizzata. I tempi necessari per esaurire tale elenco dovranno essere stabiliti in modo da consentire di coprirne tutti gli aspetti, nonché da garantire la riuscita dell'impresa nel suo complesso; essi non dovranno, cioè, essere troppo stretti, né inutilmente dilatati. Al riguardo si potrà trarre un notevole beneficio dall'elaborazione di Agende 21 locali (Local Agendas 21) nei paesi in via di sviluppo, come pure in quelli meno avanzati e nei partner euromediterranei. Le Agende 21 locali sono programmi d'azione su scala locale (comunità, comuni, ecc.) volti a favorire lo sviluppo sostenibile. Esse vengono redatte sotto la principale responsabilità degli enti locali e in stretta collaborazione di tutte le eventuali parti interessate, nonché con l'importante contributo della società civile organizzata. Lo sviluppo delle Agende 21 locali è sostenuto dal Programma ambiente delle Nazioni Unite ed è stato avviato a seguito della conferenza di Rio sull'ambiente (1992). Durante la procedura di elaborazione di una di tali agende, la priorità deve andare alla promozione dello sviluppo sostenibile delle aree rurali, priorità sostenuta peraltro anche dall'UE nel quadro della realizzazione delle strategie di sviluppo nazionali.

3.4

Alla luce di queste considerazioni, viene ora proposto un primo sottoinsieme di punti fondamentali da inserire nell'elenco di cui sopra, il quale potrà comunque essere completato alla luce dei contatti e degli scambi con i rappresentanti della società civile, come prevede del resto il programma di lavoro della sezione specializzata Relazioni esterne del Comitato per il 2003 e il 2004. Questo sottoinsieme di punti fondamentali viene ora presentato in funzione dei tre pilastri che compongono lo sviluppo sostenibile (sviluppo economico, equità sociale e conformità ambientale).

4.   Il pilastro dello sviluppo economico

4.1   Le politiche nel settore dello sviluppo rurale

4.1.1

Un'elevata percentuale del PIL dei paesi in via di sviluppo e meno avanzati proviene dall'agricoltura. A questo proposito il CESE desidera ricordare che l'Unione europea ha già adottato numerose iniziative a favore degli scambi commerciali con tali paesi (in particolare, l'iniziativa «Tutto tranne le armi») e che essa è il primo importatore mondiale di prodotti agricoli e alimentari provenienti dai paesi meno avanzati. Tuttavia, l'integrazione regionale si basa in misura considerevole su accordi che interessano i prodotti agricoli. Dal momento che i modelli agricoli dominanti a livello mondiale sono tutt'altro che sostenibili, andranno adottati i provvedimenti più appropriati per promuovere pratiche alternative (ad esempio, quelle orientate prioritariamente alla sicurezza alimentare, all'ottimizzazione dell'utilizzo dell'acqua e a una migliore gestione della fertilità dei terreni) nei paesi che già partecipano o parteciperanno in futuro al processo d'integrazione regionale. (...) in grado di garantire un approccio sostenibile.

4.1.2

A tale proposito va detto che la conoscenza delle pratiche agricole da parte della popolazione locale, la cosiddetta «conoscenza locale», può essere preziosa per il processo d'integrazione regionale; di norma, infatti, essa è sinonimo di pratica sostenibile, in quanto è frutto del rapporto ancestrale tra l'uomo e il suo ambiente naturale. In molti casi, però, questa conoscenza rischia di andar persa in quanto le pratiche che essa propugna sono state quasi integralmente sostituite da altre meno sostenibili. A provocare questo fenomeno è la decisione, presa affrettatamente da numerosi paesi in via di sviluppo e meno avanzati, di seguire il modello occidentale di modernizzazione dell'agricoltura, ma anche la pressione esercitata dall'Occidente nei confronti di tali paesi perché aprano i loro mercati a pratiche non compatibili con lo sviluppo agricolo sostenibile. L'integrazione regionale può quindi fornire ai paesi che vi aderiscono un'eccellente occasione di scambi di conoscenze in materia di pratiche agricole sostenibili. Un esempio di conoscenza locale è costituito dall'utilizzo dei residui dell'agricoltura per la concimazione del terreno, i quali sono stati, invece, quasi del tutto rimpiazzati da prodotti chimici. Bisogna, certo, riconoscere che, grazie alla tecnologia attualmente disponibile, i concimi chimici sono maggiormente vantaggiosi rispetto a quelli riciclati in termini di costi di produzione. Questo problema, tuttavia, può essere risolto con l'introduzione di metodi innovativi.

4.1.3

Le pratiche che dominano oggi la produzione agricola dei paesi avanzati hanno già mostrato i loro limiti, mentre guadagnano terreno pratiche come l'agricoltura biologica e la tendenza a un uso sempre più moderato di concimi chimici e pesticidi, le quali sono motivate non solo dalla necessità di attenuare l'impatto ambientale dell'agricoltura, ma anche da semplici considerazioni di costo. È stato dimostrato, ad esempio, che gli elevati costi legati all'utilizzo sproporzionato dei concimi azotati in agricoltura riducono notevolmente gli utili realizzati dal conseguente aumento della produzione. Occorre pertanto sensibilizzare i paesi in via di sviluppo e meno avanzati sul fatto che i tradizionali modelli agricoli non vanno necessariamente sostituiti da pratiche più moderne, le quali presentano sin d'ora palesi inconvenienti ambientali ed economici.

4.1.4

In rapporto allo sviluppo rurale, il CESE richiama l'attenzione sugli effetti negativi prodotti dall'esodo dalle campagne in numerosi paesi. Di conseguenza, bisognerebbe sostenere tutte le iniziative volte a favorire la permanenza delle popolazioni nelle aree rurali attraverso la creazione di nuove attività complementari a quelle agricole e gli scambi di esperienze.

4.2   Le politiche nel settore della silvicoltura

4.2.1

La silvicoltura svolge un ruolo importante nella vita economica, ma anche sociale di molti paesi in via di sviluppo e meno avanzati. In questo contesto, l'integrazione regionale deve tener conto del carattere transfrontaliero delle estensioni boschive e, di conseguenza, della necessità di una gestione sostenibile delle risorse forestali, che, va sottolineato, costituiscono le risorse naturali rinnovabili per eccellenza.

4.2.2

Occorre in particolare insistere sullo sviluppo di sistemi nazionali e regionali per la certificazione della produzione silvicola (in particolare il legname) secondo criteri di sostenibilità conformi ai modelli di certificazione già adottati a livello internazionale.

4.3   Le politiche nel settore dei trasporti

4.3.1

L'esistenza di reti di trasporto internazionali costituisce un presupposto essenziale dell'integrazione regionale. Al tempo stesso, però, le infrastrutture di trasporto rischiano fortemente di degradare, se non addirittura di distruggere, risorse naturali importanti. Di qui la necessità di adottare non solo politiche, ma anche sistemi di controllo in grado di assicurare che il degrado ambientale non vanifichi i vantaggi che le reti internazionali di trasporto apportano all'integrazione regionale.

4.4   Le politiche nel settore del turismo

4.4.1

Il turismo costituisce un esempio flagrante di scambi internazionali di varia natura, da quella economica a quella sociale e culturale. I paesi in via di sviluppo e meno avanzati coinvolti nel processo d'integrazione regionale hanno tutto da guadagnare dalla crescita di tale settore. L'obiettivo, in questo caso, è promuovere il turismo sostenibile tramite progetti d'integrazione regionale. A tal fine si può ricorrere a programmi internazionali e coordinati, volti a diversificare l'offerta e a incentivare nuove forme di turismo, come l'ecoturismo, il turismo culturale, ecc.

4.4.2

A questo proposito va sottolineato che la diversificazione dell'offerta turistica e le nuove forme di turismo dovranno ispirarsi alle prassi migliori, da adattare beninteso alla realtà locale di ciascun paese. L'Unione dovrà altresì sostenere con maggior vigore le azioni volte a individuare nuove forme di turismo nei paesi in via di sviluppo e meno avanzati, nonché in quelli del partenariato euromediterraneo, con particolare attenzione per la cooperazione tra pubblico e privato volta a favorire l'acquisizione di conoscenze nei rispettivi settori di competenza. Tale necessità deriva dal fatto che la diversificazione dell'offerta turistica e lo sviluppo di nuove forme di turismo non sono in concorrenza con le attività turistiche classiche e non possono pertanto essere considerati come settori non ammissibili ad aiuti o incentivi.

4.5   Le politiche nel settore della pesca

4.5.1

Al termine di lunghi negoziati, l'Unione è riuscita a varare una politica comune della pesca. Le risorse del mare, tuttavia, ignorano le frontiere fisiche. Il Mediterraneo come l'Atlantico sono fonte di vita per le popolazioni di una moltitudine di paesi non solo europei. Molti sono paesi in via di sviluppo e meno avanzati, e quindi non tenuti a rispettare il principio della sostenibilità.

4.5.2

Il circuito di valorizzazione delle risorse marine coinvolge numerosi paesi ed è al centro di svariate iniziative di cooperazione regionale. Per tale motivo bisognerà garantire il ricorso a pratiche di pesca sostenibili grazie ad azioni e programmi che perseguano l'integrazione regionale, in particolare gli accordi Sud-Nord, ma anche Sud-Sud.

4.6   Le politiche nel settore dell'energia

4.6.1

L'UE ha adottato un libro verde sulla sicurezza dell'approvvigionamento energetico in cui le problematiche della protezione ambientale occupano un ruolo importante. Dato il collegamento diretto istituito dall'UE tra politica in materia di fonti energetiche e sviluppo sostenibile, è necessario che le strategie dell'integrazione regionale prevedano politiche e interventi nel settore dell'energia. Si tratta di un ambito piuttosto complesso: molti dei paesi in via di sviluppo, di quelli meno progrediti e dei partner euromediterranei dispongono di importanti riserve di petrolio. Quest'ultimo costituisce oggi la principale fonte energetica dell'UE, ma sono stati fissati obiettivi ambiziosi per ridurne il consumo in base anche alle restrizioni sull'emissione di gas a effetto serra (Protocollo di Kyoto).

4.6.2

Uno degli aspetti di importanza primordiale per lo sviluppo sostenibile nei paesi in via di sviluppo, in quelli meno avanzati e nei partner euromediterranei consiste nello sviluppo di infrastrutture energetiche nelle aree rurali. Data non solo la rilevanza di questo tema, ma anche l'obiettivo strategico dell'UE di gestire meglio l'energia nel rispetto della sostenibilità, bisognerà far sì che i benefici economici derivanti dallo sviluppo delle infrastrutture energetiche risultino compatibili con la protezione dell'ambiente e con il progresso sociale.

4.7

I settori economici appena elencati non devono essere i soli interessati da progetti d'integrazione regionale all'insegna dello sviluppo sostenibile, ma, data la loro importanza, devono servire da esempio anche per altre attività economiche. Gli accordi commerciali e i programmi destinati a promuoverli in tali settori devono svolgere una funzione dimostrativa, anche sulla base di una pianificazione congiunta.

5.   Il pilastro dell'equità sociale

5.1

La riuscita a lungo termine di qualsiasi iniziativa d'integrazione regionale non è garantita se non si fa leva sull'istruzione e sulla formazione. Lo sviluppo sostenibile nel campo dell'istruzione deve costituire un obiettivo fondamentale dei progetti d'integrazione regionale. Saranno i cittadini istruiti di domani a garantire un'integrazione regionale sempre all'insegna della sostenibilità.

5.2

Dal momento che in numerosi paesi in via di sviluppo e meno avanzati la donna non occupa il posto che meriterebbe in nome di una politica di sviluppo all'insegna della sostenibilità, i progetti d'integrazione regionale dovranno non soltanto eliminare qualunque forma di emarginazione sociale nei suoi confronti, ma anche tener conto del suo ruolo specifico negli scambi internazionali. Tali progetti dovranno tra l'altro favorire un cambiamento di mentalità nei confronti dei sessi, nonché sostenere strutture e meccanismi a livello politico, giuridico e familiare che contribuiscano a eliminare le potenziali discriminazioni in base al genere.

5.3

I progetti d'integrazione regionale non dovranno in alcun caso snaturare l'identità culturale dei paesi in via di sviluppo, ma al contrario rispettarne le specificità, incentivare gli scambi e sostenere i diritti delle minoranze culturali. Ai fini del mantenimento dell'identità culturale di tali paesi, si dovrà sempre e comunque garantire il rispetto dei diritti umani e dei principi democratici, delle pari opportunità e della non discriminazione a seconda della classe sociale e del sesso.

5.4

Particolare importanza riveste altresì la partecipazione su base paritetica dei lavoratori al processo decisionale in materia d'integrazione regionale e di sviluppo sostenibile: non per niente, infatti, la creazione di posti di lavoro è uno degli obiettivi prioritari dei programmi d'integrazione regionale. La partecipazione attiva dei lavoratori e delle organizzazioni che li rappresentano alla messa a punto di tali programmi può contribuire in modo sostanziale tanto a creare nuova occupazione quanto a ridurre le ricadute negative sull'ambiente che ne possono derivare. I lavoratori, quali cittadini informati delle società in cui si persegue lo sviluppo tramite i programmi d'integrazione regionale, devono far sentire la propria voce ed essere direttamente rappresentati come produttori, ma anche come consumatori dei prodotti e fruitori dei servizi a cui sono indirizzati tali programmi.

5.5

Numerose organizzazioni non governative (ONG) nei paesi in via di sviluppo e meno avanzati hanno espresso la volontà di appoggiare attivamente le iniziative in materia di sviluppo sostenibile, mentre molte altre le hanno messe in atto. Per questa ragione il contributo sostanziale delle ONG all'inserimento del concetto di sviluppo sostenibile nei programmi d'integrazione regionale andrà ricercato tramite i canali di comunicazione strutturati della società civile.

5.6

La creazione di istituzioni efficaci e responsabili con le necessarie competenze per promuovere le strategie e le politiche richieste per lo sviluppo sostenibile e l'integrazione regionale rappresenta in definitiva un presupposto di base per il successo dell'operazione. Per questo motivo la messa a punto di programmi di sviluppo di capacità (capacity building) a livello locale e regionale nei paesi in via di sviluppo, meno avanzati e nei partner euromediterranei deve costituire una priorità politica.

6.   Il pilastro della conformità ambientale

6.1

Le aree geografiche interessate dall'integrazione regionale comprendono al loro interno paesi che condividono importanti risorse idriche. La gestione di tali risorse costituisce spesso una delle principali fonti di attrito tra paesi. La garanzia di una gestione sostenibile delle risorse idriche transfrontaliere dovrà pertanto figurare tra le priorità fondamentali del processo d'integrazione regionale. Nessun accordo d'integrazione regionale, sia esso commerciale, economico o di altra forma, potrà essere raggiunto tra paesi che non rispettino il diritto di tutti ad accedere a risorse idriche di buona qualità e in quantità sufficiente.

6.2

Alla gestione delle risorse idriche transfrontaliere dovrà accompagnarsi obbligatoriamente una loro gestione razionale a livello nazionale. A questo proposito, nei paesi in via di sviluppo, meno avanzati e partner euromediterranei va promossa l'applicazione della direttiva 60/2000 (4) della Commissione che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque. Tale direttiva, che prevede un quadro integrato di gestione delle risorse idriche, può costituire la base, per quanto riguarda gli aspetti tecnici, per l'elaborazione di politiche regionali di gestione delle acque.

6.3

Ugualmente importante è la gestione delle aree protette, in quanto molte di loro valicano i confini nazionali, provocando non pochi conflitti transfrontalieri. Dal momento che queste aree servono da fondamento a numerose attività economiche, è evidente che gli accordi d'integrazione regionale ne influenzano in via diretta la gestione. Di qui la necessità di disposizioni specifiche per la gestione sostenibile delle aree protette.

6.3.1

La gestione delle aree protette deve essere alla base di progetti integrati che a loro volta poggino sull'analisi sostanziale dei tre pilastri dello sviluppo sostenibile (economico, ambientale e sociale) e si traducano in prassi operative realistiche tali da contemplare anche la dimensione della cooperazione regionale.

6.4

L'Unione è attualmente impegnata nella creazione, sul suo territorio, di una rete (denominata Natura 2000) di aree protette destinate alla conservazione della diversità biologica. Le esperienze maturate a livello comunitario andranno poi trasferite ai paesi in via di sviluppo e meno avanzati. A tal fine bisognerà sostenere iniziative di sviluppo delle capacità relative alla gestione delle aree protette e alla conservazione della biodiversità. Altrettanto utile potrà rivelarsi la partecipazione di rappresentanti dei paesi in via di sviluppo e meno avanzati, in veste di osservatori, ai seminari di biogeografia (in particolare, quelli riguardanti l'area mediterranea) organizzati dalla Commissione e dagli Stati membri.

6.5

Le aree costiere figurano tra le zone di sviluppo più importanti. Qualunque processo d'integrazione regionale non potrà non tener conto di aspetti che hanno ripercussioni dirette o indirette su tali aree. Data la complessità dei loro ecosistemi e delle loro attività economiche, l'integrazione regionale dovrà tra l'altro promuoverne la gestione sostenibile. In questo caso il Comitato è favorevole alla messa in atto della gestione integrata delle aree costiere promossa dalla Commissione.

6.6

Particolarmente importanti sono inoltre la gestione della fauna selvatica e l'attento controllo del commercio delle specie di flora e fauna selvatiche. A tale riguardo, il Comitato si dichiara favorevole all'applicazione, per quanto possibile rigorosa, della convenzione sul commercio internazionale delle specie di flora e di fauna selvatiche minacciate di estinzione (CITES) e alla sua promozione nel maggior numero di paesi.

6.7

Un cenno specifico va fatto anche agli enormi problemi legati all'aumento del rischio di desertificazione in molti dei partner euromediterranei. Le conseguenze di tale minaccia nelle numerose regioni interessate dal fenomeno non si limitano al degrado ambientale, ma riguardano altresì il declino delle economie regionali per la sospensione delle attività economiche in conseguenza della desertificazione. Per questi motivi i paesi partner euromediterranei devono essere aiutati a sviluppare cooperazioni regionali al fine di tracciare azioni concrete volte a contrastare tale minaccia.

7.   Misure e pratiche da adottare

7.1

I principi fondamentali illustrati in precedenza, che servono a inserire lo sviluppo sostenibile nel processo d'integrazione regionale, richiedono l'adozione di misure e di pratiche specifiche. Queste devono aiutare i paesi in via di sviluppo e meno avanzati a incorporare il concetto di sviluppo sostenibile nell'integrazione regionale, consentendo al tempo stesso di verificare i progressi compiuti da tali paesi e dai partner euromediterranei. La procedura di elaborazione di tali misure e pratiche deve avere come aspetti centrali un approccio partecipativo alla pianificazione e l'intento di realizzare le migliori forme possibili di governance.

7.2

Nell'ambito del servizio che si occupa degli aiuti ai paesi terzi, l'Unione ha messo a punto e realizzato una serie di programmi (MEDA, ALA, CARDS, ecc.) destinati ai paesi in via di sviluppo e meno avanzati, il cui elemento intrinseco è rappresentato dallo sviluppo sostenibile. Tali programmi non sono finora riusciti a raggiungere gli obiettivi ambiziosi dell'Unione, ma sono comunque in grado di sostenere l'idea di incorporare il concetto di sviluppo sostenibile nelle iniziative d'integrazione regionale.

7.3

Una menzione particolare merita il partenariato euromediterraneo, la cui strategia costituisce una delle maggiori priorità nelle relazioni tra l'Unione e i paesi terzi. Lo strumento di base per realizzare tale partenariato è costituito dal programma MEDA. Il programma SMAP è anch'esso fondamentale per l'attuazione di politiche in materia di ambiente e di sviluppo sostenibile.

7.4

Il programma MEDA non ha dato finora i risultati sperati. Mentre gli stanziamenti destinati a MEDA II sono stati giudicati più che sufficienti, il programma non è ancora riuscito a raggiungere gli obiettivi fissati fin dal principio. Il programma SMAP, pur avendo avviato iniziative di sviluppo sostenibile, non presenta la continuità necessaria a garantire che siano portate a termine. Benché la realizzazione di opere nel quadro dei programmi menzionati sia resa ardua dall'assenza della necessaria cooperazione tra i paesi destinatari, andranno comunque intensificati gli sforzi dell'Unione e in particolare della Commissione verso una maggiore mobilitazione dei beneficiari dei programmi. A giudizio del Comitato, la Commissione dovrebbe considerare l'opportunità di finanziare strumenti più flessibili, con la partecipazione sia di organismi pubblici, a garanzia dell'impegno da parte dei paesi beneficiari dei programmi, sia di organismi privati, che possono contribuire al trasferimento di conoscenze verso i paesi destinatari.

7.5

Quanto alla verifica dei progressi compiuti dai paesi in via di sviluppo e meno avanzati, nonché dai partner euromediterranei nell'incorporare lo sviluppo sostenibile nelle iniziative d'integrazione regionale, va sottolineata la particolare importanza della valutazione dell'impatto sulla sostenibilità (VIS). In questo caso il Comitato sostiene la posizione espressa dal Consiglio riguardo all'elaborazione di uno studio che valuti le ricadute degli accordi di libero scambio in termini di sostenibilità, posizione che è stata riconfermata in occasione della conferenza euromediterranea «ad hoc» svoltasi a Creta nel maggio 2003.

7.6

I risultati ottenuti dai paesi impegnati in iniziative d'integrazione regionale andranno altresì valutati in base agli indicatori di sviluppo sostenibile che sono stati concordati e che trovano ora sempre maggior applicazione negli Stati membri dell'Unione. Tali indicatori, pur essendo ancora in una prima fase di sviluppo e applicazione, vanno considerati una sorta di modus vivendi il quale offre un quadro operativo in grado di valutare i risultati registrati dai paesi.

7.7

Una problematica da esaminare con particolare attenzione in fase di valutazione dei risultati raggiunti dai paesi impegnati in programmi d'integrazione regionale dovrà essere il possibile sovrapporsi delle singole azioni, dovuto alla partecipazione dei paesi a più di un accordo d'integrazione regionale. Molti paesi in via di sviluppo e meno avanzati hanno infatti sottoscritto più accordi, il che può condurre a una minore efficacia e al rischio di sperpero delle risorse. L'inserimento dello sviluppo sostenibile nelle iniziative d'integrazione regionale dovrà avere l'obiettivo prioritario di mitigare gli eventuali effetti prodotti da questi sforzi concomitanti.

7.8

Quanto alla dotazione destinata al finanziamento dello sviluppo sostenibile nei programmi d'integrazione regionale, il Comitato sottoscrive l'accordo di Monterrey sui finanziamenti allo sviluppo, il quale prevede di aumentare costantemente l'entità delle risorse stanziate in favore dello sviluppo sostenibile (5). Nell'accordo si parla di intensificare le attività e l'uso efficiente delle risorse finanziarie per realizzare le condizioni necessarie al raggiungimento degli obiettivi di sviluppo concordati a livello internazionale. Tali obiettivi figurano anche nella cosiddetta Dichiarazione del Millennio (6) e riguardano l'eliminazione della povertà, il miglioramento delle condizioni sociali, l'aumento del tenore di vita e la protezione dell'ambiente come primi passi per far sì che il XXI secolo sia un secolo di progresso per tutti.

8.   Osservazioni finali

8.1

Come già enunciato nell'introduzione, lo sviluppo sostenibile non va considerato come complementare all'integrazione regionale, ma al contrario la ingloba. Si tratta di una problematica che, per quanto non semplice, non va giudicata impossibile. Proseguendo in questa direzione, l'Unione è in grado di ottenere risultati più che apprezzabili. Tramite i programmi di cooperazione allo sviluppo, l'Unione non si limita ad aiutare i paesi in via di sviluppo e meno avanzati che ne beneficiano, ma trasmette anche messaggi di contenuto culturale, politico e sociale che possono essere racchiusi nel concetto di sviluppo sostenibile e attuati, tra l'altro, grazie all'integrazione regionale.

8.2

A tale proposito l'Unione dovrà adoperarsi per individuare nuove forme di cooperazione a livello internazionale. In questo contesto, particolare rilievo va dato alla collaborazione con l'ONU.

8.3

I legami che uniscono l'ONU e l'Unione si sono sviluppati nel tempo grazie a una rete di progetti di cooperazione di vario tipo. Tali legami sono forti e coprono quasi tutti gli aspetti delle relazioni esterne. Promuovere ulteriormente tali relazioni con l'ONU rappresenta una priorità strategica per l'Unione, gli Stati membri e la Commissione.

8.4

L'accoppiata integrazione regionale e sviluppo sostenibile costituisce un'occasione unica per migliorare queste relazioni. Di fronte, da un lato, all'orientamento strategico e all'esperienza acquisita dall'ONU nel campo dello sviluppo sostenibile e, dall'altro, al know-how dell'Unione in materia d'integrazione regionale, il Comitato esprime il proprio sostegno alla cooperazione tra le due organizzazioni sotto forma di iniziative di sviluppo regionale e sostenibile finanziate da strumenti a gestione congiunta.

8.5

L'Unione, da parte sua, ha già espresso la propria volontà di cooperare con l'ONU sia nella dichiarazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo, del 10 novembre 2000, dal titolo «La politica di sviluppo della Comunità europea», sia nella comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo «Sviluppare un partenariato efficace con le Nazioni Unite nei settori dello sviluppo e delle questioni umanitarie» [COM(2001) 231 def. del 2 maggio 2001].

8.6

Pertanto, nell'ambito della problematica dell'integrazione regionale, i programmi di cooperazione dell'UE, in particolare quelli riguardanti l'integrazione regionale con i paesi in via di sviluppo e meno sviluppati dovranno attribuire grande importanza alle varie dimensioni della sostenibilità sul piano economico, sociale e ambientale. Al riguardo, il CESE può dare un contributo essenziale in quanto organo comunitario direttamente competente in materia, in grado di promuovere il confronto su tali questioni all'interno della società civile.

Bruxelles, 2 giugno 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Parere CESE sul tema «La preparazione di una strategia dell'Unione europea sullo sviluppo sostenibile», GU C 221 del 7.8.2001, pag. 169.

Parere CESE sul tema «Un'Europa sostenibile per un mondo migliore», GU C 48 del 21.2.2002, pag. 112.

Parere CESE sul tema «Una strategia per lo sviluppo sostenibile: un messaggio per Barcellona», GU C 94 del 18.4.2002, pag. 34.

Parere CESE sul tema «La strategia di Lisbona e lo sviluppo sostenibile», GU C 95 del 23.4.2003.

(2)  Consiglio europeo di Göteborg.

(3)  Parere CESE 692/2002 in merito alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni - Verso un partenariato globale per uno sviluppo sostenibile (COM(2002) 82 def., GU C 221 del 17.9.2002.

(4)  Direttiva 60/2000/CEE, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria in materia di acque.

(5)  Nazioni Unite, Rapporto della Conferenza internazionale sui finanziamenti per lo sviluppo, Monterrey 18-22 marzo 2002, A/CONF.198/11.

(6)  Dichiarazione del Millennio delle Nazioni Unite, Assemblea del Millennio delle Nazioni Unite, Assemblea generale A/55/L.2.


28.9.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 241/41


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Consiglio che attua il principio della parità di trattamento tra donne e uomini per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura

(COM(2003) 657 def. - 2003/0265 (CNS))

(2004/C 241/13)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 31 marzo 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2 del proprio Regolamento interno, di elaborare un parere d'iniziativa in merito alla: Proposta di direttiva del Consiglio che attua il principio della parità di trattamento tra donne e uomini per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura.

La sezione specializzata Occupazione, affari sociali, cittadinanza, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 5 maggio 2004 sulla base del progetto predisposto dalla Relatrice CARROL.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 3 giugno 2004, nel corso della 409a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 120 voti favorevoli, 49 contrari e 15 astensioni.

1.   Base giuridica, contenuto e portata della proposta

1.1

La proposta della Commissione si fonda sull'articolo 13, paragrafo 1 del Trattato che istituisce la Comunità europea, che ha già costituito la base giuridica delle direttive volte a combattere le discriminazioni in materia di occupazione e di condizioni di lavoro in base alla religione, alle convinzioni personali, agli handicap, all'età o alle tendenze sessuali (1) e, in materia tanto di occupazione e di condizioni di lavoro quanto di accesso a beni e servizi, le discriminazioni per motivi di razza o di origine etnica (2).

1.2

La proposta di direttiva istituisce un quadro per combattere la discriminazione fondata sul sesso nell'accesso a beni e servizi e nella loro fornitura, nell'intento di realizzare negli Stati membri il principio della parità di trattamento tra donne e uomini. La proposta non ha effetto retroattivo.

1.2.1

È vietata ogni discriminazione diretta o indiretta, fondata sul sesso, compreso il trattamento meno favorevole delle donne a motivo di gravidanza e maternità. Molestie e molestie sessuali sono considerate, a titolo della proposta, alla stregua di discriminazioni fondate sul sesso e sono pertanto vietate. Il rifiuto di tale comportamento da parte di una persona o la sua sottomissione ad esso non possono servire di base per una decisione che interessa la persona in questione. Anche l'incitamento alla discriminazione è considerato alla stregua di discriminazione a titolo della direttiva.

1.3

La proposta è di ampia portata, per quanto presenti limiti importanti. Il campo di applicazione comprende globalmente l'accesso ai beni e ai servizi che sono disponibili al pubblico e la loro fornitura, compreso l'alloggio, sia per il settore pubblico sia per quello privato, compresi gli organismi pubblici. La direttiva non si applica a transazioni effettuate in contesti puramente privati, quali l'affitto di una casa di villeggiatura a un familiare o l'affitto di una stanza in una casa privata.

1.3.1

La Commissione fornisce alcuni esempi di beni e servizi che sono disponibili al pubblico:

l'accesso a locali nei quali il pubblico è autorizzato a entrare,

tutti i tipi di alloggio, compresi gli appartamenti affittati e gli alloggi forniti da alberghi,

servizi bancari, assicurativi e altri servizi finanziari,

mezzi di trasporto e

servizi legati a qualsiasi professione o attività commerciale (3).

1.3.2

I servizi interessati dalla proposta hanno ampia portata, e comprendono settori rilevanti quali i sistemi pensionistici, le assicurazioni sanitarie e sulla vita, le assicurazioni generali e l'accesso ai finanziamenti e all'alloggio.

1.3.3

A partire dalla data di entrata in vigore della direttiva, è fatto divieto di tenere conto del sesso quale fattore di calcolo dei premi e delle prestazioni a fini assicurativi e di altri servizi finanziari. Gli Stati membri possono tuttavia ritardare l'attuazione di tali misure per ancora sei anni. In tal caso, essi ne informano immediatamente la Commissione e sono tenuti a compilare, a pubblicare e ad aggiornare costantemente tabelle dettagliate su mortalità e speranza di vita delle donne e degli uomini.

1.4

Sono previste alcune deroghe: la proposta di direttiva non preclude il riconoscimento di differenze legate a beni e servizi per i quali gli uomini e le donne non si trovano in situazione analoga, sia perché i beni e i servizi sono destinati esclusivamente o principalmente agli individui di un sesso, sia perché implicano competenze che sono esercitate in maniera diversa a seconda del sesso. A mò di esempio viene citato il caso degli orari riservati alle persone dello stesso sesso in piscina, o dei circoli privati aperti a individui dello stesso sesso.

1.5

Sono dichiaratamente esclusi dall'ambito di applicazione della direttiva l'istruzione e il contenuto dei mezzi di comunicazione e della pubblicità, in particolare la pubblicità e la pubblicità televisiva quali definite nell'articolo 1, lettera b) della direttiva 89/552/CEE del Consiglio.

1.6

L'azione positiva è autorizzata a titolo della direttiva.

1.7

In merito ai diritti minimi, ai mezzi di ricorso, all'esecuzione nonché al monitoraggio, il disposto della direttiva riprende quello delle due direttive di cui al punto 1.1.

2.   Osservazioni generali

2.1

Il Comitato sottolinea l'importanza del principio inteso ad eliminare le discriminazioni basate sul sesso per quanto riguarda l'accesso a beni e servizi e la loro fornitura.

2.2

Il Comitato si compiace del fatto che la redazione e le definizioni contenute nella proposta siano coerenti con le due direttive precedenti nonché con la direttiva riguardante l'onere della prova nei casi di discriminazione basata sul sesso.

2.2.1

Il Comitato constata con preoccupazione che soltanto il considerando 10 del preambolo della proposta di direttiva contiene una definizione di «servizi». A scanso di ambiguità, data la vasta gamma di servizi, pubblici e di altra natura, disponibili al pubblico (ad esempio, quelli forniti dalle ONG), il testo dovrebbe includere un'esplicita definizione del concetto di «servizi». Il Comitato propende per una definizione estesa.

2.3

È increscioso che l'istruzione non rientri nel campo di applicazione della direttiva, anche se si riconosce che in tale ambito possono esservi problemi relativamente alle competenze comunitarie. Resta il fatto che l'istruzione costituisce un fattore determinante dell'uguaglianza tra donne e uomini, potendo portare ragazzi e ragazze a seguire percorsi professionali tradizionali, influenzando in modo sostanziale il loro avvenire. In alcuni Stati membri sussistono preoccupazioni relative alle restrizioni di scelta e all'assenza di orientamento nel campo dell'istruzione, da cui scaturiscono persistenti e significative implicazioni sia per gli individui interessati, sia rispetto al conseguimento degli obiettivi in materia di inclusione sociale, sia, infine, per la stessa competitività dell'UE.

2.3.1

La Commissione ha dichiarato che solo l'istruzione privata rientrerebbe nell'ambito dei servizi, se questo settore non fosse escluso dalla direttiva. Ciò avrebbe potuto tradursi nell'applicazione di differenti criteri nell'attuazione del principio di parità di trattamento.

2.3.2

Gli Stati membri hanno già avviato azioni nel settore dell'istruzione nel quadro dell'agenda di Lisbona. Pertanto il Comitato invita pressantemente la Commissione ad adottare tutte le misure che rientrano nei suoi poteri per incoraggiare gli Stati membri a garantire la parità nella disponibilità delle diverse forme di insegnamento e nell'accesso alle stesse per ragazzi e ragazze.

2.3.3

La vigente direttiva sulla parità di trattamento disciplina l'accesso all'istruzione professionale, compresa l'istruzione superiore di carattere professionale. Nondimeno ciò non è sufficiente: è a livello dell'istruzione primaria e secondaria che si pongono le basi dell'accesso all'istruzione superiore, tanto in ambito universitario quanto negli istituti di formazione professionale.

2.4

Il Comitato prende atto del fatto che la proposta riguarda esclusivamente i mezzi di comunicazione e la pubblicità nella loro funzione di industrie che forniscono servizi, e accetta il principio in base al quale la presente proposta non rappresenta il canale adeguato per un'azione sul contenuto dei mezzi di comunicazione e della pubblicità. Dal momento però che i mezzi di comunicazione e la pubblicità esercitano una forte influenza sugli atteggiamenti e le opinioni del pubblico, non è possibile ignorarli nell'ambito degli sforzi dell'UE intesi a rimuovere la discriminazione dal mondo del lavoro e dalla vita pubblica. Il confine tra azioni appropriate e censura è però sottile. La Commissione dovrebbe pertanto continuare le sue consultazioni su tali temi, tenendo presenti tali elementi, e assumere le opportune iniziative entro termini ragionevoli. Il Comitato auspica di poter essere associato a tale processo.

2.5

Il Comitato saluta il fatto che donne e uomini avranno uguale accesso ai finanziamenti - cosa particolarmente importante per entrambi, che si tratti di imprenditori o di individui alla ricerca di mutui per l'acquisto di una casa.

2.6

Il Comitato ritiene che, dal momento che la proposta non riguarda i settori dell'istruzione, dei mezzi di comunicazione e della pubblicità, l'aspetto più delicato sia rappresentato dal problema della non-discriminazione sulla base del sesso in materia di accesso alle assicurazioni. In nessuno dei campi coperti dalla proposta dovrebbero essere introdotti nuovi criteri di discriminazione e ciò vale in particolare per il settore delle assicurazioni.

2.6.1

Il Comitato ritiene estremamente discutibile che si accetti l'affermazione secondo cui tariffe non differenziate in base al sesso – seppure applicate da alcuni paesi dell'Unione – conducono necessariamente all'aumento generalizzato dei prezzi delle assicurazioni, e una perequazione estesa dei rischi tra i sessi costituisce un fattore di aumento dei prezzi. Appare poco prudente, nonché in contraddizione con l'obiettivo della proposta, consentire agli Stati membri, nell'ambito generale della libertà di erogazione dei servizi e della libertà di stabilimento nel settore assicurativo, di poter derogare per sei anni a tale principio di non-discriminazione.

2.6.2

Per quanto attiene all'accesso di chiunque ai diritti in materia di assicurazione complementare di previdenza sociale, il Comitato chiede che sia abolita la discriminazione diretta e indiretta. Tale esigenza è tanto più urgente dal momento che lo sviluppo del secondo e del terzo pilastro della previdenza sociale (complementare e ultracomplementare) rappresenta attualmente l'aspetto più dinamico della previdenza sociale nell'Unione. A tale proposito il Comitato fa riferimento alle proposte contenute nel suo parere sul tema «L'assicurazione malattia integrativa» (4).

3.   Osservazioni particolari

3.1

Il Comitato è favorevole alla parità nell'accesso ai servizi finanziari, molti dei quali essenziali per la vita quotidiana, nonché alla parità nelle prestazioni e nei premi per donne e uomini. Tuttavia, la vasta gamma di servizi finanziari, di diversa natura, regolamentati dalla direttiva - ad esempio, assicurazioni sui veicoli, assicurazioni di malattia e di invalidità, pensioni e rendite vitalizie - dà adito a problemi difficili e complessi, che variano da uno Stato membro all'altro.

3.1.1

Va comunque riconosciuto che la parificazione di prestazioni e premi per i consumatori di detti servizi implica effetti tanto positivi quanto negativi, in quanto le ripercussioni per donne e uomini variano a seconda del servizio finanziario in questione. Nel caso dell'assicurazione sugli autoveicoli, il singolo utente trae profitto dal bonus per assenza di sinistri solamente dopo diversi anni di assicurazione. Vi è un preciso rischio che le incertezze generate dall'applicazione della direttiva possano tradursi nell'aumento dei costi a carico degli individui di ambo i sessi.

3.1.2

Nella sentenza Coloroll (5) la Corte di Giustizia dell'Unione europea ha ammesso la validità dell'uso di statistiche basate sul sesso per il calcolo dei contributi e delle prestazioni pensionistiche. Ha però richiesto l'uniformità tra i contributi versati dai dipendenti e le prestazioni ricevute, così come ha dichiarato ammissibile il versamento di contributi più elevati da parte del datore di lavoro. La Corte ha così riconosciuto che l'allineamento delle prestazioni rappresenta un onere maggiore. Nei regimi professionali di pensionamento è il datore di lavoro a pagare il contributo più elevato. Nel caso dei regimi pensionistici e assicurativi privati, non essendovi un datore di lavoro che possa assumersi premi o contributi più elevati, l'onere ricadrà sul consumatore. Questo vale per il settore delle pensioni, dove gli uomini pagano per la longevità delle donne, ma anche per quello delle assicurazioni dove le donne possono dover pagare, ad esempio, il fatto che per gli uomini il rischio di incidenti è più elevato, ecc.

3.1.3

La Commissione, nella sua valutazione d'impatto estesa, riconosce che i fornitori di servizi assicurativi sosterranno costi specifici che in ultima analisi saranno trasferiti sui consumatori, ma considera che tale situazione finirà al termine del periodo di adeguamento. Il CESE condivide tale posizione.

3.1.4

Il Comitato rimanda anche al principio contenuto nel Trattato sulla parità di trattamento di uomini e donne. Partendo da questo principio, il settore assicurativo, ovviamente per un determinato periodo di tempo, si troverebbe a dover modificare il proprio sistema di calcolo in modo tale che il sesso non costituisca più un fattore che incida sul calcolo del premio per le polizze auto. Dato che la frequenza degli incidenti e la speranza di vita non sono ovviamente influenzati dal calcolo, tutti i premi versati dai consumatori dovrebbero, in linea di principio, restare invariati.

3.1.5

Il Comitato ritiene necessaria una valutazione più specifica (comprese simulazioni indipendenti sugli effetti di altri criteri di calcolo) del funzionamento del settore assicurativo e pensionistico, per valutare l'impatto a lungo termine delle proposte. Il Comitato reputa importante che, quando la direttiva entrerà in vigore, vengano effettuati dei controlli, soprattutto nel settore delle assicurazioni. Il diritto delle persone a non essere discriminate deve essere l'obiettivo principale della direttiva.

3.2

Per quanto riguarda il settore degli alloggi, il Comitato ritiene che la direttiva non dovrebbe applicarsi ad accordi privati, ovvero a prestiti, cessioni o donazioni tra membri di una famiglia.

3.3

Il Comitato ritiene che tali eccezioni debbano essere definite esplicitamente e che non debbano mettere a repentaglio l'uguaglianza tra donne e uomini.

3.4

Il Comitato si compiace della possibilità dell'azione positiva, sancita all'articolo 5. Tale disposizione, tuttavia, non dovrebbe pregiudicare i servizi di importanza essenziale erogati tanto dal servizio pubblico quanto dalle ONG per uomini e donne, quali alloggi riservati a persone dello stesso sesso per persone con handicap e rifugi per donne sottoposte a violenze domestiche o di altra natura.

3.5

Il Comitato approva la disposizione sul dialogo con le organizzazioni non governative. Tale disposizione deve tuttavia garantire un contatto regolare con le organizzazioni della società civile.

3.6

Le informazioni e la pubblicità diffuse in merito alla presente direttiva, dopo la sua adozione, saranno di primaria importanza per garantire che i consumatori siano pienamente consapevoli dei propri diritti, e i fornitori di beni e servizi siano al corrente degli obblighi che incombono loro in virtù della direttiva stessa.

Bruxelles, 3 giugno 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Direttiva 2000/78/CE del Consiglio, del 27 novembre 2000, che stabilisce un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro.

(2)  Direttiva 2000/43/CE del Consiglio, del 29 giugno 2000, che attua il principio della parità di trattamento fra le persone indipendentemente dalla razza e dall'origine etnica.

(3)  COM(2003) 657 def., Relazione.

(4)  GU C 204 del 18.7.2000, pag. 51, (relatore : Jean- Michel Bloch-Lainé).

(5)  Coloroll Pension Trustees Ltd contro Russel & others, procedimento C-200/91, 28 settembre 1994.


28.9.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 241/44


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo incentivare le tecnologie per lo sviluppo sostenibile: piano d'azione per le tecnologie ambientali nell'Unione europea

(COM(2004) 38 def.)

(2004/C 241/14)

La Commissione, in data 28 gennaio 2004, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 262 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo - incentivare le tecnologie per lo sviluppo sostenibile: piano d'azione per le tecnologie ambientali nell'Unione europea.

La sezione specializzata Agricoltura, sviluppo rurale, ambiente, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 6 maggio 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore BUFFETAUT.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 2 giugno 2004, nel corso della 409a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 177 voti favorevoli, 1 voto contrario e 5 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

La comunicazione in esame rientra nella tradizione dei testi non legislativi con i quali la Commissione fa il punto sulle iniziative adottate in un determinato ambito e sulle prospettive politiche future, e rappresenta in pratica il quadro di riflessione generale della Commissione in materia di tecnologie ambientali.

1.2

La comunicazione inizia collocando le tecnologie ambientali nella prospettiva della strategia a favore dello sviluppo sostenibile e della strategia di Lisbona, ripetendo la frase ormai ben nota secondo cui essa è volta a fare dell'Unione europea «l'economia della conoscenza più competitiva e dinamica del mondo, capace di generare una crescita economica sostenibile con maggiori e migliori posti di lavoro e una coesione sociale più elevata».

1.3

Dopo questa premessa ormai rituale, la comunicazione pone però il vero interrogativo: quali sono gli obiettivi di questo piano d'azione a favore delle tecnologie ambientali (Environmental Technologies Action Plan o ETAP)?

La Commissione ne enuncia tre:

eliminare gli ostacoli per sfruttare le potenzialità insite nelle tecnologie ambientali,

garantire che nei prossimi anni l'UE assuma la leadership nello sviluppo e nell'applicazione delle tecnologie ambientali,

mobilitare tutti gli interessati affinché sostengano questi obiettivi,

con il fine ultimo di ridurre le pressioni sulle risorse naturali di cui disponiamo, migliorare la qualità della vita degli europei e incentivare la crescita economica.

1.4

La Commissione ritiene che il momento politico sia quello giusto per varare il piano d'azione, ma si chiede però con quali modalità farlo e quali azioni concrete sviluppare. Il testo si articola quindi intorno alle risposte a queste due domande.

2.   Sintesi del piano d'azione

2.1   Mettere a punto il piano d'azione

2.1.1

Innanzi tutto, la Commissione espone una serie di osservazioni destinate a servire da traccia per elaborare il piano d'azione:

l'esistenza di un potenziale per promuovere le tecnologie ambientali,

il loro sottoutilizzo,

l'importanza di incentivi mirati ed efficaci a favore dell'introduzione e dello sviluppo delle tecnologie ambientali,

l'esigenza di delineare delle prospettive a lungo termine per lo sviluppo dei mercati onde consentire investimenti nelle tecnologie ambientali,

l'esigenza di coordinare e di agevolare gli scambi di buone pratiche,

l'esigenza di creare un ambiente favorevole a quanti progettano, acquisiscono e utilizzano le tecnologie ambientali,

il riconoscimento che l'introduzione e lo sviluppo delle tecnologie ambientali richiederanno tempi medio-lunghi.

2.2   Interventi

La Commissione propone tre grandi linee di intervento:

passaggio dalla fase di ricerca al mercato,

migliorare le condizioni di mercato e

intervenire su scala mondiale.

2.2.1   Passaggio dalla fase di ricerca al mercato

2.2.1.1

La Commissione raccomanda quindi di attingere ai finanziamenti della BEI e della BERS per sviluppare una ricerca mirata e ricavarne applicazioni commerciali.

2.2.1.2

La Commissione intende promuovere piattaforme tecnologiche per le tecnologie ambientali più promettenti, allo scopo di aumentare l'efficacia della ricerca, mobilitare i finanziamenti, sviluppare partenariati pubblico/privato e migliorare i trasferimenti di tecnologia verso i paesi in via di sviluppo.

2.2.1.3

La Commissione considera infine auspicabile insistere sulla sperimentazione e la normazione in materia di tecnologie ambientali.

2.2.2   Migliorare le condizioni di mercato

2.2.2.1

La Commissione indica le condizioni per migliorare il mercato, che riguardano gli investimenti, l'abolizione degli ostacoli economici, il peso economico degli appalti pubblici, la sensibilizzazione della società civile.

2.2.3   Intervenire su scala mondiale

2.2.3.1

Le ambizioni europee in materia di tecnologie ambientali non si limitano al vecchio continente. La Commissione ritiene infatti che l'Unione europea debba portare avanti un'azione vigorosa per incentivare lo sviluppo sostenibile a livello mondiale.

2.2.3.2

La Commissione intende sviluppare i partenariati con i paesi in via di sviluppo e partecipare attivamente alle iniziative in materia di tecnologie ambientali adottate al vertice di Johannesburg.

3.   Coordinamento e monitoraggio

3.1

Quando si elabora un piano d'azione bisogna prevedere anche il monitoraggio della sua attuazione. A tal fine la Commissione ha previsto vari strumenti: relazioni biennali, Gruppo europeo sulle tecnologie ambientali, coordinamento, informazioni sulle migliori pratiche, ecc.

4.   Osservazioni di carattere generale

4.1

Le osservazioni del Comitato tengono anche conto dei commenti e delle proposte della commissione consultiva per le trasformazioni industriali (relatrice: SIRKEINEN, correlatore: REICHEL).

4.2

Il settore delle tecnologie ambientali è, per definizione, molto ampio. Esse possono servire a utilizzare le risorse naturali in modo sostenibile, evitare danni all'ambiente, sviluppare fonti di energia alternative, realizzare la politica integrata dei prodotti (IPP), ecc. Il Comitato ha già evidenziato (1) che è molto importante non limitare la definizione delle tecnologie ambientali alle tecnologie «pulite». Il continuo miglioramento dei processi e delle modalità di prestazione dei servizi al fine di diminuire l'impatto negativo sull'ambiente, la ricerca, i saperi innovativi e lo sviluppo finalizzato a perfezionare le tecnologie tradizionali integrandovi una dimensione ambientale fanno sempre parte della strategia tesa a potenziare le tecnologie ambientali, e vanno quindi incoraggiati. L'efficacia di una tecnologia ambientale si valuta in funzione del suo impatto positivo sull'ambiente e non di una definizione a priori della sua «virtuosità» ecologica.

4.3

Un piano d'azione molto ampio comporta il rischio della dispersione, e con essa quello della diluizione dei fondi. Uno dei principali fattori di successo di questo tipo di strategia risiede nella capacità di definire priorità, di stabilire le sequenze d'intervento, quindi di valutare non soltanto l'efficacia delle tecnologie ambientali ma anche la loro accettabilità sul piano economico. Questo concetto non emerge affatto dal documento della Commissione, pur rivestendo una grande importanza pratica; non va peraltro dimenticato che la nozione di sviluppo sostenibile si basa sui tre pilastri costituiti dallo sviluppo economico, dalla tutela dell'ambiente e delle risorse naturali e dalla valorizzazione sociale degli individui.

4.4

Le tecnologie ambientali vengono regolarmente applicate quando offrono un'utilità diretta al loro utilizzatore o quando il loro impiego è previsto per legge. Dato che da solo il libero mercato non permette di conseguire tutte le finalità etiche, sociali e ambientali generalmente riconosciute, da sempre il legislatore si trova a dover prevedere disposizioni giuridiche adeguate. Concretamente queste si ripercuotono in costi talvolta maggiori per le imprese, che possono peraltro trovare una loro giustificazione economica. Nel definire il quadro giuridico il legislatore dovrebbe tener conto del grande potere innovativo dell'economia e della scienza, limitandosi tuttavia a stabilire gli obiettivi senza precisare le tecnologie e/o le iniziative necessarie al loro conseguimento. La crescente consapevolezza dei maggiori sbocchi possibili grazie al rispetto di criteri sociali e ambientali aggiuntivi costituisce un impulso per il piano d'azione e il rafforzamento della competitività dell'economia europea.

4.5

L'altro aspetto determinante per il successo del piano a favore delle tecnologie ambientali riguarda l'accesso al mercato e le sue condizioni. È inutile auspicare un reale sviluppo delle tecnologie ambientali se queste non riescono poi a trovare mercati ricettivi e competitivi. Spesso le tecnologie ambientali efficaci non possono essere prodotte a costi altrettanto modici di altre tecnologie meno rispettose dell'ambiente, soprattutto perché i costi ambientali non sono internalizzati, e anche perché non hanno raggiunto uno sviluppo e una diffusione tale da consentire economie di scala sufficienti per comprimere i costi. Tutto sta quindi nel definire metodi per incentivare pratiche collaudate e scelte per finalità ambientali e/o di tecnologie ambientali adeguate (prestiti, sovvenzioni, incentivi fiscali), tali da incoraggiare e agevolare l'accesso al mercato o addirittura la sua creazione ex-novo. Il Comitato sottolinea che per un uso corretto e coerente degli incentivi previsti bisogna stabilire una sorta di classifica o gerarchia degli aiuti: capitale di rischio per la fase di avvio, prestiti più «classici» per quella di sviluppo, incentivi fiscali per consolidare il mercato, ed eventualmente anche forme di fiscalità corrispondenti all'internalizzazione dei costi ecologici da applicare alle tecnologie poco rispettose dell'ambiente.

4.6

Da questo punto di vista servono misure di incentivo o dissuasione nonché disposizioni di legge e regolamentari, che però non possono ignorare le realtà economiche e sociali né finire per falsare il gioco della concorrenza in modo sleale. Le tecnologie ambientali non devono essere un lusso inaccessibile né diventare un elemento di distorsione della concorrenza laddove si accettino anche prodotti e servizi provenienti da aree economiche che non si sono assoggettate a norme analoghe. Il testo della Commissione evidenzia molto bene questo aspetto sostanziale della problematica. L'intera comunicazione e tutta la mobilitazione possibile della società civile e dell'opinione pubblica a favore delle tecnologie ambientali saranno vane se non si terrà conto delle diverse realtà e della fattibilità economica. Uno dei modi per garantirsi il sostegno dell'opinione pubblica è di non dimenticare che i cittadini e i consumatori sono anche persone impegnate nel mondo del lavoro. Di conseguenza, se gli imperativi dello sviluppo sostenibile richiedono l'abbandono delle vecchie tecnologie, è bene anticipare le esigenze e i costi di riconversione sociale.

4.7

Merita infine sottolineare che bisogna perseguire una coerenza globale fra le varie politiche dell'Unione europea, in modo da evitare che finiscano per contraddirsi. Sarebbe dunque vano definire una politica in materia di sviluppo sostenibile se questa dovesse poi essere contraddetta dalla politica condotta dall'Unione nel quadro dell'OMC o della liberalizzazione dei mercati. Questo presuppone una discussione seria in seno all'OMC nonché la determinazione a difendersi da prodotti e servizi di qualsiasi provenienza che non limitino al minimo le ripercussioni delle tecnologie e dei processi.

5.   Osservazioni specifiche

5.1   Introduzione

5.1.1

Il CESE non può che approvare gli obiettivi del piano d'azione e nella fattispecie la volontà di sfruttare tutto il potenziale delle tecnologie ambientali per migliorare l'ambiente, pur sviluppando al tempo stesso la competitività e la crescita economica, come ha già sottolineato nel precedente parere (cfr. nota in calce a pag. 1).

5.2   Incentivi ad adottare le tecnologie ambientali

5.2.1

Il Comitato sottolinea l'opportunità degli incentivi volti a sviluppare le tecnologie ambientali, ma fa presente che questi non devono tradursi in un sostegno artificiale di tecniche che non potranno mai trovare sbocchi reali. In particolare occorre orientare il mercato utilizzando strumenti mirati come fiscalità, aiuti, licenze e regole in modo da tenere conto dei costi esterni di diverse tecnologie alternative.

5.2.2

Queste ultime vanno quindi perfezionate per adeguarle sempre più alle esigenze dello sviluppo sostenibile. Nella prassi, la modernizzazione e l'adeguamento degli impianti industriali insieme ai progressi delle tecniche e dei processi di produzione o di prestazione dei servizi hanno già consentito di applicare talune tecnologie ambientali. Anche in questo caso si tratta di una forma di sviluppo delle tecnologie ambientali che, pur rischiando di passare inosservata, è comunque molto concreta.

5.3   Passaggio dalla fase di ricerca al mercato

5.3.1

Una delle principali sfide per la ricerca in materia di tecnologie ambientali consiste nel riuscire a individuare applicazioni concrete. I finanziamenti alla ricerca vanno quindi indirizzati anche verso la ricerca applicata e devono consentire un forte coinvolgimento delle imprese, e in particolare delle PMI. Va inoltre sottolineato che talune PMI hanno un ruolo trainante nella progettazione e nello sviluppo delle tecnologie ambientali.

5.4   L'aiuto delle piattaforme tecnologiche

5.4.1

Il Comitato considera interessante l'idea di costituire piattaforme tecnologiche per le tecnologie ambientali più promettenti. È infatti stimolante raccogliere i soggetti interessati e dotati di reali competenze intorno a una determinata tecnologia, intorno alle tecnologie relative a un certo settore oppure intorno all'applicazione di tecnologie destinate a risolvere uno specifico problema ambientale. Le questioni relative alla proprietà intellettuale e alla tutela dei brevetti e dei marchi saranno disciplinate attraverso le regole del programma quadro sulla ricerca e la legislazione in materia di proprietà intellettuale, senza che ciò generi problemi specifici. Il Comitato ritiene che, se all'inizio la Commissione metterà a disposizione il supporto di segreteria, dovrebbe potersi sviluppare una forma di partenariato pubblico/privato nella misura in cui queste piattaforme tecnologiche risponderanno a reali esigenze e avranno un interesse concreto.

5.5   Valutazione e standardizzazione delle tecnologie ambientali

5.5.1

La diffusione delle tecnologie ambientali dipende da considerazioni economiche ma anche dalla loro efficacia tecnica. Un meccanismo di convalida e la messa in rete dei dati disponibili su alcune tecnologie chiave, come raccomanda la Commissione, tornerebbero molto utili sia per le imprese che per le autorità, soprattutto se si vuole inserire una sorta di «criterio del vantaggio ambientale» negli appalti pubblici. In merito il Comitato ricorda di aver suggerito una banca dati europea, alla cui creazione e gestione potrebbe partecipare l'Agenzia europea per l'ambiente e nella quale verrebbero inserite tecnologie ambientali collaudate, poco costose e appropriate, che così otterrebbero una sorta di «marchio di qualità» (2).

5.6   Obiettivi di prestazione

5.6.1

La Commissione sottolinea che questi obiettivi devono basarsi sulle migliori prestazioni ecologiche, restando però realistici dal punto di vista economico e dell'efficacia sociale. Il Comitato non può che sottoscrivere quest'affermazione, e tiene a sottolineare che uno sviluppo veramente sostenibile associa la preoccupazione ambientale alla competitività economica, al miglioramento quantitativo e qualitativo dei posti di lavoro e alla coesione sociale.

5.7   Investimenti

5.7.1

L'impiego degli strumenti finanziari esistenti e la creazione di strumenti finanziari nuovi per condividere i rischi d'investimento insiti nei progetti e nelle imprese che si occupano di tecnologie ambientali, per esempio attraverso fondi di capitale di rischio, richiedono l'intervento di analisti competenti per la valutazione della fattibilità tecnica ed economica dei progetti, senza la quale si rischierebbe di sprecare stanziamenti invece utili per altre operazioni. La valutazione dei progetti deve avvenire su basi tecnico-scientifiche fondate, obiettive e senza preconcetti. L'applicazione di nuovi strumenti finanziari potrebbe diventare l'occasione per coinvolgere gli enti locali nello sviluppo delle tecnologie ambientali e per ideare forme di partenariato pubblico/privato.

5.7.2

Per quanto attiene agli investimenti realizzati dalle imprese per ridurre l'impatto ambientale negativo della loro attività, oppure per migliorare quest'ultima nel senso dello sviluppo sostenibile, occorre sottolineare che spesso, in particolare nell'industria pesante, essi comportano impegni finanziari consistenti. Sotto questo profilo sarebbe auspicabile introdurre strumenti d'incentivo fiscale per incoraggiare questo tipo d'investimenti oppure, sull'altro versante, disporre una fiscalità sfavorevole alle imprese che non fanno nulla per migliorare l'impatto ambientale della loro attività, e quindi cercano di ottenere un vantaggio concorrenziale producendo a costi inferiori.

5.8   Appalti pubblici

5.8.1

L'idea di promuovere le tecnologie ambientali attraverso il «criterio del vantaggio ambientale» non è nuova e va considerata alla luce dell'affidabilità delle tecnologie ambientali e dei vincoli cui sono soggetti i finanziamenti pubblici. Essa può offrire l'opportunità di sviluppare la pratica delle gare d'appalto «su prestazione», ma non può comunque limitarsi a essere un espediente per tacitare le coscienze.

5.9   Il sostegno della società civile

5.9.1

Ogni generazione è responsabile della società che lascia in eredità ai suoi figli. I nostri contemporanei si rendono sempre più conto di essere responsabili dell'ambiente che lasceranno alle generazioni future. Per promuovere le tecnologie ambientali servono capacità didattiche e un impegno in termini di comunicazione che, per essere efficace, deve adottare toni realistici, sottolinearne i vantaggi ed essere di facile comprensione e accessibilità. Ciò richiede quindi un dialogo reale con le parti interessate e i cittadini, oltre alla mobilitazione dei poteri locali, che spesso hanno vaste competenze in materia ambientale.

5.10   Intervenire su scala mondiale

5.10.1

L'intento della Commissione d'intervenire su scala mondiale è lodevole. Il Comitato ricorda che nella maggior parte dei paesi in via di sviluppo il problema è realizzare la crescita economica e la lotta contro la povertà, in un contesto caratterizzato dalle scarse capacità finanziarie. Il Comitato ritiene quindi che un aiuto efficace debba basarsi piuttosto sul trasferimento di tecnologie «intermedie», semplici e poco costose, che rappresentano già un'evoluzione positiva rispetto alla situazione attuale e i cui effetti non sono necessariamente inferiori a quelli ottenibili con soluzioni più complesse e costose. In questo contesto occorre ricordare che per i destinatari delle tecnologie le soluzioni meno complesse comportano anche costi inferiori per i diritti di proprietà intellettuale e la tutela dei brevetti.

5.10.2

Il Comitato ritiene interessante che l'Unione europea partecipi all'azione condotta sotto l'egida dell'Unitar (3) a favore di un'urbanizzazione sostenibile nei paesi in via di sviluppo e ricorda che in questo contesto sono stati aperti centri di studio, di analisi e di formazione a Kuala Lumpur (Malesia), Curitiba (Brasile) e Ouagadougou (Burkina Faso). L'Unitar realizzerà alcune attività anche nell'Europa centrale. In proposito il Comitato ricorda anche la propria proposta di creare «centri indipendenti di competenze per le tecnologie appropriate» nei nuovi Stati membri (4). Questi centri potrebbero organizzare il necessario trasferimento di know-how, fornire consulenza ai responsabili politici a livello comunale e anche alla società civile, e non dovrebbero necessariamente limitare le loro attività ai soli nuovi Stati membri.

5.11   Procedere risolutamente verso l'avvenire

5.11.1

Il Comitato ritiene che, fra le iniziative proposte, quelle più interessanti siano gli scambi di informazioni sulle buone pratiche e i relativi indicatori di confronto. Se non sarà molto concreta e sintetica, la relazione biennale destinata al Consiglio e al Parlamento rischia di diventare una relazione come tante altre. Quanto al Gruppo europeo sulle tecnologie ambientali (in francese: «comité», Ndt), il termine «comité» sembra scelto male, in quanto non si tratterebbe di un comitato nel senso abituale del termine, bensì di una specie di forum ove si incontrano scienziati, tecnici, industriali, imprenditori, ONG, ecc. Resta comunque da chiedersi se i compiti che gli saranno assegnati non possano essere svolti dalla DG Ambiente e dalla DG Ricerca anziché creare un ulteriore organo che rischia di essere poco efficiente se conterà troppi partecipanti.

5.11.2

In uno spirito proiettato risolutamente «verso il futuro», nel suo precedente parere il Comitato ha proposto un «mediatore per l'ambiente» con il compito precipuo di puntare il dito sugli ostacoli che le normative in vigore frappongono allo sviluppo delle tecnologie ambientali. Questa proposta sarebbe più operativa dell'istituzione di un grande forum che rischia di disperdersi in questioni generiche.

6.   Conclusioni

6.1

Il Comitato riconosce l'interesse dell'iniziativa della Commissione, consistente nell'elaborare il piano d'azione a favore delle tecnologie ambientali e che è stata oggetto di un'ampia consultazione. In generale, questo tipo di documento non normativo serve a fare il punto sulla problematica e a definire alcuni orientamenti di massima restando nel quadro di una procedura flessibile.

6.2

Il Comitato ritiene che lo sviluppo concreto delle tecnologie ambientali passi necessariamente attraverso alcune scelte, la loro prioritarizzazione e una classificazione dei finanziamenti che, essendo limitati, vanno utilizzati con cognizione di causa. La capacità di operare scelte adeguate condizionerà i risultati della strategia europea in questo settore, la quale impone di agire con realismo e concretezza.

6.3

Il Comitato insiste sull'importanza di un sistema di convalida dell'efficacia delle tecnologie ambientali e della divulgazione dei dati disponibili in materia: si tratta infatti di uno dei presupposti per la diffusione delle tecnologie ambientali e per la loro applicazione da parte delle imprese e degli enti pubblici.

6.4

In ultima analisi, lo scopo è di determinare quali tecnologie ambientali sia ragionevole sviluppare in funzione della loro efficacia, delle realtà di mercato, degli imperativi ambientali, degli aspetti quantitativi e qualitativi della situazione occupazionale, dei livelli di vita e di sviluppo. È una questione di discernimento e di competenza scientifica, tecnica, economica e sociale, che l'Unione deve saper gestire se intende promuovere concretamente le tecnologie ambientali.

Bruxelles, 2 giugno 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Cfr. il parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Comunicazione della Commissione: Verso un piano d'azione per le tecnologie ambientali COM(2003) 131, GU C 32 del 5.2.2004, pagg. 39-44, (CESE 1390/03).

(2)  Cfr. il parere di iniziativa del CESE dal titolo «Realtà e opportunità per tecnologie ambientali appropriate nei paesi in via di adesione» (CESE 523/2004 fin).

(3)  Istituto di formazione e di ricerca delle Nazioni Unite

(4)  Cfr. nota in calce n. 2.


28.9.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 241/49


Parere del Comitato economico e sociale europeo sul tema Il dialogo transatlantico — come migliorare le relazioni transatlantiche

(2004/C 241/15)

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 16 e 17 luglio 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 29, paragrafo 2, del Regolamento interno, di elaborare un parere di iniziativa sul tema Il dialogo transatlantico — come migliorare le relazioni transatlantiche.

La sezione specializzata Relazioni esterne, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 20 aprile 2004, sulla base del progetto predisposto dalla relatrice BELABED.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 3 giugno 2004, nel corso della 409a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 160 voti favorevoli, 15 voti contrari e 18 astensioni

1.   Sintesi

A.

Le relazioni tra Europa e Stati Uniti vantano una storia lunga e reciprocamente proficua: esse si fondano su una solida base di convinzioni comuni a società aperte e democratiche. Nel nuovo contesto geostrategico creatosi dopo la fine della guerra fredda l'UE e gli USA si sono impegnati a realizzare un «partenariato globale ed equo». Malgrado il mutato contesto abbia in più occasioni messo alla prova le relazioni transatlantiche, le fondamenta del partenariato non sono state messe in discussione.

B.

L'opinione pubblica americana e quella europea presentano dei punti in comune ma anche delle divergenze. Se sulle questioni di politica estera le divergenze sono più marcate, sulle tematiche economiche, sociali e ambientali si rilevano invece più punti in comune del previsto e vi è un largo consenso sulla necessità di un dialogo intenso e costante a beneficio duraturo non soltanto dell'UE e degli USA, ma di tutto il mondo.

C.

Nel corso del tempo l'economia europea e quella americana hanno stretto legami sempre più forti e attualmente gli investimenti esteri rivestono un'importanza molto maggiore degli scambi commerciali. Malgrado le controversie commerciali facciano notizia, esse riguardano in realtà meno dell'1 % degli scambi transatlantici. La crescente interdipendenza economica produce tensioni che vanno al di là delle frontiere e investono questioni interne fondamentali come la fiscalità, la governance e la regolazione dell'economia.

D.

I risultati contrastanti dell'economia americana e di quella europea dimostrano che entrambe hanno i loro punti di forza e le loro debolezze. Negli anni a venire entrambe dovranno affrontare importanti sfide: di qui la necessità di rafforzare il dialogo e la cooperazione per il buon funzionamento dell'economia su entrambe le sponde dell'Atlantico.

E.

Il mutamento delle sfide e delle minacce geopolitiche ha messo alla prova le relazioni transatlantiche in molte occasioni. Realizzare e potenziare la buona governance, ivi comprese le strutture delle parti sociali e della società civile di tutto il mondo, può essere un utile modo per contribuire a rendere il mondo più sicuro e offrire ai cittadini più opportunità di partecipare all'adozione di decisioni destinate a determinare le loro condizioni di vita e di lavoro.

F.

Malgrado la globalizzazione abbia portato con sé molti benefici, promuovendo l'apertura sociale ed economica e incrementando gli scambi commerciali, gli investimenti stranieri e il benessere su scala mondiale, non tutti i cittadini hanno potuto goderne. Unendo i loro sforzi l'UE e gli USA possono contribuire a mettere a frutto il pieno potenziale economico, sociale ed ambientale della globalizzazione attraverso una migliore gestione sia a livello nazionale che internazionale, anche grazie al dialogo sociale e civile.

G.

Entrambe le parti sottolineano l'importanza strategica delle relazioni euro-americane e del contesto multilaterale: per affrontare le sfide mondiali occorre infatti unire le forze. Le recenti proposte per migliorare il quadro istituzionale delle relazioni transatlantiche hanno evidenziato l'importanza di un dialogo intenso e sostenuto finalizzato nel contempo all'ulteriore sviluppo delle relazioni e alla cooperazione con le istituzioni internazionali e altre parti del mondo.

H.

Il CESE sostiene appieno la cooperazione transatlantica e ne raccomanda il rafforzamento e l'ampliamento, sia nel senso di coinvolgere la più grande varietà di interessi e di soggetti, sia nel senso di sviluppare ed estendere il metodo a questioni importanti per le diverse forme di dialogo transatlantico e per i cittadini europei e americani.

I.

In linea con la presidenza irlandese, il CESE appoggia fermamente la cooperazione transatlantica e la partecipazione costruttiva di importanti gruppi di interesse appartenenti alla società civile americana ed europea. Esso propugna pertanto il rafforzamento e l'estensione delle reti della società civile, dialoghi transatlantici compresi, e si dichiara pronto a contribuire all'incremento dello scambio di informazioni e all'interazione tra le varie forme di dialogo, che potrebbe sfociare in una cooperazione continua e regolare, nonché nella creazione di un comitato economico e sociale americano o transatlantico oppure di entrambi.

J.

Il CESE è disponibile a fungere da piattaforma per promuovere il dialogo e riunire i diversi partecipanti. A tal fine, esso intende organizzare un convegno in collaborazione con i soggetti e le istituzioni interessate al rafforzamento del dialogo. I vantaggi di un dialogo rafforzato si tradurrebbero nella partecipazione attiva della società civile su entrambe le sponde dell'Atlantico, con benefici duraturi non solo per l'UE e gli USA ma anche per il resto del mondo.

2.   Contesto

2.1

Le relazioni tra Europa e Stati Uniti vantano una storia lunga e reciprocamente proficua; esse sono state particolarmente intense durante la guerra fredda, periodo in cui il piano Marshall per la ricostruzione dell'Europa è stato uno dei punti salienti delle relazioni transatlantiche. Allo scopo di fissare i principi e il quadro della futura cooperazione in un mutato contesto geostrategico, nel periodo successivo alla fine della guerra fredda l'UE e gli USA hanno concluso una serie di accordi (1) incentrati sulla promozione della pace, della stabilità e della crescita economica, la risposta alle sfide globali, la cooperazione economica nonché la creazione di contatti tra le due sponde dell'Atlantico. Nella Dichiarazione di Bonn, adottata in occasione del vertice UE-USA svoltosi il 21 giugno 1999 a Bonn, entrambe le parti si sono impegnate a favore di un «partenariato globale ed equo» in materia di economia, politica e sicurezza.

2.2

In virtù di tali accordi, che il CESE ha sempre sostenuto, sono stati adottati una serie di strumenti istituzionali, tra cui i Dialoghi transatlantici, che hanno consentito alle parti sociali e alla società civile di partecipare agli sforzi di cooperazione tra i due paesi.

2.3

A partire dagli anni Novanta, le relazioni transatlantiche hanno attraversato diverse fasi in cui l'Europa e gli Stati Uniti hanno dovuto adeguarsi, non senza difficoltà, a nuove realtà. Anche se le fondamenta di un forte partenariato transatlantico non sono state messe in discussione, tali cambiamenti hanno provocato tensioni e disaccordi, a causa di opinioni e orientamenti divergenti nonché di strumenti istituzionali inadeguati (2).

2.4

Per facilitare il dialogo e orientare le politiche verso obiettivi comuni, potrebbe essere utile avere un'idea delle opinioni espresse dai cittadini nell'ambito di inchieste e sondaggi (quali quelli condotti dal German Marshall Fund statunitense e dal Pew Research Center) (3). L'opinione pubblica americana e quella europea concordano su alcuni punti ma hanno anche delle divergenze (4). Americani ed europei condividono le idee di fondo sulla società democratica aperta, il rispetto dei diritti umani e dello Stato di diritto nonché il sostegno all'economia di mercato (5); ciononostante, i valori in cui credono non sempre sono identici. Nel corso di un sondaggio, è stato chiesto se i valori sociali e culturali degli americani e degli europei fossero diversi: su entrambe le sponde dell'Atlantico la vastissima maggioranza degli intervistati ha risposto affermativamente (l'83 % degli americani e il 79 % degli europei) (6).

2.5

Sebbene nel 2002 gli americani abbiano rivolto una maggiore attenzione alle questioni internazionali, rispetto al periodo precedente l'11 settembre 2001, americani ed europei hanno delle opinioni particolarmente contrastanti sulle questioni di politica estera, quali la leadership mondiale degli USA e la reazione alle minacce (7). Entrambi i popoli considerano l'unilateralismo come un problema, giudicano favorevolmente le Nazioni Unite e intendono rafforzarne il ruolo, ma gli americani sono disposti a metterle da parte quando è in gioco l'interesse nazionale del loro paese. Sebbene il cosiddetto soft power abbia origine nella cultura e nella politica americana (8), è l'Europa che vi fa maggiormente ricorso (9) e, di fatto, un'ampia maggioranza di cittadini su entrambe le sponde dell'Atlantico crede che il soft power dell'UE possa influire sulla risoluzione dei problemi del mondo mediante sforzi diplomatici, scambi commerciali o aiuti allo sviluppo (10).

2.6

Nel 2003, gli americani si sono dichiarati a favore dell'Europa come partner forte, mentre gli europei sono meno propensi a fare affidamento sugli Stati Uniti in materia di politica estera (11). Pur essendo stata molto probabilmente la guerra in Iraq ad influire sul cambio di vedute degli europei, «inaspettatamente gli americani sembrano avere un atteggiamento più positivo nei confronti dell'Unione europea.

Questa asimmetria, per cui gli europei hanno adesso una concezione meno positiva degli americani, mentre questi ultimi hanno migliorato il loro atteggiamento verso gli europei, è sorprendente e potenzialmente significativa per i responsabili politici di entrambi i paesi» (12).

2.7

Sulle questioni sociali, l'economia e l'ambiente, le opinioni sono più convergenti di quanto si creda, anche se ciò tuttavia non si riflette a livello governativo. È ben noto che gli europei danno importanza alla dimensione sociale e ambientale che in Europa accompagna la democrazia politica, ma anche gli americani mettono in rilievo il sostegno agli indigenti e la protezione dell'ambiente. Infatti, nelle aspettative dell'opinione pubblica americana, l'economia, l'istruzione e la previdenza sociale occupano un ruolo di primo piano (13). Sebbene gli americani si sentano forti e lodino l'iniziativa individuale, due terzi di essi riconoscono la necessità di predisporre meccanismi pubblici di sicurezza per gli indigenti (14) e garantire ad ogni cittadino cibo a sufficienza e un alloggio. Più del 50 % ritiene che il governo debba aiutare gli indigenti anche a costo di un aumento del debito pubblico, l'86 % sostiene che leggi e normative ambientali devono essere più rigide, il 65 % pensa che i cittadini debbano essere disposti a pagare prezzi più alti per la protezione dell'ambiente, la metà considera il sistema fiscale ingiusto e una notevole percentuale, ovvero oltre il 75 %, si dichiara favorevole a un sistema di restrizioni e controlli degli individui che arrivano negli Stati Uniti per risiedervi. Gli americani sembrano inoltre condividere in certa misura le preoccupazioni degli europei sugli organismi geneticamente modificati (OGM), il 92 % di essi è infatti favorevole all'etichettatura dei prodotti che li contengono (15).

2.8

Vi è un ampio consenso sulla necessità di un dialogo più approfondito, intenso e continuo per mettere a frutto gli interessi comuni, superare le differenze e riconoscere l'importanza per entrambe le parti di un programma comune in molti settori dell'economia mondiale. Nei precedenti pareri, il CESE ha riconosciuto l'importanza del partenariato transatlantico e ha sottolineato l'esigenza di un partenariato e di una cooperazione di ampio respiro, basati sulla comprensione e il rispetto reciproci per le prospettive, i valori, gli interessi e i modelli sociali dell'altro (16).

3.   Le dimensioni delle relazioni transatlantiche

3.1

Le dimensioni più importanti delle relazioni transatlantiche sono le seguenti: relazioni economiche e commerciali tra UE e Stati Uniti, politica e sicurezza mondiale, globalizzazione — sviluppo socio-economico ed ambientale internazionale, istituzioni transatlantiche, impegno per il partenariato transatlantico e governance multilaterale.

3.2   Le relazioni economiche e commerciali UE-USA

3.2.1

Come dimostra la relazione Quinlan (17) sulle relazioni economiche transatlantiche, dopo il crollo del muro di Berlino, l'economia europea e quella americana hanno stretto legami più forti e sono diventate sempre più interdipendenti. Nell'economia transatlantica, gli investimenti esteri rivestono un'importanza maggiore rispetto agli scambi commerciali.

3.2.2

A titolo d'esempio, negli anni Novanta, circa la metà degli IDE americani erano diretti all'Europa. Nel 2000 gli investimenti europei negli Stati Uniti erano superiori di circa il 25 % agli investimenti americani in Europa. Nel 2001, e per la maggior parte degli anni Novanta, le imprese americane hanno realizzato in Europa metà dei loro profitti. Nei Paesi Bassi le imprese americane hanno investito due volte più che in Messico. Gli investimenti europei che affluiscono nel solo Texas sono maggiori degli investimenti americani complessivi in Giappone.

3.2.3

Seppure siano le controversie commerciali transatlantiche a fare notizia, gli scambi commerciali rappresentano meno del 20 % delle relazioni economiche transatlantiche e i contenziosi commerciali meno dell'1 %. Nonostante nel 1999 sia stato messo a punto un meccanismo di allerta precoce, le opinioni divergenti sui meccanismi di difesa commerciali (come le misure di salvaguardia, i diritti anti-dumping e i dazi compensativi), sui sussidi, sui diritti di proprietà intellettuale e sulle altre misure in materia di acciaio, banane, ormoni bovini, organismi geneticamente modificati, marchi e indicazioni geografiche hanno causato gravi dissensi e controversie. Alla data del 16 marzo 2004 erano in corso in seno all'OMC 14 dispute commerciali tra l'UE e gli USA (18). Il caso più recente riguarda la normativa americana sulle società di vendita all'estero (Foreign Sales Corporations): l'UE ha deciso di imporre dei dazi su una serie di prodotti americani sino a quando tale normativa, dichiarata irregolare dall'OMC, non sarà adeguata alle regole dell'OMC.

3.2.4

Alcune delle tensioni tra l'UE e gli USA sono il risultato della crescente interdipendenza economica. Nella maggior parte dei casi non si tratta di tipiche dispute commerciali in quanto esse vanno al di là delle frontiere e incidono su alcune questioni nazionali fondamentali quali la fiscalità negli Stati Uniti e in Europa, il modo di governare la società e la regolazione dell'economia (19).

3.2.5

Per quanto riguarda il rendimento delle economie europea ed americana, i risultati sono contrastanti. Contrariamente all'idea diffusa secondo cui l'economia americana avanza più velocemente di quella europea, anche i dati dell'FMI e dell'OCSE dimostrano che in alcuni settori, l'Europa ha avuto dei risultati migliori (20): il tasso di crescita globale è stato certamente più alto negli USA che in Europa, ma il tenore di vita, in termini di PIL pro-capite, è aumentato più rapidamente nell'UE che negli USA.

3.2.6

Anche i dati relativi alla produttività del lavoro variano in base al periodo di riferimento. Dal 1995 in poi, la produttività media americana è stata maggiore di quella europea, ma essa è stata inferiore se si considera il periodo compreso tra il 1990 e il 2002. Sebbene la media americana sia superiore, cinque paesi europei hanno ottenuto risultati migliori. Il tasso di disoccupazione è mediamente più elevato in Europa, tuttavia, in sette paesi europei è inferiore a quello degli Stati Uniti.

3.2.7

La disoccupazione rappresenta un problema per l'economia nel suo complesso - in quanto le risorse non vengono utilizzate - ma soprattutto per gli individui, in modo particolare quando la protezione sociale è carente. Oltre alla politica macroeconomica, diversi fattori possono influire notevolmente sul tasso di attività: la struttura del mercato del lavoro, i livelli di istruzione o il sistema di protezione sociale. La disoccupazione, associata a redditi non equi, protezione sociale scarsa e livelli di istruzione bassi, è uno dei fattori che influiscono sui tassi di povertà.

3.2.8

In media, le imposte in Europa sono più alte che negli Stati Uniti. Tuttavia, ciò non costituisce necessariamente uno svantaggio competitivo: un buon utilizzo delle imposte può permettere di dare un impulso alla produttività economica. Il Forum economico mondiale lo ha riconosciuto e ha modificato di conseguenza il calcolo dei bilanci pubblici: il risultato è che, in base alla Relazione sulla competitività mondiale 2003-2004, la Finlandia ha superato gli Stati Uniti, mentre Svezia e Danimarca si trovano in una posizione migliore e occupano attualmente il terzo e quarto posto (prima erano rispettivamente al 5o e al 10o posto) (21).

3.2.9

Se si esaminano contemporaneamente la produttività e la fiscalità, si nota che imposte più elevate non ostacolano necessariamente la produttività. Se si considerano i cinque Stati in cui dal 1995 in poi la produttività è aumentata maggiormente che negli Stati Uniti, ossia Belgio, Austria, Finlandia, Grecia e Irlanda, e i sei Stati che registrano i livelli di produttività più alti, Germania, Paesi Bassi, Irlanda, Francia, Belgio e Norvegia (che non è un membro dell'UE), solo in Irlanda la fiscalità è bassa.

3.2.10

La conclusione è che l'economia europea e quella americana sono strettamente legate. Entrambe hanno punti di forza e punti deboli e devono affrontare importanti sfide nei prossimi anni, il che rende necessario rafforzare il dialogo e la cooperazione per garantire un buon andamento dell'economia in entrambi i paesi.

3.3   Politica e sicurezza globale

3.3.1

Il passaggio dalla guerra fredda, caratterizzata da una forte comunanza di interessi, a una situazione in cui le principali sfide strategiche hanno origini geografiche differenti e la natura delle minacce è cambiata, ha dato origine a punti di vista divergenti sul modo di affrontare tali sfide.

3.3.2

La globalizzazione racchiude un potenziale immenso e apporta numerosi vantaggi, tuttavia l'attuale funzionamento dell'economia globale presenta squilibri radicati e persistenti. Per l'ampia maggioranza degli individui, la globalizzazione non ha soddisfatto le semplici e legittime aspirazioni a un posto di lavoro soddisfacente e a un futuro migliore per i propri figli. Nel momento in cui le società aperte sono minacciate dal terrorismo internazionale, la governance globale deve tenere anzitutto conto delle preoccupazioni e delle aspirazioni della gente, accrescendo l'affidabilità e la democrazia a livello sia nazionale che internazionale per innalzare la sicurezza globale. La globalizzazione deve basarsi su valori universalmente condivisi e sul rispetto dei diritti umani e della dignità individuale (22); se gestita meglio, può permettere agli individui di avvicinarsi gli uni agli altri e di godere di un maggiore benessere. Una globalizzazione migliore è determinante per garantire alla gente, in qualsiasi parte del mondo, una vita migliore e più sicura nel XXI secolo; tuttavia, se continua ad essere gestita in modo sbagliato, non farà altro che provocare maggiore scontento tra i cittadini.

3.3.3

In questo contesto possono contribuire attivamente a una maggiore sicurezza mondiale la lotta alla corruzione, alle dittature e ai governi ingiusti nonché la creazione di strutture rappresentative delle parti sociali e della società civile in tutto il mondo, soprattutto nei paesi in cui le strutture di una buona governance sono deboli o ancora inesistenti, per permettere ai cittadini di partecipare maggiormente alle decisioni che influiscono sulle loro condizioni di vita e di lavoro.

3.3.4

A questo proposito, il CESE si adopera da tempo per costruire e rafforzare il dialogo sociale e civile sia nei futuri Stati membri dell'UE che nei paesi terzi. Ha inoltre contribuito attivamente al processo di Barcellona avviato dall'UE, il quale costituisce una solida base da sviluppare ulteriormente. Inoltre, il sostegno al processo di democratizzazione e alla creazione delle parti sociali in Iraq potrebbe costituire un progetto comune per l'UE e gli USA.

3.3.5

La sicurezza dei trasporti costituisce un ambito in cui più che mai si impone una cooperazione rafforzata fra Stati Uniti e Unione europea. Il CESE (23) sottolinea che «è necessario e urgente che l'UE prenda, sul piano internazionale, l'iniziativa di sviluppare un quadro più ampio in materia di sicurezza, quadro che oltre a cercare di eliminare gli effetti del terrorismo ne esamini anche le cause. […] Considerato il carattere internazionale del trasporto marittimo e aereo, i requisiti di sicurezza dovrebbero fondarsi su accordi reciproci applicati in maniera uniforme e non discriminatoria, ai fini di un regolare svolgimento degli scambi economici». Il CESE ha altresì ricordato che «la visione filosofica e la cultura proprie dell'Europa promuovono il rigoroso rispetto dei diritti umani e [che] qualsiasi reazione alle minacce del terrorismo non deve mai perdere di vista tali principi così a lungo custoditi e difesi». Ad esempio, l'accordo sulla sicurezza dei container, siglato recentemente tra Stati Uniti e Unione europea (novembre 2003), e la sua attuazione offrono un'opportunità di discussione nel dialogo transatlantico. Inoltre gli Stati Uniti e l'UE cooperano a livello internazionale in seno all'OIL in materia di documenti di identità dei marittimi nonché sulla questione della sicurezza degli impianti portuali trattata congiuntamente nell'ambito dell'IMO, l'Organizzazione marittima internazionale, e dell'OIL.

3.4   Globalizzazione — sviluppo socioeconomico ed ambientale a livello internazionale

3.4.1

La globalizzazione apporta molti benefici, promuove società ed economie aperte e sostiene il potenziamento del libero scambio di merci, idee e conoscenze. Di fatto comincia ad emergere una coscienza realmente globale delle ingiustizie legate alla povertà, il non rispetto della libertà di associazione, la discriminazione sessuale, il lavoro infantile e il degrado ambientale, a prescindere dal luogo in cui tali fenomeni si verificano (24).

3.4.2

Tuttavia, nonostante un incremento degli scambi commerciali, degli investimenti internazionali e della ricchezza mondiale, la globalizzazione non ha prodotto effetti positivi per tutti. La riduzione generale delle barriere agli scambi e alla circolazione di capitali, servizi e persone, ha reso più facile per le imprese approvvigionarsi sul mercato mondiale ma, nello stesso tempo, ha creato le condizioni per una concorrenza mondiale con ripercussioni preoccupanti sui lavoratori, la fiscalità e la sostenibilità finanziaria dei sistemi di previdenza sociale e dei servizi di interesse generale. La povertà è aumentata in 54 paesi (25) dal 1990 a questa parte, le disparità tra i vari paesi e in seno agli stessi si sono aggravate, la stabilità dell'economia mondiale è minacciata dalla volatilità dei mercati finanziari nonché dagli squilibri macroeconomici quali le relazioni tra le valute e gli squilibri commerciali.

3.4.3

Attraverso uno sforzo congiunto, l'UE e gli Stati Uniti possono contribuire alla piena realizzazione del potenziale socioeconomico ed ambientale della globalizzazione. Per far ciò essi possono migliorare la governance a livello nazionale e internazionale nonché le regole che disciplinano il commercio internazionale, gli investimenti, la finanza e l'immigrazione tenendo conto di tutti gli interessi, diritti e le responsabilità in gioco. Così facendo possono realizzare una più ampia ed equa distribuzione dei benefici della crescita, che può garantire sicurezza e stabilità a vantaggio di tutti.

3.4.4

In questo contesto è necessario migliorare la governance globale: le organizzazioni internazionali aventi competenze diverse devono coordinare le loro attività. Per una migliore gestione della globalizzazione l'OMC, l'FMI, la Banca mondiale e l'OCSE devono coordinare i loro sforzi con quelli di altre organizzazioni internazionali, in modo particolare l'OIL e l'ONU, e migliorare la governance delle stesse con l'inclusione del dialogo sociale e civile.

3.4.5

Il CESE sottolinea l'importanza di rispettare ed applicare le norme fondamentali nel campo del lavoro e apprezza gli sforzi del Dipartimento del tesoro americano volti a far sì che la Banca mondiale e l'FMI facciano ulteriori passi in avanti verso l'integrazione di tali norme nei rispettivi programmi in materia di sviluppo (26).

3.4.6

Il CESE contesta la proposta dell'FMI di una radicale deregolamentazione del mercato del lavoro in Europa (27), in quanto il modello sociale europeo potrebbe essere gravemente compromesso. Sottolinea inoltre che le reti di sicurezza sociale costituiscono dei necessari stabilizzatori automatici nei periodi di crisi economica.

3.4.7

Su entrambe le sponde dell'Atlantico i cittadini sono sempre più preoccupati riguardo al trasferimento di posti di lavoro in altre regioni, reso possibile dai progressi tecnologici e dalle ridotte barriere commerciali nonché dai vantaggi competitivi derivanti da regolamentazioni diverse, che fondamentalmente contemplano norme meno rigorose in materia di tutela dei lavoratori e dell'ambiente nonché di benessere degli animali. Per gli economisti questa tendenza è un effetto logico del libero scambio (28) che consente di trasferire agevolmente posti di lavoro in regioni in cui la manodopera è a basso costo. Si prevede che in futuro ciò possa creare disoccupazione strutturale a lungo termine. I Trattati europei e il progetto di Costituzione europea sottolineano l'esigenza del miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro, pertanto è necessario riflettere sull'opportunità di promuovere le norme ambientali e lavorative e migliorare le condizioni di vita e di lavoro in tali regioni e, al tempo stesso, mantenerle e rafforzarle in Europa e negli Stati Uniti.

3.4.8

A seguito dei recenti scandali che hanno coinvolto le grandi imprese, l'opinione pubblica americana ha assunto un atteggiamento più critico nei loro confronti: il 77 % degli americani ritiene che un potere eccessivo sia concentrato nelle mani di poche grandi imprese mentre il 62 % pensa che le grandi imprese realizzino profitti troppo alti (29). Pertanto il governo societario si rivela un problema fondamentale. Oltre alle azioni concrete già intraprese e in corso quali la legge Sarbanes-Oxley negli Stati Uniti, la revisione dei principi dell'OCSE sul governo societario e le attività a livello comunitario e nazionale, è necessario coordinare gli sforzi per garantire che le imprese vengano gestite in modo responsabile tenendo conto degli interessi di tutte le parti coinvolte.

3.4.9

Sia l'UE che gli USA si sono adoperati per far avanzare il Doha round, il ciclo di negoziati dell'OMC attualmente in corso. Affinché nei negoziati a livello europeo si tenga maggiormente conto delle opinioni della società civile, la DG Commercio della Commissione europea associa la società civile ai preparativi e al seguito di tali negoziati, processo cui il CESE partecipa attivamente. Affinché il suo contributo sia maggiormente efficace, il CESE prevede di intraprendere un dialogo con i suoi partner in tutti i continenti e di organizzare nel luglio del 2004 un convegno riguardante la società civile e l'OMC (30).

3.4.10

L'ambiente e il cambiamento climatico sono i settori in cui i cittadini dei due paesi hanno opinioni simili ma in cui i governi hanno approcci diversi. Recentemente il Pentagono ha presentato uno studio sulle ripercussioni in termini di sicurezza dei diversi scenari che si prospettano in materia di cambiamento climatico. Considerato l'attuale dissenso sulla ratifica del protocollo di Kyoto, gli effetti potenziali del cambiamento climatico sono uno degli aspetti più importanti, seppur difficili, da discutere.

3.4.11

Il CESE ha altresì sottolineato in diverse occasioni l'importanza dello sviluppo sostenibile. Alle solenni dichiarazioni effettuate nel quadro di riunioni o accordi internazionali, quali il Vertice sulla terra, gli Obiettivi del millennio o la strategia di Lisbona non ha fatto seguito l'adozione tempestiva di azioni concrete. Pertanto il CESE ribadisce l'appello lanciato in diversi suoi pareri, ovvero la necessità di compiere dei progressi in tal senso (31).

3.4.12

Oltre alle misure di politica commerciale, nel corso dei negoziati del Doha Round, l'UE ha messo in rilievo il ruolo della sicurezza alimentare, la protezione dei consumatori e il benessere degli animali in quanto ritiene necessario disciplinare gli scambi internazionali in cui è in gioco la sicurezza alimentare con regole migliori e trasparenti.

3.4.13

Oltre al morbo della mucca pazza (ESB), gli ormoni bovini, il sistema agricolo, la sicurezza alimentare e gli organismi geneticamente modificati (OGM), il commercio dei prodotti agricoli è uno dei maggiori punti di frizione tra l'UE e gli USA, legati da importanti relazioni commerciali nel settore agricolo. I due grandi partner commerciali hanno avuto dei dissensi di politica commerciale in materia di OGM e ormoni, ciononostante bisogna riconoscere che nel quadro del Doha Round hanno raggiunto dei compromessi costruttivi in materia di agricoltura. L'UE ha sottolineato il ruolo del modello agricolo europeo che contempla il rispetto dell'ambiente e il benessere degli animali, nonché la necessità di riforme moderate della politica agricola, nel cui ambito sarebbe di grande utilità tener conto degli aspetti non commerciali e delle preferenze dei paesi in via di sviluppo in merito alle regole e agli accordi che verranno adottati prossimamente.

3.4.14

L'ultimo allargamento rappresenta per l'UE la maggiore sfida cui sia stata confrontata sinora e nello stesso tempo costituisce un processo dinamico verso l'unificazione dell'Europa e il rafforzamento della pace, sicurezza e prosperità in tutto il continente. Lo sviluppo dei nuovi Stati membri e il miglioramento delle relazioni con la Russia e i nuovi vicini dell'UE, nonché la promozione dei diritti umani e della democrazia, sono di grande interesse sia per l'UE stessa che per gli USA.

3.5   Istituzioni transatlantiche

3.5.1

Il quadro istituzionale frutto degli accordi conclusi negli anni Novanta è motivo di scontento a causa dello squilibrio di potere tra l'UE e gli USA, le differenze nella composizione della NATO, dell'UE e di altre entità, l'integrazione incompleta dell'UE e il malcontento generale che circonda i vertici UE-USA (32).

3.5.2

Le recenti proposte per migliorare il quadro istituzionale mostrano che il fattore più importante per segnare dei progressi è l'avvio di un dialogo intenso e continuo sulle questioni più importanti, nel quadro istituzionale che si ritenga più adeguato. Purtroppo, nessuna di queste proposte tiene adeguatamente conto dei vantaggi offerti dalla partecipazione delle parti sociali e della società civile.

3.6   Adesione al Partenariato transatlantico e alla governance multilaterale (33)

3.6.1

Le sfide globali richiedono l'unione delle forze, pertanto l'UE e gli USA sottolineano entrambi l'importanza strategica delle relazioni transatlantiche e di un contesto multilaterale.

3.6.2

Come affermato dal Consiglio europeo del dicembre 2003, «Le relazioni transatlantiche sono insostituibili. L'UE rimane pienamente impegnata a favore di un partenariato transatlantico costruttivo, equilibrato e proiettato verso il futuro» (34).

3.6.3

Il CESE concorda con il Consiglio europeo sulla necessità vitale di mantenere un dialogo permanente tra i due partner strategici e ne apprezza l'intenzione di promuovere qualsiasi forma di dialogo tra gli organi legislativi e la società civile su entrambe le sponde dell'Atlantico.

3.6.4

Cooperando a livello bilaterale e nell'ambito delle istituzioni multilaterali, i partner transatlantici avranno una visione comune e metteranno insieme le capacità necessarie per far fronte alle sfide del nostro tempo.

3.6.5

Diverse iniziative in corso evidenziano l'importanza e la necessità di una cooperazione costante e approfondita. Il German Marshall Fund statunitense e la Transatlantic Policy Network (TPN) sono tra le organizzazioni che si adoperano più attivamente per le relazioni UE-USA. Le loro attività spaziano dall'analisi dell'opinione pubblica delle due regioni e della dimensione economica del partenariato, all'organizzazione di conferenze nonché alla formulazione di raccomandazioni e strategie per le future relazioni UE-USA.

3.6.6

Per rafforzare il partenariato transatlantico la TPN ha messo a punto un piano d'azione decennale in 10 punti, da attuare dal 2005 al 2015 sulla base di obiettivi, azioni e valutazioni dei progressi decisi congiuntamente. La strategia è incentrata su quattro ambiti di interesse: economia, difesa e sicurezza, politica e istituzioni (35).

3.6.7

Il CESE si rammarica del fatto che, pur costituendo un valido sforzo per sviluppare il partenariato, tale programma fa solo uno scarso accenno alla dimensione sociale.

3.6.8

Quanto all'aspetto economico, la TPN esorta ad approfondire ed estendere il mercato transatlantico, oggetto di un dibattito di lunga data (36), mentre altri sono andati oltre chiedendo la creazione di un'area transatlantica di libero scambio. Alla luce delle esperienze dell'integrazione europea e del NAFTA, il CESE si dichiara a favore di un approccio che combini la dimensione economica, sociale e ambientale sulla base della coesione economica, sociale e territoriale, conformemente al progetto di Costituzione europea che sancisce l'economia sociale di mercato come uno degli obiettivi dell'Unione.

4.   Migliorare il partenariato transatlantico — come e perché?

4.1

Un forte partenariato transatlantico costituisce un importante elemento propulsore per affrontare le sfide future. L'Europa e gli USA cooperano sia a livello bilaterale che nel quadro delle istituzioni internazionali con diverse regioni del mondo, in funzione dei rispettivi valori, convinzioni e politiche. La coesione economica e sociale e il dialogo sociale e civile sono i principi fondamentali della governance europea, ma negli Stati Uniti non sono altrettanto importanti. Pertanto, questi diversi approcci possono condurre a destinare a tali regioni raccomandazioni e modelli di cooperazione conflittuali.

4.1.1

A titolo d'esempio, mentre gli USA incoraggiano la creazione di un'area di libero scambio delle Americhe sul modello del NAFTA, nella regione altre voci si sono levate a favore del modello di integrazione europeo. Soggetti diversi come il governo brasiliano, il presidente messicano Vicente Fox («NAFTA plus»), deputati americani e una rete di sindacati si sono pronunciati a favore di un'alternativa all'area di libero scambio che includerebbe elementi ispirati all'esperienza europea quali un fondo di sviluppo per ridurre gli squilibri, la libera circolazione delle persone, la partecipazione al processo decisionale, una moneta unica e norme sociali vincolanti (37).

4.1.2

Per citare un altro esempio, le riforme economiche e sociali avviate negli ultimi 10-15 anni nei futuri Stati membri dell'Europa centrale e orientale sono state sostenute sia dall'UE che dalle organizzazioni internazionali come l'FMI e la Banca mondiale. Nei settori in cui l'UE ha una competenza e un patrimonio giuridico limitati - come i sistemi di previdenza sociale -, le riforme sono state promosse da istituzioni internazionali orientate verso un modello sociale fondato su valori e principi che non sono pienamente compatibili con il modello sociale europeo, il che potrebbe creare delle difficoltà con l'adesione (38).

4.2

Se vuole svolgere un ruolo più importante sulla scena internazionale, l'Europa dovrà approfondire l'integrazione in modo da rafforzare la propria capacità di esprimersi e di agire a livello internazionale. A tale scopo, il CESE apprezza gli sforzi compiuti dalla presidenza irlandese e auspica che i recenti sviluppi nelle posizioni degli Stati membri contribuiscano a raggiungere un consenso sulla futura Costituzione.

4.3

Il partenariato transatlantico ha dato origine a una serie di strumenti istituzionali cui prendono parte governi, parlamentari e reti della società civile. Quest'ultima partecipa alle varie forme di dialogo transatlantico, che non vengono praticate tutte con la stessa intensità.

4.3.1

Il dialogo transatlantico tra imprese (TABD) è stato il primo ad essere avviato e per un certo tempo, più intenso degli altri; ciononostante esistevano dubbi circa la sua efficacia e l'attuazione dei suoi risultati. Nel 2003, il vertice UE-USA ha dato un nuovo impulso al TABD e recentemente i due nuovi co-presidenti hanno dichiarato che è necessario rafforzare questo strumento per contribuire a creare un mercato transatlantico senza barriere e stimolare la cooperazione economica transatlantica.

4.3.2

Il dialogo transatlantico tra lavoratori (TALD) si è svolto prevalentemente tra le confederazioni sindacali. Al fine di contribuire appieno al dialogo transatlantico e sviluppare la dimensione sociale delle relazioni UE-USA, il TALD deve essere intensificato. Nel periodo compreso tra il 2001 e il 2003, è stato varato un progetto comune intitolato «Migliorare il dialogo transatlantico - il mondo del lavoro» che prevedeva una serie di seminari di formazione cui hanno partecipato i rappresentanti sindacali delle imprese multinazionali.

4.3.3

Divenuto, nell'arco di sei anni, il più attivo di tutti, il dialogo transatlantico tra consumatori (TACD), si incentra sulle questioni sensibili per entrambi i paesi come gli OGM, le e-mail commerciali non richieste (spam), i diritti d'autore digitali, nonché sui problemi dei consumatori nei paesi in via di sviluppo. Il TACD, cui partecipano i rappresentanti dei consumatori dell'UE e degli USA, funge da portavoce dei consumatori presso entrambe le amministrazioni.

4.3.4

A causa di difficoltà legate al finanziamento, il dialogo transatlantico sull'ambiente (TAED) è stato attivo per meno di due anni, ma ha costituito un elemento essenziale nel dibattito sulle questioni ambientali.

4.3.5

La cooperazione istituzionalizzata esistente tra i due parlamenti si è sviluppata ed ha dato luogo alla creazione del dialogo transatlantico tra parlamentari, che prevede videoconferenze e riunioni semestrali.

4.3.6

Il dialogo transatlantico informale tra gli agricoltori deve essere rafforzato e integrato nei dialoghi e nelle reti transatlantiche, prendendo in considerazione temi quali gli OGM, gli ormoni, e, soprattutto, il modello agricolo europeo.

4.3.7

Inoltre, nel campo dell'istruzione e dell'elaborazione delle politiche, la Commissione europea ha lanciato due iniziative a livello dei cittadini, nelle quali sono coinvolti i centri europei delle università americane nonché think tanks, istituzioni accademiche e reti locali.

4.3.8

Vi sono altresì altri tipi di dialogo informale.

4.4

Grazie al ruolo consultivo che svolge in Europa e alla sua cooperazione con le parti sociali e la società civile di tutto il mondo, il CESE potrebbe essere la piattaforma adeguata per promuovere il dialogo e riunire le parti interessate.

5.   Proposte — Raccomandazioni

5.1

In linea con il proposito della presidenza irlandese del Consiglio, di garantire un solido e fruttuoso partenariato transatlantico a livello politico ed economico, il CESE sostiene appieno la cooperazione transatlantica e ne raccomanda il rafforzamento e l'estensione, sia in termini di coinvolgimento della più ampia gamma possibile di interessi e di attori, che in termini di approccio, includendovi questioni importanti per le diverse forme di dialogo e per i cittadini di entrambi i paesi.

5.2

Il CESE sostiene fermamente la partecipazione costruttiva di importanti gruppi di interesse appartenenti alla società civile americana ed europea. La struttura del dialogo, istituita dagli accordi conclusi negli anni Novanta, si è rivelata uno strumento utile che potrebbe e dovrebbe essere ulteriormente sviluppato al fine di includere una gamma più ampia delle reti della società civile.

5.2.1

Per un funzionamento efficace dei dialoghi e delle reti, è necessario fondarsi sui loro rispettivi interessi, aspirazioni e preoccupazioni e sulle questioni fondamentali di reciproco interesse per le parti interessate, nonché procedere a un dibattito approfondito sui loro rispettivi ruoli e compiti e sul modo di renderli più efficaci. A tal fine, occorre raggiungere un'intesa comune sul ruolo di tali strumenti, soprattutto in seno ai governi e ai parlamenti, importanti partner politici dei dialoghi transatlantici.

5.2.2

Alla luce delle esperienze passate, i rappresentanti dei vari dialoghi e reti dovrebbero avere un accesso equo ai governi e agli alti funzionari, il che contribuirebbe a rendere le attività e il funzionamento di tali strumenti più attraente per i rispettivi gruppi di interesse. Per rafforzarli occorre anche tenere maggiormente conto delle loro considerazioni nelle decisioni politiche.

5.2.3

Per mantenere e rafforzare i vari dialoghi e reti bisogna investire impegno e risorse finanziarie e coprire i costi di base. Il Comitato sottolinea che il finanziamento di tali strumenti dovrebbe prevedere anche il sostegno all'organizzazione di riunioni, necessarie per trovare dei campi di intesa e sviluppare progetti comuni.

5.2.4

Il CESE intende contribuire all'incremento dello scambio di informazioni e all'interazione tra le varie forme di dialogo e le reti, auspicando a lungo termine una cooperazione continua e regolare, nonché la creazione di un Comitato economico e sociale americano o transatlantico oppure di entrambi.

5.3

Occorre trattare le diverse questioni tenendo conto dei rispettivi interessi, aspirazioni e preoccupazioni dei dialoghi, delle reti e dei cittadini. In questo contesto, nell'ambito di ogni singolo dialogo sono già state decise o proposte le questioni da trattare e sono stati fissati gli obiettivi che si intendono raggiungere.

5.3.1

Il TABD ha recentemente rinnovato il suo impegno per il rafforzamento delle relazioni transatlantiche e per la promozione della cooperazione e dello sviluppo economici globali. A tal fine, i membri del TABD hanno adottato un programma di lavoro volto al perseguimento dei seguenti obiettivi: individuare proattivamente le sfide imminenti e dare un contributo di alto livello in materia economica all'agenda politica e legislativa transatlantica indirizzando importanti raccomandazioni all'amministrazione americana e alla Commissione europea. Il TABD intende proporre soluzioni ai problemi transatlantici in materia di economia, commercio e investimenti e raccomandare azioni congiunte da parte dei governi sulle due sponde dell'Atlantico in determinati settori. Recentemente sono stati identificati quattro ambiti prioritari: la liberalizzazione degli scambi e il Doha round, i diritti di proprietà intellettuale, i principi contabili internazionali (IAS), la sicurezza e le questioni commerciali. Lo scopo è quello di contribuire alla creazione di un mercato transatlantico privo di barriere, che servirà da elemento catalizzatore per la liberalizzazione commerciale e la prosperità a livello mondiale nonché per stimolare l'innovazione, gli investimenti, la crescita economica e la creazione di nuovi posti di lavoro. Il TABD intende inoltre monitorare i progressi dei governi nell'applicazione di tali raccomandazioni (39).

5.3.2

Quanto al TALD, i sindacati attribuiscono una grande importanza al carattere vitale delle relazioni transatlantiche e ai modi in cui esse potrebbero essere efficacemente ampliate ed approfondite. Da molti anni, i sindacati hanno sviluppato relazioni bilaterali e sono favorevoli all'estensione del dialogo tra lavoratori. Numerosi sono i temi di cui si potrebbe discutere in termini di società, economia e lavoro. La delocalizzazione, fenomeno in atto sulle due sponde dell'Atlantico, potrebbe essere oggetto di uno scambio delle migliori prassi in materia. Alla luce dei fallimenti di grandi imprese, un'altra questione da discutere potrebbe essere il miglioramento del governo societario per renderlo maggiormente responsabile e per promuovere la partecipazione dei dipendenti. Altri importanti temi su cui incentrare il dialogo sono: la revisione dei sistemi di previdenza sociale, la sanità, l'istruzione e la formazione, la sicurezza e la salute sul lavoro, i sistemi pensionistici, relazioni industriali più ampie che comprendano accordi quadro e sostegno allo sviluppo in conformità delle norme lavorative fondamentali internazionali (40).

5.3.3

Il TACD formula raccomandazioni in materia di politica dei consumatori destinate al governo americano e all'Unione europea per promuovere gli interessi dei consumatori nell'elaborazione delle politiche. Mediante la partecipazione ai gruppi di lavoro aderiscono al TACD circa 45 associazioni di consumatori europee e 20 americane, le quali dibattono di questioni alimentari, scambi commerciali, questioni economiche e proprietà intellettuale ed adottano posizioni comuni in materia. Le priorità per l'azione governativa nel 2003-2004 comprendono: le regole di proprietà intellettuale che disciplinano l'accesso ai farmaci, gli organismi geneticamente modificati, l'etichettatura relativa alle proprietà nutrizionali degli alimenti, le e-mail commerciali non richieste (spam), le frodi su Internet e i risarcimenti ai consumatori lesi, l'etichettatura dei prodotti e le regole commerciali, trasparenza ed allerta precoce (41).

5.3.4

Il dialogo transatlantico sull'ambiente (TAED) ha purtroppo sospeso le sue attività ma, data l'importanza di questioni quali gli effetti del riscaldamento della terra, è necessario rilanciare le attività delle reti transatlantiche della società civile in questo campo.

5.4

Il CESE potrebbe essere una piattaforma utile per rafforzare i vari dialoghi transatlantici e promuoverne l'interazione.

5.4.1

A tal fine, il CESE intende organizzare un convegno in collaborazione con gli attori pertinenti. Scopo di tale convegno sarebbe sostenere lo sviluppo di reti transatlantiche della società civile su questioni ambientali, trovare un'intesa comune sull'importanza del dialogo a livello non governativo, individuare le questioni da trattare nonché dibattere sul modo migliore di raggiungere i rispettivi obiettivi e strategie, di scambiarsi opinioni e di collaborare.

5.4.2

Il CESE assocerà ai preparativi gli attori e le istituzioni pertinenti in modo da individuare i settori della società civile che dovrebbero essere rappresentati al convegno, prendere in considerazione i loro interessi e preoccupazioni nonché le questioni che vorrebbero trattare e, infine, preparare il terreno per la cooperazione.

5.4.3

I vantaggi di un dialogo rafforzato si tradurrebbero nella partecipazione attiva della società civile su entrambe le sponde dell'Atlantico, la creazione di reti efficaci, la promozione di scambi di opinioni all'interno delle reti transatlantiche della società civile e tra esse, compresi i dialoghi, consentire l'accesso alle alte sfere dei governi, contribuire ad instaurare buone relazioni tra i membri delle reti e dei dialoghi e i governi. Di conseguenza, le strutture istituzionali verrebbero rafforzate e migliorate con benefici duraturi non solo per l'UE e gli USA ma anche per il resto del mondo.

Bruxelles, 3 giugno 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Dichiarazione transatlantica (1990), nuova agenda transatlantica (NTA) e piano d'azione congiunto UE-USA (1995), partenariato economico transatlantico e nuovo mercato transatlantico (1998).

(2)  Christopher J. Makins (Presidente del Consiglio atlantico degli Stati Uniti), Renewing the Transatlantic Partnership: Why and How?, discorso pronunciato davanti alla sottocommissione per l'Europa della commissione per le relazioni internazionali della Camera dei rappresentanti americana, 11 giugno 2003.

(3)  «Tendenze transatlantiche 2003», inchiesta condotta dal German Marshall Fund statunitense e Pew Research Center, Public more internationalist than in 1990s, 12 dicembre 2002, http://people-press.org/reports/print.php3?PageID=656

(4)  «Tendenze transatlantiche 2003».

(5)  Christopher J. Makins (Presidente del Consiglio atlantico degli Stati Uniti): Renewing the Transatlantic Partnership: Why and How?, discorso pronunciato davanti alla sottocommissione per l'Europa della commissione per le relazioni internazionali della Camera dei rappresentanti americana,11 giugno 2003.

(6)  «Tendenze transatlantiche 2003».

(7)  Pew Research Center, Public more internationalist than in 1990s, 12 dicembre 2002, http://people-press.org/reports/print.php3?PageID=656

(8)  Joseph Nye Jr, «Propaganda isn't the Way: Soft Power», The International Herald Tribune, 10 gennaio 2003, http://www.ksg.harvard.edu/news/opeds/2003/nye_soft_power_iht_011003.htm

(9)  Robert Kagan, Paradiso e potere. America ed Europa nel nuovo ordine mondiale. Mondadori, 2003.

(10)  «Tendenze transatlantiche 2003».

(11)  «Tendenze transatlantiche 2003».

(12)  «Tendenze transatlantiche 2003».

(13)  Pew Research Center, Economy, Education, Social Security Dominate Public's Policy agenda, 6 settembre 2001, www.people-press.org/reports/print.php3?PageID=33.

(14)  Pew Research Center, The 2004 Political Landscape, pag. 39 segg.; le risposte possibili erano: pienamente d'accordo o abbastanza d'accordo, www.people-press.org

(15)  Inchiesta ABC menzionata dal Süddeutsche Zeitung, 19.8.2003.

(16)  CESE, Rafforzare il partenariato e il dialogo transatlantici, (GU C 221 del 7.8.2001).

(17)  Joseph P. Quinlan, Drifting apart or Growing together? the Primacy of the Transatlantic Economy, Washington, DC, Center for Transatlantic Relations, 2003.

(18)  Commissione europea, General overview of active WTO dispute settlement cases involving the EC as complainant or defendant, http://europa.eu.int/comm/trade/issues/newround/index_en.htm

(19)  Joseph P. Quinlan, Drifting apart or Growing together? the Primacy of the Transatlantic Economy, Washington, DC, Center for Transatlantic Relations, 2003.

(20)  Philippe Legrain, Europe's mighty Economy, http://www.philippelegrain.com/Articles/europe'smightyec.html

(21)  Forum economico mondiale, Global Competitiveness Report 2003-2004; http://www.weforum.org

(22)  OIL, A fair Globalisation: Creating opportunities for all, Ginevra, 24 febbraio 2004.

(23)  CESE, parere 1156/2002 e GU C 32 del 5.2.2004.

(24)  OIL, A fair Globalisation: Creating opportunities for all, Ginevra, 24 febbraio 2004.

(25)  UNHDR 2003, citato dal Süddeutsche Zeitung, 9.7.2003.

(26)  Dipartimento del Tesoro americano, 2002 Report to Congress on Labour issues and the International Financial Institutions, 31 marzo 2003.

(27)  FMI (Fondo monetario internazionale), World Economic Outlook, capitolo IV: «Unemployment and labour market institutions: why reforms pay off», aprile 2003.

(28)  Preparing America to Compete Globally: A Forum on Offshoring, Brookings Institution, 3 marzo 2004, www.brook.edu/comm/op-ed/20040303offshoring.htm

(29)  Pew Research Center, 2004 Political landscape.

(30)  Il contributo della società civile ai lavori dell'OMC, 8 luglio 2004, CESE, Bruxelles.

(31)  La strategia di Lisbona e lo sviluppo sostenibile, GU C 95 del 23.4.2003 e Verso un partenariato globale per uno sviluppo sostenibile, GU C 221 del 17.9.2002.

(32)  Christopher J. Makins (Presidente del Consiglio atlantico degli Stati Uniti), Renewing the Transatlantic Partnership: Why and How?, discorso pronunciato davanti alla sottocommissione per l'Europa della commissione per le Relazioni internazionali della Camera dei rappresentanti americana, 11 giugno 2003.

(33)  La governance multilaterale è il processo decisionale che si svolge nell'ambito di organizzazioni internazionali quali ONU, OMC, FMI, Banca mondiale, OIL, OCSE, ecc.

(34)  Consiglio europeo, Conclusioni della presidenza.

(35)  Transatlantic Policy Network, A Strategy to strengthen Transatlantic Partnership, Washington-Bruxelles, — 4 dicembre 2003.

(36)  Cfr. The Transatlantic Market: a leitmotiv for economic cooperation, Erika Mann, membro del PE, novembre 2003.

(37)  Sara Anderson, John Cavanagh, Lessons of European Integration for the Americas, Institute for Policy Studies, Washington, febbraio 2004.

(38)  CESE, L'impatto economico e sociale dell'ampliamento nei paesi candidati, GU C 85 dell'8.4.2003.

(39)  Osservazioni e documenti del TABD, distribuiti nel corso della riunione del gruppo di studio svoltasi a Dublino il 24 marzo 2004.

(40)  Messaggio dei sindacati al gruppo di studio, in occasione della riunione svoltasi a Dublino il 24 marzo 2004.

(41)  Sito Internet del TACD: www.tacd.org


28.9.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 241/58


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 1999/62/CE relativa alla tassazione a carico di autoveicoli pesanti adibiti al trasporto di merci su strada per l'uso di alcune infrastrutture

(COM(2003) 448 def. - 2003/0175 (COD))

(2004/C 241/16)

Il Consiglio, in data 12 settembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 71 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 1999/62/CE relativa alla tassazione a carico di autoveicoli pesanti adibiti al trasporto di merci su strada per l'uso di alcune infrastrutture

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 maggio 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore SIMONS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 3 giugno 2004, nel corso della 409a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 109 voti favorevoli, 82 voti contrari e 7 astensioni.

1.   Introduzione

1.1

Il 23 luglio 2003 la Commissione europea ha adottato una proposta di modifica della direttiva 1999/62/CE, la cosiddetta direttiva Eurobollo.

1.2

La Commissione ottempera in questo modo alle richieste dei Consigli europei del 12 e 13 dicembre 2002 e del 20 e 21 marzo 2003, che l'avevano invitata a presentare una proposta su una nuova direttiva Eurobollo entro la fine del primo semestre 2003.

1.3

La proposta viene inoltre incontro alla richiesta del Parlamento europeo, il quale, al momento di adottare la relazione sulle conclusioni del Libro bianco «La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte», il 12 febbraio 2003, ha confermato la necessità di una tariffazione delle infrastrutture.

1.4

La proposta della Commissione ha quindi soprattutto lo scopo di migliorare i meccanismi di imputazione dei costi connessi all'utilizzo delle infrastrutture. Inoltre, permette, meglio di quanto non faccia la direttiva Eurobollo, di applicare il cosiddetto principio «chi utilizza paga», giacché il sistema proposto consente di differenziare maggiormente i pedaggi in funzione del tipo di autoveicolo, dell'orario e del luogo di utilizzazione.

1.5

La proposta non mira in alcun modo ad aggravare il carico globale delle imposte dirette e indirette gravanti sul settore dei trasporti, bensì a ottenere un quadro più preciso della situazione, affinché i prezzi praticati riflettano meglio i costi dei vari tipi di utilizzo.

1.6

In questa fase, la Commissione si limita ad applicare agli autoveicoli pesanti un sistema di tariffazione per l'uso delle infrastrutture nel settore stradale. Si riserva tuttavia di presentare in un secondo momento direttive settoriali sulla tariffazione per l'utilizzo delle infrastrutture nel settore aereo, fluviale e marittimo, mentre lascia agli Stati membri e alle grandi città la facoltà di adottare singoli approcci per gli autoveicoli privati.

1.7

Per quanto riguarda le infrastrutture del settore ferroviario, la Commissione ricorda che la relativa tariffazione è già contemplata nel primo pacchetto ferroviario.

2.   Osservazioni generali

2.1

Il Comitato accoglie con favore la proposta della Commissione intesa a modificare nel senso indicato la direttiva Eurobollo 1999/62/CE, in quanto essa consentirà una migliore applicazione del principio «chi utilizza paga».

2.2

A giudizio del Comitato, l'iniziativa è positiva anche perché ambisce a porre fine al mosaico sempre più variegato dei sistemi di tariffazione adottati o già applicati negli Stati membri.

2.3

Il Comitato reputa tuttavia che la proposta della Commissione sia troppo ambiziosa, visto che con un'unica proposta di modifica della direttiva 1999/62/CE pretende di risolvere non meno di sei problemi:

il fatto che in alcuni paesi i veicoli registrati all'estero contribuiscono in misura insufficiente ai costi legati all'utilizzo delle infrastrutture,

l'eterogeneità dei sistemi nazionali di tariffazione attualmente in vigore nell'UE e l'assenza di principi comuni,

il finanziamento delle infrastrutture di trasporto,

le ripercussioni dei costi legati alla congestione del traffico,

le ripercussioni dei costi legati agli incidenti stradali,

le ripercussioni dei costi ambientali.

2.4

Se il tentativo riuscisse, si tratterebbe della prima volta. L'obiettivo appare tanto più illusorio quando si considera che i costi relativi agli ultimi tre problemi sono di natura quanto mai eterogenea e richiederebbero un approccio radicalmente diverso da quello adottato per i primi tre.

2.5

Come il Comitato osservava già nel parere sul Libro bianco della Commissione «Pagamento commisurato all'uso dell'infrastruttura: Approccio graduale a un quadro comune di fissazione degli oneri per l'infrastruttura di trasporto nell'UE» (COM(1998) 466 def.) (1), il principio «chi utilizza paga» potrà essere applicato solo quando si conosca con esattezza il valore relativo dei diversi elementi di costo e si siano determinate condizioni di parità per tutti i modi di trasporto. Il Comitato ritiene inoltre che, prima di passare all'introduzione di tale principio, occorra chiarire la definizione di neutralità delle entrate e il modo in cui essa viene realizzata. Il Comitato prevede al riguardo numerosi problemi, in quanto la possibilità di compensazione più ovvia, cioè l'abolizione parziale o totale della tassa di circolazione degli autoveicoli, risulterà chiaramente insufficiente in certi paesi, almeno fintantoché esiste un livello minimo obbligatorio a livello comunitario.

2.6

A ciò si aggiunga che l'attuale eterogeneità delle normative e dei sistemi nazionali rimarrà immutata, sia pure con un diverso modello.

2.7

La proposta della Commissione comprende un quadro che consente agli Stati membri di istituire un sistema di tariffazione degli autoveicoli di peso totale pari o superiore a 3,5 tonnellate. In questo modo il campo di applicazione risulta ampliato, visto che nell'attuale direttiva Eurobollo la soglia minima è fissata a 12 tonnellate. Secondo il Comitato, dato che nel campo d'applicazione della proposta rientrano i costi di aspetti legati al trasporto come la sicurezza, la congestione del traffico e le misure per ridurre l'inquinamento acustico, e dato che a tali costi concorrono pure le autovetture private e i piccoli autocarri di peso totale inferiore a 3,5 tonnellate, anche i suddetti veicoli dovrebbero essere inglobati nel campo d'applicazione della direttiva, il che, del resto, è esattamente quanto affermava la Commissione nel Libro bianco del 2001 «La politica europea dei trasporti fino al 2010: il momento delle scelte». Per quanto la Commissione abbia formulato numerose proposte di modifica che non ampliano in misura notevole il campo d'applicazione delle misure da modificare, ragion per cui non vi sarebbe motivo di opporsi a un'estensione della direttiva alle autovetture private e ai piccoli autocarri, l'appello della Commissione affinché gli Stati membri e le grandi città adottino un proprio approccio, anche in considerazione del carattere eminentemente nazionale di tali misure, è motivo sufficiente per il Comitato per sottoscrivere l'orientamento della Commissione. La proposta di modifica in oggetto non appare quindi la sede appropriata per estendere il campo di applicazione della direttiva alle autovetture private e ai piccoli autocarri di peso inferiore alle 3,5 tonnellate.

2.8

Se la Commissione continua a ritenere che, ai fini di un corretto funzionamento del mercato interno, ci si possa limitare a legiferare sugli autoveicoli pesanti, escludendo le autovetture private, appare logico conservare anche l'attuale soglia di 12 tonnellate per gli autocarri. Del resto, come afferma la stessa Commissione nella relazione introduttiva alla proposta, la parte degli autoveicoli leggeri nel trasporto transfrontaliero è così esigua che la sua incidenza sul funzionamento del mercato interno appare trascurabile, così come quella delle autovetture private.

2.9

Il Comitato concorda con la Commissione sul fatto che ciascun utente delle infrastrutture deve pagare i costi che genera alle condizioni di cui al punto 2.5, cioè solo quando si conosca con esattezza il valore relativo dei diversi elementi di costo. Dà atto inoltre che il trasporto viario con automezzi pesanti è la principale componente del trasporto stradale a essere interessata da tale quadro, ma ritiene in linea di principio che questo orientamento debba valere anche per le altre componenti del trasporto stradale e per altri modi di trasporto.

2.10

La proposta della Commissione non inficia il carattere facoltativo di altre forme di tariffazione come Eurobollo o i sistemi di pedaggio. Spetta agli Stati membri scegliere se adottare un sistema di pedaggio o un sistema di tariffazione degli utenti. Il Comitato ritiene però che questa possibilità di scelta non vada a favore della trasparenza e considera inoltre indispensabile che i sistemi di riscossione dei vari Stati siano interoperativi.

2.11

Il campo d'applicazione della proposta riguarda la rete stradale transeuropea e altre tratte della rete stradale principale situate nelle immediate vicinanze di un'autostrada. Anche su strade secondarie in sé non particolarmente rilevanti ai fini del corretto funzionamento del mercato interno è possibile imporre pedaggi o sistemi di tariffazione, i quali però non sarebbero soggetti alla direttiva in questione. Il Comitato è consapevole del fatto che la proposta di modifica dell'articolo 7 non impedisce agli Stati membri, in virtù del principio di sussidiarietà, di imporre pedaggi o sistemi di tariffazione su altre strade. Esso condivide tale approccio, tanto più che la rete stradale principale appare ancora poco sviluppata soprattutto nei paesi in fase di adesione. A tal fine tali paesi dovranno evidentemente conformarsi alla legislazione in vigore e alla politica esistente in materia.

2.12

Nella proposta la Commissione istituisce un legame diretto tra il futuro sistema di tariffazione e gli investimenti in infrastrutture al fine di impedire che gli Stati membri utilizzino le entrate dei diritti di utenza per rimpinguare le loro casse. La proposta fornisce inoltre una serie di indicazioni anche per quanto riguarda il metodo di calcolo delle tasse per l'utilizzo delle infrastrutture. Il Comitato sottoscrive l'impostazione adottata, poiché in tal modo gli utenti di una determinata infrastruttura saranno certi che i diritti corrisposti per l'utilizzo si tradurranno in investimenti in quella infrastruttura.

2.13

La Commissione sostiene che in certi casi eccezionali la maggiorazione dei pedaggi fino un massimo del 25 %, a condizioni ben precise e previa consultazione della Commissione, può essere utilizzata per finanziare i costi di investimento in nuove infrastrutture di trasporto di elevato interesse europeo in zone particolarmente sensibili lungo lo stesso corridoio o nella stessa zona di trasporto. Secondo il Comitato si tratta di una possibilità alla quale bisogna ricorrere con la massima cautela e senza escludere alcuna infrastruttura di trasporto. Inoltre, per garantire l'effettiva realizzazione del progetto per il quale i pedaggi vengono maggiorati, le relative entrate andrebbero versate su un conto comunitario e trasferite allo Stato membro interessato, senza interessi, solo una volta realizzato il progetto.

2.14

Infine la Commissione propone che in ogni Stato membro sorga un organismo indipendente di supervisione delle infrastrutture, sì da poter monitorare su scala comunitaria il costo dei trasporti stradali e le entrate provenienti dai pedaggi e dalle tariffe per l'uso delle infrastrutture. Il Comitato concorda con l'idea di creare un'autorità nazionale indipendente, ma sottolinea che, data la natura comunitaria dei compiti di tale autorità e nel rispetto dei trattati, essa andrebbe a sua volta assoggettata al controllo della Commissione.

2.15

Per scrupolo di chiarezza, nella relazione introduttiva della proposta di modifica della direttiva 1999/62/CE bisognerebbe precisare che anche in futuro la responsabilità di mantenere la rete stradale in buono stato continuerà a competere agli Stati membri, indipendentemente dal loro sistema di tassazione o dall'organismo di supervisione. La riparazione e la manutenzione delle infrastrutture residenza resterà un compito chiave delle autorità statali.

3.   Osservazioni specifiche

3.1

La proposta della Commissione istituisce un legame tra tariffazione stradale e costi di costruzione, di esercizio, di manutenzione e di sviluppo della rete. Nei costi di costruzione vanno inclusi quelli legati alla costruzione di nuove infrastrutture, quelle cioè con meno di 15 anni. La Commissione vuole così impedire che nel campo di applicazione della direttiva possano essere inclusi i costi di costruzione per le infrastrutture già esistenti e che sono già stati coperti. Il Comitato giudica questo termine molto ragionevole e ritiene legittimo l'approccio della Commissione.

3.2

Fra i costi di investimento la proposta include in particolare i costi delle infrastrutture volti a ridurre gli effetti nocivi connessi al rumore, come le barriere antirumore installate ai bordi delle strade. Il Comitato desidera tuttavia sottolineare che i costi legati alla riduzione del rumore e, quindi, alla costruzione di barriere antirumore sono generati in gran parte da categorie di utenti delle infrastrutture stradali esclusi dal campo d'applicazione della direttiva. Di conseguenza, sarà necessario provvedere a un'equa ripartizione dei costi legati alla costruzione di tali pannelli tra le varie categorie di utilizzatori.

3.3

La Commissione propone altresì di tenere conto dei costi non coperti connessi agli incidenti. Per quanto in teoria tale approccio sia giusto, il Comitato ritiene che nella pratica si tratti di un'impresa difficile, data la grande incertezza legata al calcolo degli effetti indiretti, come ad esempio il pretium doloris. A titolo d'esempio, si consideri che attualmente le società d'assicurazione rimborsano solo di rado le spese di sicurezza sociale.

Il Comitato reputa che, per impostare adeguatamente il problema dei costi degli incidenti stradali, sarebbe necessario studiarne le varie cause. A tale riguardo rinvia al proprio parere sulla comunicazione della Commissione intitolata «Programma d'azione europeo per la sicurezza stradale - Dimezzare il numero di vittime della strada nell'Unione europea entro il 2010: una responsabilità condivisa» (2).

3.4

Per il Comitato, non è giusto concedere agli Stati membri la facoltà di usare la congestione - concetto di cui peraltro manca una definizione - come parametro nel calcolo della tassazione legata all'utilizzo delle infrastrutture, in quanto la congestione è causata soprattutto dal traffico privato.

3.5

Il Comitato concorda con la proposta sul fatto che l'introduzione della direttiva modificata non deve accrescere gli oneri complessivi per il settore del trasporto stradale. Ritiene tuttavia che l'abolizione totale o parziale della tassa di circolazione sui veicoli a motore sia insufficiente a garantire la neutralità fiscale. Di conseguenza, bisognerebbe anche considerare l'opportunità di ridurre l'accisa sul diesel.

3.6

Del pari, concorda con la Commissione sulla facoltà concessa agli Stati membri di differenziare i pedaggi in funzione del tipo di autoveicolo secondo la categoria di emissioni (classificazione EURO) e il grado dei danni provocati alla rete stradale.

3.7

Infine, il Comitato esprime piena soddisfazione per l'intento della Commissione di giungere a un metodo di tassazione armonizzato per l'utilizzazione delle infrastrutture, mettendo fine così al mosaico regolamentare degli attuali sistemi di pedaggio e di tassazione.

4.   Sintesi e conclusioni

4.1

Il Comitato plaude all'iniziativa della Commissione volta a tradurre in pratica il principio secondo cui «chi utilizza paga».

4.2

Considera tuttavia la proposta della Commissione troppo ambiziosa, nel senso che pretende di risolvere troppi problemi differenti con un'unica modifica della direttiva 1999/62/CE.

4.3

Nel parere sul Libro bianco «Pagamento commisurato all'uso dell'infrastruttura: Approccio graduale a un quadro comune di fissazione degli oneri per l'infrastruttura di trasporto nell'UE» (COM(1998) 466 def.), il Comitato ha già avuto modo di segnalare che l'applicazione del principio «chi utilizza paga» è possibile solo quando si conosca con esattezza il valore relativo dei diversi elementi di costo e si siano determinate condizioni di parità per tutti i modi di trasporto.

4.4

Uno dei punti fermi della Commissione è che la tariffazione delle infrastrutture non deve condurre all'introduzione di nuove tasse o alla maggiorazione di quelle esistenti. Pertanto, propone di concedere agli Stati membri la facoltà di offrire una compensazione tramite l'abolizione parziale o totale della tassa di circolazione annua degli autoveicoli. Il Comitato osserva che numerosi paesi hanno già raggiunto il livello minimo comunitario, o sono in procinto di raggiungerlo, e che le possibilità di compensazione appaiono insufficienti. Pertanto, la neutralità fiscale può essere garantita solo riducendo l'accisa sul diesel.

4.5

Inoltre, il Comitato constata che l'eterogeneità che caratterizza al momento le normative e i sistemi nazionali è destinata a permanere, il che purtroppo impedirà alla Commissione di conseguire l'obiettivo di un'armonizzazione dei metodi di tassazione per l'uso delle infrastrutture.

4.6

Il Comitato ritiene che in certi punti il ragionamento della Commissione manchi di coerenza: da un lato, infatti, essa sostiene che la soglia va abbassata in modo da includere i veicoli di peso massimo totale di 3,5 tonnellate, mentre dall'altro include nella proposta elementi come i costi legati alla congestione, agli incidenti stradali e ai danni ambientali, pur escludendo dal campo della direttiva le automobili private che generano una buona parte di questi costi.

4.7

La Commissione istituisce un legame diretto nella proposta tra futura tariffazione e investimenti in infrastrutture. Le entrate devono in un modo o nell'altro essere reinvestite nel settore da cui provengono e non utilizzate per rimpinguare le casse dello Stato. Su questo punto il Comitato si dichiara d'accordo con la posizione della Commissione.

4.8

Per la Commissione è opportuno istituire un nesso tra tariffazione stradale e costi di costruzione, di esercizio, di manutenzione e di sviluppo della rete. Nei costi di costruzione vanno inclusi quelli legati alla costruzione di nuove infrastrutture, vale a dire le infrastrutture non più vecchie di 15 anni. Il Comitato condivide questo approccio ragionevole, volto a impedire che le infrastrutture esistenti, i cui costi sono già stati coperti, possano essere nuovamente prese in considerazione.

4.9

Nella proposta, la Commissione prospetta la possibilità di utilizzare le entrate ricavate dalla maggiorazione dei pedaggi, fino a un massimo del 25 % e a condizioni ben precise, per finanziare i costi di investimento in nuove infrastrutture di trasporto di elevato interesse europeo in zone particolarmente sensibili lungo lo stesso corridoio o nella stessa zona di trasporto. Secondo il Comitato si tratta di una possibilità alla quale bisogna ricorrere con la massima cautela e senza escludere alcuna infrastruttura di trasporto. Inoltre, qualora si propendesse per tale soluzione, le entrate andrebbero versate su un conto comunitario in attesa che il progetto fosse portato a termine.

4.10

Il Comitato concorda con il campo d'applicazione della proposta della Commissione, vale a dire le reti transeuropee e le tratte della rete viaria principale ubicate nelle loro immediate vicinanze, nonché con l'importanza attribuita, anche se al di fuori del campo di applicazione propriamente detto, alle vie secondarie in sé non particolarmente rilevanti ai fini del corretto funzionamento del mercato interno. Sottoscrive altresì la proposta di creare in ogni Stato membro un organismo indipendente di supervisione delle infrastrutture, finalizzato a un'equa ripartizione dei costi e delle entrate provenienti dai pedaggi e dalla tassazione per l'uso delle infrastrutture.

4.11

Infine, il Comitato esprime riserve quanto all'inclusione degli elementi dei costi legati alla congestione, agli incidenti stradali e ai danni ambientali. Tali costi infatti sono generati in gran parte dalle autovetture private, categoria esclusa dal campo d'applicazione della direttiva. Inoltre, non esiste alcuna analisi chiara delle cause degli incidenti stradali e manca una definizione del concetto di «zone sensibili».

Bruxelles, 3 giugno 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Parere CESE in merito al Libro bianco della Commissione «Pagamento commisurato all'uso dell'infrastruttura: Approccio graduale a un quadro comune di fissazione degli oneri per l'infrastruttura di trasporto nell'UE», GU C 116 del 28.4.1999.

(2)  GU C 80 del 30.3.2004, pag. 77.


ALLEGATO

al Parere del Comitato economico e sociale europeo

Qui di seguito si riportano gli emendamenti respinti durante il dibattito, ma che avevano ottenuto un numero di voti favorevoli pari ad almeno un quarto dei voti espressi (art. 39, par. 2 del Regolamento interno):

Punti 2.3, 2.4, 2.5, 2.6, 2.7 e 2.8

Sopprimere e sostituire con quanto segue:

2.3.

Il Comitato ritiene l'approccio della Commissione poco ambizioso. Un sistema di tariffazione equo ed efficace dovrebbe coprire le infrastrutture, i costi ambientali e sociali, come pure i danni arrecati alle strade e all'ambiente, gli incidenti, la salute e la congestione del traffico. Tutti questi costi andrebbero stimati su base scientifica. Pertanto, la direttiva dovrebbe stabilire una metodologia comune e un calendario per gli Stati membri, al fine di includere tutti i costi esterni nel calcolo dei diritti di utenza stradale. Gli Stati membri che hanno già provveduto a tale operazione dovrebbero essere messi in grado di imporre da subito la propria tassazione. Si osserva inoltre che l'internazionalizzazione dei costi esterni dei trasporti migliorerà l'efficienza del mercato, favorirà la concorrenza dell'economia europea e ridurrà l'inquinamento ambientale e la congestione del traffico.

Motivazione

L'intento è far sì che nei diritti di utenza confluiscano tutti i costi: non solo quindi quelli di investimento e di manutenzione, ma anche quelli esterni, ambientali e sociali. Alcuni Stati membri hanno già provveduto a calcolare tali costi. Perché si propone ciò? Perché si ritiene importante applicare nella legislazione europea il principio secondo cui chi utilizza e chi inquina paga.

Esito della votazione:

voti favorevoli

:

77

voti contrari

:

86

astensioni

:

9

Punto 2.12

Sostituire le ultime due frasi con quanto segue:

Il Comitato ritiene che questo approccio debba essere esteso a tutta l'infrastruttura di trasporto. Quanto alle entrate, non dovrebbero essere destinate esclusivamente al trasporto stradale: possono infatti essere usate per finanziare modi di trasporto sostenibili e per promuovere il rispetto della legislazione sociale a favore dei lavoratori del settore del trasporto stradale.

Motivazione

Destinare tutte le entrate al settore del trasporto stradale significa chiaramente impedire un migliore utilizzo del denaro pubblico, né contribuisce a migliorare la sostenibilità del sistema di trasporto, come richiesto nel Libro bianco della Commissione del 2001 sulla politica comune dei trasporti.

Esito della votazione:

voti favorevoli

:

86

voti contrari

:

89

astensioni

:

9

Punto 2.13

Sostituire le ultime due frasi con il testo seguente:

Secondo il Comitato, il tetto del 25 % previsto per la maggiorazione dei pedaggi può rivelarsi del tutto insufficiente in alcune zone particolarmente sensibili. Propone pertanto di innalzarlo in modo da coprire i costi infrastrutturali in dette zone.

Motivazione

Evidente.

Esito della votazione:

voti favorevoli

:

86

voti contrari

:

99

astensioni

:

6

Punto 3.1

Modificare il testo come segue:

3.1

La proposta della Commissione istituisce un legame tra tariffazione stradale e costi di costruzione, di esercizio, di manutenzione e di sviluppo della rete. Nei costi di costruzione vanno inclusi quelli legati alla costruzione di nuove infrastrutture, vale a dire infrastrutture non più vecchie di 15 anni. La Commissione vuole così impedire che nel campo di applicazione della direttiva possano essere inclusi i costi di costruzione per le infrastrutture già esistenti e che sono già stati coperti. Il Comitato giudica questo termine molto ragionevole e ritiene legittimo l'approccio della Commissione. A questo va obiettato che per il finanziamento dei progetti stradali vengono calcolati tempi lunghi. Pertanto, con un tempo di ammortamento così breve, verrebbe esclusa gran parte dei costi dei progetti avviati finora e ne deriverebbe una visione errata dei costi. A parere del Comitato, quindi, gli Stati possono tener conto dei costi di costruzione, indipendentemente dall'epoca a cui risale la loro rete stradale e dalle modalità di finanziamento.

Motivazione

Non tutti i costi di investimento delle infrastrutture costruite più di 15 anni fa sono stati nel frattempo recuperati.

Esito della votazione:

voti favorevoli

:

84

voti contrari

:

100

astensioni

:

1

Punti 3.2, 3.3, 3.4 e 3.5

Sopprimere.

Motivazione

Se si concorda con l'approccio volto all'internazionalizzazione dei costi esterni, non si può accettare la formulazione di questi punti.

Esito della votazione:

voti favorevoli

:

89

voti contrari

:

93

astensioni

:

3

Punto 4.2

Sostituire con quanto segue:

4.2

Considera tuttavia che nel documento manchi una metodologia comune basata su un approccio scientifico, così come una precisa tabella di marcia per il calcolo dei costi esterni legati all'uso delle infrastrutture stradali.

Motivazione

A nostro giudizio, l'approccio della Commissione non è abbastanza ambizioso.

Esito della votazione:

voti favorevoli

:

89

voti contrari

:

93

astensioni

:

3

Punto 4.6

Sostituire con il testo seguente:

4.6

Il Comitato è dell'avviso che i veicoli commerciali usati per il trasporto di merci, in particolare i corrieri e i servizi di consegna rapida, anche se inferiori a 3,5 tonnellate, dovrebbero essere soggetti alla tariffazione futura.

Motivazione

Perché menzionare le autovetture private e omettere i veicoli commerciali di meno di 3,5 tonnellate, come i corrieri e i servizi di consegna rapida, che peraltro sono responsabili di un cospicuo numero di incidenti?

Esito della votazione:

voti favorevoli

:

89

voti contrari

:

93

astensioni

:

3

Punto 4.7

Dopo la prima frase, sostituire con il testo seguente:

Le entrate, tuttavia, non andrebbero destinate esclusivamente al trasporto stradale, giacché possono essere usate per finanziare modi di trasporto sostenibili e per promuovere il rispetto della legislazione sociale a favore dei lavoratori del settore del trasporto stradale.

Motivazione

L'emendamento è conforme alla modifica del punto 2.12.

Esito della votazione:

voti favorevoli

:

89

voti contrari

:

93

astensioni

:

3

Punto 4.8

Sopprimere il punto e sostituirlo con il seguente testo:

4.8

Il Comitato reputa pertanto che gli Stati membri possano tener conto dei costi di costruzione indipendentemente dall'epoca a cui risale la loro rete stradale e dalle modalità di finanziamento in quanto, all'atto pratico, per il finanziamento vengono calcolati tempi lunghi.

Motivazione

L'emendamento è conforme alla modifica del punto 3.1.

Esito della votazione:

voti favorevoli

:

89

voti contrari

:

93

astensioni

:

3

Punti 4.9, 4.10 e 4.11

Sopprimere.

Motivazione

Consegue dalla proposta di sopprimere i punti da 3.2 a 3.4.

Esito della votazione:

voti favorevoli

:

89

voti contrari

:

93

astensioni

:

3


28.9.2004   

IT

Gazzetta ufficiale dell'Unione europea

C 241/65


Parere del Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle norme minime per l'applicazione della direttiva 2002/15/CE e dei regolamenti (CEE) n. 3820/85 e n. 3821/85 del Consiglio relativi a disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada

(COM(2003) 628 def. - 2003/0255 (COD))

(2004/C 241/17)

Il Consiglio, in data 11 dicembre 2003, ha deciso, conformemente al disposto dell'articolo 71 del Trattato che istituisce la Comunità europea, di consultare il Comitato economico e sociale europeo in merito alla Proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulle norme minime per l'applicazione della direttiva 2002/15/CE e dei regolamenti (CEE) n. 3820/85 e n. 3821/85 del Consiglio relativi a disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada

La sezione specializzata Trasporti, energia, infrastrutture, società dell'informazione, incaricata di preparare i lavori del Comitato in materia, ha formulato il proprio parere in data 10 maggio 2004, sulla base del progetto predisposto dal relatore SIMONS.

Il Comitato economico e sociale europeo, in data 3 giugno 2004, nel corso della 409a sessione plenaria, ha adottato il seguente parere con 136 voti favorevoli, 1 voto contrario e 5 astensioni.

1.   Obiettivo e contenuto della proposta

1.1

La proposta mira ad accrescere la quantità, a migliorare la qualità e a rafforzare l'armonizzazione dei controlli intesi a verificare e nel contempo a promuovere il rispetto delle disposizioni in materia sociale nel settore dei trasporti su strada. L'osservanza di tali norme va infatti a beneficio sia della sicurezza dei trasporti che della concorrenza leale nel settore, nonché della sicurezza e della salute dei conducenti.

1.2

Secondo la proposta, la quantità dei controlli deve aumentare almeno fino al 3 % del numero dei giorni di guida. La proposta prevede inoltre di incrementare ulteriormente questa percentuale minima, introducendo in futuro una specifica procedura in merito. Dei controlli effettuati, almeno il 30 % deve essere svolto sulle strade e almeno il 50 % nei locali delle imprese di trasporto.

1.3

L'aumento della qualità dei controlli e la garanzia della loro armonizzazione dovranno realizzarsi attraverso l'introduzione di norme comunitarie relative al contenuto delle operazioni di controllo, la promozione di una migliore formazione degli addetti ai controlli, l'organizzazione di controlli più frequenti concordati a livello internazionale, il coordinamento delle operazioni di controllo in ogni Stato membro, gli scambi di informazioni a livello internazionale, l'armonizzazione della classificazione dei rischi e della gravità delle infrazioni e, infine, attraverso la creazione di un comitato incaricato dell'interpretazione uniforme delle regole e della promozione della qualità e dell'armonizzazione in materia di controlli.

2.   Osservazioni generali

2.1

Il Comitato ritiene che l'efficacia dei controlli sia un anello essenziale della catena che va dall'adozione di una legislazione adeguata all'imposizione di sanzioni efficaci. Dato che il settore della legislazione sociale in materia di trasporti su strada sta attraversando una fase di radicale trasformazione (ad esempio per quanto riguarda le norme in materia tempi di guida e di riposo, nonché quelle relative al dispositivo di controllo, cioè il tachigrafo), il Comitato accoglie con favore il fatto che si proceda alla revisione anche delle regole sul controllo.

2.2

Il Comitato condivide pienamente gli obiettivi della proposta della Commissione riguardo sia a una migliore applicazione delle norme sia a una loro maggiore armonizzazione. A questo riguardo fa presente che tale armonizzazione richiederà un'interpretazione univoca delle regole e degli accordi intercorsi tra Stati membri in materia di gravità delle infrazioni.

2.3

Tenendo conto che l'attuale frequenza dei controlli varia molto da uno Stato membro all'altro, il Comitato condivide la proposta di sottoporre a controllo in ogni Stato membro almeno il 3 % dei giorni di guida, pur essendo consapevole del fatto che questa percentuale minima può costituire già di per sé un gravoso onere per gli apparati amministrativi di numerosi Stati membri, soprattutto quelli di nuova adesione. Il Comitato segnala inoltre che, stando alla relazione biennale elaborata dalla Commissione sulle operazioni di controllo e sui risultati in materia, molti degli Stati membri hanno già fatto molto per rispettare gli attuali requisiti minimi. Reputa pertanto necessario che l'applicazione della nuova norma si accompagni a requisiti più rigorosi da imporre agli Stati membri riguardo alla capacità dell'apparato di controllo nazionale, anche al fine di ovviare ai rischi menzionati al punto 2.4. A questo riguardo il Comitato accoglie con favore l'installazione del tachigrafo digitale, ritenuto uno strumento efficace per l'attuazione della norma proposta. Sembra tuttavia pressoché impossibile che il dispositivo possa essere effettivamente introdotto, come proposto nella relativa decisione (1), già a partire dal 5 agosto. Pertanto, il Comitato esorta caldamente la Commissione europea a proporre quanto prima un chiaro progetto di differimento del termine, al fine di impedire controlli ingiustificati e divergenze interpretative tra i paesi e affinché l'industria sia ben informata. La lettera inviata agli Stati membri dalla Commissaria Loyola de Palacio, pur trattando l'argomento con grande chiarezza, è infatti insufficiente da un punto di vista giuridico.

2.4

Il Comitato concorda con la Commissione sulla necessità che i controlli siano più numerosi nei locali delle imprese che sulla strada. I controlli nei locali delle imprese possono infatti tener conto di un maggior numero di indicatori rispetto a quelli effettuati sulla strada, dando così un'immagine chiara del grado di ottemperanza alle norme da parte di una singola impresa. D'altra parte, il Comitato teme che l'obbligo di effettuare controlli nelle imprese nell'arco di molti giorni possa far sì che gli addetti ai controlli preferiscano ispezionare le grandi imprese, in modo da poter controllare in un determinato lasso di tempo un numero di giorni di lavoro superiore rispetto a quelli di una piccola impresa o di un trasportatore privato. In tal senso il Comitato ritiene eccessivamente elevata la percentuale del 50 % proposta dalla Commissione: a meno che gli Stati membri non approvino disposizioni integrative in materia di capacità minima di controllo, sembra infatti più realistica una percentuale del 40 %.

2.5

Il Comitato nutre notevoli perplessità quanto all'efficacia della proposta intese a verificare il rispetto delle specifiche disposizioni in materia di orario di lavoro attraverso controlli su strada. La direttiva 2002/15/CE ammette una serie di deroghe al numero massimo di ore di lavoro settimanali: le rispettive definizioni di «orario di lavoro» e di «tempo disponibile» possono variare da un paese all'altro, e il «periodo notturno» non sarà necessariamente uguale per tutti e in tutti i paesi. Il Comitato suggerisce pertanto che i controlli su strada degli orari di lavoro non vengano inclusi nell'allegato I, parte A. Al loro posto, la Commissione europea oppure il comitato di cui all'articolo 13 della direttiva possono essere incaricati di effettuare uno studio sull'utilità e sulla sostenibilità di tali controlli. Il Comitato ritiene opportuno che, nel caso in cui un autotrasportatore extracomunitario sia alla guida di un veicolo immatricolato nell'UE, il controllo su strada verifichi se tale trasportatore disponga della patente comunitaria richiesta in virtù del regolamento 881/92 (modificato).

2.6

Il Comitato sottolinea inoltre l'importanza di un controllo neutro sotto il profilo della concorrenza, e condivide gli elementi della proposta della Commissione volti a garantire questa neutralità.

2.7

Il Comitato ritiene che una frequenza dei controlli del 3 % possa fornire un'immagine attendibile del grado di ottemperanza alle regole da parte delle imprese, al fine di individuare facilmente coloro che commettono le infrazioni attraverso una politica di verifica e sanzioni.

2.8

Il Comitato accoglie con favore gli elementi contenuti nella proposta della Commissione, che affrontano aspetti molto importanti sia per i conducenti internazionali sia per le imprese di trasporti internazionali: addetti ai controlli adeguatamente preparati, un'interpretazione univoca delle norme, una classificazione armonizzata delle infrazioni in base alla loro gravità, nonché la possibilità di rivolgersi in ogni paese a un organismo preposto in caso di problemi.

3.   Osservazioni specifiche

3.1   Articolo 2, paragrafo 1

In relazione alle osservazioni generali relative ai controlli degli orari di lavoro sulla strada, il Comitato osserva che gli orari dei lavoratori mobili che non sono conducenti spesso non vengono registrati dal tachigrafo, e che non necessariamente essi coincidono con quelli dei conducenti.

3.2   Articolo 9, paragrafo 3

Il Comitato condivide l'impostazione di base secondo cui un sistema di sanzioni pecuniarie adeguate annulla i vantaggi che un'infrazione potrebbe apportare ad uno degli anelli della catena dei trasporti, e si aspetta che esso venga incorporato in un quadro europeo. Date le complicazioni di tale sistema, soprattutto a livello di trasporti internazionali, il Comitato ritiene che queste sanzioni spesso faranno sì che a pagare siano il conducente o i commissionari di trasporto, mentre a beneficiare del vantaggio sarà un altro anello della catena. Anche sotto il profilo giuridico il Comitato ravvisa grossi problemi: una violazione delle disposizioni in materia di tempi di guida può servire, ad esempio, per rientrare al proprio domicilio invece di fare una sosta vicino a casa durante il tragitto, ma anche per prendere un traghetto invece di dover aspettare per ore quello successivo. Nel primo caso il beneficio dell'infrazione è esclusivamente a vantaggio del conducente, mentre nel secondo è a vantaggio di tutti gli anelli della catena dei trasporti. Il fondamento giuridico per imporre, in questo secondo caso, una sanzione al caricatore è, secondo il Comitato, molto esiguo. Il Comitato prevede infine che lasciare alla discrezione degli Stati membri l'applicazione concreta di questa idea comporterebbe grandi difficoltà e possibili distorsioni di concorrenza, e raccomanda pertanto di concordare norme comuni più precise, che definiscano le situazioni nelle quali si possano imporre sanzioni a terzi, nonché norme che armonizzino tali sanzioni e stabiliscano in modo uniforme quali sono le prove da produrre per l'imposizione di sanzioni.

3.3   Articolo 9, paragrafo 4

Su questo paragrafo il Comitato esprime tre ordini di riserve:

a causa di cause esterne di forza maggiore quali ingorghi, lavori in corso, incidenti e circostanze analoghe, è facile che il 20 % dei tempi limite di guida giornalieri venga superato. Tale limite dovrebbe quindi valere soltanto per infrazioni ripetute,

i riposi giornalieri e settimanali vengono definiti dalla proposta della Commissione come periodi di durata minima determinata. Dato che si tratta di definizioni, non si può parlare di margine. La Commissione in questo caso non è coerente con le proprie affermazioni e sarebbe preferibile, come nell'attuale regolamento 3820/85, che proponesse la durata minima del riposo in un articolo a parte,

l'articolo 12 del regolamento 3820/85 ammette, in particolari circostanze, una deroga alla norma, laddove invece il regolamento 2135/98 (tachigrafo digitale) offre scarse possibilità di deroga: il Comitato reputa necessario che la direttiva sui controlli proposta tenga esplicitamente conto di tali circostanze.

3.4   Articolo 16

Alla luce delle osservazioni generali formulate in merito all'insufficiente capacità di controllo e al fatto che in molti Stati membri l'applicazione delle nuove percentuali minime di controllo dipenderà dalla disponibilità del tachigrafo digitale nella maggior parte dei veicoli, e vista la grande incertezza che ancora persiste quanto alla data della sua introduzione, il Comitato propone di introdurre la percentuale minima del 3 % di cui alla direttiva sui controlli soltanto dopo due anni dalla data di introduzione del tachigrafo digitale. Per il resto, il Comitato condivide la data di attuazione proposta (1o gennaio 2006), che consente agli Stati membri di procedere agli adeguamenti necessari in materia di armonizzazione e cooperazione.

3.5

Il CESE invita la Commissione europea ad associare gli interlocutori sociali al livello europeo ai lavori del comitato che propone di istituire.

4.   Sintesi e conclusioni

4.1

Il Comitato sottoscrive pienamente gli obiettivi della proposta della Commissione. A suo giudizio, l'efficacia dei controlli è un anello essenziale della catena che inizia con l'adozione di una legislazione adeguata e termina con l'imposizione di sanzioni efficaci. Il Comitato reputa la proposta condivisibile in quasi tutti i suoi aspetti.

4.2

Il Comitato ritiene tuttavia che si debba tenere meglio in considerazione l'attuale capacità di controllo degli Stati membri e i limiti esistenti riguardo al suo adeguamento. Pertanto, suggerisce che per un periodo transitorio la percentuale minima di giorni lavorativi controllati nelle imprese sia fissata al 40 %.

4.3

Il Comitato concorda con la Commissione sull'opportunità di portare la frequenza dei controlli al 3 %: in tal modo si potrà infatti ottenere un'immagine attendibile del grado di ottemperanza alle regole da parte delle imprese, al fine di individuare facilmente coloro che commettono le infrazioni attraverso una politica di verifica e sanzioni. Così facendo, non appare più necessario aumentare ulteriormente tale percentuale.

4.4

Il Comitato condivide l'impostazione di base secondo cui un sistema di sanzioni pecuniarie adeguate annulla i vantaggi che un'infrazione potrebbe apportare a uno degli anelli della catena dei trasporti. Tale sistema, integrato in un quadro comunitario, deve costituire una base giuridica sufficiente per poter sanzionare anche altri responsabili, oltre ai conducenti e ai commissionari di trasporto.

4.5

Date le numerose deroghe internazionali e nazionali esistenti alle disposizioni in materia di orario di lavoro, il Comitato suggerisce che i controlli su strada degli orari di lavoro non vengano inclusi nell'allegato I, parte A.

Viceversa, nell'ambito di tali controlli reputa opportuno accertare se un autotrasportatore extracomunitario alla guida di un veicolo immatricolato nell'UE disponga della patente comunitaria richiesta.

Bruxelles, 3 giugno 2004.

Il Presidente

del Comitato economico e sociale europeo

Roger BRIESCH


(1)  Regolamento n. 2135/98.